Masarykova univerzita Filozofická fakulta

Ústav románských jazyků a literatur

Bakalářská diplomová práce

2015 Dominika Palová Masarykova univerzita Filozofická fakulta

Ústav románských jazyků a literatur

Italský jazyk a literatura

Dominika Palová

Il concetto della «compaesanità» come la conseguenza della ricerca dell'identità nell'opera di Mario Rigoni Stern

Bakalářská diplomová práce

Vedoucí práce: Mgr. Zuzana Šebelová, Ph.D.

2015 2

Prohlašuji, že jsem diplomovou práci vypracovala samostatně s využitím uvedených pramenů a literatury. Dále prohlašuji, že tištěná verze je totožná s verzi elektronickou.

...... Podpis autora práce 3

Chtěla bych poděkovat paní doktorce Šebelové za její ochotu a čas, který mi věnovala během psaní této práce. Velký dík patří také Ivanu Folettimu za jeho cenné rady. Dále také děkuji prof. Mariu Gabrieli Giordanovi ze Sabatia Editrice za vstřícnost a poskytnutí důležitých studijních materiálů. Nakonec bych ráda poděkovala své rodině za podporu. 4

Indice

Indice ...... 5 1. Introduzione ...... 6 2. Il sergente nella neve ...... 10 2.1. Trama e narrazione ...... 10 2.2. La ritirata di Russia ...... 12 2.3. Analisi narrativa e stilistica ...... 14 2.4. L'uomo e la guerra ...... 16 2.4.1. Il sentimento della «compaesanità» nei confronti dei compagni italiani e dei «nemici» russi ...... 16 3. Storia di Tönle ...... 20 3.1. Trama e narrazione ...... 20 3.2. L'analisi stilistica e linguistica dell'opera ...... 21 3.3. Natura e uomini nell'esperienza di Tönle ...... 22 3.4. L'esperienza «internazionale» di frontiera ...... 24 3.5. La prima guerra mondiale sull'Altipiano ...... 25 4. Opera narrativa di Mario Rigoni Stern, alcuni spunti di riflessione ...... 28 4.1. Rigoni scrittore - non scrittore ...... 29 4.2. Esperienza formativa e concetti opposti di «identità» ...... 30 4.3. L'uomo, natura e guerra ...... 33 5. Conclusione ...... 34 6. Breve biografia di Mario Rigoni Stern ...... 35 7. Bibliografia ...... 37

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1. Introduzione

Nella presente tesi mi vorrei occupare di due opere letterarie di Mario Rigoni Stern: del suo primo racconto autobiografico Il sergente nella neve1 e del romanzo storico Storia di Tönle.2 Tale scelta si giustifica con il fatto che entrambe le opere hanno in comune, oltre all’argomento bellico, una riflessione circa una ricerca identitaria del loro autore. Una ricerca che poi sfocia, in entrambi i testi, nella critica del concetto dell'identità nazionale italiana. Da tale ricerca Rigoni Stern giunge quindi a un concetto completamente opposto al concetto identitario imposto dallo stato-nazione italiano: all'idea della «compaesanità». Per quanto riguarda la letteratura critica usata per questo lavoro, oltre ai volumi analizzati, si lavorerà soprattutto con due tipi di fonti. Mario Rigoni Stern è uno scrittore di fama internazionale perciò per la mia tesi avrò a disposizione, oltre ad altre sue opere letterarie,3 anche una serie di interviste,4 in cui Rigoni Stern commenta vari temi politico-sociali e che mi serviranno come fonti accessorie. L'opera letteraria di Mario Rigoni Stern è stata inoltre esaminata da numerosi studiosi italiani e stranieri. Questo lavoro sarà basato quindi soprattutto sugli studi di alcuni esperti, tra cui: Antonio Motta5 o Michele Buzzi6, autori di uno studio sulla vita di Mario Rigoni Stern e di analisi di alcune sue opere; Marie-Hélène Angelini-Trevet7, autrice di un saggio dedicato ai concetti cruciali della narrativa rigoniana8. Sarà importante per il presente lavoro anche l’opera di Ronnie Ferguson9, un linguista scozzese che si è occupato nel suo studio della problematica identitaria

1 Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, Einaudi, Torino, 1973. 2 Mario Rigoni Stern, Storia di Tönle, Einaudi, Torino, 1978. 3 Il sergente nella neve. Ricordi della ritirata di Russia, Torino, Einaudi, 1953; Il bosco degli urogalli, Einaudi, Torino, 1962; La guerra della naia alpina, Ferro edizioni, Milano, 1967; Quota Albania, Einaudi, Torino, 1971; Ritorno sul Don, Einaudi, Torino, 1973; Storia di Tönle, Einaudi, Torino, 1978; Uomini, boschi e api, Einaudi, Torino, 1980; L'anno della vittoria, Einaudi, Torino, 1985; Amore di confine, Einaudi, Torino, 1986; Il magico kolobok e altri scritti, La Stampa, Torino, 1989; Il libro degli animali, Emme-Einaudi, Milano-Torino, 1990; Arboreto salvatico, Einaudi, Torino, 1991; Compagno orsetto, Elle, Trieste, 1992; Il poeta segreto, Il girasole, Catania, 1992; Le voci del Trentino, La corda pazza, Trento, 1993; Le stagioni di Giacomo, Einaudi, Torino, 1995; Sentieri sotto la neve, Einaudi, Torino, 1998; Inverni lontani, Einaudi, Torino, 1999; Tra due guerre e altre storie, Einaudi, Torino, 2000; L'ultima partita a carte, Einaudi, Torino, 2002; Aspettando l'alba e altri racconti, Einaudi, Torino, 2004; I racconti di guerra, Einaudi, Torino, 2006; Stagioni, Einaudi, Torino, 2006; Quel Natale nella steppa, Interlinea, Novara, 2006; Racconti di caccia, Einaudi, Torino, 2011. 4 Interviste raccolte in seguenti volumi: Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no. Conversazioni e interviste 1963- 2007, a c. di Giuseppe Mendicino, Einaudi, 2013; Il Veneto che amiamo. Incontri con Fernando Bandini, , Mario Rigoni Stern e , a c. di Valentina Fasola et al., Edizioni dell'asino, Roma, 2009; Giulio Milani, Storia di Mario. Mario Rigoni Stern e il suo mondo, Transeuropa, Massa, 2008; Giampaolo Visetti, La mia vit guerra e pace – intervista a Mario Rigoni Stern, in «La Reppublica» [online].15.12.2003 [1.11.2015]. Disponibile su: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/12/15/la-mia-vit-guerra-pace.html. 5 Antonio Motta, Mario Rigoni Stern, La nuova Italia, Firenze, 1982. 6 Michele Buzzi. Invito alla lettura di Mario Rigoni Stern, Mursia, Milano, 1985. 7 Marie-Hélène Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano di «sub-limine» e la denuncia antibellica nella narrativa di Mario Rigoni Stern, Sabatia editrice, Avellino, 1995. 8 Il concetto di «sub-limine» e la denuncia antibellica. 9 Ronnie Ferguson, The Critique of National Identity in the Novels of Mario Rigoni Stern, «Forum for Modern Language Studies», XXXVIII/2, 2002, pp. 155-169. 6 nell'opera di Mario Rigoni Stern; Sigrid Huber10, autore di una tesi di laurea su Mario Rigoni Stern. Infine, saranno cruciali anche i testi di Giorgio Pullini11, specialista della letteratura italiana postbellica. Riallacciandomi alla maggior parte degli autori menzionati, mi concentrerò principalmente sulla sopraccitata problematica identitaria. Le questioni riguardanti la tale problematica saranno studiate in base all'analisi di due opere fondamentali: il punto di partenza, per quanto concerne la questione della «problematica identitaria», sarà Il sergente nella neve (1953)12 poiché proprio in questa opera nascono (pur restando sempre sottintesi) la polemica sull'identità nazionale italiana ed il concetto della «compaesanità». In un secondo momento sarà presa in considerazione la Storia di Tönle (1978)13 dove la polemica identitaria raggiunge una espressione esplicita ed assoluta.14 Entrambe queste opere saranno esaminate sia dal punto di vista del contenuto che da quello linguistico e stilistico. L'analisi del contenuto è scandita da temi come: «l’indentità»15, «l'identità nazionale» e la «critica dell'identità nazionale italiana»16, la «denuncia antibellica»17, «la guerra e il mondo della montagna»18 e «la testimonianza di guerra»19. Anche l'aspetto linguistico, e soprattutto l'uso del dialetto altipianese, può essere interpretato come un elemento importante nella ricerca identitaria di Rigoni Stern. In questo senso lo stile e il contenuto tendono a volte a sovrapporsi. Un altro elemento significativo consiste nella prospettiva stilistica dell'opera di Rigoni Stern, e ciò per due ragioni: la maniera della sua narrazione è viva ma sempre asciutta e riservata. Lo stile è semplice e diretto, con l'uso di un linguaggio semplice arricchito da espressioni dialettali.20 L'efficacia espressiva e drammatica della sua narrazione poggia anche sul fatto che l'autore, immedesimandosi con i diversi protagonisti, lascia «parlare i fatti», e che, a differenza di alcuni

10 Sigrid Huber, Il senso dell'umanità nella narrativa di Mario Rigoni Stern, tesi di laurea, Geisteswissenschaftliche Fakultät der Universität Wien, 1997. 11 Giorgio Pullini, Il romanzo italiano del dopoguerra, Marsilio Editori, Padova, 1961. 12 M. R. Stern, Il sergente nella neve, cit. 13 M. R. Stern, Storia di Tönle, cit. 14 Cfr. R. Ferguson, The Critique of National Identity..., cit., p. 156. 15 «“Identität” [meint] die Antwort auf die Frage, wer einer ist. Er ist, wer er ist, durch seine Selbigkeit mit sich selber und durch sein Anderssein gegenüber anderen.» Odo Marquard, Nicht-Identität, Identität und Kunst im 20. Jahrhundert, in Kunst und Identität im 20. Jahrhundert, a c. di Ingrid Mössinger et al., Chorus Verlag für Kunst und Wissenschaft, Mainz/München, 1997, p. 75. Si tratta di un termine abusato in psicologia, filosofia, sociologia, ecc. - nell'enciclopedia di O. Marquard lo stesso termine occupa 765 pagine. 16 Del nazionalismo italiano (e in particolare del nazionalismo nel periodo fascista) trattano vari libri, tra i quali: Frederioco Chabod, L'Italia contemporanea, Einaudi, Tornio, 1961; Serge Huhes, The Fall and the Rise of Modern Italy, Macmillan Company, New York, 1967 oppure Franco Gaeta, Il nazionalismo italiano, Laterza, Bari, 1981. 17 Cfr. M-H. Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano..., cit. 18 Il regione da cui provenne Mario Rigoni Stern, si trovava nella zona di guerra di prima linea. Gli alpini hanno parteciparono a entrambi i conflitti mondiali, la comunità montana ebbe quindi l'esperienza della guerra sia nel proprio territorio che in quello estraneo. Tale esperienze vengono trattate in: , Mario Cervi, L'Italia del Novecento, BUR, Milano, 2014; Enzo Biagi, La Seconda Guerra Mondiale, Fabbri Editori, Milano, 1980 ed altri. 19 M. R. Stern appappartene nell'insieme degli autori che scrivevano della propria esperienza della guerra, come per esempio: Mario Tobino, Beppe Fenoglio, ed altri. 20 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 30. 7 altri21 letterati che parlano di guerra, non ricorre alla retorica e al patetico.22 Un ulteriore elemento cruciale per lo stile dell'opera rigoniana è il fatto che Rigoni, non essendo uno scrittore professionista, dovette sviluppare uno stile e una maniera di scrivere personali.23 Essendo al primo posto la esigenza di «testimoniare» piuttosto che il desiderio di «fare arte», sembra che per Rigoni il contenuto sia più importante dello stile stesso, o che questi due elementi si colleghino così strettamente da creare un carattere particolare raggiungendo grande forza espressiva.24 Oltre all'analisi stessa dei testi di Rigoni Stern ritengo necessario guardare alla sua opera nel contesto storico dell'Italia ante- e postbellica,25 e in particolare nel contesto del dibattito sociale e politico di quegli anni. Come è già stato detto, Mario Rigoni Stern non era soltanto uno scrittore «immerso nei suoi libri», ma egli stesso si considerava soprattutto un interprete dei tremendi eventi di cui sentì importante di testimoniare.26 Egli era, infine, anche un uomo attivo nella società italiana27 (e soprattutto nella società montana) la quale tentava di superare il trauma della guerra e del regime fascista.28 In base all'analisi, che prende in considerazione il suo impiego nel contesto storico, si lavorerà quindi con l’ipotesi che il concetto chiave per la comprensione dell’opera rigoniana sia quello della «paesanità» e (o) la «compaesanità». Questi ultimi vengono interpretati come un sentimento reciproco che unisce gli uomini che hanno provato l'esperienza di ritrovarsi in una società simile a quella propria.29 Lo stesso Rigoni spiega la «paesanità», come «il modo di legare nella vita: l'opposto della solitudine.»30 La nozione della «compaesanità», appunto, aiuta a descrivere quello che Rigoni Stern considera la propria identità, cioè le proprie radici e la sostanza della propria esistenza, e permette di capirne la duplice essenza. Questa ultima, come vedremo, si rivolge da una parte alla cerchia più stretta dei suoi compaesani altipianesi, dall'altra parte si apre a tutto il mondo.31 Il presente studio sarà pertanto strutturato successivamente: nel primo capitolo mi dedicherò

