Mila Cotlenko

MARIA NIKIFOROVA

LA RIVOLUZIONE SENZA ATTESA L’epopea di un’anarchica attraverso l’Ucraina (1902-1919)

Edizioni E1 Rùsae Edizioni lì] K’ùsac

Il termine E1 Rùsac nel dialetto triestino vuole dire lo zaino. Abbiamo scelto questo nome per queste nuove edizioni anarchiche perché quest’oggetto ci ricorda in­ nanzi tutto la sua utilità. E1 Rùsac è un oggetto utile sotto vari aspetti; per chi lotta è il conte­ nitore delle maschere antigas, san pietrini e volantini durante i cortei, il porta manifesti durante le serate ad “attacchinare” sui muri delle cit­ tà, è l’oggetto che tanti compagni e compagne hanno usato ed usa­ no durante i sabotaggi e le azioni dirette che da sempre hanno fatto fare brutti sogni ai nemici della libertà. E quell’amico nei giorni della clandestinità. E l’oggetto che si può usare quando si esce dal car­ cere per tenere le lettere ed i pochi vestiti. È un compagno che non ci abbandona mai, allo stesso tempo però ci vuole metodo nell’organiz­ zare E1 Rùsac sennò il suo utilizzo rimane monco: è come le lotte che si portano avanti, non basta la de­ terminazione, ci vuole un metodo anche nelle lotte sia da soli sia con i compagni e compagne di strada. Queste nuove edizioni vogliono portare uno stimolo al confronto tra gli anarchici e non solo, vo­ gliono, con modestia, portare un nuovo contributo alla propaganda semplicemente perché chi sta scri­ vendo vuole la Rivoluzione Socia­ le e l’Anarchia, quindi la libertà per tutte e tutti. LA RIVOLUZIONE SENZA ATTESA L ’epopea di un anarchica attraverso l’Ucraina (1902-1919)

Edizioni E1 Rùsac Prima edizione italiana, Trento, ottobre 2016 a cura delle Edi­ zioni Anarchiche “E1 Rùsac”. Tradotta dalla edizione francese dei tipi delle Mutines Sedi- tions del settembre 2014. Illustrazione in copertina di Marco Trentin. Ringrazio Giulia, Benedetta, Ludovica e Massimo per il lavoro di traduzione e correzione. Questo libro non sarebbe uscito senza la loro collaborazione. INDICE

INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE FRANCESE 11

UNA GIOVINEZZA DI BEZMOTIVNIKI 17 IL GRANDE VIAGGIO 21 GIORNATE RIVOLUZIONARIE A PIETROGRADO 23 ALEKSANDROVSK E HULJAJ POLE 30 IL COLPO DI STATO DI OTTOBRE IN UCRAINA 37 LA MINACCIA COSACCA 41 LA DRUZHINA DEL LIBERO COMBATTIMENTO 45 LE BATTAGLIE DI ELISAVETGRAD 48 LA LUNGA RITIRATA 53 PROCESSO A TAGANROG 56 UN INVERNO ODIOSO 61 RITORNO A HULJAJ POLE 66 LA ROTTURA 70 ANARCHICI UNDERGROUND 75 “NON PENSARE MALE DI ME” 85

GLI ANARCHICI UNDERGROUND IN UCRAINA 1920-1930. CONTORNI DI UNA STORIA 89

LA STORIA DI UN VOLANTINO E IL DESTINO DELL’ANARCHICO VARSHAVSKIY 101

POSTFAZIONE 109

RIFERIMENTI CRONOLOGICI 117

PICCOLA BIBLIOGRAFIA 121 Dedico questo libro a Giovanni Boni detto il Monello, partigiano anarchico scomparso qualche tempo fa. MARIA GRIGOR’EVNA NIKIFOROVA INTRODUZIONE ALLA EDIZIONE FRANCESE

Matriosca

uando mi sono approcciata alla storia della rivoluzione del 1917 in Russia, ho come avuto l’impressione di apri­ Q re una successione di scatole di bambole russe, dove ogni m atriosca rivelava nuove realtà. A scuola, in due paragrafi mi avevano insegnato l’ascesa irresistibile dei bolscevichi tra febbraio e ottobre, e su lunghe e noiose pagine, la progressiva realizzazione del loro regime totalitario. La morale era chiara: la rivoluzione non può che portare al dispotismo della peggior specie. Successivamente, la lettura di Volin infranse definitiva­ mente la più grande delle matriosche. 1917 non era più la storia di un semplice colpo di Stato, ma ridiventava un processo ri­ voluzionario ricco e abbondante, con molteplici forze in cam­ po. Non era detto in anticipo che i bolscevichi avrebbero fatto man bassa della puntata. Si scopriva una situazione complessa, in cui numerosi uomini e donne - tra cui degli anarchici - si erano lanciati anima e corpo per realizzare il loro sogno di li­ bertà, contro le truppe austro-tedesche, i bianchi, i nazionalisti e i vari partiti rivoluzionari autoritari. Questa storia rivoluzionaria non poteva più essere pensata come due sussulti in un solo anno per saldare tutti i conti, sa­ pendo che la normalizzazione da parte dei bolscevichi prese del tempo, dieci anni in certe zone. Poco a poco, Makhno di­ venne un’icona, incarnando da solo la lotta anarchica in Ucrai­ na. Tuttavia, è stato necessario infrangere anche questa m a tr io ­ sca, per scoprire al suo interno il percorso di Maria Nikiforova e di tanti altri compagni dimenticati. Stranamente, né Volin, né Arsinov, non più che storici come Skirda o Avrich le fanno spazio nel loro racconto, mentre Makhno stesso riferisce senza esitare diversi episodi che forni­ scono un punto di vista sulle attività di Maria Nikiforova1. Per un anarchico che ha vissuto quest’epoca in Ucraina - la ritro­ viamo ugualmente nelle memorie del capo di stato maggiore del movimento insurrezionale makhnovista Viktor Belash2 -,

1. , Mémoires et écrits (1917-1932), ed. Ivrea (Parigi), gennaio 2010, 560 p, i passaggi esatti saranno segnalati nel corso del libro. 2. Viktor Belash, Dorogi Nestora Makhno (Le strade di Nestor Makhno), ed. Prosa (Mosca), 1993, 632p. Sono memorie ritrovate da suo figlio e pubblicate dopo la sua morte. Si veda anche il diario di Alexei' Chubenko, Biografiya Makhno i Makhnovshchina (Biografia di Makhno e della Makhnovcina), diario inedito pub­ blicato in Nestor Makhno: krest’ianskoe dvizhenie na . 1918-1921. Dokumenty i

11 è difficile non parlarne: faceva senza alcun dubbio parte dei compagni imprescindibili. Alla testa di un distaccamento di guardie nere, sostenuta da numerosi operai di Aleksandrovsk, città situata vicino a Huljaj Pole, di cui era originaria, ma an­ che dai marinai di , le sue qualità di oratrice e le sue capacità pratiche imposero rapidamente la sua fama in tutto il territorio ucraino. Fermamente convinta che bisognava ap­ profondire il processo rivoluzionario in corso, in funzione dei rapporti di forza in loco non esitava a sfidare le autorità loca­ li, anche quelle cosiddette “rivoluzionarie", a esigere contributi dalla borghesia e dai proprietari terrieri, a condurre espropri (armi, viveri, denaro e edifici, ecc.), il che le valse presto l’essere messa alla gogna degli “anarco-banditi" dal potere bolscevico. Dietro Maria Nikiforova, o piuttosto al suo fianco, ci sono al­ tre m atriosch e che si sono aperte, poiché periodi interi della sua vita sono ancora largamente sconosciuti, che si pensi alla sua giovinezza posta sotto il segno del “terrore senza motivo” (bezmotivnyi) intorno al 1905, alle giornate insurrezionali di Pietrogrado nel luglio 1917, lanciate dai compagni prima del colpo di Stato di Ottobre, o ancora alla sua partecipazione agli “anarchici underground" che, dal 1919, ricostituirono delle reti per compiere attacchi mirati sia contro i bianchi che contro i rossi, chiamando nella loro azione di agitazione a una “te rza rivoluzione sociale Al di là dell’entusiasmo che il suo percorso comprensibilmen­ te suscita, non faremo indossare a Maria Nikiforova gli abiti di una santa o di un’eroina, come fa talvolta una parte del movi­ mento anarchico con i propri morti. Esistono già abbastanza libri prediletti per rassicurarsi all’ombra del passato, felici di poter appuntare, prima di addormentarsi, una figura in più nel pantheon degli anarchici o delle grandi donne. Poiché se non per alimentare le riflessioni e le lotte del presente, a che serve immergersi sulle tracce dei compagni che ci hanno preceduto? Costruire una contro-storia senza asperità finisce per incon­ trare gli stessi ostacoli della storia ufficiale, privando gli indi­ vidui della loro complessità e della loro unicità per farne dei miti. Pur se scritta dal punto di vista dei dominati e dei rivolto­ si, fissa comunque delle posizioni, trasforma in destino ciò che è un percorso vivo, cancella i dibattiti e le altre scelte presenti in favore di una sorta di successione ineluttabile di fatti. L’idea di questo libro non sarà quindi di imbalsamare Marus- sia in una posizione di “Atamansha” (capo militare carismati-

materialy (Nestor Makhno: il movimento contadino in Ucraina. 1918-1921. Docu­ menti e materiali), Pod red. V. Danilova i T. Shanina, Rossiyskaya polotoches- kaya entsiklopediya (Mosca), 2006, doc. n°443.

12 co) o di “Giovanna cL’Arco dell’anarchia’. Piuttosto, è proprio in questa direzione che bisognerà essere critici, poiché può ave­ re un costo elevato. Di fronte alle conquiste dei bianchi, delle truppe austro-tedesche e dei nazionalisti ucraini, lei scelse di condurre una guerra frontale, e, per farlo, di stipulare un ac­ cordo militare con i bolscevichi. Fu in seguito che agì in rela­ tiva autonomia, e alla fine se la prese direttamente col potere rosso dalla clandestinità. Tutti questi momenti sono in realtà attraversati da esitazioni e contraddizioni, sollevando questio­ ni che si pongono ad ogni tempesta sociale, tra cui alcune che risuonano fino ad oggi: fino a dove spingere il processo rivo­ luzionario quando questo non porta che ad un cambiamento al vertice dello Stato? Quando gli operai si stanno imposses­ sando delle fabbriche e i contadini delle terre, come fare affin­ ché la sedia del potere resti vuota e soprattutto le sue gambe vengano frantumate? Che fare quando la contro-rivoluzione arriva da ogni parte? Come evitare di cadere nella trappola di “fare la guerra ” a scapito di “approfondire la rivoluzione ”? Come riconoscere i falsi amici tra i rivoluzionari dalle intenzioni tut­ tavia sincere? Quali sono le conseguenze del coordinarsi con gruppi autoritari in un “fronte comune”? Quest’ultimo tipo di strategia sembra in questo caso impossibile senza rinunciare a parte delle proprie idee, ed è d’altronde questa la conclusione che trarrà Maria Nikiforova dopo aver sperimentato un’alle­ anza con i bolscevichi. Seguiamo il suo percorso non per ral­ legrarci delle sue alte gesta militari, ma come un’esperienza di situazioni piene di sconvolgimenti rivoluzionari e di difficoltà, come una finestra per affrontare una storia fatta da una succes­ sione di possibili non necessariamente accaduti. Dietro Maria Nikiforova, ci sarebbero ancora altre m atriosch e da aprire, poiché lei è tutt’altro che un’eccezione. Ci furono altri anarchici alla testa di distaccamenti autonomi di guardie nere. Dietro questi, ci sarebbero ancora tutti gli individui ano­ nimi che non lasciarono alcuna traccia ma formarono il sale di questi sconvolgimenti lanciandosi anima e corpo nella batta­ glia per una libertà smisurata per tutti. Se abbiamo un’idea della storia di Makhno e dei contadini ucraini intorno a Huljaj Pole, visto che in extremis riuscì a fug­ gire e a scrivere le sue memorie, ci furono anche forti resisten­ ze e movimenti di partigiani che i nuovi padroni bolscevichi stentarono a schiacciare nel Sud e nell’Ovest della Russia, in Ucraina e in Siberia3, movimenti che talvolta continuarono

3. Si veda per esempio A. V. Dubovik Anarkhicheskoye podpolye na Ukraine v 1920- 1930-khgg. Kontury istorii (Gli anarchici underground in Ucraina negli anni 1920- 1930. Contorni di una storia).

13 fino alla fine degli anni venti. Senza dimenticare tutti coloro che sono morti troppo presto e tuttavia hanno portato le pro­ prie idee fino alle estreme conseguenze. Il ruolo che giocò Maria Nikiforova nella rivoluzione Ucraina, come il suo percorso, non ebbero nulla di una strada già trac­ ciata. In numerosi momenti chiave, essa fece delle scelte aven­ do quale unica guida le proprie idee, delle scelte totali, che si assunse fino alla fine. E se in questa lotta impari finì per cadere, ciò non toglie che ci lascia una possibilità sempre presente: ancor più che vivere senza rinnegare il proprio ideale, quella di vivere senza misura per vederlo realizzarsi.

14 MARIA NIKIFOROVA LA RIVOLUZIONE SENZA ATTESA L ’epopea di un anarchica attraverso l’Ucraina (1902-1919) Città di Aleksandrovsk UNA GIOVINEZZA DI BEZMOTIVNIKI

aria Grigor’evna Nikiforova nacque nel 1885 nella cit­ tà ucraina di Aleksandrovsk4. Secondo diverse fon­ Mti, suo padre era un ufficiale, eroe dell’ultima guerra russo-turca (1877-1878). Questa versione, forse diffusa più tardi per spiegare le sue capacità in ambito militare, sembra poco probabile. La figlia di un ufficiale, pur se povero, non avrebbe probabilmente lasciato la casa paterna a 16 anni per guada­ gnarsi da vivere in totale indipendenza, come fece Nikiforova. A cavallo tra il XIX e il XX secolo, Aleksandrovsk era una città in rapida via di industrializzazione, con una popolazione ope­ raia numerosa e combattiva. Nonostante la scarsità di impie­ ghi remunerati per donne a quei tempi, Maria Nikiforova era riuscita a trovare un posto come bambinaia, poi come com­ messa e, infine, come addetta al lavaggio di bottiglie in una distilleria di vodka. È circa all’epoca in cui lavorava come operaia in questa fabbri­ ca, che la Nikiforova si unì al gruppo locale di anarco-comu- nisti. Contrariamente alle diverse correnti nate dal marxismo e dal populismo (social-democratica e social-rivoluzionaria), questi anarchici non ritenevano necessario dover passare per una qualche transizione borghese o democratica per arrivare alla rivoluzione. Non c’era da tergiversare sul grado di sviluppo del capitalismo industriale, i contadini e gli operai potevano, in questo inizio Novecento, liberarsi immediatamente delle loro catene tramite una rivoluzione sociale violenta. Ciò che carat­ terizzava questi compagni rispetto alle altre correnti dell’anar­ chismo in Russia, ma anche in Europa occidentale, è l’originale miscela che fecero delle idee di Bakunin e di Kropotkin. In questo vasto impero contadino popolato da circa 100 mi­ lioni di abitanti, gli anarco-comunisti russi si battevano per la creazione diretta, mediante insurrezioni armate, di federazio­ ni di libere comuni. Essi avvertivano il recente sviluppo dei sindacati come un ulteriore ostacolo sul cammino della rivo­ luzione, che doveva spazzar via in un sol colpo tutti i rapporti di sfruttamento. D’altronde, durante il processo insurreziona­ le del 1905, i lavoratori stessi si erano già dotati di altre struttu­ re di auto-organizzazione, creando un po’ dovunque dei so viet (nome comune per designare ogni sorta di consiglio o assem­

4. Aleksandrovsk fu ribattezzata Zaporizzja nel 1921.

17 blea). Con grande stupore di tutti i partiti, i sindacati - com­ presi quelli anarchici - non erano quindi questi “strumenti di­ retti, illegali e rivoluzionari’’ di cui gli operai avevano avuto biso­ gno (per non parlare dei contadini). Per gli anarco-comunisti, al contrario, le strutture sindacali portavano in sé “ilgerme della seduzione politica” con il loro riformismo rivendicativo, che era tutt’altra cosa dall’operare in favore di un vasto movimento di espropriazione. Quando Volin tenterà anni dopo di definire le idee degli anarco-comunisti, cioè la tendenza maggioritaria tra i compagni in Russia, non a caso ricorderà la loro difesa delle comuni libere e la loro critica del sindacalismo5. In Ucraina, i primi agitatori anarco-comunisti fecero la loro apparizione intorno al 1903, portando numerosi giovani ope­ rai, artigiani o studenti dei grandi centri industriali ad abbrac­ ciare le loro idee. Durante gli scioperi generali, le occupazioni delle terre e l’insurrezione del 1905 e fino alla vittoria provvi­ soria della repressione verso il 1907-1908, ci furono circa 90 gruppi anarco-comunisti in Ucraina, più numerosi e meglio organizzati di quelli all’interno della Russia. Nonostante la partecipazione massiccia degli operai e dei con­ tadini alle elezioni legislative del 1906, le promesse del regi­ me non avevano completamente arginato l’insoddisfazione. Mentre l’aristocrazia e la burocrazia dell’Impero russo bloc­ cavano ogni riforma (agraria o liberale) proposta dalla Duma, molti gruppi rivoluzionari si interrogavano sull’opportunità di riprendere nuovamente delle azioni dirette contro il regi­ me, cioè sul “terrore politico”. D’altra parte, solo gli anarchici spingevano apertamente per l’utilizzo generalizzato del “te r­ rore economico” (esecuzione di padroni e proprietari terrieri, espropri, incendi di campi e di proprietà...), sebbene anche gruppi di socialisti-rivoluzionari e di massimalisti lo praticas­ sero puntualmente. In totale, il ministro degli Interni Stolypin diede le seguenti cifre alla stampa relative a “gli atti di banditi­ smo egli attentati anarchici commessi nell’Impero” dal 1906 al 1908: “26.268 attentati, 6.091 funzionari e privati uccisi, più di 6.000fe­ riti, più di 5 milioni di rubli, cioè 13 milioni di franchi, rubati a mano armata dalle casse dello Stato”6. Pur comprendendo nel termine “anarchico” le azioni dei so­ cialisti-rivoluzionari (SR) e dei massimalisti, queste cifre (che il ministro ha tutto l’interesse a minimizzare in quest’intervi­

5. “Gli anarco-comunisti contavano non sui sindacati operai ma sulle comuni libere e sulle loro federazioni, come base d’azione, di trasformazione e di costruzione. Professavano una diffidenza nei confronti del sindacalismo". V. M. Eichenbaum, detto Volin, La rivoluzione sconosciuta, RL, Napoli, 1950 6. Gaston Dru, nell’introduzione a Pierre Poléjaieff, Six années. La Russie de 1906 à 1912, Plon, Parigi, 1912, p.50

18 sta pubblicata all’estero, per non spaventare i sottoscrittori dei prestiti russi) danno un’idea dell’antagonismo sociale di cui i compagni erano parte. Gli anarco-comunisti russi potevano anche non essere che una decina di migliaia, ma i simpatiz­ zanti di questa minoranza attiva erano molto più numerosi, e solidali. Molti di questi gruppi, tra cui quello a cui Maria Nikiforo- va partecipava, si volsero allora verso il "terrore senza motivo ” (bezmotivniki). Praticavano degli attacchi diretti non più sola­ mente contro agenti specifici della repressione, dirigenti poli­ tici o economici, ma contro la proprietà e la borghesia in quan­ to tali. Diffusasi largamente intorno al 1905, questa maniera di approfondire l’offensiva differiva dalle forme precedenti che se la prendevano generalmente contro oppressori ben precisi durante gli scioperi (quel padrone che aveva licenziato), o in seguito a operazioni di polizia (quel commissario torturatore). Ormai, le azioni potevano dirigersi contro ogni individuo che occupasse una posizione nella struttura di potere. Tra le azioni più conosciute, due bombe che esplosero all’hotel Bristol di Varsavia e al caffè Libman a Odessa nel novembre e nel di­ cembre 1905. In particolare, si trattava di infrangere l’illusione democratica di un interesse comune tra sfruttati e sfruttatori, in un momento in cui gli interessi dei borghesi liberali e dei rivoluzionari marxisti convergevano nell’accettare la proposta di monarchia costituzionale offerta dal regime, partecipando insieme alla prima elezione dei deputati. Parallelamente, il re­ gime conduceva una feroce repressione: dal gennaio 1905 alla convocazione della prima Duma nell’aprile 1906, il governo aveva fatto massacrare 15.000 rivoluzionari, e arrestarne, de­ portarne e incarcerarne altri 70.000. A fronte dell’irrigidimen­ to del potere, molti anarco-comunisti si rifiutarono di lasciar bloccare il processo rivoluzionario senza rispondere. Durante il periodo rivoluzionario del 1905-1906, i bezmotivniki raddoppiarono quindi l’attività, in particolare nel Sud e nelle regioni di confine. A Bialystok, Ekaterinoslav, Odessa, Sebasto­ poli, Baku, i padroni e le loro imprese erano frequentemen­ te oggetto di attacchi; venivano espropriate banche, armerie, uffici postali, fabbriche, negozi, tipografie, dimore dell’aristo­ crazia e della borghesia. Oltre a tutto ciò, i bezmotivniki mol­ tiplicarono le tipografie clandestine per intensificare l’attività di agitazione, i laboratori per fare esperimenti di chimica e ingaggiavano combattimenti mortali quando i poliziotti ten­ tavano di arrestarli. Pubblicavano e diffondevano numerosi volantini chiamando gli operai e gli sfruttati a distruggere i macchinari, a far saltare le centrali energetiche, a saccheggiare le banche e i negozi, a

19 far esplodere i commissariati e ad aprire le prigioni. È in questo quadro che Maria Nikiforova prese parte ad un at­ tacco esplosivo contro un treno nella regione di Aleksandrovsk. Nessuno fu ferito, ma i fortunati viaggiatori compresero mol­ to bene il messaggio loro indirizzato. Un’altra bomba riuscì ad eliminare il direttore di una fabbrica, portando quest’ultima a chiudere per un periodo prolungato. Infine, l’attacco agli uffici commerciali di una fabbrica di macchine agricole si conclu­ se con la morte di un capo-cassiere e di una guardia privata, e soprattutto con l’esproprio di 17000 rubli. Al momento del suo arresto da parte delle polizia, Nikiforova tentò di mettere fine ai suoi giorni portando qualche nemico con lei, ma la sua bomba fece cilecca. Nel 1908, dopo diversi mesi di prigione, durante il processo fu accusata dell’uccisione di un poliziotto e di furti a mano arma­ ta in quattro luoghi diversi. Il tribunale condannò l’anarchica alla pena di morte, ma a causa della sua giovane età la senten­ za venne commutata in una pena di 20 anni di lavori forzati. Nikiforova non venne però “ca lm a ta ” da questa pesante pena. Inizialmente trasferita alla fortezza di Pietro e Paolo, nella ca­ pitale russa di Pietrogrado, poi nella prigione femminile di Novinsky a Mosca, il primo luglio 1909 partecipò, con dodici altre prigioniere, a un tentativo di evasione7. Nel 1910, venne quindi deportata in , per scontarvi la sua pena. È difficile determinare esattamente quando, ma ad un certo momento della sua vita, Maria Nikiforova cominciò ad essere conosciuta col nome di “M arussia”, uno dei numerosi diminu­ tivi di “M aria", soprannome che è rimasto nelle memorie.

7. Secondo l’atto d’accusa stesso, riesumato dagli archivi sovietici (Archivi cen­ trali dell’URSS, fondo 38, lato 1/790,1909) da Andrei Nikiforovich che cita nella sua lettera di risposta a A. T. Tvardovsky a proposito di Marussia Nikiforova, 19 maggio 1960.

20 IL GRANDE VIAGGIO

arussia non passò molto tempo in Siberia. Secondo alcune fonti, partecipò ad una sommossa nella prigio­ Mne di Narymsk, quindi fuggì attraverso la taiga fino alla transiberiana. Infine raggiunse Vladivostok e poi il Giap­ pone. Aiutata sul posto da alcuni studenti anarchici che le pa­ garono il biglietto, riuscì a raggiungere gli Stati Uniti. Là, trovò un alloggio temporaneo tra i numerosi emigranti anarchici dell’Impero russo, per lo più di origini ebraiche, che si erano installati a New York e a Chicago, come Aaron e Fanja Baron, Vsevolod Volin, Max Chernyak, Michail Raevskij. Con diversi pseudonimi, Maria Nikiforova scrisse degli articoli per le pub­ blicazioni anarchiche americane in lingua russa8. Si impegnò inoltre nell’Unione degli operai russi negli Stati Uniti e in Cana­ da9. È grazie al contributo di questi compagni che intorno al 1912 potè ripartire in direzione del vecchio continente, dove inizialmente visse con documenti falsi. La giovane donna iniziò coll’abitare a Londra, quindi in Ger­ mania ed in Svizzera, installandosi infine a Parigi e parteci­ pando ad una serie di gruppi anarchici indipendenti di origi­ ne russa. L’anno seguente, nel 1913, effettuò un soggiorno in Spagna dove condivise le sue capacità con alcuni compagni spagnoli. Durante una rapina in banca a Barcellona, Maria Ni­ kiforova venne ferita e tornò a farsi curare clandestinamente in una clinica francese. Ritornata a Parigi nell’autunno del 1913, si impegnò costan­ temente nel movimento anarchico. Nei caffè bohemien di Montparnasse, incrociò una fauna variopinta, frequentan­ do sia artisti e poeti come Modigliani, Kokoschka, Soutine o Éluard, sia membri esiliati di partiti politici russi, tra cui il menscevico Vladimir Antonov-Ovseenko, che rincontrerà più tardi sulla sua strada. Scoprì inoltre la passione per la pittura e la scultura, seguendo perfino dei corsi in una scuola d’arte. A Parigi, Maria Nikiforova trovò anche marito, l’anarchico po­ lacco Witold Bzhostek. Se ne sa poco, se non che fu sicura­ mente una sorta di matrimonio di circostanza, come si prati­ cava talvolta negli ambienti anarchici dell’epoca. Passarono dei lunghi periodi separati l’uno dall’altro, e Marussia continuò ad utilizzare il proprio cognome, Nikiforova. Nondimeno, erano

8. Tra le pubblicazioni a cui Maria Nikiforova partecipò troviamo: Golos Truda (La voce dei lavoratori) di New York e Vreped (Avanti) di Chicago. 9. Soyuza russkikh rabochikh SSHA i Kanady (Unione degli operai russi negli Stati Uniti e in Canada).

21 legati l’uno all’altra, e finirono per conoscere la stessa tragica fine. Alla fine del 1913, Maria Nikiforova assistette a Londra alla con­ ferenza degli anarco-comunisti russi in esilio. Fece parte dei 26 delegati presenti, firmando il foglio di presenza con il nome di “M a ru ssia ”. Uno degli argomenti affrontati durante questa conferenza fu la questione dell’organizzazione e del funziona­ mento di questa futura federazione, poiché i delegati presenti desideravano che servisse soprattutto a coordinarsi tra loro, senza ledere l’autonomia di ciascun gruppo, né eliminare l’ini­ ziativa necessaria per avanzare10. Avrebbero dovuto rivedersi nell’agosto 1914, ma lo scoppio della guerra glielo impedì. La Prima Guerra Mondiale divise a metà la maggior parte dei gruppi rivoluzionari russi, tra i partigiani della Triplice Intesa (Francia, Inghilterra, Russia) e gli internazionalisti, che rifiu­ tarono di scegliere tra gli interessi capitalisti e strategici dei diversi Stati. Gli anarchici non fecero eccezione, con da una parte Kropotkin e altri che presero posizione per un interven­ to franco-inglese contro il militarismo tedesco, e dall’altra E. Malatesta o E. Goldman che si posizionarono a fianco degli internazionalisti. Maria Nikiforova condivideva la posizione di Kropotkin, ma non si limitò al solo livello teorico, poiché seguì una formazione militare. Quando scoppiò la rivoluzione in Russia all’inizio del 1917, stava prestando servizio sul teatro delle operazioni di Salonicco. A questa notizia portatrice di tante speranze, Marussia non esitò a disertare il fronte e, come molti rivoluzionari in esi­ lio, ritornare senza attendere oltre nel vecchio impero dello Zar. Dal suo arrivo a Pietrogrado11, la giovane donna si lanciò immediatamente nella lotta contro il governo provvisorio di Kerenskij.

10. Pervaya ob yedinitel’naya konferentsiya russkikh ararkhistov-kommunistov za granitsey (28 dekabrya 1913 g. - 1 yanvarya 1914 g., London) (Izvlecheniya iz protokolov) [Prima conferenza di unificazione degli anarco-comunisti russi in esilio (28 dicembre 1913 - 1 gennaio 1914, Londra) (Estratto del verbale)], ri­ prodotto in Anarkhisti: Dokumenty i materialy (Anarchici: documenti e materiali), Rossiyskaya politicheskaya entsiklopediya, Mosca, voi 1 (1883-1917), 1998, n°243.. 11. Pietrogrado è il nuovo nome della capitale, San Pietroburgo, dal 1914. Diven­ terà Leningrado nel 1924.

22 GIORNATE RIVOLUZIONARIE A PIETROGRADO

al marzo 1917, Pietrogrado era la sede di due diversi or­ gani di potere - il governo provvisorio di Kerenskij e D il soviet della città, che avevano la stessa linea, quella di eleggere una futura assemblea costituente che sarebbe stata incaricata di effettuare le riforme necessarie. Il governo prov­ visorio, carente di legittimità e non frutto di un’elezione, com­ prendeva socialisti-rivoluzionari, menscevichi e liberali. Inca­ pace di porre fine alla partecipazione della Russia alla Guerra Mondiale, così come di risolvere la questione fondiaria nelle campagne, traballava ad ogni crisi. Gli anarchici furono tra i primi ad attaccare il governo provvi­ sorio, in un’epoca in cui Lenin e i bolscevichi si pronunciavano ancora in favore della Duma. Allo stesso modo, i compagni avevano fatto propria la parola d’ordine “Tutto il potere ai so­ viet!”, quando ancora i bolscevichi tentennavano sulla posi­ zione da prendere in merito. Dopo essersi pronunciati pub­ blicamente ne L a P ra v d a per la ripresa del lavoro e il ritorno alla normalità, questi ultimi seppero tuttavia riadattare rapi­ damente i loro discorsi al nuovo malcontento. Così, nelle sue “Tesi di aprile", contrariamente ad ogni aspettativa, Lenin pro­ poneva di far saltare alla Russia la tappa storica della democra­ zia borghese che, secondo Marx, precedeva necessariamente la rivoluzione proletaria. Comprendendo che il vento era già cambiato, per aderire alla nuova realtà abbandonò l’idea di un parlamento, in favore di una repubblica di soviet di operai. Ne Lo Stato e la Rivoluzione (scritto nell’agosto/settembre 1917, ma pubblicato nel 1918), pur canzonando gli anarchici che pensa­ vano di potersi sbarazzare dello Stato dall’oggi al domani, in maniera ambigua invita a spedire la macchina dello Stato nel museo delle antichità... ma solamente dopo la tappa di uno Stato proletario. Alcuni anarchici pensarono così che gli obiet­ tivi a breve termine dei bolscevichi fossero sufficientemente vicini ai propri da rendere possibile una cooperazione per ab­ battere il governo provvisorio, il che non escludeva d’altronde una certa dose di diffidenza. Altri, al contrario, denunciarono molto presto questa tattica puramente retorica, finalizzata ad impadronirsi del potere12.

12. Così, la tattica dei bolscevichi consisteva nel prendere l’iniziativa della de­ stituzione di Kerenskij, giocando sull’ambiguità dei propri progetti per riunire gli avversari sotto la propria bandiera. Durante la seconda settimana di otto­ bre, il soviet di Pietrogrado creò il Comitato militare rivoluzionario che, sotto la direzione di Trotsky, riuscì a mettere in atto il colpo di Stato. Su quarantotto

23 Alcuni circoli anarco-comunisti erano riusciti a sopravvivere tra il 1912 e l’inizio del 1917, oltre a quelli più prossimi all’a- narco-sindacalismo. A Pietrogrado o a Mosca, questi gruppi si stabilirono nei quartieri operai delle due città e dei relativi sobborghi, oltre che nella base navale di Kronstadt. Nel Sud del paese, ciò accadde anche nelle fabbriche di Kiev, Charkiv, Odessa, Ekaterinoslav, e, verso il mese di giugno, nelle minie­ re del bacino del Donec. A partire da febbraio, rafforzati dalla liberazione di centinaia di compagni dalle prigioni e dai bagni penali in Siberia, il loro numero aumentava rapidamente. Inoltre, numerosi anarchici tornarono in Russia, come Maria Nikiforova. A Pietrogrado, la maggior parte di questi gruppi erano anarco-comunisti. Si riunirono in un’organizzazio­ ne specifica, la Federazione dei gruppi anarchici di Pietrogrado (18.000 membri nell’ottobre 1917). In maggio, questa pubblicò il suo primo giornale, K om m u n a (La Comune), che fu rimpiaz­ zato in autunno da Svobodnaia kommuna (La comune libera) e Burevestnik (L’Uccello tempesta). La federazione di Pietrogrado s’ispirava in particolare all’esperienza della Comune di Parigi del 1871. Preconizzava non solamente l’esproprio sistematico delle fabbriche, delle terre, delle miniere, delle ferrovie, ma anche delle proprietà private e delle riserve di viveri. Difen­ deva l’idea di una rivoluzione sociale che avrebbe eliminato

membri, i bolscevichi erano in schiacciante maggioranza, ma avevano avuto l’accortezza di farvi partecipare quattordici SRdi sinistra e persino quattro anar­ chici (Bleikhman, Bogatsky, Iartchuk e Chatov)! In seguito, i bolscevichi seppe­ ro strumentalizzare molto bene alcuni avvenimenti di modo da far credere di non essere soli al potere. Così, all’inizio del 1918, il nuovo governo (Sovnarkom), istituito nell’ottobre 1917, era interamente composto da bolscevichi, con Lenin a suo capo, ma volendo avere un occhio di riguardo per la propria corrente de­ stra, aveva convocato un’assemblea costituente. L’anarchico Anatol Zelesnikov, con il suo distaccamento di marinai di Kronstadt, era incaricato della sicurezza dell’edificio dove questa teneva le proprie sedute. Una sera del gennaio 1918, mentre i bolscevichi e i SR di sinistra avevano lasciato la seduta, contrari ad una mozione minacciosa nei confronti dei rappresentanti della destra, i dibattiti tra i rappresentanti dei partiti politici continuarono il loro interminabile corso. Anatole Zelesnikov entrò nella sala e si diresse verso il presidente della sedu­ ta, V. Cernov, SR di destra, per domandargli: “togliete la seduta, per favore, i miei uomini sono stanchi". Davanti alle proteste del Presidente, insistette ancora sulla stanchezza dei propri uomini, aggiungendo “d’altronde, ne abbiamo abbastanza di queste ciance, avete chiacchierato a sufficienza! Andatevene!’’. 1 partecipanti alla Costi­ tuente eseguirono l’ordine. Travisando i fatti, il Sovnarkom sfruttò l’incidente con questo compagno per occupare militarmente la sede dell’Assemblea il giorno dopo e decretarne lo scioglimento. Così, ancora oggi, riproponendo la versione bolscevica dell’accaduto, non è raro sentire che Anatole Zelesnikov, alla testa di un distaccamento di 200 marinai di Kronstadt, penetrò nel Parlamento nel gen­ naio 1918 e rispedì i deputati della Costituente a casa propria. Nonostante le voci contrarie, Zelesnikov restò anarchico fino alla fine della sua vita. Il compagno, sulla cui testa era stata messa una taglia di 400.000 rubli da Denikin, e cadde nel luglio 1919 durante lotta contro le guardie bianche nei pressi di Ekaterinoslav.

