APRILE 2006 NUMERO 20

Il facchino obeso assisterà alla miracolosa metamorfosi del suo grasso Editoriale in muscolo, la sua voracità si trasformerà in robusto appetito. Per i tribuni grassi compreso lo scrivente In certe società, alcuni individui, come i giapponesi lottatori di Sumo, Numerose inchieste condotte in diversi paesi confermano che i grassi vengono ingrassati istituzionalmente, affinché possano svolgere fun- sono in genere giudicati più simpatici, aperti e disponibili dei magri. zioni altamente considerate.. Esistono anche versioni occidentali di Basta pensare alla popolarità goduta da Giovanni XXIII, papa bene in sportivi “grassi”: dai sollevatori e lanciatori di pesi, ai lottatori e ai carne, di gran lunga superiore a quella del suo ossuto predecessore. Pare pugili. insomma che i grassi riscuotano consensi quasi unanimi... Anche loro sfuggono alla categoria degli obesi per accedere a quella dei Eppure siamo tutti d’accordo nell’affermare che una delle caratteristi- giganti di professione. che della nostra epoca è l’ossessione per la magrezza, il rigetto quasi Molti attori comici hanno sfruttato la loro grassezza per costruire un maniacale dell’obesità. personaggio tipico e quasi mitico: pensiamo a “Stanlio e Olio”. Altri Nella maggior parte dei paesi sviluppati, un’ampia fetta di popolazione hanno utilizzato la propria obesità in ruoli cinematografici più sfac- sogna la magrezza, ma si scopre grassa, e soffre di tale contraddizione. cettati, oscillando tra i due poli, maligno e benigno, a seconda delle In Italia, il 47 % delle donne ed il 42% degli uomini sentirebbero, se- occasioni, esempio: Orson Welles e il più recente Burt Spencer. Gli condo i sondaggi, la necessità di dimagrire. stessi comici giocano a volte su questa ambiguità, caricando il proprio Come spiegare questa contraddizione tra la simpatia suscitata dai grassi personaggio di un’ombra di sadismo, come quando “Olio” tiranneggia e il rifiuto quasi fobico dell’obesità, questo rapporto di odio-amore? il magro “Stanlio”. La corpulenza è innanzitutto il segnale esteriore della quantità di cibo La distribuzione sociale della grassezza, nei paesi sviluppati, è cam- di cui possiamo disporre, cioè della parte che ci spetta, legittimamente biata radicalmente. Qui, un tempo (ma ancora oggi nel Terzo Mondo), o meno, nella divisione della ricchezza mondiale. Il nostro corpo è un il “popolo grasso” occupa gli strati superiori della gerarchia sociale, segno immediatamente percepibile della nostra adesione ai vincoli so- mentre il “popolo minuto” quelli bassi. 1 ciali, della nostra lealtà alle regole della distribuzione e della reciprocità La metafora serve ora a rappresentare il rapporto di sfruttamento fra economica. Nord e Sud, fra mondo ricco e mondo povero. L’obeso è descritto in genere come un buontempone, allegro, Al tempo in cui i ricchi erano grassi, è chiaro che spiritoso, con il gusto dell’amicizia e dei una ragionevole rotondità godeva di una certa lieti convivi, dietro questa dimostrazione considerazione. La si associava alla salute, al di simpatia si percepisce anche un giudizio benessere economico, ad una pacifica rispet- negativo: sull’obeso grava spesso il sospetto tabilità. Dell’uomo grassoccio si diceva “sta di nascondere, sotto la maschera gioviale, bene” (l’è in tè bò) ; chi era magro suggeriva tristezza e sofferenza. solo un’idea di malattia, di cattiveria o di Il quadro che emerge conferma insomma sfrenata ambizione. l’esistenza di un doppio stereotipo del grasso. “Vorrei che attorno a me ci fossero uomini Da un lato un uomo pienotto, estroverso, abile grassi e con la testa ben pettinata, e tali, nelle relazioni sociali, pronto allo scherzo e alla insomma, che dormano la notte. Quel Cassio battuta, che racconta barzellette sempre nuove, laggiù ha un aspetto troppo magro e affamato: ma che nell’intimo probabilmente soffre del suo pensa troppo, e uomini del genere sono perico- stato fisico. losi” scrive Shakespeare nel Giulio Cesare. Ne nasce un dilemma: come “riconoscerli” Il modello che domina oggi è nettamente diverso da quello del XIX nella realtà. Come si può distinguere un grasso “buono” da un grasso secolo e da quelli tuttora dominanti in certe culture, persino in certi “cattivo”? strati delle nostre società occidentali. Ciò non significa che i nostri an- È evidente però che non abbiamo bisogno di conoscere il peso delle per- tenati apprezzassero l’obesità, o che non sapessero distinguerla dalla sone che frequentiamo per sapere se ci sono più o meno simpatiche. corpulenza. Spesso possono risultare decisivi particolari tratti morfologici, come Il sospetto di trasgressione che pesa sui grassi è permanente e univer- pancia, doppio mento, struttura della pelle, consistenza “molle” o sale. “soda” del tessuto adiposo, e via dicendo. Ancora una volta però, il Occorre dunque distinguere fra le categorie propriamente dette (ma- criterio non sembra rendere conto di tutte le situazioni reali. grezza, grassezza, obesità) e i limiti che una data cultura attribuisce Se poi entra in ballo la forza fisica, non si parla più di obesità, ma di loro. persone “robuste”. Criteri, misure e linee di demarcazione che variano sensibilmente. Il grande problema di ogni dibattito sull’obesità, sia esso scientifico o Una volta, ci voleva più ciccia per essere ritenuti obesi, e bastava un no, riporta in fin dei conti ad un unico interrogativo: i grassi sono col- fisico meno esile per essere considerati magri. Una volta… pevoli o innocenti? Sono vittime delle loro ghiandole, della loro eredità genetica, oppure sono rei di ingordigia? No, quasi sempre sono grassi Gian Franco Fontana perché mangiano troppo, senza controllarsi. La grassezza viene dunque ineluttabilmente associata all’ingordigia, L’appuntamento della CCIX Tornata è fissato a a sua volta percepita come violazione di quelle leggi di condivisione BERTINORO nella Cà de Bè del cibo che in molte società costituiscono l’essenza stessa del legame per domenica 26 marzo 2006 alle ore 10,00 sociale. Ne deriva che l’ingordo (e di conseguenza il grasso) è implicita- mente accusato di minacciare le fondamenta stesse dell’organizzazione L’On. Stefano Servadei tratterà il tema : sociale. “Le Eccellenze Romagnole” che sarà il filo conduttore Non c’è da stupirsi che egli debba restituire in qualche modo ciò di cui delle tornate del 2006. si è indebitamente appropriato. Successivamente il Tribuno Luigi Rivola parlerà sul tema : Cosa può restituire l’obeso alla collettività? Innanzitutto la forza. Infatti, chi è sottoposto a lavori pesanti non viene giudicato grasso, “Il ciclismo in Romagna”. Al termine, ci fermeremo per il pranzo rustico (15 Euro) presso la stessa Cà de Bè. anche se in realtà lo è. PSICOLOGIA DELL’IDENTITÀ nella comunità di Bertinoro Senza identità, siamo Di contro si sente poco legato alle istituzioni pubbliche (Comune e un oggetto della storia ASL). Joseph Zerho In particolare, per l’uomo bertinorese assumono grande valore la ter- ra, il luogo dove vive, il dialetto, la tradizione familiare, le origini. Costruzione dell’ identità Discreto il suo legame con la comunità: la tradizione culturale, il Per Aristotele, l’identità é una “unità”della sostanza. Questa conce- proprio paese, le proprie radici, la propria cultura. Per la donna di zione che ha influenzato per secoli il pensiero occidentale (per esem- Bertinoro assumono grande valore al pari dell’uomo, la terra, il luogo pio Rousseau) ha portato a considerare l’identità’ personale come dove vive, il dialetto, il paese, le radici, la tradizione familiare, ma coscienza di un’unità e continuità spazio-temporale, riguardante sia il anche l’essere “bertinorese”. corpo, sia gli aspetti non-corporei dell’individuo. Circa l’età, il gruppo dei più giovani della comunità (dai 15 ai 29 anni) Nell’Europa medioevale, nel cosiddetto mondo feudale, l’identità di evidenzia di amare molto il proprio dialetto e di essere molto legati una persona aveva poco a che fare col suo modo di proporsi, ma deri- al proprio paese, ed é abbastanza legato alla propria cultura e alla vava piuttosto dal suo “appartenere” in altre parole era data da un tito- tradizione familiare mentre ritiene che le generazioni di ieri abbiano lo che spettava al Signore o al membro del clero. S’inizia a cambiare trasmesso molti valori alle generazioni di oggi. quando l’individuo comincia a proporsi in modo nuovo: il dominio di Il gruppo degli adulti (dai 30 ai 50 anni) è molto legato a origini,

un individuo “su di sé” l’immagine di una identità autonoma. dialetto, luogo. Con la modernità abbiamo la cultura dell’innovazione, dell’indivi- Infine il gruppo degli over 50 evidenzia un numero di aspetti ai quali dualismo e delle opportunità molteplici, la produzione di differenze, è molto legato: radici, storia, gente, luogo ed è molto appagato dei esclusioni, ma anche la liberazione di potenzialità. L’identità é uno valori coltivati. degli aspetti centrali e costanti della personalità: non é possibile com- prendere pienamente un individuo se non si conoscono i contenuti e Identità e valori la struttura della sua identità o immagine di sé. Il concetto di “valore” si lega a quelle che sono le linee guida di una L’identità é quindi un aspetto essenziale della persona mentre il Sé personalità centrata sulla costruzione prima, e sul mantenimento poi, è un elemento presente nell’identità. Successivamente - e siamo nel dell’identità: questa ultima rappresentando il nucleo centrale della per- secolo scorso- al termine identità vie ne attribuito un rapporto con sonalità, s’impegna proprio sui valori che ne condensano la struttura, il sociale. Pertanto, secondo le i valori, per così dire, costituiscono moderne teorie sociali, l’individuo gli ‘atomi’ dell’identità ed indivi- trova la sua continuità di sviluppo duarli significa “poter interpretare 2 dell’identità ,la sua collocazione la stabilità che si nasconde dietro il 3 sociale, nel giudizio degli “altri”. fluttuare dei comportamenti”. Le ricerche di psicologia sociale Le tradizioni nelle quali, in tempi mentre confermano la dipendenza passati, l’abitante della. comunità di dell’individuo nello sviluppo e nel Bertinoro si identificava, oggi si dif- “completamento” della sua identità ferenziano da zona a zona, come era (della sua “unità della sostanza” avvenuto ieri, se pur in parte, alla aristotelica) dal contesto sociale, fine cioè degli anni ‘70 quando ini- dimostrano anche l’importanza ziammo la nostre ricerche. -Questi assunta dall’ambiente fisico nella valori, insiti nelle tradizioni, sono interazione con l’individuo nonché cioè in rapporto più o meno stretto l’influenza e le pressioni sul com- col territorio. Tuttavia le caratte- portamento di questi. ristiche e le differenze territoriali, Infatti l’identità di un contesto e quindi nel caso presente anche sociale nasce prima attraverso il valoriali, non vengono ad intaccare rapporto che gli individui hanno l’identità di queste genti legate alla con 1a natura che li circonda, con il loro territorio. centralità de1la loro cultura, della loro storia, dei valori espressi nel Il rapporto tra l’individuo e la comunità di appartenenza, l’ecosiste- tempo. ma locale, viene regolato -sulla base di un lungo processo adattivo Per esempio, la famiglia si poggia ancora oggi su modelli culturali - da norme stabilizzate dalla cultura, creando così nel soggetto un abbastanza consolidati, anche se non privi di qualche mutamento, modello cosciente dell’ambiente (sociale e fisico) che rappresenta un in particolare nell’area industriale di pianura (Santa Maria Nuova), sistema di atteggiamenti interiorizzati e stabilizzati e quindi coglibili mentre nell’area rurale si possono trovare aspetti evolutivi rispetto a attraverso specifiche ricerche, come è avvenuto per la comunità di ieri, quali “il rientro in famiglia” dei giovani nell’ottica di un riflusso Bertinoro. di