Il Giornalismo Italiano È in Lutto ENZO BIAGI, L'omero Del XX Secolo, È

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Il Giornalismo Italiano È in Lutto ENZO BIAGI, L'omero Del XX Secolo, È Il giornalismo Italiano è in lutto ENZO BIAGI, l’Omero del XX Secolo, è morto. Milano, 6 novembre 2007. Enzo Biagi è morto questa mattina nella clinica dove era ricoverato da 10 giorni. Aveva 87 anni. Era nato a Pianaccio di Lizzano in Belvedere il 9 agosto 1920. La notizia è stata diffusa alle 8,18. Il giornalismo italiano è in lutto. Biagi, - già direttore di Epoca, del Tg1 e del Resto del Carlino -, è stato giornalista, scrittore e conduttore televisivo. Ha lavorato per il Corriere della Sera, La Repubblica, Panorama, Oggi, L'Espresso, e La Stampa. Ha speso la sua vita a raccontare i fatti, tanto da meritarsi l’appellativo di “Omero del XX Secolo”. TABLOID-n. 7/8 del 2005 Intervista di Emilio Pozzi in due tempi 2000-2005. ENZO BIAGI alla soglia degli 85 anni: “Sono sempre andato a cercare delle storie, è l'unica cosa che so fare”. “Io ho avuto tre interventi al cuore, cioè il mio cuore è stato fermato tre volte e ho sei bypass; quindi ho chiara una mia idea della vita e della morte. Ho fatto anche 14 mesi sulla Linea gotica in una brigata partigiana a suo tempo. Il senso della morte, ce l'ho. Io sono abbastanza sereno e abbastanza contento di vivere queste giornate, anzi, contento, senza abbastanza…io credo che a morire siano capaci tutti. Imparare a vivere è molto più difficile. Bisogna avere rispetto per gli altri, rispetto per sé. Ci sono persone che non ne hanno tanto. Vedo delle cose sguaiate, ogni tanto, in giro: e certe esibizioni le trovo molto di cattivo gusto”. di Emilio Pozzi Ho un debito, per fortuna non di quattrini, con Enzo Biagi. Però mi pesa più che se dovessi dargli una forte somma: il debito consiste in un’intervista mai pubblicata di cinque anni fa, quando aveva compiuto da poco gli ottanta anni. Per una banalissima ragione: lo smarrimento del nastro sulla quale avevo registrato la conversazione. Ora la cassetta è saltata fuori da un cassetto. Biagi si avvicina adesso agli ottantacinque anni (li compirà il 9 agosto) ma la sua firma compare puntualmente sul Corriere la domenica mattina e ogni settimana sul magazine del Corriere. Questi sono i miei due appuntamenti fissi con lui. Saltuariamente passo a salutarlo, nel suo minuscolo ufficio in Galleria, sopra la Libreria Rizzoli, possibilmente nel tardo pomeriggio dei primi giorni della settimana, secondo i suggerimenti della preziosissima Pierangela, collaboratrice da molti anni, in quei giorni ha più tempo per gli amici. Già, la Galleria. In un libro a più voci, pubblicato nel 1987 per i 120 anni della creatura del Mengoni, chiesi a Biagi una testimonianza. La sua pagina cominciava così: “La Galleria è un posto del sentimento, per me. Ed è legata ai miei primi ricordi di Milano. Io sono passato da Milano, per la prima volta nel dopoguerra; ero in viaggio per andare in Inghilterra al matrimonio della regina Elisabetta che, allora, naturalmente era ancora principessa. Ero stato invitato con qualche altro collega – ricordo tra gli altri Enrico Emanuelli – dal Governo inglese. Di questo mio primo incontro con Milano ho un ricordo notturno che mi dava sgomento. Dentro di me, dicevo: io qui non ci vivrei mai. Nella vita non bisogna dire mai! Qualche anno dopo mi hanno offerto un posto di lavoro, in un momento anche difficile, era la carica di redattore capo a Epoca. Il settimanale a quel tempo era piuttosto traballante. Mi sono trasferito a Milano, come un emigrante, con mia moglie e le prime due figlie. La domenica ci spingevamo fino in centro, dandoci la mano, quasi per paura di perderci”. Più avanti Biagi scriveva: ”La Galleria è poi diventata un posto di lavoro per me che ho avuto un ufficio alla Rizzoli, proprio lì. Ricordo la gente che mi veniva a trovare o che incontravo, da Sciascia al generale Dalla Chiesa. Passava a salutarmi in borghese, in quei momenti difficili, quando sparavano sulla gente e, in particolare, sugli ufficiali dei carabinieri. Ero diventato amico di tutti i negozianti della zona; mi consideravano, e mi consideravo, un loro collega perché anch’io la mia bottega l’avevo lì”. Anche adesso la sua bottega è al primo piano. Al di là di una porticina verde c’è Pierangela che fa buona guardia. E poi la sua stanzina: una scrivania, e un paio di sedie per gli ospiti. Sono andato a ricordargli il mio debito e, per pagarlo, gli ho proposto un’altra intervista. Anche perché la popolarità di Enzo Biagi è sempre ad alti vertici. Lo si è visto quando è comparso, ospite di Fabio Fazio domenica sera 22 maggio, nella intelligente e garbata trasmissione condotta da uno dei più seri intrattenitori televisivi. Gli applausi del pubblico presente non erano di convenienza e non c’erano segnali luminosi a comandarli. Anche