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Cartina dell’Ucraina nel 1917

25 governo e proprietà, prigioni e caserme, denaro e profitto, svi­ luppandosi attraverso una federazione di comuni libere. La ri­ voluzione di febbraio era ancora lontana dal raggiungere que­ sti obiettivi. Come un gioco delle sedie, in cui uno abbandona il proprio posto per lasciarlo ad un altro, secondo la maggior parte degli anarco-comunisti, questa sollevazione aveva uni­ camente permesso ad un potere di sostituirsi ad un altro. Il processo rivoluzionario non doveva quindi fermarsi. Nel 1917-1918, i compagni russi raddoppiarono l’attività. In segui­ to alla sollevazione di febbraio, i gruppi anarco-comunisti di Pietrogrado espropriarono diverse residenze private, special- mente la villa Durnovo, dal nome del governatore generale di Mosca durante gli avvenimenti del 1905. La dacia era situata nel quartiere di Vyborg, dove gli anarchici contavano il mag­ gior numero di simpatizzanti. Comprendeva delle sale riunio­ ni e una biblioteca, mentre il parco era diventato un asilo. Tra i nuovi occupanti vi erano un sindacato di panettieri e un’u­ nità della milizia popolare. Il 5 giugno, un gruppo della dacia tentò di requisire la tipografia di Russkaia volìa (Libertà russa), giornale della stampa borghese, ma fu disperso dalle truppe che il governo provvisorio aveva inviato sul posto. Il primo Congresso panrusso dei soviet qualificò immediatamente gli assalitori come “criminali che volevano farsi passare per anarchi­ c i”. Il 7 giugno, P.N. Pereverzev, ministro della Giustizia, diede ventiquattr’ore agli anarchici per sgomberare villa Durnovo. Il giorno dopo, cinquanta marinai di Kronstadt vennero a di­ fenderla; alcuni operai del quartiere di Vyborg uscirono dal­ le fabbriche e manifestarono nelle strade contro l’ordine di sgombero (una trentina di fabbriche in sciopero). Il Congresso dei soviet replicò facendo appello agli operai affinché ripren­ dessero il lavoro, ed pretese nuovamente l’evacuazione di villa Durnovo, condannando l’occupazione delle case private “sen za il consenso dei loro proprietari". Gli anarchici restarono trincerati nella dacia malgrado gli or­ dini del governo provvisorio e del soviet di Pietrogrado, dove i bolscevichi avevano recentemente ottenuto la maggioranza. La dacia, ostentatamente coperta di bandiere rosse e nere, era sorvegliata da operai in armi, mentre numerose riunioni pub­ bliche si tenevano in giardino. Gli anarchici che vi prendeva­ no parola, chiamavano ad ignorare ogni ordine e decreto che venisse dal governo provvisorio o dai soviet. Il 9 giugno, una conferenza riunì i delegati di 95 fabbriche ed unità militari. Due giorni più tardi, 150 di questi fondarono un Comitato rivo­ luzionario provvisorio , dove persino i bolscevichi inviarono dei delegati, che furono in seguito ritirati su ordine del Comitato Centrale del partito. Manifestazioni e raduni proseguirono per

26 diversi giorni in un clima elettrico. Tentando di canalizzare la rivolta, il Partito Bolscevico chiamò ad una manifestazio­ ne pacifica il 18 giugno. Gli anarchici vi parteciparono e ne approfittarono per introdursi in una prigione del quartiere di Vyburg e liberare sette detenuti, alcuni dei quali poterono rifugiarsi nella Villa Durnovo. Pereverzev diede allora l’ordi­ ne definitivo di sgombero. Durante l’assalto, Asnin, un ope­ raio, fu ucciso e Anatol Zelesnikov, un marinaio di Kronstadt, venne fatto prigioniero dopo esser stato spogliato di diverse bombe. Alla fine, sessanta marinai e operai furono arrestati. Zelesnikov fu condannato a quattordici anni di lavori forzati (ma riuscì ad evadere qualche settimana più tardi). Le mani­ festazioni scatenate dall’affare di dacia Durnovo diedero l’idea del malcontento crescente contro il governo provvisorio. Du­ rante la seconda metà di giugno, Kerenskij lanciò un’offensiva sul fronte Sud-Ovest contro le truppe tedesche, ultimo sforzo per tentare di ribaltare una situazione militare disastrosa, ma anche per evitare un ammutinamento generalizzato. In questo contesto teso scoppiò l’insurrezione di Pietrogrado, conosciu­ ta col nome di “giornate di Luglio’’ (dal 3 al 5 Luglio), tre mesi prima del colpo di Stato Bolscevico. La presenza dei marinai di Kronstadt era cruciale, e i com­ pagni volevano convincerli a parteciparvi. Arrivata recente­ mente in Russia, Maria Nikiforova fu tra gli anarchici che si recarono al porto militare. Nell’immensa piazza dell’Ancora, tenne una serie di discorsi a folle che contavano tra gli 8.000 e i 10.000 marinai, operai e soldati, esortandoli a non rimanere esclusi dalle attività dei loro “fr a te lli” della capitale. Il soviet di Kronstadt, che contava un’importante frazione anarchica, chiamò alla sollevazione immediata contro il Governo Prov­ visorio, nonostante l’opposizione del soviet di Pietrogrado (i bolscevichi si erano pronunciati contro l’insurrezione). An­ che l’anarco-comunista I.S. Bleikhman13, delegato del soviet

13. Iosif Solomonovich Bleikhman (1868-1921). Nato nel 1868 in una famiglia ebrea di Vidzy (allora in Russia, oggi in Bielorussia), di mestiere costruiva cal­ daie. Migrante negli Stati Uniti, si avvicinò verso il 1904 agli anarco-comunisti. Ritornato in Russia, a Dvinsk, apparteneva al gruppo dei compagni attivi prima dello scoppio della guerra. Nel luglio 1914, organizzò la propaganda anarchi­ ca nei sindacati dei sarti e dei panettieri, prima di essere arrestato dal regime zarista e deportato in Siberia, dove contrasse la tubercolosi. La rivoluzione di febbraio gli permise di abbandonare i lavori forzati, e aderì alla Federazione de­ gli anarco-comunisti di Pietrogrado, prendendo la parola durante degli incontri operai e scrivendo numerosi articoli per Kommuna e Burevestnik, sotto lo pseu­ donimo di N. Solntsev. In luglio, fu eletto delegato del soviet di Pietrogrado. Il giornale Burevestnik, che contava più di 25.000 lettori, sostanzialmente abitanti di Pietrogrado e marinai di Kronstadt, esortava i vagabondi e i poveri ad im­ possessarsi di ciò di cui avevano bisogno, incitando all'abolizione generale della proprietà privata. Bleikhman fu un feroce partigiano dell’espropriazione delle

27 di Pietrogrado, prese la parola. Incitò il primo reggimento di mitraglieri, truppa d elite di stanza a Pietrogrado, a destitui­ re il governo provvisorio confiscando “ogni potere, la terra, le fabbriche, le industrie artigiane, le abitazioni borghesi”, mentre i bolscevichi venivano fischiati quando facevano appello alla moderazione14. Questi diceva ai soldati che non avevano bi­ sogno dell’aiuto di alcuna organizzazione, visto che la “riv o lu ­ zione di febbraio” aveva fatto anch’essa a meno della direzione di un partito. Domandò al suo uditorio di ignorare gli ordini del soviet di Pietrogrado, la cui maggioranza era di fatto dalla parte della borghesia. Il giorno stesso, migliaia di soldati, operai e marinai di Kron- stadt scesero in strada, armi in mano. Esigevano che il soviet di Pietrogrado sostituisse il governo provvisorio, mentre l’obiet­ tivo degli anarchici era di distruggere ogni potere, e non di so­ stituire nuovamente chi lo deteneva. Il giorno dopo, il 4 luglio, le manifestazioni ripresero. Gli slogan erano indirizzati contro Pereverzev, che aveva dato l’ordine di sgombero di Villa Dur- novo. Un gruppo di marinai di Kronstadt tentò addirittura di rapire Viktor Cernov, uno dei dirigenti SR e ministro dell’A­ gricoltura, ma Trotsky, venuto in suo soccorso, riuscì a farlo liberare. Le forze governative non esitarono a sparare, mentre, contamporaneamente, i bolscevichi conducevano delle nego­ ziazioni per mettere fine allo scontro.

case e delle fabbriche. I diversi redattori del giornale non smisero di invocare la rivoluzione sociale, anche quando i bolscevichi presero il potere. Chiesero allora agli operi di Pietrogrado di “rifiutare i discorsi, gli ordini e i decreti dei commissari" e di creare la propria comune libertaria, ispirandosi a quella di Parigi del 1871. Espressero inoltre un violento disprezzo per il “feticismoparlamentare” dei Cadet­ ti, dei SR e menscevichi. Bleikhman fu in seguito eletto all’ufficio di presidenza durante la prima con­ ferenza dell’Armata Rossa, nel marzo 1918. Ma in seguito alla repressione che si abbatté sugli anarchici in aprile fu inviato al campo di lavoro. Già fragile a causa della sua permanenza precedente nelle galere dello Zar, la pena dei lavori forzati con il fango fino alla cintura, peggiorò ancora la sua salute. Fu rilasciato qualche tempo dopo, e all’inizio del 1919, partecipò a un timido tentativo di rag­ gruppamento tra le tendenze sindacaliste (Nikolai Pavlov e Serguei Markrous) e anarco-comuniste (Vladimir Barmach, German Askarov) del movimento, che portò alla creazione de\V Unione degli anarco-sindacalisti-comunisti di Mosca. Ma questo tentativo, come tutti i precedenti, si concluse con un fallimento. Il solo risultato dell’Unione di Mosca fu la pubblicazione di un giornale intitolato Trud i Volia (Lavoro e Libertà), che accusava il regime bolscevico di “statalizzare la personalità umana" e lanciava degli appelli all’azione diretta “per distruggere tutti i sistemi autoritari o burocratici" (Trud i Volia, n“5, 7 maggio 1919, p. 1; n°6, 20 maggio 1919, p.2). Nel maggio 1919, dopo la pubblicazione del suo sesto numero, Trud i Volia fu, come ci si poteva aspettare, messo al bando. Bleikhman morì nel 1921. 14. Citato dallo storico sovietico di regime, Serge Kanev, “La disfatta dell’anar­ chismo russo”, Voprosy istorii (Questioni di storia), n°9, settembre 1968 e riprodot­ to in , Les anarchistes russes, les soviets et la revolution de 1917, ed. de (paris), novembre 2000, p. 168

28 Da una parte, sarebbe un errore pensare che queste giornate di luglio siano state unicamente opera degli anarchici. Come nell’afFare di dacia Durnovo, s’inscrivevano nella serie di avve­ nimenti che scossero la capitale, dalle manifestazioni di giu­ gno al tentativo d’insurrezione di luglio. D’altra parte, sarebbe ugualmente errato minimizzare il ruolo svolto dai compagni. Insieme a numerosi soggetti esterni a qualunque organizzazio­ ne, furono in prima linea nell’incitare i soldati, i marinai e gli operai a partecipare alla sollevazione armata. Nonostante l’af­ flusso di diverse migliaia di insorti nella capitale, l’insurrezione fu vinta dalle forze della repressione del governo e dal tradi­ mento del soviet di Pietrogrado, nelle mani dei bolscevichi. Dopo questa sconfitta, il governo cominciò a braccare sen­ za distinzione i rivoluzionari d’opposizione, anarchici come bolscevichi. Parecchi furono incarcerati, come la comunista Aleksandra Kollontaj, un’amica di Maria Nikiforova, mentre altri riuscirono a fuggire nella vicina Finlandia. Bleikhman trovò rifugio presso i marinai di Kronstadt, che lo protesse­ ro dall’arresto. Quanto a Marussia, decise che era il momento propizio per tornare in Ucraina e contribuire a svilupparvi il movimento anarchico. Nel luglio 1917, era finalmente di ritorno ad Aleksandrovsk, dopo un’odissea di otto anni intorno al mondo ed altrettan­ te esperienze vissute senza tregua, che si pensi all’evasione di Siberia o ai giornali anarchici negli Stati Uniti, alla rapina di Barcellona o agli ambienti di esiliati a Parigi, alla conferenza di Londra o alla guerra sul fronte greco... quindi, in quel 1917, a Kronstadt e a Pietrogrado.

29 ALEKSANDROVSK E HULJAJ POLE

•rivata a Aleksandrovsk, Maria Nikiforova trovò una fe- ierazione locale forte di 300 compagni, ma in difficoltà tei prendere l’iniziativa e seguire il caotico susseguirsi degli avvenimenti sul posto. Marussia smosse un po’ le acque. Si impegnò a fianco degli operai delle fabbriche, e realizzò an­ che con successo l’esproprio di un milione di rubli alla distil­ leria Badovsky (dove aveva sicuramente lavorato in passato). Una parte del denaro fu donata al soviet di Aleksandrovsk. Aleksandrovsk era la capitale del distretto (u y ezd 15) da cui di­ pendeva Huljaj Pole. Nestor Makhno abitava in questo “grosso borgo” di 17.000 abitanti, ed era una figura di spicco del locale gruppo di anarco-comunisti, il GGAK, che nella primavera del 1917 contava un centinaio scarso di partecipanti. Makhno, pur essendo scettico sulle loro attività (o le loro mancanze), man­ teneva stretti legami con la Federazione dei gruppi anarchici di Aleksandrovsk, rendendo loro visita di frequente. Da parte loro, alcuni anarchici di Aleksandrovsk erano critici nei con­ fronti di Makhno, in particolare delle sue manovre politiche per controllare il processo rivoluzionario, processo che oltre­ tutto, secondo loro, non andava abbastanza lontano. Egli ave­ va infatti accettato di presiedere numerosi organi, dall’Unione dei Contadini a diversi comitati e casse di soccorso realizzati dagli operai metalmeccanici e dai lavoratori del legno. A Huljaj Pole, nel luglio 1917, l’Unione dei contadini, caratterizzato da una forte presenza anarchica, era riuscita a paralizzare l’atti­ vità del Comitato Pubblico, organo del Governo Provvisorio, non senza qualche complicazione. Aveva rapidamente realiz­ zato un organo decisionale “indipendente”, il Consiglio di Huljaj Pole. Il gruppo locale degli anarco-comunisti vi partecipava, ma applicando una rigida disciplina interna. Con pratiche del genere, la loro organizzazione era biasimata per avere un fun­ zionamento basato su metodi simili a quelli di un partito poli­ tico aspirante ad impadronirsi del potere. Inoltre, veniva loro rimproverato di non perseguitare sufficientemente la borghe­ sia locale16.

15. Uzyed: suddivisione amministrativa di una provincia. Il distretto di Aleksan­ drovsk faceva parte della provincia di Ekaterinoslav, comprendente più cantoni, tra cui quello di Huljaj Pole. 16. Poteva accadere che gli anarchici di Huljaj Pole negoziassero, da una parte, aumenti di salario con i padroni delle fabbriche e, dall’altra, preparassero la pre­ sa di possesso delle terre con ì contadini. Ecco il resoconto che ne fa il compagno Viktor Belash: “/ lavoratori metallurgici, che avevano scelto Makhno quale segretario,

30 Con parecchi anarchici, Maria Nikiforova si incaricò di recarsi a Huljaj Pole (a circa 80 km in linea d’aria da Aleksandrovsk, ma molto più lontana via strada o ferrovia). Alcuni compagni del borgo, come Belash, erano ugualmente in disaccordo con alcune manovre di Makhno, ma per ragioni diverse da quelle di Marussia, ritenendolo troppo indisciplinato: “Bisogna dire che Makhno non possedeva alcun talento di gestore. Si impicciava sempre e ovunque di tutti i dettagli, spesso senza importanza, il che provocò numerosi litigi. Iniziò a non voler più seguire il segretario del nostro gruppo, di cui tuttavia era membro, e ci volle molta energia per poter avere nuovamente influenza su di lui”. Come riporta Belash, M. Nikiforova, appena arrivata, non trat­ tenne le proprie critiche alfindirizzo del gruppo degli anar­ co-comunisti: “Una volta al club discutevamo sul fatto se Makhno dovesse o meno trovarsi alla testa dell’organizzazione di Huljaj Pole. Improvvisamente entrò Marussia Nikiforova, accompagnata da tre anarchici. Criticò il gruppo e Makhno, accusandoci di voler dirige­ re il villaggio alle spese della diffusione delle idee dell’anarchia, e di lottare troppo fiaccamente contro i proprietari terrieri e la borghesia commerciale. Dichiarò che il nostro gruppo era divenuto una sorta di partito politico ed aveva trascurato i suoi scopi insurrezionali”^. Qualche giorno dopo, il 29 agosto 1917, Marussia tenne un grande incontro all’aperto, presieduto da Makhno, nel giardi­ no pubblico del borgo. Soffiava sul fuoco della rivolta: “la r i­ volta del popolo fino all’annientamento dell’ultimo organo di potere; la rivolta senza attesa, oggi e adesso”. Se lo slancio rivoluzionario si stava affievolendo, questa tendenza poteva essere fermata, dal momento che “la realtà russa non corrisponde alla volontà del popolo, ma quest’ultimo non è ancora in grado né di formularla, né di esprìmerla. La rivoluzione borghese non ha per così dire cambiato nulla, in particolare per i ceti più bassi della popolazione".

cominciarono la loro fusione con l’Unione dei lavoratori del legno, che scelsero anch’es- si Makhno come rappresentante. Avendo occupato la funzione di presidente del Soviet dell’Unione Interprofessionale, Makhno avviò delle riunioni e mise sul tavolo dei padroni delle fabbriche la questione dell’aumento dei salari dei lavoratori. I padroni non erano per nulla d’accordo. Allora, Makhno dichiarò: “Voi quindi non volete soddisfare le nostre ri­ vendicazioni del tutto legali? Nessun problema! Io dichiaro la fine delle negoziazioni. Ma perciò che vi riguarda, Signori, non sperate più di godere di un canale di comunicazione telegrafico”. In seguito a queste affermazioni, tutte le rivendicazioni furono prontamen­ te soddisfatte. Nel luglio 1917 siamo riusciti a riorganizzare il comitato agrario locale, estendendolo a livello regionale, e a farvi eleggere Makhno quale rappresentante. Questo comitato, sotto il controllo diretto e su iniziativa di Makhno, predispose la condivisione immediata di tutte le proprietà fondiarie e del materiale agricolo tra i contadini. Nei vil­ laggi, ogni cento abitantifurono stabilite delle commissioni per la ripartizione e la conse­ gna al luogo di destinazione del materiale e del bestiame confiscati ai grandi kulaki e pro­ prietari terrieri. Queste misure erano applicate con grande entusiasmo”. Viktor Belash, Dorogi Nestora Makhno (Le strade di Nestor Makhno), ed. Prosa (Mosca), 1993. 17. Viktor Belash, Dorogi Nestora Makhno.

31 Bisognava agire rapidamente in seguito ai colpi sferrati alla ri­ voluzione dai partiti nazionalisti ucraini che si erano uniti e avevano appena istituito il governo della Rada Centrale18 19. “Uno degli obiettivi principali di questa istituzione è il consolidamento del regime borghese in Russia ed in Ucraina: vuole ancora mantenere il popolo in stato di schiavitù, tanto politica che economica. Dobbiamo porci l’obiettivo immediato di liberare il popolo dall’oppressione dello Stato moderno, di realizzare un ribaltamento politico col fine di tra­ sferire le funzioni di auto-governo al popolo e garantire la rivoluzio­ ne sociale. Non facendo nulla perpetuiamo il capitale e, se continua così, rischiamo di dimenticare la nostra vera funzione". Mentre alcuni anarchici di Huljaj Pole erano preoccupati so­ prattutto per l’attività della sezione locale del Partito Ucraino dei Socialisti-Rivoluzionari (PUSR), e la sua concorrenza poli­ tica al GGAK, Nikiforova, andando dritta al punto, incitava ad azioni armate contro tutti i difensori dello Stato nascente. “Il regno dei Romanov, proseguiva, è durato 300 anni, 300 anni di ti­ rannia durante la quale gli uomini non avevano più valore dei cani. E tutto ciò, questi scellerati, l’hanno reso legale. Per 300 anni, la collera si è accumulata, milioni di combattenti hanno donato la propria vita per un avvenire migliore: l òdio sacrosanto, l òdio a morte della schia­ vitù e dell’oppressione; la passione rivoluzionaria; la fiducia infinita nella potenza creatrice delle masse - ecco le forze motrici che devono impedire di lasciarci andare a qualsiasiforma di autocompiacimento. Il nostro compito è di preparare le masse ad una sollevazione ampia e popolare, e di fare la rivoluzione non al posto del popolo, ma con il popolo. È necessario attaccare con violenza la borghesia per distrug­ gere i fondamenti della rivoluzione borghese, oltre che combattere il nazionalismo ucraino. È necessario trovare fondi per la stampa, come è necessario confiscare armi."'9 Mentre la giovane donna arringava la popolazione, due tele­ grammi inviati da Pietrogrado furono consegnati a Makhno. Interrompendo Marussia, interpellò l’assemblea per leggere il contenuto dei due dispacci, provenienti l’uno dal governo provvisorio e l’altro dal soviet. Entrambi riferivano la solleva­ zione del generale bianco Kornilov e la sua avanzata su Pietro­ grado, per porre fine alla rivoluzione. Il telegramma del soviet della città chiamava a formare dei “comitati per la salvaguardia della rivoluzione”. Nel mezzo del vociare dell’uditorio, una voce si alzò al di sopra

18. La Rada Centrale era il nome dato al governo nazionalista ucraino, basato a Kiev e formato nel marzo 1917. Inizialmente sostenne il governo di Kerenskij, quindi, nel giugno 1917, dichiarò l’indipendenza dell’Ucraina senza sentirne il parere per poi, in luglio, ritornare sui propri passi e negoziare un accordo con esso. 19. Viktor Belash, Dorogi Nestora Makhno.

32 delle altre: “là, i nostri fratelli versano il loro sangue, mentre qui i nostri nemici vanno e vengono liberamente". L’uomo che aveva preso la parola indicò un certo Ivanov, un ex commissario del­ la polizia di Huljaj Pole. Nelle sue Memorie, Makhno racconta il seguito: “La compagna Nikiforova scese rapidamente dal podio per aprirsi un varco fino all’uomo che la folla assaliva di ingiurie. Io mi precipitai dietro di lei verso Ivanov. Alcuni compagni del gruppo e dell’Unione dei contadini lo circondavano già. Io pretesi che lo si la­ sciasse in pace, gli assicurai che sarebbe uscito di lì sano e salvo, poi risalii sulla tribuna. Dichiarai ai contadini e agli operai che la nostra lotta per la difesa della rivoluzione non poteva cominciare con l’as­ sassinio di un ex commissario di polizia che fin dai prim i giorni della sollevazione si era arreso senza opporre resistenza, e che, peraltro, non si nascondeva. Tutt’alpiù, avremmo dovuto sorvegliarlo ,”20 L’Unione dei contadini di Huljaj Pole ed il gruppo degli anar- co-comunisti si allineò al parere del soviet di Pietrogrado, ma con una leggera sfumatura: formarono un comitato per la di­ fesa della rivoluzione. Le sue prime azioni furono l’abolizio­ ne dei diritti di proprietà della borghesia su terre, fabbriche e aziende artigiane, tipografie, teatri e altre aziende pubbliche. Quindi, di concerto con i gruppi di anarco-comunisti, il so­ viet del sindacato degli operai metallurgici e dei lavoratori del legno di Huljaj Pole, decise di limitare il potere dei Comitati comunali del governo (di coalizione socialista e liberale) ad un ruolo consultivo. Il comitato fece inoltre procedere alla confi­ sca di tutte le armi ancora in mano alla polizia e alla borghesia locale. Ma era troppo poco e Maria Nikiforova aveva già un’i­ dea sul modo in cui procurarsene altre. Nelle vicinanze della città di Orekhov stazionavano due reggimenti dell’esercito re­ golare. Lei propose di impossessarsi del loro arsenale. Marussia organizzò un gruppo di 200 uomini e il 10 settembre 1917 presero il treno in direzione di Orekhov. Erano scarsa­ mente armati, non avendo che una dozzina di fucili, e circa altrettante pistole, confiscati al commissariato di Huljaj Pole. Arrivati a Orekhov, circondarono il quartiere generale dei due reggimenti. Il comandante riuscì a scappare, ma tutti gli uffi­ ciali furono catturati. Nikiforova stessa li giustiziò, al fine di

20. Vedi Nestor Makhno, Memorie e scritti (1917-1932), ed. Ivrea, Parigi, gennaio 2010. Nella versione di Malcolm Archibald, il commissario di polizia apparteneva alla polizia segreta, e Nikiforova tentò di “arrestarlo". Vedi Atamansha. The story of Maria Nikiforova, thè Anarchist Joan ofArch, Black Cat press, Edmonton (Canada), 2007, p. 12. Sembra che sia un errore di traduzione, poiché anche la versione di Chop, a cui è largamente ispirata quella di Archibald, evoca un commissario di polizia. Vedi Vladimir Chop, Marussia Nikiforova (in russo), Centro di ricerche “Khortytsya” Nauch-Laboratorio sud deU’Ucraina ZSU, RA “Tandem-U”, (Zapo- rozka spadschina, Voi. 9), Zaporizzja, 1998.

33 cominciare a sopprimere la “casta degli ufficiali”. Da parte loro, i soldati non erano che contenti di consegnare le proprie armi, e di rientrare a casa rompendo i ranghi. Lo stock fu portato a Huljaj Pole, e Maria Nikiforova ritornò ad Aleksandrovsk. All’epoca, la città di Aleksandrovsk era contemporaneamente diretta da un commissario in capo, B. Mikhno (un liberale) e da un commissario alla guerra, S. Popov (un SR21). La confisca delle armi alla classe dirigente e la condivisione delle grandi proprietà da parte dei contadini di Huljaj Pole infastidiva par­ ticolarmente le autorità di Aleksandrovsk. Gli organi locali di Huljaj Pole, dove gli anarchici erano presenti in gran numero, cominciarono a ricevere degli ordini minacciosi, che furono bellamente ignorati. Sapendosi molto criticato, Makhno decise di contrattaccare recandosi a Aleksandrovsk con un altro delegato, B. Antonov, per parlare direttamente ai gruppi di operai. Le autorità citta­ dine diedero allora l’ordine ai comitati dei soldati delle offici­ ne di riparazione di non lasciare in nessun caso avvicinare gli anarchici, sotto la minaccia di essere inviati al fronte. Gli anar­ chici, determinati, penetrarono comunque dentro la caserma, ed organizzarono un incontro contro il governo. Quando lo venne a sapere, Popov si presentò in persona all’incontro, dove confutò con accanimento i loro propositi. Ma ciò non ottenne alcun effetto, e per un pelo il SR Popov non fu linciato da alcuni soldati-operai, che osavano ormai affermarsi contro le autorità governative. Come riferito da Makhno, “i soldati-operai votarono il richiamo definitivo dei loro rappresentanti dal soviet e dal Comitato comunale di Aleksandrovsk se entrambi non fossero stati riorganizzati dagli operai, oltre che una mozione di sostegno ai lavoratori rivoluzionari di Huljaj Pole”22. Per tre giorni Makhno e Antonov proseguirono la loro visita in compagnia di Maria Nikiforova che li accompagnò in fab­ briche, aziende artigiane, e officine, oltre che a numerose riu­ nioni di lavoratori. Essi li esortarono a sbarazzarsi della tiran­ nia statale dei SR di destra e dei menscevichi23 (alleati in seno al governo provvisorio), ad auto-organizzarsi e ad entrare in contatto con i contadini di Huljaj Pole per combattere insieme

21. SR: membro del partito socialista-rivoluzionario. Nel 1917, il partito sociali­ sta-rivoluzionario era quello che raccoglieva più voti. La scissione di settembre 1917 e il colpo di Stato di ottobre condusse alla creazione di un’altra organizza­ zione: i SR di sinistra. Da dicembre 1917 a marzo 1918, i bolscevichi e i socialisti- rivoluzionari di sinistra formarono la coalizione al potere. Questo partito aveva anche delle varianti regionali, in particolare in Ucraina. 22. Nestor Makhno, Memorie e scritti (1917-1932). 23. Menscevico: nel 1903, il partito social-democrativo si scisse in due fazioni, che più tardi diedero vita a due partiti distinti: i menscevichi (social-democratici classici) e i bolscevichi (socialisti più avanguardisti e radicali).

34 la contro-rivoluzione. Dato che Makhno e Antonov avevano un mandato del soviet di Huljaj Pole, le autorità non osarono prendersela con loro. Ma, per Marussia, andò diversamente. Dopo la partenza dei due compagni, il commissario alla guer­ ra Popov e il commissario in capo Mikhno decisero di far ar­ restare discretamente Maria Nikiforova e di metterla dietro le sbarre, col pretesto che aveva accompagnato la tournée senza essere delegata da alcun soviet. I loro uomini non ebbero al­ cun problema a trovare il suo domicilio e la trasportarono in automobile fino in prigione. Sfortunatamente per i commis­ sari, Maria Nikiforova godeva di una grande popolarità tra gli operi di Aleksandrovsk, e la notizia del suo arresto si propagò

Makhno ed i suoi compagni su una tatchanka

con la rapidità di un fulmine. Gli operai delle fabbriche e delle officine ne furono al corrente il mattino stesso. Inviarono su­ bito una delegazione ai commissari per esigere la sua libera­ zione immediata, ma la loro richiesta fu rifiutata. Ad Aleksandrovsk esisteva anche un soviet di deputati operai e contadini, che condivideva il potere con il governo ufficiale della città. Alcune fabbriche entrarono allora in sciopero, gli operai abbandonarono il lavoro, spiegarono le loro bandiere nel baccano delle sirene di fabbrica, e si diressero cantando verso il soviet. Sulla loro strada, i manifestanti incrociarono il suo presidente, Mochalyi, un menscevico che fu letteralmen­ te portato via di forza in una vettura di piazza con qualche delegato operaio, e tutto questo gruppo composito andò fino

35 alla prigione. È così che Maria Nikiforova fu liberata. Quando la delegazione operaia, il presidente del soviet e la compagna raggiunsero il corteo nella via della Cattedrale, gli operai sol­ levarono Marussia sulle loro spalle e, di gruppo in gruppo, la portarono in trionfo fino al soviet, acclamando la sua libera­ zione, maledicendo il governo provvisorio e tutti i suoi agen­ ti. Nessuno dei commissari osò mostrarsi davanti a loro alla tribuna “Maria Nikiforova l’occupò da sola, chiamando con la sua voce potente gli operai alla lotta contro il governo, per la rivoluzione e per una società libera da ogni autorità", racconta ancora Makhno nelle sue M em orie.

Un po’ più lontano, a Huljaj Pole, la notizia dell’arresto di Ma­ russia aveva provocato molti tumulti. Makhno riuscì a rag­ giungere il commissario Mikhno per telefono, proferì delle minacce, e Mikhno riagganciò. Gli anarchici allora riempiro­ no un treno di partigiani, prevedendo di attaccare il governo di Aleksandrovsk. Lungo la strada, ricevettero la notizia della liberazione di Maria Nikiforova, e decisero quindi di festeg­ giare l’avvenimento24. Prendendosela con la compagna, i commissari non fecero che precipitare la caduta del soviet locale e dei SR di destra, dei menscevichi e dei Cadetti che lo controllavano. Gli operai de­ cisero di procedere al più presto a nuove elezioni. In qualche giorno, i rappresentanti del comitato esecutivo dei soviet del distretto di Aleksandrovsk furono richiamati e, nella maggior parte dei casi, rimpiazzati. Non più dei loro predecessori, gli operai che componevano il nuovo soviet non erano diretta- mente interessati all’opera della rivoluzione. Ma, essendo più a sinistra del soviet precedente, e intervenendo in un altro rapporto di forze, i membri del nuovo comitato esecutivo erano pronti a tollerare le attività rivoluzionarie del comitato di Huljaj Pole. Non gli domandarono più di rendere le armi confiscate.

24. Nelle sue Memorie, Makhno non è ancora rientrato a Huljaj Pole e non rac­ conta quindi l’episodio del colpo di telefono e del treno. Al contrario, riferisce come un testimone diretto la manifestazione e la liberazione di Maria Nikiforo­ va. Nestor Makhno, Memorie e scritti (1917-1932).

36 IL COLPO DI STATO DI OTTOBRE IN UCRAINA

opo la liberazione di Maria Nikiforova, il colpo di Stato di Ottobre mescolò ancora una volta le carte in tavola. D Si instaurò un armistizio di fatto con gli imperi cen­ trali. Da ottobre, i menscevichi e i SR ormai definiti “di destra” avevano lasciato il Congresso dei soviet, che non comprende­ va più che bolscevichi e SR “di sinistra". Il nuovo governo, il “Consiglio dei commissari del popolo” (Sovnarkom) - composto da quindici bolscevichi auto-designatisi - si occupava adesso di faccende amministrative a colpi di leggi e decreti. Ma i bol­ scevichi non osarono annullare le elezioni dell’assemblea co­ stituente che erano state previste dal governo precedente per la fine di novembre. Composta per la stragrande maggioranza da socialisti-rivoluzionari, l’assemblea avrebbe dovuto pren­ dere in mano l’intero paese e costituire un nuovo governo a partire dal 5 gennaio 1918. Nell’attesa di tale data, i bolscevichi continuarono tuttavia ad agire come se fossero definitivamen­ te seduti sul treno, per esempio creando la Ceka nel dicem­ bre 1917. Realizzando il programma dei loro alleati socialisti- rivoluzionari, decretarono immediatamente la socializzazione della terra, senza indennità né condizioni, ed il controllo ope­ raio nelle fabbriche. Come riferisce Sholom Schwartzbard, un anarchico attivo in quest’epoca in Ucraina, i bolscevichi non fecero che inquadrare burocraticamente un processo rivolu­ zionario che da febbraio stava cacciando i padroni e i grandi proprietari terrieri: “Solamente dopo e ben più tardi che tutti i pro­ prietari terrieri furono cacciati dai villaggi, che le terre furono condi­ vise nelle comuni di paese, un decreto di Lenin ufficializzò ciò che era stato conquistato spontaneamente dalle masse stesse e nazionalizzò le terre che appartenevano una volta ai castellani. Solamente dopo che i consigli operai di ogni grande fabbrica ebbero preso il controllo delle loro imprese espellendo i capitalisti, vennero le istruzioni del vertice dello Stato che ufficializzavano il potere degli operai e dicevano loro come agire. In realtà, i bolscevichi facevano finta di accettare la vo­ lontà del popolo e la Rivoluzione per meglio seppellirla, e fu l ’inizio di una politica che fece tutto il contrario di ciò che proclam ava”25 Da parte sua, Marussia Nikiforova passò tutto l’autunno a or­ ganizzare dei distaccamenti di guardie nere ad Aleksandrovsk e ad Elisavetgrad26, capoluogo della provincia situata al centro

25. Sholom Schwartzbard, Mémoires d’uri anarchislejuif Syllepse, Parigi, 2010. 26. Dal nome dell’imperatrice Elisabetta di Russia (1764), la città è tristemente conosciuta per il suo pogrom del 15 aprile 1881 che decimò le popolazioni ebree. Oggi porta il nome di Kirovograd.