maggiore entità in collina. Percezione dell’ identitá La religione, a sua volta, é un valore rimasto immutato nel tempo, L’identità, nella dimensione socio-culturale, deriva dalla consapevo- anche se spesso concepito in modo “utilitaristico” ovvero nella sua lezza di appartenere ad un gruppo, dalla tendenza a considerarsi mem- espressione sociale. bri di tale gruppo. Sulla base di questo assunto sono state individuata Ed ancora, il lavoro che vede nella figura dell’operaio-contadino la delle “categorie sociali” (il bertinorese, il romagnolo-bertinorese, continuità tra l’identità agricola e i modelli culturali dovuti all’indu- il romagnolo) che permettessero ai soggetti (44 abitanti del Centro strializzazione. storico di Bertinoro, scelti attraverso un campione rappresentativo) di Per concludere, l’abitante del Centro storico ha, riassumendo, una esprimere il proprio sentimento anche di appartenenza territoriale. Un forte identità con la terra, il luogo dove vive, le tradizioni familiari, test creato per verificare la presenza di identità comuni ed un questio- mentre ama le proprie radici, il dialetto, il proprio paese. Egli si sente nario orientato a cogliere i contenuti di questa identità (luogo, dialetto, bertinorese nel senso pieno e ne dimostra la propria indentità (come è storia, vita quotidiana, tradizioni, ecc.) sono gli strumenti utilizzati emerso marcatamente dal Test Identità Culturale); al contempo però nella ricerca. sente fortemente I dati raccolti (validati attraverso elaborazioni statistiche) evidenziano l’appartenenza alla Romagna, probabilmente per salvaguardare quella un alto grado di coesione tra i 44 soggetti ed indici piuttosto marcati storica contrapposizione con l’area emilia, nella quale egli, da sempre, in direzione di una solida identità. poco si identifica. Infatti, il bertinorese del Centro storico è molto legato alla sua terra Marcello Novaga* che ama al pari del proprio luogo (casa,campagna,eco.) dove vive; *Il prof. .Marcello Novaga, docente di psicologia applicata nelle Università di è molto legato e ama le proprie radici; è molto legato e ama il suo Milano e di Padova, conduce da alcuni decenni ricerche sul contesto sociale e dialetto. Inoltre è piuttosto legato alla comunità ed alle tradizioni organizzativo romagnolo, in particolare sulla comunità di Bertinoro alla quale familiari. ha dedicato tre volumi pubblicati da Walberti, Longo, Il Ponte Vecchio. LE ACQUE SALUTARI DI BAGNO, TRA FEDE E LEGGENDE Per tradizione si racconta che le acque battuta di caccia, incontrò la fanciulla e, non riconoscendo in lei la medicamentose di Bagno di Romagna figlia, se ne innamorò e le chiese di sposarlo. Agnese, che aveva fossero anticamente ritrovate e scoper- riconosciuto il padre, senza rivelare chi fosse, rispose che avrebbe te da S. Agnese, figlia d’un nobile di acconsentito se egli avesse fatto ciò che lei desiderava. Tornata Sarsina la quale, dopo d’essere stata a Sarsina e rivelata la sua identità, ottenne che il padre e tutta la scacciata dal suo genitore per non avere famiglia si convertissero al Cristianesimo. La fanciulla poi tornò voluto acconsentire ad un matrimonio nei boschi dove era vissuta e morì santamente. combinato, si ritirò in questi luoghi, I suoi resti furono sepolti nella chiesa parrocchiale di Pereto Boio ricoperti allora di folte ed orride bo- (oggi, Buio), dove esse sono ancora conservati in una cassa di scaglie colla sola compagnia di un suo marmo, posta sotto l’altare maggiore. fedele cagnolino. Questi, arrivato sul Anche il padre camaldolese Parisio Ciampelli, componendo una posto, cominciando a razzolare con le storia di Bagno di Romagna, ha riferito la leggenda delle origini zampe dove sotto terra stavano nascoste delle terme, scoperte per l’intervento non di un cagnolino, ma di l’Acque Termali, in breve tempo, le fece un agnello, le cui acque risanarono Agnese colpita dalla lebbra. scaturire. Ancora don Giovanni Babbini, ha riferito le seguenti tradizioni Erano le famose acque termali tanto intorno alle ultime vicende terrene di Agnese e al culto delle sue S. Agnese, sec. IV efficaci e salubri. La Santa, si lavò spoglie. con quelle e rimase perfettamente sanata e liberata da “una fiera Agnese, nei boschi dove viveva in penitenza, scolpì da sola una lebbra, che tutto il suo gentil corpo ricopriva, ed affliggeva”. Era cassa funebre nel sasso vivo. I colpi risuonavano lontano e chi li probabilmente una delle numerose malattie della pelle dovute a sentiva non sapeva rendersene conto. deficienze nell’alimentazione e alla scarsa igiene. Prima di morire Agnese lasciò detto che la cassa doveva essere Un’altra leggenda racconta che il padre di Agnese, pagano, la trasportata da due vitellini nel luogo da lei prescelto. I contadini condannò a morte in quanto cristiana e la consegnò a due sgherri cercarono di rimuoverla con l’aiuto di due buoi, senza riuscirvi. perché la conducessero nei boschi e la trucidassero riportando la Aggiogarono allora due vitellini, come Agnese aveva detto, e la veste bagnata del suo sangue. Giunti nella selva i due sgherri eb- cassa fu portata nel luogo stabilito. La leggenda ricordata da don bero compassione di lei e la lasciarono in vita: uccisero un capret- Babbini narra ancora che Agnese, prima di morire, espresse il de- to e in quel sangue bagnarono la veste che riportarono al padre. siderio di mangiare un acino d’uva; ma si era di gennaio e nessuno Un’altra versione ancora, narra che fu ucciso il cagnolino che se- poteva averne. Ella indicò un luogo che si trovava oltre l’aia: un 2 guiva Agnese; secondo altri invece il cagnolino fedele rimase con bambino vi accorse e trovò un grappolo d’uva fresco e rigoglioso 3 Agnese nella selva, vivendo con lei nelle caverne di Valfonda. che portò ad Agnese. Un giorno la giovane fu colpita da una malattia della pelle (forse la Gli abitanti di Bagno, desiderando di avere nella loro chiesa i scabbia) che le procurava un grande fastidio, sicché ella piangeva resti di Agnese, si recarono in processione a Pereto portando in e pregava il Dio dei cristiani che la facesse morire piuttosto che dono, in cambio delle sacre reliquie, un quadro della Madonna. lasciarla in quel tormento. Allora il cagnolino si mise a raspare in Era una bella giornata d’estate ma, quando uscirono dalla chiesa terra con le zampe, subito zampillò un rivolo d’acqua calda con la per portare a Bagno le reliquie, scoppiò un temporale così furioso quale Agnese si lavò, guarendo dal suo malanno. che dovettero abbandonare l’impresa. Si accontentarono di portare Successivamente il padre di Agnese, andando per i boschi in una

San Pietro in Bagno, tempera del Mazzuoli, 1788 delle fonti, delle grotte e degli alberi secolari. La stessa repulsa del matrimonio, che è causa dell’allontanamento nella loro chiesa le ossa di un braccio e lasciarono riposare gli altri della fanciulla, corrisponde ad un comportamento che era proprio resti a Pereto, dove ancora si trovano, ritenendo che quello fosse il delle ninfe. Secondo i miti più arcaici questi esseri soprannatura- volere di Agnese. Don Babbini afferma che a Pereto mancano le li di sesso femminile non andavano esenti da passioni e legami ossa di un braccio di Agnese, come egli avrebbe constatato nel cor- amorosi con dei ed uomini, ma le unioni che ne seguivano erano so dell’ultima ricognizione dei resti, fatta molti decenni fa insieme burrascose e non durature. Un’eco di tale comportamento è nelle al Vescovo. fiabe e leggende che raccontano di unioni, sfortunate e interrotte Quanti hanno raccontano la leggenda delle origini delle terme di improvvisamente, tra giovani uomini e personaggi femminili mi- Bagno chiamano « santa » la fanciulla che era stata risanata dalle steriosamente legati a un corso d’acqua o a una grotta. In epoca acque miracolosamente sgorgate dal suolo. romana si credeva che Diana esigesse dalle ninfe del suo seguito Monsignor Angelo Peruzzi, vescovo di Sarsina dal 1581 al 1600, un rigorosa castità. nel verbale della visita pastorale svolta a Pereto nel giugno 1594, Se, come riteniamo, il personaggio di Agnese della leggenda del- fece riferimento all’altare sub quo dicuntur esse ossa S. Beatae l’alto Savio è derivato da quello di una ninfa (sotto il cui patronato Agnetis , attenuando l’attribuzione di «santa» con quello di «bea- erano poste le fonti termali di Bagno), è comprensibile che il rac- ta». conto prenda inizio dal rifiuto, da parte della fanciulla, del matri- Don Testi, nell’ opera dedicata a Sarsina (Cenni storici tradizionali, monio che il padre vuole imporle. Dal prospettato accostamento Faenza ,1910) ha affermato di aver visto nell’Archivio vescovile alle ninfe consegue inevitabilmente la domanda se la leggenda di i processi di santificazione di Agnese, iniziati ma rimasti incom- Agnese fosse la trasposizione cristiana del culto alla ninfa sarsinate piuti. invocata da Marziale nell’epigramma 58 (libro IX): Le suddette espressioni di «santa» e di «beata» vanno peraltro intese secondo la voce e la venerazione popolari, prescindendo Nynpha sacri regina lacus, cui grata Sabinus dalla canonizzazione della Chiesa. Nè al clero sarsinate più colto Et mansura pio munere templa dedit, poté sfuggire che la leggendaria Agnese, nata a Sarsina e sepolta a Sic montana tuos semper colat Umbria fontes Pereto, non era identificabile, come era avvenuto, con la santa, nata Nec tua Baianas Sassina malit aquas e sepolta a Roma. Una soluzione di compromesso, dettata dalla necessità di contenere la venerazione locale entro le date fissate O Ninfa, regina del sacro lago, dove Sabino per ringraziamento dal calendario canonico, si avverte a Pereto dove la festa in onore Ha offerto in pio dono un tempio, della solitaria scopritrice delle terme di Bagno viene celebrata il 28 Così l’Umbria montana possa sempre venerare le tue fonti gennaio, ultimo giorno dell’«ottava» di Sant’Agnese, che la Chiesa Né la tua Sarsina mai preferire le acque di Baja venera il 21 gennaio. 4 Esclusa l’identità tra Agnese di Sarsina e Agnese di Roma, ci si Secondo la religione pagana le ninfe, contrariamente agli dèi onni- 5 chiede se l’agiografia intorno alla santa romana può aver determi- presenti, erano esseri soprannaturali i cui poteri erano circoscritti a nato o influito sulla formazione della leggenda nell’alto Savio. un luogo particolare: fonte, grotta, bosco. La ninfa in onore della Secondo Sant’Agostino e San Damaso, Agnese fu una fanciulla quale Cesio Sabino, ragguardevole personaggio sarsinate dell’età dodicenne martirizzata al tempo di Diocleziano. Secondo la tra- flavio-traianea, aveva eretto dei templi, non avrebbe potuto essere dizione greca Agnese era invece una vergine adulta che, avendo la stessa alla quale erano dedicate le terme di Bagno, site a diverse rifiutato di tributare sacrifici agli dèi pagani, venne condotta in un ore di cammino da Sarsina. postribolo prima di subire il martirio. Un giovane, che aveva tenta- Tuttavia Marziale, seguendo le tendenze sincretiche prevalenti nel to di farle violenza, cadde fulminato e risorse per intercessione di tardo paganesimo, sembra unificare, nella ninfa cantata nell’epi- Agnese. L’episodio della violenza carnale miracolosamente respin- gramma, le diverse divinità sotto la cui tutela erano poste le molte ta giustificava il nome attribuito alla santa, derivando Agnese dal fonti (tuos fontes; aquas) dell’antica Sassina (... Sarsina). greco agné, «pura», «casta». Mentre riteniamo che i templa eretti da Sabino debbano essere cer- I Romani vollero risalire a un etimo ugualmente significativo fa- cati tra i ritrovamenti archeologici dell’area di Sarsina ed escludia- cendo derivare Agnese da agnus, «agnello» (di Dio). Sant’Agostino mo che possano identificarsi nel modesto complesso votivo portato dice: Agnes latine agnam significat graece castam. alla luce presso le fonti termali di Bagno, pensiamo