Giustizia Nell'amministrazione
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SILVIO SPAVENTA Giustizia nell’amministrazione e altri scritti Nella sede dell’Istituto Napoli 2006 copertina 2 Edizione fuori commercio III copertina I critici superficiali lo dissero adoratore dello Stato e gli davano taccia di autorita- rio; ma costoro non compresero o svisarono il concetto alto e fecondo del grande abruzzese. Impegolati nelle dottrine superlative, che prevalsero in Francia nella prima metà di questo secolo, erano tratti a considerare lo Stato come un male necessario da mitigare e rimpicciolire, ed il Governo come un nemico da tenere a freno. Costoro, confondendo lo Stato col Governo, si mostravano di una sola cosa preoc- cupati, di restringere cioè le funzioni dello Stato e, per sospetto verso il nocchiero, ricusavano alla nave quelle condizioni di stabilità e di equilibrio che le sono necessa- rie per tenere il mare e resistere alle procelle. E per ciò solo si credevano di aver scoverto un mondo nuovo della libertà ed ar- rogavano a sé lo appellativo di liberali e progressisti, lusingandosi di vedere piú avanti degli altri, mentre i loro sguardi si volgevano indietro [...]. Avvegnacché non è lo Stato liberale quello, ove la libertà si riduce ad una nuda e semplice proclamazione di dritti, e i dritti e gli interessi piú vitali dei cittadini si ab- bandonano senza protezione e senza tutela all’arbitrio del potere esecutivo e dei par- titi dominanti. Questo è potere temporale, solea dire Spaventa, e non governo libero, che risponda alle esigenze dello spirito moderno [...]. Per Spaventa e gli amici suoi lo Stato non sono le mutevoli maggioranze e i Mi- nisteri che le rappresentano. Lo Stato è un’autorità immanente al di fuori e al di sopra dei partiti per mantenere saldi ed incolumi in mezzo alla lotta dei ceti e degli interessi la libertà dei singoli ed il bene comune. [...] nei tempi nostri essa è riposta nell’organismo dello Stato libero, il quale non deve considerarsi come qualche cosa di esterno a noi, di divino o di fatale, ma come intrinseco ai cittadini: è lo stesso volere umano, che organizzato fuori di noi come un grande individuo, distinto dai piccoli individui, tutti comanda e sforza al bene comune. Lo Stato, cosí concepito, cessa di essere un’astrazione inconcludente, e si rivela come la piú alta espressione dell’altruismo e della coscienza sociale, come la sintesi delle forze, per cui la nazione sa di essere guidata nelle sue vie, la società si sente sicura nelle sue istituzioni, i cittadini si veggono tutelati negli averi e nelle persone. Se lo Stato vi è, e vi dev’essere, la ragione dell’esser suo consiste appunto nel tu- telare in mezzo alle lotte, agli interessi mutabili di partiti, le ragioni immanenti del dritto e della giustizia. Convinto di questa verità Spaventa si oppose virilmente ad ogni monopolio arti- ficiale, creato o favorito dalla legge, considerandoli come altrettanti perniciosi ostacoli, che impediscono alle moltitudini di partecipare al benessere, che i monopoli tesoreg- giano a vantaggio di pochi [...]. Nel modo stesso che la Chiesa impone l’altruismo in vista di un bene futuro, lo Stato, non potendo imporlo, deve studiarsi di promuoverlo in vista del bene presente. Cosí lo Stato, nel parere di Spaventa, al contenuto giuridico aggiunge il contenuto etico e diviene anch’esso una religione, in quanto fa gli uomini eguali innanzi alla legge, accorda a tutti, ai deboli come ai forti, assistenza e protezione, e tutti affratella nel sentimento dei comuni doveri e del comune benessere. da: B. CHIMIRRI, Commemorazione di Silvio Spaventa fatta il 17 settembre 1893 a Bergamo,Roma 1893. IV copertina ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI QUADERNI DEL TRENTENNALE 1975-2005 10 1 2 SILVIO SPAVENTA Giustizia nell’amministrazione e altri scritti Nella sede dell’Istituto Napoli 2006 3 A cura di Antonio Gargano, Segretario generale dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici © Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Palazzo Serra di Cassano Napoli - Via Monte di Dio, 14 4 INDICE GIOVANNI PUGLIESE CARRATELLI La formazione culturale e politica di Silvio Spaventa 7 SILVIO SPAVENTA Giustizia nell’amministrazione 17 SILVIO SPAVENTA L’autonomia universitaria 63 SILVIO SPAVENTA Del Consiglio di Stato 125 SILVIO SPAVENTA Articoli dal «Nazionale» 153 SILVIO SPAVENTA Lettere al fratello Bertrando 169 Pubblicazioni dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici sugli hegeliani di Napoli 175 5 6 GIOVANNI PUGLIESE CARRATELLI LA FORMAZIONE CULTURALE E POLITICA DI SILVIO SPAVENTA Signor Presidente della Repubblica, al saluto che rispettosamente Le rivolgo a nome dei docenti dell’Istituto è congiunto un sentimento di profonda gratitudine per la stima che con la Sua visita Ella ha voluto significare a quanti qui si adoperano a tener viva, lungi da ogni pratico interesse, la secolare tradizione di liberi studi che ha fatto di Napoli uno dei grandi centri della civiltà europea. Di questo culto delle forze dello spirito, e dell’opera in cui esso si esprime, Ella vedrà tra poco un documento nelle memorie di una vita esemplare, animata da grandi ideali di umanità e di soli- darietà civile e da una fede non mai scossa nella libertà, eredità divina che illumina la storia degli uomini. La vita e l’opera di poli- tico e di statista di Silvio Spaventa sono ben note, grazie anche ai convegni e agli studi promossi da questo Istituto; e piuttosto che delinearne il corso, sia pur sommariamente, pare opportuno fis- Lunedí 13 dicembre 1993, nel Palazzo Serra di Cassano in Napoli, alla presenza del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il prof. Giovanni Pugliese Carratelli, direttore scientifico dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, ha rievocato la figura di Silvio Spaventa nel centenario della morte. Si pubblica qui il testo del suo discorso. 