MEDIMEX 2021: Conclusa la versione ibrida dell’International Festival & Music Conference a Taranto dal 15 al 19 settembre

Chi, come me, segue il MEDIMEX da tanti anni conosce bene l’aria e l’energia che si respirano durante le giornate dell’International Festival & Music Conference: musica, condivisione, formazione, arte, cultura, promozione del territorio e dei talenti che esprime, soprattutto da quando la location principale della manifestazione si è spostata a Taranto.

Taranto, città dai panorami mozzafiato e dalle molteplici contraddizioni, con tante anime differenti, tante quante la musica ne riesce ad esprimere, sembra essere l’approdo naturale di un Festival che mette insieme amatori ed addetti ai lavori, appassionati e specialisti, multimediale e tradizionale, fisico e digitale, riunendoli in una grande community che cresce di anno in anno, seguendo e rendendo ogni appuntamento tra showcase, incontri d’autore, mostre, film, libri, workshop e talk.

L e f o t o d e l l ’ a r t i c o l o sono per gentile concessione dell’uffico stampa MEDIMEX.

Dopo la scorsa edizione interamente in streaming, il MEDIMEX è tornato quest’anno in forma ibrida, in parte in presenza ed in parte on-line, grazie anche al supporto della piattaforma tecnologica WYTH™, nata con l’obiettivo di aiutare aziende, festival, musei, scuole e organizzatori di eventi a costruire location ibride esclusive e personalizzate, in cui fisico e digitale convergono in un’esperienza totalmente integrata.

La piattaforma WYTH™, pensata per dare un’esperienza più immersiva all’utente, non si limita allo streaming HD degli eventi, ma prevede la possibilità di networking tra gli iscritti, che possono interagire con gli altri partecipanti e con gli speaker, ma anche inserire gli eventi a cui si è interessati nella propria agenda e fissare appuntamenti ed incontri con i professionisti.

L e f o t o d e l l ’ a r t i c o l o sono per gentile concessione dell’uffico stampa MEDIMEX.

Un bel salto di qualità dal punto di vista tecnologico, che apre il Festival al mondo e lo rende più interattivo ed ancor più internazionale: basti pensare che gli appuntamenti in streaming sono stati seguiti, oltre che in Italia, nel Regno Unito, in Germania, Ucraina, USA, Irlanda, Francia, Portogallo, Spagna e persino in Cina, con oltre 20mila visite uniche al sito web medimex.it.

Risultati che lasciano immaginare ed auspicare che la forma ibrida sia la soluzione migliore, per questo e per altri festival, per non rinunciare all’incontro ed al confronto in presenza, ma allargandolo al grande popolo del web, che costituisce il fondamento della grande community che si identifica in questo evento di riferimento per tutto il panorama musicale internazionale. L e f o t o d e l l ’ a r t i c o l o sono per gentile concessione dell’uffico stampa MEDIMEX.

Se così non fosse, non si spiegherebbe il grandissimo successo di pubblico non solo per gli eventi mainstream, come i numerosissimi showcase e talk con i musicisti più affermati del panorama come Laurie Anderson, Ligabue, Negramaro, Joe Talbot, Malika Ayane, Mahmood, Coma_Cose, Willie Peyote, Gaia, Gemello, Aiello, Motta e Speranza (solo per citarne alcuni), ma anche il grandissimo successo degli eventi riservati alla formazione ed agli addetti ai lavori, con oltre 1500 utenti iscritti alla piattaforma per partecipare alle attività professionali e scuole di musica.

Del resto, il fine principale con il quale il MEDIMEX fu creato da Puglia Sounds (il programma della Regione Puglia per lo sviluppo del sistema musicale regionale), attuato dal Teatro Pubblico Pugliese, è sempre stato quello di offrire strumenti professionali atti a far crescere le eccellenze della regione, valorizzandole all’interno di una vetrina prestigiosa ed autorevole che facesse da cassa di risonanza per il comparto musicale pugliese a livello internazionale. L e f o t o d e l l ’ a r t i c o l o sono per gentile concessione dell’uffico stampa MEDIMEX.

Crescita che non può passare soltanto dalle oltre 80mila interazioni e 10mila menzioni sui Social, che hanno registrato oltre 50mila account, raggiunti con copertura giornaliera di oltre 220mila utenti, ma che passano soprattutto dalla formazione e dallo sviluppo delle competenze dei musicisti e di tutte le figure professionali legate al comparto musicale che, per forza di cose, devono adeguarsi e prontamente formarsi ad un mercato che sta cambiando paradigma velocemente.

Questa edizione del MEDIMEX, più delle altre, infatti, pone l’attenzione sul futuro del comparto musicale, sui nuovi mercati, reali e virtuali, e sui nuovi modi di fruire la musica, ma pone anche l’accento su quello che la musica è stata fino ad ora, e se da un lato omaggia la città che lo ospita di un’opera tridimensionale, 3D WAVES, di Hermes Mangialardo – video mapping sulla facciata del Castello Aragonese a cura di Valentina Iacovelli, dedicato alla new wave che vide Taranto protagonista, negli anni ’80, di concerti di musicisti del calibro di Bauhaus, Simple Minds, New Order, Siouxsie & The Banshees, Style Council, Christian Death e Nina Hagen (periodo d’oro documentato anche dalla mostra fotografica “Pictures of you” a cura di Marcello Nitti, Franzi Baroni, Arturo Russo e Roberto Pastore) – dall’altro dimostra il respiro internazionale dell’iniziativa con un’altra mostra fotografica che racconta la storia musicale e culturale della città di Manchester e l’avventura dei Joy Division (KevinCummins: Joy Division and Beyond), che sarà visitabile al MarTA (museo archeologico di Taranto) fino al 23 gennaio 2022. L e f o t o d e l l ’ a r t i c o l o sono per gentile concessione dell’uffico stampa MEDIMEX.

Il MEDIMEX si pone, così, come un ponte, un tramite tra quello che la musica ci ha regalato e quello che ancora deve venire, tenendo insieme storia e modernità, così come la città che lo ha ospitato tiene legate le sue innumerevoli anime con un ponte che unisce l’Isola madre, la parte più antica di Taranto, al Borgo Umbertino che si spalanca alla parte più moderna.

Il MEDIMEX si è appena concluso, ma già si parla dell’edizione del 2022 che vedrebbe Taranto protagonista di un live dell’artista internazionale St. Vincent, fissato per il 12 giugno del prossimo anno e che potrebbe segnare la ripartenza definitiva del comparto musicale pugliese.

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Notti Magiche: le canzoni che celebrano il genio calcistico italiano

A pochi giorni dalla fine degli europei di calcio che hanno visto trionfare i nostri azzurri guidati da Mancini, ripercorriamo la bellissima storia d’amore e condivisione che lega la musica italiana allo sport più diffuso del mondo.

Due mondi apparente lontani, ma uniti da forte passione: non si conosce squadra di calcio, o tifoso, che non abbia un suo inno o una canzone di riferimento, mentre si contano a decine le canzoni pop dedicate a questo antico gioco ed ai campioni che lo hanno reso grande.

Diciamolo senza paura, mai ci saremmo aspettati di vincere ai rigori nello stadio di Wembley, pieno zeppo di tifosi Inglesi che fischiano la nostra nazionale ad ogni possesso palla ed intonano cori quando a dominarci è la squadra inglese, eppure, nonostante lo svantaggio iniziale, la nazionale italiana riesce a tenere testa agli avversari ed a vincere meritatamente.

A fare la differenza non è il puro tecnicismo, o un rigore, ma la determinazione e la passione, capaci di ribaltare qualsiasi risultato negativo e qualsiasi goal subito.

Il gioco del calcio per gli Italiani è una cosa seria, molto più seria di leggi e decreti che regolano la loro vita, più importante di qualsiasi altra cosa.

Quando a giocare è la nazionale, soprattutto partite come quest’ultima, la nazione si ferma: lo raccontano bene e con la loro immancabile ironia Elio e le Storie Tese ne “La terra dei cachi”, ma la verità è che dietro a questo gioco apparentemente stupido di uomini che corrono dietro ad una palla c’è il genio, la creatività dei fuoriclasse, ma anche la passione smisurata di una nazione che corre in campo con i suoi giocatori, ce la mette tutta, prega, ama, si dispera, subisce, si rialza, scatta e fa goal!

Quei fuoriclasse e grandi campioni che in Italia sono venerati come santi, quegli uomini eccezionali, quasi più importanti del Presidente della Repubblica, veri e propri miti che hanno fatto la storia del calcio italiano, come Roberto Baggio, al quale sono state dedicate numerose canzoni (l’ultima è di Antonio , “L’uomo dietro il campione”), come Francesco Totti, monumento e simbolo della romanità al pari del Colosseo, il capitano per antonomasia, raccontato da Daniele Silvestri ne “La vita splendida del capitano”. Per non parlare di calciatori come Diego Armando Maradona, veneratissimo non soltanto nel napoletano, e che proprio in Italia toccò l’apice dei successi calcistici, restando mito indiscusso ed al qual sono state dedicate tantissime canzoni, non solo nel nostro paese, ma di cui ci piace ricordare “Maradona y Pelè” dei Thegiornalisti.

Ma in Italia non mancano anche le canzoni dedicate a chi resta in panchina con il cuore in campo, come “L’allenatore” di Gianni Morandi e “La coscienza di Zeman” di Antonello Venditti, che racconta il travagliato rapporto tra l’allenatore e la società giallorossa, ma che sono, in fondo, allegoria della vita stessa e del modo di affrontarla.

Lo sanno bene Luciano Ligabue e , che più volte utilizzano questo gioco per raccontare il modo di rapportarsi alla vita; in particolare lo fanno con due capolavori come “Una vita da mediano” e “La leva calcistica della classe ‘68”.

Chissà quante volte nella vita abbiamo dovuto lavorare sodo ma cedere la palla al compagno di gioco affinché potesse finalizzare e fare il tanto agognato goal, oppure abbiamo sentito la pressione e la paura di tirare quel famoso calcio di rigore, come se la grandezza di un uomo si misurasse in un singolo istante di gloria; e chissà se anche noi, in fondo, non abbiamo dovuto subire “La dura legge del gol” (cantata, anni orsono, dagli 883) perché a mancarci era una squadra che ci sostenesse.

Non ci si deve meravigliare se il gioco del calcio è spesso preso a modello per raccontare la vita, in fondo in quei 90 minuti c’è tutto quello che si può vivere in una esistenza intera: il primo tempo come la giovinezza ed il secondo come la maturità, la sportività, la competizione, la vittoria, la sconfitta, la squadra che ci sostiene, l’antagonista, il ruolo che per forza di cose si deve giocare nella società, i falli che subiremo ma anche quelli che spesso commetteremo, il risultato che sarà la summa dell’impegno e della costanza, ma anche frutto di fortuna ed estro e di quella capacità di saper cogliere l’attimo.

E poi, gli amici, la vittoria, la sconfitta, le “Notti Magiche” passate ad inseguire un goal che non dimenticheremo mai, le stesse raccontate da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato nella loro “Estate italiana”, inno dei mondiali di Italia ’90, oppure le “Luci a San Siro” di Roberto Vecchioni, che ci riporteranno indietro a pensare ad un amore passato che ha segnato un goal dritto al nostro cuore, come nella partita in cui “Eravamo in 100.000” di , perché, in fondo, anche la nostra vita si può riassumere nell’ ”Estate addosso” raccontata da Jovanotti:

La musica che soffia via da un bar

Cuccurucu paloma

L’amore di una sera

Gli amici di una vita

La maglia dei mondiali scolorita

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ITsART e Italiana: il nuovo modo di raccontare il patrimonio artistico e culturale italiano

Esiste un modo innovativo di raccontare e promuovere la bellezza del patrimonio culturale italiano anche oltre confine?

Dallo scorso 31 maggio la risposta è ITsART, il portale fortemente voluto dal ministero della cultura per promuovere e rendere fruibili a tutti, italiani e stranieri, l’immenso patrimonio culturale italiano, carico di storia, bellezza, tradizione e luoghi culturalmente attrattivi.

Fu il ministro della cultura Dario Franceschini, in pieno lockdown, ad annunciare l’avvento di un portale che avrebbe cambiato il modo di fruire la cultura italiana nel mondo, una sorta di “Netflix della cultura”, con contenuti on-demand ed a pagamento, ma anche con moltissimi contenuti gratuiti.

Il portale, nato dal sodalizio tra Cassa Depositi e Prestiti (società per azioni controllata dal Ministero dell’Economia) e CHILI.tv (nota piattaforma di streaming), forse inizialmente fu pensato per intrattenere gli utenti in un periodo in cui musei, cinema e teatri erano interdetti ad artisti e fruitori a causa delle misure di contrasto al Covid-19; oggi invece, a distanza di un anno dall’annuncio della sua realizzazione, potrebbe diventare un importante veicolo di promozione del brand “Italia” all’estero, contribuendo e rafforzando quell’idea di “bel paese” intriso d’arte e cultura millenarie.

