Ontogenesi Di Un Linguaggio Critico

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Ontogenesi Di Un Linguaggio Critico Dario Portale Tesi di Dottorato in Italianistica (Lessicografia e Semantica del Linguaggio Letterario Europeo) UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA Dottorato di Ricerca in Italianistica - XXII Ciclo LESSICOGRAFIA E SEMANTICA DEL LINGUAGGIO LETTERARIO EUROPEO Dario Portale Ontogenesi di un linguaggio critico La formazione cinematografica di Guido Aristarco tra dissoluzione del fascismo e rivoluzione neorealista Coordinatore: Chiar.mo Prof. Giuseppe Savoca Tutor: Chiar.mo Prof. Fernando Gioviale 1 Dario Portale Tesi di Dottorato in Italianistica (Lessicografia e Semantica del Linguaggio Letterario Europeo) INTRODUZIONE Prendere in esame la produzione critica di Guido Aristarco durante “gli anni neri” con l’obiettivo di ricostruirne la linea di svolgimento, identificando le tappe di svolta che hanno segnato una progressiva presa di coscienza tutt’ad un tempo civile, politica e culturale, ripercorrere insomma uno dei «lunghi viaggi attraverso il fascismo» che costituirono il sofferto percorso di scoperta di sé di tanta parte di quella che sarebbe diventata la nostra migliore, più nobile intelligenza, significa perseguire un compito pieno di insidie, esposto a costanti pericoli di sviamento, di uscite fuori strada, di imbocco di sentieri che non conducono da nessuna parte. Soprattutto se si pretende di orientarsi seguendo esclusivamente la stella polare della folgorante chiarificazione umana conseguita in seguito all’esperienza della guerra e della Resistenza, se ci si serve di bussole tarate su un Nord troppo univocamente teleologico (la conquista del senso necessario di un nuovo impegno, di una nuova cultura, di un nuovo cinema, senza che di tutto ciò siano specificati gli esatti termini e le forme) sì da spalancare l’illusione, per usare le parole di Claudio Carabba, di un «cammino di solito considerato tutto in ascesa, una sorta di lungo viaggio attraverso la notte fino alla conquista del sole e delle altre stelle»1. Al contrario si trattò, per Aristarco come per tanti altri, non di una radiosa corsa verso i rosei orizzonti della rinascita e del riscatto ma di un itinerario tortuoso, faticoso, complicato da lente curve, soste paralizzanti, improvvise accelerazioni e inaspettati ritorni sui propri passi, contraddizioni, stenti, bivi ingannatori. Un tragitto le cui tracce possono essere rinvenute e decifrate non da un olimpico sguardo satellitare, ma da una microscopia attenta a rinvenire i segni di un passaggio in due o tre rami spezzati, in un leggero infossarsi dell’erba, nella corteccia sbrecciata di un albero… Fuor di metafora, si tratta di individuare i cenni premonitori e le emergenze preparatorie di un dissenso che, nel suo significato pieno 1 C. Carabba, Il cinema del ventennio nero, Vallecchi, Firenze, 1974, p. 93. 2 Dario Portale Tesi di Dottorato in Italianistica (Lessicografia e Semantica del Linguaggio Letterario Europeo) e consapevole, si manifestò non precedentemente alla prima metà del 1943, in particolare con la recensione e poi la polemica su Ossessione, leggendo tra le righe di una produzione critico-recensoria su cui gravavano molteplici condizionamenti di diversa natura, estrinseci ed endogeni, che non permettono la ricostruzione dell’evoluzione di un pensiero e di una personalità se non tramite spie a volte lievissime, determinate soltanto da un inspessirsi quasi impercettibile della figura che tuttavia la stacca dallo sfondo e le fa acquisire un rilievo: uno spostamento di accenti su questo o quel tema, una particolare coloritura di tono, delle crepe, delle incrinature lessicali che screpolano il grigio e compatto frasario fascista, aprendo nella struttura, nell’apparato linguistico predisposto dal regime, spazi attraverso cui trasparivano allusioni, messaggi segreti, riconoscimenti. Carlo Lizzani, rievocando appunto il carattere esopico di gran parte della produzione critica “frondista” di allora, scrive: «Nessuna censura poteva dirci niente, eppure quando tra noi si leggevano, anche sui giornali dei GUF, un certo tipo di parole, non so perché, si sentiva che squillava un campanellino differente»2. E particolarmente significativa appare la narrazione del suo “arruolamento” presso il gruppo di «Cinema»: «[…] era, in fondo, anche affascinante leggersi e scoprirsi delle parentele attraverso parole che a tentoni, proprio nel buio, noi riuscivamo a individuare e che ci facevano da radar per sentirsi gli uni con gli altri. Io fui reclutato, si può dire così, dal gruppo di Cinema attraverso alcune stroncature che facevo anch’io nella terza pagina di Roma Fascista […] Grazie a certe parole che usavo anche io – non può essere avvenuto altro che in questo modo, attraverso una lettura, una radiografia linguistica – fui avvicinato dal gruppo di Cinema […] e attraverso discorsi cauti e allusivi fui invitato a collaborare. E questo fu un prodigio: sentirci attraverso la parola e lo scritto, riconoscersi»3. Per delineare l’andamento dell’esperienza di un giovane formatosi negli anni ’30 e attivo a partire dai primi ’40, per definirne correttamente la collocazione in rapporto a 2 C. Lizzani, De Santis e il gruppo «Cinema», in Il neorealismo nel fascismo, Ed. della tipografia Compositori, Quaderni della Cineteca n.5, Bologna, 1984, p.95. 