nondimeno Nella Legenda Aurea (XIII secolo) le vicende della santa s’arric- che, secondo la concezione religiosa espressa da Marziale, la ninfa chirono di nuovi particolari. Il figlio del prefetto Sinfronio si inva- sarsinate estendesse il patronato fino alle terme di Bagno: ipotesi ghisce di Agnese, ma è ripetutamente respinto da costei. Il prefetto che spiegherebbe l’attribuzione a Sarsina della nascita di Agnese, le ordina di votarsi a Vesta se vuol restar nubile, altrimenti sarà essendo peraltro la leggendaria fanciulla destinata a scoprire le fon- condannata al postribolo. Agnese è trascinata nuda per le strade di ti di Bagno di Romagna. Roma ma i capelli, miracolosamente cresciuti, l’avvolgono e un an- gelo le pone sulle spalle un candido mantello. Un giovane tenta di *** violentarla, ma cade a terra accecato. Condotta sul rogo, le fiamme si scostano dal corpo della santa che poi viene sgozzata. Costantina Una rosa recisa (santa Costanza), figlia dell’imperatore Costantino, ottiene la gua- Fu solo attorno agli anni 1950 che i proprietari iniziarono a tinteg- rigione dalla lebbra dopo aver pregato sulla tomba di Agnese, in giare gli esterni delle abitazioni molto spesso rovinate dagli eventi onore della quale farà erigere la basilica sulla via Nomentana. bellici e comunque da un decennio di abbandono. Nelle versioni medioevali della leggenda di Santa Agnese si rile- Abitavo in un palazzo di due piani costruito alla fine degli anni vano due temi comuni alla leggenda di Agnese di Sarsina: il rifiuto venti che oltre alle pareti con muro a vista, aveva alcune parti tin- teggiate di un bel colore ocra. La proprietà decise di rinfrescare la delle nozze e la guarigione dalla lebbra. Questi temi sono peraltro tinteggiatura e stuccare le ferite delle schegge di granate e , come così diffusi che, in assenza di altre concordanze, non possono vale- allora avveniva, diede l’incarico ad un artigiano imbianchino, che re a proporre una comunanza o una connessione tra le due leggende lavorava da solo con l’unica attrezzatura di una scala e di qualche messe a confronto. Il rifiuto delle nozze, sia nei racconti che nelle secchio di vernice con adeguati pennelli. Per queste ragioni “tec- agiografie, era una tipica causa di contrasto della famiglia con la niche” la tinteggiatura procedeva molto a rilento e in quell’estate fanciulla, determinando il ritiro di questa in un convento o eremo del 1950 mi svegliavo alle prime ore del mattino, col rumore della e l’inizio di una vita dedita alla religione. La guarigione dalla leb- scala dell’imbianchino e del pennello che spandeva la vernice. Il bra affligge l’Agnese di Sarsina mentre, nella leggenda romana, tutto era accompagnato da un ritornello canticchiato dall’artigiano: colpisce Costantina la quale sarà risanata pregando sulla tomba di «..è una rosa profumataa..» e via due colpi di pennello. Il ritornello Agnese (come suo padre, Costantino, sarà guarito dallo stesso male non completò mai la frase …. per intercessione di papa Silvestro). Era un miracolo di risanamen- Un brutto mattino non udii i soliti rumori e il canto dell’imbianchi- to assai comune nella narrativa edificante e profana del Medioevo. no, meravigliato mi affacciai alla finestra, vidi la scala e i secchi L’allontanamento di Agnese dalla famiglia e dalla città, la ininter- di vernice, ma lui non c’era. Appresi poi che quell’uomo, che rotta permanenza nelle selve, l’attribuzione di una fonte di acque sembrava così tranquillo e spensierato si era suicidato. La “rosa profumata” non ebbe per me un seguito! curative, sono elementi che avvicinano Agnese alle ninfe, signore I MORRI E I PASCOLI tra guerre risorgimentali e un amore sfortunato

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Assalto a una caserma di Rimini, 1845 Gente semplice, i Morri professavano a Rimini l’arte dell’ore- Per questa parentela, infatti, il 31 dicembre 1855 Alessandro por- ficeria da lunghi anni ed erano fra i sei orefici con laboratorio e tò al fonte battesimale il futuro poeta, al quale impose i nomi di bottega lungo la strada Maestra. I fratelli Agostino e Nicola aveva- Giovanni, Placido, Agostino. no appresa l’arte in famiglia e la proseguirono con estro e abilità; Nel 1865 i coniugi Andrea e Luisa Morri portavano al fonte ma l’arrivo delle Armate napoleoniche sconvolse il quieto vivere battesimale Maria, Santa, Adele, Annetta, colei che il mondo, di questi artigiani. specialmente delle lettere, conoscerà poi unicamente come Mariù Le nuove idee infiammarono i giovani della famiglia: Luigi fin Pascoli. dalla prima coscrizione del 1803, Giuseppe fu fra i Veliti, morto a Ormai la vita delle famiglie Morri e Pascoli scorrerà parallela e Monaco nel 1806 e Lorenzo, nel battaglione zappatori. serena fino a quel fatale giorno di San Lorenzo del 1867 quando, Dopo il 1815, le generazioni erano già provate dalle guerre na- come scrisse il Poeta : « ritornava una rondine al tetto: / l’uccisero, poleoniche e ai moti del 1821 e del 1831 non parteciparono i cadde tra spini». Il fattore dei Torlonia, padre del poeta, era stato Morri. assassinato. Ebbero invece parte attiva nell’amministrazione della cosa pub- Nell’autunno, riunito il consiglio delle famiglie Morri Pascoli, blica e Agostino senior fece parte della Magistratura quale Con- che Alessandro Morri presiederà, si stabilì il da farsi sul futuro sigliere comunale dal 1839 al 1845. degli orfani. È allora che lo zio Morri suggerisce a Giacomo il Nel 1845 è ancora membro della Magistratura quando, nel moto trasferimento della famiglia a Rimini, che egli stesso seguirà poi guidato da Pietro Renzi, i due figli maggiori, Alessandro e Luigi nel 1871, ed è in quella sede che ogni cosa fu vagliata, studiata ed Morri sono parte attiva e componenti della squadra che, sorpresa attuata. la sentinella al corpo di guardia della caserma di S. Francesco, la Dopo di allora il poeta, che già amava gli zii di Rimini, chiamerà occupa; mentre le altre due squadre raggiungeranno lo sferisterio e Alessandro «mio forte amico» e Mariù riconoscerà «che era sem- la Rocca Malatestiana, per liberare i detenuti politici . pre stato un serio ed avveduto consigliere». I quattro giorni della rivoluzione riminese misero in moto le Rispetto ed affetto, che per Giovanni Pascoli si tradurranno nel Cancellerie d’Europa e i rivoltosi, alla notizia di un corpo di 1875, alla morte dello zio, in versi commoventi. spedizione inviato contro la città, emigrarono a San Marino, in I versi ebbero una curiosa sorte, come ci racconta Mariù. Toscana e in Francia. La vedova, «la zia Luisa, religiosissima, fu messa in sospetto da Nel 1847 i tre figli dell’orefice sono fra gli organizzatori, gli istrut- alcune persone sulla fede cristiana del poeta e quindi della poesia, tori e i comandanti della Guardia Civica, con la quale combatte- e per averne un parere sicuro, pensò di farla leggere a Giovanna ranno sui campi lombardo-veneti. Grilli», ritenuta dai riminesi in odore di santità. Appena lettala, la Alessandro (1820-1875), dopo aver militato e dimostrato facile Grèlla esclamò: «brusèla, brusèla, l’è contra Crèst! »: il giudizio vena poetica in versi d’occasione, sarà nel ‘49 vice segretario del era autorevole e tutte le copie dell’edizione riminese della poesia comitato per eleggere la nuova Magistratura, e uno degli eletti dal furono bruciate, meno due, la copia della zia Rita che donò poi popolo per formare il Municipio a norma del decreto 29 dicembre a Mariù quando uscì dal collegio e quella di Andrea, conservata 1848. dagli eredi. Sarà quindi segretario del Comune di Sogliano al Rubicone e spo- serà Luisa Vincenzi, sorella della madre di Giovanni Pascoli. Alessandro nel marzo del 1863 L’Annetta e l’Imelde, spiegherà poi Mariù nelle sue memorie, fu prescelto dalla Giunta muni- «erano due buone e care ragazze, quasi della mia stessa età , ma cipale, «in apprezzamento delle assai diverse da noi per fortuna, perché esse erano ricche e vesti- doti e cognizioni teorico pratiche vano con molto lusso, e noi eravamo povere e vestivamo molto che lo distinguevano sulla con- dimessamente. Ricordo che il nostro amor proprio si contorceva dotta dei pubblici uffici», quale dalla mortificazione quando dovevamo uscire insieme». segretario dello Stato Civile del Già in queste parole c’è una prima avvisaglia di un disagio che si Comune. Il suo nome e la sua trasformerà in una apprensione ed un disappunto “singolare” di operosità sono testimoniati da Mariù: « … cominciai presto a sentire delle voci che mi sconvol- tre annuari statistici pubblicati sero tutta. Si diceva che Giovannino era in procinto di prendere dal Comune di Rimini sul mo- moglie. Tutti si congratulavano con me, mentre io confusa e stor- vimento dello Stato Civile negli dita non trovavo altro da dire se non che non sapevo niente, ma mi anni 1868-1869-1870, ricchi di si assicurava che era vero, che sposava una romagnola, una cugina tabelle e di dati, redatti con un di Rimini». rigore scientifico che sorprende. Mariù era forte ed oculata, ma era diventata precocemente orfana L’altro fratello di Alessandro ed aveva passato otto anni seppellita in un collegio fino a che non Morri, Luigi (1823-1898), poco era arrivato il fratello buono che le aveva porto una mano trasfor- più che ventenne nel 1845 par- mandola in una giovane donna libera, valorizzata ed amata fino al- tecipò al moto risorgimentale l’idolatria. E quando l’altra sorella Ida se ne era andata per seguire Andrea Morri riminese e nel ‘48 raggiunse i un suo destino matrimoniale, i due fratelli si strinsero ancora di più campi di battaglia veneti dopo in una coppia indissolubile, chiusa in un loro piccolo mondo che avere militato, in qualità di sottufficiale, nella Guardia Nazionale. nessuno poteva intaccare. Nel 1849 partì con la colonna Pianciani alla volta di Roma re- Mariù riuscì ad allontanare la Imelde Morri dal fratello con l’im- pubblicana, ma costretto a fermarsi ad Urbino per malattia, fu qui pulso della sua fraterna gelosia, ma nel paese raccontarono come dichiarato prigioniero, né poté riavere la libertà se non dopo tristi la Imelde si fosse lamentata dell’abbandono con la cugina e altri e dolorosi trasferimenti da una città all’altra, sotto la costante mi- insinuarono anche che il poeta avesse pianto per il distacco. naccia della fucilazione. Mentre avvenivano questi fatti era intanto nato un altro amore e Liberato, ritornò a Rimini. Nel 1859 fu a capo della spedizione Imelde Morri diventò la contessa Baldini. dei 67 volontari riminesi costretti ad accettare l’esilio dagli Stati gff della Chiesa per accorrere a combattere nella campagna di guerra 6 sui campi lombardi. Il Rubicone 7 Nel 1860 fu il primo ad entrare nelle Marche, capitano di una com- pagnia di romagnoli; nel ‘62 fu aiutante maggiore di battaglione Mussolini, che aveva dappertutto, e specialmente in Romagna, della Guardia Nazionale. Nel 1864 fondò in patria l’Associazione i suoi informatori, non poteva ignorare la teoria e le ricerche di Liberale Riminese, quindi fu azionista e ispettore dell’Istituto di Gigino di Bernardino quando, circa a metà degli anni Trenta e educazione gratuita per i figli del povero, e dal ‘71 vice presidente per contentare il podestà di Savignano che tanto gli si era racco- della Società veterani, poi del Comitato elettorale per la candi- mandato, aveva stabilito che il fiume detto fino a quel momento datura di Luigi Ferrari. Spese dunque la vita giovanile nei moti Fiumicino, prendesse il nome di Rubicone e che la stessa citta- rivoluzionali, la maturità nelle opere sociali più meritorie. dina di Savignano si fregiasse di un’aggiunta quasi nobiliare: Questo il clima della famiglia Morri ove crebbe e si formò Andrea Savignano sul Rubicone. (1830-1886), il minore dei fratelli. La popolazione del luogo si era rallegrata, il podestà aveva visto Componente della 3° Legione Romana dalla sua