21 La retorica patriottica della «guerra giusta» è presente in molte opere del dopoguerra, quali i: Piero Jahier, Con me e con gli alpini, Edizioni de «La Voce», Roma 1920; Tommaso Fiore, Il cafone all'inferno, Torino, Einaudi, 1955 o , Guerra in camicia nera, Milano, Garzanti, 1955. 22 Cfr. M. Buzzi. Invito alla lettura..., cit., p. 105. 23 Il testo originale del «Sergente» ha subito tra gli anni 1946 e 1953 quattro redazioni (compreso il cambiamento del titolo da «I ricordi di Russa» in «Il sergente nella neve»). A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 23. 24 Cfr. G. Pullini, Il romanzo italiano del dopoguerra, cit., p. 152. 25 Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia del Novecento, BUR, Milano, 2014. 26 «Ho raccontato, ripeto, per testimoniare. Sono poi diventato scrittore. La mia esperienza è stata quella di voler raccontare per chi non c'era ed anche per raccontare per chi non era ritornato e non poteva raccontare, perché è rimasto lí o in Albania o in Russia o nei campi di concentramento, rimasto lí per sempre.» Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no. Conversazioni e interviste 1963-2007, cit., p.108. 27 Oltre le numerose interviste Rigoni ha svolto vari incotrni e discussioni con gli studenti. 28 Renzo De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Laterza, Bari, 1995. 29 Cfr. M-H. Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano..., cit., p. 38. 30 Cfr. G. Visetti, La mia vit guerra e pace ..., cit. 31 Cfr. R. Ferguson, The Critique of National Identity..., cit., p. 161. 8 a Il Sergente nella neve. In questo capitolo presenterò la trama del libro e lo sfondo storico. Poi mi concentrerò sull'analisi dell'opera sulla base del metodo scelto. Similmente procederò nel secondo capitolo dove mi occuperò del romanzo storico Storia di Tönle. Seguirà il terzo capitolo dove riassumerò i risultati della mia analisi. In questa parte sintetica cecherò di lavorare in particolare con i concetti precisati qui sopra. L’ultima tappa di questo lavoro sarà quindi una riflessione sul significato dell'opera rigoniana e della sua ricerca identitaria nel quadro più generale della società italiana postbellica. La tesi sarà conclusa con una breve biografia di Mario Rigoni Stern e con la bibliografia di cui mi sono servita durante la stesura del presente lavoro.

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2. Il sergente nella neve

2.1. Trama e narrazione

Il sergente nella neve è un racconto autobiografico di Mario Rigoni Stern, che narra l'esperienza dei soldati italiani sul fronte russo tra il gennaio 1942 e il febbraio 1943.32 Si concentra principalmente sulla cosiddetta «infame» ritirata, cioè sulla marcia delle truppe italo-tedesche dalla Russia, conclusasi nel disperato tentativo dei soldati italiani di rompere l'accerchiamento nemico.

Rigoni cominciò a scrivere il libro nel gennaio del 1944, quando era prigioniero in un lager tedesco, dopo che aveva rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò.33 Il racconto fu però concluso soltanto dieci anni dopo, nel 1953, quando fu pubblicato da Elio Vittorini nella collana dei «Gettoni» della casa editrice Einaudi. L'opera divenne presto internazionalmente conosciuta, entrando perfino nei programmi scolastici.34 Il sergente nella neve è solitamente incluso nella «letteratura memorialistica» e di documento, perché rappresenta una testimonianza cruciale delle drammatiche esperienze della seconda guerra mondiale.

Narrato in prima persona dal ventenne Mario Rigoni Stern – allora sergente maggiore (nella 55° compagnia plotone mitraglieri del battaglione Vestone, 6° reggimento Alpini, divisione Tridentina)35 – il libro si divide in due parti. La prima, intitolata Il caposaldo, descrive la vita nelle trincee situate lungo il corso del fiume Don sul fronte. La seconda parte, chiamata La sacca, ricostruisce la ritirata attraverso la steppa innevata della Russia occidentale. Rigoni inizia il racconto, senza alcuna descrizione dello sfondo storico, «trascinando» il lettore direttamente nel vivo del quotidiano di trincea, con un’attenzione particolare alla «memoria» poli sensoriale del suo proprio corpo: 36

Ho ancora nel naso l'odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don. Ho ancora negli occhi il quadrato di Cassiopea che mi stava sopra la testa tutte le notti e i pali di sostegno del bunker che mi stavano sopra la testa di giorno. E quando ci ripenso provo il terrore di quella mattina di gennaio quando la Katiuscia, per la prima volta, ci scaraventò le sue settantadue bombarde.37

32 Il titolo originale è stato Ricordi della ritirata di Russia. 33 Si trattava degli primi appunti scritti a penna che ricostruivano i giorni della ritirata. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 22. 34 Cfr. R. Ferguson, The Critique of National Identity..., cit., p. 155. 35 Cfr. M. Buzzi. Invito alla lettura..., cit., p. 20. 36 Cfr. M-H. Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano..., cit., p. 52. 37 M. R. Stern, Il sergente nella neve, cit., p. 9. 10

Di seguito Rigoni specifica il posto del caposaldo e i suoi dintorni (un abbandonato villaggio di pescatori in riva al Don), il modo della vita quotidiana sul fronte e i caratteri dei suoi commilitoni. La vita nel caposaldo è, sotto molti aspetti, vicina a quella di casa: oltre ai lavori e compiti militari (stare di vedetta o piantare i reticolati) si raccoglie la verdura trovata sotto le rovine delle case distrutte, si mantengono le abitudini della casa (si fa la polenta e il caffè), si canta, si parla nel dialetto. In una tale atmosfera, relativamente tranquilla e pacifica, passano anche i giorni di Natale e del Capodanno.

Nei primi gironi di gennaio, la situazione diventa improvvisamente critica. I russi rafforzano le azioni offensive cercando di passare il fiume che li separa dalle postazioni italiane. Grazie alla prontezza delle truppe italiane, la difensiva si svolge con successo e i russi non penetrano. Inaspettatamente, però, un giorno, il tenente del caposaldo in cui si trova Rigoni cede al freddo e fatica e viene mandato fuori dal fronte. Rigoni deve pertanto prendere il comando del caposaldo – proprio nel momento in cui arriva l'ordine del ripiegamento: «Sentivo tutta la responsabilità che mi girava addosso […] cercavo di star sereno e pensavo a quello che avrei dovuto fare nel caso che fosse andata male.»38

La prima parte del racconto si conclude quindi durante una delle notti della prima metà del gennaio, le truppe italiane si mettono in viaggio lasciando alle spalle il villaggio dove era stato il loro caposaldo.

Fin dalle pagine iniziali di La sacca il racconto segue lo svolgimento della ritirata. Il sergente Rigoni la percorre assieme al suo plotone dei mitragliatori, responsabile per la sua squadra. Lo sviluppo della ritirata è molto impegnativo, date le condizioni meteorologiche sfavorevoli, cioè del gelo dell’inverno russo, che dello stesso corpo d'armata italiano. «Si camminava uno dietro l'altro con la testa bassa. Sotto la coperta e sotto il camice bianco si sudava ma bastava fermarsi un attimo per tremare dal freddo. Ed era molto freddo. Lo zaino pieno delle munizioni a ogni passo aumentava il peso […]»39

Presto appaiono le prime vittime del freddo e dell'esaurimento, il cui numero comincia ad aumentare. La ritirata è ritmata da momenti di riposo in villaggi rusoi composti da poche isbe40, che offrono (grazie alla solidarietà della «gente semplice») la possibilità del riposo e del riscaldamento per i soldati sbandati. Nella gran parte di La sacca si susseguono continuamente scene simili: la marcia, il freddo, la fame, le sparatorie e il risposo in qualche isba.

38 Ivi, p.54. 39 Ivi, p. 60. 40 «Caratteristico tipo di abitazione rustica russa di tronchi d’albero, con tetto spiovente o piatto, costituita da un unico ambiente diviso da paraventi e leggeri tramezzi e riscaldato da una grande stufa in muratura sulla quale vi è anche posto per dormire.» «Isba», in Treccani.it., L'enciclopedia italiana, Enciclopedia dell'italiano [online].[25.10.2015]. Disponibile su: http://www.treccani.it/vocabolario/isba/ 11

Il racconto culmina il 26 gennaio 1943 nella città di Nikolaevka, dove si svolse la più dannosa e decisiva battaglia dell'intera ritirata, e in cui Rigoni Stern perde la maggioranza degli amici. Lui stesso però appartiene a quelli pochi che riescono a rompere l'accerchiamento dei russi e aprono così la strada a molti altri commilitoni. La storia si conclude quando, fisicamente e mentalmente esaurito, l’autore trova un rifugio in una casa di Bielorussia, a qualche migliaio di chilometri dalla sua baita.

2.2. La ritirata di Russia

Ritengo importante concentrarmi, dopo aver presentato la trama de Il sergente, sul contesto storico di questo libro.

I fatti che portarono alla cosiddetta «infame ritirata» dalla Russia furono una delle dirette conseguenze della sottoscrizione del «Patto d'Acciaio»41, nel 1939, tra Benito Mussolini e Adolf Hitler, che diede origine all'alleanza militare tra l'Italia fascista e la Germania nazionalsocialista. Nel 1940, dopo la capitolazione della gran parte degli stati europei,42 l’Italia, che allora credeva in una rapida conclusione del conflitto, entrò in guerra a fianco della Germania. L'anno successivo l’Italia intraprese una campagna contro la Grecia. In seguito a una controffensiva greca, le truppe italiane furono costrette a ritirarsi. L'armata italiana dimostrò quindi la propria incapacità di operare autonomamente nel conflitto e diventò subordinata alla Germania. Questa ultima poi attaccò (con un ritardo causato appunto dalla disfatta italiana in Grecia) l'URSS e, nell'ottobre del 1941, iniziò una grande offensiva sul fronte russo. L'obiettivo era la conquista del bacino del fiume Donez43, un centro carbonifero e industriale molto importante. Dopo il fallimento dell'offensiva su Mosca e la riconquista sovietica delle città di Rostov e Char'kov alla fine del 1941, il fiume Don divenne «estremamente importante nei piani strategici tedeschi, sia per la difesa della pianura ucraina e del bacino Donez, sia come base per la successiva offensiva dell'estate 1942, culminata con l'occupazione dell'intero basso corso del fiume».44 A questo secondo attacco parteciparono anche cinquantadue divisioni «alleate» comprese

41 «L’Accordo tra Mussolini e Hitler (22 maggio 1939) che sancì la politica del cosiddetto “asse Roma-Berlino”». «Patto d'Acciaio», in Treccani.it., L'enciclopedia italiana, Enciclopedia dell'italiano [online].[25.10.2015]. Disponibile su: http://www.treccani.it/vocabolario/acciaio/. 42 Tra cui: Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. 43 «Fiume dell’Europa orientale, affluente di destra del Don. Il suo corso si svolge per la massima parte in Ucraina; solo il tratto iniziale e quello terminale sono nel territorio della repubblica di Russia». «Donez», in Treccani.it., L'enciclopedia italiana, Enciclopedia dell'italiano [online].[20.10.2015]. Disponibile su: http://www.treccani.it/enciclopedia/donez/ 44 Cfr. M. Buzzi. Invito alla lettura..., cit., p. 30. 12 nove divisioni italiane dell'ARMIR,45 tra cui si trovava un corpo d'armata alpino costituito dalle divisioni Cuneense, Tridentina e Julia. Gli alpini raggiunsero il bacino del Donez nell'estate del 1942. Da qui dovevano procedere fino al Caucaso ma, in seguito al peggioramento della situazione, rimasero nella parte centrale del Don.46 Nel dicembre del 1942 si svolse la grande controffensiva sovietica. La situazione degli alpini diventò critica nei primi giorni del gennaio dopo il crollo delle posizioni italiane e dopo il cedimento di quelle ungheresi. L'ordine di ritirarsi dalla prima linea sul Don arrivò tardi – nel momento quando gli alpini erano già circondati dai soldati russi. La divisione Julia e Cuneese vennero distrutte dai carri corazzati russi difendendo la ritirata di retroguardia.