Le potenzialità ci sono e sono evidenti, nonostante ci si trovi ancora di fronte ad un catalogo scarno e forse non ben organizzato, ma che sicuramente verrà arricchito man mano che la piattaforma comincerà ad essere attrattiva sia per i creatori di contenuti che per i fruitori.

Al suo interno troviamo grande eterogeneità di contenuti, dalla musica classica all’opera, dalla musica pop ai film d’autore, dalle visite virtuali ai musei alle performance teatrali, così come è eterogeneo il modo di poter fruire dei contenuti, a pagamento, gratuitamente e gratuitamente con pubblicità, mentre attesissimi sono i live streaming (il primo è stato trasmesso il 21 giugno in occasione della rassegna “Maggio Musicale Fiorentino”).

ITsART rappresenta sicuramente un salto innovativo nel modo di comunicare la cultura italiana, se non altro per il fatto che effettivamente è la prima volta che in Italia si promuove arte e cultura unitariamente ed in modo organico su un’unica piattaforma, ma non è l’unico esempio.

A marzo 2021 infatti, è stata annunciata un’altra piattaforma gestita dal Ministero degli Esteri che ha come mission la promozione della lingua, della cultura e della creatività italiana nel mondo.

Si chiama “Italiana” ed è stata definita la risposta della Farnesina alla domanda di cultura italiana nel mondo, in cui troveranno spazio musica, letteratura, poesia, cinema, teatro, arti visive, web art, ma anche architettura, design, storia, archeologia, enogastronomia e che sarà fruibile in modo completamente gratuito da tutti, sia in Italia che all’estero.

Al suo interno anche una piattaforma didattica online open source ideata per la rete degli 82 Istituti Italiani di Cultura e i corsi di lingua e cultura italiana che organizzano nel mondo.

La piattaforma sarà accessibile in 10 lingue e godrà anche di un servizio di assistenza via e-mail e telefono in italiano e inglese.

Anche per Italiana sono evidenti le enormi potenzialità di una piattaforma del genere che, siamo sicuri, darà forte impulso alle industrie culturali e creative e favorirà quel grande processo di esportazione non solo di beni, ma anche di cultura e produzioni culturali all’estero.

Scopri il nuovo numero: “Tutto è Comunicazione” Non esistono fatti, ma solo interpretazioni. La nostra vita, la società e il nostro mondo è permeato dalla comunicazione. Conoscerla ci aiuta a comprenderla e ad essere più consapevoli.

Tralasciando sostenitori e detrattori dell’una o dell’altra piattaforma on-line e tralasciando anche le varie polemiche sulla necessità dell’una o dell’altra e sull’opportunità di realizzare due distinte piattaforme non comuni e non comunicanti, è bene invece soffermarsi su quel processo di innovazione che sta investendo la pubblica amministrazione e che sicuramente sarà in grado di offrire al nostro paese ampi spazi di visibilità, riflettendo sul fatto che, probabilmente, la pandemia ha cambiato non solo il nostro modo di comunicare ma anche quello delle istituzioni, che stanno cercando nuove forme comunicative per attrarre investitori e promuovere il brand “Italia” all’estero al fine di incentivare non solo il turismo e le industrie culturali, ma tutte le produzioni del nostro paese, in un’ottica di rilancio dell’intero sistema economico. Con queste premesse, ribadiamo che fondamentale non è solo investire sul rilancio, ma anche sul modo di comunicare una rinascita ed una ripresa, soprattutto in un mondo in cui il modo di comunicare è spesso ben più importante di ciò che si comunica.

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Battiato: addio ad “un essere speciale”

È morto oggi, all’età di 76 anni, nella sua casa di Milo, alle pendici dell’Etna, il maestro , artista poliedrico, compositore, cantautore, musicista e regista.

Malato da tempo, aveva smesso di esibirsi e comporre qualche anno fa, lasciando un enorme vuoto nel panorama artistico italiano, vuoto che fino all’ultimo credevamo sarebbe stato colmato da un suo ritorno sulle scene.

Forse tra le note delle sue canzoni, tra gli scritti dei testi o tra le immagini dei suoi dipinti o di un suo film c’è l’antidoto all’immenso dolore per la grave e prematura scomparsa del maestro Battiato, forse, come tante altre volte, la sua musica può essere consolazione e speranza, ma oggi, per me e per tutti i suoi fan, è il giorno del cordoglio, del ricordo e della perdita, e non potrebbe essere altrimenti, quando a lasciarci non è un cantautore qualunque.

Molti non lo capivano perché troppo sofisticato, troppo filosofico, moltissimi lo amavano e veneravano al pari di un dio, forse la sua non era solo musica, forse era una vera e propria religione, una corrente di pensiero o una filosofia di vita fatta di rock progressive e suoni sperimentali, della semplicità della musica popolare e della complessità della musica colta con echi a teorie quantistiche, meditazione e teoretica.

Difficile sintetizzare la sua immensa carriera, costellata da grandissimi successi discografici e sperimentazione d’avanguardia, quasi impossibile raccontare l’uomo, tanto schivo e riservato quanto maledettamente aperto e schietto; posso solo limitarmi a raccontare il “mio” Battiato, il padre, l’amico, il fratello, la guida che oggi non c’è più su questa terra ma che vivrà in eterno insieme alla sua musica.

Non ho mai avuto il piacere di incontrarlo personalmente, ma ho assistito a molti suoi concerti, la sua musica è sempre stata presenza costante della mia vita, tante volte unico sostegno nei momenti difficili.

Mi ha insegnato l’amore, la bellezza, la spiritualità, mi ha insegnato a guardare oltre, a non fermarmi alle apparenze, a non conformarmi, ma anche e soprattutto a guardarmi dentro, ad osservare me stessa, come il mondo, sempre con occhi diversi.

Di lui ho sempre amato quella sorta di inquietudine, quell’irrequietezza che lo portava a sperimentare, a cercare sempre il nuovo in incessante e continua evoluzione, il suo essere costantemente avanti, talmente tanto avanti da essere completamente atemporale, quel dire tutto pur senza voler dire niente, non impartire nessun tipo di indottrinamento pur lasciando grandissimi insegnamenti sul mondo e sull’universo.

Basta prendere una qualsiasi opera del suo vastissimo repertorio musicale, dagli anni ’70 ad oggi, ed ascoltarla per rendersi conto di quanto sia attuale, anche se completamente decontestualizzata dal momento in cui è stata composta: è questa la grandezza dell’opera di un artista, la sua universalità.

Non importa conoscere la storia di un brano, quando, come e perché lo si abbia composto, non importa quanto si sia colti o acculturati, la musica di Battiato arriva a tutti, in ogni tempo ed in ogni dove, toccando corde dell’anima tanto diverse come diverso è chi la ascolta.

Spesso, quando si parla di Battiato si fa cenno alla sua musica colta, ai tantissimi riferimenti a citazioni letterarie e culturali, al sodalizio con figure come il filosofo Manlio Sgalambro, il cantautore Juri Camisasca, o il violinista Giusto Pio, con i quali ha creato intramontabili capolavori, ma esiste un Battiato molto più pop e più leggero, capace di creare hit come “Un’estate al mare” insieme a Giuni Russo.

Impossibile stilare una classifica dei brani più belli, forse si potrebbero raccontare i più famosi, ma l’evidenza è che la sua musica, spesso fuori dagli schemi della decodificata canzone, resterà nell’immaginario collettivo di alcune generazioni insieme ad album come “La voce del padrone”, e brani come “Centro di gravità permanente” e “La Cura”.

Franco Battiato sicuramente verrà ricordato come eclettico ed eccentrico pioniere della musica d’avanguardia, ma rivoluzionò persino la più classica canzone italiana, dandole connotati più internazionali e significati più profondi.

A dimostrazione dell’universalità della sua musica, il fatto che fosse amato molto anche all’estero e gli innumerevoli cover, omaggi e citazioni riferite alle sue canzoni.

Impossibile, poi, non aver mai ascoltato, anche per sbaglio, una sua canzone e non esserne rimasti rapiti, ecco perché oggi la perdita è grande ed il dolore è collettivo.

Ascoltando la sua musica, si aveva l’impressione di far parte, ognuno a suo modo, di un “tutto”, quell’universo profondo al quale affermava di appartenere ed al quale, siamo tutti sicuri, è ritornato.

Del resto, ce lo aveva anticipato nel suo ultimo capolavoro “Torneremo ancora”: “La vita non finisce – È come il sogno – La nascita è come il risveglio – Finché non saremo liberi Torneremo ancora – Ancora e ancora”.

Così, ci piace pensare che si sia perso in una delle tante “Vite Parallele” che amava cantare e che ci canti ancora:

Mi farò strada tra cento miliardi di stelle

la mia anima le attraverserà

e su una di esse vivrà eterna.

Vi sono dicono cento miliardi di galassie

tocco l’infinito con le mani

aggiungo stella a stella sbucherò da qualche parte,

sono sicuro, vivremo per l’eternità.

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Musica a impatto 0: la nuova sfida sostenibile

Pochi si chiedono se il fruire la musica possa essere dannoso per l’ambiente, eppure il costo dell’impatto ambientale dell’industria musicale è una realtà con cui dovremo misurarci quando finalmente si riprenderà a godere della musica dal vivo.

Se movimentare persone e cose, consumare elettricità e accumulare rifiuti stressando l’ambiente circostante può essere immaginabile e prevedibile quando ci si appresta a fruire di concerti dal vivo, molto meno lo è capire che i supporti sui quali la musica viene incisa, e persino lo streaming, possono essere fonte di inquinamento.

Anche se adesso il comparto dell’industria musicale, soprattutto quello che riguarda gli spettacoli dal vivo, è fermo da oltre un anno, forse è giusto fare una riflessione sull’impatto ambientale anche alla luce di una possibile ripresa.

Uno studio del 2019 dell’Università di Glasgow insieme all’Università di Oslo, intitolato “the cost of music”, pone l’evidenza sui costi della musica in termine di inquinamento.

P h o t o b y J o n a t h a n D u b o n on Unsplash.

L’analisi prende in considerazione un arco temporale abbastanza lungo e sottolinea l’enorme spreco di materiali, per lo più non riciclabili per gli alti costi di lavorazione; ad esempio, analizzando i picchi delle vendite dei principali supporti musicali, si è evidenziato che in termini di consumo, nel 1977, quando in voga erano gli LP in vinile, l’industria discografica ha utilizzato 58 milioni di chilogrammi di plastica, mentre nel 1988, quando a spopolare erano le musicassette, si è passati a 56 milioni di chilogrammi e a poco più di 61 milioni nel 2000, quando il supporto che andava per la maggiore era il CD.

Questi dati, per niente confortanti, si riferiscono soltanto al mercato degli Stati Uniti, e per vederli abbassare drasticamente si è dovuto aspettare l’avvento dello streaming (nel 2016, si stima che il consumo di plastica sia calato ad 8 milioni di chilogrammi).

Seppur con meno impatto, anche lo streaming è fonte inquinante ed ha un grave effetto sull’ambiente, che si può sintetizzare nel grande dispendio di energia elettrica, soprattutto per alimentare i server e potenziare le reti; quindi, se da una parte vengono consumati meno plastica e meno metalli difficilmente riciclabili, dall’altra parte vi è dispendio di energia con conseguente rilascio di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera.

Ma come ridurre l’impatto ambientale dei nostri ascolti? Possiamo fare qualcosa anche noi o dobbiamo aspettare che l’industria musicale inventi un supporto ad impatto 0?

La risposta è tanto semplice quanto banale, basterebbe modificare il nostro comportamento di consumo valutando la frequenza di ascolto per scegliere il supporto meno impattante.

Se si ascolta la musica sporadicamente, sicuramente lo streaming avrà un minore impatto ambientale, se invece siamo assidui consumatori e riproduciamo soprattutto sempre gli stessi brani, allora il supporto materiale, CD o vinile che sia, farà al caso nostro.

Ma basta questo a ridurre l’impatto ambientale dell’industria musicale? Sicuramente no, ma è un piccolo passo per un mondo più green; semmai, la vera sfida sta nel creare eventi musicali ad impatto 0 che siano sostenibili nel lungo periodo.

Le soluzioni, tanto scontate quanto di difficile attuazione perché dipendono dal comportamento di tutti, ci sarebbero, e gli organizzatori si dicono pronti ad attuarle.

In fondo, basterebbe svolgere concerti e festival in aree servite dal trasporto pubblico o predisporre delle navette così da limitare l’impatto degli spostamenti di tanta gente con mezzi privati, oppure utilizzare energia elettrica creata da fonti rinnovali per abbassare il livello di CO2 nell’ambiente, e poi eliminare la plastica monouso per servire cibo e bevande ed incentivare il riciclo dei rifiuti.

