Mauro della Porta Raffo

WHITE HOUSE 2012 OBAMA AGAIN

Dopo un esaustivo saggio introduttivo la cronaca giorno per giorno della lotta nelle primarie repubblicane e del confronto finale Obama/Romney

“Esiste una particolare Provvidenza divina nei confronti dei matti, degli ubriachi e degli Stati Uniti d’America”, Otto von Bismarck-Schoenhausen

Ho letto, visto e ricordo tutto

2

Nota bene: secondo necessità, su particolari argomenti, includo testi di autori ai quali, sul tema trattato, riconosco acutezza d’analisi e competenza

3

I motivi del contendere

“Il tema vero della campagna per la conquista della Casa Bianca 2012 è l’aperta contrapposizione tra i ‘takers’ – quelli che ‘prendono’, non pagano le tasse e come topi si adagiano nel formaggio dei programmi assistenziali statali - e i ‘makers’, quelli che ‘fanno’ e tosati dal fisco permettono ai topi di pascere. I repubblicani stanno con questi ultimi. Barack Hussein Obama e i democratici con i primi”. Paolo Granzotto

4 Davvero difficile

per un repubblicano sconfiggere e defenestrare un presidente democratico in carica che cerchi (come Obama in questo 2012) un secondo mandato o comunque, da vice subentrato mortis causa, voglia ottenere una conferma.

Dal 1856 – la prima volta in cui il partito dell’asino e quello dell’elefante si sono confrontati per White House - sono riusciti nell’intento solo Benjamin Harrison nel 1888 e Ronald Reagan nel 1980.

Nelle altre occasioni – Woodrow Wilson, Franklin Delano Roosevelt, Harry Truman, Lyndon Johnson, – il democratico ha respinto l’attacco.

Chiunque, al termine del percorso delle primarie e dei caucus, prevalga in casa repubblicana, sarà chiamato a compiere davvero un’impresa.

5 IL CIMENTO DI OBAMA TUTTI I PRECEDENTI

Barack Obama è il trentesimo presidente degli Stati Uniti d’America che si presenta all’elettorato per chiedere un nuovo mandato (non semplicemente “un secondo mandato” perché Franklin Delano Roosevelt si ripropose, vincendo, in ben quattro occasioni, ovviamente prima del 1951 quando un emendamento costituzionale introdusse il limite di due quadrienni). Nell’impresa, lo hanno preceduto, nell’ordine George Washington (rieletto) John Adams (sconfitto) Thomas Jefferson (rieletto) James Madison (rieletto) James Monroe (rieletto) John Quincy Adams (sconfitto) Andrew Jackson (rieletto) Martin Van Buren (sconfitto) Abraham Lincoln (rieletto) Ulysses Grant (rieletto) Grover Cleveland (sconfitto nel 1884 e poi rieletto nel 1892, l’unico a riconquistare White House dopo averla persa e quindi quattro anni dopo) Benjamin Harrison (sconfitto) William McKinley (rieletto) Theodore Roosevelt (rieletto e primo vice presidente subentrato mortis causa che si presenta in proprio all’elettorato dopo avere concluso il mandato del predecessore) William Taft (sconfitto) Woodrow Wilson (rieletto) Calvin Coolidge (rieletto e che da secondo vice subentrato mortis causa che si presenta percorre il medesimo iter di Theodore Roosevelt) Herbert Hoover (sconfitto) Franklin Delano Roosevelt (come detto, rieletto in tre occasioni) Harry Truman (rieletto e terzo vice subentrato mortis causa che si propone in prima persona come Teddy Roosevelt e Calvin Coolidge) Dwight Eisenhower (rieletto)

6 Lyndon Johnson (rieletto e quarto vice subentrato mortis causa confermato personalmente) Richard Nixon (rieletto) Gerald Ford (sconfitto dopo essere subentrato a Nixon a seguito delle sue dimissioni) Jimmy Carter (sconfitto) Ronald Reagan (rieletto) George Herbert Bush (sconfitto) Bill Clinton (rieletto) George Walker Bush (rieletto)

Riepilogando, diciannove i confermati, nove gli sconfitti, uno rieletto con l’intervallo di un quadriennio.

Ove, peraltro, si guardi ai presidenti eletti in prima persona, non includendo i vice subentrati, Obama è in effetti il venticinquesimo a ricandidarsi. Ebbene, nelle ventiquattro precedenti circostanze, l’inquilino della residenza presidenziale ha vinto quindici volte, sedici ove si voglia tener conto (ma non appare corretto) dell’avventura predetta toccata a Cleveland.

I capi dello Stato USA che al termine del primo mandato si sono ritirati, nell’ordine, sono: James Polk Franklin Pierce James Buchanan Rutherford Hayes

I presidenti morti nel corso del primo mandato sono: William Harrison Zachary Taylor James Garfield Warren Harding John Kennedy

I vice subentrati e non ripresentatisi a fine mandato esercitato come successori dell’eletto sono:

7 John Tyler Millard Fillmore Andrew Johnson Chester Arthur (Per il vero, Fillmore si ripropose ma quattro anni dopo e quindi non al termine della propria permanenza in carica)

8 I NUMERI DELLE ELEZIONI DEL 2008

La ‘rivoluzione Obama’ ebbe inizio nel 2008, quando quasi settanta milioni di elettori elessero il primo presidente afroamericano della Casa Bianca. Dieci milioni circa di vantaggio rispetto allo sfidante repubblicano, John McCain. Allora l’affluenza fu del sessantatre e sei per cento, decisamente alta per i parametri americani Centotrentuno milioni i votanti in totale.

Obama prevalse in California, North Carolina, Colorado, Connecticut, Delaware, District of Columbia (Washington), Florida, Hawaii, Illinois, Indiana, Iowa, Maine, Maryland, Massachusetts, Michigan, Minnesota, Nevada, New Hampshire, New Jersey, New York, New Mexico, Ohio, Oregon, Pennsylvania, Rhode Island, Vermont, Virginia, Washington e Wisconsin.

Gli uomini divisero il loro consenso in modo equilibrato per i due candidati. Alle urne il quarantasette per cento degli elettori maschi, di cui il quarantanove scelse Obama e il quarantotto McCain. Il cinquantatre per cento degli elettori donne decise per la via democratica, attribuendo nel cinquantasei per cento dei casi il consenso ad Obama.

Sul fronte etnico, il settantaquattro per cento dei votanti furono bianchi: il quarantatre a favore di Obama, il cinquantacinque di McCain. Il tredici per cento neri, di cui il novantacinque scelse Barack Obama, mentre solo il quattro si espresse per McCain. Il nove per cento ispanici: il sessantasette pro Obama e il trentuno pro McCain. Il restante due per cento degli elettori fu infine asiatico e il sessantadue scelse Obama, il trentacinque McCain.

La fascia di età vide una larga affermazione dell’attuale presidente tra i giovani: fino ai ventinove anni, ben il sessantasei per cento.

9 Nella fascia trenta/quarantaquattro anni, ad Obama il cinquantadue delle preferenze e a McCain il quarantasei Nella fascia quarantacinque/cinquantanove, il presidente ora in carica ebbe la meglio come tra gli over sessanta con il cinquantuno per cento contro il quarantasette.

Sul versante religioso si espresse il quarantadue per cento dei bianchi protestanti: il trentaquattro scelse Obama, il sessantacinque McCain. Tra i cattolici (diciannove per cento) ebbe la meglio ancora McCain con il cinquantadue. Gli ebrei, il due per cento dell'elettorato, sostennero Obama con il settantotto per cento dei consensi, a fronte del ventuno andato a McCain. I cristiani evangelici, ben il trentotto per cento tra gli elettori, virarono verso McCain con il cinquantasette per cento dei voti, come i religiosi praticanti almeno una volta a settimana.

Sul piano del reddito, le classi sotto i quindicimila dollari rappresentarono il sei per cento dell'elettorato e scelsero Obama con il settantatre, il venticinque McCain. La fascia tra i quindicimila e i ventinovemilanovecentonovantanove dollari (dodici per cento) si espresse analogamente, allo stesso modo la fascia trentamila quarantanovemilanovecentonovantanove dollari, che rappresentando il diciannove per cento dell'elettorato diede il cinquantacinque del suo consenso ad Obama e il quarantatre a McCain. Anche tra i cosiddetti ricchi prevalse Obama, tranne nella fascia cinquantamila settantaquattromilanovecentonovantanove dollari, che si espresse con un quarantotto per cento a favore di Obama e un quarantanove a sostegno di McCain.

10 I POTERI DEL PRESIDENTE

(riporto qui di seguito il capitolo da me dedicato al tema in ‘Americana’, 2011)

“… la Costituzione USA così recita all'articolo 2, sezione prima: ‘Il presidente degli Stati Uniti sarà investito del potere esecutivo’. Queste poche, magiche parole racchiudono ed esprimono tutto l'enorme potere del capo dello Stato di quella che è ormai, senza concorrenti, la più potente nazione del mondo. Per inciso, cercando di rendere più comprensibile agli occhi del lettore il tutto, si può dire che nel presidente americano, grosso modo, coincidono e si uniscono i poteri che in molti Paesi sono divisi tra il presidente della Repubblica e quello del Consiglio, mentre il solo importante limite è quello della impossibilità per il capo di Stato USA di avanzare direttamente proposte di legge essendo tale prerogativa propria dei membri del Congresso - senatori e rappresentanti - sui quali, peraltro, egli può agire per ottenere che avanzino progetti legislativi a lui graditi (il mezzo tecnico più frequentemente usato a tale riguardo è quello di indirizzare specifici messaggi ai due rami del Parlamento). …la nomina avviene in novembre, mentre l'entrata in carica è fissata al 20 gennaio dell'anno seguente (fino alla prima elezione compresa di F.D. Roosevelt l'insediamento avveniva, invece, il 4 marzo). Il mandato è per un quadriennio e, cioè, 'a termine' (essendo a termine anche tutte le altre cariche elettive, da parte degli studiosi, si mette in risalto, nel sistema, l'importanza del 'calendario' o, gergalmente, 'dell'orologio'), il che preclude la possibilità di una sfiducia da parte del Congresso (altra cosa è l'impeachment). Un presidente non può essere rieletto per più di una volta e ciò a seguito di un emendamento costituzionale adottato nel 1951, successivo alla quadruplice rielezione del già citato F.D. Roosevelt, il quale, primo ed unico, aveva osato contravvenire, riproponendosi una terza e poi, addirittura, una quarta volta, alla disposizione consuetudinaria dettata da George Washington che, rifiutando una terza, sicura nomina, aveva dichiarato che nessun uomo avrebbe dovuto occupare quella carica per più di otto anni.

11 Una maggiore durata è teoricamente possibile solo per il vice presidente succeduto nella qualifica di capo dello Stato quando il periodo in cui la presidenza sia stata ricoperta in sostituzione del titolare sia inferiore ai due anni. In conclusione, riepiloghiamo i più rilevanti poteri presidenziali: il presidente: a) in materia internazionale negozia e stipula i trattati con il consenso di almeno due terzi del Senato; b) in materia legislativa gode del potere di raccomandazione o 'impulso' (attraverso il messaggio sullo stato dell'Unione o specifici messaggi ad hoc) e del potere di veto; c) nomina i funzionari federali con il necessario consenso del Senato; d) ha il comando delle Forze Armate. Esiste la possibilità, inoltre, in casi eccezionali, di esercizio di poteri straordinari”.

12 SAGGIO INTRODUTTIVO

13

STORIA DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI AMERICANE

COME E IN QUAL MODO SI SCELGONO I CANDIDATI E SI ELEGGE IL PRESIDENTE

DOMANDE E RISPOSTE A PROPOSITO DEL SISTEMA ELETTORALE AMERICANO: REGOLE, PRIMATI, CURIOSITA

NUMERI

In appendice: La seconda volta: cosa è successo quando un presidente, come Obama oggi, ha chiesto un secondo mandato?

14

In questo saggio introduttivo i nomi sono in neretto quando citati per intero la prima volta

15 PARTE PRIMA

STORIA DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI AMERICANE

16 Capitolo primo

CINQUANTA SEMIDEI Dal 1789 – anno nel quale fu per la prima volta eletto George Washington – al 1820 incluso, la contesa per la conquista della Casa Bianca ebbe luogo nell’ambito di un ristretto gruppo di gentiluomini tutti bene o male appartenenti alla vecchia aristocrazia americana. Persone che avevano compiuto pressappoco il medesimo percorso, prima di tutto culturale, le quali si contrapponevano su basi ideali nell’intento di costituire e in seguito consolidare le fondamenta del nuovo Stato. Erano i ‘cinquanta semidei’ – definizione azzeccatissima di Thomas Jefferson – ai quali si devono dapprima la Dichiarazione di Indipendenza, poi la seconda Costituzione (quella in vigore), i dieci Emendamenti dedicati ai diritti individuali (‘Bill of Rights’) e infine la messa a punto, nelle leggi, nelle interpretazioni delle stesse e nei fatti, della complessa articolazione che vede ancor oggi, a distanza di centinaia d’anni, ottimamente bilanciarsi i poteri del Presidente, quelli del Congresso e della Corte Suprema.

1824/1828 LA RIVOLUZIONE JACKSONIANA E’ nella tornata elettorale del 1824 (non che non se ne avessero prima, naturalmente, le avvisaglie) che la situazione cambia e una nuova, impetuosa classe sociale si affaccia alla politica. Commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, contadini, allevatori di bestiame, tutti coloro che bene o male, in qualche modo nella periferia delle città come degli Stati e della nazione, si stanno affrancando dalla povertà trovano allora nella candidatura nel generale Andrew Jackson una possibile espressione (che si riconoscerà non molto dopo nel futuro Partito Democratico) nella gestione del potere. Con vari, comunque legali, artifici (prende un maggior numero di voti popolari ma non abbastanza da raggiungere il previsto quorum tra i delegati ragione per cui la Camera, chiamata a scegliere, gli preferisce il secondo arrivato John Quincy Adams , uomo dell’establishment) i ‘vecchi’ impediscono a Jackson di prevalere. Quattro anni davvero difficili i seguenti: un presidente dimezzato non solo per i modi della sua elezione ma anche per l’opposizione del Congresso non sarà in grado di ben governare. La rinviata ‘rivoluzione’ ha luogo, quindi, nel successivo 1828, allorquando lo stesso Jackson trionfa nelle urne. Riporto al riguardo quanto da me vergato in ‘Americana’ (2011) trattando dell’insediamento del nuovo capo dello Stato: “Per dare un quadro di quel che rappresentò per la capitale federale e per l’establishment l’irruzione jacksoniana niente di meglio di quanto in proposito scrissero nella loro ‘Storia degli Stati Uniti’ Allan Neville e Henry Steele Commager :

17 ‘Le elezioni del 1828 nelle quali Jackson sconfisse Adams furono come un movimento sismico. Gli umori erano talmente eccitati che il nuovo presidente eletto, al suo arrivo a Washington, si rifiutò di rendere la consueta visita di dovere al presidente uscente e Adams non volle recarsi al Campidoglio in carrozza con il suo successore. L’insediamento di Jackson fu considerato per lungo tempo come l’inizio di una nuova era nella vita americana. Il Paese non ne aveva mai visto uno simile e a Washington fu paragonato alla invasione di Roma da parte dei barbari. Daniel Webster scrisse che già da molti giorni prima la città era piena di speculatori, di cacciatori di prebende, di uomini politici esultanti e di gente semplice...’ Dopo la cerimonia (si era al 4 marzo del 1829), uno dei testimoni – il giudice Joseph Story – ebbe a dire: ‘Non avevo mai visto un subbuglio simile, era il trionfo della plebaglia!’ Non va dimenticato che il pur grande presidente Jackson, forse per tenere a freno e compensare in qualche modo i suoi ‘barbari’, fu il vero teorizzatore dello ‘spoils system’ che applicò su larghissima scala nei suoi otto anni di governo spazzando via da ogni più piccolo posto di potere chiunque non appartenesse alla sua parrocchia”.

Capitolo secondo

NASCONO IL PARTITO DEMOCRATICO E QUELLO REPUBBLICANO Quello che segue, è un periodo di contrastata democrazia che vede nascere e morire partiti (per esempio, Free Soil e Whigh) anche in grado di arrivare in un paio di occasioni a White House (Whig) ma incapaci di consolidare la loro presa sull’elettorato. E’ nel corso degli ultimi due anni del primo mandato di Jackson che comincia a prendere forma e consistenza il futuro Partito Democratico che si raccoglierà, poi, nel 1836, intorno a Martin Van Buren ottenendo, di stretta misura sui predetti whig, di conquistare White House. Fino alle elezioni del 1860, che segnano un altro dei momenti ‘epocali’ della storia americana, netta la prevalenza elettorale degli uomini dell’asino (emblema dei democratici come, decenni dopo, sarà per l’elefante repubblicano), salvo due sfortunate – gli eletti muoiono in carica e per la prima volta i vice subentrano nel ruolo – apparizioni whig. Nasce, frattanto nel 1854, il Partito Repubblicano che al primo posto del suo programma poneva l’abolizione dello schiavismo soprattutto per motivi morali. Lo formavano ex Whig, ex Free Soil e un certo numero di ex democratici contrari alla politica di sostegno dello schiavismo portata avanti dal partito di provenienza.

18 “Convinti”, come scrive Maldwyn Jones (‘Storia degli Stati Uniti’) , “che soltanto una società libera, democratica e capitalista avrebbe potuto offrire agli individui la prospettiva di un avanzamento economico e sociale” i futuri Gop (‘Grand Old Party’, verrà in tal modo denominato il partito) conquistarono abbastanza rapidamente il Nord del Paese mentre nel Sud i rivali democratici andavano consolidandosi su basi ideologiche in buona sostanza reazionarie. (Tale contrapposizione, sarà opportuno qui rammentarlo, ebbe a durare fino agli anni Sessanta/Settanta del trascorso Novecento e basti qui citare i governatori segregazionisti democratici Oral Faubus e George Wallace per capire di cosa si stia parlando).

Capitolo terzo

I REPUBBLICANI A WHITE HOUSE Ed eccoci alle presidenziali del 1860, anno nel quale i repubblicani conquistano per la prima volta la Casa Bianca per non lasciarla (salvo la strana successione a Lincoln di Andrew Johnson – un democratico vice di un repubblicano, frutto della Guerra di Secessione in corso durante le elezioni del 1864 – e i due quadrienni non consecutivi di Grover Cleveland ) addirittura fino al 1913, quando a William Taft subentra Woodrow Wilson , vittorioso alle urne nell’anno precedente. Divisi - i sostenitori del presidente in carica James Buchanan avversavano l’accreditato senatore Alfred Douglas accusato di avere posizioni addirittura filo repubblicane su molte questioni - i democratici tennero in aprile una prima convention a Charleston. Lungi dal raggiungere un accordo, le due parti si combatterono al punto che la kermesse ebbe a chiudersi con un nulla di fatto. Ritrovatisi i delegati a Baltimora a giugno, i contrasti divennero insanabili e molti abbandonarono definitivamente i lavori. Nominato dai superstiti, Douglas si dovette scontrare nella successiva campagna non solo, come ovvio, col rivale repubblicano, ma anche con un altro democratico dato che i fuorusciti si radunarono per indicare nell’allora vice presidente John Breckinridge il loro vessillifero. Nella confusione, nacque allora anche un terzo partito, l’Unione Costituzionale, che decise di mettere in corsa John Bell . I repubblicani, per parte loro, nella convention di di metà maggio, ritenendo Douglas il probabile avversario, al terzo scrutinio optarono per Abraham Lincoln che nella campagna per il Senato del 1858 si era già contrapposto con grande efficacia, sia pur soccombendo, al rivale in pectore. Frammentati i voti democratici divisi tra Douglas e Breckinridge, degna di menzione anche la prestazione di Bell, Lincoln vinse in quel novembre conquistando centoottanta delegati sui trecentotre in palio.

19

Capitolo quarto

IL NORD PROGRESSISTA E REPUBBLICANO, IL SUD CONSERVATORE E SEGREGAZIONISTA DEMOCRATICO Ho già accennato alle elezioni del 1912 che vedono i democratici prevalere con Wilson - poi, confermato nel 1916 - ma va precisato che anche in quella occasione i Gop avevano nettamente prevalso quanto a voto popolare (quasi sette milioni e seicentomila suffragi unendo i seguaci del candidato ufficiale Taft a quelli del primo Roosevelt, contro i sei milioni e trecentomila scarsi dei rivali) perdendo peraltro avendo subito la dolorosissima – con lui moltissimi repubblicani in libera uscita che relegarono l’uscente capo dello Stato addirittura al terzo posto - scissione guidata dall’ex presidente Theodore Roosevelt . In buona sostanza, la superiorità repubblicana – ripresa nel 1920 dopo la parentesi Wilson e continuata fino alle votazioni del 1932 – poggiava sul netto prevalere del partito negli Stati del Nord i cui delegati erano in numero comunque superiore a quelli spettanti agli Stati del Sud, i governanti democratici dei quali - per dare modo di capirne le posizioni politiche e l’azione - furono anche definiti ‘Borboni’, in quanto votati, come i reali tornati in auge dopo Napoleone in Francia, alla riaffermazione del ‘modo’ precedente la Guerra di Secessione e alla conservazione. (Gli USA erano in quei tempi in formazione e gli Stati del West – in ‘entrata’ alla spicciolata nell’Unione - erano poco abitati e quasi non rappresentativi in termini di delegati. Si pensi, di contro, che oggi la California è il territorio che conta di gran lunga sul maggior numero di voti elettorali). Il dominio nel meridione degli appartenenti al partito dell’asino era ed è stato fino ad oltre metà del Novecento talmente accentuato che i repubblicani evitavano in moltissime occasioni di presentare i loro candidati. Alla fine, contavano solo le primarie interne ai democratici dato che il vincitore delle stesse non trovava poi oppositori il giorno delle votazioni ufficiali.

Capitolo quinto

LA CRISI E IL NEW DEAL Il quadro fin qui tracciato è assolutamente travolto dalla terribile crisi economica conseguente al crac del 1929. Il partito repubblicano, considerato il vero responsabile del disastro (e a ben guardare, eccessivo il lassismo in campo economico delle amministrazioni Gop che si erano succedute a partire dal 1921), paga duramente e perde dal 1933, anno nel quale si insedia per la prima volta Franklin Delano Roosevelt vittorioso nel precedente novembre 1932, e per un intero ventennio la Casa Bianca.

20 E’ nel tumultuoso, spesso contradditorio e a volte addirittura incostituzionale (i suoi contrasti con la Corte Suprema, che aveva in qualche occasione bocciato le leggi da lui volute, furono fortissimi) operare del nuovo presidente, è nella sua apertura ai diseredati, ai poveri, è nella eccezionale capacità che aveva di attrarre il benvolere delle masse, è in tutto questo ed altro che si devono rintracciare le ragioni del primo trascorrere del partito democratico dalle posizioni molto spesso oscurantiste che gli erano proprie a quelle liberal. E’ in quegli anni che i neri, condividendo in larga parte il New Deal roosveltiano, spezzano il tradizionale legame che avevano con i repubblicani, con il partito che aveva voluto, lottando in effetti con il Sud democratico schiavista, dare loro la libertà.

Capitolo sesto

EISENHOWER VA A SUD Passano gli anni e, terminata la Seconda Guerra Mondiale, chiusa l’epoca del successore del secondo Roosevelt Harry Truman , ecco alla ribalta il candidato repubblicano per le elezioni del 1952: il generale Dwight ‘Ike’ Eisenhower , il condottiero agli ordini del quale il conflitto era stato vinto in Europa. In campagna, i capi Gop, secondo consuetudine, lo consigliano di non cercare voti nel Sud. Fatica e soldi sprecati, a parer loro. Dalla fine della Guerra di Secessione – l’ho già ricordato – nel meridione, ci si pronuncia solo e soltanto per i democratici. Ike non ci sta: farà campagna a Sud e i risultati, che non mancano in questa occasione, saranno anche migliori quattro anni dopo, quando cercherà ed otterrà la conferma a White House.

Capitolo settimo

LYNDON JOHNSON E arriviamo alla tornata elettorale del 1964, nella quale, per la prima volta, si ha davvero un rovesciamento geopolitico. Lyndon Johnson , subentrato a fine 1963 all’assassinato John Kennedy , aveva utilizzato alla grande l’anno di presidenza ottenendo dal Congresso l’approvazione a tamburo battente di provvedimenti decisivi in materia di diritti civili e in specie di lotta alla segregazione razziale, aveva ridotto per la prima volta in trent’anni le tasse, aveva voluto una normativa a proposito dei trasporti di massa e una legge sull’istruzione universitaria. Infine, aveva proposto al parlamento “una guerra totale contro la povertà”

21 Come ben ricorda e sottolinea il citato Maldwyn Jones, per quanto significative risultassero tali misure, Johnson le vedeva come primi passi in vista di quella che avrebbe dovuto essere ‘la Grande Società’, un’America nella quale regnassero abbondanza e libertà per tutti. A contrastare l’impeto johnsoniano, il Gop aveva chiamato il senatore Barry Goldwater – rivalutato negli ultimi tempi per quella che oggi viene ritenuta la sua ‘purezza ideologica’ repubblicana – che perse nettamente il Nord conquistando solo sei Stati, cinque dei quali, nel Sud. Il secondo mandato del successore di Kennedy fu ancora maggiormente travolgente: ‘Medicare Act’ e ‘Medicaid Act’ per fornire ai vecchi e ai poveri l’assicurazione sociale per le cure mediche, due profondi interventi tesi a migliorare la pubblica istruzione ad ogni livello, leggi a favore della reale estensione a tutti e in primo luogo ai neri del diritto di voto fino ad allora fortemente condizionato da lacciuoli di vario genere, perfino un ‘Immigration Act’ che eliminava il sistema discriminatorio basato sull’origine nazionale in vigore dagli anni Venti. Johnson – di gran lunga, per la politica interna, il migliore tra tutti i presidenti democratici e non solo – nella realizzazione della sua ‘Grande Società’, fece inoltre approvare leggi per il miglioramento delle autostrade, contro l’inquinamento dell’aria e dell’acqua e un ambizioso programma urbanistico che voleva arrivare addirittura alla eliminazione degli slum. E’, quindi, da questo momento, dopo un tale uragano, che, sia pure non di colpo, la geopolitica americana muta radicalmente. Da allora, gli Stati della costa pacifica e quelli settentrionali dell’atlantica si colorano abitualmente ad ogni elezione di azzurro (‘Blue States’), il colore dei democratici. Quelli del Sud e di buona parte del Mt diventano rossi (‘Red States’) essendo appunto il rosso il colore repubblicano. ‘Swing’, e cioè indecisi, gli altri i cui spostamenti – tranne casi straordinari (la seconda volta di Reagan per esempio) – determinano l’esito. (Per inciso, una domanda: come mai nella comune visione, nell’immaginario popolare il pericoloso – si guardi agli esiti della sua politica estera e al riarmo che volle – parolaio John Kennedy, del tutto inconcludente quanto alla politica interna, è considerato un grande nel mentre Lyndon Johnson viene trascurato, quando gli va bene, se non denigrato con tutto quel che ha fatto? In verità, l’assassinio di Kennedy a Dallas fu, guardando alle conseguenze, per gli Stati Uniti una vera manna!)

Capitolo ottavo

IL CREDO REAGANIANO Travolto dalla tragica Guerra del Vietnam, Johnson non si candida, come avrebbe potuto, nel 1968.

22 La coalizione liberal che aveva creato con il suo operare tarda a consolidarsi e ad esprimersi nelle urne al punto che nei successivi decenni, fino al 1992, i democratici arrivano alla Casa Bianca solo e fuggevolmente – quattro anni – con Jimmy Carter . Sull’altra sponda, l’astro Ronald Reagan in particolare e su tutti, i repubblicani si riallineano e mettono insieme una maggioranza elettorale fondamentalmente basata sul voto del ‘nuovo’ Sud e su quello dei bianchi, anglosassoni e protestanti (‘Wasp’) appartenenti alle classi agiate. Il credo reaganiano come espresso da Michael Parrish nel suo imperdibile ‘L’età dell’ansia’ benissimo rappresenta la posizione Gop che dagli anni Ottanta del Novecento arriva a noi: Reagan aveva “una visione ideologica della vita pubblica basata su alcune generali e semplici idee: l’ordine sociale ed economico americano è sostanzialmente valido e di conseguenza chi lo critica o cerca di modificarlo sbaglia e/o è un pericoloso radicale; l’iniziativa privata è il fulcro della società; il ruolo del governo deve essere limitato, soprattutto per quanto riguarda la regolamentazione dell’economia e la redistribuzione della ricchezza creata dal mercato; gli Stati Uniti, a causa della superiorità delle loro istituzioni e del loro illuminato senso morale, hanno un ruolo del tutto eccezionale negli affari internazionali”, eco, quest’ultima affermazione, dell’ottocentesco ‘Destino manifesto’ teorizzato da John O’Sullivan.

Capitolo nono

IL TERZO MILLENNIO Si potrebbe oggi affermare che il duplice mandato ottenuto da George Walker Bush all’inizio del terzo millennio sia con buona probabilità l’ultima vittoria di ‘quel’ partito repubblicano, del Gop legato, come detto agli Wasp oggi minoritari, alla destra religiosa e alla ora fortemente declinante classe media agiata del Paese? In buona sostanza, l’ultimo ‘ritorno’ essendo con quasi certezza la precedente presidenza di Bill Clinton quella che ha davvero raccolto, per quanto attiene all’elettorato, l’eredità johnsoniana che potrebbe consentire, ove i repubblicani non si riposizionassero, ai democratici di prevalere a lungo? Probabilmente, in particolare guardando all’affermarsi dirompente delle nuove etnie, ispaniche in specie, attratte dalle posizioni del partito dell’asino e in qualche modo neglette dai repubblicani.

POTRA’ IL PARTITO REPUBBLICANO RICONQUISTARE WHITE HOUSE IN QUESTO 2012 O COMUNQUE IN FUTURO? E’ comunque possibile che in questo 2012 i Gop con riescano a tornare in sella? Possibile ma, al momento, difficile. Possibile per la pochezza e la dimostrata incapacità dell’amministrazione in carica, debole sia nell’opaco e inconcludente parolaio Barack Obama sia nel suo entourage.

23 Possibile, in particolare, in ragione della critica situazione economica del Paese contro la quale il presidente ha operato con scarsissimi risultati. Possibile ancora se l’ala religiosa conservatrice (gli evangelici in particolare, ma anche i cattolici ortodossi antiabortisti e anti gay), che ha trovato negli ultimi tempi nel repubblicano il partito di riferimento lo sostiene fortemente alle urne come non ha fatto nel 2008 con John McCain . Possibile, inoltre, se la candidatura alla vice presidenza di Paul Ryan non allontana i centristi eventualmente spaventati dal suo rigore e garantisce invece il voto di quanti si sono raccolti nel Tea Party, movimento di destra anti Stato nazionale con venature radicali comunque vicino al Gop. Possibile se riesce a conquistare un numero significativo anche se inferiore al cinquanta per cento dei voti delle minoranze, i pluricitati ispanici in prima linea. Possibile, infine, se il liberal alla Ron Paul non si lasciano attrarre dalla chimera del ‘Libertarian Party’ e del suo candidato Gary Johnson . Quante infinite necessità, quanti disaccordi pareri da coniugare!

Certo è, in conclusione, che guardando al futuro i repubblicani hanno assoluta necessità di riposizionarsi, prendendo atto delle mutatissima realtà in primo luogo sociale e culturale della nazione. E’ in tale direzione che si agita con forza l’ex governatore della Florida , per parte sua attentissimo alla minoranze (che, sommate, arriveranno presto, se non l’hanno già fatto, ad essere maggioranza) etniche particolarmente importanti nello Stato da lui bene amministrato per due mandati, coniugato con una ispanica e in grado di parlare correntemente lo spagnolo.

Perdesse Romney la sfida e confermasse l’intenzione di non voler scendere in campo l’ex segretario di Stato Condoleezza Rice (una grande risorsa in prospettiva per i repubblicani e per l’intero Paese), è al ‘fratello intelligente’ di GWB, come i nemici del presidente lo chiamavano, e ai Gop di nuova generazione e diverse etnie (il ‘cubano’ Marco Rubio , l’indiano Bob Jindal per fare due nomi) che il partito dovrà guardare per cercare una nuova base, per creare una differente coalizione elettorale, per far convivere differentissime e apparentemente inconciliabili idee e prevalere, aggiornati e affinati, gli antichi impeti ideali e ideologici che hanno tanto contribuito a rendere l’America quella che è.

Capitolo decimo

UNA DOMANDA A conclusione del tema, una domanda conseguente ad una constatazione possibile a tutti guardando ai due partiti oggi.

24 Una domanda rispondendo alla quale potrebbero andare a farsi benedire tutti i bei discorsi relativi al radioso futuro prevedibile per i democratici e alla difficoltà che dovranno affrontare i repubblicani. Come mai in casa Gop i giovani quarantenni o addirittura meno già illustratisi a livello nazionale sono millanta e quelli del partito dell’asino pochissimi? E’ vero, da sempre la situazione è un po’ questa ma oggi la differenza è aumentata. I democratici chi possono contrapporre per il futuro a Paul Ryan , Bob Jindal, Chris Christie , Rob Portman , Susana Martinez e compagnia bella? Il materiale umano conta e non poco nel sistema americano e da questo punto di vista i repubblicani stanno meglio senza dubbio.

25 PARTE SECONDA

COME E IN QUAL MODO SI ELEGGE IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA. COME E IN QUAL MODO SI SCELGONO I CANDIDATI

26 Capitolo primo

COME SI SVOLGE LA VOTAZIONE Il cittadino USA che “il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre” dell’anno corrispondente al bisestile, dal 1792 (le precedenti consultazioni si erano svolte nel 1789), si reca ogni quattro anni alle urne per le presidenziali non vota direttamente per uno dei candidati, ma elegge, Stato per Stato, un determinato numero di delegati (per indicare i quali si usa anche l’espressione ‘voti elettorali’) che, successivamente riuniti nel cosiddetto ‘collegio’, a loro volta, proclameranno il nome del prescelto. E’, pertanto, quella del presidente americano una elezione non diretta ma di ‘secondo grado’. Il numero totale dei delegati è oggi di cinquecentotrentotto (538), pari alla somma dei senatori nazionali (cento, 100), dei rappresentanti anch’essi nazionali (quattrocentoventicinque, 425) e dei tre ai quali, nell’occasione, ha diritto il District of Columbia. Chi conquista almeno duecentosettanta (270) voti elettorali – e cioè la maggioranza assoluta – otterrà, quindi, l’incarico. Nel caso in cui, assai difficilmente (dovrebbero essere seriamente in lizza, come succedeva tra il finire del Settecento e i primi decenni del secolo successivo, non solo il democratico e il repubblicano ma un terzo o magari un quarto incomodo in grado di conquistare qualche Stato), nessuno raggiungesse la soglia minima, la nomina spetterebbe alla camera che dovrebbe scegliere tra i primi tre classificati. I delegati ai quali ha diritto ciascuno Stato sono pari al totale dei suoi parlamentari nazionali. Dappoichè, in base al ‘compromesso del Connecticut’, tutti gli Stati a prescindere dal numero degli abitanti hanno la stessa dignità, sia, per fare un solo esempio, la spopolata Alaska che la popolosissima California hanno diritto allo stesso numero (due) di senatori nazionali essendo alla camera alta rappresentati appunto gli Stati. La differenza che porta, restando al precedente confronto, il numero dei parlamentari e quindi dei voti elettorali dell’Alaska a tre e quelli della California a cinquantacinque (55), è data dalla consistenza dei rappresentanti (così si chiamano rappresentando il popolo) che è decisa in base al numero degli abitanti di ciascuno Stato. Con l’eccezione del Nebraska e del Maine (la legge in materia è decisa localmente e può mutare) che hanno un sistema di attribuzione differente ma che, avendo diritto a pochi delegati – un totale di nove (9) – incidono sempre relativamente, tutti gli Stati attribuiscono i voti elettorali con il meccanismo noto come ‘winner take all’. In pratica, il candidato che prevale in termini di suffragi popolari conquista tutti (tutti) i voti elettorali ai quali lo Stato ha diritto.

N.B.

27 1) Fino al 1804 - quando con l’approvazione del XII emendamento la questione fu risolta – il candidato alla presidenza che aveva ottenuto il maggior numero di delegati conquistava lo scranno mentre vice presidente veniva proclamato il secondo in graduatoria anche se appartenente a un differente partito. Con la modifica indicata, prende corpo il cosiddetto ‘ticket’ presidenziale e ad ogni candidato capo dello Stato si affianca un vice della sua stessa parte. 2) Ricordo che la scelta del mese di novembre e del giorno nel quale votare risale al 1792. All’epoca, la religione era molto importante e l’agricoltura, con l’allevamento, l’occupazione assolutamente dominante. E’ in ragione di ciò che si determinò allora di recarsi alle urne appunto in novembre, mese nel quale i contadini e gli allevatori erano meno impegnati, e “il primo martedì dopo il primo lunedì” in quanto, se si fosse detto solo “il primo martedì”, questo avrebbe potuto cadere l’1 novembre, e cioè in Ognissanti, giorno nel quale, come del resto di domenica, ci si deve dedicare alla preghiera e al riposo. 3) Il censimento che determina la distribuzione dei rappresentanti e conseguentemente dei delegati ai quali ha diritto ciascuno Stato ha luogo una volta per decennio in coincidenza con l’anno con finale zero: 1910, 1920, 1930…2000, 2010…

Capitolo secondo

COME SI SCELGONO I CANDIDATI

Le primarie E’ sul finire dell’Ottocento che negli Stati Uniti si comincia a parlare di primarie. In un contesto politico incancrenito, nel quale le segreterie politiche decidono a loro piacere le candidature alle differenti cariche pubbliche, presidenza in primo luogo, qualcuno comincia a pensare che, invece, debba essere direttamente il popolo a scegliere, sia pure (sulla falsariga dell’elezione presidenziale vera e propria) attraverso la nomina di delegati. E’ nel Wisconsin, all’epoca guidato dal governatore Robert La Follette senior (un vero riformatore), che, a partire dal 1903, l’istituto, ancora non del tutto articolato, viene applicato. Su scala nazionale, sia pure in forma embrionale e con esiti negativi le primarie debuttano nel 1912 nell’ambito del partito repubblicano. (Nell’occasione, negli Stati coinvolti – non tutti - le vinse Teodoro Roosevelt ma la convention Gop gli preferì comunque William Taft con la conseguente uscita di Teddy, la spaccatura dell’elettorato e la vittoria del democratico Woodrow Wilson). Con l’andar del tempo, raffinandosi il meccanismo, si arriva alle forme attualmente in uso.

28 Evitando di entrare in troppi particolari (occorrerebbe un intero volume per distinguere i quasi infiniti sistemi adottati nel diversi Stati dell’Unione che in merito legiferano), le primarie USA si distinguono in ‘aperte’ o ‘chiuse’. Al riguardo, occorre ricordare che i cittadini americani aventi diritto al voto, per esercitare questo diritto, devono iscriversi alle ‘liste elettorali’. Nel farlo, possono, se non indipendenti, dichiarare quale sia il loro partito di riferimento. Se la primaria, democratica o repubblicana che sia, indetta da uno degli Stati è ‘aperta’ potranno recarsi alle urne tutti gli elettori senza badare all’appartenenza eventualmente annunciata. Se la primaria è ‘chiusa’, in quella democratica potranno votare esclusivamente coloro che hanno dichiarato quella preferenza e così nella repubblicana. L’attribuzione dei delegati ai quali, sulla base del numero degli abitanti, ha diritto ciascuno Stato può essere proporzionale ai voti ricevuti dai candidati o può concretizzarsi nel ‘winner take all’, metodo con il quale chi prende il maggior numero di suffragi popolari conquista tutti i delegati in palio. L’intero processo si sviluppa nell’arco di alcuni mesi passando da uno Stato all’altro e, ovviamente, il candidato che prima o poi riuscirà a conquistare la metà più uno dei delegati otterrà la nomination ufficializzata nella successiva convention.

I caucus Alternativo alla primarie ed usato da alcuni Stati è il caucus ('consiglio ristretto', secondo Maldwyn Jones) Il vocabolo – ma si tratta di un’ipotesi non molto attendibile - deriverebbe dal tardo greco 'kaukos', che significa 'boccale', e indicherebbe il fatto che le riunioni così chiamate si svolgevano originariamente nei saloons e nelle bettole. Secondo la maggior parte degli storici, invece, trarrebbe origine dalle riunioni dei capi tribù algonchini, in tal modo definite in quella particolare lingua. Sorto nei primi decenni dell’Ottocento, il meccanismo in questione è, come detto, tuttora vigente in alcuni Stati. Il più famoso caucus è quello dello Iowa che, tradizionalmente, inaugura la campagna elettorale. Nella sostanza si tratta di una riunione ristretta agli attivisti del partito che in questo modo scelgono i delegati alla convenzione.

La convention La convention nazionale è il momento conclusivo verso il quale tende tutto il sistema dei caucus e delle primarie e altresì l'unico congresso dei due partiti, che, quindi, si riuniscono al massimo livello ogni quattro anni, in estate, per scegliere ufficialmente il candidato alla Presidenza ed il suo vice, nonché per discutere ed approvare la 'piattaforma' elettorale e cioè il programma del partito.

29 Oramai da molto tempo (per i repubblicani, dal 1980 e per i democratici dal 1972), la funzione della convention quanto alla determinazione del candidato presidente è solo formale. In precedenza in numerose occasioni, in quell’ambito, invece, non essendoci un vincitore delle primarie che avesse conquistato la maggioranza assoluta dei delegati, ci si batteva strenuamente per ottenere la nomination che poteva andare perfino a esponenti che non avevano partecipato a primarie e caucus (in cotal modo, per esempio, nel citato 1968 in casa democratica fu scelto Hubert Humphrey ).

N.B. Il primo caucus in programma, come detto nel testo, è tradizionalmente quello dell’Iowa. Le primarie, invece, hanno inizio nel New Hampshire. Da almeno dodici anni è in atto una corsa in avanti che vede partecipi tutti quegli Stati che chiedono ai partiti nazionali di poter anticipare le consultazioni locali per non correre il pericolo di votare a giochi già fatti, quando uno dei candidati ha superato il numero richiesto di delegati e quindi, sia pure formalmente, ha ottenuto la nomination.

Capitolo terzo

Un’ultima annotazione. Da sempre ed anche ai giorni nostri, i candidati a White House sono in numero superiore a due. Quest’anno, ad esempio, è già stato indicato il pretendente alla Casa Bianca scelto dal partito libertariano (l’ex governatore Gary Johnson) ed altri ne seguiranno. Nel 2000, si propose Ralph Nader per i verdi. A fine Settecento e per buona parte dell’Ottocento, non ancora dominanti democratici prima e repubblicani poi, i candidati di peso erano sempre tre o quattro. Nei primi decenni del Novecento, corse spesso con propri esponenti il partito socialista. Nel 1932, nientemeno che il comunista William Zebulon Foster . Da non trascurare, infine, gli indipendenti – magari, alla testa di movimenti politici creati per la bisogna - qualcuno dei quali ottenne risultati di rilievo (Theodore Roosevelt nel 1912 su tutti).

30 PARTE TERZA

DOMANDE E RISPOSTE A PROPOSITO DEL SISTEMA ELETTORALE AMERICANO: REGOLE, PRIMATI, CURIOSITA

31 - D: La scelta del presidente avviene attraverso una elezione ‘diretta’ (in altre parole, i votanti si esprimono direttamente a favore dei candidati)? R: No, si tratta di una elezione ‘di secondo grado’. Vengono nominati, Stato per Stato, dei delegati i quali, in seguito, in sede di Collegio nazionale, eleggono il presidente. - D: Come vengono attribuiti i delegati per le presidenziali? R: Il candidato che vince per voti popolari in uno Stato (tranne in Maine, dal 1972, e in Nebraska, dal 1996, laddove si applica un complicato sistema che prevede la suddivisione dello Stato stesso in singoli distretti elettorali) ottiene tutti i delegati – che vengono altresì indicati con la dizione ‘voti elettorali’ - ai quali quel determinato Stato ha diritto. - D: A quanti delegati ha diritto ciascuno Stato nelle presidenziali? R: A tanti quanti sono i suoi congressisti nazionali (senatori più rappresentanti e considerato che questi ultimi sono in proporzione al numero degli abitanti, più lo Stato è popolato, maggiore è il numero dei suoi rappresentanti e, quindi, dei delegati da eleggere). - D: Quanti sono in totale i delegati da nominare? R: Cinquecentotrentotto, pari alla somma dei senatori (cento) più i deputati (quattrocentotrentacinque) più i tre ai quali ha diritto il District of Columbia. Per conseguenza, per arrivare a White House bisogna ottenere almeno duecentosettanta ‘voti elettorali’. Ecco i delegati assegnati Stato per Stato a seguito dei risultati del censimento nazionale del 2010 (le differenze con la precedente distribuzione, se esistenti, sono evidenziate volta per volta). La nuova attribuzione sarà valida per le elezioni 2012, 2016, 2020: Alabama: 9 Alaska: 3 Arizona: 11 (+ 1) Arkansas: 6 California: 55 Colorado: 9 Connecticut: 7 Delaware: 3 District of Columbia: 3 Florida: 29 (+ 2) Georgia: 16 (+ 1) Hawaii: 4 Idaho: 4 Illinois: 20 (- 1) Iowa: 6 (- 1) Indiana: 11 Kansas: 6 Kentucky: 8 Louisiana: 8 (- 1) Maine: 4 Maryland: 10 Massachusetts: 11 (- 1) Michigan: 16 (- 1) Minnesota: 10 Mississippi: 6 Missouri: 10 (- 1) Montana: 3 Nebraska: 5 Nevada: 6 (+ 1) New Hampshire: 4 New Jersey: 14 (- 1) New Mexico: 5 New York: 29 (- 2) North Carolina: 15 North Dakota: 3 Ohio: 18 (- 2) Oklahoma: 7 Oregon: 7 Pennsylvania: 20 (- 1) Rhode Island: 4 South Carolina: 9 (+ 1) South Dakota: 3 Tennessee: 11 Texas: 38 (+ 4) Utah: 6 (+ 1) Vermont: 3 Virginia: 13 Washington: 12 (+ 1) West Virginia: 5 Wisconsin: 10 Wyoming: 3 - D: Tutti i cittadini maggiorenni (diciotto anni compiuti) hanno diritto al voto? R: Sì, ma per esercitare tale diritto – come per candidarsi ad una carica pubblica – è necessario che il cittadino si iscriva alle ‘liste elettorali’. Non facendolo, dimostra di non volere praticare un potere che, comunque, gli appartiene. - D: Quale fu il primo presidente a risiedere nella dimora presidenziale (non ancora Casa Bianca, considerato che verrà così denominata solo dopo la sua ricostruzione conseguente all’incendio appiccato dagli inglesi all’edificio presidenziale nel 1814)? R: John Adams , nel 1800.

32 - D: Quanti sono stati i presidenti USA? R: Barack Obama è conteggiato quale quarantaquattresimo capo dello Stato americano ma i presidenti sono stati quarantatre. Fatto è che Grover Cleveland, eletto due volte ma non consecutivamente, è incluso nell’elenco sia al ventiduesimo che al ventiquattresimo posto. Al riguardo, da segnalare che la giovane moglie di Cleveland, Frances Folsom , era così sicura che il marito avrebbe riconquistato la presidenza, che il 4 marzo 1889, lasciando la Casa Bianca a seguito della precedente sconfitta ad opera di Benjamin Harrison , chiese al maggiordomo di tenere tutto in ordine perché aveva intenzione di tornare di lì a quattro anni, come in verità avvenne. - D: Quella attualmente in vigore e datata 1787 è la prima Costituzione che gli Stati Uniti si siano dati? R: No, è la seconda. La prima – denominata ‘Articoli di Confederazione’ – fu approvata dal Congresso nel novembre dei 1777 e il suo iter di ratifica da parte degli Stati si concluse nel 1781. - D: Quando entrò in vigore il cosiddetto ‘Bill of Rights’? R: La Costituzione, per scelta dei costituenti, non parla dei diritti individuali che sono invece elencati e garantiti dai primi dieci emendamenti (noti appunto come ‘Bill of Rights’) entrati in vigore il 15 dicembre 1791. - D: Quanti sono complessivamente gli emendamenti costituzionali? R: Ventisette. - D: Quale movimento politico organizzò la prima convention nazionale? R: Il partito antimassonico nel 1831 allorché scelse William Wirt come proprio candidato alla presidenza nelle presidenziali in programma l’anno dopo. - D: Che cosa è una convention? R: E’ il momento conclusivo verso il quale tende tutto il sistema dei caucus e delle primarie: è il congresso del partito che sceglie (ma, il più delle volte, non può che ratificare l’esito delle primarie svoltesi in precedenza) i candidati alla presidenza, alla vice presidenza e discute e delibera a proposito del programma elettorale (la cosiddetta ‘platform’). - D: Che cosa è un caucus? R: Nella sostanza, una riunione ristretta degli attivisti locali del partito che lo indice al fine di scegliere i delegati dello Stato alla convenzione. L’espressione deriverebbe dalla lingua algonchina e starebbe a indicare la riunione dei capi tribù. - D: In vista di quale elezione presidenziale si adottarono per la prima volta le primarie già usate nel Wisconsin, a livello statale, dal 1903? R: Di quella del 1912 che vide contrapporsi tra i repubblicani William Taft, Theodore Roosevelt e Robert La Follette. - D: Di quanti tipi possono essere le primarie? R: Fondamentalmente, con qualche variante Stato per Stato, di due: chiuse o aperte. Nelle prime, sono ammessi al voto solamente gli elettori iscritti nelle sopra citate liste elettorali come votanti del partito che le ha indette. Nelle seconde (proprio per questo, dette aperte), possono votare tutti gli elettori e quindi anche gli indipendenti e i simpatizzanti di altri partiti, sempre purché iscritti alle famose liste elettorali.

33 - D: Quanti delegati vengono eletti tra primarie e caucus in vista delle convenzioni? R: Il numero è variabile e, comunque, non è il medesimo per tutti i partiti. - D: Sulla base di quale criterio si decide a proposito del numero di delegati alle convenzioni eletti in ogni singolo Stato? R: Maggiore il numero degli abitanti, maggiore il numero dei delegati. - D: Un solo candidato a White House si vide affiancare da due diversi aspiranti alla vice presidenza. Chi? R: William Jennings Bryan , nel 1896, avendo ottenuto la nomination dai democratici ma anche dai populisti. - D: Quale primaria, tradizionalmente, inaugura la campagna presidenziale? R: Quella del New Hampshire. - D: Quale è, tradizionalmente, il primo caucus in calendario? R: Quello dello Iowa. - D: Quale fu il primo candidato cattolico alla presidenza? R: Alfred Smith , nel 1928, democratico fu sconfitto da Herbert Hoover . Cattolico e democratico era altresì John Kerry , battuto nel 2004. - D: Quale fu il primo (ed unico) presidente cattolico? R: John Kennedy, eletto per i democratici nel 1960. - D: Quale fu il primo presidente democratico? R: Andrew Jackson, vincitore nel 1828. - D: Quale fu il primo candidato repubblicano? R: John Fremont , nel 1856. - D: Quale fu il primo presidente repubblicano? R: Abraham Lincoln, eletto nel 1860. - D: Quale fu il primo presidente a morire in carica per cause naturali? R: William Harrison , nel 1841 a seguito di una polmonite. Dopo di lui, Zachary Taylor nel 1850, Warren Harding nel 1923 e Franklin Delano Roosevelt nel 1945. - D: Quale fu il primo vice presidente a subentrare mortis causa a White House? R: John Tyler , nel 1841. - D: Quanti e quali i vice in grado di proporsi autonomamente subito dopo avere esercitato appunto la vice presidenza e di vincere? R: Quattro soltanto: John Adams nel 1796, Thomas Jefferson nel 1800, Martin Van Buren nel 1836 e George Herbert Bush nel 1988. Richard Nixon arrivò anch’egli alla Casa Bianca ma al secondo tentativo. Sconfitto da Kennedy nel 1960, si impose nel 1968. - D: Quale fu il primo presidente ad essere assassinato? R: Abraham Lincoln, nel 1865. Dopo di lui, uccisi anche James Garfield nel 1881, William McKinley nel 1901 e John Kennedy nel 1963. - D: Quale il primo presidente nero? R: Barack Obama, eletto nel 2008 e in carica dal 20 gennaio 2009. - D: Cosa si intende per ‘maledizione dell’anno zero’? R: Dal 1840 e fino al 1960, tutti i presidenti eletti o riconfermati in un anno con finale zero morirono in carica: William Harrison vittorioso appunto nel 1840, Abraham Lincoln eletto nel 1860, James Garfield nominato nel 1880, William McKinley di

34 nuovo vincitore nel 1900, Warren Harding in carica dopo le elezioni del 1920, Franklin Delano Roosevelt per la terza volta preferito nel 1940 e John Kennedy trionfatore nel 1960. - D: Quanti e quali i presidenti in cerca di un secondo mandato sconfitti dagli sfidanti? R: Dieci e precisamente John Adams nel 1800, John Quincy Adams nel 1828, Martin Van Buren nel 1840, Grover Cleveland (che poi rivinse nel 1892) nel 1888, Benjamin Harrison nel 1892, William Taft nel 1912, Herbert Hoover nel 1932, Gerald Ford nel 1976, Jimmy Carter nel 1980, George Herbert Bush nel 1992. - D: Quale fu il primo presidente ad essere sottoposto ad impeachment? R: Andrew Johnson, nel 1868. Se la cavò per il rotto della cuffia. - D: Quale fu l’unico presidente che si dimise? R: Richard Nixon , nel 1974 a seguito dello scandalo Watergate. - D: Quale fu il primo vice presidente subentrato mortis causa alla Casa Bianca che si ripresentò autonomamente subito dopo la conclusione del mandato esercitato in luogo del predecessore? R: Theodore Roosevelt, nel 1904. In precedenza i subentrati John Tyler, Millard Fillmore e Chester Arthur non avevano riproposto la candidatura al termine del quadriennio da loro iniziato come vice presidenti. - D: Quale fu la presidenza più corta? R: Quella di William Harrison, durata dal 4 marzo al 4 aprile 1841. - D: Quale fu la presidenza più lunga? R: Quella di Franklin Delano Roosevelt, in carica dal 4 marzo 1933 al 12 aprile 1945. Il record non potrà mai essere battuto visto che nel 1951 fu approvato un Emendamento costituzionale che impone il limite massimo di due mandati (anche se non consecutivi). - D: Quale fu il primo presidente figlio di un altro precedente capo dello Stato? R: John Quincy Adams, eletto nel 1824 e figlio del secondo presidente John Adams. Il secondo fu George Walker Bush. - D: Quali presidenti sono arrivati alla Casa Bianca al secondo o terzo tentativo perché in precedenza sconfitti? R: John Adams, eletto nel 1796, era stato battuto da Washington sia nel 1789 che nel 1792; Thomas Jefferson, eletto nel 1800, era stato sconfitto da John Adams nel 1796; John Quincy Adams - in corsa solo per evitare che Monroe fosse confermato all’unanimità la qual cosa gli avrebbe consentito di eguagliare da questo punto di vista Washington il che andava evitato - battuto per l’appunto dal citato James Monroe nel 1820, si rifece nel 1824; Andrew Jackson, superato da J.Q.Adams nel 1824, lo sconfisse nel 1828; William Harrison, perse le elezioni del 1836 contro Martin Van Buren, si prese la rivincita nel 1840; Richard Nixon, sconfitto da Kennedy nel 1960, fu eletto nel 1968. - D: Quale ‘terzo candidato’, esponente di movimento politico diverso da democratici e repubblicani, ottenne il maggior numero di voti e delegati nelle elezioni per la presidenza? R: Theodore Roosevelt, fuoriuscito dai repubblicani, nel 1912.

35 - D: Quale è l’unico presidente eletto benché avesse ottenuto sia meno voti popolari che delegati rispetto ad uno dei suoi rivali? R: John Quincy Adams, nel 1824 fu battuto da Andrew Jackson che, però, non riuscì a raggiungere il numero di delegati necessari ad ottenere l’investitura. La Camera dei Rappresentanti, chiamata a decidere secondo quanto disposto dal XII Emendamento, si pronunciò per Adams. - D: Un solo candidato alla Casa Bianca vi arrivò dopo essere stato in precedenza sconfitto quale aspirante alla vice presidenza. Chi? R: Franklin Delano Roosevelt, eletto nel 1932 e battuto come vice di James Cox dodici anni prima, nel 1920. - D: Un solo presidente entrò in carica senza essere stato eletto né come capo dello Stato né come vice. Chi? R: Gerald Ford, subentrato a Nixon dopo le sue dimissioni, era in precedenza succeduto a Spiro Agnew nel mandato vicario con la prescritta approvazione del Congresso a seguito delle dimissioni dello stesso Agnew. - D: Quale è stato il candidato più giovane alla presidenza? R: William Jennings Bryan, nel 1896 aveva trentasei anni. - D: Quale è stato il candidato di un partito nazionale più anziano alla Casa Bianca? R: Ronald Reagan che nel 1984, in corsa per la rielezione, aveva settantatre anni. Ove si guardi solo alla prima candidatura, John McCain nel 2008 a settantadue anni suonati. - D: Quale è stato il più giovane presidente eletto? R: John Fitzgerald Kennedy, che nel novembre del 1960, aveva poco più di quarantatre anni e cinque mesi. - D: Quale è stato il più giovane presidente in carica? R: Theodore Roosevelt, che non aveva ancora compiuto quarantatre anni allorché subentrò a William McKinley il 14 settembre 1901. - D: Quale è stato il più vecchio presidente in carica? R: Ronald Reagan, che al momento di lasciare White House (20 gennaio 1989) aveva quasi settantotto anni. - D: Una sola donna prima di Sarah Palin (2008) ha fatto parte di un ticket presidenziale. Di chi si tratta? R: Di Geraldine Ferraro , in corsa per la vice presidenza per i democratici con Walter Mondale , nel 1984. - D: Un vice presidente in funzione uccise in duello un avversario politico che ne aveva ostacolato l’ascesa alla massima carica. Chi era? R: Aaron Burr , vice di Jefferson dal 1801, che ferì a morte Alexander Hamilton nel 1804. - D: Un solo presidente è stato eletto in un anno dispari. Chi? R: George Washington, in occasione della sua prima nomina, nel 1789. Per inciso, la data fissata per l’insediamento del presidente – che entra in carica l’anno successivo a quello delle elezioni – è il 20 gennaio a partire dal 1937. Prima, dal 1792 al 1933, si giurava il 4 marzo. - D: Quale è stato il candidato di un partito minore ma nazionale più volte in corsa per la Casa Bianca? R: Eugene Debs , socialista, nel 1904, nel 1908, nel 1912 e nel 1920.

36 - D: Oltre Debs, quali altri candidati, appartenenti però a partiti nazionali non minori nelle loro rispettive epoche, sono stati sconfitti in più occasioni? R: George Clinton , nel 1792 e nel 1808; C.C.Pinckney , nel 1800, nel 1804 e nel 1808; Henry Clay , nel 1824, nel 1832 e nel 1844; William Jennings Bryan, nel 1896, nel 1900 e nel 1908; Thomas Dewey , nel 1944 e nel 1948; Adlai Stevenson (omonimo e nipote di un vice presidente dell’Ottocento), nel 1952 e nel 1956. - D: In una sola occasione due candidati ottennero il medesimo numero di delegati. Chi erano e quando? R: Nelle elezioni del 1800 Thomas Jefferson e Aaron Burr conquistarono settantatre voti ‘elettorali’ a testa. La Camera dei Rappresentanti, come prescritto, si pronunciò in merito e al trentaseiesimo scrutinio scelse Jefferson. - D: Ci sono stati candidati presidenziali comunisti? R: Sì, il più importante (anche perché appoggiato nel 1932 da molti intellettuali di larga fama) fu William Zebulon Foster. - D: Quanti e quali sono gli Stati fondatori dell’Unione? R: Sono tredici (tanti quante le strisce nella bandiera americana) e precisamente: Connecticut, Delaware, Georgia, Maryland, Massachusetts, New Hampshire, New Jersey, New York, North Carolina, Pennsylvania, Rhode Island, South Carolina, Virginia. - D: In quale anno è stato istituito il District of Columbia? R: Nel 1790. - D: In quale ordine sono entrati nell’Unione i restanti trentasette Stati? R: 1791 Vermont, 1792 Kentucky, 1796 Tennessee, 1803 Ohio, 1812 Louisiana, 1816 Indiana, 1817 Mississippi, 1818 Illinois, 1819 Alabama, 1820 Maine e Missouri, 1836 Arkansas, 1837 Michigan, 1845 Florida e Texas, 1846 Iowa, 1848 Wisconsin, 1850 California, 1858 Minnesota, 1859 Oregon, 1861 Kansas, 1863 West Virginia, 1864 Nevada, 1867 Nebraska, 1876 Colorado, 1889 Montana, North Dakota, South Dakota e Washington, 1890 Idaho e Wyoming, 1896 Utah, 1907 Oklahoma, 1912 Arizona e New Mexico, 1959 Alaska e Hawaii. - D: Quale è stata l’ultima convention alla quale nessuno dei candidati in corsa si sia presentato con un sufficiente numero di delegati per ottenere subito la nomination? R: Quella democratica di Chicago del 1968. Alla fine, fu prescelto il vice presidente in carica Hubert Humphrey che non aveva neppure preso parte alle primarie. - D: Chi per primo parlò di Spoils System? R: L’espressione trae origine da una frase pronunciata da William L. Marcy , sostenitore di Andrew Jackson, che per giustificare la pratica messa in atto dal presidente di premiare i propri amici con incarichi pubblici sottratti ai rivali politici, disse: “Non vedo niente di male nel principio che le spoglie dell’avversario appartengano al vincitore”. - D: Quale presidente fece la prima ‘nomina di mezzanotte’? R: John Adams, il quale la sera del 3 marzo 1801 (ultimo giorno del suo mandato) nominò presidente della Corte Suprema il proprio collega di partito John Marshall che restò in carica fino al 1835.

37 - D: Quando è entrata in vigore la Legge Federale che regola la materia elettorale stabilendo che le votazioni per White House si svolgano “il primo martedì dopo il primo lunedì” del mese di novembre? R: Nel 1792. - D: Da quando il partito democratico ha per emblema l’asino? R: Dal 1828, allorché Andrew Jackson, candidato democratico alla Casa Bianca, fu definito appunto un asino dagli avversari. - D: Da quando i repubblicani hanno per simbolo un elefante? R: Il pachiderma fu ‘inventato’ come emblema del GOP (Grand Old Party, così venne denominato il partito tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento) dal cartoonist Thomas Nast e apparve per la prima volta su Harper’s Weeckly il 7 novembre del 1874. - D: Quale partito vide entrambi i suoi candidati eletti a White House morire in carica? R: I whigs: William Harrison, eletto nel 1840 e deceduto nel 1841, e Zachary Taylor, eletto nel 1848 e morto nel 1850. Fra l’altro, i whigs, nel loro programma, chiedevano che non fosse possibile essere eletti una seconda volta. Ad evitare che ciò succedesse, morirono in corso di mandato. - D: Quali presidenti hanno vinto pur avendo ricevuto meno voti popolari a livello nazionale del rivale sconfitto? R: John Quincy Adams, 1824; Rutherford Hayes , 1876; Benjamin Harrison, 1888; George Walker Bush, 2000. - D: Quanti vice presidenti ha avuto Franklin Delano Roosevelt? R: Tre e precisamente John Garner nei primi due mandati, Henry Wallace nel terzo e Harry Truman nei tre mesi scarsi nei quali, prima di morire, governò, nel quarto. - D: Quale presidente ha nominato il primo segretario di stato donna? R: Bill Clinton che scelse Madeleine Albright nel 1997. - D: Quale presidente ha nominato il primo segretario di Stato nero? R: George Walker Bush che chiamò nel quadriennio 2001/2005 Colin Powell . Nel successivo mandato, Bush concesse la medesima carica a Condoleezza Rice, primo segretario di Stato donna e nera. - D: Quale il primo candidato nero in grado di affermarsi almeno in una primaria? R: Il democratico Jesse Jackson nel 1984 (si ripropose poi quattro anni dopo). - D: Quale la prima donna capace di vincere almeno una primaria? R: Hillary Rodham Clinton nel 2008. - D: Quale il primo candidato nero capace di conquistare la nomination? R: Il senatore democratico dell’Illinois Barack Obama nel 2008. - D: Quale il primo candidato a White House di origini ebraiche? R: Barry Goldwater, repubblicano e senatore dell’Arizona, travolto da Lyndon Johnson nel 1984. - D: Quali i presidenti scolpiti nella pietra da Gutzon Borglum sul Monte Rushmore negli anni Trenta del Novecento? R: George Washington, Thomas Jefferson, Abraham Lincoln e Theodore Roosevelt.

38 - D: Quanti, a partire dal confronto del 1856 (il partito repubblicano fu fondato nel 1854 e si presentava quindi nel citato anno per la prima volta), gli scontri per la presidenza tra repubblicani e democratici? R: Trentanove a tutto il 2008. In ventitre occasioni ha vinto il repubblicano, in sedici il democratico. Gli eletti repubblicani sono stati sedici, quelli democratici dieci. - D: Chi fu il primo presidente ‘davvero’ americano? R: Martin Van Buren il quale, nato nel 1782, fu in effetti il primo inquilino di White House ad essere venuto al mondo dopo la dichiarazione di indipendenza degli USA. - D: Ci sono stati presidenti scapoli? R: Due, ma mentre il primo, James Buchanan, rimase tale, il secondo, Grover Cleveland, si sposò nel 1886 con una cerimonia del tutto privata. - D: Molti, come si è visto, i presidenti morti in carica, ma quanti quelli rimasti vedovi? R: Due ed entrambi si risposarono in corso di mandato: John Tyler e Woodrow Wilson. - D: Quale la prima ‘vera’ first lady? R: Julia Gardiner , seconda moglie del predetto Tyler. Più giovane del marito di trent’anni, colta e abituata alla vita di società, seppe muoversi con personalità e dare una sua impronta alla fino allora grigia vita presidenziale. La stampa parlò di lei – ed era appunto la prima volta che ciò accadeva a proposito di una consorte del capo dello Stato – come della ‘presidentessa’. - D: Quale il primo presidente coinvolto in scandali ‘rosa’? R: Grover Cleveland che fu accusato nel corso della campagna elettorale del 1884 di essere un donnaiolo e di avere anche un figlio illegittimo. Il futuro capo di Stato fece una cosa che nessun altro dopo di lui ha più ripetuto a fronte di accuse che riguardassero i rapporti con il gentil sesso: ammise tutto e lo scandalo si sgonfiò. Poco dopo, in carica e prima del precitato matrimonio, accusato di fare entrare e uscire un po’ troppe ‘donnine’ da White House, pubblicamente disse “Gli americani sanno di non avere eletto un eunuco”. - D: Quali i colori dei due partiti principali? R: Rosso per i repubblicani e blu per i democratici, ragione per la quale gli Stati che usualmente votano per i primi sono chiamati ‘Red States’ e quelli che si esprimono per i secondi ‘Blue States’. - D: Quanti sono di solito i votanti? R: Intorno al cinquanta/cinquantacinque per cento degli aventi diritto. In rarissime occasioni – così nel 1960 per Kennedy/Nixon – superano ma non di molto il sessanta per cento. - D: Chi fu il primo vice presidente? R: John Adams, poi successore di Washington. - D: Quali i requisiti richiesti per poter legittimamente aspirare alla presidenza? R: Essere cittadini degli USA dalla nascita, risiedere negli USA da almeno quattordici anni, avere almeno trentacinque anni d’età. - D: Perché si vota “il primo martedì dopo il primo lunedì” di novembre? R: Perché, essendo la domenica giorno del Signore appunto di domenica non si può votare. Dovendo poi lasciare agli elettori il tempo per spostarsi dove sono i

39 seggi (il giorno di lunedì), ecco che si vota di martedì. Non semplicemente il primo martedì perché potrebbe cadere il giorno 1 che è Ognissanti e quindi…

40 PARTE QUARTA

NUMERI

41 57 Nel 2012, gli americani sono chiamati alle urne per eleggere il presidente per la cinquantasettesima volta.

44 o 45 Nell’ipotesi in cui Barack Obama, quarantaquattresimo capo dello Stato, fosse riconfermato non si avrebbe, come invece ove fosse sconfitto, il presidente numero quarantacinque.

19 e 17 Qualora dovesse prevalere il candidato repubblicano, avremmo il diciannovesimo Gop della storia a White House. Dappoiché Chester Arthur e Gerald Ford , vice subentrati in corso di mandato rispettivamente a James Garfield e a Richard Nixon , ovviamente non vinsero a seguito di una campagna elettorale, avremmo invece a Washington il diciassettesimo repubblicano capace di prevalere nelle urne.

14 e 16 Contando Obama, i democratici eletti sono finora quattordici, mentre quelli in carica sedici visto che John Tyler ed Andrew Johnson, vice di William Harrison il primo e di Abraham Lincoln il secondo, completato il quadriennio del predecessore, non si ricandidarono.

23 e ancora 16 Se si guarda ai confronti elettorali diretti democratici/repubblicani e ricordando che questi ultimi si sono presentati per la Casa Bianca solo a partire dal 1856 essendosi costituiti in partito nel 1854, il Gop ha vinto in ventitre occasioni e il partito dell’asino in sedici.

88 e 68 Sempre a far luogo del 1856, i repubblicani hanno governato per totali ottantotto anni. I rivali, sessantotto se si tiene conto dell’intero mandato Obama e, soprattutto, ove si considerino appunto democratici i quattro anni di governo di Andrew Johnson, in verità vice del repubblicano Lincoln e a costui subentrato causa mortis. (Essendo in corso la Guerra di Secessione, nel 1864, Abramo Lincoln, a dimostrazione che anche fra i democratici si potevano annoverare degli antischiavisti, aveva scelto come candidato vice il predetto Johnson appartenente allo schieramento politico rivale).

4 Mitt Romney è stato nel 2008 ed è oggi il quarto mormone che aspiri ufficialmente alla Casa Bianca.

42 Prima di lui, da indipendente, nel 1844 il fondatore della sua religione Joseph Smith , il padre George Romney nel 1968 (sconfitto da Nixon nelle primarie) e il senatore anziano dello Utah Orrin Hatch nel 2000 (battuto da George Walker Bush nella corsa per la nomination).

43 APPENDICE

La seconda volta: cosa è successo quando un presidente ha chiesto, come Obama oggi, un secondo mandato?

Una indispensabile premessa per capirci: i presidenti, dal 1792, entrano in carica nell’anno successivo a quello elettorale e terminano il mandato quattro anni dopo la predetta entrata in carica. Per fare un esempio, Obama, vittorioso nel 2008, ha giurato nel 2009 e decade nel 2013 salvo, se riconfermato nel 2012, dare il via nel predetto 2013 ad un secondo quadriennio che terminerà nel 2017.

Per cominciare, come mai, fino a Franklin Delano Roosevelt e al 1940, nessun presidente in carica da otto anni si è riproposto per un terzo mandato? (Per inciso, il secondo or ora nominato Roosevelt, poi, fu eletto addirittura quattro volte morendo nel 1945, all’inizio appunto del quarto incarico, la qual cosa indusse il Congresso e gli Stati ad approvare l’Emendamento costituzionale del 1951 che non concede a chi abbia ricoperto l’ufficio per due quadrienni una terza possibilità). In qualche modo per seguire l’esempio di George Washington il quale, invitato a ripresentarsi nelle elezioni del 1796, rifiutando una certissima conferma, rispose “Nessun uomo è in grado di sostenere oltre due mandati un simile peso”. Ma veniamo al dunque che ritengo debba interessare in considerazione del fatto che in questo 2012 Barack Obama chiede agli americani proprio una seconda investitura nelle urne. Detto di Washington, in sella dal 1789 al 1797 avendo vinto nel medesimo 1789 (l’unica volta nella quale le elezioni ebbero luogo in anno dispari) e nel 1792, il successore John Adams fu a capo dello Stato dal 1797 al 1801 dato che il suo tentativo di ottenere un secondo mandato fu vano. Venne, difatti, sconfitto nelle votazioni del 1800 arrivando addirittura terzo. Dopo di lui, Thomas Jefferson che, compiuti i primi quattro anni venne facilmente confermato nel 1804 per ritirarsi allo scadere del secondo quadriennio. Seguono, entrambi rieletti e dipoi volontariamente out, James Madison e James Monroe. E’ quindi John Quincy Adams il secondo (dopo il padre!) presidente sconfitto nel tentativo di ottenere la conferma, precisamente nel 1828. Lo scalza Andrew Jackson che ottiene una larga conferma nel 1832 e poi si ritira. Il terzo capo dello Stato desideroso di restare alla Casa Bianca sconfitto nelle urne è Martin Van Buren che nel 1840 perde da William Harrison. Questi muore un mese dopo l’insediamento ed è - come dopo di lui Zachary Taylor, James Garfield, Warren Harding e John Kennedy, tutti deceduti in corso di primo mandato - da tale punto di vista evidentemente fuori gioco.

44 E’ necessario a questo punto arrivare ad Abraham Lincoln per vedere una ricandidatura arrivata a buon fine (1864) considerato che John Tyler, James Polk , il predetto Zachary Taylor causa decesso, Millard Fillmore, Franklin Pierce e James Buchanan, terminati i rispettivi primi quadrienni (o meno: Tyler e Fillmore erano vice subentrati), si ritirarono. Doppio, tranquillo mandato, invece, per Ulysses Grant eletto nel 1868 e confermato nel 1872. Quindi, otto anni inquieti e presidenze complicate a dir poco: Rutherford Hayes, eletto in seguito ad un compromesso, dura solo quattro anni e se ne va, Garfield viene ucciso e il vice Chester Arthur porta a termine il mandato e basta. Ed eccoci alla contesa Grover Cleveland/Benjamin Harrison, un caso unico. Il primo vince nel 1884, cerca una ‘seconda volta’ nel 1888 e perde appunto da Harrison, che riuscirà a sua volta a scalzare, tornando dopo un intervallo di un quadriennio a White House, nel seguente 1892! Dopo William McKinley, eletto nel 1896 e rieletto nel 1900, siamo al primo vice presidente subentrato mortis causa al titolare che, portato a termine il mandato del predecessore, si ripropone autonomamente. E’ Theodore Roosevelt, alla Casa Bianca per l’assassinio di McKinley, la cui ricandidatura vincente nel 1904 non si deve considerare ai nostri fini non essendo la seconda di un presidente in carica. Il successore William Taft non riesce nel 1912 a farsi rieleggere perdendo da Woodrow Wilson (arriva addirittura terzo) il quale, invece, ottiene la conferma e se ne va nel 1921. Morto in carica Harding, il vice Calvin Coolidge lo sostituisce, si ripropone nel 1924, vince e si ritira non cercando nel 1928 una conferma. Come Theodore Roosevelt, a causa delle ora ricordate vicissitudini, non va considerato tra i presidenti capaci di conquistarsi altri quattro anni a White House. Herbert Hoover, vittorioso nel 1928 e in sella dall’anno seguente, nel 1932 viene sonoramente battuto dal predetto Franklin Delano Roosevelt le cui quattro campagne vincenti abbiamo rammentato all’inizio. Harry Truman, da vice succeduto mortis causa nel 1945, imita Theodore Roosevelt e Calvin Coolidge: vince la campagna ‘in proprio’ successiva al subentro, nel 1948, e non affronta quella successiva. Doppio mandato facile, subito dopo, per Dwight Eisenhower al quale succede John Kennedy e tutti conoscono la sua tragica fine a Dallas il 22 novembre 1963 durante il primo quadriennio. Lyndon Johnson - pare una condanna o quasi - da vice succeduto, come ripeto, mortis causa percorre l’iter dei predecessori T.Roosevelt, Coolidge e Truman non chiedendo un secondo mandato nel 1968. Otto anni dovrebbe durare dipoi Richard Nixon, vittorioso nel 1968 e nel 1972, se non fosse costretto alle dimissioni nel 1974 dallo scandalo Watergate. Ed eccoci a Gerald Ford, il primo vice succeduto (non mortis causa, per il vero) che riproponendosi immediatamente (Fillmore lo aveva fatto anche lui soccombendo, ma nel 1856 avendo lasciato passare un mandato) perde.

45 Otto anni pieni quelli di Ronald Reagan, vincitore nel 1980 e nel 1984, in grado di scalzare nella prima delle due tornate ora citate il poco efficace successore di Ford Jimmy Carter. Anche George Herbert Bush regna per un solo quadriennio sconfitto (1992) nel tentativo di procurarsene un altro da Bill Clinton che invece permarrà tranquillamente nella sede presidenziale per otto anni. Altrettanto accade subito dopo a George Walker Bush. E siamo al 2012. Riepilogando, gli inquilini di White House eletti in proprio (e non in quanto facenti parte del ticket come candidati vice) che hanno cercato un secondo mandato sono in totale, Obama incluso, venticinque. Dei ventiquattro che prima di lui ci hanno provato, sedici (uno dei quali, Cleveland, al secondo tentativo) sono riusciti nell’impresa. Una buona maggioranza sedici su ventiquattro, pari a due terzi.

N.B. Il molte volte citato Theodore Roosevelt, fu protagonista di un caso particolare. Non ripresentatosi volontariamente nel 1908, si ripropose perdendo nel 1912 e quindi non per il mandato immediatamente successivo.

46 CRONACA DELLA CAMPAGNA ELETTORALE 2012

Gli interventi qui raccolti a formare una cronaca della campagna elettorale 2012 per la Casa Bianca, vergati di volta in volta seguendo gli accadimenti, non essendo concepiti come un tutt’uno, presentano ripetizioni, riguardo a concetti o circostanze, che non ho ritenuto di eliminare

47

Nelle pagine che seguono, testi introduttivi esclusi, a caratteri normali e datati i risultati elettorali e gli accadimenti di maggior rilievo, in corsivo le riflessioni e i riferimenti suggeriti dall’evoluzione degli eventi

48 INTRODUZIONE

Riuscirà Barack Obama a riconquistare la Casa Bianca o, seguendo le tristi orme di Jimmy Carter e Bush padre, avendo ampiamente fallito, dovrà lasciarla dopo soli quattro anni? Riuscirà il partito repubblicano a riportare in sella uno dei suoi? Certo, la crisi economica è grave anche negli USA. Certo, la storia ci dice che mai nessun presidente si è visto confermare l’incarico con un tasso di disoccupazione pari o superiore all’otto per cento ed oggi qualcuno sostiene che tocchi addirittura il dieci. Certo, tra i rivali Gop serpeggia l’idea che alla fine chi tra loro otterrà la nomination sarà a cavallo tanto Obama appare fragile. Ma, a ben guardare, Mitt Romney, il favorito tra loro e a mio modo di vedere il miglior possibile candidato, se prescelto, avrà non poche difficoltà a compattare il partito recuperando la sempre decisiva ala destra e, in particolare, gli Evangelici e i ‘Tea Party’. A tal fine, da ‘repubblicano del cuore’, presuntuosamente?, ho steso un appello rivolto agli or ora citati signori, appello che qui riproduco.

“Il 16 gennaio 2008, agli albori della campagna per la scelta attraverso primarie e caucus del pretendente repubblicano a White House, pubblicavo un articolo intitolato ‘Mitt Romney, il candidato perfetto’. Dal 1956, non mi era mai capitato di puntare nelle presidenziali americane su un cavallo perdente e contavo di vincere anche in quella occasione. Non è andata e quando, sconfitto Romney da McCain e arrivato Obama alla Casa Bianca, qualcuno ebbe a sottolineare la mia errata previsione, risposi che non io avevo sbagliato ma il popolo americano. La storia mi ha dato ragione ed ecco che Mitt è ora in testa nei sondaggi, si avvia a vincere le primarie e tutti ritengono possa facilmente prevalere sul presidente in carica. Ma c’è un problema: uomo della destra economica, Romney ha difficoltà a fare breccia tra i ‘duri e puri’ del ‘Tea Party’ e tra i decisivi Evangelici. Lancio, qui e adesso, un appello al quale chiedo di aderire a tutti gli amici italiani che ben si rendono conto della assoluta necessità di un tale ricambio a White House, un appello rivolto a tutte le componenti repubblicane USA e in particolare ai predetti ‘Tea Party’ ed Evangelici perché spazzino via dubbi e incertezze e, compatti, si schierino per Mitt. La ‘traversata del deserto’ voluta scegliendo di non appoggiare McCain ha dimostrato ampiamente che il campo democratico, come quasi sempre è accaduto, non è in grado di ben governare. E’ il momento di ricompattare le fila GOP e vincere.

49 Gli Stati Uniti e il mondo hanno bisogno di una guida forte e sicura. Non perdete, amici, non perdiamo l’occasione!”

Tornando a noi, i giochi sono da mesi in corso in casa Gop e dal 3 gennaio, in Iowa per il primo tradizionale appuntamento, si comincerà a fare sul serio.

Novembre 2011

50 CALENDARIO DELLA PRIMARIE E DEI CAUCUS REPUBBLICANI

(In campo democratico ad oggi nessuno ha osato opporsi ad Obama e quindi è solo il calendario Gop che occorre conoscere. Rammento che quello che segue è un ordine di convocazione di caucus e primarie suscettibile di alcune variazioni)

Nota bene Nella campagna elettorale 2008, in molti Stati, i delegati Gop venivano attribuiti col metodo ‘winner take all’ in ragione del quale chi prevaleva per voti popolari conquistava tutti o larga parte dei ‘voti elettorali’ in palio. Tale regola (persistente, per esempio, in Florida e in Arizona e. solo nel caso in cui un candidato ottenga oltre in cinquanta per cento dei suffragi, in pochi altri territori) è decisamente attenuata nel 2012 visto che spesso si applicherà, invece, il sistema proporzionale.

January 2012

• January 3 – Iowa • January 10 – New Hampshire • January 28 – South Carolina • January 31 – Florida

February 2012

• February 4 – Nevada, Maine Caucuses • February 7 – Colorado, Minnesota, Missouri • February 28 – Arizona , Michigan

March 2012

• March 3 – Washington • March 6 - (Super Tuesday) Alaska, Georgia, Idaho, Massachusetts, Ohio, North Dakota, Oklahoma, Tennessee, Virginia, Vermont. • March 10 – Kansas, Northern Marianas, Guam, Virgin Islands • March 13 – Mississippi, Alabama, Hawaii, American Samoa • March 18 – Puerto Rico • March 20 - Illinois • March 24 – Louisiana

51 April 2012

• April 3rd – Maryland, Washington D.C., Wisconsin • April 24 -Pennsylvania, Connecticut, Delaware, New York, Rhode Island

May 2012

• May 8 -Indiana , North Carolina, West Virginia • May 15 – Nebraska, Oregon • May 22 – Arkansas, Kentucky • May 29th – Texas

June 2012

• June 5 – California, Montana, New Jersey, New Mexico, South Dakota • June 26 – Utah

La convention Gop è fissata a Tampa (Florida) nella settimana del 27 agosto.

La convention democratica è in programma a Charlotte (North Carolina) nella successiva, quella del 3 settembre.

I delegati necessari per ottenere la ‘nomination’ tra i repubblicani sono millecentoquarantaquattro (1144) essendo duemiladuecentoottantasei (2286) in totale gli eligendi.

