16. Ansedonia
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16. CITTÀ DI COSA – ANSEDONIA Informazioni: Museo degli scavi di Cosa tel.: 0564/881421 Orario: periodo estivo 9.00-19.00 periodo invernale 9.00-14.00 i raggiunge dalla S.S. 1 Aurelia uscendo da uno dei due svincoli S di Ansedonia, tra Orbetello e Capalbio, e, seguendo le indica- zioni, si percorre una strada, a sterro nell’ultimo tratto, che dopo po- che centinaia di metri giunge a un cancello posto in corrispondenza della porta settentrionale della città romana (“Porta Fiorentina”). l sito archeologico di Cosa-Ansedonia occupa la sommità di I un’altura rocciosa (113 m s.l.m.) immersa in un litorale sabbioso I ruderi di bordato di pinete e di macchia mediterranea. L’antico abitato sor- Ansedonia e il Monte Argentario geva su un piccolo promontorio posto tra il lago di Burano e la la- (acquarello di guna di Orbetello, uno specchio d’acqua poco profondo che, a sua S.J. Ainsley, 1847) 208 Guida alla Maremma medievale L’AMBIENTE volta, separava la terraferma dall’Argentario. Quest’isola rocciosa era collegata alla costa da due strette lingue di terra che separano la laguna di Orbetello dal mare aperto: a nord il tombolo della Gian- nella, a sud quello della Feniglia, che si salda alla terraferma proprio sotto il promontorio di Cosa-Ansedonia, nel punto in cui era ubi- cato il suo porto medievale. La scelta del sito su cui sorse l’insediamento fu pianificata a tavo- lino: la colonia romana di Cosa venne fondata nel 273 a.C. , dopo la sconfitta della città etrusca di Vulci, dal cui territorio venne scor- porata una porzione costiera per attribuirla alla nuova fondazione urbana. Dall’altura di Cosa si gode di un ampio panorama che spa- La costa a sud zia dall’Argentario al lago di Burano e questa collocazione consentì della città in alla città romana (e alla sua erede medievale: Ansedonia) di eserci- una mappa tare il controllo sia sulle due aree portuali poste ai margini setten- del 1696 (Collezione trionale e meridionale del promontorio, sia sulla viabilità costiera di Graziani) raccordo tra l’Etruria settentrionale e l’Etruria meridionale tirrenica. LE RICERCHE li scavi entro la città e nei suoi suburbi sono stati curati a partire ARCHEOLOGICHE G dagli anni Cinquanta dall’Accademia Americana di Roma. Il territorio circostante è stato oggetto di un importante progetto di ricerca topografica avviato negli anni Settanta (Ager Cosanus-Valle dell’Albe- gna) che ha promosso lo sviluppo dell’archeologia dei paesaggi in Italia. el corso degli ultimi decenni del III secolo a.C. i Romani co- N struirono per la colonia di Cosa una formidabile cinta mura- ria che culminava nell’arce – l’area sommitale dotata di un’auto- noma cinta difensiva – entro la quale venne edificato il tempio del Città di Cosa - Ansedonia 209 Planimetria del promontorio e a l l a della città V i a romana di Cosa A a a Portus Herculus li u e (da Brown r r e u l 1980) i A a ia V a ll a castello foro arx Laguna antica N Portus Cosanus MARE TIRRENO tagliata spacco base della 0 800 m catapulta Regina (?) Capitolium. Più in basso, l’impianto urbanistico della colonia venne realizzato secondo uno schema ortogonale incentrato sulla piazza del foro. Imponenti opere pubbliche furono pianificate dai Romani anche in corrispondenza dell’area portuale meridionale: allo scopo di evitare l’insabbiamento del porto venne scavato nella roccia un canale – la “Tagliata” – che metteva in comunicazione la laguna di Burano con il mare, affiancando una fenditura naturale utilizzata in precedenza al medesimo scopo. Questo suggestivo sistema di canalizzazioni, naturali e artificiali, consente l’accesso ad alcune enormi caverne semisommerse. In età post-classica, probabilmente in riferimento appunto alla leggenda- ria presenza di personaggi regali femminili, la Tagliata è stata deno- minata anche “Bagni della Regina” e la fenditura naturale “Spacco della Regina”, mentre un’altra tradizione medievale collegava questi anfratti all’opera di forze demoniache. Ivi è ancor ove fue l’Asendonia, ivi è la cava, ove andarno a torme, si crede, il tristo, overo le demonia (Fazio degli Uberti) Decaduta già con il I secolo a.C., la città spopolata sopravvisse sino al III secolo d.C. solo come modesto centro di servizi per una campagna ancora fiorente, ma ormai organizzata attorno alle grandi fattorie gentilizie extraurbane. Tra il IV secolo e la metà del V la città, se non completamente abbandonata, era certamente co- stituita solo da un piccolo nucleo di case tagliato fuori dai circuiti di scambio. I risultati degli scavi archeologici concordano infatti con la descrizione del poeta gallo-romano Rutilio Namaziano che 210 Guida alla Maremma medievale all’inizio del V secolo descrive la città deserta e ironicamente ne at- tribuisce l’abbandono a una invasione di topi. Verso la fine del V secolo, poi, l’arce venne ristrutturata e tra- sformata in sede di una guarnigione posta al controllo della Via Aurelia; pochi decenni dopo questo presidio militare stradale venne distrutto da un