D'annunzio E L'abruzzo: Atti Del X Convegno Di Studi Dannunziani, Pescara, 5 Marzo 1988 / [A Cura Del] Centro Nazionale Di Studi Dannunziani in Pescara
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D’Annunzio e l’Abruzzo Gli anni della formazione D’Annunzio nasce il 12 Marzo 1863. Secondo la leggenda, il giorno del lieto evento, la madre avrebbe esclamato: «Figlio mio sei nato di Venerdì e di marzo, chi sa che farai nel mondo!». Era in realtà un Giovedì e nasceva, non sulla tolda di una nave nell’Adriatico come avrebbe raccontato in seguito, ma in Via Manthoné a Pescara. Il suo segno zodiacale era quello dei Pesci e non quello dell’Ariete come invece avrebbe scritto nelle Laudi. Già da queste false voci che circolavano sulla sua biografia ben si comprende come l’autore avesse una particolare passione per la mistificazione delle proprie esperienze e della propria vita, di come il passato sia stato per lui luogo di rielaborazione e laboratorio creativo. Gabriele d’Annunzio trascorre in Abruzzo gli anni infantili fino all’iscrizione all’istituto scolastico Real collegio – Liceo Cicognini il 1° Novembre 1874. Da quella data non fa ritorno a casa per quattro anni, spendendo anche i mesi estivi in Toscana in modo tale da non inficiare la sua “toscanizzazione”. Fa rientro in Abruzzo solo per le vacanze estive del 1878 e del 1879, la prima però spesa a studiare per la licenza ginnasiale, la seconda a rivedere l’editio princeps di Primo Vere. L’estate del 1880 dunque è la prima significativa nella sua esperienza matura della terra d’origine. Questo è l’anno di nascita del cenacolo francavillese che il poeta pensa bene di celebrare con una dedica degli Idilli selvaggi, nell’edizione lancianese di Primo Vere. Quasi tutte le poesie che vi aggiunge sono per altro dedicate proprio all’Abruzzo. Nel 1881, conseguita a giugno la Licenza liceale d’onore, trascorre ancora un’estate abruzzese: le ferie, caratterizzate da grande spensieratezza, lo vedono riunito in fraterna comunione di spiriti e di ideali con gli amici Francesco Paolo Michetti, Paolo Tosti e Costantino Barbella. Con loro intraprende un viaggio alla scoperta di un Abruzzo ignoto: in treno fino a Sulmona, a cavallo nella valle del Gizio fino a Pettorano, poi, in carrozza verso la vallata del sagittario fino a Scanno. Al ritorno soste a Popoli, San Clemente a Casauria, Tocco. A novembre è invece a L’Aquila. Scrive alla fine di Settembre ad Enrico Nencioni, narrando delle sue gite in montagna e delle nuotate nell’Adriatico: «ho portato via una messe d’ispirazioni nuove, i muscoli rinvigoriti e lo spirito franco»1 1 Per il carteggio tra d’Annunzio e il professore Enrico Nencioni si veda Lettere ad Enrico Nencioni (1880-1896), a cura di R. Forcella, in «Nuova Antologia» XVII 1939, pp. 3-30; D’Annunzio e Nencioni (tredici lettere inedite), a cura di G. Dai primi componimenti, dell’Abruzzo emergono più che altro elementi del paesaggio: il mare e il fiume su tutti. Per quanto riguarda gli usi e i costumi, l’unica notazione nelle lettere è relativa al fastidio per il fracasso delle feste popolari. A partire dal sodalizio con gli intellettuali del circolo michettiano e dalla lettura di Verga, l’autore sviluppa un interesse non peregrino per la terra natia, un’attenzione crescente per la sua regione ed il suo popolo, che, come vedremo, si sarebbe esteso dal descrittivismo veristico impressionista delle prime raccolte al simbolismo tragico delle più mature opere teatrali. Progetta per altro in questi anni delle «figurine abruzzesi» che avrebbe voluto illustrate dal Michetti. Così, in Canto novo (1882), se è vero che prevalente è ancora la celebrazione della natura - quella abruzzese in primis e poi la natura tutta, in cui il poeta intende immergersi – si trova però una terza sezione dedicata al lavoro operaio e la manifestazione della volontà di scrivere un poema impegnato ispirato dall’Abruzzo. Il più giovane del cenacolo michettiano, De Cecco, è socialista ed è lui che d’Annunzio informa per primo della prossima uscita di Canto Novo, «con scariche di socialismo feroce»2 scrive. Si può intravedere in questa che è altrimenti considerata una irrilevante parentesi dell’impegno politico dannunziano, la prima e ancora acerba spinta verso il popolo e una verità di popolo. Canto novo riunisce testi già pubblicati separatamente, arricchiti da illustrazioni dell'amico pittore Michetti. La seconda edizione del 1896 sarebbe stata poi ridotta a soli 23 testi e ogni argomento politico o sociale ne sarebbe stato tagliato fuori così da farne risultare un "poema lirico panteistico" dove D'Annunzio fonda un nuovo paganesimo. In una lettera a Nencioni dell’84 esprime più apertamente la volontà di scrivere un romanzo storico Pantagruelion: voglio fare un romanzo, dirò così, omerico, epico, in cui molti personaggi operino e masse di popolo