7 sare lo sguardo sulla preparazione che il giovine Silvio si diede, quasi prevedesse i cómpiti che gli si sarebbero proposti: tanto piú che proprio negli studi, nelle meditazioni e nelle risoluzioni, oltre che nella non breve esperienza del carcere e dell’esilio, si formò il carattere e si rinvigorí il pensiero che nell’età matura sostennero l’uomo di governo. Non è un caso che per volontà di Gerardo Marotta l’Istituto abbia aggiunto ai cataloghi delle mostre e agli Atti dei convegni sugli hegeliani di Napoli una ristampa, completa di tutti i numeri pubblicati, del periodico a cui Silvio Spaventa diede ben piú che la partecipazione al Comitato di direzione: «Il Nazionale», del 1848, primo giornale napoletano redatto da un gruppo di liberali insofferenti dell’assolutismo borbonico e convinti assertori dell’u- nità politica della nazione italiana. È accertato che mente direttiva del gruppo fu Silvio Spaventa; ed è manifesto che i piú significa- tivi degli articoli, tutti non firmati, sono scritti da lui. E suo è sicu- ramente quello con cui si apre il primo numero del quotidiano, datato al 1o marzo. Il programma in esso esposto è piú che un pro- gramma di giornale: è un programma di azione politica, di vita; ed è un programma a cui Silvio Spaventa ha tenuto puntualmente fede, fino all’ultimo suo giorno. All’inizio son dichiarati i propositi dei condirettori: «Il Nazionale viene per noi fondato col principale intendimento di caldeggiare e promuovere la nazionalità italiana sulle basi della indipendenza che dee francheggiare tutti i popoli della penisola dalle straniere influenze, e del sistema rappresentativo che debbe assicurarne le libertà e collegarli in unità politica col predominio legale della spiritualissima forza della pubblica opinione»; e dopo aver considerato l’attuale situazione politica della nazione divisa in piú Stati, rileva gli aspetti positivi e negativi degli ordinamenti comunali: «ci faremo propugnatori indefessi delle libertà munici- pali», che «per noi in particolare sono il principio da cui debbono, 8 come da natia fonte, scaturire e ricevere alimento e vigore le libere istituzioni»; ma «non perciò intendiamo di risvegliare e fomentare lo spirito municipale che, se innalzò a maravigliosa potenza le repubbliche italiane, fu pure cagione ed origine delle nostre lun- ghe e luttuose discordie e della nostra politica decadenza». Una cosí penetrante sintesi, che con maturità di giudizio singo- lare in un giovine appena ventiseienne rileva i momenti decisivi della storia del nostro paese nell’evo medio e i loro effetti nel moderno, si conclude con un’importantissima dichiarazione, che investe un problema capitale della democrazia: «La sovranità del popolo è la nostra massima fondamentale; ma noi teniamo nel medesimo tempo che la potestà delegata debba essere liberamente esercitata perché sia forte, e che non s’abbia altro freno che quello della Legge e della pubblica opinione, formolata dal suo legittimo organo della stampa libera e dalla libera associazione che ha il suo sfogo normale nel dritto di petizione. Certamente noi [...] abbiamo in conto di uomini di Stato a corta vista coloro che pre- sumendo di essere pratici conoscitori della scienza governativa, lascian da banda nei loro calcoli, quasi elemento da trascurarsi, tutto il lato simpatico della natura umana, e purché adoprino a soddisfare gl’interessi materiali, non accordano che poca impor- tanza ai morali che nell’avanzata civiltà sono i piú vivi ed impe- riosi. Costoro si reputano statisti, perché non sono filosofi [...] ma eglino [...] sono meccanici e non artisti, ignorando che la mente agita la mole de’ pensieri, degli affetti, degli interessi e dei dritti umani, e che per reggerla e soddisfare all’esigenze dello spirito, ad ogni grande trasformazione sociale sia d’uopo d’una compiuta riforma. Se non che in un governo nazionale che abbia le sue legit- time rappresentanze il maggior pericolo si è che la forza direttrice discenda nella piazza e la legalità sia manomessa. Noi pertanto alzeremo la voce, o che dal potere o che dalle moltitudini sia pre- varicata la legge. Il regno delle capacità è venuto; e per innanzi 9 ogni intelligenza che abbia avuto la divina investitura dell’ingegno non deturpandolo col vizio, avrà un dritto prepollente, sia all’in- dirizzo, sia al maneggio della cosa pubblica, secondo il grado della sua superiorità intellettuale e morale».