Da sottolineare il fatto che, nel mentre la gran parte dei ‘delegates’ prescelti resta vincolata al mandato ricevuto ed obbligata in sede di ‘convention’ a votare per il candidato al quale è legata o a seguirne le indicazioni (delegati ‘pledged’), altri, in un numero decisamente inferiore, sempre nel corso della ‘convention’, sono liberi di esprimersi anche altrimenti (delegati ‘enpledged’).

Inoltre, nell’occasione, i Gop, ancora in sede di ‘convention’, prevedono la presenza di un certo numero di ‘superdelegates’ in rappresentanza dei singoli partiti statali il cui voto si aggiunge a quello dei delegati eletti.

52

Nota in premessa

Nelle pagine che seguono, si farà spesso cenno ai sondaggi che, oramai da decenni e sempre con maggiore precisione, indicano le preferenze degli elettori. Necessario, non solo opportuno, sottolineare con forza che, nel mentre i rilievi a livello statale (che so? Florida, Texas, New York…) sono da considerare con attenzione, non altrettanto deve farsi a proposito dei sondaggi nazionali, relativi all’intera Confederazione. I delegati si conquistano Stato per Stato e si risulta eletti appunto vincendo il voto elettorale nei singoli Stati. In ben quattro occasioni (1824, 1876, 1888 e 2000), la Casa Bianca fu conquistata da un candidato (nell’ordine, John Quincy Adams, Rutheford Hayes, Benjamin Harrison, George Walker Bush) perdente per suffragio popolare nell’intero Paese.

53 A GIOCHI NON ANCORA UFFICIALMENTE APERTI

22 NOVEMBRE 2011

Romney guida il gruppo GOP. Continua il braccio di ferro tra i candidati repubblicani alla nomination. Michele Bachmann e Rick Perry, in testa ai sondaggi con Romney per qualche tempo, dimostrando una certa inconsistenza la prima e tra gaffe e amnesie il secondo, vanno perdendo terreno. Il nero Herman Cain, in grande spolvero per la sua semplice o forse semplicistica proposta economica, dimostra di non avere cognizione alcuna delle politiche estere dell’amministrazione in carica che pure critica a priori e vien fatto di pensare che non abbia la minima idea della collocazione geografica di buona parte del mondo né di chi siano e dove operino i talebani. Resta, immarcescibile, a galla il ‘candidato inevitabile’ Mitt Romney che, a parte le indubbie e riconosciute capacità, conta sulla pochezza dei rivali.

Qualche democratico pensa sia meglio mettere in campo Hillary. E in campo liberal, tutto bene o c’è qualcuno che pensa che la cosa migliore sarebbe la non riproposizione di Obama e la presentazione, magari, di Hillary Clinton? E’ quel che invero va succedendo per iniziativa di alcuni vecchi guru elettorali del partito dell’asino. Due di questi – Patrick Caddell che nel 1976 lavorava per Jimmy Carter, e Douglas Schoen, a fianco di Bill Clinton nel 1992 – intervenendo sull’autorevole ‘Wall Street Journal’, hanno auspicato appunto il ritiro dopo un solo mandato del debolissimo presidente e il ritorno in campo di Hillary “per evitare che l’America cada nelle mani di un partito repubblicano spostatosi troppo a destra”. A tale proposito, rammento che l’ultimo caso di un presidente eletto (non subentrato in quanto vice, come, ad esempio, Harry Truman) che ha rinunciato ad un secondo mandato proprio si perde nella notte dei tempi trattandosi nientemeno che di Rutheford Hayes, arrivato alla Casa Bianca tra infinite polemiche e dopo mille ricorsi attraverso un accordo definito ‘il Compromesso del 1877’ e non ripropostosi nel successivo impegno elettorale del 1880.

54 Confronti, dibattiti, Hillary e Condoleezza Mesi e mesi di confronti. Dibattiti su tutto e sul nulla. I media pronti a sottolineare, enfatizzandoli, veri o supposti sbandamenti dei candidati. Salite e discese di questo o di quello nei sondaggi. Scandaletti sessuali. E, insomma, pare proprio che il perfetto politico USA non possa più amare le donne e darsi da fare per conquistarle. Per carità!. Meglio se gli piacciono gli uomini? Forse. E per quanto Romney continui bene o male a guidare la corsa, e per quanto nessuno in campo democratico osi sfidare Obama, ecco che, con qualche insistenza, si parla tra i Gop di Condoleezza Rice e tra i liberal di Hillary Clinton. Magari quali candidate alla vice presidenza, non si sa mai. Chi vivrà vedrà.

In vista di Iowa e New Hampshire Ci siamo o quasi. Per fortuna, tutto il bailamme in casa repubblicana sta per cessare. Il 3 gennaio in Iowa e il 10 successivo in New Hampshire si vota. Un caucus e una primaria, di martedì e per dare il via, secondo tradizione. Qualcuno tra i troppi pretendenti del partito dell’elefante, a risultati acquisiti, dovrà forzatamente ammainare bandiera. Meglio così.

55 1 GENNAIO 2012

Lo scenario Poche ore e in Iowa (caucus) si voterà. I sondaggi, unanimi, prevedono una vittoria di misura di Mitt Romney su Ron Paul con Rick Santorum in terza posizione. Sempre i sondaggi dicono che il prossimo 10 gennaio, nel New Hampshire (primaria), il predetto Romney dovrebbe assai nettamente prevalere. Dovessero essere questi i risultati, si delineerebbe un serio tentativo di fuga ad opera dell’ex governatore del Massachusetts che rafforzerebbe grandemente la sua naturale posizione di leader attirando consensi e quattrini i quali ultimi non guastano e non bastano mai in una campagna lunga e costosissima quale quella americana. Non va dimenticato che, per quanto Mitt non sembri riscaldare molto i cuori, è il solo tra i pretendenti Gop ad avere davvero le carte in regola per strappare a Obama e ai democratici White House.

56 PARTE PRIMA

57 LA LUNGA CORSA REPUBBLICANA (La domanda alla quale si deve rispondere: “E’ davvero Mitt Romney il ‘candidato inevitabile e l’unico in grado di battere Obama?’”)

3 GENNAIO 2012

Il Caucus dell’Iowa Di strettissima misura (solo otto voti popolari di margine su Rick Santorum), ma confermando il pronostico e collocandosi da subito in testa (front runner), Mitt Romney ha vinto il fatidico caucus dell’Iowa. Ove si rammenti il grande sforzo compiuto dal rivale del momento – è andato in tutte le novantanove contee per incontrare i Gop locali e convincerli - per cercare di soffiargli lo Stato e il fatto che i repubblicani di quelle terre sono per la maggior parte di estrema destra ed evangelici, si tratta per Mitt di un ottimo risultato. Visto poi che i sondaggi lo danno nettamente in testa nelle intenzioni di voto nella primaria del New Hampshire e che i due a lui oggi prossimi in termini di suffragi debbono essere considerati in verità fuori gioco a corsa lunga… Guardando ai rivali, in prospettiva e secondo gli analisti, ‘seri’ - out la Bachmann che ha annunciato la propria uscita di scena – sono decisamente in affanno sia Perry (che ha dichiarato di rientrare nel suo Texas per riflettere) che Gingrich.

Ecco gli esiti dell’Iowa come annunciati dai capi Gop: I) Mitt Romney, voti 30.015 pari al 25% circa II) Rick Santorum, voti 30.007 pari al 25% circa III) Ron Paul IV) Newt Gingrich V) Rick Perry VI) Michele Bachmann

Conseguenze Seguendo l’esempio dell’ex presidente George Walker Bush che l’aveva fatto qualche giorno fa, il senatore John McCain, candidato repubblicano contro Obama nel 2008, si è schierato con Mitt Romney contribuendo decisamente a rafforzare la sua leadership.

58 10 GENNAIO 2012

New Hampshire: la conferma di Mitt Nessun candidato Gop – presidenti in carica a parte – prima di Mitt Romney aveva mai vinto sia il caucus dell’Iowa che la primaria del New Hampshire. Se a Des Moines il mormone si era imposto d’un soffio, netta (oltre il trentanove per cento dei suffragi), invece, la sua affermazione a Concord. Come previsto, in netto calo nel ‘Grand State’ il cattolico ‘duro e puro’ Rick Santorum nel mentre, in declino probabilmente inarrestabile la stella di Newt Gingrich e disperso Rick Perry, un qualche successo ottiene John Huntsman, l’ex ambasciatore, che, snobbando il caucus dell’Iowa, aveva concentrato qui tutti i propri sforzi. Regge e bene il libertario Ron Paul che non vanta comunque nessuna seria speranza di raggiungere la nomination. Questo il quadro in vista del South Carolina dove si vota sabato 21 gennaio. Dovesse, come i sondaggi dicono, prevalere anche là e dipoi in Florida, chi mai potrà fermare la corsa di Romney verso l’incoronazione?

I risultati come annunciati dai dirigenti Gop: I) Mitt Romney 39,4% II) Ron Paul 22,8% III) John Huntsman 16,8% IV) Newt Gingrich 9,4% V) Rick Santorum 9,3%

59 Texas meeting Preoccupati per la consistenza della candidatura – che si appalesa vincente – di Mitt Romney, convinti che l’ex governatore del Massachusetts non possa rappresentare appieno le loro istanze, centocinquanta leader evangelici si sono trovati nei trascorsi giorni in un ranch del Texas per decidere se e chi tra i candidati Gop sia opportuno sostenere. Al termine dei lavori, si sono espressi a favore di Rick Santorum le cui quotazioni, per conseguenza, quanto meno nelle zone e negli Stati nei quali gli evangelici hanno voce in capitolo, sono destinate a mantenersi a buon livello.

Cosa dicono i sondaggi? a) Ad oggi 15 gennaio, secondo il Behavior Research Center, Arizona, a livello di confronto finale, gli orientamenti di voto sarebbero i seguenti: Obama/Romney 37 a 43% Obama/Paul 44 a 36 Obama/Gingrich 45 a 35 Obama/Santorum 43 a 34 Si conferma, quindi, l’indicazione di Mitt Romney quale unico repubblicano in grado di sottrarre la Casa Bianca ai democratici b) Guardando specificamente ai Gop, quanto al confronto su base federale, l’Ipsos Reuters Center colloca Romney in testa col 41%. Secondo è Santorum con il 14%. Segue Gingrich con il 9%. c) Riguardo, infine, al South Carolina, chiamato alle urne già il prossimo sabato (21 gennaio), il medesimo istituto prevede Romney al 37%, Gingrich al 12, Paul al 16, Santorum al 14, Huntsman al 2, Perry al 5. Alto, pari al 25%, il numero degli incerti.

John Huntsman si ritira Già fuori gioco, e fin dall’Iowa, Michele Bachmann e praticamente Rick Perry, ecco che, dopo un paio di giorni di riflessione, anche il New Hampshire miete una sua vittima. Si tratta dell’ex ambasciatore in Cina John Huntsman che, per quanto avesse concentrato, trascurando l’Iowa, proprio nel New Hampshire tutti i propri sforzi e benché si fosse colà onorevolmente classificato, oggi ha annunciato il ritiro dalla corsa dei Gop verso la nomination. Nel comunicare la decisione, ha inoltre dichiarato il proprio appoggio a Mitt Romney, definito “il repubblicano che, benché lontano per alcuni versi dalle mie posizioni, è bene sostenere perché in grado di sconfiggere a novembre Obama”.

Alla vigilia della primaria del South Carolina Esattamente tra un anno, alle ore 12 del 20 gennaio 2013, il nuovo o il confermato presidente USA giurerà nelle mani del Chief della Corte Suprema.

60 Domani, invece, sabato 21 gennaio 2012, i cittadini del South Carolina sono chiamati alle urne in una consultazione che, di ora in ora, va acquistando sempre maggiore importanza. Romney, fino a ieri in grande spolvero e nettamente in testa nei sondaggi anche in vista di questa prova, pare in difficoltà attaccato come è dai rivali e bersagliato da inchieste giornalistiche che svelerebbero chissà quali scandali economici – che il suo entourage smentisce categoricamente ribadendone la correttezza e il rispetto delle leggi - che lo riguarderebbero. Dall’Iowa arriva, poi, incredibilmente, la notizia che un nuovo conteggio (non si sa quanto attendibile visto che gli esiti di alcune sezioni sarebbero spariti) dei suffragi espressi nel recente caucus vedrebbe in testa Santorum e non, come comunicato subito dopo il voto, il medesimo Romney. Gingrich, dato quasi per disperso, appare in ripresa e forse in grado di scalzare Mitt dal primo gradino del podio appunto nella Carolina del Sud e questo malgrado una delle sue ex mogli lo stia duramente attaccando in tv. Insomma, siamo nel pieno della feroce e classica contesa delle primarie. Stiano attenti, comunque, i Gop nel litigare. Stiano attenti a non concedere, denigrandosi l’un l’altro, troppe armi e vantaggi ad Obama. Che non accada, nel loro interesse, che il candidato alla fine prescelto sia un’anitra zoppa, facilmente abbattibile. Tornando a Romney e alla sua ricchezza che lo rappresenterebbe, secondo gli osservatori europei, agli elettori come un elitario lontano dai problemi della gente comune, ricordo che nella tradizione americana l’uomo di successo (che, ovviamente, si sia sempre comportato correttamente nel perseguirlo) non è invidiato ed è visto assai positivamente.

Super Pac (Political Action Committee) Un sacco di quattrini. Ecco, certamente occorrono un mucchio di soldi se si vuole vincere anche solo una primaria, per misera che sia. E come si mettono insieme i molti milioni (si parla di oltre cinquecento per chi arrivi fino in fondo) necessari visto che la legge non consente donazioni personali di singoli superiori ai duemilacinquecento dollari? Ebbene, qualche anno fa, la Corte Suprema, sentenziando in materia, ha legittimato anche le dazioni pecuniarie delle società, delle imprese, perfino delle banche, e senza limiti, purché corrisposte a comitati, per definizione ‘indipendenti’ e in verità assolutamente collegati ai candidati, denominati ‘Super Pac’, autorizzati pertanto a raccogliere fondi e a spenderli in campagna elettorale a sostegno dell’uno o dell’altro, o, cosa che avviene oramai assai di frequente, in spot televisivi o inchieste nelle quali si attaccano a morte gli avversari del proprio favorito.

61 22 GENNAIO 2012

Dopo il South Carolina Sono rimasti in quattro ma la lotta pare davvero ristretta a Romney e Gingrich. Questa, a ben guardare, la conclusione alla quale si deve arrivare dopo il South Carolina. Come previsto negli ultimi giorni dai sondaggi, colà si è largamente imposto Newt Gingrich staccando il rivale, comunque in buona difesa, nel mentre Paul e Santorum raccolgono poco rispetto alle aspettative. Certo, il ‘momento’ è difficile per l’ex governatore mormone in specie dal punto di vista psicologico: fino alla scorsa settimana tutto bene, poi seri problemi. Certo, il ‘momento’ è favorevole all’ex speaker della Camera: sette giorni orsono in crisi ed oggi in pieno spolvero. E’ questa, peraltro, la dura legge delle primarie. Il prossimo 31 gennaio si vota in Florida. Romney è in vantaggio nei sondaggi ma deve reagire se vuole vincere e staccare nuovamente il rivale. Dopo, abbastanza calmo il mese di febbraio (si voterà in territori in qualche modo ‘minori’), grande attesa per il 6 marzo, il ‘Supermartedì’, allorquando ben undici Stati saranno chiamati alle urne, Texas compreso.

I risultati del Sud Carolina come comunicati dai responsabili Gop: I) Newt Gingrich 40% II) Mitt Romney 28% III) Rick Santorum 17% IV) Ron Paul 13%

62 Ipotesi ‘terzo uomo’ Tutto questo cancan per conquistare finora solo trentatre delegati contro il venticinque del rivale Gingrich? Guardando ai numeri, per il vero, il grande sforzo compiuto da Mitt Romney pare aver dato non molti frutti. Fatto è che la resurrezione dell’avversario (considerato già morto almeno due volte) non era in preventivo anche se ben si poteva immaginare che in uno Stato del Sud come il South Carolina per il mormone la vita sarebbe stata dura. Occorre, se vuole rimettere bene in carreggiata la macchina elettorale, che l’ex governatore del Massachusetts vinca largamente in Florida il 31 gennaio. E’ necessario che questo accada anche per mettere a tacere le voci Gop, che già vanno insorgendo, che ipotizzano una convenzione nella quale, non avendo nessuno conquistato i millecentoquarantaquattro voti di delegati che occorrono per l’investitura, si debba ricorrere a un terzo uomo non ancora identificato ma che potrebbe essere Jeb Bush. Vincere largo in Florida e conquistare gli Stati (nei quali i sondaggi lo vedono in vantaggio) in corsa a febbraio, quindi, per poi assorbire al meglio la probabile sconfitta in Texas, il maggiore tra i territori nei quali si andrà alle urne il famoso ‘supermartedì’ 6 marzo, Stato nel quale Gingrich dovrebbe prevalere nettamente.

Turbolenze Giorni turbolenti a dir poco. Sconfitto in South Carolina e messo sotto accusa, prima per non avere ancora resa pubblica la sua situazione patrimoniale e poi, una volta nota, sia per l’aliquota decisamente bassa, seppure legale, sia per i suoi depositi all’estero, peraltro anch’essi legali, Mitt Romney era d’improvviso clamorosamente retrocesso nei sondaggi e sembrava avviato ad una brutta sconfitta in Florida. Tre o quattro giorni di panico ed ecco che oggi, invece, i rilevamenti statistici lo danno nuovamente avanti rispetto a Gingrich nel mentre Paul e Santorum passano decisamente in secondo piano. Nello Stato di Marco Rubio – il neo senatore repubblicano di origini cubane che molti vorrebbero nel ticket nel ruolo di candidato vicepresidente – Romney si gioca molto del suo futuro. All’ex speaker Gingrich va bene anche un onorevole secondo posto, all’ex governatore del Massachusetts no.

63 1 FEBBRAIO 2012

Romney vince bene in Florida Superato il primo momento difficile (altri, ne verranno se Gingrich non cede), dopo avere efficacemente risposto alle critiche mossegli a proposito dei suoi investimenti, della sua ricchezza e delle tasse regolarmente pagate, ecco, ieri 31 gennaio, Mitt Romney riprendere alla grande la testa della corsa e conquistare tutti i cinquanta delegati ai quali ha diritto la Florida (vige colà ancora il metodo ‘winner take all’), Stato nel quale quattro anni fa aveva perso. E questo nel mentre Ron Paul si vede ridotto ai minimi termini e Rick Santorum, anche per problemi di famiglia, è assai malconcio. E’ vero, Newt Gingrich pare non abbia voglia alcuna di rassegnarsi, ma, dovesse l’onda a favore del candidato mormone continuare impetuosa sabato 4 febbraio in Nevada e nel Maine nonché nelle successive tappe marzoline, gli resterebbero poche, concrete chance.

I risultati della Florida: I) Mitt Romney 46,4% II) Newt Gingrich 31,9% III) Rick Santorum 13,4% IV) Ron Paul 7%

64 Confluenza dei voti conservatori su Gingrich? Considerato l’esito del voto dello Stato a suo tempo governato da Jeb Bush (il quale, differentemente dal fratello, non risulta al momento essersi ancora schierato a favore di Romney) e che ha eletto senatore Gop l’ispanico Marco Rubio, l’unica (??) possibilità che resta all’ala conservatrice repubblicana appare quella di convincere Santorum al ritiro e all’appoggio di Gingrich. Unita (ma, non succede mai, nell’urna, che due elettorati si sommino senza defezioni), guardando proprio alla Florida, la destra/destra potrebbe in ipotesi contare pressappoco sullo stesso seguito elettorale dell’ala centrodestra del mormone.

Sondaggio Gallup su base nazionale Ricevo oggi 2 febbraio i risultati di un sondaggio Gallup su base pressoché nazionale (esclusi pochi Stati comunque probabilmente – con l’eccezione dei due Dakota - schierati con Obama, quali, per esempio, il New York) elaborato a cavallo tra la fine dello scorso 2011 e l’inizio del corrente 2012. Ebbene, a favore del candidato Gop, chiunque sia, si dichiarano Alabama, Alaska, Arizona, Arkansas, Colorado, Florida, Georgia, Idaho, Indiana, Kansas, Kentucky, Louisiana, Mississippi, Missouri, Montana, Nebraska, Nevada, Ohio, Oklahoma, Oregon, Pennsylvania, Tennessee, Utah, Virginia e Wyoming che contano su un totale di duecentotrentacinque (235) delegati. Ove si rammenti che, certamente, il repubblicano vincerà in Texas (trentotto voti elettorali) e aggiungendo i predetti due Dakota, il sondaggio prevede una netta affermazione – il numero magico è duecentosettantuno (271) - del ‘nominato’ appartenente al partito che fu di Lincoln e questo a prescindere dalla maggioranza a livello nazionale dei voti popolari che sembra invece premiare Obama. Ricordo, inoltre, che, quasi sempre, chi vince in Ohio conquista White House. (È dal 1860, dall’elezione di Abraham Lincoln, che un candidato repubblicano vincente ha sempre dalla sua l’Ohio. Senza questo Stato non si vince, per i repubblicani. E dal 1944 solo una volta, scegliendo Richard Nixon contro John Fitzgerald Kennedy nel 1960, l’Ohio si è trovato dalla parte perdente).

65 4 FEBBRAIO 2012

Romney vince il caucus del Nevada Prosegue la marcia trionfale di Mitt Romney che si afferma nettamente anche in Nevada. Persa la South Carolina e superate le difficoltà relative alle questioni economiche (è troppo ricco? paga poche tasse? tutto alle spalle e per sempre, si spera), ecco che l’ex governatore conquista la terza vittoria (ove non si voglia tener conto dell’Iowa e del testa a testa colà con Santorum) su cinque consultazioni e si porta a casa la bellezza di dieci delegati sui diciannove ai quali ha diritto lo Stato del gioco d’azzardo legalizzato. Gingrich, bene o male, tiene botta e si augura di non perdere troppo nettamente nei restanti appuntamenti (Colorado, Minnesota, Arizona e Michigan) fissati in febbraio per giocarsi le poche carte che sembrano restargli in mano nel fatidico ‘supermartedì’ 6 marzo (dieci Stati chiamati alle urne).

I risultati del Nevada come comunicati dai dirigenti Gop I) Mitt Romney 48% II) Newt Gingrich 23% III) Ron Paul 19% IV) Rick Santorum 11%

Il totale dei delegati conquistati, Nevada incluso Secondo il New York Times, ad oggi, questa la situazione riguardo ai delegati catturati dai candidati Gop I) Mitt Romney 81 (in totale 97 ove si considerino i membri del Republican National Committee aventi diritto al voto in sede di convention che già si sono dichiarati suoi sostenitori) II) Newt Gingrich 27 III) Rick Santorum 15 IV) Ron Paul 6 V) John Huntsman 2 (Ricordo che quest’ultimo si è ritirato e che ha invitato i suoi a votare Romney).

66 5 FEBBRAIO 2012

Il cammino di Romney Ecco, secondo i dati ufficiali, i risultati ottenuti in termini di percentuali di voto da Mitt Romney negli Stati nei quali finora si è votato:

Iowa 24,5% New Hampshire 39,3% South Carolina 27,8% Florida 46,4% Nevada 47,6%

67 Dell’attendibilità dei sondaggi ieri e oggi 1948, il presidente americano in carica Harry Truman, democratico, affronta lo sfidante repubblicano Thomas Dewey. Tutti i sondaggi, nessuno escluso, danno perdente l’inquilino di White House che, invece, vince alla grande. Fatto è – si sostenne e ancora si dice - che lo strumento era relativamente giovane essendo stato ideato da George Gallup solo verso la metà dei precedenti anni Trenta ed applicato alla politica utilizzando per l’occasione un campione statistico assolutamente non rappresentativo. Non solo questa, invece, la ragione di quel fallimento. Non solo questa la ragione di molte incertezze successive. Stiamo, infatti, parlando delle elezioni per la Casa Bianca e quindi di un campo nel quale i sondaggi nazionali, condotti in tutti gli USA, non possono essere presi in considerazione come probanti stante il particolare sistema elettorale che prevede il voto popolare determinante a livello dei singoli Stati e non a quello del Paese intero. Negli Stati Uniti l’elezione del Capo dello Stato non è diretta. Gli elettori, cioè, nel giorno delle votazioni, non si esprimono per uno dei candidati in corsa ma per scegliere un certo numero, differente Stato per Stato e pari alla somma dei deputati e dei senatori ai quali appunto il singolo Stato ha diritto, di delegati (in totale, cinquecentotrentotto, ragione per la quale vince chi ne conquista almeno duecentoquaranta) che saranno successivamente chiamati a votare il presidente. Non va dimenticato che, con le eccezioni poco influenti del Maine e del Nebraska, il metodo usato è quello del ‘winner take all’ per il quale, prevalendo anche di un solo suffragio popolare, si ottengono tutti i delegati in palio nello Stato. Indispensabile, pertanto, che i sondaggi non vengano fatti a livello confederale ma in ogni territorio statuale. E infatti, in ben quattro occasioni (nel 1824 con John Quincy Adams, nel 1876 con Rutheford Hayes, nel 1888 con Benjamin Harrison e nel 2000 con George Walker Bush), alla presidenza è approdato non chi aveva avuto il maggior numero di voti popolari nazionali ma il rivale, da questo punto di vista, non decisivo, soccombente. Ecco, quindi, che oggi pare (ed è) inutile effettuare, come invece si ostinano a fare tutti gli istituti addetti, sondaggi per valutare le possibilità o meno che ha Mitt Romney (il ‘front runner’ della corsa per la nomination repubblicana) di prevalere su Barack Obama nei voti nazionali. Ecco, quindi, che, per sapere come potrebbe (mancano molti mesi) andare, le rilevazioni da fare e da prendere in considerazione sono quelle Stato per Stato. E bisogna dire – lo verifichiamo in questi giorni seguendo primarie e caucus Gop - che, con i moderni metodi ed avendo calibrato correttamente i campioni statistici, i risultati nelle urne corrispondono sempre abbastanza bene alle previsioni conseguenti ai sondaggi effettuati.

68 7 FEBBRAIO 2012

Minnesota, Colorado, Missouri: la resurrezione di Santorum Lo scorso 15 gennaio, riuniti in un ranch dello Stato della stella solitaria in quello che fu subito definito ‘Texas meeting’, ben centocinquanta predicatori evangelici si erano apertamente schierati a fianco e a sostegno della candidatura alla nomination Gop di Rick Santorum, un cattolico per il vero ma assai vicino alle loro oltranzistiche posizioni specie in fatto di aborto e matrimoni gay. Brillante in Iowa ma defilato nelle recenti primarie e caucus (l’infinito o quasi panorama sociale, culturale e politico degli USA presenta situazioni differentissime fra loro e i sostenitori di Santorum erano poco numerosi negli Stati ultimamente chiamati ad esprimersi), ecco l’ex senatore della Pennsylvania ‘risorgere’ oggi nettamente in Minnesota e fortemente in Colorado (vince anche nel Missouri, ma colà il voto è ‘nonbinding’, non vincolante, e non aggiunge delegati). Quanto ai rivali, il libertario Ron Paul pesca nel suo senza nessuna vera speranza nella vittoria finale, Gingrich (che guardava altrove, conoscendo le sue scarse chance nei tre Stati al voto) finisce comunque al tappeto con risultati appena superiori al dieci per cento, nel mentre sarà bene che Romney si attrezzi per controbattere nel prossimo avvenire l’onda conservatrice.

I risultati come dichiarati dai dirigenti Gop

Minnesota I) Rick Santorum 44,8% II) Ron Paul 27,2% III) Mitt Romney 16,9% IV) Newt Gingrich 10,7%

Colorado I) Rick Santorum 40,2% II) Mitt Romney 34,9% III) Newt Gingrich 12,8% IV) Ron Paul 11,8%

69 11 FEBBRAIO 2012

Il lungo caucus del Maine A dire il vero, poco importante, dal 4 all’11 febbraio, si è tenuto il lungo caucus Gop del Maine. Santorum e Gingrich si sono pressoché defilati e pertanto lo scontro ha visto protagonisti Romney e Paul. L’ex governatore ha prevalso ma non nettamente e deve cominciare davvero a preoccuparsi. A parte Arizona e Michigan in programma il 28 del mese, incombe il ‘supermartedì’ 6 marzo. Un momento che potrebbe essere decisivo.

I risultati del Maine così come comunicati dai responsabili repubblicani I) Mitt Romney 39,2% II) Ron Paul 35,7% III) Rick Santorum 17,7% IV) Newt Gingrich 6,2%

70 Lotta dura, senza paura Movimentata. A dir poco, movimentata la campagna primarie/caucus tra i repubblicani. Partiti in una decina, subito ridotti dall’esito dell’Iowa e del New Hampshire a cinque, alla fine ancora in pista in quattro. Nel mentre il ‘candidato inevitabile’ (è ancora tale?) Mitt Romney, bene o male, tiene pur avendo perso smalto e il ‘cavallo pazzo libertario’ Ron Paul sta comunque sulle sue, Newt Gingrich e Rick Santorum si scontrano per conquistare e rappresentare l’ala destra ‘dura e pura’ del partito. In vista, oggi, delle consultazioni che il prossimo 28 febbraio vedranno al voto Michigan e Arizona, oscurato l’ex speaker, è l’oltranzista di origini italiane a guadagnare largamente la platea. Addirittura, i sondaggi lo danno in vantaggio nel Michigan, Stato natale di Romney e Stato nel quale il padre del mormone ha retto assai degnamente in altri tempi il governatorato. Certo, dovesse Rick colà prevalere si regalerebbe un vantaggio psicologico notevolissimo. Non è mai bello in queste consultazioni perdere in casa e l’entourage dell’ex governatore del Massachusetts lo sa. Intanto, a ribadire le proprie posizioni, Santorum, parlando sul tema dell’aborto a Fargo (città del North Dakota resa famosa dai fratelli Coen), ha testualmente affermato: “Non credo che Dio benedirà ancora l’America se continueremo a uccidere un milione e duecentomila bambini l’anno”. Inoltre, riferendosi alla vita e alla recente morte della cantante e attrice Whitney e collegandola a Michael Jackson, ha parlato del “cattivo esempio” che i due hanno dato alla società. Qualcuno, commentando soprattutto la seconda sortita, lo ha accusato di cattivo gusto ma molti e molti Gop la pensano assolutamente come lui. Certo, il fatto che Obama, nel mentre i repubblicani si scannano, stia alla finestra lo favorisce. Certo, dovessero le destre integraliste decisamente dichiararsi indisponibili a sostenere una candidatura Romney lo metterebbe al sicuro. Certo, se alla fine il prescelto fosse Santorum la campagna per White House si risolverebbe a favore dell’attuale presidente, limitandosi i repubblicani nell’ipotesi a ribadire, perdendo (e a parecchi tra loro la faccenda aggrada), la propria incorruttibilità morale. Convinto come sono che “solo le battaglie perse meritino di essere combattute”, confesso, pur appoggiando dall’inizio per ragioni pratiche e secondo logica politica (è l’unico in grado di battere Obama) Romney, di comprendere appieno e moralmente apprezzare tale possibile e sia pure appunto perdente posizione.

71 Brokered convention? Il Michigan: che succede se davvero Mitt Romney, come i sondaggi indicano, malgrado l’impegno, perde la battaglia nel Michigan, terra nella quale ha aperto gli occhi e della quale suo padre è stato ottimo e benvoluto governatore? Ecco che, nell’ipotesi, non pochi osservatori – in specie, quelli mai troppo convinti del carisma del mormone – tornano (ma, avevano mai smesso?) a parlare di e addirittura ad auspicare una ‘brokered convention’ e cioè che, come accaduto tra i repubblicani l’ultima volta addirittura nel 1976 allorquando Gerald Ford prevalse a Kansas City per pochissimi voti su Ronald Reagan, al termine della campagna interna nessun candidato abbia conquistato i millecentoquarantaquattro delegati necessari per la nomination e che per conseguenza la convention possa decidere per un differente leader. E torna in tal modo a far capolino, con altre di minore impatto, l’ipotesi Jeb Bush! Che mi ricordi, mai un terzo esponente della stessa famiglia ha corso seriamente per la presidenza. L’unico precedente in qualche modo richiamabile è quello riguardante Charles Francis Adams, figlio di John Quincy e nipote di John (entrambi arrivati alla poltronissima), in gara quale ipotetico vice presidente nel 1848 con il Free Soil, partito che ebbe vita breve, e non eletto.

Rimonta? I sondaggi! Ci si deve fidare? E fino a che punto? Certo, rispetto al 1948, allorquando scommettevano sulla netta, indiscutibile vittoria di Dewey con quel che ne ebbe a seguire, le cose sono migliorate, e molto. E allora? Beh, e allora pare proprio che il buon Romney, mettendo in gioco un bel pacco di soldi al fine di scampare a un possibile e gravissimo passo falso, sia in procinto domani di conquistare non solo l’Arizona (nessuno lo aveva messo in dubbio) ma anche il natio Michigan che già tutti vedevano volgere a favore di Santorum. Nel caso, restando il ‘front runner’, affronterà di certo in migliori condizioni il fatidico ‘supermartedì’ 6 marzo dove molti giochi saranno fatti. E Gingrich? E Paul? Il primo pare sceso in un cono d’ombra dal quale sarà difficile esca se non in qualche Stato del Sud. Il secondo prosegue nella sua battaglia libertaria di principio e parla, unico tra i quattro, ai giovani, ma senza mai pensare realmente alla nomination.

72 28 FEBBRAIO 2012

Michigan e Arizona a Mitt Nettamente, in Arizona, con difficoltà, in Michigan, Mitt Romney ha vinto le primarie in programma martedì 27 febbraio. A dire il vero, a ben guardare, ha ragione Santorum nel festeggiare (?!) le due sconfitte rimediate. “Qui, fino a un mese fa”, ha dichiarato a bocce ferme, “nessuno sapeva chi fossi ed è un successo avere ottenuto tutti questi voti”. Gingrich e Paul in retroguardia, in attesa il primo di assestare qualche buon colpo nel Sud il prossimo 6 marzo, alla fine, però, conta il fatto che Romney sia comunque riuscito a prevalere in rimonta (i sondaggi di dieci giorni orsono lo davano per battuto) in specie nel natio Michigan. Quanto ai delegati, in Arizona il metodo ‘winner take all’ assegna i ventinove ai quali lo Stato ha diritto a Mitt, nel mentre in Michigan saranno attribuiti proporzionalmente secondo in suffragi ricevuti.

I voti ottenuti dai candidati secondo quanto comunicato dai dirigenti Gop:

Michigan I) Mitt Romney 41% II) Rick Santorum 37,9% III) Ron Paul 11,6% IV) Newt Gingrich 6,5%

Arizona I) Mitt Romney 47,8% II) Rick Santorum 26,7% III) Newt Gingrich 16,3% IV) Ron Paul 8,5%

73 La situazione Dopo Arizona e Michigan, i conteggi maggiormente attendibili dicono che Mitt Romney conta su un totale di centocinquantadue (152) delegati, Rick Santorum segue con cinquantanove (59), Newt Gingrich ne ha conquistati trentadue (32), mentre Ron Paul è fermo a venti (20).

Il caucus del Washington Sabato 3 marzo, collocato assai malamente guardando al calendario elettorale, si svolge il caucus del Washington per il momento del tutto ignorato da analisti e trascurato dai sondaggi per quanto attribuisca un considerevole numero di delegati.

In vista del ‘Supermartedì’ Gli appena citati sondaggi ci informano che tra i dieci Stati in ballo martedì 6 marzo Virginia, Massachusetts, Idaho, North Dakota, Alaska e Vermont sarebbero orientati a favore di Romney. Il fondamentale Ohio volgerebbe verso Santorum, i restanti territori del Sud (Georgia, Tennessee e Oklahoma) vedrebbero bene Gingrich.

74 3 MARZO 2012

I risultati del caucus del Washington Collocato strategicamente nel calendario elettorale a precedere di soli tre giorni la mega consultazione (dieci Stati) del 6 marzo, il caucus del Washington ha dato ulteriore slancio alla campagna di Mitt Romney che, per quanto non abbia travolto gli avversari, ha vinto con un buon margine consolidando la propria leadership. Come ci si poteva aspettare, trattandosi di un territorio per larga parte percorso da istanze libertarie ed ecologiste, buono il risultato di Ron Paul, nel mentre Santorum continua comunque a restare in bella vista. Quarto, a distanza, Gingrich che si propone appunto per il predetto 6 come protagonista negli Stati del suo Sud sui quali ha puntato tutte le restanti carte.

I risultati del Washington come comunicati dai dirigenti Gop: I) Mitt Romney 37,6% II) Ron Paul 24,8% III) Rick Santorum 23,8% IV) Newt Gingrich 10,3%

75 Nota a margine dopo il caucus ‘del’ Washington Se si vota, che so? per il sindaco, nella Grande Mela, si scriverà “a” New York. Se invece si vota nello Stato con capitale Albany, si scriverà “nel” New York. Ecco perché trattando delle consultazioni di sabato 3 marzo, ho vergato “nel” Washington, riferendomi al territorio in tal modo chiamato, e non “a” Washington in quanto città.

76 6 MARZO 2012

Sei Stati a Romney, tre a Santorum, uno a Gingrich Emerso vincitore – oltre che in Massachusetts, Idaho, Virginia, Vermont e Alaska - nel molte volte decisivo Ohio dopo una corsa conclusa sul filo di lana, Mitt Romney tira davvero un sospiro di sollievo incassando un notevole numero di successi e conquistando un bel pacco di delegati nel tanto atteso e fatidico 6 marzo, giorno nel quale si votava in dieci Stati. Detto questo e guardando ai rivali, per parte sua, dando ragione alle facili previsioni, Newt Gingrich ha trionfato in Georgia (territorio che ha rappresentato alla Camera per vent’anni), Rick Santorum ha vinto bene in Tennessee, Oklahoma e North Dakota mentre Ron Paul rimane ancora all’asciutto in quanto a Stati. Sull’esito complessivo sarà bene tornare quando i dati, al momento non definitivi anche se del tutto attendibili, saranno certificati.

I risultati secondo le prime indicazioni: Ohio: I) Mitt Romney 38% II) Rick Santorum 37% III) Newt Gingrich 15% IV) Ron Paul 9%

Virginia: I) Mitt Romney 60% II) Ron Paul 40%

Massachusetts: I) Mitt Romney 72% II) Rick Santorum 12% III) Ron Paul 10% IV) Newt Gingrich 5%

Vermont: I) Mitt Romney 40% II) Ron Paul 25%

Idaho: I) Mitt Romney 66% II) Ron Paul 16% III) Rick Santorum 15% IV) Newt Gingrich 2%

77 Alaska: I) Mitt Romney 32% II) Ron Paul 25% III) Rick Santorum 23% IV) Newt Gingrich 20%

Georgia: I) Newt Gingrich 47% II) Mitt Romney 26%

Oklahoma: I) Rick Santorum 34% II) Mitt Romney 28% III) Newt Gingrich 27% IV) Ron Paul 10%

Tennessee: I) Rick Santorum 37% II) Mitt Romney 28% III) Newt Gingrich 24% IV) Ron Paul 9%

North Dakota: I) Rick Santorum 40% II) Ron Paul 28% III) Mitt Romney 24% IV) Newt Gingrich 8%

Ad oggi, i delegati complessivamente conquistati sul campo Ricordando che per ottenere la nomination occorre poter contare su almeno millecentoquarantaquattro (1144) voti elettorali, ecco la situazione secondo gli analisti: Mitt Romney 369 delegati (415 considerando i superdelegati che hanno già dichiarato di appoggiarlo) Rick Santorum 158 delegati Newt Gingrich 91 delegati Ron Paul 60 delegati

78 Della necessità di compattare i Gop A bocce per il momento ferme, attentamente e ovviamente dal loro punto di vista guardando ai risultati del 6 marzo, ecco gli uomini dell’entourage di Romney rivolgere un appello a Santorum e Gingrich (Paul non viene preso in considerazione dandosi per scontato che andrà comunque fino in fondo). “Ritiratevi”, dicono in buona sostanza, “Non avete alcuna reale chance di rimonta. Mitt arriverà senza dubbi alla nomination. Non favoriamo Obama, che se ne sta tranquillamente alla finestra, continuando a dissanguarci in lotte fratricide”. E, in effetti, per quanto l’ex speaker possa ancora contare su qualche sostegno nel natio Sud e benché l’ex senatore sia fortemente sostenuto dalle destre evangeliche e dai Tea Party, è davvero oggi difficile ipotizzare una rovinosa caduta dell’ex governatore. Intervengono a questo punto infinite variabili. Necessitano lunghe contrattazioni in specie relativamente al programma, agli impegni elettorali. Alle viste e per una decina di giorni appuntamenti di minore importanza, c’è tempo e spazio per decidere.

79 9 MARZO 2012

Romney vince nelle isole Duplice e nettissimo successo di Mitt Romney dapprima nel caucus di Guam e poco dopo (per via del fuso orario) in quello delle Northern Mariana Islands. E’ vero, i due territori non avranno voce in capitolo quando si tratterà di votare per White House ma, nel loro piccolo, nove delegati a testa e tutti conquistati dall’ex governatore del Massachusetts (il quale conta anche di avere oggi altre buone notizie dalle Virgin Islands e dal Wyoming), aumentano comunque il distacco dei rivali e prima di tutto di Rick Santorum. Questi, peraltro, attende buone nuove oggi nel Kansas e, soprattutto, spera di trionfare sia in Mississippi che in Alabama, Stati del Sud chiamati a pronunciarsi il prossimo 13 marzo nei quali conta teoricamente su un forte seguito.

I risultati secondo le dichiarazioni dei dirigenti Gop: Guam I) Mitt Romney 97%

Northern Mariana Islands I) Mitt Romney 87% II) Rick Santorum 6% III) a pari merito Ron Paul e Newt Gingrich 3%

80 Santorum chiede a Gingrich di ritirarsi Convinto della necessità di compattare l’ala destra del partito e che la permanenza in corsa di Newt Gingrich lo danneggi, Rick Santorum ha chiesto ripetutamente all’ex speaker della Camera di ritirarsi convogliando su di lui i consensi. Per ora e in attesa dei risultati di Kansas, Mississippi e Alabama – Stati nei quali conta di poter ottenere molti voti – Gingrich ha risposto picche. Con ogni probabilità, dovesse fallire anche in questi territori, getterebbe la spugna. Fuori da tutto questi giochi Ron Paul la cui candidatura è di principio e che non ha mai pensato, neppure per un minuto, alla possibilità di ottenere davvero la nomination.

81 10 MARZO 2012

Dopo Kansas, Wyoming e Virgin Islands Proseguendo nell’azione di conquista dei delegati ai quali hanno diritto in vista di Tampa i territori isolani che, dipoi, non avranno accesso al voto a novembre, Mitt Romney si è aggiudicato, dopo Guam e Northern Mariana anche il caucus delle Isole Vergini per un totale non trascurabile di almeno venticinque delegati. Buone per il ‘front runner’, anche le notizie che arrivano dal Wyoming. Prevedibilmente negativi (e, d’altra parte, non è che in questo Stato Mitt abbia fatto campagna in qualche modo tenendolo in non cale), invece, gli esiti della consultazione svoltasi nel Kansas che si è decisamente dichiarato a favore di Santorum, il quale, avendo superato il cinquanta per cento dei suffragi, quivi ottiene ben trentatre delegati su quaranta. Assolutamente in retroguardia Gingrich (che dovesse andare a picco il 13 in Mississippi e Alabama sarebbe con ogni probabilità costretto a ritirarsi dalla corsa) e Paul.

I risultati provvisori come dichiarati dai dirigenti Gop: Wyoming I) Mitt Romney 44% II) Rick Santorum 27% III) Ron Paul 12% IV) Newt Gingrich 0,5%

Kansas I) Rick Santorum 51% II) Mitt Romney 21% III) Newt Gingrich 14% IV) Ron Paul 13%

82 Aspettando Mississippi e Alabama Fatti i difficilissimi calcoli, pare che prima del 13 marzo e dell’importantissimo voto nei due Stati del Sud per l’occasione chiamati alle urne, il numero totale dei delegati conquistati dai quattro candidati rimasti in corsa sia il seguente: Mitt Romney 454 Rick Santorum 217 Newt Gingrich 107 Ron Paul 47

Stando ai sondaggi, in Alabama, escluso Paul, Romney, Santorum e Gingrich sono alla pari nelle intenzioni di voto mentre in Mississippi Newt precederebbe di poco l’ex governatore del Massachusetts. Differenti gli obiettivi: Romney vuole dimostrare di essere in grado di prevalere anche nel Sud e in territori nei quali gli evangelici sono numerosi; Santorum desidera confermare la sua prevalenza laddove la destra Gop è forte; Gingrich si augura di vincere almeno in uno dei sue Stati per non essere obbligato a gettare la spugna.

Romney supera Obama nelle intenzioni di voto Da qualche giorno, i sondaggi a livello nazionale (sui quali ho già espresso i miei dubbi legati al fatto che è possibile vincere White House anche perdendo il voto popolare appunto nazionale se si vince negli Stati ‘giusti’) danno costantemente Mitt Romney in vantaggio nei confronti di Obama. National Rasmussen Tracking, per esempio, un serio ed accreditato istituto di rilevazioni statistiche, dopo aver parlato addirittura di un quarantotto a quarantadue per cento (48 a 42) delle intenzioni di suffragio per l’ex governatore, oggi conclude per un quarantasei a quarantatre (46 a 43) nel mentre National ABC Wash Post colloca Romney al quarantanove per cento e il presidente a quarantasette (49 a 47). Inutile chiedersi le ragioni di tale cambiamento, al momento, del resto, limitatamente significativo. Dovessero perdurare nel tempo questi segnali, allora… Da sottolineare, di contro, il fatto che nei confronti Obama/Santorum, Obama/Gingrich e Obama/Paul l’attuale inquilino della Casa Bianca resti al comando. Come sostengo da molto prima che le primarie Gop iniziassero, se il partito repubblicano saprà, sia pure con amarezze e difficoltà, compattarsi dietro il ‘candidato inevitabile’, a novembre prevarrà. Devono gli evangelici e gli, al momento, apparentemente meno influenti (già in declino?) Tea Party, rispondere al seguente quesito: vogliono protrarre per un nuovo quadriennio la ‘traversata del deserto’ decisa nel 2008 dai primi che si rifiutarono di votare McCain (non recandosi alle urne, non certamente votando per il candidato dell’asino!) perché considerato poco ‘duro e puro’ o la voglia, il desiderio di riprendere comunque la guida della nazione prevarrà?

83 Non va mai dimenticato che i ‘Red States’ (quelli che si esprimono in condizioni ‘normali’ a favore dei Gop e che sulla cartina vengono colorati appunto di rosso) contano su un numero di delegati al Collegio Nazionale nettamente superiore – e maggiormente a seguito del recente censimento determinante sulla distribuzione dei voti elettorali anche nelle due consultazioni, 2016 e 2020, future - a quelli dei ‘Blue States’ (che votano di norma democratico).

84 13 MARZO 2012

Alabama, Mississippi ma anche Hawaii e American Samoa, ovvero ‘vincere perdendo e perdere vincendo’

Vediamo, vediamo. Santorum vince in Alabama e Mississippi, Gingrich bene o male pare restare a galla, Romney arriva terzo quando dai sondaggi sembrava in grado di fare meglio in questo benedetto ‘profondo Sud’ che non lo ama. Nel frattempo, il mormone vince nelle trascuratissime (tutti guardavamo altrove) consultazioni delle Hawaii e di American Samoa. Ed ecco che, parlando di delegati conquistati in totale (che è quel che conta davvero ai fini della nomination), Mitt rafforza la leadership proprio quando, avendo alla fine, spesso, quasi due terzi dei votanti Gop contro, dimostra, conferma la sua debolezza interna. E tutto nel mentre i sondaggi nazionali e Stato per Stato, pur mutevoli assai, dicono chiaramente che lui solo tra i tre pretendenti ha la concreta possibilità di mandare a casa Obama! L’ho detto e scritto (si veda il mio ‘Appello’ al riguardo) fin dallo scorso novembre: i repubblicani si devono raccogliere dietro l’ex governatore rinunciando (ma la loro natura lo consente?) ciascuno e ciascuna parte a qualcosa sul piano ideale e ideologico. Siamo, è pur vero, alle primarie e ai caucus, ma le fratture che si vanno scavando non provocheranno danni allorquando Mitt sarà contrapposto al presidente in carica? Andranno allora a votare i duri e puri che oggi hanno rifiutato di appoggiare il moderato Romney per schierarsi (due su tre, pressappoco) con Santorum e Gingrich? Qui, solo qui, sta – come avevo previsto - il busillis.

I risultati (Hawaii e American Samoa non ancora certi per via del fuso orario) come comunicati dai dirigenti Gop: Alabama I) Rick Santorum 34,5% II) Newt Gingrich 29,3% III) Mitt Romney 29% IV) Ron Paul 5%

Mississippi I) Rick Santorum 32,9% II) Newt Gingrich 31,3% III) Mitt Romney 30,3% IV) Ron Paul 4,4%

85 E se Gingrich si ritirasse? Dice che non se ne parla nemmeno, che proseguirà fino a Tampa. Difficile, però, credergli. Fatto è che Newt Gingrich avrebbe dovuto (dovuto) vincere almeno in uno dei due Stati del ‘suo’ Sud nei quali ieri 13 marzo si è votato. In vantaggio a lungo nei sondaggi, è arrivato secondo e non è certamente un buon segno. Fatto è, ancora, che, se davvero continua la corsa, in qualche modo favorisce l’odiato Romney sottraendo i consensi della destra a Santorum. Qualcuno si è divertito a fare un po’ di conti in prospettiva. Ebbene, se la lotta rimane a tre, il mormone dovrebbe arrivare ai benedetti millecentoquarantaquattro delegati necessari per vincere verso fine maggio. Se l’ex speaker della Camera invece se ne andasse, con ogni probabilità, Mitt dovrebbe lottare fino alla convention o quasi e, nel caso più dannato, potrebbe perfino capitare che i Gop si trovino poi ad affrontare una ‘brokered convention’. Certo, mille e mille, da oggi, le pressioni degli evangelici e del Tea Party su Gingrich perché abbandoni e faccia convergere i suoi voti sull’italo americano.

L’attuale attribuzione dei delegati Non facile mettere d’accordo i vari istituti che si occupano della faccenda tanto che, per esempio, ad oggi, guardando al ‘front runner’ Romney, si trovano espressioni quali “dovrebbe avere all’incirca quattrocentonovanta delegati a lui collegati”. Ecco, comunque, l’attribuzione con ogni probabilità maggiormente credibile (e, d’altra parte, mai troppo grandi le differenze riscontrate):

I) Mitt Romney 492 II) Rick Santorum 235 III) Newt Gingrich 157 IV) Ron Paul 78

86 16 MARZO 2012

Aspettando Illinois e Louisiana Con un qualche ritardo, eccoci ai dati relativi al caucus delle Hawai, dove Romney ha vinto con relativa facilità.

Hawaii I) Mitt Romney 45% II) Rick Santorum 25% III) Ron Paul 18% IV) Newt Gingrich 11%

Una breve tregua (armata, si intende, visto che la campagna elettorale, comunque, preme) in attesa dei prossimi confronti e nel mentre si studiano strategie e tattiche ipotizzando i diversi possibili scenari cercando di non trascurare nessuna possibilità. Poi, il 20 marzo, in primo piano l’Illinois con i suoi sessantanove delegati (69) e il successivo 24 la Louisiana che ne eleggerà quarantasei (46). Trattative in corso, inviti al reciproco ritiro, appelli…

87 18 MARZO 2012

A Puerto Rico Mitt vince per KO Stando ai primi risultati, a Portorico (evidentemente, le isole portano bene a Romney, il quale, peraltro, non le ha certo trascurate nel corso della campagna elettorale), il mormone avrebbe raggiunto addirittura l’ottantatre per cento (83%) dei consensi, costringendo Santorum ad un misero otto per cento (8%). Ecco, quindi, che, per via del meccanismo ‘winner take all’ che a Puerto Rico scatta se un candidato supera il cinquanta per cento dei suffragi, ha conquistato alla grande tutti venti delegati alla convention Gop ai quali il futuro cinquantunesimo Stato (a novembre colà si vota anche per entrare o meno a far parte degli USA) ha diritto. Ricordando anche l’appoggio entusiasticamente ricevuto dal locale governatore Luis Fortuno, Romney, nel commentare il trionfo, ha affermato che proprio a Portorico si è avuta la dimostrazione che i ‘latinos’ sono pronti a schierarsi con i repubblicani nella corsa verso White House. Ne avrà la certezza se, come penso possibile ed auspico, chiamerà a far parte del suo ticket un ispano americano di grande carisma, magari il giovane senatore della sempre importantissima se non decisiva Florida Marco Rubio.

Delegati: la situazione Dopo Puerto Rico, la distribuzione dei delegati in vista di Tampa è la seguente: Mitt Romney 521 Rick Santorum 253 Newt Gingrich 136 Ron Paul 50

88 20 marzo 2012

Illinois ‘handly’ Con un risultato che non pochi commentatori definiscono, per quel che riguarda il confronto con i rivali e con Rick Santorum in particolare, ‘definitivo’, Mitt Romney ha vinto decisamente bene nell’importantissimo Illinois accaparrandosi un notevole numero di delegati e portando il suo totale a quota cinquecentosessantadue (562). Ove si consideri che, a parte la Louisiana che sarà chiamata alle urne sabato prossimo la Pennsylvania che l’italo americano Santorum ha rappresentato al senato per due legislature, tutti gli Stati nei quali si voterà da qui a fine aprile sono nei sondaggi nettamente schierati a favore del mormone, la corsa per la nomination appare segnata e Romney si appalesa per quello che dall’inizio era: il ‘candidato inevitabile’. Assolutamente out Newt Gingrich, costretto in Illinois addirittura ad un misero otto per cento. Resta, comunque e costantemente, la spaccatura interna ai Gop. Osservando con attenzione i risultati delle contee che si sono oggi espresse, ecco che, nel mentre le zone urbane si sono schierate con Romney (il quale nell’intero Stato si è affermato con il quarantasei e sette per cento e nella città di Chicago ha ottenuto poco meno del sessanta per cento), quelle rurali hanno preferito Santorum, a volte nettamente. In qualche modo, andando oltre l’appoggio degli evangelici al candidato cattolico e tagliando con l’accetta, ceto medio, colletti bianchi e ‘ricchi’ da una parte, contadini, tute blu e ‘poveri’ dall’altra.

I risultati dell’Illinois secondo i dirigenti repubblicani: I) Mitt Romney 46,7% II) Rick Santorum 35,0% III) Ron Paul 9,3% IV) newt Gingrich 8,0%

89 Jeb Bush appoggia Mitt Romney A qualche mese di distanza dal padre George Herbert, anche Jeb Bush si è pronunciato a favore di Mitt Romney. L’ex governatore della Florida e influente uomo politico ha fatto di più: ha dichiarato che è giunta l’ora nella quale l’intero partito si deve schierare e che non può farlo se non a favore del candidato mormone, da sempre l’unico in grado di snidare Obama dalla Casa Bianca.

La Louisiana nei sondaggi è per Santorum A dimostrazione del fatto che, per quanti ‘endorsement’ vengano fatti, le anime Gop sono tuttora divise e che il Sud non riesce ad amare Romney, ecco i sondaggi dell’autorevole istituto Rasmussen che si riferiscono alla Louisiana, chiamata al voto sabato 24 marzo: Santorum conduce nettamente con il quarantatre per cento (43%) delle intenzioni di voto, Romney segue a una qualche distanza col trentuno (31%), Gingrich sopravvive anche se a stento al sedici (16%) e Paul precipita al cinque (5%). E’ vero però, ripeto, che nel prossimo mese di aprile tutti gli Stati convocati alle urne con l’eccezione della Pennsylvania (Santorum è stato due volte senatore per quel territorio) si profilano più o meno favorevoli all’ex governatore del Massachusetts.

90 24 MARZO 2012

Santorum alla grande in Louisiana Dando seguito e conferma ai sondaggi che lo vedevano nettamente primo in Louisiana, Rick Santorum ha conquistato in quello Stato del Sud larga parte dei consensi e dieci delegati. Discreta la performance del front runner Mitt Romney che supera di non molto il venticinque per cento dei suffragi e si aggiudica comunque altri cinque voti elettorali in vista di Tampa. Pur essendo la Louisiana, come or ora ricordato, uno Stato sudista e pertanto teoricamente a lui vicino, modesta la prestazione di Newt Gingrich mentre l’esito di Ron Paul era nell’aria, tropo lontani dalle sue idee libertarie essendo i Gop locali.

I risultati della Louisiana come co0municati dai dirigenti repubblicani: I) Rick Santorum 49% II) Mitt Romney 26,7% III) Newt Gingrich 15,9% IV) Ron Paul 6,1%

91 I capi Gop si schierano con Romney Seguendo l’autorevole capo dei deputati repubblicani Eric Cantor, già dichiaratosi seguace e sostenitore di Mitt Romney ai primi di marzo, anche il senatore dello Utah Mike Lee, molto vicino ai Tea Party, e il leader della American Conservative Union Al Cardenas si sono ufficialmente schierati in questi giorni a fianco del candidato mormone. La medesima cosa ha fatto Kevin McCarthy, ‘whip’ (‘frusta’, come viene gergalmente chiamato il rappresentante incaricato di tenere uniti e motivare i colleghi di partito nei due rami del parlamento) repubblicano alla camera. Tutti, nell’esprimere il proprio endorsement, hanno invitato i tre restanti competitori per la nomination ad unirsi all’ex governatore evitando ulteriori contrapposizioni.

La Corte Suprema e la riforma sanitaria obamiana Ed eccoci in vista del dunque anche a proposito dell’unico atto legislativo di rilievo messo a segno da Obama nell’intero corso del suo mandato. La contestatissima ‘riforma sanitaria’ è difatti sotto scacco e rischia almeno per qualche verso (in specie l’obbligo previsto per ogni americano di dotarsi in futuro di una assicurazione appunto sanitaria è considerato una insopportabile forzatura costituzionale) di saltare. Ben ventisei Stati, ogni tipo di associazioni e un numero infinito di cittadini hanno chiamato in causa a tale proposito la Corte Suprema che va esaminando il caso dal 26 marzo. Il verdetto – salvo clamorosi sviluppi – è previsto per giugno e potrebbe avere certamente in notevole peso sulla campagna elettorale. In ipotesi, per evitare che la decisione (qualunque possa essere) interferisca, i nove giudici potrebbero ricorrere ad un oramai antico (risale al 1867) atto nel quale la stessa Corte concluse per una sospensione sostenendo che ogni deliberazione in merito ad una legge va presa dopo l’entrata in vigore della medesima e non prima. Staremo a vedere.

Santorum è vicino alla resa? “Voglio servire il mio Paese in ogni possibile modo e se Romney dovesse ottenere la nomination sarei disposto ad entrare nel ticket come candidato alla vice presidenza”, pressappoco queste le parole pronunciate da Rick Santorum. Non una resa definitiva, certamente, ma una realistica – rispetto alla corsa verso Tampa – presa d’atto della situazione determinata anche dagli oramai continui ‘endorsement’ dei leader Gop a favore del rivale.

Romney attacca Obama sulla politica estera Un fuori onda tv carpito a Seul durante il summit internazionale che lo vedeva protagonista ha messo nei guai Obama, registrato nel mentre, convinto di non essere a portata di microfono, prometteva al presidente russo uscente Medvedev una maggiore flessibilità nei rapporti dopo la sua rielezione.

92 Da sempre accusato dai repubblicani di scarsa dimestichezza e di poco polso nella politica estera, l’inquilino della Casa Bianca, con queste parole che intendeva fare arrivare a Putin, si è esposto agli attacchi di Mitt Romney che ha avuto buon gioco nel denunciarne anche la doppiezza: apparentemente e pubblicamente duro con i russi e in verità morbido e arrendevole.

Gingrich sull’orlo del ko Nel mentre si intensificano la dichiarazioni ufficiali di sostegno alla candidatura di Mitt Romney (oramai, ben pochi dei maggiorenti Gop si sono sottratti). Nel mentre Rick Santorum comincia a pensare ad un incarico nella possibile nuova amministrazione Romney. Nel mentre il mormone partecipa al Jay Leno Show con notevole successo. Nel mentre un sondaggio rivela come la maggior parte dei repubblicani siano convinti che Romney sia il cavallo giusto e che l’unico a dover restare in corsa contro di lui sia il predetto Santorum. Nel mentre tutto questo accade, ecco Newt Gingrich annunciare che la ristrettezza di fondi lo obbliga a ridefinire staff e strategie: licenzia, l’ex speaker della camera, un terzo del suo entourage e comunica che d’ora in avanti farà propaganda solo in ben mirate situazioni. Non un ritiro, ma qualcosa di molto simile. La spietatezza della corsa verso la nomination (se vinci avrai soldi e continuerai a vincere, se perdi non ne troverai e continuerai a collezionare sconfitte!) è ancora una volta confermata dai fatti.

Marco Rubio, G.H.Bush e Scott Walker per Romney A valanga. A valanga, e siamo a fine marzo, si susseguono le dichiarazioni pro Romney da parte di praticamente tutti i repubblicani di una qualche importanza. Come ha detto il senatore della Florida Marco Rubio nell’esprimersi in tal senso, Mitt ha oramai la nomination a portata di mano ed è l’unico Gop in grado di mandare a casa Obama a novembre. Con il mormone, anche l’ex presidente George Herbert Bush e il governatore del Wisconsin (dove si vota il prossimo 3 aprile) Scott Walker.

Prospettive Il mese di aprile sarà probabilmente decisivo in casa repubblicana. Il 3 sono chiamati al voto Washington D.C., Wisconsin e Maryland, mentre il 24 se la vedranno con le urne Pennsylvania, New York, Delaware, Connecticut e Rhode Island. Se, come tutti i sondaggi concordemente dicono, esclusa la Pennsylvania (dove, comunque, il vantaggio di Santorum va di giorno in giorno assottigliandosi), tutti i citati Stati si pronunceranno per Romney, ove l’ex senatore non si ritirasse

93 spontaneamente, il partito interverrebbe per mettere fine ad una lotta a quel punto inutile e controproducente.

Dove vanno i dollari? Mitt Romney, e non l’ha mai nascosto tanto che la questione ha avuto un qualche rilievo nel corso dei primi mesi di campagna elettorale, è molto ricco di suo e, fin dall’inizio, ha potuto contare sull’appoggio economico di un notevole numero di sostenitori a loro volta ben nutriti. Con l’andare del tempo, con il ritiro di larga parte degli avversari e con la sua conferma quale front runner i contributi sono aumentati. Oggi, ottenuto l’endorsement dell’intera famiglia Bush, quello, fondamentale per i rapporti con i Tea Party e con i numerosissimi ispano americani, del potente senatore Marco Rubio, il mormone ha praticamente chiuso la gara in fatto di finanziamenti mettendo nell’angolo i restanti avversari. Da sempre, nel corso della maratona delle primarie e dei caucus, i dollari cercano e trovano la loro definitiva destinazione: il 2012 non ha fatto eccezione.

Novantotto a zero? Maryland: trentasette (37) delegati. District of Columbia: diciannove (19) delegati. Wisconsin: quarantadue (42) delegati. Ecco il non indifferente ‘bottino’ per il quale, in vista del 3 aprile, vanno duramente scontrandosi in questi giorni Romney e Santorum. E, cosa decisamente rilevante, in tutti e tre i predetti territori i voti elettorali si conquistano con il meccanismo del ‘winner take all’! Ove, come tutti i sondaggi dicono, il mormone dovesse prevalere, si porterebbe a casa la bellezza di novantotto (98) delegati lasciando il rivale a zero e portandosi vicino alla soglia dei settecento voti a lui collegati. I giochi volgono finalmente (il contrasto nuoce al candidato rappresentando una contrapposizione interna che i democratici possono sfruttare e il procrastinarsi della lotta è psicologicamente negativo per Romney) al termine.

Si parla dei possibili vice Nel mentre il multimiliardario Sheldon Adelson dichiara che Newt Gingrich, da lui finanziato finora alla grande, “è giunto al capolinea”, tra i repubblicani si comincia a parlare dei possibili candidati alla vice presidenza. Il senatore della Florida Marco Rubio, per quanto si sia chiamato fuori, resta in prima linea anche perché garantirebbe l’appoggio dei numerosissimi ispano americani. Altrettanto, potrebbe fare il governatore del New Mexico Susan Martinez (al riguardo, ricordo che le due precedenti volte nelle quali una donna ha fatto parte di un ticket, non certo per sua responsabilità, la sconfitta del partito di appartenenza è

94 stata nettissima: Geraldine Ferraro con Walter Mondale e Sarah Palin con John McCain). Tra gli altri papabili, il governatore del New Jersey Chris Christie e l’influente deputato del Wisconsin (appena dichiaratosi per Romney) Paul D. Ryan.

In economia, gli americani preferiscono le ricette Gop Secondo quanto oggi, 1 aprile, comunica l’istituto di Scott Rasmussen, un sondaggio compiuto a livello nazionale riguardo a cosa pensano i cittadini americani delle proposte in campo economico portate avanti dai due maggiori partiti conclude con un quarantanove (49) per cento favorevole alle ricette repubblicane contro un trentotto (38) per cento favorevoli alle idee democrats. Si tratta di un risultato di grande rilievo in vista dell’elezione novembrina, considerato che, naturalmente, stante la crisi in atto, gli elettori terranno nell’occasione certamente in primo piano, scegliendo quella maggiormente convincente, ogni possibile alternativa nel difficilissimo e decisivo campo.

Il Tea Party è con Mitt. E gli evangelici? Non è che il movimento Tea Party si sia ufficialmente dichiarato per Romney, ma, di certo, molti dei suoi esponenti lo hanno fatto. Ultimo, per ora naturalmente, in ordine di tempo, il senatore del Wisconsin Ron Johnson che nel 2010 ebbe a conquistare nel suo Stato lo scranno alla camera alta proprio dopo essersi apertamente schierato con il Tea Party ottenendone il pieno appoggio. Un buon passo in avanti per l’ex governatore del Massachusetts, non tanto in vista delle restanti primarie quanto in prospettiva novembrina. Dopo aver segnalato che, pur non esprimendosi attraverso un esplicito endorsement, anche il leader repubblicano al senato Mitch McConnell ha parlato in favore di Romney (“Sarà un ottimo candidato”, ha detto), esaminiamo la situazione per quanto concerne i rapporti tra l’entourage del mormone e gli importantissimi evangelici, spesso addirittura decisivi nel voto per White House. Ecco, non è che qui le cose vadano poi molto bene: continuano gli evangelici ad esprimersi per Santorum determinandone il successo negli Stati nei quali sono in numero tale da influire sul risultato. Data per certa, comunque, la nomination di Romney, come già affermavo nel mio appello posto all’inizio del presente volume, la sua elezione è invece incerta ove tutte le anime Gop non si ricompattino. E’ in questa direzione che il partito dovrà fortemente lavorare.

95 3 APRILE 2012

Maryland, Wisconsin e Washington DC con Romney Rispettando i pronostici conseguenti ai sondaggi effettuati, chiamati ad esprimersi il 3 aprile, gli elettori repubblicani del Maryland, del Wisconsin e della capitale federale si sono espressi a favore di Mitt Romney il quale ad oggi conta su un numero di delegati superiore largamente alle metà di quelli necessari per la nomination. Il mormone, già da qualche giorno, parlando in pubblico, trascura quasi del tutto i rivali interni (Santorum in primis) per occuparsi di Obama, lanciando il seguente messaggio: io sono lo sfidante del presidente in carica e la questione non è in discussione. Nel mentre Gingrich scende ai minimi e Ron Paul si barcamena come al solito, Santorum si lecca le ferite e dice di voler continuare fino a quando davvero Mitt non avrà con sé tutti i delegati necessari alla nomination. Con ogni probabilità, dovesse perdere anche nella sua Pennsylvania, sarà costretto a gettare la spugna il prossimo 24 aprile.

I risultati secondo quanto comunicato dai dirigenti Gop: Wisconsin I) Mitt Romney 42,5% II) Rick Santorum 37,7% III) Ron Paul 11,7% IV) Newt Gingrich 6,6%

Maryland I) Mitt Romney 49,1% II) Rick Santorum 29% III) Newt Gingrich 10,9% IV) Ron Paul 9,5%

Washington DC I) Mitt Romney 70,2% II) Ron Paul 12% III) Newt Gingrich 10,8% (Santorum non era in corsa nella capitale)

Obama ottiene ufficialmente la nomination democratica Nel frattempo, in campo democratico, senza avversari e pertanto vincendo a man bassa ogni caucus ed ogni primaria, Barack Obama ha oggi conquistato i delegati necessari per ottenere la nomination alla convention estiva di Charlotte.

96 Il ‘peso’ di Ann Romney e di Michelle Robinson Come praticamente sempre nella politica americana le consorti di Obama e di Romney sono donne di particolare rilievo in qualche modo determinanti per la carriera dei mariti. Conosciamo Michelle Robinson Obama, i suoi successi, le sue idee, l’influenza (a dir poco) che ha avuto su Barack da lei condotto spesso quasi per mano nei primi anni di unione. Personalmente, la ritengo di una categoria superiore rispetto al coniuge. Quanto ad Ann Lois Davies Romney, madre di famiglia esemplare, bionda e solare, sappiamo che è stata un’ottima prima donna a fianco di Mitt nei quattro anni che lo hanno visto governare il Massachusetts e la vediamo oggi fortemente e in qualche modo anche autonomamente impegnata nella campagna elettorale. Rappresentano, le due signore, le americane capaci, in gamba, non succubi dei mariti. Due belle presenze, davvero.

Si parla già del 2016! Non contenti della campagna in atto, molti guardano addirittura al 2016. Ieri, Bill Clinton, parlando in tv, ha ipotizzato per quella data un ritorno in campo della moglie Hillary, che, peraltro – ricordo – nel caso avrebbe la bellezza di sessantanove anni. Gli osservatori, poi, si sbizzarriscono promuovendo scenari diversi a seconda dell’esito novembrino del corrente 2012. Dovesse confermarsi Obama, Romney oramai fuori gioco, i Gop potrebbero puntare su Marco Rubio o su Jeb Bush (bello, lo scontro tra dinastie: Bush contro Clinton!). Tra i democratici, perché non guardare a Andrew Cuomo, il figlio del mitico governatore del New York Mario? Eccetera, eccetera.

Ricordiamoci di Reagan A giochi fatti (nell’entourage di Romney ci si atteggia giustamente come se la nomination fosse già acquisita) e guardando al rivale democratico oggi a White House, ecco, come prevedibile, il riferimento a Ronald Reagan e al suo 1980. All’epoca, presidente in carica era l’esponente del partito dell’asino Jimmy Carter e Reagan lo fece fuori impedendogli un secondo mandato. Oggi, alla Casa Bianca siede il democratico Obama e l’intenzione è ovviamente quella di trattarlo allo stesso modo.

Chi è Rob Portman e perché si parla di lui? Alla camera dei rappresentanti per ben sette mandati consecutivi vincendo ogni volta nel suo distretto con numeri altissimi (spesso oltre il settanta per cento dei voti), di poi partecipe dell’amministrazione di George Walker Bush nel secondo mandato, infine eletto senatore dell’Ohio nel 2010 con largo margine, questo il curriculum

97 politico di tutto rilievo di Robert ‘Rob’ Portman che non pochi media indicano come favorito per la candidatura alla vice presidenza a fianco di Mitt Romney. Se son rose fioriranno, ma, ove si rammenti che a parte il 1960 il pretendente a White House vincente in Ohio ha raggiunto il proprio obiettivo, non male l’idea di mettersi in squadra una persona che i cittadini di quello Stato hanno sempre dimostrato di amare e seguire.

Aspettando il 24 aprile Un utile intervallo. Le tre settimane che dividono le recenti consultazioni datate 3 aprile da quelle in programma il prossimo 24 servono a fare un quadro maggiormente preciso della situazione, a raccogliere le idee nei diversi campi, ad esaminare con calma le prospettive. Ed ecco che nel mentre si susseguono le dichiarazioni di appoggio a Mitt Romney (recenti quelle della gran parte dei superdelegati, del governatore dell’Iowa Terry Branstad e di quello del Rhode Island Dan Carcieri)- che, per parte sua, giustamente, si atteggia a nominato attaccando il presidente e trascurando i rivali Gop -, nell’entourage di Santorum ci si interroga seriamente: è vero, alle porte c’è la Pennisylvania ma i sondaggi dicono che anche nello Stato che l’ha eletto alla camera alta il candidato cattolico rischia di essere battuto mettendo in discussione anche un suo ulteriore ruolo politico…Conviene ritirarsi prima contrattando con il partito le condizioni migliori? E non è forse ora, pensano anche i sostenitori di Newt Gingrich di aggregarsi a Romney in vista dello scontro finale con Obama? Interventi, appelli e discussioni in pubblico e in privato dove condurranno?

98 10 aprile 2012

Santorum getta la spugna Gettysburg, Pennsylvania, 10 aprile, in una conferenza stampa il candidato ultra conservatore Rick Santorum ha annunciato il proprio ritiro dalla corsa repubblicana per la nomination. Motivo determinante, a suo dire, la rincrudita malattia della figlia minore e i suoi continui ricoveri. Motivo altrettanto certo anche se non dichiarato: i sondaggi, tutti i sondaggi, lo davano per battuto il prossimo 24 aprile non solo negli altri quattro Stati chiamati alle primarie ma anche nella sua Pennsylvania. Si spiana adesso definitivamente la strada davanti a quello che ebbi a definire già in ottobre 2011 ‘il candidato inevitabile’ Mitt Romney. E’ l’ora, per il mormone, di concentrarsi sulla difficilissima scelta del compagno di ticket e, soprattutto, di chiamare a raccolta l’intero partito, Tea Party ed evangelici inclusi. E’ l’ora, per questi ultimi, di capire che se si vuole davvero cacciare Obama ci si deve tutti schierare con il mormone.

99 Sette mesi (o quasi) di battaglia elettorale Certo, Newt Gingrich e Ron Paul non intendono (per ora) ritirarsi, ma è a tutti chiaro che la loro battaglia è persa e che la nomination di Mitt Romney è oramai solo una formalità. Lo scontro Obama/Romney – e mancano addirittura quasi sette mesi al redde rationem del 6 novembre - ha già preso il via e i due cominciano a suonarsele di santa ragione. Confermando le sue posizioni, a mio (ma, non solo mio) parere sostanzialmente socialisteggianti e pertanto estranee agli USA, il presidente ha, ieri 10 aprile, attaccato il mormone rappresentandolo come “quel riccone che vuole portarmi via il posto”. Nel mentre l’intero Gop o pressappoco va schierandosi al fianco di Mitt, nel mentre i sondaggi nazionali (per quel che valgono) danno spesso l’ex governatore del Massachusetts davanti o alla pari nelle intenzioni di voto, nel mentre ci si arrovella a proposito dei cosiddetti ‘swing States’ cercando di capire quali mosse li possano portare dalla propria parte, la CNN autorevolmente proclama gli esiti di un sondaggio Stato per Stato teso a stabilire, se si votasse adesso, dove finirebbero i delegati (ricordo che sono in totale cinquecentotrentotto) al collegio nazionale. L’esito? Duecentosessantasei per Obama e duecentosessantadue per Romney. Un vero testa a testa nel quale nessuno dei due taglia il traguardo, considerato che per vincere occorrono al minimo duecentosettanta voti elettorali. Decisiva, alla fine e se davvero i repubblicani tutti si porranno alle spalle del mormone, sarà, come quasi sempre del resto quando è in corsa per la conferma un inquilino di White House, la situazione economica. A parte i ‘duri e puri’ – comunque, una minoranza – gli americani votano, come probabilmente è giusto, guardando ai posti di lavoro, ai sacrifici da compiere, alle prospettive.

Ricordate Ross Perot? Rick Santorum? Fuori gioco. Newt Gingrich e Ron Paul? Ininfluenti. Mitt Romney? Ha confermato di essere ‘il candidato inevitabile’. Ed eccoci, quindi, allo scontro diretto Obama/Romney. E ci si affida ai sondaggi. L’ho detto e scritto molte volte: quelli a livello nazionale lasciano il tempo che trovano. Si vince Stato per Stato ed è successo in diverse occasioni (l’ultima, nel 2000, quando il secondo Bush ha battuto Al Gore) che sia risultato eletto il concorrente che aveva preso meno voti appunto a livello nazionale. E, d’altra parte, mancano oltre duecento giorni al fatidico 6 novembre ed è decisamente troppo presto. Propongo al riguardo solo due dei molti possibili riferimenti.

100 Il primo: marzo 1980, le rilevazioni nell’intero Paese danno l’uscente Jimmy Carter in vantaggio di un buon venticinque per cento sullo sfidante Ronald Reagan. Al dunque, Reagan vince con il cinquantuno per cento dei suffragi e Carter si ferma al quarantuno. Giugno (giugno!) 1992, in testa nettamente Ross Perot (qualcuno si ricorda di lui, di questo miliardario indipendente in corsa sia nel citato ’92 che, dipoi, nel 1996?) con il trentanove per cento delle indicazioni di voto. Seguono, George Herbert Bush al trentuno mentre il futuro presidente Bill Clinton è solamente terzo con un poco promettente venticinque. A novembre, Clinton prevarrà su Bush per quarantatre a trentanove per cento e il predetto Perot non conquisterà neppure uno Stato. Spero vinca il mormone, ma nulla, oggi, mi dice come davvero la sfida andrà a finire.

Casalinghe disperate? Le donne…importantissime sempre, per carità. Ancora di più, se possibile, in campagna elettorale. Ebbene, un benedetto sondaggio (ne avremo a milioni e su tutti i temi) afferma che Romney non è affatto amato dalle donne: gli preferiscono, cinquantatre per cento a trentaquattro, Obama. Ecco, quindi, scendere in campo la signora Ann Romney che piace certamente alle americane. Conseguenti attacchi da parte democratica: Mitt si nasconde dietro la moglie e così via. Tutto secondo copione, alla fine, non fosse per una collaboratrice troppo zelante della Casa Bianca: una certa Hilary Rosen. “Cosa conosce dei problemi delle donne la signora Romney che non ha lavorato un sol giorno della sua vita?”, ha tuonato Rosen. Apriti cielo. “Forse che scegliere di fare la donna di casa, far nascere e crescere cinque figli non è lavorare?”, ha replicato l’ottima Ann nel mentre tutte le associazioni femministe prendevano posizione sul tema. “I soliti democratici, contrari nel fondo alla famiglia”, hanno aggiunto i maggiorenti repubblicani. Alla fine, marcia indietro di Hilary Rosen che, redarguita a quel che pare dallo stesso Obama, ha chiesto scusa a tutti coloro che si sono offesi per le sue parole. Sullo sfondo, importantissimo ancora, il recente attacco di Romney alla politica economica obamiana (una larghissima maggioranza di americani riconosce al candidato mormone una eccezionale competenza riguardo alla fondamentale materia economica) che ha provocato, fra l’altro, un aggravamento della situazione riguardo ai posti di lavoro aumentando in specie il tasso di disoccupazione femminile.

101 ‘Restore our Future’ Duecento milioni di dollari!!!! Ecco quanto ha a disposizione il Superpac ‘Restore our Future’ che fa capo al mitico consigliere di Heorge Walker Bush Karl Rove. Davvero un mucchio di soldi pronti all’uso e quindi ad investire già nei prossimi giorni con un diluvio di spot e inserzioni negative il presidente Obama. In quella che senza dubbio risulterà alla fine essere la campagna elettorale di maggior costo della storia, anche da parte democratica verranno gettati nella mischia capitali pressoché illimitati. In un prossimo futuro, sarà bene porre un argine a questa piena: non è assolutamente certo, infatti, che il candidato in grado di raccogliere fondi in quantità industriale e magari di seppellire l’avversario con una propaganda a lui contraria sia poi sul serio il ‘best man’ che l’America è certa ogni volta di eleggere.

‘Swing States’ Allorquando, il prossimo 6 novembre, gli USA andranno alle urne per scegliere il presidente, dati per certi gli esiti sia nei ‘red States’ repubblicani che nei ‘blue States’ democratici, con quasi assoluta certezza, alla Casa Bianca approderà tra i due in corsa il candidato che avrà saputo conquistare i cosiddetti ‘swing States’, quelli incerti, nei quali le intenzioni di voto sono ancora poco chiare e le vere preferenze in bilico. Con ogni probabilità, decisivi saranno quindi la Virginia, il Colorado, il Nevada e l’Ohio dove già, metaforicamente, si combatte casa per casa.

102 16 APRILE 2012

Si comincia a parlare della religione di Romney Nel mentre, oramai da qualche giorno e senza interruzioni, Scott Rasmussen conclude la propria rilevazione sulle intenzioni di voto a livello nazionale sostenendo che una maggioranza, sia pure assai contenuta, preferirebbe Mitt Romney all’uscente Obama, qualcuno comincia ad interrogarsi sulla religione dell’ex governatore. Lo sanno tutti e da sempre: è un mormone, ma mentre i suoi contendenti in campo repubblicano per la nomination non hanno mai eccepito al riguardo, non così sarà certamente dopo le convention, quando opposto al democratico nel prosieguo della contesa. E v’è addirittura qualcuno che sostiene che se eletto Mitt sarebbe il primo presidente ‘non cristiano’, visto che non poche persone negli USA guardano alla Chiesa mormone come ad una setta. Prescindendo da tutto ciò, rompendo gli indugi e fornendo a Romney un appoggio che potrebbe rivelarsi decisivo, Richard Land, presidente della Southern Baptist Convention, una delle più importanti congregazioni evangeliche USA, ha ufficialmente dichiarato “I protestanti devono votare in massa per Mitt Romney”. Ho detto fin da subito (si guardi alle primissime pagine di questa cronaca) che il successo può arridere al mormone solo e soltanto se tutte le anime Gop, in primo luogo con i Tea Party proprio gli evangelici, lo seguiranno. Siamo sulla strada giusta.

103 17 APRILE 2012

Documenti

Come battere Obama puntando sulla politica estera, un articolo di Karl Rove e Ed Gillespie ripreso da ‘Foreign Policy’ In un'elezione americana focalizzata su un'economia in pessimo stato e alta disoccupazione, è convinzione diffusa che la politica estera sia una delle poche punti forti di Barack Obama. Ma il presidente è sorprendentemente vulnerabile in quest’ambito. I Repubblicani che guidano la lista del partito possono attaccarlo in quel che Obama considera erroneamente il suo punto di forza principale, traducendo in messaggi elettorali e azioni le critiche che dal centro-destra vengono mosse alla sua politica estera. Ecco come lo si potrebbe battere. In primis, il candidato Repubblicano dovrebbe adottare un tono fiducioso e nazionalista, enfatizzando l'eccezionalismo americano, esprimendo orgoglio nel ruolo statunitense come forza per il bene nel mondo e sostenendo un’America nuovamente rispettata (e in alcune aree, temuta) come potenza mondiale preminente. Obama agisce come se vedesse negli Stati Uniti un gigante pieno di difetti, un errore che gli elettori hanno già avvertito. Dopo tutto, questo è il presidente che ha detto “credo nella superiorità dell’America, per quanto sospetti che gli inglesi credano nella superiorità dell’Inghilterra e i Greci nella superiorità della Grecia”. Gli elettori hanno anche percepito che [Obama] è soddisfatto di gestire il declino degli Stati Uniti, portandoli a una condizione in cui l’America è solo uno Stato tra tanti. Così come ha dichiarato, la sua “è una leadership americana che riconosce i propri limiti”. Il candidato Repubblicano dovrebbe utilizzare le stesse parole e azioni usate dal presidente per presentarlo come ingenuo e debole nelle questioni di politica estera. Le promesse non mantenute da Obama, le opportunità perse e le mutevoli posizioni su questo o quella politica dicono che [il presidente] non sia sufficientemente informato e in una situazione troppo difficile per lui. Per esempio, prima di essere eletto, ha promesso di incontrare i leader di Cuba, Iran, Corea del Nord, Siria e Venezuela “senza precondizioni”. Non è accaduto nulla di tutto questo, solo una seria batosta all’immagine degli Stati Uniti come affidabile alleato. Nella campagna elettorale del 2008, l'allora candidato Obama sostenne anche che l’Iran era una “minuscola” nazione che non “poneva una seria minaccia”. Quanto tutto questo sembra insensato ora. Allo stesso tempo, il candidato Repubblicano non dovrebbe esitare a mostrare gli ambiti ove Obama ha lasciato fortemente invariata le politiche del suo predecessore.

