Conservatorio di musica «B. Marcello» di Venezia

Diploma Accademico di 1° livello Scuola di direzione d’orchestra

Le bacchette all’ombra di Toscanini

Candidato: Mauro Perissinotto (matr. n. 101256)

Relatore: prof. Michael Summers

Anno Accademico 2013-2014

Conservatorio di musica «B. Marcello» di Venezia

Diploma Accademico di 1° livello Scuola di direzione d’orchestra

Le bacchette all’ombra di Toscanini

Candidato: Mauro Perissinotto (matr. n. 101256)

Relatore: prof. Michael Summers

Anno Accademico 2013-2014

Indice

Introduzione ...... 5

Capitolo primo Il maestro tra novità e tradizione ...... 9

1. Due curiose istantanee ...... 9 1.1 , quartiere Oltretorrente, 25 marzo 1867 ...... 9 1.2 New York, 16 gennaio 1957 ...... 11

2. Le bacchette del Risorgimento ...... 12 2.1 Direttori d’Oltralpe ...... 12 2.2 Direttori in Italia ...... 14

3. Eredità o genesi? ...... 19

Capitolo secondo La prima generazione ...... 21

1. Il sinfonismo d’Oltralpe ...... 22 2. Italia, patria del belcanto ...... 24 3. Conclusioni per la prima generazione ...... 27

Capitolo terzo La seconda generazione ...... 29

1. Longevità d’Oltralpe ...... 29 2. Il Bel Paese si pasce ancora di melodramma ...... 35 3. Conclusioni per la seconda generazione ...... 40

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Capitolo quarto La terza generazione ...... 41

1. Una nuova didattica ...... 42 2. La dittatura del direttore ...... 42 3. La filologia ...... 43 4. L’organologia ...... 44

Conclusioni ...... 45

Bibliografia ...... 47

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Introduzione

Se ad oggi la storiografia ha riservato timide energie nella confezione di opere organiche sulla direzione d’orchestra1, si auspica di poter presto disporre di strumenti scientifici che possano giovare in particolare agli addetti ai lavori, ma anche più generalmente alla musicologia e alle varie comunità interessate a tale dimensione culturale. Si intende rimarcare come, non appena fossero riconosciute delle plausibili ragioni per l’indifferenza anche editoriale nei confronti di una professione, il cui recondito fascino è peraltro opinione comunemente diffusa, sarebbe tempo che qualche tentativo venisse

1 Ci si riferisce al fatto che non vi sono ancora lavori nei quali venga elaborata una linea interpretativa critica in termini di periodizzazioni, categorie culturali o scuole di pensiero. Si riportano di seguito i principali testi di carattere manualistico o tecnico, consultati per la confezione del presente elaborato: E. Nicotra, Introduzione alla tecnica della direzione d’orchestra secondo la scuola di Ilya Musin + DVD, Milano, Curci, 2008. N. Lebrecht, Il mito del Maestro. I grandi direttori d’orchestra e le loro lotte per il potere, Milano, ed. Longanesi & C, 1992. D. Bertotti, Il direttore d'orchestra da Wagner a Furtwängler. L'illustre aberrazione, Palermo, L’epos, 2005. Attardi F. & Pasero G., Leadership trasparente: direzione d’orchestra e management d’azienda, Milano, Franco Angeli, 2004. M. Danon , Il direttore d’orchestra: l’arte dell’essere, Milano, Garzanti, 1993. Mehta Z. (2006), La partitura della mia vita, Excelsior 1881, Milano, 2007. I. Cavallini, Il direttore d’orchestra, Venezia, Marsilio, 1998. C. Abbado, Musica maestri! Il direttore d’orchestra tra mito e mestiere, Milano, Feltrinelli, 1985. A. Bassi, La musica e il gesto: la storia dell’orchestra e la figura del direttore, Milano, Marinotti, 2000. M. Zurletti, La direzione d'orchestra: grandi direttori di ieri e di oggi, Milano, Ricordi, 1985.

5 approcciato almeno da parte di chi ne sperimenta professionalmente la pratica. Ci si vuol riferire non tanto a lavori monografici, quanto invece a una Summa che sia in grado di delineare non solo una diacronia di personalità, ma soprattutto di comparare criticamente orientamenti, scuole, tecniche, scelte culturali ed estetiche. Quanto alle motivazioni per le quali è stato posto freno anche alle penne più prolifiche, una prima ipotesi potrebbe identificarsi nella particolare settorialità del tema e quindi nel difficile appeal editoriale, soprattutto se raffrontato con la vastità della ricerca richiesta; una seconda ragione potrebbe invece essere riconosciuta nella difficoltosa definizione temporale delle origini della figura del direttore d’orchestra; viceversa, coordinate temporali comunque strette (non più larghe di due secoli) potrebbero rendere poco attendibile un giudizio storico compiuto. Ciascuna di queste ipotesi da sola sembra essere insufficiente per giustificare la miopia nei confronti del tema, se non altro perché esistono aree storiografiche più elitarie, dai contorni epocali meno definiti o assai angusti, che tuttavia godono di una letteratura decisamente copiosa. Forse è proprio la miscela di queste ed altre più arcane motivazioni ad aver incenerito anche le ambizioni più virtuose. Si tratta quindi di cominciare a pensare ad un lavoro storiografico completo, cui certamente questo elaborato poco può contribuire; ciononostante si ritiene che in tale prospettiva l’”era toscaniniana” costituisca una periodizzazione quantomeno significativa, che in termini generali può fare da punto medio tra la scuola ottocentesca e quella del secondo dopoguerra. Secondo gli orientamenti odierni della storiografia, almeno da F. Braudel2 in poi, una periodizzazione

2 Ci si riferisce al rivoluzionario valore epistemologico per la storiografia assunto dalla monumentale La Méditerranée et le Monde Méditerranéen à l'Epoque de Philippe II (1949) di F. Braudel.

6 assume valore se veicola un processo di trasformazione3, ovvero se almeno una delle sue fenomenologie caratterizzanti passa da uno stato di cose ad uno differente. Ci si chiederà, quindi, nel presente lavoro quale o quali dei tratti caratterizzanti il concertatore al tramonto dell’Ottocento si siano evoluti in modo significativo un settantennio più tardi. E’ evidente che dal punto di vista epistemologico la scelta temporale in questo caso esclude altre chiavi di analisi – certamente possibili, anche se più vacue – quali la geografia culturale, la tecnica della disciplina, le forme o i generi musicali del repertorio. Tuttavia da una diacronia di fenomeni si possono comunque configurare viaggi settoriali, purché dei fatti e/o delle persone si sviluppino componenti variegate e non univoche. Compito quindi del presente lavoro non è quello di tracciare l’ennesima biografia di Toscanini, ma, invece, di chiedersi se una parabola esistenziale così lunga possa essere ascritta ad un’epoca significativa, non tanto per il linguaggio musicale e la sua evoluzione, né per le vicende socio politiche che sono occorse, quanto piuttosto per la storia della direzione d’orchestra.

Fig. 1 - .

3 Per un approfondimento sulle periodizzazioni storiche determinate da processi di trasformazione ci si è riferiti a : W. Panciera & A. Zannini, Didattica della storia. Manuale per la formazione degli insegnanti. Terza edizione aggiornata. Firenze, Mondadori Education - Le Monnier università, 2013.