Ultimamente, qualcuno si è spinto ancora oltre, immaginando di dover restituire all’ambiente una parte di quello consumato: nasce forse così l’esperimento che vede sostituire l’acquisto del classico biglietto per usufruire di un concerto con un TreeTicket, un certificato di adozione di un albero che riserverà l’accesso esclusivo all’evento.

Scopri il nuovo numero: “Le 4 Virtù cardinali del Marketing” Pazienza, Perseveranza, Sostenibilità e Gentilezza, sono le 4 virtù cardinali del marketing che vi proponiamo. In un mondo dominato dalla tecnica e dalla velocità, queste virtù ci permettono di non sbagliare la rotta (o magari di ritrovarla se smarrita) e di indirizzare correttamente le nostre azioni.

L’evento in questione, organizzato da Etifor (spin-off dell’Università di Padova specializzato in consulenza, progettazione, ricerca e formazione in ambito ambientale), si svolgerà in Trentino il prossimo 25 maggio e vedrà come protagonisti Mario Brunello, noto violoncellista, e Stefano Mancuso, botanico e saggista che già molte volte ha legato progetti di divulgazione scientifica alla musica.

La loro opera, definita “musical-vegetale”, nasce dall’ultimo movimento della Seconda Partita in Re minore per violino solo di Bach e sarà pagata, in termini ambientali, piantumando gli alberi adottati per compensare le emissioni di Anidride Carbonica nell’ambiente che verranno prodotte con l’evento, avvalendosi dell’approccio MARC (Measure Avoid Risk Communicate), metodo sviluppato da Etifor per valutare e ridurre l’impatto ambientale accompagnando persone ed organizzazioni lungo un percorso di responsabilità ambientale e sociale. Recentemente, lo scorso 18 aprile, un evento-test similare è stato organizzato in Sicilia con protagonisti Roy Paci e Angelo Sicurella, ma in questo caso non c’era la possibilità di acquistare un accesso esclusivo all’evento, bensì di prolungare la durata della performance.

Adottando, infatti, degli alberi che poi sarebbero stati piantati nel luogo del concerto, si acquistavano secondi in più sulla durata complessiva della performance, una sorta di jukebox green i cui gettoni erano proprio gli alberi piantumati.

Questo tipo di approccio, che potrebbe essere replicato in altri eventi, oltre a fare qualcosa di concreto per il nostro pianeta dona anche il benefico immediato di sensibilizzare i fruitori degli eventi, richiamandoli ad avere cura dei luoghi di cui fruiscono durante le performance e, più in generale, sicuramente sviluppano una più ampia coscienza sui temi ambientali nel lungo periodo.

P h o t o b y J o n a t h a n D u b o n on Unsplash.

L’auspicio che ci facciamo è che queste buone pratiche non si concretizzino soltanto in progetti sporadici ed eventi pilota, ma che diventino la prassi di ogni evento, piccolo o grande che sia; per far sì che questo avvenga, è necessario uno sforzo comune che sicuramente deve partire da chi organizza gli eventi, ma deve essere anche supportato dalle istituzioni locali che devono creare le condizioni adatte a metterlo in pratica.

Un ruolo importante in questa partita, che ci vede tutti giocare per salvaguardare il pianeta, lo giocano senz’altro i performer, che sono in grado di influenzare le masse dei propri fan, ma tocca ad ognuno di noi impegnarsi per lasciare ai posteri un mondo migliore di quello che abbiamo trovato, non dimenticandoci mai che siamo tutti parte dell’ecosistema e dobbiamo fare tutti la nostra parte per salvaguardarlo.

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Non voglio cambiare pianeta: Riflessioni per la 51° Giornata Mondiale della Terra

All’indomani di missioni esplorative su Marte, il verso “non voglio cambiare pianeta”, tratto dalla poesia “El Perezoso (Il Pigro)” di Pablo Neruda, suona quasi come una profezia.

Se non ce ne fossimo accorti, però, un pianeta di ricambio non l’abbiamo ancora, forse è per questo, per salvaguardare quello in cui viviamo, che da oltre cinquant’anni si festeggia l’Earth Day (La Giornata Mondiale della Terra).

Una giornata dedicata al nostro pianeta per porre l’attenzione e sensibilizzare i suoi abitanti su tutti quegli squilibri ambientali e sociali che lo riguardano, concentrandosi su inquinamento, clima, biodiversità e sviluppo sostenibile.

Nell’ultimo anno, più che in altri momenti, ci siamo resi conto di quanto gli equilibri ambientali siano labili e quanto ci riguardino da vicino; forse ci voleva una pandemia per farci capire che se si ammala il pianeta ci ammaliamo anche noi, che non siamo estranei al luogo in cui viviamo, ma siamo parte di esso.

Per celebrare l’Earth Day, abbiamo deciso di tornare indietro di oltre un anno e concederci un viaggio, seppur virtuale, tra Argentina e Cile in compagnia di Lorenzo Cherubini.

Il docu-film (o docu-trip, come Lorenzo ama chiamarlo) “Non voglio cambiare pianeta”, è un racconto appassionato ed innamorato di paesaggi mozzafiato, incontri fortuiti e rispetto per la natura. Un viaggio lungo circa 4000 Km, quasi interamente in solitaria, in sella ad una bicicletta; una sfida contro i propri limiti fisici, che Jovanotti fa alla scoperta di territori incontaminati ed alla ricerca di sé stesso, ispirato dalla natura e dalle sue bellezze, lasciandosi accompagnare dalla musica e dalla poesia, ma anche perdendosi nelle tante contraddizioni di città grandi e popolose, concedendosi pure di sbagliare strada.

Un viaggio che possiamo fare anche noi spettatori, lasciandoci trasportare da quella stessa musica e dai versi, da racconti quotidiani ed aneddoti, gratitudine per la bellezza del mondo in cui viviamo ed un mantra su tutti: “Non voglio cambiare pianeta”.

In 16 puntate, ancora visibili su RaiPlay, girate da Jovanotti tra gennaio e febbraio 2020, Lorenzo ci esorta a non stare fermi, ad adoperarci per salvaguardare il pianeta, ma anche a fare un viaggio dentro di noi, il più tortuoso e difficile alla ricerca dell’equilibrio interiore.

Un viaggio nel viaggio, un percorso solitario verso pace interiore e serenità dopo un periodo di caos (Lorenzo era reduce dai Jova Bach Party e dal bagno di folla che ne derivava), la riscoperta del silenzio e della meditazione come cura di sé stessi e ristoro dell’anima.

Lentezza e solitudine in un periodo in cui nessuno dei due era contemplato nella società moderna, dove tutto era velocità ed i rapporti umani consumati con voracità, tutto era moltitudine e socialità.

“Non voglio cambiare pianeta” è stato lanciato il 24 aprile 2020 su RaiPlay, era appena iniziata la pandemia e nessuno avrebbe mai immaginato che si sarebbe protratta tanto a lungo.

Guardando le 16 puntate in quei pomeriggi di lockdown, chissà quanti di noi, ispirati da quei racconti, si sono detti: “lo voglio fare anch’io, voglio prendere la bici e viaggiare”, “voglio perdermi nel centro di Cordoba o di Buenos Aires”, questo perché tutti credevano che il lockdown fosse solo una parentesi, che presto sarebbe finita.

Solitudine ed isolamento, invece, a distanza di un anno, sono la condizione normale e quel racconto appassionato sembra lontano anni luce, quasi appartenesse ad un’altra epoca, un altro mondo di cui non ci ricordiamo più.

Ecco perché riguardare il docu-film a distanza di un anno apre ad altre riflessioni, più intime, più interiori: è come ascoltare il racconto di un’altra storia, guardare un altro film dove la natura prende il sopravvento e si rivela ancora più potente in tutta la sua bellezza, ma anche le riflessioni di Lorenzo hanno un sapore diverso, persino i gesti, come abbracci e strette di mano, sembrano alieni, come i volti che possiamo ammirare in tutta la loro umanità senza le mascherine a nascondere le espressioni.

Lorenzo ci fa capire che, in fondo, la solitudine non è solo una condizione negativa ma allo stesso tempo ci fa compagnia, ci porta in viaggio con lui, così che la sua e la nostra solitudine siano più lievi, così come ci esorta a meravigliarsi ogni giorno ed a ringraziare per quello che si ha.

A detta sua, siamo stati fortunati a nascere in questo pianeta, ecco perché mai e poi mai dovremmo abbandonarlo a sé stesso e ne dobbiamo avere cura più di ogni altra cosa.

In fondo, basterebbe trattarlo con la stessa cura con cui trattiamo la nostra casa o come qualcosa di prezioso e raro, basterebbe che ognuno facesse la sua parte con piccoli gesti quotidiani ma che non smettesse mai di abbassare la guardia e chiedere rispetto per il pianeta e per chi lo abita.

Come Lorenzo ci suggerisce in una delle sue tante riflessioni di questo viaggio, il problema non è il pianeta e le sue tante contraddizioni, il problema siamo noi e sta a noi dover cambiare per vivere in armonia con la natura.

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Gucci Virtual 25: Il futuro del mercato della moda è nel virtuale

Se qualcuno, poco più di un anno fa, mi avesse detto che avrei potuto acquistare un paio di scarpe da sfoggiare solo nel mondo virtuale e che lo avrei pagato con reali, euro o dollari, avrei subito pensato all’ennesima burla di qualche agenzia di comunicazione o a alla trovata commerciale di qualche brand intraprendente, o forse avrei pensato ad una delle tante fake news che invadono di tanto in tanto il web.

Oggi, invece, tutto questo è realtà ed è possibile grazie ad una tecnologia dalle enormi potenzialità commerciali, che pian piano sta cambiando le nostre vite, offrendoci orizzonti e panorami ancora da esplorare.

È grazie, infatti, alla Realtà Aumentata se un brand come Gucci ha potuto lanciare sul mercato le sue “Gucci Virtual 25” delle sneakers alla moda e dal taglio avveniristico, in parte personalizzabili e leggere ai piedi, talmente tanto leggere che non esistono (se assumiamo per vero il concetto che esiste solo tutto ciò che si può toccare).

Ma come si può acquistare con moneta reale qualcosa che non esiste nel mondo materiale? La risposta abbastanza banale potrebbe farci riflettere sul fatto che acquistiamo già tantissimi prodotti e servizi che non possiamo toccare; l’originalità del caso Gucci sta invece nel fatto che in questa occasione stiamo acquistando un prodotto che normalmente sarebbe materiale, un paio di scarpe da metterci ai piedi ma che possiamo utilizzare solo virtualmente.

Viene spontaneamente da chiedersi quale sia l’utilità di un capo d’abbigliamento che non possiamo toccare ed indossare e le risposte potrebbero essere le più disparate e tutte plausibili: stravaganza? Status symbol? Divertimento o svago? Bisogno di affermazione?

Per trovare un’interpretazione del fenomeno o una risposta a queste domande, probabilmente, si dovrebbe spostare l’attenzione dal mondo reale, che nell’ultimo anno ci vede costretti tra le mura domestiche, e dove la vita apparentemente si è fermata in una sorta di limbo, alla vita virtuale, che continua a scorrere senza limitazioni di sorta e che, anzi, ci vede sempre più connessi ed interconnessi, tanto che risulta difficile separare il reale dal virtuale.

Scopri il nuovo numero: Remote life

A distanza da un anno dal primo lockdown, siamo ancora qui a confrontarci con chiusure più o meno generalizzate e con abitudini di vita e di lavoro che fatichiamo ancora a fare nostre. Ecco i nostri suggerimenti per la vostra remote life.

In questo contesto, non deve quindi apparirci anormale acquistare un paio di scarpe virtuali alla modica cifra di 12 dollari per sfoggiarle sui social o per fare una passeggiata all’interno di Roblox o su qualche altra piattaforma di gaming.

In fondo, non è mica la prima volta che si acquistano accessori e abbigliamento per i propri avatar o si ricorre alla realtà aumentata per acquistare un paio di scarpe on-line; ad esempio, l’app fashion- tech Wanna Kicks, creata da Wanna, fashion-tech company (che ha contribuito anche alla realizzazione delle “Gucci Virtual 25”), permetteva già di provare virtualmente le scarpe di alcuni marchi come Reebok, Puma e Gucci prima di acquistarle, però, materialmente.

La cosa che invece dovrebbe far riflettere è il passaggio dalla produzione reale a quella interamente digitale di un prodotto di un brand leader di mercato che evidentemente mira a diversificare l’offerta in un periodo di crisi per il settore della moda o che vuole aumentare il brand awareness dei più giovani (naturali utilizzatori delle piattaforme social).