[...] Stremati e ridotti i battaglioni della Julia a meno di 150 uomini ciascuno; con solo pochi mezzi, scarsamente munizionati, del Gruppo Conegliano. Duramente provati tre dei cinque battaglioni della Cuneense, privi ormai di artiglierie [...] Rimane a me più vicina e più salda la divisione Tridentina, rinforzata da pochi ma preziosi carri armati e semoventi tedeschi.47

La divisione Tridentina, l'unica in grado di affrontare la battaglia, si mise in testa della sfila ? dei soldati marcianti, dove, nonostante il tentativo di mantenere l'ordine, il caos diventò presto evidente. Gli ordini non hanno più efficacia, soltanto gli ufficiali più energici e più stimati riescono a farsi in qualche modo obbedire, ma la truppa è in preda alla psicosi della disfatta, cerca ristoro nelle isbe superaffollate, ma calde. Le strade della città sono letteralmente bloccate da carriaggi, quadrupedi, mezzi motorizzati tedeschi che non riescono a farsi largo. Scoppiano violente liti tra italiani e tedeschi; questi ultimi non nascondono il loro disprezzo per un alleato impotente, ridotto allo stremo, gli italiani non possono ignorare che, a loro volta, i tedeschi hanno abbandonato a morte certe o alla prigionia migliaia di connazionali nella steppa gelata [...]48

Per uscire della «sacca» i soldati dovettero superare più di 120 chilometri in 17 giorni nelle condizioni peggiori: in un freddo tremendo (di circa – 40º), con armamento, abbigliamento ed alimento insufficiente, esposti agli attacchi continui dell'Armata Rossa e dei partigiani, che culminarono nella sanguinosa battaglia di Nikolaevka. Finalmente, negli ultimi giorni di gennaio, con un tremendo bilancio di vittime lasciate sul campo,49«la Tridentina riuscì a sfondare l'accerchiamento sovietico portando in salvo decine di migliaia di uomini».50

45 «Sigla di Armata italiana in Russia, corpo di spedizione che operò nel 1942-43 nella zona del Don.» «ARMIR», in Treccani.it., L'enciclopedia italiana, Enciclopedia dell'italiano [online].[21.10.2015]. Disponibile su: http://www.treccani.it/enciclopedia/armir_%28Dizionario-di-Storia%29/. 46 Cfr. M. Buzzi. Invito alla lettura..., cit., p. 31. 47 Cfr. Marco Gasparini, Claudio Razeto, 1943 Diario dell'anno che sconvolse l'Italia, Lit Edizioni Srl, Roma, 2013, p. 18. 48 Cfr. Enzo Biagi, La Seconda Guerra Mondiale, Fabbri Editori, Milano, 1980. 49 Gravissime furono in particolare le perdite delle divisioni alpine: dei 5700 alpini partiti per la Russia, ne ritornarono solo 11000. Informazione tratta da Alfio Caruso Tutti i vivi all'assalto, Longanesi, Milano, 2003. 50 Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, Einaudi, Torino, 1965, collana «Letture per scuole medie», p. 8, cittato da 13

2.3. Analisi narrativa e stilistica

Già all'inizio del libro il lettore si rende conto di un carattere insolito e originale nello stile del raccontare: invece di prestar attenzione ai fatti storici precedenti, l'autore presenta immediatamente i ritratti dei suoi compagni, tentando di descrivere anche il loro profilo psicologico. Rigoni non nasconde il sentimento della simpatia e dell'affetto, come vediamo nella descrizione di Meschini, uno dei protagonisti: «Era lui che faceva la polenta la sera. Mescolava con energia: le maniche della camicia rimboccate fino al gomito, una goccia di sudore per ogni pelo di barba. Si vedevano i muscoli delle braccia e del viso irrigidirsi, si piantava a gambe larghe. […] Pareva Vulcano che batteva sull'incudine.»51 Similmente, Rigoni specifica la maniera della vita quotidiana di trincea, che in molti aspetti assomiglia a quella di casa.

Meschini stava pestando il caffè nell'elmetto con il manico della baionetta. Bodei faceva bollire i pidocchi. Guanin stava appoggiato nella sua nicchia vicino alla stufa. Moreschi si rammendava le calze. Quelli che hanno fatto gli ultimi turni di vedetta dormivano.52

La sensazione casalinga è presente anche durante il servizio quotidiano fino a tal punto che Rigoni scrive diverse volte: «Pareva proprio di essere sulle nostre montagne»53, «Pareva di essere al paese come quando si va da una contrada all'altra per trovare un amico e far due chiacchiere all'osteria».54 Questa abbastanza assai brusca messa «in media res» ha una grande efficacia: quanto più il lettore conosce gli alpini, tanto più sentirà la loro sofferenza e la disperazione nelle situazioni critiche della ritirata. Un altro elemento di originalità del libro consiste nel punto di osservazione dell'autore, insolito nella memorialistica di guerra. Rigoni Stern, che ha il grado di sergente maggiore ed è perciò un graduato, si trova in una posizione non lontana da quella degli ufficiali, ma nello stesso tempo vicina a quella dei semplici soldati. Tuttavia, la sua testimonianza proviene «dal basso» ed è priva di filtri. Così, Rigoni comunica, tramite le cose e le persone descritte, la condizione della vita sul fronte russo.55 La forte nostalgia della casa, raramente espressa esplicitamente, è tuttavia persistente sin dalle pagine iniziali del libro, grazie ai paragoni che rievocano le immagini

M. Buzzi. Invito alla lettura..., cit., p. 31

51 M. R. Stern, Il sergente nella neve, cit., p. 20. 52 Ivi, pp. 15-16. 53 Ivi, p. 11. 54 Ivi, p. 18. 55 Cfr. M. Buzzi. Invito alla lettura..., cit., p. 37. 14 domestiche, come, per esempio: la mitragliatrice che «pareva una capra, tanto sembrava magra»56 le bombe a mano rosse e nere che «parevano fiori»57 oppure le pallottole traccianti «che scoppiano come i fuochi d'artificio d'una sagra paesana».58 Anche l'uso del dialetto accentua il fatto che il suo punto di vista è quello di un soldato semplice proveniente da una società semplice contadina. Invece di un artificio estetico, in Rigoni si tratta di «un dialetto non alla Gadda o alla Pasolini, ma che è struttura mentale stratificata e viva».59 Il ritmo della narrazione cambia nella seconda parte del libro: mentre la scansione cronologica della prima parte è più episodica, ne La sacca i fatti si susseguono con un ordine narrativo cronologico. Il linguaggio, originalmente vivace e ottimistico, passa, con le ultime pagine de Il caposaldo, in un tono melanconico e più riservato. Nella seconda parte cambia all’improvviso in una prosa secca e brusca, composta spesso da brevi periodi e paragoni, raggiungendo così la grande efficacia espressiva:60 «Siamo senza gambe, senza braccia, senza testa, siamo solo stanchezza e sonno, e gola piena di sassi.»61 Nella descrizione della ritirata, Rigoni tende alla ripetizione di alcune espressioni (spesso nell'ambito della medesima pagina), sopra di tutto quando vuole accentuare le sensazioni di sofferenza provata dagli soldati fuggiti: «Era freddo, molto freddo, ma sotto il peso dello zaino pieno di munizioni, si sudava.»62 […] «Si camminava uno dietro l'altro con la testa bassa. Sotto la coperta e sotto il camice si sudava ma bastava a fermarsi un attimo per tremare dal freddo. Ed era molto freddo.»63 Il linguaggio di Rigoni, solitamente riservato, non trattiene neppure segni di rabbia e di delusione quando si scontra con la sofferenza causata dalla degradazione umana: dalla dominanza dell'egoismo, della sopraffazione degli umili da parte dei privilegiati. Tale atteggiamento è solito per alcuni ufficiali che non vogliono condividere l'isba con i semplici soldati. Anche a Rigoni accade di essere la vittima della spietatezza dei «privilegiati». Questi ultimi, però, quando scoprono che egli non è un soldato semplice, cambiano subito il loro comportamento.64 Ma Rigoni è disgustato dalla loro ipocrisia: «Porca naia! E se fossi un conducente qualsiasi? un fuciliere? un mulo? una formica».65 A immagine dello stato d'animo dell'autore, lo spirito della narrazione diventa più positivo quando egli si trova nella compagnia dei suoi «compaesani». Cioè, in primo luogo, tra gli alpini, ma

56 M. R. Stern, Il sergente nella neve, cit., p. 21. 57 Ivi, p. 18. 58 Ivi, p. 22. 59 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 30. 60 Cfr. M. Buzzi, Invito alla lettura..., cit., p. 41. 61 M. R. Stern, Il sergente nella neve, cit., p. 67. 62 Ivi, p. 60. 63 Ibidem. 64 Cfr. M. Buzzi, Invito alla lettura...cit., p. 42. 65 Ivi, p. 68. 15 anche, come vedremo successivamente, tra i civili russi, scoprendo il loro vero carattere. In sintesi, la lingua di Rigoni Stern e il ritmo della sua narrazione cercano di adattarsi al contenuto del racconto stesso: un lessico semplice, «paesano», descrive con schiettezza le atroci sofferenze della guerra, ma anche il profondo sentimento di comunione tra uomini non contagiati dalle derive nazionaliste o totalitarie.

2.4. L'uomo e la guerra

2.4.1. Il sentimento della «compaesanità» nei confronti dei compagni italiani e dei «nemici» russi

Rigoni Stern e i suoi compagni sono legati tra di loro da un forte rapporto culturale: hanno in comune la propria origine dell'Altopiano e quindi la lingua, la cultura e soprattutto il loro modo di vita contadino. Il fatto che condividano la stessa cultura permette loro di vivere in un’atmosfera casalinga comunitaria. Gli alpini sono uomini semplici, montanari e boscaioli che fanno il proprio dovere scrupolosamente, portando avanti la vita con speranza, buon umore ma anche paura. Mandati in un paese lontano, a contatto di un popolo di cui non sanno nulla perché è nemico, questi alpini, più che la per la paura dei «nemici» russi o della morte, più che per il freddo e la fame, soffrono per l'immensa distanza del loro paese, e per l'incertezza del ritorno. Lo stesso Rigoni conferma: «Il nemico era la distanza di casa. Erano quei tremila chilometri di neve a partire dal Don e ad arrivare ad Asiago, per me. Gli altri erano incidenti di percorso.»66 Il desiderio del ritorno è ne Il Sergente espresso il più fortemente tramite il personaggio di Giuanin con il suo chiedere continuo: «Sergentmagiú, ghe rivarem a baita?»67 La baita significa il posto dove c'è la famiglia, la madre, l'amante, il focolare, le montagne, i pascoli, insomma un posto concreto e famigliare diverso dal concetto astratto della «gran patria» della retorica fascista. Contro la nostalgia il giovane sergente Rigoni pone la sua volontà costante di impiegare il massimo delle proprie disposizioni nella lotta per la vita quotidiana e di essere positivo a qualsiasi costo. Così Rigoni trova il modo di allontanare la guerra con i suoi effetti dannosi. Pur avendo un grado militare superiore a quello dei suoi compagni, Rigoni li tratta come suoi pari, appunto perché provengono dello stesso ambiente sociale. Hanno lo stesso punto di vista, ma anche lo stesso atteggiamento culturale di fronte alla guerra. Contrariamente alla prospettiva di

66 Cfr. Giulio Milani, Storia di Mario. Mario Rigoni Stern e il suo mondo, Transeuropa, Massa, 2008, p. 41. 67 M. R. Stern, Il sergente nella neve, cit., p. 20. 16