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Capitolo primo

Il maestro tra novità e tradizione

1. Due curiose istantanee

1.1 Parma, quartiere Oltretorrente, 25 marzo 1867

Quando nel 1867 il povero quartiere Oltretorrente di Parma diede i natali ad Arturo Toscanini, si può certo sostenere che la fiaccola del Secolo dei Lumi non fosse del tutto sopita. E questo non tanto perché l’aura risorgimentale si annichilisse dinanzi ai rimpianti di dispotismi illuminati; o perché lo slancio del sinfonismo romantico si volesse piegare alle lontane glorie del classicismo viennese. Piuttosto, invece, è semplicemente curioso notare come all’epoca del parto del grande maestro operassero ancora alcuni venerandi, i cui certificati d’anagrafe s’erano sigillati al crepuscolo del Settecento. Il vecchio Rossini4, infatti, soggiornava da tempo alle rive della Senna, a Napoli imperava il genio di Mercadante5 e Lipsia era teatro degli ultimi concerti di Moscheles6. Si aggiunga pure a questa fotografia

4 Gioachino Rossini nacque a Pesaro nel 1792. Trascorse buona parte della sua vita matura a Parigi, dove morì nel 1868, un anno dopo la nascita di Toscanini 5 Saverio Mercadante (1895 – 1970) fu compositore di circa 60 opere e di varia musica strumentale. Per trent’anni diresse il Conservatorio di Napoli. 6 Ignaz Moscheles, compositore e pianista boemo, nacque a Praga nel 1794. Conobbe Beethoven e fu molto legato a F. Mendelssohn- Bartholdy. Morì a Lipsia nel 1870.

9 storica che il novello Regno d’Italia7, con Firenze capitale8, da pochi mesi aveva sottratto il Veneto all’Austria ed ancora attendeva di dirimere la questione romana. Curioso notare, inoltre, come il decano della letteratura italiana fosse Alessandro Manzoni; mentre il giovane Carducci stava aprendo le porte di un colto realismo, gli Scapigliati propagandavano uno stile antiaristocratico e bohemienne e Giovanni Verga aveva iniziato a pubblicare le sue prime prose. Circoscrivendo l’istantanea alla sola arte dei suoni nel mondo occidentale, si potrà scorgere il conterraneo Verdi mentre rappresenta il suo primo a Parigi; Ponchielli9 aveva già pubblicato alcuni melodrammi e balletti; mentre Leoncavallo, Puccini, Franchetti, Mascagni, Busoni, Cilea e Giordano10 – per citare in rigoroso ordine cronologico solo alcune cime italiane di quella fortunata generazione post-romantica – non avevano compiuto la prima decade, anzi, l’ultimo di costoro nacque qualche mese più tardi. Per allargare lo sguardo almeno all’Europa, dove aveva preso quota l’astro di Wagner e si attendeva ancora la Prima Sinfonia di Brahms11, quel decennio aveva celebrato i natali di Mahler, Debussy, R. Strauss e Sibelius.

7 E’ significativo ricordare come il padre del Maestro, Claudio Toscanini, si fosse arruolato come volontario tra i Mille, subendo anche il carcere in Aspromonte per tre anni. La vicenda condizionò di certo l’anticlericalismo e l’antimonarchismo ideologico della giovinezza 8 Firenze fu capitale d’Italia dal 1865 al 1870 9 Amilcare Ponchielli (1834 – 1886) è oggi ricordato soprattutto per La Gioconda, ma numerose furono le sue pregevoli composizioni vocali e strumentali. Fu titolare della cattedra di composizione presso il Conservatorio di Milano, dove tra gli allievi si annoverarono Puccini, Mascagni, Bossi e Pozzoli. Per un generale quadro biografico dell’opera di Ponchielli si può consultare AA.VV., Amilcare Ponchielli, Milano, Nuove Edizioni, 1985. 10 Nacquero tutti tra il 1857 ed il 1867. 11 Nonostante i primi appunti della Sinfonia risalgano al 1862, la prima esecuzione pubblica si poté ascoltare solo nel 1876.

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1.2 New York, 16 gennaio 1957

Tutto questo potrebbe anche non avere grande rilevanza, se non lo si correlasse ad un’istantanea del 1957, quando si celebrarono le esequie del maestro: si potrà apprezzare non solo come il figlio d’un sarto garibaldino fosse divenuto un’icona della musica e della società, ma anche quanto il mondo in quegli anni si fosse trasformato e fosse diventato altro da quel ridente borgo parmigiano del Risorgimento. Dei compositori e colleghi suoi coetanei si celebravano solo le gesta ed erano ormai tutti entrati nei manuali di storia. Dal suolo di quel Regno garibaldino due volte s’erano alzate le polveri della guerra ed al dispotismo della dittatura era già seguito l’agognato traguardo della pace: dalle ceneri dell’esecrata monarchia s’era stagliato quel sogno repubblicano, che tanto s’era plasmato negli sguardi fanciulleschi del bambino prodigio. Il progresso avanzava come un rombo di tuono: la radio consentiva già da tempo di diffondere informazione e musica; la televisione a partire dagli anni Cinquanta iniziò ad entrare nelle dimore dei borghesi e poco più tardi in quelle della maggior parte dei cittadini del globo industrializzato. Quel popolo che nove decenni prima mendicava per lo più analfabeta12 tra le campagne, ora proletario si vantava di poter consegnare ogni mattina i propri figli alla scuola del paese. Il presente lavoro non consente di divagare oltre circa le dinamiche della società e della cultura durante la vita di Arturo Toscanini; ma ciò che si è detto vorrebbe essere funzionale a cogliere il binomio essenziale che lega l’avvenirismo biografico dell’artista ai contesti plastici nei quali si è sviluppato.

12 Per un generale quadro sull’evoluzione dell’analfabetismo in Italia dal 1861 al 2000 è consultabile: Roberto Sani, Maestri e istruzione popolare in Italia tra Otto e Novecento, Milano,Vita e Pensiero, 2003, pagg. 81-84

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2. Le bacchette del Risorgimento

Se l’obiettivo, come si sosteneva, è quello di verificare l’attendibilità delle fonti a sostegno di un’epoca “toscaniniana”, il primo passo doveroso è quello di individuare lo status della direzione d’orchestra anteriormente agli anni Ottanta dell’Ottocento. Infatti la carriera del Nostro può datare la sua pur occasionale genesi al 188613, per dipanarsi poi trionfalmente durante il settantennio seguente. La questione qui porta a dover almeno citare le personalità che hanno segnato l’evoluzione di una disciplina, che certamente nel XIX secolo si è smarcata dalle prassi settecentesche14 – assolte dal clavicembalista o dal violino di spalla – per assumere tratti molto più definiti. Ciò anche in nome dell’ampliamento degli organici e del moltiplicarsi di richieste agogiche nelle partiture, tali da richiedere una figura di riferimento super partes.

2.1 Direttori d’Oltralpe

In ambito germanico i primi a rivestire i nuovi panni del direttore d’orchestra furono Carl Maria von Weber (1786 – 1826) e Louis Spohr (1784 – 1859): quest’ultimo diresse stabilmente a Vienna, Francoforte e per molti anni a Kassel e si narra abbia introdotto la

13 Pur dovendo rinunciare per le ragioni già addotte a disquisizioni biografiche, pare giusto citare come la carriera di Toscanini sul podio sia iniziata sostituendo un concertatore poco capace, che era stato aspramente criticato dall’orchestra e dal pubblico sudamericano durante una tournee del di Parma. Il maestro diciannovenne era violoncellista della compagine, ma aveva dimostrato durante la trasferta di conoscere a memoria la partitura di : si era infatti occupato di ripassare le parti al pianoforte a vantaggio di molti coristi ed anche di alcuni protagonisti. Al trionfo di quella e delle successive recite seguirono i primi decisivi ingaggi. Correva l’anno 1886. 14 Personalità idiosincratica ed avveniristica del pieno Settecento fu certamente Johann Stamitz (1717 – 1757), che si distinse come compositore e direttore stabile dell’Orchestra di Mannheim.

12 bacchetta, quale sostituto dell’archetto del violino nella concertazione. La generazione tedesca successiva – e l’ultima precedente a quella di Toscanini - fu quella di Felix Mendelsson- Bartholdy (1809 – 1847), Franz Listz15 (1811 – 1886), Richard Wagner (1813 – 1883) e poco più tardi Hans von Bülow (1830 – 1894) e Hans Richter (1843 – 1916)16.

Fig. 2 - Felix Mendelssohn - B. Fig. 3 - Franz Listz.

