Storia E Futuro. Rivista Di Storia E Storiografia, N. 5

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Storia E Futuro. Rivista Di Storia E Storiografia, N. 5 Storia e Futuro. Rivista di storia e storiografia, n. 5 INDICE PERCORSI Daniela Calanca, Percorsi di storia della famiglia MAPPAMONDO Sara Valentina Di Palma, Le Edot ha Mizrah in Israele ARCHIVI ARCHIVI E BIBLIOTECHE STORIA E TERRITORIO Luciano Candia, La fondazione Mandralisca Angelo Varni, Bologna la “grassa”: una storia tra mito e Roberto De Vivo, “Nuovi” musei e “vecchie” tecnologie realtà Paola Callegari, La fototeca Nazionale QUALE IMPRESA? DIDATTICA Monica Campagnoli, Iniziativa sociale ed impegno DIDATTICA DELLA STORIA CONTEMPORANEA politico: la cooperazione bianca in Emilia Romagna tra il Ivo Mattozzi, La formazione storica tra due “crisi“e il secondo dopoguerra e la ripresa economica riordino dei cicli Francesca Bellafronte, Prospettive ed esiti delle MEDIA indicazioni ministeriali sull’insegnamento della storia Fausto De Salvia, La via italiana a Topolino (II parte) nella scuola primaria. Resoconto e riflessioni ad alta voce Lorenzo Longhi Il giornalismo sportivo sul Convegno Buio sui secoli bui?, Bologna 12 ottobre 2004 MEDAGLIONI Carla Salvaterra, CLIOHnet. Breve storia di una rete per Michele Finelli, Mazzini nell’Italia monarchica e liberale la storia Carlos Barros, La nuova storiografia e l’insegnamento della storia Roberto Greci, L’esperienza della SSIS Emilia Romagna Paola Zagatti, Storiografia e insegnamento della storia: è possibile una nuova alleanza? SCAFFALE RECENSIONI, SEGNALAZIONI, RISORSE OFF E ON-LINE Omar Mazzotti intervista Dante Bolognesi sul volume Uomini e terre di Romagna. Saggi di storia rurale (secoli XVI-XIX) Novità editoriali, a cura di Francesco Silvestri Alberto Malfitano commenta: Fabio Bertini, Risorgimento e paese reale Francesco Marcheselli commenta: Impiegati, a cura di Guido Melis Francesco Silvestri commenta: Sandro Setta, L’uomo qualunque, 1944-1948 Monica Campagnoli, Giorgio Galli. Piombo Rosso. Fulvia Fabbi, Tito Menzani. Da muratori a imprenditori. Michele Finelli, Valeria P. Babini. Il Caso murri. LABORATORIO APPROFONDIMENTO TEMATICO Sara Valentina Di Palma, Esigenze pratiche e/o discriminazione delle Edot ha Mizrah Paolo Sorcinelli presenta: Imago. Laboratorio di ricerca storica e di documentazione icnografica sulla condizione giovanile nel XX secolo AGENDA CONVEGNI ED EVENTI IN ITALIA E ALL’ESTERO Daniela Camurri: All’ombra dei cipressi e dentro l'urne…, Bologna 24-26 novembre 2004 Alberto Malfitano, Il mosaico Italia. riflessioni su una difficile costruzione nazionale Andrea Ragusa, Stalin: il dittatore, il mito Iniziativa sociale ed impegno politico: la cooperazione bianca in Emilia Romagna tra il secondo dopoguerra e la ripresa economica Monica Campagnoli Nell’immediato dopoguerra in Emilia Romagna, come nel resto d’Italia, le forze politiche che si apprestavano a guidare il paese si trovarono impegnate nel rispondere ad una duplice esigenza: dare luogo alla ricostruzione fisica del paese, cioè riparare i danni di guerra e, al contempo, occupare tutti gli spazi politici aperti dalla caduta del fascismo con iniziative a carattere democratico (Ginsborg 1989; Lanaro 1992; Vecchio 1999). La pacificazione sociale in Emilia Romagna giunse tardi rispetto al resto del paese. Non solo, ancora negli anni Cinquanta, in regione, la ripresa economica tardava a decollare, e con i problemi economici permanevano e aumentavano le tensioni sociali. In realtà il ritardo accumulato dall’Emilia Romagna non fu solamente una questione di natura politica. È vero che si trattava di una regione rossa, una delle poche in Italia, inserita in un contesto nazionale di segno opposto e con uno scenario internazionale ferocemente caratterizzato dagli schemi della Guerra Fredda, ma è altrettanto vero che la perdita dei pochi centri industriali situati in regione, basti pensare ai gravi disordini che nel 1951 attraversarono la provincia di Reggio Emilia a causa della smobilitazione delle Officine Reggiane (Spreafico 1968), e la riconversione del sistema agricolo, basato prevalentemente sulla presenza della grande proprietà e del bracciantato, produssero un cambiamento enorme nell’economia regionale e nelle abitudini di vita degli emiliano romagnoli (D’Attorre 1980). Le condizioni economiche dell’Emilia Romagna dopo il II conflitto mondiale Quali erano le condizioni dell’Emilia Romagna alla fine della guerra? Gli orientamenti che guidarono la ricostruzione erano quelli propri delle amministrazioni di sinistra che si formarono a partire dal 1946 su quasi tutto il territorio regionale (Varni 1997). La struttura agricola era caratterizzata prevalentemente dalla mezzadria e da una forte presenza della grande proprietà nelle province occidentali. Nel ravennate, così come nella bassa pianura ferrarese e bolognese, il soggetto agricolo preminente