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SCHEDA SUL FILM DI MARIO BONNARD, LA CITTÀ DOLENTE (1949), A CURA DI MAURIZIO GUSSO (4 febbraio 2016)

1. Dati ed elementi principali del cast del film Drammatico; 1949; Italia; bianco e nero; 80’ o 110’. Regia Mario Bonnard; collaborazione alla regia per la parte documentaristica Enrico Moretti; soggetto Mario Bonnard, “da una storia vera”; sceneggiatura Anton Giulio Majano, Aldo De Benedetti, Federico Fellini e Mario Bonnard; commento musicale di Giulio Bonnard; ispettore di produzione Francesco Palaggi; segretario di produzione Aristodemo Petri; assistenti alla regia Alberto Cardone ed Ermete Tamberlani; montaggio Giulia Fontana; tecnici del suono Tullo Parmegiani ed Enrico Palmieri; costumi e scene Mario Rappini; operatore alla macchina Riccardo Pallottini; fotografia Tonino Delli Colli; direttore di produzione Franco Magli; organizzazione generale Francesco Alessandri; produzione Istria - Scalera Film. Interpreti (indicati in questo ordine nei titoli di testa): Luigi Tosi (Berto [Rossi]); Barbara Costanova (Silvana); Gianni Rizzo (Sergio); Elio Steiner (Martini); Gustavo Serena (il frate francescano); Raimondo Van Riel (Don Felice); Fedora Ratti; Attilio Dottesio (il fuggiasco); Milly Vitale (Maria); Aristide [Aristodemo] Garbini (Cesare); Ivo Karavany (la spia slava); con la partecipazione di Constance Dowling (Lubitza), doppiata da Tina Lattanzi (non accreditata). Altri interpreti non citati nei titoli di testa: Felice Minotti (padre di Maria); Pina Piovani (una esule); Anita Farra; Alessandro Tedeschi (ufficiale jugoslavo), non accreditato. Visto di censura n. 5216 del 16 febbraio 1949; film classificato come “adulti con riserva”. Data di distribuzione in Italia: 4 marzo 1949. Distribuito negli USA nel 1951 con il titolo City of Pain . Incasso: £. 41.250.000. Reperibilità: in una prima fase il film fu distribuito dalla Scalera Film (chiusa nel 1953). Uscì poi nel circuito parrocchiale tramite la San Paolo Film. Quando, nel 1985, la San Paolo Film si trasformò in San Paolo Audiovisivi, il film fu acquistato dall’Istituto Luce. Un positivo 35 mm è stato restaurato dall’Istituto Luce, in collaborazione con la Cineteca Nazionale e la Cineteca del Friuli di Gemona, e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia del 2009. Non esistono VHS e DVD (se non quello richiedibile alla Cineteca del Friuli).

2. Trama Il trattato di pace di Parigi (firmato il 10 febbraio 1947) prevede che Pola (dal 6 giugno 1945 una enclave della Zona A, rifornita per mare e amministrata dal Governo militare alleato / GMA, nella Zona B, amministrata dal Governo militare dell'Armata jugoslava / VUJA) passi sotto l’amministrazione jugoslava, alla ratifica del trattato (15 settembre 1947). Per l’esodo in Italia opta la stragrande maggioranza della popolazione, fra cui anche il proprietario di un’officina, Cesare, mentre il ragioniere Sergio insiste con l’operaio Berto perché rimanga, nella speranza che gli slavi lascino gestire l’officina a chi vi lavora. Temendo per la salute del bambino ammalato (Pucci), la moglie di Berto, Silvana, vorrebbe partire, ma non riesce a convincere il marito. Durante il coprifuoco, scattato in seguito all’uccisione del governatore inglese di Pola da parte di una maestra italiana, Silvana sale sul piroscafo “Toscana” per partire per l’Italia, ma viene convinta dal sacerdote Don Felice a fare un ultimo tentativo di persuadere con la dolcezza Berto. Quando gli jugoslavi portano via i macchinari dell’officina, Berto capisce di avere sbagliato a cercar di collaborare con loro, tanto più che non riesce a trovare neanche il latte per Pucci. Lubitza, una slava pluridecorata, giunta da lontano a lavorare al Comando, occupa l’appartamento disabitato a fianco di quello di Berto e Silvana, di cui requisisce metà del letto matrimoniale, ma, avendo perso un figlio, dà un barattolo di latte in polvere americano a Berto e cerca di persuaderlo a collaborare con i servizi di propaganda jugoslava; inoltre sloggia dall’ufficio del Comando Sergio, retrocesso ad usciere. Silvana, la cui domanda di opzione è stata accolta, parte col figlio per Trieste. In onore del comandante jugoslavo Vidarich viene organizzata una serata popolare, in cui gli slavi bevono, brindano, cantano e danzano sfrenatamente intorno a un falò un genere tradizionale ( kolo ), sbeffeggiando la caduta di Sergio ubriaco. Lubitza raggiunge a letto Berto, che