104 Obama si troverà a disagio se il candidato si congratulerà con lui per aver applicato la strategia del surge in Afghanistan, permettendo l’uso esteso di droni, cambiando idea sul trattamento riservato terroristi detenuti, e rinnovando il Patriot Act dopo averlo dapprima condannato come una “legge mal scritta e pericolosa”. Tali complimenti darebbero al candidato Repubblicano grandi possibilità di criticare i numerosi insuccessi di Obama – non solo la sua proposta di solidarietà verso i regimi tirannici di Iran, Corea del Nord e Venezuela, ma anche il disastroso “reset” dei rapporti con la Russia, la cattiva gestione delle relazioni con il Pakistan, la politicizzazione dei calendari di ritiro delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan, e l’indifferenza mostrata verso alleati storici quali Nato, Canada e Messico, così come di potenze che si stanno emergendo come l’India. Obama riconosce di essere percepito come “freddo e distante”, e il candidato Repubblicano potrebbe insistere su questo punto per renderlo più evidente. Il presidente ha pochi validi amici tra le nazioni estere (tranne, ovviamente, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, come ha dichiarato a Fareed Zakaria sul settimanale ‘Time’). Il candidato Repubblicano dovrebbe criticare Obama per non aver compreso che la partecipazione in prima persona del presidente degli Stati Uniti è fondamentale per una leadership mondiale efficace. La mancanza di contatti regolari e confidenziali con il primo ministro dell’Iraq Nouri al-Maliki e con il presidente dell’Afghanistan Hamid Karzai - che ha distrutto le relazioni con quelli che un tempo erano alleati dell'America, è il più sconvolgente, inspiegabile esempio del passivo approccio di questo presidente. Poiché la campagna elettorale invernale dev’essere dedicata a promuovere la proposta Gop su lavoro ed economia, il candidato del partito Repubblicano dovrebbe condividere la sua estesa visione sulla politica estera al più tardi entro i primi giorni d’estate. Dare agli elettori un’idea di dove si vuole portare la nazione sarebbe importante per rinsaldare la sua immagine come quella di un leader degno dell'Ufficio Ovale. Proiettare solo l'immagine giusta, non basta. Il candidato Repubblicano dovrà affrontare almeno quattro aree di importanza vitale. La più importante è la lotta che definirà l'arco di questo secolo: quella al terrorismo islamico radicale. Dovrebbe portare avanti l’idea che la vittoria deve essere un obiettivo nazionale per l’America, non la semplice ricerca a “delegittimare l’uso del terrorismo e isolare quelli che lo sostengono”, come annunciato da Obama nel Maggio 2010 nella sua National Security Strategy (la Strategia sulla Sicurezza Nazionale). Come durante la Guerra Fredda, la vittoria richiederà un prolungato coinvolgimento degli Stati Uniti e la volontà di utilizzare tutti gli strumenti di influenza – dalla diplomazia ai legami economici, dagli sforzi dei servizi segreti all’azione militare. In secondo luogo, il candidato Repubblicano dovrà condannare la precipitosa diminuzione delle forze in Afghanistan e il profondo e pericoloso taglio alle spese alla Difesa operata dalla sua amministrazione.

105 Entrambe queste politiche sono guardate con scetticismo dal vertice militare: la prima incoraggia gli avversari dell’America e scoraggia i suoi alleati; il secondo causa profonda preoccupazione ai veterani e agli altri americani che dubitano dell’impegno di Obama per i militari. Terzo, il candidato Repubblicano dovrebbe concentrarsi sui pericoli degli Stati canaglia, in particolare Iran e Corea del Nord. L’imminente terzo anniversario dalle elezioni presidenziali iraniane rubate nel 2009 è un momento particolarmente propizio per il candidato Repubblicano per incontrare gli esuli iraniani e rilasciare un importante discorso incentrato sulle debolezze e le ingenuità di Obama nei rapporti con queste potenze bellicose. In parte a causa della mala gestione della minaccia iraniana, Obama ha perso molto del supporto economico e politico di cui godeva presso la comunità ebraica americana. Il suo approccio su Israele va presentato come ugualmente debole e inaffidabile. Il candidato Repubblicano dovrà mettere in chiaro la minaccia esistenziale che Israele deve affrontare e posta da un Iran in possesso di armi nucleari – non solo perché porterebbe a un miglioramento della politica, ma anche perché ridurrebbe il sostegno elettorale di cui gode il presidente nel blocco di elettori chiave collocato negli Stati contesi di Florida, Michigan, Ohio e Pennsylvania. La quarta linea di attacco dovrebbe essere sulla fragile economia dell’America e su come rimetterla sul binario giusto. Molti elettori pensano che la gestione dell’economia da parte di Obama sia stata inconsistente e addirittura controproducente. Diventa imperativo, dunque, per il candidato Repubblicano portare avanti questa idea, per promuovere gli scambi e favorire un interesse economico maggiore da parte del panorama internazionale. Il fallimento di Obama nell’eguagliare gli altri Stati nell’apertura aggressiva di mercati per le esportazioni e il lavoro possono essere legati alle sue responsabilità sull’alto tasso di disoccupazione interno e su una ripresa debole. Queste sono le motivazioni per le quali Obama ha fallito nel diventare un forte leader internazionale, e il candidato repubblicano deve rafforzare questo messaggio – in cui la gran parte degli americani già crede. La politica estera è una debolezza di questo presidente, non un punto di forza.

106 Due sondaggi per Obama e due per Romney 15 aprile. Quattro diversi sondaggi a livello nazionale ad opera di quattro serissimi istituti. Rasmussen: Obama 44%, Romney 47% CNN: Obama 52%, Romney 43% Reuters: Obama 47%, Romney 43% Gallup: Obama 45%, Romney 47% Che dire?

Dieci possibili vice presidenti Gop Poi, magari, ne spunterà un altro, l’undicesimo. Oggi, comunque, gli analisti, quanto al possibile candidato alla vice presidenza a sostegno di Romney indicano i seguenti personaggi: All’est, il governatore del New Jersey Chris Christie. A sud, il governatore della Louisiana Bob Jindal, il senatore della Florida Marco Rubio, il governatore della Virginia Bob McDonnell. Nel midwest, il senatore del South Dakota John Thune, l’ex governatore del Minnesota Tim Pawlenty, il deputato del Wisconsin Paul Ryan, il governatore dell’Indiana Mitch Daniels, il senatore dell’Ohio Rob Portman. Nel west, il governatore del New Mexico Susana Martinez.

La base preferisce Condoleezza Ennesimo sondaggio, stavolta riservato ai soli repubblicani. “Chi vorreste accanto a Romney quale candidato alla vice presidenza?”, era la domanda. Ebbene, al primo posto con un solido ventisei (26) per cento, nientemeno che l’ex segretario di Stato di George Walker Bush Condoleezza Rice, davvero una gran donna. Rice, l’ho già scritto e ripetuto, come Rubio o un altro ispanico di pari peso, dopo Tampa, dovrà essere della partita se davvero si punterà a vincere.

Cani e Casa Bianca Scontro tra cosiddetti ‘strateghi elettorali’ a proposito di cani. Riprendendo un tormentone molte volte tirato in ballo da David Letterman nel suo schieratissimo (per Obama) show, David Axelrod, appunto stratega del presidente, ha criticato il comportamento della famiglia Romney che in occasione di un viaggio in Canada ebbe a sistemare il cucciolo Seamus in una gabbietta sul tetto della macchina e quindi al vento. Eric Fehrnstrom, per conto del mormone, ha subito replicato prendendo in giro Barack e la moglie che portano a spasso il loro ‘first dog’ Bo nella limousine presidenziale. Meglio parlare d’altro, vero?

107 19 aprile 2012

Un bel problema: le primarie a venire contano poco o nulla Bei tempi quelli passati per gli Stati coinvolti. Mi riferisco a non poi tanti anni fa, quando il ciclo delle primarie e dei caucus – che prendeva il via a febbraio - era meno intenso, in specie perché non tutti i territori statali partecipavano alla kermesse. Occorreva allora che la California, il Texas o, per dire, il New York (i tre di maggior peso) riuscissero ad esprimersi a giochi ancora aperti e non fossero costretti, come oggi sostanzialmente capita, a dire come la pensano senza che a nessuno possa davvero interessare. L’esito del confronto 2012, la vittoria relativamente veloce di Romney, per quanto sia un bene per i Gop non ulteriormente costretti a lottare tra di loro, porterà, volendo ogni Stato giustamente contare, certamente in futuro ad una ulteriore anticipazione e quindi all’affollamento di primarie e caucus all’inizio dell’anno elettorale o addirittura al dicembre di quello precedente. E’ forse arrivata l’ora di regolamentare di bel nuovo l’intero meccanismo.

108 Jeb Bush si propone, Marco Rubio si sottrae ma fa campagna con Mitt Nel mentre, del tutto comprensibilmente visto che non essere dopo presi in considerazione non li farebbe di certo felici, nel mentre, ripeto, la maggior parte dei possibili candidati alla vice presidenza Gop si dichiarano fuori gioco, non altrettanto ha fatto Jeb Bush. L’ex governatore (due volte e non riproposto solo in quanto le regole locali vietano un terzo mandato) della Florida, ultimo – per il momento, i figli suoi e di George Walker crescono - della dinastia, ha detto esplicitamente che sarebbe ben contento di affiancare Romney nella sfida finale. “Sono pronto”, ha dichiarato in una intervista, “ma non so se il telefono davvero suonerà”. Frattanto, il senatore ispanico Marco Rubio fa campagna elettorale in Pennsylvania fianco a fianco del mormone: non è in corsa, dice, ma la sua collaborazione sarà totale. E’, Rubio, un uomo nuovo che, oltre ad essere di origini cubane e pertanto – va sottolineato considerato il numero dei possibili votanti di lingua madre spagnola -, ribadisco, ispaniche, è assai ben visto dai Tea Party.

Secondo il New York Times Romney deve ‘riposizionarsi’ Incombenti (si vota colà il 24 aprile, come anche in Connecticut, Rhode Island, Pennsylvania e Delaware) le primarie del New York, il ‘New York Times’ si è pronunciato a favore di Mitt Romney, peraltro – e non è un granché - sostenendo che guardando alle alternative proposte dai Gop fosse e rimanga l’unico candidato possibile. Lamenta l’autorevole quotidiano quello che definisce un eccessivo spostamento sulle posizioni della destra estrema del mormone, certamente dovuto alla necessità di ottenere la nomination, ma, comunque e appunto, troppo accentuato. Auspica, quindi, un ritorno di Romney alle idee originali, quelle maggiormente centriste già del padre George e da lui portate avanti in particolare nei confronti delle donne e della sanità pubblica quando era governatore del Massachusetts. Per il vero, da sempre, quanto rimproverato dal ‘New York Times’ a Mitt accade: democratico o repubblicano che sia, il ‘nominato’ converge al centro in vista del confronto finale.

109 24 APRILE 2012

Cinque a zero e la corsa Gop è davvero finita Come previsto – e non poteva essere altrimenti – Romney ha facilmente vinto nei cinque Stati nei quali oggi si è votato. Secondo i primi dati: con il 67,4% nel Connecticut con il 56,5% nel Delaware con il 58% in Pennsylvania con il 63,2% nel Rhode Island con il 62,2% nel New York. Guardando ai delegati, dovrebbe aver raggiunto all’incirca quota ottocentocinquanta (850) .

110 “Oggi prende il via una nuova America” Parlando a Manchester, New Hampshire, dopo la netta affermazione nei cinque Stati chiamati al voto il 24 aprile, Mitt Romney, lungi dall’interessarsi dei rivali interni Gingrich e Paul (il primo, peraltro, prossimo all’abbandono), si è interessato direttamente di Obama. “Oggi”, ha detto, “diamo inizio ad una nuova America. Nulla di quanto l’attuale presidente ha fatto ci piace. Quali i progressi derivati alla nazione dal suo agire? La situazione sociale e quella economica sono forse migliori oggi di quando Obama ha preso a governare? Tutto il contrario. Ha fatto del suo meglio ed ha fallito! Facciamo che sia anch’egli un presidente da un solo mandato”.

111 26 APRILE 2012

Il ritiro di Newt Gingrich Si è battuto, forse anche troppo a lungo, ma, alla fine, ha dovuto cedere. Ieri, l’ex speaker della Camera dei rappresentanti Newt Gingrich, già da tempo fuori gioco per mancanza di risultati e, conseguentemente, di finanziamenti, ha annunciato che il prossimo 1 maggio comunicherà ufficialmente il proprio ritiro dalla corsa per la nomination Gop nonché il suo incondizionato appoggio a Mitt Romney. Vincitore in due soli Stati (uno dei quali, la sua Georgia), Gingrich è apparso davvero tra i papabili ‘pour l’espace d’un matin’.

Romney ha vinto prima del prevedibile Quattro anni fa, per portare un solo esempio, Obama fu certo della nomination solo ai primi di giugno, quando Hillary Clinton ebbe ad annunciare il suo ritiro. Ecco, per quanto da subito favorito, mesi orsono era difficile pensare ad una vittoria tanto precoce di Romney il quale, per conseguenza, pensa già oggi ad unificare il partito e conta sul molto tempo a sua disposizione per convincere anche gli Evangelici e i Tea Party. Anche dal punto di vista economico, la sua affermazione è assai produttiva: i finanziatori repubblicani eviteranno d’ora in poi di disperdere i fondi tra i diversi candidati.

112 Polemiche, confronti, wikipedia, antiche amicizie, prove e successivi sondaggi, attese… In secondo piano – e gli Stati che si sono venuti a trovare per il termine anticipato della corsa Gop in questa situazione soffrono grandemente per la oramai scarsissima visibilità – le prossime primarie e i caucus (e pensare che il 29 maggio si voterà in Texas mentre il 5 giugno in California, i due territori statali maggiormente rappresentativi in termini di delegati), sono da tempo partite le grandi, o piccole, manovre.

Mitt Romney prova, chiamandoli di volta in volta a far campagna con lui, i possibili compagni di cordata. Rubio lo ha seguito fino a pochi giorni fa, ora al suo fianco la senatrice del New Hampshire Kelly Ayotte. Dopo, guardando ai sondaggi, si vedrà se il primo ha davvero scosso i cuori ispanici o la seconda le donne.

Il vice presidente Joe Biden, nel frattempo, si mette in luce attaccando il mormone da infiniti punti di vista, in specie sul piano dell’inesperienza internazionale (peraltro, molte, in proposito, le fondatissime critiche fatte dall’entourage repubblicano ad Obama – si veda poche pagine indietro il testo di Karl Rove e Ed Gillespie).

Ancora a proposito di attacchi nei confronti di Romney, ecco uno spot che, in occasione del primo anniversario della cosiddetta (non esiste neppure una prova) uccisione di Bin Laden, afferma tranquillamente che con l’ex governatore a White House il capo di Al Kaida sarebbe ancora vivo.

Si scopre che Romney, ai primi passi nel mondo degli affari, ha lavorato, mantenendo dipoi ottimi rapporti, a lungo con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Chissà se e dove potrà portare in termini di appoggi e voti della importantissima comunità degli ebrei americani anche questa antica frequentazione?

Qualcuno, poi, si è divertito a confrontare le diverse stesure in corso di campagna dei riferimenti biografici dei differentii candidati su wikipedia. Infinite le modifiche, innumerevoli, secondo accadimenti e necessità, gli ‘aggiustamenti’.

113 30 APRILE 2012

Ipotesi e conteggi del Washington Post Come già detto, per vincere le elezioni presidenziali un candidato deve conquistare i voti di almeno duecentosettanta dei cinquecentotrentotto componenti del ‘Collegio elettorale’ e quindi dei grandi elettori che eleggono presidente e vice presidente. Guardando alle recenti consultazioni, i repubblicani non superano la soglia dei trecento voti, appunto ‘elettorali’, da oltre due decenni (quando George H.W. Bush ottenne quattrocentoventisei preferenze contro Michael Dukakis nel 1988). Mentre il democratico Bill Clinton si aggiudicò trecentosettanta grandi elettori nel 1992 e trecentosettantanove nel 1996, e Barack Obama vinse nel 2008 con trecentosessantacinque . Questo è determinato dal fatto che i democratici sono storicamente forti in alcuni Stati ‘pesanti’ come California, New York ed Illinois mentre i rivali nel campo possono fare affidamento solo sul Texas. Per questo, nonostante avesse vinto trenta Stati su cinquanta nel 2000 e trentuno nel 2004, George W. Bush non ha mai superato la soglia dei trecento voti. A causa della riorganizzazione dei distretti elettorali conseguente al censimento del 2010, se Romney riuscisse a emulare il Bush del 2000 otterrebbe i voti di duecentoottantacinque grandi elettori. Per far questo, il mormone dovrebbe aggiudicarsi cinque stati attualmente dati per ‘incerti’ (Nevada, Colorado, Missouri, Ohio e Florida) e conservare sia la North Carolina che la Virginia. Stando al Washington Post, per avere davvero chance contro Obama, Romney dovrebbe conquistare Stati come la Pennsylvania, il Michigan e il Wisconsin, che per oltre due decenni sono stati terra di conquista dei democratici.

Mie, conseguenti osservazioni Nella storia, guardando al confronto diretto democratici/repubblicani che prende il via nel 1856 (il Gop è fondato nel 1854), i presidenti eletti – e non considero a tal fine i vice subentrati in corso di mandato – sono James Buchanan (D), Abraham Lincoln (R), Ulysses Grant (R), Rutheford Hayes (R), James Garfield (R), Grover Cleveland (D), Benjamin Harrison (R), William McKinley (R), Theodore Roosevelt (R), William Taft (R), Woodrow Wilson (D), Warren Harding (R), Calvin Coolidge (R), Herbert Hoover (R), Franklin Delano Roosevelt (D), Harry Truman (D), Dwight Eisenhower (R), John Kennedy (D), Lyndon Johnson (D), Richard Nixon (R), Jimmy Carter (D), Ronald Reagan (R), George Herbert Bush (R), Bill Clinton (D), George Walker Bush (R), Barack Obama (D). In totale, come si vede, dieci democratici e sedici repubblicani. Nel periodo, quindi, i democratici hanno governato sessantaquattro anni e i Gop novantadue. Si deve, pertanto, concludere che gli americani, di norma, per la Casa Bianca, votano preferibilmente repubblicano specie ove si tenga conto che in molteplici occasioni la

114 scelta democratica è stata conseguente a situazioni particolari (gravi crisi economiche, spaccatura tra i Gop, guerre)

Quanto alla attuale situazione, la ripartizione dei delegati derivante dal censimento 2010 è maggiormente favorevole per casa repubblicana visto che i ‘Red States’ (ricordo, quelli che abitualmente votano appunto repubblicano) hanno un numero superiore di ‘voti elettorali’ rispetto a prima essendo aumentati i loro abitanti nel mentre diminuivano quelli dei ‘Blue States’ (che si esprimono quasi sempre per i democratici).

115 Giuliani appoggia Mitt, Bloomberg tergiversa ma probabilmente, Gingrich ufficializza… Una pizza insieme a New York. Ecco come e in qual modo l’ex sindaco della Grande Mela Rudolph Giuliani ha ufficializzato il proprio appoggio a Mitt Romney. Poi, i due sono andati a trovare l’attuale primo cittadino nuovayorchese Michael Bloomberg che li ha ricevuti nella sede della sua fondazione. Formalmente indipendente ma di simpatie repubblicane, Bloomberg non si è finora schierato. Incontra ora Romney, ha da poco visto alla Casa Bianca Obama… Tasta terreno e prospettive personali…

Nel frattempo, dando seguito alle promesse fatte, Newt Gingrich si è definitivamente accodato al mormone garantendogli il suo pieno sostegno.

Lo scontro tra i due fronti opposti è già virulento e, se non Romney e Obama personalmente, i due entourage se le dicono e danno di santa ragione. Si tirano fuori vecchi conti svizzeri intestati ad Ann Romney, si accusa il presidente di strumentalizzare il primo anniversario della morte di Bin Laden e, insomma, tutto fa brodo. E mancano un’infinità di giorni al fatidico 6 novembre..

116 2 MAGGIO 2012

Documenti

La politica energetica di Mitt Romney, un articolo di Monica Ogrodowski Con l’aumento del prezzo della benzina in testa alle preoccupazioni degli elettori, l’energia sarà probabilmente una delle questioni chiave della campagna presidenziale di quest’anno negli Stati Uniti. La proposta di politica energetica di Mitt Romney riprende quello che presumibilmente Obama avrà escluso – la versione di Romney di un approccio ‘all of the above’ nell’energia. Egli sostiene che l’indipendenza energetica richieda una politica volta ad utilizzare tutte le fonti di energia disponibili al fine di diminuire la dipendenza dell’America dall’estero. Questo significa, in particolare, aumentare la produzione domestica eliminando gli ostacoli allo sviluppo di fonti interne di petrolio, gas naturale, carbone ed energia nucleare anche attraverso l’esplorazione di depositi di shale oil. Esistono tre modi per farlo: riformare la regolazione, supportare l’aumento della produzione interna e concentrarsi sul finanziamento della ricerca di base e dello sviluppo. Partendo dalla sua esperienza nel business, un pilastro fondamentale di questa proposta è l’idea che l’energia non sia solo una materia di sicurezza nazionale ma anche generatrice di lavoro. Una politica ‘Pro-Jobs, Pro-Market, Pro-American Energy’ che, secondo questa posizione, avrebbe un impatto esteso sull’economia nazionale. L’offensiva della regolazione portata avanti dalla amministrazione Obama e i limiti imposti alle attività di perforazione petrolifera in aree sensibili dal punto di vista ambientale sono citate da Romney tra le ragioni principali dell’aumento così radicale del costo dell’energia. Pertanto, uno dei maggiori obiettivi della sua politica sarebbe quello di snellire la stringente regolamentazione che impedisce lo sviluppo delle riserve interne di petrolio e gas. Un’amministrazione Romney punterebbe ad aumentare significativamente le attività di perforazione petrolifera nazionale, consolidando e semplificando le procedure di rilascio dei permessi e le approvazioni per l’esplorazione e lo sviluppo e introducendo la possibilità di processi accelerati per le compagnie con affermati record di sicurezza. Inoltre, la legislazione ambientale considerata obsoleta sarebbe riformata in modo tale che l’ambiente verrebbe ugualmente salvaguardato ma non alle spese dell’industria e della creazione di lavoro.

117 Non solo, la proposta di Romney prevede anche di rimuovere l’anidrite carbonica dalla lista degli inquinanti soggetti a restrizioni secondo il Clean Air Act e di emendare le leggi relative all’acqua e all’aria pulita. Sul fronte nucleare, la politica di Romney punterebbe a riorganizzare la struttura regolatoria dell’industria con l’obiettivo di ridurre le restrizioni sulle decisioni per la concessione delle licenze e di aumentare l’innovazione. Per quanto riguarda il carbone – la fonte di energia più abbondante in America – una regolazione estesa diventerebbe cosa del passato, sostituita da una di più aggressivo perseguimento dello sviluppo. Particolare attenzione sarebbe posta sulle tecnologie che bruciano il carbone in modo pulito, preferite alle politiche di cap-and-trade1 che danneggerebbero l’economia statunitense e aumenterebbero le tariffe elettriche. Romney crede che conducendo dettagliate indagini sulle riserve nazionali di petrolio e gas naturale e aprendo queste riserve non sfruttate all’esplorazione e alla produzione, l’aumento della produzione domestica – e quindi l’aumento dei posti di lavoro - sia garantito. Una sua amministrazione porrebbe fine alla moratoria sulle attività di trivellazione in acque profonde del Golfo del Messico e supporterebbe tali attività anche in estreme piattaforme continentali dell’Atlantico e del Pacifico, nelle Western Islands, nell’ Alaska offshore e nel Parco Naturale Nazionale dell’Artico. Il taglio proposto ai tassi delle imposte sui redditi d’impresa dal trentacinque a venticinque per cento rientra in questo obiettivo. Un’altra priorità è la promozione delle relazioni con il Messico e il Canada e, in particolare, lo sviluppo delle loro risorse energetiche al fine di ottenere fonti sicure ed affidabili per l’economia americana. A questo scopo, il ritardo nella costruzione della pipeline Keystone XL, che aprirebbe le porte alle grandi forniture di petrolio canadese nel mercato americano, creando simultaneamente più di centomila posti di lavoro ‘shovel-ready’, è considerato uno dei massimi fallimenti dell’amministrazione Obama. Per quanto concerne l’industria dello shale gas (che ha avuto una forte espansione nei decenni passati ed ha rinvigorito una regione negli USA devastata dal crollo dell’acciaio americano, delle auto e delle industrie di carbone), ogni idea di imporre una normativa sul ‘fracking’ e sulla trivellazione orizzontale sarebbe totalmente scartata, dato il potenziale delle vaste riserve di gas naturale nel territorio statunitense. In ultimo, Romney propone di investire nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie energetiche . Il candidato repubblicano ha fortemente criticato il presidente per la troppa attenzione verso le energie rinnovabili del futuro (come il solare e l’eolico) alle spese delle più tradizionali fonti fossili di oggi, basate sul carbonio. Rigettando quello che chiama il “finanziamento irresponsabile ed immorale” delle singole compagnie da parte dell’amministrazione Obama, Romney propone di usare un meccanismo di finanziamento simile al DARPA2 per investire nella fondamentale missione del Dipartimento di Energia di portare avanti la ricerca di base.

118 Il denaro che sarebbe altrimenti investito nell’energia verde, che non è ancora efficiente e realizzabile secondo Romney, sarebbe reindirizzato al finanziamento della ricerca e dello sviluppo di nuove tecnologie energetiche. Romney sostiene che nel loro complesso queste importanti proposte di politica energetica condurranno l’intero Paese verso una ripresa economia, creando e salvaguardando posti di lavoro, diminuendo la dipendenza dall’estero, aumentando la produzione domestica e generando miliardi di dollari di ricavi per il Tesoro Americano – tutto ciò pur facendo “ogni sforzo per salvaguardare l’ambiente”.

______1. Le politiche di Cap-and-trade impongono un tetto vincolante alle emissioni di anidrite carbonica pur mantenendo una certa flessibilità nel modo in cui le compagnie vi si conformano. Ad esempio, le compagnie più efficienti possono vendere i loro permessi alle compagnie che non riescono a ridurre le emissioni altrettanto facilmente. 2. Il finanziamento DARPA (Defense Advanced ResearchProjects Agency) assicura una fonte di finanziamento di lungo termine e non politica per una varietà di tecnologie ancora in una prima fase di sviluppo.

119 Del difficile rapporto Gop/gay Lo sappiamo: da sempre, i repubblicani non sopportano i gay. Si è arrivati al punto che molti evangelici, nel 2008, non votarono McCain perché, ritenevano, non si fosse abbastanza duramente pronunciato contro ogni e qualsiasi loro istanza. A ribadire il concetto e a fornire una nuova arma ai democratici, ecco, oggi 2 maggio, la notizia delle dimissioni del portavoce di Romney Richard Grenell, dimissioni rese “a seguito”, ha affermato, “di numerosi attacchi ricevuti dai conservatori Gop riguardanti la sua appartenenza sessuale”. Una tegola, non di grosse dimensioni, ma una tegola caduta in testa al candidato mormone. Un discreto atout in mano ad Obama e ai suoi.

120 3 MAGGIO 2012

Michele Bachmann dichiara il proprio appoggio a Romney Nel mentre, poco seriamente ma mandando in visibilio i giornali dediti al gossip, molto si discute in merito ad una maglietta del valore di mille dollari indossata nel corso di un’intervista da Ann Romney (stia attenta, benedetta donna!), Michele Bachmann, uno dei massimi leader del movimento dei Tea Party, fino a pochi mesi orsono in corsa personalmente nelle primarie, ha dichiarato pubblicamente di appoggiare in tutto e per tutto Mitt Romney. Gran bella notizia questa per il mormone: alla fine, pare davvero che tutto il partito repubblicano lo segua e lo sostenga al di là ed oltre ogni divisione.

Dell’identificazione di Obama con Jimmy Carter Quale tra gli ultimi inquilini democratici di White House il meno capace? Quello rimasto nella memoria non per i risultati ottenuti ma per i suoi fallimenti, spesso, peraltro, enfatizzati? Quale l’ultimo democratico costretto a lasciare dopo un solo mandato? La risposta a queste tre domande è il povero e debole Jimmy Carter e proprio al presidente in sella dopo le elezioni del 1976 e defenestrato da Reagan i repubblicani paragonano ogni volta che possono Barack Obama. Dovrà questi reagire fermamente e allontanare da sé lo spettro del non troppo lontano predecessore. Non gli riuscisse, male decisamente gliene incoglierebbe.

Indiana, North Carolina, West Virginia E fra pochi giorni i Gop votano nell’Indiana, in North Carolina e in West Virginia. Tre primarie e un pacchetto di oltre centotrenta delegati in palio che il buon Mitt Romney conquisterà in gran numero facilmente. Lo ripeto, i giochi si sono conclusi – virtualmente anche se non formalmente – assai prima del prevedibile e se questo è un bene per il prescelto nonché per il partito nazionale, non lo è certamente per gli elettori (il cui voto ha perso peso), per le organizzazioni partitiche locali (si pensi a quelle, importantissime, del Texas e della California che saranno in causa rispettivamente il 29 maggio e il 5 giugno), per gli stessi delegati da eleggere.

121 I cattolici da che parte stanno? Ci si confronta su tutto, ovviamente. Si commissionano (ad opera non solo dei candidati o dei partiti ma, starei per dire soprattutto, dei media) sondaggi su ogni tema. Si analizzano preferenze di categorie, sessuali, per aree geografiche, religiose. Si guarda alla storia, ai risultati delle precedenti elezioni… E a quali risultati è arrivato Gallup con riferimento alle intenzioni di voto odierne (odierne, va ripetuto) dei cattolici, importanti sia in quanto numerosi sia per il fatto che, normalmente (ma non sempre), al momento della votazione, si schierano nelle urne a favore del vincente in una proporzione pressoché uguale a quella generale (mi spiego meglio: se l’eletto prevale per il cinque piuttosto che per il sei per cento nel totale dei suffragi, usualmente avrà vinto tra i cattolici con un margine non molto dissimile)? Ebbene, Romney e Obama possono teoricamente contare entrambi sul quarantasei per cento delle intenzioni di voto dei ‘papisti’ (in tal modo vennero indicati nel 1928 i sostenitori di Alfred Smtih, primo candidato cattolico alla presidenza). Ben lungi il momento – come confermano rilevazioni che danno Mitt e Barack alla pari in Ohio e Florida e cioè in due tra i maggiormente significativi ‘Swing States’ – di uno scioglimento dei giochi, che si annunciano particolarmente serrati salvo il sempre possibile, clamoroso errore dell’uno o dell’altro.

122 6 MAGGIO 2012

3.2.1: come, secondo Karl Rove, Romney vincerà E’ vero, la strada è stretta e il percorso tormentato, ma neri e latinos, guardando alle iscrizioni nelle liste elettorali, non sembrano essere a favore di Obama come nel 2008. E’ vero, le donne sono, stando ai sondaggi, in maggioranza con il presidente uscente ma le cose possono cambiare, magari affiancando al candidato mormone una Signora di spessore, e il Gop ne ha un buon numero. Karl Rove, guru della politica repubblicana e già stretto collaboratore di George Walker Bush, guardando non ai dati nazionali delle rilevazioni sulle intenzioni di voto ma correttamente alla situazione Stato per Stato, ha in questi giorni parlato di una strategia a suo parere vincente che ha chiamato ‘3.2.1.’. L’idea è quella di arrivare ai fatidici duecentosettanta voti elettorali in sede di Collegio Nazionale aggiungendo a quelli già certamente in cascina i delegati provenienti da ‘tre’ Stati tra quelli che usualmente si esprimono per i repubblicani (‘Red States’) e che Obama ha sottratto loro quattro anni fa per la critica situazione economica e a causa della debolezza di John McCain; ‘due’ tra gli Stati normalmente in bilico (gli ‘Swing States’); ‘uno’ tra quelli che quasi sempre votano democratico (‘Blue States’). L’attenzione, secondo Rove, deve quindi concentrarsi nel primo caso in particolare su Indiana, North Carolina e Virginia (elencati in ordine di crescente difficoltà: probabile la vittoria in Indiana, possibile in North Carolina, problematica in Virginia). Nel secondo, su Florida e Ohio, stando ai sondaggi, con notevoli possibilità. Nel terzo, di nuovo nell’ordine di difficoltà e ancora maggiori considerato che, come detto, si tratta di ‘Blue States’, su New Hampshire, Michigan e Pennsylvania.

Personalmente, ritengo che, senza troppi arzigogoli, l’intento debba essere, semplicemente (!?), quello di riconquistare tutti i ‘Red States’: possono, difatti, questi, sommando i delegati ai quali hanno diritto, ampiamente superare il quorum richiesto. Ripeto, per l’ennesima volta, quanto da me affermato fin dal novembre 2011: se attorno a Romney si compatterà l’intero partito non ci saranno problemi. A parole, ad oggi, Tea Party ed evangelici, per bocca appunto dei loro esponenti, hanno dichiarato di appoggiare il mormone. Se gli elettori seguiranno nell’urna le indicazioni ricevute, Obama lascerà Washington. Resterà, nel caso opposto.

123 7 MAGGIO 2012

Documenti

A proposito di ‘Southern Strategy’ di MdPR Terminata che fu, nel 1865, la Guerra di Secessione, all’incirca per una ventina d’anni gli Stati ex confederati del Sud furono governati dai cosiddetti ‘borboni’, definizione loro attribuita con riferimento ai reali di Francia che, di nuovo al potere dopo Napoleone, tentarono di ritornare tout court al precedente regime quasi che gli avvenimenti dei decenni precedenti non avessero avuto luogo. Per la storia, la denominazione non corrispose se non in minima parte al vero visto che molti degli amministratori succedutisi nel periodo erano su posizioni assai meno conservatrici dei predecessori. A partire indicativamente dal 1885 e addirittura fino ai primi Settanta del Novecento, comunque, le cose cambiarono e un solo partito ebbe a dominare, praticamente senza opposizione, la vita politica locale: il democratico. Sostanzialmente razzisti, conservatori, culturalmente legati alla tradizione, creazionisti, gli Stati del Sud furono per lunghissimi anni terra bruciata per i repubblicani tanto che le ‘vere’ elezioni erano da ritenere le selezioni interne ai democratici, dato il fatto che il prescelto per la carica in gioco aveva dipoi vita facilissima il giorno del voto. Ciononostante, a partire da Lincoln e, con la sola interruzione dei due mandati non consecutivi di Grover Cleveland, fino a William Taft, i Gop occuparono stabilmente White House vincendo a mani basse negli altri Stati. Trascorsa la parentesi Wilson (arrivato alla presidenza nel 1912 a causa delle divisioni interne dei repubblicani) e superati gli anni Venti, una delle infinite conseguenze della Grande Depressione fu lo stravolgimento politico che, in carica Franklin Delano Roosevelt, fece passare molti tra gli Stati usualmente repubblicani in campo avverso. Ritiratosi Truman, nel 1952, i Gop proposero per la Casa Bianca il generale Eisenhower. Consapevole delle proprie capacità e convinto di poter avere successo anche nel ‘nemico’ Sud, Ike, infrangendo vecchie regole comportamentali del partito che praticamente rifiutava di scendere a meridione per fare campagna elettorale ritenendolo inutile, percorse anche quelle terre. Nell’occasione e meglio nel successivo 1956, con qualche significativo successo. E’, comunque, nel 1964, nella disfatta (Lyndon Johnson travolse il loro Barry Goldwater), che davvero i repubblicani si rivolgono al Sud inaugurando la ‘Southern Strategy’, quella politica attenta alle istanze e alle necessità dei sudisti che poco dopo porterà il partito a conquistare velocemente gli Stati un tempo assolutamente democratici.

124 E’, quello del meridione americano, nel rifiuto di ogni residuo razzismo (non si dimentichi che il partito fu fondato per combattere lo schiavismo, che il primo presidente espresso fu Abraham Lincoln, che la Corte Suprema presieduta da Earl Warren, repubblicano, è quella che ha pronunciato nei Cinquanta del Novecento le storiche sentenze di apertura nei confronti delle minoranze razziali, che fu il repubblicano Eisenhower ad inviare nel Sud le truppe federali al fine di consentire l’applicazione delle medesime sentenze alle quali i governatori democratici - si pensi a George Wallace e ad Oral Faubus - si opponevano, che è stato George Walker Bush il primo presidente a chiamare alla segreteria di Stato un nero) , un repubblicanesimo conservatore, legato fortemente alla tradizione, religioso, molto differente dal repubblicanesimo del Nord industriale e lontano dall’ala radicale e libertaria che pure (si guardi a Ron Paul) nel Gop trova collocazione. E, d’altra parte, innumerevoli e perfino sostanziali sono, per esempio, anche le differenze esistenti tra un democratico, che so?, del Massachusetts e uno dell’Oklahoma. In buona sostanza, gli Stati del Sud trovano ora nello schieramento rappresentato da Romney una forte continuità con le loro posizioni pregresse. Dovrà, quindi, il candidato mormone - debole da questo punto di vista come si è constatato nel corso delle primarie non per caso colà vinte dai rivali Santorum e Gingrich - dedicare larga parte della sua campagna al Sud e far propria, eventualmente adattandola, la tuttora e maggiormente determinante ‘Southern Strategy’.

125 8 MAGGIO 2012

Santorum si schiera con Romney Rick Santorum, appoggia Mitt Romney nella corsa alla Casa Bianca. Lo ha annunciato - secondo quanto riporta Politico - in una mail inviata ai suoi sostenitori. I due ex rivali si sono incontrati venerdì a Pittsburgh per la prima volta da quando Santorum ha abbandonato la corsa in aprile. “Ambedue riteniamo che il presidente Barack Obama debba essere sconfitto. Il compito non sarà facile. E richiederà l'aiuto di tutti se vogliamo che il nostro candidato vinca. Il governatore Romney sarà il nostro candidato e ha il mio appoggio e il mio sostegno per vincere” afferma l’ex candidato. Dalle primarie è emerso che "io e il governatore Romney abbiamo delle posizioni differenti. Ma ci sono molte aree importanti in cui andiamo d'accordo: la necessità di ridurre le tasse, un governo meno ingombrante e una riduzione della spesa fuori controllo. Certamente siamo d'accordo sul fatto che l'aborto è inammissibile e che il matrimonio deve essere fra un uomo e una donna" mette in evidenza Santorum, precisando di essere d'accordo con Romney sul fatto che non bisogna "consentire all'Iran di avere armi nucleari".

126 9 MAGGIO 2012

Oltre i novecento delegati Va ovviamente trasformandosi in una marcia trionfale il cammino di Mitt Romney. Ieri, ha conquistato a man bassa un bel numero di delegati nelle primarie tenutesi nel North Carolina, nell’Indiana e in West Virginia. Secondo la CBS è arrivato a novecentotrentaquattro voti elettorali e raggiungerà il traguardo fatidico dei millecentoquarantaquattro probabilmente già entro fine maggio. Combatte ancora il vecchio Ron Paul e qualcuno, malgrado sia certificata l’impossibilità di una sua affermazione, tuttora lo segue.

I risultati secondo le prime indicazioni North Carolina 1) Mitt Romney 66% 2) Ron Paul 11%

Indiana 1) Mitt Romney 65% 2) Ron Paul 16%

West Virginia 1) Mitt Romney 70% 2) Ron Paul 12%

127 Matrimoni gay, sondaggi nazionali, Mary Fallin, Cher… Ieri, 9 maggio.

Obama: “Sono favorevole al matrimonio tra gay”, o pressappoco. Romney: “Il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna”. Due posizioni assolutamente contrapposte e inconciliabili sul tema come su infiniti altri: a proposito, per esempio, dell’ingerenza o meno dello Stato federale e della indipendenza minore o maggiore dei singoli Stati, dell’economia, di tutti o quasi i restanti temi sociali, della stessa politica estera.

Sondaggi nazionali riferiti ai giorni 7 e 8 maggio: Rasmussen, Romney al quarantanove (49) per cento, Obama al quarantaquattro (44). Reuters Ipsos, Romney al quarantadue (42) per cento, Obama al quarantanove (49). Gallup Tracking, Romney al quarantasette (47) per cento, Obama al quarantaquattro (44).

Nel mentre l’attrice e cantante Cher si dichiara a favore di Obama affermando che non potrebbe addirittura vivere in un Paese governato da Romney e dai suoi sostenitori (e, senza dubbio, sulla sua stessa linea si posizioneranno moltissimi altri protagonisti dello spettacolo), la governatrice dell’Oklahoma Mary Fallin annuncia ufficialmente il suo incondizionato appoggio al mormone che sembra riuscire laddove McCain nel 2008 fallì: nella unificazione del Gop.

Gallup a proposito delle capacità dei contendenti nel campo economico L’economia si conferma il tema più insidioso per la campagna elettorale del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Perché gli americani, in quell’ambito, si fidano più di Mitt Romney. E’ il risultato dell’ultimo sondaggio (datato 10 maggio) di Gallup, secondo cui il sessantuno per cento degli elettori registrati nelle liste elettorali promuove il candidato repubblicano (per il sedici per cento farebbe un ottimo lavoro, per il quarantacinque un buon lavoro), contro il cinquantadue sempre per cento che esprime fiducia nei confronti del presidente (diciassette e trentacinque). Ancora più ampio il margine in favore di Romney sulla sfiducia dei cittadini: il ventidue per cento crede che Obama farebbe un lavoro pessimo, contro il dieci convinto che sarebbe invece Romney a risultare inadatto. Davanti alla scelta tra i due candidati, il quarantasette per cento si esprime a favore dell’ex governatore del Massachusetts, il quarantacinque per il presidente. Significativo il risultato emerso tra gli indipendenti: il cinquanta per cento, tra i due, sceglierebbe Romney; il quaranta Obama.

128 Una tendenza? Nel frattempo, Scott Rasmussen assegna per la prima volta un margine decisamente ampio a favore del mormone che sarebbe favorito ad oggi dalla metà esatta degli elettori (il sondaggio non riguarda esclusivamente i già iscritti alle liste elettorali ma tutti) contro i quarantatre per cento del presidente in carica. Importante il fatto che tale distacco (superiore al tre per cento e cioè al margine di errore sempre possibile) si manifesti dopo che per mesi Obama ha sopravanzato Romney e dopo un sostanziale pareggio protrattosi per quasi tre settimane. Una tendenza, dunque?

Romney corteggia gli evangelici Come Ronald Reagan, i due Bush e John McCain prima di lui, Mitt Romney ha corteggiato gli evangelici in una delle più grandi e prestigiose università cristiane degli Stati Uniti, sabato scorso 12 maggio in Virginia. L’unica vera differenza con i citati predecessori consiste ovviamente nel fatto che il candidato sia un mormone ed anzi il primo appartenente a questa religione ad esprimersi nella Liberty University. Romney ha affrontato la questione in maniera sicura giocando la carta della libertà. “Gli addetti a differenti confessioni religiose come la vostra e la mia si trovano a volte a condividere ideali comuni. Anche se esistono molte differenze, abbiamo gli stessi valori morali e le stesse tradizioni religiose che sono al centro della storia e nel cuore della leadership degli Stati Uniti d’America”, ha detto l’ex governatore di fronte a ben trentacinquemila persone. Mitt ha inoltre rassicurato tutti sulle questioni concernenti i valori ‘americani’: il lavoro, la responsabilità personale, l’educazione, il servizio delle comunità, l’altruismo e la famiglia. A giudicare dalle reazioni manifestate dai leader conservatori, Romney sembra aver agito in maniera positiva, come confermano le parole di Tony Perkins, presidente del Family Research Council: “Credo che abbia toccato le questioni prioritarie dei conservatori”. Lo staff dell’ex governatore del Massachusetts ha comunque confermato che fino a novembre non pronuncerà discorsi di natura religiosa, proprio come John Kennedy fece a proposito del cattolicesimo nel 1960. Mitt Romney vuole restare concentrato e focalizzato sul punto debole di Obama, l’economia.

129 14 maggio 2012

Ron Paul sospende la campagna elettorale Restava un solo avversario, a parole deciso a combattere fino all’ultimo per la nomination. Alla fine, anche quest’ultimo ostacolo sulla strada di Romney è caduto. Per il vero, Ron Paul – è di lui che si parla – non ha del tutto abbassato le armi avendo dichiarato non di ritirare la propria candidatura ma di sospendere ogni attività propagandistica. Continuerà la corsa ma senza spese ulteriori, segno evidente di un esaurimento di fondi senza rimedio. Reso l’onore delle armi al texano, Romney ha davvero, a questo punto, la strada spianata all’interno del Gop.

130 Gente di Hollywood e riccastri vari Come sempre o pressappoco, attori, registi, sceneggiatori e, in genere, ‘quelli di Hollywood’, ed anche molti di Broadway, si schierano dalla parte dei democratici. E’ una specie di riflesso inconscio: parte la campagna ‘vera’, quella che confronta alla fine delle primarie i due candidati, e i divi si dichiarano appunto democratici, nel caso a favore di Obama. Non è, ovviamente, che le opinioni di George Clooney e compagnia bella spostino granché (e basti ricordare il sostegno di costoro a Kerry nel 2004 con quel bel risultato nonché, nel 1964, l’aiuto invano dato dal divissimo John Wayne a Barry Goldwater) ma occupa per un pezzo le pagine che i media meno avvertiti dedicano alle elezioni USA. Comunque, oggi, col predetto Clooney, sono Steven Spielberg, Al Pacino, Robert De Niro, Tom Hanks, Sharon Stone, Robert Downey jr, Julia Roberts, Sean Penn, Ophra Winfrey e, fra i ricconi, Bill Gates. Dall’altra parte, pochi ma buoni: Robert Duvall, John Voight, Angelina Jolie, Chuck Norris e il creso Donald Trump.

131 15 MAGGIO 2012

Documenti

La religione e la Casa Bianca, di MdPR George Washington: anglicano John Adams: unitarianista Thomas Jefferson: unitarianista James Madison: deista James Monroe: episcopale John Quincy Adams: unitarianista Andrew Jackson: presbiteriano Martin van Buren: Chiesa tedesca riformata William Harrison: episcopale John Tyler: episcopale James Polk: presbitariano Zachary Taylor: episcopale Millard Fillmore: unitarianista Franklin Pierce: episcopale James Buchanan: presbiteriano Abraham Lincoln: deista Andrew Johnson: Chiesa non identificata Ulysses Grant: metodista Rutherford Hayes: metodista James Garfield: discepoli di Cristo Chester Arthur: episcopale Grover Cleveland: presbiteriano Benjamin Harrison: presbiteriano William McKinley: metodista Theodore Roosevelt: Chiesa tedesca riformata William Taft: unitarianista Woodrow Wilson: presbiteriano Warren Harding: battista Calvin Coolidge: congregazionista Herbert Hoover: quacchero Franklin Delano Roosevelt: episcopale Harry Truman: battista Dwight Eisenhower: presbiteriano John Kennedy: cattolico Lyndon Johnson: discepolo di Cristo Richard Nixon: quacchero Gerald Ford: episcopale

132 Jimmy Carter: battista Ronald Reagan: discepolo di Cristo e poi presbiteriano George Herbert Bush: episcopale Bill Clinton: battista George Walker Bush: episcopale e poi metodista Barack Obama: christianithy

Infinite o quasi le Chiese protestanti americane, come si vede anche solo guardando alle appartenenze religiose dei quarantatre uomini che sono arrivati a sedere sullo scranno presidenziale. (Per inciso, rammento che Obama è il quarantaquattresimo inquilino di White House perché Grover Cleveland, eletto due volte ma non consecutivamente, è inserito per tale ragione nell’elenco sia quale ventiduesimo che quale ventiquattresimo capo dello Stato). Molti, oltre quelli dei quali si è dato conto, capaci di trasmigrare da una congregazione all’altra. Uno, John Kennedy, non wasp (white, anglosaxon, protestant) in quanto cattolico. Uno, Barack Obama, non wasp perché nero. Difficile, e per lunghissimi decenni addirittura impossibile, percorrere con qualche speranza di vittoria la strada verso la Casa Bianca per quanti non fossero protestanti. Il primo fedele del Papa ad ottenere la nomination (in casa democratica e vedremo che è sempre nel partito dell’asino che appunto i cattolici riescono in qualche modo a farsi valere), nel 1928, Alfred Smith. Fu, la sua, una campagna sfortunatissima: i tempi non erano maturi e la gente non poteva nemmeno prendere in considerazione l’idea che un ‘papista’ (fu in tal modo, con disprezzo, denominato e citato) arrivasse a governare un Paese per larghissima parte protestante. Ammaestrato dal negativo esito di Smith, nel 1960 (e i tempi erano cambiati), John Kennedy, ottenuta la nomination democratica, si rivolse, in un famoso e ricordato discorso tenuto a Houston nel Texas, ai pastori delle diverse Chiese per dichiarare la propria propensione per la separazione tra Stato e Chiesa rifiutando di essere considerato ‘il candidato cattolico’ per definizione. Gli americani, disse nell’occasione, avevano la possibilità votando per lui di riaffermare la loro tolleranza in materia di religione e di dimostrare che non era impossibile per un cattolico arrivare a White House. Il terzo candidato fedele al Papa, ancora un democratico, è stato nel 2004, John Kerry. Il fatto che fosse un ‘papista’ non importava oramai a molti se non alla destra repubblicana che mai, comunque, avrebbe potuto votarlo proprio in quanto democratico e ‘nemico’. La sua non gloriosa fine – perse nettamente dal secondo Bush – di certo non dipese dalla sua fede. Quanto ad Obama – e non dimentichiamo che molti sono ancora coloro che dubitano della sua cittadinanza USA dalla nascita e quindi della sua legittimazione ad occupare

133 lo scranno presidenziale – si è lungamente parlato di una sua originaria appartenenza alla religione islamica. Dicerie, delle quali il popolo dei votanti, come si è visto, non ha tenuto conto alcuno.

134 15 maggio 2012

George Walker Bush endorsement Ed ecco che il cerchio si chiude. L’ex presidente George Walker Bush ha messo fine ai tentennamenti e si è dichiarato a favore di Mitt Romney. Con ogni probabilità, non poche riserve a muoversi in tal senso dell’ultimo inquilino Gop di White House derivavano dal pensiero che, essendo il suo nome, a torto o a ragione (ritengo decisamente a torto) associato ad un periodo storico a dir poco difficile, ad attentati, a guerre, a crisi economiche epocali, il suo ‘abbraccio’ potesse portare a sgradevoli conseguenze. Ora, se gli evangelici e i Tea Party procederanno secondo le indicazioni ricevute dai loro rappresentanti a livello politico e religioso, il partito repubblicano è compatto. Basterà conquistare gli Stati abitualmente Gop per vincere: i loro delegati sono ampiamente sufficienti.

135 PARTE SECONDA

136 VERSO LE CONVENTIONS (alla domanda “E’ davvero Romney il candidato inevitabile e l’unico possibile e serio oppositore di Obama?” è stato risposto positivamente. A primarie Gop ancora – inutilmente, verrebbe da dire e guarderemo per questo di sfuggita ai prossimi esiti - in corso, occupiamoci con maggiore attenzione dei due fronti contrapposti.)

15 maggio 2012 Obama contro la Romneyeconomics Nelle ultime ore, botta e risposta a suon di spot televisivi sui maggiori network americani. Lo staff di Obama cerca di attaccare Romney e il suo curriculum economico. I repubblicani si gustano il vantaggio registrato dai sondaggi sulle intenzioni di voto. Con le primarie Gop in Nebraska e Oregon in programma oggi, Mitt Romney intravvede l'investitura ufficiale a sfidante di Barack Obama. All'ex governatore del Massachusetts manca poco per centrare l'obiettivo e ieri il ritiro di Ron Paul gli ha aperto la strada. Ma la campagna per la Casa Bianca di fatto è già in atto. Nelle ultime ore, si diceva, botta e risposta a suon di spot televisivi sui maggiori network americani. Protagonisti dello spot-denuncia dei democratici, i tecnici della GST Steel, un'azienda siderurgica con centocinque anni di storia rilevata da BAIN Capital e pilotata verso il fallimento: addio posto di lavoro, pensione, copertura sanitaria. La campagna di Obama punta al cuore di Mitt Romney, che con Bain ha guadagnato milioni di dollari, per attaccare anche sul web la Romneyeconomics: vecchie ricette che, secondo i democratici, mettono gli utili di pochi davanti al benessere di molti. Uno spot al quale il candidato repubblicano, avanti di tre punti sul presidente democratico nell'ultimo sondaggio del New York Times, risponde con un'altra storia, quella dei lavoratori della Steel Dynamics, un'azienda salvata dalla BAIN. Nel botta e risposta degli spot, due differenti visioni del capitalismo americano e del suo futuro, proprio mentre sui giornali emerge il contrasto fra gli azzardi finanziari costati a JP Morgan due miliardi di dollari e le difficoltà delle famiglie: oltre il ventitre per cento non riesce a mettere da parte nulla a fine mese.

137 Sullo sfondo, a quattro anni dall'esplosione della crisi a Wall Street, l'impotenza della politica nei confronti della finanza. JP Morgan da sola ha oliato con cento milioni di dollari i colloqui nei palazzi di Washington dove si discutevano le riforme. L'argine alle 'scommesse' su titoli di 'finanza sintetica' ancora non c'è. Tutti perfettamente legali e impermeabili a controlli, insomma, i maxi profitti con la finanza creativa. Per Romney, non è questo il problema: i guai arrivano quando il governo spende troppo e lo Stato pretende di sostituirsi all'iniziativa privata. Per Obama il problema c'è ma non si può esagerare: lunedì sera, in fondo, a cena con lui era il numero uno di un colosso di ‘private equity’, Blackstone. E per esserci ha staccato un assegno di trentacinquemila dollari alla campagna per confermarlo alla Casa Bianca.

138 16 MAGGIO 2012

I risultati in Oregon e nel Nebraska Contano oramai ben poco, ma, in sordina, continuano le primarie tra i repubblicani. Inoltre, con una anomalia: essendosi Santorum, Gingrich e Paul ritirati relativamente da poco, nelle schede elettorali i loro nomi compaiono ancora e qualche nostalgico, malgrado tutto, li vota. Ed ecco, quindi, che, stando ai primi dati, in Oregon Romney cattura un buon sessantadue per cento (62%) mentre a Paul va il dodici. Ed ecco che in Nebraska, a scrutini non terminati, il mormone becca il settantuno per cento (71%) e Santorum conquista il quattordici.

139 17 MAGGIO 2012

Documenti

Polemiche e affari, un articolo di Michele Paris pubblicato on line su ‘Altrenotizie’ A poche settimane dall’avvio ufficiale della campagna elettorale per le presidenziali negli Stati Uniti, i due principali candidati alla Casa Bianca si stanno scontrando in questi giorni sulla delicata questione delle responsabilità del settore finanziario d’oltreoceano nella crisi economica e sulla sua regolamentazione. I toni populisti di Obama si scontrano con la difesa pressoché totale di Wall Street da parte di Mitt Romney, anche se la retorica elettorale nasconde una realtà ben diversa, cioè il completo asservimento di entrambi i partiti all’oligarchia finanziaria americana. Questa settimana, il presidente democratico ha lanciato una nuova campagna televisiva e sul web volta a screditare il rivale repubblicano, accusato di aver agito senza scrupoli durante gli anni trascorsi alla guida della compagnia operante nel private equity, Bain Capital. In particolare, il video prodotto dal team di Obama racconta di come la compagnia di Romney fece fallire un’acciaieria del Missouri nel 2001 dopo averla acquisita nel 1993, provocando la perdita del posto di lavoro per tutti i dipendenti, pur incassando dall’operazione qualcosa come dodici milioni di dollari. Se la vicenda descritta dimostra efficacemente i disastri compiuti da simili compagnie e la condotta del miliardario mormone mentre operava nel private equity, quest’ultimo settore rappresenta tuttavia una consistente fonte di finanziamenti per Obama. Poco dopo la presentazione del video elettorale anti-Romney, infatti, il presidente ha partecipato ad una raccolta fondi esclusiva presso l’abitazione di Manhattan di Hamilton “Tony” James, presidente di Blackstone Group, la più importante compagnia statunitense del private equity. I partecipanti all’evento newyorchese con Obama hanno sborsato trentacinquemila e passa dollari ciascuno per essere presenti, consentendo alla campagna elettorale del presidente di raccogliere più di due milioni di dollari in un colpo solo. La doppiezza di Obama, il quale nel recente passato aveva più volte indicato Blackstone Group come uno degli esempi degli eccessi di Wall Street, ha costretto uno dei suoi portavoce a spiegare ai giornalisti che le critiche della Casa Bianca sono sempre state rivolte agli individui e non all’industria finanziaria in quanto tale. Come se non bastasse, da Bain Capital la campagna per la rielezione di Obama ha già ottenuto finanziamenti tra i cento e i duecentomila dollari grazie agli sforzi nella raccolta fondi di Jonathan Lavine, uno dei top manager della compagnia che fu di Romney. Gli attacchi di Obama all’ex governatore del Massachusetts e al mondo della finanza sono iniziati qualche giorno dopo la diffusione della notizia della perdita di due

140 miliardi di dollari subita dalla banca d’affari JPMorgan Chase in seguito ad operazioni speculative condotte dall’ufficio di Londra. Oltre a dimostrare che dopo quasi quattro anni dal crollo di Lehman Brothers, che innescò una rovinosa crisi planetaria, non sono state adottate misure efficaci per regolamentare il settore finanziario, la debacle di JPMorgan rappresenta un imbarazzo per entrambi i candidati. Solo per la campagna elettorale in corso, i dati del Center for Responsive Politics indicano che Barack Obama ha ottenuto finora settantaseimila e settantasei dollari dai dipendenti JPMorgan. Decisamente più alta è la cifra andata invece a Romney, di gran lunga il maggior beneficiario delle donazioni JPMorgan quest’anno con oltre trecentosettantamila dollari. Il CEO, Jamie Dimon, pur contribuendo solitamente per entrambi i partiti, ha peraltro prediletto quelli democratici, ai quali ha personalmente donato oltre centocinquantamila mila dollari dal 2007 ad oggi. Secondo i dati resi pubblici martedì, infine, la famiglia Obama dispone di un conto presso JPMorgan per una cifra compresa tra i cinquecentomila mila e il milione di dollari. Sulla vicenda JPMorgan, nel corso di una recente intervista Obama ha sostenuto che simili esempi dimostrano come sia necessaria una più incisiva regolamentazione del settore finanziario, mentre Romney chiede addirittura l’abrogazione della già debole riforma approvata dai democratici nel luglio 2010 (Dodd-Frank Act). Tuttavia, ben consapevole dell’importanza del denaro di Wall Street per le sue possibilità di rielezione, il presidente ha avuto parole di elogio per JPMorgan, definita “una delle banche meglio gestite”, e per Jamie Dimon, a suo dire “uno dei migliori banchieri”. L’indulgenza di Obama è d’altra parte in sintonia con le rassicurazioni offerte più volte da egli stesso e dai membri del suo staff agli ambienti finanziari, come ha fatto lo scorso febbraio, secondo quanto riportato l’altro giorno da Bloomberg News, il responsabile della campagna elettorale del presidente, Jim Messina, il quale nel corso di un incontro con facoltosi donatori del partito democratico ha garantito che il presidente non intende in nessun modo demonizzare Wall Street. Le uscite di Obama contro le élite economiche e finanziarie degli Stati Uniti sono dunque pure trovate propagandistiche che fanno leva sulla profonda avversione comprensibilmente diffusa nel paese verso i responsabili della crisi in corso. Con un’economia che mostra solo debolissimi segnali di miglioramento, l’inquilino della Casa Bianca si ritrova perciò costretto a puntare su appelli populisti, accusando Wall Street per la precaria situazione interna. Tanto più che i sondaggi di questi giorni indicano una ripresa di Mitt Romney e ancora maggiori difficoltà in vista per il presidente se il quadro economico dovesse peggiorare nei prossimi mesi. Una recente indagine di USA Today e Gallup, ad esempio, indica come il cinquantacinque per cento degli americani ritenga che l’economia migliorerebbe con

141 Romney presidente, contro appena il quarantasei per cento nel caso Obama dovesse riuscire a conquistare la rielezione il prossimo novembre.

142 La crisi economica europea favorisce Romney Ho detto e ripetuto che, per quanto i due candidati si agitino rappresentando idee spesso del tutto divergenti a proposito del sociale, della maggiore o minore autonomia degli Stati rispetto al governo federale, della politica estera, per quanto le contrastanti opinioni riguardo ai problemi etici (aborto e diritti dei gay in primis) siano importanti (soprattutto per rafforzarsi all’interno dei due partiti e per chiamare a sostegno le proprie truppe), determinante ai fini della vittoria dell’uno o dell’altro sarà la situazione economica. Ed ecco, quindi, che i gravissimi problemi appunto economici europei possono, non incredibilmente, largamente influire. Essendo la crisi internazionale, perfino l’eventuale uscita di un Paese apparentemente periferico come la Grecia dall’Europa e dall’euro coinvolgerebbe, oltre la loro volontà, gli USA, per non parlare delle difficoltà alle quali andrebbero incontro nel caso, non improbabile, di una disfatta della nostra moneta. Nel mentre, oggi, adoperandosi con energia l’establishment democratico al potere per contenere i disagi in terra americana e consentire ad Obama di presentare una situazione in ripresa, gli USA sembrano economicamente respirare meglio, dovesse davvero saltare quantomeno la Grecia, la strada verso White House sarebbe del tutto facile per il candidato repubblicano. In primo luogo perché, sempre, in caso di crisi, si cerca di cambiare comunque cavallo. In secondo luogo, perché da tutti considerato il migliore atout possibile per la riconosciute e dimostrate competenze nel ramo.

Ci si deve fidare delle promesse dei candidati? Wilson, nel corso della campagna 1916, aveva fatto promettere dai suoi collaboratori che, lui nuovamente presidente, l’America non sarebbe entrata in guerra (la prima mondiale, naturalmente). Non mantenne la parola. Allo stesso modo, mentendo riguardo alle proprie intenzioni, in molteplici altre occasioni un bel numero di candidati dipoi vincenti. Fra i mentitori, qualcuno vuole inserire il secondo Bush che nel 2000 aveva promesso moderazione sul piano degli esteri ma non è possibile dimenticare che ragione unica nel cambio di direzione sono stati gli attentati dell’11 settembre 2001. Non è, pertanto, solo questione di malafede, ma anche di necessità: in ragione dell’una assai di frequente, dell’altra in alcuni casi, le promesse del candidato non vengono mantenute.

143 18 MAGGIO 2012

Un possibile colpo sotto la cintura Fare esattamente quello che John McCain non ci ha permesso di fare nel 2008. E' questo l'obiettivo dichiarato da parte degli ideatori di una nuova campagna estremista che a colpi di spot da milioni di dollari vuole demolire l'immagine di Barack Obama. E per farlo vogliono ricordare agli elettori gli antichi legami di Barack e Michelle con il controverso Pastore Jeremiah Wright, un ecclesiastico radicale, molto vicino alle tesi del movimento della 'Black Liberation Theology'. Il piano, svelato dal New Yok Times é di quelli da fare tremare i polsi per la sua aggressività, tanto che lo stesso Mitt Romney, a caldo, ha preso subito le distanze. Prevede la spesa di almeno dieci milioni di dollari per produrre uno spot di cinque minuti, dal titolo 'Next', che dovrebbe uscire in corrispondenza con l'inizio della Convention democratica di settembre. L'iniziativa è di un gruppo di grandi strateghi repubblicani, aiutati da una serie di multimilionari ultra-conservatori vicini al Superpac di Joe Ricketts, 'Ending Spending for Goods', fondatore dell'azienda Americatrade e uno dei proprietari della squadra di baseball dei Chicago Cubs. Il progetto, definito in ogni dettaglio, tuttavia non ha avuto ancora il via libera definitivo. S'intitola 'The Defeat of Barack Hussein Obama: The Ricketts Plan to End Spending for Good'. Secondo il piano della comunicazione, a un certo punto i repubblicani assumeranno un portavoce nero, 'estremamente qualificato e colto', che sarà pagato per dimostrare agli elettori come Obama abbia ingannato l'America proponendosi come un 'nuovo Abe Lincoln, ma nero e metrosexual'. Tutta la campagna parte da una premessa: John MacCain, nel 2008, ha fatto male a non attaccare frontalmente Obama ricordando la sua amicizia con Wright, malgrado Obama avesse lasciato la sua Chiesa proprio durante la campagna elettorale. Addirittura, già all'epoca questa stessa organizzazione fece preparare un video per porre l'accento su questo tema, video che McCain decise di non mandare mai in onda. E oggi Rickett, presentando l'iniziativa, scrive: 'Se la Nazione avesse potuto vedere quello spot, non avrebbe mai eletto Obama presidente'. Ma questo tipo di campagna ultra-negativa potrebbe essere un boomerang per Mitt Romney, da settimane impegnato a spostare l'attenzione degli elettori sul tema dell'economia. Insomma, demonizzare eccessivamente Barack, usando la sua religione e il suo passato, rischia di essere controproducente per il primo candidato mormone a correre per la Casa Bianca.

144 Raccolta fondi in aprile Parliamo della raccolta fondi effettuata dai candidati con annessi e connessi e non dei Superpac. Nel mentre Obama mantiene o diminuisce di poco il numero di milioni di dollari che gli riesce di raccogliere (all’incirca cinquanta/cinquantatre al mese), Romney passa da una cifra miserella a questi livelli (una dozzina a marzo) a quaranta milioni abbondanti ad aprile. Fatto è che, ritiratisi gli avversari interni, il partito con il suo Comitato nazionale ha potuto a sua volta muoversi. Ora, nel mentre i contributi dei singoli al candidato hanno il limite fissato in duemilacinquecento dollari (che possono essere versati due volte, la prima durante le primarie e la seconda nel corso del confronto finale), quelli al partito possono arrivare addirittura a settantamilaottocento. La musica è in tal modo decisamente cambiata.

Sondaggi e gradimento Per la prima volta la metà' dei cittadini americani, esattamente il cinquanta per cento, afferma di avere un'opinione favorevole di Mitt Romney. E' quanto emerge da un sondaggio condotto dall'istituto demoscopico Gallup. Si tratta del dato migliore per l'esponente del Grand Old Party dal 2007, al suo primo tentativo di ottenere la nomination, e segna un incremento di ben undici punti percentuali rispetto all'ultimo rilevamento di tre mesi fa. Solo il quarantuno per cento dei potenziali elettori ha detto di averne un'opinione negativa. In febbraio erano rispettivamente il trentanove e il quarantasette. Per quanto riguarda il presidente uscente, il democratico Barack Obama, il suo tasso di gradimento presso l'elettorato si mantiene stabile: cinquantadue per cento favorevoli, quarantasei contrari. Obama resta dunque davanti, ma la rimonta del suo avversario appare innegabile anche sotto questo profilo. L'ex governatore del Massachusetts fa registrare il proprio 'appeal' maggiore presso coloro che si dichiarano ideologicamente in linea con il partito, tra i quali è salito dal sessantacinque addirittura all'ottantasette per cento. Bene, comunque, la sua ascesa tra gli indipendenti, dal trentasette al quarantotto per cento, mentre tra i filo-democratici ha guadagnato appena un punto, dal diciassette per cento al diciotto.

Il presidente più ricco Dovesse essere eletto presidente, Mitt Romney sarebbe l'uomo più ricco ad aver mai varcato la soglia della Casa Bianca.

145 La rivista 'Forbes' ha fatto i conti in tasca al candidato repubblicano e ha stimato che la sua fortuna vale duecentotrenta milioni di dollari. A confronto con il colosso Romney in termini di verdoni e beni, l'attuale presidente americano Barack Obama, come la maggior parte dei suoi predecessori, sono dei nani.

146 18 MAGGIO 2012

Documenti

Come si distribuiscono i contributi dei piccoli finanziatori, Superpac, quindi, esclusi, articolo di Michele Zurleni su Panorama.it Nonostante la presenza del pediatra Doug Ross (alias George Clooney, se mai ci fosse bisogno di specificarlo, chi non ha visto E.R. alzi la mano) tra i grandi sostenitori di Barack Obama, i medici americani non sembrano essere intenzionati a seguire in massa l’esempio del (finto) collega e si dividono su chi votare per la Casa Bianca. La loro scelta non dipende dall’indossare il camice (bianco), ma dalla specializzazione. O meglio: i medici generici vorrebbero dare la loro fiducia al presidente , mentre gli specialisti tenderebbero a favorire il rivale. Chirurghi, dentisti, radiologi, anestesisti, neurochirurghi e anche podologhi voterebbero per il candidato del Gop. La fonte di questa notizia è la rivista on line ‘Salon’ che è andata a spulciare tra i (piccoli) finanziatori di Barack Obama e di Mitt Romney. Migliaia di persone (mezzo milione) che hanno foraggiato con qualche centinaia (o qualche migliaia, in qualche caso) di dollari le casse dei comitati elettorali, arrivando a dare ai due una cifra che si aggira attorno ai centosettantasette milioni di dollari. Lo studio delle liste dei donatori fa comprendere come si sono divise le categorie produttive americane. E le sorprese non mancano. La prima è che se è vero che Mitt Romney riceve molti soldi da banchieri e finanzieri (confermando da che parte sta Wall Street) è anche vero che il candidato del Gop è aiutato da tipologie di lavoratori che sarebbe più naturale collocare nel campo avverso. Per esempio, chi poteva pensare che ci fossero più minatori a finanziare la campagna del candidato repubblicano di quanti, invece, abbiano foraggiato quella del presidente? Certo, se si pensa a una certa America rurale e profonda, la sorpresa dovrebbe essere inferiore, ma comunque sia il dato è decisamente curioso. E chi avrebbe mai immaginato che i barbieri preferiscono Romney e spunterebbero volentieri (la citazione, il gioco di parole è dall’articolo di Salon) Obama dalla corsa alla Casa Bianca? Questione di taglio di capelli? In ogni caso, questo dicono le statistiche dei donatori. Che indicano anche come gli agenti di viaggio, i camionisti, i librai e i diplomatici stiano dalla parte di Obama mentre i gioiellieri, gli ingegneri meccanici e gli ottimizzatori siano con Romney.

147 Il quale incassa (letteralmente) i favori dei guidatori di autobus, dei piloti e dei funzionari di polizia. Il mondo dell’informatica e del web ama il presidente. E così è anche per quello accademico. I professori lo premiano. Se si guardano le liste dei donatori di Mitt Romney non si troveranno i nomi di insegnanti di filosofia o di inglese mentre quelle di Obama ne sono piene. Nell’inchiesta di Salon anche molte conferme: cultura e spettacolo vogliono un secondo mandato . Si schierano dietro Obama quelli che hanno un lavoro creativo, come gli architetti e i designers, e i membri delle organizzazioni sindacali, mentre Mitt Romney è aiutato dagli uomini di affari. L’altra conferma è che la maggior parte di questi (circa) cinquecentomila piccoli donatori hanno deciso di supportare Obama (solo novantamila quelli a favore del candidato repubblicano) con un conseguente, diverso introito per i due (cento milioni Obama e settantasette Romney). Ma, si sa che questa è una delle armi (finanziarie) per la campagna elettorale del presidente. Nel 2008, questo tipo di raccolta fondi fu uno dei punti di forza della sua vittoria contro John McCain.

148 19 MAGGIO 2012

Documenti

Il primo giorno, un articolo di MdPR Nel 1935, Huey Long (noto come ‘The Kingfish’) - l’ex governatore populista e democratico della Louisiana, da qualche tempo senatore a Washington, critico nei confronti del presidente Franklin Delano Roosevelt la cui elezione aveva assolutamente voluto nel 1932 (era stato tra i sostenitori del secondo Roosevelt già nel corso della convention del partito dell’asino), assertore nella congerie conseguente il crollo di Wall Street e nel pieno della Grande Depressione di una politica economica rivoluzionaria che fortemente contrastava con quella governativa a suo dire inconcludente - annunciò la propria candidatura a White House in vista delle presidenziali del successivo 1936. Decisamente temuto per l’impeto e la popolarità nazionale dal capo dello Stato in carica, Long fu assassinato ancora nel 1935 per questioni inerenti la vita privata lasciando il testimone, ma esclusivamente nella natia Louisiana, al fratello Earl, personalità peraltro assolutamente meno dirompente. Per inciso, le vicende politiche e personali dei due germani interessarono Hollywood che al primo (Huey), ricavando il soggetto da un romanzo di Robert Penn Warren, dedicò nel 1949, per la regia di Robert Rossen e con Broderick Crawford, un gran bel bianco e nero intitolato ‘Tutti gli uomini del re’ (del remake con Sean Penn va per pietà taciuto) e al secondo (Earl) un meno riuscito ‘Scandalo Blaze’, con Paul Newman (1989, regia di Ron Shelton). Ora, per quale mai ragione occuparci oggi, in piena campagna 2012, di faccende tanto lontane? Perché il pamphlet che, a sostegno della candidatura e ad illustrazione del suo programma aveva vergato ‘The Kingfish’ si intitolava nientemeno che ‘I miei primi cento giorni’, evidentemente, alla Casa Bianca. L’espressione è successivamente passata al linguaggio politico comune e praticamente, da allora, nessun uomo di governo o aspirante tale si è sottratto alla bisogna di elencare, appunto, le proprie intenzioni sotto tale dizione. Ed ecco che, di contro, oggi, Mitt Romney cambia le carte in tavola e, in uno spot tv, ci dice cosa vuole fare, una volta eletto, nelle prime ventiquattro ore, nel primo giorno. E precisamente: agire per la costruzione di un maggior numero di oleodotti (il riferimento è al Keystone, che collega Canada e Stati Uniti creando migliaia di posti di lavoro e che Obama ha bloccato), diminuire le tasse, cancellare la riforma sanitaria obamiana. Nulla di nuovo, a ben guardare, rispetto alla ortodossia repubblicana nelle prime due necessità: agire fortemente per il rilancio dell’economia, operare acché le tasse incidano meno sta nell’anima Gop.

149 Naturale, poi, che Romney, rappresentando la forte opposizione del suo partito a qualsiasi intervento (‘socialista’, definiscono quello voluto dal presidente in molti tra i seguaci del mormone) in campo di assistenza sanitaria, sia intenzionato a cancellare una riforma contro la quale, va ricordato, ventisette Stati dell’Unione hanno fatto ricorso alla Corte Suprema contestandone la costituzionalità. Di tutta evidenza, ricordando anche quel che ebbe a dire Gerald Ford a proposito dei ‘veri’ poteri dell’inquilino di White House (“L’unica cosa che il presidente degli Stati Uniti può decidere da solo”, e fare immediatamente se necessario, aggiungo io, “è quando andare al gabinetto”), Romney non potrà sul serio neppure deliberare in merito ai tre primi interventi prefissati, ma il fatto che lo dica con forza conclude per farci conoscere le sue priorità programmatiche. Sarà impossibile, d’ora in avanti, accusarlo di non avere messo bene in chiaro ciò che propone, di non aver fatto conoscere la sua ‘platform’.

150 19 MAGGIO 2012

Herman Cain: il penultimo endorsement Herman Cain sta dalla parte di Mitt Romney. L'ex re della pizza della Georgia, che lo scorso dicembre ha abbandonato la corsa per la presidenza, ha rotto gli indugi e ha infine deciso di appoggiare l'unico candidato repubblicano rimasto in corsa per la Casa Bianca. Con Cain si stringe sempre di più il cerchio degli ex aspiranti candidati repubblicani alla presidenza che appoggiano Romney. Dopo Rick Santorum e Gingrich resta fuori solo il liberale Ron Paul che di fatto ha gettato la spugna lunedì scorso. Il suo portavoce ha dichiarato che è ancora prematuro parlare di un imminente 'endorsement' a Mitt Romney. Intanto Cain ha fatto sapere che farà campagna negli Stati Uniti a favore di Romney e ha escluso di volersi candidare a governatore della Georgia.

151 Poteva mai mancare la notizia di un attentato ad Obama? La notizia non poteva mancare ed è effettivamente arrivata. Esattamente come quattro anni fa, ecco che qualche poveraccio viene indicato quale attentatore del ‘povero’ Obama o pressappoco. Esecrazione generale, media in subbuglio pronti a denunciare i ‘nemici’ del presidente e non appena finito il bailamme elettorale dell’argomento montato ad arte nessuno, anche questa volta, sentirà ulteriormente parlare. Ecco il testo lanciato oggi 19 maggio dalle agenzie: “Tre sospetti sono stati fermati a Chicago, dove domani si aprirà il vertice Nato, stavano preparando un attentato contro il quartier generale della campagna elettorale del presidente Barack Obama. Lo ha annunciato la procura. I tre giovani, all’incirca ventenni, sono stati arrestati in un appartamento del quartiere di Bridgeport con le accuse di cospirazione volta a commettere attentati terroristici e per il possesso di ordigni esplosivi e incendiari. La polizia fa sapere che gli arresti, sono il risultato di un mese di indagini. Secondo gli avvocati difensori, invece, i presunti attentatori erano soltanto manifestanti arrivati a Chicago per opporsi al vertice Nato e l'unica cosa che possedevano erano attrezzature per fabbricare birra. ‘I tre sotto inchiesta non erano manifestanti pacifici (contro il summit Nato) ma terroristi interni (americani)’, ha chiarito il ministro della Giustizia dell'Illinois, Anita Alvarez, aggiungendo che "tra i loro obiettivi oltre al quartier generale della campagna elettorale del presidente Barack Obama c'era la casa del sindaco ", ex capo di gabinetto e braccio destro dell'inquilino della Casa Bianca”. Ma come mai, mi chiedo, un fattaccio del genere proprio in quel di Chicago laddove il presidente è di casa e tutti gli incarichi pubblici sono ricoperti da suoi cari amici? Meglio stendere sul caso un pietoso velo.

"Soy Mitt Romney y apruebo este mensaje " Nel mentre, e siamo poco oltre metà maggio, Barack Obama, al termine del G8, riguardo alla crisi economica, se ne esce con battute del genere “Sviluppo e rigore devono essere parte di un pacchetto complessivo”, nel mentre, con colleghi politici che dovrebbero essere di statura mondiale, il presidente USA firma un comunicato che sostiene, nientemeno, che occorre “creare crescita e posti di lavoro” (cito testualmente) – due affermazioni che ci si aspetterebbero dal droghiere o dal tabaccaio sotto casa e non dai ‘grandi’ che governano la Terra. Nel mentre, superando le iniziali resistenze nella comunità nera americana, la National Association for the Advancement of Colored People (Naacp), una vecchia organizzazione afroamericana, sulle orme dell’inquilino di White House, si è anch’essa espressa a favore delle nozze gay. Nel mentre Jeremiah Wright, il controverso pastore di Chicago di Barack Obama, secondo quanto afferma il tabloid ‘New York Post’, accusa il presidente di aver cercato di corromperlo facendogli avere indirettamente centocinquantamila dollari

152 per impedirgli di tornare a parlare in pubblico di temi che avrebbero potuto metterlo in imbarazzo. Nel mentre, da nostro Salento, si decide di regalare alla first lady Michelle Robinson un ulivo millenario (tutto fa brodo…pardon, nel caso, tutto fa olio). Nel mentre oramai praticamente tutti i protagonisti della vita politica, comunque pubblica, dello spettacolo si sono schierati dichiarando il proprio appoggio all’uno o all’altro candidato. Nel mentre Mick Jagger, chiudendo la trentasettesima stagione del 'Saturday Night Live', a sorpresa canta: ''Non lasciate che Mr Romney vi tagli i capelli''. Nel mentre buona parte dei sondaggi nazionali, per quel che contano sia in quanto si vota Stato per Stato sia perché mancano oltre cinque mesi al redde rationem, danno Romney alla pari se non in vantaggio rispetto al democratico. Nel mentre si analizza da parte dell’entourage del mormone quale possa essere il vice migliore da tutti i punti di vista (e trovare la quadra non è affatto semplice). Nel mentre… qualcuno – nel caso specifico, come abbiamo visto, Romney – comincia a parlare concretamente di economia esponendo e illustrando precisi interventi che intende mettere, se eletto, subito in cantiere. E considerato che la comunità ispanica è ogni giorno maggiormente importante ai fini dell’elezione, al termine degli spot tv ad essa dedicati e quindi editi in spagnolo, personalmente dice: " Soy Mitt Romney y apruebo este mensaje ". Non mi meraviglierei, di qui a poco, di ascoltare le stesse parole in italiano e in mandarino: nulla, difatti (e lo so ben io che ricevo da Romney, dalla moglie, dai figli e dai collaboratori molte volte la settimana comunicazioni che mi sollecitano da tutti i punti di vista), la macchina elettorale del mormone lascia o lascerà al caso.