37 dell’Ucraina che poteva contare su potenti gruppi di anarchici federati. Si trattava di contrastare le pesanti minacce che i na­ zionalisti ucraini facevano pesare sul processo rivoluzionario. Dopo il colpo di Stato di Ottobre, i soviet di numerose città d’Ucraina presero posizione in favore della Rada Centrale di Kiev, piuttosto che per il nuovo potere rosso di Pietrogrado. Ad Aleksandrovsk, questa decisione fu presa il 22 novembre 1917 (con 147 voti contro 95). La Rada Centrale difendeva un modello di democrazia parlamentare su base nazionalista. Questo sciovinismo in salsa repubblicana sognava di ingrandi­ re il paese ben al di là dei suoi limiti, ma anche di sbarazzarsi delle forti minoranze presenti in questo territorio. Polacchi, Rumeni, Tedeschi, Russi o Ebrei. I nazionalisti passavano al se­ taccio i villaggi, distribuivano volantini, attaccavano manifesti, chiamavano ad imbracciare le armi per difendere la “Grande Ucraina”. Bande armate percorrevano le piccole città e i villag­ gi saccheggiando, violentando e massacrando tutti coloro che non rientravano nella loro idea di nazione Ucraina, in parti­ colare la popolazione ebrea. Allo stesso modo, i nazionalisti braccavano i rivoluzionari conosciuti, difendevano la proprie­ tà privata e cercavano di bloccare il movimento di esproprio in corso. Per loro, bisognava “cancellare fino alle ultime vestigio della rivoluzione sociale ’. Era loro invece più difficile mettere le mani sulle città più importanti, dove si trovavano di fronte a forti resistenze. Quando il governo nazionalista ucraino rifiutò di riconosce­ re il Sovnarkom, fu dichiarato “fuori legge” da Pietrogrado. L’Ucraina fu invasa da una forza eteroclita di diverse unità di guardie rosse. A quel tempo, esse erano composte da operai, da contadini, da militanti politici in armi, provenienti da di­ verse correnti, bolscevichi, socialisti-rivoluzionari, massima­ listi o anarchici, e erano ancora molto diverse dall’Armata Rossa, come più tardi venne riorganizzata da Trotsky. “A ll’i­ nizio, racconta ancora Schwartzbard, come in tutti gli inizi, le cose furono per lo meno disorganizzate, la guardia rossa era una pentola in ebollizione. Era il luogo di incontro dei machers che avevano tutte le dritte..."2'’. Tra dicembre 1917 e gennaio 1918, le due fazioni ingaggiarono una “guerra delle rotaie", avanzando ed indietreg­ giando lungo le linee ferroviarie, come avvenne all’incirca nel­ lo stesso periodo durante la Rivoluzione Messicana. Quanto a Marussia, nel dicembre 1917, fece un’alleanza con l’organizzazione bolscevica di Aleksandrovsk, con l’obiettivo di destituire il soviet pro-nazionalista della città. I bolscevichi ricevettero segretamente un carico di armi, mentre gli anar- 27

27. Sholom Schwartzbard, op. cit., p. 171

38 chici erano appoggiati da un distaccamento di marinai della ilotta del Mar Nero, diretto da A.V. Mokroussov28. Il 12 dicem­ bre, questi fece la sua apparizione ad una riunione congiunta del soviet di Aleksandrovsk e dei comitati di fabbrica, esigendo che il soviet fosse formato unicamente da bolscevichi, SR di sinistra e anarchici. I membri degli altri partiti, menscevichi e SR di destra, abbandonarono la scena e venne istituito il nuo­ vo soviet. Il 25-26 dicembre 1917, il distaccamento di Maria Nikiforova si recò a Charkiv e aiutò la coalizione formata dai SR di sinistra e dai bolscevichi a stabilire il potere del soviet nella città. Ma le sue truppe s’impegnarono anche in una delle azioni di esproprio che venivano loro così spesso rimprovera­ te: il saccheggio dei magazzini e la redistribuzione delle merci agli abitanti. Il 28-29 dicembre, le sue guardie nere presero parte ad alcune battaglie contro gli Haidamakas29 - le truppe d elite dei nazionalisti ucraini - a Ekaterinoslav, procedendo anche alla destituzione del soviet, come a Charkiv e a Aleksan­ drovsk. Secondo la sua versione degli avvenimenti, il suo di­ staccamento fu il primo a entrare nella città, dove lei disarmò personalmente 48 soldati. Essendo priva di una base solida tra la popolazione, in particolare nelle campagne, dove i conta­ dini avevano già ripreso il loro fazzoletto di terra dai grandi proprietari e non volevano sottomettersi ad una legge comune estesa a tutta la Russia, la coalizione formata dai bolscevichi e i SR di sinistra aveva bisogno di alleati. Domandarono così aiuto agli anarchici, soprattutto in Ucraina, dove numerosi gruppi di compagni disponevano di capacità militari operative, come quelli di M. Nikiforova e di N. Makhno. Durante questo periodo, a Aleksandrovsk il nuovo soviet vive­ va sotto la minaccia delle truppe della Rada Centrale. Le sue forze non erano numerose come quelle degli Haidamakas e peggio equipaggiate (gli Haidamakas avevano dei veicoli blin­ dati). I rivoluzionari decisero di non utilizzare l’artiglieria di Mokroussov, per evitare di distruggere la città. Dopo tre giorni di combattimenti di strada, i bolscevichi e gli anarchici dovet­ tero battere in ritirata. La situazione si capovolse solo quan­ do le guardie rosse arrivarono da Mosca e da Pietrogrado. Il 2 gennaio 1918, gli haidamakas indietreggiarono fino alla riva

28. Alexei Vassiliévich Mokroussov (1887-1959) fu uno dei soli comandanti anar­ chici a sopravvivere non solo alla guerra civile, ma anche alle purghe staliniane, cosa che ottenne al prezzo della cieca adesione al Partito Bolscevico. Combattè durante la guerra di Spagna e diresse anche dei gruppi di partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale 29. Haidamakas: questo termine antico venne utilizzato dalla Rada Centrale per designare le proprie truppe d’élite. Gli Haidamakas erano dei ribelli ucraini del XVIII secolo che combattevano contro il regno di Polonia.

39 destra del Dnepr e il potere della città cadde nelle mani del Comitato rivoluzionario (revkom). Queste nuove strutture, crea­ te dai bolscevichi sul modello dei Comitati di salute pubblica della Rivoluzione Francese, incarnavano non solamente la dit­ tatura del partito che si realizzava un po’ dappertutto a scapito dei soviet, ma soprattutto avevano la pretesa di diventare l’i­ stanza dirigente sul fronte esterno30. In Ucraina, dove le zone passavano spesso da un campo all’altro, i revkom servivano ai bolscevichi per amministrare i loro settori essenziali, piuttosto che per favorire l’auto-organizzazione della popolazione. In vigore “a titolo eccezionale e provvisorio” tra il 1918 e il 1920, in un primo tempo la loro apparizione ingannò alcuni com­ pagni in nome dell’urgenza della guerra e della “salvaguardia della rivoluzione”, ma nel Sud, essi si resero rapidamente conto del loro ruolo centralizzatore, al punto che dal 1919 le truppe makhnoviste impedirono loro sistematicamente di nuocere31. Il 4 gennaio 1918, Nestor Makhno e suo fratello Sawa si pre­ sentarono alle porte di Aleksandrovsk con un distaccamento di 800 guardie nere venuto da Huljaj Pole. Il revkom, formato da bolscevichi e SR di sinistra, aveva cercato di controllare gli operai, ma senza successo. Decise allora di proporre alla Fede­ razione dei gruppi anarchici di Aleksandrovsk un ‘'fronte comu­ ne contro la reazione", e a tal fine propose loro di prendere parte al loro organo con due delegati. La federazione designò Iacha e Nikiforova, che fu immediatamente eletta vicepresidente del revkom. Il giorno stesso, il revkom domandò ugualmente la partecipazione di un rappresentante del distaccamento di Huljaj Pole che, dopo aver deliberato e sentito il parere degli anarchici locali, designò Nestor Makhno. Nonostante la sua diffidenza, egli considerò questa volta che “gli avvenimenti ren­ devano la nostra partecipazione necessaria” al fine di ottenere la “liberazione immediata ” di tutti i prigionieri. “In caso di rifiuto, noi ci saremmo fa tti carico di aprire le porte e dar fuoco all’edificio."

30. Il fronte esterno: il fronte designante i principali nemici della Russia durante la Prima Guerra Mondiale - la Germania e 1’Austria-Ungheria. Con l’estensione della guerra civile, vi furono anche numerosi fronti interni. 31. “La sola restrizione che i makhnovisti giudicarono necessario imporre ai bolscevichi, ai socialisti-rivoluzionari della sinistra e ad altri statalisti fu di impedire loro di formare di questi “Comitati rivoluzionari” giacobini che cercavano di esercitare sul popolo una dittatura autoritaria. Non appena le truppe di Makhno sifurono impossessate di Aleksan­ drovsk e a Ekaterinoslav, i bolscevichi si affrettarono di organizzare questo genere di comitati (i revkom) cercando di stabilire così il loro potere e governare la popolazione.” Arsinov, La makhnovchtchina. L’insurrection révolutionnaire en Ukraine de 1918 à 1921, ed. Spartacus (Parigi), die. 20 00 (1924).

40 LA MINACCIA COSACCA

nazionalisti erano indietreggiati, ma un nuovo pericolo mi­ nacciava ora Aleksandrovsk. Lungo il Don, un treno pieno Idi Cosacchi (e dei loro cavalli) si avvicinava dal fronte ester­ no per raggiungere il movimento del generale reazionario Ka­ ledin32. In combutta con i bianchi, costui fomentava un ritorno all’antico regime. Col pretesto di salvaguardare l’indipendenza del Don, raggruppava sotto la sua bandiera i sostenitori della reazione russa che contavano di servirsi dei Cosacchi per re­ staurare i Romanov. La confluenza di questi con le forze di Kaledin rischiava di creare un fronte contro-rivoluzionario te­ mibile. Valutando il pericolo che rappresentava l’avanzata dei Cosacchi, gli insorti di Aleksandrovsk decisero di fermarli. L’8 gennaio 1918, gli anarchici condussero i loro distaccamenti in prossimità del ponte di Kichkas sul Dnepr, e si trincerarono lungo i binari della ferrovia. Poco tempo dopo, i Cosacchi arri­ varono. Venne stabilito un contatto per telefono, e organizzato un appuntamento con i rappresentanti di entrambi i fronti. Makhno e Nikiforova fecero parte della delegazione che viag­ giò in locomotiva fino al luogo dell’appuntamento. Gli ufficiali Cosacchi sostenevano di avere 18 unità di Cosacchi più 7 uni­ tà di haidamakas, che nessuno sarebbe riuscito a fermare. Le trattative furono quindi interrotte. Il primo treno di Cosacchi che cercò di passare fu accolto da un nutrito fuoco, che obbligò il convoglio a fare marcia in­ dietro a tutta velocità. Seguivano altre unità. Il treno, che in­ dietreggiava rapidamente, entrò in collisione con quello die­ tro, lo fece deragliare e uscì anch’esso dai binari. L’urto fu così violento che distrusse numerosi vagoni, uccidendone sul col­ po gli occupanti, sia uomini che cavalli. Il giorno dopo, una delegazione di semplici soldati cosacchi si presentò, bandiera bianca in testa, e capitolò davanti al revkom di Aleksandrovsk. Abbandonarono le loro armi ma insistettero per tenere i pro­ pri cavalli con le loro selle, in nome della tradizione cosacca. Il disarmo delle 18 unità cosacche richiese tre giorni, e i politici locali colsero l’occasione per tentare di convincerli a cambiare

!!2. Non entreremo nei dettagli della carriera di Aleksej Kaledin, comandante militare bianco, che governò militarmente la regione del Don nel 1917, poiché solo la sua fine è di qualche interesse. Dopo averlo sostenuto in un primo tempo, in seguito i Cosacchi lo piantarono in asso, a tal punto che, alla fine del gennaio 1918, praticamente nessuna truppa voleva obbedirgli. Quindici giorni più tardi si suicidò, giustificando il suo gesto con "il rifiuto dei Cosacchi di seguire il loro ata­ mano".

41 campo organizzando una serie continua di incontri. Soffer­ miamoci un momento sul racconto che ne fa Makhno nelle sue Memorie: “il blocco bolscevichi-SR di sinistra, cercando di gua­ dagnare i Cosacchi alle proprie idee, fece parlare i migliori oratori che aveva nella regione. Questi, molto rivoluzionari a parole, si dicevano “immutabilmente acquisiti all’opera della rivoluzione e ai suoi scopi: la liberazione effettiva del lavoro, l’abolizione del giogo del capitale e dello Stato poliziesco”. Questi imbonitori, raccon­ ta ancora Makhno, promettevano la libertà totale ai Cosacchi, una larga autonomia alla regione e ad altre provincie che, sotto il regno dei Romanov, erano asservite alla Russia, una e indivisibile, la San­ ta Russia, dei ladri e dei furfanti. Alcuni proclamavano con sfaccia­ taggine la rinascita nazionale delle provincie oppresse, nonostante la presenza di avversari che sapevano perfettamente che tutte queste bel­ le parole erano in contrasto con gli atti dei dirigenti e che coloro che le pronunciavano mentivano senza vergogna. Nonostante ciò, i Co­ sacchi rimasero impassibili per la maggior parte, facevano poco caso a questi discorsi, fumavano tranquillamente e ridevano di tanto in tanto. Poi gli anarchici presero la parola. Maria Nikiforova dichiarò ai Cosacchi che gli anarchici non promettevano niente a nessuno, che sentivano che gli uomini imparano a conoscersi da sé, a comprendere la propria situazione nell’attuale sistema di schiavitù, insomma che desideravano vederli conquistare la loro libertà da sé. “Ma, prima di parlarvi di queste cose più in dettaglio, sono obbligata a dirvi, Cosacchi, che voi siete stati finora gli aguzzini dei lavoratori russi. Continuerete così in futuro, o prenderete infine coscien­ za del vostro ruolo odioso, vi unirete ai ranghi degli oppressi, coloro per cui fino ad ora, non avete mostrato nessun rispetto, coloro che, per un rublo dello zar o un bicchiere di vino, era­ vate sempre pronti a crocifiggere vivi?” I Cosacchi, che erano là in diverse migliaia, levarono allora le loropapakhas e abbassarono la testa. Mentre Marussia continuava a parlare in questa maniera, molti Cosacchi singhiozzavano come bambini.”33 Un nucleo di intellettuali venuti da Aleksandrovsk che si era fino a quel momento tenuto a distanza dagli anarchici, discu­ teva a parte: “7 discorsi dei rappresentanti del blocco di sinistra fan­ no una figura così pallida in confronto ai discorsi degli anarchici, e in particolare quelli di M. Nikiforova'.”. Dopo il comizio, duran­ te i cinque giorni in cui restarono in città, numerosi Cosac­ chi andavano quotidianamente all’ufficio della federazione a domandare precisazioni agli anarchici. Si strinsero delle re­ lazioni. Alcuni lasciarono il loro indirizzo ed intrattennero per lungo tempo una corrispondenza attiva con gli anarchici per ricevere pubblicazioni, scambiare idee sulla rivoluzione,

33. Nestor Makhno, op. cit., pp 167-168

42 su questa o quella questione di organizzazione sociale, o in­ viare il denaro che potevano. Molti Cosacchi si unirono alle truppe rivoluzionarie del Sud. Altri, al contrario, desiderosi di incontrare i propri parenti che non vedevano da quattro anni, domandarono di ritornare a casa. Furono autorizzati a partire, ma dovettero rinunciare ai cavalli. Dopo la partenza dei Cosacchi, Nikiforova e Makhno ripre­ sero la loro funzione al revkom di Aleksandrovsk. Makhno era incaricato dello sporco lavoro di essere alla testa di una com­ missione d’inchiesta34 che doveva giudicare diverse centinaia di prigionieri accusati di essere, a diverso titolo, nemici della rivoluzione. Tra i prigionieri che passarono davanti a lui, figu­ rava Mikhno, l’ex commissario del governo provvisorio, che l’aveva minacciato più volte e aveva fatto imprigionare Maria Nikiforova. Makhno ottenne la sua liberazione, spiegando che era al tempo dello zarismo un liberale piuttosto onesto e che era troppo severo uccidere un uomo per aver partecipato al governo provvisorio in qualità di commissario, e aver unica­ mente fatto il suo dovere nell’esercizio della sua funzione. Makhno non era invece incline a mostrarsi magnanimo con un altro prigioniero, l’ex procuratore Maksimov. Quando, anni prima, Makhno era stato incarcerato nella prigione di Aleksandrovsk, Maksimov aveva fatto in modo che il suo sog­ giorno fosse il più spiacevole possibile. Date tutte le prove por­ tate contro di lui in riferimento sia al tempo dello zar che al regime del governo provvisorio, e visto che su sua iniziativa si era costituito un comitato dazione contro-rivoluzionaria negli ambienti borghesi di Aleksandrovsk, Makhno ritenne corret­ to condannare Maksimov alla fucilazione. Ma gli altri membri del revkom , tra cui Nikiforova, intercedettero in suo favore. Pur convenendo che era un contro-rivoluzionario, questi ultimi difendevano l’idea che il sistema era troppo fragile per giusti­

34. La commissione d’inchiesta detta “tribunale rivoluzionario delle prime lìnee" era composta da sette membri, generalmente SR di sinistra e bolscevichi. Il suo ruolo era solo consultivo, in quanto i prigionieri venivano poi trasferiti allo sta­ to maggiore dell’esercito rivoluzionario che poteva decidere autonomamente se liberarli o farli fucilare. Ma, in generale, quest’ultimo seguiva il parere del­ la commissione d’inchiesta. Peraltro, Makhno criticava il numero di individui che si trovavano sul banco degli accusati, processo che col tempo si intensificò ulteriormente: “La maggioranza di essi, arrestati presso il loro domicilio, senza armi, non aveva evidentemente alcuna intenzione di combattere la rivoluzione con la forza. Qualche malevole li avevano denunciati: per far dimenticare il proprio odioso passato contro-rivoluzionario, essi erano diventati al momento della sollevazione ancora più odiosi, cambiando bandiera e afflìggendo tutti coloro che, a causa della loro posizione so­ ciale, si erano tenutifino a poco tempo prima al di fuori del movimento ma senza tuttavia intralciarne mai il corso. Permettersi al riparo, questi delatori si ingegnavano a scoprire i nemici della rivoluzione in tutti i ranghi della società. Ora, i comandi delle guardie rosse li ascoltavano volentieri, sperando così di mantenere la loro posizione", Nestor Makhno.

43 ziare qualcuno di così rispettato in città. Makhno non si lasciò convincere facilmente. Fu solo dopo una riunione durata una notte intera che accettò di mettere Maksimov in carcerazione provvisoria, in attesa di un esame più completo del suo caso. Makhno si stufò velocemente del revkom e di Aleksandrovsk, dove per gli operai era più una questione di obbedire al Comi­ tato rivoluzionario che di auto-organizzarsi. Secondo lui, era nelle campagne che si stava realizzando una vera rivoluzio­ ne. D’altronde diffidava sempre più del blocco bolscevichi-SR di sinistra, di cui diffidava sempre più. Cogliendo il pretesto che degli agenti della Rada Centrale erano appena arrivati a Huljaj Pole e portavano avanti una propaganda energica per convincere i soldati rientrati dal fronte ad unirsi alle unità de­ gli haidamakas, Makhno annunciò che ritornava sul posto con il suo distaccamento. I membri del revkom vennero a salutarlo alla stazione prima della sua partenza. La maggior parte vi si recarono in automobile, Nikiforova li raggiunse a cavallo. Il distaccamento intonò un canto anarchico rivoluzionario35 e il treno si avviò. Da parte sua, nemmeno Maria Nikiforova poteva restare re­ legata ad un ruolo - pur se provvisorio - di burocrate della rivoluzione in corso. Cominciò ad agire in maniera indipen­ dente: se i suoi distaccamenti di guardie nere avevano già una certa autonomia dazione, prese ora in carico il comando delle operazioni militari. È a partire da quel momento che acquisì una dimensione che andava oltre quella di una figura locale più energica delle altre.

35. La volontà del popolo è rimasta nelle memorie come un canto makhnovista, ma gli anarchici lo intonavano già da prima. Le parole erano cantate sull’aria di un vecchio canto rivoluzionario, Terra e libertà, ed erano più o meno queste:

Noi intoniamo il nostro canto sotto i tuoni e ilfurore, Sotto i tiri di granata e sotto i fuochi scintillanti, Sotto il vessillo nero di una lotta titanica, Al suono del richiamo della tromba!

Noi cantiamo per gli innumerevoli, i dimenticati dalla sorte, Torturati in prigione, uccisi sul ceppo, Hanno combattuto per la verità, hanno combattuto per te, E sono caduti come eroi, in una lotta impari.

Prendi i tuoi fucili e le tue pistole con sicurezza, Noi colpiremo i borghesi, noi colpiremo per la giustizia! Che la vergogna e la servitù finiscano, Noi annegheremo il dispiacere del popolo nel sangue!

44 LA DRUZHINA DEL LIBERO COMBATTIMENTO

oco tempo dopo il ritorno di Makhno a Huljaj Pole, Maria Nikiforova propose un’azione congiunta alla fe­ Pderazione degli anarchici di Aleksandrovsk e al gruppo anarco-comunista di Huljaj Pole per prendere altre armi. L’o­ biettivo era ancora una volta il battaglione distanza a Orekhov, dove gli anarchici avevano avuto qualche successo in passa­ to. I soldati del battaglione, appartenente al 48° reggimento di Berdjans’k, erano divisi quasi equamente tra sostenitori della Rada centrale ucraina e sostenitori del generale bianco Kale- din. L’operazione fu nuovamente un successo. In questo pe­ riodo, la coalizione bolscevica-SR di sinistra, troppo debole per lanciarsi in tali scorribande, si felicitava delle azioni degli anarco-comunisti. Bogdanov, il comandante regionale delle guardie rosse, gongolava, aspettando con impazienza che gli venisse portato lo stock di armi requisite, che comprendeva fucili, mortai e mitragliatrici. Evidentemente, dato che Niki­ forova era ancora delegata al revkom di Aleksandrovsk, suppo­ neva che le armi gli spettassero. Ma le cose andarono diversa- mente. Con il sostegno degli anarchici di Aleksandrovsk, tutte le armi furono trasportate a Huljaj Pole e messe ufficialmente a disposizione del comitato rivoluzionario locale. A partire da quel momento, Maria Nikiforova non esitò più a disobbedire alle autorità bolsceviche quando lo ritenne necessario, mante­ nendo comunque un accordo militare di circostanza con esse.

Il comandante delle guardie rosse in Ucraina era Vladimir Antonov-Ovseenko36, uno dei pochi bolscevichi ad aver fre­

36. Vladimir Antonov-Ovseenko (1883-1939): figlio di ufficiali, lasciò l’esercito nel 1901, periodo in cui si avvicinò al movimento rivoluzionario. Nel 1902, aderì al Partito Operaio Social-democratico di Russia (POSDR) e fece parte della sua cor­ rente menscevica a partire dal 1903. Nel 1905-1906, fu membro del comitato del partito della città di San Pietroburgo. Durante gli avvenimenti del 1905, cercò invano di sollevare due reggimenti di fanteria in Polonia. Incaricato di prepa­ rare l’insurrezione di Sebastopoli (Crimea), anche in questo caso fallì. Arrestato parecchie volte, condannato a morte, riuscì a scappare diverse occasioni, prima di esiliarsi a Parigi nel 1910. È là che incontrò Maria Nikiforova. Di ritorno in Russia nel maggio 1917, questa volta si unì ai bolscevichi, in giugno, e in ottobre divenne segretario del Comitato militare rivoluzionario del soviet di Pietrogrado, diretto da Trotsky a partire dal 26 settembre. 11 25 ottobre, partecipò alla presa del Palazzo d’inverno, che mise fine al potere di Kerenskij. In seno al nuovo governo, chiamato Consiglio dei commissari delpopolo (o Sovnarkom), occupò il ruolo di commissario agli Affari Militari, accanto a un Trotsky commissario agli Affari Esteri, uno Stalin commissario alle Nazionalità, e ovviamente un Le­ nin... Presidente. 45 quentato una scuola militare. Conoscendolo fin dal suo esilio a Parigi, Marussia godeva della sua stima, senza contare il fat­ to che lei l’aveva aiutato a ristabilire il potere dei soviet in tre importanti città dell’Ucraina. Ottenne così di farsi nominare “Comandante di una formazione di distaccamenti di cavalleria nella steppa d ’Ucraina”. Ciò le diede accesso a un’importante som­ ma di denaro, che utilizzò per equipaggiare quella che sarebbe diventata la “Druzhina del libero combattimento"37. Marussia era peraltro una delle poche donne a capo di una considerevole forza armata rivoluzionaria, il che le valse di essere chiamata a volte “a ta m a n sh a ”88. La Druzhina del libero combattimento era equipaggiata con due grossi cannoni e dei carri merci blindati. I vagoni erano pieni di carrozze scoperte munite di una mitragliatrice - tachanke39 - oltre che di uomini e cavalli, il che significava che il distac­ camento era lungi dal limitarsi alle linee ferroviarie. I treni erano ornati di bandiere su cui si poteva leggere “La liberazione dei lavoratori è ajfare dei lavoratori stessi", “Viva l’anarchia ”, “I lp o ­ tere crea parassiti”, “Pace alle capanne, guerra ai palazzi” o ancora “L ’anarchia è la madre dell’ordine”. I soldati erano meglio nutriti e meglio equipaggiati che nella maggior parte delle unità dell’Armata Rossa. Soprattutto, non vi era un’uniforme ufficiale ma una diversità di fogge, poiché i compagni si distinguevano dal resto della popolazione sotto diversi punti di vista: capelli lunghi (il che non era comune in questa regione), cappelli in pelle, giacche da civili per gli ufficiali, pantaloni rossi, e cinture di munizioni messe ben in evidenza. La Druzhina era composta da un nucleo di anarchici

Fu nominato comandante dell’Armata Rossa sul fronte ucraino nel Sud nel 1918- 1919. Continuò poi la sua sanguinosa carriera reprimendo la rivolta di Tambov nel 1920-1921, poi, nel 1922, fu posto a capo della direzione politica dell'armata. Quindi, fu ambasciatore delfURSS in Cecoslovacchia, Lituania, Polonia (1930- 1934), in seguito procuratore capo dell’URSS e infine console generale a Barcel­ lona dal 1936 ad agosto 1937. Antonov-Ovseenko fu alla fine liquidato durante le purghe del 1938-1939 per “terrorismo trotzkista”! 37. Druzhina: termine che fa riferimento alle bande di guerrieri che assicurava­ no la protezione dei principi slavi nel Medioevo. Ma il termine significa anche un gruppo di compagni e di eguali e suggerisce una struttura molto differente dai distaccamenti militari di altre forze armate in Ucraina. 38. Atamano, dal turco, significa “capo della truppa”. Il termine era utilizzato per designare i capi cosacchi, eletti a capo di villaggi o unità militari e, per estensio­ ne, i capi dei distaccamenti autonomi (asserviti o meno alle autorità ufficiali). In origine, non esistevano termini slavi per designare i “capi”, Tutti quelli utilizzati da allora, in russo o in ucraino, sono prestiti dalle lingue straniere: tsar dal lati­ no caesar, kniaz (principe) dal tedesco koenig, hetman, contrazione del tedesco hauptmann. 39. Tachanka: carrozza scoperta sorretta da due o quattro ruote, munita di una mitragliatrice. Dietro al veicolo, tirato da due o quattro cavalli, si tenevano un tiratore e il suo assistente, davanti un cocchiere e un combattente.

46 vicini a Marussia, e da un gruppo più ampio che andava e ve­ niva su base imparziale, senza ingaggio fisso. I compagni pote­ vano contare su una fetta importante di marinai del Mar Nero, conosciuti in tutta l’Ucraina per le loro qualità di combattenti. Con le loro bandiere nere e i loro cannoni, le unità di Niki- forova sembravano delle navi pirata che solcavano la steppa. Un osservatore, il SR di sinistra I.Z. Steinberg, ha paragonato questi treni all’aviazione olandese, capace di apparire in ogni momento e in ogni luogo. Spostandosi in gradini, la Druzhina avanzava per far fronte al nemico, cioè, nel gennaio 1918, alle guardie bianche e alla Rada Centrale ucraina. Lanciati verso Sud, in direzione del Mar Nero, gli anarchici contribuirono a istituire comitati rivoluzionari liberi in diverse città della Crimea. La Druzhina e altri distaccamenti anarchici si impossessarono della stazione balneare di Jalta e saccheggia­ rono il palazzo di Livadia, dove diverse decine di poliziotti fu­ rono uccisi. Marussia Nikiforova si diresse poi verso Sebasto­ poli per liberare otto anarchici che marcivano in prigione. Le autorità bolsceviche rilasciarono i prigionieri senza nemmeno aspettare l’arrivo del suo distaccamento. Passò quindi qualche tempo nella città di Feodosia, dove fu eletta nell’esecutivo del soviet dei contadini, e potè anche organizzare altri distacca­ menti di guardie nere.

Makhnovisti all’entrata di Berdiansk nel 1919

47 LE BATTAGLIE DI ELISAVETGRAD

l 28 gennaio 1918, la Druzhina fece la sua apparizione a Elisavetgrad, capitale della provincia di Aleksandrovsk e Idi Huljaj Pole, situata nella parte meridionale del centro delFUcraina. La sua presenza permise all’organizzazione bol­ scevica locale di destituire il soviet della città mediante un col­ po di Stato senza spargimento di sangue, estromettendo i SR e i Cadetti ucraini, e di creare il proprio revkom . Maria Nikiforova turbò rapidamente i fragili equilibri della città. Sentendo numerose lamentele a proposito del colon­ nello Valdimirov, commissario militare locale, si recò nei suoi appartamenti e puntò l’arma contro di lui. Gli ordinò di uscire e di dare degli abiti ai soldati, che non avevano neanche più di che vestirsi, poi gli sparò. I soldati ottennero delle uniformi, ma avevano ancora a malapena di che mangiare, il che secon­ do lei era dovuto alla classica gestione burocratica bolscevica. A fronte del razionamento arbitrario, organizzò il saccheggio sistematico dei magazzini, distribuendone i beni ai più pove­ ri. Vedendo che le persone si ritrovavano con cose di cui non avevano bisogno, autorizzò inoltre il baratto delle merci, ben­ ché ciò fosse stato espressamente vietato dal revkom . Dopo la redistribuzione, gli anarchici si pavoneggiavano nelle vie della città a bordo del loro treno o di carretti carichi di pelli, can­ tando, bevendo vodka, facendo chiasso, talvolta depredando di passaggio i borghesi che avevano la sfortuna di incrociare la loro strada. Nikiforova rese poi visita al revkom , di cui criticò vivamente le attività. Dichiarò che i suoi membri erano troppo “to llera n ti nei confronti della borghesia”. Lei era sostenitrice dell’esproprio senza pietà di tutti i beni acquisiti alle spalle del lavoro altrui, e di una risposta violenta ad ogni tentativo di resistenza. Ap­ partenere alla classe degli sfruttatori era un crimine in sé, e, se­ condo Marussia, i membri del revkom ne facevano ormai parte. Minacciò di scioglierlo e di uccidere il suo presidente, poiché la Druzhina era contro ogni tipo di governo, e non aveva desti­ tuito il soviet precedente per rimpiazzarlo con un altro organo di potere. L’amministrazione bolscevica della città si preoccupò viva­ mente per le sue affermazioni e rispose alla sua maniera, isti­ tuendo un “comitato per la risoluzione dei problemi con Marussia ”. Questo comitato speciale si recò al suo quartiere generale e le chiese gentilmente di lasciare la città, lasciando intendere che il revkom disponeva di considerevoli forze armate. Maria

48 Nikiforova, per nulla impressionata da queste minacce, partì comunque qualche giorno più tardi, dopo aver confiscato le armi della scuola locale di ufficiali, i cui studenti si erano uniti ai haidamakas. Le gesta militari di Marussia stavano facendo salire la sua popolarità alle stelle e contribuivano a diffondere in maniera pratica le idee anarchiche. Il 9 febbraio 1918, la Rada Centrale ucraina e la coalizione de­ gli Imperi centrali firmarono un trattato di pace. Dato che la Rada centrale aveva perso territori in seguito all’azione con­ giunta delle guardie rosse e degli anarchici, uno degli articoli del trattato permetteva alle truppe imperiali della Germania e delFAustria-Ungheria di venire a ristabilire “l ’ord in e ’ sul suolo ucraino. Le truppe tedesche e austro-ungheresi invasero quin­ di l’Ucraina e, aiutate dagli haidamakas della Rada Centrale, tentarono di respingere e annientare le forze rivoluzionarie. In quel momento, a Elisavetgrad i fatti presero una piega tra­ gica. Mentre le forze tedesche si avvicinavano alla città, i bol- scevichi si misero ad sgomberare in tutta fretta le loro truppe e istituzioni, lasciando un vuoto di potere. Il giorno successivo alla partenza del revkom, un nuovo governo, chiamato “com i­ tato provvisorio della rivoluzione” (VKR), fece improvvisamente la sua comparsa. I suoi membri facevano parte dei partiti che avevano partecipato al soviet destituito in precedenza. I bol- scevichi che erano restati in città furono arrestati ed imprigio­ nati. Le autorità, coscienti che avrebbero avuto bisogno di una forza militare per proteggersi, reclutarono degli ex-ufficiali che erano entrati in clandestinità e passarono al setaccio le campagne per ingaggiare del personale militare. Nei villaggi, i cittadini venivano arruolati e i loro carretti requisiti. Venivano offerte armi a chiunque si dichiarasse pronto a battersi contro i rivoluzionari. La Druzhina ritornò quindi a Elisavetgrad in maniera improv­ visa. Il distaccamento di Maria Nikiforova era al massimo delle forze, e il suo arsenale comprendeva ora cinque automobili blindate. I prigionieri bolscevichi restarono dietro le sbarre, ma in un primo tempo, ci furono parecchi giorni di tregua tra le nuove autorità municipali e gli anarchici. La Druzhina ave­ va preso il controllo della stazione e intonava canti anarchici sotto il naso dei cittadini. Mandava tutti i giorni un camion a raccogliere “c o n trib u ti” involontari della borghesia. Un osser­ vatore descrisse all’epoca l’impressione che gli lasciò Maria Nikiforova: “Un carretto scendeva di volata la via a una velocità folle. Negligentemente stesa all’interno, stava una giovane dai capelli bruni portando unapapakha40 inclinato di modo da darsi un’aria da

44. Tipico colbacco.

49 malandrina. In piedi sul predellino, c’era un tipo con le spalle larghe che portava un Pantalone rosso della cavalleria. La brunetta e la sua guardia del corpo avevano con sé ogni sorta di arm i”. Poi la crisi scoppiò. In seguito ad un furto neH’immensa fab­ brica Elvorta - erano stati rubati 40.000 rubli dall’ufficio del personale -, gli operai non poterono essere pagati. Circolaro­ no le voci più assurde, gli anarchici si prestavano bene al ruolo di ladri. Si diceva inoltre che avessero intenzione di condurre delle azioni di rappresaglia sulla città per vendicare l’imprigio- namento dei bolscevichi. Nikiforova decise di recarsi di perso­ na alla fabbrica per spiegare la situazione ai lavoratori, ma ciò fu considerato come una provocazione. La sala delle riunioni della fabbrica era stracolma quando Ma- russia arrivò (la fabbrica contava circa 5.000 lavoratori). La­ sciando la sua scorta all’entrata, entrò sola nella sala e salì sulla pedana. Ma non riuscì a pronunciare una parola a causa delle imprecazioni e delle grida incessanti. In collera, prese dalla sua cintura due pistole e aprì il fuoco sopra la testa degli udito­ ri. Panico assicurato. Le porte vennero fracassate e le persone saltarono dalle finestre rotte. I compagni di Marussia si pre­ cipitarono nella sala in suo aiuto. Sulla strada di ritorno alla stazione, vennero esplosi dei colpi contro la sua automobile e fu leggermente ferita. In città venne data l’allerta e la milizia del nuovo governo si avvicinò alla stazione. I combattimenti in strada durarono pa­ recchie ore. Ci furono molti morti, dato che per difendersi gli anarchici utilizzarono mitragliatrici e granate. Ma gli assalitori li superavano in numero di parecchie volte e Nikiforova fu co­ stretta a battere in ritirata nella steppa con difficoltà, ferman­ dosi a Kanatovo, la prima stazione sulla linea. È là che Marus­ sia dovette constatare che alcuni suoi soldati erano stati fatti prigionieri e decise di riaprire il combattimento per liberarli. Alla fine dal fronte arrivarono delle forze bolsceviche sotto il comando di Aleksandre Belinkevitch, un ufficiale di alto rango, che pretese la resa della città. Dato che la sua richiesta era stata rigettata, avanzò arditamente nel centro della città, dove le sue truppe furono attaccate da ogni parte. Dopo una battaglia di tre ore, l’unità di Belinkevitch fu quasi annientata, e un buon numero dei suoi uomini fatti prigionieri. Belinkevitch stesso scappò per un pelo con il treno. Le autorità della città si misero a torturare e uccidere decine di prigionieri ogni sera, convinti che fossero direttamente legati a Maria Nikiforova e potessero fornirgli delle informazioni sui suoi piani. Adesso Elisavetgrad era guidata da due generali in pensione, con la partecipazione dei borghesi locali, ma di lavoratori. I menscevichi avevano infatti fatto appello ai sindacati per formare delle milizie per

50 difendere la città. Maria Nikiforova tentò a sua volta di avanzare verso Elisa- vetgrad lungo la linea ferroviaria a nord ma, incontrando re­ sistenza in periferia, lasciò il treno per addentrarsi in città. Il VKR disponeva ormai di migliaia di soldati riuniti sotto il mot­ to “Abbasso l ’anarchia!”. Avevano artiglieria pesante e leggera, mitragliatrici e perfino tre aerei. Per istigare rancore, delle voci affermavano che Nikiforova saccheggiava le icone delle chiese e che non era altro che la capa di una banda di ladri. Alla periferia della città iniziò una guerra di logoramento su un fronte di diversi chilometri. Cera un fuoco incessante d’arti­ glieria e di mitragliatrici. Il proprietario di una distilleria, Ma- keev, mise a disposizione delle truppe della città una quantità illimitata di alcol. Per mantenere l’offerta di carne da cannone, Elisavetgrad fu passata al setaccio per snidare gli imboscati e inviarli al fronte sotto buona scorta. Due linee di trincea difen­ devano la città, la seconda tenuta da ufficiali che con le mitra­ gliatrici impedivano ogni ritirata ai propri uomini. Per due giorni (24-25 febbraio 1918), la battaglia conobbe dei continui capovolgimenti. Il 26 febbraio, Marussia ricevette dei rinforzi considerevoli con l’arrivo di un distaccamento di guardie rosse venute dalla città di Kamensk, che disponeva di una batteria leggera e di mitragliatrici. L’offensiva venne lan­ ciata congiuntamente. La battaglia non volse a vantaggio delle guardie rosse. Persero i pezzi d’artiglieria e le mitragliatrici, che vennero recuperati dalle truppe del VKR, e 65 di loro furono fatti prigionieri. In quel momento, la difesa era in vantaggio sulle armi grazie agli aerei da ricognizione che sganciavano anche qualche bomba. L’attacco anarchico si impantanò rapidamente nelle trincee nemiche. Furono obbligati a battere in ritirata ancora più lon­ tano, alla stazione di Znamenka. Là, ricevettero l’appoggio di nuove forze, essendo stati raggiunti da un altro distaccamento, diretto dal colonnello SR Muraviev che qualche giorno prima aveva ripreso la capitale, Kiev, alla Rada Centrale. Le autorità del VKR della città si dichiararono allora in fa­ vore della Rada Centrale. Inviarono degli emissari alle forze tedesco-ucraine stazionate nei dintorni per domandare loro un appoggio immediato. Ma era già troppo tardi. Battendosi contro Nikiforova a nord della città, il VKR aveva lasciato la parte sud senza protezione. Un treno blindato conosciuto per la sua bandiera “Libertà o morte!” avanzò a tutta velocità in città, sotto la guida di un marinaio bolscevico di nome Polypanov. Le unità di difesa della città fuggirono senza dare battaglia. I marinai pretesero immediatamente dalle autorità del VKR la liberazione di tutti i prigionieri, compresi quelli vicini a Maria

51 Nikiforova. Il VKRfu obbligato ad eseguire gli ordini. Le trup­ pe del VKR a nord della città scoprirono che la situazione era ormai nelle mani dei bolscevichi. In quel momento, Marussia e Muraviev entrarono in città. Ci furono numerosi saccheggi, e non solo per mano degli anar­ chici, ma non rappresaglie di massa. Per calmare gli spiriti, Polypanov dichiarò durante un comizio che questa battaglia di tre giorni era dovuta ad un deplorevole malinteso. I rossi restarono quindi al potere a Elisavetgrad circa un mese, fino alla notte del 19 marzo 1918, quando dovettero nuovamente abbandonare la città. Tre giorni più tardi, arrivavano i primi treni tedeschi. Questa battaglia di Elisavetgrad è esemplificativa della guer­ ra civile in Ucraina, scontri disperati tra feroci oppositori, poi un terzo attore più potente viene a raccogliere la posta. Elisa­ vetgrad cambierà ancora più volte di mano, prima di essere in fine conquistata dai bolscevichi.