Nell’area francofona l’antesignano del ruolo può essere riconosciuto nel genio poliedrico di Hector Berlioz (1803 – 1969), il

15 Qui la figura del Listz direttore d’orchestra – certamente meno significativa di quella del compositore o del pianista - viene inserita nell’area germanica per le forti implicazioni anche affettive e relazionali che egli intrattenne con i colleghi Wagner e von Bülow. E’ nota tuttavia la variopinta biografia listziana e la difficile identificazione univoca della propria patria artistica con una precisa area geografica dell’Europa. 16 Fu uno dei più sensibili esecutori del repertorio tedesco romantico, in particolare Brahms e Wagner, di cui era fedele amico e di cui diresse la prima dell’Anello del Nibelungo. Nell’ultima parte della sua carriera lasciò Bayreuth per dirigere stabilmente al Covent Garden.

13 quale, oltre a dirigere proprie ed altrui composizioni, pubblicò uno dei primi fondamentali trattati sulla tecnica direttoriale17.

2.2 Direttori in Italia La penisola italica fin dagli anni Quaranta dell’Ottocento legò la fama dei propri direttori in primis alle interpretazioni del repertorio melodrammatico composto dai loro illustri contemporanei ed in secondo luogo all’esecuzione dei prodotti della loro stessa penna. Tra le personalità di maggior spicco v’è da ricordare Angelo Mariani18 (1821 – 1873), il quale per primo avversò la pratica invalsa nelle orchestre liriche di assegnare il ruolo di concertatore sia al clavicembalista che al violino di spalla. Questo gli causò aspre critiche, presto però dimenticate grazie al talento con cui diresse molte opere verdiane anche in prima assoluta (I due Foscari, Nabucco, Aroldo, Don Carlos) e pagine oggi meno eseguite di Giovanni Pacini (Sofocle ed Edipo re) e di (L’Africane). Il rapporto con Verdi si incrinò19 nel 1869 e non venne ricucito nemmeno dall’incarico di dirigere la prima dell’Aida a Il Cairo nel 187120. Negli ultimi due anni di vita, pur minato dal cancro, Mariani

17 H. Berlioz, Il direttore d’orchestra in A. Lualdi, L’arte di dirigere l’orchestra, Milano, Hoepli, 1949 18 Per una biografia di Angelo Mariani si può consultare: V. Ramon Bisogni, Angelo Mariani. Tra Verdi e la Stolz, Varese, Zecchini Editore, 2009. 19 La ragione della chiusura drastica dei rapporti tra i due fu ufficialmente la scortesia che agli occhi di Verdi compì Mariani, allorquando scelse di dirigere un concerto commemorativo a Pesaro ad un anno dalla scomparsa di Rossini. Il Cigno di Busseto aveva nominato l’amico quale direttore di una Messa da Requiem, che tredici compositori, suddividendosi le parti, avrebbero dovuto scrivere in memoria del pesarese; teneva al fatto che quello fosse l’unico grande tributo al geniale collega. In verità poche settimane più tardi, dopo che Verdi già aveva abbozzato il Libera me, Domine, il progetto svanì. 20 Angelo Mariani si era fidanzato con il soprano Teresa Stolz (1834 – 1902), interprete delle prime di Don Carlos, Aida, Messa da Requiem,

14 diresse a Bologna – forse provocatoriamente, ma con grande successo – le prime italiane di Lohengrin e Tannhauser alla presenza dello stesso Verdi.

Fig. 4 - Angelo Mariani Fig. 5 - Carlo Pedrotti

La fama di Iacopo Foroni21 (1825 – 1858) rimase invece legata agli spettacoli allestiti a Stoccolma, dove peraltro morì prematuramente. Degna di nota fu l’attività del veronese Carlo Pedrotti22 (1817 – 1893), attivo prima ad Amsterdam, poi presso il Teatro Filarmonico di Verona ed al Teatro Regio di Torino. La sua scarsissima autostima nasceva significativamente dalla consapevolezza che le sue composizioni poco avessero di geniale rispetto a quelle dei colleghi contemporanei23. Egli era convinto che limitarsi a concertare le opere altrui fosse una magra consolazione, se anteposta alla frustrazione che

Otello. Al dolore causato dalla rottura del rapporto nell’immediata vigilia della prima di Aida, si aggiunsero le dicerie circa una relazione tra la stessa Stolz e Verdi, sulla quale molto s’è scritto, ma poco s’è dimostrato. 21 Figlio del maestro di canto e compositore Domenico Foroni (1796 - 1853), di cui Carlo Pedrotti fu insigne allievo. 22 Scrisse anche sedici opere e varia musica da camera. A seguito di una devastante depressione morì suicida, gettandosi nelle acque dell’Adige della sua città. 23 Le confessioni di Pedrotti sono contenute negli scambi epistolari con Arrigo Boito e sono consultabili nel sito www.eschaton.it.

15 si generava dagli insuccessi delle proprie. Ciò permette già di anticipare il dibattito relativo alla differente vocazione cui si sentivano chiamati i direttori d’orchestra nati nel primo quarto dell’Ottocento, rispetto alla nuova prospettiva toscaniniana. Celebre, forse non come la sua perizia in veste di contrabbassista e di compositore, fu anche il contributo che venne offerto all’arte direttoriale da Giovanni Bottesini (1821 – 1889): fu lui a dirigere la prima di Aida nel 1871 e venne assai stimato da Arrigo Boito, oltre che dallo stesso Verdi, il quale lo fece nominare direttore del Conservatorio di Parma nell’anno della sua morte. Diresse molto all’estero, soprattutto in America, ma anche in Inghilterra, Francia e Russia. Giovanni Gaetano Rossi24 (1828 – 1886), allievo del giovane Verdi, si diplomò a Milano. Dagli anni Cinquanta lavorò a Parma come concertatore e docente: tra gli allievi ebbe Cleofonte Campanini ed Emilio Usiglio. Diresse la storica messinscena di Aida, curata personalmente da nell'aprile 1872 (seconda in Italia dopo quella della Scala). Alla morte di Angelo Mariani venne chiamato a Genova alla testa dell'orchestra del , di cui divenne direttore principale per quattro anni, fino al 1879, quando l'orchestra venne sciolta. Della generazione successiva e quindi immediatamente precedente a quella di Toscanini si citano in ordine cronologico Franco Faccio (1840 – 1891), Emilio Usiglio (1841 – 1910) e i fratelli Marino (1842 – 1894) e Luigi (1848 – 1921) Mancinelli.

24 Alla sua morte la moglie volle che la salma fosse traslata al Cimitero Monumentale di Milano. Un busto marmoreo è posto a suo ricordo nel cortile monumentale del Conservatorio di Parma, accanto all'ingresso della biblioteca.

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Fig. 6 - Franco Faccio

Il primo studiò musica a Milano e, frequentando con Arrigo Boito ed Emilio Praga il Salotto Maffei, ebbe modo di conoscere Giuseppe Verdi. Compose un paio d’opere, che non lo resero di certo famoso quanto invece la sua perizia nel concertare. Dal 1867, anno di nascita di Toscanini, lavorò per la Società del Quartetto presso il conservatorio di Milano, promuovendo nelle principali città del Bel Paese la musica sinfonica europea; dal 1871 iniziò la propria collaborazione con l'orchestra del Teatro alla Scala, alla quale fece spesso eseguire – anche in tournée all'estero - brani sinfonici di giovani compositori italiani. Dopo la morte di Angelo Mariani, negli anni Settanta e Ottanta, venne considerato dalla critica come il più affidabile direttore d'orchestra in attività. Memorabile fu la partecipazione della Società orchestrale del Teatro alla Scala all'Esposizione di Torino del 1884, durante la quale Franco Faccio diresse il complesso scaligero assieme alle neonate orchestre sinfoniche di Roma, Napoli, Torino e Bologna. La rinascita della musica strumentale in Italia vide dunque in lui uno dei principali protagonisti. Stimato da Verdi e dal giovane Puccini, diresse la prima rappresentazione italiana dell'Aida (1872), de La Gioconda (1876) dell' (1887), dell'Edgar (1889) e dei Maestri cantori di Norimberga (1889). Tra i suoi incarichi vi fu anche quello di direttore del Conservatorio di Parma.