Le “Gucci Virtual 25”, disegnate dallo stilista Alessandro Michele, primo esempio di capo d’abbigliamento digitale pagato con moneta reale, potrebbero essere il caso sintomatico di un mercato che sta cambiando e che vedrà, nei prossimi anni, sviluppare le relazioni sociali sempre più in remoto sulle piattaforme digitali in cui gli utenti desidereranno sfoggiare griffe come avviene nella vita reale. Siamo sicuri quindi che quest’iniziativa commerciale non sarà un caso isolato.

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Musica dal vivo: il futuro dei concerti live è già in realtà virtuale

Una delle cose che più ci manca in questo anno di distanziamento sociale è sicuramente la possibilità di fruire degli spettacoli dal vivo, teatrali e musicali, come la possibilità di poter condividere una visione cinematografica con il resto del pubblico presente in sala.

Tra le proteste e l’avvilimento dei lavoratori dello spettacolo, che ancora dopo un anno dall’inizio della pandemia non vedono riconosciuti i propri diritti, e gli spettatori, orfani di una qualsiasi fruizione culturale in presenza, ci sono aziende che guardano al futuro ed hanno sviluppato nuove tecnologie per godere di un concerto senza uscire di casa ma, allo stesso tempo, senza rinunciare al tipico bagno di folla delle performance dal vivo.

Ma come si può andare ad un concerto senza alzarsi dal divano di casa? Abbiamo ampliamente trattato le potenzialità dello streaming (L’evoluzione del mercato della musica dal vivo nel 2020: i vantaggi dello streaming per utenti ed inserzionisti), ma se alla possibilità dello streaming aggiungessimo un’esperienza completamente immersiva ed in condivisione con altri utenti?

In questo caso, avremmo scoperto la Realtà Virtuale e le sue enormi potenzialità ancora inespresse, soprattutto in Italia, dove questa tecnologia è in crescita ma non è ancora mainstream come in altri paesi europei (ad esempio, in Francia, dove nell’ultimo anno si sono moltiplicati gli eventi virtuali grazie anche a sostenitori d’eccezione come Jean-Michel Jarre, pioniere della musica elettronica e performer da centinaia di migliaia di visualizzazioni).

Si conta che in America siano circa 40 milioni le persone che utilizzano app o dispositivi di virtual reality e che eventi virtuali, come ad esempio i concerti dello scorso aprile del rapper Travis Scott sulla piattaforma Fortnite, abbiano raggiunto 45,8 milioni di visualizzazioni, così come il concerto che si è tenuto lo scorso novembre sulla piattaforma Roblox, del trapper Lil Nas X, che si stima abbia raggiunto oltre 33 milioni di visualizzazioni.

Ma come si partecipa in remoto ad un concerto in Realtà Virtuale (VR) o in Realtà Aumentata (AR)?

Per fruire di un’esperienza che coinvolga tutti i sensi, al pari di una performance dal vivo, è necessario dotarsi della tecnologia adatta: cuffie performanti, visori ottici o smartphone che supportino app per AR, e poi potrebbero essere utili applicazioni come Peex, che permette di mixare gli strumenti che suonano live sul palco, offrendo un’esperienza completamente personalizzata.

Per i musicisti, invece, è fondamentale esibirsi con alle spalle il classico green screen, riprendere le performance e servirsi di app come Melody VR, che ricostruisce l’ambiente perfetto del concerto in realtà virtuale, fruibile da tutti gli utenti comodamente da casa.

Ci sono poi aziende che non hanno aspettato la pandemia ed il distanziamento sociale per fare il salto tecnologico: è il caso di Wave, azienda fondata nel 2016 a Los Angeles, che mira a mettere insieme il meglio della musica dal vivo, dei videogiochi e della tecnologia per creare spettacoli live, interattivi e coinvolgenti.

La piattaforma, in continua crescita, utilizza la grafica 3D per creare avatar dei performer e scenari avveniristici che rendono unico qualsiasi evento musicale, ed ultimamente è diventata punto di riferimento del settore ospitando live di artisti internazionali come John Legend.

La VR investe tutti i campi della musica, e non solo la musica pop: è il caso della piattaforma Sensorium, che sta trasformando i dj-set in show di culto e sta profondamente rivoluzionando la musica elettronica.

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A distanza da un anno dal primo lockdown, siamo ancora qui a confrontarci con chiusure più o meno generalizzate e con abitudini di vita e di lavoro che fatichiamo ancora a fare nostre. Ecco i nostri suggerimenti per la vostra remote life.

Le potenzialità di un mercato, come questo, in forte espansione sono infinite e potrebbero investire diversi settori, soprattutto quelli ad alto impatto creativo, aprendo a possibilità di nuovi business ed investimenti.

La possibilità di raggiungere in modo coinvolgente ed interattivo una fetta di pubblico sempre maggiore potrebbe spingere le aziende ad investire in sponsorizzazioni di eventi musicali in VR o in AR, o a servirsene per pubblicizzare un prodotto.

Del resto, ci sono già esempi di questo tipo, che a noi sembrano il futuro, ma negli U.S.A. appartengono già al passato.

È il caso della nota marca di gelato Häagen-Dazs (che i giovanissimi ricordano perché citata nella canzone “Trinità” di Gue Pequeno), che nel 2013 lanciò il suo “Concerto Timer” in Realtà Aumentata; bastava inquadrare con una app il coperchio del gelato per assistere ad un concerto di musica classica virtuale, della durata di 2 minuti; tanto infatti era il tempo di attesa consigliato per permettere al gelato di raggiungere la consistenza ideale per essere gustato.

E mentre marketing e musica si organizzano per offrirci esperienze sempre più immersive e personalizzate, tanto da non distinguere più la linea sottile tra arte e commercio, resta l’interrogativo su quanto diventerà preponderante il virtuale nella vita di tutti, se ci costringerà al distanziamento anche quando la pandemia sarà sconfitta o ci sarà d’aiuto nel lavoro o nell’apprendimento, se ci aiuterà a tenere rapporti con chi è lontano o ci isolerà, se sarà “moltitudine o solitudine”.

Se lo chiede Vasco Brondi, indagando tra le tante anomalie della rete, nella sua “Iperconnessi”, ce lo chiediamo anche noi, certi che, passato questo periodo di costrizione, non sarà tutto come prima e dovremo fare i conti con l’enorme salto tecnologico, che, a torto o a regione, sta cambiando le nostre vite, i nostri rapporti ed il modo di fruire la musica e le arti in generale.

Il futuro, non solo dei live, è già arrivato ed è nel virtuale; siamo pronti per questo cambio di paradigma?

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Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Le competenze trasversali utili a promuovere la musica emergente: intervista al cantautore pugliese Gregucci

Ricordo un tempo, non troppo lontano, in cui se un cantautore alle prime armi voleva condividere le proprie canzoni e promuovere la sua musica, non doveva far altro che imbracciare la sua chitarra e suonare, prima tra gli amici, poi magari nel club sotto casa e, man mano che acquistava familiarità con il proprio pubblico, cominciare a proporre la sua arte sempre più lontano dal suo circondario.

La musica era qualcosa che aveva a che fare con la prossimità e la possibilità di avere spazi per poterla condividere, poter suonare e, forse, l’unica competenza al di fuori della capacità di saper suonare o comporre musica e testi era la capacità di relazionarsi con il pubblico, cercando di instaurare un dialogo che fosse efficace sul piano emotivo.

Scopri il nuovo numero: Lifelong learning In un mondo del lavoro in continua trasformazione, l’unica certezza che ci accompagnerà nei prossimi anni è che avremo sempre più bisogno di formazione. Solo attraverso la formazione continua saremo in grado di affrontare le sfide del futuro.

Lo stesso discorso poteva valere per gli artisti già affermati e che avevano alle spalle una casa discografica che si occupava interamente della promozione e di conseguenza anche della comunicazione; l’artista. in questo caso, doveva fare il suo mestiere e non era tenuto ad avere nessun tipo di competenza nel campo del marketing e della comunicazione.

Questo comportava che solo chi disponeva di uno staff competente riusciva a farsi conoscere e proporre la propria musica a livello nazionale; gli altri, se erano fortunati, riuscivano ad essere conosciuti al massimo a livello regionale.

Lo stesso avveniva per la produzione musicale: soltanto le case discografiche erano in grado di produrre e distribuire la musica su larga scala e sui diversi supporti fisici, così gli artisti emergenti finivano per non avere le risorse economiche necessarie per produzione e distribuzione delle proprie canzoni, finendo per riuscire, quando andava bene, a realizzare solo una demo da inviare alle case discografiche per cercare di attrarre chi potesse fornire loro le risorse necessarie a realizzare il loro sogno cantautoriale.

Poi sono arrivati i Social Network ed abbiamo assistito ad una vera e propria democratizzazione della musica, non importava chi era l’artista, dove si trovava fisicamente, chi lo sponsorizzava, tutti potevano usufruire di una vetrina mondiale in pochi click, un’enorme cassa di risonanza che rendesse visibile la propria musica ovunque e senza distinzioni. M i c h e l e G r e g u c c i , i l c a n t a u t o re pugliese protagonista di questa video-intervista.

È esploso in questo modo il fenomeno degli Youtuber, in barba alle case discografiche ed alle figure specializzate, così i musicisti si sono ritrovati ad essere al tempo stesso producer, esperti di marketing, social media e community manager pur non avendo alcuna competenza specifica, ma, al tempo stesso, si sono ritrovati a dover acquisire costantemente abilità digitali che prima non erano richieste e, forse, nemmeno contemplate.

In questo contesto, la musica è diventata liquida e lo streaming ha permesso di fare a meno dei supporti fisici prima ritenuti indispensabili.

Ad accelerare questo processo che appariva irreversibile è poi arrivata la pandemia da Covid-19, cancellando i concerti dal vivo e segnando un nuovo paradigma nel modo di fare musica, di cui ci siamo occupati parlando de “L’evoluzione del mercato della musica dal vivo nel 2020: i vantaggi dello streaming per utenti ed inserzionisti”.

Di questo, e molto altro, parliamo con Gregucci, al secolo Michele Gregucci, cantautore pugliese che si è trovato a cavallo tra il vecchio ed il nuovo modo di promuovere e fare musica ed il cui nuovo progetto musicale, nato prima della pandemia e non ancora concluso, si è realizzato grazie ad una campagna di crowdfunding.

Il progetto, dal nome casualmente profetico “Andare a piedi in Cina”, il cui singolo “Anche l’Ozio vuole la sua partner” è finalista a Rock, è l’esempio di come un progetto nato dal basso possa arrivare alla ribalta nazionale grazie al supporto di una community virtuale, ma è anche il pretesto per analizzare insieme all’autore le competenze laterali che un moderno musicista dovrebbe acquisire per promuovere la sua arte in modo indipendente dalle etichette discografiche.

Gregucci, musicista tarantino, collabora a vari progetti musicali esibendosi tra club, teatri e piazze in giro per l’Italia, contando decine di date. Nel 2017 si trasferisce a Milano, in questo periodo scrive “Andare a piedi in Cina”, disco sostenuto da una campagna di crowdfunding e finanziato da Poste Italiane. Contemporaneamente mette su una serie di racconti, poesie, suggestioni racchiusi e pubblicati in un libro dal titolo “Raccolti”. Il 2 settembre ha presentato “Andare a piedi in Cina”, data 0 risultata sold out, e in questo momento sta organizzando un tour live per la penisola.

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Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Formazione continua ed attenzione a donne ed ambiente alla base del successo di Avon: intervista a Marida La Gioia, zone manager di Avon Italia

Avon, azienda leader mondiale del settore cosmetico con 9 miliardi di dollari di fatturato ed oltre 6 milioni di Consulenti di bellezza in 150 paesi, ha affrontato negli ultimi anni un grande rinnovamento, passando dalla vendita diretta one-to-one all’e-commerce.

Cambiamento accelerato dalla pandemia da Covid-19 che, per forza di cose, ha messo in discussione e rimodulato soprattutto il lavoro della forza vendita, che si è ritrovata, da un giorno all’altro, ad adottare il distanziamento sociale a discapito delle vendite, senza poter più offrire, di persona, quella consulenza di bellezza personalizzata, da sempre punto di forza di un brand conosciuto da 1 donna su 3 nel mondo.

La rapida capacità di adattamento dell’intera struttura commerciale e la possibilità di spostare il business sulle piattaforme digitali (già attive prima del lockdown), sfruttando anche le potenzialità dei social network, ha permesso di mitigare le perdite e, allo stesso tempo, ha portato ad una crescita del 225% delle vendite e-commerce.

Questo è stato possibile grazie ad un costante e continuo lavoro di formazione e supporto della forza vendita, accompagnata verso la digitalizzazione del proprio lavoro, ma anche costantemente supportata da formazione su know-how di vendita e marketing attraverso un approccio misto all’apprendimento, con formazione face to face, desktop e mobile.

Oltre al costante lavoro di formazione diretta ad opera delle Responsabili di zona, importante anello di congiunzione tra Consulenti ed azienda, tutte le figure professionali impegnate nella vendita e nel reclutamento hanno a disposizione una piattaforma di e-learning on-line fruibile 24 ore su 24 insieme ad alcune app dedicate alla vendita ed all’apprendimento.