passa la notte con lei. Al risveglio, Berto le confessa il suo rimorso per essersi illuso sulle intenzioni degli jugoslavi, che non sopporta più. A malincuore Lubitza lo denuncia, lo destina a un campo di rieducazione dell’interno, ma gli lascia portar via una foto di Pucci e chiede a Sergio di seguirlo per stargli vicino. In un campo di concentramento istriano Berto e gli altri prigionieri (fra cui un frate francescano e una spia slava), sorvegliati da Sergio, lavorano come spaccapietre in una cava. A Trieste, Don Felice procura a Silvana una culla a forma di barchetta per Pucci. Sergio, approfittando di un turno di guardia e di un treno che passa, organizza la fuga di Berto dal campo attraverso un varco nel filo spinato; scoperto dalla spia slava, viene fucilato, dopo aver recitato l’Ave Maria con il francescano. Berto sfugge a stento ai cani lupo che lo inseguono; arriva a un casolare, dove trova un fuggiasco, che viene ucciso da militari jugoslavi. Riesce a raggiungere la costa e una barca, inizia a remare verso l’Italia, ma, dopo un grido di allarme e l’immagine della culla a forma di barchetta di Pucci, accompagnata da un accenno di ninna nanna, cantata da Silvana, si rivede la barca vuota in mezzo al mare.

3. Inizio/ incipit Ai titoli di testa si alternano immagini di un mare increspato di onde, con una barchetta isolata, di acque in movimento e, dopo una dissolvenza, di colline costiere, accompagnate da un canto corale molto austero. I titoli di testa iniziano con le scritte: “Una produzione ISTRIA – SCALERA film”, “’LA CITTÀ DOLENTE’” e “da una storia vera un film”. Alla fine dei titoli di testa compare la scritta “Alla madre che sempre conosce ed accetta lo spirito di sacrificio” e inizia un accompagnamento musicale più idillico. Segue un’ampia panoramica della città, del porto, dei cantieri navali e del golfo di Pola, mentre una voce maschile fuori campo (f.c.) dice: “Questa è Pola, adagiata su sette colli, a somiglianza di Roma. L’Anfiteatro, uno dei più grandiosi della latinità, costruito durante l’impero di Augusto, tutto in pietra d’Istria chiara e purissima”, mentre si vedono una statua imperiale e l’Anfiteatro. La voce f.c. prosegue: “Tutto è tipicamente italiano, tutto rileva il connubio dell’intelligenza e del gusto latino con la soave bellezza della natura. Alle voci della latinità si uniscono i segni di Venezia”, mentre si vedono dettagli di archi romani e una scultura veneziana con il leone di San Marco con il Vangelo aperto. La voce f.c. continua: “Mi sembra che tutto ciò sia familiare, consueto, quasi fosse la mia città, il luogo dove sono nato. Ecco il Parco della Rimembranza, dove ogni albero ricorda un polese che portò all’Italia i confini dai quali oggi è ricacciata. Ricordate i morti”; mentre si vede la scritta “Ricordate i morti”. La voce f.c. prosegue: “Alle 11 del 10 febbraio 1947 a Parigi la fine di Pola era suggellata. La Stazione è senza vita: neppure un’anima”, mentre si vedono un manifesto sul plebiscito, con la scritta “È l’Istria che deve decidere della sua vita! Non Parigi!”, e la Stazione ferroviaria con la scritta “Pola” e i binari deserti. La voce f.c. conclude: “La tragedia è nell’aria. Lo sgombero è già cominciato. È un’intera città che muore”; mentre si vedono operazioni di carico su una nave e di sgombero. La sequenza successiva raccorda la parte documentaristica con quella narrativa/inventata. Un uomo esce di casa con una cartella sotto il braccio. Un altro uomo gli si avvicina e gli dice: “Scusi, appena sbarcato, mi sono messo in giro per la città. Ho preso qualche appunto. Sono un giornalista”. Il primo signore commenta: “Ah, ce n’è da scrivere, eh?”. Il giornalista continua: “Vorrei restare qualche giorno ancora, ma è difficile trovare da dormire. L’unico albergo è stato preso d’assalto dai miei colleghi. Sono venuti da tutte le parti del mondo”. E il primo: “Già. E non è male che si sappia. Non c’è bisogno di inventare: basta dire la verità. Del resto voi giornalisti siete come i medici: cercate il caso grave. Bene. Si scelga l’appartamento che vuole. Ah, certo non c’è più nessuno. Non c’è da stare allegri. Abbiamo portato via tutto, anche i chiodi: per incassare la roba era indispensabile. Al terzo piano abitava uno scapolo. Bel tipo! È stato uno dei primi a partire e ha lasciato il letto. Avrà pensato: un uomo come me trova sempre da dormire. Infatti. Lei è scapolo?”. “Ancora sì”. “C’è sempre tempo”. “Non ho nessuna urgenza”. “Io invece a 20 anni avevo già un bambino e adesso sono quattro. Per questo avevo fabbricato questa casa. Bell’affare, eh!. Ed ora mi aspettano con la mia vecchia al porto per imbarcarci sul ‘Toscana’ e per andare – mah! - chissà dove, in ogni modo, in Italia. Tenga, questa è sua. Solo che, quando ripartirà, mi faccia un piacere: chiuda bene e poi butti la chiave in mare, come se la consegnasse a me. Ci rivedremo, spero”. “Certo”. Il polese, dopo aver dato la chiave, se ne va e il giornalista lo segue con lo sguardo.