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Il parmigiano Emilio Usiglio si fece apprezzare giovanissimo come compositore; riscosse apprezzamenti per le sue interpretazioni verdiane, per una ripresa del di Boito rimaneggiato (1875) e per la prima italiana di Carmen a Napoli. Marino Mancinelli di Orvieto è ricordato per aver diretto a Bologna la prima italiana de Il vascello fantasma (1877) e de Il duca d’Alba (1882) di Donizetti. Fu attivo anche all’estero come promotore musicale: fondò un’impresa teatrale in Brasile, al cui fallimento seguì il suo suicidio. Luigi Mancinelli, suo fratello minore, debuttò con Aida a Perugia, prima di essere nominato direttore del Liceo Musicale di Bologna. Qui diede impulso alla vita culturale della città, partecipando molto spesso alle produzioni del Teatro Comunale e fondando la celeberrima “Società del Quartetto”, alla quale si iscrissero molti dei fautori del wagnerismo. Fu un concertatore molto stimato dal pubblico e dagli artisti, dotato di un gesto semplice, ma efficace. Si distinse a Madrid, Londra, New York e , dove inaugurò la stagione musicale nel 1908.

Fig. 7 - Marino Mancinelli. Fig. 8 - Luigi Mancinelli.

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3. Eredità o genesi?

Ebbene, secondo la prospettiva teorica espressa nell’introduzione, per giustificare un’eventuale categoria storiografica nella parabola toscaniniana, risulterebbe necessario per ora individuare i parametri di un processo di trasformazione ex ante: in sostanza bisognerebbe chiedersi cosa possa esprimere di tanto differente la scuola del primo ottantennio nel Novecento dall’eventuale novità proposta dal giovane astro nascente. La prima generale considerazione consiste nel fatto che nella maggioranza dei casi l’attività direttoriale costituiva in principio un sostanziale corollario alla pratica compositiva, la quale assumeva spesso i connotati della professione principale e trainante. A metà Ottocento non si era ancora superata, quindi, la relazione biunivoca tra la genesi di una partitura e la sua interpretazione. Inoltre, se si scorrono le locandine dei teatri, si scopre come in questa fase storica si prediligesse presentare titoli di nuova fattura o comunque partiture che fossero state ultimate non più di cinquant’anni prima. Risulta praticamente assente dalle attenzioni dei teatri la riproposizione di repertori storici; tanto che la famigerata Bach Reinassance, inaugurata da Mendelssohn nel 1829, venne letta come un fatto straordinario e di portata quasi inenarrabile per gli usi dell’epoca. Si sarà notato - e si troverà conferma anche in seguito - come la scuola tedesca dell’Ottocento proponesse solide e acclamate interpretazioni di autori del romanticismo patrio; di contro, però, non sapeva né voleva fissare lo sguardo oltre alla parabola dell’ultimo Beethoven. Il classicismo viennese era sconosciuto e giaceva riposto negli archivi. Analogamente i concertatori italiani si preoccupavano di accaparrarsi le prime assolute delle opere dei beniamini del melodramma, quando in cartellone non vi fosse addirittura una loro stessa composizione. Ma se Rossini sopravvisse all’unificazione del

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Regno e quindi dalla lontana Parigi poteva ancora stimolare l’esecuzione di molti dei suoi capolavori del primo trentennio del secolo, per Bellini e soprattutto per Donizetti – per non parlare di altri loro meno fortunati e noti contemporanei - l’oblio scese in modo quasi inspiegabile ed irriverente, quanto meno su molte delle loro pagine. E sovente il buio pesto dominò fino alla metà del secolo scorso, quando il desiderio di indagare anche criticamente questo repertorio venne assecondato da strumenti di ricerca più scientifici di quelli di cento anni prima. Ancor oggi le partiture che attendono d’essere studiate, riviste, pubblicate ed eseguite assommano valori non trascurabili ed impongono l’investimento di opportune risorse. Come Oltralpe, quindi, anche in Italia non ci si curò delle gemme settecentesche della danza o dell’intermezzo, per rincorrere invece il nuovo e l’inedito. Si potrà quindi concludere che il recupero della tradizione del tardo classicismo, di cui Toscanini ad inizio Novecento si fece interprete, ma anche della stessa letteratura romantica25, fossero esperienze ancora nuove per le sale da concerto dell’epoca.

25 Si narra del disappunto che alla Scala venne dimostrato dal pubblico quando Toscanini nel 1902 propose di allestire : era un’opera ormai cinquantenaria e quindi ritenuta vecchia rispetto al gusto liberty di allora. H. Sachs, Toscanini, il maestro, (7 voll.) Mondadori, Milano, 2007, Vol. 1, p. 7

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Capitolo secondo

La prima generazione

Per suffragare con motivazioni più probanti la tesi della cogenza di un’epoca toscaniniana, sarà ora opportuno cercare nella medesima generazione del maestro altri elementi di frattura con il passato e di continuità rispetto al proprio tempo. La prima fondamentale questione è data dal fatto che la sua longevità complica in molti casi la possibilità di sovrapporre in misura congrua le parabole artistiche dei colleghi. Tuttavia si utilizzerà come generale criterio uniformante l’anagrafe a partire dalla metà del Secolo XIX fino al 1870: non è secondaria la precoce iniziazione del Nostro, che già nei primi anni Novanta poteva considerarsi un protagonista indiscusso del panorama musicale del suo tempo. Ne segue che i concertatori nati già un decennio dopo, vadano considerati parte di una nuova generazione, in quanto beneficiari della mitica aura conferita alla figura del direttore d’orchestra dall’esempio di Toscanini.

Fig. 9 - Richard Strauss.

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1. Il sinfonismo d’Oltralpe

Punto di riferimento essenziale dell’epoca fu senz’altro Richard Strauss26 (1864 – 1949), il quale non fu solo uno straordinario compositore e un finissimo orchestratore, ma venne anche unanimemente stimato come abilissimo concertatore. Successore di Hans von Bülow, fu attivo a Weimar, dove diresse l’integrale delle opere di Gluck, Mozart e Wagner. A tal proposito si conviene con quanto sostenuto nel precedente capitolo: il recupero del Settecento non va considerato come una prassi dovuta e scontata a quell’epoca; anzi, la proposta di programmi di sala siffatti va letta come una fase innovativa nel processo di definizione della figura del direttore d’orchestra, che si pone quale vincolante artefice nella definizione del gusto e negli orientamenti estetico- culturali del pubblico. Strauss fu in seguito attivo nella natia Monaco, per divenire più tardi direttore principale dell’opera di Berlino (1898 – 1919) e poi di Vienna (1920 – 24). La sua collaborazione con il regime nazista gli procurò provvedimenti punitivi piuttosto severi al termine della guerra, quando ormai era ultraottantenne. Richard Strauss ha anche ridefinito il ruolo del musicista nella società. Sebbene provenisse da una famiglia benestante, egli si adoperò per tutelare gli interessi economici dei compositori e non solo dei loro interpreti. Già nel 1889, consapevole che ciò gli avrebbe procurato delle difficoltà da gestire con parte delle fazioni sociali e anche con parte del mondo accademico, fondò una società a tutela del diritto d’autore, grazie alla quale si crearono le moderne basi del concetto di proprietà artistica. Epigono straordinario ed imprescindibile durante la giovinezza di Toscanini fu l’opera di Gustav Mahler27 (1860 – 1911), per il quale

26 Per un generale inquadramento della figura di R. Strauss: Cesare Orselli, Richard Strauss, Palermo, L'epos, 2004. 27 Quali riferimenti bibliografici essenziali per questo lavoro si citano: Quirino Principe, Mahler. La musica tra Eros e Thanatos, Milano, Tascabili

22 qualsiasi tentativo di sintetizzarne l’incomparabile contributo estetico- culturale risulterebbe poco efficace. Basti ricordare, per assecondare le finalità del presente lavoro, non solo le sue interpretazioni straussiane, ma soprattutto – analogamente a quanto osservato per lo stesso Strauss - il recupero delle partiture di Gluck, Mozart e del Fidelio beethoveniano. Anche questo va quindi letto nella mutua attenzione che la generazione toscaniniana riservò alle novità del loro tempo e alla suggestione delle perle del recente passato.