Biagi che ha risposto con pacatezza, non perdendo l’occasione per qualche risposta arguta e pepata, si è sinceramente commosso. La voce gli si è rotta in gola quando ha accennato alla morte della figlia Anna, la più giovane, che aveva donato le retine (e adesso c’è chi vede con i suoi occhi). Una frecciatina l’ha tirata quando gli è stato chiesto come vede la situazione e ha risposto: “Mi sembra che ci sia aria da ora del dilettante, quando si parla di Romolo e Remolo”. La filosofia di vita l’ha espressa quando ha detto: “La mattina leggo i necrologi sul Corriere. Se non trovo il mio nome metto giù il giornale”. Più ricordi che sguardi in avanti. A proposito di Tv, alla domanda se deve essere educativa ha espresso con una parola un complesso pensiero: ”Educata, perché all’educazione ci devono pensare i genitori e la maestra”. Una risposta secca l’ha data all’intervistatore. Fazio gli aveva chiesto quali fossero i primi libri che aveva letto. Alla risposta di Biagi: ”La Bibbia e i Miserabili”, Fazio si era lasciato sfuggire un “davvero ?” al che Biagi ha replicato: “Non ci crede? Io non dico bugie. Se dovessi dire una bugia, la direi su altre cose”. Fazio che aveva evidentemente capito che Biagi avesse letto quei libri a 5 anni quando ha cominciato ad andare a scuola, gli ha prontamente chiesto a che anno avesse letto due libri così impegnativi. “A dodici o 13 anni”. Tutto ridimensionato. La popolarità di Biagi, anche se non compare in Tv, è sempre alta. Basta controllarla ad esempio, nei siti Internet, che rappresentano di questi tempi un autentico indice di notorietà e di gradimento. C’è un sito internazionale nel quale il suo nome figura 13 milioni 37 mila 693 volte (l’ho riscontrato il 15 maggio scorso). In due siti italiani, sempre a metà maggio, questa è la situazione: Yahoo.com 67. 500, Google.com 92. 900. In linea di massima, in ciascuno il doppio di Indro Montanelli. Quando sui giornali riemergono le polemiche sulla Rai, sui cambiamenti dei vertici, e sui contenuti dei programmi, il suo nome risalta fuori: a cominciare dalla gaffe di Berlusconi, quando dalla Bulgaria, parlò di informazione criminosa facendo i nomi di Biagi, Santoro e Luttazzi. Più che quella battuta a Biagi spiacque il comportamento dei burocrati, a cominciare dal direttore generale, che affidarono il suo congedo a quattro righe in una fredda comunicazione scritta. Su questo argomento non ama parlare (unico commento: ”se fosse criminosa non capisco perché la 2 magistratura non è intervenuta”) ma si capisce che è stato ferito profondamente nella dignità. Altre sono le ferite che in questo periodo hanno lasciato il segno: “Nella mia vita ho avuto tante soddisfazioni, ma negli ultimi anni ho avuto due dolori tremendi, la morte di mia moglie e quella di Anna la mia figlia più giovane (al suo nome è stata intitolata una Fondazione per aiutare ragazzi a crescere e studiare)”. E guarda, con commozione che si rinnova ogni volta, verso lo scaffale della stanza di lavoro dove sono comparse nuove fotografie davanti ai libri che gli servono di consultazione: foto di famiglia, la moglie, i genitori, le figlie e una con Papa Giovanni Paolo II, al cui fianco c’è il cardinale Tonini. E poi la foto di un personaggio tra le migliaia da lui incontrati in sessantacinque anni di lavoro, uno che ha fatto tanto bene all’umanità: il dottor Sabin, il medico che ha vinto la poliomielite. Biagi continua a scrivere, nonostante i sei by pass, e la sua vestale ribatte i testi su una macchina elettrica, fotocopia gli articoli che possono interessare e li archivia. La modernizzazione non va più in là. Biagi non ha confidenza con il computer. I suoi pezzi continua a scriverli con la biro, sui taccuini a righe che una volta usavano gli stenografi. Non so dove li trovi ancora. Gli ho proposto di rileggere il testo trascritto dal nastro di cinque anni fa, e magari mettere risposte nuove a fianco di quelle di allora. Mi ha detto: “Molto poco è cambiato e quindi non ho mutato opinioni, in questi cinque anni”. E la chiacchierata con Fabio Fazio ha confermato, ad esempio che non ha invidia per nessuno, perché non ha ancora trovato qualcuno per cui valga la pena di essere invidioso. Una curiosità, non certamente banale, gli è rimasta. Ricevette, un mattino presto, una telefonata da Gianni Agnelli, sul quale aveva scritto un libro (“Il signor Fiat”) e che ogni tanto lo chiamava: “Biagi, devo vederla, ho da dirle una cosa molto importante”. Cosa fosse quella cosa non lo seppe mai. L’avvocato morì dopo qualche giorno. Ma ecco la trascrizione, riveduta e corretta da me, per il passaggio dal parlato alla pagina, senza alcuna alterazione o taglio, della chiacchierata avvenuta il 14 settembre 2000, a Milano, in Galleria, in quello stesso ufficietto nel quale trascorre le ore produttive della giornata.
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