Fenomeno Mafioso E Corruzione Nel Nord Italia: Il Caso Della Provincia Di Monza E Brianza

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Fenomeno Mafioso E Corruzione Nel Nord Italia: Il Caso Della Provincia Di Monza E Brianza «fenomeno mafioso e corruzione nel nord italia: il caso della provincia di monza e brianza. proposte operative da attuare all’interno delle istituzioni pubbliche, anche a seguito della pandemia da Covid-19». Silvana Carcano Ricerca voluta e sostenuta dal Sen. Gianmarco Corbetta Silvana Carcano: Consulente della Commissione Parlamentare Antimafia, Comitato XII Rap- porti tra criminalità organizzata e logge massoniche, già componente della Commissione Antimafia Regionale della Lombardia dal 2013 al 2018, dove ha presentato e fatto approvare all’unanimità la legge sulla prevenzione e il contrasto della criminalità organizzata (L.R. 17/2015). Nel 2018 è tornata all’attività di consulenza sui temi sui quali è specializzata: l’anticorruzione, l’educazione alla legalità e la sostenibilità delle aziende. INDICE · Prefazione del Sen. Gianmarco Corbetta2 · Introduzione della dott.sa Alessandra Dolci3 · Premessa metodologica La mafia e la corruzione in Brianza a. Appunti propedeutici per comprendere il fenomeno mafioso in Brianza b. Le principali inchieste giudiziarie e alcuni casi significativi c. La corruzione come anticamera per la criminalità organizzata di stampo mafioso: tratti distintivi del fenomeno attuale, inchieste principali e storie significative Strumenti normativi principali a livello europeo, nazionale e regionale Strategie operative a disposizione delle Istituzioni pubbliche locali: cosa fare per prevenire ulteriori aggressioni mafiose e reati corruttivi 2 Gianmarco Corbetta è stato Consigliere Regionale lombardo, membro della Commissione Antimafia nella X Legislatura regionale (2013-2018) ed è attualmente Senatore della Repubblica, membro della Commissione Affari Costituzionali. 3 La Dott.ssa Alessandra Dolci è il capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano 3 Prefazione del Senatore Gianmarco Corbetta I fatti di cronaca e le indagini della magistratura hanno ampiamente dimostrato, nel corso dei decenni, la forte presenza della criminalità organizzata nel territorio brianzolo; ma questo fenomeno è stato spesso sminuito, sottovalutato, talvolta negato. Contro ogni evidenza è sempre prevalsa la convinzione che le mafie fossero intrinsecamente legate ai territori del Sud e che mai sarebbero riuscite a radicarsi e prosperare nelle regioni settentrionali: tutt’al più avrebbero sfruttato il Nord per operazioni di riciclaggio dei proventi illeciti. Nel 2010 l’operazione c.d. Crimine-Infinito sembrò spazzare via in un colpo solo queste pericolose illusioni e parve aprire la strada a una maggiore consapevolezza del fenomeno mafioso: dalle indagini era infatti emersa l’imponente struttura della ‘ndrangheta brianzola, dotata di un’organizzazione verticistica e una rete di attività criminali analoghe a quelle presenti nei territori calabresi d’origine. Oggi, dieci anni dopo, dobbiamo constatare che non si produsse alcuna presa di coscienza. Spenti i riflettori mediatici, nella memoria collettiva la potenza e la pervasività del fenomeno furono presto ridimensionate e dimenticate, come a voler chiudere un capitolo spiacevole della storia della Brianza. Eppure, come documentato dalle successive indagini, la ‘ndrangheta continuava a intimi- dire, a incendiare, a sparare, a gestire il traffico della droga e delle armi. Attraverso l’usura si appropriava di bar, pizzerie e locali notturni; infiltrandosi sempre più nel tessuto econo- mico faceva sistema con pezzi di economia e di politica; piazzando i suoi uomini all’interno di aziende sane ne prendeva progressivamente il controllo; indirizzando pacchetti di voti faceva eleggere i suoi candidati nelle amministrazioni comunali per ottenere provvedimen- ti e appalti favorevoli alle sue aziende. L’azione dello Stato contro le mafie è fondamentale, ma difficilmente potrà trionfare senza un cambiamento culturale basato sulla diffusa conoscenza della realtà mafiosa e del suo impatto sociale ed economico: è per questo che ho fortemente incoraggiato e sostenuto il lavoro di Silvana Carcano. È necessario diffondere la consapevolezza che la lotta antimafia non è solo difesa del valore della legalità in quanto tale, ma è anche una necessità reale, concreta e urgente che deve coinvolgere tutti nell’interesse di ognuno: perché tutti noi, ogni giorno, anche se non ce ne accorgiamo, paghiamo il prezzo di un sistema criminale che drena enormi risorse all’economia sana con la violenza, la sopraffazione, la corruzione, la concorrenza sleale. Un sistema criminale che potremo sconfiggere se insieme – cittadini, professionisti, imprese, politici e dipendenti pubblici – faremo fronte comune rifiutando e denunciando ogni forma di intimidazione e malaffare. 