L'evoluzione Del Marchio Nel Comparto Alimentare Italiano
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Dipartimento di Impresa e Management Laurea Triennale in Economia e Management Tesi di Laurea in Storia dell’economia e dell’impresa L’evoluzione del marchio nel comparto alimentare italiano RELATORE CANDIDATO Chiar.ma Prof.ssa Chiara Maiolino V. Ferrandino Matr. 176111 ANNO ACCADEMICO 2014-2015 INDICE Introduzione 2 CAPITOLO I – L’economia alimentare nell’economia italiana tra secondo dopoguerra e miracolo economico 3 1.1. Il dopoguerra e la ricostruzione industriale 3 1.2. L’industrializzazione italiana 6 1.3. L’industria e i grandi marchi italiani 16 CAPITOLO II – Il made in Italy alimentare nel contesto internazionale degli anni Settanta e Novanta 29 2.1. L’evoluzione del mercato italiano ed internazionale 29 2.2. Le concentrazioni industriali nel settore alimentare 39 2.3. Il made in Italy alimentare e l’evoluzione dei marchi italiani 49 CAPITOLO III – La sfida del nuovo millennio per il Made in Italy alimentare 68 3.1. L’Italia e la crisi economica: effetti sulla produzione industriale e analisi del comparto alimentare 68 3.2. Le ultime tendenze del made in Italy alimentare 75 3.3. Le nuove strategie di brand management dei marchi italiani 83 Conclusioni 89 Indice dei grafici 91 Indice delle tabelle 91 Indice delle figure 92 Riferimenti bibliografici 95 Sitografia 97 1 Introduzione Il seguente lavoro si propone di analizzare l’evoluzione dell’industria alimentare italiana in riferimento al contesto industriale italiano nonché all’evoluzione dei sistemi economici a livello internazionale e mondiale. Un’attenzione particolare è dedicata all’evoluzione dei consumi alimentari e al corrispondente progressivo adeguamento delle strategie di corporate branding messe in atto dalle principali imprese del settore. Il risultato complessivo consente di delineare un percorso graduale di evoluzione del settore, tenendo conto delle specificità del tessuto industriale italiano. Questo percorso è segnato da varie tappe: dal prodotto artigianale alla produzione in serie, per poi ricercare costantemente un compromesso tra innovazione e tradizione che porterà a sperimentare soluzioni sempre nuove e sempre più adattive rispetto ai variegati gusti dei consumatori. 2 CAPITOLO I L’economia alimentare nell’economia italiana tra secondo dopoguerra e miracolo economico 1.1. Il dopoguerra e la ricostruzione industriale All’indomani della Seconda Guerra mondiale, il territorio italiano si trovò lacerato sia dal punto di vista economico che sociale a causa dei danni derivati dalla politica economica di tipo autarchico vigente nel periodo fascista e del crollo delle istituzioni politiche. Negli anni del conflitto la popolazione era vincolata al rispetto di un regime di razionamento alimentare. Molti ricorrevano al mercato clandestino per acquistare beni di prima necessità: in modo abituale le famiglie agiate ed in modo saltuario quelle con redditi medio-bassi. I prodotti venduti erano quelli più rari a trovarsi sulla piazza ufficiale – riso, pasta, zucchero, caffè, carne, salumi, olio e formaggi1. Nel 1942 circa il 40% dei nuclei familiari non agricoli soffriva letteralmente la fame. Il 45% delle famiglie aveva un vitto scarso e il 13% un’alimentazione insufficiente. Soltanto il 3% aveva un’alimentazione sufficiente o addirittura abbondante. La maggior carenza nutrizionale riguardava, nell’ordine, carboidrati, grassi e proteine2. Da un’indagine del 1944 sul livello nutrizionale degli italiani nelle regioni liberate, appare nettamente migliore la situazione delle famiglie agricole rispetto a quelle urbane3. A livello regionale la situazione risultava differente: all’evoluzione dei bilanci urbani del Nord faceva riscontro la stasi della capacità di spesa delle famiglie del sud continentale ed insulare. Tale differenza era dovuta non soltanto a diseguaglianze socio-economiche ma anche al tradizionalismo degli stili di consumo rurale prevalenti nella popolazione meridionale4. Nonostante il crollo del PIL nazionale, passato da 125 miliardi nel 1938 a 70 miliardi nel 1945, le condizioni dell’industria e degli impianti non furono seriamente compromesse dal conflitto mondiale, pur essendoci delle diseguaglianze tra le varie aree del Paese: il nord, ed in particolare le regioni del triangolo industriale Milano-Torino-Genova, fu colpito in modo marginale rispetto all’industria meridionale. Nel complesso, si stimavano danni materiali di guerra agli impianti industriali pari a circa l'8% del capitale investito nell'industria5. Le più colpite furono le industrie siderurgiche e metallurgiche, petrolifere, elettriche ed i cantieri navali. Le distruzioni materiali furono relativamente modeste rispetto allo sconvolgimento organizzativo dei mercati, che possiamo identificare come conseguenza del conflitto mondiale. Il 1 P. Luzzatto-Fegiz, Alimentazione e prezzi in tempo di guerra (1942-1943), Trieste, 1948, p. 152. 