fondazione, fece avverarsi il suo lungo sogno storico e squadristico insieme, e per parte della Divisione Civica Volontari nel corpo di operazione pon- noi romagnoli si era chiusa, provvisoriamente, l’era delle polemi- tificio nel Veneto, fino al 20 settembre 1848, quando la Legione che che chiameremo fluviali. si sciolse a Rimini. Il 3 dicembre dello stesso anno si arruolò in Da queste parti ci sono tre fiumiciattoli scorrenti verso l’Adriatico Ancona nel reggimento Unione con il quale nel maggio del 1849 si che sempre hanno preteso di essere il Rubicone. recò alla difesa di Roma e fu sulle barricate di Porta S. Pancrazio. C’è il Pisciatello, a Cesenatico; c’è il Luso (oppure Uso), che Nel luglio, caduta Roma, fu prigioniero delle armi francesi e per lambisce Sant’Arcangelo, e infine c’è il Fiumicino, savignane- venti giorni ricoverato all’ospedale di Bastia in Corsica. se. Si figuri che il primo favore che chiedemmo noi romagnoli a Tornato a Rimini, collaborò al consolidamento dell’Istituto di Napoleone, quando venne a saccheggiarci, fu di aiutarci a sbro- educazione gratuita per i figli del povero e si adoperò coscien- gliare la matassa dei fiumi. ziosamente nell’organizzazione e nell’istruzione della Guardia Che facesse lui, che decidesse lui che aveva sempre ragione. Per la Nazionale fino al 1859 ricoprendo i gradi da sergente a capitano. verità, il favore, a Napoleone, glielo chiesero i forlivesi, essendo Nell’aprile del 1860 con altri 13, raggiunse 827 volontari garibal- Sant’Arcangelo abbastanza soddisfatto di spacciare per Rubicone dini a Genova dove il 4 maggio partì per la Sicilia raggiungendo il suo Uso, anche in base a una sentenza della Sacra Rota del 1756. Marsala il giorno 11. Ma Napoleone, lo sanno tutti, non aveva nella manica quelli della Colla vittoria di Caserta Vecchia si chiuse il glorioso periodo delle parte di Ravenna (e fu poco una canagliata il trasferimento della battaglie nella campagna risorgimentale del 1860 e l’impresa dei capitale da Ravenna a Forti?) e, inoltre, il condottiero di Waterloo “Mille”, aveva preso una specie di cotta per alcune autorevoli cittadine di Capitolata Capua il 2 novembre, Andrea Morri, rientrato a Napoli, Cesena che poi si sarebbero trasferite a Forlì capitale. venne imbarcato, con un migliaio di camicie rosse, diretto a Anche Napoleone era uno che ne aveva poche delle spicce. Era Genova, poi a Bologna, quindi a Rimini. una specie di Grundèra vestito da maresciallo. Napoleone pertanto La sintesi della sua vita gloriosa ed avventurosa, è arrivata fino a decretò in favore del Pisciatello (successivamente le lapidi che noi racchiusa nelle “noterelle” del suo Taccuino. in Cesenatico celebravano il battesimo in Rubicone del rivolet- Nel frattempo Giovannino Pascoli s’era invaghito di Imelde, la to locale furono rimosse e trasferite nella sede della Biblioteca minore delle figlie di Alessandro, sua cugina, con la quale nel- Malatestiana) e ancora una volta il conflitto di competenze si l’aprile (1896) aveva già in corso i “preparativi matrimoniali”, e placò. Forse se a Mussolini non si fosse offerta l’occasione di fare fatta richiesta, tramite l’amico Pirozz (Pietro Guidi), a San Mauro, un dispetto al suo rivale Corso, tutto sarebbe rimasto come prima. dei documenti personali. Ma può anche darsi che Muslé, facendo propria la teoria di Gigì Il poeta nel 1884 insegnava in un liceo di Matera e scriveva a casa d’Barnardé, non abbia voluto perdere l’occasione di aver ragione, chiedendo notizie delle cugine Annetta e Imelde. almeno una volta. m.d. ANDREA RELENCINI libero pensatore romagnolo L’intolleranza religiosa e vere e proprie guerre di religione, im- maschera cristiana, una loro crudeltà al limite del sadismo, solo perversano sul mondo. Non siamo tanto ingenui dal pensare che perché il condannato la pensa diversamente da loro e non vuole le ragioni di tanti misfatti siano solo di carattere religioso, e in sottoporsi a una volontà dogmatica, a una ingiustizia ambiziosa particolare da addebitare ad una religione, perché riteniamo che di potere. Descriviamo gli avvenimenti come ce li tramanda la altri e ben più importanti elementi di carattere politico, economi- cronaca del tempo. co e anche razziale ne siano la base preminente tuttavia le cose Entrano nella piazza cento cavalieri in armi, i trombettieri, che allo stato attuale sono queste e ricordare quanto avvenne da noi con i loro suoni fanno rabbrividire, uno stuolo di preti e frati con cinque secoli fa è utile e propedeutico. Un Papa, alcuni anni fa, ha un gonfalone su cui è disegnata una croce irta di chiodi. Segue chiesto perdono per quanto è successo. il potere rappresentato dai membri dell’ufficio dell’Inquisizione, La redazione dai dignitari del Sacro Ordine domenicano, dal rappresentante del vescovo di Imola, dal commissario estense e cosi via, con giudici, notai, anziani della comunità, valletti, cavalieri, sgherri ed altra gente armata. Sulla Rocca Comunale di Lugo è collocata una targa marmorea, Uno scabino (giudice) sale sul palco dove già è stato portato dettata da Olindo Guerrini, che cosi recita: PIÙ CHE QUESTA il condannato a lato della forca e dà lettura dell’atto d’accusa. PIETRA / DURI IL RICORDO DI / ANDREA RELENCINI Indi un frate, con una croce in mano, si avvicina al condannato /STRANGOLATO E BRU- esortandolo all’abiura ed al CIATO QUI PRESSO / NEL pentimento. Al rifiuto, con la MDLXXXI I PER SENTEN- “fiera ostinatezza del dover ZA DELLA S.R. INQUISI- obbedire alla intimazione ZIONE / ED AMMONISCA del tribunale inquisitorio”, CHE LA CHIESA NON un notaro del seguito legge TOLLERA / OMBRA DI LI- le sentenza di morte. “Ei non BERTA’. tiene china ne tentenna la 6 La strada laterale destra della testa, e rifìuta di baciare un 7 Rocca, quella che immette Cristo di legno.” a piazza Baracca è intitolata Ad un gesto del giudice, la ad Andrea Relencini, figlio vittima viene presa in conse- acquisito di terra romagno- gna dal carnefice per l’ese- la il cui martirio non potrà cuzione. Viene impiccato, essere dimenticato. Ma chi ma non emette un gemito o era Relencini? Aiutandomi un lamento ed appena dati con uno scritto di Ambrogio gli ultimi tratti di vita, viene Bongiovanni (1848-1916) già tagliata la corda e gettato nel- direttore della Biblioteca Trisi la catasta di legna a cui è già di Lugo, storico, amante degli appiccato il fuoco. Eseguita la eventi di Romagna, inizio sentenza le sue ceneri vengo- dalla fine della vita di questo no disperse perché di lui non grande modenese trapiantato e resti niente. naturalizzato lughese.

Lugo conosce così il martirio Una mattina d’estate dell’an- di un uomo il cui solo peccato no 1581 sotto un cielo limpido era stato quello di non essersi e sereno, già dalle prime ore, sottomesso alla Sacra Roma- le strade polverose della Terra na chiesa. E questo era avve- di Lugo si animano di persone nuto senza potersi difendere, giunte da ogni parte del con- senza conoscere il nome degli tado, con ogni mezzo, fino a accusatori, senza sapere di divenire una moltitudine che quale delitto venisse accusato la si vedeva solamente nelle Rocca di Lugo, sec. XVI se non quello di professare feste delle grandi città. Quale principi non contrari alla fede era la novità? Era corsa voce di un fatto eccezionale, mai ac- di Cristo, ma a una “chiesa” di uomini che la interpretava e usava caduto a Lugo e cioè il supplizio di un empio, eretico, seguace per i suoi fini terreni. di Lutero, condannato dalla Santa Inquisizione. Nelle parole e Della vita di Relencini si conosce poco, se non che era un uomo dai volti della gente si intuisce sdegno, odio e ribrezzo per il comune, uguale per condizione e dignità ad altri del suo tempo. condannato e tutti, salvo pochi, sono ansiosi di veder applicata Nato a Modena, da povera famiglia, con pochi studi, era un fer- la sentenza. Nella piazza interna della rocca, é stata preparata mo assertore della dottrina di Lutero e un buon conoscitore dei una catasta di legna, necessaria per un rogo “purificatore” e la “libri proibiti” sia di Lutero che di Didimo da Faenza. gente é ammassata all’esterno in attesa che sia calato il ponte Era amante delle letture filosofiche e morali e divenne così un levatoio per potervi accedere. Con un rumore di catene il ponte ribelle nei confronti della Chiesa. Aderì a Modena all’Accade- viene abbassato e la gente prende posto ai lati della piazza in mia Letteraria dove con Paolo Ricci iniziò a propagare le idee attesa di assistere a quell’evento. Di li a poco un libero pensatore sarà messo a morte da altri uomini che nascondono, dietro una P.G.R. riformatrici del nuovo credo luterano. Il Duca d’Este, spinto dal- la Sacra Inquisizione, iniziò una vera e propria repressione nei Lungo la carreggiabile che da Giugnola conduce a Piancaldoli e confronti degli aderenti all’Accademia, incarcerandone alcuni che anticamente portava a Imola, esiste tuttora un pilastrino in sasso che tanti anni fa proteggeva un’ immagine della Madonna di fra i quali il Ricci. Gli altri affiliati furono costretti a fuggire da Bocca di Rio e che ora farà sicuramente parte di una collezione di Modena e fra questi il Relencini che si stabilì a Lugo, continuan- qualche ladro di ceramiche. do a professare le proprie idee. Fu un uomo molto laborioso che Quella Madonna ricordava un fatto avvenuto nell’anteguerra che praticava l’arte del falegname e per questo fu chiamato maestro. ha qualcosa di commovente e di tragicomico nello stesso tempo. Era considerato un uomo intelligente e colto, conoscitore delle Tonio e Maria abitavano al Casetto, facevano i mezzadri in quel scienze matematiche, infatti si prodigò per risolvere i problemi poderetto, ancora esistente, che risaltava alla curiosità dei ragazzi idraulici del territorio fra i quali la serrata della rotta del Senio del paese perché, non essendoci nei pressi alcuna sorgente, i due fra Lugo e Fusignano. Ma il suo “fare” ed il suo “conoscere” avevano escogitato un sistema di approvvigionamento idrico per erano avversati da chi, per invidia, ne temeva la popolarità. Fu mezzo di una “teleferica”. quindi “chiacchierato” e additato come seminatore di zizzanie, Infatti essendo il Casetto posizionato sull’orlo di un dirupo sulla propagatore di scienze occulte, eretico perverso e per questo fu riva sinistra del fiume Sillaro, da qui partiva, ancorato al tronco di denunciato e incarcerato. una robusta quercia, un filo di ferro sul quale era appeso e scorre- Fu aperto nei suoi confronti un processo per aver rinnegato la va un secchio che scendeva per inerzia fino a una sorgente posta in Santa Fede romana facendosi luterano, oltre ad altri capi d’ac- basso sulla riva opposta del fiume. cusa per “fanatiche arti diaboliche” ed altre nefandezze non ben Senza fretta il secchio si riempiva quindi veniva fatto risalire precisate come era allora d’uso presso la Sacra Inquisizione. trainato da una funicella azionata da un verricello a mano, e non Questa sostenne che dovevano esserci “altri soci che con esso impiegava poco! dovessero avere comunanza”, e pretese dallo stesso il nome di A quei tempi l’acqua si risparmiava per forza, oggi si spreca in- altre persone di fede luterana. consideratamente. Infatti i delatori del Relencini l’accusarono che “altri seco lui Un giorno Tonio considerato che la vaccherella che allevava mo- aveano visto a confabulare e a convivere”. In nessuno dei casi strava il desiderio di accoppiarsi, decise, col permesso del padrone addebitati fu mai portata prova e Relencini mai farà dei nomi, ne- di portare la bestia a conoscere il toro, detto Romano, che offriva 8 gando ogni rapporto con chichessia, non volendo gravare la sua le sue prestazioni in una casa colonica detta Le Rose vicino a 9 nobile e ferrea coscienza di alcun minino rimorso. Il commis- Giugnola. Di buon mattino, trattenendo la vacca con una fune legata alla sario ducale, in data 19 