incendio e fu nuovamente fortificato a opera di sol- dati bizantini. All’epoca la piccola fortezza realizzata nell’antica arce era dotata anche di un edificio di culto, mentre al di fuori di essa, in corrispondenza del foro della città romana, entro il perimetro dell’antica basilica venne costruita un’altra chiesa e fu impiantato un cimitero, entrambi connessi a un modesto abitato con dimore in muratura ricostruite sui resti degli isolati romano-repubblicani, di cui recuperavano in parte le strutture. È stato ipotizzato che du- rante questa fase di profonda rottura dell’assetto politico-econo- mico e culturale antico si sia realizzato anche il mutamento di nome del sito da Cosa a Ansedonia, contestualmente al coinvolgi- mento della piazzaforte nei conflitti delle guerre greco-gotiche (535-553) e nelle complesse vicende della penetrazione longobarda in Toscana (ultimo quarto del VI secolo). Dopo la conquista longobarda, la fortezza bizantina sull’arce venne abbandonata, mentre nell’area del foro un abitato di ca- panne si sostituì al villaggio in muratura. Non è chiara la storia dell’insediamento in età longobarda e ca- rolingia, poiché le scarse testimonianze archeologiche e documen- tarie pervenuteci sono di difficile interpretazione. LA TESTA DI na tradizione leggendaria medievale vuole che nell’età di Carlo SANT’ANASTASIO U Magno Ansedonia fosse divenuta un covo di ladroni, costi- tuendo una costante fonte di pericoli per coloro che, via terra o via mare, percorrevano la costa tirrenica a nord di Roma. Per queste ra- gioni l’imperatore Carlo attaccò la città impegnandosi in un difficile confronto con i suoi difensori; trovatosi però in difficoltà, si unì a papa Leone III e, grazie all’aiuto prodigioso della testa di sant’Anasta- sio che i due avevano condotto sino in vista di Ansedonia, riuscì a scacciare i malviventi dalle sue mura, poiché queste, dinanzi alla reli- quia miracolosa, vennero violentemente squassate da un terremoto che mise in fuga i predoni. L’imperatore, profondamente colpito dall’evento straordinario, avrebbe poi donato la città e il territorio cir- costante alla Chiesa di Roma, attribuendoli proprio al monastero ro- mano di Sant’Anastasio ad Aquas Salvias, detto delle Tre Fontane. Sulla base di questa leggenda tra XII e XIII secolo venne prodotto un documento che enumerava i beni trasmessi da Carlo Magno nell’anno 805 (al primo posto compare appunto la città di Ansedonia) e fu di- pinto nel portico della chiesa monastica romana un ciclo di affreschi, che raffigurava gli episodi della leggenda e, singolarmente, la città e i castelli donati da Carlo Magno. È probabile, infine, anche se non sussistono elementi di certezza, che provenga da una delle chiese di Ansedonia o del suo suburbio il Città di Cosa - Ansedonia 211 pregevole paliotto scolpito da maestranze romane attorno al IX se- colo e oggi conservato nel Duomo di Orbetello. Dopo un lungo silenzio delle fonti archeologiche, gli scavi hanno condotto a individuare fasi di rioccupazione dell’area urbana di An- sedonia databili al X secolo, sebbene esse siano prevalentemente limi- tate alla sola altura compresa nell’estremità orientale della città ro- mana. Qui prima dell’età romanica venne realizzato un ridotto forti- ficato, chiudendo l’angolo orientale delle mura repubblicane attraverso un terrapieno e un fossato, cui dava accesso una piccola rampa difesa da una torretta: l’abbandono di questo vallo si data, in- fatti, archeologicamente tra IX e XI secolo. In seguito, la medesima area vide sorgere un castello dotato di una vera e propria cinta mura- ria e, dal XII secolo, anche di una torre centrale, cui furono aggiunti alcuni ambienti di servizio e una cisterna utilizzata sino al basso Me- dioevo (come si arguisce da un graffito inciso nel suo intonaco). A partire dal XI secolo la civitas di Ansedonia torna anche a essere menzionata, unitamente al vicino porto Feniglia, nella documenta- zione scritta relativa all’abbazia di Sant’Anastasio delle Tre Fontane di Roma. Papa Gregorio VII ne confermò per intero il possesso a questo monastero romano, precisando che venivano trasmessi ai monaci di Tre Fontane anche i censi corrisposti dagli abitanti dei dintorni al locale centro di raccolta dei redditi pubblici. La città di Ansidonia e il porto di Fenilia compaiono anche nella menzionata donazione di Carlo Magno al monastero: un documento di dubbia autenticità, che però sembra in sostanza veridico, poiché è probabile una dipendenza dell’area dall’abbazia di Sant’Anastasio sin dall’alto Medioevo. In ogni caso, le testimonianze archeologiche relative ai secoli X e XII qualificano l’insediamento come un centro rurale, piuttosto modesto e comunque privo di fisionomia urbana, limitandosi alle fortificazioni nell’estremità orientale della città romana, ad alcune tracce rinvenute nell’arce, nonché a una chiesa allestita in corri- spondenza di un tempio romano prospiciente il foro, presso la quale venne impiantata anche un’area sepolcrale, di cui fanno parte poco più di duecento inumazioni prive di corredo.