52 LA LUNGA RITIRATA

al marzo 1918, i bolscevichi cercarono di organizzare militarmente la resistenza in nome del governo fan­ toccio della “Repubblica Sovietica d ’Ucraina” (dicembre 1917-novembre 1918) che avevano insediato a Kharkov. Era una lotta decisamente impari. Dal punto di vista numerico, le armate tedesche e i loro alleati totalizzavano tra i 400 e i 600.000 soldati, contro 30.000 dall’altra parte, tra cui diver­ se migliaia appartenenti ai distaccamenti anarchici. Tuttavia, questa resistenza non era simbolica, tanto che la riconquista dell’Ucraina da parte della Rada Centrale e degli eserciti degli Imperi centrali richiese quasi tutta la primavera 1918. In questo periodo, la Druzhina non si spostava più in treno ma viaggiava attraverso i campi come unità di cavalleria. Il distac­ camento faceva molta impressione con i suoi cavalli disposti per colore: “una fila di neri, una fila di bai, una fila di bianchi, poi di nuovo neri, bai e bianchi. Fermando il cammino, dei fisarmonicisti erano seduti in tachanke piene di tappeti e pellicce". Marussia stessa cavalcava un cavallo bianco, e la maggior parte dei suoi com­ pagni erano vestiti tutti di cuoio, mentre altri avevano ancora la loro uniforme da marinai. Era stato stabilito un luogo d’incontro strategico con alcune guardie rosse in ritirata in una tenuta vasta e molto ricca, vici­ no al villaggio di Preobrazhenka. Convocata nell’ufficio di Ivan Matveev, il comandante in carica, lei lo informò che era pron­ ta a ricevere degli ordini da parte sua “fino a che tutti i distacca­ menti siano arrivati e si veda chiaramente chi dei due ha più persone. ” Poiché teneva molto alla questione, aggiunse che nell’attesa bisognava procedere alla redistribuzione immediata dei beni trovati nella tenuta, a cominciare dai vestiti. Lei aveva già ef­ fettuato un inventario delle tenute, delle giacche e delle gonne appese negli enormi armadi. “La proprietà deipomesciki, disse lei, non appartiene ad un distaccamento in particolare, ma al popolo nel suo insieme. Che ciascuno prenda ciò che gli pare buono." Matveev, visibilmente seccato, rifiutò “perprincipio" di parlare di stracci. Maria Nikiforova lasciò la stanza sbattendo la porta con fra­ casso. I bolscevichi decisero allora di smantellare la Druzhina pri­ ma che altri anarchici convergessero sul posto. Convocarono un’assemblea generale di tutti i distaccamenti, contando di ap­ profittarne per arrestare i compagni. Questo grande raduno si teneva nel bel mezzo della tenuta. Marussia vi si recò con al­ cuni dei suoi, ma non con tutta la sua truppa. I bolscevichi co­

53 minciarono a parlare della necessità di unità e disciplina. Niki- forova comprese molto bene dove volessero arrivare e, quan­ do uno degli intervenienti si mise a lamentarsi degli anarchici, lei diede loro il segnare di svignarsela. Quando i bolscevichi lanciarono alla fine il loro appello a disarmare i compagni, questi erano già partiti dalla tenuta con tutto il loro equipag­ giamento, cavalli e tachanke compresi. L’inseguimento non diede alcun risultato, non avevano lasciato alcuna traccia. La Druzhina raggiunse una linea ferroviaria, e le unità si rimi­ sero sulle rotaie. Marussia Nikiforova decise di dirigersi ver­ so la sua città natale, Aleksandrovsk, per cercare di difenderla dalle truppe tedesche. La città era piena di distaccamenti di guardie rosse in ritirata. Da quando era partita qualche setti­ mana prima, le relazioni tra anarco-comunisti e bolscevichi erano precipitate, ma questi fecero comunque una buona ac­ coglienza a Marussia, lieti di poter contare su nuove forze. Nel frattempo, il 29 marzo, gli occupanti austriaci e tedeschi sostituirono la Rada, che non consideravano sufficientemente servile, con l’etmano Pavlo Skoropadsky. Il 13 aprile 1918, le unità ucraine d’élite dei fucilieri della Sich fecero irruzione ad Aleksandrovsk, e si impossessarono della stazione. In un depo­ sito vicino, fu scoperto il corpo di una giovane donna vestita di cuoio. Si sparse subito la voce che la famosa Marussia era stata assassinata. Maria Nikiforova aveva sì preso parte alla battaglia, ma era viva e vegeta. I fucilieri della Sich furono respinti il giorno dopo e dovettero fuggire in barca sul Dnepr. Alla fine, il 18 aprile, i tedeschi penetrarono in città. La Druzhi­ na fu l’ultimo distaccamento ad abbandonare Aleksandrovsk. La borghesia e i grandi proprietari terrieri, approfittando del nuovo regime, si premurarono di condurre azioni di rappre­ saglia per domare la rivolta in corso e riprendere le fabbri­ che, le terre e i beni espropriati. Aiutati dalle truppe tedesche e austriache, condussero delle spedizioni punitive a colpi di impiccagioni e fucilate. Bastava che un proprietario o un suo amministratore dichiarasse che un contadino avesse pre­ so parte alla confisca delle terre perché questi venisse subito giustiziato. Le forze di occupazione esigevano anche pesanti contributi, prendendo con sé cibo, attrezzi e beni di consumo, con la benedizione dell’etmano, dei grandi proprietari e dei borghesi locali. Sulla strada verso est, la Druzhina si fermò nella stazione di Tsarekonstantinovka, dove Marussia Nikiforova si imbattè in un Nestor Makhno completamente abbattuto. In sua assenza, un colpo di stato nazionalista a Huljaj Pole era appena sfo­ ciato nell’arresto del revkom locale, del soviet e degli anarco- comunisti. Coloro che non poterono fuggire furono torturati

54 e fucilati. Il fratello maggiore di Nestor, Emilian, quasi cieco, era stato giustiziato davanti alla moglie e ai cinque figli. Suo fratello Savva era in prigione. Lioba Gorelik era stato picchiato a morte, mentre Moise Kalinitchenko, Stepan Chepel e Koro- stelev erano periti durante questo “terrore bianco". In questo contesto, M. Nikiforova propose a Makhno di con­ durre un’offensiva su Huljaj Pole. Sapendo che avevano biso­ gno di rinforzi esterni, telegrafò subito al comandante di un distaccamento di guardie rosse, un certo Polupanov, impe­ gnato in quel momento a Mariupof. Ma questi rifiutò, consi­ gliandole di sgomberare la zona il più rapidamente possibile. Il marinaio Stepanov, che passava per la stazione con un treno pieno di fuggitivi, di cui doveva rispondere davanti al coman­ do delle armate rosse del sud della Russia, le diede lo stesso consiglio. Alla fine Maria Nikiforova si mise d’accordo con un distaccamento siberiano di guardie rosse diretto da Petrenko. Lei possedeva ancora due auto blindate che propose di uti­ lizzare come punta di diamante dell’attacco (Huljaj Pole era a otto chilometri dalla stazione più vicina). Mentre i distacca­ menti si preparavano alla partenza, ricevettero la notizia che i tedeschi occupavano ormai anche Polohy, situata sulla linea ferroviaria che dovevano prendere per arrivare fino a Huljaj Pole. Non aveva più scelta, dovette abbandonare i suoi piani e indietreggiare sempre più a Est.

55 ■

PROCESSO A TAGANROG

distaccamenti bolscevichi e anarchici dell’Est dell’Ucraina si diressero verso Taganrog, sul Mar d’Azov, dove anche il Igoverno della Repubblica sovietica d’Ucraina era andato in esilio. I bolscevichi avevano poche speranze di poter tenere più a lungo la minima briciola dell’Ucraina ed erano impe­ gnati a Brest-Litovsk nelle negoziazioni di pace con l’Impero tedesco e i suoi alleati. All’argomento di Lenin secondo il quale l’Armata Rossa era troppo sfinita per continuare a combatte­ re, gli anarchici replicarono che ad ogni modo gli eserciti di mestiere non avevano alcun senso, e che la difesa della rivo­ luzione doveva essere fatta dalla popolazione organizzata in piccole unità di partigiani. Gli anarco-comunisti ma anche gli anarco-sindacalisti sostenevano che gruppi di questo genere organizzati su scala locale avrebbero potuto logorare e demo­ ralizzare il nemico, e alla fine vincerlo, come era accaduto nel 1812 quando l’esercito di Napoleone era stato sconfitto. Gli ap­ pelli degli anarchici non furono ascoltati: il 3 marzo la delega­ zione bolscevica firmò il trattato di Brest-Litovsk e riconobbe la Rada Centrale quale unico governo legittimo d’Ucraina. I termini di questo trattato erano ancora più duri di quanto gli anarchici avessero temuto. La Russia abbandonava all’Im­ pero tedesco più di un quarto della popolazione totale e delle terre coltivabili, così come i tre quarti dell’industria pesante. Lenin affermò che questo trattato, per quanto terribile, dava al suo partito la tregua di cui aveva assolutamente bisogno per consolidare la rivoluzione. Quanto a loro, i compagni erano disgustati da questa vergognosa resa alle forze della reazione. Il 14 marzo, al IV Congresso dei soviet, riunito per l’occasione, tutti i quattordici delegati anarchici votarono contro il trattato. L’opposizione al trattato di Brest-Litovsk non era che un episodio ulteriore nella lunga lista delle divergenze che gli anarchici avevano potuto verificare nei confronti del Partito Bolscevico. Dal rovesciamento del governo provvisorio di Ke- renskij nell’ottobre 1917, l’alleanza contro natura, che una parte degli anarchici aveva voluto sperimentare, non reggeva più. Nella primavera del 1918, la maggior parte di essi era sufficien­ temente delusa da volere la rottura totale. I bolscevichi, da par­ te loro, avevano intenzione di sbarazzarsi degli ex-alleati, che non erano più loro di alcuna utilità e le cui critiche incessanti rappresentavano un fastidio non solamente teorico. Gli anar­ chici facevano ostruzionismo alla statalizzazione delle terre e delle fabbriche, resistevano all’organizzazione autoritaria del

56 lavoro, insorgevano contro la ripresa in mano delle fabbriche da parte delle strutture sindacali comuniste, e rifiutavano in maniera più generale la formazione di un nuovo governo. La politica dei bolscevichi non solo esacerbava le differenze con gli anarchici, ma incontrava ugualmente le critiche di nu­ merosi contadini e operai che avevano lottato, persuasi che O ttobre avrebbe segnato la vittoria della rivoluzione. E giorno dopo giorno, la vedevano traviata in una catena repressiva e burocratica. Il loro malcontento andava crescendo, e i com­ pagni facevano parte di coloro che lo incarnavano in maniera viva, portando avanti un’agitazione costante contro la dittatu­ ra di partito. Per i bolscevichi, diventava più che urgente sba­ razzarsi di questi elementi troppo veementi e incontrollabili, per evitare che le loro idee e le loro critiche si diffondessero a macchia d’olio. Il 12 aprile 1918, a Mosca, i nuovi padroni colsero il pretesto del furto dell’automobile di un colonnello rappresentante della Croce Rossa americana incaricato delle relazioni con gli Stati Uniti, per passare all’azione. Quella notte, distaccamenti armati della Ceka attaccarono ventisei case e palazzi occupati da compagni. La Federazione dei gruppi anarchici di Mosca venne sciolta, e circa 400 persone arrestate. Gli anarchici del monastero Donskoj e quelli della Casa dell’anarchia si batterono duramente. I combattimenti fecero ufficialmente una trentina di morti e un numero sconosciuto di feriti tra i compagni, ol­ tre che una dozzina di morti nei ranghi della Ceka. I bolscevi­ chi condussero una campagna di propaganda intorno a questo evento, per presentarlo come un’operazione di polizia contro degli elementi “crim in a li”, che contrapponevano agli anarchici veramente “d ’id e a ” (ideinye). I compagni disponevano di molti meno mezzi dei loro avversari per replicare a questi attacchi. I giorni seguenti, una repressione simile ebbe luogo a Pietro- grado, Vologda, Smolensk, Brjansk, ecc. Ma in Ucraina le cose andarono diversamente. Giunta a Taganrog, Maria Nikiforova fu immediatamente accusata di aver abbandonato senza autorizzazione il fronte esterno (contro le truppe tedesche). L’unità di guardie rosse sotto il comando del bolscevico Kaskin fu incaricata di arre­ starla e disarmare definitivamente la Druzhina. Il suo arresto avvenne nella stessa aula in cui si riuniva il comitato esecutivo centrale d’Ucraina. Mentre veniva fatta uscire dall’edificio, in­ crociò il bolscevico Zatonsky, che aveva conosciuto bene. Lei l’apostrofò e gli domandò perché venisse arrestata. L’altro ri­ spose con un’aria innocente che “non sapeva", il che gli valse l’essere trattato da “vigliacco e ipocrita”. Neanche il disarmo della Druzhina si svolse senza intralci. Le

57 truppe rifiutarono di fondersi con il distaccamento di Kaskin e pretesero di sapere dov’era trattenuta Maria Nikiforova. Allo stesso modo, la Federazione dei gruppi anarchici di Taganrog e i distaccamenti anarchici che continuavano ad arrivare chie­ sero conto ai bolscevichi. Pure i SR di sinistra locali sosteneva­ no i compagni. Contattato da alcuni anarchici, il comandante rosso in capo di tutto il fronte Sud, Antonov-Ovseenko, inviò un telegramma di protesta: “conosco bene il distaccamento di M aria Nikiforova, così come lei stessa. Piuttosto che disarmare simili unità di combattimen­ to, fareste meglio a formarne di sim ili” Nel frattempo, dal fronte giungevano a Taganrog numerosi telegrammi di sostegno, da parte di comandanti e distaccamenti di bolscevichi così come di SR di sinistra e di anarchici. Un treno blindato di anarchi­ ci di Ekaterinoslav, sotto il comando del compagno Garin, un amico personale di Nikiforova, entrò in città per esprimere la sua solidarietà. La principale accusa contro Maria Nikiforova era di aver sac­ cheggiato Elisavetgrad, sia prima che dopo l’arrivo al potere dei nazionalisti ucraini. Era inoltre accusata di diserzione, benché le truppe di Kaskin avessero abbandonato il fronte pri­ ma delle sue. Per gli anarchici, era una prova ulteriore dell’ipo­ crisia dei bolscevichi, che utilizzavano le forze dei compagni per combattere sul fronte, pugnalandoli nelle retrovie. Il processo cominciò alla fine del mese di aprile del 1918. Il “tribunale rivoluzionario d ’onore” era composto da due bolsce­ vichi locali, due SR di sinistra, anch’essi di Taganrog, e due rappresentanti del governo d’Ucraina. Le udienze erano pub­ bliche. I bolscevichi presentarono una serie di testimoni a ca­ rico, accusando Maria Nikiforova di reati puniti con la pena di morte. Ma nell’alfollatissima sala d’udienza cerano anche numerosi testimoni della difesa, che contestarono le testimo­ nianze dell’accusa e ricordarono i servigi che Marussia aveva reso alla rivoluzione. Come racconta Makhno, ugualmente presente nella sala, l’anarchico Garin prese la parola: “dich iarò con ardore davanti ai giudici e al pubblico che era convinto che se ‘la compagna Nikiforova aveva accettato di raggiungere il ban­ co degli accusati, era poiché ella riteneva la maggior parte dei giudici dei veri rivoluzionari e sapeva che una volta usciti da qui, lei e il suo distaccamento sarebbero stati completamente assolti, sarebbero state rese loro le loro armi e sarebbero an­ dati a combattere la contro-rivoluzione. Se avesse temuto che il tribunale potesse mostrarsi docile ai disegni del governo e dei suoi provocatori, me ne avrebbe informato e io dichiaro a nome di tutto l’equipaggio del mio treno blindato che noi l’avremmo liberata con la forza” “Questa dichiarazione indignò i

58 giudici rivoluzionari”.41 42 Maria Nikiforova venne infine assolta da tutte le accuse a suo carico, e la Druzhina potè riprendere possesso delle proprie armi. Il processo non fece che rinforzare la sua ostilità alle idee e alle pratiche del nuovo potere di Mosca. A Taganrog, Marus- sia e Makhno diffusero un volantino che denunciava il potere centrale bolscevico d’Ucraina e il comandante Kaskin per il loro ruolo in questo processo farsa. Il duo organizzò anche una serie di assemblee nelle fabbriche metallurgiche, nelle concerie del centro della città, nel teatro locale e in altri borghi della regione, sul tema “Difesa del fronte contro i corpi di spedizione contro-rivoluzionari austro-tedeschi e la Rada Centrale ucraina. Difesa contro la reazione di Stato nelle retro­ vie, dove il potere si sente tanto forte quanto è impotente sul fronte." Makhno, che si presentava con Maria Nikiforova sotto lo pseu­ donimo di II Modesto (lo stesso che aveva al bagno penale), ritorna nelle sue Memorie su quel momento: "mi ricordo che due bolscevichi eminenti, Bubnov e Kaskin, vennero a partecipare a una delle assemblee organizzate nelle concerie, così come dei rappre­ sentanti del comitato centrale dei SR di sinistra. Con quale delusio­ ne i bolscevichi dovettero interrompere il loro intervento, non senza aver gridato e battuto i piedi per cercare di farsi ascoltare davanti a migliaia di operai, quando questi lanciarono il coro: “Ne abbiamo abbastanza di farci addormentare dai vostri discorsi! Chiedia­ mo al compagno II Modesto di venire alla tribuna, lui saprà rispondervi!” Quando ebbi finito di rispondere a Bubnov (Nikiforo­ va aveva risposto a Kaskin), la massa degli operai fischiò i due bolsce­ vichi, urlandomi: “Compagno II Modesto, cacciateli dalla tribuna!”i2 Dopo questi incontri, Makhno e Nikiforova presero delle stra­ de diverse. Makhno e gli altri rifugiati di Huljaj Pole decisero di rientrare a casa e di condurre una guerra partigiana contro le armate austro-tedesche e la Rada Centrale. Quanto a Marus- sia, partì per il fronte esterno, sostenuta da diversi compagni di Huljaj Pole che si erano aggiunti alla Druzhina. Dopo aver tenuto Rostov sul Don, la pressione tedesca costrinse presto gli anarchici e i bolscevichi a battere in ritirata. Già che cerano, nelle banche locali gli anarchici si impossessarono al volo di preziosi documenti - titoli di proprietà, contratti di prestito e obbligazioni -, che bruciarono in un falò nella piazza prin­ cipale della città (alcuni non mancarono di notare che la carta moneta fu risparmiata...). Un testimone oculare descrive così l’equipaggio di Maria Ni­ kiforova in quel periodo: “somigliavano a degli spagnoli con i loro

41. Nestor Makhno. 42. Nestor Makhno. 59 capelli lunghi e le loro cappe nere... Un paio di grandi pistole uscivano dalle loro cinture, portavano delle granate nelle loro tasche. Ipiù gio­ vani portavano dei pantaloni larghi e dei braccialetti in oro...” Nell’autunno del 1918, l’avanzata tedesca fu finalmente blocca­ ta, e anche la lunga ritirata potè cessare. Ciò nonostante, i bol- scevichi controllavano ora vasti territori dov’erano preponde­ ranti in numero, e dove potevano disarmare senza rischio gli anarchici. Maria Nikiforova vide ciò che stava per avvenire e non cadde nella trappola. La Druzhina intraprese un pericolo­ so viaggio verso Nord, attraverso la regione del Don, muoven­ dosi lungo una linea ferroviaria in parte controllata dai bianchi e dai Cosacchi, per raggiungere la città russa di Voronez, dove si era appena formato un nuovo fronte. È difficile seguire l’attività di Maria Nikiforova durante i mesi seguenti. Tutto ciò che si sa è che la Druzhina si recò in un cer­ to numero di città russe vicine alla frontiera, poiché i soldati tedeschi occuparono tutto il territorio dell’Ucraina. Nel novembre 1918, l’Impero tedesco crollò e all’interno delle sue frontiere scoppiò a sua volta la rivoluzione. L’armistizio firmato con le grandi potenze lo vincolava a ritirare il suo eser­ cito dall’Ucraina. Il governo Skoropadsky cadde rapidamente e, dopo un colpo di Stato a Kiev, fu sostituito dal Direttorio, un gruppo di nazionalisti guidato da Simon Petljura. I contadini e gli operai dell’Ucraina erano sfiniti. Liberatisi delle truppe d’occupazione tedesche, restavano comunque sotto la minac­ cia delle ambizioni tanto dei nazionalisti che dei rossi e dei bianchi. Nell’autunno 1918, la Druzhina partecipò ad una forza mista che riprese Odessa ai bianchi, che si erano impadroniti della città durante il vuoto di potere provocato dalla ritirata dei sol­ dati tedeschi. Nikiforova ne approfittò per incendiare la pri­ gione della città. Questa conquista fu di breve durata, poiché l’intervento congiunto degli eserciti greco e francese riprese a sua volta Odessa per offrirla questa volta ai nazionalisti ucraini.

60 UN INVERNO ODIOSO

lla fine del 1918, Maria Nikiforova arrivò nella città russa di Saratov, luogo di rifugio temporaneo per numerosi Aanarchici d’Ucraina. È là che fu nuovamente arrestata su ordine del soviet locale e che la Druzhina fu sciolta definiti­ vamente. Durante il “terrore rosso”, ufficializzato per decreto da settembre 1918 a febbraio 191943 (che permetteva di inviare in campi di concentramento o di fucilare in massa ogni poten­ ziale “n em ico”, col pretesto del tentativo di Fanny Kaplan, ex­ anarchica vicina ai SR, di assassinare Lenin il 30 agosto 191844), Marussia avrebbe potuto essere giustiziata senza processo molto facilmente. Ma i cekisti locali ebbero evidentemente qualche reticenza all’idea di abbattere sul posto un '“eroina della Rivoluzione' che aveva conosciuto Lenin a Parigi. Nikiforova fu quindi trasferita a Mosca e rinchiusa nella pri­ gione di Butirki (dove Makhno aveva passato dei lunghi anni), prima di essere rapidamente rilasciata su cauzione. L’anarchi­ co Karelin45 e il bolscevico Antonov-Ovseenko si erano en-

43. Ecco il testo del decreto, privo di ambiguità: “Il 5 settembre 1918, il Consi­ glio dei commissari del popolo, avendo sentito il rapporto del presidente della Ceka panrussa di lotta contro la speculazione, la contro-rivoluzione e il sabo­ taggio, sull’attività di quest’ultima, considera che, data la situazione, è di pri­ maria necessità che la sicurezza delle retrovie sia garantita con il terrore. Per rinforzare l’attività della Ceka panrussa è quindi indispensabile che vi venga inserito il maggior numero possibile di compagni responsabili del partito. Allo stesso modo, per proteggere la Repubblica sovietica dai suoi nemici di classe, è necessario isolare questi ultimi in campi di concentramento. Tutte le persone implicate in organizzazioni di guardie bianche, in complotti o ribellioni, devo­ no essere fucilate. Infine, è indispensabile pubblicare i nomi di tutti i fucilati e le cause dell’applicazione della misura che li ha colpiti”, pubblicato in Izvestija, n°195,10 settembre 1918, citato da Jacques Baynac (dir.), La Terreur sous Lenin, Parigi, 2003 (1975), Livre de Poche. 44. Bisognerebbe anche citare diverse esecuzioni condotte da SR, come quel­ la di Volodarski, bolscevico di alto rango, a Pietrogrado nel giugno 1918, quella del conte von Mirbach, ambasciatore di Germania, il mese seguente, e quella di Mikhail Ouritski, capo della Ceka, alla fine del mese di agosto. 45. Apollon Andreievitch Karelin, nato a San Pietroburgo nel 1863 da una fami­ glia aristocratica, ebbe molto presto problemi con la giustizia. Quando lo zar Alessandro II fu ucciso da La Volontà del popolo nel 1881, il giovane diciottenne fu arrestato a causa della sua partecipazione al movimento studentesco, quindi inviato alla fortezza di Pietro e Paolo a San Pietroburgo. Le azioni intraprese dai suoi genitori lo fecero uscire. Fu allora autorizzato a studiare diritto all’universi­ tà di Kazan’. Aderì però nuovamente ad un circolo populista e si lanciò in attività clandestine di propaganda, il che gli valse lunghi anni di prigione e di esilio. Nel 1905, Karelin evase dalla Siberia e passò a Parigi i dodici anni che separarono le due rivoluzioni russe. Là ne approfittò per fondare il proprio piccolo circolo di esiliati, che prese il nome di Fraternità dei comunisti liberi. Di ritorno in Rus-

61 trambi fatti garanti della sua buona condotta. A Mosca rivide anche il marito Bzhostek, che aveva seguito un percorso di­ verso dal suo in Ucraina. Come altri rivoluzionari provenienti dall’ex Impero russo, aveva fatto la scelta di collaborare atti­ vamente con il regime bolscevico e occupava ormai un posto importante nella nuova amministrazione. In attesa del processo, Marussia riprese gusto per la pittura e la scultura, che aveva trascurato dopo la stagione parigina, iscri­ vendosi, contro ogni aspettativa, al Proletkult, l’organizzazio­ ne ufficiale destinata a “gettare le basi di un’arte proletaria liberata da ogni influenza borghese”. A Mosca, nel dicembre 1918, assistette anche al primo C ongres­ so della Federazione panrussa degli anarco-comunisti. Questa or­ ganizzazione era stata creata nel marzo dello stesso anno per riunire tutti gli anarchici all’interno di una stessa federazione. Durante il congresso, Karelin difese la collaborazione con il potere sovietico. Venne letto un rapporto su “gli anarchici e il potere sovietico ”, che argomentava in favore di questa opzione. Il rapporto sosteneva la necessità che gli anarchici lavorassero nei soviet e nei comitati di fabbrica per non limitare le critiche al campo delle idee, ma metterle in opera nella pratica. Nel momento in cui la contro-rivoluzione avanzava ovunque, non bisognava avere paura di trovarsi insieme ai bolscevichi in un fronte comune, continuava il rapporto, poiché gli anarchici per definizione non potevano essere interessati al potere: ciò che li guidava era la gente. Inoltre, i compagni non poteva­ no opporsi ai bolscevichi nella stessa maniera in cui avevano

sia nell’agosto 1917, si unì alla Federazione dei gruppi anarchici di Pietrogrado che coordinava la maggior parte dei gruppi anarco-comunisti della capitale e dei dintorni. Scriveva sul suo quotidiano Burevestnik (25.000 copie), in particolare analisi delle questioni economiche e sociali. Come tutti gli anarco-comunisti, diffondeva idee ostili sia ai sindacati che a ogni regime parlamentare, difenden­ do lo sviluppo di una federazione di comuni libere. Nelle sale di riunioni e nelle assemblee operaie cittadine, Karelin sviluppava soggetti quali “Come organizzare una vita per i lavoratori senza autorità e senza parlamento’’. Dopo essersi battuti per istituire un’assemblea costituente, averla sciolta nel gennaio 1918, poi, in febbraio, aver approvato un decreto che affidava tutte le terre allo Stato, in marzo i bolscevichi trasferirono la sede del governo a Mo­ sca. Lo stesso mese, anche Karelin traslocò nella nuova capitale, prima di creare una nuova organizzazione in aprile, questa volta pro-bolscevica: la Federazione panrussa degli anarco-comunisti (1918-1921). Fu ricompensato con un seggio al Co­ mitato centrale esecutivo dei soviet. Uno degli obiettivi della sua organizzazio­ ne era di riunire tutti i compagni favorevoli alla cooperazione con il governo. Questo significava specialmente affermare la necessità della “dittatura sovietica" per stroncare le forze della reazione, come “tappa necessaria” verso una società anarchica libera. Karelin morì nel 1926 di emorragia cerebrale, mentre da lunghi anni migliaia di compagni marcivano nelle galere del regime, venivano assassinati o costretti all’esilio.

62 combattuto lo zarismo. Dato che il potere era di diversa natura e si opponeva alla borghesia, l’antico “terrore" non era adegua­ to. I partecipanti a questo congresso non erano tutti d’accordo con la linea difesa da Karelin. Alcuni compagni riconoscevano l’opportunità di entrare nei soviet e nei comitati per “non ta ­ gliarsi fuori dalle masse", ma sottolineavano anche che il lavoro pratico al loro interno era diventato impossibile a causa della loro trasformazione in organi amministrativi. Altri trovavano che partecipare a queste istanze fosse assolutamente impos­ sibile e inutile, e perfino nocivo: tutte le iniziative di massa vi erano ormai soffocate, e gli anarchici integrati non erano in grado di fare molto per sostenerle. Erano ridotti a ricoprire il ruolo di funzionari zelanti, poiché alla minima contestazione sarebbero stati immediatamente dichiarati contro-rivoluzio­ nari. Le stesse divergenze si riscontrarono sulla questione del­ la partecipazione ai sindacati. Gli anarchici presenti al congresso non poterono quindi met­ tersi d’accordo su alcuna risoluzione comune quanto alle “rela ­ zioni degli anarchici con il potere sovietico". Per salvare il tentativo di unificazione, affermarono giusto che il problema non pote­ va essere posto che nella pratica, in funzione delle circostan­ ze e dei compagni interessati. Da parte sua, Maria Nikiforova, in un intervento molto breve, difese la possibilità di lavorare solamente nei soviet che “vanno con le masse, il che suppone che ciascuno possa seguire la propria libera coscienza”46, secondo la re­ lazione della seduta. Soprattutto, durante questo congresso, Marussia presentò so­ pratutto un rapporto sulle attività condotte dai compagni in Ucraina: “Le attività degli anarchici in questo luogo, da dove ci è arrivata una lettera, non hanno avuto unicamente un aspetto non armato, ma anche uno combattente. L ’azione non armata si è espres­ sa tramite l’ampia diffusione delle idee anarchiche, il che ha portato all’organizzazione da parte della classe operaia stessa della fabbrica di produzione di materiale agricolo così come dell’asilo infantile, e alla gestione delle grandi imprese industriali (miniere) da parte dei lavoratori. Quanto all’attività armata, si è tradotta nella lotta contro le guardie bianche e il disarmo dei reggimenti dell’antico esercito (del regime). Tutto ciò è stato accompagnato da un generoso slancio di sim­ patia da parte della popolazione, ma, spesso, anche dall’opposizione dei bolscevichi. Tuttavia, e malgrado questi ultimi, gli anarchici sono stati all’avanguardia in tutte le azioni rivoluzionarie. Attualmente, le

46. Vedere Pervyi vserossyikyi syezd anarkhistov-kommunistov (protokoly) Moska, 25-28 dekabrya 1918 [Congresso degli anarchici-comunisti a Mosca (resoconto/verbale/...), 25-28 dicembre 1918], Anarkhisti: Dokumenty i materialy (Anarchici: documenti e materiali), Rossiyskaya politicheskaya entsiklopediya (Mosca), voi. 2 (1917-1935), 1999, n°350. 63 attività degli anarchici in Ucraina sono orientate verso la clandesti­ nità. Pubblicano il giornale “”e, clandestinamente, “Battere il ferro finché è caldo”. Accogliendo con entusiasmo lo svolgimento del presente congresso, gli anarchici d ’Ucraina propongono che vengano fa tti tutti gli sforzi possibili per unirsi, svolgere attività più produttive e gettare le basi di un’organizzazione anarchica comune”47. Il rap­ porto di Marussia taceva gli espropri condotti dagli anarchici, e più generalmente le attività che avrebbero potuto istigare la repressione dei bolscevichi, ma non nascondeva le difficoltà riscontrate di fronte al nuovo potere e manteneva ugualmente uno stile offensivo. In un altro momento del congresso, il tono di Maria Nikiforo- va fu più moderato. Così, in un’altro dei suoi interventi, invitò i compagni a “chiarire i loro errori”, e li esortò a dare prova di continuità piuttosto che di “limitarsi ai grandi momenti”, affer­ mando che ‘‘sacrificare la propria persona è più facile che lavorare in maniera costante per realizzare degli obiettivi definiti”. Mentre non opponeva azione armata e non armata in Ucraina, in questo intervento non fece che una sola proposta pratica per la capi­ tale russa: “A Mosca, per esempio, dovremmo creare una rete di orti su base comunista. Sarebbe il miglior modo di fare agitazione tra le persone, che sono per essenza naturalmente anarchiche”. Dopo l’or­ ribile prigione di Butirki e in attesa del processo davanti a un “tribunale rivoluzionario d ’onore”, previsto per l’inizio dell’anno successivo, Marussia sembrava essersi provvisoriamente volta verso attività di altro genere... Durante le udienze del 21 e del 23 gennaio 1919 del processo condotto contro di lei, i bolscevichi, spinti dal governo sovieti­ co ucraino in esilio, non poterono trattenersi dall’accusarla di crimini per i quali era già stata assolta a Taganrog. Secondo il presidente di questa commissione, Yury Piatakov, la Druzhina “aveva disorganizzato la difesa contro i tedeschi e i bianchi” e Ma­ russia nello specifico “dietro la maschera di difensore del proleta­ riato, aveva passato il tempo a occuparsi di saccheggi. Non è altro che un bandito che ha operato sotto la bandiera del potere sovietico.” Secondo l’atto di accusa, “M. Nikiforova, senza il consenso dei so­ viet locali, ha effettuato in molte città requisizioni in negozi di quar­ tiere, m agazzini e società private; imposto pesanti contributi in dena­ ro a proprietari terrieri; e recuperato fucili e altre armi abbandonate dagli haidamakas. Quando i soviet locali hanno protestato, lei li ha minacciati, circondando gli edifici dei soviet con mitragliatrici e ar­ restando i membri dei comitati esecutivi. La sua brigata ha abbattuto un comandante di truppa e ha condannato alla fucilazione il presi­ dente del soviet di Elisavetgrad e altri per non aver obbedito ai suoi

47. Ibid.

64 o r d in i” Karelin venne alla sbarra in quanto testimone di moralità, de­ scrivendola come disinteressata: “tutto ciò che aveva, lo donava, anche a compagni che conosceva a malapena. Non avrebbe tenuto un copeco per sé. Donava tutto...” Aggiunse che non beveva una goc­ cia d’alcol. Il verdetto fu pubblicato sulla Pravda il 25 gennaio 1919. Ma­ russia Nikiforova fu riconosciuta colpevole di “screditare ilpote- re sovietico in diversi casi con i fa tti e le gesta suoi e della sua brigata, e di insubordinazione nei confronti dei soviet locali nel campo degli affari m ilita ri Fu invece assolta per i saccheggi e le requisizio­ ni illegali. Per questi “r e a ti”, avrebbe potuto facilmente essere fucilata. Ma il tribunale la condannò unicamente “alla privazione del diritto di occupare posti di responsabilità per sei mesi, a partire dalla data della sentenza.” Il tribunale motivò il suo verdetto precisando che aveva tenuto conto dei servigi che Nikiforova aveva reso alla rivoluzione.