ottobre 1580 informava Alfonso d’Este cavezza, il nostro Tonio si incamminò di buon passo sulla car- che “Quel M° Andrea non ha per anco accusato alcuno, se bene reggiabile che conduceva alla monta costeggiante la riva destra ha questo inquisitore certi sospetti”. Il Tribunale sostenne la sua del fiume. Ad un certo punto, proprio nelle vicinanze dell’antico colpevolezza e l’invitò più volte a fare nomi, per la sua salvezza Ospedale di S. Antonio, la vacca cominciò a scalpitare, come può altrimenti doveva applicare “giuste e severe leggi”. capitare quando queste sono in calore. Relencini non parlò e continuò imperterrito a sostenere le sue Il nostro Antonio, che fra l’altro non era troppo robusto, non riuscì convinzioni. a trattenere la bestia la quale lo scaraventò giù nello scosceso diru- Allora l’inquisitore lo fece torturare, con la prova del fuoco, po fino ad annegare nelle fredde acque del Sillaro. nella speranza di carpirgli una confessione, ma Andrea Relencini Del fatto se ne parlò molto e fu l’avvenimento dell’anno per quei non accusò nessuno. piccolissimi paesi. Scriverà così il commissario ducale in data 3 novembre 1580: Tonio lo conoscevano tutti ed era considerato una brava persona, “si trova hormai come ispedito dall’inquisizione, et tormentato ma soprattutto: “un galantòm”, razza oggi in estinzione. con fuogo non ha accusato alcuno et se ne sta ostinato nella sua Maria rimase sola e per tirare avanti, andò a convivere con la figlia perversa opinione, si che si disputa se dee essere abbrugiato, o maritata verso Visignano. pure condannato a carcere perpetua et aspettasi credo risolutio- Prima però di abbandonare il Casetto si recò, di lunedì, al mercato ne da Roma”. di Firenzuola dove acquistò una ceramica con la Madonna di Boc- Riscriverà nuovamente il commissario al Duca d’Este, in data 9 ca di Rio, alla quale era tanto affezionata, e la pose in un pilastrino, novembre 1580: “L’inquisitore a questo M° Andrea Relencini ha costruito a sue spese, proprio sul luogo della disgrazia capitata al assignato 40 giorni di tempo a pentirsi e ritornare alla SS. Ma- marito, a memoria imperitura! dre Chiesa et per quello che mi ha detto ha havuto commissione Ma, non sapendo leggere, non aveva fatto caso, la poveretta, a da Roma di ispidirlo onde dubito che sia per farlo abbruciare, quelle tre, solo tre, letterine in un cartiglio alla base dell’immagi- perchè esso inquisitore fra questo viene costi per parlare a V.A.S. ne: P.G.R. (per grazia ricevuta)! desideroso di fargli anche condurre il prigioniero “. Emilio Prantoni L’inquisitore, frate Angelo da Faenza, si reca a Lugo per redigere la confessione del Relencini, ma per l’ennesima volta mastro An- drea non parla. Il commissario ducale avvisa il Duca dell’esito avuto da frate Angelo chiedendo il da farsi per ottemperare alla sentenza pronunciata dall’Inquisizione. Il Duca prende tempo e non risponde, ma l’11luglio 1581 il commissario invia al Duca il seguente messaggio: “L’inquisitore ha deliberato domenica prossima dare la sentenza di M° Andrea Relencino in S.to Dome- nico con l’intervento del Vicario del vescovo di Imola et altri, di che non ho mostrato curarmi”. L’intransigenza fanatica esautorava così la tolleranza politica del Duca d’Este. Ugo Cortesi UNA BATTERIA DA CUCINA IN MINIATURA alla fine dell’Ottocento nella Rocchetta bentivolesca alla base del- la Torre degli Asinelli. Fu sfrattato dal comune di Bologna attorno agli anni Venti e si trasferì in via Gargiolari portando con se un ricordo dell’attività della sua famiglia . Voglio alludere alla riproduzione in miniatura di tutti gli utensili di rame necessari a una grande cucina, quale poteva essere quella del duca di Montpensier. Questo campionario di 340 pezzi riprodotti in miniatura si trova attualmente nella collezione storica e artistica della Cassa di Ri- sparmio di Bologna assieme al diploma dell’infante Don Antonio di Orléans. che concedeva nel l893 a Enrico Rizzi il titolo di proveedor con l’uso reale nelle «facturas y etiquetas dello stabi- limento di caldereria in Bologna». La vetrina fu esposta nel 1892 alla I Mostra d’arte applicata al- l’industria e fu premiata con medaglia d’argento. La riproduzione, rende abbastanza bene, oltre la singolarità dell’oggetto, la perfetta finitezza di ogni più piccolo utensile di rame cavo, modellato a colpi di martello su minuscoli pali, che lo Zingarelli nel suo voca- bolario bolognese cosi definisce «arnesi quasi ad uso d’incudine consistenti in una asta di ferro infissa in un ceppo verticalmente,

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Cucina Monumentale, quadro del sec. XVII-XVIII, Bologna, Museo Davia Bargellini.

Enrico Rizzi, figlio di Luigi è ricordato nel cimitero della Certosa a Bologna come: “artefice valente che utensili e ornamenti vari in pregiati metalli maestrevolmente elaborava”. Era un calderaio, bat-ram , artigiano del rame, che aveva bottega

oppure in varia maniera inclinati, sui quali il calderaio batte alcuni suoi lavori». Fa da centro alla vetrina il camino con il suo focolare munito di forni e di cassette. Nel piano è il girarrosto con il meccanismo che farà girare lo spiedo: gli alari sono decorati da due statuette. Il tubo verticale è pronto a versare acqua calda: appese ad un ferro sono ramenne o schiumarole, mescoli e forchette. Nella cappa sono ben disposti stampi e stampini da dolci e padelle. A destra una vasca da bagno con fornello posta su ruote onde po- Fascismo di sinistra tersi trasportare di camera in camera; a sinistra la pompa dell’ac- qua e una grande catinella per rigovernare. in Romagna Sulle pareti grattugie, coltelli, pistadure o taglieri, candelieri, Non s’è mai placata la disputa intorno all’effettiva natura, oltre brocche, calzider o secchi muniti inferiormente di perno per muo- che al peso, del cosiddetto “fascismo di sinistra”. Negarne l’esi- vere il meno possibile il fondo del pozzo, scaldaletti, padelle da stenza, ridurlo a mera trovata ingannevole non è storiograficamen- arrostire le castagne. te produttivo. Nel fondo della vetrina sono appesi altri svariati utensili della bat- Se si trattasse di un fenomeno privo di qualunque consistenza, teria da cucina (battrì da cusena): cuccume, molte tejje o tegami, non sarebbe probabilmente mai nato, alla metà degli anni Trenta, role o teglie, padelle e casseruole con coperchi, scaldaletti o scal- l’appello dei dirigenti comunisti «ai fratelli in camicia nera». Né dapiedi, scolabrodi e scolapasta, altri stampi e stampini da budini d’altra parte riconoscerne l’esistenza e le aspirazioni costituisce e da pastine, zamponiere con graticola, terine o zuppiere, dariol o una postuma apertura di credito. Dopo una incubazione nella fase stampi da verdura, brusen o tostatori da caffè, salvavina o pevere discendente del ventennio, il “fascismo di sinistra” giunse al ci- con relativa grasparola o graticola atta ad impedire l’entrata nelle mento con la realtà e giocò, effettivamente, le sue carte a Salò, e lì se ne misurò l’equivoca matrice, che mescolava questione sociale botti o nelle damigiane di graspe e vinaccioli, padelle da letto e e ‘razza’, e, soprattutto, se ne palesò l’esito criminale. vasi d’uso igienico o da nòt. Nonostante le incerte sortite delle prime settimane, tra le quali Nel mezzo e in alto è un ingegnoso distillatore di liquori. spiccano il fondo del «Corriere della Sera » del 30 ottobre ‘43 inti- E superfluo ricordare come durante l’ultima guerra un’infinità tolato Socialismo e, in una tribuna provinciale, l’ipotesi “lanciata” dei tradizionali utensili da cucina fu requisita e adoperata in usi dal Popolo di Romagna, organo del fascio repubblicano di Forlì, di bellici e come oggi altri materiali meno costosi abbiano sostituito una alleanza con Stalin divenuto ormai patriota (6 ottobre ‘43). il vecchio e nobile metallo forgiato con tanta abilità dai battirame. Il “fascismo di sinistra”, impostosi come ideologia ufficiale a Queste considerazioni contribuiscono a dare maggiore valore al Salò, svolse, sempre più apertamente, il ruolo di ramo italiano campionario in miniatura qui illustrato. del nazionalsocialismo tedesco. Di esso condivise l’aberrante g.f.f. identificazione “razziale” tra capitalismo ed ebraismo e l’identifi- cazione, altrettanto “razzialmente” motivata, tra «nazioni giovani» o «ariane» e rivoluzione intesa come « Nuovo ordine europeo». 10 È significativo che il primo avvio in tal senso (quando ancora 11 Salò era di là da venire) fosse concomitante e coincidente, con lo scatenamento della campagna razziale, e con la proclamazione, ossessiva in quella campagna, del carattere originario (dal 1919) e fondante del razzismo per il fascismo. Non è un caso dunque che, nella torrenziale pubblicistica di Salò, Mussolini faccia di conti- nuo proclamare la propria personale fedeltà, da sempre, a quel fascismo, la propria pretesa di essere rimasto pur sempre (al di là delle scelte imposte dalla Realpolitik) il leader di quel fascismo, e di avere dunque, a Salò, finalmente realizzato ilsuo progetto. Mai forse propaganda fu meno vera, mai, più istruttiva. gifra

Nicola Bombacci, socialista coetaneo di Mussolini, fondatore del P.C.I. a Livorno, aderì alla R.S.I. e fu fucilato a Dongo. LA TASSA SUL MACINATO

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Vignetta satirica, 1869

Una delle leggi più impopolari approvate dal nuovo Governo adesione alla rivoluzione parigina di molti giovani repubblicani, sabaudo ( gennaio 1869), fu quella sul macinato, uno dei cardini fino all’irrigidimento su posizioni retrive dei mazziniani ortodossi; principali su cui contava il Ministro delle Finanze per giungere al dalle nuove sollecitazioni pervenute al movimento internazionali- pareggio dei conti dello Stato giunto allla fine delle guerre risor- sta, fino agli entusiasmi di Garibaldi e a una maggiore consistenza gimentali e coloniali con un grave deficit. Consisteva in un con- del movimento operaio e contadino, quasi ogni gruppo politico tatore applicato alle macine del grano per misurare la quantità ricevette dall’episodio della Comune una spinta concreta e reale, lavorata. Colpiva più pesantemente le famiglie meno abbienti che un’indicazione di termini di lotta per una soluzione dei problemi sul pane e le farine basavano la loro alimentazione che travagliavano la società italiana. I gruppi che si muovevano in nome del socialismo, i quali dalla fondazione della prima A livello governativo e parlamentare i moti del macinato chiari- Internazionale dei lavoratori del 1864 avevano agito in Italia rono a molti l’esistenza di una «questione sociale» i cui termini secondo moduli organizzativi non troppo efficienti, da quel mo- andavano al di là di una semplice parificazione delle spese di mento riuscirono a impostare una azione la quale, se pure caotica e bilancio o di una mera composizione degli antagonismi sociali ancora contraddittoria, acquistò un peso notevole soprattutto nelle attuata a termini di legge. Infatti, alla Camera, il deputato riminese campagne. Luigi Ferrari, assieme ai colleghi Torrigiani e Quintino Sella accu- Infatti la propaganda svolta da Andrea Costa e Michele Bakunin sò il ministro delle finanze, Cambray-Digny, «di aver determinato non aveva tardato a concepire la rivoluzione del proletariato agri- i moti dell’Emilia con la sua imprevidenza»; Francesco Crispi, che colo come il proprio « cavallo di battaglia » pure aveva favorito la legge sul macinato, giunse a «riconoscere «In relazione alla rivoluzione sociale» aveva scritto l’agitatore nel popolo il diritto di resistenza, quando il Governo esce dalla russo fin dall’8 settembre 1870, «si può dire che le campagne legge»; gli onorevoli Rattazzi, Miceli, Oliva e Ferraris stigma- italiane sono anche più avanzate delle città. Rimaste di fuori di tizzarono con parole violente la repressione governativa, mentre tutti i moti e di tutti