era costituito dai braccianti. La piccola proprietà era dunque assente quasi del tutto dal tessuto economico agricolo regionale. La presenza delle imprese, della grande industria in particolare – escluse le province di Bologna, Modena e Reggio Emilia – era più che altro un’assenza, essendo la regione prevalentemente agricola. La struttura industriale, poco capillare, indebolita dalla guerra, dopo la stretta monetaria del 1947 entrò in una crisi profonda che raggiunse la massima intensità negli anni 1953-1954, e dalla quale non si riprese. La fase espansiva che investì l’economia italiana agli inizi degli anni Cinquanta (Varni 1986; Giovagnoli 1998) non ebbe alcun effetto benefico sull’industria emiliano romagnola, e se in agricoltura i livelli produttivi prebellici erano stati nuovamente raggiunti e superati, restavano però irrisolti il problema bracciantile e quello della struttura mezzadrile che dovevano invece essere necessariamente risolti al fine di ottenere una massimizzazione della produzione. La regione si trovò impegnata ad affrontare la riqualificazione delle proprie strutture industriali ed agricole, operazione resa drammatica per le condizioni in cui la guerra aveva lasciato l’economia. La ricostruzione dovette necessariamente passare attraverso alcune fasi di grande tensione originata dai cambiamenti culturali che interessarono la società parallelamente a quelli di natura economica. La situazione alla fine del conflitto mondiale si caratterizzava per la presenza di un grande numero di disoccupati, sia per il ritorno dei reduci, sia perché le trasformazioni economiche in atto rendevano professionalmente inutili molti lavoratori non più adeguati rispetto alle richieste del mercato (Minardi 2000). Tali mutamenti misero in atto un processo di redistribuzione territoriale della popolazione che a sua volta provocò gravi squilibri: il depopolamento di vaste aree della montagna emiliana venne ad incidere negativamente sulla situazione delle città e della popolazione in generale. Crebbe infatti, con grande rapidità, la popolazione nei principali centri urbani, accentuando la concentrazione degli insediamenti lungo l’asse della via Emilia: elemento da cui ha avuto poi origine quel tratto caratteristico della regione, per cui il trasferimento demografico avvenuto in senso non unidirezionale ha dato vita ad uno schema policentrico che ha investito le principali città, senza che Bologna esercitasse un ruolo preminente di polo d’attrazione. Le uniche zone che sembrarono sottrarsi a questo trend di spopolamento, furono le zone costiere della Romagna, che vennero anzi configurandosi come zone di popolamento. Emilia Romagna, Popolazione residente per zone altimetriche e capoluogo di provincia (migliaia di abitanti) (Fonte: Censimento Istat) Zone 1951 1961 1971 Variazioni % 1951 1961 1951 1961 1971 1971 Montagna 332 276 214 -17,0 -22,3 -35,6 Collina 653 596 605 -8,9 +1,7 -7,4 Pianura 1.501 1.505 1.561 +0,3 +3,7 +4,0 Capoluoghi 1.058 1.290 1.461 +22,0 +13,2 +38,1 Totali 3.544 3.667 3.841 +3,5 +4,8 +8,4 In seguito, nei tardi anni Cinquanta, il ritardo dell’espansione economica si trasformò in una corsa al recupero di grande intensità che, accompagnata da un tasso di produttività regionale più alto rispetto al quadro nazionale e da una trasformazione sociale di ampie proporzioni, trasformarono il volto agricolo della regione in uno altamente industrializzato, con una forte percentuale di crescita della piccola e media impresa, grazie anche ad un intenso processo di formazione dei capitali verificatosi appunto a metà degli anni Cinquanta. A questo punto, con la ripresa economica, ebbe luogo una riqualificazione professionale di quanti si erano trasferiti dalla campagna e dalla montagna alle città, assorbiti in nuovi lavori, nuovi rispetto a quelli tradizionalmente agricoli svolti in precedenza. Anche per questo motivo le lotte bracciantili e mezzadrili, e la tensione sociale già forte, mantennero la caratteristica dello scontro in anni in cui la pacificazione nazionale era un dato assolutamente acquisito nel resto del paese. In Emilia Romagna le tensioni politiche derivanti dalla guerra e dalla liberazione si innestarono con le tensioni economiche di un territorio devastato ed in fase di rinnovamento e trasformazione del suo tessuto economico, prolungando la fase della ricostruzione sino quasi alla metà degli anni Cinquanta. Alla fine della Seconda guerra mondiale la regione era stata caratterizzata dal formarsi di un movimento organizzato di lotte dei mezzadri e dei braccianti su base unitaria, volti alla conquista della terra per quanti la lavoravano direttamente. Lo scontro economico, che a tratti assumeva le caratteristiche di un vero e proprio scontro di classe, fu sostenuto ed alimentato dalla forte presenza del Partito comunista, che ingrossava le proprie fila sostenendo
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