65 RITORNO A HULJAJ-POLE

onostante la condanna fosse leggera, a Marussia sem­ brava decisamente troppo pesante. Sei mesi erano lun­ N ghi in una situazione in continuo cambiamento. Così, appena fu pronunciato il verdetto, prese la strada di Huljaj Pole, dove Makhno aveva difeso con le unghie e con i denti un’enclave libertaria, cacciando dalla regione i bianchi e i na­ zionalisti. Da novembre 1918, con la ritirata delle truppe au­ stro-tedesche, era un vero e proprio luogo di sperimentazione. La proprietà era stata abolita: una delle decisioni del congres­ so contadino del distretto precisava “la terra non è di nessuno, e possono utilizzarla solo coloro che la lavorano". Nel marzo 1919, la più importante di queste comuni, chiamata Rosa Luxemburg, raggruppava quaranta famiglie. Nel borgo c’erano tre scuole superiori, asili, dieci ospedali ospitanti 1.000 feriti, senza con­ tare le fabbriche di materiale agricolo, le officine di riparazio­ ne, ecc. Rispetto ai territori controllati dai bianchi o dai rossi, l’aspetto notevole fu che gli anarchici si rifiutarono di istitu­ ire una coscrizione obbligatoria. L’arruolamento si faceva su una base “v o lo n ta r ia ” e “ugualitaria ”, affinché “t lavori agricoli di base potessero continuare ad essere assicurati". Questo metodo non impedì un afflusso importante di volontari (alfinizio del 1919 cerano circa30.000 combattenti e 70.000 riservisti). Più che i volontari, erano le armi e le munizioni che scarseggiavano ter­ ribilmente: gli insorti non avevano che un fucile ogni quattro persone e quasi nessuna cartuccia di riserva. Messi con le spalle al muro dai bianchi e desiderosi di ottenere gli armamenti e il materiale militare necessario (che alla fine ottennero in quan­ tità trascurabile), i makhnovisti si decisero a firmare un nuovo accordo con i bolscevichi nel febbraio 1919. A breve termine, i piani di Makhno non prevedevano di metterseli contro, e non fu quindi particolarmente contento di veder arrivare all’im­ provviso Marussia, viste le sue ormai pessime relazioni con il potere. Makhno le fece anche chiaramente comprendere che intendeva rispettare i termini della sua condanna, invitandola ad impegnarsi nelle scuole e negli ospedali piuttosto che nelle questioni militari. Un primo incidente accadde durante il congresso dei soviet di Huljaj Pole che si tenne nella primavera del 1919. Anche se Makhno non l’ha riportato nelle sue M em orie, uno dei suoi as­ sistenti, Chubenko, non ha mancato di annotarlo sul suo dia­ rio: “Quando fu convocato il congresso, arrivò da Mosca la celebre anarchica Marussia Nikiforova, che richiese senza giri di parole di

66 poter fare un resoconto su “ciò che si fa al Nord”, cioè a Mosca, da dove era appena arrivata. Quando parlò, riportò solamente il fatto di esser stata arrestata e condannata a sei mesi con la condizionale. Ovviamente, tutto ciò fu male interpretato dai contadini e dai soldati dell’Arm ata Rossa, che protestarono, sostenendo che “si aspettavano del concreto e non che raccontasse loro che delle storie che facevano dormire in piedi”. In casi simili, Makhno amava cattu­ rare l’attenzione dei contadini, e dichiarò all’assemblea che “se i co­ munisti avevano giudicato Nikiforova, è perché avevano delle buone ragioni per farlo e lei se l’era meritato, e che il nostro problema era di combattere e di vincere i bianchi, e non di determinare chi poteva avere torto o ragione in questo caso”48. Maria Nikiforova non potè continuare oltre il proprio discorso e dovette scendere dalla pedana dietro le pressioni insistenti di Makhno. Questo alterco si ricollegava a un dilemma che agitava nume­ rosi anarchici: bisognava stipulare un’alleanza con i bolsce- vichi nella lotta contro i bianchi? Da un lato, certi compagni condannavano la politica repressiva portata avanti dal governo rosso, ma l’eventuale vittoria dei bianchi sembrava loro una prospettiva ancora più terribile. Dall’altro, un sostegno attivo ai bolscevichi o semplicemente una benevola neutralità poteva permettere loro di piazzarsi stabilmente al potere, tanto e così bene che sarebbe diventato impossibile farli sloggiare. Diversi orientamenti vennero a galla in seno al movimento anarchico, da azioni di resistenza armata contro i nuovi padroni alla par­ tecipazione a posti di potere in seno alle istituzioni sovietiche, passando per proteste scritte o ancora accordi puntuali. La situazione era infatti più che critica. I bolscevichi occupa­ vano le città di Charkiv e di Kiev, dove avevano instaurato un governo sovietico ucraino, presieduto da Christjan Rakovskij. Al momento, una delle loro priorità era la ristrutturazione dell’Armata Rossa in Ucraina sul modello russo. Fucilando o scartando i vecchi comandanti, affiancando a ogni reggimen­ to un commissario politico, volevano trasformare gli insorti armati in una massa servile e obbediente di soldati. Per assi­ curare il rifornimento delle città, il nuovo potere organizzava anche gruppi mobili di requisizione per prelevare prodotti e cibo dalla popolazione, fucilando all’occorrenza i recalcitranti

48. Doc n°443, Dnevik Alekseya Chubenko (adyutanta Makhno), Biografiya Makhno i Makhnovshchina [Diario di Alexei Chubenko (aiutante di cam­ po di Makhno) Biografia di Makhno e della Makhnovcina] in Nestor Makhno: krest’ianskoe dvizhenie na Ukraine. 1918-1921. Dokumenty i materialy (Nestor Makhno, Il movimento contadino in Ucraina. 1918-1921. Documenti e materia­ li), Pod red. V. Danilova i T. Shanina, Rossiyskaya politicheskaya entsiklopediya (Mosca), 2006.

67 e dando fuoco alle loro abitazioni. Questi metodi provocarono numerose rivolte e insurrezioni contadine, che furono repres­ se nel sangue. Infine, ovunque arrivasse, l’Armata Rossa era seguita dalla Ceka che si dedicava immediatamente a purghe “p r e v e n tiv e ”, uccidendo tutti coloro che venivano considerati potenziali nemici del regime, spesso su semplice denuncia. Dall’altra parte, l’avanzata dell’esercito nazionalista di Petljura si accompagnava a numerosi pogrom. Tra il 1918 e il 1920, solo in Ucraina, non vi furono meno di 100.000 ebrei massacrati, migliaia di donne violentate, centinaia di villaggi saccheggia­ ti e incendiati. Gli altri eserciti bianchi non erano da meno. Anche nel gennaio 1919, quando 2.000 fanti e 800 cavalieri - truppe d’élite reclutate tra i cosacchi del Don e i ceceni del Caucaso - marciarono in direzione di Huljaj Pole sotto il co­ mando del generale Mai-Maievsky, i combattimenti furono di una crudeltà incredibile. Gli uomini fuggivano nei campi e nelle foreste, poiché quelli che restavano venivano fucilati o arruolati a forza, mentre numerose donne venivano violentate dai soldati. Tuttavia, i contadini costretti ad unirsi alle armate bianchi successivamente disertarono in massa, cosicché nu­ merosi luoghi furono liberati praticamente senza combatti­ mento. In questa situazione, Marussia e Makhno continuarono a lavo­ rare insieme nonostante le divergenze che potevano avere. Ni- kiforova faceva dei viaggi a Aleksandrovsk, città teoricamente sotto il controllo bolscevico, ma dove i makhnovisti continua­ vano a mantenere e sviluppare dei legami. La risposta dei bol- scevichi al suo lavoro di agitazione consistette nell’arrestare gli anarchici presso i quali era passata, anche se ufficialmente non era riconosciuta quale nemico del potere sovietico. Nella primavera del 1919, Huljaj Pole ricevette la visita di di­ versi alti dirigenti bolscevichi, tra cui Antonov-Ovseenko, e Kliment Vorosilov49. Maria Nikiforova accompa­ gnò la delegazione, e di sfuggita fece pressione su Kamenev affinché il tribunale di Mosca riducesse la sua pena a tre mesi. Secondo alcuni compagni, la visita dei dirigenti bolscevichi avrebbe avuto un obiettivo meno insignificante di una sem­ plice visita di cortesia: avevano cercato di stabilire in che mo­

49. Su Vladimir Antonov-Ovseenko, si veda la nota relativa nel capitolo La Druzhina del combattimento libero. Quanto a Lev Kamenev e Kliment Vorosilov, sono fedeli della prima ora di Lenin, membri del POSDR dall’inizio degli anni 1900. Il primo, nel 1918, fu presidente del soviet supremo di Mosca e poco dopo vice-presidente del governo di Lenin. Quanto a Vorosilov, occupò il ruolo di Commissario del popolo agli affari interni in seno al governo provvisorio dell’U­ craina, oltre che di comandante contro le truppe d’occupazione tedesche nel 1918.

68 mento avrebbero smesso di servirsi dei makhnovisti come carne da cannone contro i bianchi, e come avrebbero proce­ duto alla loro liquidazione. Ciò nonostante, visti i rapporti e i telegrammi molto positivi trasmessi da queste celebrità bol­ sceviche ai propri superiori in seguito alla loro visita, questa ipotesi sembra poco probabile50. Semplicemente, il loro pa­ rere non era più in grado di cambiare la sorte che il potere serbava ai compagni, dato che né Lenin né Stalin erano dispo­ sti a tollerare l’esistenza di un’enclave anarchica aH’interno del territorio sovietico. Nel resto d’Ucraina, i bolscevichi avevano sciolto già da tempo tutte le organizzazioni anarchiche presen­ ti nelle città passate sotto il loro controllo. Avevano proibito ai compagni di fare riunioni o organizzare incontri, ne avevano fatto chiudere le tipografie e li arrestavano con qualsiasi prete­ sto. Ciò, d’altronde, portava un flusso costante di anarchici di queste città a confluire verso Huljaj Pole.

50. Avendo partecipato a questo incontri, Arsinov si domandò in seguito se Ka­ menev e Antonov-Ovseenko fossero sinceri, tanto più che, poco tempo dopo la loro venuta, un complotto contro Makhno e il suo stato maggiore fu sventato all’ultimo. Per maggiori precisazioni su questo punto, si veda Alexandre Skirda, Nestor Makhno, le cosaque libertaire (1888-1934). La guerre civile en Ukraine 1917- 1921, ed. de Paris (Parigi), giugno 1999, pp.127-134.

69 LA ROTTURA

el maggio 1919, dopo la aver scontato della sua pena, Maria Nikiforova si recò nel porto di Berdjans’k, sul Mar d’Azov. Ricostituì un nuovo distaccamento, com­ posto da una sessantina di anarchici provenienti da diverse città d’Ucraina e Russia, da cui erano stati cacciati dai rossi. Tra questi si trovava suo marito Bzhostek, ritornato in Ucraina non per andare a trovare sua moglie, ma per trovare insieme a lei dei combattenti esperti desiderosi di partecipare ad azio­ ni armate mirate. Fu egualmente raggiunta da compagni con qualche esperienza in materia, data dall’aver operato in seno ai “servizi di contro-informazione”51 makhnovisti (Chernyak, Ko- valevich, Sobolev...). Secondo le traduzioni dal russo, questo nuovo raggruppamento fu denominato “anarchici sotterranei’', “anarchici clandestini" o ancora “anarchici underground", anche se non furono essi ad adottare questo nome. Bisogna sottolineare che non erano i soli a fare questa scel­ ta. A Mosca stessa, durante l’estate 1918, alcune guardie nere che il mese precedente erano passate tra le maglie della Ceka, cercarono di impadronirsi della capitale con le armi ma, non trovando sufficiente appoggio, dovettero rinunciarvi. Alcuni andarono allora in altre regioni della Russia per raggiungere le enclavi che non erano ancora controllate dai bolscevichi, mentre altri lavorarono a ricostituire reti clandestine per lot­ tare contro i nuovi padroni. La repressione portata avanti dai bolscevichi a partire dall’aprile 1918 spinse infatti una parte dei compagni a riprendere i metodi di lotta utilizzati sotto l’auto­ crazia zarista. Come negli anni che seguirono l’insurrezione del 1905, in particolare nel Sud, si formarono gruppi che ope­ rarono anonimamente o sotto nomi diversi quali “U ragan o”, “M o rte”, ecc. Essi realizzarono degli espropri e degli attacchi, colpendo contemporaneamente bianchi, bolscevichi, nazio-

51. In russo Kontrrazvedka, il termine rinvia ad anarchici che incaricati di una serie di compiti specifici: sopralluoghi prima di un attacco; espropri di banche, grandi proprietari, casse di fabbriche, arsenali per raccogliere armi e denaro; collette di contributi e requisizioni per i distaccamenti neri dopo la liberazione di una città; raccolta di informazioni per conoscere i movimenti del nemico; ricerca di agenti al servizio dei bianchi, ecc. Se questa struttura può essere criti­ cata a causa della specializzazione e della gerarchizzazione che poteva indurre, la maniera di organizzarsi non aveva nulla in comune con quella dei “servizi" segreti così come organizzati dallo Stato o da gruppi autoritari. Non essendo fissa, questa si dispiegava ugualmente in funzione delle necessità. Questi uomini aveva spesso in comune una certa esperienza acquisita durante il loro passato di bezmotivniki o in seno alla scorta di Makhno (denominata “Sotnia nera").

70 nalisti ucraini e prima ancora le truppe tedesche, mentre a Ro- stov, Ekaterinoslav e Bijansk, riuscirono a far evadere i com­ pagni incarcerati. I loro manifesti e i loro volantini erano sen­ za ambiguità. Così, a Brjansk, nel luglio 1919, la Federazione degli anarchici invitava a sollevarsi contro la “violenza terribile’ instaurata dai “social-vampiri”, a distruggere questi “p a r a s s iti” torturatori, e più in generale a sbarazzarsi di tutti coloro che opprimono, a non affidare il proprio destino a nessuno “p e r creare l’anarchia e la comune’’52. All’inizio del mese di giugno 1919, Makhno e il suo stato mag­ giore furono dichiarati fuorilegge dallo Stato sovietico. Era un momento incredibilmente teso per gli anarchici in Ucraina. Combattendo una battaglia persa in partenza contro i bianchi ad est, venivano ora attaccati dai bolscevichi nelle retrovie. In queste condizioni, a Marussia la prospettiva di una guer­ ra frontale sembrava ormai suicida. Così decise di affrontare questi due nemici molto meglio equipaggiati in un’altra ma­ niera, ricostituendo delle reti armate clandestine, che, se non avevano il vantaggio del numero e delle armi, erano in grado di colpire a sorpresa e sferrare colpi non trascurabili. Ma pri­ ma di ogni cosa, aveva bisogno di fondi, e Makhno sembrava essere il più indicato per poterla aiutare sotto questo aspet­ to. Era già da qualche tempo che era seccato di non ricevere praticamente alcuna arma e munizione dai rossi, nonostante l’accordo stipulato, e che si rendeva bene conto di tutti i loro sotterfugi per imporre il loro potere. La loro alleanza si era consumata, Makhno era stato appena dichiarato fuorilegge e aveva ripreso la propria autonomia di azione. Maria Nikiforo-

52. Ecco l’appello completo, pubblicato nel luglio 1918 dalla Federazione degli anarchici di Brjansk: “Popolo, alzati! I social-vampiri bevono il tuo sangue! Coloro che un tempo reclamavano la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza stanno instaurando una violenza terribile! Oggi si fucilano i prigionieri senza sentenza, senza indagine, senza nemmeno i loro tribunali “rivoluzionari”... 1 bolscevichi sono diventati dei monarchici... Popolo! Sotto lo stivale del gendarme vengono schiacciati i tuoi sentimenti migliori, i tuoi desideri più giusti... Non c’è né libertà di espressione, né libertà di stampa, né libertà di dimora. Dappertutto non c’è che sangue, lamenti, lacrime e violenza... I tuoi nemici ti affamano per meglio vincerti... Popolo, sollevati orsù! Distruggi questi parassiti che ti torturano! Sbarazzati di coloro che ti opprimono! Crea da te la tua felicità... Non affidare il tuo destino a nessuno... Popolo, sollevati! Per creare l’anarchia e la comune!" Vestnik anarkhii, n°10, 14 luglio 1918, p.l, citato da Paul Avrich, Les anarchistes russes, Francois Maspero (Parigi), aprile 1979 (1967).

71 va e il suo nuovo gruppo lo raggiunsero quindi alla stazione di Tokmak nella speranza di ottenere il suo appoggio. Tuttavia, le cose non furono semplici come previsto, come ri­ porta il makhnovista Chubenko: “Quando fu ripresa Huljaj Fole, Makhno e la sua cerchia furono dichiarati fuorilegge. Fuorilegge o meno, d ’altronde, noi passavamo già tutto il nostro tempo al fronte. Makhno mi aveva inviato in missione a Tokmak perché definissi la contabilità con il nuovo capo del rifornimento, poiché il suo predeces­ sore, T. Olkhovik, era morto improvvisamente. Inviandomi, Makhno mi aveva esplicitato che se la contabilità non era stata tenuta corret­ tamente, mi avrebbe fucilato. Tutto ciò affinché “il potere sovietico non dica di noi che prendiamo denaro senza renderne conto”. Arrivato a Tokmak, consegnai immediatamente al capo del riforni­ mento la contabilità e il saldo di 482.600 rubli, e mi restavano an­ cora 3 milioni. Questo denaro era stato accumulato nella maniera seguente: presso la sezione di rifornimento della brigata vi era una commissione delle spese presieduta da Kachenko, il quale requisiva tutti i cavalli buoni senza pagare nulla, ma costituiva comunque dei documenti convalidanti il presunto acquisto. Era Makhno che impo­ neva queste procedure per mettere da parte del denaro in caso servisse. E è così che mi sono ritrovato con 3 milioni, riguardo ai quali Makhno aveva categoricamente ordinato di non cedere un solo copeco a chiun­ que senza il suo assenso. Mentre rimettevo la contabilità e Makhno era alfronte, arrivò l’anar­ chica M aria Nikiforova, che cominciò a interrogarmi sulla somma di denaro in mio possesso. Io le risposi che avevo 3 milioni che Makhno mi aveva vietato di cedere a chiunque. M i rispose che doveva prende­ re quel denaro per inviarlo a Mosca per un’organizzazione anarchi­ ca clandestina che esisteva già e aveva bisogno di mezzi. Bisognava quindi darglielo. Io le dissi che “quando Makhno tornerà, magari potrà anche prendere tutto, non era un mio problema, ma che nell’attesa non glielo avrei dato, perché mi aveva ordinato di non cedere un solo copeco”. Lei rispose che aveva con sé alla sta­ zione di Tokmak 30 terroristi anarchici, e che se non avessi ceduto, sarebbe passata sul mio cadavere e avrebbe proceduto ad un “espro­ prio”. Con queste parole, uscì dalla vagone dove si trovava la cassa con il denaro. In quel preciso momento, andai dall’impiegato di ser­ vizio in stazione e ordinai la partenza entro quindici minuti del mio vagone verso la stazione di Fedorovka, che si trovava a 50 verste a Sud-Ovest di Tokmak. E così fu. Dopo due giorni, Makhno ritornò dal fronte per organizzare lo stato maggiore della divisione, dato che era appena arrivato un nuovo comandante. Domandò subito mie notizie, e quando apprese che mi trovavo ormai a Fedorovka, mi telefonò e mi ordinò “di ritornare immediatamente a Tokmak”. Una volta arrivato sul posto, cominciò a inveire contro di me: perché ero partito ? Io mi misi a raccontargli il motivo, cioè che Nikiforova e i suoi 30 terroristi

72 avevano deciso di “espropriarm i” e che io ero solo, e avrebbero potuto prendere il denaro in ogni momento. Makhno mi ascoltò e disse: “Per una cosa simile, Nikiforova do­ vrebbe essere fucilata; poiché noi abbiamo bisogno di questo denaro per istigare l’insurrezione dietro le linee bianche, dal momento che i comunisti non ne saranno capaci.” In quello stesso istante entrò Marussia Nikiforova che domandò a Makhno di darle questo denaro, di cui aveva bisogno per sostenere l'attività clandestina a Mosca. Makhno, inizialmente, non disse una parola, poi cominciò ad insultarla e sfoderò la pistola. Avrebbe voluto sparare, ma evidentemente lei Vaveva intuito, poiché teneva già in mano la propria. Si insultarono reciprocamente a lungo, poi lei si mise a chiedere a Makhno di sganciare almeno ciò di cui lei e i suoi uomini avevano bisogno per compiere la strada di ritorno. All 'inizio Makhno non volle dare nulla, ma poi afferrò un mazzo di 1.000 banconote da 5 rubli in valuta imperiale, pensando che si trattasse di banconote sovietiche da 250 rubli, e quindi di avere 250.000 rubli e non i 5.000 che in realtà erano... Quindi prese questo mazzo e lo gettò dalla fine­ stra vicino alla quale stavano gli uomini di Marussia, e disse: “Pren­ dete questo denaro e filatevela, che non vi veda più qui! Andate dove vi pare, poco mi importa, poiché non siete per me che fonte di guai: errate come dei parassiti e non fate nulla, e anco­ ra bisogna nutrirvi e persino darvi del denaro! Sappiamo bene che genere di “terroristi” siete: degli scrocconi e niente più!” Ed espulse letteralmente Marussia Nikiforova dal vagone senza la­ sciarle un copeco.”.53 Secondo altre versioni, specialmente quella del makhnovista Belash54, in realtà Maria Nikiforova e i suoi sarebbe ripartiti con 250.000 rubli. Quale che sia l’importo di denaro recuperato, quel momento evidenziava due modalità di valutare una situazione in cui i compagni erano pressati sia dai bianchi che dai rossi. L’analisi di Makhno era che bisognava cercare di mantenere una certa capacità militare economizzando al massimo le proprie forze, mentre Maria Nikiforova voleva ricorrere ad altri metodi per lottare contro un’idra a più teste. L’inasprimento della repres­ sione portata avanti dai bolscevichi aveva finito per convincere Marussia e coloro che l’avevano raggiunta delfimportanza di riservare loro la stessa sorte dei bianchi. Ma oltre ad opporre una resistenza locale come facevano di già alcuni piccoli grup­ pi armati, il progetto di questi anarchici entrati in clandesti­ nità era soprattutto di cercare di metter fine alla guerra civile disarticolando i ranghi nemici, cioè colpendo i loro apici, con

53. Diario di Alexei Chubenko, Biografiya Makhno i Makhnovschina (Biografia di Makhno e della Makhnovcina), op. cit., pp. 754-755. 54. Viktor Belash, Dorogi Nestora Makhno (Le strade di Nestor Makhno), op. cit., p. 290.

73 attacchi esplosivi contro i quartieri generali delle armate bian­ che e rosse.

74 ANARCHICI UNDERGROUND

ikiforova e gli anarchici che si erano uniti a lei si divise­ ro in tre gruppi da una ventina di persone. Un gruppo N di quindici compagni, con Chernyak55 e Gromov, partì

55. Maxim Chernyak: nato nel 1883 in una famiglia ebrea povera di Hrodna, all’inizio degli anni 1900 partecipò, nei dintorni di Bialystock, alla federazione Chemoe Znamia (Bandiera Nera) che, nel 1904-1906, organizzò numerosi attacchi contro i rappresentanti dello Zar e la borghesia locale. Era molto vicino a uno dei suoi agitatori più notevoli, Vladimir Striga, che morì nel maggio 1906 nel bosco di Vincennes a Parigi in seguito all’esplosione accidentale di una delle sue bombe. Dopo l’insurrezione del 1905, nel 1907 Chernyak si esiliò in Francia, poi emigrò negli Stati Uniti con la sua compagna Rosa e i loro due figli, inizialmente a New York e quindi a Chicago. Lavorando sempre come autista, militò nella sezione in lingua russa degli IWW e in diversi gruppi anarchici. Ritornato in Russia con la sua famiglia nel 1917, giocò un ruolo importante tra gli operai del bacino del Donbass, dove organizzò un distaccamento di guardie nere per lottare contro i Cosacchi e i bianchi. Nell’autunno 1918, la sua unità fu inqua­ drata nell’Armata Rossa che si era appena formata. In quel periodo combattè con l’unità del marinaio anarchico Anatol Zelesnikov e organizzò un servizio di contro-informazione. Ai tempi era in stretta relazione con Lev Zadov, un anar­ chico del Donbass. Nel settembre 1918, in seguito a continui conflitti con i re­ sponsabili bolscevichi, lasciò il suo posto per andare ad organizzare la resistenza contro le forze tedesche di occupazione e le truppe dell’etmano nel Donbass. In dicembre, i suoi uomini aiutarono i bolscevichi a riprendere Kharkov. È in questo periodo che aderì alla confederazione anarchica Nabat, fondata nel novembre 1918, e che si unì alla Makhnovcina. Nel gennaio 1919, con Lev Za­ dov e il suo giovane fratello Danilo, accompagnò Viktor Belash a Huljaj Pole, dove organizzò il servizio di contro-informazione dell’armata insurrezionale makhnovista, ed entrò nel suo Consiglio militare rivoluzionario. Nel 1919, prese parte ai combattimenti contro le truppe di Denikin, e in febbraio fu delegato al 2° Congresso degli operai, contadini e combattenti organizzato dai makhnovisti a Huljaj Pole. Vi criticò in particolare i bolscevichi come “un pugno di gente che ha preso il potere e opprime tutto il paese". Nel marzo-aprile 1919, parte­ cipò all’occupazione dei porti di Berdjans’k, di Maripol’ e della costa d’Azov. A Berdjans’k, non tardò a entrare nuovamente in conflitto con i bolscevichi e la Ceka, di cui riuscì a sventare i complotti per assassinare Makhno e le principali figure del movimento. Dopo l’ordinanza n°1824, emanata da Trotsky nel giugno 1919, che metteva i makhnovisti fuori legge, fu obbligato a nascondersi. Si unì allora agli anarchici che, con Maria Nikiforova, desideravano realizzare degli attacchi mirati contro le autorità bolsceviche e i generali bianchi, ma anche effettuare delle operazioni per liberare i makhnovisti imprigionati. Con uno di questi gruppi, Charnyak si recò in Siberia per tentare di assassinare Kolcak ma, arrivato troppo tardi, si unì al movimento locale dei partigiani. Poi ritornò in Ucraina e nella zona makhnovista. Nel 1921, fu arrestato a Pietrogrado e trasferito alla prigione di Butirki a Mosca. Dopo 6 mesi di detenzione e uno sciopero della fame di 11 giorni, fu trasferito in Ucraina e rimesso a disposizione della Ceka. Nel maggio 1923 fu condannato a due anni di esilio interno nella regione di Narym (Tomsk). Dopo 28 giorni di

75 per la Siberia per far saltare il quartier generale del dittatore bianco Kolcak. Riuscirono a raggiungere i confini della Sibe­ ria, tuttavia non riuscirono a raggiungere Kolcak e finirono col fondersi col movimento di partigiani contro i bianchi. All’i­ nizio del mese di dicembre 1919, le autorità bolsceviche an­ nunciarono trionfalmente di aver smantellato nella regione di Shitkinsk una “cospirazione dei SR e degli anarchici", di cui il “capo" sarebbe lo stesso Gromov, che furono felici di giustizia­ re. Ma non riuscirono a mettere le mani su Chernyak, di cui un po’ più tardi si ritrovano le tracce in Ucraina. Il secondo gruppo, di cui facevano parte Nikiforova e Bzho- stek con altri venti compagni, si diresse verso la Crimea, a quel tempo sotto il controllo dei bianchi, con l’intenzione di far saltare il quartiere generale di Denikin, il capo delle armate bianche di tutta la Russia meridionale. In quel periodo, il suo quartier generale era situato a Rostov sul Don. Non si sa quasi nulla delle peregrinazioni di questo gruppo fino al tragico ar­ resto di Marussia e di suo marito a Sebastopoli, che vedremo nel prossimo capitolo. Quanto al terzo gruppo, che contava venticinque anarchici tra cui Kovalevich56, Sobolev e dodici lettoni, si recò al Nord, a Charkiv, per liberare dalla prigione i makhnovisti nelle mani dei bolscevichi e far saltare il quartier generale della Ceka. Sfortunatamente arrivarono troppo tardi: gli anarchici - tra cui una parte dei compagni più vicini a Makhno - erano già stati fucilati, mentre i cekisti avevano lasciato la città appena compiuto il misfatto. Per non lasciare questi omicidi senza risposta, il terzo gruppo meditò in un primo tempo di prendersela col governo pro­ bolscevico d’Ucraina, prima di decidere di raggiungere Mo­ sca per sviluppare una rete anarchica clandestina a livello na-

sciopero della fame, ottenne una liberazione provvisoria, poi un’autorizzazione a partire per l’estero con la sua famiglia. Inizialmente, Chernyak si recò a Varsavia, dove nel 1924 aprì un piccolo salone da parrucchiere e ristabilì i contatti con i membri del Nabat in Ucraina. Ritornò più volte in Unione sovietica per mantenere dei legami, ma fu arrestato dalla polizia polacca durante uno dei suoi viaggi. In seguito, Chernyak emigrò a Parigi, dove partecipò ad un gruppo di anarchici russi che pubblicava il giornale Deio Truda, animato specialmente da Makhno e Arsinov. In disaccordo con il progetto di Piattaforma, denunciò perfino uno dei membri del gruppo come agente della Ghepeù. Verso il 1930, Chernyak emigrò con la sua famiglia a Buenos Aires, dove si persero le sue tracce. 56. Kazimir Kovalevich, operaio delle ferrovie della regione di Mosca. Partecipò attivamente alla Federazione di Mosca. Abile agitatore e organizzatore, ebbe un ruolo di primo piano durante le giornate d’Ottobre a Mosca, quale membro del Comitato rivoluzionario dei Ferrovieri e del Comitato centrale panrusso dell’Unione dei Ferrovieri. Soggiornò diversi mesi in Ucraina nel 1919 e partecipò al movimento insurrezionale makhnovista.

76 zionale. Sobolev e Kovalevich furono presto raggiunti da altri compagni che avevano anche preso parte ai servizi di contro­ informazione makhnovisti, tra cui A. Baranowski, Y. Glazgone, M. Grechannikov e H. Tsintsiper. Una tale infrastruttura clan­ destina richiedeva nell’immediato delle risorse finanziarie. Ma gli anarchici non scelsero una banca qualsiasi per procurarse­ le. Furono niente meno che le tre più grandi che riuscirono a espropriare, cioè le tre banche “del popolo” di Mosca corso Dmitrovka, piazza Taganka e piazza Serpoukhova). Completa­ rono questa riscossione di fondi con diverse rapine a Mosca e nei dintorni. Infine, una parte di loro, con un gruppo di mas­ simalisti locali, assaltò anche la banca di Tuia, a circa duecen­ to chilometri dalla capitale. I compagni erano così riusciti ad espropriare decine di milioni di rubli per finanziare le loro at­ tività, rimettere in piedi una rete di tipografie clandestine, ap­ partamenti, documenti falsi, laboratori per fabbricare bombe, ecc., rete operante in una dozzina di città in Russia, Ucraina e persino Lettonia (il gruppo di dodici lettoni era infatti tornato là con una parte dei fondi raccolti)57 58. Una delle loro constatazioni era che, in rapporto alla macchina bolscevica, gli anarchici avevano perso molto peso, soprattutto sul terreno della propaganda. Raddoppiarono quindi gli sforzi diffondendo volantini, letteratura sovversiva e due numeri di un giornale incendiario chiamato A n a rk h iya . Il primo numero valutava la dittatura bolscevica come una delle peggiori tiran­ nie della storia russa: “Mai, si poteva leggere, ce stata una separa­ zione così netta come oggi tra oppressori e oppressi”56. Tra le azioni di agitazione che svilupparono in maniera intensa durante i quattro mesi della loro esistenza, troviamo opuscoli e volan­ tini come “Non bisogna attendere”, “La verità sulla Makhnovcina”, “D ove l’uscita?", di cui venivano diffusi tra i 10 e i 15.000 esem­ plari ad ogni tiratura (potevano esserci fino a quattro ristam­ pe successive). I volantini erano lasciati in strada o consegnati direttamente a lavoratori affini, che li facevano poi circolare sottobanco sul proprio luogo di lavoro. Ecco uno dei loro ultimi volantini, indirizzato ai bolscevichi, che riassume bene la posizione di questi compagni: “Siete al potere in Russia, ma cose cambiato? Le fabbriche e le terre non sono ancora nelle mani dei lavoratori, ma in quelle dello Stato- padrone. Il salariato, il male fondamentale dell’ordine borghese, con­

57. Secondo Vyacheslav Azarov, gli “Anarchici underground” disponevano di na­ scondigli a Mosca, Pietrogrado, Ivanovo-Voznesensk Tuia, Brjansk, Samara, ne­ gli Urali e in Ucraina. Si veda il suo articolo “Bomba dlya Kremlya” (Bomba per il Cremlino), 2006. 58. Anarkhiya, n°l, 29 settembre 1919, citata da Paul Avrich, Les anarchistes russes, op. cit., p. 216.