gli sviluppi storici, di cui sinora hanno sol- l’opposizione cattolica, tramite il giornale bolognese «L’Ancora» tanto pagato le spese, le campagne italiane non hanno né tendenze (30 gennaio 1869), si sfogò individuando nei tumulti il risultato dei politiche né patriottismo... Ma [voi] destate appena l’istinto pro- “latrocini” compiuti dai liberali durante il processo di unificazione fondamente socialista che sonnecchia nel cuore d’ogni contadino nazionale, ai danni del potere temporale e dei beni ecclesiastici. italiano; rinnovate in tutta Italia, ma con un fine rivoluzionario, la Dopo il sanguinoso episodio della Comune di Parigi del marzo- propaganda che il cardinale Ruffo aveva fatto in Calabria, alla fine maggio 1871, la situazione politico-sociale italiana subì una svolta del secolo scorso; gettate soltanto questo grido: La terra a chi la decisiva anche all’interno del movimento operaio e contadino. La lavora con le proprie braccia! e vedrete se tutti i contadini italiani scossa ricevuta dai partiti politici in seguito a quell’avvenimento non si muoveranno per fare la rivoluzione sociale... impose atteggiamenti nuovi, rispetto a quelli del passato, nei con- Il movimento del tutto spontaneo dei contadini italiani nello scorso fronti del mondo del lavoro. anno [1869], movimento provocato dalla legge che ha colpito con Da una maggiore e più attenta considerazione di quest’ultimo da un’imposta la macinatura del grano, ha dato la misura del naturale parte dei liberali, fino alla crisi del movimento mazziniano; dalla socialismo rivoluzionario dei contadini italiani». Epidemie e pestilenze Durante il primo congresso regionale dell’Associazione Internazio- nale dei lavoratori, tenutosi a Bologna il 17-19 marzo 1872, in Romagna vennero stabilite la «necessità ed urgenza di avere fra le schiere Grandi epidemie hanno storicamente percorso l’Europa e l’Italia, Internazionali il lavoratore delle campagne, siccome quello che costituisce la maggioranza popolare e che ha in generale maggior lasciando dietro di sé un manto di lutti e sconvolgimenti sociali bisogno di migliorare la sua condizione fisica e sociale». tali da alterare e modificare, usi e costumi e modi di vita che non A tale scopo venne deliberato «d’istituire in ogni Sezione un sempre ci sono stati tramandati nella loro giusta valenza, essendo Comitato con l’incarico ufficiale di diffondere alla campagna l’attenzione degli storici prevalentemente concentrata su guerre, l’idea emancipatrice Internazionale...». governi, re ed avvenimenti politici di facile individuazione e da- Al secondo Congresso «federale», tenuto ancora a Bologna il 15 tazione. marzo 1873, si affermò che «a terra, gli strumenti di lavoro, il Ovvio che le pestilenze (ricordiamo soprattutto la “peste nera” di capitale in genere non possono rimanere a disposizione di una mi- metà Trecento e quella seicentesca manzoniana) sono state favo- noranza privilegiata e sfruttatrice» e che «dovere principalissimo rite dalla precaria igiene in cui ha sempre vissuto il popolo minuto degli operai della città si è di promuovere alla campagna una viva propaganda imperocché 14 milioni di contadini.., agonizzano per (i ricchi potevano fuggire o isolarsi dal contagio) e dall’ignoranza febbri e fame ed aspettano ansiosi l’ora della emancipazione». di cure, tardivamente giunte una volta che, declinate le teorie le- Qualche mese dopo, a S. Pietro in Vincoli (Ravenna), durante il 1° gate agli “umori” dell’ aria e dei corpi) e fatalismi di fede, per cui Congresso romagnolo si fecero voti «perché la unione dei lavora- la malattia derivava dalla giusta punizione divina, si è cercato di tori dei campi fosse presto costituita». individuare con obiettività (e poi scienza) la causa del morbo. E ancora, in un foglio murale, affisso clandestinamente per conto Naturalmente anche le condizioni ambientali e geografiche della Federazione anarchica delle Romagne (agosto 1878), ven- hanno da sempre avuto responsabilità nel determinare una pato- nero indicati i termini che avrebbero permesso l’attuazione della logia; così, per la Romagna della “bassa”, nella lunga epoca del «rivoluzione sociale», fra i quali si diceva che «il contadino si ri- paludismo, troviamo endemicamente la “mal aria”, così come dai fiuti di portare, come oggi fa, i frutti della terra da lui lavorata, al- porti di Ravenna e Rimini ci sono giunte varie malattie esotiche l’odiato padrone che sciupa la vita nell’ozio e nella dissolutezza». Ma a parte l’azione politica e propagandistica degli internaziona- d’importazione. listi anarchici, sempre propensi a idealizzare il significato delle Le zone del Faentino e della valle del Lamone hanno, dal punto di rivendicazioni contadine, ciò che ebbe un certo peso nell’insieme vista della topografia medica, scienza ormai desueta, un riscontro della situazione oggettiva di quegli anni fu l’esplodere di una nuo- epidemiologico migliore rispetto ad altre zone. Fatto attribuito in 12 va manifestazione di grave e profonda crisi che coinvolse l’intero parte a posizione geografica, venti orientali, mitezza del clima, 13 paese e, in particolare, l’Emilia. tradizione sanitaria forse più organizzata che altrove. Per altri Le discordie fra Mazzini e Garibaldi negli ultimi anni di vita del- ancora in grazia della particolare protezione dall’Alto, favorita l’agitatore genovese, fra repubblicani e anarchici, fra governo e da una tradizione guelfa protratta per secoli. Ciò non ha impedi- opposizioni non contano gran che, se non vengono comprese e to l’accesso, esclusione fatta per la peste del Manzoni, di ferali inquadrate nelle difficoltà economico-sociali di quegli anni, di cui i tumulti del 1874 furono la manifestazione più violenta. epidemie; fra queste, a metà dell’Ottocento, il “cholera morbus”, Si trattò di un anno, il 1874, veramente difficile per le colture nonché la tristemente nota influenza “spagnola”, verso gli anni agricole i cui raccolti si presentarono con una scarsezza estrema, Venti del ‘900. al punto che le popolazioni affamate si abbandonarono in molte Accanto a queste se pur meno tragiche per decessi, altre patologie zone della regione emiliana a violente manifestazioni di prote- destinate a declinare man mano che s’approfondivano diagnosi e sta e ad atti vandalici, saccheggiando forni, depositi di grano e terapia, quali la tisi (debellata solo dall’avvento della streptomi- botteghe di generi alimentari. I pesanti provvedimenti presi dalle cina) rabbia, difterite e tifo. autorità governative per sedare i tumulti, le opere di assistenza La rabbia è dovuta ad un virus che si concentra nel cervello dando organizzate dalle autorità di vari municipi mediante cucine pub- origine a forma di pazzia e idrofobia (cioè l’odio per l’acqua e il bliche e distribuzione di sussidi, l’intervento dei repubblicani della Consociazione romagnola invocante una politica capace di cibo dovuti alla paralisi dei muscoli della deglutizione). soddisfare le esigenze popolari, le critiche degli internazionalisti In Romagna per buona parte dell’Ottocento, pur con limitato che colsero il fenomeno in termini escatologici, il riacutizzarsi del numero di casi umani, s’assisterà ad una vera ossessione di ster- brigantaggio, il grosso processo di Ravenna contro la banda dei minio di cani randagi, indipendentemente dalla loro pericolosità cosiddetti « accoltellatori » la quale, come una cosca mafiosa, re- e affrontati dai municipali con sciabola e fucili. Ripetuti a iosa golava ad io i prezzi delle granaglie sui mercati romagnoli ci fanno allarmati bandi e inutili provvedimenti, in attesa di una tardiva intendere da vicino quanto fosse difficile il momento attraversato identificazione del virus (1903). dalle popolazioni emiliane. La difterite, dovuta ad un bacillo che può provocare una laringite Alfeo Bertondini strangolante, sarà senza dubbio più frequente, anche se a Faenza, al contrario di quanto succede nell’imolese e nel forlivese, è se- gnalata solo nel 1876. La sieroterapia, dovuta al Behring, farà crollare nel giro di un decennio la drammatica pericolosità della malattia. Sempre nell’Ottocento declina il tifo esantematico petecchiale (a Faenza duecento casi dalla metà del secolo), affrontato nella sua forma addominale con norme igieniche, isolamento e sterilizza- zione d’ acqua. Ma è sopratutto il colera, giunto da Francia e Piemonte dopo una meno cruenta comparsa vent’ anni prima, che nel 1855 chiederà un severo tributo di morte all’Italia ed a noi. Con una percentuale di decessi che supera il 60% dei contagiati, vi saranno coinvolti come sempre i gruppi sociali più modesti in ambienti meno salubri, in particolare quindi anziani e bambini,

Vignetta satirica sulla tassa del macinato pubblicata nel faentino “Lunari de Smembar 1869” segue a pag. 14 L’ESILIO DI DANTE ALIGHIERI

12 La grande frattura nella vita di Dante Alighieri fu la condanna L’arsenale di Venezia, fervente di lavoro, con i carpentieri e i ca- 13 all’esilio che coincise con il crollo della Parte Bianca. Le vicende lafati all’opera intorno alle carene delle navi, diventa la bolgia dei sono notissime e culminano con quella venuta a Firenze di Carlo barattieri, proprio la colpa a di cui era stato accusato Dante! e la di Valois, il fratello di Filippo il Bello, capitano generale della pece ribollente ricopre corpi contorti di dannati. Chiesa - che, presentatosi in veste di paciere, affidò il governo ai Le arche disseminate intorno a Pola, nella conca detta Pratogran- Neri, dando via libera alle vendette di parte. de, specie d’immenso sepolcreto, in cui la pietra delle vicine cave Fu allora che Dante, «non per prova alcuna, ma per pubblica di Vitriano veniva utilizzata per le tombe, s’illuminano agli occhi fama», venne dichiarato colpevole di baratteria, ossia di broglio del poeta di sinistri bagliori infernali: sono le sepolture infuocate, politico, e condannato per decreto podestarile a 5.000 fiorini sulle mura della città di Dite: da una di esse sta per drizzarsi l’om- d’ammenda, a due anni di confino e alla perdita dei diritti civili. bra maestosa di Farinata degli Uberti. Siccome non si presentò in giudizio, la condanna fu aggravata con Così i dirupi delle coste liguri diventano gli aspri scoscendimenti la confisca dei beni e il bando dalla città; se fosse caduto nelle della montagna del Purgatorio; la foce del Tevere è il luogo di mani della Signoria, l’avrebbero bruciato vivo. Dante non doveva raduno delle anime spirate in grazia di Dio, che attendono l’an- rivedere mai più la sua Firenze. gelo nocchiero; la pineta di Ravenna offre una similitudine per la Eppure, in un certo senso, dobbiamo essere grati a quel Podestà, divina foresta spessa e viva del Paradiso Terrestre, a sommo del Cante de’ Gabrielli da Gubbio, che sanzionò la sua condanna. monte dell’espiazione. Lo aveva ben compreso Giosuè Carducci, che in un sonetto fa- Quanto più il viaggio procede, più Dante è solo. Dalla compagnia moso proponeva addirittura di innalzargli un monumento. Senza malvagia e scempia degli altri esuli bianchi si distacca ben presto, di lui, senza la sua servile acquiescenza ai voleri della Parte Nera, deluso dalle loro meschine discordie, dalle loro velleità di rivin- non avremmo avuto la Divina Commedia. Sembra che il poema cita, dai colpi di mano sempre destinati al fallimento. Gli amici fosse già iniziato all’atto della condanna; ma in ogni caso non po- della sua giovinezza sono lontani, molti sono morti: Forese Donati teva essere giunto al di là del canto V dell’Inferno, poiché nel VI se n’è andato giovane, nel 1296, « bruciato verde», nel pieno delle si trovano già degli accenni agli avvenimenti politici del 1302. Ed baldorie. Dante ne ritrova l’ombra nel Purgatorio, già prossima é fuori dubbio che, senza il dramma dell’esilio, che strappò Dante alla liberazione per le preghiere della buona moglie, Nella. a ogni cosa diletta e lo