3 Ivi, pp. 96-97. 3 Dario Portale Tesi di Dottorato in Italianistica (Lessicografia e Semantica del Linguaggio Letterario Europeo) movimenti, linee culturali, posizioni artistiche e ambiti politico-sociali è così necessario registrare, con precisione sismografica, scarti, sommovimenti, irregolarità, in modo da verificare, dove possibile, la misura del distacco o la coincidenza con fenomeni profondamente ambigui quali, ad esempio, il fermento intellettuale sviluppatosi sulle pagine dei GUF, che costituì pure la temperie nella quale maturò la gran parte delle prese di posizione del critico, o la convergenza, a un livello sempre maggiore di consapevolezza, con i solidi presupposti tutto ad un tempo estetici, etici e politici dell’avventura del gruppo romano di «Cinema». È nelle oscillazioni tra queste due polarità, quella della dissonanza inconsapevole del tutto interna al sistema se non addirittura all’ideologia fascista e quella della dissidenza pienamente acquisita ma dissimulata, che si giocano e si determinano lo sviluppo e il significato storico dell’attività critica del giovane Aristarco. Le difficoltà consistono nel fatto che, come abbiamo accennato, spesso esse risultano scarsamente distinguibili se si resta agganciati ad un piano puramente letterale; i giovani critici di «Cinema» erano costretti a condurre il loro lavoro di contestazione della politica culturale del regime «sottotraccia, mediante riferimenti, allusioni, appigli pretestuosi, rimandi a precedenti, a nomi e opere che diventavano altrettanti messaggi cifrati, recepibili solo dagli addetti ai lavori, da chi sapeva che il richiamo a Verga, per esempio, o a Hemingway, a una certa narrativa, soprattutto americana (Aldo Scagnetti parlava di “scoperte neorealistiche della nuova letteratura degli States”, e citava Faulkner, Ben Hetch, Sherwood, Steinbeck) ma anche italiana (Vittorini, Bernari, Pavese), fosse una presa di posizione antifascista e l’invito a fare un cinema diverso da quello esistente»4. La polisemia “nicodemica” dei messaggi era tale che spesso «occorreva sapere come la pensasse in privato l’autore per non confonderli con quelli più o meno analoghi, spesso identici, connessi con la vocazione populista del regime sviluppata, in materia cinematografica, specialmente nei periodici dei GUF»5. Di conseguenza «oltre la circoscritta sfera redazionale delle due riviste [«Cinema», appunto, e 4 M. Mida Puccini, L. Quaglietti, Dai telefoni bianchi al neorealismo, Laterza, Roma-Bari, 1980, p.184. 5 Ivi, p. 185. 4 Dario Portale Tesi di Dottorato in Italianistica (Lessicografia e Semantica del Linguaggio Letterario Europeo) «Bianco e nero»], potevano sfuggire, e certamente sfuggivano, i reconditi e poco nitidi disegni celati dietro l’attacco insistente al cinema quotidianamente propinato al pubblico»6. D’altra parte le cose si complicano ancor più se si tiene conto del fatto che, senza per questo negare l’indiscutibile oggettiva eterodossia delle loro istanze di rinnovamento7, anche le prese di posizione più avanzate di molti critici del tempo, compresi quelli del gruppo di «Cinema», non sempre appaiono accompagnate da propositi chiari e da un progetto intenzionalmente ben definito, finendo così per sfociare in proposte a volte decisamente ambigue; sono particolarmente indicative le seguenti parole di Quaglietti: «a ben guardare, l’approvazione di De Santis e della redazione di Cinema (le recensioni del titolare della rubrica e dei suoi “vice” - Carlo Lizzani, Gianni Puccini, Massimo Mida, Aldo Scagnetti – erano quasi sempre il risultato di discussioni collegiali) a Quattro passi tra le nuvole di Blasetti non andava però molto oltre l’encomiastico esordio, secondo il quale, per il regista, si trattava di un “ritorno” all’insegna di “un lineare linguaggio realistico”. Si postulava cioè un analogo o soltanto affine cinema blasettiano preesistente riferendosi a Sole, Terra madre, 1860 e Vecchia guardia»8. In questa prospettiva dovrebbe apparire evidente quanto decisivo sarebbe stato, ai fini di una tracciatura critica dei percorsi individuali, il realizzarsi di quel che Mino Argentieri auspicava già nel 1966: «se si raccogliessero le testimonianze di questo equivoco, penso che ricaveremmo un materiale molto interessante e utile per capire meglio il cammino percorso da una generazione di intellettuali che il fascismo copriva
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