Giovanni Sollima Violoncello Enrico Maria Baroni Clarinetto
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
Stagione 2019-2020 osn.rai.it Auditorium Rai “Arturo Toscanini”, Torino 1 1 Venerdì 11 ottobre 2019, 20.00 11–12/10 Sabato 12 ottobre 2019, 20.30 ConcertoJAMES diCONLON Carnevale direttore FUORIMARIANGELA ABBONAMENTO VACATELLO pianoforte ROBERTO RANFALDI violino Venerdì 21 febbraio 2020, 20.30 JOHNBeethoven AXELROD direttore GIOVANNIMendelssohn-Bartholdy SOLLIMA violoncello ENRICOŠostakovič MARIA BARONI clarinetto Bernstein Offenbach Ellington Gulda Gershwin CONCERTO DI CARNEVALE VENERDÌ 21 FEBBRAIO 2020 ore 20.30 John Axelrod direttore Giovanni Sollima violoncello Enrico Maria Baroni clarinetto Leonard Bernstein (1918-1990) Prelude, fugue and riffs, per clarinetto e jazz ensemble (1949-1952) Prelude for the Brass - Fugue for the Saxes - Riffs for Everyone Durata: 10’ ca. Ultima esecuzione Rai a Torino: 30 novembre 2012 William Eddins, Enrico Maria Baroni. Friedrich Gulda (1930-2000) Concerto per violoncello, fiati e batteria (1980) Ouverture Idylle Cadenza Minuetto Finale. Alla marcia Durata: 32’ ca. Ultima esecuzione Rai a Torino: 11 novembre 2011 Gürer Aykal, Massimo Macrì Jacques Offenbach (1819-1880) Etude n. 11 da 12 Etudes op. 78 per violoncello solo (1855) Durata: 3’ ca. __________ George Gershwin (1898-1937) Cuban Overture (1932) Il concerto Durata: 10’ ca. è trasmesso in diretta su Radio3 Prima esecuzione Rai a Torino per Il Cartellone di Radio3 Suite. Duke Ellington (1899-1974) Harlem (1950) (orchestrazione di Luther Henderson) Nella foto Concerto del pianista Durata: 20’ ca. e compositore Friedrich Gulda - Ultima esecuzione Rai a Torino: Milano, 1962 20 maggio 2011 William Eddins New York Follies «New York aveva tutta l’iridescenza del principio del mondo», scrive Francis Scott Fitzgerald inL’età del jazz, ricordando il suo incontro con la metropoli all’inizio degli anni Venti. Lo skyline della città seguiva il profilo dinamico dei grattacieli di Manhattan, ma la vita si spandeva ai suoi piedi nel reticolo di linee della planimetria, vene pulsanti del perpetuo flusso di masse umane lungo le strade principali. Il potere economico verticale e la democrazia orizzontale si confrontavano senza mediazioni nello spazio urbano. Per la prima volta nella storia, il carattere della città si manifestava nei grattacieli e nei gran- di magazzini, invece che nelle cattedrali e nei palazzi. Lo stile di una metropoli moderna come New York, uscita più forte e orgogliosa dalla tragica epopea della guerra in Europa, rap- presentava una novità sconvolgente ed entusiasmante. La vita libera, anticonformista dei suoi abitanti rispecchiava i desideri e le speranze di fiumi di persone arrivate dal vecchio mondo per sfuggire alla fame o alle persecuzioni razziali. L’incontro tra questa massa di persone in cerca di riscatto e i discendenti degli schiavi africani ha prodotto, tra le altre cose, una forma di musica nuova e incredibilmente vitale, il jazz, che ha segnato in maniera profonda il Novecento e continua a sviluppare an- cora oggi nuovi stili e linguaggi musicali. Il concerto di stasera mostra alcune delle molteplici facce dell’influenza del jazz sul- la letteratura musicale del secolo scorso. Leonard Bernstein Prelude, fugue and riffs, per clarinetto e jazz ensemble Leonard Bernstein, nato nel 1918, rappresenta il frutto più ma- turo dello straordinario melting pot che fu New York nel primo Novecento, una pentola ribollente in cui si amalgamavano gli elementi più disparati provenienti da tutto il mondo. Talento immenso, spirito inquieto, formidabile comunicatore, Bern- stein è stato il primo direttore d’orchestra americano a imporsi sulla scena internazionale, e anche il primo musicista ebreo a infrangere il tetto di cristallo di un’istituzione orchestrale americana. Per Bernstein, seconda generazione di ebrei russi emigrati per sfuggire ai pogrom, l’America era il Paese della li- bertà e delle opportunità. «I like the island Manhattan. Smoke on your pipe and put that in!», canta Anita in West Side Story, mi piace Manhattan punto e basta. Il grande sogno di Bern- stein era di regalare all’America una musica propria, autentica e radicata in quella irripetibile miscela di storie e tradizioni di- verse che avevano forgiato la nazione. Leonard era convinto, e non era il primo a pensarlo, che il jazz fosse il suo elemento naturale. I suoi lavori sono cosparsi di spunti jazzistici, ma mai tanto evidenti come in Prelude, fugue and riffs, scritto per labig band di Woody Herman nel 1949. L’idea era di innestare delle forme barocche come il preludio e la fuga nel linguaggio del jazz, nel quadro di un trittico concepito come un unico blocco musicale. Il Preludio è riservato a un gruppo di ottoni, la fuga a un quintetto di sassofoni e i riffs finali, una tipica espressione dei complessi jazz per indicare i ritornelli, all’intero ensemble. Friedrich Gulda Concerto per violoncello, fiati e batteria Analoghe aspirazioni si trovano anche nel Concerto per vio- loncello di Friedrich Gulda, che proviene però da un contesto culturale completamente diverso. Gulda è stato uno dei più