Piero Jahier, che combatté durante la prima guerra,68 Rigoni non tende però al populismo: gli alpini non rappresentano un'idea astratta di un popolo come «forza» o come «sanità morale» che debba esser sacrificata «sull'altare della patria giusta».69 I suoi alpini non combattono in una guerra che, tramite la sofferenza, educhi alla «salute e alla giustizia», come ad esempio gli alpini di Jahier che scrisse «Noi ci battiamo per una causa di giustizia tra gli uomini […] Questa è guerra che continua la nostra vita di popolo povero e buono.»70 Insomma, a Rigoni e i suoi compagni non interessa la propaganda, sia quella ideologica di una guerra legittima che quella intellettuale della difesa di un mandato sociale.71 Anzi, l'interesse di Rigoni Stern è «tutto spostato sulla storia dell'uomo […] di uomini in guerra contro altri uomini […] Importa la loro vita di montanari costretti a farsi la guerra e legati da un profondo vincolo culturale».72 Questi uomini condividono l'esperienza di esser «lanciati nel caos di una guerra» che, istintivamente, rifiutano.73

Di conseguenza, negli alpini naturalmente cresce il sentimento di affetto per il villaggio che è diventato il loro caposaldo, appunto perché vi erano vissuti uomini simili, che avevano sperimentato una vita identica a quella dei contadini altipianesi. Questi ultimi non trattano pertanto il villaggio russo come un paese conquistato che si vorrebbero saccheggiare, ma piuttosto come un posto dove loro stessi sono ospiti. La loro tendenza a sentire la vita dei contadini locali come se fossero dei «compaesani» mostra la polemica di Rigoni con l'atteggiamento «ufficiale», in altre parole con l'ostilità che si dovrebbe, per obbligo, provare per il paese nemico.74 Anzi, Rigoni si rende conto del fatto che i russi soffraono e che sono soprattutto i civili a pagare le conseguenze negative della guerra: «Dove eravamo noi doveva essere stato un bel paese. Ora, invece, delle case rimanevano in piedi soltanto i camini di mattoni.»75

Quanto più a lungo Rigoni Stern rimane nel territorio «nemico» e quanto più vicini sono i soldati russi, tanto più egli sente solidarietà con loro. Vedendoli vivere ogni giorno nelle stesse condizioni estreme – tra tane e reticolati – gli sembrano essere quasi i suoi paesani:

Ogni tanto vedevo uno di loro che si alzava a prendere la neve dall'orlo della trincea. Faranno il tè, pensavo. Mi venne il desiderio di berne una tazzina. E li guardavo così come si guarda da un sentiero un contadino che sparge

68 «Scrittore italiano (1884 - 1966). Combattente nella prima guerra mondiale come ufficiale degli alpini, diresse un giornale di trincea, L'Astico (1918), e curò una raccolta di Canti di soldati (1918). Appartenne al gruppo della Voce, in cui portò il lievito e il rigore morale della sua origine valdese. La sua opera è strettamente autobiografica: di un'autobiografia che non è solo ricordo, ma esame di coscienza e giudizio di sé, della società e della vita.» «Piero Jahier» Info, in Treccani.it., L'enciclopedia italiana, Enciclopedia dell'italiano [online].[15.11.2015]. Disponibile su: http://www.treccani.it/enciclopedia/piero-jahier/. 69 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 32. 70 Piero Jahier, Con me e con gli alpini, Firenze, 1967, p. 191, citato da A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 21. 71 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 32. 72 Ivi, p. 29. 73 Cfr. G. Pullini, Il romanzo italiano del dopoguerra, cit., p. 159. 74 Cfr. M-H. Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano..., cit., p. 57. 75 M. R. Stern, Il sergente nella neve, cit., p. 10. 17

letame nel campo.76 Anche nei momenti degli scontri con i soldati russi, invece dell’ostilità, Rigoni sente una tale empatia da immedesimarsi nella loro situazione: «L'altro suo compagno che era rimasto dalla nostra parte ritentò il passaggio ma una raffica di mitragliatore lo costrinse a nascondersi nuovamente. Pensavo: “Aspetterà la notte, ora; gli converrebbe”. Avrei voluto gridarglielo.»77 La solidarietà verso il «nemico» espressa da parte degli alpini diventa ancora più evidente quando si trovano faccia a faccia con la morte. Dopo un attacco, rimangono sul fiume i soldati russi feriti: «Dalla voce sembrava un ragazzo. Si moveva un poco sulla neve e piangeva. – Proprio come uno di noi, – disse un alpino: – chiama mamma.»78 Durante la ritirata, a Rigoni Stern accade per la prima volta di vedere il viso dei soldati russi, mentre passano, vicini meno di un metro da lui, sui carri armati, per un villaggio. In quel momento Rigoni, opponendosi interiormente alla propaganda vigente, sente fortemente la loro umanità e vulnerabilità: «Sono giovani e non hanno la faccia cattiva, ma solo seria e pallida, e compunta, guardinga […] Avrei dovuto sparare?»79 Con questa ultima domanda l'autore esprime, per l'unica volta nel libro e nelle altre memorie di guerra, in modo così chiaro, l'appello drammatico (e di certo permanente) della sua coscienza. Egli si rende conto dell'assurdità e dell'immoralità della guerra, che obbliga di ammazzare i propri «simili» soltanto perché «interessi a lui estranei hanno dato loro del “nemico”».80

Infatti, le radici di tale convinzione sono nate circa un anno prima della ritirata, in occasione di un incontro81 verificatosi in Polonia nel corso del primo viaggio dell’autore sul fronte russo. Durante una delle soste obbligate in un villaggio polacco, Rigoni incontra un vecchio contadino polacco che aveva combattuto nella regione d'Asiago durante la prima guerra mondiale. Il dialogo con il polacco circa la terra natale di Rigoni Stern richiama in quest'ultimo una forte emozione che poi è evidente nella descrizione del momento dell'addio: «Il polacco, il mio compaesano polacco, stette lì con i piedi nella neve.»82 Qui, per la prima volta, Rigoni usa l’espressione «compaesano» per uno straniero. Questa sintesi di termini apparentemente antitetici – compaesano polacco – rispecchia la condivisione della stessa sensazione famigliare di entrambi i partecipanti: il polacco l’aveva provata sull'Altipiano nel corso della Grande guerra, mentre Rigoni si sente a casa durante quella breve sosta in Polonia. Il vecchio contadino quindi, invece di essere uno straniero, diventa per Rigoni Stern un elemento integrante della sua terra, perché ha saputo ricordarsi dell'emozione

76 Ivi, p. 29. 77 Ivi, p. 48. 78 Ivi, p. 40. 79 Ivi, p. 111. 80 Cfr. M-H. Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano..., cit., p. 59. 81 M. R. Stern, Il Bosco degli urogalli, Einaudi, Torino, 1962, p. 110. 82 M. R. Stern, Il sergente nella neve, cit., p. 114. 18 esistenziale vissuta nella terra di Rigoni Stern.83 Tale incontro causa un rovesciamento nella percezione della guerra da parte di Rigoni Stern: la notte seguente, passando per la terra polacca, Rigoni riflette sul destino dei poveri soldati che si dovranno ammazzare a vicenda: «Quanti compaesani uccideremo? e perché? Giacché al mondo siamo tutti paesani.»84 Questa presa di coscienza cristallizza poi nel rifiuto assoluto della guerra, la quale non è più altro che uno svolgimento fratricida che si contrappone all'idea della compaesanità.

Quanto più Rigoni percepisce i russi come suoi fratelli e paesani, tanto più prova – nel corso della campagna – dolore e vergogna nei loro confronti. Soprattutto quando si tratta della popolazione civile, Rigoni prova una specie di terrore di trovarsi suo malgrado coinvolto nello svolgimento di una guerra così violenta: «Passando per un villaggio vediamo dei cadaveri davanti agli usci delle isbe. Sono donne e ragazzi […] Non voglio guardare, ma loro ci sono anche se guardo […] Ma perché questo? Chi è stato?»85

Per quanto riguarda gli abitanti dei villaggi, questi ultimi, anche se loro stessi soffrono, sono capaci di esser solidali con i soldati sbandati e moribondi. Sono soprattutto le contadine, i cui figli e mariti sono in guerra, al fronte o arruolati fra i partigiani, ad avere spontaneamente degli slanci di solidarietà e di umanità. Molti alpini restano infatti, grazie al loro aiuto, in vita. Anche Rigoni vive un momento di solidarietà e pace inaspettate durante la battaglia di Nikolaevka: cercando un rifugio in un momento molto critico, l'autore capita per errore in un'isba occupata già dai soldati russi che stanno mangiando. Dopo il primo momento di stupore, Rigoni chiede in russo di qualcosa da mangiare e una donna presente gli dà un piatto di minestra con inattesa naturalezza:

Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C'è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d'ogni mia boccata. - Spaziba, - dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. - Pasausta, - mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi.86

L'autore sottolinea la naturalezza e la spontaneità sorprendenti con cui si è svolto questo «miracolo» del cibo condiviso con i russi, e il sentimento della comprensione reciproca: «Anche i russi erano come me, lo sentivo.»87 Attraverso la propria esperienza Rigoni mostra che grazie al rispetto e all’aiuto reciproco ci si può sentire a casa – tra i compaesani – anche in un posto molto lontano. Come scrive Angelini-Trevet, Rigoni dà quindi una dimensione nuova al noto proverbio

83 Cfr. M-H. Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano..., cit., p. 36. 84 M. R. Stern, Il bosco degli urogalli, cit., p. 114. 85 Ivi, p. 117. 86 M. R. Stern, Il sergente nella neve, cit., p. 132. 87 Ivi, p. 133. 19

«tutto il mondo è paese».88

3. Storia di Tönle

3.1. Trama e narrazione

La Storia do Tönle, scritta e pubblicata negli anni Settanta del Novecento, ebbe uno sviluppo complesso: il primo stimolo per la sua redazione fu il racconto di un amico di Rigoni Stern sulla vita di suo nonno. La storia suscitò l’interesse di Rigoni, perciò egli la trasformò in un breve racconto89 scritto per «Tuttolibri»90. Nell'inverno 1977-1978 l'autore tornò a lavorarci con l'intenzione di farne un'opera complessa, che si sarebbe occupata della storia della sua terra.

In questo libro Rigoni introduce, per la prima volta nella sua narrazione, la terza persona: Tönle Bintarn il cui nome significa nell'antica lingua dell'Atopiano «Tonino l'invernatone» colui che prepara le cose per inverno.91 Tönle è un vero montanaro, che da giovane ha svolto diversi mestieri: l'alpino zappatore, il soldato nell'esercito austriaco in Boemia, il ragazzo porta-acqua nelle miniere, oppure il cosiddetto «eisenponnar»– quello che pone i binari.92 L'inizio del racconto è situato negli anni Sessanta dell’Ottocento, nell'Italia post-unitaria. Il protagonista vive, tra le altre cose, del piccolo contrabbando per avere qualche reddito supplementare. Tönle fa da spola tra la provincia di Vicenza, da poco passata al Regno d'Italia, e quella di Trento, rimasta invece all'Impero di Francesco Giuseppe.93 Un giorno, mentre Tönle torna a casa, viene inseguito dalle guardie di finanza. Difendendosi ferisce una di loro e fugge. A causa di questo incidente, viene, in sua assenza, condannato a quattro anni di prigione. Consigliato da un suo vecchio amico avvocato, Tönle emigra, in attesa di tempi migliori. Comincia a vagabondare per quasi tutta l'Europa svolgendo vari lavori: in Austria fa il venditore di stampe, il boscaiolo e contadino. In Ungheria viene impiegato come il custode di cavalli e, dopo essersi trasferito a Praga, fa il giardiniere nel castello di Hradčany. Spinto da una grande nostalgia per la casa e la famiglia, ogni inverno, Tönle torna nelle sue montagne. Così riesce (pur essendo continuamente ricercato dalla polizia) a restare per un breve periodo con sua moglie e i suoi figli, ripartendo sempre all'inizio della primavera. Nel frattempo nel suo paese si sviluppano le idee del socialismo e dell' uguaglianza, e nascono le prime cooperative contadine. Anche Tonle (che