Fig. 10 - Gustav Mahler.

Altro paradigma della tradizione d’oltralpe fu Willem Mengelberg (1871 – 1951), per un cinquantennio direttore principale della Royal Concertgebouw Orchestra: contribuì in modo decisivo al trionfo della musica di G. Mahler in Olanda, ma fu anche celebre per le sue interpretazioni di J. S. Bach, Beethoven, Brahms e Strauss. Occupò il podio della New York Philharmonic Orchestra mentre l’incarico era stato affidato ad Arturo Toscanini, con il quale non mancarono screzi ed incomprensioni. Venne allontanato dal podio dopo la Seconda

Bompiani, 1983; G. Fournier-Facio, Gustav Mahler. Il mio tempo verrà, Milano, Il Saggiatore S.p.a, , 2010

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Guerra Mondiale, in quanto accusato di collaborazionismo filo- nazista: egli non accettò mai questa triste condanna.

2. Italia, patria del belcanto

In Italia, mentre erano ancora attivi molti degli esponenti della generazione precedente, le principali attenzioni vennero riservate al panorama lirico. A favore del repertorio sinfonico si devono tuttavia ricordare il già citato lavoro di Franco Faccio e l’attività infaticabile di Giuseppe Martucci (1856 – 1909). Ottimo pianista e compositore stimato dallo stesso Toscanini, si adoperò anche come didatta per il rinnovamento della cultura musicale italiana; favorì le esecuzioni in Italia delle opere di Ludwig van Beethoven, di Robert Schumann, di Johannes Brahms, di Liszt, di Wagner, di César Franck, di Vincent d'Indy, di Édouard Lalo e di molti altri musicisti europei, di cui fu lui stesso interprete sul podio.

Fig. 11 - Giuseppe Martucci.

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Antesignano della nuova scuola, Manlio Bavagnoli28 (1853 – 1931) è spesso ricordato per essere stato il padre di Gaetano, più noto con lo pseudonimo“Tanino” (1879 – 1933), di cui si parlerà diffusamente nel prossimo capitolo. Fu anche stimato compositore e didatta: come maestro di canto formò molte delle più affermate voci del primo Novecento: tra i vari si citano , Lina Pagliughi, Lina Bruna Rasa e Toti dal Monte. La sua approfondita conoscenza della vocalità e della strumentazione lo abilitò a farsi scritturare nei più prestigiosi teatri italiani: diresse la prima esecuzione di Asral di A. Franchetti. Altro insigne coetaneo di Toscanini fu Cleofonte Campanini29 (1860 – 1919), che studiò da autodidatta, ma dimostrò fin da giovane pregevoli doti nella conduzione delle masse orchestrali e nell’organizzazione delle sue attività. Diresse le prime di Adriana Lecouvrer (1902) e Madama Butterfly (1904). Edificò un teatro a Parma – il Politeama Reinach -, dove fece allestire a sue spese le principali opere verdiane in occasione del centesimo anniversario della nascita del Cigno di Busseto (1913). Visse gli ultimi anni negli Stati Uniti, dove morì.

Fig. 12 – Cleofonte Campanini Fig. 13 - Rodolfo Ferrari

28 Non è attestata una specifica bibliografia sulla figura, pur rilevante, di Manlio Bavagnoli. Tuttavia si segnala M. Ferrarini, art. su Corriere Emiliano, Parma, 3 gennaio 1931, citato in A. Orlandini, La bacchetta di Puccini. La figura e l’arte di , Cento (Fe), Maurizio Magri Editore, 2006, pp. 495 - 496 29 Per una biografia completa si può consultare: Gaspare Nello Vetro, Cleofonte Campanini: l'altro direttore, Parma, Il cavaliere azzurro, 2001.

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Artista dalle mille risorse fu Rodolfo Ferrari (1865 – 1919). Figlio d’arte, come direttore d’orchestra si impose a New York, dove tra il 1901 e il 1908 si esibivano i più celebri cantanti dell’epoca (in particolare ). In Italia concertò le prime assolute de L’amico Fritz (1891), Andrea Chenier (1896), Le maschere (1901) e molte prime italiane di opere straniere, quali Werther, Manon, Thäis Sanson et Dalila e Parsifal. Diresse circa 5000 spettacoli in 30 anni di attività: svolse quindi un lavoro frenetico nei più affermati teatri del suo tempo. Purtroppo della sua osannata carriera ora resta poco più che qualche vaga citazione30 e manca di certo un lavoro organico che renda ragione del suo riconosciuto talento e dello zelo che riservò alle sue produzioni. Altre bacchette celebri di questa generazione furono Franco Leoni (1864 – 1949) e Pietro Mascagni (1863 – 1945). Il primo fu allievo di Ponchielli e si distinse anche come compositore di opere, che vennero rappresentate in vari teatri europei; operò a lungo a Londra, dove morì. L’autore di Cavalleria rusticana fu anche direttore di compagnie d’operetta e di bande musicali in Italia meridionale. Diresse spesso le proprie opere ed anche i melodrammi dei suoi contemporanei31 presso le più importanti istituzioni musicali32 del suo tempo.

30 Un contributo biografico sintetico si può reperire nell’articolo: L. Verdi, Rodolfo Ferrari direttore d'orchestra, in "Nuova Rivista Musicale Italiana", XLV, XV nuova serie, 1, gennaio-marzo 2011, pp.83-134 31 Lo scrivente nel suo lavoro di ricerca per la pubblicazione del proprio volume Vita musicale sandonatese nel secolo XX, San Donà di Piave, Passart, 2002, ha rinvenuto una dedica autografa di Pietro Mascagni al baritono meolese Ottavio Marini, nella quale il maestro si compiaceva per l’ottima interpretazione del ruolo di Tonio in Pagliacci in occasione di una recita che si tenne sotto la sua personale direzione presso il Castello Sforzesco di Milano nel 1940. 32 Su Mascagni direttore d’orchestra mancano lavori che ne definiscano la reale portata tecnica ed i contenuti espressivi raggiunti.

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3. Conclusioni per la prima generazione

Dovendo stilare una sintesi dei tratti innovativi di questa generazione rispetto alla precedente, si potrà ribadire il desiderio crescente di giungere alle interpretazioni contemporanee dopo aver studiato e riletto criticamente gli illustri esempi del passato. Si potrà aggiungere anche la crescente attenzione nella predisposizione di un apparato organizzativo sempre più complesso attorno alla figura del direttore d’orchestra: egli comincia a diventare il perno attorno al quale ruota l’intera macchina burocratica e logistica del teatro e non più il semplice surrogato del clavicembalista o del violino di spalla, come avveniva fino ad un cinquantennio prima.

Fig. 14 - Arturo Toscanini nella sua casa a Milano

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Capitolo terzo

La seconda generazione

All’esordio del precedente capitolo si è sottolineato come il debutto precocissimo del maestro sul podio dei grandi teatri induca ad assegnare i direttori d’orchestra nati nell’ultimo quarto dell’Ottocento a una nuova generazione. E’ evidente che in molti casi le carriere hanno registrato convergenze, concomitanze, ma anche alterità rispetto ai predecessori ed allo stesso Toscanini. Ciò che si intende dimostrare di seguito consiste nel fatto che quest’ultimo sia stato in fondo il vero collante, capace di assemblare le differenti istanze incarnate dai colleghi di poco più giovani. Si noterà che i loro paradigmi professionali sono stati declinati in genere sulla scia nuova proposta al crepuscolo dell’Ottocento da colui che si potrà considerare - forse un po’ arditamente, ma a ragion veduta - un homo novus.