I l tinua ad esistere, è per questo che la fame, ilfreddo, e la disoccupazione sono inevitabili. A causa della “necessità di sopportare tutto "per un avvenire migliore, di difendere “ciò che è già stato guadagna­ to” si è creato un enorme apparato burocratico, il diritto di sciopero è abolito, i diritti di parola, di riunione e di stampa, sono soppressi. Voi generate uno sciovinismo militare rosso, ma che cos’ha la classe operaia da difendere? Voi dite che la borghesia è stata cacciata e che la classe operaia è al potere. Noi rispondiamo che al potere ce solo qualche operaio, e ancora si tratta di ex operai, separati dalla propria classe. Per definizione, gli oppressi non possono essere al potere, anche se il potere si proclama “proletario” il che è allora la più grande delle menzogne. Voi ci obietterete che anche voi volete l’anarchia, ma che bisogna prim a distruggere il nemico, e che poi il potere si disgregherà d a sé. Noi crediamo che voi possiate avere, personalmente, soggettivamente, le migliori intenzioni del mondo; ma oggettivamente, per natura, voi siete i rappresentanti della classe dei burocrati-funzionari, un gruppo di intellettuali improduttivi. Noi non prendiamo in considerazione la vostra insegna rossa ma so­ lamente i fatti, e vediamo che la vostra politica conduce a una vera e propria reazione all’interno del paese. Non c’è ancora nulla di rag­ giunto né di guadagnato, e non abbiamo nulla da difendere. Noi chiamiamo all’insurrezione immediata per il pane e la libertà, e difenderemo la libertà con le armi della libertà e non con quelle della schiavitù . L’attitudine degli anarchici non può essere che questa nei confronti di ogni potere “rivoluzionario” È proprio questa la differenza tra il socialismo e l’anarchismo; per noi, finché esiste un potere, nulla cam­ bia. I bolscevichi l’hanno compreso molto bene. Così nel suo opuscolo Anarchismo e comuniSmo, Preobrajenskii considera il prim o come libresco e “contro-rivoluzionario”’.’59 I compagni di Mosca avevano anche tessuto una rete di infor­ matori al Cremlino e fin nei ranghi della Ceka. Un giorno, uno degli impiegati di quest’ultima aveva mostrato loro un hotel dove abitavano una dozzina di agenti del suo servizio. Malgra­ do le precauzioni prese dagli anarchici, il proposito di elimi­ nare questi cekisti si diffuse e non ebbero il tempo di portare a termine il loro piano. Oltre alla diffusione di volantini e di opuscoli, questi compa­ gni erano intenzionati a passare rapidamente all’azione per colpire la macchina di propaganda bolscevica, di cui il par­ tito era senza dubbio la colonna portante. Per dare un’idea

59. Volantino riprodotto in Alexandre Skirda, Les anarchistes russes, les soviets et la revolution de 1917, op. cit., pp. 101-102. Preobrajenskii era il dirigente della Ceka a Mosca.

78 dell’importanza del lavoro di agitazione che poteva realizzare, in soli quattro mesi, da agosto a settembre 1919, il partito bol­ scevico aveva tenuto a Mosca 360 riunioni, 50 conferenze e 35 congressi. Un’attenzione particolare era rivolta al processo di ideologizzazione dell’Armata Rossa. Solo a Mosca, il partito faceva venire alle sue riunioni quasi 160.000 soldati al mese. Era una vera e propria mobilitazione permanente condotta dai commissari politici per irregimentare operai e contadini. Il 25 settembre 1919, un congresso del partito doveva riunire i più importanti responsabili di pubblicazioni, agitatori, rap­ presentanti di differenti quartieri della capitale, con i più alti dirigenti bolscevichi (Bucharin, Kamenev, Kollontaj, Yaroslavl, con la presenza attesa di Lenin). E, dettaglio non trascurabile, il congresso doveva tenersi in vicolo Léontiev, nella vecchia residenza della contessa Uvarova, che era anche stata l’antica sede del Comitato centrale dei socialisti-rivoluzionari di sini­ stra. Grazie a questa fortunata coincidenza, Tchérépanov, un SR di sinistra, aveva potuto fornirne le mappe dettagliate al suo vecchio amico, l’anarchico Kasimir Kovalevich, che sarà poi condannato quale istigatore dell’attentato. Azarov (Azov), un altro anarchico, aveva fabbricato una bomba di grande po­ tenza, nascosta in una cappelliera. Alla fine fu un compagno ucraino, Sobolev, che, verso le 21 lanciò l’ordigno dentro la fi­ nestra della sala riunioni. L’esplosione fu tale che una parte del tetto e del retro del palazzo si ritrovò nel giardino. Sulle 150 persone presenti all’assemblea, ci furono 12 morti e 55 feriti. Tra i morti, i più importanti erano Zagorsky, segretario del partito a Mosca che presiedeva la riunione, e Kropotov, mem­ bro del soviet di Mosca. Tra i feriti, figuravano diversi membri eminenti del partito: Bucharin, Stéklov, Olminsky, Pokrovsky, Yaroslavsky , A.F. Miasnikov (l’Armeno), Slutsky, Ya. E. Chliap- nikov. Lenin, invece, non era venuto. Il partito era furioso. Inizialmente pensò ad un’azione com­ messa da un contro-rivoluzionario qualunque, poi a delle guardie bianche terroriste, e per rappresaglia ordinò di fu­ cilare i nobili e i borghesi bianchi rinchiusi nelle prigioni e nei campi della capitale. L’ordine fu annullato il giorno dopo, ma durante la notte furono comunque giustiziati a migliaia. Il comitato di difesa di Mosca adottò nuove misure repressi­ ve, e la Ceka accrebbe ulteriormente la sorveglianza. I funerali furono l’occasione per i bolscevichi di spiegare un’imponente operazione di auto-promozione, con un corteo funebre che andava dalla Casa dei sindacati al Cremlino, seguito da discorsi di Trotsky, Kamenev, Zinov’ev e Kalenin che chiamavano alla delazione, mentre la stampa bolscevica conduceva una cam­ pagna per serrare i ranghi di fronte al nemico.

79 Qualche giorno più tardi, l’attacco fu rivendicato da un “C om i­ tato insurrezionale panrusso di partigiani rivoluzionari”-. “Cittadini e fratelli! La sera del 25 settembre 1919, all’assemblea del comitato del partito bolscevico di Mosca, veniva esaminata la questione di quali m ezzi di lotta adottare contro il popolo in rivolta. I padri bolscevichi si erano pronunciati all’unanimità per l’adozione di misure tra le più estreme contro gli operai, i contadini e i soldati rossi insorti, gli anarchici e i socialisti-rivoluzionari di sinistra, fino a voler decretare uno stato di emergenza a Mosca, con fucilazioni di massa. I piani dei bolscevichi sono s ta ti sven ta ti. Nel momento preciso del voto e dell’adozione di queste misure contro il popolo, i partigiani-insorti rivoluzionari hanno fatto saltare l’edificio del comitato moscovita del partito dei comunisti-bolscevichi. I resti di questo edificio sono il riparo adeguato per i rappresentanti del più che sanguinoso partito reazionario dei bolscevichi e dei commissari. Tale è la vendetta dei partigiani-insorti rivoluzionari contro i “cekisti” e i “commissari”, per le decine di migliaia di contadini, lavoratori e membri dell’intellighenzia laboriosa fucilati, per il tradimento dei makhnovisti d ’Ucraina, per le esecuzioni e gli arresti di anarchici, per lo scioglimento dei loro gruppi e federazioni in tutte le città e villaggi, per la chiusura di tutti i loro giornali e riviste. La rivoluzione è ancora tradita, a destra come a sinistra. Il dittatore Trotsky ha venduto l’Ucraina a Denikin, e i bolscevichi, non è un se­ greto, gli offriranno domani anche la Grande Russia. La reazione dei rossi e dei bianchi si mette di traverso sulla nostra strada, ognuno dei nostri passi è osservato, le spie formicolano dappertutto, l’individuo è ancora più oppresso che ai tempi dello zarismo; ovunque regnano la tortura, gli arresti, le perquisizioni e le fucilazioni per ogni minima protesta contro l’intimidazione dei commissari e dei cekisti. La gestio­ ne della produzione da parte dei lavoratori stessi è stata liquidata con la statalizzazione, l’industria e i trasporti sono in stato di disfacimen­ to, i campi non vengono seminati. Bisogna metter fine a questo regime barbaro. L ’anno scorso, con una serie di insurrezioni, le masse contadine hanno già dimostrato la loro determinazione ad annientare il potere dei commissari, ma né gli operai né l’Armata Rossa li hanno sostenuti. I contadini d ’Ucraina, di Siberia e della Grande Russia si sollevano ora nuovamente con­ tro la violenza del potere dei bianchi e dei rossi. L ’anarchico Makhno con un distaccamento di partigiani, ha riconquistato Ekaterinoslav, Aleksandrovsk, Synel’nykove, Debaltsevo e Melitopol’. Gli insorti di Siberia hanno rioccupato Tomsk e una serie di altre città e villaggi. Altrove in Grande Russia, le fila dei partigiani-insorti si ingrossano grazie all’arrivo di elementi dell’Armata Verde (individui rifugiatisi nelle foreste per evitare la coscrizione o la repressione) e dell’Armata Rossa, agendo in totale accordo con gli insorti rivoluzionari di Sibe-

80 ria, del Caucaso Nord, della Tauride e d ’Ucraina.

Il comunicato continua precisando i suoi obiettivi: Il nostro compito è di cancellare dalla faccia della terra l ’ordine della commissariocrazia e dei cekisti, e di instaurare una libera federazione panrussa di unioni di lavoratori e di masse oppresse. Fin d ’ora, noi stessi dobbiamo istituire nel paese un sistema libero, senza aspettare che siano definitivamente perse le conquiste della Rivoluzione d ’Ot- tobre. La terza rivoluzione sociale si avvicina. Lavoratori! Lasciate i ranghi dell’Armata Rossa di sangue, seguite l’esempio dei contadini che li hanno lasciati tutti. Unitevi alle fila dei partigiani. Contadini! Mobilitate le fila dei vostri distaccamenti di partigiani raddoppiando gli sforzi. Membri dell’Armata Rossa! Tenetevi pronti, e al segnale del Comitato insurrezionale panrusso dei partigiani rivoluzionari, rifiutatevi di eseguire gli ordini dei vostri commissari. Membri dell’Armata Verde! Abbandonate i terreni neutri, unitevi alle fila dei partigiani per la lotta contro la reazione rossa e bianca. Operai sovietici! Siate pronti a fermare il lavoro al segnale del Comi­ tato insurrezionale panrusso dei partigiani rivoluzionari. Il 17 giugno di quest’anno, il tribunale rivoluzionario militare ha fatto fucilare a Charkiv sette insorti: Mikhalev-Pavlenkov, Burbyga, Olejnik, Korobko, Kostine, Polounine, poi Dobroljubov e Ozerov. Il 25 settembre, i rivoluzionari insorti hanno vendicato i loro m orti facen­ do saltare il comitato dei bolscevichi di Mosca. Morte per morte! Il primo atto è stato compiuto, centinaia di altri se­ guiranno se i boia della rivoluzione non si disperdono da sé in tempo. Il Comitato insurrezionale panrusso pretende dalle autorità sovieti­ che la liberazione immediata di tutti i contadini, operai, anarchici e altri rivoluzionari arrestati. In caso di non ottemperanza, si riser­ va ogni libertà d ’azione. Ci saranno abbastanza bombe e dinamite. Lo spirito di Bakunin vive ancora in noi, e i nostri combattenti sono ancora capaci delle prodezze di Ravachol! La nostra vendetta per il popolo straziato e martirizzato non avrà fine. Unitevi tutti alle nostre fila ! I commissari arricchiti fuggono da tutti i fronti, e portano via con sé tutti i beni di valore, abbandonando i contadini e gli operai alla loro sorte. II nostro dovere è di organizzare la difesa della rivoluzione. Viva la rivolta rivoluzionaria! Abbasso i boia della rivoluzione! Viva la terza rivoluzione sociale!”60

60. Tradotto dal russo di Anarkhisti: Dokumenty i materialy (Anarchici: documen-

81 Mosca, 29 settembre 1919; sede del Partito Comunista prima dell’at­ tentato degli anarchici.

Dopo...

82 Dopo questo primo gesto plateale, i compagni entrati in clan­ destinità non avevano intenzione di arrestarsi su una così buo­ na strada. Il loro piano prevedeva di far saltare un mese più tardi il Cremlino con tutto il governo, riunito in occasione del secondo anniversario di O ttobre. Secondo i calcoli di Sobolev, questa impresa richiedeva una tonnellata di esplosivo. Uno dei compiti immediati era quindi di recuperarlo con discrezione in più punti del territorio per non attirare l’attenzione, poi di inviarla poco a poco da Brjansk, Tuia e Niznij Novgorod, per stoccarla in un deposito di Odincovo61. Allo stesso tempo, alcu­ ni dei compagni lavoravano ugualmente giorno e notte in un laboratorio posto in una dacia nei dintorni di Mosca (a Krasko- vo). Sfortunatamente, dato che anche i loro nemici si mobili­ tarono senza sosta per mettere le mani su di loro, il confronto ebbe luogo più presto del previsto. Alla fine del mese di ottobre del 1919, fu scoperto dalla Ceka un appartamento precedentemente utilizzato da Maria Ni- kiforova e utilizzato come nascondiglio. Venne organizzato un agguato per attirarvi Kovalevich. Ferito nello scambio di colpi, questi fu trasportato negli uffici della Ceka dove morì qualche ora più tardi. Anche altri anarchici della rete perirono nel difendersi dai cekisti venuti a braccarli nell’appartamen­ to di Voskhodov. Il sinistro servizio affermò di avervi trovato una “lista di membri” dell’organizzazione, che gli permise di smantellare il resto della rete. Secondo altre fonti più credibi­ li (che interesse avrebbero infatti avuto gli anarchici a tenere simili liste, proprio loro che non si organizzavano in partito, a maggior ragione essendo in clandestinità!), fu solo dopo un intenso lavoro di informazione che la Ceka comprese che l’organizzazione all’origine della bomba contro il congresso del comitato del partito implicava alcuni anarchici conosciu­ ti e altri entrati in clandestinità. Arrestarono un certo Tiamin che sarebbero riusciti a far parlare per avere nomi e indirizzi. L’appartamento di Tsintsiper sarebbe stato scoperto in questa maniera, portando alla morte di altri dieci anarchici nel corso di un’imboscata. Fu proprio presentandosi a questo indirizzo che anche il bravo lanciatore Sobolev venne ucciso, non sen­ za esser riuscito a lanciare un’ultima bomba nella borsa di un commissario di polizia che vi lasciò una mano. Ancora, in un altro nascondiglio situato in via di Riansk, altri sette compagni furono assassinati. Come la Ceka stessa dovette riconoscere in

ti e materiali), Rossiyskaya politicheskaya entsiklopediya (Mosca), voi. 2 (1917- 1935), 1999, doc. n°444, pp. 277-279. 61. Vyacheslav Azarov, Krontrrazvedka. The story of thè makhnovist intelligence Servi­ ce (Krontrrazvedka. La storia del servizio di contro informazione makhnovista), ed. Black Cat Press, Edmonton (Canada), 2008, p.17.

83 un rapporto successivo, nessun anarchico del gruppo “si è a rre ­ so senza opporre resistenza ”. L’ultimo nascondiglio a venir scoperto non era dei meno im­ portanti. Si trattava della dacia situata nei dintorni di Mosca che ospitava il laboratorio e la tipografia. Il 5 novembre 1919, la casa fu circondata da un’unità di trenta cekisti. Glazgone, Azarov, Ferrets, Lame, Mina e Dedikova resistettero più di due ore e mezza, sparando e lanciando bombe contro gli assalitori. Vedendo che la situazione era disperata, decisero di farsi salta­ re in aria portando con sé un buon numero di cekisti. Nonostante lo smantellamento della rete moscovita (una cin­ quantina di compagni), altri gruppi armati anarchici continua­ rono le loro attività in maniera sotterranea contro i nuovi pa­ droni, talvolta fino agli anni ’30, in diversi luoghi della Russia, in Lettonia, in Siberia e in Ucraina (specialmente a Charkiv, Kiev, Mariupol’, Berdjans’k, Odessa, Huljaj Pole e Ekaterino- slav). Ma questa pagina resta ancora in gran parte da scrivere.

84 NON PENSARE MALE DI ME”

li ultimi giorni di Maria Nikiforova sono stati oggetto di varie leggende, poiché pur vivendoci, erano pochi colo­ ro che potevano sapere cosa succedeva in Crimea bian­ ca. I makhnovisti Chudnov e Belash ne hanno dato versioni contraddittorie, come pure il bolscevico Antonov-Ovseenko, sebbene fosse comandante in capo dellArmata Rossa sul fron­ te Sud. Solo in questi ultimi anni dei nuovi documenti sono stati riesumati dagli archivi, e hanno permesso di chiarire il mistero. L’11 agosto 1919, Marussia e suo marito furono riconosciuti nelle strade di Sebastopoli e arrestati dalla polizia. Il resto del gruppo di Nikiforova, costatando a malincuore di non essere in grado di liberarli, si diresse verso la regione di Kuban per prendere parte alle attività dei partigiani. L’arresto di Marussia costituiva una prodezza per i servizi segreti bianchi, i quali si diedero da fare per un mese per riunire delle prove contro di lei (il che era diffcile durante una guerra civile). Il suo proces­ so, svoltosi davanti ad un semplice tribunale militare sotto la direzione del generale Subbotin, comandante della fortezza di Sebastopoli, si tenne il 16 settembre 1919. L’atto di accusa con­ tro i due anarchici precisava: “7. La persona che si fa chiamare M aria Grigor’evna Bzhostek, anche conosciuta sotto il nome di Marussia Nikiforova, è accusata dei reati seguenti: durante il periodo 1918-1919, mentre comandava un di­ staccamento di anarco-comunisti, di aver tirato dei colpi contro degli ufficiali e degli abitanti pacifici, e di aver chiamato a rappresaglie sanguinose e impietose “contro la borghesia e i contro-rivoluzionari”. P er esem pio: - nel 1918, tra le stazioni di Pereyezdna e di Leshchiska, diversi uf­ ficiali, specialmente l’ufficiale Grigorenko, sono stati fucilati su suo ordin e; - in novembre 1918, entrando nella città di Rostov sul Don con un distaccamento di anarchici, ha incitato la folla con i suoi appelli a fare delle rappresaglie sanguinose “contro la borghesia e i contro­ rivoluzionari”; - in dicembre 1918, alla testa di un distaccamento armato, ha par­ tecipato alla presa di Odessa a fianco delle truppe di Petljura [sic], prendendo in seguito parte all’incendio della prigione di Odessa e provocando così la morte del capo dei secondini Pereleshin; - in giugno 1919, nella città di Melitopol’, 26 persone sono state giu­ stiziate su suo ordine, tra cui un certo Timofei Rozhkov. Queste imputazioni riguardano crimini previsti dagli articoli 108 e

85 109 del codice penale dell’Armata dei volontari. IL Vitold Stanislav Bzhostek è accusato, non di aver preso parte ai crimini di cui alla parte I, ma di averne avuto conoscenza e di aver protetto M. Nikiforova dalle autorità”. I due accusati furono riconosciuti colpevoli e condannati alla pena di morte. Come indicato dalla parte II dell’atto d’accusa, V. Bzhostek fu giustiziato unicamente a causa del suo rapporto con Marussia. Secondo i giornalisti presenti al processo, Maria Nikiforova mantenne un’atteggiamento di sfida durante tutta l’udienza e insultò la corte dopo la lettura del dispositivo della sentenza. Non si demoralizzò che un breve istante, al momento di salu­ tare un’ultima volta il suo compagno di lunga data. II giornale II telegrafo di Aleksandrovsk (anche la sua città natale era in quel momento passata nelle mani dei bianchi) annun­ ciò vittoriosamente la sua esecuzione nella sua edizione del 20 settembre 1919: “un pilastro in più dell’anarchismo è stato abbattu­ to, un altro nero idolo è caduto con fracasso dal suo piedistallo... Delle leggende correvano riguardo a questa “zarina dell’anarchismo”. Più volte fu ferita, più volte fu messa una taglia sulla sua testa. Ma come l’idra leggendaria, lei rispuntava sempre. Sopravviveva e riappariva ancora, pronta a versare sempre più sangue. E se oggi ancora nella nostra regione, la progenitura della Makhnovcina, i residui di questo male avvelenato, tentano tuttora di impedire la rinascita di una so­ cietà normale e si ostinano a voler ristabilire le regole sanguinose di Makhno, quest’ultimo colpo significa che stiamo assistendo alla loro cerimonia funebre ai piedi della tomba della Makhnovcina”. Due settimane dopo la pubblicazione di queste righe, l’arma­ ta insurrezionale makhnovista riprendeva Aleksandrovsk ai bianchi...

86 AFTER MAKHNO

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BCE Hft 60 C BftHflMTM3M0M! GLI ANARCHICI UNDERGROUND IN UCRAINA 1920-1930 Contorni di una storia DI A.V. DUBOVNIK

l periodo dopo la fine della guerra civile russa è ancora am­ piamente sconosciuto nella storia dei movimenti socialisti Iche si opposero ai bolscevichi. Apparentemente, tale situa­ zione è dovuta ad un enorme mancanza di fonti accessibili per essere studiate: un grande numero (noi ne siamo sicuri) di documenti archiviati sono custoditi dagli eredi del OGPU- NKVD, che permettono un accesso limitato alla maggioranza degli storici; le fonti “emigrate” (giornali, memorie, corrispon­ denze personali, etc...) sono anche loro soggette ad una scarsa circolazione tra gli storici. Gli studi della storia del movimento anarchico non rappresen­ tano un eccezione in questo senso. Solo molto recentemente è diventato chiaro che non si può ridurre il movimento anarchi­ co dopo il 1921 ad un movimento morente che stava sparendo, come invece era stato fatto dagli studiosi sovietici e interna­ zionali negli anni ’60 e ’80. Nella realtà gli anarchici continua­ rono le loro attività durante tutti gli anni ’20 ed in alcuni casi anche negli ’30 e, dal punto di vista dell’autore, il movimento anarchico ha avuto anche dei momenti di espansione più si­ gnificativi di quelli avvenuti nei periodi iniziali che vanno dal 1905 alle rivoluzioni del 1917. La creazione della vera storia del movimento socialista anti­ bolscevico rappresenta un progetto per il futuro. In questo te­ sto cercheremo di definire i contorni della storia dell’anarchi­ smo nell’Ucraina sovietica, contorni che sicuramente saranno riempiti da più dettagliate e precise ricerche. Nella visione comune l’anarchismo ucraino durante la guerra civile si identifica nel movimento makhnovista. Si pensa anche che tale movimento cessò di esistere subito dopo la partenza di Makhno dall’Ucraina o nel migliore dei casi tutto finì alcuni mesi dopo. Questa concezione è generalmente sbagliata e pro­ prio per questo dovremmo iniziare dalla Makhnovshchina. In realtà nel 1922 e nel 1923 distaccamenti indipendenti e gruppi clandestini makhnovisti continuarono ad operare nel Sud e nell’Est dell’Ucraina. Le possibilità e i risultati delle loro attività non si possono comparare con ciò che succedeva nel 1921, e i rapporti degli organi contro il banditismo indicano un gran numero di sconfitte e liquidazioni di gruppi makhnovi-

89 sti. Per esempio nel gennaio 1922 un distaccamento del reggi­ mento Bogucharsky dopo due battaglie nel distretto di Staro- belsky uyezd sconfìsse i gruppi di insorti di Zaitsev (più di 70 combattenti); Zaitsev stesso fu ucciso. Lo stesso mese nel vil­ laggio di Vozvizhenka nella zona di Huljaj Pole il gruppo clan­ destino di 11 persone fu arrestato e il loro leader Kulinichenko fu ucciso mentre tentava di scappare. In febbraio nella zona di Krivorozhsky il gruppo di insorti di Ivanov che contava 120 persone fu distrutto, nella region di Pooltava il distaccamento di Lontrov, forte di 200 combattenti, si arrese. A marzo nel­ la zona Gulyaypolsky un gruppo di insorti precedentemente amnistiati di 134 persone fu sconfitto e distrutto in battaglia e nel maggio gli insorti di Boiko furono sconfitti. Ciononostante, in quel periodo non ci furono solo sconfìtte per gli insorti makhnovisti. Nella primavera del 1922 il gruppo di insorti di Danilov intrapresero una serie di attacchi e rapine ai treni della linea ferroviaria tra Chaplino e Pologi. Nella zona di Volhinia un gruppo di makhnovisti di circa 30-50 persone, che secondo fintelligence sovietica erano entrati in Ucraina dalla Romania, compiva azioni. Al fianco di più o meno spora­ diche operazioni di guerriglia, rapine e distribuzione di pro­ paganda, ci furono pure casi che videro la formazione di nuovi distaccamenti di insorti makhnovisti, come ad esempio nell’a­ prile del 1922 nella regione di Genichesky, 32 persone giudate dal capo della milizia locale formò un nuovo distaccamento. Si potrebbe elencare un numero consistente di questi avveni­ menti. Ma ora non ci interessa elencare tali fatti. La cosa più importante è che la “Makhnovischina dopo Makhno” è una re­ altà storica e va studiata. Inoltre bisogna prendere atto che la questione di quando finì l’insurrezione makhnovista è ancora aperta, anche perché i documenti in possesso degli storici sono insufficienti. Per esempio, il sommario del dipartimento di intelligence delle forze dell’Ucraina sovietica, datato il 14 giugno 1922, menzio­ nava che nel territorio di Donetsk, Ekaterinoslav, Zaprozhye e Chernigov erano presenti “bande” di insorti, mentre nel mar­ zo 1923 nel territorio di Melitopolsky uyezd solo era riportata la presenza di 3 distaccamenti makhnovisti (guidati da Krivo- rotko, Kozakov e Kizolov), consistenti di oltre 30 persone. Ecco un altro esempio: le istruzioni del concilio permanente contro il banditismo dei commissari del popolo dell’Ucraina sovietica datato il 14 dicembre 1922, rimarca che il banditismo politico stava “degenerando” nella criminalità. Però 6 mesi dopo, il 23 maggio 1923, le istruzioni del comandante delle truppe e del GPU nel distretto militare ucraino recitano che “molte bande di insorti kulak agiscono nelle veci di criminali”.

90 Inoltre in questi rapporti vengono anche riportati i numeri dei componenti delle bande. Nel dicembre 1924 il GPU dell’Ucraina sovietica, adempiendo alla richiesta del concilio unito dei commissari del popolo, de­ cise di “schiacciare i rimanenti gruppi di banditi-guerriglieri” nel corso dell’anno seguente. Per ottenere ciò il GPU organiz­ zò gruppi d’assalto anti-banditismo. Erano tenuti ad elaborare entro il gennaio del 1925 piani operativi e ad ottenere infor­ mazioni esatte sul numero di banditi, le loro connessioni, basi e armamenti. Comunque, verso la metà degli anni ’20 l’insurrezione Makhnovista non era che un ricordo del precedente movi­ mento di massa, morente sotto i colpi delle spedizioni puni­ tive e decomponendosi a causa dell’isolamento in sempre più piccoli distaccamenti e bande. Invece, il movimento anarchico in generale, che principalmente era presente nelle città, riac­ quistò nuova forza in quel periodo. Ora tratteremo di questa storia. A giudicare dal materiale disponibile oggi, il 1922 fu l’ultimo anno dove le pratiche degli anarco-sindacalisti russi ed ucraini rimasero legali, pratiche nelle fabbriche e nei sindacati intese come organizzazione del movimento dei lavoratori. Per esempio, agli inizi del 1922 il sindacato anarchico di Eka- terinoslav erano ancora ancora sulla lista dei sindacati dei la­ voratori del cibo ma alla fine di marzo fu rimosso dopo una decisione del congresso provinciale dei sindacati. Fino all’autunno del 1922 gli anarcosindacalisti erano membri degli organi amministrativi dei sindacati minerari in una serie di villaggi del Donbass dove le idee della Prima Internazionale si erano diffuse nel 1917. Tra queste città ricordiamo Yuzovo, Lugansk e Gorlovka. Nel 1922 gli anarchici (non solo sindacalisti) erano attivi (legal­ mente e non) in altre città e regioni dell’Ucraina (Kiev, Odessa, Poltava, , Elisaventgrad, Nikolaev, Etc...). Però Khar- kov rimase la città più importante per gli anarchici ucraini. Nonostante gli arresti di massa di novembre e dicembre 1922 che, eseguiti dal GPU in tutta l’Urss, andarono a colpire e liqui­ dare anarchici e socialisti e le loro organizzazioni che finora erano sopravvissute, come la sezione russa degli anarco uni­ versalisti, gli anarchici di Kharkov riuscirono a far ripartire le loro attività nel 1923. All’inizio dell’anno vari circoli anarchici di Kharkov ristabili­ rono in tutta la città la loro organizzazione basandosi sul pro­ gramma della confederazione Nabat degli anarchici ucraina (Konfederatsiva Anarkhistov Ukrainy “Nabat”, KAU Nabat). Gli anarchici erano attivi in un numero di grandi lavori industria­

91 li, principalmente i lavori per la costruzione delle ferrovie, depositi ferroviari e la fabbrica VEK; tra le altre cose avevano parte attiva nei sindacati. All’istituto di tecnologia fu formato un gruppo di studenti; era guidato da Alexander Volodarskiy, recentemente amnistiato, e il giovane anarchico Boris Nemi- retskiy anche lui coinvolto in attività clandestine nell’archivio centrale degli impiegati in cui lavorava. Il vecchio anarchico Avenir Uryadov, che era stato condannato ai lavori forzati ai tempi dei zaristi e appena rilasciato dopo 3 anni di reclusione politica sovietica ottenne un lavoro come guidatore di tram e iniziò un attiva campagna di propaganda e agitazione tra gli operai e gli impiegati della società dei tram di Kharkov. Il vec­ chio anarchico Pètr Zakharov, che era membro della coopera­ tiva dei produttori, e Grigoriy Tsesnik gestivano il lavoro degli artigiani. Nel 1923 e 1924 i membri kharkoviti del Nabat portarono avanti con successo attività di propaganda tra le varie catego­ rie di lavoratori già citati e attrarrono sia giovani che vecchi proletari alla loro causa. Il gruppo pubblicava volantini e vo­ leva organizzare un laboratori clandestino per stampare. Per facilitare ciò l’ex leader della sezione giovanile anarchica di Elisavetgrad, Iuda Reidman, si fece assumere in una stamperia ma non riuscì ad ottenere i macchinari necessari. Il gruppo di Kharkov includeva non solo veterani del movi­ mento che avevano vissuto l’esperienza delle prigioni zariste e le difficoltà della guerra civile, fu rinforzato da una nuova ge­ nerazione di giovani anarchici. Ad esempio Grigoriy Diyakov di 20 anni che quando si unì al gruppo nel 1923 era respon­ sabile del lato economico della fabbrica di vodka e liquori di Kharkov. Fu arrestato nel marzo 1925 per la sua appartenenza agli “anarchici underground”. Il gruppo di Kharkov era connesso agli anarchici underground in altre città (Kiev, Ekaterinoslav, Nikolaev, Donbass etc...) e inoltre, va ricordato, che aveva connessioni con i massimalisti e i socialisti rivoluzionari di sinistra. Le connessioni con i so­ cialisti rivoluzionari erano mantenute tramite il noto attivista del Partito Socialista Rivoluzionario Vladimir Trutovsky che fu esiliato a Poltava nel 1925-1926 e guidava le attività clande­ stine dei socialisti rivoluzionari ucraini. Come gran parte dei membri del suo partito, lui si stava spostando quasi definitiva­ mente verso la direzione dellanarco-sindacalismo, riconobbe “la federazione senza stato di produttori e consumatori” come gli ideali dei socialisti rivoluzionari di sinistra. Gli anarchici ucraini erano attivi anche nelle piccole città, nella provincia di Chernigov era attiva l’Unione degli anarco- sindacalisti di Klinsty (Klintsevskiy Soyouz Anarkistov-Sindi-

92 kalistov). Dopo che l’Unione e le sue organizzazioni, club e li­ brerie, furono bandite dalle autorità nel 1921, l’organizzazione continuò a funzionare illegalmente, portando avanti assem­ blee e lavori di propaganda tra gli operai ed i giovani. Khaim Vaninsky, membro dell’Unione, manteneva connessioni con l’esiliato Segretariato degli anarco-sindacalisti della Confede­ razione Russa (Rossiyskaya Konfederatsiva Anarkistov-Sindi- kalistov, RKAS) e gli anarco-comunisti di Mosca. Dopo Kharkov, la seconda città più importante dove gli anar­ chici portarono avanti la lotta fu Odessa. Era un posto im­ portante per le attività degli anarchici ucraini sin dal 1904. Secondo la testimonianza del 1937 del noto anarchico Viktor Belash, makhnovista e membro del Nabat, il gruppo di Odes­ sa, grazie all’aiuto della leggendaria “nonna” dell’anarchismo ucraino e russo Olga Taratua, che fu liberata dall’esilio interno nel Nord della Russia agli inizi del 1924, stabilì un canale clan­ destino vicino Rovno sul confine sovietico-polacco. Usando questo “corridoio”, gli anarchici contrabbandarono letteratu­ ra nell’Urss, mandarono corrieri dentro e fuori l’Urss etc. Il “corridoio” di Rovno fu usato per gli anarchici di varie città: la “letteratura migrante” non fu consegnata solo in Ucraina ma anche a Mosca, Leningrad, Kursk, la regione del Volga etc. Una degli attivisti del Nabat di Kharkov, Pomeranets, attraversò il confine ripetutamente e mantenne connessioni regolari con il segretariato RKAS a Berlino e con i centri anarco-makhnovisti di Varsavia e Bucarest. Il rinnovo delle connessioni inter-regionali e lo smuoversi de­ gli anarchici underground gli convinse che era giunto il mo­ mento di tenere un congresso degli anarchici ucraini, il primo dal 1920. Il gruppo di Kharkov pianificò il congresso per l’ago­ sto 1924 ma le circostanze risultarono sfavorevoli per il loro piano. Verso la fine del 1923 e la prima metà del 1924 i membri del Nabat di Kharkov riuscirono ad organizzare e guidare scioperi nelle ferrovie e fabbriche. Le modalità degli scioperi non erano solo quelle classiche, ma anche quelle degli “scioperi all’italia­ na” (lavoro e regolamento). Le richieste di questi scioperi erano solitamente la riduzione della produzione e il rifiuto di aumen­ tarla (aumenti richiesti dalla nuova politica economica lenini­ sta). Nella maggior parte questi scioperi furono un successo. Ma l’aumento delle “azioni industriali” e la crescita del movi­ mento anarchico furono fermate dalla repressione del GPU. Nella primavera del 1924 furono colpiti i gruppi di anarchici underground a Yuzovo (il leader locale Otto Retovskiy fu con­ dannato all’esilio interno e alla prigione permanente), Polta- va (fu liquidato il gruppo che era guidato dal ex comandante