153 21 MAGGIO 2012

Le primarie del mese di maggio nei due campi: riflessioni

Il mese di maggio si è aperto, il giorno 1, con le primarie dei democratici residenti all’estero. Possono, costoro, votare nel proprio Paese di residenza (i repubblicani non prevedono un tale diritto). Poi il 5, tre appuntamenti solo democratici: le primarie del Territorio di Guam, nel lontano Pacifico, ed i caucus in Michigan e Florida, votazioni svoltesi qualche mese dopo le corrispondenti in campo repubblicano. Obama, ovviamente, non ha dovuto fronteggiare opposizione. Le sorprese nei due campi sono arrivate l’8 maggio, con il voto in Indiana, West Virginia e North Carolina, primarie non solo presidenziali, ma anche per le altre elezioni di novembre (camera, senato, locali). Tra i repubblicani le vittorie di Romney sono state larghe, ma il mormone si ferma a circa i due terzi dei voti, con l’altro terzo che si divide tra il libertario Paul, ancora in gara, con percentuali a due cifre, ed i già fuori corsa Gingrich (ovunque attorno al sette per cento e quasi non si vede la differenza tra prima e dopo l’abbandono) e Santorum, anch’egli a due cifre e spesso secondo. Il ritiro annunciato dalle primarie infatti, non fa scomparire i candidati dalle schede elettorali, ma comporta soltanto la sospensione della campagna elettorale: nel 2004, tra i democratici, l’ex governatore del Vermont Howard Dean, già ritiratosi, vinse nel suo Stato, e così John Edwards, di poi scelto da Kerry come suo vice, già fuori, batté nella sua North Carolina proprio Kerry. Tra i repubblicani, nell’Indiana, sorpresona per la sconfitta in vista della candidatura al Senato dell’uscente Richard Lugar, in cerca del settimo mandato e nettamente battuto dall’esponente del Tea Party Richard Mourdock. Tra i democratici, in West Virginia, proprio alle presidenziali: Obama ha sì vinto ma fermandosi al cinquantanove per cento rispetto al quarantuno di Keith Judd. Non è la prima volta che Obama ottiene risultati non brillanti in queste primarie: era già accaduto in Oklahoma, dove si era fermato al cinquantasette. Anche in altri Stati (dove non correva solo dovendosi confrontare con rivali locali) la percentuale di voti neutrali (uncommitted) toccata al presidente oscillava attorno al dieci/venti per cento, come avvenuto in North Carolina, segno di qualche sofferenza imprevista per lui nel suo elettorato. Un parallelo, se vogliamo, con quanto accadde nel 1992 a Bush padre che dovette fronteggiare a sorpresa nelle primarie Pat Buchanan, alfiere della destra più conservatrice, che mise l’allora presidente in difficoltà. In North Carolina, poi, contemporaneamente alle primarie si è tenuto un referendum sui matrimoni omosessuali, e gli elettori hanno votato per inserire in Costituzione un emendamento per vietarli, con ampio margine (sessantuno a trentanove), così come è

154 avvenuto in questi anni in altri Stati (tutti quelli in cui si son tenuti referendum sul tema, tra cui la California). Proprio a seguito di questo voto, prima il vicepresidente Biden e poi lo stesso Obama si sono espressi pro nozze gay, tema spinoso e divisivo tra l’opinione pubblica, che però in gran maggioranza non voterà su questo, ma sull’andamento dell’economia. Come ben ricorda Bush Padre, detronizzato per la recessione del 1991/92 da Bill Clinton il cui slogan era “It’s the economy, stupid!”.

155 22 MAGGIO 2012

Dubbi e perplessità della stampa USA a proposito della campagna elettorale di Obama “Sembra Facebook” E' rimasta celebre questa definizione che Mark Penn, lo stratega della campagna per la candidatura presidenziale di Hillary Clinton, diede dell'allora rivale Barack Obama nel novembre del 2007. Voleva avere un senso dispregiativo: Obama, cioè, poteva funzionare benissimo nel suscitare entusiasmo tra i ragazzi che passano il tempo su internet, ma la politica vera è un'altra cosa, e per vincere le elezioni serviva l'esperienza di un ‘usato sicuro’ come Hillary. Quella battuta venne invece percepita per lo più come un involontario elogio, perché la capacità di sfruttare come mai prima il social network per fare politica fu uno dei fattori che consentirono ad Obama di prevalere sulla rivale nelle primarie democratiche del 2008. Nello staff dell'allora senatore dell’Illinois era stato reclutato uno dei cofondatori di Facebook, l'allora appena ventiquattrenne Chris Hughes, il biondino compagno di stanza di Mark Zuckerberg ad Harvard che pochi mesi fa è divenuto, fra l'altro, il nuovo editore di ‘The New York Republic’. Era lui il regista del sito ‘My.BarackObama.com’, dove i nuovi simpatizzanti confluivano spontaneamente con il passaparola telematico (consentendo al candidato di scavalcare il predominio degli insider sugli indirizzari dei vecchi volontari) e, oltre a tenersi in contatto con il quartier generale della campagna, come tradizionalmente era sempre avvenuto, si tenevano in contatto anche fra di loro, costruendo a costo (quasi) zero un nuovo tipo di militanza almeno in parte orizzontale. Oggi Hughes non lavora più nello staff di Obama, ma rientra tra i suoi sostenitori e finanziatori. Così come Sheryl Sandberg, la chief operating officer di Facebook, la quale di recente ha ospitato a casa sua una serata di fundraising per la rielezione del presidente. Il quale, dal canto suo, pur non essendone personalmente un appassionato utente (anzi), fa di tutto per mantenere una grande sintonia con il mondo di Facebook. Poco più di un anno fa è stato il primo capo dello Stato in carica a prestarsi ad un dibattito in diretta streaming, per l'appunto, facendosi intervistare da Zuckerberg in persona (con il quale ostentò confidenza al limite del cameratismo) e ora, in campagna elettorale, il nome del giovane Mark, viene abitualmente menzionato da Obama per esemplificare la capacità di innovazione degli Usa accanto a quelli di Thomas Edison e di Bill Gates. Ebbene, l’altro ieri Edward Luce, il capo della redazione di Washington del ‘Financial Times’, ha suggerito, nel suo editoriale domenicale (intitolato ‘Il presidente Facebook che ha bisogno di nuovi amici’), che il problema di immagine

156 dell’inquilino di White House stia in parte qui: nell’aver percorso una traiettoria troppo simile a quella di Facebook. Nel senso che la sua candidatura fece sognare perché aveva il fascino della assoluta novità, come la creatura di Zuckerberg quando era solo una ‘start-up’, ma poi una volta eletto si è attenuto ai cliché del politico di sistema, di establishment, ed ora, essendo a capo del ‘sistema’ (analogamente a Facebook che è ora una grande corporation quotata in borsa) non conta sullo stesso appeal di quattro anni fa. “Contrariamente a quanto accadde nel 2008”, ha scritto Luce, “la campagna elettorale per la rielezione di Obama sta puntando sul fatto che quest'anno la sfida si vincerà con la mobilitazione più che con la persuasione. La sua priorità è quindi quella di compiacere alcuni determinati gruppi che stanno saldamente nella base dell'elettorato democratico, come i latinoamericani, i sindacati, i giovani e i gay – e presumibilmente ad un certo punto si aggiungeranno gli ambientalisti”. La critica di Luce si incentra sul fatto che in questo modo Obama può anche riuscire a farsi rieleggere, ma solo (sostiene) come ci riuscì George Bush nel 2004, ossia con un mandato elettorale di corto respiro destinato ad un rapido logoramento. Non basta (insiste) convincere di essere il meno peggio ed ottenere una proroga: è necessario ispirare fiducia in una visione del futuro che per ora non riesce a convincere di avere. “Ha scelto lo slogan ‘forward’ (avanti), ma”, scrive Luce, “non è affatto chiaro verso cosa”.

157 Obama: “Romney è un Robin Hood al contrario” “Quando sei presidente il tuo lavoro non è massimizzare i profitti, ma fare in modo che tutti possano avere pari opportunità di successo e contribuire al sogno americano''. Barack Obama difende la sua ‘Bain's War’. Gli spot in cui aggredisce Mitt Romney e il suo passato di finanziere d’assalto alla guida di Capital Bain, “non sono un diversivo”, ma “riguardano quello che è in palio in queste elezioni”. Durante la conferenza stampa al termine del vertice Nato di Chicago, il presidente è determinatissimo nello spazzare via ogni dubbio, facendo capire che seguirà fino in fondo la strategia secondo cui Romney è un “Robin Hood al contrario, che toglie ai poveri per dare i ricchi”, un “distruttore di lavoro senza scrupoli” come alcuni ex operai delle aziende ristrutturate dalla Bain lo descrivono. La ragione è molto semplice. Obama ricorda che non è lui ad aver messo in mezzo la vicenda della Bain, ma Romney stesso. “E' il mio avversario”, spiega, “ad aver detto che dovrebbe essere eletto perché ha una esperienza di businessman. Da mesi dice: 'Io sono un manager e sono in grado di aggiustare la situazione'. Ma io penso che se sei presidente il tuo compito non sia quello di massimizzare i profitti”. Ovviamente, Obama chiarisce che non ha nulla contro i top manager e di chi fa soldi con i soldi. Ma in modo nettissimo pone una linea di demarcazione molto chiara tra politica e affari: “Se uno pensa di risolvere il problema della crescita dell'economia, dicendo ‘io so come far fare i soldi ai miei investitori’, allora non hai capito qual è il suo lavoro. Il che non vuol dire che non sei un ottimo businessman. Ma quello non è il compito di chi vuol essere Presidente degli Stati Uniti”. Parole chiarissime, a cui Mitt Romney replica a stretto giro di posta: “Obama oggi conferma che continuerà i suoi attacchi contro il sistema della libera impresa, mentre è chiaro che non accetta di assumersi la responsabilità morale per la sua politica fallimentare”. Quindi Romney sottolinea che, a differenza di Obama, la sua campagna elettorale non riguarderà il passato, ma “il futuro di quei ventitre milioni di americani che ancora combattono contro la disoccupazione, e i milioni di cittadini che hanno perso la loro casa e sono precipitati nella miseria. “Il mio obbiettivo”, conclude, “è offrire un programma positivo per aiutare l'America a tornare al lavoro”.

158 22 MAGGIO 2012

Documenti

Guerra di religione, un articolo di Michele Zurleni per Panorama.it

Sembrava che le parti avessero trovato un’intesa, ma si trattava di una tregua prima di una battaglia che può creare qualche significativo danno alla campagna elettorale di Barack Obama. Le più importanti istituzioni cattoliche americane tra cui l’Arcidiocesi di New York, quella di Washington, la prestigiosa Università di Notre Dame insieme ad un’altra quarantina di enti e organizzazioni, hanno avviato una causa legale contro l’amministrazione per la riforma sanitaria voluta dal presidente: nel mirino, in particolare, ci sono le norme che prevedono l’obbligo per un datore di lavoro di fornire ai dipendenti polizze mediche che comprendano anche la copertura per i contraccettivi. La questione era esplosa qualche mese fa, ma dopo le proteste, gli incontri riservati tra lo stesso presidente e l’arcivescovo di New York, il Cardinale Timothy Dolan, in febbraio, il presidente sembrava aver fatto marcia indietro rispetto alla decisione di varare quelle linee guida, contenute nel decreto attuativo della riforma sanitaria e tanto contestate dal mondo cattolico. “Le organizzazioni religiose non dovranno pagare per questi servizi sanitari”, aveva detto Obama. In realtà, dopo quelle dichiarazioni, secondo chi ha deciso di passare a vie legali, non è stato fatto nulla di concreto per cancellare quell’obbligo per i datori di lavoro. Norme considerate anti costituzionali perché non solo ledono le libertà religiose, ma anche quelle dell’individuo. Con tutta probabilità, la causa finirà a ingrossare il dossier sulla riforma sanitaria che è già al vaglio della Corte Suprema. La sentenza è attesa per giugno, e con tutta probabilità sarà uno degli elementi più forti della campagna elettorale. In questo caso, Mitt Romney si è (ovviamente) schierato dalla parte dei cattolici. Il GOP si oppone da sempre alla riforma sanitaria e il suo candidato ora intende sfruttare i malumori e le proteste per attaccare - anche su questo fronte - il presidente. La questione religiosa fa capolino nella campagna elettorale. Mai troppo esplicitata - in onore della rigida divisione tra Dio e Cesare voluta dai Padri Fondatori -, in realtà rimane con forza sullo sfondo della politica statunitense. I sondaggi scandagliano i vari gruppi religiosi per capire a chi andranno le loro preferenze. Secondo il ‘Pew Research Center’, Romney ha la maggioranza dei favori dei voti cattolici (cinquanta a quarantacinque), una differenza che sale di molto (cinquantasette a trentasette) se si considerano soli i maschi bianchi di religione cattolica.

159 Anche i protestanti sono in maggioranza con il candidato del GOP (cinquantuno a quarantatre). Ma, in questo caso, il voto si differenzia. Se si prendono i maschi bianchi e gli evangelici, le percentuali a favore di Mitt Romney salgono di molto rispetto a quelle di Barack Obama, mentre invece il voto dei protestanti neri è quasi tutto con il presidente (novantasei per cento). Barack Obama avrebbe l’appoggio della maggioranza della comunità ebraica statunitense . Una rilevazione del ‘Public Religion Research Institut’ dice che il sessantadue per cento degli interpellati voterebbe per la rielezione del presidente mentre il trenta darebbe la sua preferenza a Mitt Romney. Catturare i voti dei gruppi religiosi è un imperativo per i due contendenti. Qualche giorno fa, Romney ha accusato Obama di voler rendere gli Stati Uniti una “nazione meno cristiana”, puntando a cementare ancora di più la sua base elettorale molto sensibile alla questione religiosa. Ma, oltre alla discussione sulle questioni etiche e politiche, sono attesi anche i colpi bassi. Che i due preferiscono non darsi, per ora, o farlo con guanti di velluto, prima di passare direttamente ai guantoni da boxe. Così, Mitt Romney si è detto contrario alla campagna di spot che voleva lanciare il miliardario Joe Ricketts per ricordare al pubblico americano i rapporti tra Barack Obama e il Reverendo Jeremiah Wright , il pastore di Chicago, l’autore di infuocati sermoni contro l’establishment, dal quale, nel 2008, l’allora candidato democratico dovette prendere precipitosamente le distanze per evitare di vedere affossare le sue speranze di arrivare alla Casa Bianca. Per l’ex governatore, ritirare fuori quella storia sarebbe stato un possibile boomerang. In cambio di questo favore, lo stratega della campagna di Obama, David Axelrod ha rassicurato del fatto che Barack Obama non farà domande pubbliche sulla fede mormone di Mitt Romney. Forse anche perché capisce molto bene che potrebbe essere controproducente, potrebbe apparire un attacco alla libertà di Credo. Guerra di religione si, ma senza esagerare.

160 23 MAGGIO 2012

Primarie nel Kentucky e in Arkansas Per quanto Ron Paul abbia di fatto sospeso le sua campagna elettorale e Rick Santorum, da tempo, si sia ritirato, sulle schede delle primarie Gop dell’Arkansas e del Kentucky i loro nomi permanevano. Ecco, quindi, che qualche strenuo sostenitore del libertario e dell’oltranzista religioso ha trovato modo di votarli pur conoscendo l’inutilità del gesto. E pertanto, benché trionfante e in grado di aggiungere al suo bottino la bellezza di settantacinque delegati (il che lo porta all’incirca a centodieci voti elettorali dei millecentoquarantaquattro indispensabili per ottenere la nomination), Mitt Romney può celebrare nel caso un successo a metà: non tutto il Gop si è davvero ancora schierato con lui, per lo meno guardando agli elettori che hanno partecipato alle ultime primarie. Ho già sottolineato come difficoltà analoghe abbia incontrato nel suo cammino senza veri avversari nel campo avverso perfino Barack Obama. Quasi certamente, il mormone taglierà l’agognato traguardo (comunque, è soltanto una questione formale) martedì 29 maggio, allorquando sarà chiamato alle urne il Texas.

I risultati secondo le prime ma accreditate rilevazioni: Arkansas: I) Mitt Romney 69% II) Ron Paul e Rick Santorum 13%

Kentucky: I) Mitt Romney 67% II) Ron Paul 13% III) Rick Santorum 9%

161 Pennsylvania, Florida, Ohio: almeno due su tre Tradizionalmente, nel senso che la faccenda si ripete da tempo infinito, il candidato alla Casa Bianca che alla fine si afferma vince almeno in due Stati tra Pennsylvania, Florida e Ohio. Chi riesce nell’opera, giura sulla Bibbia il 20 gennaio dell’anno successivo a quello elettorale. (E qui ci si potrebbe chiedere se altrettanto farebbe il mormone Mitt Romney o se preferirebbe ricorrere all’altra formula prevista impegnando il proprio onore). Ad oggi, i sondaggi nei tre citati Stati ci dicono di una situazione assolutamente alla pari: in Pennsylvania Obama è dato in vantaggio per il quarantasette al quarantuno per cento; in Florida, situazione opposta e Romney prevale nelle intenzioni di voto quarantasette a quarantuno; in Ohio parità sostanziale. Concludono, pertanto, gli analisti per una lotta strenua che vedrà prevalere l’uno sull’altro di strettissima misura. Ma, al 6 novembre, mancano la bellezza di centosessantacinque giorni: una vita!

Colin Powell torna a galla Tutti, ma davvero tutti, i politici che in qualsivoglia modo hanno rappresentato qualcosa negli USA ad ogni livello, colgono l’occasione fornita dalla campagna elettorale in corso per rispuntare cercando di far convergere su di loro, fosse pure per un attimo, le luci della ribalta. Così, oggi, l’ex segretario di Stato Colin Powell, con George Walker Bush nel primo mandato. Già dichiaratosi, lui repubblicano, a favore di Obama nel 2008, eccolo sostenere a spada tratta la linea presidenziale a proposito della possibilità di concedere ai gay il diritto al matrimonio. Bene, gli siano pure concessi i suoi cinque minuti di rinverdita notorietà.

Obamiani pronti a risfoderare l’arma del razzismo 2008, “Volete bocciare la candidatura di Barack Obama a White House solo perché è un nero”. Questo, più o meno ed ha funzionato alla grande, il vero e proprio ricatto morale sollevato quattro anni orsono dai sostenitori dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Chi non avesse espresso pieno appoggio al candidato nero sarebbe stato, e fu, all’epoca, tacciato, più o meno apertamente, di razzismo. Che il democratico avesse o no le carte in regola per governare non importava un bel nulla. Ed ecco che oggi, dopo quattro anni di misera amministrazione, l’entourage obamiano riprende in mano l’argomento, per ora suggerendo (ma, vedremo se non saranno espliciti in avanti) che quanti non lo vogliono rieleggere siano spregevoli razzisti. Funzionerà?

162 24 MAGGIO 2012 Documenti Ora Mitt Romney fa paura, un articolo di Guido Moltedo per Europaquotidiano.it La campagna di Obama è in affanno. E il Gop può sperare

Obama dovrebbe vincere. Ma potrebbe perdere. Un insider della politica washingtoniana descrive così l’aria che si respira nelle stanze dei big e degli strateghi del partito democratico. Perché questo senso di smarrimento e di preoccupazione intorno a un personaggio talentuoso come il presidente in carica? “La campagna di Obama”, ci spiega il nostro interlocutore, “è mediocre, autocompiacente e non strategica, e per di più autoreferenziale, cioè per niente aperta al contributo e al consiglio di altri. È un’operazione da un miliardo di dollari, ma gestita da una piccola cerchia ristretta. In definitiva, è basata sulla nostalgia, per riagguantare l’onda del 2008, che però si è dissipata da tempo. Non c’è modo di dargli una mano perché respingono qualsiasi aiuto. Fa paura osservare tutto questo”. Diagnosi impietosa, che si potrebbe anche liquidare come il solito, mai sopito, rancore del clan clintoniano – la nostra fonte è di quel giro – nei confronti di Barack Obama. Molti indizi, però, dicono che le cose stanno proprio così. Per dire l’ultima, nelle primarie democratiche in Kentucky, martedì scorso, il presidente ha prevalso con il cinquantotto per cento dei voti. Una robusta vittoria? Non proprio, considerando che le elezioni primarie democratiche sono poco più che simboliche e che in molti Stati il presidente-candidato non ha avversari e, dove li ha, sono personaggi folkloristici e sfidanti improbabili. Insomma, in uno stato del Sud, come è appunto il Kentucky, ben quattro elettori su dieci sono andati al seggio per votare delegati non legati a lui, ma ‘uncommited’, cioè senza un mandato vincolante da assolvere alla convention democratica di Charlotte, ai primi di settembre. Addirittura in sessantasette contee su centoventi, i voti per gli uncommitted hanno superato quelli per i delegati obamiani. Quasi peggio in Arkansas, dove il presidente ha subito l’onta del quaranta per cento conseguito dal suo avversario, tale John Wolfe, un avvocato del Tennessee che la stampa definisce ‘perennial political candidate’, cioè una specie di prezzemolo di tutte le elezioni, a cui partecipa per conseguire qualche istante di notorietà.

163 Certo, Kentucky e Arkansas sono stati solidamente rossi, cioè sicuramente repubblicani, eppure queste bislacche primarie sono comunque indicative di una preoccupante debolezza democratica nella fascia meridionale del paese. Dunque, quella che un paio di settimane fa sembrava una stravaganza locale – il quaranta per cento ottenuto da un detenuto, Keith Judd, nelle primarie in West Virginia – era il sintomo di un malessere più serio che la squadra del presidente Obama dà l’impressione di sottovalutare. Certo, possono anche rinfrancarsi con gli ultimi sondaggi, il presidente e i suoi consiglieri. Come quello del ‘Wall Street Journal’ che dà Obama in vantaggio su Mitt Romney quarantasette per cento a quarantatre. Ma poi, se scrutano meglio tra le cifre dei diversi segmenti particolari, scoprono che i numeri sono meno rosei. Il quarantotto per cento degli intervistati, contro il quarantasei, boccia la tenuta del presidente e solo il trentatre per cento ritiene che il Paese sia nella giusta direzione di marcia, mentre poco più del cinquanta per cento disapprova la sua gestione dell’economia. Un altro sondaggio, condotto per conto della Msnbc, offre un quadro molto positivo per Obama in settori elettorali tradizionalmente a lui fedeli, come gli afroamericani, gli ispanici, le donne, i giovani, gli anziani, gli indipendenti, e negativo in altri settori prevedibilmente ostili (bianchi, maschi, residenti nel Midwest, ceti benestanti, residenti suburbani), ma soprattutto, il sondaggio, conferma la scarsa fiducia generale nella sua gestione dell’economia (quarantatre per cento, meno due punti in un mese). Si può discutere quanto si vuole sul valore di questi rilevamenti a poco più di un semestre dalle presidenziali, un’eternità in termini politici. Si può anche affermare che se Obama non sta bene, Romney non sta meglio di lui. Ma il punto che preoccupa l’establishment democratico è proprio questo. Il rivale repubblicano a questo stadio ancora iniziale della corsa elettorale, dovrebbe stare parecchio indietro rispetto al presidente in carica, sia nei sondaggi sia nella raccolta dei fondi. E invece i due stanno spalla a spalla in entrambi i fronti. Tanto che ‘The Politico’ ieri pubblicava una lunga analisi di Jonathan Martin, che gli strateghi obamiani avranno letto con avidità e apprensione. “Esponenti di spicco del partito repubblicano a lungo scettici, in privato, sulle prospettive presidenziali, stanno abbracciando una sorprendente nuova visione, che Mitt Romney possa benissimo conquistare la Casa Bianca a novembre”. Parlando con diversi leader del Gop, Martin ricava l’impressione di “un ritrovato ottimismo, l’idea cioè che, con un’acconcia campagna elettorale basata sul messaggio che Romney possa essere quanto meno competitivo con un presidente candidato indebolito”. Quest’ottimismo è anche alimentato dall’osservazione dei problemi in casa obamiana. Primo fra tutti proprio la difficoltà evidente – constatata anche da diversi democratici – a trovare, da parte obamiana, un messaggio conciso contro Romney.

164 Tutto questo genera un circolo virtuoso intorno al candidato repubblicano, che vede un partito unito dietro di lui e una base che, prima riluttante, ora lo sostiene con convinzione. Un circolo virtuoso che, per i democratici, inizia a somigliare a un vortice di ansie e paure.

165 Con chi si schiera la Silicon Valley? Secondo le agenzie, la Silicon Valley, Mecca californiana dell’alta tecnologia, volta le spalle a Barack Obama e abbraccia il suo sfidante Mitt Romney. Lontani i tempi in cui l’allora candidato aveva gioco facile contro John McCain, che quattro anni fa si vantava di non aver mai acceso un computer. Secondo gli ultimi dati del fundraising, la culla dell’high tech da qualche tempo sembra stia premiando il miliardario mormone. Secondo molti suoi sponsor, Romney conosce meglio di Obama il modo in cui assicurare il successo a un’azienda, abbassando al minimo le tasse e riducendo le regole. Insomma, nulla di personale, ma solo e semplice convenienza economica. Come scrive ‘Politico.com’, Barack Obama, il primo ‘Blackberry President’, famoso per non staccarsi mai dal suo fedele cellulare sempre in mano, da queste parti sembra essere in calo. Solo una piccola elite di mega-miliardari del web sta continuando a credere in Barack: tra loro il fondatore di Craiglist, Craig Newmark, uno dei capi di Facebook, Sheryl Sandberg, e il presidente di Google, Eric Schmidt. Nel frattempo, il miliardario conservatore Donald Trump pensa di creare un suo Superpac, un mega comitato politico, per finanziare una serie di iniziative in chiave anti-Obama. Il suo obiettivo é spendere un sacco di soldi per farla finita con la politica di Obama che a suo dire porterebbe gli Usa a diventare un Paese del “terzo mondo”. “Se non siamo in grado di pagare la pensione e l'assistenza sanitaria é perché il mondo sta succhiando il nostro sangue”, ha attaccato Trump.

Succede verso fine maggio… Durante le primarie repubblicane Newt Gingrich aveva attaccato ripetutamente Mitt Romney ma ora sembra essere diventato un suo grande fan. Ieri sera(24 maggio), in un’intervista, l’ex presidente della Camera ai tempi di Bill Clinton ha lodato pubblicamente l’ex rivale per essere organizzato e metodico e per assomigliare molto a Eisenhower, presidente degli Stati Uniti dal 1953 al 1961. “E’ preparato a fare sistematicamente quello che ritiene giusto per il paese”, ha spiegato Gingrich. “Credo che potrebbe rivelarsi un presidente sorprendentemente valido”. Interpellato sulle sue precedenti critiche all’ex governatore del Massachusetts, Gingrich ha poi affermato che “Romney ha fatto quello che doveva fare per ottenere la nomination”. L’ex speaker ha lanciato infine un monito ai democratici. Secondo lui attaccare Romney sul suo passato a Bain Capital non funziona.

Filadelfia. Il candidato mormone cerca di parlare in un quartiere a maggioranza nera.

166 Tra urla, fischi e contestazioni varie (qualcuno grida “Vattene, non ti vogliamo qui”), deve allontanarsi.

Un sondaggio svolto in tutto il Paese tra i bianchi della middle class in difficoltà economiche conferma che la maggior parte di loro non desidera un secondo mandato di Obama. Il cinquantotto per cento contro un trentadue si dichiara a favore di Romney.

Non pochi tra i Gop protestano vibratamente da qualche giorno. Ce l’hanno con il presidente che ha concesso il visto per entrare nel Paese alla figlia di Raul Castro, Mariela, la quale ha prontamente ricambiato la gentilezza affermando che se fosse americana voterebbe per Obama.

Altre proteste, pubbliche denunce e interrogazioni congressuali ha provocato la notizia che la Cia e il capo dello Stato collaborano con la regista Kathrin Bigelow fornendole informazioni classificate per la realizzazione di un film sulla morte di Osama Bin Laden. Dovesse inoltre la pellicola uscire sotto elezioni…

Giugno è il mese dell’orgoglio gay, orgoglio che sarà celebrato per iniziativa del presidente con una manifestazione ufficiale a White House. Tutto fa brodo.

Il prossimo 29 maggio, nel mentre in Texas i Gop saranno chiamati alle urne per la primaria che dovrebbe consentire a Romney di raggiungere i famosi millecentoquarantaquattro delegati necessari per la nomination,Obama conferirà in una pubblica cerimonia alla Casa Bianca a tredici persone la massima onorificenza civile americana. Tra gli insigniti, Bob Dylan, Toni Morrison e Madeleine Albright.

167 26 MAGGIO 2012

Documenti Questa è la via che Mitt Romney deve seguire per andare alla Casa Bianca, Karl Rove per il ‘Wall Street Journal’

Martedì, il sondaggio settimanale Gallup dava Barack Obama e Mitt Romney appaiati al quarantasei per cento. Con il presidente uscente sotto il cinquanta e il favore di Romney presumibilmente in ascesa, per lo sfidante repubblicano le probabilità di vincere diventano buone. Per prendere la Casa Bianca, Romney ha bisogno di duecentosettanta voti nel Collegio elettorale. Li otterrà con una strategia ‘tre/due/uno’. Qualora Romney mantenesse gli Stati in cui ha vinto John McCain nel 2008 e riconquistasse il secondo distretto del Nebraska (questo stato dispone di cinque voti in Collegio, tre vanno a ogni distretto e gli altri due a chi ottiene più voti su scala statale), il Collegio sarebbe quattordici voti più vicino rispetto alla forbice trecentosessantacinque a centosessantatre del 2008. Questo perché, dopo i dati del censimento 2010, sono stati diminuiti i seggi in Collegio spettanti a Massachusetts, New York e Illinois, tradizionalmente democratici, e sono stati aumentati i voti spettanti a Carolina del Sud, Georgia e Texas, tradizionalmente repubblicani. Nessuno degli Stati in cui vinse McCain sembra in pericolo per il partito repubblicano, quest’anno. Dopo questo primo ostacolo, la strada della vittoria, per Romney, inizia con un ‘tre’ – tre come Indiana, Carolina del Nord e Virginia, un trio di Stati storicamente repubblicani. Nel 2008, Obama vinse di stretta misura nell’Indiana (con solo l’uno in più del rivale) e in Carolina del Nord (ancor meno, zero trentadue per cento). Oggi, neanche il team di Obama sostiene che l’Indiana sia in gioco. Anche la Carolina del Nord sembra allontanarsi dal presidente: un sondaggio Rasmussen del 14 maggio dava Romney al cinquantuno, Obama al quarantatre. Al contrario, la Virginia resterà campo di battaglia elettorale fino all’Election Day; qui Obama vinse con sei punti di margine e attualmente, secondo i sondaggi periodici RealClearPolitics , è accreditato di più di tre punti di vantaggio. Se Romney riuscisse a riportare i trentanove voti complessivi di questi tre Stati al partito repubblicano, il Collegio elettorale conterebbe trecentodiciannove voti per Obama, duecentodiciannove per Romney. Poi c’è il ‘due’ – come Florida e Ohio. Sono passati dai repubblicani nel 2004 ai democratici nel 2008. In entrambi non c’è stata una vittoria netta: nel primo Obama ha vinto con un margine del due virgola otto, nel secondo del quattro virgola sei.

168 Il vantaggio di favori di cui gode il presidente sta scemando nella comunità ebraica, è nettamente diminuito tra i latini, e gli anziani sono inquieti. In Ohio, Obama ha diversi problemi tra la classe lavoratrice bianca e nella ricca provincia. La gara è estremamente serrata nello Stato di Buckeye – un sondaggio Quinnipiac del 7 maggio tra iscritti alle liste elettorali dava Romney al quarantaquattro, Obama al quarantacinque. Un altro sondaggio Quinnipiac del 21 maggio riferito invece alla Florida dava Romney in crescita, da un precedente quarantuno per cento al quarantasette. Questi due Stati dispongono, in tutto, di quarantasette voti. Se Romney li conquistasse, nel Collegio elettorale si andrebbe a ducentosettantadue Obama, ducentosessantasei Romney. Il che ci porta al passo ‘uno’. A Romney mancherebbe ancora uno Stato – qualunque stato – e la Casa Bianca sarebbe sua. Avrebbe molte strade di fronte a lui. Una è quella del vicinato. Se l’ex governatore del Massachusetts, nonché residente di Boston, conquistasse il vicino New Hampshire, i suoi quattro voti lo innalzerebbero alla magica soglia dei ducentosettanta e allo Studio Ovale. C’è poi la strada dei Grandi Laghi, che passa attraverso il Michigan (sedici voti), la Pennsylvania (venti) e il Wisconsin (dieci). Di questi tre, il Michigan appare un obiettivo difficile. Ma l’antipatia di Obama verso il carbone, cumulata ai suoi problemi con la classe lavoratrice bianca e con gli elettori nella provincia, rendono assai più incerta la situazione in Pennsylvania. Un sondaggio Rasmussen del 21 maggio su un campione di probabili elettori dava il presidente in vantaggio di sei punti percentuali. Se poi il governatore Scott Walker sopravvivesse al voto del 5 giugno con un margine sostanzioso, anche il Wisconsin potrebbe diventare conquistabile – come avvenne nel 2000 e nel 2004, quando i democratici vinsero con margini strettissimi. Un sondaggio Marquette University del 12 maggio su presunti elettori dà i due pretendenti alla Casa Bianca in pareggio, entrambi al quarantasei. La rotta occidentale passa invece per Colorado (nove voti), Nevada (sei) o Nuovo Messico (cinque). Un sondaggio Purple Strategies del 23 aprile su presunti elettori dà i due sfidanti in parità al quarantasette. Con la disoccupazione più alta della nazione, gli abitanti del Nevada non dimenticano l’invettiva pronunciata nel 2010 da Obama contro Las Vegas: “Quando i tempi sono difficili, si stringe la cinghia... Non si va a buttare i soldi a Las Vegas”. In più, il Nuovo Messico è retto da una governatrice latina e repubblicana assai popolare, Susana Martinez. C’è poi la via diretta.

169 L’Iowa (sei voti) ha lanciato Obama nel 2008, ma ora i media riferiscono che il suo team elettorale sta dedicando un’attenzione particolare a questo Stato, ciò che tradisce ansia. Obama ha fallito da tempo la possibilità di replicare la sua performance del 2008, e ora deve combattere per riconquistare gli Stati dove aveva vinto. Le probabilità, adesso, sono, sia pur di poco, in favore di Romney.

170 ‘Barry’ Obama e la marijuana David Maraniss, già premio Pulitzer e quindi firma di un qualche rilievo, ha scritto una biografia del presidente Obama che sarà pubblicata a breve. In una anticipazione – e quando si vuole creare una particolare attenzione nei confronti di un libro di tal fatta è delle cose ‘succose’ che si parla – fornita ai giornali si sostiene, documenti e confessioni alla mano, che da ragazzo, Obama, con il nome da battaglia ‘Barry’, era un forte consumatore di Marijuana. Scandalo? Non poi molto e comunque non certamente il grado di influire sull’esito della campagna elettorale.

Dopo Hollywood, Broadway I riflettori dei teatri a New York si accenderanno il prossimo mese sul presidente degli Stati Uniti che sarà la star indiscussa assieme all'ex presidente americano Bill Clinton di 'Barack on Broadway'. Dopo Hollywood, Obama passa sull'altro versante degli Stati Uniti e dal cinema al teatro, per due eventi di raccolta fondi per la campagna elettorale, al New Amsterdam Theater, la casa di 'Mary Poppins' uno dei musical maggiormente longevi di Broadway.

171 28 MAGGIO 2012

Documenti

Red, Blue and Swing: lo stato delle cose

Una breve introduzione per quanti l’avessero dimenticato: Negli Stati Uniti d’America la scelta del presidente avviene attraverso una elezione di secondo grado. Il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno corrispondente al bisestile, quindi, nelle urne, non si vota direttamente per uno o l’altro dei candidati in corsa ma per delegati – definiti gergalmente anche ‘voti elettorali’ - collegati ai candidati medesimi, i quali delegati saranno successivamente chiamati, in sede di Collegio Nazionale (l’istituzione che li raccoglie), a pronunciarsi conseguentemente al mandato ricevuto. In totale, i delegati eletti sono cinquecentotrentotto e pertanto alla Casa Bianca approderà chi sarà riuscito a conquistarne almeno duecentosettanta (la metà più uno). Il fatidico numero cinquecentotrentotto è pari alla somma dei congressisti nazionali (cento senatori e quattrocentotrentacinque rappresentanti e cioè totali cinquecentotrentacinque) e dei tre ‘voti elettorali’ ai quali ha diritto nell’occasione il District of Columbia, ovvero la città capitale federale Washington. I delegati (tranne che nel Nebraska e nel Maine che hanno sistemi differenti) si conquistano Stato per Stato con il meccanismo chiamato ‘winner take all’. In pratica, il candidato che prevale appunto in ciascuno Stato per voti popolari ottiene tutti i ‘voti elettorali’ ai quali il territorio in questione ha diritto. Rammento che ogni Stato può contare su un numero di delegati da nominare pari alla somma dei senatori e dei rappresentanti che elegge al Congresso, il che significa che più popolato è più delegati ha. Si va, da un minimo di tre, come nel caso dell’Alaska, a un massimo, per la California, di cinquantacinque. Cosi’ stando le cose, importantissimo conoscere gli orientamenti locali per capire come l’elezione andrà a finire. Necessari, indispensabili, quindi, i sondaggi non a livello nazionale (si può perdere, ed è accaduto, anche conquistando un maggior numero di voti nell’intero Paese ma in territori meno significativi quanto a delegati) ma Stato per Stato. Necessario, indispensabile, pertanto, sapere se e quanto uno Stato possa essere ritenuto repubblicano (red), democratico (blue) o fluttuante (swing).

Red, Blue and Swing Guardando alle indicazioni sulle intenzioni di voto, ai più recenti esiti e alla tradizione, ad oggi 27 maggio 2012, la situazione è la seguente:

172 Stati sicuramente (?!) democratici per un totale di centoottantasei delegati California Connecticut Delaware District of Columbia Hawaii Illinois Maine Maryland Massachusetts New Jersey New York Oregon Rhode Island Vermont Washington

Stati sicuramente (?!) repubblicani per un totale di centocinquantanove delegati Alabama Alaska Arkansas Georgia Idaho Kansas Kentucky Louisiana Mississippi Montana Nebraska North Dakota Oklahoma South Carolina South Dakota Tennessee Texas Utah West Virginia Wyoming

Stati tendenzialmente democratici per un totale di sessantuno delegati Michigan Minnesota New Mexico Pennsylvania

173 Wisconsin

Stati tendenzialmente repubblicani per un totale di quarantasette delegati Arizona Indiana Missouri North Carolina

Swing States per un totale di ottantacinque delegati Colorado Florida Iowa Nevada New Hampshire Ohio Virginia

Conclusioni? Nel rammentare che in molteplici occasioni, candidati dipoi eletti ‘a valanga’ a novembre, si trovavano all’incirca centosessanta giorni prima del voto (come oggi rispetto al 6 di quel mese) in situazioni che definire difficili è poco, sulla base di quanto ora esposto e guardando alle indicazioni relative alle intenzioni di voto specifiche di Ohio, Florida e Pennsylvania (normalmente, chi vince in almeno due di questi tre Stati, conquista lo scranno presidenziale), si può dire che, a meno di clamorosi errori dell’uno o dell’altro, a meno di accadimenti dirompenti, la battaglia sarà all’ultimo voto e che perfino uno Stato con soli tre delegati in canna potrebbe rivelarsi determinante.

174 I veterani di guerra preferiscono Romney In un giorno di pausa dalla campagna elettorale speso per onorare i caduti americani nel Memorial Day, l’ultimo sondaggio di Gallup assegna un largo vantaggio al probabile candidato repubblicano alla Casa Bianca sul presidente in carica. Il cinquantotto per cento dei reduci intervistati sostiene Romney, mentre solo il trentaquattro è a favore di Obama. Nelle ultime settimane, diversi sondaggi hanno mostrato un significativo divario di genere tra Obama e Romney, con le donne nettamente a favore del presidente e gli uomini più vicini all’ex governatore del Massachusetts. Questo vantaggio tra i maschi di Romney può essere attribuito proprio al netto margine conquistato tra i veterani, dato che un uomo su quattro, in America, ha prestato servizio nelle forze armate. Considerando invece soltanto gli uomini che non hanno indossato la divisa, i due candidati sono pressoché appaiati. Obama e Romney sono accomunati dal non aver prestato servizio, rendendo così le elezioni del 2012 le prime con due candidati ‘senza divisa’ dalla sfida del 1944 tra Franklin Roosevelt e Thomas Dewey. Per commemorare i caduti di tutte le guerre, Romney ha visitato il Museo dei veterani e il Memorial Center di San Diego, in California, insieme al senator John McCain, candidato repubblicano alla Casa Bianca quattro anni fa. Nel programma del presidente Obama, invece, le cerimonie al cimitero nazionale di Arlington e al memoriale per i veterani del Vietnam a Washington.

Dagli amici mi guardi Iddio Uno dei temi della corsa alle presidenziali è: “Con amici come questi, chi ha bisogno di nemici?”. Gli aiuti non richiesti hanno messo in difficoltà sia Barack Obama sia Mitt Romney. Prima si è scoperto che un Superpac (comitato politico per la raccolta fondi) finanziato da un uomo d’affari conservatore voleva attaccare Obama con uno spot dalle forti connotazioni razziali sulle uscite più controverse del reverendo Jeremiah Wright, l’ex pastore del presidente. Lo staff di Obama ha definito deplorevole l’iniziativa e lo stesso Romney ha dovuto prendere le distanze dal progetto. Poi è stata la volta di Cory Booker, sindaco di Newark, in New Jersey, e star emergente del partito democratico. Booker è andato in tv per difendere il presidente, ma ha detto anche che gli attacchi di Obama a Mitt Romney per il suo passato alla società d’investimento Bain Capital sono vergognosi quanto gli spot sul reverendo Wright. Le dichiarazioni di Booker non sorprendono, considerate le sue ambizioni e i suoi legami con la finanza, ma hanno creato enormi grattacapi allo staff di Obama, che punta a dipingere Romney come un manager rampante distaccato dalla realtà. “È su questo che si concentrerà la campagna”, ha ribadito Obama il 21 maggio. 175 E proprio mentre si spegneva la polemica su Booker, Bill Maher, comico tv che ha donato un milione di dollari a un Superpac pro Obama, l’ha riaccesa. Ha definito ‘setta’ la religione mormone di Romney, costringendo lo staff di Obama a prendere le distanze dal proprio fervente sostenitore.

176 30 MAGGIO 2012

Dopo il Texas: per Romney nomination in tasca Ed ecco che, come del tutto previsto, Mitt Romney, vincendo con un buon settantuno per cento le importantissime primarie del Texas e aggiudicandosi larga parte dei delegati in palio, supera la fatidica soglia dei millecentoquarantaquattro voti elettorali necessari per ottenere, a fine agosto in quel di Tampa nel corso della convention Gop, l’agognata nomination. Nulla cambierà ora, c’è da scommetterlo, nella strategia del mormone che già da tempo – dopo il ritiro di Santorum, in particolare – aveva dato per scontata l’investitura e si era concentrato sul rivale democratico Barack Obama. Il presidente del partito repubblicano, Reince Priebus, si è congratulato con Romney che, ha scritto in un comunicato, “offre all’America la nuova direzione di cui ha un disperato bisogno”. “In un momento in cui il Paese deve dare al settore privato i mezzi per creare occupazione”, ha aggiunto, “noi abbiamo bisogno di un leader che rispetti il settore privato. Quel leader è Mitt Romney”.

177 A centosessanta giorni dal 6 novembre Continua da parte dei due candidati la caccia ai finanziatori meglio se miliardari. Ed ecco Mitt Romney tornare a Las Vegas – questa volta in compagnia di Donald Trump già suo sostenitore – per una cena elettorale e, soprattutto, per incontrare e cercare di convincere il super ricco (che ha fatto i soldi soprattutto col gioco d’azzardo) Sheldon Adelson Questi ha, dall’inizio, sostenuto a suon di milioni (venti) la campagna del rivale Newt Gingrich che gli sembrava duro e puro quanto, a suo parere, necessario Pur avendo in seguito affermato di essere disposto comunque ad appoggiare il Gop nominato chiunque fosse, non ha finora versato neppure un centesimo a Romney. Staremo a vedere.

L’ex governatore della Florida Jeb Bush, in una lunga ed interessante intervista, torna a proporsi quale candidato alla vice presidenza. Gli piacerebbe completare il ticket repubblicano, dice, Dubita, peraltro, che davvero il mormone possa prenderlo in considerazione essendo, al momento (e non di certo in futuro) il suo cognome forse ingombrante. Propone, Jeb, al proprio partito una del tutto inattesa – i Gop sono per la stragrande maggioranza wasp (white, anglo saxon, protestant) - apertura alle minoranze razziali quanto religiose. Dovesse fallire Romney in questo 2012, penso possa prospettarsi una forte candidatura del terzo Bush fra quattro anni.

Durante la cerimonia, tenutasi alla Casa Bianca, per la consegna delle ‘Medaglie della libertà’, massima onorificenza civile americana, due le circostanze che hanno colpito. La prima è l’assoluta freddezza (neppure un sorriso) di Bob Dylan che ha ricevuto la decorazione senza fare una piega. La seconda, l’ennesima castroneria di Obama (e del suo entourage, evidentemente non all’altezza), il quale, premiando un cittadino polacco per i suoi meriti nella lotta contri i nazisti, ha parlato di “campi di sterminio polacchi” causando l’immediata protesta ufficiale del governo di Varsavia. “La Polonia”, questa la precisazione, “fu invasa dai tedeschi e i campi di cui si parla furono in effetti costruiti sul territorio nazionale polacco ma dai nazisti”.

Gli astrologi dicono Obama Le stelle non lasciano scampo a Mitt Romney: il prossimo 6 novembre Barack Obama vincerà le elezioni e tornerà alla Casa Bianca. E' quanto é emerso al termine di un summit di New Orleans che ha visto la partecipazione dei maggiori astrologi d'America. Ben cinque esperti di movimenti astrali hanno fatto l'oroscopo ai due contendenti, in vista del voto del sei novembre. E tutti e cinque confermano all'unanimità che le stelle stanno con Barack, Leone, a scapito di Romney, Pesci.

178 I principali finanziatori di Mitt Romney La rivista ‘Rolling Stone’ ha pubblicato un apposito dossier sui maggiori finanziatori della campagna elettorale di Romney. Il ritratto del finanziatore-tipo che emerge da questa carrellata è quello di un anziano miliardario: età media sessantasei anni, patrimonio medio un miliardo di dollari. Ognuno di loro ha una buona ragione, legata ai propri affari, per scommettere o investire sull'elezione del candidato repubblicano. I primi cinque in classifica sono: 1) Bill Koch, settantaduenne uomo d'affari, fratello degli ancora più facoltosi (e famigerati) David e Charles, i quali a loro volta sono tra i principali finanziatori (e non di rado vengono additati come biechi burattinai) del movimento dei Tea Party e dell'ala più radicalmente antistatalista del partito repubblicano in genere. Bill, che fu noto alle cronache italiane quando vent'anni fa vinse la Coppa America con la sua barca a vela ‘America3’ battendo il Moro di Venezia di Raul Gardini, è talmente ricco che dopo quell'impresa si comprò anche il Moro, così, tanto per collezionismo. Assieme alla moglie ha donato a Romney due milioni di dollari. 2) Harold Simmons, l'ottantunenne proprietario della holding Contran il quale a marzo, quando le primarie Gop erano ancora in pieno corso, aveva già donato diciotto milioni di dollari comitati elettorali repubblicani (soprattutto a quello di Karl Rove) a prescindere da chi sarebbe stato il candidato. Non che l'esito delle primarie gli fosse del tutto indifferente: prima di finanziare Romney donò un millione di dollari a Perry, Gingrich e Santorum. Ora che si è rassegnato alla candidatura di quello che palesemente non era il suo preferito, ha elargito a Mitt ottocentomila dollari. 3) Bob Perry, il settantanovenne imprenditore edile texano, amico di lunga data di Karl Rove del cui comitato è uno dei principali finanziatori, si era già distinto per le grandi donazioni ai repubblicani nelle elezioni di mezzo termine del 2010, e prima ancora nel 2004 come principale finanziatore del gruppo di veterani dedito a screditare il curriculum militare del candidato democratico alla casa Bianca John Kerry. Quest'anno ha donato a Romney la bellezza di quattro milioni. 4) Jim Davis, proprietario di un grande calzaturificio in Massachusetts, finanzia le imprese politiche di Romney sin da quando questi si candidò al senato nel 1994, tentando invano di spodestare Ted Kennedy. Quest'anno gli ha dato un milione di dollari, e si dice che il suo obiettivo lobbystico sia quello di ottenere un appalto dal Pentagono per calzare i piedi dei soldati americani (i proverbiali “boots on the ground”...). 5) Richard e Bill Marriott, eredi del celebre impero alberghiero, hanno donato un milione a testa al comitato Romney for President. L'articolo di Rolling Stone nota con dovizia di particolari che Romney è stato per due volte membro del consiglio di amministrazione della holding Marriott (l'ultima volta nel 2011), che di secondo nome fa Willard in onore di J. Willard Marriott Senior,

179 papà di Bill e fondatore dell'impresa, e che da bambino trascorreva le vacanze nella villa di famiglia dei Marriott in New Hampshire. L'autore si è però perso il dato che probabilmente spiega tutti questi legami: il capostipite J. Willard Marriott Senior, originario dello Utah come il padre di Mitt, oltre che un grande imprenditore era un missionario mormone. Gli altri sono quasi tutti pezzi grossi di Wall Street: da Ed Conard, direttore dal 1993 al 2007 della della Bain Capital, la società di private equity della quale Romney fu cofondatore (ha donato un milione, mantenendo l'anonimato finché i media non l'hanno stanato), al manager Steven Lund, anche lui mormone (due milioni), dall'ottantenne Julian Robertson, uno dei primi grandi manager di hedge-fund, noto alle cronache per le sue battaglie contro il fisco, (un milione e duecentocinquantamila dollari), a John Paulson, altro gigante degli HF (un milione), nonché il manager Robert Mercer, che prima di donare un milione a Mitt aveva investito altrettanto nella campagna contro la cosiddetta ‘moschea a Ground Zero’.

Aumenta il tasso di disoccupazione negli USA Sarà l’economia il dato decisivo. Ci si scontrerà su mille diversi argomenti, ma, alla fine, il livello di vita degli americani li porterà a decidere per una conferma o per un cambiamento. Ecco quanto oggi, a seguito della diffusione dei nuovi dati concernenti l’occupazione, riportano le agenzie al riguardo: “Mitt Romney ha definito ‘devastante’ la notizia dell'aumento del tasso di disoccupazione Usa a maggio, passato dall'otto virgola uno per cento di aprile all'otto virgola due. ‘I dati sulla disoccupazione’, si legge in una nota diffusa dal candidato repubblicano alla Casa Bianca, ‘rappresentano una notizia devastante per le famiglie e per in lavoratori americani. E’ questo un duro atto d'accusa nei confronti della gestione dell'economia da parte del presidente Obama’.”

Divertente, tra mille virgolette, il fatto che l’or ora citato presidente abbia in questi giorni amichevolmente ospitato a White House il predecessore George Walker Bush e la moglie (venivano inaugurati i ritratti ufficiali dei due da collocare nella galleria che conserva le raffigurazioni di tutti i presidenti e delle first lady) dimenticandosi che da sempre va sostenendo di non essere responsabile delle difficoltà economiche del Paese che dipenderebbero a suo dire solo e soltanto dalla da lui vituperata amministrazione del medesimo Bush.

Nancy Reagan Novantenne ma ancora in gamba, ieri Nancy Reagan ha voluto dichiarare pubblicamente il proprio appoggio a Mitt Romney.

180 Poco per volta e molto velocemente dopo il ritiro dei rivali interni, tutto il Grand Old Party si schiera con il mormone. Se gli evangelici non si comporteranno a novembre come nel 2008 – quando si astennero non ritenendo McCain un ‘loro’ candidato – Romney avrà le migliori possibili chance di vittoria.

181 4 giugno 2012 Wisconsin, supertest per Obama e Romney Passa dal voto del Wisconsin la lunga strada verso la Casa Bianca. Domani gli elettori di questo Stato del Midwest non sceglieranno solo il loro governatore, ma daranno una indicazione politica forte in vista del prossimo 6 novembre. Si tratta di un supertest locale con una enorme valenza nazionale. Gli occhi di Barack Obama e di Mitt Romney sono puntati sulla sfida all’ultimo voto tra il governatore uscente Scott Walker, amatissimo dai ‘Tea Party’ e nemico giurato dei sindacati e il sindaco di Milwaukee, il democratico Tom Barrett. In particolare, è Barack a vivere questa vigilia con particolare ansia. Come scrivono i media, il presidente ha molte strade aperte per poter tornare alla Casa Bianca, ma tutte passano per una vittoria nel Wisconsin. E un’eventuale sconfitta del candidato democratico non sarebbe certo un buon viatico sulla strada della sua rielezione. Al momento i sondaggi parlano di un sostanziale testa a testa, con il candidato repubblicano in leggero vantaggio. Questo Stato, alle elezioni presidenziali, vale dieci grandi elettori. Obama, quattro anni fa, lo conquistò con relativa facilità, battendo John McCain con uno scarto di ben quattordici punti percentuali. Ma sembra che in molti siano rimasti delusi dalla sua presidenza e oggi è considerato un ‘swing State’ nel mentre, tradizionalmente, si tratti invece di un ‘blue State’, uno Stato democratico. Ronald Reagan è stato l’ultimo leader repubblicano ad aver vinto da queste parti, nel lontano 1984. Riuscirà ad imitarlo Romney? L’esito della sfida Walker/Barrett fornirà un’indicazione non da poco.

182 Gary Johnson, il terzo candidato Fondato nel 1971, il ‘Libertarian Party’ ha un certo seguito negli USA soprattutto tra gli intellettuali. Come sempre dalla fondazione, anche in questo 2012 propone un proprio candidato alla Casa Bianca e questa volta il personaggio in questione potrebbe anche avere un qualche seguito. Si tratta infatti dell’ex governatore (per due mandati dal 1995 al 2003) del New Mexixo Gary Johnson, figura abbastanza nota a livello nazionale. Già lungamente repubblicano, Johnson è entrato da poco tra i ‘libertari’ arrivando subito alla nomination.

183 5 GIUGNO 2012

Il Gop Scott Walker mantiene in Wisconsin Netta (cinquantaquattro per cento dei suffragi contro il quarantacinque per cento del rivale democratico), netta vittoria del governatore repubblicano del Wisconsin Scott Walker in una consultazione particolarmente significativa in vista del voto novembrino. Si votava in base al cosiddetto recall , ovvero il diritto referendario dei cittadini americani di chiedere le dimissioni di una carica pubblica dopo un anno dal suo insediamento. Nella storia degli Stati Uniti moderni Scott Walker è il terzo governatore che ha dovuto affrontare questa sfida. Negli altri due casi – nel 2003, in California, Gray Davis e, nel lontano 1921, Lynn Frazier nel North Dakota – i politici contestati erano stati costretti alle dimissioni. La sconfitta del democratico Tom Barrett è assai dolorosa per Obama che vede profilarsi la perdita del Wisconsin, Stato da sempre vicino al partito dell’asino.

184 6 GIUGNO 2012

California, Montana, New Mexico, New Jersey e South Dakota per Mitt Romney In qualche modo, fuori tempo massimo, visto che i giochi sono ampiamente fatti, ma seguendo il calendario, ecco, ieri 5 giugno, al voto, per le primarie del Gop, lo Stato col maggior numero di abitanti degli USA (ovviamente la California), il New Jersey, il New Mexico, il South Dakota e il Montana. Un bel pacco di delegati – alla California ne spettavano addirittura centosettantadue – che si sono aggiunti per la gran parte a quelli già schierati con Mitt Romney. Il mormone ha prevalso nello Stato del Pacifico con all’incirca l’ottanta per cento dei suffragi. Ha preso poi l’ottantuno per cento nel New Jersey, il settantatre nel New Mexico, il sessantanove nel Montana e il sessantasei nel South Dakota.

185 La crisi economica? Per Obama è colpa dell’Europa Il problema dei problemi, e l’ho sempre detto e ripetuto, è la situazione economica. Se migliora, Obama è probabilmente in salvo. Se peggiora, con ogni evidenza, verrà battuto. Ecco, quindi, che, non prevedendo nulla di buono e verificando le difficoltà in aumento, di questi tempi, il presidente cerca responsabili altrove arrivando ad accusare l’Europa le cui pesanti incertezze minerebbero gravemente l’economia USA. Per tutta risposta, in specie il neo ministro degli esteri francese Laurent Fabius, ma anche altri esponenti europei, gli hanno ricordato le origini della grave impasse che sono indubbiamente americane. Quel che conta per Obama non è evidentemente dire la verità, dare una versione reale (se possibile) dei fatti, ma allontanare da sé e dalla sua amministrazione ogni accusa di inefficienza in una materia tanto decisiva.

Raccolta fondi elettorali Super Pac a parte, guardando agli spiccioli (ai denari che i singoli sono chiamati a versare per sostenere la campagna elettorale dei due candidati), nel trascorso mese di maggio, per la prima volta – e il fatto è assai significativo – Mitt Romney ha sopravanzato, e nettamente, Obama. Ad aprile, ricordo, il democratico aveva raccolto quarantatre milioni di dollari a fronte dei quaranta virgola uno del repubblicano. A maggio, Obama è arrivato a sessanta milioni, nettamente meno di quanto, settantasei virgola otto, ha ricevuto il rivale.

Vogue è con Obama (!?) Da sempre, con rare eccezioni, il mondo dello spettacolo e quello dei radical chic appoggia il candidato democratico a White House. Chiunque sia e a maggior ragione se è il primo nero approdato allo scranno presidenziale. Sono tutti molto politicamente corretti, in quegli ambienti. Non meraviglino, quindi, le dichiarazioni e le azioni di raccolta fondi pro Obama messe in atto da George Clooney, Sarah Jessica Parker e compagnia bella. (Va qui, peraltro, ricordato che l’abbraccio del predetto Clooney fu fatale per John Kerry nel 2004, ma glissiamo). Non deve pertanto sorprendere se oggi, col democratico si schiera anche e nientemeno che il guru della moda, la direttrice di ‘Vogue’, Ann Wintour. I media danno ampio risalto all’endorsement della signora. Nessuno sa dire se davvero questa uscita convoglierà su Obama anche un solo voto.

186 La replica Gop “Barack Obama è troppo radical chic, legato alle celebrità dello spettacolo e della moda che fanno campagna per lui”. E' questo il messaggio che la campagna repubblicana per le presidenziali sta cercando di far passare. Un nuovo spot televisivo, mostra la direttrice di Vogue, Anne Wintour, che parla con il suo accento snob dell'evento organizzato la settimana prossima a New York per la campagna del presidente americano. Le immagini sono montate con statistiche sulla disoccupazione e la scritta: “Obama cerca di mantenere il suo posto di lavoro. E il vostro?”.

Valanga di spot Mai, per quante sfide elettorali per la Casa Bianca si siano combattute dall’avvento della tv (è per apparire sul piccolo schermo che i soldi corrono a fiumi), mai lo scontro era iniziato tanto per tempo e in forme altrettanto feroci. Da giorni – e sarà lo stesso o peggio fino al 6 novembre – tutte le televisioni, in particolare quelle locali, sono terra di conquista e si è calcolato che quattro spot su cinque tra quanti proposti sono a favore di Romney o di Obama. Mi chiedo se non sia opportuno, necessario addirittura, per il futuro pensare ad un limite.

Una colonscopia senza anestesia Un senatore che è sopravvissuto al test dello staff di Mitt Romney per ottenere la candidatura a vicepresidente definisce l'esame cui è stato sottoposto come “una colonscopia senza anestesia”. E' la battuta citata da un pezzo sul sito della Cnn, che conferma come il candidato repubblicano alla Casa Bianca stia intensificando la sua ricerca di un numero due. Si tratta di assicurarsi la collaborazione di una persona assolutamente limpida, non solo senza scheletri nell'armadio, ma senza nemmeno una pur piccola macchia, o mancanza o stupidaggine compiuta nel corso della sua vita passata. Si indaga sugli anni universitari, sul lavoro, ma anche sulle amicizie, la famiglia e le parentele anche remote, insomma su tutto quanto possa solo lontanamente danneggiare indirettamente la campagna elettorale del capo. Un esame talmente intimo e dettagliato, che secondo alcuni è maggiormente severo di quello al quale vengono sottoposti i candidati presidenti dai rispettivi partiti, al momento di partire per le primarie.

Obama e l’industria farmaceutica Non passa praticamente giorno senza che qualche tv o giornale ‘scopra’ qualcosa riguardo al passato di Obama o di Romney, fossero pure i loro comportamenti alle elementari! Di quando in quando, frammezzo a mille inutilità, ecco qualche scoop.

187 Il ‘New York Times’ di ieri, per esempio, si occupa, denunciandolo con evidenza e documentandolo, di un abbastanza recente comportamento alquanto discutibile di Obama. Questi, nelle settimane che hanno preceduto il varo della ‘sua’ riforma sanitaria, ha operato per bloccare la proposta di abbassare i prezzi di alcune medicine ottenendo in tal modo la collaborazione (e quant’altro?) della gratissima industria farmaceutica nazionale. Birbone…

188 11 GIUGNO 2012

Documenti

Ben meritato da Obama il Nobel per la pace! Un articolo del Movimento Internazionale per i diritti civili Il ‘New York Times’ del 29 maggio ha pubblicato un profilo devastante del presidente Obama e della ‘lista segreta degli eliminandi’ che egli approva personalmente. L'articolo si basa su interviste con trentasei ex e attuali collaboratori. Gli autori, Jo Becker e Scott Shane, ricordano che Obama è il docente di diritto progressista “che fece la campagna contro la guerra in Iraq e contro la tortura”, il quale si è trasformato in una persona con l'ossessione di uccidere i sospetti terroristi, studiando i casi individuali uno per uno e arrogandosi il potere di decidere chi verrà prescelto. Da quanto hanno descritto i testimoni, quando Obama “applica la sua abilità di giurista all'antiterrorismo, lo fa di solito per rafforzare, e non per contenere la sua feroce campagna contro Al Qaeda, anche se si tratta di uccidere un cittadino americano in Yemen (una decisione 'facile da prendere', ha detto ai suoi)”. Le fonti hanno anche confermato una pratica che è diventata abituale alla Casa Bianca: per evitare i problemi che sorgono dalla detenzione dei terroristi, ad esempio a Guantanamo, Obama preferisce non fare prigionieri. “Sotto Obama, sono stati uccisi decine di sospetti e uno solo è stato preso in custodia”, notano gli autori. Viene citato l'ambasciatore USA in Pakistan Cameron Munter, che si è recentemente dimesso perché, dice, ha capito che il suo “lavoro principale era diventato uccidere la gente”. L'ex direttore della National Intelligence ammiraglio Dennis Blair, che Obama aveva licenziato, afferma che la Casa Bianca pensava solo agli attacchi con i droni invece che alla strategia a lungo termine, tanto che gli ricordava l'ossessione con “il conto dei cadaveri in Vietnam”. Secondo il NYT ogni settimana si riuniscono un centinaio di funzionari della sicurezza nazionale “per esaminare le biografie di sospetti terroristi e suggerire al Presidente chi debba essere il prossimo a morire. Le nominations vanno alla Casa Bianca dove, per ordine di Obama, il Presidente, supportato dal consigliere anti-terrorismo, deve approvare ogni nome”. Molti analisti hanno espresso stupore al numero delle vittime civili ufficialmente riportate dalla Casa Bianca nell'ambito dei ‘danni collaterali’. Alcuni funzionari del governo sostengono che sia dovuto al fatto che tutti i maschi abili, in una zona dichiarata bersaglio, vengono considerati come combattenti, a meno che non si dimostri il contrario dopo il loro decesso. Per questo ci sono state proteste tra i funzionari dell'amministrazione.

189 L'uso crescente dei droni da parte di Obama è da tempo nel mirino degli attivisti per i diritti umani e di altri gruppi che in genere appoggiano la politica di Obama, la qual cosa indica una consapevolezza crescente del pericolo rappresentato dall'esecutivo dittatoriale. Infatti, due giorni dopo lo stesso giornale ha pubblicato un articolo intitolato ‘Troppo potere per un presidente’. Nessun presidente, si afferma nell'editoriale, “dovrebbe essere in grado di ordinare unilateralmente l'uccisione di cittadini americani o stranieri lontano da un campo di battaglia, privandoli dei diritti a un equo processo” e senza un organo di controllo esterno. Il NYT chiede al presidente di stabilire direttive chiare su quali siano i bersagli, che permettano alla magistratura di esaminare le prove quando sia coinvolto un cittadino americano e il rilascio degli atti che giustificano l'uccisione.

190 E se per White House votasse il mondo intero? Un vecchio gioco, già visto in precedenti occasioni. Un sondaggio a livello mondiale per vedere quali Stati si schierano col democratico e quali col repubblicano. Allorquando, nel 2004, sul ring si affrontavano George Walker Bush, in cerca della conferma, e John Kerry, tutto il mondo, Polonia e Paesi baltici esclusi e Italia in testa, si augurava prevalesse il secondo (il primo stravinse, il che certifica l’importanza di tali iniziative).

Ecco gli esiti delle rilevazioni fatte : Francia, novantadue per cento (92%) per Obama Germania, novanta per cento ( 90%) per Obama Regno Unito, settantatre per cento (73%) per Obama Europa in generale, ottanta per cento (80%) per Obama Brasile, settantadue per cento (72%) per Obama Giappone, sessantasei per cento (66%) per Obama

Romney prevale solo in Cina (trentanove a trentuno per cento), in Russia di poco (ventisette a venticinque) e diffusamente in tutti i Paesi islamici.

Il voto di Wall Street a favore di Romney "Il voto di Wall Street: Romney stravince a valanga". Così titola oggi ‘The Politico’ il pezzo con cui apre l'homepage, nel quale, esaminati i bilanci dei rispettivi comitati elettorali, si nota che i finanziamenti che il presidente Obama ha sin qui ricevuto dal mondo della finanza (dato aggiornato allo scorso aprile) non solo sono meno di quelli ricevuti dallo sfidante repubblicano Mitt Romney (il che era ormai scontato), ma lo sono in una proporzione davvero impressionante: i trentasette virgola uno milioni di dollari che la gente di Wall Street ha donato a Romney sono infatti quasi otto volta tanto gli appena quattro virgola otto milioni andati ad Obama. Non solo: tra i donatori pro-Romney appartenenti al mondo della finanza, se ne contano diciannove che quattro anni fa avevano invece dato finanziamenti ad Obama. Spulciando l'elenco di tutti i finanziatori di Romney riconducibili al pianeta Wall Street, ‘Politico’ ne ha contati quarantanove che in passato risultano aver a vario titolo dato finanziamenti al partito democratico: da costoro provengono complessivamente ben diciotto dei cinquantasei virgola cinque milioni sin qui affluiti nelle casse di ‘Restore Our Future’, il ‘Superpac’ che raccoglie i principali finanziamenti per la campagna elettorale di Romney.

191 Il ‘cane democratico’ Certo che godere dell’appoggio nientemeno che della mitica direttrice di ‘Vogue’ Ann Wintour è una gran bella cosa. Oltre a raccogliere fondi per Obama tra gli amici, la Signora si è inventata nientemeno che il ‘cane democratico’ creando per i possessori di quei poveri quattro zampe una nuova linea di prodotti (dai collari ai guinzagli, dalle ciotole ai mangimi) sui quali campeggia il motto ‘Bark for Barack Obama’ e cioè ‘abbaia per B.O.’. Cosa chiedere di più?

Dollari come se piovesse per Mitt Ricordate il multimiliardario (in dollari) Sheldon Adelson, quello che ha ampiamente foraggiato Newt Gingrich ai tempi della sua candidatura nelle primarie Gop? Ebbene, a quel che scrive la rivista ‘Forbes’, avrebbe deciso di versare nelle casse di uno dei Superpac collegati a Romney la bella cifra di dieci milioni di dollari. Di più, questa non sarebbe che una prima, modesta, tranche del maggiore investimento mai fatto da un privato a favore di un pretendente a White House: avrebbe, difatti, Adelson intenzione di finanziare il mormone con un totale di cento milioni di dollari! Vuole, il riccone di origini ebraico/lituane, far fori Obama che accusa di ‘socialismo’.

192 15 GIUGNO 2012

DOCUMENTI

Romney-Obama, botta e risposta in Ohio. Duello a distanza sull'economia nello Stato chiave per la vittoria alle presidenziali, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa È un duello in Ohio su occupazione, tasse e deficit che evidenzia nell’arco di 60 minuti il contrasto fra Barack Obama e Mitt Romney, impegnati in una gara per la Casa Bianca che i sondaggi descrivono come un incerto testa a testa. L’occasione per la sfida è il comizio programmato da Obama a Cleveland per tentare di riprendere le redini di una campagna che lo vede in affanno a causa della crescita stagnante. L’inizio del discorso di Obama è previsto alle tredici e quarantacinque ma Romney non vuole lasciargli il palcoscenico e così prima annuncia un proprio comizio, alla stessa identica ora a Cincinnati, sempre in Ohio, e poi lo anticipa di venti minuti al fine di confermarsi all’offensiva. Il candidato repubblicano si presenta in maniche di camicia e lancia un affondo di quindici minuti, aspro nei toni e aggressivo nei contenuti: “Nel 2009 Obama ci aveva promesso la disoccupazione al sei per cento ma da quaranta mesi è sopra l’otto, la sua riforma della Sanità ha messo in ginocchio le piccole imprese e di questo passo presto saremo come l’Europa, disoccupazione alta, salari bassi, i nostri figli indebitati per generazioni e sull’orlo del crac finanziario simile a quello greco”. E ancora: “Obama continua a ripetere che il settore privato dell’economia va bene ma deve spiegarlo agli oltre quattordici milioni di cittadini senza lavoro”. Romney non fa a tempo a scendere dal palco di Cincinnati che, a quattrocentodue km di distanza, Obama sale su quello di Cleveland. Il discorso del presidente, in giacca e cravatta e con le bandiere alle spalle, dura quarantaquattro minuti. É studiato per invertire il momento favorevole dei repubblicani, testimoniato dall’ultimo sondaggio Rassmussen secondo cui Romney è avanti quarantotto a quarantaquattro per cento nelle preferenze degli elettori. “Il voto di novembre sarà sull’economia e avete di fronte a voi una scelta netta fra ricette opposte”, esordisce il presidente. “Quella di Romney e dei suoi alleati repubblicani favorevoli a chi possiede di più e quella in cui io credo, di ricostruire l’economia dal basso verso l’alto iniziando dalla classe media”. L’intento è schiacciare Romney sull’eredità economica di George W. Bush, il presidente che ha governato dal 2001 al 2009: “Sappiamo in che condizioni ci hanno lasciato la nazione, vogliamo davvero tornare indietro?” chiede Obama, imputando al rivale di voler rendere permanenti gli sgravi fiscali ai ricchi “e garantirgli altri cinque trilioni di dollari in facilitazioni a scapito di scuola, ricerca e sanità”. Nel finale Obama sfodera la grinta dei comizi del 2008:

193 “Se volete costruire l’America aiutando le famiglie rieleggetemi, se invece credete in un’economia costruita attorno agli interessi dei più facoltosi scegliete il mio avversario”. Terminato il discorso, il presidente vola a New York con la moglie Michelle per visitare il cantiere della Freedom Tower a Ground Zero, dove firma una delle ultime travi a testimonianza dell’impegno per il riscatto della nazione. E in serata lo attende Sarah Jessica Parker, la star di ‘Sex and the City’ che ospita una raccolta fondi. Per Obama sono risorse che contano perché anche sul fronte dei finanziamenti Romney miete risultati: in maggio ha raccolto più di lui (settantasei milioni contro sessanta), fra i donatori di Wall Street è in vantaggio trentotto milioni a quattro e in più ha ricevuto dal re dei casinò Sheldon Adelson la promessa di ‘assegni illimitati’ anche oltre la soglia dei cento milioni di dollari. A rassicurare Obama c’è Jim Messina che dal quartier generale di Chicago conduce una campagna digitale, basata su microdonazioni, gadget e ricorso massiccio ai social network. Nella convinzione che “questa è la prima campagna elettorale dalla creazione dell’iPad e dal boom di Twitter” e dunque sarà vinta in una maniera che non ha precedenti. Anche per questo dopo il discorso di Obama, il guru David Axelrod ha scelto twitter per rispondere alle domande degli elettori.

194 Obama concede il permesso di soggiorno a ottocentomila clandestini Il voto degli ispanici? L’ho detto e ripetuto: è importantissimo e forse determinante. Ed ecco che, nel mentre Romney si chiede se non sia opportuno (se non necessario) trovare un candidato alla vice presidenza appunto ispanico, Obama opera concretamente per ottenere da quel gruppo simpatie e riconoscenza. Come? Attraverso una sanatoria, annunciata ieri con una conferenza a White House (il presidente è stato interrotto da un giornalista che gli chiedeva perché mai si desse da fare per gli stranieri e non per gli americani, la qual cosa ha provocato imbarazzo). Avranno, quindi, il permesso di soggiorno negli USA ben ottocentomila giovani latino americani entrati clandestinamente nel Paese da bambini, vissuti altrettanto clandestinamente ma senza commettere reati. Che dire del tempismo di Obama che provvede in tal senso a meno di centocinquanta giorni dalle elezioni?

Romney critica la politica a suo dire anti israeliana di Obama Durante l’intervento all’incontro con i cristiani evangelici, il candidato repubblicano alla presidenza Mitt Romney, ha detto che la sua politica nei confronti di Israele sarà l’opposto delle azioni che vengono oggi intraprese da Barak Obama. Romney ha dichiarato che il presidente teme non tanto la prospettiva che l’Iran diventi una potenza nucleare, quanto una eventuale operazione militare israeliana contro l’Iran. Parlando delle sue future azioni in qualità di presidente USA, in proposito il mormone intende “forgiare saldi rapporti di lavoro con la dirigenza israeliana. Sia per noi, sia per loro”, ha detto, “ è inaccettabile l’apparizione di un Iran nucleare e siamo pronti ad adottare tutte le misure affinché ciò non avvenga”.

Il clan Bush a proposito dei latinos Deciso ma non dirompente l’intervento di Mitt Romney a proposito della sanatoria annunciata da Obama relativamente ai giovani latino americani entrati clandestinamente nel Paese, comunque presenti da almeno cinque anni e mai macchiatisi di reato. “Dobbiamo rendere sicutro il confine”, ha detto il candidato Gop nel mentre molti all’interno del suo partito accusavano il presidente di aver violato la legge se non addirittura la Costituzione. Fatto è che a calmare il mormone e ad indirizzarlo sulla strada di una reazione in qualche modo soft è stato il clan dei Bush, Jeb in prima linea. Da tempo, l’ex governatore della Florida, seguito dal resto della famiglia, parla della necessità per il Gop di rivedere le proprie troppo rigide politiche in merito.

195 Un difficile percorso, ma, in prospettiva e magari puntando su Rubio piuttosto che su Martnez, i repubblicani non possono non tenere conto dell’importanza sempre crescente di quel particolare lettorato.

La scuola in crisi Infiniti, naturalmente, i terreni di scontro. Fra gli altri, la scuola. E’ in crisi e la riforma voluta da George Walker Bush nel 2002 non ha migliorato le cose. Pochi i ragazzi meritevoli, pochissimi gli istituti all’altezza, sempre molti difficile se non impossibile per i figli dei meno abbienti farsi strada. Sul tema, poche le proposte e i due partiti sembrano per diverse ragioni non essere in grado di ideare nulla di positivo.

196 18 GIUGNO 2012

Documenti

Quali presidenti non rieletti dopo un solo mandato? Un articolo di MdPR Lo spettro Jimmy Carter! Non dichiarato, in casa democratica – in particolare, nel mentre la situazione economica USA non migliora o peggio, da quando Mitt Romney ha cominciato a raccogliere finanziamenti di grande portata e nettamente superiori a quelli destinati ad Obama – aleggia il fantasma di Jimmy Carter, presidente per un solo quadriennio, defenestrato da Ronald Reagan nel 1980. D’altra parte – sarà bene ricordarlo – ove si escluda Bill Clinton, nessun altro capo dello Stato democratico arrivato a White House dalla fine della seconda guerra mondiale, sia pure per differenti motivi, è riuscito ad ottenere una conferma elettorale. Così, Harry Truman, John Kennedy, Lyndon Johnson e il predetto Carter Ben altrimenti i repubblicani. Si rammentino Dwight Eisenhower, Richard Nixon, il citato Reagan e George Walker Bush. Unica eccezione - non potendosi considerare tale Gerald Ford che aveva completato il secondo mandato di Nixon - George Herbert Bush. Guardando ad anni più lontani, i presidenti ripropostisi e non eletti sono: John Adams, vince nel 1796 e perde nel 1800, John Quincy Adams, prevale nel 1824 e viene sconfitto nel 1828, Martin Van Buren, vittorioso nel 1836 e battuto nel 1840, Grover Cleveland, un caso del tutto unico in quanto vinse nel 1884, perse nel 1888 e tornò a prevalere nel 1892, Benjamin Harrison, vince nel 1888 e soccombe nel 1892, William Taft, si impone nel 1908 e perde nel 1912, Herbert Hoover, a White House a seguito delle elezioni del 1928 e cacciato dopo quelle del 1932. Giova in questo contesto ricordare altri presidenti o vice subentrati per un solo mandato, comunque, tranne Gerald Ford, ritiratisi non avendo cercato conferma e quindi non sconfitti nell’urna. Nell’ordine temporale, John Tyler, Millard Fillmore, Franklin Pierce, James Buchanan, Andrew Johnson, Rutherford Hayes, Chester Arthur, Calvin Coolidge. Al riguardo, da notare che fu Theodore Roosevelt, nel 1904, il primo vice presidente subentrato mortis causa a ripresentarsi, ottenendo il bis al termine del quadriennio da lui completato in luogo dell’eletto, nel 1900, William McKinley. Per la necessaria esaustività, Martin Van Buren (nel 1848) e Millard Fillmore (nel 1856) cercarono in differenti occasioni e ben dopo la loro uscita dalla Casa Bianca di riprendersi la presidenza, ma il tentativo andò male.

197 25 GIUGNO 2012

Molta carne al fuoco Nel mentre la Corte Suprema si appresta – si dice – a pronunciarsi in merito alla costituzionalità della riforma sanitaria obamiana (e una eventuale sentenza contraria potrebbe avere effetti davvero dirompenti), infiniti o pressappoco gli argomenti elettorali o assimilati dei quali si discute negli USA. Per cominciare, due fieri conservatori – Rupert Murdoch e Peggy Noonan – spronano a sangue Mitt Romney che ritengono poco virile. “Basterebbe poco per dare addosso a un governo tanto incompetente”, strilla l’editore che non ha da sempre alcuna considerazione dell’amministrazione in carica. Altrettanto dura, l’autorevole ex collaboratrice di Reagan e di Bush padre. Poi, il ‘Washington Post’, dichiaratamente democratico, attacca Romney per il suo passato alla guida di ‘Bain Capital’: “Spingeva aziende USA a spostarsi all’estero”, strilla. Organi di stampa avversi, accusano il presidente di ogni nefandezza: da giovane fumava marijuana, si è inventato, indorando abbondantemente la pillola, gran parte del suo passato, rifiutava la propria negritudine sulla quale ha invece insistito in campagna elettorale nel 2008. Qualcuno – Trump in testa – sostiene ancora che non sarebbe eleggibile non essendo nato negli Stati Uniti.

A parte tutto questo, in quel di Park City, Utah, Romney ha nei trascorsi giorni riunito i grandi finanziatori Gop e molti tra i possibili vice. I bookmaker continuano a dare favorito il senatore dell’Ohio Portman ma pare non sia da trascurare Tim Pawlenty, gradito in particolare sia agli evangelici che al Tea Party.

198 27 GIUGNO 2012

Documenti

Donna, mormone e repubblicana, Mia Love si candida alla Camera, un articolo di MdPR Ignari come sono della Storia con la esse maiuscola e attenti praticamente esclusivamente al gossip, larga parte dei commentatori italiani (ma, non solo) accolgono con meraviglia la notizia della candidatura in vista delle elezioni novembrine per la camera nelle fila repubblicane della emergente Mia Love. Nera e appunto repubblicana, non dovrebbe affatto stupire, come ricordo qui sotto. Mormone e residente nello Utah, forse maggiormente, ove si pensi che in quello Stato i neri sono soltanto l’uno per cento, pochissimi dei quali correligionari di Mitt Romney. Ora, il partito repubblicano USA fu fondato nel 1854. Avevano i fondatori come primo obiettivo l'eliminazione della schiavitù, difesa a spada tratta dai democratici del Sud. Il primo presidente repubblicano fu Abraham Lincoln e, mi pare, fece qualcosa riguardo allo schiavismo. Il presidente della Corte Suprema che negli anni Cinquanta del Novecento (nel mentre i governatori democratici sudisti imperavano e avversavano i neri) con le sue sentenze, tanto operò a favore delle minoranze razziali e dei loro diritti era il repubblicano Earl Warren. Il presidente che ha chiamato due neri (nell'ordine, Colin Powell e Condoleezza Rice) a ricoprire l'altissimo incarico di Segretario di Stato fu il repubblicano George Walker Bush. Nessuna meraviglia, quindi, nell'apprendere della candidatura di Mia Love. I neri che conoscono la storia non possono che essere repubblicani.

199 Sondaggi ballerini Un’occhiata di tanto in tanto ai mille sondaggi elettorali su base nazionale. Oggi, nel mentre Rasmussen continua a segnalare una qualche prevalenza di Romney, Gallup lo colloca avanti di un punto (quarantasei a quarantacinque per cento) mentre ‘Wall Street Journal/NBC’ lo sistemano indietro di tre (quarantaquattro contro i quarantasette del presidente). Considerando il fatto che i predetti sondaggi contemplano un margine d’errore del tre per cento, i due sono praticamente alla pari.

Condoleezza: “Non corro per la vice presidenza” Come altri tra i possibili se non probabili candidati a formare il ticket repubblicano unendosi a Romney, Condoleezza Rice ha ribadito ieri di non essere interessata alla vice presidenza. Appoggerà con tutte le sue forze il mormone, ma non lo affiancherà. Naturale che i molti dei quali si vocifera per l’incarico si defilino formalmente: a chi piace l’idea di proporsi ed essere dipoi bocciato? Il vice è uno ed uno soltanto.

200 27 GIUGNO 2012

Utah, le ultime primarie Novantatre virgola cinque per cento! Nel ‘suo’ Utah mormone, Romney sbanca e conquista tutti i quaranta delegati in palio. Le briciole, a Ron Paul (4,70%), Rick Santorum (1,52%) e Newt Gingrich (0,48%). Non che l’esito della consultazione fosse minimamente in dubbio, ma la quasi unanimità non fa certamente male.

201 27 GIUGNO 2012

Documenti

Mitt Romney è il ventottesimo candidato repubblicano a White House Mitt Romney, ove si consideri nell’elenco due volte (1960, quando fu sconfitto e 1968, allorché vinse) Richard Nixon, è il ventottesimo candidato repubblicano alla Casa Bianca. Il Grand Old Party (Gop), fondato nel 1854, propose per la prima volta un proprio aspirante alla presidenza nelle elezioni del 1856. Nell’occasione, John Fremont perse da James Buchanan. Come lui, nei decenni a venire, furono battuti dal rivale democratico loro toccato in sorte e non ulteriormente ricandidati James Blaine: 1884, contro Grover Cleveland Charles Hughes: 1916, contro Woodrow Wilson Alfred Landon: 1936, contro Franklin Delano Roosevelt Wendell Wilkie: 1940, contro Franklin Delano Roosevelt Barry Goldwater: 1964, contro Lyndon Johnson Bob Dole: 1996, contro Bill Clinton John McCain: 2008, contro Barack Obama. Sempre parlando dei Gop battuti e mai arrivati a White House, particolare il caso di Thomas Dewey, soccombente nel 1944 contro Franklin Delano Roosevelt e nel 1948 contro Harry Truman. Fra gli aderenti al partito dell’elefante (il simbolo dei democratici è invece un asino) sconfitti anche Gerald Ford che va considerato del tutto a parte in quanto, subentrato da vice presidente nell’agosto 1974 dopo le dimissioni di Nixon, fu battuto nel successivo 1976 nel mentre cercava la conferma presentandosi in effetti personalmente per la prima volta. I sedici repubblicani risultati invece vincitori sono nell’ordine Abraham Lincoln: 1860 e 1864 Ulysses Grant: 1868 e 1872 Rutherford Hayes: 1876 James Garfield: 1880 Benjamin Harrison: 1888 William McKinley: 1896 e 1900 Theodore Roosevelt: 1904 William Taft: 1908 Warren Harding: 1920 Calvin Coolidge: 1924 Herbert Hoover: 1928 Dwight Eisenhower: 1952 e 1956 Richard Nixon: 1968 (come accennato, al secondo tentativo avendo perso nel 1960) e 1972

202 Ronald Reagan: 1980 e 1984 George Herbert Bush: 1988 George Walker Bush: 2000 e 2004. Tra questi, Benjamin Harrison, William Taft, Herbert Hoover e George Herbert Bush furono sconfitti allorquando, terminato il primo, cercarono un secondo mandato. Da sottolineare il fatto che Theodore Roosevelt, ritiratosi volontariamente al termine del quadriennio 1905/1909, si ripropose nel 1912. Rifiutato dai repubblicani che gli preferirono l’uscente Taft, a capo di un partito fondato per la bisogna, perse dal democratico Wilson ma prevalse sul citato Taft ottenendo comunque il miglior risultato di sempre di un ‘terzo’ candidato.

