Le Scarpe Dei Suicidi Baleno Sole E Silvano E Gli Altri
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No Copyright! Questo testo non è sottoposto ad alcun copyright. Chiunque è libero di fotocopiarlo o riprodurlo, in parte o totalmente. Autoproduzione Fenix! – Torino 2003. 1 A Soledad con “bronca (rabbia) mucha bronca però anche molto amore” 2 “A pesca delle scarpe dei suicidi, Aa cerca la sua giornata al di sopra della follia precisa e netta” TRISTAN TZARA, “Aa l’antifilosofo” da Der Zeltweg - numero unico - novembre 1919. 3 Tobia Imperato Le scarpe dei suicidi Baleno Sole e Silvano e gli altri (“un grupito de bastardos aquella noche entró a casa”) AUTOPRODUZIONE FENIX! Torino 2003 4 Tale anarchico ha un’opinione diversa dalla mia; ciò è naturale perché lui è diverso da me. Io non vorrei che egli mi imponesse la sua opinione, non saprei dunque imporgli la mia. Basta che questo “altro” sia un uomo libero, che non saprebbe usare contro di me i mille mezzi cui ricorre l’autorità. “E’ l’autorità che si deve combattere e non la diversità delle opinioni” la quale – fra anarchici – costituisce la vita stessa delle idee anarchiche. Senza la diversità noi si sarebbe un gregge simile a quello di un partito socialista qualsiasi. Invece di deplorare la diversità io la saluto di tutto cuore, poiché essa sola può fornirci la garanzia che ciascuno dice realmente quello che pensa e che non può fare altrimenti. Altrettanto dunque mi piace ogni discussione seria, altrettanto deploro ogni polemica fra anarchici. Ma anche la discussione non deve avere per scopo di vincere, di schiacciare l’avversario, ma bensì di permettere a ciascuno di esprimere le sue idee in modo conveniente ed approfondito. In seguito, l’uno e l’altro dei contradditori potrà essere convinto su un tale punto oppure non esserlo, ma questi non saranno più che incidenti secondari. Max Nettlau (1907) 5 Prefazione “Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini”. Guy Debord Quella che segue è una storia di parte, scritta dal di dentro, da uno che ha seguito giorno per giorno il susseguirsi degli eventi senza timore di lasciarsi coinvolgere. Non ho la pretesa – come i giornalisti servi – di essere obiettivo, ma solo quella di dire la verità, la nostra verità, su tutto quello che è successo a Torino dal marzo ‘98 in avanti. La morte di Sole e Baleno, immolati sull’altare della repressione di Stato, è un fatto che non potrà mai essere cancellato dalla nostra memoria, perché – corro il rischio di cadere nella retorica – vivono nei nostri cuori e nelle nostre lotte e, finché ci sarà qualcuno che non si riconosce nell’opprimente realtà che ci circonda, finché ci sarà qualcuno che si ribella, finché ci sarà qualcuno che lotta contro lo Stato, essi continueranno a vivere. Ero presente ai funerali di Edo, l’ho visto nella camera ardente, immobile, mentre all’esterno si scatenava la violenza (come chiamarla altrimenti?) di fotografi e giornalisti che cercavano in tutti i modi di violare il nostro dolore e la nostra rabbia. Mentre lo seppellivamo ho visto arrivare Soledad, scortata dagli agenti penitenziari, accovacciarsi sulla fossa dove giaceva il suo compagno e parlare con tutti noi, come per riprendere un discorso interrotto solo dalle manette degli sbirri. Sono rimasto profondamente e dolorosamente colpito. Tre mesi dopo ho portato in spalla la sua bara. Al processo di Silvano, dopo la lettura della sentenza, ho visto i PM Laudi e Tatangelo sorridere con i giornalisti, soddisfatti del disastro che avevano causato. Col passare del tempo i boia di Stato si sono illusi di cancellare l’iniquità del loro operato e di quello dei loro zelanti cani da guardia DIGOS e ROS, di passare un colpo di spugna sulle vite di Baleno e Sole. Ma sono queste le mani che hanno stretto loro le lenzuola intorno al collo e noi non lo dimenticheremo, mai. I sentimenti che mi animano (e che mi hanno spronato a portare a termine questa piccola fatica) sono gli stessi che avevo espresso, senza incensare nessuno - come anarchico e come uomo libero da ogni forma di settarismo - subito dopo la morte di Baleno nello scritto che fu pubblicato da Tuttosquat col titolo “Lunga vita agli squatter” 1. Lo voglio pertanto porre a guisa di prefazione. “Non sono uno squatter. Mi considero un anarchico senza aggettivi. Non sono l’espressione del disagio giovanile: l’unico disagio che sento è quello di essere costretto a vivere in una società dominata da politicanti, padroni, preti, giudici, poliziotti e via dicendo. Sono uno di quei quarantacinquenni che i vari politologi e sociologi da operetta definiscono residuati del ‘68 e del ‘77. Evidentemente questi imbecilli non si rassegnano al fatto che molti di noi non sono stati recuperati, ma sono ancora percorsi dagli stessi fremiti di ribellione e hanno conservato inalterata la stessa voglia di mutare l’esistente. Il mio modo di fare politica, di comunicare, di confrontarmi con la gente, è distante dalle pratiche degli