88 Cfr. M-H. Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano..., cit., p. 64. 89 Pubblicato nel 1977 con il titolo Il cigliegio sul tetto. 90 «Tuttolibri», il periodico culturale settimanale del quotidiano «La Stampa». 91 Cfr. M. Buzzi, Invito alla lettura..., cit., p. 78. 92 Dal termine tedesco «eisenbahnbauern», in italiano «ezemponeri». Piero Bevilacqua, La storia dell'emigrazione italiana, Donzelli Editore, Roma, 2001, p. 545. 93 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 55. 20 in quel tempo lavora nelle miniere in Germania) si interessa di questo nuovo movimento, leggendo il Manifesto comunista e discutendone poi di nascosto con i suoi compagni. Finalmente, nel 1904, grazie a un’amnistia, Tönle può tornare definitivamente sull'Altipiano. Ormai, egli non ha più l'età per girare il mondo e fa quindi il pastore nei pascoli comuni. Col passare del tempo, sua moglie muore, mentre i figli, alcuni emigrati oltre il mare, fondano le loro rispettive famiglie. Nel 1914 scoppia la guerra, che si trasforma in un evento rovinoso per il paese dei montanari altipianesi. Per Tönle, vissuto in un ambiente internazionale, la guerra in cui gli uomini si uccidono per difendere i confini, è una cosa incomprensibile e insensata. Vedendo il suo mondo sempre più vuoto e distrutto, Tönle si ritira in un'ostinata solitudine. Un giorno, mentre pascola il suo gregge, Tönle viene interrogato dagli austriaci che lo sospettano di esser una spia italiana. In seguito è imprigionato in un campo di concentramento a Katzenau, dove trascorre il periodo più amaro della sua vita. Alla fine della guerra viene mandato in Italia. Arrivato alle sue montagne, gli si apre davanti agli occhi una realtà spietata: dei Sette Comuni, dei boschi, delle malghe e delle case non è rimasto nulla. La storia si conclude una sera quando, stanco ma tranquillo, Tönle muore appoggiato contro il tronco di un ulivo, in mezzo ai «suoi» boschi.94

3.2. L'analisi stilistica e linguistica dell'opera

La Storia do Tönle si differenzia da Il sergente nella neve in molti aspetti. La forma è piuttosto descrittiva, vicina a quella di una rievocazione storico-personale: il testo si compone di successioni di ricordi collettivi (condivisi nella generazione di Rigoni Stern) e di memorie individuali dello stesso autore.95 Rigoni tenta di incrociare la «grande» storia e quella «piccola», cioè collegare i fatti storici reali con quelli ideati creando così un'opera complessa.96 Anche se il racconto tratta la vita di Tönle, Rigoni spesso entra nella narrazione, commentando e aggiungendo qualche informazione (soprattutto per quanto riguarda il contesto storico o politico). L’uso copioso del termine «nostro» in varie locuzioni – «ritornato nella nostra patria»,97 «la gente delle nostre contrade»,98 «il nostro Bintarn»99 – è sintomatico per il desiderio dell'autore di scrivere una vera storia del suo popolo. La lingua del racconto è però determinata anche da un altro aspetto: oltre allo studio riguardo la vita dello stesso Tönle Bintarn, Rigoni

94 Cfr. M. Buzzi, Invito alla lettura di..., cit., pp. 78-79. 95 Cfr. G. Milani, Storia di Mario..., cit., p. 86. 96 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 54. 97 M. R. Stern, Storia di Tönle, Einaudi, cit., p. 28. 98 Ivi, p. 31. 99 Ivi, p. 37. 21 compie una ricerca sociale e linguistica della comunità cimbra. Ciò si vede ad esempio nell'utilizzazione di parole antiche del dialetto cimbro o nella descrizione molto accurata delle tradizioni locali.100

3.3. Natura e uomini nell'esperienza di Tönle

Tönle rappresenta una società popolare e subalterna, che per oltre mille anni visse tra Venezia e gli imperi del Nord Europa in modo autonomo, senza «padroni» e senza confini.101 Le nuove leggi – e soprattutto la limitazione di scambi e di commerci liberi – nate dopo l'Unità d'Italia, rendono la vita del popolo montano più difficile. Il contrabbando diventa pericoloso:102 «Solamente, non era tanto agevole quel commercio perché, dopo il 1866, i passaggi facili erano guardati dalle regie guardie di finanza che non sempre li lasciavano passare […]».103 Famiglia, natura e lavoro sono elementi fondamentali per Tönle e la sua comunità montana, che creano un profondo spirito della patria. Durante gli anni vissuti in esilio, Tönle svolge molte attività che sono vicine alla sua maniera abituale di vita contadina: ad esempio, quando fa il custode di cavalli in Ungheria, oppure il giardiniere a Praga. Anche gli uomini che Tönle incontra sono, nella maggior parte dei casi, suoi compaesani o vecchi amici, che contribuiscono all'atmosfera famigliare del suo soggiorno nella monarchia austro-ungarica. Tönle, comunque, sente una grande nostalgia per il suo piccolo paese montano: «Per trent'anni l'amore per la famiglia e per la piccola patria dei “Cimbri” lo spinge a ritornare, quando la neve imbianca i monti.»104 La famiglia di Tönle vive lavorando in casa o nei campi nell'armonia con le leggi immutabili della natura.105 Quando Tönle ritorna a casa, più che del risultato del processo giudiziario a suo carico, egli si interessa di come stanno i suoi parenti e come va il lavoro: «Lui invece voleva sapere come era andato il parto, il raccolto delle patate e del lino, se avevano legna secca per passare l'inverno, come era andata la vendita della lana o se l'avevano tenuta per filarla e tesserla in casa.»106 L'incidente del ferimento della guardia di finanza suscita l'interesse negli ambienti

100 Cfr. M. Buzzi, Invito alla lettura..., cit.,p. 83. 101 Già nel 1310 si costituì negli Altipiani Veneto-Trentini sotto il titolo della Spettabile Reggenza dei Sette Comuni (oppure Federazione dei Sette Comuni) un piccolo popolo indipendente. La federazione esistente per quattro secoli si sfasciò nel 1807 in seguito dell'abolizione della Reggenza da Napoleon I. Successivamente, l'Altipiano dei Sette comuni appartenne all'Impero austriaco che cancellò molti privilegi avuti finora. Cfr. Sigrid Huber, Il senso dell'umanità...cit., p. 12. La situazione peggiorò ancora nel 1886 dopo l'annessione al Regno d'Italia: le leggi inserite erano ancora più restringenti nei riguardi dei montanari e contadini. Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 55. 102 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 103 M. R. Stern, Storia di Tönle, cit., p. 6. 104 Cfr. M. Buzzi, Invito alla lettura..., cit., 57. 105 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 57. 106 M. R. Stern, Storia di Tönle, cit., p. 18. 22 governativi del paese: il comportamento di Tönle (la sua «selvatichezza»107) viene criticato. Il lettore osserva che l'approccio degli ufficiali verso la gente montana è piuttosto arrogante e altero. Ma similmente negativo è anche l'atteggiamento del popolo montano nei confronti del governo, tale atteggiamento si spiega soprattutto vista la particolarità della loro vita comunitaria e autonoma. Tönle preferisce vivere libero, anche se fuori della propria terra e famiglia, piuttosto che sottomettersi alla condanna impostagli dalle autorità che non rispetta. Perciò anche sua moglie, in cerca di un consiglio, si rivolge, invece che agli ufficiali, al vecchio avvocato Bischofar108 in cui i contadini hanno fiducia. Lavorando in esilio come il venditore ambulante che offre le stampe iconografiche, Tönle ancora rinforza l'esperienza internazionale, perché impara a conoscere gusti e tradizioni dei clienti dei singoli paesi:

Quello che andava bene per i luterani del Nord Europa non era accettato dagli spagnoli; i russi chiedevano visioni di Parigi o di Londra o riproduzioni di Raffaello, i francesi e gli abitanti dei Paesi bassi episodi delle campagne napoleoniche o paesaggi e costumi caucasici o della Moscovia, gli americani del Sud Madonne della Guadalupa e Giudizi Universali […]109

Nel 1905 Tönle, dopo esser finalmente amnistiato, torna al suo Altipiano. Col passare del tempo la situazione del paese cambia a causa dell'emigrazione massiccia, ma soprattutto dell'inizio del conflitto bellico.110 La guerra ha un impatto molto negativo sia sulle vite del popolo montano che sull'ambiente naturale dell'Altipiano. Il territorio viene rimodellato – si costruiscono strade, trincee e accampamenti, e anche le abitudini e tradizioni sono sacrificate alle esigenze belliche.111 Le restrizioni incidono anche su Tönle: «Finalmente l'ufficiale disse che l'indomani doveva sgomberare da lí con le pecore e andarsene giú nel bosco del Dhorbellele poiché qui avrebbero fatto i tiri a proietto.»112 Tönle intuisce che la guerra è voluta dai potenti – non importa se dagli italiani o austriaci – e che colpisce sopra di tutto le vite dei «piccoli» uomini, cioè, in questo caso – le vite della sua comunità montana: «[…] i signori, sia Italia sia Austria, sono sempre signori e per la povera gente, sia l'uno o sia un altro a comandare, non cambia niente. A lavorare toccava sempre loro, a fare i soldati anche e a morire in guerra anche.»113 Lo scontro tra queste due culture opposte – quella bellica e quella contadina – finisce con il

107 Ivi, p. 10. 108 Il personaggio reale – il bisnonno dello stesso Mario – che parla, come i contadini, l'antica lingua cimbra. 109 M. R. Stern, Storia di Tönle, cit., p. 15. 110 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 58. 111 Cfr. ivi, p. 59. 112 M. R. Stern, Storia di Tönle, cit., p. 43. 113 Cfr. ivi, p. 41. 23 trionfo della guerra. Il paese viene distrutto allo stesso modo delle vite dei suoi abitanti. Quando Tönle, poco prima della sua morte, torna dopo un lunghissimo viaggio nel suo paese, è testimone di una scena molto amara: «Ma non c'erano più prati: neve, sassi, reticolati, cadaveri di soldati erano tutti mischiati assieme. Al posto del paese c'era un cumulo di pietre […]»114 Nonostante la conclusione assai deprimente del racconto, la storia ha comunque un esito positivo: Tönle (come pure i suoi compaesani), non è vinto completamente. Né la guerra e nemmeno lo Stato, lo hanno sconfitto: «senza mai piegarsi egli ne è uscito indenne».115 La conclusione è simbolica anche in un altro aspetto: Tönle muore sotto l'albero d'olivo, che è attributo di forza e di pace.116

3.4. L'esperienza «internazionale» di frontiera

Come si è visto anche nel caso di Tönle, il fenomeno dell'emigrazione economica fu – all'interno della comunità altipianese – abbastanza frequente. Tale situazione fu causata da vari fattori: una tassazione elevata, il divieto del contrabbando, ma soprattutto la mancanza del lavoro fisso (determinato dal raccolto e dal tempo). Partire per l'estero diventava così spesso l’unico modo per risolvere la difficile situazione economica, per sé e per i propri parenti. Nella seconda metà dell'Ottocento molti uomini andavano a lavorare nell'Impero austro-ungarico oppure in Prussia, ma anche in America: «Ma chi riusciva […] a mettere insieme i soldi occorrenti per pagare il bastimento emigrava nelle Americhe. Laggiù, scrivevano, era tutta un'altra cosa: lavoro ce n'era sempre e le paghe erano più alte che in qualsiasi altro paese.»117 Si partiva di solito a gruppi con gli altri paesani per potersi sentire e comportare come a casa:

Quando i montanari, i paesani, vanno all’estero, emigrano, e vanno a lavorare nelle miniere, vanno a gruppi. Uno isolato sarebbe spaesato e perso, ma quando vanno quattro o cinque assieme no; anche in una grande città, se mettiamo quattro o cinque montanari assieme non si perdono più, hanno coraggio. Fanno bàita, ecco, come alle sere che si radunano all’osteria a far quattro chiacchiere.118

In questa maniera veniva creato un ambiente di una certa armonia e unione, che aiutava gli emigranti a conservare l’immagine del loro paese, anche nei paesi stranieri si rinforzava così, tra di loro, il sentimento della compaesanità.