203 28 GIUGNO 2012

La riforma sanitaria obamiana è costituzionale A sorpresa e confermando la propria sostanziale indipendenza da ogni questione politica o, men che meno, partitica, la Corte Suprema degli Stati Uniti, respingendo i ricorsi proposti da ventisei Stati, ha promosso l'intera riforma sanitaria varata dall’amministrazione Obama nel 2010, compreso l'obbligo per la maggioranza degli americani di avere una assicurazione medica. Si tratta di una grande vittoria per il presidente statunitense.. In base alla riforma la maggioranza degli americani dovrà dotarsi obbligatoriamente di un'assicurazione sanitaria entro il 2014, pena il pagamento di sanzioni. La decisione è stata presa in un clima di grande divisione tra i nove giudici. “Il fatto che la legge di cui si tratta”, ha scritto il capo dei giudici costituzionali, John Roberts, motivando la sentenza, “preveda che alcuni cittadini possano pagare delle sanzioni per non aver ottenuto l'assicurazione medica può essere ragionevolmente considerato come una tassa”. Dunque, nulla di incostituzionale, perché “la Costituzione”, ha proseguito, “permette tasse del genere e non è nelle nostre competenze vietarle”. La riforma sanitaria del presidente Obama è stata promossa dalla Corte Suprema con cinque voti a favore e quattro contrari. Contro l'Obamacare si sono schierati i giudici Antonin Scalia, Anthony Kennedy, Clarence Thomas e Samuel Alito. Decisivo, il presidente John Roberts, un conservatore che ha scritto la sentenza e ha votato a favore.

204 28 GIUGNO 2012

Documenti

La Corte Suprema USA, un articolo di MdPR La Corte Suprema degli USA è l'unico organo giudiziario espressamente previsto dalla Costituzione americana che, accanto ad esso, elenca “quelle Corti minori che il Congresso potrà, di tempo in tempo, creare e costituire” (ed, ovviamente, se del caso, sopprimere, in mancanza di una espressa garanzia costituzionale, concessa, quindi, solo alla Corte stessa). Risulta, quindi, del tutto evidente che nella mente dei partecipanti alla Convenzione dalla quale trasse origine la Costituzione degli Stati Uniti la Corte Suprema doveva essere il più alto tribunale federale cui era affidato il compito prevalente di una uniforme applicazione del diritto in tutti gli USA ed una funzione equilibratrice, di garanzia del corretto andamento del meccanismo federale, ma c'è di più, poiché un'ulteriore prerogativa spettante alla stessa Corte consiste nella cosiddetta ‘judicial review’ e cioè nel controllo di costituzionalità delle leggi, siano esse statali o federali cosicché la Corte Suprema finisce con il cumulare, grosso modo, quelli che sono i compiti della Corte di Cassazione (inesistente negli Stati Uniti) e di quella Costituzionale. E' questa seconda la funzione privilegiata sulla quale si è costituito il notevole potere dell'organo che è considerato l'autentico interprete della Costituzione scritta il che ha consentito, attraverso una giurisprudenza evolutiva o addirittura creatrice, ad un testo approvato oltre due secoli orsono di continuare ad essere all'altezza delle necessità. Secondo il dettato della Carta, i giudici appartenenti alla Corte Suprema devono essere nominati (come gli alti funzionari statali) dal presidente, con il consenso del senato, e, a garanzia della loro indipendenza, la stessa legge istitutiva prevede che il nominato goda della ‘inamovibilità’ (è, pertanto, in carica a vita) e della ‘intangibilità del trattamento economico’ (l'indennizzo, secondo per entità solo a quello del capo dello Stato, non può essere diminuito per nessuna ragione né tassato). Pertanto, il giudice federale, al riparo da ogni possibile influenza così del parlamento che del presidente, una volta nominato è libero di esprimere le proprie indipendenti valutazioni. Il congresso USA nel 1789 aveva fissato a sei, presidente compreso, il numero dei giudici della Corte Suprema per ridurli poi a cinque nel 1801. Nel corso della Guerra di Secessione, i giudici erano diventati dieci salvo scendere ad otto nel 1866. Dal 1869, anno dell’ultima variazione, ad oggi sono nove.

P.S. 1 L'importanza della Corte Suprema nella vita politicoistituzionale degli Stati Uniti non fu storicamente immediatamente colta dai suoi membri e, tantomeno, dai suoi primi presidenti.

205 E' solo con la nomina di John Marshall, poi in carica dal 1801 al 1835, che ci si rese conto dell'importanza dell'azione della Corte. Marshall, nominato dallo sconfitto John Adams la mezzanotte dell'ultimo giorno di permanenza in carica quale presidente, fu l’esponente del movimento federalista che più incise sulla politica americana proprio perché per trentacinque anni a capo della Corte Suprema, alla quale seppe dare consistenza e rilievo al di là dell'immaginabile.

P.S. 2 Spesso e particolarmente negli anni nei quali governava Franklin Delano Roosevelt, il potere politico ha cercato di prevaricare la Corte Suprema, mai, peraltro, riuscendovi. Il predetto F.D.Roosevelt, contrariato da una serie di decisioni avverse, confermato per un secondo mandato nel 1936, considerata l’età dei sei membri a lui contrari in carica, propose che da quel momento il presidente USA fosse autorizzato a nominare un giudice in soprannumero per ogni componente della Corte che avesse superato i settant’anni senza lasciare volontariamente l’incarico. L’idea fu ritirata, tanto vibranti furono in proposito le rimostranze popolari.

206 29 GIUGNO 2012

Documenti

Obamacare: il presidente è nei guai, articolo di Gianbattista Rosa per Cartalibera.it Il voto decisivo a sorpresa a favore della costituzionalità della riforma sanitaria di Obama da parte del giudice conservatore John Roberts, ricordato da MdPR, ha scatenato in Europa una ondata di entusiasmo degna di una semifinale del campionato di calcio continentale. Il tifo a favore della riforma sanitaria e della rielezione di Obama è assordante, ma in questo caso estremamente mal riposto, perché la decisione di Roberts rafforza invece le chances di vittoria di Romney contro Obama in novembre. Oggi, nonostante la ciabattante economia e la scarsa fiducia nelle sue ricette per uscire dalla crisi, Obama è fortemente favorito per la rielezione. A livello nazionale il suo vantaggio è lieve e calante, ma come noto il sistema elettorale americano assegna al vincitore in uno Stato tutti i voti elettorali del medesimo, sì che diventa decisivo il risultato in una dozzina soltanto di territori, quelli dal risultato incerto, essendo gli altri trentotto e il Distretto di Columbia molto polarizzati a favore di uno o l’altro dei due partiti (di fatto Obama ha già in tasca circa duecentoventi voti elettorali, e Romney centottanta). Se guardiamo ai dodici Stati incerti, oggi Obama è in vantaggio in dieci, Romney in due soltanto. Il recupero non è impossibile, soprattutto se l’economia non ripartirà, ma è tutto in salita. Obama è in vantaggio perché la personalità di Romney non sfonda: un businessman di successo troppo ricco e troppo algido per convincere quegli americani che votano più con il senso di appartenenza che con il cervello (donne, giovani, ispanici, neri) che è meglio un solido e noioso professionista che un ‘nice guy’ come Obama, pasticcione ma apparentemente più vicino ai problemi della gente. Romney può recuperare solo se il dibattito esce dagli stereotipi personali e si concentra sui problemi concreti, perché sulle soluzioni gli americani sono dalla sua parte, e soprattutto sulla riforma sanitaria. Questa riforma, più gli americani la guardano da vicino più la detestano: oggi oltre il sessanta per cento degli elettori non ne vuole sapere, compresa quindi la maggioranza degli indipendenti ed una rispettabile fetta degli stessi democratici. In Europa, la riforma viene presentata in modo manicheo e infantile, come se il problema fosse dare a tutti una decente assistenza a costi ragionevoli, o lasciare la sanità americana in mano alle lobby farmaceutiche ed ai ricconi che possono permettersi costi ospedalieri stratosferici. Non si ricorda che oggi i poveri e gli anziani sono già coperti da assistenza sanitaria pubblica (Medicaid e Medicare), che avrebbe meno risorse se passasse la riforma, e che buona parte dei trenta milioni che l’assistenza non l’ha sono giovani ‘middle

207 class’, che per scelta non acquistano una assicurazione perché non ritengono di averne bisogno, o immigrati clandestini. La riforma costringerebbe tutti a comprarsi una assicurazione, forzatura che ripugna allo spirito americano, aumenterebbe i costi per le imprese, e se penalizzerebbe forse le lobby farmaceutiche premierebbe invece quelle assicurative. Quanto poi una assicurazione obbligatoria voglia dire contenimento dei costi, lo sperimentiamo noi quotidianamente con le assicurazioni auto. Per Obama, era troppo bello vedere la sua riforma bocciata dalla Corte Suprema repubblicana: la sua promessa l’aveva mantenuta, i cattivoni gliela avevano sabotata, e non ne parliamo più, soprattutto sotto elezioni. Il perfidissimo giudice Roberts, che la sinistra ha insultato sino a ieri ed oggi è costretta ad osannare, con la sua sagace decisione ha invece in un colpo solo sancito che: La Corte Suprema a maggioranza repubblicana è onesta e indipendente, e non è un covo di bigotti reazionari come per anni lamentato dai democratici. La riforma è legittima, ma solo perché si tratta alla fine di una ‘tassa’, che il Governo federale ha i poteri per imporre, e non di una regolazione del commercio, che era la teoria dei democratici. In questo modo si chiarisce che non è un fenomeno di regolazione di un mercato inefficiente, ma di una scelta esplicita di mettere una nuova e rilevantissima imposta a carico dei cittadini. Se gli americani non vogliono questa riforma, devono dirlo nella sede appropriata, e cioè nella elezione del nuovo presidente e del nuovo congresso, e non delegare la Corte Suprema. Il dibattito elettorale sarà dunque sempre meno sul cane Seamus, infelicemente imbarcato sul tetto dell’auto da Romney quando anni fa partì per le vacanze, e sempre più sulle scelte di politica vera. Obama sorride a denti stretti, Romney sta affilando i coltelli. In America quasi nessuno osa insinuare che il giudice Roberts abbia voluto confezionare una polpetta avvelenata. Noi liberisti possiamo applaudirlo in ogni caso, che si tratti di astuto machiavellismo o di candore istituzionale bipartisan, per avere messo Obama di fronte alle proprie responsabilità, ed aver ridato energie alla corsa di Romney.

208 Hillary fa campagna a favore di Romney (!!??) Con una mossa a sorpresa, Mitt Romney sta utilizzando Hillary Clinton per attaccare Barack Obama. O meglio, sta usando uno spot televisivo in cui, durante la campagna elettorale per le primarie democratiche del 2008, l’ex first lady accusava di diffondere falsità l’allora senatore Obama, suo rivale nella corsa alla nomination. “Questo è Barack Obama. Ha attaccato anche Hillary Clinton con feroci menzogne”, afferma una voce fuoricampo nel nuovo spot. Partono quindi le immagini nelle quali si vede la Clinton protestare contro il futuro presidente: “Continua a spendere milioni di dollari per diffondere falsità. Vergognati, Barack Obama”. Al momento lo spot viene diffuso in Ohio, nella regione di Daytona, dove Hillary vinse contro Obama.

Trentamila piccole donazioni in dodici ore Prima e inaspettata conseguenza della sentenza della Corte Supema che ha riconosciuto la costituzionalità della riforma sanitaria obamiana: ben trentamila piccoli donatori (finora, Romney riceveva bei mucchi di quattrini dai milionari ma non molti dai cittadini comuni) hanno versato nelle casse del mormone addirittura tre milioni e mezzo di dollari in sole dodici ore! Resta in tal modo confermato il fatto che, costituzionale o meno, la maggioranza degli americani è contraria all’Obamacare e intende appoggiare il candidato che ha promesso di neutralizzarne gli effetti già dal giorno successivo al proprio insediamento.

Fine giugno: raccolta fondi, Murdoch per i Gop, Romney va in Israele Obama rischia di essere il primo presidente in cerca di un secondo mandato battuto dallo sfidante in quella particolare gara che è la raccolta fondi.

Rupert Murdoch ha finalmente dichiarato di appoggiare il mormone sbottando in un “Certo che voglio che Romney vinca!” Pare gli piaccia il ruolo del padre burbero che sgrida il figlio ad ogni pie’ sospinto ma in fondo lo ama moltissimo.

Il candidato repubblicano, forte della sua antica amicizia con Netanyhau, intenderebbe fare visita ad Israele verso la fine del mese di luglio. Romney si schiera da sempre con Israele e avversa l’Iran. Che tutto questo gli porti il voto ebraico è da dimostrare.

A giugno Romney raccoglie oltre cento milioni in piccole donazioni Il mese di giugno è stato molto positivo per Mitt Romney.

209 Il mormone ha raccolto oltre cento milioni di dollari, stabilendo un record per il partito repubblicano. Obama non ha ancora pubblicato i dati relativi alla raccolta fondi di giugno, ma molto probabilmente Romney sarà in testa per il secondo mese consecutivo. Romney ha raccolto sette milioni in un solo giorno durante due eventi in Michigan, mentre dopo la sentenza della Corte Suprema sulla riforma sanitaria dello scorso 28 giugno cinquantamila persone hanno donato oltre quattro milioni e mezzo di dollari in ventiquattro ore. Il record assoluto è stato stabilito da Obama nel settembre 2008, mese in cui raccolse 150 milioni di dollari. Lo staff di Romney ha reso noto che la maggior parte dei soldi proviene da nuovi donatori. New York è in testa alla lista degli Stati che hanno contribuito alla campagna, ma risultati superiori alle aspettative sono stati ottenuti in Colorado, Michigan, New Jersey e Ohio.

A fine luglio, Romney verrà in Europa Che il candidato Gop avesse intenzione di recarsi in Israele nell’ultima decade di luglio era noto. Non altrettanto, che programmasse una spedizione anche in Europa. Pare certo, invece, che sarà a Londra e probabile che troverà il tempo per visitare Berlino e Parigi. Cercherà in questo modo di accreditarsi sul piano internazionale.

Guai per Obama: la disoccupazione non cala Impegnato in un tour elettorale in Ohio e Pennsylvania, Obama si è trovato in difficoltà nel dover dare una giustificazione che non coinvolgesse la propria amministrazione al persistere della difficile situazione occupazionale negli interi Stati Uniti. Il dato relativo al trascorso mese di giugno (otto e due per cento), infatti, è assolutamente identico a quello del precedente maggio. Nessuno dei provvedimenti presi (del resto, lo stesso accade in Europa) ha avuto successo. Resta, quindi, la ‘questione lavoro’ la vera, possibile palla al piede del presidente.

Morgan Freeman: “Obama non è il primo presidente nero!” Non molte settimane orsono, Obama ha dichiarato il proprio apprezzamento nei confronti del grande attore di colore Morgan Freeman. E’ rimasto, pertanto, ieri, di sasso nell’apprendere che in una intervista Freeman ha detto, che, essendo lui un mulatto, non pensa sia il primo presidente nero. Non contento, il premio Oscar ha aggiunto: “Sua madre era bianca e del Kansas, lo Stato che è il cuore della middle class americana!”

210

La madre di Brad Pitt appoggia Romney In perfetto disaccordo col figlio Brad, Jane Pitt, in una dichiarazione scritta che sta facendo il giro dei media USA, confessa di essere contraria ad Obama e di appoggiare in tutto e per tutto il rivale Mitt Romney. La ragione? Di carattere etico/religioso: la signora non accetta minimamente le posizioni democratiche in materia di aborto e rapporti gay.

“Too close to call”, sondaggio ai primi di luglio del Washington Post A quattro mesi dalle elezioni presidenziali Usa, Barack Obama e Mitt Romney sono appaiati al quarantasette per cento dei consensi tra gli elettori registrati. E' quanto emerge da un sondaggio Washington Post/Abc News, secondo cui, inoltre, due terzi degli americani ritengono che il Paese sia fuori strada, e la maggioranza non approva il lavoro svolto dal presidente nell'ultimo anno, in particolare sull' economia. La ricerca mostra una polarizzazione radicata tra gli elettori, dei quali il settantaquattro per cento ha 'certamente' deciso per chi voterà e il dodici per cento ritiene che difficilmente cambierà idea. Obama gode del fatto che il cinquantuno per cento dei suoi sostenitori si dice 'molto entusiasta', contro il trentotto per cento dei sostenitori di Romney. Inoltre, il settantacinque per cento dice che voterà 'per' Obama, mentre il cinquantanove per cento dei sostenitori di Romney dicono che voteranno 'contro' l'attuale inquilino della Casa Bianca. Il presidente é pesantemente penalizzato dall'economia, un campo in cui la sua politica é considerata negativamente dal cinquantaquattro per cento degli interpellati, una percentuale che sale al sessanta per cento tra gli indipendenti. Messi davanti alla scelta, il quarantacinque per cento degli elettori preferisce la politica di Obama rispetto al quarantotto per cento che invece giudica migliori le proposte di Romney. Pubblicando questi dati, il Washington Post nota che sono del tutto simili a quelli registrati a maggio, nonostante da allora ci siano stati un paio di deludenti rapporti sull' occupazione, la storica sentenza della Corte Suprema sulla riforma sanitaria e una aggressiva campagna elettorale scatenata da entrambi i candidati. Allo stesso modo la Abc News nota che la scarsa approvazione per la 'performance' economica di Obama rende Romney un candidato 'competitivo', ma non abbastanza da avere un margine rassicurante e che questo significa che si profila “una battaglia epica”.

N.B. L’espressione gergale ‘too close to call’ si usa quando in un sondaggio o in un exit poll i due candidati in ballo sono talmente vicini da non permettere che ci si esprima a favore dell’uno o dell’altro.

211 Condoleeza è nuovamente in corsa nel mentre Dick Cheney dichiara di appoggiare Romney con tutte le sue forze Si torna a parlare dell’ex segretario di Stato del secondo Bush Condoleezza Rice. Sarebbe lei la ‘front runner’ tra tutti i possibili candidati alla vice presidenza. Pare, poi, che Romney possa a breve dare l’annuncio del nome del (o della) prescento. Nel frattempo, ecco l’ex vice presidente Dck Cheney scendere prepotentemente in campo a fianco del mormone. “Mitt Romney è l'unico”, ha detto, “capace di prendere la giusta decisione durante una crisi internazionale improvvisa”. Cheney, la cui esperienza politica è passata attraverso gli ultimi cinque presidenti repubblicani, ha testualmente dichiarato: “Quando penso al tipo di persona che voglio nello Studio Ovale in un momento di crisi, quando si devono prendere decisioni fondamentali, penso a Mitt Romney”. Un 'endorsement' pesante per il candidato repubblicano, che deve sempre conquistare l'ala più conservatrice del partito, di cui Cheney, seppur in pensione, rappresenta ancora una voce rilevante. Cheney, in Wyoming, ha introdotto Romney ai soci del Teton Pines. Poi, ha ospitato una cena a Wilson per raccogliere fondi elettorali, cui hanno partecipato numerosi manager conservatori, che hanno pagato ciascuno trentamila dollari. Romney, che ha definito l'ex vicepresidente “un grande leader americano”, ha raccolto durante la serata più di quattro milioni.

212 30 LUGLIO 2012 Documenti Obama e Romney tra religione, economia e colpi bassi: i consensi calano per entrambi, un articolo di Anna Coluccino per Fanpage.it “Romney è un bugiardo”, “Obama è un africano”, “Romney è maschilista”, “Obama è debole”: queste alcune delle ultime dichiarazioni di una campagna elettorale - quella USA - povera di contenuti e giocata sull'effetto, sulla rincorsa delle lobby ebraiche, sulla denigrazione.

È il presidente in carica, è nuovamente candidato, è nato negli Stati Uniti, si professa cristiano ma ben il diciassette per cento degli statunitensi è convinto che sia mussulmano. Strano caso quello di Barack Obama la cui non religione pare preoccupare i cittadini degli USA molto più del credo religioso effettivamente professato da Mitt Romney, ovvero il mormonismo. A cento giorni dalle elezioni statunitensi, la questione religiosa pare essere centrale nel dibattito politico. E lo è in diversi modi. Ad esempio, l'aspetto religioso rientra in campo sulla questione israelo-palestinese. Romney ha più volte accusato Obama di essere stato troppo molle nella gestione dei rapporti con il Medio Oriente, di non aver sostenuto abbastanza lo stato di Israele, di averlo troppo criticato in pubblico rafforzando i suoi nemici, di avergli fatto mancare l'appoggio diplomatico riguardo le operazioni nei Territori Occupati . E infatti, secondo le ultime dichiarazioni rilasciate dall'attuale presidente degli USA, Israele dovrebbe tornare ai confini del 1967 – gli unici legittimi anche per Nazioni Unite. Ma Romney è di tutt'altro avviso e anzi, a suo giudizio, sarebbe ora di spostare ufficialmente la capitale di Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, tagliando fuori le altre due religioni che pure la riconoscono come città santa ma che – secondo il candidato repubblicano – non avrebbero diritto di cittadinanza. Lo scopo di Romney è quello di conquistare l'elettorato ebraico statunitense parzialmente deluso da Obama e desideroso di un appoggio pieno e incondizionato riguardo le intenzioni del prossimo futuro. L'elettorato ebraico negli USA è per lo più composto da potenti lobby economiche, ecco perché – seppur minoritario in termini di voti – costituisce un enorme risorsa dal punto di vista del sostegno economico; ed è stato già calcolato che la cifra di finanziamenti alla campagna elettorale raggiunta da Romney è superiore a quella di Obama. Tra le donazioni più corpose conquistate dal candidato repubblicano si annoverano cento milioni di dollari provenienti da Sheldon Adelson, re dei casinò di Las Vegas, il quale – appena qualche giorno fa – applaudiva entusiasta un intervento di Romney

213 riguardo il bisogno di Israele di armarsi contro l'Iran, arrivando – se necessario – ad attaccare preventivamente. Il candidato repubblicano sta tentando con ogni mezzo di compiacere i più nazionalisti tra gli ebrei, ma l'obiettivo è conquistare anche gli evangelici, da sempre accesi sostenitori dello stato d'Israele, entrambi potenzialmente indispensabili per conquistare stati come Florida e Ohio. Barack Obama, dal canto suo, prova a mostrare la sua amicizia al governo di Israele, e lo fa rafforzando il piano di cooperazione strategica e inviando il consigliere per la sicurezza Tom Dillon a Gerusalemme perché presenti al premier Netanyahu i piani d’attacco del Pentagono contro l’Iran “se la diplomazia fallirà” . Ma, naturalmente, non è solo la questione israelo-palestinese ad animare il dibattito elettorale made in USA. L'economia la fa ancora da padrona e ad Obama tocca affrontare la delusione dei suoi elettori circa le disattese promesse di ripresa economica, nonché il favore che – da sempre – gli statunitensi concedono ai cosiddetti self made men . Alcuni sondaggi, infatti, sembrano dimostrare una netta preferenza per Romney limitatamente all'aspetto economico. Essendo stato un uomo d'affari – per quanto al limite se non oltre la legalità, come sottolinea lo staff di Obama – gli statunitensi tendono a considerarlo più adeguato a guidare la ripresa economica. Eppure, al contempo, gli preferiscono l'attuale presidente per quanto riguarda le questioni etico-sociali e la gestione della politica estera. In generale, secondo sondaggisti e analisti, l'attuale presidente degli USA ha ancora un lieve margine sul suo avversario, ma Romney si fa sempre più vicino e l'argomento economico potrebbe rappresentare un cavallo vincente. La sua campagna a favore della libera impresa, l'esaltazione del settore privato, nonché il piano per il ripristino dei posti di lavoro fanno un certo effetto sugli elettori. Ma Romney è anche pieno di contraddizioni: se, ad esempio, da un lato denigra l'amministrazione Obama per non aver impedito alla Cina di rubare posti di lavoro statunitensi offrendo manodopera a basso costo, dall'altro deve la sua fortuna imprenditoriale proprio alla Cina e ai rapporti di lavoro instaurati con Pechino e basati sulla delocalizzazione. Inoltre, il candidato repubblicano spaventa non poco per le sue posizioni riguardo i temi etici e l'allargamento dei diritti civili. Insomma, la campagna elettorale procede a colpi di spot e dichiarazioni velenose. I contenuti sono pochissimi, differenti – per lo più – solo in superficie. Mai come stavolta la campagna elettorale si gioca all'insegna del puro spettacolo, e si gioca all'interno dei confini di ciascuno stato. Oltre duecentoventiquattro milioni di dollari sono stati spesi in spot televisivi (un record assoluto) e il focus dell'intera campagna di comunicazione è centrata - per il settanta per cento - su un concetto di dubbia efficacia : “l'altro candidato fa schifo”. Pochissimo è stato detto riguardo le questioni programmatiche, ovvero: “cosa intendiamo fare per gli USA”, e gli statunitensi cominciano a stancarsi; tant'è vero

214 che – in generale – la percentuale di interesse per entrambi i candidati risulta in netto calo. In generale, gli investimenti pubblicitari più onerosi si concentrano negli Stati in bilico: Ohio, Pennsylvania, Michigan… Inutile investire in Texas e California, stati-roccaforte, rispettivamente, dei repubblicani e dei democratici. Pare insomma che persino il presidente 2.0 per eccellenza abbia dovuto arrendersi all'innegabile evidenza: questa campagna elettorale va gestita localmente, Stato per Stato, comunità per comunità. Non è più il tempo dei proclami universali. Oltre ad aver perso credibilità quanto a reale capacità di innovare il sistema economico-politico statunitense, Obama deve infatti fronteggiare una crisi economica non risolta e una nascente protesta di massa. A differenza della prima campagna elettorale, in cui l'attuale presidente godette dei favori internazionali, in cui il campo di gioco era sovranazionale, in cui in gioco c'erano la riconquista della credibilità perduta e la promessa di una rivoluzione in senso sociale nella patria del capitalismo, oggi gli Stati Uniti guardano a se stessi e alla propria necessità di sopravvivere al collasso dell'unico sistema che conoscono. Questa campagna elettorale è più che mai casalinga. I due candidati hanno perciò scelto la via dell'invettiva, della ricerca del marcio; pesanti accuse vengono lanciate giornalmente e senza esclusione di colpi, senza fair play, senza attenzione a ciò che sarebbe politicamente corretto: “ Romney è un bugiardo , Obama è un africano , Romney è maschilista , Obama è debole” , questa la sintesi di alcune delle ultime dichiarazioni. Eppure, come spesso accade nei sistemi bipolari, in questa campagna elettorale le differenze tra i due contendenti si evidenziano esclusivamente nell'atteggiamento nei confronti delle questioni etico-sociali. Su tutti gli altri temi, il gioco è a rincorrersi sulle idee che fanno presa e a svicolare sulle questioni spinose come – ad esempio – il possesso di armi. Dopo i fatti di Denver, ad esempio, nessuno dei due candidati ha voluto prendere una posizione nettamente pro o contro il facile accesso alle armi da fuoco negli USA e così su molte altre questioni. In buona sostanza, i due candidati preferiscono puntare il dito piuttosto che esporsi, il che non è esattamente quel che si aspetterebbe da degli aspiranti leader.

215 Dopo un luglio di normale combattimento eccoci a cento giorni dal voto Supposti scandali, gaffe vere e non vere (qualsiasi cosa si dica c’è sempre qualcuno a cui non piace), attacchi per ogni dove e su qualsiasi argomento… Obama che cerca di sfruttare, come giusto, il fatto di essere in sella. Romney che viaggia – Inghilterra per l’inaugurazione delle Olimpiadi, Israele, Polonia - per trovare appoggi internazionali che convincano gli ebrei americani e i connazionali di origini polacche a sostenerlo economicamente e a votarlo Ed eccoci improvvisamente a cento giorni dal voto

Agosto comincia male per Obama, economicamente parlando Secondo un sondaggio Reuters, per Obama la rielezione si fa sempre più difficile. Il tempo stringe e le casse del presidente sarebbero (quasi) vuote, almeno a confronto con i fiumi di dollari che arrivano in tasca all’avversario Mitt Romney. I grandi sostenitori del presidente sono tiepidi. Alcuni, come Warren Buffett, non vogliono pagare perché contrari all’ultima modifica alla legge sui finanziamenti ai partiti. Altri perché scontenti, altri ancora perché credono che, per i loro interessi, Romney sia più adatto. Mille dubbi, che vanno solo a danno della corsa di Obama alla rielezione.

Agosto comincia bene per Obama, stando ai sondaggi Butta male, invece e di contro, per Mitt Romney se si guarda ai sondaggi Stato per Stato. In testa o alla pari a livello nazionale nelle intenzioni di voto, si trova invece nettamente indietro in particolare in Pennsylvania, Ohio e Florida, i tre Stati chiave. Mancano oramai meno di cento giorni ed è ora che il mormone sferri un attacco decisivo se non vuole rischiare di essere, come ad esempio Al Gore, il candidato che pur prendendo un maggior numero di voti, perde.

216 2 AGOSTO 2012

Documenti

Romney e la colpa di essere americano, articolo di Stefano Magni per L’Opinione

Silenzi, imbarazzo e speranza che gli americani dimentichino in fretta. È questa la reazione del mondo conservatore al ritorno di Mitt Romney dal suo primo viaggio all’estero. Ma cosa ha sbagliato? In Polonia, il candidato del Grand Old Party ha ottenuto il plauso di Lech Walesa e la contestazione (a priori) dei sindacati. In ogni caso, le organizzazioni dei lavoratori, negli Usa come in Europa, lo considerano come un nemico per il solo fatto che proviene dal mondo della finanza. A Londra, il candidato della destra Usa ha rispolverato il suo passato di organizzatore delle Olimpiadi 2002 e non ha taciuto critiche alla gestione dei giochi del 2012. Avrebbe dovuto fare l’ipocrita? Più in generale, dovrebbe nascondere il suo background, grazie al quale inizia ad essere visto come affidabile sui temi economici? Sempre in Polonia, ha dichiarato, senza equivoci, di schierarsi dalla parte dei polacchi, “difensori della libertà”, contro il pericolo di una Russia che ha smarrito la via della democratizzazione. Deve chiedere scusa a Vladimir Putin? Persino Obama, dopo l’illusione del ‘reset’ è dovuto tornare sui passi di Bush. In Israele, il candidato del Gop ha premiato la cultura dello Stato ebraico, quale principale fonte del suo sviluppo. Thomas Friedman, editorialista del New York Times, ha definito quel discorso, come “L’aspetto peggiore della politica americana nel Medio Oriente”, perché, dal suo punto di vista, Israele non ha bisogno di amici acritici, ma di un mediatore onesto equidistante dallo Stato ebraico e da quello palestinese. Romney deve forse compiacere Friedman? Nel caso, non gli basterebbe nemmeno imitare Obama (che l’editorialista, coerentemente, contesta) perché lo stesso presidente democratico ha compiuto una scelta di campo. Lo dimostra anche la visita del segretario alla Difesa Leon Panetta: i due Paesi sono “amici, oltre che alleati”, ha detto ieri il ministro democratico, visitando le batterie di difesa anti–missile israeliane e discutendo eventuali azioni (anche militari) contro l’Iran. È inutile, poi, cercare di far buon viso a cattivi media: quelle testate e quelle televisioni che si sono schierate dalla parte di Obama non cambiano idea. Se non hanno gaffe da raccontare, le creano.

217 L’episodio di Varsavia lo dimostra: i reporter di Washington Post, New York Times e Cnn hanno urlato domande a un Romney raccolto in preghiera davanti alla tomba del Milite Ignoto, finché il suo ufficio stampa non è sbottato. I giornalisti hanno creato le condizioni per una nuova gaffe da raccontare. Tutte queste ‘figuracce’ sono errori? O non è piuttosto la stessa identità repubblicana ad essere considerata un ‘errore’, da un punto di vista di media e accademici schierati a sinistra? È chiaro che i repubblicani, per loro costituzione, non sono ecumenici. Portano la spada: dividono chi sta con l’America (e con la sua cultura) dai nemici. Risultano antipatici, perché riconoscono l’esistenza di nemici. Ma in questo risiede anche la loro forza, soprattutto in un elettorato americano che elegge un presidente degli Stai Uniti. E non dell’umanità intera. McCain e gli uomini della sua campagna (in prima fila, in questi giorni, nella critica del viaggio di Romney), nel 2008, cercarono di essere ecumenici. E i risultati si sono visti.

218 3 AGOSTO 2012

Giovani con Obama, anziani con Romney Il solito sondaggio? Forse no. Qualcosa su cui riflettere. Allora: tra gli over sessantacinque USA il cinquantuno per cento è a favore di Mitt Romney contro il quarantatre che si schiera con Obama. Tra coloro che hanno dai diciotto ai ventinove anni il sessantuno per cento si dichiara obamiano contro un misero trentatre di seguaci del mormone. Per i primi, determinante è l’economia. Per i secondi, le istanze sociali. Una prima considerazione: tra i vecchi gli wasp (white, anglosaxon, protestant) sono largamente in maggioranza mentre tra i giovani moltissimi appartengono alle etnie emergenti, ispanici in primo luogo. Questo vuol dire che in futuro se i repubblicani vorranno avere ancora chance concrete in vista di White House dovranno seguire le indicazioni di Jeb Bush che da tempo perora decise aperture del partito alle istanze delle nuove generazioni. E, fra parentesi, dovesse fallire Romney quest’anno, nessuno toglierà all’ex governatore della Florida, sposato con una ispanica e perfetto conoscitore della lingua di Cervantes, la nomination Gop nel 2016. Poi, sulla base di questi dati forse i repubblicani dovrebbero davvero pensare alla necessità di affiancare a Romney un candidato alla vice presidenza che rappresenti le realtà in ascesa e viene quindi alla mente il nome del senatore della Florida – fra l’altro, uno ‘swing State’, come si definiscono gli Stati nei sondaggi non ancora decisamente schierati da una parte o dall’altra - Marco Rubio, di ascendenze cubane. Si mette male, pertanto, per il mormone? Solo se i giovani andassero sul serio a votare (gli anziani pro Gop lo faranno di certo) il prossimo 6 novembre e questo in America non capita spesso.

219 Clint Eastwood è con Romney Il grande attore e regista americano Clint Eastwood ha dato il proprio appoggio al candidato repubblicano alla casa Bianca Mitt Romney. Partecipando venerdi' sera a un evento per la raccolta fondi a Ketchum in Idaho, ha dichiarato: “'Il Paese ha bisogno di una spinta”,, spiegando di aver scelto Romney per il suo programma sulle tasse: '”Riportera' un sistema fiscale decente... ci sarà maggiore equità e le persone non saranno messe una contro l'altra”. A favore del mormone si erano già espressi tra gli attori di Hollywood Robert Duvall, Angelina Jolie, Chuk Norris e John Voight.

220 5 AGOSTO 2012 Documenti

Quando John Wayne appoggiava Barry Goldwater, un articolo di MdPR 1997, prodotta per la televisione esce una pellicola straordinaria. Sceneggiata da Martyn Burke e diretta da Joe Dante, si intitola ‘La seconda guerra civile americana’. In una scena, gli inviati di un potente network tv, in attesa degli eventi, guardano un film di guerra. Sullo schermo, John Wayne fa strage di nemici e uno dei due ne esalta il valore. “Ti ricordo”, replica l’altro, “che Wayne era un attore”. “Se ai tempi del Vietnam John fosse stato alla Casa Bianca quel conflitto sarebbe durato una settimana!”, chiude, sicuro, il primo. Ecco, il protagonista di mille western (e non solamente), il Ringo di ‘Ombre rosse’, l’Ethan Edwards di ‘Sentieri selvaggi’ non era percepito da larga parte degli americani ‘solo’ come un divo di Hollywood. Era, rappresentava molto di più: il coraggio, il senso del dovere, l’onore, la fermezza, in qualche modo il Paese. Ebbene, questo vero monumento vivente nel 1964 partecipa in prima linea, in prima persona, senza risparmio, alla campagna per White House che vede il senatore repubblicano Barry Goldwater impegnato contro il presidente uscente, il democratico Lyndon Johnson. Quali i risultati? Una netta sconfitta. Gli elettori non si lasciano convincere. Johnson ha fatto bene in politica interna e il Vietnam, laddove gli USA combattono, non lo ha ancora demolito come avverrà di lì a non molto. Goldwater perde addirittura per quattrocentoottantasei delegati nazionali a sessantadue su un totale di cinquecentotrentotto.

Perché ricordare questi lontani accadimenti ora? Semplicemente perché ancora oggi la stampa e le tv danno grande rilievo alle dichiarazioni di appoggio dell’uno o dell’altro personaggio, non soltanto del cinema, che si schieri in campagna elettorale di qua o di là. Se ai suoi tempi non è riuscito John Wayne, l’americano per eccellenza, a cambiare le carte in tavola perché dovrebbe riuscirci adesso, che so?, la obamiana Sarah Jessica Parker? Per quanto grande regista e attore possa essere, non cambierà nulla, se non per qualche infinitesimale virgola zero qualcosa, neanche il recentissimo ‘endorsement’ a favore di Mitt Romney pronunciato da Clint Eastwood.

221 Come diceva il vecchio e saggio, oltre che bravissimo, Indro Montanelli, alla fine conta il parere del lattaio dell’Ohio e, aggiungo io, se questo signore fosse repubblicano neppure un intervento divino gli farebbe cambiare schieramento.

222 Romney vince la raccolta fondi anche in luglio Mitt Romney e il partito repubblicano hanno raccolto più di cento milioni di dollari anche nel mese di luglio: dopo lo straordinario risultato di giugno (centosei virgola uno milioni), la campagna per finanziare la sua elezione – fa sapere Usa Today - prosegue positivamente, con centouno virgola tre milioni di dollari ottenuti nel mese appena trascorso. Lo staff del candidato ha poi comunicato che Romney ha a disposizione centoottantacinque milioni e mezzo di dollari in contanti. “Ancora una volta, vediamo che per molte persone questa è più di una campagna, è una causa” hanno dichiarato in un comunicato il responsabile finanziario del mormone Spencer Zwick e il capo del Comitato repubblicano nazionale Reince Priebus che contribuisce al fundraising dell’ex governatore del Massachusetts. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, non ha ancora diffuso i dati della propria raccolta fondi di luglio. Romney e il partito repubblicano hanno ottenuto più degli avversari democratici a maggio e giugno.

223 6 AGOSTO 2012

Documenti

Romney? Conosciamolo meglio, articolo pubblicato dal Washington Post e da Panorama.it Durante un comizio in Ohio, Mitt Romney ha dichiarato di essere il candidato presidenziale più in armonia con lo spirito nazionale, e ha accusato il presidente Barack Obama di avere “perso di vista il carattere dell’America” e di promuovere una filosofia “così avulsa da noi da risultare incomprensibile”. In realtà Romney stesso, per quanto ami sottolineare il ‘dono speciale’ della propria nazionalità, è tutt’altro che estraneo al resto del mondo: i due anni e mezzo trascorsi in missione in Francia ne hanno forgiato il credo mormone; l’internazionalismo che si respira a Harvard ne ha fortemente plasmato l’istruzione; i viaggi all’estero in veste di giovane consulente, gli investimenti in Centro America e in Italia hanno dato forte slancio alla sua capacità di capire il mondo. Infine, la presidenza del comitato organizzatore delle burrascose Olimpiadi invernali del 2002 a Salt Lake City gli ha fornito contatti e notorietà. La partecipazione di Romney alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Londra e poi il tour in Israele e in Polonia gli hanno offerto la possibilità di porre in evidenza il grande impegno profuso nel diffondere una visione incentrata sull’America. Ma il viaggio è stata anche un’occasione utile per ricordare che il percorso seguito da Romney è orientato proprio dalle esperienze vissute nel resto del mondo. Prima che Romney si avventurasse nel mondo, fu il mondo a bussare alla sua porta. Nel 1958 la famiglia Romney accolse nella sua abitazione di Bloomsfield Hills (a trenta chilometri da Detroit) Attilio Cortella, uno studente italiano che aveva vinto una borsa di studio messa in palio dall’American field service per un periodo di formazione negli Stati Uniti. Cortella non aveva idea di chi fossero i Romney e rimase colpito nel ricevere, quando ancora era in Italia, una lettera in cui la madre di Mitt, Lenore, diceva che le uniche due famiglie italiane che conosceva erano gli Agnelli e i Pininfarina. Ben presto il giovane Mitt iniziò a salutare Cortella con ciao e arrivederci e a cantare in suo onore il ritornello ‘Volare’ dell’allora famosa ‘Nel blu dipinto di blu’. Durante un viaggio, Cortella espresse stupore per gli alti consumi delle relativamente piccole Rambler americane, rispetto a quelli di una Fiat 600. Cortella ricorda di avere commentato: “A noi un pieno dei vostri basta per un mese!”. E rammenta che Mitt trovava esilarante quella piccola auto italiana. Dopo essersi iscritto a Stanford nel 1966, Romney ottenne una serie di rinvii del servizio di leva, anche per il suo ruolo di ministro del culto o studente in teologia, che lo tennero lontano dal Vietnam. La sua missione lo portò invece in Francia. Qui Romney, nel poco tempo libero, visitò molti luoghi: si recò con gli amici a Biarritz per scattare foto alla Rocher de la Vierge, una formazione rocciosa con le

224 sembianze della Vergine Maria, per poi scrivere ‘Mitt ama Ann’ nella sabbia umida; tra le rovine romane fuori Le Havre si fece fotografare in posa autoritaria accanto alla statua di Giulio Cesare; mentre a Parigi, in occasione di alcune visite al Louvre, insieme ad altri missionari si concentrò sui ritratti di Cristo degli antichi maestri, evitando gli impressionisti per la mancanza di iconografia religiosa e per la loro preferenza per i nudi. Romney arrivò in Francia nel luglio 1966 e apprese la lingua in Normandia, frequentando un corso che poneva l’accento, oltre che sulla lingua francese, sulla conversazione mirata al proselitismo e sulla recitazione dei tredici articoli di fede di Joseph Smith. Così, mentre si rafforzavano i legami con i colleghi missionari, si rafforzava anche la sua fede. Al termine della missione Romney era diventato un leader. Quando gli scioperi di Parigi della primavera del 1968 fecero saltare le linee telefoniche, la missione francese della Chiesa mormone si preparò per l’evacuazione. Il presidente della missione chiese a Romney, appena ventunenne e da poco promosso suo assistente, di raggiungere in auto il confine meridionale francese per rassicurare le famiglie dei missionari. Romney entrò in Spagna, trovò una linea telefonica funzionante e si rivolse ai genitori grati dicendo: “Sono l’anziano Romney, ho pensato di chiamare per tranquillizzarvi e per dirvi che tutti i missionari stanno bene”. L’esperienza all’estero approfondì il rispetto di Romney per la stabilità che il suo Paese, la famiglia e la fede gli fornivano: una visione del mondo che consolidò alla Brigham Young University, dove i cartelli all’ingresso annunciano: ‘Il mondo è la nostra università’. Romney trasferì quella stessa prospettiva alla Harvard Business School. Un giorno, al campus, Romney parlò dei suoi anni da missionario al compagno di classe Patrice Caillat, figlio di un diplomatico svizzero al quale Romney spiegò come la missione gli avesse permesso di sperimentare il mondo attraverso la lente di mezzi modesti. L’esposizione di Romney a un ambiente internazionale proseguì dopo la laurea a Harvard nel 1975, quando conobbe Benjamin Netanyahu presso il Boston Consulting Group e iniziò a recarsi spesso in Europa per lavoro. I suoi viaggi d’affari internazionali non si interruppero nemmeno quando passò alla Bain & Co., sebbene la curiosità lo facesse uscire raramente dall’ufficio. Romney mostrava il suo interesse per il mondo in altri modi. Nel 1984, quando assunse la direzione della Bain Capital (nata dalla Bain & Co.), sei virgola cinque milioni di dollari dei trentasette milioni del primo fondo dell’azienda provenivano da investitori dell’America Centrale. E Peter Tornquist, a quel tempo partner anziano della Bain in Europa, aiutò Romney a individuare il primo investimento del fondo al di fuori dagli Stati Uniti: un grossista di libri tedesco. Romney partecipava ad assemblee itineranti con un comitato costituito da magnati dell’industria europea, fra cui l’ex leader della Royal Dutch Shell Andre Renard,

225 Umberto Agnelli della Fiat e Herbert Gruenewald, professore e presidente del gruppo Bayer. In loro presenza Romney chiedeva come la Bain dovesse cambiare il proprio modo di operare per potere assorbire culture e filosofie di lavoro dei paesi in cui era presente. Quando la Bain & Co. finì in gravi difficoltà finanziarie, i partner globali chiesero a Romney di tornare per salvare la società originaria. Romney ebbe successo e definì la sua ascesa “un’eccitante opportunità per l’organizzazione mondiale” in un rendiconto aziendale datato 30 ottobre 1990, che menzionava le sedi straniere della Bain a Toronto, Bruxelles, Ginevra, Londra, Milano, Mosca, Monaco, Parigi, Sydney e Tokyo. Inoltre, il comunicato annunciava l’immediata riduzione del quindici per cento del personale a livello internazionale. Appianati i problemi della Bain & Co., Romney tornò alla Bain Capital nel 1992, entrando in una fase particolarmente redditizia. Per il raduno mondiale della società nel 1993 scese nel lussuoso hotel Pitrizza sulla Costa Smeralda in Sardegna, ballando con la moglie Ann e giocando a pallavolo con i colleghi di lavoro. “A volte ho avuto a che fare con persone, in particolare provenienti dal Midwest, veramente convinte che il mondo finisca sulla costa atlantica” racconta Gianfilippo Cuneo, responsabile della Bain a Milano. “Romney non ha mai imposto determinati modi di procedere solo perché è così che si fa negli Stati Uniti”. Una decina di anni dopo, Cuneo e la famiglia erano in vacanza con i Romney nel loro chalet a Park City, nello Utah, quando il comitato organizzatore delle Olimpiadi di Salt Lake City nominò Mitt alla presidenza. Fu Cuneo a rispondere al telefono quella mattina. “C’è qui un tizio che vuole parlare con te. Sostiene di essere Ted Kennedy”, esordì Cuneo, passando la cornetta a Romney. Kennedy, che aveva battuto Romney nella corsa per il senato americano nel 1994, si congratulò con il suo vecchio rivale per la nomina. Romney riagganciò e spiegò a Cuneo con un ghigno che Kennedy gli aveva detto: “Trattieniti pure per tutto il tempo che ritieni necessario; non tornare a Boston”. Da tempo Romney aspirava a una carica negli Stati Uniti: questo evento internazionale era l’occasione giusta. In veste di manager chiamato a risollevare le sorti dell’organizzazione delle Olimpiadi del 2002, Romney scelse i collaboratori dagli ambienti che conosceva meglio, assumendo Fraser Bullock, un collega mormone ed ex partner Bain, come suo direttore operativo. A Mosca Romney visitò la Piazza rossa e, secondo il suo staff, strinse la mano a Vladimir Putin (l’ufficio di Putin sostiene però di non avere traccia di tale incontro), mentre durante le riunioni con il presidente del Comitato olimpico internazionale, Jacques Rogge, amava lasciarsi andare a battute in francese. Bullock, che ha viaggiato spesso con Romney, ritiene che l’amico e collega fosse profondamente toccato dalle culture straniere.

226 Tanto che, in occasione di una cerimonia di accensione della torcia presso l’antica sede dei giochi a Olimpia, Bullock ricorda che a Romney si inumidirono gli occhi nell’ammirare il volo delle colombe bianche.

227 7 AGOSTO 2012

Cerchiamo di capire chi sarà il vice di Romney Si dice, si dice (e riportandolo si rischia di essere dipoi smentiti) che il candidato alla vice presidenza, in questo caso repubblicano, vada ogni volta ricercato tra quanti in sede di convention non vengano chiamati a pronunciare interventi ufficiali. Nel caso, quindi e per fare un esempio, Condoleezza Rice dovrebbe essere considerata fuori gioco perché nel programma del congresso di Tampa è invece prevista la sua partecipazione. Ugualmente, tra gli altri papabili, per quanto concerne Jeb Bush, gli avversari di Romney nelle primarie Ron Paul e Rick Santorum, la governatrice Susana Martinez, tutti in pista. Chi allora manca? Quali i vip del Gop di cui per il momento non è stata comunicata la presenza sul palco? La risposta è il senatore ispanico Marco Rubio, il deputato Paul Ryan, il senatore Rob Portman, il governatore Chris Christie, l’altro governatore Bobby Jindal, la senatrice Kelly Ayotte e l’ex governatore Tim Pawlenty. Dobbiamo guardare a loro o è possibile una qualche grossa sorpresa? Ebbene, da qualche ora gira il nome del generale David Petraeus, già a capo delle truppe USA in Irak e in Afghanistan e attuale direttore della CIA. Vedremo entro una decina di giorni se davvero Romney intende tirare fuori questo grosso coniglio dal cilindro.

228 Come la vedono gli allibratori Per i bookmaker il favorito per White House è tuttora Obama ma da qualche giorno vanno migliorando le quotazioni del mormone. Questa la situazione agli inizi di agosto. L’operatore più pessimista è il britannico Ladbrokes che banca Romney ad appena due volte la posta, mentre tutti gli altri stanno poco sopra la pari: uno virgola due su YouWin, uno virgola tre su SkyBet, BoyleSports e BetFred, uno virgola sessantasette su Wbx, uno virgola sette su Paddy Power e William Hill.

Si torna a dubitare della nascita negli USA di Obama Il magnate americano Donald Trump, repubblicano e acceso sostenitore di Mitt Romney, scalda la campagna elettorale americana rispolverando la vecchia questione del luogo di nascita del presidente (uno dei tre requisiti richiesti dalla Costituzione ai candidati alla Casa Bianca è la cittadinanza dalla nascita che Obama non avrebbe ove fosse nato in Kenia). Trump, attraverso il suo account twitter, ha infatti dichiarato che una fonte assolutamente confidenziale e attendibile gli avrebbe garantito che il certificato di nascita del capo dello Stato in carica sarebbe falso. Circostanza avvalorata anche dal fatto che Barack Obama, secondo quanto la fonte confidenziale avrebbe rivelato a Trump, sarebbe stato iscritto come studente straniero e non come cittadino americano all'Occidental College di Los Angeles, nel 1979. Il futuro presidente degli Stati Uniti avrebbe frequentato l'Occidental prima di arrivare alla Columbia University di New York nel 1981. Trump rispolvera una polemica nata durante la campagna elettorale del 2008. Polemica alla quale l’allora candidato aveva risposto esibendo il documento ufficiale (della cui autenticità molti hanno subito dubitato) che certificava la nascita alle Hawaii il 4 agosto del 1961, all'ospedale di Kapiolani, e non nel Paese del padre.

229 9 AGOSTO 2012

Documenti

In attesa di Tampa e Charlotte, storia e storie delle Convention USA, un articolo di MdPR E’ in vista delle elezioni presidenziali del 1832 che il partito antimassonico, nato da poco e all’epoca intenzionato come suggerisce il nome a combattere il vero o presunto strapotere della massoneria (il presidente in carica, Andrew Jackson era un ‘fratello’ così come il principale esponente dell’opposizione, Henry Clay, e le logge potevano contare su molti altri vip) , decide di designare il proprio candidato a White House convocando una Convention che si svolge nel settembre del 1831 a Baltimora. Dal congresso, emerge la figura di William Wirt che riuscirà persino a conquistare uno Stato nel novembre elettorale dell’anno successivo. Subito, i repubblicani nazionali di Jackson e i whig – i due partiti allora dominanti – fanno altrettanto e da quel momento l’atto conclusivo della campagna interna (che dal 1912 in casa repubblicana e poco dopo tra i democratici si svolgerà e si svolge attraverso primarie e caucus per la selezione dei delegati) ai vari movimenti politici tesa alla scelta del candidato è appunto la Convention. Mille gli episodi da raccontare, mille e mille i compromessi, i trucchi e gli inganni nel tempo, in specie quando il quorum richiesto per essere nominati era fissato ai due terzi degli aventi diritto al voto. (Chi voglia avere un’idea della lotta interna alle Convention nelle occasioni in cui nessuno dei candidati si fosse presentato o si presenti avendo già con sé la maggioranza richiesta dei delegati veda l’ottima pellicola ‘L’amaro sapore del potere’, sceneggiata da Gore Vidal, diretta da Franklin Scaffner e interpretata da Henry Fonda e Cliff Robertson). Per fare un significativo esempio, i democratici, nel 1924, in quel di New York, riuniti al Madison Square Garden, dopo ben centodue infruttuose votazione che vedevano contrapposti Alfred Smith e William Gibbs McAdoo, scesero per sfinimento ad un compromesso optando per il classico ‘terzo uomo’, John Davis, dipoi travolto da Calvin Coolidge. Ancora i democratici, nel 1932, vissero a Chicago una Convention molto contrastata. Prevalse alla fine Franklin Delano Roosevelt ma non senza aver dovuto lottare contro il predetto Alfred Smith e con John ‘Cactus Jack’ Garner che, assolutamente opposto nel corso di tutta la campagna svoltasi nel Paese, all’improvviso e contro ogni aspettativa, fu convinto ad allinearsi con la promessa della vice presidenza. Con l’andar del tempo e con l’affinarsi del sistema delle primarie e dei caucus, sempre più raramente tra i democratici come tra i repubblicani si è arrivati alla Convention senza che uno dei candidati in lizza avesse già raggiunto la maggioranza dei delegati necessaria per ottenere la consacrazione. Ecco, quindi, che il tanto atteso e partecipato congresso, per quel che riguarda l’indicazione del pretendente a White House, si risolve, dal 1980 (nel precedente

230 1976 si confrontarono Gerald Ford e Ronald Reagan e la scelta cadde sul primo) nel partito dell’elefante e dal 1972 in quello dell’asino (nel 1968, era stato scelto Hubert Humphrey che non aveva neppure preso parte alle primarie) , invero nella sola ufficializzazione di una decisione in effetti già presa. Di più, ultimamente e come non accadeva in precedenza, i due schieramenti in corsa hanno preso l’abitudine di comunicare prima del via dei lavori il nominativo del compagno di cordata scelto dal candidato, ossia del designato alla vice presidenza. In una cornice del tutto ‘americana’, tra canti, majorette, discorsi dei maggiorenti tesi ad illustrare il programma del partito, dichiarazioni di voto dei singoli Stati per bocca dei loro speaker, la kermesse politica parte e si svolge (spettacolo oramai e necessariamente studiato per catturare principalmente l’attenzione delle tv) per concludersi con l’immancabile proclamazione di ‘the best man’, l’uomo migliore, come in ogni caso viene definito colui che si spera possa conquistare nel successivo novembre lo scranno presidenziale. E’ dopo le Convention, una volta concluso il lungo e massacrante confronto interno ai partiti per arrivare al dunque, che davvero prende il via la sfida per la Casa Bianca.

231 I conservatori vogliono Paul Ryan Wall Street Journal in testa, buona parte dell’ala destra del partito repubblicano preme perchè Romney si decida a scegliere come suo ‘running mate’ il deputato del Wisconsin Paul Ryan. A sostegno di tale candidatura, molti sondaggi. Tra questi, quello condotto da Ari Fleischer, già addetto stampa della Casa Bianca durante la prima presidenza di George W. Bush, tra i suoi oltre cinquantaseimila follower su Twitter. Eccone l'esito, in ordine crescente dal meno al più apprezzato: Rob Portman ventisette (27), Tim Pawlenty ventinove (29) Chris Christie centosei (106) Condoleezza Rice centootto (108) Bobby Jindal centodiciotto (118) Marco Rubio trecentodue (302) Paul Ryan trecentoventiquattro (324).

La delusione di Spike Lee Per Spike Lee, il regista che ha fatto della cultura afroamericana Usa la propria cifra distintiva, Barack Obama “non è perfetto”. Lee spiega la delusione di molti entusiasti sostenitori del presidente nel 2008: le attese per il suo mandato “erano troppo alte. Pensavamo che fosse un salvatore, un Gesù nero”, afferma il deluso cineasta in un'intervista alla Cnn.

232 11 AGOSTO 2012

Il running mate è Paul Ryan, secondo le previsioni “E' un onore presentarvi Paul Ryan, il futuro vice presidente degli Stati Uniti”. Con queste parole Mitt Romney ha annunciato da Norfolk, in Virginia, chi sarà il suo vice se verrà eletto alle prossime elezioni. Ryan, giovane parlamentare ultraconservatore è originario del Wisconsin e a quarantadue anni ha già una lunga carriera nel Congresso, dove è stato eletto nel 1998. Noto per le sue posizioni ultraconservatrici, è il presidente della commissione bilancio della Camera. Negli ultimi due anni è stato il promotore della contro-finanziaria repubblicana, in risposta al budget presentato dal presidente Barack Obama. E' stato fondamentale per la conquista della maggioranza in Congresso dei repubblicani nel 2010 e ha convinto il suo partito ad appoggiare la ‘Roadmap for America's Future’, promuovendosi come uno dei nuovi leader repubblicani che si definiscono ‘Young Guns’. Secondo gli osservatori politici, la scelta di Ryan dovrebbe rilanciare l'entusiasmo della base repubblicana, visti i risultati non molto incoraggianti degli ultimi sondaggi, secondo cui Romney è in svantaggio nei confronti di Obama. Ryan è gradito all'ala più conservatrice dei repubblicani e al movimento del Tea Party, che finora ha mostrato freddezza nei confronti di Romney. Niente da fare, dunque, per gli altri papabili i cui nomi sono circolati negli ultimi mesi: l'astro nascente ispanico Marco Rubio, l'ex collaboratore di Bush Rob Portman e l'ex governatore del Minnesota Tim Pawlenty.

233 15 AGOSTO 2012

Paul Ryan: le ragioni di una scelta Peste e corna… Si vuole rappresentare Paul Ryan, il candidato alla vice presidenza scelto da Mitt Romney, nel modo peggiore possibile? Presto fatto: si intervista un politologo o un analista politico USA di fede democratica senza dar conto ai lettori della sua appartenenza e riportandone critiche e contrarietà, si afferma genericamente, anche facendo riferimento a sondaggi di parte spacciati come indipendenti e pertanto veritieri, che la decisione del mormone è mal vista dagli americani e il gioco è fatto. E’ in questo modo che la maggioranza dei quotidiani e in genere dei media italiani (ma, non solo) favorevoli senza mai dichiararlo esplicitamente ad Obama procedono ed è in questo modo che contro i candidati e le idee repubblicane hanno sempre operato. Non per nulla la gran parte dei giornalisti italiani provengono dalla sinistra ed hanno iniziato la propria carriera scrivendo per giornali delle diverse anime comuniste nostrane. (Pensano, forse, di influenzare con questi atteggiamenti il voto degli americani. Si spesero per tutto il 2004 a man salva per John Kerry presentandolo fino in fondo come certo vincitore. Si è visto come è andata a finire). E quindi, lasciamo da parte le sciocchezze lette o ascoltate e andiamo al vero. Ebbene, fin dall’inizio della sua campagna Romney è stato percepito dai Gop come un buon candidato al quale mancava comunque un qualcosa tanto da essere contrastato da Santorum e Gingrich proprio sulla destra. Era, è, un repubblicano doc e va bene ma è troppo moderato e nel suo passato – in particolare allorquando ha governato il Massachusetts – annovera qualche decisione o presa di posizione che un aderente all’ala conservatrice non riesce a digerire se non a fatica. E visto che la prima, assoluta necessità è quella di unificare il 6 novembre il partito per non ripetere l’amara esperienza di McCain che gli evangelici non vollero votare… Ed eccoci pertanto a Ryan, non certamente - per le sue caratteristiche e per il fatto di risultare oramai da molti giorni nei sondaggi il running mate maggiormente gradito dagli elettori - un ripiego quale fu in qualche modo nel 2008 Sarah Palin. E’ un giovane di quarantadue anni con una lunga esperienza congressuale essendo risultato eletto alla camera già nel 1998. Ha una ben precisa collocazione in campo economico nel pieno rispetto delle idee del Gop: nessuna o minima ingerenza da parte del governo federale, radicale diminuzione delle aliquote fiscali, totale revisione della cosiddetta ‘Obamacare’. E’ addirittura il proponente di un piano economico nazionale assolutamente opposto a quello del presidente.

234 Ancora ed è fondamentale, da cattolico osservante, è del tutto avverso all’aborto e si oppone alla estensione dei diritti dei gay e dunque, anche per questo, è il beniamino sia degli evangelici che del Tea Party. Infine, da non sottovalutare, è del Wisconsin, uno degli ‘swing States’ che probabilmente riuscirà a portare in campo repubblicano. Poi, e siamo alla follia, come è stato notato, ha l’attaccatura dei capelli sulla fronte uguale a quella di Ronald Reagan e quindi…

235 16 AGOSTO 2012

Documenti

Ryan, l’asso delle lobby conservatrici, articolo di Giovanna Faggionato per Lettera 43 Se qualcuno ha dubbi su quale sia la forza d'urto dell'aitante quarantaduenne Paul Ryan scelto come vicepresidente per il ticket repubblicano dal candidato alla Casa Bianca la risposta è una: l'impero Koch. Stando agli ultimi dati disponibili le Koch Industries sono la seconda industria privata e non quotata degli Stati Uniti d'America per ricavi (circa novantotto miliardi di dollari). Un colosso tutto petrolio e chimica, plastica e concimi. Al vertice della multinazionale ci sono i due fratelli Charles de Ganahl e David Hamilton Koch , entrambi detentori del quarantadue per cento della società, il primo con il ruolo di presidente e amministratore, il secondo di vicepresidente. Capitani d'industria della generazione Anni Quaranta, americani della seconda età dell'oro, allevati al caldo della giustizia sociale di Franklin Delano Roosvelt, ma cresciuti con il pallino degli Stati Uniti delle origini, poco Stato e molto diritto naturale. Da sempre sostenitori del partito libertario, i Koch hanno dato vita a una delle creature politico finanziarie più importanti del panorama americano: la lobby ultraliberista American for prosperity. Per i suoi membri Ryan ha tenuto persino una conference call privata, diventando ufficialmente l'ariete di sfondamento per portare nei palazzi di Washington le idee della coppia di miliardari: una fiera opposizione alla teoria del riscaldamento globale, la trasformazione del Tea party in un partito in pianta stabile e, soprattutto, la formattazione dello Stato sociale e del sistema di tassazione. I fratelli Koch hanno cominciato con la raffineria di famiglia e sono finiti a produrre fertilizzanti e sistemi di controllo dell'inquinamento, hanno esplorato la frontiera dei servizi e si sono lanciati nel commercio delle derrate alimentari. Le Koch Industries vendono carta, tappeti e tessuti in fibra di lycra, controllano campi e oleodotti. Il quartiere generale della società - settantamila dipendenti, di cui cinquantamila in patria - sta nel cuore agricolo degli States: il Kansas tradizionalista e desolato di Dorothy e del cagnolino Toto, immortalato e reso celebre dal romanzo Il Mago di Oz. I due fratelli sono però tra i più ricchi residenti di New York. Nel 2011 Charles era diciottesimo nella classifica dei miliardari stilata dalla rivista Forbes , con un patrimonio personale valutato attorno ai venticinque miliardi di dollari. Dal centro della Grande Mela, il presidente della big della chimica ha stretto legami e creato reti attorno ai suoi interessi principali: la politica e l'azienda.

236 Ci aveva provato anche in prima persona a scendere in campo: era il 1980 quando corse come vicepresidente in pectore del partito libertario, formazione che da sempre è poco più che un intruso nella corsa per la Casa Bianca. Sarà per questo che il magnate ha ripiegato sulla seconda linea, finanziando lautamente chi poteva fare politica per lui. Tra il 2006 e il 2011 le Koch Industries hanno speso oltre cinquanta milioni di dollari in attività di lobbying, per limitare la regolamentazione del mercato dei derivati e dell'emissione di gas serra. La spesa dei due fratelli per influenzare la politica è pari a tre volte quella della più nota compagnia petrolifera Exxon e la loro impresa è anche quella che ha donato di più per l'attuale campagna presidenziale. Insomma, l'accoppiata Romney-Ryan può contare su una spinta potente. Ma non è l'unica capace di agitare una campagna elettorale finora insolitamente priva di colpi di scena (e contenuti politici). Oltre all'appoggio dei fratelli Koch infatti, Ryan può contare su altri amici miliardari e profondamente conservatori. Tutti imbevuti dell'ideologia liberista e spesso critici nei confronti di Romney, giudicato da solo non sufficientemente forte dalla destra profonda, nonostante il suo passato di padre padrone del fondo di private equity Bain Capital. Ryan, invece, ha conquistato la loro fiducia frequentando assiduamente i gruppi di pressione impegnati nella lotta a tasse e spesa pubblica, e preparando per tempo l'ascesa nei palazzi che contano. Tra i suoi sostenitori si conta Cliff Asness, monetarista convinto, fondatore di Aqr Capital, uno dei maggiori fondi di investimento americani, dopo un passato in Goldman Sachs, e fiero oppositore della Dodd Frank Rule, il tentativo di riforma con cui il presidente Barack Obama vorrebbe ricondurre nel recinto delle regole la finanza imbizzarrita. O il sessantottenne Paul Singer: numero uno dell'hedge fund Elliott Management Corporation, specializzato nel comprare e rivendere debiti con profitto e tra i maggiori finanziatori del Partito repubblicano. Anche a Chicago, roccaforte dell'attuale presidente, Ryan ha stretto le amicizie giuste: Kenneth Griffin, autodefinitosi un repubblicano reaganiano, amministratore delegato di Citadel, uno dei più lucrosi fondi di investimento a livello globale, lo ha messo in contatto con i membri del circolo repubblicano più generoso dell'intero Paese. Grandi elettori delusi dalla debolezza del Grand Old Party e spostati sempre più a destra. Grandi famiglie dell'America agraria e industriale, a fianco delle personalità più spregiudicate di Wall Street . In entrambi i casi, nomi che aprono molte porte. E, soprattutto, molte tasche.

237 Sondaggi ballerini Rasmussen – lo sappiamo, un repubblicano – afferma da tempo che a livello nazionale Mitt Romney è in vantaggio, sia pure di poco ed entro i margini d’errore preventivabili, su Barack Obama. Di quando in quando e recentemente abbastanza spesso, alle medesime conclusioni arriva Gallup. Poi, se si va ai singoli Stati, le cose cambiano e tutti i rilevamenti danno nettamente in testa il presidente, sia pure differenziandosi. Parrebbe, quindi, ad oggi 16 agosto – ad oltre ottanta giorni dal voto, rammentiamolo – che si possa ripetere incredibilmente quanto occorso in passato in qualche occasione (l’ultima, nel 2000) e cioè che il perdente risulti essere maggiormente votato a livello nazionale. Molta, peraltro, l’acqua che deve ancora passare sotto i ponti.

Prime indicazioni sugli interventi nella convention Gop di Tampa Allora, a quel che ora è dato sapere, la convention repubblicana di Tampa si aprirà con un discorso del governatore del New Jersey Chris Christie. Romney sarà invece introdotto e presentato dal senatore ispanico della Florida Marco Rubio e dal senatore del Kentucky Rand Paul, figlio del rivale liberal radicale del mormone nel corso delle primarie Ron Paul. Il partito, in cotal modo e dando inoltre voce a tutti gli altri big di destra come centristi, cercherà di apparire secondo necessità unito dietro il duo Romney/Ryan.

238 16 AGOSTO 2012

Hillary Clinton vice in luogo di Joe Biden? Ok ma non porta bene Per quanto abbastanza raro, è successo in diverse occasioni che il presidente in carica abbia deciso di cambiare il proprio vice in vista del rinnovo del mandato. Lo fece ad esempio Lincoln imitato anni dopo da McKinley. Quanto a Franklin Delano Roosevelt, i suoi vice furono addirittura tre: John Garner nei primi due quadrienni, Henry Wallace nel terzo e Harry Truman nei pochi giorni del quarto. Ecco, quindi, che l’ipotesi che si fa oggi a Washington a proposito della sostituzione di Joe Biden con Hillary Clinton non deve apparire fuori norma. Alcuni esponenti democratici, anzi, ne hanno esplicitamente parlato a seguito delle numerose gaffe dell’attuale vice praticamente incapace di parlare a ruota libera senza mettersi nei guai. Certo che un ticket democratico Obama/Hillary avrebbe molto maggiori possibilità di prevalere. Inoltre, in qualche modo, se vittorioso, indicherebbe necessariamente nella Clinton la candidata del partito dell’asino per il 2016. Ricordo, comunque, che nei tre casi sopra citati il capo dello Stato in carica, nuovamente vittorioso, ebbe a tirare le cuoia in corso di mandato lasciando lo scranno al nuovo vice. Attenzione!!!

239 18 AGOSTO 2012

Ma che brutta campagna! Se le sono sempre date (e dette) di santa ragione. Tranne casi rarissimi, del fair play nessuna traccia. Ma questa volta, va peggio. Attacchi per ogni dove e su tutti i fronti. Giustamente, per carità, riguardo ai rispettivi programmi, tuttavia subito trascorsi in seconda se non in terza fila. Con scarsissimo savoir faire, per il resto. Sotto tiro, in particolare, Mitt Romney che, secondo larga parte dei media, in specie in Europa e in Italia, ne avrebbe combinate e ne combinerebbe di tutti i colori. Sarebbe, il gaffeur (se affermi qualcosa che non piace, non sconfinfera, ai sinistrorsi sei appunto come minimo un gaffeur: non puoi avere idee diverse dalle loro, non sono ammesse) mormone, perfino un evasore fiscale o pressappoco. Ovvio che non sia possibile, che non possa essere con il fisco USA in agguato… Ma non importa: conta infangare. Ci si deve augurare che parte repubblicana non risponda per le rime? Difficile a dirsi, ma sarà probabilmente opportuno ricordarsi di un vecchio detto “A brigante, brigante e mezzo’!

240 19 AGOSTO 2012

Incredibile: Newsweek invita Obama a levarsi dai piedi Newsweek si schiera a sorpresa contro Barack Obama. Nella copertina del numero da domani in edicola, a settantanove giorni dal voto, il noto settimanale considerato di tendenza liberal titola: “Abbandona il campo, Barack: ecco perché abbiamo bisogno di un nuovo presidente”. E sullo sfondo una foto di Obama con la giacca sulle spalle, come se fosse pronto a lasciare il suo ufficio. La copertina, annunciata via Twitter, ha già scatenato l'ira dei fan del presidente.

241 22 AGOSTO 2012

Come sempre, l’Ohio Pochi giorni davvero e a Tampa, il 27 del corrente agosto, prenderà il via la convention repubblicana che incoronerà ufficialmente il ticket Romney/Ryan. La settimana successiva, in quel di Charlotte, i democratici riproporranno il tandem vincente nel 2008, Obama/Biden. In questa prospettiva, sondaggi a pioggia in ogni parte del Paese dovrebbero dirci a che punto sono i giochi. Come ho molte volte ripetuto, non è alla fin fine importante l’intenzione di voto dell’America tutta quanto, piuttosto, quella dei singoli Stati dato che si possono avere suffragi in numero superiore a livello nazionale sul rivale e perdere ugualmente lo scranno presidenziale. Occorre – lo ripeto – occorre conquistare i delegati (il quorum è duecentosettanta) vincendo per voti popolari Stato per Stato. Ecco, allora, che è ai sondaggi a cotal fine condotti che si deve guardare. Mille, probabilmente, quelli finora e giornalmente organizzati. Difformi le risultanze, ma con una oramai abbastanza precisa indicazione quanto alla tendenza. Ebbene, pressappoco, sommando i ‘voti elettorali’ dei territori fortemente portati a votare democratico, Obama dovrebbe poter contare su un totale di duecentocinquanta delegati circa mentre Romney, mettendo insieme i sostenitori repubblicani, si fermerebbe a duecentoquaranta, sempre all’incirca. Determinanti, pertanto e come spesso accade, la Florida e l’Ohio, dato che il terzo Stato abitualmente decisivo, la Pennsylvania, viene da tutti già assegnato ad Obama. Ebbene, le intenzioni di voto ad oggi, ma si deve dire costanti negli ultimi giorni, darebbero a Romney, per un pelo, i ventinove delegati dello Stato atlantico mentre l’Ohio con i suoi diciotto ‘voti elettorali’ è assolutamente ‘too close to call’, risultando i due contendenti alla pari. Nulla di straordinario: nella storia recente delle presidenziali USA l’Ohio è stato costantemente nell’occhio del ciclone. Ha quasi sempre votato per il vincitore della contesa spesso determinandone l’esito. Siamo alle solite, verrebbe da dire.

242 Bernanke out se vince Romney Nel mentre i sondaggi Stato per Stato danno Romney in rimonta tanto che lo stesso Obama ha paragonato il confronto ad una partita di basket da giocare punto su punto fino in fondo, ecco che il candidato repubblicano nel comunicare a grandi linee le sue intenzioni in campo economico ha detto, papale papale, che una volta in carica non confermerà nell’incarico di governatore della Federal Reserve Ben Bernanke. Queti fu chiamato all’alto incarico nel 2005 da George Walker Bush e fu confermato da Obama nel 2009. Il suo mandato scade nel 2014 ed è in dubbio che davvero un nuovo capo dello Stato possa defenestrarlo. Certo che se dovesse chiedergli di andarsene…

Romney: “A me nessuno chiede il certificato di nascita” Mitt Romney è tornato a sorpresa sulla questione mai chiusa delle origini e del luogo di nascita di Barack Obama e lo ha fatto con una battuta durante un comizio in Michigan. “Sono nato in un ospedale qui vicino” ha detto il repubblicano “e nessuno mi ha mai chiesto di esibire il certificato di nascita”. Obama lo scorso anno ha reso pubblica una copia del suo certificato dal quale risulta sia nato alle Hawaii ma larga parte dei repubblicani ritiene che tale atto sia falso. Ricordo che uno dei tre requisiti necessari per essere eletto presidente USA consiste nell’essere cittadino americano dalla nascita e che se Obama fosse nato nelle Filippine come si sostiene mancherebbe di tale indispensabile condizione.

Il presidente dei vescovi americani sarà a Tampa Alla convention di Tampa sarà presente anche la Chiesa cattolica. Il presidente dei vescovi statunitensi, il cardinale Timothy Dolan, darà la benedizione, ma non un appoggio ufficiale, a suo dire. Ma la sua presenza assume notevole rilevanza visto che è impegnato in un battaglia legale contro la riforma sanitaria del presidente Obama. In particolare contro la norma che vuole rendere obbligatorie l’assistenza alle pratiche abortive e la prescrizione di anticoncezionali anche in strutture ospedaliere amministrate da organizzazioni religiose. Nel programma di Tampa è stato inserito anche il no tout court all’aborto.

243 24 AGOSTO 2012 Documenti Il piano energetico di Romney: una manna per i petrolieri, articolo di Federico Rampini, sempre in opposizione ai repubblicani, vergato per Repubblica Dio Patria e Petrolio, potrebbe essere il trittico ideale come slogan per la convention repubblicana che si apre a Tampa, Florida, questo lunedì (uragano tropicale permettendo). Ma forse la sincerità dovrebbe imporre di mettere il petrolio in testa, per ordine di importanza. Mitt Romney alla vigilia della sua incoronazione ufficiale come candidato alla Casa Bianca ha presentato un piano energetico che non potrebbe essere più gradito ai petrolieri. L'aspirante presidente ha promesso che in caso di vittoria “libererà” gran parte del territorio demaniale degli Stati Uniti da ogni vincolo e giurisdizione federale, regalando ai petrolieri una libertà di trivellare senza precedenti nella storia. Da quando l'America è entrata nell'era industriale moderna, infatti, le ricchezze del suo sottosuolo sono state prevalentemente controllate e gestite dal governo centrale di Washington. Dall'inizio del Novecento, per esplorare giacimenti e poi estrarne petrolio o gas, le compagnie energetiche hanno dovuto bussare alla porta dell'Amministrazione federale. Romney vuole cancellare un secolo di storia, lasciando che siano i singoli Stati Usa a rilasciare i permessi. Se il 6 novembre dovesse vincere l'elezione, mantenere questa promessa significherebbe smantellare alcune delle più importanti tutele ambientali e paesaggistiche, aprendo un'era di lassismo sfrenato nello sfruttamento delle risorse naturali. È il ritorno alla logica del Far West. Anche in senso letterale: è nell'Ovest degli Stati Uniti, cioè in Stati come Alaska e Colorado, New Mexico, Nevada e Utah (roccaforte della chiesa mormone a cui appartiene Romney) che si trovano le risorse energetiche più ricche. È in quegli stessi Stati, spesso governati dalla destra, che potenti lobby energetiche hanno piegato i politici locali rendendoli dei docili servitori dell'interesse del business. Lo stesso Romney ama sottolineare che il Colorado o il North Dakota rilasciano in pochi giorni i permessi di trivellazione alle compagnie petrolifere, mentre l'Amministrazione centrale a Washington impiega molti mesi (a volte quasi un anno) per completare le sue analisi sull'impatto ambientale. La proposta rivoluzionaria di Romney cancella tradizioni e conquiste che non appartengono solo alla sinistra o al partito democratico.

244 Al contrario, il vero padre storico dell'ambientalismo moderno fu Theodore Roosevelt, presidente repubblicano all'inizio del Novecento. Fu quel Roosevelt (in altri campi ben più conservatore del suo lontano cugino Franklin Delano che in seguito sarebbe diventato presidente durante la Grande Depressione) ad inaugurare la politica del ‘conservazionismo’ con la nascita dei grandi parchi federali. In tempi meno lontani un altro presidente di destra, Richard Nixon, creò la più potente authority per la tutela dell'ambiente, la Environmental Protection Agency. La deriva sempre più estremista del partito repubblicano sembra inarrestabile anche in questo campo: perfino George Bush e Dick Cheney, entrambi personalmente legati ad interessi del business petrolifero, pur perseguendo una politica decisamente lassista non osarono arrivare alla proposta radicale di Romney. Quest'ultimo si avvale di consiglieri come Harold Hamm, miliardario dell'Oklahoma che è il chief executive della compagnia petrolifera Continental Resources, e al tempo stesso è il responsabile della politica energetica per la campagna presidenziale del candidato repubblicano. Petrolio e Patria si sposano perfettamente, perché una delle motivazioni nobili con cui Romney presenta la sua proposta, è quella dell'indipendenza energetica nazionale. Su questo piano, per la verità, l'Amministrazione Obama non se l'è cavata male. Aiutata dall'aumento dei prezzi mondiali del greggio, dalla scoperta di nuovi giacimenti di gas naturale, e dall'evoluzione tecnologica, l'America è già oggi sulla buona strada per emanciparsi dal Medio Oriente. Di fatto, anche senza dare il via a un selvaggio sfruttamento dei giacimenti domestici, entro quindici anni gli Stati Uniti cesseranno con ogni probabilità di importare greggio dagli sceicchi arabi. In quanto a Dio, la destra non ha dubbi che stia dalla sua parte. Romney è stato un vescovo della chiesa mormone, una delle fedi più reazionarie nella storia d'America. Il suo vice Paul Ryan è un cattolico integralista, schierato sulle posizioni più oltranziste del movimento anti-abortista. A volte Dio e Petrolio possono sembrare in contraddizione fra loro. Come ha notato il premio Nobel dell'Economia Paul Krugman, Ryan si è dovuto contraddire nel suo culto per Ayn Rand. Costei fu la sacerdotessa del liberismo economico, venerata dagli anni Sessanta in poi. La sua Bibbia è un romanzone intitolato Atlas Shrugged, tuttora un best-seller a decenni dalla scomparsa dell'autrice. Il guaio è che la profetessa del Dio-mercato era un'atea convinta, e questo ha costretto Ryan a rimangiarsi la sua professione di fede verso la Rand. Ma si tratta di contraddizioni minori, del tutto irrilevanti per il popolo di destra che si prepara a celebrare il lancio di Romney verso la conquista della Casa Bianca. Sempre che Tampa non si trasformi in una città disastrata, costretta all'evacuazione dall'arrivo dell'uragano Isaac. Chissà chi è stato ad appioppargli quel nome dal chiaro sapore biblico.

245 Eva Longoria è con Obama! Il partito democratico annuncia che alla convention di Charlotte parlerà, ovviamente pro Obama, tra gli altri Eva Longoria. La protagonista di ‘Desperate housewives’ è stata nominata nientemeno che copresidente del comitato nazionale del partito dell’asino a sostegno della campagna elettorale del presidente in carica.

Il ‘libertarian’ Gary Johnson presente in tutti gli Stati “Lo Stato federale ha già fatto abbastanza guai. Meglio, per quanto possibile, farne a meno”. E’ sulla base di tale principio che il ‘libertario’ Ron Paul ha proposto e sostenuto la propria campagna elettorale nel corso delle primarie e dei caucus repubblicani. Paul, pur rappresentando un’ala del tutto specifica e minoritaria tra i Gop, resta nel partito. Non altrettanto, certamente, molti dei giovani che nell’ambito delle or ora citate primarie lo avevano seguito. Trovano, costoro, un candidato da sostenere altrove: si tratta del leader del ‘Libertarian Party’ Gary Johnson che, è notizia oggi ufficiale, è riuscito a presentarsi in tutti i cinquanta Stati dell’unione. L’ex governatore del New Mexico, praticamente mai incluso nei sondaggi, con ogni probabilità, riuscirà a raccogliere un numero non disprezzabile di voti popolari. Non conquisterà, è ovvio, nessuno Stato ma potrebbe in alcuni di quelli maggiormente contesi determinare la vittoria di Romney piuttosto che di Obama sottraendo a uno dei due i suffragi necessari a prevalere. Un po’ quanto accadde con Ralph Nader nel 2000 allorquando il sostegno da lui raggiunto permise a George Walker Bush di conquistare per il rotto della cuffia White House.