squatter. Il gusto della provocazione che caratterizza le loro azioni non sempre mi coinvolge. Non condivido il loro autoescludersi dalla società, il ritenere prioritario difendere i propri spazi, dedicando scarsa attenzione a tutto ciò che li circonda, se non quando sono direttamente attaccati. Mi piacciono gli squatter, per la loro vitalità e creatività, per il loro tentativo di autogestire la propria vita, per la loro inesauribile fame di spazi da occupare onde crearne dei luoghi di aggregazione e di sperimentazione anarchica, per il loro ostinato rifiuto a lasciarsi sottomettere, per la loro tenacia nel non cedere alle lusinghe delle istituzioni, per la loro pratica costante dell’azione diretta al fine di ottenere ciò che desiderano. Non ho paura della diversità. Se l’anarchia è la piena realizzazione della libertà è evidente che la diversità ne rappresenta un valore fondante. Un anarchismo che si uniformasse ad un unico modello di percorso o di pratica politica, in cui tutti gli anarchici vi si potessero riconoscere, sarebbe, oltre che improponibile, una cristallizzazione del concetto stesso di libertà. Un anarchismo vissuto intensamente non può avere certezze, ma deve sapersi continuamente interrogare sul passato sul presente e sul futuro; non può riprodurre luoghi comuni, senza cadere inevitabilmente in sterili dogmatismi. E’ logico quindi che le risposte agli interrogativi che la realtà quotidianamente pone agli anarchici non possono essere univoche, ma inevitabilmente differenti a seconda delle attitudini delle esperienze e delle situazioni di ogni anarchico o insieme di anarchici. Nessuno (tanto meno il signor Nobel e compagna)2 si può arrogare il diritto di stabilire chi è o chi non è anarchico. Anarchico è chiunque si ponga contro lo Stato in quanto tale e si batta per la sua abolizione. Questa è l’unica demarcazione possibile ed è al tempo stesso il denominatore comune che unisce tutti gli anarchici al di là delle differenze. Quindi, proprio perché ognuno di noi è parte di un tutto che si muove nella stessa direzione, 1 Oltre a Sole Baleno ed Enrico, un altro protagonista degli avvenimenti trattati in questo libro oggi non è più con noi, il giovane Cristian Sicali, che nel troppo breve periodo in cui ci ha accompagnato nelle varie pratiche sovversive e azioni di lotta si è fatto amare per il forte spirito di ribellione e per il grande senso della solidarietà che lo animavano. Ciao, Cristian! 2 E’ riferito alle dichiarazioni di Dario Fo e Franca Rame, in seguito agli screzi avuti con gli squatter torinesi (cfr. nota 29). 6 la diversità di pratiche e di percorsi che ci separa nella quotidianità non deve (o almeno non dovrebbe) impedirci di muoverci insieme contro gli attacchi della repressione statale. Quando in quella tragica mattina del 28 marzo scorso è circolata per il Balon la notizia che Baleno era stato trovato impiccato al letto della sua cella - per quel che mi riguarda - non mi sono chiesto quali erano le differenze che potevano esserci fra me e gli squatter. Bisognava immediatamente muoversi, mobilitarsi tutti assieme per sventare le manovre e le montature repressive di cui ancora una volta gli anarchici erano oggetto. Al di sopra di ogni possibile diversità di concezioni e di percorsi, Edoardo era parte di me, era un anarchico, era un mio compagno. Ho partecipato attivamente alle iniziative portate avanti in questi giorni per esprimere la nostra rabbia collettiva di fronte ad un omicidio di Stato e per esigere la liberazione di tutti gli arrestati. Mi sono unito agli amici di Baleno, agli squatter, senza preclusioni, non per cavalcare la tigre, non per far prevalere una linea, ma, semplicemente, come compagno tra i compagni, per rispondere a viso aperto agli attacchi repressivi. L’anarchismo, a dispetto di tutti i necrofori del potere, che vorrebbero darlo definitivamente per morto, in questo momento sta attraversando una fase favorevole. Il brulicare di neri vessilli che si è visto nel corso della manifestazione del 4 aprile è la dimostrazione lampante che molti giovani sono attratti dalle idee e dalle pratiche degli anarchici. Non bisogna rilassarsi, è il momento di agire. Ognuno deve fare il possibile, secondo la propria sensibilità e le proprie preferenze, nei luoghi e negli spazi che gli sono consoni, per allargare al massimo la sfera d’influenza delle idee libertarie. Non bruciamoci questa occasione in sterili polemiche volte a stabilire chi è più anarchico o chi è più rivoluzionario, nel tentativo di far prevalere una linea politica sulle altre. I piani del potere non devono passare. Solo una risposta chiara ed efficace, unita se non unitaria, di tutti gli anarchici li potranno contrastare. Lunga vita agli squatter. Lunga vita a tutti gli anarchici” 3. Tobia 3 N. 11, primavera 1998. L’articolo è stato riprodotto in appendice all’opuscolo Ultima fermata – Dall’attacco contro l’Alta velocità in Val Susa alla difesa degli spazi occupati a Torino (edizioni NN, Pont St.