Questa possibilità di potersi formare in qualsiasi momento della giornata ed in piena autonomia rientra appieno nella filosofia aziendale di libertà di organizzazione flessibile del lavoro. Inoltre, la formazione e l’informazione non riguardano soltanto prodotti e tecniche di vendita, ma si allargano, attraverso una vera e propria sensibilizzazione, sui temi legati alle donne, come tumore al seno e violenza di genere, spostandosi fino a tutela dell’ambiente, sviluppo sostenibile ed economia circolare. Un’attenzione che mira a fornire competenze più laterali e più vaste della semplice capacità di vendita di un profumo o di un rossetto, ma punta a sviluppare una sensibilità utile in un mondo sempre più interconnesso, in cui le decisioni ed i comportamenti individuali rispecchiano, molto spesso, i comportamenti globali.

Ne parliamo con Marida La Gioia, Responsabile di zona per Avon Italia, in una regione come la Puglia che sta trainando le vendite nazionali con il 10,91% di vendite sul totale e che conta il 10,65% delle Consulenti italiane.

Com’è cambiato il suo lavoro e quello delle sue consulenti nell’ultimo anno?

Da Marzo dello scorso anno l’emergenza sanitaria ci ha portati a fare un cambio di prospettiva. Abbiamo rivisto la strategia sulle vendite, ma molto di più abbiamo implementato strumenti digitali per poter in primo luogo essere vicini alle persone e sostenerle nel cambiamento. Il mio lavoro e quello di tutte le Avon leader e consulenti si è trasformato, poiché abbiamo sostituito la gran parte delle relazioni personali, sia in fase di vendita che per la formazione, con incontri in videoconferenza all’interno dei quali la parola d’ordine rimane “POSITIVITA’”.

Quali strumenti ha messo a disposizione della forza vendita la sua azienda per affrontare la pandemia?

Avon Italia ha sempre effettuato la vendita diretta utilizzando strumenti cartacei e, in maniera ancora più efficace, prodotti demo da mostrare dal vivo alle clienti. In questo ultimo anno l’azienda ha avuto una straordinaria evoluzione digital con nuovissime app, all’interno delle quali ci sono utilissime piattaforme di training, cataloghi digitali che permettono al cliente stesso di poter effettuare un ordine in autonomia e riceverlo direttamente a casa, fermo restando il supporto personalizzato fornito dalla consulente di fiducia. Ancora più importante la spinta all’utilizzo della piattaforma di e-commerce, che ci permette di essere presenti sul mercato con una veste dinamica che soddisfa le esigenze di ogni tipologia di cliente e permette alle consulenti una crescita sulle vendite molto importante, utilizzando un canale che è diventato di fondamentale importanza per tutto il business. Scopri il nuovo numero: Lifelong learning In un mondo del lavoro in continua trasformazione, l’unica certezza che ci accompagnerà nei prossimi anni è che avremo sempre più bisogno di formazione. Solo attraverso la formazione continua saremo in grado di affrontare le sfide del futuro.

Quanto è importante la formazione continua per la sua azienda?

La formazione erogata costantemente da Avon permette davvero di avere una visuale a 360 gradi delle opportunità di crescita fornite dall’azienda, poiché parte dall’idea di costruire strategie e obiettivi mirati su ogni singola persona per sviluppare i talenti di ognuno. Il punto di partenza resta sempre la soddisfazione di poter raggiungere un traguardo per poi sviluppare una crescita che va ben oltre le aspettative, e per questo occorre avere gli strumenti. Attraverso incontri mirati a spiegare le opportunità offerte dal piano di business si offre anche un metodo per gestire e pianificare azioni quotidiane che permettano di arrivare ad essere anche lungimiranti nella visuale d’insieme ed efficaci nella messa in atto delle strategie.

Oltre alla formazione, Avon si distingue per la sensibilizzazione sui temi legati alle donne ed all’ambiente, possiamo intendere queste campagne di sensibilizzazione come delle competenze laterali che mirano a formare le donne del futuro?

Ciò che Avon propone quotidianamente è incentrato sulla opportunità di realizzazione della PERSONA. Parlando di business non si può evitare di innestarlo nella quotidianità di ciascuno, per questo la solidarietà per due cause in particolare, lotta e prevenzione del tumore al seno e associazioni che si occupano di donne vittime di violenza domestica, diventano essenziali per la completezza delle competenze di ciascuna consulente, come anche la sensibilità per l’ambiente. Solo rimanendo concretamente accanto alla vita di ciascuno si può arrivare a creare una relazione di fiducia che diventa supporto soprattutto dal punto di vista umano, e solo creando relazioni autentiche il business è fecondo e non rimane una sterile attività fine a se stessa.

Marida La Gioia, ragioniera e perito commerciale quarantacinquenne, da 8 anni è Zone Manager di Avon Italia per la quale si occupa di fornire alla forza vendita percorsi personalizzati di crescita, realizzazione e guadagno, attraverso supporto e formazione costanti.

Ha iniziato la sua carriera in Avon gestendo un piccolo territorio, per poi crescere nel corso degli anni fino ad avere una zona geografica di competenza sempre più estesa ed una struttura vendite che si dirama in tutta Italia.

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Niente di speciale: l’amore secondo l’Indie italiano

Non esiste essere umano che, almeno una volta nella vita, non si sia dovuto confrontare con l’amore e le sue pene, ma la musica italiana ha fatto di questo nobile sentimento, l’argomento principe di ogni sua narrazione.

Lo sanno bene i melomani di tutti il mondo accomunati da una passione smisurata per l’opera lirica, lo sanno gli amanti della canzone popolare napoletana ed i neomelodici, lo sanno gli appassionati di musica antica anche se, la massima espressione della canzone d’amore la ritroviamo nelle più classiche canzoni italiane.

Le nostre canzoni d’amore, cantate in tutto il mondo, in fondo sono un tratto ben distinguibile della cultura musicale italiana, romantiche ed appassionate, struggenti e malinconiche ma che spesso narrano un amore troppo “cortese” e troppo idealizzato. Con questo, non si vuole sminuire l’immenso patrimonio musicale della canzone d’amore che novera grandissimi capolavori della musica, né tanto meno demonizzare la rima facile da “Tre parole”: “sole, cuore e amore”, semplicemente cercare un altro modo per parlare d’amore, più ironico, più schietto e più quotidiano.

Insomma, se per una volta, cercassimo di guardare l’amore sotto altri punti di vista? In questo, può venirci in aiuto la musica indipendente italiana con la sua anti convenzionalità ed irriverenza ma anche, e soprattutto, con la sua differente sensibilità, che ci mostra un amore ben diverso da quello idealizzato, ma non meno profondo.

L’amore così, diventa anche il pretesto per raccontare altri temi ed altre forme che in una classica canzone italiana, non troverebbero spazio. Allora l’amore potrebbe essere “Un colpo di pistola” per Brunori Sas e guardare il femminicidio sotto un altro aspetto; oppure “L’amore è una dittatura” per i The Zen Circus nell’esercizio di stile che cala le vicende amorose nella società contemporanea, per poi accorgersi che in fondo, “il loro non era un amore poi tanto diverso”, come racconta Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica) ne “Le ragazze stanno bene”; insomma “Niente di speciale” per Lo Stato Sociale nel raccontare “una storia che non si può dire”, tenuta nascosta agli occhi del mondo e non meritevole di essere raccontata e vissuta liberamente.

Non soltanto storie particolari ed anticonformiste, l’Indie è capace di raccontare anche il più classico degli innamoramenti accompagnato dalla confusione e del senso di smarrimento che ne derivano; una confusione, che ad esempio, mischia le parole e sovverte la sintassi, ma non impedisce di dichiarare l’amore come in “Te per canzone una scritto ho” de Lo Stato Sociale, oppure genera stranezza, quasi estraneità, come nel “Punk sentimentale” de Le luci della centrale elettrica in cui, quel “ Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano 2”, riprende la più classica canzone d’amore (“Innamorati a Milano” di Alberto Testa e Memo Remigi) e la attualizza arricchendola di significato.

Un amore fatto di dichiarazioni e desideri semplici come “Vieni a vivere” di Dente ed “Ho bisogno di dirti domani” di Nicolò Carnesi, ma anche dello struggimento che può derivare da una separazione come in “Cosa mi manchi a fare” di Calcutta ed “Il fiore per te” dei Sick Tamburo.

Canzoni che ci posso aiutare a comprendere le sfaccettature di un sentimento e, forse, a viverlo ed affrontarlo in modo diverso, anche se fosse soltanto un’attrazione momentanea e puramente fisica, oppure canzoni da cui dovremmo slegarci per vivere l’amore senza alcuna convenzione romantica e per quello che è: la commistione tra piacere fisico e idillio di anime, dando ragione a Brunori che canta in “Per due che come noi”:

E chi se ne frega se è sesso o se è amore

Conosco la tua pelle tu conosci il mio odore Che poi chi l’ha detto che è peggio un culo di un cuore

E che serve una canzone per parlare d’amore.

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Musica è Memoria: Canzoni per non dimenticare la Shoah.

“Son morto con altri cento

Son morto ch’ero bambino

Passato per il camino

E adesso sono nel vento

Adesso sono nel vento..”

Recita così “Auschwitz” (La canzone del bambino nel vento), una delle più celebri canzoni italiane che racconta l’orrore dei campi di sterminio, composta Francesco Guccini nel 1966.

Allora, come oggi, quei versi che si interrogano sulla ferocia degli uomini (“Io chiedo come può un uomo – Uccidere un suo fratello”) e che rivelano una velata rassegnazione sulla reale natura umana (“Ancora tuona il cannone – Ancora non è contento – Di sangue, la belva umana”), continuano a risuonare come monito contro tutte le guerre, ci esortano a non dimenticare, perché ciò che è accaduto una volta può ripetersi in futuro; del resto, quello degli Ebrei non è l’unico genocidio sistematico, né l’unico crimine contro l’umanità della storia recente.

A ricordarcelo, un bellissimo brano dei Radiodervish, “Giorni senza memoria”, pubblicato il 25 aprile del 2019, il cui testo si sofferma ad elencare una serie di genocidi e di crimini contro l’umanità spesso dimenticati.

Eppure, adesso, nel momento in cui l’attenzione mondiale è rivolta a combattere un nemico invisibile che ha già colpito milioni di vittime nel mondo, la pandemia da Covid-19, che ha toccato tutti indistintamente (modificando abitudini, stili di vita e di lavoro, imponendo distanziamento sociale e coprifuoco tanto da farci sentire in guerra, coinvolti in una guerra il cui nemico non ha un volto, una nazionalità, un ideale), oggi la Shoah ci appare ancora più lontana, come se appartenesse ad un passato ormai remoto. Invece sono trascorsi appena 76 anni da quando le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di Auschwitz, il 27 gennaio 1945.

Ecco perché, proprio ora, quando la nostra attenzione, come quella mondiale, è rivolta ad altro, la musica deve aiutarci a non dimenticare questa dolorosissima pagina di storia contemporanea, la musica deve essere testimonianza di tutte quelle atroci storie che non vorremmo mai più ascoltare, ma che abbiamo il dovere e l’obbligo morale di non dimenticare, come quella dell’“Orchestra delle ragazze di Auschwitz” (Mädchenorchester von Auschwitz).

Creata dalle SS nel 1943 nel campo di Auschwitz-Birkenau con lo scopo di dare parvenza di un clima disteso, che in realtà non esisteva, ed offrire svago alle truppe, era l’unica orchestra femminile composta da detenute del campo, mentre ne esistevano omologhe maschili in altri campi di concentramento.

Orchestre spesso create con musicisti improvvisati, costretti a suonare per tantissime ore al giorno, malnutriti e vessati dei loro aguzzini, ma che assolvevano un ruolo sociale molto importante, dare conforto a chi, come loro, era detenuto in quei campi dell’orrore, a dimostrazione di quanto la musica possa essere terapeutica anche nei momenti più tragici.

L’“Orchestra delle ragazze di Auschwitz”, oltre ad avere la particolarità di essere composta da sole donne, ebbe il privilegio di ospitare, ad esempio, Alma Maria Rosé, talentuosa violinista austriaca e nipote del grande compositore Gustav Mahler, e Fania Fénelon, nota cantante e pianista francese.

Purtroppo, nessuna musica, suonata persino in prossimità dei forni crematori come ad Auschwitz, poté salvare i deportati nei campi di sterminio da morte certa, ma sicuramente li accompagnò a morire con dolcezza, così come racconta Leonard Cohen nella sua “Dance me to the end of love”.

Scopri il nuovo numero: The day after

Dopo un 2020 così pesante sotto tutti i punti di vista, il 2021 deve rappresentare, per tutti noi, l’alba di un nuovo inizio.