246 25 AGOSTO 2012

TAMPA Per quattro giorni i riflettori saranno puntati su Mitt Romney e il suo vice, Paul Ryan. Romney intende sfruttare al meglio la convention per trasmettere all'America il suo lato umano, dopo che, per mesi, gli spot democratici lo hanno dipinto come un cinico miliardario che se ne frega del prossimo e, da manager, ha pensato solo a far soldi e alla bella vita. E’ necessario, quindi e da questo punto di vista, correre ai ripari: ampio spazio, dunque, alla famiglia. A partire dalla moglie Ann che martedì salirà sul palco per raccontare l'uomo con cui divide la vita da più di quarant’anni. A Tampa, ovviamente, saranno presenti anche i cinque figli (maschi) dell’ex governatore con le rispettive consorti, e quindici dei suoi diciotto nipoti. Sul palco, dopo la famiglia, saliranno anche alcuni atleti che hanno avuto modo di conoscere Mitt quando organizzò le Olimpiadi invernali di Salt Lake City del 2002 e alcuni parrocchiani che aiutò quando era alla guida della diocesi mormone di Boston. “L’obiettivo è definire un po' meglio la figura di Mitt” , ha spiegato il primo consigliere di Romney, Ron Kaufman. Tutto è studiato ad arte per trasmettere un'immagine solida, seria e rassicurante. La convention, cin programma dal 27 al 30 agosto al Tampa Bay Times Forum, ufficialmente servirà a formalizzare la candidatura presidenziale di Romney chiarendo la linea del partito sui principali temi emersi nel corso della campagna elettorale. Circa cinquantamila persone raggiungeranno la Florida per il grande appuntamento repubblicano: i delegati eletti durante le primarie e i caucus, ma anche deputati, senatori, politici locali, funzionari di partito, volontari, giornalisti e simpatizzanti. Previsti gli interventi del governatore del New Jersey, Chris Christie, dall’ex rivale di Romney, Rick Santorum, ritiratosi dalla corsa alla Casa Bianca lo scorso 10 aprile. Mercoledì sarà il turno del senatore John McCain, candidato alla Casa Bianca nel 2008, insieme a Condoleezza Rice, ex segretario di Stato e Paul Ryan, vice di Romney. Sembra scongiurata, nel frattempo, l’ipotesi che la convention possa essere spostata a causa dell’uragano Isaac, che minaccia ancora le coste della Florida.

247 Sembler: “Obama sarà seppellito dagli spot avversi” Già ambasciatore in Italia, Mel Sembler fa ora parte del Comitato che segue e amministra le finanze del candidato Gop Mitt Romney. Intervistato, Sembler ha dichiarato che dal momento in cui il mormone sarà ufficialmente nominato saranno a sua disposizione gli enormi fondi finora raccolti dal partito che, in quanto non legittimato dalla convention, non poteva usare. Secondo l’ex ambasciatore, da allora in poi, sotto il diluvio di spot tv che i repubblicani proporranno, i sondaggi che ancora vedono Obama in sia pur lieve prevalenza verranno spazzati via.

248 PARTE TERZA

249 LE CONVENTION (MA NON SOLO, OVVIAMENTE)

26 AGOSTO 2012 A TAMPA, A TAMPA!

Domani 27 agosto, uragano Isaac permettendo, a Tampa, secondo previsioni, prende il via la convention del partito repubblicano. Proprio a causa dell’incerto fattore climatico (non si sa bene quale percorso sceglierà Isaac e se davvero imperverserà sulla città della Florida in modo tale da impedire i lavori), pare che la prima giornata debba notevolmente ridursi per quanto concerne gli interventi e le previste modalità. Staremo a vedere.

Quel che davvero conta in una convention e in questa Gop in modo specifico visti gli esiti dei sondaggi è che il partito riesca a presentarsi unito dietro il candidato prescelto Mitt Romney e dietro il suo running mate Paul Ryan. Le sia pure forti contrapposizioni messe in evidenza da primarie e caucus sono rientrate? I libertari alla Ron Paul sono disposti sul serio a seguire il dettato della ‘platform’ (il programma ideologico/politico) sulla quale evidentemente le idee dei due componenti il ticket hanno fortemente influito o si lasceranno ammaliare dal ‘Libertarian Party’ di Gary Johnson? Gingrich, Santorum e relativi seguaci rinfodereranno le armi? Si accontenteranno di essere coperti a destra da Ryan? Faranno altrettanto Tea Party ed evangelici in molti Stati del tutto decisivi per la conquista dei delegati locali? Le anime protestanti del Gop accetteranno davvero la benedizione della convention ad opera del presidente della Conferenza Episcopale Cattolica Americana Timothy Dolan o avranno qualcosa da ridire? Come ho scritto fin dagli ultimi mesi del trascorso 2011 e poche righe fa ribadito, solo nel caso in cui tutte le differenti ‘anime’ repubblicane riescano a compattarsi senza se e senza ma dietro il mormone la vittoria Gop sarà probabile e, forse (ove semplicemente i ‘red States’ si ricordassero di essere tali), certa.

E veniamo al programma della kermesse. Gli interventi previsti, al di là della dichiarazioni di voto delle delegazioni, sono trentaquattro. Parleranno fra gli altri Ann Romney, Jeb Bush, Condoleezza Rice, Marco Rubio, Chris Christie, Rick Santorum, Newt Gingrich, Ron Paul…

250 Nella ‘platform’, di certo, la messa al bando dell’aborto: nessuna interruzione volontaria della gravidanza verrà concessa anche se il concepimento dovesse derivare da incesto o stupro. (L’idea è che in questi casi non possa e non debba pagare il nascituro ma, assai duramente, l’autore dell’incesto o dello stupro). Poi, per la sanità, l’abolizione della cosiddetta ‘Obamacare’, la privatizzazione dell’attuale programma pubblico ‘Medicare’, l’assistenza per gli over sessantacinque, trasformandolo in un meccanismo di voucher introdotto sul mercato dalle compagnie assicurative. Per quel che concerne il deficit, tagliare in primis la spesa pubblica tranne che per la difesa, non aumentare le tasse sulla middle class mantenendo gli sgravi fiscali. No all’ipotesi obamiana di chiedere maggiori esborsi ai ricchi. A proposito di immigrazione clandestina, fondamentalmente si alla legge in materia dell’Arizona secondo cui un poliziotto ha il diritto di controllare i documenti a un passante sulla base dei tratti del suo viso o sentendone l’accento straniero. Quanto all’energia, poco spazio alla green economy, aumento delle trivellazioni petrolifere e del nucleare.

251 Il via della kermesse spostato al 28 causa maltempo Alla fine, l’ha avuta vinta l’uragano Isaac e i lavori della convention Gop di Tampa che avrebbero dovuto prendere il via domani 27 agosto inizieranno il 28 durando comunque i quattro giorni previsti,

252 26 Agosto 2012

Gli Swing States al 25 agosto secondo Rasmussen Colorado, Florida, Iowa, Michigan, Nevada, New Hampshire, North Carolina, Ohio, Pennsylvania, Virginia e Wisconsin, questi, per un totale di ben centoquarantasei delegati su cinquecentotrentotto gli Stati decisivi il prossimo 6 novembre secondo il sondaggio Rasmussen del 25 agosto, risultando i restanti Stati ben saldamene in mano di Obama o di Romney. Ora, non tutti gli undici territori indicati sono ‘swing’, ovvero in bilico, allo stesso modo e si deve ritenere che il repubblicano non abbia molte chance di conquistare, per esempio, la Pennsylvania. Peraltro, Rasmussen crede che, alla fin fine, i tre Stati decisivi saranno Virginia, Ohio e Florida, dove i due candidati sono decisamente vicini. Se Romney vince in tutti e tre è eletto. Se vince in due ha molte possibilità di esserlo. Quanto ad Obama, basta ne conquisti due per avere certezza della conferma che potrebbe ottenere anche vincendone uno solo (la Florida, dotata di un maggior numero di ‘voti elettorali’: ventinove).

253 28 AGOSTO 2012

Tampa, il primo giorno Abito rosso, capello biondo, sorriso a trentadue denti… In forma perfetta, Ann Romney ha tenuto un gran bel discorso nel primo giorno della convention Gop. Doveva, secondo i media quasi totalmente avversi al coniuge, ‘salvare’ Mitt e rappresentarne il lato umano, posto che esista come sempre i media dubitano sia. Alla fine, è stata raggiunta sul palco dal marito che l’ha abbracciata e baciata prima di allontanarsi dai riflettori con lei. Applausi scroscianti.

Nel giorno inaugurale, ovviamente, i delegati hanno ufficializzato la nomination del mormone e del suo running mate Paul Ryan ed hanno ascoltato i discorsi di un certo numero di governatori: Chris Christie, Scott Walker, Bob McDonnel, Rick Santorum…

Grandi feste, giubilo, manifestazioni, gioia, certezze…

Alla fine, quanto alla indispensabile compattezza del partito in vista del 6 novembre, ottima la frase di Michele Bachmann: “Non ho nulla da ridire. Il programma è stato passato al pettine dai Tea Party”. Problematico, di contro, il distacco manifestato dai radicali alla Ron Paul.

I lavori continuano.

254 Il testo inviato via mail a MdPR da Ann Romney dopo il suo intervento

Mauro,

I am so excited to be at the Republican National Convention with my family and friends as my husband Mitt Romney becomes the Republican presidential nominee.

This is the man America needs during a time of debt and despair.

This is the man who will wake up every day with the determination to solve the problems that others say can't be solved, to fix what others say is beyond repair.

This is the man who will work harder to give all Americans an opportunity to prosper.

I can't tell you what will happen over the next four years. But I can tell you:

This man will not fail.

This man will not let us down.

This man will lift up America!

And with your help, this man -- my husband -- will be the next President of the United States of America.

Thank you,

Ann Romney

255 29 AGOSTO 2012

Tampa: il secondo giorno. Ryan come Goldwater? “Rispondo alla chiamata della mia generazione per dare ai nostri figli l'America che è stata data a noi, con opportunità per i giovani e sicurezza per gli anziani", con queste parole, Paul Ryan ha iniziato il suo discorso di accettazione della candidatura a vice presidente per i Gop. Interrotto a molte riprese da scroscianti applausi, il deputato del Wisconsin ha parlato con impeto e slancio non comuni rappresentando assai bene l’anima repubblicana. Da questo punto di vista, nella necessità di coprire a destra nei confronti di evangelici e Tea Party il centrista Romney, mai scelta è stata meglio azzeccata. Resta, è vero, la preoccupazione espressa correttamente da Massimo Gaggi sul Corriere della Sera: Ryan appare per molti versi un nuovo Goldwater, il candidato Gop del 1964 che incarnava il ‘vero’ repubblicanesimo e che, per tale ragione estremizzando, fu rovinosamente sconfitto.

256 Il testo della mail inviata a MdPR da Paul Ryan dopo l’accettazione della nomination

Mauro,

This is not an ordinary election -- because this is not an ordinary time.

After four years of getting the run-around, America needs a turnaround. And t he only man for the job is Mitt Romney.

I'm excited to follow his lead, to join his team, and to pursue an agenda that will get our country back on track.

We know what we believe in. We believe in the hard work and ingenuity of the American people who built this country.

I accept the calling of my generation to give our children the America that was given to us -- with opportunity for the young and security for the old. I know that we are ready to meet serious challenges in a serious way, without excuses and idle words.

So here is our pledge:

We will not duck the tough issues, we will lead.

We will not spend four years blaming others, we will take responsibility.

We will not try to replace our founding principles, we will reapply them.

The work ahead will be hard -- but these times demand the best of us. Together, we can change it.

Join Mitt, the Republican team, and me.

Thanks,

Paul Ryan

Perché Romney è in grado di vincere a detta dei giornali a lui avversi

257 “Oggi è il giorno di Romney, la conclusione della convention repubblicana qui a Tampa. Perché va preso sul serio? La sua forza, come ha dimostrato l’efficace discorso del suo vice Paul Ryan centrato al novanta per cento sull’economia, è in questo semplice ragionamento: ‘Ecco in che stato si trova l’America dopo quattro anni di presidenza Obama. Come ci si può illudere che faccia meglio di così, se viene rieletto?’ Crescita asfittica e alta disoccupazione, ‘una ricetta che non ha funzionato’, questi sono gli argomenti che danno alla kermesse di Tampa un impatto. Per quanto Obama possa indebolire Romney attaccandolo sulle sue passate scorribande da finanziere-avvoltoio o sui suoi conti offshore alle Caimane, per quanto lo stesso Romney risulti incurabilmente algido, l’elezione quando si presenta un presidente uscente è sempre anzitutto sul suo bilancio. Romney parla alle ore ventidue locali (le quattro del mattino in Italia) preceduto- presentato dal senatore ispanico della Florida Marco Rubio.”

(Articolo pubblicato da Repubblica.it il 30 agosto)

Sarà Clint Eastwood ad introdurre il discorso di accettazione di Mitt Romney Sorpresa, ma non troppo dopo il recente endorsement: il grande attore e regista americano Clint Eastwood con un suo intervento introdurrà l’attesissimo discorso di accettazione della nomination Gop di Mitt Romney.

30 AGOSTO 2012

258

Tampa, il terzo giorno: il discorso di accettazione di Mitt Romney

Preceduto da un sarcastico Clint Eastwood che ha finto di processare Barack Obama per il disastroso quadriennio trascorso alla Casa Bianca, calorosamente introdotto dal senatore della Florida Marco Rubio, nell’attesissimo discorso di accettazione della candidatura repubblicana alla Casa Bianca, Mitt Romney ha detto di credere nel futuro del Paese con tutto l’ottimismo e la voglia di andare avanti che lo distinguono. Chiudendo la kermesse del Grand Old Party, a sessantasette giorni dal voto presidenziale, ha attaccato duramente Barack Obama. Lo ha fatto contrapponendo all’idealismo inconcludente de presidente un sano pragmatismo di padre e nonno, il pragmatismo di chi con la propria esperienza di uomo d'affari e di amministratore anche pubblico, sa ed ha dimostrato di essere in grado di salvare gli USA, di creare nuovi posti di lavoro, di ridare vere speranze ai giovani. “Il presidente Obama”, ha detto ricorrendo anche al sarcasmo, “ha promesso di rallentare il flusso degli oceani e guarire il pianeta dai suoi mali. La mia promessa... è quella di aiutare voi e la vostra famiglia”. Insomma, dice il mormone, “il presuntuoso leader mondiale, l'uomo che pensava di mettere a posto il pianeta, alla fine non è riuscito a fare la cosa per cui era stato eletto: tutelare il diritto al perseguimento della felicita per tutti gli americani, così come è indicato nella Dichiarazione di Indipendenza”. “E' ora”, ha osservato Romney, “che tutti noi americani ci mettiamo alle spalle le delusioni degli ultimi quattro anni. E' tempo”, ha sottolineato, “che ci riprendiamo la promessa che chiamiamo America”. E sulla strada da seguire non ha dubbi: “La cosa di cui gli Stati Uniti hanno bisogno oggi non è tanto difficile da scoprire. Non servono speciali commissioni governative per dircelo: sono posti di lavoro, molti, moltissimi posti”. Quindi, l'ex governatore del Massachusetts ha difeso la propria controversa attività finanziaria definendo la sua avventura alla guida della Bain Capital “una grande storia di successo americano”.

259 Il testo della mail inviata a MdPR da Mitt Romney dopo il suo discorso di accettazione della nomination a candidato del partito repubblicano USA alla presidenza

Mauro, four years ago, many Americans were excited about the possibilities of a new president. I wish President Obama had succeeded, because I want America to succeed. But his promises gave way to disappointment and division.

This isn't something we have to accept.

We believe in America, and now is the moment when we can do something to turn things around.

I am running for president to help create a better future. A future where everyone who wants a job can find one. Where no senior fears for the security of their retirement. An America where every parent knows that their child will get an education that leads them to a good job and a bright horizon.

The time has come for us to put the disappointments of the last four years behind us. To put aside the divisiveness and the recriminations. To forget about what might have been, and to look ahead to what can be.

If I am elected president of these United States, I will work with all my energy and soul to restore America, to lift our eyes to a better future. Because our children deserve it, our nation depends upon it, and the peace and freedom of the world require it.

And with your help we will deliver that brighter future.

Thank you,

Mitt Romney

260 L’intervento di Condoleezza Rice Il momento migliore della tre giorni Gop di Tampa, e non solo a detta dei suoi amici repubblicani. Il momento in cui un vero statista ha preso la parola richiamando i principi e l’idea, sfrondando il proprio intervento da ogni tematica in qualche modo ‘minore’, rifuggendo dal sensazionalismo, dalla retorica e, non sia mai, dal gossip. Ecco, nei venti minuti o poco meno del suo discorso Condoleezza Rice ha confermato di essere la grande donna, il grande personaggio che tutti, avversari in prima fila, riconoscono sia. Solo una persona del suo livello poteva, come ha fatto, ricordare l’unicità e l’eccezionalità americana. Ci si deve augurare che una prossima amministrazione Romney possa contare sulla sua presenza, sul suo carisma. Ci si deve augurare che possa un giorno arrivare personalmente a White House.

261 1 SETTEMBRE 2012

Documenti

Romney punta sugli Stati chiave, un articolo di Christian Rocca per Il Sole 24 Ore

“Macché riposo, per i prossimi sessantasei giorni ‘riposo’ è una parola che non esiste”, dicono con entusiasmo misto a preoccupazione gli uomini più vicini a Mitt Romney durante un esclusivo party di Google in chiusura della convention repubblicana di Tampa. Romney dovrà faticare molto, spiegano i suoi, nonostante la convention sia andata esattamente come era stata programmata: il messaggio al Paese, il tono delle proposte e il profilo del candidato sono usciti con chiarezza dal Tampa Bay Forum. Nella notte di giovedì, a nomination accettata, Romney ha firmato le carte per iniziare a spendere il denaro raccolto per la campagna presidenziale di novembre. La partita ora entra nel vivo. Gli uomini di Romney raccontano che stanno ancora investendo in spot elettorali in Michigan, uno Stato che dovrebbe essere solido nella colonna pro Obama, e sottolineano quanto questo sia un segnale chiaro che le cose vanno molto bene per il loro candidato. Anche il Wisconsin, Stato dell'aspirante vicepresidente Paul Ryan, è in gioco, malgrado l'ultimo repubblicano a vincerlo sia stato Ronald Reagan ventotto anni fa. Per Romney la mappa elettorale di Stati da conquistare si allarga, mentre Obama deve difendersi e spendere denaro su più fronti rispetto a quelli immaginati fino a poco tempo fa. Alcuni sondaggi nazionali iniziano a dare Romney in vantaggio di un punto su Obama, ma a contare sono le dinamiche in quella decina di Stati spaccati a metà e che per una manciata di voti decidono le elezioni del 6 novembre. Il problema per Romney non è soltanto quello di essere indietro di un soffio, o al massimo pari, negli Stati chiave, piuttosto che dovrà vincerli più o meno tutti. Non sarà facile superare Obama in Florida, Ohio, Colorado, Nevada, New Mexico, Iowa. Il team Romney confida nel tradizionale ‘convention bump’, il balzo in avanti nei sondaggi garantito tradizionalmente dall'esposizione mediatica della convention. Il presidente del Grand Old Party Reince Priebus si aspetta uno rialzo significativo, mentre altri advisor cercano di abbassare le aspettative. La media del convention bump è del cinque per cento, con punte del sedici per cento per Clinton e un imbarazzante meno uno per cento per John Kerry nel 2004, segno che le convention possono essere un formidabile volano verso la Casa Bianca ma anche un flop. A Romney non dovrebbe andare male.

262 Aveva tre obiettivi – fornire una visione alternativa a quella del presidente, unificare ed energizzare il partito, mostrare un lato caloroso e meno robotico della sua personalità – e ieri mattina ha lasciato Tampa convinto di averli raggiunti. Romney ha puntato, forse troppo, sullo spirito individualista americano, sull'antistatalismo estremo, sull'idea di un popolo che preferisce la libertà dallo Stato piuttosto che la libertà concessa dallo Stato. Ha anche presentato i volti nuovi del partito, a cominciare da Paul Ryan, la cui presenza nel ticket ha rinvigorito base ed élite repubblicana e, almeno per un giorno, è riuscita a trasformare Obama nel candidato del passato. Il senatore della Florida Marco Rubio ha parlato da futuro presidente, con toni epici obamiani del 2008. Il governatore anti sindacati del Wisconsin Scott Walker è stato uno degli eroi della platea, assieme alle governatrici della South Carolina e del New Mexico Nikki Haley e Susana Martinez. Il gran colpo mediatico di Clint Eastwood, salito sul podio mentre gli schermi del Forum ingrandivano un fotogramma del film di Sergio Leone ‘Per un pugno di dollari’, è stato molto apprezzato dalla platea dei delegati, ma anche dileggiato da giornalisti e blogger di area progressista soprattutto per lo strambo, e non sempre riuscito, dialogo con una sedia vuota su cui ovviamente non era seduto Obama. L'aspetto privato della convention è stato altrettanto importante. Ann Romney, gli amici e i colleghi del candidato si sono alternati sul podio per raccontare il loro Mitt, mentre un montaggio di vecchi filmati familiari è stato confezionato così bene da ricevere i cavallereschi complimenti di David Axelrod, lo stratega di Obama. Ora Romney e Ryan cercheranno il più possibile di girare il Paese insieme, perché insieme si trovano bene, si divertono e galvanizzano i militanti, ma ci sono moltissime contee in gioco e gli strateghi della campagna Romney preferiscono coprirne il più possibile. Ieri Romney è andato a New Orleans a dare conforto a chi ha subito danni dall'uragano Isaac. La settimana prossima, durante la convention democratica di Charlotte, assieme a Ryan si dedicherà alla preparazione dei dibattiti tv e lascerà alle nuove star del partito il compito di rispondere a Obama.

263 Il voto degli ispanici Allora, l’abbiamo già detto ma va ripetuto, con ogni probabilità il 6 novembre il voto degli ispanici sarà decisivo. Fatto è che dal 2008 ad oggi, sarebbero aumentati addirittura di quindici milioni (da trentacinque a cinquanta) e in modo particolare in alcuni negli ‘swing States’ (in bilico, elettoralmente parlando) quali Florida, Colorado, Nevada, Carolina del Nord e Virginia. Votano (voterebbero) in maggioranza democratico ma lo scarto – sessanta/quaranta piuttosto che, cinquantacinque/quarantacinque, per esempio – potrebbe significare per Romney la differenza tra vittoria e sconfitta. Ecco, quindi, che entrambi gli staff sono impegnati nel loro corteggiamento. Purtuttavia, per quanto agli ispanici ci si dedichi con attenzione, non è detto che si riuscirà a convincerli al voto. Già nel 2008 andarono alle urne all’incirca al cinquanta per cento e in questo 2012, guardando agli elettori registrati, appaiono addirittura in calo, percentualmente parlando. (Nel 2010, mid term elections, su ventuno milioni e settecentomila aventi diritto, votarono solo in dieci milioni e novecentomila). “Dobbiamo ancora far fronte a un divario nelle registrazioni del tutto consistente”, ha detto in proposito a ‘ The Week’ Matt Barreto, dell'Università di Washington. Questo scarto è almeno in parte legato all'attuale situazione di crisi economica, che li ha colpiti in modo particolarmente forte. Il valore medio della ricchezza delle famiglie ispaniche si è ridotto di due terzi tra il 2005 e il 2009 e la percentuale di pignoramento delle case è di poco meno del dodici per cento, più del doppio di quella tra le famiglie dei bianchi. “Quando la gente perde il lavoro o la casa, di solito deve trasferirsi altrove”, dice Antonio Gonzalez, capo del Southwest Voter Registration Education Project. “Quando uno si trasferisce, deve registrarsi di nuovo e c'è il sospetto che ciò non sia avvenuto nel 2009 e 2010”. Inoltre, tra gli ispanici quasi un terzo degli aventi diritto al voto è al di sotto dei trent’anni, fascia di età in cui l'impegno è più basso. Nel 2010, votò solo il diciassette virgola sei per cento dei giovani ispanici.

La cortesia di una volta Una volta – non molto tempo fa, a dire il vero – i democratici e i repubblicani avevano la buona abitudine di sospendere la loro attività elettorale nella mezza settimana nella quale il partito avverso svolgeva la propria convention. Si lasciava che i riflettori fossero per quei pochi giorni concentrati sugli altri. Ora, come in infiniti altri campi del vivere comune, le cose vanno differentemente e mandando al diavolo il fair play elettorale ecco i democratici agitarsi alla grande cercando di distogliere da Tampa l’attenzione dei volubili media. Interviste, apparizioni televisive, annunci… Sempre peggio!

264 3 SETTEMBRE 2012

Fissato al 3 ottobre in primo dibattito in tv Da quando, nel 1960 per la prima volta, Kennedy e Nixon si confrontarono pubblicamente in televisione, uno dei momenti maggiormente attesi dai media e dagli elettori nella campagna per White House è quello del dibattito/confronto tv. Non che abbia poi davvero tutta questa importanza ai fini dell’elezione: rammento, per fare un solo esempio, che secondo tutti gli analisti e secondo i sondaggi portati a termine subito dopo, nel 2004 John Kerry aveva prevalso in ogni occasione per risultare a novembre sconfitto alla grande nelle urne. A ben guardare, si tratta di confronti rigidamente preparati, con tempi molto precisi e praticamente nessuna possibile sorpresa per quel che riguarda le domande. Inoltre, in vista dei dibattiti, i due candidati si preparano per ore ed ore imparando praticamente a memoria le risposte ‘giuste’ da dare. Comunque, si è stabilito tra repubblicani e democratici che gli incontri saranno quest’anno tre (è un classico) il primo dei quali è fissato al 3 ottobre.

265 Continua il testa a testa nei sondaggi(?!) Occorre stare molto attenti. Oggi la notizia sbandierata dai media è che a seguito della convention di Tampa Romney avrebbe raggiunto Obama nelle intenzioni di voto degli americani. Ora, secondo, per esempio, Rasmussen, questo è accaduto almeno tre mesi orsono mentre Gallup già da qualche settimana li colloca sostanzialmente, con lievi oscillazioni, anch’esso alla pari. Il citato Rasmussen, poi, non oltre ieri, collocava invece il mormone avanti di quattro punti percentuali. L’ho detto e lo ripeto, molti se non tutti i sondaggi sono in qualche modo ‘taroccati’ per appartenenza o simpatia dell’istituto che li esegue, del committente, per ragioni a volte evidenti e a volte non facilmente comprensibili. L’ho detto e lo ripeto: le rilevazioni a livello nazionale lasciano il tempo che trovano. Lasciamoli dire.

I coniugi Norris, con toni un po’ forzati, a sostegno di Romney Dopo Clint Eastwood, Mitt Romney può contare su un altro duro del cinema per la sua campagna elettorale, Chuck Norris. Il campione d’arti marziali e ammazza cattivi più famoso della tv entra a gamba tesa nella campagna elettorale Usa. Lo fa con un video-messaggio su internet in cui esorta gli americani a difendere il paese dal socialismo e da cose ancora peggiori. Mano nella mano con la moglie Gena (e con la bandiera a stelle e strisce in bella evidenza sullo sfondo), il settantaduenne attore è apparso in uno spot pubblicato dal portale ultraconservatore WND, in cui mette in guardia il popolo americano da una nuova vittoria di Barack Obama e dalla deriva socialista degli Stati Uniti. “Il nostro grande Paese e la nostra libertà sono sotto attacco e potrebbero andare persi per sempre se non si cambia rotta”, dice Norris rivolgendosi alla telecamera con tono preoccupato. La moglie Gena aggiunge: “Chuck e io ci siamo chiesti come poter contribuire per far sentire le voci dei nostri fratelli e delle nostre sorelle americane”. Nelle elezioni di quattro anni fa, spiega la consorte dell’attore, trenta milioni di cristiani evangelici non avrebbero votato e Obama avrebbe vinto con un margine di soli dieci milioni di voti. Il video dura poco più di due minuti e con toni sempre più cupi la coppia dipinge le conseguenze di una possibile rielezione di Obama: “Mille anni di tenebre” avverte la moglie Gena. “È tempo”, conclude il marito, “di serrare i ranghi per Dio e per il nostro Paese. Ci vediamo alle urne”.

266 3 SETTEMBRE 2012

Documenti

Obama verso la convention di Charlotte, un articolo di Antonio Carlucci per L’Espresso Blog Adesso tocca a Barack Obama galvanizzare le truppe democratiche e tutti i possibili elettori. Il presidente e il partito democratico hanno scelto Charlotte, in North Carolina, per la Convention 2012. Charlotte è in uno Stato abbastanza conservatore, dove il voto repubblicano ha sempre avuto il sopravvento su quello democratico, tranne che nel 2008 quando Obama vinse sul suo sfidante. Essere sicuri di ripetere quella performance darebbe al presidente la quasi certezza della rielezione. Ma così non è. Barack Obama arriva a Charlotte avendo incassato una vittoria contro i repubblicani ai quali contesta da mesi di cercare di condizionare il voto in alcuni stati con misure restrittive per gli elettori. E giunge qui sapendo che un pezzo del suo partito e del suo elettorato non sono più nella fase dell’entusiasmo e dell’attivismo del 2008. Cominciamo da questo problema. Bisognerà vedere, per capire meglio, le conseguenze del distacco da Obama come sarà composta la delegazione dell’Afl-Cio, The American Federation of Labor and Congress of industrial Organization, ovvero il maggiore sindacato industriale degli Usa che rappresenta tredici milioni di lavoratori e sessantaquattro sigle. Non hanno gradito la scelta di Charlotte e del North Carolina, perché questo Stato ha adottato una legislazione ‘right-to-work’, quella che rende difficile l’organizzazione sindacale sui posti di lavoro, il reclutamento, il pagamento delle quote sindacali, le elezioni. Lo stadio ‘Bank of America’ da settantamila mila posti dove parlerà Barack Obama giovedì notte è stato costruito da operai che non erano iscritti al sindacato. Afl-Cio, che sostiene di muovere in campagna elettorale quattrocentomila attivisti in favore del candidato democratico e che risulta essere in prima fila nella spesa per supportare la politica dei democratici, ha fatto sapere senza troppi giri di parole di non essere contenta. Le buone notizie sono arrivate invece da una serie di giudici che hanno cassato leggi statali che rendevano più complicato l’esercizio del diritto di voto. In Texas, un collegio di tre giudici federali, ha cancellato una legge approvata poche settimane fa che obbligava la presentazione di un documento di identità munito di foto per poter accedere al seggio.

267 I giudici hanno dato ragione a chi diceva che questo avrebbe leso il diritto al voto degli elettori a basso reddito e delle minoranze, i quali non possiedono documenti di identità (non sono obbligatori negli Usa). Un’altra sconfitta per le leadership del Texas è arrivata, sempre in questi giorni da Washington dove è stata annullata la riconfigurazione dei collegi elettorali dello Stato: è stata considerata discriminatoria nei confronti degli afro americani e degli ispanici. Altre vittorie sullo stesso fronte sono arrivate in Ohio e in Florida, entrambi ‘swing states’, ovvero parti dell’America dove la vittoria si decide per poche migliaia di voti. In Ohio, le autorità statali avevano cancellato la possibilità di votare fino a tre giorni prima della data delle elezioni, una misura che aumenta l’affluenza alle urne garantendo maggiore partecipazione, una fatto che dovrebbe favorire i democratici. In Florida, le leggi statali che sono state cancellate rendevano difficile la registrazione dei potenziali elettori da parte di organizzazioni terze o di singoli, così come c’erano difficoltà a registrarsi se era cambiato l’indirizzo negli ultimi mesi o c’erano stati trasferimenti da una contea all’altra. Varate con la spiegazione che servivano a evitare possibili brogli, sono state cassate perché i giudici hanno accettato la tesi che avrebbero reso difficile l’accesso delle minoranze alle urne. Dunque, Obama è in arrivo a Charlotte con segnali positivi e negativi, mentre i sondaggi danno sempre una differenza lo sfidante repubblicano. La kermesse di Charlotte prevede due interventi forti: la first lady Michelle Obama che parlerà domani e che al contrario del marito in questi anni non ha perduto consenso tra gli americani, ma anzi ne ha guadagnato. E Bill Clinton, l’ex presidente democratico che è riuscito a farsi rieleggere. Non sarà facile per nessuno dei due l’impegno in questa Convention perché entrambi devono riuscire a indicare che Obama merita il voto per restare altri quattro anni alla Casa Bianca, ma non devono assolutamente sovrastare con la loro figura e il loro intervento il presidente.

268 4 SETTEMBRE 2012

Charlotte I democratici aprono stasera a Charlotte la 'tre giorni' che consegnerà a Barack Obama la nomination per cercare la rielezione. Sul tavolo subito la loro carta forse migliore: la moglie Michelle che non chiama quasi mai Mitt Romney per nome e che tenterà ovviamente di tratteggiare un'immagine del presidente del tutto accattivante. La first lady, che in questi anni si è tenuta alquanto alla larga dalle polemiche concentrandosi sulla famiglia e su battaglie quali la lotta alla obesità, dovrà mettere a segno i primi punti per tentare di sbloccare lo stallo elettorale che inchioda la corsa del marito. Per farlo, proverà a parlare al cuore delle donne. Cercherà di far capire che il miliardario mormone non è in sintonia con la 'middle class'. Racconterà il Barack privato, padre, amico, sposo. Le solite cose, insomma. In campo, con lei, un astro nascente della politica democratica, il sindaco di San Antonio, Julian Castro. E' il primo ispanico che pronuncia il discorso principale nella notte inaugurale della convention democratica. Avrà lo stesso compito che svolse decisamente bene Barack Obama nel 2004. Castro ha molti punti in comune con il suo mentore: insieme al fratello gemello Joaquin é stato cresciuto da una madre single, una donna impegnata nella tutela dei diritti degli immigrati di origine messicana, ed è arrivato fino ad Harvard. Incarna in casa democratica il sogno americano in salsa ispanica. A Charlotte l'ex presidente Jimmy Carter stasera si rivolgerà ai delegati in videoconferenza. Non mancherà un omaggio al 'vecchio leone', il senatore Ted Kennedy, morto nel 2009.

269 5 SETTEMBRE 2012

Charlotte, il primo giorno: Michelle all’attacco “Fin dal primo giorno della convention il partito della sinistra ha battuto su giovani, donne e minoranze etniche. Cioè sulle ‘consituency che gli sono più vicine.” Con queste parole, l’inviato del Corriere della Sera Massimo Gaggi fotografa la kermesse democratica di Charlotte nel cui momento inaugurale Michelle Obama ha colpito platea, spettatori e giornalisti col suo intervento nel quale, mai attaccando Romney, ha parlato da first lady e da madre affermando tra l’altro che il coniuge è la persona giusta per perseguire il ‘sogno americano’ avendolo vissuto in prima persona. Nel contorno, in qualche modo soverchiati da Michelle, l’ex speaker della camera Nancy Pelosi ed altri maggiorenti del partito. Particolarmente significativo il lungo spot nel quale si ricordava lo scomparso senatore Ted Kennedy anche perché, in mezzo alle altre immagini, in un relativamente vecchio bianco e nero risalente al 1994 allorquando i due si confrontavano per il posto di senatore del Massachusetts, si vedeva parte del dibattito tv Ted Kennedy/Romney e si ascoltavano le espressioni a favore dell’aborto all’epoca uscite dalla bocca dell’oggi antiabortista mormone. Protagonista assoluto del secondo giorno sarà l’ex presidente Bill Clinton.

270 Denver dice 320 a 218 per Romney La Tampa repubblicana ha chiuso i battenti mentre a Charlotte prosegue la kermesse democratica ed ecco che l’Università di Denver, Colorado, propone una previsione assai difforme rispetto a quelle correnti. I professori Kenneth Bickers e Michael Berry, considerati i mille fattori in campo ma soprattutto, e non poteva essere altrimenti, l’andamento dell’economia, concludono una loro analisi Stato per Stato affermando che degli undici attuali ‘swing States’ (quelli in bilico) Obama ne conquisterà solo due, Iowa e New Mexico, mentre gli altri andranno a Romney che quindi arriverebbe a trecentoventi delegati su cinquecentotrentotto lasciandone al rivale solo duecentodiciotto e strappandogli White House. Inoltre, i due prevedono che i voti popolari a livello nazionale saranno in tal modo ripartiti: cinquantadue e nove per cento a Romney e quarantasette e uno a Obama. Praticamente, si tornerebbe ad un recente passato, con il candidato democratico in grado di prevalere solo in tutti gli Stati sulla costa pacifica (tranne l’Alaska), nelle Hawaii, e negli Stati che si affacciano nel nord del Paese sull’Atlantico (oltre che nei due sopra citati) perdendo in tutti gli altri. L’analisi dei professori dell’Università di Denver è accuratissima, al punto di prevedere perfino la distribuzione dei delegati spettanti al Maine che non segue (come il Nebraska) per l’attribuzione il sistema ‘winner take all’. Ebbene, tre andrebbero ai democratici e uno, specificamente quello del secondo distretto, ai repubblicani. Staremo a vedere ma va segnalata comunque questa ‘prima volta’, inoltre molto netta nei numeri, a favore di Romney.

Obama(a detta di Obama) in economia merita un ‘incomplete’ Se dovesse darsi un voto, Barack Obama in economia non si darebbe la sufficienza. Rispondendo ad una domanda diretta (“Ha ereditato una brutta situazione, ha avuto tre anni e mezzo per aggiustarla, quale voto si darebbe?”) durante un'intervista alla Kktv del Colorado, il presidente ha in effetti detto che si darebbe un ‘incomplete’, il voto che prendono gli studenti che non hanno completato i compiti. “Lo sa che dovrei dire che mi metterei un incompleto”, ha risposto il presidente, “Ma quello che voglio dire è che i passi che abbiamo intrapreso per salvare l'industria automobilistica, per fare in modo che l'università sia accessibile a tutti e per investire in energia pulita, scienza, tecnologia e ricerca, queste sono tutte cose che devono crescere nel lungo termine”. Ovviamente, l’uscita non molto felice di Obama è stata subito sfruttata dai Gop che hanno parlato di una da lui stesso riconosciuta incapacità ad affrontare e risolvere i gravissimi problemi in materia.

271 Perché Hillary Clinton ed Andrew Cuomo non sono a Charlotte? E’ il momento di porsi un paio di domande. La prima è: come mai il segretario di Stato Hillary Clinton ha deciso di tenersi alla larga da Charlotte preferendo andarsene in giro per il mondo anziché appoggiare esplicitamente e personalmente Obama? Come mai, poi, il governatore del New York, non un fringuello qualsiasi, Andrew Cuomo si è a sua volta eclissato? Non vogliono essere troppo coinvolti temendo una sconfitta? Sperano magari e persino che Romney prevalga per avere quattro anni di tempo per proporsi, nuovamente nel caso della signora o per la prima volta in quello del figlio di Mario Cuomo? Certo è che le fila democratiche, pur rappresentando il partito in qualche modo il futuro con le sue aperture su temi a proposito dei quali i Gop sono in retrovia, non possono contare su giovani di belle speranze. Dove sono i futuri antagonistii dei molti repubblicani delle nuove generazioni già fattisi prepotentemente avanti?

272 6 SETTEMBRE 2012

Charlotte, il secondo giorno: il ciclone Bill Clinton “Voglio generali fortunati”, diceva Napoleone e se avesse potuto incontrare ai suoi tempi Bill Clinton lo avrebbe promosso generale sul campo tanto l’uomo è fortunato. E’, per il vero, anche brillante, trascinante nell’eloquio, divertente, in grado di menare come nessun altro il can per l’aia. E’ uscito indenne da scandali sessuali che hanno rovinato politici migliori di lui (Gary Hart, per fare un nome), ha fatto dimenticare i due mesi di bombardamenti ordinati e portati avanti sull’ex Jugoslavia, è vissuto di rendita in economia sulla scia reaganiana… Rappresenta, evidentemente (è uscito dalla Casa Bianca nel gennaio del 2001), la vecchia generazione ma è talmente in palla da essere l’uomo di punta dello spento panorama democratico. Ebbene, eccolo a Charlotte galvanizzare i presenti e gli spettatori tv con un vibrante discorso di cinquanta minuti o poco meno. Obama? Nessuno avrebbe potuto fare meglio di lui nella situazione data, ha affermato e non essendo possibile dimostrare il contrario ha avuto buon gioco davanti alla platea di amici che pendeva dalle sue labbra. La stampa? I media? Lo hanno sempre amato ed anche in questa occasione si sono sperticati in elogi per lui e per le parole pronunciate. Con Michelle, è la stampella alla quale si appoggia il presidente. Basterà?

273 7 SETTEMBRE 2012

Charlotte, il terzo giorno: il discorso di Obama Barack Obama, nell’intervento tanto atteso alla convention democratica ha chiesto agli americani di avere pazienza: la strada della ricostruzione della debole economia è lunga e difficile. Accettando la nomination presidenziale, il capo dello Stato in carica è stato più realista rispetto al suo messaggio del 2008 impostato su “speranza e cambiamento”. In un contesto appesantito da guerre, alto tasso di disoccupazione e stallo politico, Obama ha usato toni più sommessi e meno esuberanti. Ha detto agli americani che sono chiamati a prendere due strade profondamente diverse a seconda che scelgano lui o Romney il prossimo 6 novembre, aggiungendo che la sua strada potrebbe essere dura ma che porterà necessariamente ad un rinnovamento dell'economia. “America, non ho mai detto che questo viaggio sarebbe stato facile e non ve lo prometto ora”, ha aggiunto. “Si, il nostro cammino è più difficile, ma ci porterà in un posto migliore. Si, la nostra strada è più lunga, ma viaggeremo insieme”. Obama spera di ricreare la magia della campagna di quattro anni fa e generare nuovamente entusiasmo tra gli elettori, preoccupati dalla crisi economica. Nel suo discorso, ha sostenuto che le sue misure economiche, come il salvataggio del 2009 dell'industria automobilistica, stanno funzionando e ha chiesto agli americani di appoggiare una serie di obiettivi: l'espansione del settore manifatturiero ed energetico e le esportazioni Usa, il miglioramento dell'istruzione e il taglio di miliardi di dollari dal debito americano. Secondo Obama, tutto quello che vuole fare Romney è premiare la ricchezza con tagli delle tasse, deregolamentando le banche e consentire alle società energetiche una politica di maggiori trivellazioni petrolifere. Ovazioni in sala, come da copione.

274 Una domanda A conclusione delle due convention, una domanda conseguente ad una constatazione possibile a tutti guardando ai due partiti oggi. Come mai in casa Gop i giovani quarantenni o addirittura meno già illustratisi a livello nazionale sono millanta e quelli del partito dell’asino pochissimi? E’ vero, da sempre la situazione è un po’ questa ma oggi la differenza è aumentata. I democratici chi possono contrapporre per il futuro a Paul Ryan, Bob Jindal, Chris Christie, Rob Portman, Susana Martinez e compagnia bella? Il materiale umano conta e non poco nel sistema americano e da questo punto di vista i repubblicani stanno meglio senza dubbio.

275 8 SETTEMBRE 2012

Occupazione, colpo duro per Obama, un commento di Federico Rampini per Repubblica dopo Charlotte “Già ieri sera i commenti dopo il discorso di Obama alla convention di Charlotte erano per lo più tiepidi: discorso serio, dignitoso, in massima parte giusto, eppure senza il fuoco della passione di una volta. Al confronto la star di Charlotte è stato Bill Clinton. Poi stamattina (ore 8.30 sulla East Coast) è arrivato il colpo di grazia con il dato sull’occupazione nel mese di agosto. La creazione di posti di lavoro aggiuntivi (al netto dei licenziamenti) è stata di soli novantaseimila posti cioè inferiore alle attese (centoventimila) ma soprattutto molto inferiore ai bisogni. Per riassorbire in tempi rapidi la disoccupazione creata dalla crisi, più le nuove leve che si affacciano sul mercato del lavoro, gli Stati Uniti avrebbero bisogno di creare almeno duecentomila posti in più al mese. Il fatto che si sia ridotto il tasso di disoccupazione, dall’otto e tre per cento all’otto e uno, non rassicura affatto: almeno in parte è dovuto al fenomeno dei disoccupati scoraggiati, che cessano di cercarsi un posto. I repubblicani ovviamente stamane hanno fatto la grancassa a questi dati”.

276 PARTE QUARTA

277 LA SFIDA FINALE

9 SETTEMBRE 2012

I giochi sono tuttora aperti Mancano meno di sessanta giorni al voto del 6 novembre. Chiuse le due - spettacolari e costruite per lo spettacolo secondo rigidissimi copioni - kermesse che ben poco, nella sostanza, hanno significato, il presidente in carica e lo sfidante oramai ufficiale sono pronti al confronto finale. Tutti gli osservatori, tutti i sondaggi (anche quelli ‘pilotati’ dall’uno o dall’altro fronte) concordano nel dire che la situazione è di parità e che i giochi si svolgeranno negli Stati tuttora incerti (swing). Gli sforzi, quindi, delle due macchine organizzative, gli interventi pubblicitari, le visite di Obama o di Biden, di Romney o di Ryan, si concentreranno sulla Florida piuttosto che sull’Ohio, sull’Iowa piuttosto che sul Nevada e via elencando (sono undici i ‘tossup States’, quelli per i quali le rilevazioni per le intenzioni di voto dicono che non v’è certezza quanto all’assegnazione). Inutile, ovviamente, per i democratici tentare oggi, per fare un esempio, di strappare il Texas a Romney, altrettanto inutile un eventuale tentativo repubblicano di togliere il New York ad Obama. Speriamo che per il tempo che manca ci si concentri sui programmi tralasciando presunti scandali. Certo è che i media, interessati agli scoop al punto di inventarsene o cavalcarne almeno uno al giorno, non danno, come sempre, nessun serio contributo in tale direzione.

278 Quattro i dibattiti televisivi in programma E’ a partire dalla tornata elettorale del 1960 che i dibattiti televisivi tra i candidati alla Casa Bianca hanno preso il via: il primo fu, ovviamente visto il citato anno, Kennedy/Nixon. Oggi, dopo che per qualche tempo e in particolare negli anni Settanta hanno avuto un minore significato e sono stati meno seguiti, pare siano tornati in auge anche se non incidono affatto, come è ampiamente dimostrato, sui risultati elettorali. Comunque, quattro (tre tra Obama e Romney, uno tra Biden e Ryan) sono i confronti concordati in questo 2012 tra i due schieramenti. Si comincerà il 3 ottobre (tutte le sfide sono programmate in questo mese) a Denver, Colorado. Poi, l’11, a Denville, Kentucky, alla ribalta saranno i due vice. Ancora, presidente e pretendente il 16, a Hempstead, New York. Infine, il 22, a Boca Raton, Florida.

279 10 SETTEMBRE 2012

Documenti

Altro che l’economia: determinante l’assenza o la presenza di Dio nei due programmi? “L’economia, decisiva sarà l’economia”. “Se i dati relativi all’occupazione non migliorano Obama è fuori”. “Gli americani votano guardando al portafoglio”… E via dicendo e scrivendo sul tema da parte dei media e degli osservatori da quando la lunga campagna elettorale americana 2012 ha preso il via. Tanto che è di queste faccende che si è in particolare discusso anche durante le primarie repubblicane. Tanto che alla fine Mitt Romney è riuscito a prevalere in quell’ambito forse soprattutto per la fama di uomo capace di trattare con grande successo i temi economici che si porta dietro. Ora, è vero, il mondo intero – non solo, quindi, gli Stati Uniti - cerca di vivere il meglio possibile, ma, a ben guardare, non poca importanza hanno avuto, hanno e, credo e spero, avranno sempre, specificamente a proposito della scelta del presidente americano, altri argomenti in qualche modo maggiormente significativi. Mi riferisco alle idee, alle ideologie, naturalmente, ed in più alle questioni morali, alla religione. E, trattando in particolare di quest’ultima e dell’influenza che ha avuto fin dalle origini sulla vita politica e sul ‘sistema’ americano, come non ricordare che, per esempio, se si vota di martedì è perché “la domenica non è possibile farlo in quanto giorno riservato al Signore ed occorre poi lasciare il tempo, il lunedì, agli elettori perché raggiungano i seggi per esprimere il voto”? Che, altro esempio, si decise che “si vota il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre” e non semplicemente il primo martedì di quel mese per impedire che si sia chiamati alle urne il giorno di Ognissanti? E ancora, che al momento dell’insediamento del nuovo inquilino di White House a nessuno è mai venuto in mente, pur essendo ciò consentito dalla Carta costituzionale, di “impegnare il proprio onore” e non di giurare, come è sempre accaduto, sulla Sacra Bibbia? Ebbene, pare, sembra, può darsi che questa consuetudine, questa unione politico/religiosa che mai, peraltro, ha portato le diverse Chiese americane a cercare di imporre attraverso uno o più movimenti partitici ad hoc creati le proprie idee e ragioni stia, se così si può dire, per tramontare. Si tratta pur sempre di un comizio elettorale e l’animus pugnandi è in quest’ambito prevalente, ma la recente sottolineatura in Virginia da parte del candidato repubblicano Mitt Romney di un determinato fatto, mettendo in luce, sotto i riflettori, una verità ai più sfuggita, è importantissima e conferma una profonda differenziazione tra i due partiti dominanti.

280 Dal programma (platform) dei democratici approvato a Charlotte nel corso della loro convention – ecco quanto ha ricordato ai presenti e all’America tutta il rivale del presidente in carica - è sparito qualsiasi riferimento a Dio, di contro ogni volta presente in passato ed anche nel 2008, allorquando candidarono l’attuale inquilino di White House Barack Obama. Ove si rammentino le assolutamente contrastanti opinioni in materia di aborto – che larghissima parte dei repubblicani vieterebbe in modo categorico nel mentre una buona fetta dei rivali lo ammetterebbe, starei per dire, sempre - in ragione delle quali come già nel recente passato gli evangelici e molte altre Chiese protestanti si sono posizionate sul fronte conservatore… Ove si tengano in considerazione anche le fortissime resistenze repubblicane al riconoscimento del matrimonio tra gay e ad altre cosiddette ‘aperture’ nei loro confronti… Ove si veda il quadro complessivo, come non capire lo schierarsi al fianco del Grand Old Party (come viene denominato il partito di Romney) perfino della Chiesa cattolica statunitense? Non che ciò sia accaduto ufficialmente, ma è a Tampa, alla kermesse repubblicana, che si è affacciato personalmente il cardinale di New York e presidente della Conferenza Episcopale USA Timothy Dolan per impartire la sua benedizione. E per capire quanto rivoluzionario sia questo momento: fin dai tempi dei tempi i cattolici sono stati in larga maggioranza democratici tanto che mai uno di loro è stato scelto come candidato a White House dal Gop nel mentre in ben tre occasioni (Alfred Smith, John Kennedy e John Kerry) ciò è accaduto in casa dei rivali. A ribadire questa nuovissima unione di intenti - oltre che, ovviamente, a solidificare lo strettissimo rapporto esistente tra larga parte dei protestanti conservatori e il Gop - ecco, ancora nel precitato comizio in Virginia, Romney gridare alla folla: “Io non toglierò mai Dio dal nostro programma. Non toglierò Dio dal mio cuore. Noi siamo una nazione nobilitata da Dio… Noi, popolo americano, abbiamo ricevuto i nostri diritti non dal governo ma da Dio stesso!”

N.B. E’ l’avvicinamento tra cattolici e repubblicani uno dei tanti, continui cambiamenti della società e per conseguenza della politica americana. Si pensi ai neri, liberati dalla schiavitù dai repubblicani, con loro fino a Franklin Delano Roosevelt e al suo New Deal che ritennero a loro vicino e poi traghettati tra i democratici con la ‘Nuova società’ e le grandi riforme interne di Lyndon Johnson. Si pensi al fatto che per lunghissimi decenni nella comune percezione rinnovatori erano i repubblicani e conservatori i democratici ed oggi è il contrario. Si pensi al fatto che dalla Guerra di Secessione fino addirittura agli anni Cinquanta/Sessanta del Novecento il Nord del Paese in quanto progressista era praticamente tutto repubblicano mentre il Sud democratico era per esempio graniticamente segregazionista.

281 Oggi è l’esatto contrario almeno per quanto riguarda la geopolitica considerando che il Gop prevale largamente proprio al Sud (oltre che nel Midwest) e i democratici nel Nord (oltre che negli Stati sul Pacifico, Alaska esclusa) in particolare sulla costa atlantica. La Storia si muove, occorre ricordarlo!

282 Nuovi quattrini e nuovi sondaggi Barack Obama sembra mantenere la guida della corsa alla rielezione e la novità delle ultime ore é che il presidente uscente e i democratici, nel mese di agosto, sono riusciti a raccogliere oltre centoquattordici milioni di dollari in finanziamenti battendo Mitt Romney per la prima volta negli ultimi mesi (ad agosto, il candidato del Gop si é fermato a centoundici milioni di dollari). Intanto, secondo un sondaggio Reuters/Ipsos reso noto domenica 9 settembre, il presidente uscente mantiene la spinta di popolarità conquistata con la convention Democratica: su millequattrocentodiciannove probabili elettori intervistati on-line nei precedenti quattro giorni, il quarantasette per cento ha detto che avrebbe votato Obama, il quarantatre Romney.

283 11 SETTEMBRE 2012

C’è chi ‘rimbalza’ e chi no: giorni difficili per Mitt Romney Quasi sempre, quasi sempre, terminata una convention, il candidato del partito che l’ha indetta ha un beneficio nelle intenzioni di voto e tale beneficio viene immediatamente esplicitato dai sondaggi. Ebbene, particolare che deve preoccupare Romney e i repubblicani, dopo Tampa il ‘rimbalzo’ (come viene gergalmente indicato il fenomeno) Gop è stato minimo mentre dopo Charlotte Obama e i democratici vengono dichiarati in grande spolvero. E questo nel momento in cui i dati economici e relativi all’occupazione sono negativi, la qual cosa dovrebbe danneggiare il presidente in carica. Qualcuno nell’entourage del mormone crederà sia ora di modificare almeno parte del programma (già Romney ha rettificato le proprie posizioni sull’Obamacare). Penso che non ci sia scelta peggiore: un signore, un partito che cambiano spesso opinione, a seconda del vento e di come tira, non danno vero affidamento e possono essere assai facilmente attaccati dai rivali.

284 Come e perché si trucca un sondaggio elettorale In America per poter votare è necessario iscriversi alle liste elettorali. Nel farlo, la maggior parte (non è un obbligo) delle persone dichiara la propria vicinanza all’uno o all’altro partito, la qual cosa consentirà poi agli elettori ufficialmente schierati di partecipare alle primarie ‘chiuse’ (quelle, appunto, alle quali gli indipendenti e i simpatizzanti di altri movimenti non sono ammessi) che sono maggiormente in uso nella fase che conduce alla scelta del candidato a White House. Ora, un istituto di rilevazioni sulle intenzioni di voto che intenda per qualsiasi ragione (vicinanza ideale o politica, quattrini…) condizionare i risultati dichiarando un non esistente vantaggio dell’uno o dell’altro candidato riesce a farlo tranquillamente utilizzando appunto le predette liste elettorali. Facciamo un’ipotesi che, ahimè, si rifà a molti casi specifici. Il sondaggio ‘deve’ dimostrare che il signor XY, un democratico, è nettamente in vantaggio nelle intenzioni di voto, che so?, in Pennsylvania? Facilissimo: si includono nell’elenco delle persone da intervistare via telefono un numero maggiore di democratici e, di contro ovviamente, un numero minore di repubblicani e l’esito è sicuro. La domanda a questo punto è, perché lo si fa? Semplice: per scoraggiare non tanto il partito avverso (che ha i suoi dati e sa come vanno le cose) quanto gli elettori della controparte. Se arrivassero questi alla conclusione che la battaglia sia persa potrebbero restarsene a casa e non votare a tutto vantaggio dei rivali.

Non parliamo, poi, dell’uso scorretto che si fa nel giorno elettorale degli exit polls. A seconda della loro collocazione geografica, gli Stati hanno differenti fusi orari e pertanto quelli sulla costa atlantica aprono e chiudono i seggi prima degli altri e di ore ed ore (si pensi alle lontanissime Hawaii) man mano che si va ad ovest. Se - è successo e succederà – se un istituto, dopo la chiusura delle urne degli Stati atlantici dichiarasse che dai suoi exit polls il candidato XY ha già vinto tale affermazione potrebbe indurre gli elettori dell’altro candidato a non recarsi ai seggi. per esempio negli Stati sul Pacifico, ritenendo a quel punto inutile il loro voto.

285 12 SETTEMBRE 2012

L’uccisione dell’ambasciatore USA in Libia e i moti anti americani nei Paesi arabi

“E’ indegno che la prima reazione dell’Amministrazione Obama sia stata non di condannare l’attacco ma di simpatizzare con gli aggressori”. Queste le parole con le quali l’entourage repubblicano ha reagito al comunicato emesso dalla Casa Bianca dopo il feroce assalto dell’11 settembre alla sede diplomatica USA a Bengasi, Libia, costato la vita all’ambasciatore americano nel Paese arabo Christopher Stevens e a tre suoi concittadini. Secca e dura la replica democratica. Il tutto, a seguito della circa lozione su internet del trailer del film di produzione USA ‘L’innocenza dei mussulmani’ che gli islamici considerano blasfemo. Torna alla mente l’Iran del 1979, la lunga prigionia degli americani catturati all’ambasciata di Teheran, l’incertezza del presidente Carter, il fallimento delle trattative e dell’azione militare intrapresa per liberarli, l’influsso negativo per il partito dell’asino che ebbero tali accadimenti sulle elezioni del seguente 1980. E’ vero, quella oramai lontana vicenda fu di lunghissima durata e non pare che oggi ci si trovi in una situazione analoga, ma l’America è stata colpita gravemente. Sarà importante vedere come reagirà Obama e con quali risultati. E infine, i moti anti USA in atto per il medesimo motivo anche in Egitto saranno contenuti?

286 Come voterebbero gli europei solo il trentotto per cento dei quali ha una vaga idea di chi sia Romney? Gli europei – solo un misero trentotto per cento dei quali sa dire vagamente chi è Romney - se dovessero eleggere il presidente americano sceglierebbero senz’altro Obama. L'annuale sondaggio condotto dal fondo per il piano Marshall in Germania, segnala un settantacinque per cento di preferenze per Obama contro solo l'otto per il suo sfidante repubblicano. I maggiori e convinti sostenitori del presidente americano sono i francesi (ottantanove per cento) e i tedeschi (ottantasette), mentre l'Europa orientale é critica: solo il quaranta per cento dei bulgari e il trentacinque dei polacchi voterebbe per Obama. In Italia il settantatre per cento voterebbe per Obama e solo il nove per Romney.

Praticamente le stesse percentuali – preferenze repubblicane comprese dei Paesi una volta d’oltrecortina - rilevate sia nel 2004 (a favore di Kerry e contro G.W.Bush) che nel 2008 (pro Obama e anti McCain). Dopo di che, votando, come è ovvio, non gli europei ma gli americani, nella prima occasione vinse invece alla grande il secondo Bush.

I bookmaker, gli scommettitori a le elezioni USA 2012 A primarie repubblicane appena cominciate, la quota decisa dai bookmaker relativamente alla possibile conquista della Casa Bianca da parte di Mitt Romney era di sette e mezzo contro uno. Oggi, dopo Tampa e Charlotte, la medesima quota è di due e cinquantatre sempre contro uno. Quel che è importante sottolineare non è tanto il vistoso ma comprensibile (è il candidato ufficiale Gop e gli altri sono fuori gioco) calo quanto il fatto che larghissima parte degli scommettitori lo preferisca. Obama resta comunque il favorito anche qui ma il suo vantaggio va decisamente calando.

Elettori sposati e non sposati (‘marriage gap’) Sondaggi di ogni tipo, naturalmente e, secondo uno di questi tra le ‘chiavi’ delle prossime elezioni presidenziali ci sarà il ’marriage gap’. Solitamente, si deve sapere, le persone sposate votano per i repubblicani. E' quasi impossibile che il presidente Barack Obama possa competere con Mitt Romney da questo punto di vista, ma accorciare il divario sarà fondamentale, come lo è stato per Bill Clinton nel 1996 (meno due per cento) e per lo stesso Obama quattro anni fa (meno dodici contro John McCain). Secondo un'analisi Gallup, portata avanti da giugno, Obama è in svantaggio di quindici punti. 287 Il cinquantaquattro per cento delle persone sposate - in gran parte bianche, religiose, over trenta e con un reddito superiore ai cinquemila dollari al mese - sostiene il candidato repubblicano, mentre il trentanove sceglie il presidente in carica. Tra gli americani non sposati, invece, Obama gode del cinquantasei per cento delle preferenze, contro il trentacinque riservato al rivale.

La disinformazione giornalistica ai danni del Gop e di Mitt Romney Larga parte della stampa e dei media in genere, in Italia ma non solo (il male è diffuso), tifa spudoratamente per Obama e mal digerirebbe una vittoria di Mitt Romney. E’ una ripetizione per molti versi di quanto ogni quadriennio da almeno cinquantadue anni – dalla campagna Kennedy/Nixon del 1960 – accade: il democratico, infatti, è ritenuto genericamente ‘di sinistra’ da una pletora di giornalisti che in quella collocazione politica trovano modo di sbarcare il lunario e, sostenendosi l’un l’altro in quanto ‘compagni’, di mettere insieme pranzo e cena. Di contro, ovviamente, il repubblicano, chiunque sia, è considerato ‘di destra’, e va bene, nemico in sostanza della democrazia, guerrafondaio. Il fatto che, a parte l’essere destrorso, le restanti attribuzioni storicamente siano falsissime non conta: hanno deciso e la verità (per esempio, che in tutte le guerre del Novecento, quella del Golfo esclusa - ma era sotto l’egida dell’ONU – gli Stati Uniti sono entrati in stato di belligeranza nel mentre alla Casa Bianca sedeva un democratico) non conta, se e quando sia da pochissimi tra costoro, per il solito dotati di una granitica ignoranza, conosciuta. Ecco, pertanto, che quel che si legge riguardo ai repubblicani e nel caso a Romney sui quotidiani e soprattutto quel che viene sparato sul web in corso di campagna elettorale è quasi in ogni occasione qualcosa di terribilmente negativo. Pare, a leggere il Corriere della Sera, Repubblica e compagnia cantante, a scorrere le differenti fonti internettiane, che il Gop intero sia formato da persone facili alle gaffe, senza dubbio poco intelligenti, contrarie alla povera gente, sempre in procinto di mettere mano alle armi, anche fisicamente non gradevoli, eccetera… Pare, al contrario, ancora appellandosi a queste onestissime fonti, che i democratici e Obama siano prima di tutto belli, buoni, generosi, desiderosi di pace, aperti alle istanze, in una sola espressione ‘politicamente corretti’, il massimo della vita. Ora, in tal modo forzatamente, anche contro la verità, operando, capita di prendere di quando in quando un granchio. Subito, qualche repubblicano interviene a denunciare il travisamento o la forzatura di quanto vergato o detto dai media filo democratici. Inutilmente: la smentita non viene presa in considerazione alcuna o, se va bene, viene seppellita in una pagina interna sotto un titolo anonimo o fuorviante o riferita in coda a giornali radio e tg. Non posso assicurare che allo stesso modo non si comporterebbero i Gop e la destra in genere se controllassero i media come fa la sinistra, la controprova è impossibile.

288 Gene Hackman nei panni di Romney Da qualche tornata elettorale, tra le mille domande che vengono fatte ai due candidati a White House, anche questa: “Dovessero fare un film su di lei, chi potrebbe impersonarla al meglio?” Quattro anno fa, Obama aveva risposto “Will Smith”. Ieri, Romney ha replicato “Gene Hackman”, aggiungendo che nel ruolo della moglie Ann vedrebbe bene Michelle Pfeiffer.

289 16 SETTEMBE 2012

Documenti

Alle ‘anime belle’ Romney non piace, un articolo di MdPR “Questo Romney non mi piace per niente e poi infila una gaffe dietro l’altra…” Nel dirmi queste poche parole, la Signora XY ha un’aria imbarazzata. La imbarazza la per lei evidente ‘rozzezza’ del candidato repubblicano, quel suo essere irrimediabilmente ‘di destra’ e per conseguenza, ovviamente, poco presentabile. “Ma, insomma”, pensa di certo e lascia capire, ”queste arretratezze culturali, questa dura opposizione all’aborto libero, questo agitarsi contro il matrimonio e le altre aperture nei confronti dei gay, questo amor di patria continuamente sbandierato, questo duro approccio economico, il voler sostenere ad ogni costo un’idea di America tanto superata… E quel parlare di Dio… E la difesa della famiglia… Troppo, troppo davvero”. “E poi”, sicuramente, dentro di sé, concludendo con una quasi impercettibile smorfia di disgusto, “è ricco: tutti quei soldi”.

La Signora - una buona amica da anni - appartiene (e non so quanto consapevolmente) a quella sinistra abbiente, decisamente molto molto chic, che certamente si distingue dai mille e mille ignorantissimi e beceri ‘sinistri’ che ben conosciamo, ma che, alla fine, si schiera dalla loro stessa parte. Il classico prodotto della commistione tra i vecchi democristiani non conservatori, i comunisti ‘all’italiana’ e tutta un’infinita varietà di movimentucoli (spessissimo, per il vero, in altri tempi, usi ad imporsi con la violenza) portatori di istanze la cui comune caratteristica è, deve essere oggi, infine, il ‘politically correct’. Tante e care ‘anime belle’.

I suoi amici – non che lei li conosca necessariamente di persona: quelli che la pensano allo stesso modo – imperversano nei media ovviamente ‘radical chic’. Sono firme, volti o voci di riferimento la cui principale caratteristica, insopportabile, è quella di non dichiararsi. Parlano, giudicano, alzano il ditino ammonitore contro quegli zoticoni dei repubblicani ma lo fanno fingendo una inesistente imparzialità che dona loro, nei confronti dei lettori per la grandissima parte non avvertiti, autorevolezza. Nulla, in verità ed è dimostrabilissimo, sanno della lunga storia dei partiti USA oggi dominanti, nulla sanno delle primarie ideologie e delle mutazioni, delle idee, dei continui movimenti in ragione dei quali le posizioni politiche e geopolitiche dei democratici come dei repubblicani hanno subito e subiscono anche sostanziali variazioni.

290 E se per caso qualcosa che contrasti con le loro odierne determinazioni (in pochissimi) ricordano, provvedono a cancellarla: un non imposto e gradito processo di rimozione bello e buono.

Ora, a quali concreti risultati conduce tutto questo pensare, agitarsi, parlare, scrivere? Forse che l’elettore americano di fede repubblicana tiene in qualche modo conto dei dubbi della gentilissima Signora XY, delle prese di posizione dell’autorevole firma di un qualche giornale o del conosciuto volto di uno dei mille canali tv italiani, europei o, addirittura, USA stessi? Forse che il Gop o Mitt Romney, bacchettati sulle dita dai maestrini della sinistra chic, cambiano idee e atteggiamenti?

L’intento, il fine vero ed ultimo del candidato e del suo ‘running mate’ Paul Ryan è quello di compattare le fila repubblicane, di ottenere che tutte le componenti del partito, da quelle maggiormente centriste (una definizione che individua posizioni politiche particolari: un centrista italiano è tutt’altra cosa e si pensi a Casini) a quelle radicali di destra, dai libertari alla Ron Paul agli indispensabili (se mancano i loro voti il Gop perde e basta) evangelici e ai Tea Party il prossimo 6 novembre si rechino in massa alle urne.

E’ una chiamata, quella di Romney, uguale a quella del 2004, allorquando tutto il mondo voleva e si muoveva per la defenestrazione dell’impresentabile e vituperato George Walker Bush e l’avvento del ‘salvatore’ John Kerry. Allorquando i sondaggi (come oggi dicono per Obama) davano lo sfidante in testa. Allorquando l’attacco dei democratici fu respinto alla grande nei seggi dal voto popolare.

E’ vero, nei trascorsi otto anni molta acqua è passata sotto i ponti e, a quel che pare, larga parte dei nuovi e tanti elettori non Wasp (white, anglosaxon, protestant) si schiererà a favore di Obama. E’ vero, molti degli Stati da lunghi decenni abitualmente ‘red’ (quelli democratici vengono definiti ‘blue’) hanno visto l’arrivo di nuovi residenti (come dimostrato dal censimento nazionale del 2010), probabilmente, proprio in quanto non acclimatati, pronti ad esprimersi, se andranno alle urne, per il presidente in carica. E’ vero, tutto questo e un particolare ‘clima’ che si va da almeno un decennio instaurando mi fa dire che se il partito repubblicano non tornerà ad essere quello che originariamente era si troverà a lungo in difficoltà.

E’ quindi vero, Obama ha la concreta possibilità di conquistare un secondo mandato ma non certamente per i raccapricci della Signora XY, per l’agitarsi dell’analista o del commentatore di questo o quel media.

291 Non certamente perché Romney o Ryan abbiano commesso quelle che i radical chic considerano gravissime gaffe e che invece gli elettori – contano loro, ricordiamocelo – specie se Gop, non tengono in nessun cale o addirittura apprezzano!

292 Obama teme che gli elettori di fronte all’attuale esplosione anti USA dubitino del suo operato ai tempi della ‘primavera araba’ In un giorno che sembra essersi aperto in relativa calma, almeno rispetto alle giornate precedenti nel corso delle quali si sono susseguiti attacchi a varie ambasciate occidentali in quasi tutto il mondo islamico, gli USA hanno deciso di premunirsi e di chiedere agli ambasciatori di Tunisia e Sudan, i due stati più colpiti dalle manifestazioni contro il film ‘ Innocence of Muslims’ , di lasciare il posto di lavoro e tornare a casa. Gli stessi cittadini americani presenti in Tunisia sono stati invitati ad andarsene salendo sul primo aereo disponibile. Cerca quindi di mettersi in sicurezza Barack Obama, il quale ha fatto sapere alla stampa che reputa questa in corso la più grave e problematica questione di politica estera occorsa durante la sua amministrazione. Soprattutto, il presidente ha detto di temere che lo scoppio di queste rivolte renda dubbiosi i cittadini americani su quanto da lui fatto per sostenere le rivoluzioni della cosiddetta primavera araba.

293 16 SETTEMBRE 2012

Documento

Diamo voce ai complottisti: ‘Come distruggere Barack Obama con la nuova Guerra Santa’, un fantasticoarticolo di Angelo D’addesio 15 settembre 2012 Vogliamo veramente credere che un film, per quanto provocatorio e demenziale sull’Islam e sulla vita di Maometto, basti per scatenare tutto questo putiferio anti-Usa improvvisamente in Libia, in Egitto, in Tunisia, in Yemen ovvero in tutti quei paesi che gli Usa stessi hanno aiutato nella loro inutile primavera? Come non vederci un piano ben preciso a meno di due mesi dalle elezioni per liquidare Barack Obama? Da quanto tempo si parla di Obama come di un novello Carter, invischiato in una pesante recessione economica, nella pesante crisi iraniana, nell’uomo della pace che negli Usa equivale a fallito, perdente, pavido, incapace di affrontare le crisi? E non fu forse Carter a perdere con uno dei candidati repubblicani più improponibili (alla fine poi non fu così), attore di secondo piano, tal Ronald Reagan? Non è normale che ambasciate e consolati americani siano stati assaltati in modo così duro, con l’ingresso di persone oltre i cancelli, una vera e propria invasione e che in tutto questo marasma non ci sia stata una difesa anche dura dei marines che in altre circostanze non hanno rinunciato a sparare, rischiando anche di uccidere molti civili, non ci sia stato alcun avvertimento ed alcuna previsione da parte della CIA o dei servizi segreti e soprattutto ci sia stata l’accondiscendenza o l’assoluta inerzia di stati alleati come Giordania, Arabia Saudita, Israele ed altri. Sì, direte voi, questa è la teoria del perfetto complottista, tipica di chi pensa che l’attacco alle Torri Gemelle sia stato organizzato in casa, che in fondo Guantanamo è soltanto la normalità di quello che accadde nelle prigioni speciali americane, però nessuno riesce a spiegarsi il motivo di queste coincidenze e per giunta, con un alto funzionario massacrato per la strada e tre morti sulla coscienza, ovvero uno scenario di Usa sotto attacco, che invece che a una sospensione della campagna elettorale, Mitt Romney abbia pensato bene di cogliere la palla al balzo per dire al mondo che Obama è impotente ed impaurito. Quanto alla ‘primavera araba’, quello è uno sbaglio tutto targato Obama: appoggiare i ragazzini senza sapere che dietro quelli si nascondevano i paladini della Guerra Santa, tutto pseudo-terroristi anti-americani (e poco conta che si chiamino Fratelli Musulmani, Hezbollah o Al Qaeda). La verità è che ormai in tutti i Paesi dove è caduto un dittatore si prepara una repubblica islamica perfino peggiore di quella iraniana, con la Sharia, la caccia al nucleare, la guerra agli Usa. E quale migliore candidato di Mitt Romney, un uomo che non ci penserebbe due volte a lanciarsi contro Iran e Siria e riprendere la guerra a tutto campo, una guerra

294 che fortifica la Grande Nazione Islamica (il sogno di tutti i paesi dell’Islam radicale) e la renderebbe vittima arricchendola di denari e proseliti. A questo punto bisogna chiedersi per chi voteranno gli alti gradi militari USA, quelli dei servizi segreti, la lobby israeliana ed ebraica, l’Islam moderato impaurito dell’escalation di quello radicale, la grande industria che nella guerra troverebbe la manna dal cielo e tutta quell’America orgogliosa che si è vista attaccare di nuovo, in piena crisi economica, e ben presto sognerà il riscatto? Semplice, no. Sono tutti d’accordo.

295 Inquietudini settembrine e prospettive Gop Nel mentre gli insegnanti a Chicago scioperano e le proteste dei cosiddetti ‘indignati’ e di ‘occupy Wall Street’ pungono a giorni alterni… nel mentre nei Paesi arabi le sedi diplomatiche USA sono spesso sotto assedio e in qualche caso devono essere evacuate… nel mentre Obama pare abbia deciso di inviare i marines per rinforzare le difese di ambasciate e consolati sotto minaccia… nel mentre perfino la flotta entra in fibrillazione per non parlare dei droni messi in pista di decollo… nel mentre i sondaggi nazionali danno (Rasmussen escluso: oggi 17 settembre concede due punti percentuali di margine al mormone) in vantaggio il presidente… nel mentre gli sforzi dei due contrapposti fronti si concentrano sui ‘swing States’… ecco che Romney apre improvvisamente agli ispanici e in un discorso loro rivolto dice “Siete il nostro futuro”. Bene, ma fossi in lui, mi concentrerei su tre temi soltanto. Primo: il fattore religioso accusando i democratici di essersi allontanati da Dio eccetera. Secondo: il fattore economico: Obama in quattro anni non ha cavato un ragno dal buco in questo importantissimo campo e perché mai ci si deve attendere che faccia meglio in futuro? Terzo: il fattore politica estera dell’amministrazione riguardo ai Paesi islamici. Obama e i suoi hanno appoggiato a pieno regime i moti della cosiddetta ‘primavera araba’ non comprendendo affatto quali ne sarebbero stati gli sbocchi. Un errore tragico che butterà (già i fuochi si vanno accendendo) tutti i territori che le anime belle considerano ‘liberati’ in braccio all’estremismo islamico. Dilettanti allo sbaraglio!!!!

296 18 SETTEMBRE 2012

Documenti

Nuovo video imbarazza Romney: “Chi sta con Obama non paga le tasse”, un articolo di Angela Geraci per il Corriere della Sera In un filmato ‘rubato’ le frasi choc del candidato repubblicano. “Il quarantasette per cento degli americani si sente vittima: non mi preoccupo di loro” Hanno una “mentalità da vittime” e “non pagano le tasse”.

Un nuovo video rischia di creare non poco imbarazzo al candidato repubblicano Mitt Romney. Lo pubblica la rivista ‘Mother Jones’ ed è stato girato all’insaputa di Romney nel corso di una raccolta fondi alla quale la stampa non era ammessa.

Le frasi incriminate “C’è un quarantasette per cento di americani che sono con Obama”: sono persone che “dipendono dal governo, che ritengono di essere vittime, che credono che il governo debba occuparsi di loro, pensano che sia un diritto accedere alla copertura sanitaria e a tutto quello che vogliono”. A questo si aggiunge il fatto che “non pagano le tasse”. Questi americani “io non li convincerò mai della necessità di assumersi le proprie responsabilità” dice Romney nel video.

La replica dei democratici Immediata la replica della campagna di Obama. “È scioccante che un candidato dica a porte chiuse, a un gruppo di ricchi donatori, che la metà degli americani sono vittime”.

Lo staff di Romney, che non ha smentito l’autenticità del filmato, si è affrettato a chiarire le intenzioni dietro le parole del candidato. “Mitt Romney vuole aiutare tutti gli americani messi in ginocchio dalla politica economica di Obama. Ed è fortemente preoccupato per il numero crescente di cittadini che dipendono dagli aiuti del governo”. Spiegazioni che non sono riuscite a scalfire la durezza delle frasi pronunciate dal candidato: secondo alcuni, sono le parole che potrebbero definitivamente costare a Romney le elezioni.

I titoli e Twitter Il sito ‘Mother Jones’, cliccatissimo in queste ore, infierisce titolando a piena pagina: “Romney il miliardario dice ai suoi simili cosa realmente pensa degli elettori di Obama”. Ma in poco tempo la notizia è balzata in testa a ogni sito web dei media americani.

297 Le altre gaffe Il video di lunedì (diffuso quando in Italia era notte) non è il primo passo falso dello sfidante di Obama. La corsa alla Casa Bianca di Mitt Romney finora è stata infatti costellata di frasi infelici e mosse poco ponderate. Questa volta le polemiche generate dal video rischiano però di lasciare un segno più pesante: fra meno di due mesi, il 6 novembre, gli americani dovranno scegliere il loro presidente. Anche le vittime di cui Romney dice di non volersi occupare.

298 Bob Woodward contro Obama Le gaffe di Romney? Certo, ma Obama non se la passa meglio e mentre un uomo viene inquadrato intento a fare la pipi alle sue spalle, mentre gli capita di discutere e litigare col primo ministro israeliano Netanyahu a proposito dell’Iran nucleare, gli tocca incassare un giudizio sostanzialmente negativo sul suo lavoro ad opera di Bob Woodward. Il celebre giornalista, a suo tempo coautore della famosissima inchiesta sul ‘Watergate’ che produsse le dimissioni di Richard Nixon, in un libro appena uscito(‘The Price of Politics’), giudica poco favorevolmente il presidente in carica. Ecco, in sintesi e prendendo dal testo una sua frase, cosa ne pensa: “E' vero che Barack Obama ha avuto in eredità una situazione economica disastrosa, ed è vero che ha dovuto affrontare una forte opposizione dei repubblicani, ma è anche vero che ogni presidente deve trovare una soluzione ai problemi della nazione. Obama non l'ha ancora fatto”.

“La promessa repubblicana di ridurre le tasse non interessa chi non le paga” In campagna elettorale si può dire la verità? Sarebbe da definire gaffe (come strepita, agitandosi molto, la stampa sinistrorsa) la dichiarazione esplicita di Mitt Romney che negli USA a quella parte di elettorato che vive di parassitismo e di assistenzialismo è inutile si rivolga un candidato repubblicano? A ribadire il proprio pensiero in merito, Mitt Romney ha ieri dichiarato: “La promessa repubblicana di ridurre le tasse non interessa chi non le paga”. Esiste una differenza antropologica tra veri repubblicani e veri democratici in particolare da questo specifico punto di vista.

Cosa ha veramente detto Mitt Romney Ecco quanto effettivamente detto da Mitt Romney nel famigerato video, ‘pirata’ in quanto le riprese non erano autorizzate, che giorni fa ha suscitato, per come raccontato dai media ostili (quasi tutti), grande scandalo: “C’e un quarantasette per cento di americani che voterà per Obama in ogni caso. Gente che dipende dal governo, che crede che il governo abbia il dovere di pensare a loro, che crede di avere diritto all’assistenza sanitaria, al cibo, alla casa, a quello che volete. Non è mio compito preoccuparmi di loro. Non li convincerei mai del fatto che dovrebbero prendersi le loro responsabilità personali, prendersi cura delle proprie vite. E’ il messaggio che continuo a diffondere: l’approccio di Obama piace a quelli che non pagano le tasse e la mia intenzione di abbassarle a loro non interessa”.

299 Come è possibile, se non per assoluta malafede, non comprendere che il mormone nell’occasione altro non faceva che raffigurare con precisione il quadro e i limiti dentro i quali si svolge e si svolgerà la sua campagna? Che indicare i restanti obiettivi, una volta preso atto che una parte dell’elettorato non lo voterebbe mai e che quindi è inutile interessarsene a fini elettorali?

300 19 SETTEMBRE 2012

Documenti

Il ‘rimbalzo’ di Obama è già finito? Un articolo di Alessandro Tapparini per America 24 È stata una vera benedizione per Barack Obama la pubblicazione, nel pomeriggio di lunedì, del filmato ‘pirata’ in cui Romney, ignaro di essere ripreso, accusava il quarantasette per cento degli elettori di voler votare per il presidente in carica solo perché “dipendenti dallo Stato” a sbafo. Se non fossero state dominate dalla conseguente bagarre, le cronache politiche di inizio settimana sarebbero state presumibilmente incentrate sul precoce esaurimento del ‘rimbalzo’ del presidente nei sondaggi successivi alla convention nazionale democratica. Il fatto che ieri si sia parlato di tutt'altro non significa che Obama non si debba preoccupare. Nel politichese d'oltreoceano si parla di ‘rimbalzo’ proprio perché dopo essere schizzato su il candidato di solito ridiscende nei sondaggi. Quello che più conta è quindi quanto impiega il ‘rimbalzo’ a curvare verso la discesa: un calo significativo nei sondaggi dopo meno di due settimane equivale solitamente ad un rimbalzo insufficiente a tradursi in un vantaggio consolidato, mentre il candidato che resta in netto vantaggio nei sondaggi anche nella seconda settimana post-convention si avvia solitamente a vincere l'elezione. È ormai chiaro che quello di Obama è stato un ‘rimbalzo’ del secondo tipo, effimero e poco incisivo. A meno di due settimane dalla convention di Charlotte, sembra già quasi del tutto evaporato. “Se il rimbalzo di Obama svanisce durante la settimana prossima”, scriveva sabato scorso Nate Cohn, il sondaggiologo della rivista liberal ‘The New Republic’ “potremmo essere arrivati al punto in cui i sondaggi svoltano in favore di Romney”. Non è ancora così, ma siamo ad un passo dall'essere tornati al testa a testa di quest'estate. La rilevazione più autorevole, quella quotidiana della Gallup, subito dopo la convention aveva dato Obama in vantaggio di ben sette punti percentuali. Il dato divulgato domenica e lunedì, basato sulle interviste condotte durante l'ultimo weekend, dava questo vantaggio come già più che dimezzato, ridotto a tre punti (quarantotto contro quarantacinque per cento), e ieri è stato infine indicato in un unico punto percentuale, quarantasette contro quarantasei, quindi una sostanziale parità. Tra gli altri sondaggi pubblicati nelle ultime ore, il più favorevole a Romney si conferma quello Rasmussen, che da giorni dà lo sfidante repubblicano addirittura in vantaggio sul presidente di un paio di punti percentuali (ieri quarantasette contro quarantacinque).