93 makhnovista Dimitriy Bozhko) e Klinsty. Nell’agosto 1924 una serie di arresti simultanei di anarchici distrusse il loro lavo­ ro clandestino a Kharkov, Kiev ed Ekaterinoslav. Verso la fine dell’anno solo a Kharkov furono 70 le persone arrestate con l’accusa di partecipare ad attività clandestine anarchiche. Gli elementi più attivi vennero sentenziati dal OGPU alla deten­ zione nel campo di scopo speciale di Solovki o agli isolatori politici, il resto furono mandati all’esilio interno e furono li­ mitate le loro possibilità di dimora. Gli arresti andarono avanti anche dopo. Nel febbraio 1925 un sommario del GPU ucraino riportava che gli organi del GPU scoprirono i gruppi di makhnovisti, interconnessi fra loro, ad Ekaterinoslav, Delaya Tserkov, Novograd-Volynsky, Mariupol’ e Berdyansk. Ovviamente il sommario riportava che questi gruppi vennero liquidati. Dopo gli arresti del 1924, a Kharkov rimase in piedi un grup­ po clandestino di anarchici che continuò il suo lavoro di pro­ paganda in maniera molto ridotta. Gli anarchici riuscirono a mantenere le loro connessioni con i gruppi esteri, continuaro­ no la propaganda verbale tra gli operai e gli impiegati e raccol­ sero soldi per i compagni esiliati attraverso i fondi della Croce Nera Anarchica. Anarchici che furono liberati dopo anni di prigionia, in alcuni casi la prigionia era iniziata durante la guerra civile, si unirono alle attività clandestine. Negli ultimi mesi del 1925 il sopra­ citato Viktor Belash fu scarcerato dalla prigione del GPU di Kharkov. Ristabilì la sua appartenenza al KAU immediatamen­ te e sotto richiesta del gruppo di Kharkov intraprese un tour nei territori makhnovisti nel 1925-26 con lo scopo di stabilire connessioni con gli insorti rimanenti, scoprendo gruppi clan­ destini e connettendoli con Kharkov. È da menzionare che i rimanenti makhnovisti furono sottopo­ sti ad un incremento di interesse da parte degli organi punitivi durante la metà degli anni ’20. Per esempio, nel giugno 1926 il GPU ucraino emanò un sommario top secret “sui makhnovi­ sti”. Tra le altre cose è menzionato che “Makhno sta riprenden­ do i suoi tentativi volti a crearee una leadership ideologica tra i kulak dei villaggi”, per ciò gli organi del GPU furono costretti a scoprire e controllare i makhnovisti, specialmente nelle regio­ ni dove era attiva nel 1919-1921 l’Armata Rivoluzionaria Insur­ rezionale Ucraina (Revolyutsionnaya Povstancheskaya Armiya Ukrainy, RPAU). Belash, compiendo la sua missione, nel 1927 stabilì relazioni con i makhnovisti a Huljaj Pole. Erano guidati dai fratelli Sharovskiy, Vlas e Vasiliy. È interessante conside­ rare che Vasiliy, al tempo un convinto anarchico, era anche un membro del soviet locale e prossimo ad entrare nel Partito

94 Comunista, sebbene all’apice del movimento makhnovista lui apparteneva prima al Partito Ucraino dei Socialisti Rivoluzio­ nari e dopo fu un simpatizzante dei bolschevichi. I rimanenti makhnovisti di Huljaj Pole tenevano di quando in quando as­ semblee cercando di organizzare delle comuni, alcune assem­ blee cercavano di “educare” la gioventù anarco-makhnovista (come l’assemblea dei fratelli Chubenko e Novonikolayevka). La comune economicamente più di successo era Avanguardia nel villaggio di Basan del distretto di Pologovskiy della regio­ ne di Dnepropetrovskaya. Ex comuni insorte esistevano anche nel villaggio greco di Kermenchik, Bolshaya Yanisol, Konstan- tinovka e vicino Grishino. Ciononostante, secondo Belash, il loro sviluppo era ostacolato dalla mancanza di persone capaci di organizzare e di svolgere un lavoro di propaganda e a causa della corruzione della vita quotidiana. Per di più alcuni comunardi iniziarono a diventare bolscevichi. Un altro ostacolo al lavoro degli anarchici era la mancanza di fiducia reciproca tra i makhnovisti rimasti, sic­ come avevano percepito l’attenzione degli organi punitivi del GPU e temevano provocazioni e infiltrazioni. Per questo mo­ tivo la visita di Belash fu una sola nella regione. Tra gli anarchici che non si fidavano di Belash durante il suo viaggio vi fu il gruppo del famoso comandante makhnovi­ sta Avraam Budanov. Dopo essere stato amnistiato alla fine del 1923, Budanov si trasferì a Mariupof e successivamente, durante la metà degli anni ’20, organizzò e guidò un gruppo clandestino che conduceva propaganda tra gli operai di Ma- riupol’ e i contadini dei villaggi vicini. Quando incontrò Be­ lash, Budanov di proposito dimostrò una falsa disillusione per l’attività politica, sebbene in realtà fosse interessato a sapere come andava avanti il gruppo di Kharkov. Belash fu ingannato da questo “stratagemma di sicurezza” senza meritarselo come poco dopo fu constatato. Secondo l’OGPU sovietico, il gruppo di Budanov, spinto dall’i­ nizio delle collettivizzazioni del 1928, aveva l’intenzione di abbandonare il lavoro di agitazione e propaganda per dare il via all’organizzazione di gruppi di guerriglieri composti da anarchici e contadini e alla raccolta di armi per tale fase. Poco prima della presunta programmata insurrezione, verso la fine del 1928 il gruppo fu arrestato e le perquisizioni delle loro case portarono alla scoperta di un deposito di armi. Il GPU condannò a morte per fucilazione Budanov e un altro attivo anarchico, Panteleimon Belochup. È interessante che durante la Makhnovshina Belochup era descritto come un anarchico con “deviazioni sovietiche” e aveva una relazione non ancora chiara con il complotto bolscevico di Yevgeniy Polonskiy e agli

95 inizi del 1921 disertò la RPAU e si arrese durante un amnistia. Un altro gruppo clandestino altamente segreto era attivo nel­ lo stesso periodo nel distretto di Mezhevskiy nella regione di Dnepropetrovsk. Era guidato dal socialista rivoluzionario ed anarchico Ivan Chernoknizhniy, vecchio membro del concilio di guerra rivoluzionaria makhnovista. Nel 1928 il GPU arrestò sette membri del suo gruppo e confiscò 17 bombe, 10 fucili, 130 munizioni ed altre armi. Purtroppo non ci sono informa­ zioni sulle possibili connessioni tra il gruppo di Budanov e il gruppo di Chernoknizhiy. Le informazioni sugli arresti dei gruppi anarco-makhnovisti di Mariupol’, il distretto di Mezhevskiy e di Odessa è conte­ nuto nel sommario informativo dell’OGPU numero 34 “sugli anarchici” datato 1928. Il documento chiedeva speciale atten­ zione da parte degli organi punitivi a “ciò che rimane della Makhnovshina”. Tra le misure che dovevano essere prese c’e­ rano quelle volte ad esporre i quadri e il lavoro delle attività antisovietiche, e all’arresto degli “anarco kulak” nei villaggi. Inoltre il documento menzionava che durante tutto il 1928 erano stati arrestati 23 anarchici e 21 makhnovisti in Ucraina. Se parliamo degli anarchici e dei makhnovisti underground gli sforzi dei centri makhnovisti all’estero, per rivitalizzare l’attività dei loro confederati, non possono essere ignorati. So­ stanzialmente verso la fine degli anni ’20 due erano i centri principali: quello di Parigi attorno a Makhno e quello di Bu­ carest, guidato dal ex comandante in capo dell’artiglieria della RPAU Vasiliy Danilov. Il centro di Bucarest era il più attivo, mandando agenti nel terrirorio sovietico visto la sua vicinan­ za. Per esempio nel settembre 1928 Foma Kusch e Konstantin Chupriava, entrambi makhnovisti, attraversarono la frontiera rumeno-sovietica e visitarono Odessa e Huljaj Pole stabilen­ do contatti con i militanti locali per conto del centro di Buca­ rest. Una volta compiuta la loro spedizione entrambi tornaro­ no salvi in Romania. Tornarono nella regione di Odessa nel 1929 sempre illegalmente per ristabilire i contatti con i gruppi anarchici locali e per organizzare i contadini scontenti con le collettivizzazioni sovietiche in distaccamenti di guerriglieri­ insorti. Sulla strada del ritorno furono arrestati dall’OGPU e “ri-reclutati” come agenti sotto copertura. Kusch appena arri­ vato a Bucarest informò i suoi compagni del suo “ri-recluta- mento” e in seguito condusse un doppio gioco disinformando i servizi segreti sovietici. Ci sono relativamente poche informazioni sugli anarchici ver­ so la fine degli anni ’20 a parte ciò che riguarda gli anarchici underground makhnovisti. Il 1927 è caratterizzato dalla storia dell’anarchico Varshavskiy.

96 Lui era un anarchico sin dal 1911, ma non aveva mai preso parte attiva nel movimento. Nel 1927 era capo del dipartimento per la protezione del lavoro presso un sindacato di un industria chimica. Nell’estate del 1927 visitò Mosca e prese parte alle ri­ unioni di alcuni vecchi militanti anarchici, e fu probabilmente li che attirò le attenzioni del OGPU. Nell’agosto dello stesso anno fu arrestato alla stazione dei treni di Odessa subito dopo aver visitato Olga Taratuta. Gli agenti confiscarono a Varshav- sky 8 volantini in supporto agli anarchici americani Sacco e Vanzetti. I volantini denunciavano l’abuso da parte delle auto­ rità sovietiche del nome di Sacco e Vanzetti quando loro stesse avevano compiuto migliaia di uccisioni di anarchici. Dopo 4 mesi di indagini, durante le quali Varshavskiy si addossò tutte le colpe e tentò come poteva di coprire i compagni di Mosca e Olga Taratuta, fu condannato dall’OGPU nel dicembre 1927 a 3 anni di “isolatore politico”. Lo stesso anno cerano alcuni rapporti vaghi su una presunta collaborazione tra gli anarchici di Dnepropetrovsk e “l’oppo­ sizione di sinistra”: in teoria anarchici e trotzkisti avevano ten­ tato di organizzare insieme scioperi dei treni e nell’industria. Gli anarchici di Odessa tentarono di rivitalizzare le loro attivi­ tà a cavallo tra il 1928 e il 1929, con la scusa della festa di capo- danno si incontarono per una conferenza ma furono arrestati dal GPU. In tutto 20 persone furono detenute tra cui attivisti conosciuti per la loro attività durante la guerra civile e addi­ rittura durante il periodo zarista. Tra loro ricordiamo Aron Vainshtein, Abram Vulis, Lev e Abram Rubinovich, Berta Tu- bisman e anche giovani operai e studenti come Lev Vainberg, Yakov e Aron Gekselman e Lazar Rabinovich. Nella primavera-estate del 1929, nella situazione di comple­ ta collettivizzazione le comuni anarchiche citate prima furo­ no sciolte. I membri apertamente anarchici, come i fratelli Sharovsky, Ivan Chuchko o Maxim Podkova, furono espulsi dall’Ucraina, e le comuni furono riorganizzate in collettivi e fattorie statali. Secondo i dati dell’OGPU, nella prima metà del 1929, 62 anar­ chici e 40 makhnovisti furono arrestati in Ucraina. Nell’estate del 1929 gli aderenti alla “Piattaforma organizzati­ va” di Pétr Arsinov e Nestor Makhno tentarono di espandere le loro attività in Ucraina. In quel periodo si formò a Mosca un collettivo di anarchici veterani che avevano lavorato nell’orga­ nizzazione del Sindacato dei Lavoratori Anarchici (Soyuz Ra- bochikh Anarkhistov). I gruppi connessi con il sindacato furo­ no organizzati in svariate città della Russia europea, gli Urali e la Siberia. Sempre nell’estate dello stesso anno David Skitalets, “l’ardente Arsinovista e l’esperto lavoratore illegale” come era

97 conosciuto tra i suoi compagni, andò al Sud su commissione del sindacato. Visitò le città portuali dell’Ucraina e della Cri­ mea riuscendo a stabilire dei contatti con i marinai della flotta del Mar Nero. Con l’aiuto dei marinai il “centro” di Mosca ri­ uscì a ristabilire i contatti con gli anarchici all’estero ed orga­ nizzò il contrabbando regolare della rivista Dielo Truda, fatta a Parigi, nefl’Urss. È da notare che Skitalets era coinvolto nelle medesime attività quando 18 anni prima era uno dei leader del sindacato dei marinai della flotta del Mar Nero (Soyuz Cher- nomorskikh Moryakov). Verso la fine del 1929 il sindacato dei Lavoratori Anarchici fu distrutto dal NKVD, e il suo ramo del Mar Nero probabilmente fece la stessa fine. Nel mentre, nel 1930 le attività anarchiche a Kharkov conob­ bero un nuovo slancio. Fu dovuto principalmente al ritorno di molti militanti dal loro periodo di esilio. All’iniziativa di Pétr Zakharov, gli anarchici Kharkov si unirono ancora una volta in una organizzazione che portava il nome ed il programma del Nabat. La nuova organizzazione includeva Grigoriy Tsesnik, Avenir Uryadov, Reveka Yaroshevskaya (che apparteneva al gruppo anarchico di Belostok nel 1903) e altri esperti lavoratori clandestini, esperti di propaganda ed orga­ nizzazione. Secondo Belash, agli inizi del 1930 gli anarchici di Kharkov erano molto interessati ed agitati per la questione delle col­ lettivizzazioni e la carestia che sarebbe venuta. In base a ciò discussero sulla prospettiva di cominciare un lavoro di propa­ ganda clandestino massivo per facilitare la resistenza di massa alle politiche letteralmente cannibalistiche delle autorità. Ma la mancanza totale di fondi rappresentava un ostacolo insor­ montabili. Grigory Tsesnik, appellandosi alle esperienze pre­ rivoluzionarie propose di fare una rapina (esproprio) ad una banca ma non ricevette il supporto di nessuno. Un meeting dei membri del Nabat di Kharkov decise di ottenere i soldi neces­ sari per la stampa dal loro lavoro come artigiani di ceramica e dalle comuni di vecchi anarchici e socialisti rivoluzionari nel villaggio di Merefa vicino Kharkov. Durante tutto il 1930 e il 1931 il gruppo di Kharkov ristabilì i contatti con gli anarchici moscoviti ed ucraini nelle seguenti città: - Elisavetgrad; un gruppo di anarco-sindacalisti formato da Vanya Chorniy e altri nativi di Nikolaev che erano appena stati rilasciati. - Dnepropetrovsk; un gruppo rinato dopo il 1928 grazie al macchinista di locomotiva a vapore Leonid Lebedev che fu fe­ rito nel 1923 durante 1’infame sparatoria di Solovki. Il gruppo da lui guidato provò di nuovo a portare avanti degli scioperi.

98 - Simferopol; dove si stabilirono Boris e Lyubov Nemiretskiy dopo essere stati rilasciati dall’esilio. Erano anarchici attivi dall’inizio degli anni ’20. - Kiev; dove un altro anarchico che era stato in esilio, Boris Lipovetskiy, ritornò nel 1930. - Voronezh, Bryansk e Orel; dove gli anarchici del Nabat ucrai­ no finivano in esilio o erano sottoposti a limitazioni di movi­ mento. Uno di loro era Aron Baron, leader del KAU e ideologo di grande esperienza. Probabilmente non connessi con la rete del Nabat erano i re­ lativamente piccoli gruppi di anarchici dell’Ucraina che non sono menzionati nelle testimonianze di Belash. Di loro si ha notizia grazie ad altre fonti. Nel 1930 iniziò l’attività anarchica di Igor Breshkov, metallur­ gista diciasettenne di Zaporozhye. Fu introdotto all’anarchi­ smo da Iosif IofFe, un anarco-mistico moscovita della sua stes­ sa età. Dal 1930 al 1932 Breshkov riceveva scritti anarchici da Mosca e aveva provato a distribuirla. Ciò portò al suo arresto il 5 dicembre 1932. Venne presto condannato a 3 anni in un campo di prigionia. Pyotr Gerasimchk, noto anarco-sindacalista di Pietrogrado, e sua moglie Lidiya Aksoyonova si stabilirono a Simferopo- li dopo essere stati liberati dall’esilio interno. Nel 1933 e 1934 iniziarono delle attività clandestine. Condussero delle corri­ spondenze segrete con gli anarchici di Mosca discutendo la prospettiva di un rilancio delle attività anarchiche nell’Urss. Dopo aver valutato queste prospettive convennero che erano impossibili da sviluppare visto il terrore poliziesco e quindi i due sposi decisero di scappare all’estero ma furono arrestati nel novembre del 1934 mentre si preparavano alla fuga. Du­ rante le indagini furono accusati di essere antisovietici e di avere preso parte ad attività terroristiche e per cui furono con­ dannati a 5 anni nel campo di Solovki, una punizione molto dura in quel periodo. Gli anarchici di Kharkov pianificarono un congresso del Nabat ucraino e di riformare il KAU. Ma ancora una volta il GPU gli anticipò: l’uno febbraio 1934 furono eseguiti arresti simulta­ nei di anarchici interconnessi nei gruppi e circoli di Kharkov, Orel, Voronezh e Bryansk. A Kharkov varie dozzine di persone furono arrestate. Comunque le prove a carico dei compagni probabilmente non erano sufficienti e quindi gli organi puniti­ vi condannarono all’esilio 8 leader dei gruppi, mentre gli altri furono liberati sotto sorveglianza. Ovviamente non rimasero liberi per molto. Già nel 1935 Khar­ kov fu “pulita” dagli precedentemente arrestati e uno ad uno furono mandati in esilio. Probabilmente fu in quell’anno che

99 i soldi raccolti dalla Croce Nera cessarono di arrivare ai com­ pagni esiliati. Entro il 1937 la grande maggioranza degli anarchici ucraini era fuori dai territori sovietici, in campi di prigionia o isolatori politici, o esiliati all’interno dell’Urss. Il baccanale del terrore nell’Ucraina sovietica aveva preso la forma di una lotta contro “la destra e i cospiratori trotskysti” o “borghesi nazionalisti”, e stando alla sezione ucraina del NKVD, in tutto il 1937 ci furo­ no solo 23 arresti di anarchici in tutta l’Ucraina. Spicca il caso dell’arresto di un gruppo di 15 persone nella regione di Kniko- laev, forse realmente esistito. Alla fine, nel mezzo del febbraio 1928 a Huljaj Pole e Dne- propetrovsk più di 30 ex makhnovisti attivi furono arresta­ ti e accusati di appartenere ad un’organizzazione illegale: il “Reggimento militar-makhnovista controrivoluzionario di Huljaj Pole” (Gulyay-Polskiy Voyenno-Makhnovskiy Kontrre- volyutsionniy Povstancheskiy Polk). Tra le altre accuse vi era la presunta connessione con il centro nazionalista di Kiev, il centro di Bucarest e il gruppo centrale anarchico di Mosca, lotta armata contro le autorità sovietiche, preparazione di in­ surrezione, agitazione antisovietica, terrore e sabotaggio. Gli arresti inclusero i fratelli Sharovskiy (che erano accusati di co­ mandare il “reggimento”), Konstantin Chuprina e Nazar Zui- chenko. Tutti loro furono condannati al plotone di esecuzione dalla troika dell’UNKVD della regione di Dnepropetrovsk, il 25 aprile 1938. Un simile caso si verificò a Zelyoniy Gal Khutor nella regione di Zaporozhye dove 22 ex makhnovisti furono arrestati. 7 di loro, incluso l’ex comandante d’artiglieria della RAPU, Dimitriy Sipliviy, furono giustiziati dall’UNKVD della regione di Zaporozhye. Probabilmente non sapremo mai se questi casi furono com­ pletamente inventati dagli agenti o se ci fu una vera attività clandestina volta in quel senso.

NOTA FINALE. Polonskiy Yevgeniy (?- 02.12.1919) Figlio di un pescatore di Berdiansk, marinaio della flotta del Mar Nero, membro del Partito Socialista Rivoluzionario di Sinistra (1917-1918), del Partito Comuni­ sta (bolscevico) dalla primavera del 1918. Dal febbraio all’aprile 1918 lavorò come membro del comitato rivoluzionario di Huljaj Pole (Gulyay-Polskiy Revkom), comandante del “battaglione libero” (“Volniy Batalyon”). Membro del movi­ mento makhnovista dall’autunno 1918 come comandante di reggimento. Nella primavera 1919 passò alla RKKA (Armata Rossa dei Contadini e dei Lavorato­ ri). Nell’agosto 1919 si unì di nuovo ai makhnovisti, promosso a comandante del terzo reggimento di Crimea della RPAU. Si unì al comitato rivoluzionario clandestino bolscevico che agiva in territorio makhnovista e progettava assassini contro Makhno e i leader del movimento insurrezionale su ordini precisi di Po­ lonskiy. Fu scoperto dal controspionaggio makhnovista e fucilato il 2 dicembre 1919 a Ekaterinoslav.

100 LA STORIA DI UN VOLANTINO E IL DESTINO DELLANARCHICO VARSHAVSKIY Dalla storia della resistenza anarchica al totalitarismo di D.I. RUBLYOV1

lcuni ricercatori, per lo più seguaci della tradizione sto­ riografica sovietica degli anni ’60-’80, considerano gli anni ’20 come un periodo di crisi e declino del movi­ mento anarchico nel territorio dell’URSS. Prendendo in con­ siderazione i contributi di altri autori e i documenti pubblicati tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, vediamo come essi mettano in evidenza il fatto che la lotta delle or­ ganizzazioni anarchiche continuò attivamente nel corso degli anni ’20 in molte regioni dell’URSS, nelfillegalità ed essendo oggetto di attacchi repressivi. In quel periodo gli anarchici tentarono di ricostruire le fede­ razioni che erano state smantellate negli anni precedenti, pub­ blicarono volantini e riviste clandestine, parteciparono attiva­ mente alle rivolte dei disoccupati, si mobilitarono per la crea­ zione di unioni indipendenti di lavoratori, disoccupati e con­ tadini, fecero appello alla lotta per la distruzione del regime burocratico attraverso la Rivoluzione Sociale e la costruzione di comunità senza Stato basate sullautogoverno. L’OGPU2 ha anche rilevato 1’esistenza di episodi di esproprio organizzati da anarchici. Le categorie sociali con le quali gli anarchici si organizzarono in quel periodo furono diverse: lavoratori e disoccupati, contadini, insegnanti, studenti e tutti coloro che erano stati “epurati” dagli istituti di educazione superiore in virtù del fatto che si trattava di individui politicamente so­ spetti, militari di leva e soldati, membri dell’RKSM (Russian Communist Youth Union, Unione della Gioventù Comunista Russa) ed ex membri del VKP (Partito Comunista - Bolscevico - di tutte le russie) e anche Cosacchi. I circoli anarco-mistici che operavano all’interno delle cerehie di intellettuali erano anch’essi piuttosto numerosi negli anni ’20. I tentativi di ricostruire le organizzazioni anarchiche conti­ nuarono negli anni ’30; i più conosciuti includono i tentativi di rinascita della confederazione Nabat degli anarchici ucraini (Konfederatsiya Anarkhistov Ukrainy Nabat) nel 1934 e lattivi -

1 Dmitry Ivanovich Rublyov, laureato in magistrale all’Università statale di Scienze Umane (Mosca), dottorando in Storia, lettore senior all’MSUEE. 2 Nome della polizia segreta dell’URSS dal novembre 1923 al luglio 1934

101 tà del gruppo anarchico clandestino nello stabilimento chimi­ co di Stalingrado nel 1937. Lo studio dei casi archiviati d’investigazioni ai danni di anar­ chici svela ai ricercatori fatti fino ad ora sconosciuti riguardo la storia della resistenza al regime bolscevico alla fine degli anni ’20. Di uno di questi parleremo in questo articolo. L’11 gennaio 1926 la Corte Suprema degli Stati Uniti conferma la condanna a morte degli anarco-comunisti americani Nico­ la Sacco e Bartolomeo Vanzetti, membri del movimento dei lavoratori, arrestati a seguito di una falsa accusa per la rapina e l’omicidio dell’impiegato addetto alle buste paga di una fab­ brica di scarpe a South Braintree il 15 aprile 1920, e per altri espropri. Nonostante fosse stata provata l’innocenza dei due uomini, la corte respinse il ricorso della difesa. Vennero entrambi giustiziati il 23 agosto 1927. La campagna di protesta, che in molti Paesi comprese mani­ festazioni di fronte alle ambasciate USA e scontri con la poli­ zia, non venne ignorata nell’URSS. Il comitato esecutivo del Comintern emanò appelli di protesta contro l’esecuzione di Sacco e Vanzetti il 26 e 27 agosto 1927. Il direttivo del VKP e le organizzazioni sotto il suo controllo svilupparono una campa­ gna di protesta ufficiale e nazionale che includeva manifesta­ zioni di massa, assemblee nelle fabbriche e negli stabilimenti e dichiarazioni di protesta spedite agli USA. Anche gli anarchici parteciparono alla campagna per Sacco e Vanzetti. Nell’estate del 1927 un gruppo di anarchici di Mo­ sca spedì un telegramma che contestava la sentenza di Sacco e Vanzetti. Era firmato da 12 persone. Nello stesso periodo gli anarchici di Mosca decisero di organizzare un’assemblea; non ci si aspettava che venisse vietata, considerato il suo scopo di­ chiarato di esprimere sdegno nei confronti della persecuzio­ ne, all’interno delle nazioni capitaliste, dei membri di movi­ menti rivoluzionari dei lavoratori. A parte l’obiettivo principale dell’assemblea, in qualità di pro­ motore N.I Varshaviskiy ricorda nella sua testimonianza: “ci si aspettava che l’assemblea ci avrebbe procurato un’opportunità di diffondere l’ideale anarchico e farlo comprendere agli ascol­ tatori”. L’assemblea avrebbe dovuto essere tenuta da anarchici molto conosciuti: Vladimir Barmash, Alexei Borovoi, Nikolai Rogadayev, Vladimir Khulodei e Ivan Kharkhardin. Barmash e Varshavskiy presentarono svariate volte al Dipartimento Am­ ministrativo del Soviet di Mosca la domanda per poter tenere un’assemblea, ma venne rifiutata. L’assemblea non venne fatta. Spendiamo due parole sull’uomo a cui è dedicato questo articolo.

102 Noi Ilyich Varshavskiy nacque nel 1895 a Poltava in una fa­ miglia ebrea e piccolo-borghese. Suo padre era impiegato in una stamperia. Fin dalla prima infanzia Varshavskiy visse a Kursk, dove si diplomò in una scuola commerciale nel 1914. Dal 1915 al 1921 visse a Kiev, dove si era recato per prosegui­ re negli studi. Sembra che non vi sia riuscito, il modulo che compilò in occasione del suo arresto nel 1949 vede la sua istru­ zione classificata come “primaria”. Dopo il 1921 si trasferì a Mosca. Era già sposato e aveva una figlia. Dopo aver incon­ trato l’anarchico P. Chernenko a Kursk nel 1911 era diventato un simpatizzante anarchico, e non ricopriva un ruolo attivo nel movimento. Tra il 1915 e il 1927 l’interesse di Varshavskiy per l’anarchismo si concretizzò con l’approfondimento della letteratura anarchica, attraverso l’amicizia con alcuni anar­ chici e con la saltuaria frequentazione (nel 1917 e 1919) del circolo anarchico e massimalista di Kiev. Di fatto, la parteci­ pazione attiva di Varshavskiy al movimento anarchico inizia nel 1927. All’epoca, egli lavorava come vicedirettore del di­ partimento protezione del lavoro nel Comitato centrale del sindacato delle industrie chimiche, dove incontrò l’anarchica Mariya Vartanovna Petrosova che lavorava nello stesso dipar­ timento. La Petrosova lo presentò ad uno dei leader anarco- comunisti di Mosca, Vladimir Vladimirovich Barmash con cui strinse una profonda amicizia. Varshavskiy conobbe an­ che altri anarchici, Khudolei, Kharkhadin, Ghezzi, Rogdayev, Borovoi, Alexei Solonovich, come pure l’anarco-sindacalista Gerasimchuck3. Sdegnato dal rifiuto delle autorità di fronte alla richiesta di fare l’assemblea, nei primi giorni dell’agosto 1927 Varshavskiy scrisse un volantino, il cui testo riproduciamo di seguito:

Con gli oppressi contro gli oppressori-sempre! LAVORATORI E LAVORATRICI! Per sette anni, aspettando ogni giorno la loro esecuzione, sono ab­ bandonati nella camera delle torture della borghesia americana due lavoratori: gli anarchici SACCO e VANZETTI. La sedia elettrica minaccia i combattenti che hanno dato ogni loro giorno alla causa della liberazione degli oppressi dal giogo del capita­ le, alla causa della lotta per la società futura in cui nessun uomo vorrà sfruttarne altri. Non è la prima volta che gli schiavisti furiosi tentano di liberarsi in

3 Pavel Petrovich Gerasimchuk, stampatore, tra i fondatori nel 1924 della casa editrice anarco-sindacalista “Golos truda” (“La voce del lavoro”). Varshavskiy lo conobbe nel 1925. All’epoca Gerasimchuk lavorava nella libreria della Federat- siya (Federazione) anarchica a Mosca, dove Varshavskiy era solito acquistare testi anarchici.

103 fretta degli schiavi che comprendono i compiti che si trovano davanti ad essi. Non c’è governo al mondo - sia esso fascista, democratico, o un Soviet - le cui mani non siano macchiate del sangue di proletari anarchici consapevoli della loro condizione, ma non c’è terrore che fermerà mai la rivoluzione in arrivo, né che possa indebolire la vo­ glia di lottare dei lavoratori. Ogni esecuzione porterà centinaia di altri nuovi ingressi nelle nostre fila. La brutale rappresaglia che sta venendo preparata per Sacco e Van- zetti ha istigato alla lotta milioni di lavoratori; il proletariato di tutto il mondo cerca di strappare due loro sinceri combattenti agli artigli affilati della borghesia con scioperi e manifestazioni, assediando i con­ solati americani e boicottando i prodotti americani. Anche la cricca di burocrati delle varie unioni e dei vari partiti gialli4, che teme di perdere il resto dei suoi alleati, è costretta a scrivere ipo­ crite parole di protesta. Il Partito Comunista al governo sostiene in modo aperto e fragoroso Sacco e Vanzetti, ma al tempo stesso nel più assoluto silenzio riempie le galere con i loro compagni e intensifica gli scambi commerciali con la capitale americana. I lavoratori dell’URSS che sono schiacciati dalla stretta della reazione comunista non rimarranno comunque indietro rispetto ai loro fratelli all’estero e svolgeranno il loro compito fino in fondo. Compagni, protestate contro l’esecuzione di Sacco e Vanzetti. Smascherate l’ipocrisia del partito al governo, esigete la liberazione dei compagni anarchici di Sacco e Vanzetti che marciscono nelle ga­ lere deH’URSS. Esigete l’interruzione delle relazioni commerciali con gli USA. Abbasso i governi dei boia! Abbasso lo Stato, il capitale e la galera! Sollevate più in alto la bandiera nera della lotta per l’anarchia, per l’u­ guaglianza economica, per la distruzione della disoccupazione, per la libera organizzazione di paesi e città, sindacati e cooperative indipen­ denti dallo Stato. Lunga vita all’anarchia! Un gruppo di anarchici.

Riportiamo il testo del volantino dalla copia dattiloscritta che era all’interno del fascicolo su Varshavskiy quando venne nuo­ vamente arrestato nel 1949. Egli affermò di averne fatte otto copie dattiloscritte. Non è chiaro se le azioni di Varshavskiy fossero parte di una campagna organizzata dagli anarchici di Mosca. Né si sa se gli altri anarchici di Mosca sapessero o meno del volantino, o se abbiano tentato di farne delle copie e di diffonderlo. Il materiale del fascicolo su Varshavskiy non

4 Partiti che rappresentavano la piccola e media borghesia non zarista, rivale dei bolscevichi.

104 contiene alcuna informazione rispetto alla diffusione del vo­ lantino a Mosca. Nelle sue dichiarazioni agli inquirenti, sia nel 1927 che nel 1949, Varshavskiy affermò di non aver distribuito il volantino a Mosca e di non aver informato alcun anarchico di Mosca dei suoi progetti. Rifiutò decisamente di dire di chi fosse la macchina da scrivere usata per fare le copie del volan­ tino. Vladimir Barmash, anch’egli interrogato in relazione al caso Varshavskiy nel 1927, negò qualunque collegamento tra il volantino e gli anarchici di Mosca. Basandoci sulle successive azioni di Varshavskiy, egli tentò probabilmente di crearsi dei contatti con gli anarchici nel Sud del Paese. Nel corso delle sue vacanze estive si recò ad Odessa dove il 22 agosto incontrò la nota anarchica Olga Ilynichna Ta- ratuta che aveva conosciuto, stando a quanto sostenuto nel cor­ so delle sue dichiarazioni durante l’indagine, presso il circolo anarchico di Kiev. Discusse con lei i contenuti del volantino e ne lasciò due copie in modo che fosse possibile stamparne e distribuirne delle altre. Le motivazioni sul perché Varshavskiy abbia dovuto mettersi in contatto con Taratuta non sono del tutto chiare. Forse stava agendo su commissione di alcuni anarchici di Mosca, di nome Barmash e Petrosova, ai quali era più legato che ai suoi altri compagni. Forse il suo comporta­ mento era dovuto al fatto che Olga Ilyinichna, rivoluzionaria della prima ora e prigioniera politica in epoca zarista, fosse molto rispettata tra gli anarchici, e che avesse una reputazione di anticonformista dovuta alla sua rottura con l’Associazione dei prigionieri politici per contestare la preminenza dei bol- scevichi al suo interno. In ogni caso, Varshavkiy cercò la sua approvazione e il suo consiglio: “Taratuta era una figura molto autorevole per gli anarchici, e questo è il preciso motivo per cui ho deciso di chiederle consiglio”. Varshavskiy, in quanto militante anarchico, probabilmente era stato seguito dal momento in cui aveva lasciato Mosca. Le cir­ costanze in cui si è svolto - troppo velocemente - il suo arre­ sto supportano tutte questa ipotesi. Egli intendeva andare da Kiev ad Odessa; subito dopo aver parlato con Taratuta si recò alla stazione dei treni, dove venne arrestato, il giorno prima che Sacco e Vanzetti venissero giustiziati! Quel volantino era decisamente profetico. Durante il suo arresto gli vennero tro­ vate addosso le rimanenti sei copie del volantino, come anche un biglietto scritto da un certo “Dvof” per “Aron”5. Varshavskiy, durante l’interrogatorio, rifiutò di collaborare.

5 Questo biglietto e il suo contenuto sono nominate nelle copie dei verbali della perquisizione fatta a Varshavskiy nel 1927, ma né il biglietto né una sua copia sono presenti all’interno della documentazione sul caso.