1. Longevità d’Oltralpe

Questa generazione fu curiosamente accomunata Oltralpe da una generale longevità, che fece il paio con quella di Toscanini. Di certo l’altisonanza dei nomi che di seguito sono citati ed il carattere autoritario di molte delle loro personalità, potrebbe indurre a ritenere complessa l’identificazione di una comune matrice estetica.

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In verità il carattere cosmopolita delle loro carriere costituisce un aspetto piuttosto innovativo, rispetto alle dimensioni europee di molti dei percorsi dei loro predecessori. L’area germanica, peraltro, ha costretto personalità pubbliche a dichiarare esplicitamente la loro posizione rispetto al regime nazista: ciò si è tradotto per gli oppositori in esili forzati tra gli anni Trenta e la fine del conflitto mondiale e per i sostenitori in restrizioni e condanne durante l’immediato dopoguerra. I trionfi d’oltreoceano sono stati la conseguenza più naturale sia del drammatico quadro politico europeo sia dell’ascesa economica e della sete di cultura degli Stati Uniti. In questa prospettiva l’aderenza con la biografia di Toscanini sembra quanto mai evidente. Si può aggiungere per la maggior parte dei direttori di questa epoca la ricerca a partire dalla fine degli anni Venti delle incisioni discografiche, quale strumento di divulgazione e soprattutto di marketing industriale. Questa sarà la prerogativa assoluta della generazione successiva, la terza dell’era toscaniniana. Pur non potendo in questa sede fornire quadri biografici esaustivi, si ritiene opportuno inserire un quadro sintetico e cronologico delle principali figure coinvolte. Il primo esponente della “seconda generazione toscaniniana” è Bruno Walter (1876 – 1962), che nacque solo nove anni più tardi rispetto al collega parmigiano. Formatosi come talentuoso pianista, ancor fanciullo rimase colpito dall’imponenza della musica che ascoltò in occasione dei concerti diretti a Bayreuth da Hans von Bülow nel 1889 e nel 1891. Fu assistente di Mahler ad Amburgo e dal 1901 a Vienna, dove intraprese la direzione del grande repertorio dell’Ottocento tedesco, francese e italiano e di alcune pagine a lui contemporanee. Nel 1913 lasciò Vienna per diventare direttore musicale dell'opera di Monaco di Baviera, dove rimase fino alla fine del 1922. Nel 1923 viaggiò negli Stati Uniti per dirigere l'Orchestra Sinfonica di New York e raggiunse il prestigioso podio dell'Orchestra

30 del Concertgebouw di Amsterdam. A Londra, Walter fu direttore principale al Covent Garden dal 1924 al 1931. Dal 1929 al 1933 fu direttore stabile dell'Orchestra del Gewandhaus di Lipsia. Provenendo da una famiglia ebrea, visse il grave disagio delle leggi razziali a partire dal 1933 e fu costretto a lasciare la Germania, per soggiornare in Austria, a Vienna e Salisburgo. Qui si distinse negli anni Trenta soprattutto per le rivoluzionarie interpretazioni mozartiane. Contemporaneamente accettò le richieste incessanti del pubblico statunitense, che gli consentirono di rimanere lontano dalle minacce europee: diresse con successo più di cento produzioni presso il Metropolitan di New York. Ebbe vita lunga e diresse anche da ottantenne con autorità, suscitando la stima e l’ammirazione di molti giovani colleghi33.

Fig. 15 - Bruno Walter

33 Carlo Maria Giulini (1914 – 2005) testimoniò in una celebre intervista televisiva del 1995 la grande ammirazione per Bruno Walter, che ebbe modo di apprezzare a Roma da giovane violista dell’orchestra.

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Thomas Beecham34 (1879 – 1961) si occupò della diffusione dell’opera lirica e del balletto in Inghilterra. Fondò la Philharmonic Orchestra e la Royal Philharmonic Orchestra Otto Klemperer (1885 – 1973) legò il proprio successo all’interpretazione del repertorio classico e romantico tedesco e alle sinfonie di Mahler, di cui fu amico, estimatore ed assistente nell’ultimo anno di vita. Altri incarichi importanti furono quelli ad Amburgo (1910 – 1912), all'Opera di Strasburgo (1914 – 1917), all'Opera di Colonia (1917 – 1924) e poi a Berlino, dove si confrontò con le composizioni a lui contemporanee. Nel 1933 a causa delle leggi razziali di Hitler si trasferì negli Stati Uniti, dove, fino al 1939, fu direttore stabile della Los Angeles Philharmonic Orchestra. Dopo la Seconda Guerra Mondiale tornò in Europa, dove diresse all'Opera di Budapest dal 1945 al 1950 e dal 1954 la Philharmonia Orchestra, dalla quale fu chiamato per sostituire H. von Karajan: nel 1959 ne venne nominato direttore a vita. Si occupò dell’incisione discografica del repertorio a lui più caro. Nonostante una paralisi lo costringesse a dirigere da seduto, si ritirò dalle scene ottantaseienne nel 1971.

Fig. 16 - Otto Klemperer

34 T. Beecham è stato inserito per convenienza di trattazione tra i direttori tedeschi, pur essendo inglese ed avendo operato prevalentemente in Gran Bretagna.

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Wilhelm Furtwängler (1886 – 1954) si distinse come profondo interprete del repertorio romantico tedesco. Fu direttore principale a Lipsia, Bayreuth, Vienna e Berlino. Fu accusato di collaborazionismo con il regime hitleriano e per questo di rifugiò in Svizzera. Fu ospite spesso anche in Italia. Compose molta musica e lasciò parecchi testi critici, poi pubblicati

Fig. 17 - Wilhelm Furtwängler.

Erich Kleiber (1890 – 1956), austriaco di nascita, debuttò giovanissimo a Praga e, dopo aver diretto la prima Wozzeck di Alban Berg nel 1925, lasciò l’incarico di direttore principale a Berlino a causa del dissenso con il regime nazista. Si trasferì in Argentina, dove stabilmente operò presso il Teatro Colon di Buenos Aires e dopo qualche tempo prese la cittadinanza. Ritornò in Europa negli anni Cinquanta ed in particolare fu acclamato a Londra; nuovamente rifiutò la proposta berlinese nel 1954, questa volta per dissenso nei confronti del comunismo. Fu stimato interprete del grande repertorio sinfonico e lirico dell’Ottocento. Il figlio Carlos (1930 – 2004), nonostante le avversioni paterne, intraprese la carriera direttoriale con straordinario successo.

33

Dimitri Mitropoulos35 (1896 – 1960), allievo a Berlino di Ferruccio Busoni, dove tra il 1921 e il 1925 fu assistente di Erich Kleiber. Nel 1930, durante un concerto con la Berlin Philharmonic Orchestra, fu tra i primi a condurre l'orchestra e a suonare il pianoforte contemporaneamente. Dopo il suo debutto alla Fenice, nel 1936 si trasferì negli Stati Uniti per dirigere la Boston Symphony Orchestra e dal 1937 al 1949 l'Orchestra Sinfonica di Minneapolis in molte prime assolute di Bloch, Hindemith e Copland. Dal 1949 al 1958 fu alla testa della New York Philharmonic Orchestra ed al Metropolitan fu protagonista di più di 200 spettacoli con i più affermati cantanti del suo tempo. Negli anni Cinquanta tornò spesso in Europa, soprattutto a Milano, Vienna, Venezia, Firenze, Berlino, dove interpretò il repertorio melodrammatico da Mozart a Berg con una delle generazioni più fortunate di voci (solo per citarne alcune: Gobbi, Simionato, Panerai, Corena, Siepi, Del Monaco, Tebaldi, Bastianini, Cerquetti, Christoff, Tucker, Warren).