4. Alcune sequenze-chiave intermedie A) In un’officina di Pola Berto aiuta a inchiodare le ultime casse il suo padrone, Cesare, in procinto di abbandonare Pola con la famiglia per l’Italia. Sergio ha un alterco verbale con Cesare e chiede a Berto di dirgli che loro restano a Pola. La moglie di Cesare domanda quando partirà Berto, che risponde che non sa perché il suo figlioletto è indisposto. Cesare dice che partono anche i moribondi; Sergio lo rimbecca e Cesare va via infuriato. Berto dice a Sergio che poteva fare a meno di prendersela con Cesare, ma Sergio risponde che è contento di essersi sfogato e che pensa che gli jugoslavi lasceranno loro i macchinari. Berto dice: “Non voglio più mettere una divisa addosso. Dopo 5 anni di sacrifici come soldato, voglio pensare a me”. B) La voce f.c. riprende: “Le impressioni s’incidono e rimangono per sempre. Un picchiare di martelli sui chiodi. Un genere raro. Una famiglia ritira una magra razione di 300 grammi”; mentre scorrono immagini di donne anziane, di persone che martellano chiodi nelle casse e di tanti sgomberi fortunosi. La voce f.c. continua: “Questo non è un trasloco, è una trasmigrazione mai veduta nella storia. Nessuno si chiede quale sarà il suo avvenire: pensa che oltre il mare c’è la patria e la libertà”, mentre si vedono immagini di carretti di tutti i tipi. C) Riprende la voce f.c.: “Domani all’alba il ‘Toscana’ partirà per l’ultima volta da Pola. E queste donnette sono già là: le prime. Non vogliono perdere il loro turno. Ma l’esodo il più significativo è la partenza dei morti. I morti parlano, hanno invocato, e i vivi hanno risposto al loro appello”, mentre si vedono esumare i cadaveri dalle fosse del cimitero, per portarli in bare in Italia sul “Toscana”. A casa Berto è seduto a tavola, a fianco di Pucci, sorridente nel seggiolone. Rientra Silvana, che gli ricorda che all’alba il “Toscana” partirà per l’ultimo viaggio. Riferendosi a Pucci, dice: “[…] è per lui che parlo. Pensa alla responsabilità quando sarà grande: andiamocene anche noi”. Berto le rammenta che ormai si è compromesso e non può più tornare indietro e aggiunge: “E staremo benissimo, non credere a quello che dicono”. Silvana gli ribatte: “No, non è possibile che tutti abbiano torto e che solo quelli come te… […] Vi chiamano rinnegati”. Berto si trattiene a stento da darle uno schiaffo. Spaventato, Pucci si mette a piangere. Silvana lo prende in braccio ed esce dalla stanza. D) Il “Toscana” dà il segnale della sua ultima partenza da Pola per l’Italia. Mentre chi parte e chi resta si scambiano gli ultimi saluti, si leva il coro da I lombardi alla prima crociata di Giuseppe Verdi. Il giornalista getta in mare la chiave di casa. Si vedono l’acqua che scorre, accompagnata da una musica solenne, e poi le immagini del “Toscana”, della riva e di stormi di uccelli in volo. Dopo una panoramica su Pola da terra verso il porto, si vedono le strade deserte, mentre si sente un rumore di passi. In officina, a Sergio, che arriva in moto, Berto dice che hanno già incassato tutto e che il giorno dopo i macchinari partiranno per ignota destinazione. Un uomo porta via la moto a Sergio (a cui il commissario l’aveva consegnata per un servizio speciale), dicendo che adesso serve a lui. E) [Una volta partiti per Trieste Silvana e Pucci,] dopo essersi ubriacato durante una festa popolare in onore del comandante jugoslavo Vidarich e aver passato la notte con Lubitza, Berto le confessa il suo rimorso per essersi illuso sulle intenzioni degli jugoslavi, che non sopporta più. A malincuore Lubitza lo denuncia, lo destina a un campo di rieducazione dell’interno, ma gli lascia portar via una foto di Pucci e chiede a Sergio di seguirlo per stargli vicino. F) In un campo di concentramento all’interno dell’Istria, Berto e gli altri prigionieri - fra cui un frate francescano e una spia slava -, sorvegliati da Sergio, lavorano come spaccapietre in una cava.