105 Oltre a rifiutare di confessare chi lo aveva aiutato a stampare il volantino a Mosca, non rivelò il nome della persona con cui voleva incontrarsi ad Odessa, né chi fossero “Dvof ’ e “Aron”, e cercò di proteggere Taratuta. Ribadì più volte di essere andato a trovarla per caso, in qualità di amica di vecchia data, e di non aver discusso di anarchismo né di volantini con lei. Affermò di aver semplicemente portato con sé i volantini che gli erano stati sequestrati alla stazione. Negò inoltre di avere alcun tipo di piano criminale contro le autorità, e sostenne di non aver scritto i volantini allo scopo di distribuirli, ma fondamental­ mente “d’impulso”. Anche dopo che la GPU di Odessa ebbe perquisito la casa di Taratuta e sequestrato i due volantini ri­ manenti, Varshavskiy mantenne la sua linea di difesa e insistet­ te ad affermare di non capire come i volantini che aveva scritto fossero finire in mano di Taratuta. Alcune delle dichiarazioni di Varshavskiy agli investigatori risultano alquanto ingenue e denotano impreparazione agli interrogatori. Ad esempio, egli dichiarò: “Non ho assolutamente alcuna relazione con l’as­ semblea, sono andato con Barmash (al Dipartimento ammi­ nistrativo del soviet di Mosca, n.d.r.) perché avevo del tempo libero e nulla da fare”. Varshavskiy venne trasferito a Mosca e il 23 dicembre del 1927 venne condannato, per decisione del Consiglio speciale dell’ OGPU rispetto all’articolo 58-10 del Codice penale dell’RSFSR (“agitazione e propaganda anti-sovietica”, n.d.t.), a tre anni in un ITL (campo di rieducazione e lavoro). Scontò la sua pena a Suzdal, dove erano confinati i detenuti politici. Pare che gli anarchici di Mosca abbiano informato i loro compagni all’e­ stero dell’arresto di Varshavskiy dal momento che nel 1928, mentre era al confino, questi ricevette due pacchi con piccole somme di denaro da parte degli anarchici francesi. Stando alle sue dichiarazioni, Varshavskiy durante il carcere si allontanò dalla partecipazione attiva alle organizzazioni anarchiche. Le sue dichiarazioni in tal senso suggeriscono che ciò sia stato dovuto alle simpatie del gruppo di Barmash (uno tra i gruppi anarchici di Mosca) per le idee del programma di Makhno e Arsinov, che esortavano alla creazione di un partito anarchico, il ruolo del quale all’interno del movimento dei lavoratori era concepito più o meno alla stesso modo di quello dei bolsce- vichi. Le scelte ideologiche dei compagni che rispettava, la loro aspirazione a creare un’organizzazione centralizzata di partito rappresentavano agli occhi di Varshavskiy una prova del fallimento dell’anarchismo: “In seguito rimasi su posizioni anarchiche ma dopo aver incontrato nuovamente Barmash, Khulodei e Kharkhardin nel 1929 al confino e aver scoperto che supportavano la creazione di un partito anarchico, cosa

106 che non corrispondeva alle mie convinzioni, iniziai a riconsi­ derare le mie opinioni sulle sorti dell’anarchia, e dopo lunghe riflessioni arrivai ad una conclusione che constatava la dimo­ strata impraticabilità del suo ideale”. Dopo aver scontato la sua pena, nel 1930 venne trasferito all’esilio interno in Siberia per tre anni. Una volta rientrato a Mosca nel 1933 Varshavskiy trovò lavo­ ro come sovrintendente di cantiere. In quel periodo non fre­ quentò alcuno degli anarchici che aveva conosciuto in prece­ denza, con l’eccezione dell’emigrato italiano anarchico Fran­ cesco Ghezzi che abitava ad Odinstovo nella regione di Mosca e una volta andò a trovare Varshavskiy. Nel settembre 1942 Varshavsky venne arruolato nell’Armata Rossa e fino all’otto­ bre del 1945 servì come impiegato e addetto al carico merci nelle unità di retro guardia del Nord-Est, a Leningrado e più tardi sui fronti del lontano Est. Finì la guerra da soldato sem­ plice, e gli venne data una medaglia “per la vittoria sulla Ger­ mania”. Dopo la guerra, lavorò come capo cantiere nell’azien­ da agricola statale di Ozerestskiy, poi come ingegnere anziano al dipartimento edilizia della MOSPO. Il 22 settembre 1949 Varshavskiy, come molti altre persone precedentemente incarcerate sotto l’art. 58 del Codice penale dell’RSFSR, venne nuovamente arrestato e accusato di “attività anti-sovietiche”. Durante una perquisizione nel suo apparta­ mento vennero trovati e perquisiti libri sulla teoria e la storia dell’anarchismo che conservava dagli anni ’20: “Sulle classi” di Lev Chorniy (pubblicato nel 1929) e “Il mito di Bakunin” di A. Borovoi e N. Otverzhenniy (pubblicato nel 1925). I docu­ menti dell’indagine mostrano i tentativi da parte degli inve­ stigatori di costringere Varshavskiy a confessare le sue “attività anti-sovietiche”, ma questi ribadì categoricamente di non aver intrapreso alcuna attività dalla sua condanna nel 1927, e di non avere alcun legame con gli anarchici. Sembra che Varshavskiy, durante le indagini, sia stato sottoposto a molteplici “tecniche di pressione” il cui uso in queste circostanze era la prassi. È sufficiente menzionare il fatto che gli interrogatori elencati nei documenti dell’indagine vennero tutti fatti durante la notte, e durarono dall’ora e mezza alle sei ore ciascuno. Nonostante dai risultati dell’indagine “non siano stati scoperti elementi che confermino il fatto che l’accusato possa portare avanti attività anti-sovietiche in futuro” Varshavskiy, essendo stato in passato un attivista anarchico, venne etichettato come “individuo socialmente pericoloso”. Il 25 febbraio del 1950 venne codannato dal Consiglio speciale del Ministero per la sicurezza dello Stato dell’URSS in base all’articolo 7-35 del co­ dice penale dell’ RSFSRa dieci anni di esilio interno nelTerri-

107 torio di Krasnoyarsk. Varshavskiy tentò di contestare la legalità della decisione dell’OSO (Consiglio Speciale). Ma il suo recla­ mo, presentato al Ministro degli Affari Interni Lavrentiy Beria il 18 maggio 1953 (n.d.t.: Qualche settimana dopo la morte di Stalin; nel 1953 ci furono una serie di amnistie di massa, nella maggior parte dei casi nei confronti di detenuti non politici), venne respinto. Seguì nel 1955 la riabilitazione, a seguito della decisione del Consiglio Giuridico sui casi criminali della Corte Suprema delFURSS. Non abbiamo notizie sulle successive vi­ cende di N.I. Varshavskiy. La scelta di Varshavskiy di partecipare alla lotta anarchica sem­ bra essere stata una decisione consapevole. Ha iniziato a pren­ dere parte attiva in essa da adulto, maturo, e nel periodo in cui l’avversione verso gli anarchici era maggiore. Dopo essere stato testimone diretto della piega surreale che le “vie legali” prendono all’interno di un regime totalitario, arrivò ad accet­ tare l’inevitabilità delle attività clandestine. Una veloce scon­ fìtta della lotta, la mancanza di prospettive del movimento e probabilmente la preoccupazione per la sua famiglia hanno contribuito al suo allontanamento dall’anarchismo. Probabil­ mente il motivo più importante della sua disillusione rispetto all’anarchismo è stata la sua disillusione rispetto agli anarchi­ ci. I suoi amici sembravano aver abbracciato idee non troppo lontane dal bolscevismo. Non raccontò bugie su se stesso né diffamò gli altri, né nel 1927 né nel 1949, cosa per nulla facile al tempo. Fino al 1949 Varshavskiy tenne libri anarchici in casa, il che rappresentava per lui - in quanto ex anarchico - un pe­ ricolo.

Testo pubblicato in 30 Oktyabrya newspaper, #66. 2006. pp. 8-9. http://socia.list. memo, ru/books/html/varshavsky. html

108 POSTFAZIONE

an mano che passano gli anni, man mano che vengo­ no stampati nuovi libri e documenti, è evidente che Mvari pezzi della storia della Rivoluzione Russa sono ancora sconosciuti. Ancor più sconosciuta è la parte dei “vinti”. La propaganda bolscevica ha cercato, in ormai quasi un secolo, di storpiare, se non cancellare del tutto, la storia di quegli uo­ mini e donne che volevano far sì che la rivoluzione non fosse la presa di un nuovo potere, bensì un cambiamento radicale, un processo che andasse nel profondo dei problemi sociali. Grazie alle varie testimonianze di chi è sopravvissuto alle fuci­ lazioni, ai gulag, alle persecuzioni dei “rossi”, come i compagni Makhno, Berkman, Volin ecc., si è riusciti a capire solo in parte la vastità e complessità del movimento anarchico durante tut­ to il periodo rivoluzionario. Della fine degli anni ’20 e di tutti gli anni ’30 si sa ben poco. Tanti documenti interessanti sono ancora sepolti negli archivi di Stato. Ecco perché alla fine del libro ho scelto di inserire l’opuscolo di Rublyov e di Dubovnik, i quali in due brevi scritti ci raccontano come gli anarchici, e non solo, provarono ad organizzarsi nuovamente contro il po­ tere, questa volta di colore rosso, e di quale clima repressivo si fosse creato attorno agli oppositori del nuovo regime.

La storia della Nikiforova, citata fino adora solo marginal­ mente in alcuni libri, in realtà è una figura energica e stimo­ lante. Leggere le gesta sue e dei suoi compagni ci fa riflettere sui problemi sempre attuali per i rivoluzionari di ieri e di oggi. La Cotlenko, nella sua introduzione, pone sul tavolo domande di stretta attualità. Se solo vogliamo mettere in parallelo, ad esempio, quel periodo, così articolato a livello politico e geo­ politico, al conflitto curdo in atto ora, e a tutta la complessità in cui si inserisce. Che il dibattito si apra e che l’esperienza sul campo ci porti a degli strumenti consoni al momento attuale. Un filo conduttore presente in tutto il libro è l’azione dell’e- sproprio, non solo a livello monetario, ma dei beni necessa­ ri su tutti i fronti. La Nikiforova dovunque andasse prendeva quello che serviva per portare avanti la lotta, spesso rompendo i delicati equilibri sia a livello politico sia nei rapporti di forza con altre organizzazioni rivoluzionarie. Facciamo un ragiona­ mento storico. Come spiega bene Vernon Richards in In segn a- menti della Rivoluzione Spagnola 1936-1939, la questione delle risorse di danaro nelle rivoluzioni, soprattutto quando si in­ crociano con le guerre, è fondamentale. A pag. 52 del libro nel-

109 le edizioni La Fiaccola (1974), l’anarchico inglese espone bene come la CNT-FAI, non prendendo in mano le risorse auree delle banche, ha condizionato non di poco gli avvenimenti. Il governo Caballero all’insaputa di tutti inviò 500 tonnella­ te d’oro a Mosca; la titubanza degli esponenti anarchici della CNT fece sì che la parte dell’oro che doveva raggiungere la Ca­ talogna fu invece “deviata” verso la Russia (vedi pag. 38), pro­ prio mentre laggiù gli anarchici erano nei gulag, perseguitati, ammazzati o in clandestinità. Questo fece sì che le collettivvi- tà non potessero avere materie prime fondamentali, e che il danaro necessario per comprarle all’estero non ci fosse, e che quindi in quel momento precario l’autogestione non avesse linfa vitale per le necessità rivoluzionarie. Sembra paradossale la differente situazione degli anarchici nei due Paesi nello stes­ so periodo storico. La Nikiforova poco più di ventanni prima aveva dato, con l’e­ sempio pratico, un consiglio su come rompere queste tituban­ ze rischiando di farsi ammazzare anche da un compagno come Makhno, il quale valutava alcune decisioni di Maria come irre­ sponsabili. È come se l’impulso, l’incapacità di calcoli politici, la consapevolezza di cosa si vuole e come averlo, facessero sì che quei compagni oltrepassassero pericolosi equilibri corren­ do veloci verso la libertà, portando avanti le pratiche e cercan­ do di stimolare le masse ad non ascoltare nessuno se non le proprie esigenze e sogni, in un costante “fate da voi, prendete ed autogestite la vostra nuova vita e difendetevi se necessario”. Questi erano i consigli pratici e teorici di Maria e compagni. Maria prende ai ricchi le materie prime per la lotta, rompendo tutti gli indugi, a partire dai cappotti per i propri compagni e compagne, per arrivare alle armi e al denaro. Sta di fatto che i soldi non sono fondamentali solo per situa­ zioni di movimenti vasti come la Russia ’17 e la Spagna ’36, ma anche in quelle fasi in cui il nostro movimento torna ad essere pesantemente represso. Quanti sforzi facciamo ora per le no­ stre casse contro la repressione, per pagare gli avvocati, per i viaggi, per la stampa e le mille altre cose? Conosciamo bene il problema e la fatica che ci costa, consapevoli della sua utilità. Il concetto di autonomia qui ritorna a farsi importante perché con quelle risorse non solo ci si arma con i mezzi adeguati alla situazione, ma ci si dota anche degli strumenti, come la radio e la tipografia, che, fuori da ogni visione “romantica”, sono fon­ damentali per portare i nostri discorsi il più lontano possibile. L’autonomia in questo senso ci dà quindi la forza di continuare il nostro intervento anche quando non è possibile esprimere pubblicamente le proprie idee. L’esproprio praticato dalle bande della Druzhina, formate an­ no che dalla Nikiforova, suggerivano in modo chiaro come do­ vessero essere utilizzati i soldi in un dato momento. Momen­ to in cui i bolscevichi cercavano di eliminare il movimento anarchico e la makhnovcina, o con essi qualsiasi forma di di opposizione; momento in cui i funzionari del nuovo potere tenevano centinaia di comizi, stampavano migliaia di manife­ sti e inviavano delegati in tutto il Paese a far propaganda per il regime “sovietico” e ad infangare le idee libertarie. Avendo il controllo dello Stato, tutti i mezzi di propaganda erano in mano loro, e con il controllo dellaf o r z a i nuovi sbirri persegui­ tavano chi criticava la loro opera di soffocamento della libertà. Durante una prentazione del libro di Pedrini uno stalinista mi attaccò verbalmente dicendo che gli anarchici si riappropria­ rono delle merci a danno del popolo. La propaganda bolsce­ vica è arrivata con tutte i suoi scheletri fino a noi. È evidente che gli anarchici espropriarono, ma è altrettanto evidente che espropriarono i borghesi e i nuovi padroni rossi, quindi attac­ cavano chi imponeva una nuova dittatura, detta del proletaria­ to. Due vocaboli in antitesi. Anche alcuni anarchici italiani durante la 2° Guerra Mondiale furono accusati di “banditismo” da parte degli organi ufficiali del movimento anarchico. Sembra che anche ad alcuni anar­ chici l’etica e la pratica dell’esproprio non vadano proprio giù. Ma di fronte a chi dovremmo farci belli? Davanti al popolo? Davanti alle altre organizzazioni rivoluzionarie? Nel momento in cui si decide di rivoluzionare il mondo, l’esproprio è una base fondamentale. Se non serve proprio farne un culto o un mito, è semplicemente impossibile negarne la necessità.

Tornando alla Nikiforova, bisogna aggiungere delle cose con sincerità: anche lei ha commesso gravi errori. Primo tra tutti quello imperdonabile di essersi schierata a favore della guer­ ra durante il primo conflitto mondiale e di avervi partecipato fino allo scoppio della rivoluzione in Russia. Con il benefi­ cio della distanza storica, potremmo anche dire che lei stessa collaborò per un periodo con i bolscevichi per sconfiggere le truppe bianche. Poi successivamente fece scelte meno “politi­ che”, meno calcolatrici, al contrario di Makhno che invece si relazionò con i bolscevichi per un periodo più lungo. E poi, vogliamo parlare della fiducia data ai bolscevichi da compagni capaci e in buona fede come Emma Goldman ed Alexander Berkman, i quali discutevano con Lenin mentre altri anarchi- cici erano già morti o marcivano in galera? Per schiettezza del dibattito bisogna ragionare e guardare seria­ mente i fatti successi, senza innalzare una compagna ad eroina della purezza anarchica e gettare nel fango altri compagni. Più

ili interessante è capire quello che successe e in quale contesto. Lo stesso atteggiamente dovremmo avere anche oggi riguardo a fatti distanti da noi o che non viviamo direttamente. Voglia­ mo, diciamo così, essere cauti e giusti nei giudizi a distanza. La realtà è un labirinto pieno di pericoli, e noi anarchici, uomini e donne semplici che vogliono tenersi lontani dal fango della politica, in realtà ci rendiamo ben conto che ne siamo circon­ dati. La politica, e Volin ce l’ha spiegato bene, ci provoca, ci chiama a lavorare in sua veste, cerca di attirarci, perché siamo ben consapevoli che non saremo noi da soli a fare la rivoluzio­ ne. La forza impone delle necessità che non sempre la volontà coglie. Discorso complesso, perché se gli individui disorganiz­ zati sono impotenti, efficientemente organizzati assumono la brutta abitudine di voler decidere per gli altri. Maria si è sporcata le mani, perché era una donna dazione, e gli anarchici spingono all’azione e non alle chiacchere, e que­ sto porta anche a sbagliare. Così si impara e ci si rende conto degli errori remoti e recenti. Sfortunatamente non si conosco­ no materiali prodotti da Nikiforova sui suoi ragionamenti e su alcuni passaggi del suo percorso rivoluzionario. Ci rimane quello che hanno scritto gli altri. Inseriamo poi in queste faccende un altro fattore che a volte viene poco considerato ma che esiste: il carattere. Alcuni com­ pagni, per la loro autorevolezza, per la loro forza d’animo, per le loro capacità analitiche o pratiche riescono a diventare dei “capi”, persone a cui chiedere l’ultima parola. Di questo si parla di sfuggita, a mezze frasi, e non sempre in modo approfondi­ to. Se si legge la biografia di Makhno si possono trovare vari episodi in cui certi suoi comportamenti o ragionamenti sono assai discutibili dal punto di vista antiautoritario. Il conflitto tra Maria e Makhno a mio avviso andava a cozzare proprio sui fattori sopra esposti. Queste dinamiche vanno capite ed eliminate il più possibile, controbilanciate da elementi impor­ tanti quali lo spirito critico, il rispetto, la buonafede, l’umiltà, la consapevolezza di poter sbagliare e la fiducia tra compagni.

Un’altra cosa da sottolineare è la violenza presente nel raccon­ to della Cotlenko. Qui si parla di morti, e tanti. C’è un passaggio, non confer­ mato da documenti ufficiali, in cui la Nikiforova di suo pugno elimina svariati ufficiali bianchi. Essa giustificò questo atto con la necessità di eliminare la casta degli ufficiali che troppo san­ gue avevano versato a danno del popolo. Basta leggere le storie dei populisti russi o dei bezmotivniki e delle feroci repressioni zariste. Quel sangue va inserito nel contesto, nella repressione che precede la rivoluzione e nello scontro in atto. Noi anarchi­

112 ci ripudiamo la violenza, concetto base della nostra vita e della nostra propaganda; allo stesso tempo ci difendiamo dai nostri nemici e sappiamo che certe occasioni non vanno sprecate per eliminare quelli che se potessero riprendere il ruolo di tor­ turatori e repressori tornerebbero a farlo, dopo lo scampato pericolo, più feroci di prima. Quando invece lei ed gli altri compagni disarmano dei cosac­ chi, per esempio, ecco che il discorso fatto a quei servi della reazione è diverso. Si cerca di porre dei problemi reali a quegli uomini che per soldi si vendevano a chi offriva loro un ingag­ gio. Le parole di Maria fecero sì che alcuni soldati si unirono al suo gruppo per scelta, gli altri tornarono a casa, e sangue non fu versato. Lei scelse di capire il contesto, gli uomini che aveva davanti, il loro ruolo reale, di non essere impulsiva: non si trattava dei mercenari professionisti ed esaltati di oggi. Ov­ viamente non sapremo mai se il singolo cosacco poi ritornò a fare quello sporco mestiere, ma qui vogliamo solo ragionare sull’episodio e sul discorso fatto dalla Nikiforova. In questi due esempi, a mio avviso, si può inserire il discorso della violenza rivoluzionaria dal punto di vista anarchico, con la sua etica e la sua giustizia.

Un’altra capacità della Nikiforova e dei suoi compagni era quella di essere presenti nei momenti cruciali di alcuni avve­ nimenti. Il primo è nel luglio del ’l7 con la faccenda della Dacia Durnovo, l’altra con le battaglie di Elisavetgrad. Due momenti diversi e delicati. Il primo, quando la spinta de­ gli anarchici contro l’autorità si inseriva nel contesto insurre­ zionale. Il clima era effervescente, il desiderio di cambiamento era nell’aria e volava veloce, bisognava spingere e i compagni l’hanno fatto mettendo in difficoltà i bolscevichi e gli altri par­ titi politici. Ad Elisavetgrad, invece, il contesto che si era creato era di un vuoto politico in cui i reazionari cercavano di riorganizzarsi aprendo le porte ai bianchi o agli austro-tedeschi. L’assenza di “ordine” spaventava e lasciava spazio alla barbarie. Nonostante le incomprensioni la Nikiforova cercò da subito di colmare il vuoto, o meglio, di evitare che il potere ritornasse nelle mani dei proprietari terrieri. La capacità di leggere i momenti e le tempistiche è un dato da non sottovalutare per i rivoluzionari. La prontezza e l’astuzia in quei momenti sono fondamentali. Nel racconto lo si capisce bene. Un altro aspetto da sottolineare sono i passaggi metodologi­ ci fatti dagli anarchici russi in quel tempo. Ovviamente non sono omogenei, ma prendiamo qui in esame alcuni gruppi di compagni.

113 In una situazione come quella dello zarismo, con secoli di oscurantismo mentale, servitù ecc, ecco che le azioni degli anarchici, e dei populisti prima, erano molto dure, verrebbe da dire selvaggie se si leggono alcuni testi infuocati dell’epoca. Ma l’idea dei compagni era non solo di colpire i repressori, che eliminavano migliaia di sfruttati, ma anche di dare finalmente un taglio netto con quella miserabile condizione in cui si tro­ vava la Russia. La cospirazione era l’unico metodo per tener vive le idee e le azioni erano la migliore propaganda. Quan­ do le condizioni cambiarono in senso rivoluzionario, cioè nel 1905 e ancor più nel 1917, allorché i compagni e gli sfruttati tut­ ti poterono sperimentare un vita altra, ecco che gli anarchici si organizzarono diversamente, perché lo scontro con il nemico era diverso. Teniamo conto ovviamente del passagio del 1905 e di tutto il periodo precedente e successivo. La cospirazione dei pochi diventa la rivoluzione dei molti: le armi, i libri, gli strumenti di lavoro, le Comuni si miscelano finalmente in una vita libera nonostante le difficoltà delle reazioni dei bianchi, dei rossi e del conflitto mondiale in atto. La repressione dei bolscevichi, la quale distrusse i nuovi espe­ rimenti del popolo, costrinse gli anarchici di nuovo a cospi­ rare e a riprendere la vita di ventanni prima. La morte della Rivoluzione Sociale del ’17 non venne vissuta solo come una sconfitta, ma anche come una sfida. Sinceramente è difficile mettersi nei panni dei compagni e delle compagne che hanno vissuto quell’epoca e che, nonostante tutti i dolori e le difficol­ tà, hanno portato alto lo stendardo dell’anarchia, seguendo la libertà fino alla morte.

“Libertà o morte” era una delle frasi cucite sulle bandiere nere che sventolavano sui treni, sulle tatchanke, sui cavalli dei com­ pagni mentre correvano nelle steppe per portare il loro con­ tributo rivoluzionario. Questo scontro così sanguinoso è un filo che segue tutta la vita della Nikiforova, la quale si faceva beffe della vita e della morte perché sua convinzione era che la Rivoluzione Sociale potesse essere ancora realizzata anche quando tutto attorno le era ostile. L’attentato al congresso del Partito Bolscevico va visto in questo senso, con la caparbietà che distingueva quei compagni e compagne che non si arrese­ ro nemmeno quando la rivoluzione stava morendo per mano del terrore rosso, nei suoi gulag, sotto la sua economia, tra le maglie della sua burocrazia o fra gli intrighi della sua politica. Una bomba che versò sangue, questa volta non innocente, ma che in realtà era linfa vitale per il vero percorso della Rivolu­ zione Sociale, per la vera libertà. Leggere libri come questo o come quelli sulla Spagna del ’36 fa

114 crescere un odio ancora più forte per tutte le forme autorita­ rie, ci affina l’olfatto per sentire meglio la puzza di potere e di politica ancora prima che arrivi. Chi vuole il potere, il controllo, chi vuole distoreere i fatti, la storia, va riconosciuto e messo all’angolo. È assodato dai fatti che quei metodi, quelle politiche sono in antitesi con la libertà e con la causa della Rivoluzione Sociale, che tende realmente alla distruzione di ogni forma di autorità. Come dice Volin, gli anarchici e il popolo che perseguivano gli stessi strumenti di lotta e a volte anche i fini ultimi, volevano solo una cosa: sperimentare la libertà senza la zavorra assassina dello Stato, qualunque esso sia; e senza padroni, qualunque essi siano.

Luca Dolce detto Stecco Valle del Vajolet 18.08.2016

115 RIFERIMENTI CRONOLOGICI

1917

-Febbraio-marzo: crollo del regime zarista, insediamento del governo provvisorio di Kerenskij. -Marzo: formazione della Rada Centrale a Kiev (Ucraina), go­ verno che sostiene inizialmente Kerenskij, ma soprattutto una posizione nazionalista in difesa dell’indipendenza della futura “Repubblica democratica dell’Ucraina” rispetto alla Russia. In primavera, Marussia Nikiforova diserta il fronte greco per dirigersi a Pietrogrado. -Luglio: giornate insurrezionali a Pietrogrado, seguite dalla repressione verso gli anarchici e i bolscevichi da parte del go­ verno provvisorio. Ritorno di M. Nikiforova a Alexandrovsk in Ucraina. -Ottobre: colpo di Stato che porta al potere i bolscevichi e un nuovo governo, il “Consiglio dei commissari del popolo” (S ovn arkom ). Primo distaccamento di guardie nere di Maria Nikiforova. -Novembre: congiungimento di parecchie città ucraine - fra cui Alexandrovsk - con la Rada Centrale piuttosto che con il nuovo potere rosso di Pietrogrado. Rifiuto da parte della Rada Centrale di riconoscere il Sovnar­ kom. Inizio dell'offensiva di varie unità di guardie rosse in Ucraina. Decreto che istituisce il controllo operaio in tutte le impre­ se che impiegano più di cinque operai; decreto criticato dagli anarchici in quanto non mette in discussione né il rapporto padroni-operai, né la proprietà privata. Elezioni per suffragio universale dell’Assemblea costituente (maggioranza assoluta ai Socialisti di Sinistra, solamente un quarto dei voti ai bolscevichi). -Dicembre: creazione da parte dei bolscevichi del governo della “Repubblica sovietica d’Ucraina” (dicembrel917-novem- bre 1918). Prima alleanza in Ucraina fra anarchici e bolscevichi per op­ porsi ai nazionalisti e ai bianchi. -Dicembre 1917-gennaio 1918: “guerra dei binari”, che permet­ te di riconquistare numerose città ucraine dalle mani dei na­ zionalisti, poi, a partire da gennaio, di difenderle contro l’of­ fensiva dei cosacchi del generale bianco Kaledin. Il distaccamento di Maria Nikiforova combatte a Alexan­ drovsk, Karkov e poi a Ekaterinoslav.

117 1918

-Gennaio: formazione da parte di Marussia Nikiforova della “Druzhina del combattimento libero” a Alexandrovsk. Il suo distaccamento combatte in Crimea (Yalta, Sebastopoli, Feodo- sia). Scioglimento dell’Assemblea costituente. -9 febbraio: firma di un trattato fra la Rada Centrale e gli Im­ peri centrali (Germania, Austria-Ungheria) che autorizza le truppe austro-tedesche a invadere l’Ucraina per “ristabilirvi l’ordine”. -Febbraio: le guardie nere e rosse riescono a respingere l’of­ fensiva dei nazionalisti su Ekaterinoslav, invasa un mese più tardi dalle truppe austro-tedesche. La Druzhina del combattimento libero è impegnata nei combatti­ menti di Elizavetgrad. -3 marzo: firma del Trattato di Brest-Litovsk fra i bolscevichi e gli Imperi centrali: il trattato cede, fra l’altro, l’Ucraina. Marzo: inizio della ritirata verso Est delle guardie nere e rosse di fronte alle truppe austro-tedesche. I membri del Sovnarkom si trasferiscono a Mosca, ritenuta più sicura, seguiti da numerosi anarchici influenti. Esilio del governo della “Repubblica sovietica d’Ucraina” a Karkov, poi, un mese dopo, a Taganrog. -29 marzo: sostituzione della Rada Centrale da parte dell’ato- m an Skoropadsky, sostenuto dagli Imperi centrali, dai grossi proprietari e dalla borghesia dell’Ucraina. -Aprile: inizio della repressione esplicita contro gli anarchi­ ci da parte dei bolscevichi, presentata come un’operazione di polizia nei confronti degli “anarco-banditi” e non contro gli anarchici “dell’idea”. Scioglimento dei gruppi anarchici, fermi e arresti di migliaia di compagni a Mosca, Pietrogrado, Volog- da, Smolensk, Briansk ecc. Arresto di Marussia Nikiforova a Taganrog e processo, al ter­ mine del quale viena assolta da tutti i capi d’imputazione. -Luglio: M. Nikiforova torna sul fronte esterno, Makhno nel distretto di Huljaj Pole. -Settembre: il terrore rosso viene ufficializzato con un decreto che permette di spedire nei gulag o di fucilare ogni “nemico della rivoluzione”. -Ottobre: l’avanzata tedesca comincia a essere fermata e Huljaj Pole è sottratta a una forza mista di nazionalisti e austro-tede­ schi. La D ru zh in a conquista Rostov sul Don, dove i titoli di proprietà vengono bruciati sulla pubblica piazza. -Novembre: rivoluzione nell’Impero tedesco, che crolla.

118 Ritirata delle truppe austro-tedesche. Odessa è sottratta ai bianchi da una forza mista di cui fa parte la D ru zh in a , che ne approfitta per incendiare la prigione locale. L’ata m a n Skoropadsky è cacciato da Simon Petliura, il quale restaura la “Repubblica democratica d’Ucraina” ormai retta da un Direttorio. -Dicembre: seconda alleanza fra makhnovisti e bolscevichi per lanciare un’offensiva contro i bianchi. A Saratov, la D ru zh in a è definitivamente sciolta dal potere e Nikiforova viene prima arrestata e poi trasferita nella prigione di Butirki a Mosca.

1919

-Gennaio: processo contro Marussia Nikiforova, alla quale viene applicata l’interdizione per sei mesi da qualsiasi posto di responsabilità. -Febbraio: ritorno di Nikiforova a Huljaj Pole e Alexandrovsk. -Maggio: a Berdiansk, raggruppamento attorno a Maria Niki­ forova di una sessantina di compagni decisi a condurre clan­ destinamente delle azioni mirate allo stesso tempo contro i bianchi e contro i rossi. Formazione di tre gruppi di “anarchici underground” allo scopo di far saltare il quartier generale del dittatore bianco Kolchak in Siberia, quello di Denikin a Ro- stov sul Don, e congiuntamente di liberare una divisione di makhnovisti fatti prigionieri a Karkov e di far saltare il locale quartier generale della Ceka. -Giugno: Makhno e il suo stato maggiore sono dichiarati fuo­ rilegge dallo Stato “sovietico”. I comandanti makhnovisti imprigionati a Karkov vengono fu­ cilati. -Estate: estensione della rete degli anarchici undergound: espro­ pri nelle tre più grandi banche di Mosca; pubblicazione di vo­ lantini, giornali, opuscoli; allestimento di una rete nazionale di tipografie, appartamenti, documenti falsi, laboratori per fabbricare bombe ecc. Sviluppo di gruppi in una dozzina di città della Russia, dell’Ucraina e della Lettonia (fra cui Mosca, Karkov, Kiev, Odessa, Pietrogrado, Ivanovo-Voznesensk, Tuia, Briansk, Samara). -Agosto: arresto di M. Nikiforova e di suo marito Bzhostek a Sebastopoli da parte dei bianchi. Condannati a morte, vengo­ no fucilati un mese dopo. -25 settembre: bomba in via Leontiev durante il congresso del Partito Comunista di Mosca: 12 morti e 55 feriti. -Ottobre: riconquista di Alexandrovsk e di Ekaterinoslav da parte dell’esercito insurrezionale makhnovista.

119 PICCOLA BIBLIOGRAFIA

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121 russa, Ipazia edizioni, Catania, 1978 -Volin, Il fascismo rosso, La Fiaccola edizioni, Ragusa, 1978 -Ugo Fedeli, D all’insurrezione dei contadini in Ucraina alla rivolta di Cronstadt, La Fiaccola edizioni, Ragusa, 1992 -Claudia Romanini, Quello strano Ottobre. Critica e anticritica del ’17 bolscevico, La Prospettiva edizioni, Pontassieve, 1997 -Alexandre Skirda, Comunisti anarchici nella rivoluzione sociale, Alternativa libertaria, Fano, 2003 -AAW, Kronstadt. Una rivoluzione che fece tremare il Cremlino, La Prospettiva edizioni, Pontassieve, 2005 -Nestor Machno, La Rivoluzione anarchica e altri scritti, M&B Publishing edizioni, Milano, 2005 -Lorenzo Gori, Kronstadt 1921. I giorni della Comune, La Pro­ spettiva edizioni, Pontassieve, 2006 -V. Zasulic, O. Ljubatovic, E. Kovalskaja, Memorie di donne popu­ liste, Arkiviu “T. Serra” edizioni, Guasila, 2006 -Piero Neri, 1917. Perché stare con la rivoluzione e contro il bolsce­ vism o, La Prospettiva edizioni, Pontassieve, 2007 -Ettore Cinnella, 1905. La vera rivoluzione russa, Della Porta edizioni, Pisa-Cagliari, 2008 -Volin, La Rivoluzione sconosciuta (1917-1921): documentazione inedita sulla rivoluzione russa, “Insurrezione” edizioni, Italia, 2010 -Alberto Piccitto, Macnovicina. L ’eccitante lotta di classe, Zero in Condotta edizioni, Milano, 2011 -AAW, La rivoluzione anarchica in Ucraina (1918-1921), Elèuthe- ra edizioni, Milano, 2011 -Alexander V. Shubin, Nestor Machno: bandiera nera sull’Ucraina. Guerriglia libertaria e rivoluzione contadina, Elèuthera edizioni, Milano, 2012 -Antonio Senta, A testa alta! Ugo Fedeli e l’anarchismo internazio­ nale (1911-1933), Zero in Condotta edizioni, Milano, 2012 -Tomasz Parczewski, Kronstadt nella rivoluzione russa, Colibrì edizioni, Milano, 2013 -Carlo Ghezzi, Francesco Ghezzi, un anarchico nella nebbia. Dalla Milano del teatro Diana al lager in Siberia, Zero in Condotta edi­ zioni, Milano, 2013 -Jean-Pierre Ducret, La rivoluzione russa in Ucraina, voi. I, Asso­ ciazione Archivio Germinai, Carrara, 2013 -Petr Arcinov, La Rivoluzione anarchica in Ucraina, Pgreco edi­ zioni, Milano, 2014 -Jean-Pierre Ducret, La rivoluzione russa in Ucraina, voi. 2, Asso­ ciazione Archivio Germinai, Carrara, 2015 -AAW, L ’anarchismo nella rivoluzione russa, Anarchismo edizio­ ni, Trieste, 2015 - Luigi Fabbri, Dittatura e rivoluzione, Fuoco edizioni, 2015

122 La foto segnaletica di Maria Nikiforova è stata scattata probabilmente nel carcere di Elisavetgrad nel 1918.

123 Stampato in proprio per conto delle Edizioni Anarchiche “E1 Rùsac” Trento Ottobre, 2016 Contatti:[email protected] Nessun diritto sul testo “Il nostro compito è di preparare le masse ad una sollevazione ampia e popolare, e di fare la rivoluzione non al posto del popolo, ma con il popolo. È necessario attaccare con violenza la borghesia per distrug­ gere i fondamenti della rivoluzione borghese, oltre che combattere il nazionalismo ucraino. È necessario trovare fondi per la stampa, come è necessario confiscare armi.”

Fino a dove spingere il processo rivoluzionario quando que­ sto non porta che ad un cambiamento al vertice dello Stato? Quando gli operai si stanno impossessando delle fabbriche e i contadini delle terre, come fare affinché la sedia del potere resti vuota e soprattutto le sue gambe vengano frantumate? Che fare quando la contro-rivoluzione arriva da ogni parte? Come evitare di cadere nella trappola di “fare la guerra ” a sca­ pito di “approfondire la rivoluzione ’? Come riconoscere i falsi amici tra i rivoluzionari dalle intenzioni tuttavia sincere? Quali sono le conseguenze del coordinarsi con gruppi autoritari in un “fronte comune”? Quest’ultimo tipo di strategia sembra in questo caso impossibile senza rinunciare a parte delle proprie idee, ed è d’altronde questa la conclusione che trarrà Maria Nikiforova dopo aver sperimentato un’alleanza con i bolscevi- chi. Seguiamo il suo percorso non per rallegrarci delle sue alte gesta militari, ma come un’esperienza di situazioni piene di sconvolgimenti rivoluzionari e di difficoltà, come una finestra per affrontare una storia fatta da una successione di possibili non necessariamente accaduti.