Quei forni crematori non risparmiarono neanche i religiosi, come la santa Edith Stein, ebrea convertita al cattolicesimo e deportata dal convento carmelitano di Echt, nei Paesi Bassi, ad Auschwitz-Birkenau, dove morì incenerita.

È dedicato alla sua storia “Il Carmelo di Echt”, brano dalla forte potenza mistica ed evocativa, che Juri Camisasca compone nel 1990, successivamente interpretato anche da altri artisti come Giuni Russo e Franco Battiato.

I forni crematori costituiscono anche una parte importante dell’incubo caustico dell’ermetica canzone di Francesco De Gregori “Cercando un altro Egitto” (“Lontano più lontano degli occhi del tramonto – Mi domando come mai non ci sono bambini – E l’ufficiale uncinato che mi segue da tempo – Mi indica col dito qualcosa da guardare – Le grandi gelaterie di lampone che fumano lente – I bambini, i bambini sono tutti a volare”), che anche nella sua “Numeri da scaricare” ci esorta a non essere indifferenti volgendo lo sguardo altrove, non solo di fronte all’olocausto degli Ebrei, ma anche davanti a tutte le guerre ed ingiustizie del nostro tempo (“Puoi pure non guardare – Ma non è possibile che non vedi”).

Il momento presente, in cui la pandemia ha dimostrato che in fondo non esistono differenze razziali e siamo tutti vulnerabili allo stesso modo, ed allo stesso modo stiamo soffrendo, forse dovrebbe essere il momento migliore per fare riflessioni importanti anche a livello mondiale, forse è davvero arrivato il tempo di abbattere muri, appianare differenze, promuovere la cultura di tolleranza e di pace, eliminare le disuguaglianze, per evitare che in futuro anche questi siano “Giorni senza memoria”; solo così “dopo il buio sai nascerà la luce”.

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Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Playlist a prova di cottura: Barilla lancia un nuovo modo di cucinare la pasta

“Italiano mangia spaghetti e suona mandolino”

Da sempre è questo lo stereotipo dell’italiano, per chi italiano non è; del resto non possiamo negare la nostra passione morbosa per la pasta e neppure per la musica.

In fondo, l’opera lirica è frutto del genio italiano e sono stati i nostri migranti a far diventare popolare ed apprezzata la canzone italiana oltreoceano, così come è legato alla malinconia degli emigrati italiani il tango argentino.

Ancor più che per la musica, la pasta, cardine della dieta mediterranea, ci identifica e rappresenta nel mondo.

E se l’italiano suonasse il mandolino per tener conto del giusto tempo di cottura? Ironia a parte, tutto potrebbe essere quando si parla di un popolo che ha fatto della rottura degli schemi e della creatività la sua bandiera. Ci piace pensare che questa immagine evocativa abbia ispirato anche i creativi della Publicis (nota agenzia di comunicazione), tanto da spingerli a creare per la Barilla una playlist musicale che funga da timer per la cottura perfetta.

Musica per ingannare il tempo interminabile passato a guardare il timer, che duri il tempo giusto per far cuocere a puntino il tipo di pasta scelto e che ci eviti di andare alla ricerca dei minuti di cottura sulla confezione, certe volte illeggibili.

Una playlist timer fruibile su Spotify che ci sollevi dall’incombenza di star lì a contare i minuti ed allo stesso tempo ci intrattenga, idea tanto banale da risultare ovvia; in fondo, si sa che con un po’ di musica tutto diventa più fluido e meno pesante da affrontare, tanto che molti creativi, e non, si chiederanno: “Ma come mai non ci ho pensato prima?”

Forse perché la genialità non sta nel voler segnare il tempo di cottura, ma nel rendere questo momento un’esperienza artistica immersiva che coinvolga tutti i sensi, un nuovo modo di concepire il tempo impiegato per cucinare.

La pasta intesa come espressione artistica di ognuno, personalissimo processo creativo accompagnato dalla musica dei 4 generi più ascoltati in Italia (i grandi classici del passato, la musica pop, l’hip hop e l’indie), suggellato dalle visioni di 8 artisti di fama mondiale che hanno curato le copertine delle 8 playlist pensate per Barilla.

Le copertine realizzate da Emiliano Ponzi, Van Orton, Alessandro Baronciani, Mauro Gatti, Carol Rollo, Nico 139, Fernando Cobelo e Andrea Mongia danno un taglio decisamente pop, evocando suggestioni ai provetti cuochi che si lasceranno trascinare per pochi minuti dalla musica di playlist dai nomi altrettanto suggestivi come “Mixtape Spaghetti”, “Boom Bap Fusilli”, “Pleasant Melancholy Penne”, “Moody Day Linguine”, “Top Hits Spaghetti”, “Best Song Penne”, “Timeless Emotion Fusilli” e “Simply Classics Linguine”.

A quanto pare, le playlist verranno periodicamente aggiornate, nel perfetto stile della piattaforma Spotify, per evitare l’effetto “noia” di cui sono spesso affetti gli utenti della rete.

Ci abbiamo provato anche noi, perdendoci nei successi senza tempo di “Timeless Emotion Fusilli”, tra Beatles, Mina, Edoardo Bennato, Fabrizio De André, , Luigi Tenco e , il risultato è stato cottura perfetta dei nostri fusilli ed un viaggio di 11 minuti tra gli intramontabili capolavori della musica.

Davvero un bel modo di legare l’arte culinaria alla musica ed alle arti figurative, ma anche la dimostrazione che le semplici campagne pubblicitarie non bastano più, qualsiasi brand, anche il più commerciale di tutti, ha bisogno di trovare mezzi sempre più innovativi per arrivare al suo pubblico e la musica, in questo senso, gioca un ruolo centrale.

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La regina Elisabetta e la musica pop: business o passione?

Sta facendo il giro del mondo la notizia che vede la regina d’Inghilterra Elisabetta II come principale acquirente dei diritti d’autore di un nutritissimo catalogo composto da oltre 24 mila brani, in cui spiccano alcuni tra i successi planetari degli ultimi quarant’anni.

Così, viene spontaneo chiedersi se dietro quest’investimento ci sia il fiuto e l’arguzia di una navigata donna d’affari o il mecenatismo di una saggia sovrana.

In fondo, abbiamo sempre immaginato che dietro la compostezza e l’impeccabilità della regina si nascondesse un’anima rock, la dimostrazione sono le tantissime star della musica che hanno ricevuto nel corso degli anni il titolo di “MBE (Member of the British Empire – Membro dell’ordine dell’Impero Britannico)”.

Del resto, solo una regina illuminata e moderna poteva pensare di insignire i trasgressivi Beatles, che ricevettero il prestigioso titolo nel 1965, o il grande Mick Jagger, voce dei Rolling Stones, insignito nel 2003.

Esempi dei tanti titoli che nel corso del suo lunghissimo regno Elisabetta ha conferito a musicisti britannici per le loro doti artistiche.

Premiata, ad esempio, la voce graffiante di Rod Stewart, così come le doti del chitarrista e cantante dei Pink Floyd, David Gilmour; insigniti anche Bono Vox, Annie Lennox, l’intramontabile Sting e la divina Adele.

L’amore per la musica pop sicuramente è un’ottima motivazione per pensare di investire in royalty, attraverso il CCLA Investment Management (il Fondo di investimento della Chiesa anglicana), di fatto gestito dalla Corona britannica, soprattutto se il socio in affari è il fidato arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, anche se non crediamo che esista motivazione migliore delle centinaia di milioni di sterline che fruttano successi planetari e milioni di ascolti.

Tra i 24 mila brani, infatti, troviamo, ad esempio, “Umbrella” di Rihanna, “All I want for Christmas” di Mariah Carey, “Sweet dream” degli Eurythmics e tanti altri brani di altrettanti artisti di fama internazionale, come Bruce Springsteen, Bon Jovi, Justin Timberlake, Beyoncé, Guns N’Roses e persino il ribelle rapper Fifty Cent, a dimostrazione di quanto Elisabetta possa essere al passo con i tempi, nonostante non sia giovanissima e guidi i suoi sudditi da ben 68 anni.

Sebbene sembri che non gestirà direttamente i diritti d’autore dei brani acquistati, chissà che con i suoi suggerimenti, con la sua indiscutibile verve e la sua lungimiranza, la regina non riesca a dare nuova linfa al mondo della musica pop internazionale, fortemente penalizzato dalla grave crisi innescata dalle restrizioni per contenere la pandemia, e magari, come è già accaduto tante volte in passato, lanci un nuovo trend. In questo caso investire sulla musica non sarebbe soltanto redditizio, ma anche cool.

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L’evoluzione del mercato della musica dal vivo nel 2020: i vantaggi dello streaming per utenti ed inserzionisti

Quello appena trascorso è stato un anno con pochissima musica dal vivo, ma siamo sicuri che sia stato un anno senza musica?

La pandemia ci ha costretti a trovare nuovi modi di fruire la musica dal vivo, da rito per lo più collettivo a fenomeno individuale, eppure non abbiano rinunciato affatto al piacere della musica, abbiamo soltanto trovato altri modi per ascoltarla.

Probabilmente, prima delle restrizioni dovute al Covid-19, pochi avrebbero guardato un concerto intero su Youtube, pochissimi avrebbero pagato per acquistare dei biglietti per un concerto in streaming, invece oggi questo è realtà e si presume lo sarà ancor di più negli anni a venire.

La dimostrazione concreta la troviamo nell’impennata delle visualizzazioni e registrazione agli eventi musicali, ma anche nella crescita degli utenti di tutte le piattaforme che offrono musica in streaming, trascinando anche il mercato dell’elettronica, attento a proporre apparecchi sempre più performanti per l’ascolto in alta fedeltà. F o t o d i C h a d K i r c h o ff da Pexels

Ecco perché conviene porre l’attenzione su un mercato che sta subendo una grande evoluzione, spostandosi dal reale al virtuale, diventando sempre più liquido, ma anche più misurabile e tracciabile.

Da sempre la musica è veicolo di messaggi commerciali, jingle creati ad hoc ed hit del momento, che sono sempre stati capaci di decretare il successo o l’insuccesso commerciale dei più svariati prodotti, per non parlare di tutte le volte in cui abbiamo preso parte ad un evento musicale dal vivo in cui erano inseriti messaggi pubblicitari più o meno espliciti, dagli stand ad interi festival e concerti organizzati e/o sponsorizzati da un unico brand.

Come cambierebbe il modo di proporre e comunicare un prodotto se da veicolare un messaggio generalizzato si passasse ad un messaggio personalizzato?

Molti se lo chiedono, soprattutto in riferimento alla piattaforma Youtube che, grazie anche alle restrizioni dovute alla pandemia, ha registrato un record di iscritti e visualizzazioni, con un numero sempre più crescente di persone che riproducono a schermo intero contenuti musicali, non solo sulle smart tv, ma anche sui dispositivi mobili precedentemente utilizzati più per l’ascolto che per la visione.

Scopri il nuovo numero: Simply the best È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico. Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio.

Questo significa che, contrariamente a ciò che si potrebbe immaginare, gli utenti guardano con attenzione ciò che stanno ascoltando e, di conseguenza, i messaggi pubblicitari in essi contenuti, che dovrebbero essere ancor più targettizzati e personalizzati in base al profilo di chi guarda.

Un vantaggio non da poco, che dovrebbe spingere gli inserzionisti a puntare sul web a discapito dei tradizionali mezzi di comunicazione come la televisione, meno seguiti, ad esempio, da giovani e giovanissimi, ma anche a rivalutare la portata degli eventi dal vivo.

Si stima che oltre l’85% di visualizzazioni di video musicali su YouTube avviene in primo piano e che il 60% del consumo di musica su YouTube avviene su dispositivi mobili, anche se lo strumento maggiormente in crescita per fruire di contenuti musicali è la TV.

Numeri importanti, se consideriamo che Youtube conta oltre 2 miliardi di utenti mensili che usano la piattaforma per ascoltare contenuti musicali digitali, che YouTube Music include oltre 70 milioni di brani ufficiali (più di qualsiasi altro servizio analogo) e che il tempo di visualizzazione di spettacoli musicali dal vivo registrati e riprodotti sugli schermi televisivi è aumentato di oltre il 100% tra luglio 2019 e luglio 2020.

La tendenza del momento, quindi, è quella di cercare di riprodurre, a casa propria ed in solitudine, l’esperienza del concerto dal vivo, seppur con i limiti del caso.

Ma non parliamo soltanto di messaggi pubblicitari più specifici e personalizzati, quello che dovrebbe far riflettere è anche la possibilità di raggiungere un pubblico molto più vasto di un qualsiasi evento musicale dal vivo, seppur di dimensioni colossali, non solo dal punto di vista numerico, ma anche geografico.