301 Il sondaggio più recente a dare il presidente ancora in netto vantaggio è invece quello divulgato ieri sera da NBC/Wall Street Journal, basato su interviste condotte tra il 12 e il 16 settembre, stando al quale Obama sarebbe avanti di cinque punti, cinquanta contro quarantacinque. Lo stesso sondaggio NBC/WSJ vede Obama in recupero su Romney sulle questioni economiche, ma in picchiata di ben dodici punti fra gli elettori indipendenti nell'ultimo mese (dal cinquantatre al quarantuno) sulla politica estera, nonostante i media avessero giudicato la reazione del presidente rispetto al caos in Medio Oriente negli ultimi giorni più appropriata di quella di Romney. Molto, naturalmente, dipende dall'andamento nei singoli Stati, soprattutto in quelli ‘swing’, oscillanti. Si attendono nelle prossime ore nuovi dati su quelli più ‘pesanti’, cioè Ohio e Florida. In base ai sondaggi condotti prevalentemente una settimana fa (quando quindi godeva del picco del suo ‘rimbalzo’), in Ohio Obama avrebbe un rassicurante vantaggio di circa quattro o cinque punti. Nel Sunshine State, invece - in barba alle apocalittiche previsioni che ad agosto vennero formulate su di una crisi di rigetto dei moltissimi pensionati lì residenti rispetto all'inserimento nel ticket elettorale di Paul Ryan con il suo famigerato piano di tagli al sistema assistenziale Medicare - il vantaggio del presidente nei sondaggi mediamente va poco oltre il singolo punto percentuale, quindi in sostanza una situazione di parità (l'unico sondaggio veramente recente, quello di Gravis Marketing, dà anzi Romney in vantaggio di un punto). Quindi, se ora le polemiche di ieri sul famigerato filmato del ‘quarantasette per cento’ non dovessero generare nel mondo reale le stesse polemiche che hanno imperversato sui media, i due candidati potrebbero giungere sostanzialmente appaiati al primo faccia a faccia televisivo, che si terrà esattamente fra due settimane, il 3 ottobre.

302 Romney difeso dai danesi(?!) Mitt Romney è criticato a torto per aver dichiarato che il quarantasette per cento degli americani vive grazie all’assistenza sociale e non paga l’imposta sul reddito, scrive il quotidiano danese ‘Jyllands-Posten’ : “Va constatato che Mitt Romney conosce i fatti. Se preso alla lettera, il suo messaggio dice che lo Stato Provvidenza ha raggiunto una tale portata che diventa difficile operare le riforme indispensabili per una stabilità economica a lungo termine. E anche se Romney ammette che avrebbe potuto esprimersi in maniera più elegante, assume pienamente la responsabilità delle sue dichiarazioni. Perché negare i fatti? … Come possono gli Stati Uniti raggiungere il consolidamento delle finanze pubbliche se al contempo una parte importante della popolazione dipende dall’aiuto sociale? E’ una questione che merita di essere esaminata”.

303 20 SETTEMBRE 2012

Rasmussen assegna il New Hampshire a Romney Gli ‘swing States’. Ho infinite volte accennato a questi Stati oscillanti nei quali maggiormente si combatte tra repubblicani (obbligati a conquistarli quasi tutti) e democratici (che possono vincere anche prendendone pochi ma buoni, nel senso di dotati di un alto numero di delegati). Ebbene, oggi, per la prima volta, l’istituto Rasmussen assegna per tre punti percentuali il New Hampshire a Romney che sarebbe in vantaggio nelle intenzioni di voto anche in Colorado. La faccenda è importante perché pare indicare una tendenza. Obama, lentamente, cede terreno e il mormone lo guadagna. Credo che probabilmente prima del dibattito televisivo fissato per il 3 ottobre il quadro dei sondaggi darà in testa Romney sia a livello nazionale che guardando agli Stati.

304 Ann Romney si arrabbia e intanto Tim Pawlenty se ne va Non si fa in tempo a scrivere qualcosa che le cose cambiano. I media attaccano a tutto spiano e qualsiasi argomento, in specie se creato dal nulla o distorcendo i fatti, è buono per attaccare il marito. Ecco, quindi, che Ann Romney si arrabbia e se la prende con giornali, radio e tv quasi totalmente avversi. Nel frattempo, Tim Pawlenty, ricevuta un’offerta di lavoro per un incarico di grande prestigio e molti soldi, lascia la codirezione della campagna elettorale Gop e la cosa viene rappresentata, e forse lo è, come un abbandono della nave in un momento di difficoltà. Aggiungiamo che larga parte dei sondaggisti danno al momento Obama in vantaggio e non di poco. Occorre, se vuole vincere, un soprassalto del mormone. Bisogna tirare fuori gli attributi!

305 22 SETTEMBRE 2012

Documenti

I razzisti votano Obama, un articolo di MdPR Viene da lontano, da molto lontano, l’esprimersi e il conseguente voto di larga parte dei democratici bianchi a favore di Obama, il presidente ‘nero’. E’ figlio di una colpa, meglio, di un sentirsi in colpa e del conseguente, inconfessato anelito all’espiazione. Dentro di loro - senza che ne abbiano contezza ma dentro di loro - i centocinquanta e passa anni nei quali i padri e gli avi hanno voluto e strenuamente difeso lo schiavismo prima e la segregazione razziale dopo. Il partito oggi di Mitt Romney, non dimentichiamolo, viene fondato nel 1854 soprattutto per combattere ed abolire appunto lo schiavismo e il primo presidente repubblicano è Abraham Lincoln. Gli Stati del Sud che escono dall’Unione e causano la Guerra di Secessione sono tutti in mano democratica. Sconfitti, resisteranno duramente fino agli anni Settanta del Novecento su posizioni retrograde e segregazioniste nei confronti delle minoranze razziali e in specie dei neri. E basti qui ricordare un personaggio quale George Wallace, governatore dell’Alabama espresso dal partito democratico e candidato nel 1968 a White House, sia pure da indipendente, che da razzista convinto ed esplicito ha conquistato nell’occasione fior di Stati (cinque e con quasi dieci milioni di voti) nel Sud amministrato dai suoi amici. E per quanti non sanno (e ciononostante discettano dottamente – per carità - e giudicano), per quanti hanno dimenticato o voluto dimenticare, non è forse il presidente repubblicano Eisenhower – anni Cinquanta - a mandare nel predetto Sud la Guardia Nazionale per ottenere che vengano rispettate le sentenze anti segregazione emanate dalla Corte Suprema presieduta dal repubblicano (ma guarda!) Earl Warren? E’ in parte con Franklin Delano Roosevelt, il cui New Deal per qualche verso piaceva alle minoranze, che i neri cominciano il cammino che li farà approdare alle rive democratiche. Sarà poi il grande Lyndon Johnson (non il pericoloso parolaio John Kennedy che tanto piace a quanti hanno studiato la storia sui rotocalchi e che Martin Luther King accusava pubblicamente di non avere concluso niente in proposito), con le sue profondissime aperture e con le leggi fatte approvare a forza o quasi ad un Congresso nel quale i suoi amici di partito ancora si opponevano, a far convergere definitivamente sui democratici le simpatie appunto dei neri. Voto di figli e nipoti di razzisti incalliti, pertanto, quello dei bianchi democratici d’oggi.

306 Voto anche di razzisti inconsapevoli o quasi, come sono indubbiamente quanti, in particolare tra i ‘radical chic’ e le ‘anime belle’, si appalesano pro Obama per obbedire alla ‘religione’ del politicamente corretto. Il ‘vero’ non razzista sa di potersi opporre ad Obama per averlo visto all’opera, per le sue inadeguatezze ed incapacità. Se ne impippa del colore della sua pelle e guarda ai fatti, alla politica, all’ideologia. Difficile, in conclusione e quindi, anche se non impossibile, per chiunque in questa campagna avere il sopravvento su un candidato che conta non solo sul voto di quanti lo apprezzano o la pensano come lui ma anche di milioni e milioni di razzisti!

307 I sondaggi cambiano di giorno in giorno L’ho detto e lo ripeto: i sondaggi elettorali, anche quelli non truccati, sono ben poco attendibili. Chiunque, qualsiasi intento abbia, riesce a trovarne qualcuno che dia credito alle sue tesi. Oggi l’istituto Gallup - che fino a ieri gridava ai quattro venti che il vantaggio di Obama era cospicuo e preoccupante per Romney – fornendo i dati relativi alle intenzioni di voto rilevate su base nazionale tra il 15 e il 21 settembre, mette i due candidati esattamente sullo stesso piano: quarantasette per cento pari. Rasmussen dice sostanzialmente la stessa cosa: un rilevazione fatta tra il 19 e il 21 settembre colloca Obama e Romney al quarantasei per cento. Guardando agli Stati, i due estremi sembrano essere la California (il democratico conduce cinquantatre per cento a trentanove) e la Georgia (cinquantasei a trentacinque per cento per il mormone).

308 23 SETTEMBRE 2012

Documenti In America già si vota in venticinque Stati, un articolo di Giampaolo Pioli per Quotidiano.net L’hanno ribattezzata ‘october election’. Da ieri mentre Obama e Romney sono ancora scatenati nei loro comizi e non si sono ancora confrontati per il primo dei tre dibattiti televisivi, in venticinque Stati gli americani possono già votare e lo stanno facendo. Dal primo di ottobre gli stati saliranno a trentadue e a due settimane dall’election day fissato per martedì 6 novembre in tutti gli Stati , di persona e per posta sarà possibile esprimere la propria preferenza. Questo sistema anticipato ha raggiunto percentuali dell’ottantacinque per cento in Colorado, è balzato al settanta per cento in Florida, ha raggiunto il settantacinque per cento in Nevada, il quaranta in Ohio, il trenta in Wisconsin e Michigan, tutti Stati considerati chiave per dare a Obama o Romney la vittoria. Cito queste cifre per spiegare come mai la campagna pubblicitaria di agosto e settembre è stata così massiccia e costosa e perché la macchina organizzativa dei due partiti ha assunto ormai una dimensione gigantesca. E’ una vera svolta nella dinamica elettorale americana. Chi riesce a portare in anticipo alle urne il maggior numero di elettori in genere vince. Obama è riuscito nell’impresa nel 2008 con una straordinaria mobilitazione e i repubblicani hanno imparato la lezione. Il peso dei sondaggi inoltre cambia gli umori e quelli di questi ultimi giorni quasi tutti concordi nel riconoscere al presidente un vantaggio in alcuni casi anche fuori dal margine d’errore, hanno ridato entusiasmo agli ‘Obama boys’. Quello che chiamano ‘early voting’ potrebbe diventare l’arma vincente per la corsa del 2012. Decine di migliaia di volontari che dall’Ohio alla Florida aiutano giovani e disoccupati a iscriversi nelle liste, a procurarsi i documenti d’identità richiesti, si offrono di portare anziani e pensionati ai seggi diventano un vero esercito elettorale al servizio del partito. La differenza a questo livello tra democratici e repubblicani sul campo è ancora forte. Romney è riuscito a mettere insieme una perfetta macchina da soldi, ma Obama può contare su legioni di militanti (forse qualcuno in meno del 2008) ma sempre collegati tra di loro via internet in grado di realizzare una rete straordinaria che esploderà nel porta a porta del 6 novembre, e manifesterà tutta la sua efficacia nei giorni i precedenti. Nel 2008 più di quaranta milioni di americani hanno sfruttato il voto anticipato. Questa volta potrebbero diventare cinque milioni in più.

309 Se dai dibattiti non usciranno catastrofi, con ogni probabilità vincerà il candidato che a ottobre è favorito dai sondaggi e dispone della macchina elettorale meglio organizzata. Se questo accadesse sarebbe anche la prova che nonostante i fondi illimitati dei super pac le elezioni si vincono suonando ai campanelli e non solo con gli Spot TV.

310 I veterani a favore di Romney A maggio un sondaggio Reuters/Ipsos dava Obama in vantaggio su Romney di ben sette punti percentuali tra gli elettori rappresentati da ‘veterani e loro famiglie’. Ma a quanto pare, durante l'estate qualcosa è drasticamente cambiato: la stessa rilevazione Reuters/Ipsos dà ora Obama dietro a Romney di quattordici punti percentuali tra i veterani. Gli ultimi sondaggi accreditano Mitt Romney di un vantaggio a doppia cifra tra i veterani in Colorado, in Florida, in Ohio e in Virginia, mentre a livello nazionale lo sfidante repubblicano batte il presidente tra i veterani addirittura del venti per cento. “Non c'è gara”, spiega Maurice Tamman della Reuters. (N.B. i veterani di cui si parla sono per la maggior parte abbastanza giovani – reduci dall’Afghanistan, dall’Iraq, eccetera – e rappresentano all’incirca il quindici per cento degli elettori che si recano alle urne. Una seconda annotazione che dimostra ancora un volta che i sondaggi vanno presi con beneficio d’inventario. Se a maggio Reuters/Ipsos dava in questo campo Obama in vantaggio, non altrettanto facevano – e l’ho riportato – altri isituti statistici USA).

Madonna: “Votate tutti Obama, un fottuto mussulmano nero alla Casa Bianca” 26 settembre 2012, notizia riportata da tutte le agenzie Comizio politico di Madonna: “Votate Obama, un mussulmano nero alla Casa Bianca”. La grande pop star ha interrotto un concerto a Washington per lanciarsi in una tirata elettorale. “Meglio che votiate tutti per il fottuto Obama. Nel bene e nel male, all right? Abbiamo un mussulmano nero alla Casa Bianca. Vuol dire che c’è speranza in questo Paese”, ha detto Madonna nel mezzo di un lungo discorso che ha toccato la legacy di Martin Luther King e le battaglie per i diritti civili fino ad arrivare all'elezione del primo presidente di colore nella storia degli Usa. Non è la prima volta che l'ex Material Girl nomina Obama in un concerto: in settembre, aveva lo aveva ringraziato per il lavoro sui diritti dei gay e mostrato un tatuaggio (presumibilmente falso) con il nome del presidente stampato sulla schiena.

311 26 SETTEMBRE 2012

Documenti

L’imbecillità (per non dire altro) del web, un articolo di MdPR L’ultimo dei mille e mille possibili esempi. L’aereo sul quale viaggia la consorte del candidato repubblicano alla Casa Bianca Ann Romney è costretto ad un atterraggio di fortuna. Alla fine, molto spavento in specie per il fumo che già minacciava di invadere la cabina e nessuna conseguenza. Qualche ora dopo, parlando con i giornalisti, Mitt Romney a voce alta e come riflettendo si chiede: “Ma perché i finestrini degli aerei non si possono aprire?” Naturalmente – come ammetterà in seguito (solo in seguito: che stranezza) la cronista che per prima mette in rete le sue parole – scherza e il tono della voce, l’espressione ne danno conferma. Immediata – non vedevano l’ora gli stupidi o meno stupidi adoratori del web – l’eco. Immediate le prese in giro. Ecco, una delle numerosissime grandi e irrimediabili pecche di internet con annessi e connessi, è appunto questa: le parole vergate sono pietre in quanto inerti e mute, non se ne possono cogliere le sfumature, comprendere significato e intenti. Contro Romney è schierato un vero esercito formato oltre che dagli infiniti idioti e imbecilli che già popolano la rete dai mistificatori per fini elettorali e in un caso come questo la situazione che si viene a creare è terribile. E le cose vanno peggiorando. Restando nell’ambito delle elezioni USA, non molti anni orsono, il fatto di essere fortemente appoggiato dalla rete non recava nessun vantaggio a un candidato a White House, dato che, poi, alla verifica delle urne, gli esiti erano del tutto differenti (e ci si ricordi la fine dell’ex governatore del Vermont Howard Dean, in corsa nel 2004). Tutta diversa, dicono gli analisti – ne avremo conferma o meno il 6 novembre – la situazione odierna. Non pare vicina né forse, alla fine, possibile una soluzione e, come sempre (sempre) accade con le scoperte tecniche in questo campo messe a disposizioni di tutti, andrà irrimediabilmente di male in peggio.

312 Romney in difficoltà: gli ebrei americani gli voltano le spalle e i sondaggi in Florida e Ohio lo vedono indietro Ecco quanto scrive oggi il portale d’informazione israeliano ‘JSSNews.com’: “Malgrado la sua catastrofica politica nei confronti di Israele, malgrado la sua diplomazia che spinge i palestinesi a chiedere sempre di più, malgrado un Iran presto dotato dell’arma atomica, malgrado il suo sostegno agli islamisti che hanno rovesciato Hosni Moubarak, gli ebrei americani voteranno massicciamente per Barack Obama. Un sondaggio Gallup pubblicato da ‘BuzzFeed’ mostra che gli elettori ebrei sostengono Obama contro Romney in un rapporto di settanta per cento contro venticinque. Quattro anni fa, Obama aveva vinto la Casa Bianca grazie a un sessantanove per cento di voti ebrei contro appena il venticinque raccolto dal suo rivale repubblicano McCain”. Ma per il mormone le notizie cattive non finiscono qui visto che la gran parte degli istituti dicono oggi che il vantaggio di Obama su di lui in Florida e Ohio, i due Stati nei quali il Gop ‘deve’ vincere per avere sul serio qualche possibilità, si è notevolmente allargato. Mala tempora currunt, a quel che pare, per Romney ed è ora che la sua campagna si rilanci: un colpo d’ala, suvvia.

313 28 SETTEMBRE 2012

Documenti

Romney: “Con Obama deriva europea”, un articolo di Daniela Roveda per il Sole 24 Ore “L'America ha imboccato la strada della Grecia e dell'Europa. Grazie alle politiche di Obama, la nostra economia è in panne”. Usando ancora una volta lo spauracchio della crisi europea e delle “fallite” politiche avviate da Obama per stimolare la crescita, Mitt Romney ha cercato ieri di riportare il dibattito sul tema dell'economia, quello che avrebbe dovuto essere il suo cavallo di battaglia in questa campagna presidenziale. Ma se anche gli ultimi dati economici usciti ieri vanno a sfavore di Obama - ordini di beni durevoli in picchiata in agosto, crescita del Pil più anemica di quanto non si temesse nel secondo trimestre - i sondaggi confermano lo stesso che il candidato repubblicano ha perso interamente il vantaggio di cui godeva persino sul tema dell'economia. L'argomento che sta più a cuore all'elettorato americano, l'argomento su cui Obama è più vulnerabile. L'ultimo sondaggio della Gallup dà Obama in vantaggio di sei punti percentuali a livello nazionale, il cinquanta per cento contro il quarantaquattro di Romney. Anche in Virginia, uno Stato tradizionalmente repubblicano dove Obama riuscì tuttavia a vincere nel 2008 e dove entrambi i candidati erano ieri in cerca di voti, il presidente è in testa, anche se di poco. Il vantaggio di Obama si è allargato addirittura nei due swing States della Florida e dell'Ohio, un progresso che potrebbe rivelarsi decisivo per segnare una vittoria democratica in novembre, dato che nessun repubblicano ha mai conquistato la presidenza senza vincere in Ohio. Obama sta guadagnando terreno anche tra i cattolici, che costituiscono un quarto dell'elettorato americano e nonostante gli attacchi di Romney continua a mantenere un ampio tasso di approvazione in politica estera: il quarantanove per cento degli intervistati da Bloomberg dichiara di avere più fiducia in Obama che in Romney (trentanove). Uno dopo l'altro i sondaggi di opinione stanno mettendo in luce i gravi danni causati dalle numerose gaffe e dai numerosi passi falsi commessi da Romney degli ultimi giorni. Solo una vittoria decisiva nel faccia a faccia di mercoledì prossimo potrà ridare fiato alla campagna repubblicana, e ne sono convinti quasi tutti gli opinionisti di entrambi i partiti politici. “Da importante il dibattito di mercoledì è diventato cruciale - ha detto l'esperto repubblicano di sondaggi Steve Lombardo a Politico. Romney ha bisogno di vincere per continuare a ricevere finanziamenti, e per avere una chance di vittoria in novembre. Un pareggio non basta più”.

314 Obama nel frattempo ha iniziato a utilizzare a tappeto nei suoi spot televisivi l'infelice frase pronunciata lo scorso maggio da Romney a una raccolta fondi in Florida. Parlando a un pubblico di facoltosi sostenitori, Romney aveva definito il quarantasette per cento degli americani che non paga tasse “vittime che preferiscono dipendere dall'assistenza pubblica”. L'affermazione, registrata di nascosto, rafforza l'immagine elitista del milionario Romney, percepito da una crescente parte dell'elettorato come un insider di Wall Street incapace di comprendere i problemi della gente. Il video segreto ha fatto la fortuna di Obama. A cinque settimane e mezzo dalle elezioni, il danno per Romney potrebbe essere insanabile e i suoi sostenitori potrebbero perdere fiducia in lui. È partito intanto il conto alla rovescia per il primo dei tre dibattiti Obama-Romney, e l'ansia cresce in campo repubblicano.

315 Porno falsificati e perfino le carpe asiatiche Giorni difficili, giorni di feroce contrapposizioni. Qualcuno ha messo in giro la voce (e forse si appresta a far circolare foto e video falsi) che la defunta madre di Barack Obama abbia a suo tempo girato un film porno. Julian Assange accusa il presidente di ogni cospirazione ai suoi danni e di illiberalità varie. I media distorcono le frasi di Romney, lo attaccano e lo prendono in giro. Una sporca campagna… Oggi, l’argomento del durissimo contendere sono nientemeno che le carpe asiatiche le quali vanno invadendo i Grandi Laghi americani. Occorre frenarne la diffusione che avviene a danno dei pesci che da millenni popolano quelle acque. Necessita contenerli per salvaguardare gli equilibri ecologici. Ebbene, pare che esistano due differenti metodi per farlo: quello democratico e quello repubblicano!!!!

Chavez dal Venezuela vota Obama, Denzel Washington e Colin Powell si dicono delusi “Il presidente del Venezuela, Hugo Chavez ha annunciato nel corso di un programma televisivo che se fosse statunitense sceglierebbe di votare per Barack Obama alle prossime elezioni presidenziali. Allo stesso modo ‘se Obama abitasse un quartiere di Caracas, voterebbe per Chavez’. Il presidente si e' detto certo della conferma di Obama ed ha auspicato una nuova tappa nei rapporti futuri tra Caracas e Washington”. Questo il testo di una agenzia uscita da poco e non si sa se e quanto possa far piacere all’attuale inquilino di White House godere di simili dichiarate simpatie. Nel mentre dal Venezuela un ‘collega’ lo loda, in casa qualcuno che quattro anni fa lo sosteneva si sfila dichiarando di essere deluso dagli esiti del suo mandato: si tratta del premio Oscar Denzel Washington e del generale Colin Powell. Non si mettono con Romney, no, ma si defilano.

316 30 SETTEMBRE 2012

I due sfidanti si allenano in vista di Denver Mancano alla fine non molte ore al primo, attesissimo scontro o faccia a faccia televisivo. E’ infatti in programma a Denver, Colorado, la sera del 3 ottobre e si prevede che sarà seguito da almeno sessanta milioni di americani. Obama e Romney hanno sospeso i loro giri elettorali e si sono concentrati sugli allenamenti. (Personalmente, non consiglierei mai di procedere in questa maniera: conta a mio modo di vedere la naturalezza, che si perde se le risposte sono preconfezionate ma gli americani la pensano bel altrimenti e da decenni. Basti qui ricordare la scena dedicata proprio alla preparazione del dibattito tv in ‘Il candidato’ con Robert Redford girato nel lontano 1972). Lo scontro avrà la durata di novanta minuti. Sarà diviso in sei segmenti di circa quindici minuti l’uno. La risposta a ciascun quesito proposto non dovrà superare i due minuti. Obama si allena principalmente col senatore John Kerry, lo sfidante di George Walker Bush sconfitto nel 2004. Romney col senatore Rob Portman.

317 La relativa incidenza dei faccia a faccia tv Ci si chiede quale possa essere l’effetto dei tre confronti televisivi e, ovviamente, in particolare del primo. Al riguardo Leonard Steinhorn, docente di comunicazione all'American University, è scettico. “La storia ci ricorda che raramente i dibattiti determinano una differenza significativa. Generalmente, chi è in testa nei sondaggi prima dei testa a testa alla fine vince”. Romney sarà costretto a sfruttare la sua entrata sul palcoscenico televisivo per incrementare la sua arma migliore, quel quarantanove per cento dei votanti che ritengono il candidato repubblicano meglio attrezzato per affrontare le questioni economiche, a fronte di un quarantasette che preferisce la leadership economica di Obama. Ma anche vincesse questo round potrebbe non bastare. “Perché il dibattito possa davvero servire a Romney”, spiega Steinhorn, “è necessario che Obama finisca fuori strada e per fare questo dovrebbe commettere un errore davvero molto grosso”.

Su Mitt Romney le gentili espressioni di Madeleine Albright Mitt Romney? ”Un uomo a due dimensioni, se lo osservi da vicino non c'é niente dietro, nessuna profondità'”. Il giudizio al vetriolo sul candidato repubblicano alla Casa Bianca é di Madeleine Albright, prima donna segretario di Stato nella storia Usa durante la presidenza di Bill Clinton. Albright imputa all'avversario di Barack Obama soprattutto mancanza di comprensione dei temi di politica estera. Poi rincara la dose: '”Mi e' impossibile capire in cosa creda Romney'”.

Sondaggi che vanno e vengono “Obama è in vantaggio di misura su Mitt Romney per l'elezione alla Casa Bianca. Secondo il sondaggio Wall Street Journal-Nbc, Obama ottiene il quarantanove per cento delle preferenze a fronte del quarantasei del rivale. Si tratta di uno scarto inferiore ai cinque punti di vantaggio di metà settembre, subito dopo le convention”. Questo il testo datato 3 ottobre di una agenzia TgCom. Se si pensa che alla stessa data altri istituti di rilevazione delle intenzioni di voto danno Obama in vantaggio addirittura fino a dieci punti percentuali ci si rende conto del marasma. A quali credere? Probabilmente a nessuno!

318 Biden: “La classe media è stata sepolta negli ultimi quattro anni”, quelli nei quali con Obama ha governato lui stesso! Intenti come sono ad accanirsi su Romney e sulle sue vere o supposte gaffe, i media trascurano il vice presidente Joe Biden che, impegnato nella campagna elettorale, da gaffeur di classe quale è sempre stato, ne combina di tutti i colori. Ieri, a Charlotte in North Carolina, parlando a circa mille sostenitori, Biden ha dichiarato che Romney taglierà le tasse ai milionari e le alzerà alle famiglie della classe media, ma ha poi aggiunto: “Come possono giustificare un aumento alla classe media, che è stata sepolta negli ultimi quattro anni? Come potranno nel nome del Signore giustificare questo aumento delle tasse con questi tagli?”. La frase riferita alla classe media “sepolta negli ultimi quattro anni” e pertanto dalla amministrazione Obama della quale Biden, ovviamente, fa parte è stata subito cavalcata dai repubblicani e nel merito specifico Romney ha potuto tranquillamente dire di essere d’accordo con lui.

319 3 OTTOBRE 2012

Le preoccupazioni e le promesse non mantenute di Obama. I temi che Mitt Romney dovrebbe mettere in campo a Denver I sondaggi – per quel che valgono - vanno bene, soprattutto negli ‘swing States’. Ma ad impensierire Barack Obama, alla vigilia del duello nella sede dell’Università di Denver (in onda alle cinque del mattino di giovedì 4 ottobre in Italia), sono i numeri, i risultati ottenuti nel suo primo mandato punteggiato da previsioni fallite e promesse disattese. Guantanamo è ancora aperta, la politica di Washington resta bloccata. Soprattutto, la disoccupazione è ancora sopra l’otto per cento. Negli Usa lo chiamano in modo sintetico, il ‘record’, lo ‘score’ di un presidente, ovvero le cifre, i fatti, soprattutto in economia, che il presidente ha portato a casa in questi quattro anni. E non tutti sono soddisfacenti. Tuttavia, sono i numeri che il presidente dovrà difendere dagli attacchi di Mitt Romney nel corso dei novanta minuti di dibattito tv. Obama rischia di essere inchiodato dalle sue stesse frasi, dai proclami pronunciati ormai quattro anni fa. ‘Politico.com’ ha fatto una breve lista, tra le frasi, degli impegni obamiani che saltano più agli occhi per essere rimasti sulla carta. L’11 settembre del 2008, in piena campagna elettorale, promise che avrebbe “radicalmente trasformato il modo di lavorare di Washington”. Peccato per lui che, complice l’ostruzionismo della destra, Capitol Hill sia completamente bloccato dai veti incrociati. Appena arrivato alla Casa Bianca, nel febbraio 2009, disse che se non avesse rilanciato l’economia in tre anni, allora non avrebbe meritato la rielezione. Era l’epoca dello ‘stimulus’, un imponente pacchetto di interventi pubblici all’economia di settecentottantasette miliardi di dollari, che secondo le stime della Casa Bianca avrebbe dovuto portare la disoccupazione al cinque punto sei per cento. Purtroppo, oggi siamo all’otto punto uno, a fronte di un enorme debito pubblico. È questo, senza dubbio, il tallone d’Achille di Obama. Non a caso, proprio questi numeri fallimentari sono al centro dell’ultimo spot dal titolo ‘Actually happened’, cioè ‘com’è andata veramente’, che Crossroads - il SuperPac di Karl Rove - sta mandando su otto Stati in bilico. La campagna è costata sedici milioni di dollari, la spesa più imponente dall’inizio della sfida elettorale. Ma la destra ha altre frecce al suo arco: nel gennaio 2008, all’inizio della sfida Obama-Hillary, Barack attaccò Bill Clinton, oggi il suo maggiore sponsor: “Ronald Reagan - disse all’epoca - ha cambiato la storia d’America, una cosa che non è riuscita né a Nixon né a Clinton”. E anche a sinistra c’è qualche malumore: il terzo giorno della sua presidenza, Obama disse ufficialmente “Guantanamo sarà chiusa entro l’anno”.

320 Si era a gennaio 2009. Siamo nel 2012, e il carcere simbolo di George W. Bush ospita ancora oltre 80 sospetti terroristi. Improvvido anche sulla riforma sanitaria: era il settembre del 2010, quando si disse sicuro che la sua Obamacare, “giorno dopo giorno, sarebbe diventata sempre più popolare”. Cosa che non è mai accaduta. Assicurò che le compagnie come la Solyndra, che si occupano di energia verde, “avrebbero guidato il mercato e avrebbero assicurato un futuro di prosperità”. Ma proprio la Solyndra, malgrado ingenti aiuti di Stato, è fallita miseramente. Infine, una promessa non mantenuta che tanti ‘latinos’ ancora gli rinfacciano: non essere riuscito a portare a casa una riforma migratoria. Ma su questo punto lo stesso Obama, poche settimane fa, ha chiesto perdono: “Senza dubbio è stato il maggiore fallimento del mio primo mandato”. Un quadro difficile, insomma, che sembrerebbe non dare scampo alle chance di rielezione. Ma le cose non stanno chiaramente così: nelle ultime settimane, Romney ha dimostrato di non essere capace di approfittarne. Tanto che tra la polemica sulle tasse, le gaffe sui cosiddetti parassiti, e altre cadute di stile, oggi il candidato dei Repubblicani è ancora costretto ad inseguire. Come ha scritto il Washington Post, sinora è stato lui il peggiore nemico di se stesso. Così a Denver sarà Romney a dover andare all’attacco: a trentacinque giorni dal voto, il pareggio non gli può bastare.

321 Il migliore nei faccia a faccia tv? Ronald Reagan Correva l’anno 1984 e il presidente in carica Ronald Reagan chiedeva agli elettori un secondo mandato. Il rivale, Walter Mondale, già vice di Jimmy Carter, all’epoca cinquantaseienne, era giovane rispetto all’ex attore che aveva compiuto il 6 febbraio di quell’anno la bellezza di settantatre primavere. Proprio sul fattore età avanzata – se rieletto, Reagan sarebbe restato alla Casa Bianca fin quasi ai settantotto anni – si concentravano i dubbi degli osservatori e di molti elettori. Il grande Gop la mise sull’ironico dicendo: “Non ho alcuna intenzione di fare dell'età un tema della mia campagna elettorale. Non ho intenzione di sfruttare, per ragioni politiche, la giovinezza e la scarsa esperienza del mio avversario”. Risate e applausi fragorosi in sala. Una platea televisiva conquistata. Quattro anni ancora a White House.

322 4 OTTOBRE 2012

Denver: Romney per ko! Novanta minuti nel corso dei quali Obama è apparso decisamente in difficoltà, smarrito, spesso con gli occhi bassi, incapace di attaccare il rivale. “Sembrava che volesse essere altrove”, la dura critca del ‘Washington Post’ al termine del dibattito. Novanta minuti di grande spolvero per un Mitt Romney sicuro di sé, brillante, spietato nel mettere a fuoco le manchevolezze dell’amministrazione Obama, gli insuccessi, l’evidente inadeguatezza nel far fronte alla crisi economica. In particolare, dopo avere parlato di “un'America che rinascerà contando sulle proprie forze, sullo spirito d'intrapresa, liberando energie da uno Stato opprimente”, ha attaccato duramente Obama il quale “dopo quattro anni di presidenza ci lascia ventitre milioni di disoccupati e una middle class impoverita”. Incisivo poi il suo “Se è questo che volete, rieleggetelo. Io vi indico una strada diversa perché amo il mio Paese e conosco la ricetta per far ripartire l'occupazione. Sono stato io stesso un creatore d'imprese”. Al termine, secco e netto il commento degli osservatori che hanno lodato la prestazione del mormone. Nettissimo il verdetto di un sondaggio CNN: ben il sessantasette (67) per cento degli spettatori pensa che il Gop abbia trionfato contro un misero venticinque (25) che ha preferito comunque il presidente in carica. Di più, il cinquantasei per cento ha detto che Romney è il leader più forte contro il trentasette per Obama e il cinquantacinque per cento ha promosso lo sfidante sull'economia contro il quarantattre per l’attuale inquilino di White House. Il trentacinque per cento infine ha detto che avrebbe votato per Romney dopo il dibattito e solo il diciotto avrebbe votato per Obama. Un numero davvero considerevole, il quarantasette per cento, gli indecisi. “Sapevamo che Romney nei dibattiti è molto in gamba”, ha dichiarato un membro dell’entourage democratico, “Ma non finisce qui”. Occorre, peraltro, attendere l’esito delle prossime rilevazioni per sapere se l’affondo del mormone ha sul serio portato risultati concreti rilanciando la sua campagna.

Nota: nel mentre i due contendenti si affrontavano, in tempo reale gli spettatori commentavano su Twitter le loro performance. Anche attraverso questo particolare riguardo non c’é stata partita. Su oltre centomila ‘tweet’ analizzati in tempo reale il settanta vigola cinque per cento erano favorevoli a Romney contro il ventinove virgola cinque per Obama.

323 L’analisi semantica del confronto di Denver “L'analisi semantica dei discorsi ha messo in evidenza stili di comunicazione e contenuti diversi ma in generale in linea con il programma politico e l'elettorato di riferimento di ciascun candidato”, ha dichiarato Luca Scagliarini, vicepresidente Strategy & Business Development di Expert System. “Eppure i commenti e le reazioni degli elettori hanno premiato uno dei due candidati. Questo dimostra che il successo nei dibattiti politici, che spesso vengono criticati per la povertà di contenuti, si basa in realtà molto su aspetti diversi quali sguardi, gestualità e tono della voce ”.

La lobby delle armi è con Romney e i sondaggi lo danno in ripresa Nel mentre Mitt Romney ottiene, come ampiamente prevedibile, il sostegno formale della National Rifle Association (Nra), la potente lobby americana delle armi i sondaggi rilevano – conseguenza del confronto di Denver - un vantaggio a livello nazionale di Obama ridotto a soli due punti percentuali. Inoltre – dato assai significativo – guardando agli ‘swing States’, dicono che Romney è in leggero vantaggio sia in Florida che in Virginia e sostanzialmente alla pari in Ohio. Resta da vedere se i democratici sapranno reagire e come. In ipotesi, Denver potrebbe avere davvero segnato un’inversione nelle intenzioni di voto fino a pochi giorni orsono favorevoli al presidente in carica.

Polemica dura sui dati relativi alla disoccupazione E’ battaglia all’ultimo disoccupato tra Mitt Romney e Barack Obama. Secondo il primo “i dati sul mercato del lavoro non sono quelli di una vera ripresa economica. Il tasso vero di disoccupazione è vicino all'undici per cento”. Secondo i collaboratori dell’attuale presidente invece il tasso di disoccupazione, nel mese di settembre, sarebbe sceso sotto la soglia psicologica dell’otto per cento, esattamente al sette virgola otto. “I ragazzi di Chicago”, ha detto Romney riferendosi al team di Obama, “sarebbero disposti a tutto pur di rimontare nella classifica delle preferenze dei cittadini. I dati sul lavoro sono truccati”.

Obama in crisi a Denver? Colpa dell’altitudine! Secondo l’ex vice presidente Al Gore, Obama a Denver non è stato brillante come in altre occasioni per via dell’altitudine (ben milleseicento metri sul livello del mare).

324 Arrivato in città poco prima del confronto,contrariamente a Romney, non si sarebbe adattato.

Obama in crisi a Denver? Gli mancava il ‘gobbo’! A parere di molti critici osservatori, la pessima prestazione offerta da Obama nel dibattito di Denver è stata determinata dall’impossibilità nel caso di leggere il ‘gobbo’. Secondo costoro, il presidente non sarebbe un grande oratore ma solo un ottimo ‘lettore’ di frasi scritte da altri!

325 7 OTTOBRE 2012

Documenti

Obama-Romney e milioni di tweetts, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa.it

Con dieci milioni trecentomila tweetts in novanta minuti il dibattito di Denver fra Obama e Romney è diventato l’evento-record per Twitter, evidenziandone la rilevanza nell’attuale campagna. Se le presidenziali del 2004 videro il debutto di email e micromarketing, e in quelle del 2008 dominò Facebook, questo è l’anno di Twitter. Le avvisaglie si erano avute all’inizio delle primarie, quando in Iowa e New Hampshire candidati, opinionisti e reporter facevano a gara nel twittare notizie, commenti, retroscena e foto bruciando sul tempo non solo tv e radio ma anche i siti web. Chi lo giudicò un vezzo hi-tech da addetti ai lavori si è dovuto ricredere alle Convention. Quattro milioni di twitts durante quella repubblicana a Tampa e ben nove milioni e mezzo in occasione di quella democratica a Charlotte ne hanno evidenziato una popolarità dilagante. E il record di Denver suggerisce qualcosa in più perché i picchi da centosessanta mila twitts al minuto come la creazione all’istante di popolari neologismi digitali come @BigBirdRomney e @SilentJimLehrer evidenziano la trasformazione dei ‘cinguettii’ in un sistema di comunicazione istantanea capace di rigenerarsi in continuazione, trasformandosi in un torrente di pensieri, parole, battute e sigle nel quale ognuno riesce a condividere una dimensione tutta sua di un evento collettivo. Questo spiega perché su Twitter prolificano universi paralleli in grado di offrire simultaneamente letture diverse della campagna elettorale. Consentendo ai fan più faziosi come agli opinionisti più distaccati di avere un proprio pubblico.

326 8 OTTOBRE 2012 Obama ha paura di perdere

La sconfitta nel primo confronto televisivo con Mitt Romney mette pressione sul presidente in carica

Barack Obama ha paura di vedersi sfuggire la Casa Bianca. Il presidente prova quindi a passare al contrattacco e sferza i repubblicani. Dopo la sconfitta nel primo duello tv col candidato repubblicano, il capo della Casa Bianca teme la rimonta del rivale ed ha lanciato un appello alle famiglie americane, esattamente a un mese dalle elezioni dicendo che “non si puo’ tornare indietro alle politiche che hanno portato l’America al disastro”. Al contempo – spiega un approfondimento di ‘Blitz Quotidiano’ sulle presidenziali – lo staff obamiano lancia un nuovo spot al veleno per l’ex governatore del Massachusetts: “E’ un disonesto”, recita una voce fuori campo, sulle immagini di Romney che nel corso del confronto tv nega di voler fare una riforma fiscale a scapito della classe media ed altre proposte finora portate avanti durante la campagna elettorale. Insomma, l’azione si fa aggressiva perché a tutti è chiaro nel campo democratico che il campanello di allarme suonato il 3 sera a Denver non va sottovalutato. Romney è uscito vincitore dal primo faccia a faccia e i sondaggi dicono che sta rimontando. Secondo il sito specializzato Realclearpolitics.com – che fa la media di quasi tutti i principali sondaggi – il distacco si è ridotto a meno di due punti. Praticamente nulla. Ma la Casa Bianca confida sull’effetto che avranno le ultime buone notizie (peraltro, contestate dal Gop) sul fronte del lavoro, con la disoccupazione scesa a sorpresa ai minimi da quando Obama é presidente. Romney per mesi ha martellato sul fatto che l’attuale presidenza non era in grado di portare il tasso sotto l’otto per cento. Ora quest’arma verrebbe meno e il presidente americano spera in un nuovo rimbalzo nel gradimento degli americani.

327 Romney attacca Obama a proposito della politica estera Vincente in tv sull’economia, Mitt Romney a poche settimane dal voto passa alla politica estera e alla difesa, dove i sondaggi danno in leggero vantaggio Barack Obama. Davanti ai cadetti della Virginia, l’ex governatore del Massachusetts attacca su un tema caldo, l’Iran, e delinea la sua America: forte militarmente, potente coi nemici, solidale con gli alleati. “Per il bene della pace, dobbiamo chiarire all’Iran, con i fatti e non solo con le parole, che la sua ricerca nucleare non sarà tollerata”, ha dichiarato il candidato repubblicano. “Riaffermerò i nostri legami storici con Israele e il nostro impegno costante per la sua sicurezza. Cancellerò i tagli profondi e arbitrari del presidente Obama alla difesa, devastanti per il nostro esercito”. Romney, che chiede un cambio di rotta totale della politica in Medio Oriente, scalda i muscoli in vista dei prossimi faccia a faccia televisivi, il 16 e il 22 ottobre, dedicati proprio alla politica estera. Obama dal canto suo cerca di rimediare all’ultima magra figura televisiva, ricorrendo all’ironia: ‘‘Ho incontrato un tizio agitato”, ha detto il presidente uscente, “che sosteneva di essere Mitt Romney’‘. E poi esce con uno spot in cui taccia il rivale di disonestà, per i tagli fiscali negati in televisione

Gallup oggi 8 ottobre vede i due contendenti in parità Dopo il dibattito in tv a lui favorevole, Mitt Romney ha recuperato cinque punti percentuali su Barack Obama e ora lo appaia nei sondaggi al quarantasette per cento. Il dato che emerge da un rilevamento Gallup, conferma come il presidente abbia pagato in termini di consensi l'opaca performance di Denver. Con i due candidati alla Casa Bianca dati alla pari tra gli elettori registrati a livello nazionale, la corsa appare di nuovo aperta. Obama resta avanti con il quarantanove contro il quarantasei per cento nella media della settimana scorsa (tenuto conto dei tre giorni precedenti al dibattito) ma si tratta di un divario che rientra nel margine d'errore del sondaggio. Per gli esperti si tratta di un dato sorprendente, perché i dibattiti raramente incidono tanto a fondo sul trend elettorale.

Pew Research Center vede oggi 9 ottobre Romney avanti A cinque giorni dal primo dibattito tv continua l'effetto traino per Mitt Romney che ha sorpassato di due punti (statisticamente sono alla pari) Barack Obama.

328 Secondo l'ultimo sondaggio del Pew Research center a ventotto giorni dal voto lo sfidante repubblicano è al quarantanove per cento delle intenzioni di voto contro il quarantasette del presidente. Il dato - il migliore per il candidato repubblicano finora - conferma la tendenza iniziata subito dopo il duello tv del 3 ottobre scorso vinto da Romney. Le cifre di Pew seguono di poche ore lo status di perfetta parità registrato da Gallup. A metà settembre la precedente rilevazione di Pew davano il presidente americano staccare lo sfidante di ben nove punti. Il sito specializzato RealClearPolitics.com - che elabora una media di tutti i principali sondaggi - dà l'attuale inquilino della Casa Bianca avanti di un soffio, appena l’uno virgola uno, ma alcuni dei dati presi in considerazione sono riferiti a prima del confronto dell'Università di Denver.

La lobby delle armi contro Obama. Spot in alcuni ‘swing States’ Una settimana fa, la potente National Rifle Association (NRA) aveva dichiarato il proprio sostegno al candidato Gop Mitt Romney. Ora, promuove una forte campagna pubblicitaria nella quale esplicitamente invita gli elettori a mandare a casa il presidente Obama che, affermano gli autori dello spot, “Sta attaccando i tuoi diritti sanciti dal secondo emendamento”. Ohio, Virginia, Florida e Wisconsin i quattro Stati in bilico nei quali l’attacco all’inquilino attuale di White House è in corso e durerà fino all’electoral day. Il costo della campagna pubblicitaria, per questa settimana, è di un milione e mezzo di dollari. Wayne LaPierre (amministratore delegato e vicepresidente esecutivo) e Chris Cox (direttore esecutivo dell’Institute for Legislative Action dell’organizzazione, noto come Nra-Ila) hanno dichiarato il loro ‘endorsement’ a Romney la scorsa settimana, durante un evento della sua campagna elettorale organizzato a Fisherville, in Wisconsin.

Goldman Sachs, JPMorgan, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley da Obama a Romney Quando Barack Obama si candidò alla Casa Bianca nel 2008, nessuna grande corporation Usa finanziò la sua campagna elettorale come Goldman Sachs. E quest'anno nessun'altra si è adoperata tanto perché il presidente venga sconfitto alle prossime elezioni di novembre, sottolinea oggi il Wall Street Journal. Motivati da quelli che definiscono attacchi personali e all'impresa, dirigenti e dipendenti del gruppo hanno voltato le spalle a Obama e oggi rappresentano la principale fonte di finanziamento del candidato repubblicano Mitt Romney. “In quarant’anni, da quando il congresso ha creato il sistema di finanziamento della campagna elettorale, non era mai successo che i dipendenti di un'azienda

329 cambiassero partito in maniera così brusca, passando dall'essere i principali sostenitori di una parte a quelli del suo avversario”, ha sottolineato il Wsj, precisando di aver analizzato i dati sulle passate campagne. Nel 2008 i dipendenti della Goldman Sachs donarono infatti oltre un milione di dollari a Obama, contro i centotrentaseimila versati per l’occasione, meno di quanto il presidente ha raccolto tra i dipendenti del Dipartimento di Stato. Interpellati dal quotidiano, diversi dirigenti dell'azienda hanno dichiarato di non volersi esprimere pubblicamente e che le donazioni parlano da sole. Ma non è esclusivamente Goldman Sachs ad aver voltato le spalle ai democratici, sottolinea il Wsj. Se nel 2008 i dipendenti di JP Morgan Chase, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley e Goldman Sachs versarono tre milioni e mezzo di dollari alla campagna, quest'anno ne hanno raccolti seicentocinquantamila, contro i tre milioni e trecentomila garantiti a Romney.

Ulteriori considerazioni sulla base del sondaggio indipendente di Pew Research Center L'ex governatore del Massachusetts erode consenso nei segmenti dell'elettorato che finora erano appannaggio di Obama. E' il caso delle donne. La ricerca rivela che sono divise tra i due contendenti (quarantasette per cento pari). Il fatto è che fino a un mese fa, Barack Obama era avanti di diciotto punti. E' mai successo che un candidato perdesse così tanto terreno nell'elettorato femminile in tanto poco tempo? La domanda che si pone Andrew Sullivan sul ‘Daily Beast’ è retorica. Non è mai successo. Così come non è mai accaduto che il favorito perdesse tanti consensi su alcuni temi specifici della sua campagna. Il sondaggio del Pew Research Center spiega che in giugno il cinquanta per cento degli interpellati era convinto che Obama fosse più adatto per difendere gli interessi della Middle Class rispetto a Romney (che aveva il consenso del quarantuno). Adesso, il presidente è fermo a quella quota, mentre il candidato del GOP è salito al quarantanove. Romney è visto come un leader più forte e come un politico con idee più nuove rispetto al presidente dalla maggioranza degli interpellati. Anche tra gli ‘Swing Voters’, gli indecisi. Che continuano a vedere un Obama più onesto e in grado di mettersi nei panni dell'americano medio più di quanto possa fare il candidato del GOP, ma meno efficace del suo avversario nel combattere la disoccupazione e meno competente nel gestire la crisi economica. Non sono giudizi di poco conto, visto che la corsa alla Casa Bianca continua a giocarsi proprio sui temi economici.

330 A leggere in controluce il sondaggio del prestigioso centro di ricerche sociali e politiche si può dire che adesso è Mitt Romney a essere il favorito. E tutto questo – si sostiene - per la prestazione insufficiente di Obama davanti alle telecamere. Non tutte le altre rilevazione arrivano (o inducono) a questa conclusione, ma è evidente che il presidente è in forte affanno. E se molti commentatori pensano che solo lui possa perdere le elezioni, è anche vero che numerosi altri, a questo punto, credono che questa possa essere un’ipotesi non più tanto impossibile da realizzarsi. Mitt Romney, come già scritto, è all'attacco. Su tutti i fronti. Nel suo discorso sulla politica estera, il candidato repubblicano è stato molto duro con la Casa Bianca. Barack Obama ha ridotto l'influenza americana nel mondo. “La ‘speranza’ non é una strategia per affrontare questioni come quelle del Medio Oriente o dell'Iran”, ha detto. Per poi accusare Obama di non avere capacità di leadership. Il problema per il presidente – dicono gli analisti - è che ora iniziano a pensarlo anche molti elettori indipendenti.

“Lasciate che Mitt sia Mitt”, ha detto Ann Romney Si sussurra che all’origine della svolta nella campagna di Mitt Romney e del conseguente fatto che nel confronto di Denver il mormone si sia ricollocato sulle posizioni moderate a lui maggiormente consone sia una forte presa di posizione della moglie. Ann avrebbe imposto agli strateghi del consorte il nuovo (vecchio, se si guarda ai trascorsi pre campagna 2012) indirizzo che sembra rivelarsi vincente. Una agenzia riassume significativamente il tutto mettendo in bocca alla signora una incisivissima frase: “Lasciate che Mitt sia Mitt!”

331 10 OTTOBRE 2012

Domani sera il faccia a faccia Biden/Ryan Secchione quale è, Paul Ryan è da parecchi giorni impegnato nella preparazione del dibattito tv che lo vedrà l’11 ottobre sera, in una sala del liceo artistico di Danville (Kentucky), confrontarsi col vice presidente in carica Joe Biden. Per solito, il confronto tra i due vice non è considerato particolarmente importante, ma oggi, dopo Denver e il suo esito pressoché catastrofico per Obama, almeno stando ai sondaggi, è atteso con interesse. Ci si chiede se Biden sarà in grado di difendere attaccando l’amministrazione della quale fa parte. Ci si chiede quale potrà essere l’atteggiamento di Ryan e quali le sue mosse, non dimenticando che proprio a Denver Romney si è in qualche modo riposizionato al centro e che la scelta del ‘running mate’ è caduta sul deputato del Wisconsin invece per coprire a destra il Gop. Non è da trascurare, poi, il fatto che Biden è famoso per le sue gaffe. Saprà evitarle?

332 Obama ha problemi anche con ‘Big Bird’ Lo staff di Barack Obama ha fatto irritare i creatori di ‘Big Bird’, il pupazzo che rappresenta un grande canarino giallo usato nella serie per bambini ‘Sesame Street’. Lo stesso citato - passo falso secondo alcuni osservatori - da Mitt Romney nell’oramai famoso dibattito tv di Denver, in cui ebbe ad affermare che malgrado “amasse ‘Big Bird’”, avrebbe “tagliato i fondi alla Pbs”, la rete pubblica che mette in onda la trasmissione. In un video ‘approvato’ dal presidente, una voce fuori campo irride - cosa già fatta dallo stesso Obama all'indomani del dibattito – il mormone accusato di aver affermato che la colpa della crisi finanziaria globale iniziata nel 2008 non sia dei rapaci speculatori di Wall Street ma di ‘Big Bird’. La Pbs e' intervenuta chiedendo ad Obama di ritirare lo spot, ricordando che per la sua natura la stessa Pbs e ‘Sesame Street’ sono organizzazioni “non schierate politicamente”, e che pertanto, “non sostengono alcun candidato”.

333 11 OTTOBRE 2012

Accenni di panico in casa democratica?

Pare, sembra – occorre sempre essere molto prudenti quando si parla di sondaggi e in specie se i cambiamenti registrati dagli stessi sono tanto improvvisi e consistenti – che dagli Stati in bilico piovano indicazioni che gonfiano le vele alla campagna di Mitt Romney al punto che il team di Obama arrivi ad ammettere che fra i democrati- ci, in alcuni almeno, serpeggi “un certo senso di panico” per la brusca inversione apparentemente conseguente al dibattito di Denver. Per avere un’idea di quanto stia avvenendo nelle ‘war room’ delle società demoscopi- che bisogna considerare che a quanto affermano le agenzie stampa quella della Suf- folk University avrebbe deciso di sospendere i rilevamenti in Florida, Virginia e North Carolina “perché il vantaggio di Romney oramai è troppo netto per poter essere recuperato”. A ciò bisogna aggiungere che in tre Stati finora considerati saldamente in campo de- mocratico - Pensylvania, Wisconsin e Michigan - i sondaggi locali paiono riaprire la sfida. E in tale cornice ciò che più impensierisce i democratici sono i sondaggi delle ultime quarantotto ore sul testa a testa in Ohio, dove fino alla scorsa settimana il presidente aveva fino ad otto punti di vantaggio. Perfino nella roccaforte democratica della California Obama perde terreno: il suo vantaggio su Romney è sceso in cinque giorni da ventidue a quattordici punti. James Carville, ex consigliere elettorale di Bill Clinton, non si lascia affatto spaventare. “Non c’è alcun panico fra i democratici”, afferma, “e i prossimi dibattiti rimetteranno le cose a posto rilanciando Obama verso la rielezione”.

334 11 OTTOBRE 2012

Biden/Ryan: chi ha vinto? Durissimo il confronto tv tra i due vice. Andato in scena a Danville, Kentucky, ha visto Joe Biden e Paul Ryan in forma e in qualche modo scatenati nel sostenere le posizioni proprie e dei partiti che rappresentano. In particolare, hanno affrontato i grandi temi della politica estera e delle tasse. Al termine, difficile capire se uno dei due abbia prevalso tanto che nel sondaggio successivo secondo la CNN Ryan era in testa mentre la CBS diceva esattamente il contrario. Un sostanziale pareggio che, considerando anche il fatto che sul ring non erano i due big, non incide se non in superficie sull’andamento della campagna elettorale. Prossimo appuntamento il 16 ottobre nei pressi di New York. Torneranno allora a confrontarsi Obama e Romney.

335 12 OTTOBRE 2012 Documenti L’autogol di Obama, un articolo di Jason Horowitz per Internazionale Per quanto ancora il presidente Obama potrà trattenere il fiato? Fino a due settimane fa tutto sembrava andare a gonfie vele. Mitt Romney era stato sorpreso a parlare male di metà degli americani, e anche episodi oggettivamente negativi per Obama come l’uccisione dell’ambasciatore in Libia si erano ritorti contro il candidato repubblicano per via dei suoi commenti maldestri. Obama doveva solo limitarsi a non commettere errori. Ma alla fine proprio la scelta di trattenere il fiato fino all’ultimo si è rivelata la svista macroscopica che il presidente sperava di evitare. In un dibattito disastroso, durante il quale Obama è sembrato addormentato, Romney lo ha fatto a pezzi. Ma soprattutto, il dibattito ha smascherato la strategia attendista di Obama. Probabilmente il presidente russo Vladimir Putin, che ha cacciato dalla Russia l’agenzia Usaid senza timore di rappresaglie, se n’era già accorto. Ora l’ha capito anche Romney. Questa settimana, in un importante discorso sulla politica estera, Romney ha criticato Obama per non aver detto subito che l’assassinio dell’ambasciatore statunitense era un attentato terroristico. Poi si è scagliato contro l’immobilismo dell’amministrazione in Siria. Lo staff del presidente ha accusato Romney di riproporre le politiche fallimentari di George W. Bush. Ora però Obama deve riprendere fiato e fare qualcosa o almeno uscire dal silenzio e andare all’attacco nel prossimo dibattito. Altrimenti nei prossimi quattro anni i suoi sostenitori si ritroveranno a parlare delle politiche di Mitt Romney.

336 Florida: Romney oltre il cinquanta per cento Fra gli undici ‘swing States’, quelli in bilico che possono teoricamente pendere verso Obama o verso Romney, quello dotato del maggior numero di delegati, ventinove, è la Florida. E’ là, inoltre, che vivono in gran numero gli ispanici e in specie quelli di origini cubane. Ebbene, in un sondaggio compiuto da Rasmussen l’11 ottobre, il cinquantuno per cento degli intervistati, scelti tra quanti andranno a votare, ha dichiarato il proprio sostegno al candidato Gop. Il presidente risulta staccato di quattro punti. Per la prima volta, sia guardando ai sondaggi nazionali che a quelli Stato per Stato, Romney supera la soglia fatidica del cinquanta per cento. Se poi si guarda alla media delle rilevazioni degli ultimi giorni - prendendo in esame non solo l’istituto Rasmussen considerato ‘vicino’ ai repubblicani – in Florida resta comunque in testa il mormone di due punti mentre a livello della federazione tutta lo stesso Mitt prevale di un punto. Ripeto fino alla nausea che dei sondaggi ci si deve fidare moderatamente: per esempio, nel 2004 Kerry veniva dato per vincente fino alla vigilia del voto e si è visto come è andata a finire.

Lindsay Lohan si dichiara pro Romney Non sarebbe questa di per sé una notizia degna di segnalazione. Lo diventa perché nel 2008 l’attrice in questione era assolutamente pro Obama e oggi abbandona il suo campo. Fatto è che ieri Lindsay Lohan ha dichiarato di votare per Romney in quanto ritiene che la questione principale sul tappeto sia quella dell’occupazione, questione che il presidente in carica non è in grado di affrontare con successo.

Il prossimo faccia a faccia? Nella forma ‘town hall’ Sarà un dibattito nel format ‘town hall’ quello di martedì prossimo tra Barack Obama e Mitt Romney. Alla Hofstra University di Hampstead, nello Stato di New York, i due rivali saranno davanti a una sorta di assemblea popolare formata da elettori ancora indecisi selezionati dalla Gallup. A turno, dal pubblico qualcuno farà una domanda. Romney e Obama avranno due minuti per rispondere. Il moderatore, stavolta un volto della Cnn, Candy Crowley, avrà il compito di “facilitare la discussione”. Nei novanta minuti a disposizione, i due candidati dovranno affrontare un ampio ventaglio di questioni nazionali e di politica estera.

337 Organizzato per la prima volta nel 1992 a Richmond, in Virginia (tra l'uscente, George W. Bush, Bill Clinton e il miliardario terzo incomodo Ross Perot), il dibattito ‘town hall’ fa emergere domande che, venendo da un pubblico di gente ‘normale’, sono meno prevedibili e di conseguenza possono portare i candidati su terreni scivolosi. Da notare che i dibattiti presidenziali, quest'anno tutti organizzati in campus universitari, tendono ad attirare ogni sorta di manifestazioni collaterali: stavolta sarà il turno della Long Island Peace Alliance che organizzerà una protesta contro la permanente presenza di truppe americane in Iraq, Afghanistan, Libia e Somalia. Il dibattito di Denver tenne incollate dinanzi agli schermi tv oltre sessantasette milioni di persone. Difficile fare previsioni stavolta ma il confronto cade proprio nel bel mezzo dei playoff della Major League Baseball e quindi... Il terzo e ultimo dibattito presidenziale, si terrà a Boca Raton, in Florida, e sarà limitato alla politica estera.

Il ‘boss’ Springsteen a Parma (Ohio) con Obama Ohio: l’ho scritto infinite volte, l’Ohio è fondamentale per le sorti delle elezioni USA. Mai nessun candidato Gop ha prevalso se non vincendo appunto in Ohio. Logico, quindi, che Obama e i suoi democratici cerchino di conquistarlo. Già dato dalle rilevazioni locali in vantaggio abbastanza nettamente, il presidente in carica ha previsto per i prossimi giorni una forte presenza nello Stato. Parlerà a Parma e con lui saranno il carismatico Bill Clinton e nientemeno che ‘the boss’, ovvero Bruce Springsteen. Vicinissimo ad Obama già nel 2008, il grande cantautore torna a schierarsi e, contrariamente ai molti che hanno abbandonato quel campo, riafferma pubblicamente la propria amicizia, la sua preferenza.

338 13 OTTOBRE 2012

Documenti

Podhoretz: Romney come John F. Kennedy su tasse, patriottismo e aborto, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa

“L’ America si sta risvegliando e guarda a Romney perché i suoi repubblicani assomigliano ai democratici di John F. Kennedy”. Norman Podhoretz è il pensatore e politologo neoconservatore che dalle colonne di ‘Commentary’, il magazine di cui è direttore editoriale, ha spesso sferzato il presidente Barack Obama. Di cui ora prevede la sconfitta nell’Election Day. In cosa consiste il risveglio dell’America? “Nel fatto che milioni di cittadini che quattro anni fa elessero Obama si rendono conto che ha mancato le sue maggiori promesse. Aveva promesso la disoccupazione al sei per cento e la crescita al quattro mentre il Pil non è andato oltre l’uno e mezzo e i senza lavoro sono stati a lungo oltre l’otto. In politica internazionale ha perseguito il ‘reset’ con l’Islam, la Russia e la Cina a colpi di mea culpa ma non ha funzionato in nessun caso. Mosca e Pechino si sono rafforzati ai nostri danni e la tragedia di Bengasi evidenzia i fallimenti con il mondo arabo. Senza contare gli attriti avuto con lo Stato di Israele, nostro stretto alleato. I sondaggi confermano che gli elettori stanno aprendo gli occhi”. La campagna presidenziale è iniziata a gennaio, perché la svolta avviene a meno di un mese dal voto? “Perché da molti anni oramai gli americani scoprono che si vota per il presidente solo in settembre-ottobre. Fino all’estate sono distratti. Inoltre in questo caso il catalizzatore del risveglio è stato il dibattito Romney-Obama di Denver”. Può un unico dibattito tv avere una simile importanza? “Se ciò è avvenuto la responsabilità è di Obama. Per mesi ha descritto agli americani un Romney estremista che non esiste. Quando in tv la gente ha visto che è un leader conservatore, moderato, centrista, di buon senso l’impatto è stato notevole. È stata una sorpresa positiva per settanta milioni di telespettatori”. Quale è l’identità del partito repubblicano di Romney? “Assomiglia molto ai democratici che all’inizio degli anni Sessanta elessero John F. Kennedy alla Casa Bianca”. In realtà durante la Convention di Tampa quello repubblicano è sembrato a molti osservatori un partito incolore, con pochi valori e un solo messaggio sull’economia. Da dove viene il paragone con Kennedy?

339

“Dal fatto che Romney sostiene tre posizioni-chiave pressoché identiche a quelle che avevano allora i kennedyani. Primo: abbattere le tasse per far crescere l’economia. Secondo: l’America è una ‘forza del bene’ nella politica internazionale. Terzo: no all’aborto. Sono valori spesso attribuiti a Ronald Reagan ma in realtà fu Kennedy a portarli per primo alla Casa Bianca. I democratici li hanno dimenticati ma Romney li incarna, quasi alla lettera, e per questo può raccogliere molti voti di incerti”. Non ritiene che lo scarso impegno di Romney sull’immigrazione possa rivelarsi un elemento di debolezza in ragione dell’accresciuta importanza dell’elettorato ispanico? “Gli ultimi sondaggi in Florida dicono che gli ispanici in maggioranza voteranno per lui. Vedremo dopo le elezioni se sull’immigrazione Romney ha avuto torto o ragione”. Chi ha vinto il dibattito fra i vice, Joe Biden o Paul Ryan? “Biden sembrava Al Gore nel duello con George W. Bush nel 2000. Gore gestiscolava e roteava gli occhi per trasmettere insofferenza verso le tesi dell’avversario e Biden si è comportato in modo simile, dimostrando un disprezzo per l’interlocutore destinato a giocargli contro nelle urne perché agli americani, soprattutto a quelli incerti, tale atteggiamento sbruffone non piace”. A cosa porterà il risveglio dell’America che descrive? “All’elezione di Mitt Romney alla Casa Bianca. Ma con le mie previsioni bisogna andare cauti, quattro anni fa ero sicuro che Barack Obama avrebbe perduto e mi sbagliavo di grosso”.

340 Cosa dicono oggi i bookmaker: Obama ancora favorito ma Romney migliora le proprie quotazioni Obama sarà pure favorito, ma Mitt Romney continua a rosicchiare punti importanti al suo rivale per la corsa alla Casa Bianca, soprattutto tra bookmaker e scommettitori. L'agenzia inglese William Hill ha reso noto che nella giornata di ieri un americano - in viaggio a Londra - ha puntato diecimila sterline (oltre dodicimila euro) sulla vittoria del candidato conservatore. Il giocatore, un uomo di mezza età, ha detto di essere un 'insider politico' e ha puntato su Romney che in quel momento era offerto a due e ottantotto. Non è stata la prima scommessa a cinque cifre sul rivale di Obama (ne erano già arrivate due superiori alle diecimila sterline) e i bookie sono stati obbligati a tagliare ulteriormente l'offerta sulla vittoria del mormone. “Il momento sembra favorevole per lui”, ha detto un portavoce dell'agenzia, “e abbiamo portato la sua quota a due e settantacinque. Nel frattempo, abbiamo ricevuto anche una giocata da undicimila euro e una da diciassettemila dollari su Obama, rispettivamente dal Belgio e dagli Stati Uniti”. Il presidente in carica rimane dunque favorito a uno e quarantaquattro, ma la battaglia è ancora lunga. “Fino al giorno delle elezioni ci aspettiamo un fatturato record”, ha concluso il portavoce.

Murdoch a piedi uniti contro Obama Alla sempre più arroventata campagna per le presidenziali Usa del 6 novembre si è unito oggi Rupert Murdoch che, dal proprio account su Twitter, ha sparato a zero contro il Presidente uscente Barack Obama, e di più contro il suo vice, Joe Biden, schierandosi apertamente dalla parte del candidato repubblicano. “Sarebbe un incubo per Israele se vincesse Obama”, attacca il magnate australiano. Un “incubo” è definita anche l’ipotesi in cui in un ipotetico secondo mandato di Obama diventasse Segretario di Stato l’attuale ambasciatrice americana presso le Nazioni Unite Susan Rice. Quanto a Biden, in uno dei quattro tweet messi on-line nell’arco di diciotto minuti Murdoch l’accusa senza mezzi termini di aver “mentito spudoratamente sui rapporti personali con Bibi”, il soprannome del premier israeliano Benjamin Netanyahu, con il quale di recente il numero due dell’amministrazione di Washington aveva rivendicato “trentanove anni di amicizia”. Un altro affondo Murdoch lo dedica all’assalto del mese scorso contro il consolato generale degli Stati Uniti a Bengasi, in Libia, da parte, si è detto, di una folla inferocita. “Su Bengasi la Casa Bianca sta ancora mentendo. Doveva conoscere la verità. O forse l’intera amministrazione e’ un disastro?”, ha incalzato, alludendo alle segnalazioni delle agenzie d’intelligence che avrebbero invano messo in guardia dal 341 pericolo di un attacco, costato la vita a quattro cittadini statunitensi tra cui lo stesso ambasciatore Christopher Stevens. “Biden”, ha proseguito Murdoch, “si è messo la Cia sotto i piedi, e ora la Casa Bianca fa altrettanto con il Dipartimento di Stato!”. In passato il miliardario australiano non aveva lesinato le critiche nemmeno a Romney, ma in questa occasione si è lanciato a testa bassa unicamente contro il ‘ticket’ democratico. Unica annotazione critica bipartisan: “Da ambedue le parti le spese elettorali sono eccessive”.

Vincere senza l’Ohio? Difficile, non impossibile Lo sapete, l’Ohio è sempre decisivo per i Gop. Si può vincere facendone a meno? In effetti, gli strateghi di Romney hanno preparato una simulazione della mappa elettorale che prescinde dall’Ohio. Quanto comunque poco credano che vincere senza conquistare il Buckeye State sia possibile, lo testimoniano i comizi e i rally che Ryan e Romney stanno tenendo in questi giorni nello Stato. Per ‘sostituire’ i diciotto voti elettorali dell’Ohio, il repubblicano dovrebbe strappare a Obama l’Iowa (sette delegati), il Nevada (sei) e il Colorado (nove). Resta fondamentale (come tradizione dal 2000) la conquista dei ventinove voti elettorali della Florida (dando per quasi fatta la vittoria in North Carolina, quindici voti, e possibile, benché tutta da conquistare, quella in Virginia, tredici). A quanto arriverebbe Romney se facesse filotto strappando sei Stati chiave a Obama? Esattamente a duecentosessantanove. Parità. Per scardinare l’equilibrio, basterebbero i quattro voti del New Hampshire (i rivali sono di fatto in parità anche se una rilevazione Arg lo attribuisce al conservatore). Il mormone così potrebbe essere presidente senza l’Ohio, una prima volta assoluta per un repubblicano varcare lo Studio Ovale senza i grandi elettori del Buckeye State. Ma quanto è realistico questo cammino? Sicuramente non impossibile ma difficile certamente.

La gara dell’entusiasmo Ne inventano una al giorno ed oggi è il turno della ‘gara dell’entusiasmo’ nella quale Mitt Romney sarebbe passato in vantaggio. A ventiquattro ore dal secondo duello tv, un sondaggio di Abc/Washington Post dà un nuovo colpo alle speranze di Obama: in questo momento sono gli elettori repubblicani i più motivati.

342 E’ importante, dicono, il ‘termometro dell’entusiasmo’ perché può fare la differenza nell’affluenza alle urne e quindi cancellare il lieve vantaggio di cui tuttora godrebbe il presidente nello stesso sondaggio Abc/WP. Un’altra rivelazione di questa indagine: la stragrande maggioranza dice di non aver cambiato idea per effetto del primo duello tv. La spiegazione sta nel fatto che la vittoria indiscutibile di Romney in quel confronto più che spostare voti da destra a sinistra ha alterato di colpo la benedetta ‘dinamica dell’entusiasmo’ tra i due campi.

Incertezza negli ‘Stati chiave’ Situazione di grande incertezza, che in pratica descrive un accanito testa a testa, nel duello tra Barack Obama e Mitt Romney alla vigilia del secondo dibattito tv. Se oggi 15 ottobre un sondaggio Washington Post/Abc conferma che il presidente è in lieve vantaggio a livello nazionale, con un margine di tre punti che sono statisticamente considerati nulli, un altro sondaggio, il Washington University Battleground, pubblicato da ‘Politico’ mostra come il repubblicano ora risulti in testa di un soffio, con il cinquanta per cento contro il quarantotto di Obama, nei dieci ‘Stati chiave’.

Agenzia del 16 ottobre: Romney in vantaggio di quattro punti Secondo l’Adnkronos, “Mitt Romney ha un vantaggio di quattro punti su Barack Obama alla vigilia del secondo dibattito tv che si svolgerà questa sera. E’ quanto emerge dal sondaggio realizzato da Gallup per Usa Today in dodici ‘swing States’, gli stati chiave, dove il cinquanta per cento dei probabili elettori ha detto che si votasse oggi voterebbe per il repubblicano, mentre il quarantasei ha detto che sceglierebbe il presidente”.

Hillary Clinton protegge Obama alla vigilia del secondo dibattito Assumendosi la piena responsabilità per le falle nella sicurezza nel consolato di Bengasi nel momento dell'attacco in cui sono rimasti uccisi l’ambasciatore Stevens e altri tre diplomatici, Hillary Clinton “ha aggiunto ulteriore sforzo al già considerevole impatto che i Clinton stanno fornendo” per la rielezione di Barack Obama. E' quanto scrive, sul suo sito, oggi il Washington Post, sottolineando come la dichiarazione del segretario di stato é arrivata “alla vigilia di un cruciale dibattito presidenziale” in cui la polemica sull'attacco dell'11 settembre potrebbe essere un terreno scivoloso per il presidente.

343 Fallisce una seconda società ‘verde’ sostenuta da Obama A poche ore dall'attesissimo secondo duello tv tra Mitt Romney e Barack Obama, una nuova tegola cade sul presidente. Dopo la società di pannelli solari californiana Solyndra, una seconda società ‘verde’, la ‘A123 Systems’, ha fatto bancarotta dopo aver ricevuto duecentoquarantanove milioni di dollari di fondi garantiti dal governo. La società, che produceva innovative batterie agli ioni di litio ha dovuto gettare la spugna e ricorrere alla procedura ert. Art 11 dopo che le trattative con la ditta cinese di componentistica auto, Wanxiang Group, sono fallite. Solyndra aveva ricevuto quasi mezzo miliardo di dollari dall'amministrazione Obama prima di fallire.

344 17 OTTOBRE 2012

Obama prevale nettamente nel secondo dibattito televisivo A detta dei sondaggi, il presidente Obama si è aggiudicato il secondo faccia a faccia televisivo tenutosi ieri sera nell’università di Hofstra sita ad Hampstead, Long Island, circa quaranta chilometri da New York. Rispondendo alle domande dei cittadini (il dibattito era nel cosiddetto stile ‘town hall’ nel quale sono appunto alcuni cittadini presenti in studio a rivolgere i loro quesiti ai contendenti), l’attuale inquilino di White House è sembrato in forma e decisamente rinfrancato rispetto alla magra figura rimediata a Denver. Tutte le rilevazioni successive, come detto, lo vedono prevalere con una media secondo la CNN del quarantasei per cento contro il trentanove. Quanto alla CBS, ha richiesto il parere degli indecisi che si sono in tal modo divisi: trentasette per cento per Obama, trenta per Romney e trentatre per cento che li hanno visti alla pari. Si è trattato in particolare di posti di lavoro, di economia e di politica estera con riferimento in quest’ultimo caso all’attacco terroristico subito a Bengasi l’11 settembre scorso. E sul quest’ultimo tema in specie gli attacchi di Romney sono risultati, a quel che sottolineano gli osservatori, addirittura “balbettanti”.

345 Dopo Hofstra, in giro con maggiore accanimento per gli ‘swing States’ All'indomani del secondo confronto diretto in televisione, e in attesa di affrontarsi il 22 sera per la terza e ultima volta a Boca Raton in Florida, Barack Obama e Mitt Romney hanno evitato di concedersi ulteriormente ai mass media e hanno ripreso ciascuno la propria campagna elettorale concentrandosi su tre dei cosiddetti ‘swing States’, gli Stati in bilico, l'esito nei quali sarà decisivo. Obama ha tenuto una serie di comizi prima nello Iowa e poi in Ohio, mentre il suo avversario si é dedicato alla Virginia. Le comparsate del giorno dopo sul piccolo schermo sono state delegate da entrambi ai rispettivi candidati vice, Naturalmente ognuno dei due, Joe Biden e Paul Ryan, ha rivendicato all'altra metà del ticket la vittoria nel dibattito televisivo. Ryan, ospite di ‘Good Morning America’ sul network Abc, ha sostenuto che il presidente uscente “non e' stato in grado di giustificare il proprio operato sul deficit di bilancio e sulla creazione di posti di lavoro”. Biden, che si é presentato a ‘Today’ in onda per la Nbc, ha sottolineato invece come l'ex governatore del Massachusetts non abbia ancora fornito “nemmeno un singolo dettaglio sul suo piano fiscale”. Tutte le analisi, comunque, confermano che in questa seconda occasione a prevalere sia stato Obama.

346 18 OTTOBRE 2012

Documenti

Dopo Hofstra: un’agenzia Agi conferma l’obiettività della denuncia di Romney contro Obama a proposito del ‘caso Bengasi’

Malgrado dal secondo dibattito tv Barack Obama sia uscito vincitore, seppur ai punti, l'attacco di Mitt Romney sulla confusione con cui l'amministrazione ebbe a reagire all'uccisione dell'ambasciatore Chris Stevens al consolato di Bengasi l'11 settembre scorso non é riuscito solo perché é stato condotto male. A diverse ore dalla fine del dibattito i media Usa ragionando a freddo si sono accorti che Obama se l’é cavata solo perche Romney non é stato in grado di replicargli a tono. Non solo. La moderatrice, la conduttrice della Cnn, Candy Crowley ha invero inizialmente sostenuto che il presidente nel suo discorso all'indomani dell'attacco dell'11 settembre ha definito l’uccisione di Stevens e di altri tre americani un “atto terroristico” ma solo indirettamente. Come si sente nel filmato originale - riproposto dalla conservatrice Fox News di Rupert Murdoch che non ama il presidente - l'unica volta che Obama ha usato il termine ‘terrorismo’ nel discorso il 12 settembre nel giardino delle rose alla Casa Bianca fu quando sostenne “nessun atto di terrore riuscirà ad indebolire la determinazione di questa grande nazione”. Un riferimento, quindi, del tutto indiretto. Obama non ebbe quindi a definire esplicitamente l'attacco al consolato di Bengasi un “atto di terrorismo”. Crowley, infatti, in parte coperta dagli applausi degli spettatori, dopo aver dato ragione al presidente ha aggiunto che, “effettivamente”, Romney aveva ragione perché, ha ricordato, “l'amministrazione per due settimane è andata avanti a sostenere che (l'attacco) fosse legato al filmato”. Il riferimento à al film islamofobo made in Usa, ‘The innocence of Muslim’, diffuso da un predicatore salafita egiziano pochi giorni prima. La stessa cosa nota una fonte non ostile a Obama, il ‘New York Times’, che riporta il medesimo virgolettato con le dichiarazioni che si sentono nel video della ‘Fox News’ ma aggiunge un ulteriore riferimento - sempre non diretto - fatto il 13 settembre a Las Vegas dove Obama disse che “nessun atto di terrorismo affievolirà la luce dei valori con cui orgogliosamente illuminiamo il resto del mondo". Il 14 il portavoce del presidente, Jay Carney, a sua volta sostenne di “non avere alcuna informazione che suggerisca che si sia trattato di un attacco preparato”. Il 16 l'ambasciatore Usa all'Onu, Susan Rice, si spinse a dirsi certa che l'attacco a Bengasi “é iniziato spontaneamente e non é stato un atto premeditato”.

347 Solo il 19 settembre, non il presidente ma Matthew G. Olsen, sottolinea il ‘NYT, direttore dell'antiterrorismo Usa, durante un'udienza al Senato disse che Stevens e gli altri tre americani “erano stati uccisi nel corso di un attacco terroristico alla nostra ambasciata”. Solo il giorno dopo, interrogato dai giornalisti, a quel punto Carney dichiarerà “é evidente che quanto avvenuto a Bengasi é stato un attacco terroristico”. A sancire con il crisma dell'ufficialità e dell'attendibilità la natura dell'attacco solo il successivo 28 settembre fu James Clapper, coordinatore (Dni) delle sedici agenzie di intelligence Usa, che in un'inusuale dichiarazione pubblica, ebbe a confermasre che l'operazione, “in base a nuove informazioni emerse”, é stato “un attacco terroristico deliberato e organizzato da estremisti”.

348 Il terzo appuntamento Pochi giorni ancora e il 22 ottobre in quel di Boca Raton, Florida, avrà luogo il terzo ed ultimo dibattito televisivo. Grande l’attesa, visto che quest’anno molti ritengono che i faccia a faccia tv possano avere davvero una notevole incidenza sul voto. Come sappiamo, gli analisti e i sondaggi sostengono che il primo match sia stato vinto nettamente dal mormone mentre il secondo è stato appannaggio del presidente. Personalmente, dubito della definitiva efficacia di tali dibattiti che forse possono incidere su qualche indeciso ma non determinano spostamenti in grado di terremotare il quadro elettorale.

349 18 OTTOBRE 2012

La corsa alla casa Bianca Stato per Stato secondo i sondaggi

Le ultime rilevazioni nazionali Per Gallup Romney è oggi al cinquantuno per cento e Obama al quarantacinque. Per Rasmussen Tracking il repubblicano conduce invece di un solo punto (quarantanove a quarantotto) mentre per IBD/TIPP Tracking il presidente è al quarantasette per cento, due punti sopra lo sfidante.

Le ultime rilevazioni locali Wisconsin, Marquette University: Obama quarantanove, Romney quarantotto New Hampshire, Rasmussen Reports: Obama cinquanta, Romney quarantanove Nevada, LVRJ/SurveyUSA: Obama quarantotto, Romney quarantacinque Nevada, Rasmussen Reports: Obama cinquanta, Romney quarantasette Montana, Rasmussen Reports: Romney cinquantatre, Obama quarantacinque New Jersey, Neighborhood Research (R): Obama quarantotto, Romney quarantuno Connecticut, Siena: Obama cinquantatre, Romney trentotto Washington, Rasmussen Reports: Obama cinquantacinque, Romney quarantadue

I seguenti dati derivano dalla media degli esiti riscontrati nei sondaggi Florida: Obama quarantotto, Romney quarantanove Virginia: Obama quarantasette, Romney quarantotto New Hampshire: Obama quarantasette, Romney quarantasette Colorado: Obama quarantasette, Romney quarantotto Ohio: Obama cinquantuno, Romney quarantasei Pennsylvania: Obama cinquanta, Romney quarantasei Wisconsin: Obama quarantanove, Romney quarantotto Iowa: Obama quarantanove, Romney quarantasei North Carolina: Obama quarantasette, Romney quarantanove Connecticut, Hartford Courant/Uconn: Obama cinquantuno, Romney trentasette Michigan, LE&A/Demo Research: Obama quarantaquattro, Romney quarantuno Minnesota, KSTP/Survey USA: Obama cinquanta, Romney quaranta

Data la particolare importanza dello Stato in questione ecco altri due dati concernenti il ‘Buckeye State’ Ohio, Rasmussen Reports: Obama quarantanove, Romney quarantotto Ohio, SurveyUSA: Obama quarantacinque, Romney quarantadue

Guardando alle previsioni e ricordando che per vincere si devono conquistare al minimo duecentosettanta delegati il ‘New York Times’ attribuisce duecentotrentasette voti elettorali sicuri a Obama e centonovantuno altrettanto certi a Romney

350 il ‘Washington Post’ centonovantasei a centosettanta per il presidente il ‘Wall Street Journal’ centosettantanove a centocinquanta ‘Real Clear Politics’ duecentouno a centonovantuno ‘Huffington Post’ duecentosettantuno a duecentosei

351 Gallup il 16 ottobre vedeva Romney in netto vantaggio. Chi ci capisce qualcosa è bravo Non si fa in tempo a prender nota dei sondaggi in molti casi negativi per Mitt Romney che subito il tavolo viene buttato per aria da una autorevole rilevazione della quale Karl Rove a dir poco è entusiasta. “Non c'è stato mai alcun candidato”, dice, “che fosse accreditato al cinquanta per cento in un sondaggio della Gallup a metà ottobre che poi abbia perso le elezioni”. La memoria (storica) del potente uomo forte del Gop funziona molto bene. Ed è per questo che l'architetto delle vittorie di George W. Bush ha salutato con tanto calore il responso del sondaggi fatto da questo istituto. Il cinquantuno per cento degli interpellati ha detto che voterebbe per Mitt Romney, mentre solo il quarantacinque darebbe la sua preferenza a Barack Obama. E' vero che il sondaggio è stato fatto il 16 ottobre , un giorno prima del dibattito di Long Island, ma è anche vero che nessuna altra rilevazione aveva dato un margine di distacco così ampio (a favore di Romney) come quello decretato dalla Gallup.

Redford per Obama, Lee Iacocca per Romney mentre Gallup dà il mormone avanti di sette punti Continuano gli ‘endosement’, le dichiarazioni di appoggio, ai due contendenti. Come molte altre star hollywoodiane, Robert Redford si è pronunciato per il presidente in carica mentre l’ex numero uno della Chrysler Lee Iacocca ha detto di preferire il mormone. Intanto, nella sua autorevole rilevazione giornaliera, l’istituto Gallup attribuisce a Romney un vantaggio a livello nazionale di sette punti e non è mai successo prima che un aspirante alla Casa Bianca vincesse quando in simili condizioni a sole due settimane dal voto. Restano a favore di Obama molti Stati dati per incerti, anche se la tendenza dice che il suo vantaggio va diminuendo.

