Dispense Forme E Culture Del Cinema
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III. La maschera dell’horror Con I vampiri (1957) nasce l’horror italiano1. Il genere si manifesta in una prima forma compiuta e riconoscibile in coincidenza con una fase di trasformazione dell’apparato produttivo in senso industriale e di affermazione di una moderna industria culturale2. Nella seconda metà degli anni cinquanta, mentre l’Italia sta faticosamente portando a compimento la ricostruzione post-bellica, il cinema nazionale cerca di rinnovare i generi popolari per soddisfare i desideri di nuove tipologie di spettatori, in un quadro – socio-culturale, economico e simbolico – in rapida evoluzione3. In questo contesto l’horror da una parte assorbe e rielabora pulsioni inespresse, latenti nei generi autoctoni del cinema italiano, dall’altra ha come riferimento un orizzonte mercantile e produttivo transnazionale4. Nonostante il «primato» del film di Freda e Bava, tra il 1958 e il 1959 in Italia circolano solo prodotti esteri, tra cui film minori che cercano di sfruttare la risonanza e il successo internazionale (Italia inclusa) raggiunto dagli horror della Hammer, in particolare da Dracula (Horror of Dracula, Terence Fisher, 1958). In Italia il Dracula interpretato da Christopher Lee diverrà un icona, nonostante il film riceva un iniziale «parere contrario alla proiezione in pubblico contenendo il film scene, fatti e sequenze truci, ripugnanti e impressionanti», poi tramutato in un divieto (con tagli) ai minori di sedici anni5. Le eccezioni italiane sono due. La prima è la parodia Tempi duri per i vampiri (Steno, 1959) con un Renato Rascel che si scopre nipote di un vampiro interpretato da Lee. Con il film di Steno il cinema italiano cerca di filtrare e rielaborare il successo e l’ingresso nell’immaginario popolare della figura del vampiro, trasferendo il mito «nordico» nell’assolata costa mediterranea protagonista del filone «turistico-balneare» e inserendolo nel circuito intermediale con la spassosa canzonetta «Dracula cha cha cha». La seconda è il fanta-horror Caltiki, il mostro immortale (Freda, 1959). Firmato ufficialmente da Freda con lo pseudonimo di Robert Hampton, è in realtà un film di Bava, non accreditato, al novanta per cento. Il film è debitore della sci-fi cinematografica anni cinquanta ed è realizzato sulla scia di Blob – Fluido mortale (The Blob, Irvin Yeaworth, 1958) e in parte anticipato da La morte viene dallo spazio (Paolo Heusch, 1958)6. Occorre attendere il 1960 per vedere un nutrito gruppo di horror di produzione nazionale. Nell’ordine escono nelle sale: L’amante del vampiro (Renato Polselli), La maschera del demonio (Mario Bava), Seddok, l’erede di Satana (Anton Giulio Majano), Il mulino delle donne di pietra (Giorgio Ferroni), L’ultima preda del vampiro (Piero Regnoli). Tuttavia, a differenza di Le fatiche di Ercole (Pietro Francisci, 1958), capostipite dello storico- mitologico, altro genere popolare e transazionale del periodo, «nessuno dei cinque film realizzati nel 1960 riscuote un successo tale da innescare una produzione in serie»7. Il 1961 segnerà un vistoso calo produttivo, in parte compensato dalla produzione di opere spurie, commistioni di peplum e mitologia fantaorrorifica, con lo storico-mitologico, filone di punta del cinema italiano di profondità ed export-oriented del periodo, a fare da «laboratorio dell’orrore» prima dell’accelerazione verso una violenza e una brutalità sempre più esplicite impresse dal western all’italiana8. Il 1962 è occupato da film minori e segnato da un capolavoro dell’horror gotico quale L’orribile segreto del Dr. Hichcock di Freda. Sarà il 1963 l’anno cardine per il cospicuo numero di film prodotti, tra i quali spiccano Danza macabra e La vergine di Norimberga di Antonio Margheriti; Lo spettro di Freda; La frusta e il corpo e I tre volti della paura di Bava. Mentre tra il 1964 e il 1966 – per quanto escano diversi film di rilievo, tra i quali I lunghi capelli della morte (Margheriti, 1964), La cripta e l’incubo (Camillo Mastrocinque, 1965), 5 tombe per un medium (Massimo Pupillo, 1965), Amanti d’oltretomba (Mario Caiano, 1965), Operazione paura (Bava, 1966), Un angelo per Satana (Mastrocinque, 1966) – appare evidente la crisi del modello e la riduzione della domanda sui mercati internazionali. I titoli citati sono i più rappresentativi del periodo 1957-66, che coincide in larga parte con il «gotico all’italiana», «un corpus relativamente omogeneo di pellicole»9 formato da una trentina di titoli10. In superficie, il «filone»11 gotico imita la coeva produzione horror anglo-americana (Hammer, American International Pictures), mutuando le caratteristiche del romanzo gotico ottocentesco: ambientazioni storiche, architetture e luoghi labirintici, soprannaturale, personaggi stereotipati, intrecci