Ad esempio, Il “ Park 2017”, tenuto a Modena nel luglio 2017 da per festeggiare 40 anni di carriera musicale, che ad oggi risulta il concerto con il più alto numero di spettatori paganti, con oltre 225.000 biglietti emessi, diventa un evento da poco di fronte agli oltre 5 milioni di spettatori nel mondo, sintonizzati da oltre 176 paesi, di “Studio 2054”, il concerto in streaming (a pagamento) tenuto da Dua Lipa, lo scorso 20 dicembre.

Visualizzazioni e streaming musicali da record che sono sintomi di come stia cambiando l’industria musicale, o meglio, di come sia già cambiata, quasi senza accorgersene, il che prefigura vantaggi non soltanto per i marketers, ma anche per il pubblico.

L a p o p s t a r D u a L i p a , d urante il concero evento in streaming mondiale Studio 2054.

Siamo sicuri che nulla potrà mai sostituire uno spettacolo dal vivo a livello d’impatto emotivo, ma il poterne disporre a prezzi più bassi rispetto a quelli dei biglietti canonici, senza il rischio di non potervi prendere parte a causa del sold out, abbattendo i costi di spostamento, sicuramente potrebbe dar vita ad un altro modo di fruire la musica dal vivo, più democratico ed alla portata di tutti.

Quante volte abbiamo rinunciato ad un concerto perché la location era troppo lontana da raggiungere, il biglietto era troppo costoso o l’evento era già sold out dopo poche ore?

Tutto questo non è più un problema grazie allo streaming.

Il 2020 è stato l’anno in cui l’industria musicale ha dovuto subire la crisi più nera, ma allo stesso tempo ha saputo reinventarsi e trovare nuovi modi per raggiungere il suo pubblico; così hanno dovuto fare quei brand che legavano la propria comunicazione a specifici eventi musicali.

Nel futuro probabilmente continueremo a fruire dei concerti dal vivo, ma non rinunceremo agli eventi in streaming, forse le due forme si ibrideranno sempre più, grazie anche a realtà aumentata e virtuale, mentre la comunicazione dei brand sarà sempre più ad personam.

Noi intanto sogniamo un futuro in cui scegliere tra lo streaming ed un concerto in presenza sia un’opzione e non una necessità, un futuro in cui la musica possa essere fruibile da tutti, anche dagli oltre 3 miliardi e mezzo di persone nel mondo, che ad oggi non hanno ancora accesso ad internet e di conseguenza a nessun servizio on-line. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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La musica del 2020: Spotify Wrapped e la classifica dei brani più ascoltati dagli utenti

Forse è stato uno di quegli anni che vorremmo dimenticare in fretta, eppure non credo che sarà così facile da buttarsi alle spalle, quello che invece ricorderemo a lungo, soprattutto per la carica emozionale, il sostegno e la compagnia, sarà sicuramente la musica ascoltata in questo 2020 che sta quasi volgendo al termine.

A supportarci in questo sforzo mnemonico e tirare le somme del nostro personalissimo anno in musica, in questi giorni giunge in nostro aiuto Spotify Wrapped, il tool della piattaforma streaming Spotify, attivo già da un paio d’anni.

Una profilazione precisa, puntuale e personalizzata sui gusti musicali degli utenti mondiali, fruibile da tutti gratuitamente e condivisibile sui social. Una targetizzazione significativa sotto l’aspetto del marketing, perché conoscere le tendenze ed i gusti degli utenti permette di offrire prodotti sempre più personalizzati, indirizzando il mercato della discografia mondiale ad assecondare queste tendenze. Risulta anche rilevante la possibilità di permettere agli utenti di condividere i propri risultati sui Social network in un mondo sempre più interconnesso, non facendo altro che aumentare la popolarità della piattaforma, ma anche del brand degli artisti più gettonati. Insomma, una sorta di rimpiattino mediatico che ha lo scopo di aumentare gli utenti che utilizzano l’applicazione, siano essi ascoltatori, artisti o podcaster.

320 milioni di utenti in tutto il mondo che, grazie a Spotify Wrapped, hanno potuto conoscere un’analisi approfondita dei propri gusti musicali, sapere quante ore hanno ascoltato musica durante l’anno, che generi e che artisti hanno preferito, qual è stata la canzone più ascoltata nel corso dell’anno insieme alla classifica delle canzoni del cuore, e molto altro, con quiz interattivi e divertenti per mettersi alla prova sui propri gusti musicali.

Sicuri di saper riconoscere quale canzone sia stata la colonna sonora del vostro 2020?

Quanti e quali generi musicali avete preferito?

Avete cavalcato le hit del momento o siete stati nostalgici, perdendovi tra i brani del passato?

Avete scoperto nuovi artisti e nuovi generi?

Noi abbiamo provato a rispondere a queste domande e vi assicuriamo che il risultato è stato tutt’altro che scontato, poi lo abbiamo condiviso sui social, scoprendo con stupore che qualche amico aveva già colto quelle nostre tendenze che, presi da troppo streaming, avevamo trascurato o non riconosciuto a noi stessi.

Del resto, il boom di condivisioni e la positività con cui è stata accolta la notizia del lancio di Spotify Wrapped, lo scorso 2 dicembre, ci lascia pensare che in fondo non sia la solita app e ci piace immaginare che possa essere un modo come un altro per conoscersi meglio, partendo da quell’aspetto più intimo, la musica che abbiamo sentito l’esigenza di ascoltare, per arrivare infine a fare un bilancio dell’anno al netto di quello che ci circonda, soffermandoci su un particolare aspetto interiore.

Pensieri forse troppo filosofici per un banale tool, eppure preferiamo pensare che la tecnologia non serva soltanto a distrarci ed intrattenerci, ma ci aiuti ad essere persone più complete.

Insieme a Spotify Wrapped, come consuetudine, Spotify ha reso noto le classifiche dei brani più ascoltati nel 2020, così ci siamo chiesti se si possa riassumere quest’anno partendo proprio da quello che hanno preferito i 320 milioni di utenti della piattaforma di streaming musicale più utilizzata al mondo.

Le classifiche hanno delineato un anno in cui abbiamo cercato il ritmo e prediletto le rime nel linguaggio semplice del rap, come quasi a voler scandire la lentezza del tempo che sembrava non passare mai, chiusi in casa e con i rapporti sociali ridotti ai minimi termini, mentre abbiamo preferito e riascoltato la musica dei mitici anni ’80, forse desiderosi degli antichi fasti di un tempo di prosperità e spensieratezza.

A livello globale spopola il rapper portoricano Bad Bunny, superando 8,3 miliardi di stream, ed anche in Italia è il rap il genere più amato, con Tha Supreme al primo posto, seguito da Sfera Ebbasta, Marracash, Gue Pequeno e Geolier, mentre Mediterranea di Irama e Good Times di Ghali sono le canzoni più ascoltate.

Cosa ci riserverà il prossimo anno musicale?

Quale canzone ci appassionerà?

È ancora presto per dirlo, ma siamo sicuri che, come ogni anno, Spotify riuscirà a carpirne ed anticiparne le tendenze; noi intanto ci auguriamo, e vi auguriamo, che lo streaming non sia il solo modo di fruire la musica, auspicando di poterci buttare alle spalle il distanziamento sociale ed il conseguente isolamento, così da ritornare ad ascoltare la musica dal vivo.

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Diodato. “Storie di un’altra estate”: la docu-serie da non perdere dal 29 novembre su RaiPlay

Se credessi a Babbo Natale, quest’anno gli chiederei di regalarmi una bella storia, una di quelle storie che mi faccia riflettere sul senso profondo delle cose, una storia piena di sole, musica e poesia che mi aiuti a guardare con speranza l’anno che verrà ed a buttarmi alle spalle un anno difficile.

Forse non è il momento giusto per desiderare musica o poesia, e nemmeno per evocare l’estate, il sole e la conseguente spensieratezza che ne deriva, eppure la docu-serie che racconta il viaggio di Diodato attraverso un’insolita Italia sembra giungerci proprio come un regalo di Natale anticipato in un umido, freddo ed altrettanto insolito novembre.

Un viaggio appassionato che tocca la penisola, da nord a sud, al seguito del tour di concerti che Antonio ha fortemente voluto, nonostante le limitazioni imposte dalle misure di contenimento del Covid-19 e la conseguente crisi del settore; un viaggio non solo fisico, ma anche interiore, alla riscoperta della bellezza in tutte le sue forme. https://www.youtube.com/watch?v=NzarKgpvCtc&feature=emb_title

In fondo, sarebbe solo stato il solito viaggio, uno dei tanti, l’ennesimo tour estivo del settantesimo vincitore del Festival di Sanremo e noi avremmo potuto vivere la solita estate di concerti, feste, vacanze, se non fosse altro che l’estate 2020 non ha mai avuto nulla di consueto, non è stata un’estate come tante, bensì “Un’altra estate”, l’estate diversa di cui ci ricorderemo a lungo.

“Storie di un’altra estate” non poteva che richiamare il singolo che Diodato ha composto durante il lockdown, perfettamente riassunto, dipinto in un quadro a tinte forti, quel misto di solitudine e sconforto impastato a speranza, al risveglio della natura dopo un lungo inverno, il desiderio e la possibilità di guardare oltre la propria finestra, assaporare la libertà di perdersi all’orizzonte o semplicemente, guardando quell’orizzonte con occhi diversi e apprezzando ciò che prima era dato per scontato.

È così che un viaggio come tanti diventa racconto appassionato che tocca più livelli, un modo per guardare l’Italia con occhi diversi e con spirito differente, ma allo stesso tempo il grimaldello che ci permette di entrare nell’anima dell’artista, carpirne le fragilità, come l’estrema sensibilità, la positività e l’innata gentilezza. È un viaggio che va dalle montagne di Aosta, città natale di Antonio, al mare di Taranto, luogo dove è cresciuto e dove si trova la sua famiglia, lo stesso mare che l’artista traspone nelle sue canzoni, passando per Roma, luogo di formazione giovanile, Milano, città dove attualmente vive e sede della Carosello Records (la casa discografica che lo ha accolto e valorizzato), senza tralasciare Venezia ed il suo rapporto con il Cinema.

Otto puntate sotto la regia di Francesco Di Giorgio, otto capitoli ispirati alle tematiche delle sue canzoni, otto momenti da guardare con l’entusiasmo di Antonio, che si racconta e racconta i luoghi dove si è sentito a casa, incontra gli amici autentici e quelle persone che sono state fondamentali nel suo percorso artistico costellato di tante vittorie, ma anche di tante porte in faccia.

Durante il suo viaggio Diodato incontra personaggi come Manuel Agnelli e Rodrigo d’Erasmo, fondamentali per la sua crescita musicale, ci spiega il suo rapporto privilegiato con il Cinema insieme a Daniele Luchetti e Ferzan Ozpetek, ci racconta un’altra Taranto insieme a Michele Riondino, compagno di tante lotte per dare alla città un futuro alternativo al siderurgico.

Taranto, la bellezza del suo mare come quella architettonica, ma anche con le enormi contraddizioni di una terra ferita dall’inquinamento insieme alla voglia di rinascita e riscatto dei suoi abitanti, è la parte più bella e suggestiva del racconto. https://www.youtube.com/watch?v=D6TvAskGBx4

Del resto, ci si sarebbe meravigliati se Taranto non fosse stata un capitolo a parte, il più intenso, visto che la vittoria del Festival di Sanremo è stata dedicata alla città; un segno di vicinanza e di appartenenza che i tarantini non potranno mai dimenticare, restituendo ad Antonio tutto il calore ricevuto mandando “” in filodiffusione nel centro cittadino all’indomani della vittoria sanremese, cantandola dai balconi durante i mesi del lockdown.

Sarà, infatti, “Fai rumore” il messaggio di speranza e l’inno che unificherà l’Italia intera durante il periodo buio del lockdown, e poi arriveranno i live estivi, durante i quali sarà forte l’energia positiva che arriva dal palco tanto quanto l’abbraccio del pubblico. Scopri il nuovo numero: Il Natale che verrà Che natale sarà? Difficile dirlo o anche solo immaginarlo. Per tanti sarà un Natale senza un parente o un amico, per altri un Natale segnato dall’incertezza economica e la paura del futuro, per tutti (crediamo) sarà un Natale dove riscoprire un contatto intimo con se stessi e con gli altri.

L’abbiamo testimoniato anche noi quando vi abbiamo raccontato “L’energia di Diodato al Cinzella Festival” per l’unica tappa pugliese del suo tour”, credendo che quella ricerca di bellezza si fermasse alla musica, senza capire che fosse estesa a tutti i piani della sua esistenza, la luce che guida i momenti di crisi, come quelli felici.

L’ultima puntata di questo viaggio alla ricerca di radici e ricordi, il ponte tra passato e futuro dell’artista, termina con “Che vita meravigliosa”, colonna sonora del film “La Dea Fortuna”, sunto di un’esistenza vissuta fino in fondo senza risparmiarsi gioie e dolori, ma anche leitmotiv che riassume al meglio “Storie di un’altra estate” e l’anno appena trascorso da Diodato.