114 Ivi, p. 105. 115 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 62. 116 «Ulivo», in Treccani.it., L'enciclopedia italiana, Enciclopedia dell'italiano [online]. [10.10.2015]. Disponibile su: http://www.treccani.it/enciclopedia/ulivo_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/. 117 M. R. Stern, Storia di Tönle, cit., p. 31. 118 Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no..., cit., p. 97. 24

Sempre alla fine del Ottocento, mentre molti uomini andavano in cerca del lavoro in emigrazione, nelle zone dell’Altopiano nascevano le prime società operaie, basate sull'idea socialista. Nella Storia di Tönle Rigoni spiega:

Si incominciò a parlare di socialismo, di associazioni di operai, di cooperative partigiane. Chi non aveva il coraggio di pronunciare la parola «socialismo» ma, curioso, gli utenti dei beni comunali, cioè tutti i residenti nei nostri comuni, erano chiamati «comunisti» anche nelle carte ufficiali.119

La vita comunitaria infatti funzionava, almeno secondo Rigoni Stern, già prima che il paese si politicizzasse: ne sarebbe stata prova un naturale «comunismo agrario»120, dovuto all’inesistenza della proprietà privata nello spazio dell’Altipiano. Si trattava quindi di una società «precapitalistica» e «prenazionale» il cui comunismo non era ancora ideologico, ma pratico e tradizionale. In questo contesto Rigoni spesso accentua l’importanza della indipendenza degli abitanti montani (sebbene poveri o disperati, mai però governati dai padroni): «Qui la terra non apparteneva ai singoli ma alla comunità e i comunisti che fruivano di questi beni. Le malghe, pascoli e boschi non avevano i padroni specifici. Ne godeva tutta la comunità.»121 Lo stesso Tönle, nel momento in cui è arrestato e interrogato dagli austriaci, formula la propria identità come un «piccolo pastore e un vecchio proletario socialista.»122 La sua appartenenza resta però al di qua del socialismo intellettuale che si diffonde in Italia all'inizio del Novecento, poiché deriva dalla sua vita pratica di contadino, una forma di cultura prima ancora di essere un'ideologia.123 Il socialismo di Tönle significa tutto quanto lui e la sua comunità difendono: fraternità, tradizione, lavoro costruttivo e l'internazionalismo.124 «Per lui socialismo è uguaglianza; ed uguaglianza è pace tra i popoli. Come la guerra è sempre nazionalismo e imperialismo.»125 Vivendo sulle montagne, gli uomini dell’altopiano sono pertanto naturalmente internazionali: situati sempre tra diverse culture di pianura, essi non possono – attraverso l’esperienza del contrabbando o dell’emigrazione – che unire mondi diversi. Allo stesso modo, è sempre nella loro natura una visione socialista naturale dove la nazione imperialista non trova semplicemente spazio.

3.5. La prima guerra mondiale sull'Altipiano

119 M. R. Stern, Storia di Tönle, cit., p. 31. 120 Fonti e metodi alternativi nell'inchiesta geografica, a c. di Massimo Quanini e il gruppo “Hérodote”. Saggio inedito, citato da A. Motta, cit., p. 56. 121 Cfr. Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no..., cit., p. 66. 122 M. R. Stern, Storia di Tönle, cit., p. 79. 123 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 57. 124 Cfr. R. Ferguson, The Critique of National Identity..., cit., p. 165. 125 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 62. 25

Stipulando il patto di Londra il 24 maggio 1915,126 l'Italia entrò – dopo un anno di neutralità – in guerra al fianco dei paesi della Triplice intesa,127 alle condizioni seguenti: in caso di vittoria degli Alleati, all'Italia sarebbero passate il Trentino, il Tirolo meridionale, Trieste, l'Istria e la Dalmazia (esclusa la città di Fiume). Il nuovo fronte di guerra si aprì sull'antica linea di frontiera tra l'Italia e l'Austria, sugli altipiani. Si trattava di uno dei fronti più difficili – passava nell'area delle montagne, cioè nella zona dei ghiacciai dove neve e valanghe sono onnipresenti – lungo quasi 4 chilometri. Anche il rifornimento per i reparti in linea fu molto difficile.128 Il piano iniziale degli italiani contava su un rapido ed efficace attacco e si trasformò, nel corso dei successivi tre anni, in un alternarsi di ripiegamenti e controffensive senza ottenere risultati concreti. Uno degli obiettivi maggiori degli italiani fu di rompere la difesa degli astro-ungarici sul Carso, un territorio esteso lungo tutto il confine orientale, perciò un posto molto importante nei piani strategici sia per gli italiani che gli austro-ungarici.129

Dopo aver occupato il territorio di frontiera, il 23 giugno gli italiani lanciarono il loro primo assalto alle postazioni fortificate austro-ungariche, attestate lungo il corso del fiume Isonzo: l'azione andò avanti fino al 7 luglio, ma a dispetto della superiorità numerica gli italiani non conquistarono che poco terreno al prezzo di molti caduti. Lo schema si ripeté identico a metà luglio, e poi ancora in ottobre e novembre: ogni volta gli assalti frontali degli italiani cozzarono sanguinosamente contro le trincee austro-ungariche attestate sul bordo dell'altopiano del Carso, che sbarrava agli attaccanti la via per Gorizia e Trieste.130

L'intervento della Germania sul fronte austro-ungarico, nel ottobre 1917, sfociò nella terribile battaglia di Caporetto. Il 24 ottobre le artiglierie austro-tedesche cominciarono a bombardare le posizioni italiane, di seguito la fanteria penetrò le linee italiane sulle montagne e anche nella valle dell'Isonzo e raggiunse la città di Caporetto. L'Esercito italiano, incapace di difendersi, divenne una massa di soldati stanchi e sfiduciati, il morale generale fu compromesso anche dai gravissimi errori strategici commessi dal comando supremo. Drammatico fu soprattutto il fatto che il comando non aveva mai postulato l'eventualità di dover fare, oltre a una guerra solo offensiva, anche quella difensiva.

126 «Il patto siglato il 5 settembre 1914 che impegnava i governi francese, britannico e russo a non trattare una pace separata nella guerra contro gli Imperi Centrali.» «Il Patto di Londra», in Treccani.it., L'enciclopedia italiana, Enciclopedia dell'italiano [online].[15.10.2015]. Disponibile su: http://www.treccani.it/enciclopedia/londra/. 127 «Intesa tra la Gran Bretagna, la Francia e la Russia – queste ultime due già strette nella Duplice Alleanza – realizzatasi tra il 1904 e il 1907.» «Triplice Intesa», in Treccani.it., L'enciclopedia italiana, Enciclopedia dell'italiano [online].[16.10.2015]. Disponibile su: http://www.treccani.it/enciclopedia/triplice-intesa/. 128 Cfr. Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no..., cit., p. 133. 129 Ivi,p. 134. 130 Hedley Paul Willmott, La prima guerra mondiale, Mondadori, Milano, 2006, p. 88. 26

La disfatta di Caporetto, oltre al crollo del fronte italiano e alla caotica ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, comportò la perdita in due settimane di 350.000 uomini fra morti, feriti, dispersi e prigionieri; altri 400.000 si sbandarono verso l'interno del paese.131

L'Altipiano di Asiago si trovava nella zona di guerra di prima linea, perciò durante la guerra appartenne alternamente sia all'Italia sia all'Austria. Rigoni Stern ricordava: «Nella cantina della casa dei miei genitori c'era il comando austriaco, poi è arrivato quello italiano e poi è ritornato di nuovo il comando austriaco.»132 Molti abitanti dell'Altipiano furono costretti – dopo l’invasione della pianura nel 1916 e, successivamente, nel 1917, dopo la sconfitta di Caporetto – ad abbandonare il proprio paese in cerca di rifugio nell'Italia centrale e meridionale. Paradossalmente, molti di questi profughi furono accolti con ostilità, perché, avendo abbandonato le montagne al nemico venivano considerati gli «austriacanti». La loro situazione fu problematica anche per il fatto che, spesso, «rubavano» risorse e lavoro alle popolazioni che li ospitavano.133 Anche Rigoni Stern, in una delle interviste, ricorda la dolorosa situazione dei profughi riportando una frase pronunciata, secondo quanto si asserisce, dallo stesso Mussolini: «Se nelle vostre città incontrate qualcuno di questi, sputategli in faccia!»134 La situazione critica dell'Italia cambiò finalmente nel 1918, quando, in autunno, l'esercito austro-ungarico fu finalmente respinto sul Piave. In ottobre, a seguito del successo italiano nella battaglia di Vittorio Veneto, gli austriaci cominciarono le trattative per l'armistizio con gli Alleati. Nel gennaio del 1919 fu firmato a Versailles il trattato di pace, in conseguenza del quale l'Italia ottenne il Trentino, l'Alto Adige fino al Brennero, Trieste e l'Istria.135 La prima guerra mondiale è uno degli eventi più tragici e dolorosi della storia dell'Altipiano anche dal punto di vista ambientale e culturale: l’intero paesaggio (le case, le montagne e i boschi) fu completamente distrutto a causa degli bombardamenti e degli incendi. Le tracce della guerra erano evidenti ovunque ancora per tempo dopo: «Nell'orto di casa mia, scavando per fare un muretto, era il 1937, abbiamo trovato la salma di un austriaco. Zappando e rivoltando il terreno si trovava ancora i resti di qualche soldato: un pezzo di osso, qualche scheggia, pallottole.»136

131 Cfr. Mario Silvestri, Caporetto, una battaglia e un enigma, Milano, BUR, 2006, p. 3. 132 Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no..., cit., p. 130. 133 Informazione tratti da: Grande guerra. Ep. 43. I profughi dopo Caporetto [documento televisivo]. Italia, 2006, [25.11.2015], Rai Cultura. Disponibile su: http://www.grandeguerra.rai.it/lezione/43-i-profughi-di- caporetto/3002/default.aspx. 134 Cfr. Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no..., cit., p. 144. 135 S. Huber, Il senso dell'umanità..., cit., p. 14. 136 Cfr. Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no..., cit., p. 142. 27

4. Opera narrativa di Mario Rigoni Stern, alcuni spunti di riflessione

In generale, nell'opera Rigoniana sono presenti due temi principali che formano la materia prima della sua narrativa: la guerra e il mondo della montagna, incentrato attorno all'Altipiano di Asiago. Queste due sfere tematiche, pervadendosi strettamente, costituiscono un rinvio costantemente presente in tutte le opere di Rigoni Stern.137 L’argomento bellico è presente in un ciclo di tre opere: Il Sregente nella neve – libro con cui Rigoni iniziò la sua carriera letteraria, Quota Albania e Ritorno sul Don. La particolarità di questi titoli risiede nel fatto che Rigoni ricorda avvenimenti ai quali ha partecipato personalmente. Si tratta insomma di un’opera autobiografica, scritta in prima persona. A differenza di queste tre, le altre opere (tra cui, soprattutto, la Storia di Tönle e le Stagioni di Giacomo), scritte in terza persona, affrontano la tematica della guerra attraverso la storia collettiva della comunità montana. Tönle e Giacomo personificano sia la storia collettiva altipianese che quella personale dell'autore. C’è poi un terzo gruppo di opere che tematizzano prevalentemente il rapporto dell'autore con la natura e consiste in racconti riguardo a storie di uomini, di natura e di animali delle montagne. Si tratta di: Il bosco degli urogalli, Uomini, boschi e api, Arboreto salvatico, Il libro degli animali ecc. La riflessione identitaria parte in Rigoni Stern da un riferimento al passato del popolo altipianese, rappresentato da un traumatismo collettivo maturato negli ultimi anni del Risorgimento,138 sviluppato poi negli anni della prima guerra mondiale, e del successivo regime fascista, che sfociò nel secondo conflitto mondiale. Per sviluppare tale riflessione, Rigoni Stern attinge sia dai ricordi personali che dalla memoria collettiva della comunità montana. Il sergente nella neve, assieme alle due opere del sopracitato ciclo autobiografico, scritte all'inizio degli anni Settanta del Novecento, appartiene pertanto alla letteratura memorialistica oppure alla letteratura di testimonianza. Si avvicina alla forma di un diario attraverso il quale l'autore documenta gli eventi vissuti. La funzione del narratore come un testimone-mediatore, evidente nel Sergente, diventa caratteristica anche nella sua opera successiva, a partire, negli anni Sessanta, dalla raccolta di racconti intitolata Il bosco degli urogalli. In questo caso, però, l'autore sposta già l'attenzione dal proprio passato a quello della comunità montana. Si tratta ancora di letteratura autobiografica, Rigoni Stern racconta di persone reali provenienti dal suo paese, la prospettiva è però amplificata. La tendenza a ricordare e registrare i fatti accaduti nel passato si sviluppa infatti fino al punto che Rigoni Stern diventa una sorta di «conservatore» della memoria

137 Cfr. M. Buzzi, Invito alla lettura..., cit., p. 93. 138 Nel 1866 l'Altipiano (che fino ad allora apparteneva all'Impero austro ungarico), fu annesso all'Italia. Il controllo di confine e il successivo divieto di scambi e di commerci liberi inseriti da parte del nuovo Stato-nazione italiano causò notevoli danni economici per la comunità montana. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., pp. 55-56. 28 collettiva della comunità montanara altipianese.139 Ciò è ben evidente nelle opere Storia di Tönle (nel 1978) e Le stagioni di Giacomo (1995), le quali si avvicinano al genere di romanzo storico in cui si mischia la realtà con la fantasia letteraria.