grandi pianisti del Novecento, in particolare nel repertorio classico viennese. Martha Argerich e Claudio Abbado sono stati allievi nella sua classe di pianoforte a Vienna, malgrado Gulda fosse più un fratello maggiore che un maestro. Genia- le, estroso, anarchico, insofferente alla banalità, Gulda è sta- to un musicista a tutto tondo, convinto che nessun pianista possa dirsi davvero tale se non è anche un compositore. La sua forma di ribellione allo stile di vita borghese e al neoclas- sicismo viennese è stato il jazz, che ha cominciato a praticare tra lo sbalordito sgomento dei critici e degli addetti ai lavori. Il Concerto per violoncello è stato scritto nel 1980 per Heinrich Schiff, che a detta di Gulda desiderava soprattutto registrare con lui le Sonate di Beethoven. Le Sonate non le ha avute, ma in compenso Schiff ha legato il suo nome a un concerto che ri- mane tuttora nel repertorio dei violoncellisti più aperti alcross- over come Giovanni Sollima. E qui di incroci ce ne sono dav- vero tanti, e sorprendenti, a cominciare dall’organico inusuale di un ensemble di strumenti a fiato al posto dell’orchestra. Il linguaggio classico si mescola nella maniera più eclettica con lo swing di una big band, per poi immergersi nelle atmosfere popolari delle Alpi austriache, passando dall’idillio alla marcia, dalla ninna nanna alla cadenza virtuosistica. Jacques Offenbach Etude n. 11 da 12 Etudes op. 78 per violoncello solo Lo Studio per violoncello solo di Offenbach non ha nulla da spartire col jazz. Il maestro di Orphée aux Enfers ha visitato gli Stati Uniti nel 1875, ben prima che spuntasse all’orizzonte la stella del jazz, ma ha lasciato nei suoi racconti sull’America e gli americani un’ulteriore testimonianza della sua brillante in- telligenza e capacità di osservazione. Offenbach nasce come violoncellista, e ha scritto per il suo strumento molte pagine, tra cui una raccolta di dodici Studi op. 78. Lo Studio scelto da Sollima è un modo per rendere omaggio a un suo predecesso- re altrettanto estroso e carismatico. George Gershwin Cuban Overture George Gershwin, a differenza di Bernstein, non è riuscito a in- frangere il tetto di cristallo. Per quanto ricco e osannato come autore di Broadway, Gershwin non è mai riuscito a farsi accetta- re dall’establishment come compositore ‘serio’, sebbene abbia fatto ogni sforzo per colmare le lacune di una formazione da autodidatta e per abbattere le barriere del pregiudizio verso un artista ebreo nell’America ancora molto intollerante degli anni Trenta. Anche Gershwin voleva contribuire a forgiare una musi- ca e un teatro di carattere americano, ma la sua precoce scom- parsa ha forse impedito lo sviluppo di un tipo di opera nuova dopo l’exploit di Porgy and Bess. Il jazz, dal canto suo, ha sentito precocemente la necessità di dotarsi di un linguaggio sinfoni- co. L’orchestra di Paul White, per esempio, è stata l’origine di uno dei primi capolavori di Gershwin, Rhapsody in Blue. Per la New York Philharmonic Orchestra, invece, Gershwin com- pose la Cuban Ouverture, diretta da Albert Coates il 16 agosto 1932 al Lewisohn Stadium. Il concerto fu una sorta di consa- crazione popolare per Gershwin, che ricordava l’evento come «la più emozionante serata che abbia mai avuto». Circa 18.000 persone erano venute ad ascoltare le sue migliori composizio- ni, e molte rimasero fuori dallo stadio. Il titolo originario del la- voro era Rumba, e rappresentava la novità della serata. Il pezzo, composto come al solito in breve tempo e terminato a ridosso del concerto, «era stato ispirato da una breve visita all’Havana. Avevo cercato di combinare i ritmi cubani con il mio materiale tematico originale. Il risultato è un’Overture sinfonica che incor- pora l’essenza della danza cubana». L’orchestra impiega anche alcuni strumenti cubani, che dovrebbero essere sistemati di fronte al direttore, a mo’ di solisti. In quegli anni cominciava a diffondersi la conoscenza del ricco e fresco patrimonio di ritmi del mondo caraibico, grazie al crescente flusso dell’immigra- zione portoricana, che a New York aveva preso il posto della precedente ondata ebraica. A questo proposito è interessante notare il fatto che un legame sotterraneo ha collegato la musica latino-americana al mondo ebraico. Le radici di questo rapporto forse affondano nella diaspora seguita alla cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492, lo stesso anno della scoperta del Nuovo Mondo. Le danze latino-americane non solo ebbero ampio spa- zio nella musica di autori come Copland e Bernstein, ma furono il cavallo di battaglia di parecchi musicisti ebrei. Cuban Overture è anche il primo frutto degli studi con Joseph Schillinger, un solido teorico russo con cui Gershwin aveva ini- ziato a lavorare in primavera. Lo stile è asciutto, meno brillante rispetto ai pezzi popolari del passato. Il linguaggio è diventa- to più complesso, più difficile da afferrare immediatamente. L’importanza della composizione, tuttavia, non consiste tanto nel risultato in sé, quanto nel fatto che indica la strada nuova su cui la musica di Gershwin s’incammina negli ultimi anni, un percorso che porta a Porgy and Bess.