spinse, povero e solo, sulle vie d’Italia, il Guido Cavalcanti si è spento quattr’anni dopo, consumato dal- racconto della peregrinazione attraverso il regno dei morti avrebbe la malaria, dopo alcuni mesi di confino politico nell’insalubre avuto ben diversi accenti: non così urgente l’ansia di giustizia, non Sarzana; gli altri sono stati inghiottiti dalla distanza, dal tempo, così appassionato l’anelito a Dio, non così viva e sofferta la parte- dall’oblio. cipazione alle vicende umane. Intorno a quest’uomo sdegnoso e difficile, che i suoi stessi com- Forse il pellegrinaggio non sarebbe nemmeno giunto al suo ter- pagni di partito evitano, il cerchio della solitudine si dilata. Ma è mine. una solitudine popolata di ombre amiche: Virgilio, il poeta diletto, È difficile per un uomo sazio, sicuro e prospero, entrare in venerato negli anni della gioventù con quello specialissimo ardore Paradiso, sia pure con la sola fantasia . che i letterati in erba conoscono per i grandi modelli del passato, e Così, per diciannove anni dopo quell’autunno nero, alle tappe di Beatrice, la donna del suo primo amore, non morta, ma più viva e Dante sulle vie dell’esilio s’accompagna l’altro viaggio, quello nei più bella ora, perché più necessaria. tre regni ultraterreni, e sovente il mondo visibile suggerisce delle Sono loro i compagni dell’esilio, più assai degli occasionali pro- immagini per il mondo invisibile. tettori e patroni feudali, siano poi i Malaspina di Lunigiana o gli La maremma toscana, desolata e selvaggia, si trasforma nella Scaligeri così ospitali in Verona. Le dimore di Dante presso que- selva dei suicidi, dove ogni arbusto, ogni sterpo velenoso e con- ste corti danno luogo sovente a curiose ed errate interpretazioni, torto imprigiona un’anima, colpevole d’aver rigettato un giorno il quasi che il suo soggiorno fosse un’anticipazione di quel costume fardello della carne: non la verde linfa circola in quei tronchi, ma così frequente poi nel Rinascimento, quando la presenza d’uno scuro, denso sangue umano. continua da pag. 12 o più poeti diventa un elemento di prestigio per questa o quella che vanno incontro ad una rapida disidratazione, che conduce al Signoria. decesso in pochi giorni per insufficienza renale. Niente di simile al tempo di Dante. L’accoglienza che riceve, a La confusione sanitaria ai primi casi è massiva. A Ravenna, chissà Lucca presso Uguccione della Faggiuola, nel Casentino presso i perché, è vietata la vendita di meloni e cocomeri, guardati con Conti Guidi, a Forlì presso Scarpetta degli Ordelafii, o in qualsiasi estremo sospetto. A Imola si raccomanda di evitare “la collera, la altra potente famiglia, non è mai dettata da motivi di mecenati- paura, i piaceri troppo vivi…, la tranquillità dell’animo essendo smo. Che Dante sia o non sia un poeta, interessa molto poco questi il massimo preservativo”. A Faenza, più praticamente s’allarga il signori, tutti ancora discretamente rozzi. Forse un’ eccezione può essere fatta per i Malaspina, la cui tradizionale, generosa ospitalità cimitero e si provvede a uno scalcinato lazzaretto presso la chie- verso i poeti era ben nota in Toscana; o per Cangrande, il dedi- sa di S. Ippolito. In città, nell’estate, il numero dei casi aumenta catario del Paradiso. Ma sta di fatto che anche presso costoro, il rapidamente, fino a contare a metà luglio 166 decessi su 317 motivo principale dell’accoglienza era politico, non artistico; e contagiati. Dante veniva onorato come uomo di cultura, come diplomatico i Vario l’impegno dei medici cui è dato di “appena toccare il polso cui servigi potevano tornare utili, come teorico del ghibellinismo, del malato una volta che abbiano bagnato le dita nell’aceto” e che magari anche come mago e negromante (esistono prove, infatti, di in parte si danno uccel di bosco, in parte soccombono al contagio questa sua curiosa fama) ma non certamente per il lustro particola- o si dedicano con osservanza al loro dovere, pur disponendo di re d’avere un poeta alla propria corte. presidi terapeutici limitati al cloruro di calce, laudano e acido La sua poesia, in fondo, riguardava solamente lui. nitrico. Non sono difficili da ricostruire le tappe del suo esilio, prima e Il lazzaretto è incontinente e viene per altro evitato per la diffi- dopo quella discesa in Italia di Arrigo VII, che tante speranze sol- levò nel cuore dei Bianchi esuli e che doveva concludersi con la denza popolare e il dubbio che vi si somministrino veleni, onde morte, deludente e precoce, dell’Imperatore. abbreviare la vita dei miseri” e, chi può scappa in campagna come Le campagne sono meno mutate delle città; i castelli che gli si farà nella Seconda Guerra di Indipendenza, perché qui ovvia- dettero rifugio ancora levano le loro torri, brune sul verde delle mente il contagio è meno diffuso. colline, nel Casentino, in Lunigiana. Ma anche le due città più Il primario dell’ospedale, Jacopo Sacchi, riserva le cure alla guar- vive nei suoi ricordi d’esilio,Verona e Lucca, serbano ancora le nigione austriaca, più gratificante e remunerante (150 ricoverati e tracce di lui, e ogni tanto c’è qualche pellegrino appassionato che guariti, nessuno col colera). va a riscoprirle. Non si può entrare nella stupenda basilica di San Fortunatamente con l’autunno il morbo declina e ad ottobre si Zeno a Verona senza rammentarci ch’egli conobbe quel luogo, vi possono tirare le somme dell’epidemia. Il bollettino sanitario trovò raccoglimento e conforto, e qui rievocò lo spirito dell’abate 14 municipale parla così di 1146 contagiati (un ventesimo della po- 15 Gherardo, relegato in Purgatorio fra gli accidiosi. polazione) con 821 morti. Le arche scaligere, il palazzo dei Signori, le tracce solenni di Verona romana e medioevale non possono disgiungersi dalla me- Passano i decenni e si cambia secolo. moria di lui. Una caratteristica che riguarda l’epidemia influenzale, ribattez- E così è per Lucca, una delle città d’Italia che più gelosamente ha zata “spagnola” e che in tutto il globo provocherà più morti della saputo conservare il suo nucleo storico. Lucca ha un posto a parte guerra mondiale in corso, sarà il silenzio e la censura imposti al nei soggiorni d’esilio danteschi, poiché, come disse il Bassermann, fine di non intaccare ulteriormente il morale di popolazioni già a è ha città ch’egli conobbe « ad onta di tutte le ombre, illuminata terra per i lutti e le restrizioni inerenti la guerra. L’ordine del gior- alfine da. un raggio d’amore » un riferimento alla misteriosa figu- no in Romagna, come ovunque, è “sottovalutare”; col contorno di rina di Gentucca, una giovinetta che, stando a quanto è malizio- ordinanze e consigli spesso inutili, se non addirittura sconfinanti samente accennato dall’anima di Bonagiunta, nel Purgatorio, con- nel ridicolo (...”si impedisca ad ogni italiano la sudicia abitudine fortò con la sua presenza gentile il poeta ramingo, in un momento di stringere la mano, e la pandemia scomparirà nel corso di una di particolare sconforto, poiché il soggiorno lucchese ebbe luogo notte”, B. Mussolini). subito dopo la morte d’Arrigo VII, che portava con sé nella tomba tutte le speranze politiche dei Bianchi. In provincia di Ravenna l’influenza compare nella primavera Il viaggio terrestre del Poeta si chiude su una nota di pace. del 1918, di breve durata e scarsa mortalità, non in attenuazione La pace si diffonde nel suo cuore insieme al mormorio musicale però nei mesi estivi e con una severa recrudescenza alle porte dei pini, che hanno nelle fronde il vento, odoroso nel vicino mare. dell’autunno. Nel faentino, udite le notizie allarmanti provenienti È la Pineta di Ravenna, l’immagine del Paradiso Terrestre, al som- da altre regioni, s’apprestano disinfezioni e cordoni sanitari, più mo dell’aspra e dura montagna, al di là del travaglio e dell’espia- un tentativo di sovralimentazione in quanto l’influenza, come la zione. Non a caso Ravenna gli suggerisce quest’immagine di pace tubercolosi, è ancora considerata malattia da carenza. sovrumana. I figliuoli e i nipoti sono venuti .a raggiungerlo, c’è Mentre il Municipio ancora in ottobre avverte che “tutte le voci ancora della dolcezza in serbo per l’esule, che così a lungo ha as- diffuse sull’attuale epidemia influenzale sono prive di ogni e qual- saporato il pane della solitudine. siasi fondamento”, il primario Alberico Testi scrive al sindaco che Gli anni del suo patire gli stanno alle spalle, come una lunga, fa- è costretto a rifiutare i ricoveri per esaurimento di posti letto. ticosa via. L’accoglienza di Guido Novello da Polenta è come un porto, in cui è dolce raccogliere le vele. L’epidemia dilaga e le scuole e le attività pubbliche sono sospese. Dante non è vecchio: può ancora svolgere incarichi diplomatici, Mentre la Croce Rossa locale rifiuta il trasporto degli ammalati, si ambascerie: lo farà fino al termine della sua vita, quando un at- tenta di aprire un ospedale ausiliario presso l’asilo Baldi. tacco di febbri lo sorprenderà sulla via del ritorno da Venezia, e Frequenti le complicanze ferali a carico dell’apparato respirato- l’immagine del nascente splendore della Serenissima sarà l’ultima rio, mentre compaiono anche encefaliti irreversibili per lo stesso ad affacciarsi ai suoi occhi. morbo. Col freddo fortunatamente il contagio tende a diminuire e È stanco però, e logoro prima del tempo. Ma nelle lunghe veglie, si trova il tempo di festeggiare la fine della guerra. nel silenzio della notte, sulle pagine dell’opera che forse gli ria- Poi tutto lentamente rientra nella norma, col numero dei decessi prirà le porte dell’ingrata città, torna avere trentacinque anni, l’età tenuto segreto, il ritorno dei reduci e nuovi problemi sociali che bella, la pienezza della vita. urgono. E l’affiato della vittoria e di ciò che da essa si attende fa È il Giubileo del 1300, ed egli ha Beatrice accanto, amorosa come presto scordare come, per motivi di guerra o di malattia, pratica- non gli si è mai mostrata da viva, materna, pia, illuminata di gra- zia. E davanti ai loro occhi rapiti si spalanca, in una fiumana di mente ogni famiglia sia stata visitata “dalla croce”. luce, il Paradiso. In Romagna e nel mondo la successiva epidemia influenzale, Massimo Rossaro 1’“asiatica” del 1957, troverà a difesa gli antibiotici. Veniero Casadio Strozzi ROMOLO GESSI, “GARIBALDINO” D’ considerati fino allora le vere ricchezze del paese, il Gessi incen- tivò lo sfruttamento dei prodotti naturali, come il tamarindo, il co- pale, l’olio di palma, il burro, l’arachide, l’introduzione del mais e soprattutto la raccolta della gomma e la coltivazione del cotone. L’indigeno diventava cosi un contadino, un coltivatore: l’econo- mia pastorale e nomade si trasformava in una economia agricola sedentaria, determinando un ulteriore altro fattore di rivoluzione nella storia della società indigena sudanese. Ora tutta questa azione riformatrice che il nostro esploratore riuscì a realizzare, con tanta tenacia e intelligenza, in terra d’Afri- ca, si può dire legata alla tradizione risorgimentale romagnola rappresentando quasi una sorta di continuazione del pensiero paterno. La figura del padre Marco Gessi, carbonaro. console ge- nerale a Bucarest, amico dell’ambasciatore inglese lord Canning, meriterebbe essere approfondita. E quella nave, su cui Romolo Gessi vide la luce, portava la sua famiglia, un’eminente famiglia ravennate verso l’esilio, costrettavi per la partecipazione del padre alle attività cospiratorie contro il potere temporale della Chiesa in Romagna. Gessi sarà cosi uno dei tanti figli di cittadini degli antichi stati italiani dispersi all’estero dall’emigrazione politica. Dopo di che la sua vicenda personale si ricongiungerà alla storia italiana con la partecipazione alla seconda guerra d’indipendenza, nel corpo garibaldino dei Cacciatori delle Alpi. Anche questo episodio centrale della sua vita dovrebbe essere approfondito. E