5. Finale Berto[, scappato dal campo di concentramento con la complicità di Sergio (denunciato dalla spia slava e fucilato, dopo aver recitato l’Ave Maria con il francescano),] riesce a raggiungere la costa adriatica e una barca, inizia a remare verso l’Italia, ma, dopo un grido di allarme e l’immagine della culla a forma di barchetta di Pucci, accompagnata da un accenno di ninna nanna, cantata da Silvana, si rivede la barca vuota in mezzo al mare.

6. Il film come fonte storica Si tratta dell’unico film di fiction coevo (una specie di instant movie ) che ha l’esodo istriano (in particolare da Pola) come tema principale. Nella fiction narrativa del film, non girata a Pola, ma negli stabilimenti della Scalera Film, sono incastonate sequenze tratte dai documentari Addio mia cara Pola (1947) dei fratelli Gianni Alberto e Franco Vitrotti e Pola, una città che muore di Gianni Alberto Vitrotti (Berlino 1922-Trieste 2009) ed Enrico Moretti. A partire dall’occupazione alleata di Trieste nel 1945, Gianni Alberto Vitrotti lavorò come reporter per due agenzie alleate, l’Associated Press Photo e la Nbc, e come corrispondente ed operatore per l’Universal Newsreel di New York. Divenuto titolare dell’Agenzia Trieste Pictorial News, fu accreditato presso il Governo Militare Alleato, per cui attuò servizi fotografici e cinematografici su incarico del Public Information Office, inviati a Washington come documentazione riservata. Lavorò, infine, come produttore autonomo e come corrispondente anche in Istria, dove girò numerosi documentari sulla tragedia postbellica. Nel maggio 1947 l’Allied Information Service proibì la proiezione del documentario Addio mia cara Pola nella Zona Libera di Trieste. Il film contiene un riferimento all’uccisione a Pola (10 febbraio 1947) del comandante della guarnigione britannica di Pola, il generale inglese Robert W. De Winton, ad opera della maestra fiorentina Maria Pasquinelli, fascista e irredentista, e all’ultimo viaggio da Pola del piroscafo “Toscana” (20 marzo 1947).