macchinosi, sperimentazione delle tecniche di suspense. Nel profondo, il gotico accoglie temi e discorsi – intorno al potere, alla sessualità e all’identità di genere – tendenzialmente espulsi dal discorso pubblico e dal cinema italiani: «affrontando il terrore, il “gotico” affronta l’inconfessato»12. Il gotico «evoca lo spettro della disgregazione sociale replicata in un microcosmo chiuso; pone in discussione i fondamenti del vivere comune, del potere, della famiglia, della sessualità, e ne ipotizza la rimozione più o meno violenta […] sollecitando l’eccesso e la trasgressione e mostrandone al contempo l’effetto squassante sull’individuo e sulle fondamenta della comunità»13. Le ambientazioni rimandano a una condizione atemporale, sospesa tra il ritorno del passato e la fuga dal presente, rafforzata da un linguaggio sofisticato e antico. I luoghi (castelli, mulini, scale ritorte, corridoi, sotterranei e cripte, sepolcri e tombe) tradiscono un sentimento claustrofobico, di costrizione. L’orribile segreto del Dr. Hichcock, Danza macabra e Operazione paura vanno segnalati in particolare come tre esemplari rappresentazioni della costruzione barocca e anamorfica dello spazio nel cinema gotico. Il film di Freda è un «kammerspiel […] uno spazio chiuso completamente reinventato»14. Danza macabra è un dedalo narrativo, scenografico e illuministico tra il passato e il presente, tra realtà, allucinazione e incubo, punteggiato di momenti altamente visionari e surreali (l’albero degli impiccati, la testa tagliata del serpente, il morto vivente ansimante nel sarcofago). A sua volta, il film di Bava costruisce entro l’estetica delle rovine un racconto sullo spaesamento del soggetto denso di soluzioni figurative perturbanti tra le più memorabili del gotico italiano (il controluce del trasporto della bara in campo lungo nell’incipit, l’arrivo alla locanda, la scala a spirale, l’apparizione della bambina e il rotolare della palla nei corridoi, il protagonista che rincorre se stesso). Il gotico italiano «mostra una propensione al saccheggio testuale e alla contaminazione disinvolta, priva di ogni atteggiamento reverenziale verso le fonti»15. Oltre al gotico anglosassone, le influenze cinematografiche ravvisabili sono molteplici: l’espressionismo tedesco, l’horror americano degli anni trenta e quaranta, l’horror fanta-medicale degli anni cinquanta e molto horror e fantastico europeo (Cocteau, Dreyer, Franju, Powell). Il mulino delle donne di pietra esemplifica bene come il genere non sia strettamente imitativo dei modelli Hammer ma si inserisca in una più ampia rete intertestuale. Il film è da un lato un rifacimento di Mystery of the Wax Museum (Michael Curtiz, 1933) e House of Wax (André De Toth, 1953) e dall’altro riprende Gli occhi senza volto e I vampiri, mantenendo «dal punto di vista figurativo e da quello degli espliciti richiami intertestuali […] un più stretto legame con altre esperienze europee» quali Vampyr (Carl T. Dreyer, 1932) e il cinema di Powell e Pressburger16. Nel contempo l’horror italiano cerca legittimazione nella paternità letteraria. I rimandi ad autori noti o misconosciuti della letteratura fantastica sono a volte fittizi o ingannevoli, anche se in alcuni casi (Bava, Freda, Margheriti) non escludono una relazione decisamente più ponderata con la tradizione letteraria17. Il «gotico all’italiana» presenta altresì caratteristiche originali, innanzitutto delle costanti tematiche e figurative: la prevalenza del vampirismo, il doppio, il volto sfigurato, la dimensione medicale dello «scienziato pazzo», il ritorno dei morti e del passato18. Si contraddistingue per le trasgressioni delle norme della rappresentazione e per gli eccessi stilistici: le prime conducono al progressivo superamento dei limiti della morale e del visibile (erotismo, perversioni sessuali, violenze e orrori corporali); i secondi si traducono in atmosfere e sequenze oniriche e allucinatorie, sperimentazioni cromatiche e luministiche, trucchi ed effetti speciali decisamente gore, volti a creare un effetto-choc sullo spettatore. Proseguendo sulla chiave dell’originalità, il fantastico soprannaturale nel gotico nostrano sembra rispondere, più che a entità diaboliche, a conflitti morali e intrecci decisamente più terreni. In La maschera del demonio il fantastico soprannaturale è esplicitato chiaramente attraverso la stregoneria, il vampirismo e la resurrezione dei morti, eppure l’esordio ufficiale di Bava alla regia appare concentrato sul tema del peccato, della punizione e della vendetta. Il filone ha infatti «pesanti debiti nei confronti della tradizione del melodramma»19, genere che travaserà nel gotico una serie di tensioni oniriche, erotiche e morbose: come quello metteva in scena la colpa della donna, l’horror, assumendo come figura centrale la vampira, metafora spesso scoperta della «donna fatale»,