forse anche l’impulso che spinse Gessi, dopo il soggiorno ravennate. a riprendere i viaggi, derivò dalla disillusione dei democratici e dei 14 garibaldini per la conclusione del processo d’unificazione sotto la 15 direzione della monarchia sabauda e dei liberali moderati. Questa ispirazione democratica Gessi la conservò comunque nella sua azione di esploratore e di capo militare. La biografia di Romolo Gessi presenta apparentemente rapporti Il periodo africano di Romolo Gessi ebbe inizio nel 1873. assai scarsi con Ravenna e con la Romagna. La sua nascita, quasi quando il colonnello Gordon, nominato governatore delle provin- a preannunciare il carattere cosmopolita della sua vita, avvenne ce equatoriali lo invitò a seguirlo in Egitto col grado di maggiore su una nave in viaggio verso Costantinopoli il 30 aprile 1831. La dell’esercito egiziano e come membro della sua spedizione nel sua formazione si svolse nella capitale dell’Impero ottomano poi . Questa spedizione aveva due obiettivi: uno politico-mi- nelle accademie militari austriache e tedesche. Allo scoppio della litare, rivolto a pacificare e riordinare il paese combattendo la guerra di Crimea, arruolatosi nell’esercito inglese, Romolo Gessi piaga assai diffusa della schiavitù, e l’altro di cartografare il terri- divenne ufficiale interprete del generale Strenowhys e conobbe torio e di esplorare le parti meno conosciute. Nel marzo del 1874, il tenente che tanta parte doveva poi secondo le istruzioni ricevute, Romolo Gessi partì da Suakin ed avere nelle vicende africane. Nel 1859 rientrò in Italia per parte- attraversò il deserto fino a Berbera. Giunto a Khartum, iniziò cipare alla seconda guerra d’indipendenza e, dopo l’unificazione la sua ardita opera di esploratore e di spietato avversario dello nazionale, richiesta e ottenuta la cittadinanza italiana, abitò per schiavismo, spingendosi fino a Bahr el-Ghazal, dove riordinò i breve tempo a Ravenna, per poi partirne ben presto e riprendere vecchi presidi egiziani e liberò intere carovane di schiavi negri. i viaggi, verso la Romania, poi l’Africa: viaggi che continuerà a La questione della lotta alla schiaivtù, come problema morale, intraprendere fino alla morte avvenuta nel 1881. politico, economico, demografico, era stata imposta negli anni Scarsi dunque appaiono a prima vista i rapporti esteriori tra la 1860 del secolo scorso all’opinione pubblica internazionale da un storia di Romolo Gessi e quella della Romagna, ma se si guarda grande evento, la guerra civile americana. più attentamente forse un legame c’è: un legame tra l’azione e La vittoria della tendenza abrogazionista aveva segnato, come la vita di Gessi e la tradizione risorgimentale romagnola. La sua e noto, la scomparsa della schiavitù negli Stati Uniti. Ma il azione riformatrice nella regione del Bahr el-Ghazal, iniziata commercio degli schiavi continuava in Africa, in particolare nel praticamente nel 1879, dopo la sconfitta dei mercanti di schiavi, Sudan egiziano, col tacito consenso delle autorità in direzione rappresenta un tipico esempio di tale legame. L’opera di risana- dei grandi mercati di smistamento e di vendita del Sudan e del- mento e di ricostruzione dei territori devastati dalla guerra e in l’Egitto, il trasporto dei negri veniva effettuato attraverso percorsi parte spopolati dalle passate incursioni dei negrieri, fu infatti diversi, con esclusione della via fluviale e dei centri abitati Gli condotta con baldanza ed energia straordinaria, tipica di un figlio arabi della costa di Zanzibar erano i maggiori rappresentanti di della Romagna. questo traffico e costituivano la classe dirigente del mondo com- L’atto più importante, che rappresentò il gesto rivoluzionario di merciale mussulmano. Romolo Gessi nei confronti della vecchia classe dirigente colo- «Molti grassi capitalisti arabi o turchi dell’Egitto» commentava niale, fu quello di chiamare gli indigeni all’amministrazione degli un esploratore inglese, il Baker nel suo resoconto pubblicato nel stessi territori africani. In pratica significava anticipare metodi e 1876, «vivevano su quella vergogna, come sulla più onesta delle conquiste del pieno Novecento coloniale e aprire alle popolazioni rendite, in quanto i musulmani avevano e hanno tuttora il massimo indigene vasti orizzonti di progresso culturale, civile e sociale. disprezzo per le persone non appartenenti alla loro religione». Ma l’opera riformatrice di Romolo Gessi, oltre alla valorizza- I mercanti di schiavi rappresentavano un pericolo continuo per zione dell’indigeno nella responsabilità di governo, si rivolgerà le popolazioni animiste locali, i cui pacifici villaggi erano assaliti anche allo studio razionale e sistematico delle risorse economiche da grossi gruppi di armati che portavano via, legati a due a due, le dei territori sudanesi. In luogo dell’avorio e della carne umana, migliaio di indigeni assoldati a tale fine. lI 7 marzo 1876. dopo aver rimontato le imbarcazioni, la spedizione poteva riprendere la marcia verso il lago Alberto, la cui imboccatura fu raggiunta dopo dieci giorni di navigazione, dimostrando così definitiva- mente che il Nilo ne era proprio l’emissario. Poi fu compiuta la circumnavigazione del lago fino a Magungo all’estremità nord, dove Romolo Gessi innalzò la bandiera egiziana prendendo uffi- cialmente possesso del lago e della regione circostante a nome del Khedivé Ismail. Le principali riviste europee pubblicarono la re- lazione del viaggio di esplorazione del lago Alberto presentata da Romolo Gessi, il quale fu largamente elogiato per la sua magni- fica e coraggiosa impresa da Gordon e dal governo egiziano. Ma un’amara delusione doveva attendere il nostro esploratore al suo ritorno, quando si vide assegnare una esigua gratifica in denaro e una modesta onorificenza mentre funzionari europei ed ufficiali egiziani, che avevano fatto meno di lui, ottenevano ricompense e riconoscimenti maggiori. Sdegnato per l’ingiusto trattamento donne, i ragazzi, oltre agli uomini validi e le bestie, per condurli subito e amareggiato da una espressione poco felice del Gordon, nei centri di raccolta all’interno del Sudan, da dove i prigionieri che forse non aveva intenzione d’offendere: «what a pity you are venivano venduti ed inviati verso i porti del Mar Rosso. In se- not an englishman!», (che peccato,voi non siete un inglese). guito alle fatiche e ai maltrattamenti dei «gelabbia», loro terribili Romolo Gessi diede le dimissioni e s’imbarcò per l’Italia metten- custodi, tantissimi schiavi morivano lungo il percorso. Ma c’era dosi a disposizione della Società Geografica Italiana presieduta anche di peggio, perché molti mercanti di schiavi non trovando da Cesare Correnti. abbastanza redditizio il semplice traffico della carne umana, ce- Avvenimenti di portata mondiale, come l’apertura del canale devano spesso le «bocche inutili» o gli individui meno atti alla di Suez avvenuta nel 1869, ed altri meno importanti ma egual- marcia alle tribù antropofaghe, per averne in cambio avorio e mente significativi, quali l’istituzione di regolari linee di navi- pelli d’animali. gazione per l’Oriente, nonché la fondazione della stessa Società Contro questa situazione, l’azione di Gessi fu estremamente Geografica italiana avvenuta a Firenze nel 1867, avevano preso a energica, non esitando perfino a criticare l’opera del suo supe- stimolare l’opinione pubblica italiana verso possibili conquiste in 16 riore. terra africana. Cosi nel settembre 1877, Gessi era nuovamente in In una lettera del 23 luglio 1880 indirizzata al direttore della rivi- Africa ad incontrare un altro grande esploratore, geografo e an- sta italiana “L’Esploratore”, esprimeva il suo disappunto sulla ge- tropologo romagnolo: , con il quale si spinse stione Gordon con l’espressione: «Io dirò la verità sulla questione fino a Fadasi sulla frontiera del Kaffa, per poi tentare invano di della schiavitù; Gordon non sapeva un’acca di quanto facevasi penetrare nel paese dei Galla con lo scopo di liberare Cecchi e nella sua amministrazione». Il suo mandato di governatore delle Chiarini, prigionieri della regina di Ghera. I risultati del viaggio terre, che lui stesso aveva liberato dai potenti mercanti di carne furono pubblicati l’anno dopo da Pellegrino Matteucci nel volu- umana, fu caratterizzato dal rifiuto di ogni compromesso e debo- me Sudan e Gallas, che costituì una dettagliata relazione sulla lezza. Per Romolo Gessi la tratta era «un fenomeno economico e natura dei luoghi e sulle caratteristiche delle varie razze africane. sociale insieme, che andava colpito nel cuore dei territori dove si Ma l’aspetto dell’azione d’esplorazione di Gessi, che meglio ri- annidava e trovava alimento, senza riguardo a caste e ad interessi, vela la sua ispirazione risorgimentale, come ho precedentemente ed eliminato attraverso una severa e sistematica opera di epura- accennato, rimane la sua lotta implacabile contro la tratta degli zione e di elevazione civile, la quale, smantellando la caotica e schiavi. Questa lotta fu anche l’aspetto che più appassionò l’opi- rapace amministrazione egiziana, riportasse l’indigeno alla terra nione pubblica del tempo. e ai commerci.. Indubbiamente esso si collegava più direttamente alla tradizione Le motivazioni morali dell’azione di Gessi appaiono chiare nei risorgimentale, democratica e garibaldina e non a caso Gessi ver- suoi scritti: sia dalle sue memorie. In una lettera scritta da Bahr rà chiamato da un suo biografo, Zavatti, il Garibaldi dell’Africa. el-Ghazal il 29 agosto 1879, a proposito dello stato d’animo dei Salvatore Saccone gruppi di negri armati costituiti per la difesa del loro paese contro i mercanti di schiavi, Romolo Gessi così si esprimeva: ora «i neri non sono che desiderosi di vedere qualche compagnia negriera E’ zoch-periodico di attività culturali arrivare, essi li attendono come un cacciatore resta in imboscata fondato nel 2002 da D. Franchini e G.F. Fontana aspettare una belva».. Aprile 2006, numero 20 Autorizzazione del Tribunale di Bologna n.° 6718 Sono noti gli aspetti dell’attività di Romolo Gessi connessi alla esplorazione geografica, come l’incarico di esplorare l’alto Nilo Direttore : Daniele Franchini al fine di verificare se questo fosse effettivamente un emissario Direttore responsabile : Gian Franco Fontana del lago Alberto. Tale incarico, oltre al carattere scientifico-esplo- Redazione: Santerno Edizioni sas di Gian Franco Fontana e C. Via IV novembre, 7 40026 Imola BO rativo, aveva importanti risvolti sul piano politico militare: il E mail : [email protected] Fax 0542.35629 Khedivé dell’Egitto, Ismail, continuando la conquista del Sudan Stampa: Offset Ragazzini & C. - Faenza - 0546 28230 iniziata da Mohammed Ali vedeva nel controllo delle acque e del- Questa pubblicazione è edita con i contributi dei soci del Tribunato e le sorgenti del Nilo un mezzo indispensabile per raggiungere la della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, Banca di Imola. prosperità e la sicurezza del paese. In questo numero scritti di: Il viaggio di Gessi non fu tuttavia facile: partito con due barconi Alfeo Bertondini; Veniero Casadio Strozzi; Ugo Cortesi; Gian Franco di ferro, il «Dufli e il Magungo», egli dovette affrontare difficoltà Fontana; Marcello Novaga; Emilio Prantoni; Massimo Rossaro; d’ogni genere, che seppe sempre risolvere con la sua consueta Salvatore Saccone. energia. Cosi, durante la spedizione, constatata l’impossibilità di proseguire nella navigazione fluviale a causa della inagibilità di Le fotografie sono dell’archivio Gian Franco Fontana ©2006 un tratto del Nilo, il Gessi fece smontare le imbarcazioni e orga- Spedizione in Abbonamento Postale D. L.353/2003 conv. nizzò il trasporto dei pezzi (oltre 40 mila tonnellate di materiale) L.27-02-2004 n°46 art. 1 comma 1 DCB Bologna per via di terra, su un terreno difficilissimo e con l’aiuto di un