7. Il regista Mario Bonnard e gli altri tre sceneggiatori del film Mario Bonnard (Roma, 1889-1965), formatosi in teatro, debutta come attore di film nel 1909 (in Otello di Gerolamo Lo Savio), diventando in breve il divo più famoso del cinema muto italiano, un prototipo di Rodolfo Valentino e del personaggio di Gastone, interpretato dall’attore e commediografo , amico di Bonnard. Nel 1915 fonda a Torino la Bonnard Film, che dopo la ‘grande guerra’ viene trasferita a Roma. Nel 1917 esordisce alla regia cinematografica con L’altro io , pur continuando fino al 1924 a lavorare anche come attore. Nel 1925, a causa della crisi, si trasferisce in Germania, dove rimane oltre cinque anni, poi in Francia, per tornare in Italia nel 1932. Nel 1942 dirige (all’esordio nel cinema) in Avanti c’è posto… e nel 1943 Fabrizi e Anna Magnani in Campo de’ Fiori . Aldo De Benedetti (Roma 1892-1970) esordisce nel cinema muto italiano negli anni Venti come sceneggiatore e poi come regista ( Marco Visconti , 1925; Anita o il romanzo d’amore dell’eroe dei due mondi , 1927; La Grazia , 1929). All’avvento del sonoro, si dedica al teatro, in cui si afferma come un brillante autore di commedie umoristico- sentimentali; poi riprende a sceneggiare film di vari generi (dai “telefoni bianchi” al melodramma, dai film musicali alle “commedie all’ungherese”) di Mario Soldati, Mario Camerini ( Gli uomini, che mascalzoni! , 1932), Mario Bonnard ( Milizia territoriale , 1936) e Mario Mattoli. Discriminato come ebreo in seguito alle leggi razziali fasciste del 1938, continua a fornire collaborazioni non dichiarate a film di Mario Mattoli, (Maddalena… zero in condotta , 1940; Teresa Venerdì , 1941), Alessandro Blasetti (Quattro passi fra le nuvole , 1942). Nel dopoguerra sceneggia film di Mario Soldati, Luigi Zampa ( Un americano in vacanza , 1946), Renato Castellani ( Mio figlio professore , 1946) e i “melodrammi neorealisti” di Raffaello Matarazzo (Catene , 1949; Tormento , 1950; I figli di nessuno , 1951; La risaia , 1956 ecc.). Anton Giulio Majano (Chieti 1912 – Marino/RM 1994), ufficiale di cavalleria, inizia a lavorare nel cinema come aiuto regista di nella versione italiana del film italo-tedesco I condottieri (1937). Allo scoppio della seconda guerra mondiale viene inviato in Africa; tornato in Italia, prende parte alla Resistenza, comandando una formazione partigiana; dopo lo sbarco degli Alleati e la liberazione del Sud, da Bari trasmette il programma radiofonico Italia combatte e collabora come giornalista alla “Gazzetta del Mezzogiorno” (1943-1945) e al “Tempo” (1944-1945). Nel dopoguerra dirige numerosi film, in prevalenza melodrammatici (Vento d’Africa , 1949; L’eterna catena , 1952; La domenica della buona gente , 1953), lavora alle prime trasmissioni sperimentali del centro di produzione RA-TVI di Milano e si afferma come regista di teleromanzi a puntate (“sceneggiati”), in particolare adattando per la tv grandi libri, a partire da Piccole donne (1955). Federico Fellini (Rimini 1920 – Roma 1993), abile vignettista umoristico, nel gennaio 1939 si trasferisce a Roma, iniziando una carriera di giornalista al “Popolo d’Italia” e collaborando con parecchi settimanali, fra cui il bisettimanale umoristico “Marc’Aurelio”, per cui inventa rubriche e personaggi vari (fra cui Pallina e Cico). Introdotto in radio e nel mondo del cinema da Mino Maccari e Steno (Stefano Vanzina), collabora (inizialmente non accreditato) a varie sceneggiature di film, fra cui due film di Mario Bonnard, con Aldo Fabrizi come protagonista: Avanti c’è posto…. (1942) e Campo de’ fiori (1943). Scampato al richiamo alle armi per una coincidenza casuale, nell’ottobre 1943 sposa Giulietta Masina (conosciuta alla radio come interprete di Pallina); ovvia alle difficoltà economiche vendendo ritratti umoristici. Su invito di Roberto Rossellini, collabora alla sceneggiatura di Roma città aperta (1945), in particolare per lo sviluppo del personaggio di don Pietro, interpretato da Aldo Fabrizi (con cui F. aveva collaborato come battutista, pittore e segretario nella sua compagnia di riviste), e di Paisà (1946), di cui gira l’episodio fiorentino, sostituendo Rossellini, per cui scrive pure soggetto e sceneggiatura di Il miracolo , secondo episodio de L’amore (1948), in cui è anche attore (unica esperienza) e aiuto regista, come pure per Francesco giullare di Dio (1949). Nel frattempo, con Tullio Pinelli, scrive varie sceneggiature per film di Alberto Lattuada, Pietro Germi, Luigi Comencini e altri registi. Nel 1950, con Lattuada, dirige il film Luci del varietà (1950); nel 1952 dirige Lo sceicco bianco , il primo film di cui è unico regista.

8. Per un’analisi del film - Alessandro Cuk, Il cinema di frontiera: il confine orientale , Alcione, Venezia, 2007, pp. 22-44 ( La città dolente ). - Silvia Zetto Cassano, I cuori e la frontiera: rappresentazione dell’esodo nel cinema , “Qualestoria”, 2005, n. 2, pp. 89-111.