si muovano; un romanzo con moltissimi fatti e pochissima analisi, un romanzo a fondo storico. L’azione si svolgerà a Pescara tra il ’50 e il ’75. Ho qui una meravigliosa miniera di documenti, ci entreranno i Borboni, li uomini di Sapri, i cospiratori politici; ci entrerà tutta la vita religiosa, privata e pubblica piena di pettegolezzi, di congiure di odii, intricatissima, tumultuaria, tutta la vita di una città piazza forte dove il militarismo e il clericalesimo imperavano sovrani. Che scene!3 Il progetto non sarebbe stato mai realizzato ma l’idea - qui ancora di scuola verista con impianto da saga nazionalista - è significativa perché sarebbe stata in parte ripresa per La fiaccola sotto il moggio Fatini, in «Quaderni dannunziani» XVIII-XIX 1960, pp. 645-704; Nove lettere inedite di G. d’Annunzio a E. Nencioni (1889-95), a cura di A.Brettoni, in «Studi e problemi di critica testuale», 21 1980, pp. 195-207. 2 F. Di Tizio, Lettere di d’Annunzio a Paolo De Cecco, in «Quaderni del vittoriale», 37, 1983, pp. 57-75. 3 Cfr. nota 1. e consente forse una lettura del dramma in senso epico. Di poco più tardi è l’idea per La figlia di Iorio anch’essa stravolta rispetto al nucleo originario. Ciò, come si vedrà, è dovuto ad un cambiamento radicale in quella che è la sua concezione dell’Abruzzo. Secondo Ivanos Ciani non è ancora presente in d’Annunzio la riflessione che poi sarebbe confluita nel Trionfo della morte, se pure è a questa altezza cronologica che il poeta conosce Antonio De Nino, proprio durante la sua visita a Scanno dell’ ‘85, della quale racconta alla Zucconi: Vedessi che costumi strani e splendidi portano le donne! Par d’essere in Oriente: l’illusione è perfetta. Turbanti di seta ricamati d’oro e d’argento, grandi grembiuli fiammanti, maniche larghissime, una ricchezza di pieghe meravigliose4 Qui il quadro che ne è emerge è quello di un Abruzzo esotico e decadente, di una terra lontana e avvolta dal mistero. Nel 1887 è a Casalbordino per il corpus Domini e dalla Maiella scrive lettere che già prefigurano il noto passo del pellegrinaggio nel Trionfo della morte. Nell’88 anima e presenzia a Francavilla una festa di canzoni abruzzesi, con musiche – fra gli altri – di Tosti. Nello stesso anno è impegnato nella redazione del Piacere. Nel 1890 parte volontariato militare. Nel ‘91 scrive l’Innocente a Francavilla. Dalle lettere a Barbara Leone, quell’anno lo sappiamo prima a Pretoro poi a Casalbordino poi all’Abazia di San clemente a Casauria, celebrata nelle pagine de Il Mattino oltre che nel Trionfo della morte. Candidato al Parlamento per le elezioni del 1897 con un programma «al di là della destra e della sinistra» pronuncia a Pescara il cosiddetto Discorso della siepe, originariamente intitolato Laude dell’illaudato. 4 G. D’Annunzio, Lettere a Giselda Zucconi, a cura di I. Ciani, Centro Nazionali di Studi Dannunziani, Pescara, 1985. L’Abruzzo letterario: Canto Novo, Novelle della Pescara, Trionfo della morte, Laudi Canto Novo Ex Imo Corde. Al mio fiero Abruzzo Mentre a 'l bel sole de 'l novello aprile rîdono e terra e mare, e fra' capelli uno zefiro gentile mi sento folleggiare, da questa balza che s'eleva ardita ti guardo, o Sannio mio, e in cor mi sento rifiorir la vita con ardente disìo. Via per l'azzurro tuo ciel radiante volano i miei pensieri sì come una fugace e gorgheggiante torma d'augelli neri; e le vigili strofe intorno intorno mi guidano una danza, le strofe ch'io con tanto amore adorno, che son la mia speranza. Ah sì, le calme de 'l tuo ciel divine mi fecero poeta, i sorrisi d'un mar senza confine là tra la mia pineta: tra la pineta mia dov'ho passati i momenti più belli, dove ho goduti i miei sogni dorati i canti de li uccelli; dov'io disteso su l'erbetta molle mille volte piangendo ho mirato il sol che dietro a 'l colle si nascondea fulgendo, o un nuvolo leggero e luminoso natante via pe 'l cielo ne l'ampio plenilunio silenzioso come un argenteo velo; dove ho provate voluttà sì strane i murmuri ascoltando de' vecchi pini, a cui da lunge un cane rispondea latrando, o la solenne musica de l'onde che increspandosi appena venian soavi a le ricurve sponde a ribaciar l'arena... E con serene ebrezze la speranza ne 'l core mi fioria, mentre i sogni superbi con baldanza puërile inseguia... I miei sogni di gloria e libertate per l'azzurro fuggenti come una schiera di fanciulle alate o di meteore ardenti!... Or co' giovini mandorli fioriti a 'l sol rïaprono l'ale gli entusïasmi splendidi sopiti ne l'inverno glaciale, e ti mando un saluto, o Sannio fiero, senza nube d'affanni con tutto il foco prepotente a altero de' miei diciassett'anni!... Veggo di qui le tue selvagge vette radïanti di neve, da cui si slancian simili a saette l'aquile a l'aer lieve, e la verde pianura co' giardini cui sorridono i fiori che ne' vesperi rossi e ne' mattini intrecciano gli amori.