Fig. 18 – (da sinistra) Bruno Walter, Arturo Toscanini, Erich Kleiber, Otto Klemperer e Wilhelm Furtwängler

35 Greco di nascita, Mitropoulos si formò musicalmente in Germania.

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2. Il Bel Paese si pasce ancora di melodramma

Gli slanci verso il sinfonismo mitteleuropeo che avevano animato le carriere di Faccio, Busoni e Martucci, si placarono almeno in Italia a principio del nuovo secolo. Le ragioni sono presto dette: all’eco verdiana s’erano aggiunti i trionfi veristi, le azioni drammaturgiche tanto care al liberty, la canzone napoletana, la stessa romanza da salotto, lo straripante “fenomeno Puccini” e le straordinarie voci (Caruso in testa), che sapevano infiammare le platee e i loggioni. In questa fase i riflettori vennero puntati non già sui concertatori, quanto piuttosto sui cantanti. In ragione di questo si misurò la distanza siderale tra la fama di Toscanini (e dei colleghi d’oltralpe) e quella dei pur valenti connazionali. Tra l’altro in alcuni casi le loro qualità vennero osannate dagli interpreti e, oltre che dal pubblico, dagli stessi compositori. Tullio Serafin (1878 – 1968) seguì ad un decennio di distanza la carriera di Toscanini, di cui peraltro fu assistente a Milano. Morì anch’egli novantenne, dopo aver attraversato per un settantennio le vicende più gloriose del melodramma italiano. Dopo il debutto ferrarese nel 1898, diresse al Covent Garden di Londra, per divenire dal 1909 al 1914 e dal 1917 al 1919 direttore principale del Teatro alla Scala. Al Metropolitan di New York dal 1924 al 1934 concertò le prime rappresentazioni americane di molte opere italiane. Rientrato in Italia nel 1934 venne nominato direttore del Teatro Reale di Roma fino al 1943, allestendo diverse prime rappresentazioni di autori contemporanei. Successivamente Serafin si vide assegnare la medesima carica al Maggio Musicale Fiorentino, prima di tornare sul podio della Scala nell’immediato dopoguerra. Fu prodigioso nella scoperta di voci promettenti; moltissimi acclamati interpreti sono stati istruiti ed avviati alla carriera da lui: tra i vari si citano Maria Callas, Renata Tebaldi, Fedora Barbieri, Leyla Gencer, Giuseppe Di Stefano,

35

Beniamino Gigli, Mario Del Monaco, Tito Gobbi, Giulietta Simionato e Luciano Pavarotti. Fu assai prolifico anche in campo discografico: lasciò pregevoli incisioni dei più noti titoli del repertorio lirico.

Fig. 19 - Tullio Serafin con Maria Callas

Gaetano Bavagnoli36 (1879 – 1933), figlio d’arte di Manlio, era noto con lo pseudonimo di “Tanino”. Fu profondamente stimato dal pubblico, dalla critica, dagli artisti ed anche dallo stesso Puccini37, il quale non ebbe remore a confessare più volte la predilezione38 per le sue concertazioni. La sua carriera si dipanò inizialmente nel teatri italiani; tra il 1912 ed il 1916 fu spesso presente negli Stati Uniti ed in Sud America, per rientrare più stabilmente in Italia fino alla prematura scomparsa. Non fu un fenomeno mediatico come altri colleghi, ma certamente era dotato di talento non comune.

36 Fondamentale testo di riferimento per la figura di “Tanino”, ma anche per l’intera epoca toscaniniana è il citato A. Orlandini, La bacchetta di Puccini. La figura e l’arte di Gaetano Bavagnoli, Cento (Fe), Maurizio Magri Editore, 2006, 37 Così ebbe a dire Puccini ad un giornalista: “Bavagnoli è uno degli interpreti che meglio mi hanno capito e quasi nessuno sa come lui rendere il mio pensiero musicale” in A. Orlandini, cit, Prefazione 38 Ibidem: “Con qualunque mia opera con Lei io sono in mani mansuete e pure. Lo sa che io sono così contento e tranquillo quando mi dirige?”

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Gino Marinuzzi 39(1882 – 1945) è ricordato come insigne interprete wagneriano e straussiano, ma anche di Beethoven, Berlioz, Brahms; colto e raffinato, godette della stima di Strauss. Intraprese la carriera direttoriale nel 1901 con Rigoletto, sostituendo giovanissimo un collega indisposto; da allora seguirono oltre quarant’anni di successi, terminati con un acclamato Don Giovanni nel 1945, l’anno della sua morte.

Fig. 20 - .

Piero Fabbroni (1882 – 1942), veronese, fu allievo a Venezia di E. Wolf-Ferrari, di cui interpretò magistralmente tutte le opere già a partire dal 1913. Risalgono a quel periodo gli incontri con Beniamino Gigli e con il soprano , con i quali successivamente lavorò di frequente. Nella città natale fu spesso richiesto tanto al Teatro Filarmonico quanto in Arena per Aida e Mefistofele; fu accolto con ovazioni al Regio di Parma, al Comunale di Bologna - soprattutto quando diresse i capolavori di Wolf-Ferrari - e al Petruzzelli di Bari per i titoli pucciniani. La fama di cui Fabbroni godeva, non solo per le qualità artistiche ma anche per le sue indiscusse capacità organizzative, raggiunse le principali sedi concertistiche italiane. Nell'autunno del 1931 egli fu invitato ad entrare nella segreteria artistica della Scala e vi rimase per un

39 Molti riferimenti sono consultabili nel sito www.ginomarinuzzi.it

37 quinquennio, durante il quale continuò la sua attività direttoriale, sostituendo nel 1933 in una scaligera. Giuseppe Mulè (1885 – 1951), certamente più celebre come compositore, fu cultore del linguaggio verista. Assunse ruoli di prestigio durante il periodo fascista (deputato del Parlamento nel 1928), che gli valsero incarichi didattici rassicuranti, quali la direzione del Conservatorio di Palermo prima e di Roma poi. Victor De Sabata (1892 – 1967), dopo gli studi milanesi ed il debutto, dal 1929 al 1957 occupò la carica di direttore dell'Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, del quale fu in seguito nominato direttore artistico. Nel 1930 diresse la prima rappresentazione al Covent Garden di Londra di Andrea Chénier e nel 1932 la prima a Milano di Fedora. Venne considerato tra i migliori interpreti di tutti i tempi e spesso venne affiancato per le qualità allo stesso Toscanini. Ebbe modo di dirigere le voci più celebrate della storia e si cimentò in diverse composizioni, realizzate nello stile tardo-romantico. Predilesse la direzione di musiche di Richard Wagner (in particolare Tristano e Isotta) e di Giuseppe Verdi. Monumentali i documenti discografici che sono pervenuti.

Fig. 21 - Victor De Sabata

38

Antonino Votto (1896 – 1985) fu assistente di Toscanini alla Scala e, dotato come il maestro di una prodigiosa memoria, dal 1923 intraprese una brillante carriera, durante la quale salì sul podio dei più celebrati teatri a livello internazionale. Venne stimato e cercato da cantanti quali Maria Callas, Renata Tebaldi e Carlo Bergonzi. Venne nominato titolare della cattedra di direzione d’orchestra del Conservatorio di Milano, dalla cui classe usciranno talenti del calibro di Guido Cantelli, Claudio Abbado e Riccardo Muti.

Fig. 22 - Antonino Votto con Maria Callas, Elena Nicolai e Franco Corelli

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3. Conclusioni per la seconda generazione

Si è potuto cogliere il tratto distintivo di quest’ultima categoria rispetto alla precedente nella marcata differenziazione dei repertori che hanno caratterizzato le carriere dei direttori d’Oltralpe e degli italiani, rispettivamente legati al sinfonismo mitteleuropeo gli uni ed al melodramma gli altri. Si è poi notato il ruolo socio-politico svolto dal direttore d’orchestra in fasi così delicate, quali quelle della crisi ideologica del primo Novecento; anche grazie al potere mediatico della radio, del cinema in alcuni casi e della discografia, le loro biografie sono state spesso veicolate dalle posizioni assunte nei confronti dei poteri costituiti. In parte come conseguenza di tale status politico ed in altra misura in nome dell’ascesa economica degli Stati Uniti, le frontiere culturali si sono aperte e i direttori d’orchestra sono divenuti sempre più espressioni “globalizzate” delle nazioni in cui si sono formati. Visto dal baricentro dell’epopea toscaniniana, appare evidente, come ci si era proposti di dimostrare all’inizio del presente capitolo, che il maestro può costituire secondo questa prospettiva un autentico collante: egli si cimentò parimenti nel sinfonismo tardoromantico, nel recupero del classicismo mozartiano e beethoveniano, nell’approfondimento del linguaggio verdiano, nella diffusione del nascente lessico pucciniano, nelle sfide proposte dalla modernità; si avventurò nel nuovo universo della discografia e seppe mantenere l’austerità e il dominio, anche dinanzi alle prevaricanti glorie dei cantanti.