4 Introduzione della Dott.sa Alessandra Dolci Ho iniziato la mia carriera professionale in Brianza, come Pubblico Ministero presso la Procura di Monza, nella seconda metà degli anni ’80 e da allora mi sento «brianzola d’adozione». È dunque una realtà che ben conosco, avendo svolto indagini in questo contesto territoriale per oltre trent’anni ed avendo avuto modo di constatare che la ‘ndrangheta vi è presente da decenni. Non a caso la mia prima indagine riguardò un consistente quantitativo di esplosivo al plastico che fu sequestrato a due soggetti calabresi poi entrambi vittima di omicidio. Ricordo il grido d’allarme lanciato proprio negli anni ’80 da Erminio Barzaghi, storico sindaco di Giussano: «qui il pericolo serio è che il peggio del Sud si sposi con il peggio del Nord», laddove il peggio del Sud era eviden- temente il crimine organizzato ed il peggio del Nord le altre due grandi aree di macro- devianza: la corruzione e l’evasione fiscale. Ebbene, oltre trent’anni di indagine mi portano ad affermare che purtroppo quel matrimonio si è consumato. Certo, la criminalità organizzata è cambiata accentuando, soprattutto negli ultimi 20 anni, la propria vocazione imprenditoriale. Anche il sistema della corruzione è diventato più complesso rispetto a quello che era lo scenario classico anni or sono, rappresentato dal solo legame decisore pubblico – corruttore. Ora si sono moltiplicati gli attori ed è emersa la figura del «facilitatore» o «faccendiere», che non è un pubblico ufficiale, ma, di solito, è emanazione della parte politica che esprime il decisore pubblico. Anche la classica «mazzetta» ora si nasconde dietro falsi incarichi professionali e fatture per operazioni inesistenti. Anche il sistema dell’evasione si è fatto più articolato, perché passa attraverso complesse operazioni aziendali, che vedono, spesso, la presenza di società estero – vestite, sedenti in Paesi dove la collaborazione giudiziaria è più difficile, sui conti delle quali sono trasferite ingenti somme di denaro. Va da sé che, di sovente, i registi di queste operazioni societarie siano abili professionisti che, in cambio di adeguata remunerazione, mettono le proprie elevate capacità professionali al servizio del malaffare. Quando queste tre grandi aree di macro-devianza si incrociano i danni al nostro sistema socioeconomico sono evidenti e si misurano in termini di vulnus al principio del libero mercato, scoraggiamento nella formazione di una imprenditorialità moderna e socialmente responsabile, crescita dell’economia sommersa e, in generale, aumento della sfiducia nelle istituzioni. 5 Ad aggravare ulteriormente il quadro generale si è da ultimo aggiunta la grave crisi eco- nomica post pandemia e posso testimoniare che dalle attività investigative in corso emerge che già in pieno lockdown gli appartenenti al crimine organizzato si stavano «attrezzando» per far fronte, naturalmente a modo loro, allo stato di emergenza. Questo studio non si limita a dar conto di quello che è stato l’excursus del processo di colonizzazione della Brianza ad opera del crimine organizzato e del perché gli anticorpi non abbiano funzionato. Il lavoro di Silvana Carcano dà una visione prospettica di quel «molto» che ancora si può fare per fermare l’avanzata. Come sottolinea l’autrice, gli investigatori italiani hanno a disposizione una serie di stru- menti normativi che non ha eguali nel resto del mondo, ma non è bastato e non basta. Ed allora è necessario coltivare le sinergie istituzionali, coinvolgendo le Prefetture, gli enti locali, le associazioni di categoria. Ad esempio, un ruolo centrate è quello degli Uffici Territoriali del Governo perché, come ha affermato in una recente sentenza il Consiglio di Stato (cfr. Sentenza 8 Giugno 2020 n. 3641) «le interdittive antimafia debbono rappre- sentare la frontiera avanzata nel continuo confronto tra Stato e anti stato…». La normativa antiriciclaggio, con gli obblighi di segnalazione che riguardano per lo più soggetti privati, rappresenta un evidente esempio di contributo che possono dare i singoli cittadini. Tempo fa il Presidente della Repubblica, ricordando Giorgio Ambrosoli ha sottolineato come la sua figura rappresenti: «un riferimento per i tanti nostri concittadini che agiscono seguendo la coscienza, il senso del dovere e un’alta tensione morale. Ritrarsi dalle proprie responsabilità, fingere di non vedere non è un comportamento neutrale. Al contrario costituisce un obiettivo e concreto aiuto alla illegalità e a chi la coltiva». Il sistema dell’antiriciclaggio, con le migliaia di segnalazioni, rappresenta quella moltitu- dine dei cittadini che non hanno fatto finta di non vedere. Tuttavia, per vedere bisogna conoscere, ed allora ecco l’importanza dei percorsi di lega- lità nelle scuole e presso le associazioni di categoria. Allo stesso modo è indispensabile l’impegno degli enti locali nel contrasto alla corruzione e al malaffare con protocolli,
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