4.1. Rigoni scrittore - non scrittore

La produzione letteraria di Mario Rigoni Stern, che si sviluppò nel corso della seconda metà del ventesimo secolo, rappresenta un fenomeno assai particolare all'interno della letteratura italiana del dopoguerra. Mario Rigoni Stern entrò nel mondo letterario nell'immediato dopoguerra e il suo ruolo fu, in un primo momento, quello di mediatore delle esperienze belliche, di narratore- interprete. Iniziando la sua carriera letteraria come un uomo di cultura non letteraria, Rigoni fu subito definito come uno scrittore occasionale.140 Tale atteggiamento, basato sulla testimonianza della guerra, non è, secondo Giorgio Pullini, nella generazione di Rigoni Stern eccezionale. «Il rivolgimento della guerra ha imposto alla coscienza e alla memoria dei singoli protagonisti la necessità di fissare nel documento narrativo le fasi della propria “avventura” […] Perciò sono germogliate molte opere di scrittori mai prima apparsi e mai in seguito riapparsi».141 Un altro elemento chiave per analizzare Rigoni Stern come scrittore è certamente la sua origine «comunitaria», poiché questa ultima si proietta in tutte le sfere tematiche presenti nella sua narrativa. Rigoni è, prima che un soldato o scrittore, un montanaro, un paesano. Egli è segnato dalla vita naturale nei boschi e nelle montagne. Elementi fondamentali e integranti della sua prosa sono rappresentati dalle emozioni, dalla vita dei protagonisti (i boscaioli, carbonai, malghesi, pastori) e degli animali, dai fenomeni e processi naturali (la luce, il sole, la neve). Il suo mondo poetico è principalmente il bosco della sua infanzia e giovinezza, non la guerra.142 Molto appropriata è la caratteristica di Rigoni-letterato formulata da Carlo Sgorlon:

La definizione più calzante che si possa dare di Rigoni Stern è quella di sobrio poeta della civiltà alpina. La sua voce pare venire un po' da lontano perché la civiltà che egli rappresenta è fuori mano, silenziosa, sobria, discreta (...) Rigoni Sern è il poeta, il cronista, l'antropologo, lo zoologo, l'etologo, l'entomologo, il botanico di questa civiltà.143

A volte si tende al tentativo, tipico di alcuni studiosi, di classificare le opere di Rigoni Stern – soprattutto per quanto riguarda Il sergente – in un genere letterario strettamente definito, cioè di

139 R. Ferguson, The Critique of National Identity...cit., p. 159. 140 Nel risvolto editoriale de Il sergente nella neve lo stesso Elio Vittorini scrive: «Mario Rigoni Stern non è scrittore di vocazione. Nato ad Asiago trent'anni or sono, alpinista, cacciatore, impiegato statale, forse non sarebbe mai capace di scrivere di cose che non gli fossero accadute.» Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, Einaudi, Torino, 1990, p. 1. 141 Cfr. G. Pullini, Il romanzo italiano del dopoguerra, cit., pp. 151-152. 142 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p.15. 143 Cfr. R. Ferguson, The Critique of National Identity..., cit., p. 161. 29 leggerle come un’espressione letteraria codificata, dal neorealismo alla memorialistica bellica, sia in chiave troppo indulgente – con la tendenza alla mitizzazione del «poeta» Rigoni. Antonio Motta nel suo studio dell'opera rigoniana discorda con tale approccio, dichiarando che la demarcazione tra Rigoni memorialista e Rigoni lirico (dei boschi e della caccia) è all’origine di una lettura della sua opera «per scompartimenti stagni», come se «fosse possibile un'esperienza separata e diversa del Sergente e di Tönle, de Il bosco degli urogalli e di Uomini, boschi e api.»144 Secondo lo studioso, invece, la cultura di Rigoni Stern è rimasta contadina, materiale, proletaria, come il suo mondo «paesano», dunque fuori dei ranghi della letteratura ufficiale.145

4.2. Esperienza formativa e concetti opposti di «identità»

Per poter andare in fondo alla problematica della ricerca di un'identità nell'opera rigoniana, è necessario presentare, prima di tutto, le esperienze formative dell’autore, per certi versi contrastanti. Da un lato vediamo nel giovane Rigoni l’interesse per una costruzione identitaria di tipo patriottico, stimolato nel corso della sua infanzia, che lo porta a iscriversi nell’esercito italiano come volontario. Dall'altro lato vi è poi la vita all'interno di un'antica comunità montana che, grazie alla maniera di vita confinaria, ha il profondo sentimento di un’identità locale e internazionale nello stesso tempo.146 L'intera riflessione Rigoniana su un'identità partirebbe dunque, secondo Ronnie Ferguson, dal suo «Heimat» ossia l’Altipiano dei Sette Comuni.147 Questa terra fu per secoli abitata dalla comunità montanara costituita dai pastori, contadini, artigiani e commercianti. Rigoni Stern, che proviene dall'Altipiano, era pertanto stato educato nella storia, nelle tradizioni e nei valori della sua comunità, fatto che determinò la sua ricerca successiva.148 Per capire meglio sia il fascino iniziale di Rigoni Stern per l'identità nazionale che la sua successiva rottura con essa, bisogna prendere in considerazione le esperienze formative della sua

144 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 15. 145 Cfr. ivi, p. 17. 146 Cfr. R. Ferguson, The Critique of National Identity..., cit., pp. 158-159. 147 Altipiano dei Sette comuni è oggi costituito da sette piccole città e villaggi: Roana, Rotzo, Lusiana, Foza, Enego a Gallio. 148 Gli uomini che appartengono in a questa comunità si considerano di essere discendenti dei Cimbri, i quali, secondo la leggenda (inventata probabilmente dagli studiosi medievali) trovano i le loro radici nella tribù germanica dei Cimbri che, dopo esser stati sconfitti dal generale romano Mario nel 104 d. C., trovarono il rifugio sull'altopiano veneto. Tale leggenda si era infatti trasmessa per generazioni. Malgrado varie ricerche che si sono svolte a proposito di questa tematica, i ricercatori non hanno raggiunto un accordo sia per quanto riguarda l'origine della lingua germanica parlata in Altipiano, che sull'origine dello stesso popolo. Rimane evidente che la lingua dei Cimbri è arcaica, proviene dall'alto tedesco e indubbiamente contiene anche le tracce dell'antico bavarese e alemanno. Mentre la maggior parte degli esperti mette le origini del popolo montano non prima del Duecento, la stessa lingua e le leggende locali fanno riferimento alle radici ancora più antiche - per esempio al periodo dell'invasione longobarda nell'Italia di nord-est nel sesto secolo d. C. Nonostante le oscurità nei riguardi alla loro origine, i Cimbri rimasero fino alla prima guerra mondiale una fiera comunità etnica, culturale e linguistica dell'Altipiano che per secoli aveva avuto l'autonomia politica, amministrativa e militare. Cfr. R. Ferguson, The Critique of National Identity..., cit., p. 160. 30 infanzia e della sua maturazione, determinate soprattutto dalla retorica patriottica. Negli anni della sua gioventù Rigoni Stern era un ardente lettore dei libri d'avventura che rinforzavano la sua immaginazione. Il suo idealismo giovanile e la sua ottima forma fisica (era un bravo alpinista e sciatore) lo hanno portato ad avere un atteggiamento positivo verso la retorica nazionalista del periodo fascista in cui egli era cresciuto.149 Il ruolo principale nella propagazione delle convinzioni politiche di quegli anni consisteva soprattutto nell’educazione pubblica. Quest’ultima, basata su un’ideologia prima di tutto militare, si insinuava nella vita dei giovani. Oltre all’educazione scolastica, gli ideali della propaganda – l’imperialismo e il nazionalismo, venivano attecchiti attraverso le varie autorità del paese – quali i podestà o gli ufficiali ecclesiastici. Riguardo alla propaganda, bisogna prestare attenzione al fatto che essa raggiuneva di solito l’apice durante l’istruzione militare nelle caserme e conduceva i giovani all’obbedienza totale. Secondo Rigoni tale situazione provocò nei giovani l’ignoranza e l’incapacità di riflettere sulla legittimità della guerra e più in generale della propaganda fascista.150

Ci avevano sempre insegnato a dire di sì e nessuno ci aveva insegnato a dire di no. […] credere obbedire combattere, obbedienza cieca, pronta e assoluta!... Prima gli ordini si eseguono, e poi se sono sbagliati si protesta!...Gli ordini non si discutono, si eseguono! […] Allora era così, e non avevamo nemmeno la possibilità di accedere ad altre culture, ad altre letterature, nel nostro caso, che non fossero quelle di epoca fascista.151

All'occasione di una discussione con gli studenti della scuola media di Lozzo di Cadore, nel 1993, lo stesso Rigoni confessò di esser stato, all'inizio della sua professione militare, il «prodotto» di un’educazione estrema. Aveva imparato a obbedire senza riflettere e senza chiedersi il perché. Rigoni ricorda inoltre che, a parte l’obbedienza assoluta, i giovani erano anche galvanizzati dalle storie che parlavano sempre delle conquiste, di colonie, della forza e dell’eccellenza degli Italiani.152 Vi erano poi altre ragioni che contribuirono a «far approdare» Rigoni Stern alla guerra: prima di tutto fu la povertà a recitare un ruolo chiave nell’arruolamento che diventava spesso l’unica soluzione per sfuggire alla miseria. Per molti, la guerra significava pertanto il superamento del problema esistenziale.153 Inoltre, già da piccoli, i ragazzi venivano attirati dal gruppo Balilla:154

149 Cfr. ivi, p. 161. 150 Cfr. G. Milani, Storia di Mario...., cit., pp. 23-25. 151 Cfr. ivi, p. 24. 152 Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no..., cit., p. 119. 153 M. Buzzi, Invito alla lettura..., cit., p. 94. 154 «Soprannome attribuito al ragazzo che il 5 dicembre 1746 accese la prima scintilla dell’insurrezione che cacciò gli Austriaci da Genova, scagliando un sasso contro un drappello di soldati [...] Divenuto simbolo di patriottismo, il regime fascista gli dedicò l’Opera Nazionale B., organizzazione giovanile che raccoglieva i ragazzi dagli 8 ai 14 anni, fondata nel 1926, nel 1937 assorbita nella Gioventù italiana del Littorio.» «Ballila», in Treccani.it., L'enciclopedia italiana, Enciclopedia dell'italiano [online].[21.11.2015]. Disponibile su: http://www.treccani.it/enciclopedia/balilla/. 31 essi non percepivano la dimensione politica di quest’associazione che interpretavano soprattutto come una possibilità d'imparare a sciare ricevendo in più gli sci e l'equipaggiamento gratuiti. Altro fattore non meno significativo (che aveva, come era già stato detto, grande importanza nel caso dello stesso Rigoni) era l'idealismo che veniva rinforzato dalle storie dei vecchi montanari oppure da varie fonti letterarie romantiche ed avventurose:

Quando si era ragazzi, nei nostri paesi di montagna, in alcuni di noi c’era un sogno, un mito creato da amor patrio e da spirito d’avventura; a farci arrivare a ciò, nella nostra adolescenza, era l'ammaestramento di allora che nella narrazione favolosa della Grande Guerra da parte di insegnanti, famigliari e parroci ci esaltava quasi ogni giorno (...) Ma anche le gare di sci, le escursioni per le montagne di casa dove la guerra aveva segnato ogni metro, le prime «adunate» degli alpini, contribuirono a creare fantasia e sogni.155