2 Ibidem, p. 13-15. 3 G. Alberti, L’economia domestica italiana da Giolitti a De Gasperi (1900/1960), 50 & PIU’ Editore, Roma, 1992, p. 131. 4 Ibidem, p. 144. 5 V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia (1861-1990), il Mulino, 1999, p. 409. Tutti gli autori concordano nell’affermare che le distruzioni causate all’apparato industriale italiano furono più o meno limitate. 3 principale problema per l’apparato industriale nazionale fu l’ipertrofia bellica, ovvero il sovradimensionamento, sia in termini di capacità produttiva che in termini di numero di addetti, dei settori direttamente coinvolti nella corsa al riarmo. Le aziende più in difficoltà furono quelle che si resero maggiormente dipendenti rispetto al committente pubblico. Tra queste, l’industria meccanica fu sicuramente la più interessata. Un esempio di questa situazione è l’Alfa Romeo, che concentrò circa l’80% del proprio fatturato sulle produzioni aeronautiche. All’indomani del conflitto mondiale, l’azienda si ritrovò a dover ritornare alla produzione di automobili e a doverla addirittura espandere per saturare la propria capacità produttiva. Oltre a questo, un secondo problema fondamentale per tutte le imprese di medie e grandi dimensioni fu l’eccedenza di manodopera. L’overstuffing interessò tutti i settori produttivi, ma anche qui ad essere colpita fu in particolar modo l’industria meccanica; la cantieristica soffriva di un eccesso di manodopera del 40%, la siderurgica ed il comparto chimico di oltre il 50%. Gli Stati Uniti ebbero un ruolo fondamentale nel sostegno della ricostruzione e dell’industrializzazione degli Stati europei. A partire dal 1943 e per tutta la durata del conflitto, l’Italia usufruì degli aiuti garantiti dal piano di emergenza UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) per le importazioni di beni di prima necessità. Poi, il 5 giugno 1947, il segretario di Stato americano George Marshall annunciò che gli Stati Uniti avrebbero varato un piano per sostenere l’Europa nel difficile processo di ricostruzione industriale. La partecipazione dell’Italia a questo piano comportava l’obbligo di coordinare le politiche economiche a livello mondiale e di programmare gli investimenti con piani di sviluppo pluriennali sulla base di un accordo con il governo statunitense. Dei 425 milioni di dollari, donati attraverso l'UNRRA, 109 milioni furono destinati all'assistenza e ripresa delle industrie6. L’Italia ottenne un gran numero di beni a titolo gratuito, in seguito alle richieste formulate rispetto ai piani di sviluppo. La vendita di tali beni sul mercato nazionale consentiva la formazione di “fondi di contropartita” il cui utilizzo veniva concordato tra i rappresentanti di Stato americani ed il governo nazionale. Il risparmio di valuta che si otteneva grazie a queste importazioni gratuite andava quindi a costituire un surplus per lo Stato: poteva servire o per un allargamento delle importazioni stesse o per le formazioni di riserve7. Gli aiuti americani fornirono un surplus medio sul reddito nazionale lordo italiano del 2,4% tra il 1946 ed il 1952. Gli aiuti americani comportavano, comunque, l’onere di specifiche garanzie sul piano politico, prima fra tutte il distanziamento rispetto al blocco sovietico e la limitazione dell’opposizione comunista. Il piano di sviluppo italiano fu redatto dal Centro studi e piani tecnico-economici dell’IRI e presentato nell’estate del 19488. L’obiettivo principale era essenzialmente il potenziamento degli investimenti produttivi in infrastrutture e beni capitale, concentrati soprattutto nel settore metalmeccanico ed energetico (60%), mentre dedicava all’agricoltura solo il 29% dei fondi disponibili. Il ruolo strategico degli aiuti 6 U. Natoli e R. Tremelloni, "Industria" - II Appendice, Enciclopedia Treccani, 1949. Cfr: http://www.treccani.it/enciclopedia/industria_res-0fa6a6f9-87e6-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/. 7 V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia (1861-1990), cit., p. 416. I governi italiani preferirono sempre la seconda alternativa, per evitare una carenza di riserve presso la Banca d’Italia. 8 All’epoca, il Centro studi dell’Iri era gestito da Pasquale Saraceno. Cfr. P. Saraceno, Elementi per un piano quadriennale di sviluppo dell’economia italiana, Roma, 1948, cit. in V. Zamagni, Dalla periferia al centro. 4 americani andava oltre il loro valore quantitativo: il 90% dei fondi di contropartita fu utilizzato strategicamente per un massiccio rinnovo degli impianti con tecnologia prevalentemente americana9. Alla fine del processo di ricostruzione, negli anni Cinquanta l’Italia si trovò dunque già inestricabilmente legata al processo