Un anno funesto per gli accadimenti che hanno sconvolto l’esistenza di tutti, tanto quanto fortunato per il cantautore, e che lo hanno portato a vincere, oltre al Festival di Sanremo 2020, Premio Lunezia, David di Donatello, Nastro d’Argento, Ciak d’oro, Soundtrack Stars Awards e Best Italian Act degli MTV Europe Music Awards.

Un anno scandito dalla sua musica, che in questi mesi è stata conforto, compagnia e speranza, ma anche appassionato racconto contemporaneo di un momento irripetibile, faro che ci ha guidati verso un nuovo orizzonte.

Il suo viaggio attraverso i tanti volti di questa inedita Italia è diventato così metafora di un viaggio collettivo, dove passato e presente sono il trampolino di lancio per un avvenire migliore ed auspicio di rinascita sociale e culturale, magari ritornando a fruire di live coinvolgenti come quelli che ci ha regalato quest’anno Diodato, sicuri “che torneremo a guardare il cielo – alzeremo la testa dai cellulari” e “torneremo a parlare davvero – senza bisogno di una tastiera”.

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Addio a Stefano D’Orazio: il batterista dei Pooh ci lascia prematuramente ucciso dal Covid-19

È un giorno triste per la musica italiana, Stefano D’Orazio ci lascia a 72 anni, prematuramente ucciso da una complicanza da Coronavirus.

Quel “virus che ha fatto strage in tutto il pianeta come nei film di fantascienza e ci ha cambiato il modo di vivere”, così lo ha definito Stefano senza sapere che l’avrebbe portato via ai suoi fan, ma soprattutto all’affetto dei suoi cari e degli amici, straziati dalla sua assenza.

Quel virus che ha tentato di esorcizzare regalandoci il testo della bellissima “Rinascerò rinascerai”, interpretata dall’amico e collega Roby Facchinetti (anche autore della musica), canzone composta durante il lockdown del marzo 2020 e subito diventata il simbolo di quella rinascita tanto auspicata dagli Italiani dopo la pandemia che, purtroppo, è ancora in atto. https://youtu.be/D5DhJS5hGWc

“Non solo musica” nella vita di Stefano D’Orazio, tanto che si farebbe un grande torto al suo incommensurabile estro artistico definendolo soltanto come “il batterista dei Pooh”, lo storico gruppo che ha venduto oltre 100 milioni di dischi, emozionando da oltre cinquant’anni generazioni di fan ed appassionati.

Insieme ai Pooh, amici e compagni di vita, ha scritto ed interpretato le canzoni più significative della band, ma è anche stato scrittore, produttore, attore, regista e polistrumentista, intraprendendo, negli ultimi anni, anche una proficua carriera da cantante solista.

Definito spesso dalla critica “eterno ragazzo”, con uno spirito sempre giovane e la voglia di “Fare, sfare, dire, indovinare”, si avvicinò al musical, alla scrittura, mostrando grandissime doti anche di produttore e regista.

Molto amato dal pubblico, mantenne sempre un grosso legame con gli altri componenti dei Pooh anche dopo aver abbandonato il gruppo, legame che volle raccontare in un libro autobiografico il cui titolo mostra l’aspetto ironico ma anche umile di un grande artista.

“Confesso che ho stonato. Una vita da Pooh” diventa così il racconto di quell’uomo nella sua totalità, l’omaggio alla band ma anche ai fan che lo hanno reso grande, senza tralasciare errori, sbagli, stonature che fanno parte della vita di tutti.

Complicato sintetizzare cinquant’anni di vita e di carriera di un artista così poliedrico, ma sempre composto, mai sopra le righe; sicuramente ne ricorderemo la dolcezza del suo flauto traverso, l’espressività della sua batteria e della sua voce, continueremo a cantare ancora le sue canzoni, pietre miliari della musica italiana, ci appassioneremo ancora alle sue storie, ma, soprattutto, non scorderemo mai la sua grande umanità.

“Goodbye” Stefano, tu lo sai:

“Il tempo è un marinaio

giura di restare

ma appena s’alza il vento

vuole un altro mare

e noi siamo come il tempo pronti a correre

a scommettere a scappare a farci prendere

per dirci poi ricordati di me.”

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Nuovo fermo agli spettacoli dal vivo, il punto di vista di un operatore culturale: intervista a Paolo Ruta, Presidente dell’Associazione “Amici della musica Arcangelo Speranza”

Pochi giorni dopo il DPCM del 25 ottobre, che ferma nuovamente gli spettacoli dal vivo e chiude cinema, teatri e centri di cultura, abbiamo ascoltato la voce di un operatore culturale per fare il punto della situazione ed indagare sulle possibili strategie da porre in essere, a breve ed a lungo termine, per scongiurare il collasso di un settore già duramente provato.

In questi mesi più volte ci siamo occupati dell’argomento, dando voce alle proteste ed alle difficoltà dei lavoratori (La crisi dei lavoratori dello spettacolo in Puglia tra affanno e cauto ottimismo: intervista a Fabrizio Belmonte della BG SERVICE), ma anche cercando di fornire soluzioni di ampio respiro, evidenziandone le buone pratiche, prendendo ad esempio il caso pugliese (La Puglia riparte a suon di musica: la ripartenza del comparto musicale tra incertezze e finanziamenti pubblici). i l p r o t a g o n i s t a d e l l ’ i n tervista: Paolo Ruta, Presidente dell’Associazione “Amici della musica Arcangelo Speranza”.

Alla luce del nuovo fermo, che di fatto blocca la ripartenza, ritorniamo in Puglia per intervistare Paolo Ruta, Presidente dell’Associazione “Amici della musica Arcangelo Speranza”, operatore culturale di comprovata esperienza e direttore artistico di importanti stagioni concertistiche e festival.

Scopri il nuovo numero: Recovery round Quella che stiamo vivendo è una partita – un round – tra le più difficili che abbiamo mai vissuto sotto tutti i punti di vista: economico, sanitario e sociale. In questo contesto i progetti relativi ai fondi europei del recovery fund potranno e dovranno essere un volano di crescita e di rinnovato benessere.

L’Associazione “Amici della musica Arcangelo Speranza” nasce nel 1922 ed è, forse, una delle associazioni più antiche d’Italia, che ha come vocazione la promozione e diffusione della musica in tutte le sue forme, compreso un ricco e variegato archivio storico audiovisivo, non tralasciando la valorizzazione degli autori locali. https://www.youtube.com/watch?v=atYMo8tTk9w

Imprescindibile nella vita culturale del Sud Italia è la “Stagione concertistica Amici della Musica”, giunta alla sua 77a edizione, insieme al Giovanni Paisiello Festival (noto compositore tarantino, uno dei più importanti del periodo classico alla stregua di Haydn, Mozart e Beethoven), giunto alla 18a edizione, che si è svolta dal 28 settembre al 9 ottobre, in piena Fase 2 della pandemia.

Importante il messaggio lanciato dal Presidente Paolo Ruta durante la nostra intervista: seppur con grande sacrificio, è necessario fermare gli spettacoli per il bene di tutti.

Paolo Ruta classe 1963, da oltre trent’anni anni si occupa dell’attività musicale e teatrale della città di Taranto.

Ha collaborato negli anni ’80 con la Compagnia Teatrale Crest e con il Teatro Petruzzelli,

curando le fotografie di alcune importanti produzioni: alcuni suoi scatti sono stati pubblicati dai maggiori quotidiani e riviste nazionali (Repubblica, Corriere della Sera, l’Opera, ecc) oltre alla stampa regionale e locale.

Nel 1989 entra a far parte del comitato tecnico-artistico degli Amici della Musica “Arcangelo Speranza” e, nel 1996, diventa Direttore Artistico del sodalizio, carica che ricopre fino al 2000 quando gli viene conferita la delega allo spettacolo del Comune di Taranto. Ha fortemente voluto l’istituzionalizzazione del “Giovanni Paisiello Festival” che si pone come obiettivo quello di riscoprire e rivalutare l’opera dell’illustre compositore tarantino. Rimessa la delega nel 2004 torna a ricoprire la carica di Direttore Artistico del sodalizio jonico.

Da sempre attento all’evoluzione del mondo dello spettacolo e all’orientamento delle tendenze musicali, ha favorito con nuove e stimolanti iniziative l’avvicinamento delle nuove generazioni alle sale da concerto, così come dimostrato dall’aumentato numero degli spettatori. Ciò gli ha fatto conquistare la stima di artisti quali Praticò, Ashkenazy, Martha Argerich, Sergio Perticaroli, Maria Tipo, Katia Ricciarelli, Giovanni Allevi, Patrizia Ciofi, Salvatore Accardo, UtoUghi, Andrea Lucchesini, Laura De Fusco e tantissimi altri.

E’ stato Consigliere Comunale a Taranto dal 1993 al 1997 e dal 2000 al 2005.

Dal 1997 è nel consiglio direttivo dell’Aiam-Agis di Puglia e Basilicata e, dal 1998, nell’Aiam-Agis nazionale. Dal 2009 è tra i fondatori dell’AIAC – Associazione Italiana delle Attività Concertistiche sorta in seno all’AGIS.

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” di Vasco Rossi è la canzone più amata degli ultimi 45 anni

45 canzoni per raccontare l’Italia degli ultimi 45 anni, era questo il concorso “I Love My radio” lanciato dalle principali emittenti radiofoniche italiane per festeggiare i quarantacinque anni delle radio private. (ce ne siamo occupati in questo articolo)

Un evento unico nel suo genere, che ha visto il coinvolgimento delle principali emittenti radiofoniche italiane, unite per l’occasione, con lo scopo di decretare la canzone più amata dal pubblico tra quelle scelte dagli operatori del settore.

La canzone vincitrice è stata annunciata lo scorso 11 ottobre, durante un concerto-evento trasmesso a reti unificate su radio, tv e profili social delle emittenti aderenti.

A pensarci bene, la canzone più amata non poteva che essere “Albachiara” di Vasco Rossi, la stessa con cui il Blasco chiude tutti i suoi concerti dal 1979, data della sua pubblicazione, ad oggi, quella che il suo pubblico non smette mai incessantemente di chiedere.

La semplicità del testo, unita alla grandissima potenza comunicativa, probabilmente ne fa la canzone radiofonica per eccellenza, una canzone scritta da Vasco guardando dalla finestra e vedendo passare una ragazzina che andava a scuola, ma, allo stesso tempo, una canzone estremamente provocatoria, che poneva l’attenzione su un particolare aspetto dell’universo femminile, tabù anche oggi come allora.

Mi piace pensare che nella scelta abbia influito anche il momento attuale: in fondo, gli utenti delle radio hanno espresso il proprio voto, votando da maggio a luglio, subito dopo il periodo in cui hanno dovuto guardare, dal balcone o dalla finestra, la vita che scorreva lenta alla fermata dell’autobus senza potervi prendere parte, proprio come Vasco che racconta della sua “Albachiara” facendosi osservatore, ma mai protagonista. (ce ne siamo occupati in questo articolo) L a c o v e r d e l s i n g o l o A l b a c h i a r a ( 1979) di Vasco Rossi.

Sarebbe bello provare a tracciare un profilo degli ascoltatori coinvolti, a partire dalla scelta delle altre canzoni sul podio; scommetterei che la prevalenza ha passato i trent’anni, non tanto per la scelta di “La donna cannone” di Francesco De Gregori, che si è classificata al terzo posto, poiché è capolavoro assoluto riconosciuto da tutte le generazioni, quanto per il secondo posto di “A te” di Jovanotti, brano del 2008 che ha segnato il passo di un’intera generazione, oggi poco più che trentenne.

La classifica, inoltre, mostra quanto sia stata variegata la scelta che non ha permesso ad un unico genere musicale di prevaricare; questo dovrebbe dirla lunga sugli ascoltatori della radio in generale, dimostrando che non sono affatto fruitori distratti e distaccati, ma grandi estimatori. https://www.youtube.com/watch?v=Er2tKUSv1CY

Le radio, spesso tacciate di influenzare i gusti degli ascoltatori, appiattendoli, in realtà non hanno mai smesso di proporre musica di qualità, educando ed offrendo una scelta musicale diversificata di cui la classifica stilata da “I Love My Radio” è lo specchio.

Sicuramente una bella iniziativa, che auspichiamo si possa ripetere in futuro, e che ci lascia alcune cover dei brani in gara interpretati dai big della canzone italiana, che hanno permesso di ridare notorietà e smalto a canzoni che fanno parte, ormai, del nostro patrimonio collettivo; canzoni che raccontano una società in continua evoluzione, ma, per certi versi, immutabile, dove non si riesce a capire se le canzoni sono talmente tanto universali da sopravvivere ai tempi oppure se sono i tempi a non essere affatto cambiati.

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