Gli ideali suscitavano nei giovani l'orgoglio e la volontà di mostrare la propria virilità e la forza attraverso il duro servizio militare, prescindendo però da qualsiasi impegno ideologico. Lo stesso Rigoni dimostra che, fin dal principio della sua istruzione militare, non si interessava, (essendo a volte perfino rassegnato) della finalità della guerra: «La guerra, l'Italia, la pace, la vittoria, il duce, il re imperatore sono cose che non mi riguardano.»156 Nonostante l'indifferenza verso la finalità della guerra, si osserva però nel comportamento degli alpini, paradossalmente, un'autentica ostilità verso quelli che rappresentano direttamente il regime fascista. Il disprezzo per le milizie fasciste provate da Rigoni, derivano dalla convinzione, che proprio questi ultimi sono responsabili della guerra, a cui però non sono preparati. Quando le milizie sono ricordate è sempre in tono ironico e caricaturale: «abbandonarono tutto e fuggirono come lepri»157 Per Rigoni, le camicie nere rappresentano proprio l'opposto dei «compaesani»158 perché il loro atteggiamento è completamente incompatibile con la cultura degli alpini, legati tra di loro dal senso di solidarietà. Indipendente dal motivo che determinò la decisione di Rigoni di arruolarsi, resta il fatto che nel 1938 egli si iscrisse, a soli diciassette anni, alla Scuola Militare di Alpinismo di Aosta. Nel corso dei cinque anni successivi egli combatté sui fronti di Italia, Francia, Albania e – a due riprese – di Russia. In questo periodo, grazie alle esperienze traumatizzanti della guerra, Rigoni si rese conto della falsità della retorica patriottica. Il suo «idealismo» fu quindi definitivamente superato – dopo la smobilitazione nel 1943 – quando, avendo rifiutato di passare all'armata della «Repubblica di Salò» egli fu imprigionato e trascorse più di un anno in vari lager tedeschi.159

155 M. R. Stern, Amore di confine, Einaudi, Torino, 1986, p. 11. 156 M. R. Stern, Quota Albania, Einaudi, Torino, 1971, p. 133. 157 Ivi, p. 98. 158 M-H. Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano..., cit., pp. 48-49. 159 Cfr. R. Ferguson, The Critique of National Identity..., cit., p. 162. 32

4.3. L'uomo, natura e guerra

Le esperienze terribili che Rigoni ha vissuto, lo hanno portato a riflettere sulla guerra, e quindi anche sulla capacità di esprimere la propria opinione e di polemizzare con la retorica ufficiale. La sua critica era sia personale – aveva commesso un errore all'inizio della guerra – sia verso il generale sistema politico e l'ideologia fascista. Nell'immediato dopoguerra, Rigoni si concentrò principalmente su una «semplice» testimonianza, senza esprimere chiaramente il suo disaccordo politico, sebbene una radicale presa di coscienza si fosse già svolta.160 Ne Il Sergente, non vi era quindi ancora presentata la sua opinione personale sulla guerra. Rigoni, allora, si limitò a essere testimone delle storie tragiche causate dagli uomini in guerra. La rottura con la retorica patriottica, si realizzò pienamente nel libro Storia di Tönle. Proprio tramite il personaggio principale che, con l'età e l’esperienza, non ha paura di formulare apertamente i suoi giudizi personali. Tramite Tönle, Rigoni articolò pertanto la sua critica dello Stato e della guerra161 come un processo distruttivo per la società umana e per la natura. Tale fenomeno è voluto dai potenti che rappresentano lo Stato a scapito della gente semplice. Attraverso il personaggio di Tönle, Rigoni racconta la guerra come la negazione suprema della legge naturale e dell'ordine delle cose (cioè della vita e della morte) a cui la sua cultura l'ha abituato.162 La morte, che all'interno della comunità montana viene percepita come la parte inevitabile della vita e come il completamento naturale del ciclo della vita umana, perde nella guerra il suo senso diventando una vanità assurda che istiga i vicini, o perfino i paesani, contro se stessi.163 Così accade – nella Storia di Tönle – per colpa della retorica patriottica sui confini, oppure – ne Il sergente – per i motivi politici e strategici (dei potenti). La guerra stravolge, inoltre, il valore del lavoro, distruggendo quello che il popolo aveva creato nei secoli precedenti. Anche il tempo, che viene vissuto da Tönle e dalla sua comunità come un continuo e ciclico ritmo delle stagioni è turbato due volte sia dallo Stato che dalla guerra: nel 1866 con l’incorporazione forzata dei Sette Comuni nel Regno d’Italia, e nel 1914, durante la grande guerra, che distrugge quasi quasi tutta la cultura montana.164 In opposizione a un’identità nazionale, creata artificialmente dell’Italia dei Savoia e poi, soprattutto, quella fascista crebbe, quindi, in Rigoni Stern, la volontà di identificarsi con la cultura

160 Cfr. M-H. Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano..., cit., p. 49. 161 Cfr. R. Ferguson, The Critique of National Identity..., cit., p. 165. 162 Cfr. M-H. Angelini-Trevet, L'esemplificazione del concetto cassoliano..., cit., p. 50. 163 R. Ferguson, The Critique of National Identity..., cit., p. 165. 164 Ivi, p. 165. 33 della sua comunità altipianese.165 Questa ultima crea, data dalla sua lunga storia autonoma, un mondo particolare all'interno dello Stato italiano. Contemporaneamente, questo mondo non si chiude soltanto in se stesso, ma, vista la sua posizione liminare, sul confine, rappresenta un mondo aperto, che attraversa culture e lingue differenti. Si rivelano così due aspetti identitari del popolo montano – quello locale e quello internazionale. L'opposizione tra una cultura identitaria organica, locale e confinaria, che rifiuta i confini come i concetti artificialmente creati, e l'identità dello Stato- nazione italiano si rispecchia nel modo più chiaro appunto nella vita di Tönle Bintarn.166 La riflessione sull'identità si svolge quindi appunto in tensione tra queste due realtà opposte. La caratteristica particolare della cultura montana si rivela quando Rigoni parla del significato del termine «patria» spiegando come quest’ultima è per lui una cosa intima, più intima che la nazione. La patria significa l’Altipiano, dove sono sepolti i suoi antenati e dove sono anche i suoi ricordi della infanzia. Rigoni definisce il «resto» come «universo, pianeta, globo terreste» dove, però, egli non si considera uno straniero.167 Tale messaggio suona anche nella conclusione articolata dal giovane sergente tramite il suo «al mondo siamo tutti paesani»168 con cui egli esprime la speranza in una «compaesanità» universale, in opposizione al dominio della guerra e della morte. Anche Tönle si sente essere, grazie al suo lungo vagabondaggio, «un cittadino del mondo»169 mai però dimentica che è anche un contadino, un «piccolo pastore».170

La «compaesanità» si rispecchia nell'assenza di sentimenti nazionalistici per cui l'individuo può trovarsi a suo agio anche in paesi stranieri e condividervi la propria cultura. «Due fabbri, o due contadini, possono comprendersi in virtù di un comune essere nel mondo, di una filosofia dell’esistenza in relazione con gli uomini, con il paesaggio e con il lavoro.»171

5. Conclusione

L'obiettivo della presente tesi è stato quello di mostrare come si è formulato, attraverso una ricerca identitaria, il concetto della «compaesanità» nell'opera letteraria di Mario Rigoni Stern. Tale questione è stata indagata in particolare nelle opere Il sergente nella neve e Storia di Tönle. Questi

165 Ivi, p. 160. 166 Ivi, p. 161. 167 Cfr. Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no..., cit., p. 24. 168 M. R. Stern, Il bosco degli urogalli, cit., p. 114. 169 Cfr. M. Buzzi, Invito alla lettura..., cit., p. 81. 170 Cfr. A. Motta, Mario Rigoni Stern, cit., p. 62. 171 Gianlucca Cinelli, Mario Rigoni Stern: Lo scrittore in guerra e in pace, in «Le reti di Dedalus. Rivista online del sindacato nazionale scrittori»[online]. 11.1.2007 [14.11.2015]. Disponibile su: http://www.retididedalus.it/Archivi/2007/febbraio/PRIMO_PIANO/Rigoni_Stern.htm. 34 due scritti sono in questo senso essenziali, perché vi possiamo seguire lo sviluppo della polemica di Rigoni Stern con il concetto dell'identità nazionale italiana. Tale polemica porta alla formulazione della nozione di«compaesanità», opposta all'ideologia dello stato-nazione italiano.

Mentre ne Il sergente la polemica con l'identità nazionale e il concetto della «compaesanità» sono impliciti, nella Storia di Tönle essi vengono articolati apertamente. Entrambe le opere sono state, nei primi due capitoli della tesi, studiate dal lato del contenuto e da quello linguistico e stilistico. L'analisi del contenuto si è invece basata su vari concetti, tra cui: «l’indentità», «l'identità nazionale», la «critica dell'identità nazionale italiana», e la «denuncia antibellica».

Partendo dall'analisi dei testi di Rigoni Stern, ho cercato di contestualizzarne il significato politico-sociale della loro realtà storica. Lo sfondo storico che ho descritto nel primo capitolo era quello della seconda guerra mondiale, mentre nel capitolo successivo si trattava della primo conflitto mondiale.

Per capire la problematica identitaria era importante occuparsi, inoltre, tra l' altro, delle esperienze formative dello stesso autore (nell'ambito del dibattito sociale e politico dei suoi anni di formazione) e delle circostanze in cui si è svolto il suo esordio letterario. Di tali questioni mi sono occupata nel capitolo finale del presente lavoro.

Con la mia tesi spero d’aver indicato come il concetto della «compaesanità» sia un elemento della duplice identità della comunità montana e parte integrante di quello che lo stesso Rigoni considera la propria identità personale.

6. Breve biografia di Mario Rigoni Stern

Mario Rigoni Stern nacque il 1º novembre 1921 ad Asiago dell'Altipiano (oppure Asiago dei Sette Comuni) nelle Prealpi venete in una famiglia numerosa. L'infanzia, la trascorse fra la gente di montagna dell'Altipiano, appena terminata la prima guerra mondiale. La famiglia degli Stern commerciò in prodotti malghesi e artigianali della comunità dell'Altipiano.172 Grazie all'esperienza della vita impegnativa dei montanari, Mario fu, fin dall'infanzia, un ragazzo abile e pratico, che si, inoltre, interessava nella letteratura (sopratutto di quella avventurosa). Oltre all'istruzione nella scuola di avviamento professionale, aiutava ai suoi genitori facendo vari lavori ausiliari. 173

172 Cfr. Giulio Milani, Storia di Mario..., cit., p. 12. 173 Cfr. M. Buzzi, Invito alla lettura..., cit., p. 18. 35

Da giovane ragazzo divenne membro dell'organizzazione paramilitare Opera Nazionale Balilla, e nel 1938, a diciassette anni, si arruolò volontario alla Scuola Militare di Alpinismo di Aosta. Nella primavera del 1940 partecipò alla campagna contro la Francia, e nel 1941 contro l'Albania e la Grecia. Nel 1942 partì (due volte) per Russia, dove, avendo sopravvissuto la terribile «sacca», fece l'esperienza cruciale della sua vita.174 Il 8 settembre del 1943 venne fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in vari campi di concentramento dell'Europa Centrale ed Orientale. All'inizio del maggio nel 1945 ritornò finalmente a casa dopo due anni di prigionia, attraversando a piedi le Alpi. 175 Finita la guerra, a Rigoni Stern risultò difficile reinserirsi nella vita civile. Dopo aver superato la forte crisi personale, causata dall'esperienza bellica, egli si assestò definitivamente ad Asiago, trovando il lavoro al catasto, dove lavorò fino agli anni Settanta. Nel 1953 pubblicò il suo libro di esordio Il sergente nella neve, che presto diventò un classico della letteratura italiana, che fu seguito dieci anni dopo, nel 1962, dalla raccolta dei racconti naturalistici Il bosco degli urogalli. Dagli anni Settanta, dopo aver lasciato – a causa dell'infarto – il suo lavoro al catasto, Rigoni si dedicò pienamente al suo impegno letterario: pubblicava regolarmente le opere narrative e cominciò a collaborare con il quotidiano torinese «La stampa».176 Negli anni Settanta Rigoni svolse due viaggi in Russia, dai quali nacque il libro autobiografico Il ritorno sul Don (1973). In quel decennio uscirono anche Quota albania (1971) e La storia di Tönle (1978). Negli anni successivi furono pubblicate altre opere significative, tra i quali Uomini, boschi e api (1980), L'anno della vittoria (1985), Amore di confine (1986) e Le stagioni di Giacomo (1995).177 Mario Rigoni Stern vinse vari premi letterari, compresi il Premio Viareggio, il Premio Feltrinelli o il Premio Chiara. Gli fu anche conferita la laurea honoris causa in scienze forestali e ambientali e in scienze politiche delle Università di Padova di Genova.178 Mario Rigoni Stern morì il 16 giugno 2008 nel suo paese montano dell'Altipiano dove trascorse tutta la sua vita.179

174 Cfr. ivi, pp. 19-20. 175 Cfr. Giulio Milani, Storia di Mario..., cit., p. 44. 176 Cfr. ivi, p. 86. 177 Cfr. M. Buzzi, Invito alla lettura..., cit., pp. 26-27. 178 Cfr. Giulio Milani, Storia di Mario..., cit., p. 104. 179 Cfr. ibidem. 36

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