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Capitolo quarto

La terza generazione

Se le prime due generazioni, descritte nei precedenti capitoli, hanno condiviso il loro spazio biografico con la vicenda esistenziale di Toscanini, la terza dinastia era inesorabilmente destinata ad oltrepassarne i confini temporali e quindi a proporre nuovi percorsi estetici e di ricerca. E’ pur vero che lo stuolo di artisti nati nelle prime due decadi del Novecento hanno comunque compiuto i loro studi ed hanno intrapreso parte delle carriere quando era ancora imperante l’aura toscaniniana. Ma è altrettanto inconfutabile il fatto che la consapevolezza di doversi smarcare da una forma mentis diffusa e consolidata, abbia generato in molti la ricerca di percorsi innovativi. Più che proporre delle poco proficue biografie, in questo caso si intende semplicemente sintetizzare quali elementi dell’epoca di Toscanini siano rimasti nelle loro pratiche e quali invece abbiano prodotto una nuova fase storica. Se ben si ripone memoria, si era premesso all’inizio dell’elaborato che la definizione di un’epoca nel suo incipit e nel suo declino si giustifica solo se sussiste un processo di trasformazione. Quindi, se il secondo capitolo aveva descritto l’evoluzione della scuola del primo Ottocento verso la nuova aura respirata durante l’ultimo decennio del secolo, ora si dovranno identificare all’alba del Novecento le prassi del passato che assopiscono ed le nuove che si destano.

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1. Una nuova didattica

L’approdo alla carriera direttoriale s’era visto che molto spesso a fine Ottocento era legato in modo indissolubile all’esperienza compositiva. In sostanza si concepiva la pratica della concertazione quale strumento propedeutico e talora empirico per diffondere i contenuti musicali delle personali ricerche. Durante l’epoca toscaniniana si è assistito ad una progressiva specializzazione delle mansioni ed una differenziazione delle stesse professionalità. Tanto che la nuova generazione - la terza secondo questa prospettiva - invertì propriamente il percorso e finì con il considerare la composizione propedeutica alla direzione di complessi orchestrali. Possiamo quindi sostenere che quest’ultima si sia con il tempo attribuita canoni più scientifici e meno empirici. Ciò sottintende la costituzione, pur lenta e controversa, di una didattica, di metodologie, di percorsi e quindi di scuole ed accademie.

2. La dittatura del direttore

La parabola di Toscanini ha proiettato il direttore d’orchestra in una prospettiva quasi olistica: da maestro al cembalo e violino di spalla era divenuto l’artefice primo dello spettacolo, che doveva saper condurre sia dal punto di vista artistico sia attraverso i meandri dell’organizzazione e della logistica. Si è sottolineato già come, tuttavia, l’ascesa del divismo canoro abbia obnubilato i bagliori di molte delle bacchette della seconda generazione. A fare da contraltare allo strapotere del concertatore si è posta nel pieno Novecento la figura del regista, riportando con il tempo in equilibrio la dialettica tra le istanze musicali e quelle drammaturgiche. E ciò soprattutto nel repertorio melodrammatico,

42 che, grazie anche al cinema e poi alla televisione, esercitò nei cartelloni dei teatri la parte del leone.

3. La filologia

L’applicazione delle istanze scientifiche della filologia alla musica è un processo piuttosto recente. In ogni caso l’esigenza di cercare un’interpretazione quanto più vicina possibile al pensiero del compositore, risultava una problematica quasi assurda per gran parte dell’Ottocento. Infatti si è dimostrato come i repertori non fossero quasi mai scelti nella tradizione lontana; la musica proposta era di nuova commissione o comunque il suo processo creativo non si allontanava mai più di qualche decennio dalla data di esecuzione. Nell’era toscaniniana si è iniziato a recuperare parte del patrimonio del classicismo viennese: la grande novità del pieno Novecento fu proprio di scavare negli archivi e riesumare molti spartiti consunti e talora mai eseguiti. In quest’ottica il contributo della filologia era ed è volto a filtrare criticamente i materiali: questa è divenuta una fase imprescindibile, cui spesso l’apporto del direttore può fornire chiavi di lettura alternative. Si sono però definite scuole di pensiero molto diversificate negli orientamenti estetici, che hanno prodotto la costituzione di stili interpretativi e relativi dibattiti musicologici. Lo sguardo frequentemente rivolto al passato ha anche determinato l’intiepidirsi del fervore nei confronti della musica contemporanea e soprattutto il diradarsi della sua esecuzione.

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4. L’organologia

Il progresso tecnologico che ha attraversato a ritmo funambolico l’intero Novecento, ha determinato un generale perfezionamento degli strumenti musicali sia dal punto di vista meccanico, che anche per quanto concerne l’intonazione generale. Parallelamente ha moltiplicato, grazie anche all’ingresso dell’elettronica nelle compagini orchestrali, le possibilità timbriche dell’orchestra. Si è quindi resa necessaria una specifica formazione organologica per il direttore d’orchestra della terza generazione toscaniniana.

Fig. 23 - Arturo Toscanini.

44

Conclusioni

Scopo del presente lavoro è di dare legittimità ad una periodizzazione, nella quale l’ascesa, l’apogeo ed il declino di Arturo Toscanini si possa configurare come un’epoca significativa nella storia della direzione d’orchestra. Ovvero si è voluto dimostrare che il maestro ha raccolto effettivamente alcuni elementi della tradizione ottocentesca, declinandoli però in maniera tanto originale da generare un’immagine nuova e rivoluzionaria della stessa figura del direttore. Per giustificare la conclusione dell’epoca toscaniniana con l’abbandono delle scene da parte del protagonista stesso, si sono dovute enumerare le nuove istanze che hanno trasformato da quel momento in poi il ritratto tipico dello stesso concertatore. Volendo sintetizzare ulteriormente i risultati dell’indagine ex ante, si può sostenere come Toscanini : . abbia infittito le responsabilità, i doveri ed i poteri del direttore rispetto alla tradizione ottocentesca; . abbia aperto il ventaglio dei repertori al passato, eleggendo le suggestioni tanto sinfoniche quanto liriche; . abbia compreso e vissuto la dimensione sociale e politica della nuova personalità, a dispetto dell’anonimato incarnato dai colleghi più anziani; . abbia valorizzato le risorse offerte dalla nascente industria discografica; . abbia sperimentato il cosmopolitismo culturale e le opportunità che esso poteva veicolare. Rovesciando la prospettiva e quindi analizzando ex post l’epilogo della parabola, si è dimostrato come dopo Toscanini il direttore d’orchestra:

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. abbia ricevuto nell’approccio alla disciplina un orientamento metodologico e scientifico più oggettivo rispetto ai predecessori; . abbia spalmato le proprie responsabilità ed il proprio potere in teatro secondo nuovi criteri e nuove dialettiche; . abbia considerato la composizione quale strumento propedeutico alla direzione musicale; . abbia adeguato la propria formazione accademica alle nuove esigenze della concertazione; . abbia ampliato il proprio repertorio, considerando soprattutto il recupero di molto materiale più o meno inedito o desueto; . abbia elaborato un proprio percorso estetico e stilistico sulla base di nuovi input filologici.

Arturo Toscanini segnò quindi un’epoca: fu un homo novus, fardello per i demoni persecutori, nube per i profeti indifferenti e luce per angeli adulatori.

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