Il film su Bin Laden in programma due giorni prima del voto I dirigenti dell’emittente televisiva ‘National Geographic Channel’ sostengono trattarsi solo di una coincidenza e che non è assolutamente loro intenzione influenzare l’elettorato in favore di Obama, ma certamente non è facile da digerire per i repubblicani il fatto che il film che celebra l’attacco al rifugio e la morte di Bin Laden trattando il tutto come un fiore all’occhiello dell’amministrazione in carica venga proposto in prima assoluta proprio il 4 novembre.

352 Ann Romney: “Dovesse perdere, Mitt lascerebbe la politica attiva” In un’intervista a cuore aperto, Ann Romney ha ricordato come e quanto sia stato difficile per tutta la famiglia dopo la sconfitta nelle primarie nel 2008 accettare che il marito e padre si rimettesse in gioco. “Dovesse perdere il 6 novembre, lascerebbe la politica” ha assicurato.

Le cose cambiano: Obama 2008, Obama 2012 secondo Grover Norquist “…quando il presidente vinse sia in Virginia che nella North Carolina, era ancora il candidato del cambiamento e della speranza” ha commentato Grover Norquist, leader dell’Americans for Tax Reform, sul forum di Politico. “Da allora ha governato come se fosse il candidato dei leader sindacali, delle macchine elettorali urbane e degli studi di avvocati. Ha reso ancora peggiore la situazione economica. Ha buttato soldi nelle politiche fallite di stimolo economico. E poi c’è stata Solyndra (lo scandalo del finanziamento a una compagnia di fotovoltaico, poi finita in bancarotta). “E Fast and Furious (le armi date, come esca, ai narcos e poi finite definitivamente nelle mani dei trafficanti). Sappiamo già cosa pensano in quei due Stati del presidente Obama. Hanno votato nel 2010 per eleggere un governatore repubblicano in Virginia e un legislativo a stragrande maggioranza repubblicana nella North Carolina”.

Secondo un sondaggio Cbs, Obama avrebbe favorito l’incremento della vendita delle armi da fuoco(?!) Durante il mandato di Barack Obama i produttori di armi hanno incrementato i loro guadagni, e il numero di negozi in cui si vendono fucili e pistole negli ultimi due anni (dal 2010) avrebbe ricominciato a crescere - tremila negozi in più negli Usa - dopo un periodo di calo. I dati derivano da un’inchiesta della Cbs, che ha destato scandalo, perché la linea di Barack Obama è sempre stata per un restringimento della vendita e della circolazione delle armi. Ma, evidentemente, le cose in concreto non stanno così. La Ruger ha dichiarato di aver aumentato le vendite dell'ottantasei per cento da quando Obama è presidente e la Smith&Welson del quarantaquattro. La stessa Nra, la lobby americana delle armi, ha aumentato gli iscritti e al 2010 si trovava in cassa ventiquattro milioni di dollari, molti di più del 2004, alla fine del primo mandato di Bush jr, considerato un presidente amico delle armi. Non è facile comprendere le ragioni di queste impennate: secondo la Cbs la consapevolezza che Obama avrebbe potuto avviare una stretta ha dato il via alla corsa.

353 Il fatto che poi non abbia realizzato la promessa - Bill Clinton aveva introdotto lo stop alla vendita di particolari tipi d'arma per un decennio, e una volta scaduto lo stop non è stato rinnovato né da Bush né da Obama - avrebbe favorito la super- domanda .

In vista del terzo dibattito tv I candidati alla Casa Bianca si sono chiusi questo fine settimana in ritiro in vista dell‘ultimo dibattito televisivo del 22 ottobre a Boca Raton. E se Mitt Romney ha scelto di arrivare già nel weekend in Florida insieme al suo staff di consiglieri e preparatori, il presidente invece ha preferito recarsi a Camp David, il ritiro tra le montagne del Maryland famoso per gli storici summit internazionali che ha ospitato. E la location appare quanto mai azzeccata, visto che questo ultimo dibattito sarà, secondo il programma, concentrato principalmente sulle questione di politica estera. Intanto, Obama ha mandato in avanscoperta Joe Biden in Florida. Oggi 20 ottobre farà un comizio a St. Agustine, città della costa Atlantica, mentre sempre oggi Paul Ryan - che ieri ha partecipato con Romney ad un rally a Daytona Beach, in Florida - fa tappa in Pennsylvania, altro Stato chiave. Il dibattito sarà moderato dall’anchor della Cbs Bob Schieffer, ed avrà, a differenza di quello della settimana scorsa a Long Island, il formato classico dei due candidati fermi ad un leggio che risponderanno alle domande del moderatore il quale ha indicato una lista di cinque ‘aree calde’. Naturalmente il Medio Oriente e il terrorismo faranno la parte del leone.

354 20 OTTOBRE 2012 Documenti Romney, il pareggio di bilancio per tornare a crescere, un articolo di Carlandrea Poli per Termometro Politico Il pareggio di bilancio, what else? Romney sta provando a vincere la campagna elettorale per le presidenziali sulla sua competenza da manager spietato, che salva le aziende e gli Stati colpendo a suon d’accetta i costi – anche se coincidono con migliaia di posti di lavoro –, e col far tornare i conti come unico obiettivo. L’America in effetti è ammalata di debito pubblico, centoquattro per cento sul Pil, con un disavanzo annuo del sette per cento. Livelli che non si toccavano dalla fine della seconda guerra mondiale, quando il sistema di ‘warfare’ e il piano Marshall incipiente portarono a scommettere su un intervento pesante dello Stato sull’economia. “La matematica è la mia vita”, ha affermato l’ex governatore del Massachusetts nel secondo dibattito tv e su questo si misura la freddezza riscontrata per buona parte delle presidenziali – si sa, i numeri da soli riscaldano poco i cuori degli elettori – e al tempo stesso la sua capacità di costruire una cornice narrativa coerente di responsabilità fiscale: le aziende si tengono in piedi per fare utili, famiglie e Stati prosperano sul principio del deficit zero. Lo scoglio enorme di questo racconto è che il rifiuto liberista e – almeno sul piano teorico – molto affine ai repubblicani del deficit spending va ad impattare sul muro della spesa sociale, degli stimoli fiscali. Molto spesso deprime nell’immediato il Pil, per agganciare – si spera – una ripresa robusta nel lungo periodo. Il cuore della ‘romneyconomics’ ruota attorno ad un ottimismo sconfinato verso il potenziale di ripresa della prima economia del mondo. Una media di espansione del quattro per cento all’anno per far risalire le entrate fiscali e abbassare il rapporto percentuale del debito sul Pil. Ma l’ambizione di Romney è anche quella di scalfire il valore assoluto dell’indebitamento del governo americano? Una prima risposta nel suo programma si ha alla voce ‘spending’. Entro il 2016 dalla Casa Bianca il lavoro sarà per comprimere la spesa in conto capitale al diciotto per cento sul prodotto contro il venticinque del livello raggiunto sotto la presidenza Obama. Il risparmio sarebbe sull’ordine del trilione di dollari, azzerando di fatto il disavanzo che viaggia ad ottobre del 2012 su uno virgola uno trilioni. A rendere più rotondo il risultato la spesa verrebbe limata di altri trecento miliardi con l’abolizione dell’Obamacare (valore novantacinque miliardi) e tagli alle sovvenzioni per arte, cultura, l’emittente pubblica Pbs, riduzione del dieci per cento dei dipendenti pubblici.

355 Se il piano di Romney si fermasse qui probabilmente potremmo dire con facilità che entro il 2016 – in caso di vittoria nelle elezioni del 6 novembre – verrebbe issata la bandiera della stabilità finanziaria nel budget federale con avanzi primari elevatissimi degni dell’era Thatcher in Gran Bretagna. Di fatto, esistendo solo questa ‘pars destruens’ della spesa pubblica l’appeal elettorale dei repubblicani sarebbe stato compromesso. Logica conseguenza, pertanto, ha voluto che il candidato del Gop abbia fatto sua la bandiera degli sgravi fiscali alle persone e alle aziende. Prima di tutto Romney vuole rendere definitivo il taglio, deciso ai tempi di Bush, al venti per cento dell’aliquota marginale di tassazione per i redditi personali. Inoltre vorrebbe detassare dividendi e capital gain con una franchigia di duecento mila dollari. Un primo motivo per far storcere il naso a chi crede in principi di equità fiscale e assiste alla protezione della rendita finanziaria a fronte della spoliazione su vasta scala del lavoro dipendente. È l’abolizione dell’alternative minimun tax, però, a meritarsi la palma dell’intervento più controverso in materia di fisco, promesso da Romney. Introdotta da Nixon e inasprita da Clinton, l’Amt si inserisce nel sistema ‘patchwork’ delle deduzioni e delle detrazioni fiscali, che consente anche ai più ricchi di abbattere notevolmente la base imponibile e pagare meno tasse di una famiglia di bassa condizione sociale. Ecco, l’imposta alternativa sterilizza l’eccesso di deduzioni e di detrazioni e stabilisce una soglia minima da pagare. Il ragionamento è immediato. È sano alimentare i consumi, va bene incentivare gli americani con deduzioni e detrazioni a spendere, permettere però ai ricchi – in relazione ad una maggiore disponibilità di denaro – di ottenere più benefici fiscali di un lavoratore della middle class sarebbe un intervento redistributivo al contrario. Esiste sia per le persone fisiche che per le corporation. Queste ultime avrebbero un ulteriore aiuto dal piano dei repubblicani con la riduzione dell’aliquota massima dal trentacinque al venticinque per cento. Le aziende non vedono tagli delle tasse dal 1988, gli anni reaganiani. Il costo politico in termini di giustizia sociale, abbiamo visto, potrebbe essere salato ma anche le casse federali potrebbero andare in sofferenza. Per centinaia di miliardi di dollari. Come poi questo si concili col solenne impegno preso lo scorso 3 ottobre, nel primo duello televisivo, di non tagliare le tasse ai ricchi, è un mistero. Di fronte a domande precise Romney diventa inafferrabile quanto un’anguilla. Lascia irreparabilmente insoddisfatte le richieste di dettagli. Non spiega chiaramente quali deduzioni e detrazioni abolirà e quanto i tax cuts potranno conciliarsi col traguardo del pareggio di bilancio. Nella diatriba macroeconomica che può scaturire, ad ogni modo, si impongono una volta di più le leggi ferree della comunicazione.

356 “Sono disposto a cambiare il mio piano fiscale qualora mutassero le condizioni economiche” ha spiegato giovedì scorso, perché tornando al punto d’inizio la matematica è la vita di Romney. Un racconto indiscutibilmente frustrante per i giornalisti e per quella parte di elettorato americano interessata a capire – per poter esprimere un giudizio libero e critico – fino in fondo il programma economico, ma che nella battaglia per accaparrare voti decisivi sta avendo grande potenza d’attrazione. Perché parlare del super-manager che può salvare l’economia americana è più seducente che scendere in pedanti liste della spesa sulle singoli azioni da compiere una volta al governo.

357 Gallup insiste e vede Romney davvero in grande spolvero A sedici giorni dal voto il vantaggio di Mitt Romney su Barack Obama a livello nazionale si sarebbe portato a sette punti. Secondo Gallup lo sfidante repubblicano è al cinquantadue per cento delle intenzioni di voto tra gli ‘elettori probabili’ (ritenuti determinanti perché non hanno ancora deciso per chi votare e su cui entrambi i candidati si giocano l’elezione), contro il quarantacinque del presidente. Sempre secondo Gallup, Romney é anche avanzato tra gli ‘elettori registrati’ (quelli che in teoria hanno già scelto), quarantanove per cento contro il quarantasei di Obama.

358 22 OTTOBRE 2012

Documenti

Obama/Romney in tv, ecco come si rovescia l’utopia democratica, un articolo di Carlo Bastasin per Il Sole 24 Ore

Solo un mese fa nessuno avrebbe previsto che il dibattito televisivo di questa notte tra Barack Obama e Mitt Romney potesse risultare decisivo per la nomina del presidente degli Stati Uniti. Nessuno pensava che un confronto davanti alle telecamere potesse far mutare parere al dodici per cento degli elettori, come è avvenuto nel dibattito d'esordio del 3 ottobre. C'erano tre ragioni per escludere un così forte impatto: gli elettori incerti erano, si diceva, al massimo il sette per cento; la campagna era condotta con strumenti sofisticati di comunicazione, molto meno generici della televisione; infine, il confronto di contenuto non si sarebbe deciso nei comizi, ma nel circuito che va dai think tank di Washington ai nuovi media. Il confronto in tv è invece arrivato come un sasso su uno specchio: ha rivelato la personalità dei due candidati rompendo l'immagine virtuale riflessa da campagne elettorali troppo astute e sofisticate i cui contenuti erano tenuti volutamente vaghi. Nessuno tuttora conosce i dettagli del programma di Romney, ma anche Obama è riluttante a discutere le responsabilità di una presidenza difficile. Entrambi si sono mossi su linee di minima resistenza, cercando solo di mobilitare i propri sostenitori. Infatti fino ai confronti in tv, le intenzioni di voto si basavano sulle fedeltà di parte degli elettori più che sui candidati. Poi, pur con tutti gli inganni intrinseci alle tv, le telecamere hanno svelato la vis degli sfidanti. Dapprima più definita quella di Romney e più appannata quella di Obama, inibito dal primo comandamento di un candidato di colore: mai mostrare aggressività per non spaventare l'elettore bianco. Poi contraddittoria quella di Romney e solida quella di Obama. Può sembrare paradossale che in una campagna così lunga e martellante i profili dei due candidati volessero rimanere sfumati, ma questo è proprio il punto cruciale: in un sistema elettorale complesso non è il re a essere nudo davanti al popolo, ma viceversa è l'elettore che appare privato di ogni paramento e di ogni segreto. Voltaire non aveva fiducia nella democrazia, perché non aveva fiducia nel popolo, oggi invece il candidato presidenziale si può fidare pienamente del popolo perché ne conosce in anticipo ogni preferenza. Sarà sufficiente adattare se stessi per vincerne la fiducia. Ed è quello che Obama e Romney, hanno fatto sistematicamente.

359 Mese dopo mese Romney ha dato addirittura versioni fittizie e divergenti delle proprie politiche. La tecnologia ha permesso il ribaltamento dell'utopia democratica del re nudo. Gli strateghi delle campagne presidenziali conoscono quasi tutto degli elettori e confezionano su misura di ognuno di loro il messaggio dei candidati. La quantità di dati che essi scuotono dai rami della foresta di internet su ogni cittadino è tale da rivelare se l'elettore - a cui gli attivisti recapiteranno fino a venti telefonate a domicilio - è credente o no, ambientalista o no, se consuma cibi organici o non se ne cura. Se fa parte di una comunità o vive isolato, se legge quotidiani e quali. Grazie ai nuovi software in grado di incrociare i dati, ogni messaggio può arrivare in cinquecento varianti diverse a seconda del destinatario. Le campagne assomigliano alle immagini satellitari di google-earth che puntano l'obiettivo su ogni quartiere o, come dicono, su ogni ‘codice postale’, producendo cinquecento sfumature diverse dello stesso messaggio e dello stesso candidato che così diventa uno, centomila e ovviamente nessuno. Fino a che l'immagine più realistica non diventa paradossalmente quella televisiva. Naturalmente è un'immagine falsa. Il confronto in tv non ha concesso di conoscere nulla delle proposte di Romney o di Ryan, ma solo la loro fotogenia e la loro personalità meno banale del previsto. Lo stesso Obama nasconde la propria agenda per i prossimi quattro anni. I colleghi del Tax Policy Center e di Brookings che hanno sollevato le contraddizioni nel piano fiscale di Romney non ottengono risposta. In tv Paul Ryan ha risposto che ci sono sei studi che contraddicono quello di Brookings, anche se si trattava solo di blog o di analisi precarie. Nel brodo comunicativo l'altra metà di ogni mezza verità scivola via impunita. Tuttavia la spiegazione secondo cui Romney ha vinto il primo round, come dice Obama, perché la tv favorisce i racconti generici e non la precisione, è troppo compiacente. Romney ha detto chiaramente quello che vuole ma senza spiegare come, Obama però ha fatto il contrario. Ha spiegato in che modo da presidente ha affrontato le complessità della politica, ma ha perso di vista gli obiettivi, dando ragione a chi gli diceva che il suo slogan ‘Hope’, speranza, era un sentimento, non una strategia. La sua immaginifica retorica è affondata nel linguaggio della Beltway, la cittadella di Washington, fin dal primo anno, quando Obama ha rinunciato a politiche radicali, avendo ereditato un'economia disastrata e avendo dovuto accettare troppi compromessi. Il mondo pulito, trasparente e generoso gli è scappato tra le dita. Tuttora Obama sa che l'economia è troppo debole e che il Congresso repubblicano lo braccherà ancora, per poter vantare nuove speranze. Il 3 ottobre, la tv ha mostrato implacabilmente un presidente che aveva perso ispirazione.

360 Il 16 ottobre, nel secondo dibattito, Obama ha reagito ribaltando sui repubblicani la responsabilità dell'impasse politico del paese. Questa notte gli americani si aspettano l'ultimo responso.

361 23 OTTOBRE 2012

Boca Raton pro Obama Stando ai sondaggi e ai commenti degli osservatori, Barack Obama ha vinto nettamente il terzo faccia a faccia televisivo dedicato alla politica estera svoltosi ieri sera, 22 ottobre, in Florida, esattamente a Boca Raton. La CBS, sulla base del sondaggio effettuato a caldo appena terminato il confronto, certifica una larga affermazione di Obama, gradito al cinquantatre per cento dei telespettatori nel mentre un ventiquattro per cento avrebbe visto sostanzialmente alla pari i due contendenti e un ventitre per cento si dichiara pro Romney. La CNN, per parte sua, afferma che i numeri sarebbero favorevoli al presidente in carica per il quarantotto per cento contro il quaranta. A favore dell’attuale inquilino di White House anche i mille e mille ‘tweet’.

362 Della sostanziale inutilità di un dibattito sulla politica estera nell’opinione di Antonio Carlucci “Un dibattito sulla politica estera come quello che si è svolto in Florida ha poco senso visto che il presidente conosce tutto, ma proprio tutto quello che è accaduto in questi quattro anni, mentre lo sfidante può solo affidarsi a congetture, riflessioni e frasi propagandistiche. In più, gran parte dei consiglieri di politica estera di Romney appartengono a quel mondo di neocon che sono intellettualmente, e non solo intellettualmente, responsabili di tutti gli errori e di tutte le tragedie degli otto anni di presidenza di George W. Bush. Meglio parlare ancora una volta solo di lavoro, investimenti, tasse e deficit

PS: Il dibattito è durato ottantadue minuti e quarantotto secondi invece dei novanta minuti previsti, segno che c’era poca volgia di parlare di politica estera e basta”.

363 24 OTTOBRE 2012 Documenti La rete mette le ali a Romney, un articolo di Voices from the Blogs per il Corriere della Sera Nel 2008 uno dei segreti della vittoria schiacciante di Obama fu la capacità di usare per primo i new media, da Facebook ad internet, agli altri social-network. Per fare campagna elettorale, per raccogliere voti, per mobilitare gli indecisi. Una strategia partita dall’alto ma che ben presto acquistò una vita propria dal basso, con centinaia di migliaia di simpatizzanti, ma anche di semplici spettatori indipendenti, che incominciarono ad usare questo nuovo mezzo di comunicazione per esprimere le proprie opinioni, preferenze ed emozioni, in grande misura favorevoli a Obama. Ci si sarebbe potuto quindi aspettare uno scenario del tutto simile anche nel 2012. E in effetti a settembre la storia sembrava ripetersi, con Obama chiaramente avanti di oltre dieci punti per Sentimeter (che raccoglie i dati dal 16 settembre). A partire dalla fine del mese di settembre, però, qualche cosa ha incominciato a muoversi nella pancia degli americani, con Romney in chiara ripresa. Una ripresa che ha assunto poi aspetti clamorosi dopo l’esito (disastroso per Obama) del primo dibattito. Da allora è stata una continua altalena in rete, con Obama che è riuscito di nuovo a conquistare la maggioranza (relativa) dei consensi dopo il secondo dibattito. Ci si attendeva dunque che questo trend continuasse anche dopo il recente esito del terzo dibattito, che ha visto Obama vincitore, in termini di performance comunicativa, nei commenti della rete. E invece a sorpresa Romney appare rinfrancato e mette chiaramente la testa davanti ad Obama nel Twitter-sentiment. Segno forse che la politica estera (di cui si è discusso nel terzo dibattito) non appassiona troppo gli americani, o almeno non è il fattore cruciale che determinerà alla fine il loro voto, rispetto, ad esempio, all’andamento dell’economia. Ma anche un segnale che mostra come la rete stia amplificando qualche cosa che forse sta accadendo in questi giorni in America (una rinnovata mobilitazione dei militanti pro-Romney alla ricerca delll’utimo elettore?) Pur ricordando che il sentimento della rete non si tramuta poi necessariamente in voto, è quantomeno interessante osservare che anche diversi dei sondaggi tradizionali più recenti, realizzati dopo il terzo dibattito, vedono in testa Romney. Ad esempio, Gallup: cinquantuno per cento Romney, quarantasei Obama; Rasmussen: cinquanta per cento Romney, quarantasei Obama; ABC News: quarantanove per cento Romney, quarantotto Obama; ARG : quarantanove Romney, quarantasette Obama, anche se per IBD/TIPP: quarantacinque Romney, Obama quarantasette.

364 L’importantissima contea di Cuyahoga L'Ohio: ancora l'Ohio, sempre l'Ohio. Il ‘Wall Street Journal’, parlando del terzo duello tv tra Obama e Romney lo ha definito ‘Un dibattito di politica estera per la contea di Cuyahoga’ nel senso che “Non si è trattato realmente di un dibattito sulla politica estera americana. Si è trattato di un dibattito per far cambiare idea agli elettori indecisi rimasti in posti come la contea di Cuyahoga, in Ohio”. La contea in questione include la fetta più importante dell'area metropolitana di Cleveland (nonché la cittadina di Parma, dove la settimana scorsa sono accorsi a fare assieme campagna elettorale per Obama le due superstar della sua squadra, Bill Clinton e Bruce Springsteen) ed è la più popolosa di questo Stato, cuore del MidWest arrugginito e deindustrializzato, che giorno dopo giorno, ora dopo ora, sembra sempre più destinato a divenire il fulcro di questa elezione presidenziali, come di molte altre in precedenza del resto.

Eastwood negli ‘swing States’ in uno spot anti Obama Clint Eastwood scende ancora una volta in campo dalla parte di Mitt Romney. Questa volta con uno spot pronto per essere mandato in onda negli stati chiave. “Il secondo mandato di Obama sarebbe una replica del primo, e il Paese non potrebbe sopravvivere a una tale eventualità”, dice l'attore e regista.

Trump sfida Obama, cinque milioni di dollari in beneficenza in cambio di certificato nascita Donald Trump sfida ancora una volta Barack Obama: cinque milioni di dollari in beneficenza se il presidente rivelerà i suoi dati di iscrizione al college e quelli per il rilascio del passaporto. In pratica, i dati del certificato di nascita. Dopo l'annuncio via Facebook e Twitter di rivelazioni clamorose su Obama, alle dodici in punto (le diciotto ora italiana), in un video messaggio postato sui social network, il miliardario repubblicano insiste nella sua battaglia: dimostrare che Barack Obama non é nato negli Stati Uniti, e che quindi occupa abusivamente la poltrona di presidente. Nel suo stile, Trump ha sfidato il presidente a rendere pubblici appunto “i suoi dati dell'iscrizione al college” e quelli presentati nella “domanda di rilascio del passaporto”. Si tratta, ha detto il miliardario, di un ‘deal’, un “accordo che non credo il presidente potrà rifiutare”. Come detto, infatti, in cambio delle informazioni, Trump mette a disposizione un bel gruzzolo “da donare a un ente benefico a scelta del presidente”. L'assegno, aggiunge Trump, verrà consegnato “un’ora dopo che i dati richiesti verranno resi pubblici”.

365 Romney in Nevada, Obama in Colorado: in giro per gli ‘swing States’ “La campagna di Obama è sonnacchiosa” ha detto Mitt Romney ieri impegnato nel Nevada. “Sembra”, ha continuato, “che il presidente non riesca a trovare l’agenda per aiutare le famiglie americane. La nostra campagna invece cresce attraverso il Paese con persone che capiscono che stiamo cercando di costruire un futuro migliore per le famiglie americane, per ogni famiglia in questo grande Paese. Uniti avremo più potere, più energia. E io conto su di voi, su ognuno di voi: ho bisogno del vostro voto”. Barack Obama, invece, ha parlato ai suoi sostenitori a Denver, in Colorado, scherzando sulla sua personale scelta nell’urna. Un modo ironico per insistere ancora una volta sul voto anticipato, tradizionalmente favorevole ai democratici. “Prima che questo tour di quarantotto ore sia finito mi fermerò a Chicago per votare in anticipo. Non posso dirvi per chi mi esprimo perché il voto è segreto. Ma Michelle ha detto che ha votato per me. Ha detto così”.

Bernanke, Ayrault e lo spray abbronzante Ultime (per il momento) dai campi di battaglia elettorale. Il presidente della Fed Ben Bernanke, secondo alcune fonti, sarebbe intenzionato a lasciare. Attaccato dai repubblicani, sa che Romney ha dichiarato che se vincitore non intende confermarlo alla scadenza del mandato. Situazione alquanto scomoda.

Il primo ministro francese Jean Marc Ayrault ha dichiarato il proprio ‘endorsement’ a favore di Obama. Una solenne sciocchezza: dovesse prevalere difatti il mormone, cosa gli direbbe la prima volta che per obblighi d’ufficio gli toccasse d’incontrarlo?

Terribile!!! Pare che Mitt Romney sia abbronzato no a causa dei raggi del sole ma per l’uso continuo di uno spray appunto abbronzante. Potranno mai gli elettori perdonarlo?

I primi duecento giorni alla Casa Bianca di Mitt Romney Nel lontano 1935, in vista delle presidenziali in programma nel successivo anno, il senatore Huey Long, già governatore della Louisiana, oratore di grandi capacità,

366 populista se mai ve ne fu uno, demagogo, pubblica un libello intitolato ‘I miei primi cento giorni alla Casa Bianca’ nel quale illustra i provvedimenti che una volta eletto intende adottare con urgenza. Non ne farà nulla, considerato che poco dopo verrà assassinato per questioni inerenti la sfera privata. John Kennedy, riprendendo il titolo dell’opera di Long (e gli infiniti ignoranti adoratori di quel pessimo presidente che fu appunto Kennedy ritengono che l’idea dei cento giorni fosse sua) propone qualcosa di simile nel corso della campagna del 1960. Ed eccoci all’oggi: Mitt Romney, oggi, vuole invece far sapere cosa farà nei primi duecento giorni a White House. Con l’aiuto di Mike Leavitt – già governatore dell’Utah, ex ministro della sanità con George Walker Bush e, se sarà in carica a partire dal 20 gennaio 2013, suo consigliere – espone un vasto progetto, assai articolato, improntato alla massima pragmaticità.

Endorsement di autorevoli organi di stampa Come da sempre accade negli USA in questi frangenti, avvicinandosi il giorno fatidico, molti organi di stampa dichiarano le loro preferenze. Ecco, quindi, che il ‘Washington Post’ si pronuncia pro Obama. Ecco, pertanto, che il ‘Detroit News’ fa altrettanto in favore di Romney. Molti altri seguiranno.

Obama ha già votato Per la prima volta nella storia, usufruendo della normativa che in molti Stati oramai consente di votare anticipatamente rispetto al giorno convenuto, un candidato, Barack Obama nel caso, ha espresso il proprio voto in un seggio di Chicago, città dalla quale politicamente proviene.

26 ottobre: ancora nessuna certezza guardando ai sondaggi Oggi 26 ottobre, a pochi giorni oramai dal voto, numeri dei differenti sondaggi alla mano, gli analisti delineano una situazione pre-elettorale USA in cui le probabilità di vittoria tra Obama e lo sfidante repubblicano sono praticamente pari. A questa conclusione giunge il sondaggio di RealClear Politics che conteggia anche gli Stati indecisi e quelli non schierati, in cui le probabilità di vittoria dell’uno piuttosto che dell´altro sono identiche. In questo scenario, gli Stati decisivi sarebbero l´Iowa e l´Ohio, che potrebbero dare ad Obama rispettivamente sei e diciotto delegati. Mentre però il candidato democratico potrebbe sopportare un cambio di casacca dell´ultimo minuto da parte dell´Iowa, così non sarebbe per l´Ohio, che votando in maggioranza Romney farebbe pendere decisamente la bilancia a suo favore. 367 Anche per Romney esistono Stati incerti: la Florida propende per lui, ma con un vantaggio non decisivo, mentre i tredici voti elettorali della Virginia potrebbero andare altrettanto facilmente ad Obama quanto a Romney, decidendo così le sorti dei prossimi quattro anni americani.

Una campagna da due miliardi di dollari e passa E’ ufficiale: per la prima volta nella storia delle elezioni presidenziali americane le cifre raccolte dagli sfidanti a sostegno delle loro campagne hanno superato l’incredibile cifra di due miliardi di dollari. Quasi equamente distribuiti, peraltro, il che consente di poter affermare che non c’è qualcuno che si ‘compra’ la Casa Bianca. Certo è, comunque, che in futuro sarà necessario ricorrere a regole che in qualche modo o maniera influiscano sul contenimento delle spese, magari limitando il numero e la durata degli spot televisivi, dato che è proprio la tv la macchina mangiasoldi di maggiore voracità.

368 26 OTTOBRE 2012

Documenti

La dinastia dei Romney: il vero mito per Mitt è papà George, un articolo di Valerio Chiapparino per Meridiani Relazioni Internazionali

La campagna elettorale per le presidenziali americane è stata rappresentata in modo semplicistico dai democratici e dai media come uno scontro tra i difensori del ceto medio e quelli della classe milionaria. Secondo questa visione, il presidente uscente, l’afroamericano Barack Obama, è impegnato a sventare il tentativo da parte dei repubblicani di far approdare alla Casa Bianca, dopo i Bush, l’ultimo esponente di una delle dinastie politiche più celebri degli Stati Uniti, i Romney, il cui unico scopo sarebbe quello di tagliare le tasse ai ricchi. L’ostilità nei confronti di Mitt Romney, il candidato del partito dell’elefantino, comincia dal suo vero primo nome, Willard (da Willard Marriott, il magnate degli alberghi grande amico del padre). Una prova che tradisce la sua appartenenza per nascita all’esclusivo club che raccoglie l’uno per cento della popolazione a stelle e strisce. Romney sembra dunque essere un sinonimo di ricchezza, potere e successo. In pochi sanno però che questa famiglia, oggi famosa per le sterminate proprietà e i jet privati, in un tempo non poi così lontano era ben lungi dall’essere considerata benestante e men che meno parte integrante dell’establishment. Le radici della stirpe dell’esponente repubblicano s’intrecciano con quelle della Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni, il culto mormone fondato da Joseph Smith nella prima metà dell’Ottocento. E’ a Preston, una cittadina della Cumbria inglese scelta da Charles Dickens come ambientazione per il romanzo ‘Tempi Difficili’, che nel 1837 Miles Archibald Romney, un giovane carpentiere, sente parlare per la prima volta di questa confessione religiosa. Ne rimane così impressionato che decide di abbandonare il vecchio continente e raggiungere la terra del profeta Smith. In Illinois, dove Miles Archibald si stabilisce, nasce Miles Park, il bisnonno di Mitt Romney, che seguendo i dettami della Chiesa mormone sposa ben cinque mogli. Sia per sfuggire alla persecuzione delle autorità americane, contrarie alla poligamia, sia per continuare nell’opera di proselitismo negli Stati del West, Miles costringe la numerosa famiglia a continui spostamenti nello Utah, in Arizona e, infine, in Messico dove, a Colonia Juarez, fonda e gestisce una comunità rifugio per i suoi ‘fratelli’ perseguitati. Nel 1890 la leadership mormone si schiera contro la pratica della poligamia.

369 Gaskell, figlio del primo matrimonio di Miles, si uniforma alla nuova linea della Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni sposando un’unica moglie, Hannah Amelia Pratt, che dà alla luce George Wilcken, papà dell’attuale candidato repubblicano. Nel frattempo però la rivoluzione in Messico abbatte il regime di Porfirio Diaz e costringe i Romney, sotto tiro dei ribelli, ad abbandonare le loro proprietà e tornare negli Stati Uniti. George, allora bambino, non dimenticherà mai la precipitosa fuga dal suo paese natale a bordo di un treno stracolmo di profughi disperati . Tornati nello Utah, Gaskell subisce i rovesci della crisi del ’29 ma nel 1938 ottiene un risarcimento dal governo messicano. La metà della somma, all’incirca quattromilacinquecento dollari (una cifra allora non trascurabile), viene destinata, non a caso, al promettente George. Sarà lui a usare la somma per gettare le basi del suo successo nel mondo della grande industria e, in seguito, della politica. Dalle numerose citazioni nei suoi discorsi pubblici, si capisce che è papà George il vero eroe di Mitt Romney, una figura da cui ha ereditato tenacia, combattività e ambizione. Pur non avendo completato l’istruzione universitaria, George Wilken, arrivato in piena grande depressione a Washington con in tasca poco più di un quarto di dollaro, non fatica a trovare un lavoro come assistente presso gli uffici del Senato, prima, e lobbista per conto dell’Alcoa, poi. Negli anni del secondo dopoguerra, George scala i vertici di American Motors diventandone l’amministratore delegato e mettendo in produzione la Rambler, una vettura economica e compatta che tiene testa ai modelli ben più massicci delle Tre Sorelle di Detroit – Ford, General Motors e Chrysler. L’esperienza in American Motors si rivela un trampolino di lancio per la politica. La sua popolarità gli permette di ottenere, come candidato repubblicano, la carica di governatore dello Stato del Michigan, allora democratico sino al midollo, tra il 1963 e il 1968. George Romney diventa così negli anni Sessanta una figura di primo piano del Great Old Party. Il suo sostegno alla lotta per i diritti civili lo porta allo scontro alla Convention repubblicana del 1964 con il candidato Barry Goldwater, contrario a inserire tale tematica nel programma del partito, e con la leadership della Chiesa mormone (che all’epoca escludeva ancora dal sacerdozio gli afroamericani). Il successo nel Michigan lo spinge nel 1968 a tentare la corsa alla Casa Bianca. I sondaggi sono dalla sua parte, ma una sfortunata dichiarazione sulla guerra del Vietnam, da lui in un primo momento sostenuta e poi fortemente osteggiata, lo costringe da superfavorito a ritirarsi e a cedere il passo a Richard Nixon. Mitt Romney cresce all’ombra di una figura così imponente riuscendo, dopo gli studi nelle migliori università degli Stati Uniti e la permanenza di due anni in Francia da missionario mormone, a imboccare la propria strada. Mitt negli anni Ottanta e Novanta guida con successo Bain Capital, una società di private equity , e, ammaliato dalle sirene della politica, salva l’edizione dei giochi

370 olimpici invernali di Salt Lake City del 2002 e amministra tra il 2003 e il 2007 lo Stato del Massachusetts approvando una riforma sanitaria molto simile a quella varata da Obama nel corso del suo primo mandato. L’attuale candidato repubblicano alla presidenza, già sceso in campo nel 2008 e sconfitto dal Senatore dell’Arizona John McCain, stando alle ultime rilevazioni, sembra avere il vento in poppa, anche se c’è chi giura che a tormentarlo in queste notti di vigilia elettorale più che il carisma (per la verità un po’ appannato) del suo sfidante sia il fantasma di papà George e della sua sfortunata corsa alla Casa Bianca.

371 27 OTTOBRE 2012

Documenti

Possibile che Obama e Romney pareggino? di MdPR

A meno di dieci giorni dal fatidico 6 novembre, stando ai sondaggi degli istituti considerati maggiormente attendibili e tenendo conto delle opinioni degli osservatori e degli analisti, Barack Obama e Mitt Romney sono sostanzialmente alla pari. Il presidente è dato in vantaggio tra gli elettori che già hanno espresso il proprio suffragio negli Stati che consentono l’apertura di seggi prima del giorno stabilito. Il mormone è ritenuto il favorito a livello di voto popolare su base nazionale avendo preso il sopravvento in questo campo, seppur da poco tempo. Gli ‘swing States’ sono in parte pro Obama e in parte pro Romney, col candidato Gop che anche qui pare poter contare su un trend a lui favorevole. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che i due finiscano per conquistare lo stesso numero di delegati e quindi per pareggiare. E’ una possibilità decisamente remota quella che si ritrovino con duecentosessantanove delegati a testa, ma, appunto e comunque, una possibilità. Questa è la cinquantasettesima volta che gli americani eleggono il presidente e in una occasione il pareggio dei ‘voti elettorali’ si è già verificato. Correva l’anno 1800 e i candidati di rilievo erano addirittura cinque. Questo il risultato ufficiale: Thomas Jefferson settantatre (73) delegati Aaron Burr settantatre (73) delegati John Adams sessantacinque (65) delegati C. C. Pinckney sessantaquattro (64) delegati John Jay un (1) delegato Conseguentemente, la scelta dell’eletto, come prevedeva la Costituzione, venne demandata alla camera dei rappresentanti che solo alla trentaseiesima votazione, su impulso determinante dell’autorevole Alexander Hamilton, scelse Jefferson. Per inciso, quattro anni dopo, Burr, in conseguenza anche di ulteriori motivi di alterco, ucciderà in duello l’or ora citato Hamilton. Un precedente, come si vede, per lo meno poco simpatico.

Nota bene: la materia è oggi regolata dal XII Emendamento.

372 27 OTTOBRE 2012

Documenti

Romney-Obama, ecco la strada per la vittoria secondo i consiglieri, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa

A dieci giorni dall’Election Day le campagne di Barack Obama e Mitt Romney alza- no il velo sulla reciproca interpretazione dei dati che stanno accumulando. Rich Beeson, direttore politico di Romney, e Jim Messina, direttore di ‘Obama for America’, in audioconferenze parallele e concorrenti sullo ‘stato della sfida’ offrono versioni opposte di quanto sta avvenendo e di cosa avverrà. Ascoltare cosa dicono significa immergersi nella campagna elettorale più cara mai svoltasi negli Stati Uniti: la somma delle spese ha sfondato il tetto di due miliardi di dollari. Partiamo dal repubblicano Beeson. “La Florida è come un portaerei”, esordisce, una volta che si mette in movimento è assai difficile da fermare e oramai è in viaggio da almeno dieci giorni”. In concreto ciò significa che Romney considera la Florida acquisita, assieme alla North Carolina “dove probabilmente finiremo per vincere cinquantatre a quarantasette per cento”. L’Indiana è il terzo Stato repubblicano che votò per Obama nel 2008 ed ora Beeson conteggia senza esitazioni nella colonna di Romney. Passiamo dunque agli Stati “dove c’è parità assoluta”. Per Beeson sono Ohio, Virginia, Wisconsin, New Hampshire e Iowa. L’Ohio è di gran lunga il più importante. “Al momento siamo in pareggio, loro ci hanno gettato contro l’auto ma noi abbiamo il carbone, controllando un’area che da Youngstown scende lungo la valle di Maho- ning fino a Charleston e Huntington, ed alle miniere che stanno lì” spiega Beeson, parlando di “molti voti del carbone che dai democratici passano a noi” e prevedendo che “lo scontro decisivo per il controllo dell’Ohio sarà nella Franklin County”, la se- conda più popolosa dove sorge la capitale Columbus. Anche la Virginia è un campo di battaglia perché “Nella contee del Nord i democrati- ci tentano di portarci via le donne delle aree suburbane, ma resistiamo bene a Fairfax, Loudoun e Prince Williams. E da lì in giù, lungo Hampton Roads e Virginia Beach le difese di Obama stanno ce- dendo, proprio come avviene fra il ceto medio e gli impiegati di Richmond. Testa a testa anche in Wisconsin dove “faremo meglio a Madison, Milwaukee e Green Bay”, in New Hampshire “dove li abbiamo ripresi grazie all’arrivo dei nostri spot tv” e in Iowa “uno degli Stati che teniamo più a conquistare perché è da qui che Obama partì quattro anni fa per catturare la Casa Bianca”. Sul Colorado il consigliere di Romney si dice fiducioso ma tiene le carte coperte, li- mitandosi a dire che “ci sono diversi fattore che giocano contro Obama” mentre è il

373 Nevada lo Stato dove ammette “siamo indietro di due punti” pur contando sulla pos- sibilità di ripresa grazie alla “presenza di numerosi elettori conservatori e comunità di mormoni” che non andarono a votare per John McCain nel 2008 ma potrebbero farlo per Romney. Nel complesso dunque Beeson afferma che i repubblicani hanno già Florida, Indiana e North Carolina e lottano all’ultimo voto in Ohio, Virginia, Iowa, New Hampshire e Colorado, restando di poco indietro in Nevada. E’ una lettura della mappa elettorale molto favorevole a Mitt Romney perché, in base all’assegnazione dei voti da parte degli Stati, il quorum decisivo di duecentosettanta potrebbe essere raggiunto con diverse combinazioni, incluse alcune che consentireb- bero di rinunciare all’Ohio. Ecco perché Romney parla di “momento a noi favorevole”. Ascoltare Jim Messina significa immergersi in una lettura della sfida assai differente. Tanto per cominciare svela che “in Michigan, Pennsylvania e New Mexico Romney si è ritirato” rinunciando a investire risorse in Stati in bilico che considera già perduti. In secondo luogo l’accento è sugli “elettori che stanno già votando in Iowa, Nevada, Wisconsin e Ohio”. Per i democratici si tratta, tradizionalmente, di un quoziente decisivo del proprio elet- torato e Messina assicura che “l’affluenza dei nostri elettori sta andando meglio del 2008” quando McCain venne travolto con il cinquantatre per cento dei voti. Messina parla sulla base dei dati raccolti da ‘Obama for America’ nei singoli Stati, dove team di volontari spuntano nome dopo nome dalle liste dei potenziali elettori coloro che vanno a votare. In tempo reale i democratici sanno dunque quanti voti Obama sta accumulando. La differenza fra questi numeri e quelli del totale dell’affluenza anticipata consente di tracciare un primo bilancio della sfida con Romney. “In Iowa, Ohio e Wisconsin il presidente Obama è avanti di percentuali fra il quindici e il trentacinque per cento”. Sebbene sia vero che i repubblicani votano in massa nell’Election Day, si tratta di un distacco che consente a Messina una cauto ottimismo. La Florida inoltre non la dà affatto per perduta spiegando che “i repubblicani non fan- no i conti con un numero di votanti ispanici e afroamercani che sarà senza preceden- ti” ed è destinato a cambiare gli equilibri fra partiti. “Romney scommette sul fatto che afroamericani, ispanici e giovani voteranno meno per Obama rispetto a quattro anni fa”, osserva Messina, “ma è vero l’esatto contrario, se ne accorgeranno al momento della conta dei voti”. La previsione infatti è di “un’affluenza record in tutti gli Stati Uniti” grazie ad una mobilitazione senza precedenti delle minoranze. “Nel 2008 votarono centotrentuno milioni di americani, questa volta saranno di più” assicura Messina, che dedica le ultime battute alla North Carolina. E’ uno Stato dove ammette il recupero di forza dei repubblicani ma aggiunge: “Noi non ci ritiriamo, continuiamo a fare campagna per obbligare Mitt Romney a destinare risorse anche lì dove si sente più sicuro”.

374 28 OTTOBRE 2012

La marginalità dell’Europa: né Obama, né Romney ne parlano!

“Pare non gliene importi nulla!” Ecco cosa si deve rispondere alle domande “Ma Obama e Romney si interessano del Vecchio Continente? La loro linea politica tiene conto delle necessità o quantomeno dell’esistenza dell’Europa?” E invero, l’unica volta nella quale il candidato Gop, sollecitato da un giornalista, ha detto qualcosa sul tema è stato per affermare “Per l’Europa da presidente non intendo spendere neppure un centesimo!” Un continente, una comunità sociale ed economica ritenuta evidentemente del tutto marginale.

375 Aziende in campo: “Non votate per Obama!” Diverse grandi aziende Usa hanno inviato lettere o pacchetti informativi ai loro dipendenti per suggerire, e alcune volte consigliare esplicitamente, come votare alle presidenziali del prossimo 6 novembre. E’ quanto riporta oggi il ‘New York Times’ rivelando come in alcune di queste missive i dirigenti ammoniscano sul fatto che una rielezione di Barack Obama potrebbe danneggiare l'azienda per un aumento dei costi dovuto alla riforma sanitaria o per un aumento delle tasse, paventando così un rischio per l'occupazione. Il quotidiano americano ricorda che fino al 2010 la legge federale vietava alle aziende di usare fondi societari per sostenere e fare campagna per i candidati politici, e di suggerire ai dipendenti come votare, ma una sentenza della Corte suprema, ‘Citizen United’, ha eliminato tali divieti. Il ‘New York Times’ ricorda come sia stato lo stesso candidato repubblicano, Mitt Romney, a invitare gli imprenditori, in un incontro dello scorso giugno, a intervenire presso i propri dipendenti. “Spero chiariate ai vostri dipendenti quale sia l'interesse migliore per la vostra azienda e quindi per il loro lavoro e per il loro futuro nelle prossime elezioni”, disse il mormone nella conferenza organizzata dalla National Federation of Independent Business.

Il ‘’ appoggia Obama che perde tra i giovani rispetto al 2008 Cuore e batticuore. Nel mentre il ‘Chicago Tribune’, quotidiano ovviamente della ‘sua’ Chicago,dichiara il suo endorsement a favore del presidente candidato, una rilevazione dell’istituto Gallup precisa che, rispetto al 2008, lo stesso ha perso il venti per cento dei sostenitori nella fascia giovane, quella che va dai diciotto ai ventinove anni. Non che sia oggi da questo punto di vista in minoranza: è ancora un buon cinquantotto per cento dei ragazzi a seguirlo ma quattro anni orsono lo preferivano a McCain al settantotto per cento.

376 28 OTTOBRE 2012

Documenti

Testa a testa: i precedenti ricordando che è possibile vincere perdendo, di MdPR

Lo ripeto: gli Stati Uniti d’America sono uno Stato federale e quel che conta per l’elezione del presidente non è il voto popolare a livello nazionale ma i suffragi conquistati dai candidati nei singoli Stati. E’ vincendo in Texas che si ottengono tutti i delegati ai quali ha diritto lo Stato della stella solitaria. Allo stesso modo, vincendo nel New York, in California, in Alabama e via elencando dato che tutti i membri dell’Unione - con l’eccezione del Nebraska e del Maine (che hanno deciso di utilizzare un diverso meccanismo che prevede la divisione del territorio statale in tante circoscrizioni quanti sono i delegati da nominare) - hanno adottato il sistema ‘winner take all’ che comporta, appunto, l’attribuzione dei voti elettorali al candidato che prevale nel singolo Stato per voti popolari.

Ecco tutte le occasioni nelle quali, dopo una corsa conclusasi sul filo di lana, alla Casa Bianca è approdato il perdente per suffragi nazionali: 1824 – Andrew Jackson conquista novantanove delegati contro gli ottantaquattro di John Quincy Adams ma non raggiunge il quorum del cinquanta per cento virgola uno dei voti elettorali in palio. Sconfigge J. Q. Adams anche in termini di voti popolari a livello nazionale ma, come altrove ricordato, la camera dei rappresentanti gli preferisce il rivale. 1876 – Il repubblicano Rutherford Hayes perde quanto a voti popolari ma sconfigge il democratico Samuel Tilden per un solo delegato di maggioranza. 1888 – L’uscente Grover Cleveland si vede detronizzare dal rivale Benjamin Harrison pur superandolo in voti popolari. Caso unico nella storia, tornerà a White House quattro anni dopo. 2000 – George Walker Bush è, per ora, l’ultimo ad arrivare allo scranno presidenziale seguendo questo particolare iter. Il rivale era il democratico Al Gore

A ben vedere, in molte altre circostanze, l’eletto ha avuto invero meno voti dei contendenti. E’ accaduto allorquando i candidati di rilievo in lizza erano in un numero superiore a due la qual cosa ha consentito al vincitore di conquistare il maggior quantitativo di voti elettorali essendosi invece divisa tra gli altri contendenti la maggioranza dei suffragi. Un caso specifico per capirci: 1860 – Il repubblicano Abraham Lincoln prende 1.865.593 voti popolari a livello nazionale. Il secondo, Stephen Douglas ne conquista 1.382.713. Il terzo in

377 graduatoria John Breckinridge ne ottiene 848.356. Un quarto candidato, John Bell, 592.906. Come si vede, Lincoln è nettamente sconfitto sul piano nazionale (quasi novecentosessantamila suffragi in meno del totale dei rivali) ma vince gli Stati conquistandone i delegati mentre gli avversari frantumano e disperdono il voto della maggioranza degli elettori.

Alla stregua di Lincoln, altri e per ultimo Bill Clinton sia nel 1992 che nel 1996. Sconfisse dapprima l’uscente George Herbert Bush e poi Bob Dole. In entrambi i casi, terzo incomodo era Ross Perot, mentre nel 1996 a lui si aggiunsero Ralph Nader ed altri candidati minori raggiungendo in totale tutti costoro la maggioranza dei votanti.

378 29 OTTOBRE 2012

Documenti

USA 2012, e adesso pubblicità: sfida tra Obama e Romney a tutto schermo, un articolo di Vincenzo Leone per Meridiani Relazioni Internazionali

Secondo il politologo Ted Brader, la gente vota per il candidato che suscita i giusti sentimenti, non per quello che presenta gli argomenti migliori. In campagna elettorale questa alchimia tra simbolismo e passione riduce la propaganda politica a pochi secondi, quanto basta per rimanere incollati alla tv a guardare uno spot. In principio fu Dwight “Ike” Eisenhower, nel 1952. Ike fu il primo a trasmettere uno spot elettorale negli Stati Uniti, con una serie di filmati intitolati ‘Eisenhower risponde all’America’, e di lì a poco lanciò anche il tormentone “I like Ike”. Per tradurre immagini e suoni in consenso politico il partito repubblicano si affidò a Rosser Reeves, il migliore su piazza. Colui che, per intenderci, creò il mito pubblicitario delle M&M’s. Fino ad allora la propaganda elettorale si basava su un unico format preconfezionato della durata di mezz’ora. Questa ricetta fu la preferita dai democratici, che non vedevano di buona lena la novità degli spot ma si affidavano ancora all’aurea istituzionale del sermone politico. La compagine democratica per bocca di Stevenson accusò i repubblicani di “vendere candidati come saponette, dentifricio all’ammoniaca, lacca per capelli, gomma da masticare”. Salvo poi, quattro anni dopo, ripensarci e uniformarsi alle leggi dello spettacolo. Sessanta anni dopo, sugli schermi televisivi si combatte ancora una buona parte della battaglia politica. Un’attenzione tradotta nell’evidenza dei numeri, che ci mostrano come nel solo mese di settembre l’entourage di Obama abbia stanziato ottantanove milioni di dollari (contro i quasi trentasette di Romney) per mandare in onda gli spot. In questi giorni ci sono decine e decine di spot che passano in ‘ heavy rotation’ sui network commerciali negli Stati Uniti, in vista delle elezioni del 6 novembre. Lo snodo centrale da capire, come afferma il consigliere delle campagne democratiche Drew Westen, è che la persuasione politica è una questione di reti e racconti.

La carta del patriottismo Romney: i repubblicani tentano di strappare la bandiera ai democratici, con uno spot che punta tutto sul simbolo dell’orgoglio americano.

379 Due minuti e mezzo in cui si mescolano racconti e speranze, con la bandiera che campeggia orgogliosa tra una ripresa e l’altra. Ricorda molto il linguaggio visivo della propaganda di Ronald Reagan, a cui Romney è stato spesso rapportato durante la campagna elettorale. Obama: i democratici affidano la loro visione patriottica del mondo e della società alle parole di Obama, un leader forte che crede ancora nell’America come ‘land of opportunity’ per tutti, non solo per pochi. I continui riferimenti al ‘noi’ attivano inconsciamente la rete che collega lo spot alla più classica delle espressioni patriottiche, il ‘we the people’ sancito dal preambolo della Costituzione degli Stati Uniti.

La credibilità Romney: lo spot dal titolo ‘Possiamo credergli?’ è un attacco frontale alle politiche di Obama in materia di sicurezza e difesa. Si punta a far passare il ‘frame’ del personaggio inaffidabile e che non mantiene la parola data durante la campagna elettorale. Si attivano molteplici rimandi inconsci ritmati dalla cadenza della musica in sottofondo, fino ad arrivare ad imprimere il messaggio su sfondo nero: “Dice una cosa. Ne fa un’altra”. Obama: l’attacco qui è al linguaggio utilizzato negli spot di Romney, in contraddizione con quello che pensa il candidato repubblicano. Con una serie di interventi montati in sequenza, passa il messaggio che “non importa quello che dicono gli spot di Romney” perchè “noi sappiamo quello che farà”. Gli elementi di sfondo la fanno da padrone, con suoni e immagini che rendono cupa la narrazione, in netto contrasto con l’immagine finale di Obama che “approva il messaggio” con la tipica chiusura.

Swing States Romney: il candidato repubblicano si mette in maniche di camicia, appare affabile e vicino alla gente. Nello specifico alla gente dell’Ohio, lo Stato in bilico per eccellenza. Il suo programma mira a creare dodici milioni di nuovi posti di lavoro. La chiusura dello spot riprende lo slogan ricorrente della campagna in cui si paventa la possibilità di un altro mandato per Obama che “non possiamo affrontare”. Obama: “ Mitt Romney non è uno di noi”. Sullo sfondo, la sagoma dello Stato dell’Ohio, che lo spot tende a far proprio con il meccanismo della contrapposizione. Non si può abbandonare Detroit – e tutta la Rust Belt – alla bancarotta come invece detto da Romney. A sostegno delle immagini appare un virgolettato del ‘New York Times’, e annessa dichiarazione balbettante del candidato repubblicano durante un’intervista. E un uomo si interroga: “come ha potuto dire una cosa del genere?”

380

Screditare l’avversario Romney: i repubblicani puntano dritti a screditare le speranze disattese dal primo mandato di Obama. Per farlo si affidano ai giovani, traditi dagli slogan che hanno reso celebre Obama, uno su tutti ‘yes we can’. “Non ho votato per questo”, ripete un ragazzo nello spot. Quello di cui abbiamo bisogno è un progetto per il futuro, quindi – traduce lo spot con abile parafrasi – di Mitt Romney. Obama: più che uno spot politico sembra uno sketch alla David Letterman. Uno degli spot tecnicamente più riusciti, perché con abile ironia il jingle ridondante e la grafica accattivante demolisce la credibilità dell’avversario in materia di politica estera. Il tutto con l’arma retorica della semplificazione: in “cinque semplici passaggi”, questo è il meccanismo per riprendere le celebri gaffes di Romney. C’è anche spazio per mitizzare nello sfondo Obama, che esce rinfrancato dalla celebre battuta “Can you say it a little louder, Candy?” con tanto di fermo immagine sulla maschera di imbarazzo di Romney. E ad infierire Colin Powell che esorta: “come on Mitt, think!”

Slogan Romney: rinfrancato dalla vittoria nel primo dibattito, Romney lancia il suo slogan in versione trailer cinematografico, alternando la narrazione modello ‘talking heads’ con il suo intervento da studio a quella fatta di immagini veloci dell’America che vive la vita di tutti i giorni. Ne affida l’enfasi ai primi piani di comuni cittadini, sguardi frustrati e facce cupe. Da scongiurare, la prospettiva di “affrontare altri quattro anni come gli ultimi”. Obama: dopo il fortunato ‘yes we can’ della campagna precedente, Obama stavolta sceglie di tracciare una linea di continuità, guardando al futuro e nello specifico ‘forward’, avanti. Lo spot che riassume il suo impegno per altri quattro anni alla Casa Bianca ha la forma del racconto. La tecnica elettorale è quella del ‘going public’: si delinea un profilo che vede Obama vicino agli americani che vivono ancora gli effetti di una crisi iniziata “prima dell’insediamento del presidente”. Si cita Reagan nel passaggio in cui si diffida dal credere “a chi dice che i giorni migliori sono ormai passati”, e in materia di difesa l’immagine sfuocata di Bin Laden “assicurato alla giustizia” viene accompagnata dai proclami agli eroi di guerra e al ritiro dall’Iraq. L’immagine simbolo è quella della bambina che riabbraccia il padre tornato dal fronte, a cui segue un inno alla speranza di una middle class di nuovo protagonista che torna a farsi il nodo alla cravatta e a rimboccarsi le maniche.

381 La battaglia politica tra repubblicani e democratici si compone di sottili rimandi alternati a sfrontati colpi bassi. Spot diversi, testimonial diversi, ma narrazioni che convergono nella retorica ad effetto verso un identico obiettivo: convincere che il proprio prodotto (politico) sia migliore dell’altro. A cambiare è l’etichetta, proprio come tra una pepsi e una coca cola. Ma non è più tempo per gli indecisi. Come detto dal presidente Obama a Boca Raton, “avete ascoltato tre dibattiti, mesi di campagna elettorale e troppi spot televisivi. Adesso dovete scegliere”.

382 29 OTTOBRE 2012

Documenti

Romney-Obama, quale America sarà? Un articolo di Paolo Alfieri per Avvenire

Scegliere l’uno o l’altro non è indifferente: Barack Obama e Mitt Romney offrono al popolo americano ricette diametralmente opposte. Negli ultimi anni molti analisti hanno evidenziato la crescente polarizzazione della politica Usa, tanto che qualcuno si è chiesto come sia possibile che elettori di schieramenti e idee così diverse riescano poi nella vita di tutti i giorni a convivere, lavorare, in due parole a ‘essere comunità’. La risposta è rintracciabile nell’anima stessa di un Paese che ha sempre saputo unirsi nei momenti di difficoltà: ne sono prova, in un momento di grave crisi economica come quello attuale, la miriade di iniziative benefiche che puntano a “non lasciare nessuno indietro”. Certo è che, chiunque tra Obama e Romney vinca il 6 novembre, avrà come primo obiettivo quello del risanamento dei conti pubblici. La spada di Damocle si chiama ‘fiscal cliff’, il ‘precipizio fiscale’: a fine anno scadranno gli incentivi fiscali introdotti nell’era Bush e si dovrà trovare un accordo sul tetto al debito statunitense, per evitare tagli automatici alle spese e aumenti delle tasse. A rischio c’è la crescita americana del prossimo anno e, nel peggiore dei casi, l’ipotesi di una nuova recessione. E a quel punto, Obama o Romney che sia, l’America si troverebbe immersa in un incubo ben peggiore di quello attuale.

Romney vuole la privatizzazione del programma Medicare, l’assistenza pubblica per gli over sessantacinque, per ridurre la spesa di oltre cinquemila miliardi di dollari. L’idea è di sostituire il Medicare con un assegno annuale in cifra fissa, lasciando liberi i cittadini di scegliere fra compagnie private e servizio pubblico. Se i costi però superano il valore del voucher, la differenza esce dalle loro tasche. Il repubblicano promette inoltre l’abolizione dell’Obamacare, la riforma sanitaria varata da Obama nel 2010, anche se ne apprezza alcuni tratti, come l’obbligo di fornire una polizza a prescindere dalle condizioni di salute del cliente. Romney vuole inoltre affidare totalmente Medicaid, il programma di assistenza per i poveri, ai singoli Stati. Sul tema dell’immigrazione, il milionario propone la lotta dura ai clandestini, la difesa dei confini con il Messico e appoggia la legge anti-clandestini dell’Arizona. Secondo il premio Nobel per l’Economia Robert Stiglitz, “le conseguenze macroeconomiche del programma economico devastante di Romney-Ryan sarebbero il rallentamento della crescita, l’aumento della disoccupazione, e proprio quando gli

383 americani avrebbero bisogno di maggior protezione sociale, l’indebolimento del welfare”.

Il candidato repubblicano Romney è fermamente contrario alle nozze gay e si schiera per il Marriage Act, la legge che difende la famiglia tradizionale con il matrimonio tra uomo e donna. I conservatori vogliono anche cancellare dall’assistenza medica le spese per i contraccettivi. Secco no al diritto di aborto, mentre in passato lo sosteneva: un dietrofront che ha procurato al repubblicano le critiche di chi lo ritiene un ‘flip flop’, un voltafaccia. Recentemente Romney ha comunque assicurato al ‘Des Moines Register’ di “non voler modificare” la legge che negli Usa garantisce la libertà di scelta: “Non c’è alcuna legge riguardo l’aborto, di cui sia a conoscenza, che entrerà a far parte della mia agenda”, ha detto. Se le norme sull’interruzione di gravidanza non saranno toccate, tuttavia il milionario mormone ha preannunciato che, se eletto, ripristinerà, mediante ordine esecutivo, il divieto di fondi federali alle organizzazioni no-profit che aiutano le donne ad abortire in altri Paesi (la controversa Mexico City Policy, a cui Obama mise fine nei primi giorni della sua presidenza, nel gennaio 2009).

Lo sfidante del Grand Old Party sostiene con forza Israele e contesta la politica di Obama nei confronti di Teheran, accusando il presidente di essere troppo debole. Debolezza che viene rinfacciata al presidente anche in merito alla questione della crisi siriana. Per quanto riguarda la Cina, Romney è pronto ad adottare “appena insediato alla Casa Bianca” il discusso documento che potrebbe etichettare formalmente Pechino come manipolatore di valuta, facendo scattare diverse sanzioni sui prodotti cinesi. Nel secondo dibattito tv con Obama, Romney ha accusato la Cina di giocare “fuori dalle regole manipolando la sua valuta”, in riferimento alle politiche di svalutazione dello yuan che causerebbero disoccupazione negli Usa. Secondo Robert Scott, esperto di commercio e industria per l’Economic Policy Institute, il deficit commerciale degli Usa con la Cina è costato agli americani due virgola otto milioni di posti di lavoro tra il 2001 e il 2010. Per contro, stando a una ricerca della Fed di San Francisco, per ogni dollaro speso per un oggetto marchiato ‘made in China’, circa cinquantacinque centesimi vanno a servizi prodotti negli Stati Uniti, come le compagnie di trasporto e i rivenditori.

Obama difende la riforma sanitaria del 2010: la sanità deve essere per tutti e tutti devono potersela permettere. No a tagli al Medicare e al Medicaid, i programmi di assistenza pubblica per gli over sessantacinque e i più poveri. Il costo dei due programmi calerebbe comunque di duecenotrenta miliardi di dollari grazie alla modifica dei finanziamenti agli ospedali e all’aumento dei contributi dei più ricchi.

384 Obama è per la parità dei diritti uomo-donna, soprattutto in termini di trattamento salariale. Riguardo all’immigrazione, il leader democratico è per un’ampia riforma. Il partito democratico fa riferimento al Dream Act, che consente ai bambini di genitori immigrati senza documenti regolari di acquisire uno status legale se vanno al college o entrano nell’Esercito. Secondo un report del think tank Center for American Progress, il Dream Act garantirebbe in due decenni all’economia nazionale trecentoventinove miliardi di dollari e unmilione e quattrocentomila posti di lavoro in più, grazie alla migliore scolarizzazione dei giovani immigrati. Secco il no di Obama alla legge anti-clandestini dell’Arizona bloccata in parte della Corte Suprema, che permette di controllare un passante solo sulla base del suo viso o del suo accento straniero.

Obama punta ad abolire la legge federale che riconosce solo i matrimoni eterosessuali ed apre quindi alle nozze gay. Per quanto riguarda l’aborto, grosse critiche sono giunte a Obama nei mesi scorsi dalla Conferenza episcopale statunitense sulla questione dell’imposizione alle dipendenti delle istituzioni cattoliche della copertura sanitaria per la contraccezione (“inclusa quella che spinge all’aborto”), misura compresa nella riforma sanitaria Obamacare. I cambiamenti annunciati dall’Amministrazione Obama prevedono di liberare le istituzioni religiose – quali università e ospedali cattolici – dall’obbligo di offrire le contestate coperture sanitarie, imponendo tale peso sulle stesse assicurazioni. Ma così facendo, hanno fatto notare i vescovi statunitensi, viene comunque mantenuto un obbligo assicurativo su questioni che attengono alla libertà di coscienza dell’individuo. Inoltre, lavoratori religiosi autonomi e compagnie assicurative cattoliche non verrebbero esentati da tali procedure. Secondo Nancy Keenan, presidente dell’organizzazione pro-aborto Naral, il partito democratico ha ultimamente “abbracciato il diritto all’aborto fino a un grado mai visto prima”.

Il presidente Obama difende un approccio multilaterale e vede un’America in stretto contatto con l’Onu sulle crisi locali. Sì alle sanzioni adottate nei confronti dell’Iran perché, secondo l’Amministrazione democratica, stanno funzionando. In un eventuale secondo mandato verrebbe gradualmente completato il ritiro dall’Afghanistan. Obama non ha fatto mancare più volte il suo sostegno a Israele, ma non ha risparmiato critiche alle autorità israeliane sulla questione degli insediamenti e il rapporto tra i due Paesi è oggi più freddo, anche se la diffidenza viene mascherata dalle dichiarazioni ufficiali.

385 Sui rapporti con Mosca, Obama ha rinfacciato a Romney di aver definito la Russia “la più seria minaccia geopolitica” per gli Usa. Grande attenzione viene posta dall’Amministrazione democratica agli equilibri nel Pacifico, e soprattutto l’ascesa della Cina. Il presidente ha però rimandato a dopo le elezioni l’approvazione di un discusso documento che potrebbe etichettare formalmente la Cina come manipolatore di valuta, facendo scattare diverse sanzioni sui prodotti cinesi.

386 Rasmussen dà Romney in vantaggio in Ohio! Per la prima volta dall’inizio della corsa verso White House, un autorevole istituto di rilevazioni statistiche afferma che in un sondaggio, condotto il 28 ottobre e quindi fresco fresco, in Ohio Mitt Romney ha superato nelle intenzioni di voto Barack Obama. Esattamente, il cinquanta per cento a favore del mormone contro il quarantotto che intenderebbe rinnovare la fiducia al presidente. Si tratta, se confermata, di una svolta che si deve definire importantissima e forse decisiva (se confermata, ripeto. Come ognun sa, difatti, nessun repubblicano ha mai vinto se non conquistando l’Ohio.

Colpi e contraccolpi: reciproci attacchi Ogni argomento è buono, ovviamente direi visto che il traguardo è davvero vicino, per dirsele di santa ragione. Ecco i repubblicani a proposito della crisi dell’automobile: “Obama ha portato Chrysler e GM alla bancarotta, ha ceduto Chrysler agli italiani che produrranno le Jeep in Cina. Romney invece lotterà per ogni singolo posto di lavoro in USA. Chi farà di più per l’industria automobilistica?” Ricambia lo schieratissimo (a favore di Obama) ‘New York Times’ che, facendo riferimento all’uragano Sandy che ha appena lasciato la Grande Mela lasciandosi alle spalle morti e rovine, critica aspramente Romney per avere di recente proposto l’eliminazione della Fema (la protezione civile USA) sostenendo che sia opportuno che del tema non si occupi in futuro il governo ma se ne facciano carico i singoli Stati. Colpi e contraccolpi!

‘Effetto Sandy’: Obama e Romney fanno a gara per dimostrarsi impegnati a riparare i danni prodotti dal ciclone. Demagogia? Con Barack Obama da due giorni a Washington a coordinare la risposta all'emergenza Sandy, Mitt Romney in Ohio trasforma la sua campagna in un centro di raccolta di aiuti per le popolazioni colpite dall'uragano. “Noi abbiamo il cuore pesante pensando a tutte le sofferenze che si stanno vivendo nella maggior parte del Paese. Molte persone questa mattina si trovano in una situazione difficile”, ha detto il candidato repubblicano mentre preparava con i suoi sostenitori pacchi di cibo ed altri generi di prima necessità. Insomma, ad una settimana esatta dal voto, continua ad essere bloccata la campagna elettorale.

387 Barack Obama ha annunciato che anche domani rimarrà a Washington rinunciando ad una prevista manifestazione elettorale in Ohio, lo Stato che secondo tutti gli osservatori potrà decidere le sorti del duello per la Casa Bianca. Duello che gli ultimi sondaggi continuato a descrivere come un accanito testa a testa. A proposito di sondaggi, l'istituto Gallup oggi ha annunciato che, per il secondo giorno consecutivo, non pubblicherà il suo poll quotidiano sull'andamento della campagna “a causa degli effetti ancora in corso dell'uragano Sandy”.

388 30 OTTOBRE 2012 Il sorprendente sondaggio Gallup tra chi ha già votato: Romney stacca Obama di sei punti. Aumentano i repubblicani alle urne, calano i democratici (!?) Le notizie che seguono – riprese pari pari dalle agenzie - contrastano assolutamente con tutte quelle precedentemente diffuse dagli istituti di rilevazione statistica impegnati sul campo a proposito del cosiddetto ‘early vote’ consentito in diversi Stati dell’Unione. Vanno prese con le pinze. Se le risultanze riportate in merito anche al numero di votanti in aumento dei Gop e in diminuzione dei democratici saranno confermate, il mormone vincerà nettamente. Del resto, Gallup da giorni e giorni parla proprio di un Mitt Romney vincente.

“E’ uscito il primo sondaggio Gallup tra chi ha già votato, una fetta di americani che sarebbe il quindici per cento dell’elettorato: Romney ne esce vincente per sette punti, con il cinquantadue per cento contro il quarantacinque di Obama. E’ un esito che rafforza il vantaggio dell’ultimo sondaggio nazionale, sempre di Gallup, che conferma il cinquantuno per Mitt contro il quarantasei per Barack. Secondo Gallup, nelle prossime elezioni, si dovrebbe anche verificare una partecipazione di repubblicani al voto più alta di tre punti percentuali dei democratici, mentre nel 2008 furono più numerosi i democratici. Tra coloro che non hanno ancora votato ma intendono farlo prima del 6 novembre (nei molti Stati in cui ciò è possibile) ci sarebbe però, ad oggi, ancora una parità. Romney avrebbe un percorso (quasi) proibitivo alla vittoria se non conquistasse però l’Ohio. E’ lo Stato che ha tutti gli occhi addosso perché la tradizione dice che nessuno del Gop ha mai vinto la Casa Bianca senza l’Ohio. Per il sondaggista Rassmussen, tra i probabili votanti in Ohio, per la prima volta Romney è davanti cinquanta a quarantotto (i due erano pari una settimana fa). Altre rilevazioni sono però favorevoli ad Obama, mentre un sondaggio locale vede primo Mitt. In sostanza la partita è ancora aperta, anche se c’è un altro dato che fa sorridere i repubblicani. Sempre per Gallup, infatti, i registrati democratici che hanno votato finora in Ohio sono in numero inferiore (duecentoventimila meno) di quelli che lo avevano fatto, per Obama, nel 2008. Rispetto ai repubblicani registrati che diedero il voto a McCain quattro anni fa, al contrario, stavolta i pre-votanti pro Romney sono stati trentamila in più. Ciò rappresenta uno scarto di duecentocinquantamila voti a favore di Romney, soltanto diecimila in meno del vantaggio che ebbe Obama quattro anni fa, pari a duecentosessantamila, nel conteggio finale dei voti.

389 Infine, e sempre oggi, il bipartisan Battleground Poll ha lanciato la sua prima proiezione sul risultato finale: e a vincere sarebbe Romney per cinquantadue per cento a quarantasette. In questo stesso sondaggio, il repubblicano risulta davanti, per cinquantadue a quarantacinque, nella categoria degli ‘elettori della classe media’, sui quali Obama aveva fatto una campagna molto aggressiva bollando Romney come candidato dei ‘ricchi’. Dovesse aver ragione il Battleground Poll, affiliato con Politico.com e con la George Washington University e condotto da Ed Goeas (repubblicano) del Tarrance Group e da Celinda Lake (democratica) del Lake Reasearch Partners, i cinque punti di distacco a livello nazionale potrebbero consegnare al GOP il controllo anche del Senato, oltre a quello della Camera che viene dato per scontato”.

390 Il peso del fattore razziale Ecco l’opinione di Larry Sabato a proposito dell’impatto che sulle elezioni 2012 avrà il fattore razziale. Sabato è il direttore del ‘Center of Politics’ dell’Università della Virginia. “Nel 2008 Obama vinse con il voto dell’ottanta per cento degli elettori non-bianchi e appena il quarantatre per cento dei bianchi. Quest’anno voterà per lui la stessa percentuale di non-bianchi, ma il sostegno dei bianchi nei suoi confronti è precipitato. Se i voti dei non-bianchi non aumentano, per lui sarà dura”.

Gallup a favore di Romney anche per quanto riguarda i dibattiti tv Gli americani sono divisi su chi abbia vinto nel complesso i tre duelli tv tra Barack Obama e Mitt Romney. Ma secondo Gallup é lo sfidante repubblicano ad essersi aggiudicato nel complesso il confronto. Lo penserebbe il quarantasei per cento degli elettori, mentre per il quarantaquattro alla fine ha prevalso il presidente. Rammento che in media la stampa Usa ha concordato che il primo dibattito del 3 ottobre se loé aggiudicato ampiamente Romney perché Obama é apparso dimesso e stanco. Gli altri due (il 16 e 22 ottobre), sempre seconndo i media, sono stati conquistati, ma solo ai punti senza il colpo del ko, da Obama.

391 1 NOVEMBRE 2012

Alberto Alesina sul Corriere della Sera e Valerio Chiapparino su Meridiani Relazioni Internazionali intervengono a proposito della distorta considerazione della gran parte dei media in merito alla candidatura di Mitt Romney e in genere delle posizioni politico/sociali/economiche dei repubblicani

Sul Corriere della Sera del 31 ottobre, il professor Alberto Alesina, già capo del dipartimento di economia dell’università di Harvard, in un lungo, complesso e argomentato articolo dedicato a Romney e al ‘modello americano’ che il mormone incarna, scrive: “A giudicare da come la gran parte dei media italiani sta coprendo la campagna elettorale americana, gli unici elettori di Romney sarebbero: il ‘famoso’, ricchissimo uno per cento della popolazione, i razzisti che non vogliono un presidente di colore e i fanatici religiosi. Invece, tutte le persone ‘normali’ e oneste voterebbero Obama. Ergo, all’incirca il cinquanta per cento degli americani (dai i sondaggi di sostanziale parità tra i due) sono ricchissimi, fanatici estremisti o razzisti. Non è vero. La stragrande maggioranza degli elettori di Romney fa parte della classe media moderata che vorrebbe ristabilire quell’eccezionalismo americano basato su tasse relativamente basse, su un governo leggero e su un welfare snello e meno discorsivo. Una classe media e anche medio bassa che non crede nell’assistenzialismo ma nell’individuo che ce la deve fare da solo, nel privato il massimo possibile… A torto o a ragione, una buona parte di americani non vuole seguire la strada europea (che percorre Obama) che, come vediamo a nostre spese, non sempre ha avuto successo. E’ questo su cui si giocano le elezioni: un’America diretta verso uno Stato sociale onnipresente stile europeo o un’America che ritorna al suo modello liberista…” E’ possibile dare torto o ragione a quanti la pensano come Romney, continua Alesina, “ma non sono pazzi estremisti come parrebbe da certa stampa europea” per concludere con queste parole: “…smettiamola di descrivere questa elezioni come una guerra santa tra il ‘Bene’, Obama, il ‘Male’, Romney. Chi lo fa non Capisce l’America!”

Coerente per molti versi con l’intervento del professore di Harvard, l’articolo proposto su Meridiani Relazioni Internazionali da Valerio Chiapparino che, concentrandosi in particolare sui media USA, scrive: “Fin dall’apertura dei caucus in Iowa, Mitt Romney è stato descritto come il peggior candidato repubblicano dal 1964, anno in cui Barry Goldwater subì una cocente sconfitta conquistando solo sei Stati. Una considerazione confermata dalle numerose gaffe dell’ex governatore del Massachusetts…

392 Per mesi è sembrato che il vero avversario del presidente Barack Obama sarebbero stati la disoccupazione e i bollettini mensili che il Bureau of Labor Statistics avrebbe rilasciato fino all’election day. Di qui il grande stupore per quanto si è consumato durante il dibattito presidenziale del 3 ottobre all’università di Denver. In questa occasione un Obama in scarsa forma ha mandato in frantumi una parte consistente del suo capitale politico deprimendo i sondaggi negli ‘swing States’. Com’è possibile che una singola deludente performance televisiva – riparata solo in parte dai successivi dibattiti – possa aver fatto tracollare dalla sera alla mattina le preferenze degli elettori per l’inquilino al 1600 di Pennsylvania Avenue? Com’è possibile che un candidato repubblicano ritenuto così debole sia riuscito a restringere la forbice che lo separava dall’avversario superandolo, addirittura, in alcuni casi? Il ribaltamento, solo in apparenza inaspettato, delle sorti del candidato democratico ha più a che fare con la condotta dei mezzi di comunicazione che con quella dello stesso presidente. Il “collegio elettorale” costituito dai mass media ha infatti scelto fin dall’inizio della competizione di andare ben oltre l’endorsement ufficiale e di ‘votare’ per Obama. Si è soffermato più di frequente sulle fragilità dell’avversario che sul diffuso sentimento di disillusione popolare nei confronti della Casa Bianca a guida democratica e delle risposte da essa adottate per contrastare la crisi economica. Una copertura politica poco obiettiva da parte dei mezzi di comunicazione ha generato due effetti. Da una parte si è inasprito il tono del confronto tra schieramenti opposti, approfondendo la distanza tra elettori ‘rossi’ ed elettori ‘blu’; dall’altra i sostenitori di Romney in pectore (tra cui molti che nel 2008 votarono per Obama), spesso descritti in tv e sui giornali come ignoranti, bigotti e razzisti, hanno evitato di dichiarare esplicitamente agli operatori delle case di sondaggi il proprio appoggio all’ex governatore. Il dibattito in Colorado e il successivo diluvio di critiche degli stessi media al presidente ha restituito a tanti elettori l’orgoglio di sostenere un candidato dipinto come un rappresentante dell’uno per cento della popolazione più ricca del Paese. In questo senso l’esito del duello di Denver è destinato con tutta probabilità a essere ricordato come l’‘October surprise’ dell’attuale competizione presidenziale, il ‘game changer’ tanto temuto da entrambi gli schieramenti politici. Più che di un vero colpo di scena in senso stretto, esso registra dagli ‘opinion polls’ una tendenza già in atto da tempo che non è stata né raccontata né tantomeno esaminata a fondo. I mass media a stelle e strisce, spesso celebrati per la capacità di azzannare senza tregua il polpaccio del potente di turno, negli ultimi tempi hanno commesso un grave errore non rendendo all’opinione pubblica un servizio all’altezza della loro tradizione. Rischiano di pagarne il prezzo quando la mattina del 7 novembre, a urne chiuse, potrebbero scoprire di essere rimasti i soli a tifare ancora per Obama”.

393 Romney ricomincia dalla Florida, parla dell’uragano e invita a donare denaro per i sinistrati Dopo i due giorni di stop imposti dal ciclone ‘Sandy’, la campagna elettorale di Mitt Romney è ripresa dalla Florida. Stato fondamentale, perché assegna ventinove grandi elettori. Nella conferenza tenuta a Tampa, gli eventi degli ultimi giorn hanno inevitabilmente avuto rilievo. “Come sapete”, ha detto il mormone,“gran parte del Paese ha subito un forte trauma. Di un tipo che in Florida avete sperimentato più di una volta. È interessante”, ha proseguito, “ vedere come la gente sappia unirsi in circostanze del genere. Persone di ogni parte si fanno avanti per offrire un contributo. Occorre sostenere la Croce Rossa. Quindi, per favore, se avete uno o due dollari che vi avanzano, donateli alle persone in difficoltà, che sono state colpite personalmente o nei loro averi. E tenetele nei vostri pensieri e nelle vostre preghiere”. Romney è in vantaggio in Florida, ma Obama non si rassegna e ha mandato Joe Biden a contrastare l’avanzata del rivale.

Endorsement di Bloomberg per Obama Barack Obama incassa inopinatamente l’appoggio di Michael Bloomberg. Nell'annunciare il proprio sostegno, il sindaco di New York cita il cambiamento climatico come motivazione principale, insieme ai diritti delle donne e dei gay. Bloomberg è estremamente popolare negli Usa e più volte si è parlato di una sua eventuale candidatura alla casa Bianca. Nel 2008 non si espresse né per Obama, né per John McCain.

“Obama ridurrà gli USA come l’Italia” Nel mentre otto elettori su dieci considerano ‘buona’ o addirittura ‘eccellente’ la grstione da parte del presidente dell’emergenza causata dall’uragano Sandy, Mitt Romney, riprendendo la sua campagna ha dichiarato che “le politiche economiche di Obama possono portare l’America sulla strada della Grecia o ad una crisi quale quella in corso in Europa, Spagna e Italia in particolare”.

394 2 NOVEMBRE 2012 Documenti Obama o Romney: dubbio amletico per la Russia, un articolo di Dmitri Babich per Russia Oggi Forse non dovrei parlarne. L'opinione pubblica russa, per quanto riguarda la questione delle relazioni della Russia con la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, è spesso trattata dai media occidentali come immatura. Venti anni dopo il crollo del comunismo siamo ancora trattati come bambini che crescono in una famiglia problematica. Il disincanto russo nei confronti degli Stati Uniti, quando emerge, è di solito attribuito alle influenze velenose della televisione di Stato o a qualche brutto scherzo della propaganda di Putin. L'unica cura consigliata per questo tipo di ‘malattia infantile’ è un'esposizione maggiore ai media occidentali. Si presume che tale esposizione sia ancora carente, nonostante parlino i fatti. Può essere citata la crescente penetrazione nel mercato russo dei colossi dei media occidentali: il quotidiano ‘Vedomosti’, ad esempio, viene co-pubblicato da ‘The Wall Street Journal’ e ‘Financial Times’ divenendo di fatto un clone russo di questi giornali. Ma citare tendenze simili su Internet, in radio e anche televisione sarebbe inutile: si continua a presumere che non ci possa essere troppa propaganda occidentale, così come non ci può essere troppo poca propaganda di Putin. Tuttavia è un dato di fatto: nel corso degli ultimi venti anni Stati Uniti, Regno Unito e gli altri membri dell'Unione Europea sono riusciti a fare qualcosa che sarebbe stato impensabile alla fine degli anni Ottanta, durante il periodo di massimo splendore della popolarità dell'Occidente in Russia: sono riusciti a perdere appeal nell'opinione pubblica russa. Grandi sforzi dovevano essere fatti per ottenere tale risultato. L'espansione della Nato, il bombardamento della Jugoslavia e le numerose guerre in Medio Oriente non sarebbero stati probabilmente sufficienti per ottenere tale esito, ma l'accusa alla Russia da parte del governatore Romney di essere “il nostro nemico geopolitico numero uno” ha raggiunto l'obiettivo. È accaduto all'apice di due decenni di concessioni da parte della Russia. È accaduto anche che per la maggior parte degli irriducibili liberali russi sul modello degli anni Ottanta alcuni politici occidentali possano essere sembrati non solo ipocriti, ma stupidi. Pericolosamente stupidi. La Russia, pur non essendo la quintessenza della democrazia e della prosperità economica, non è certo una minaccia per gli Stati Uniti. Inoltre non è una minaccia per i suoi vicini.

395 Il leader georgiano Mikhail Saakashvili che parla costantemente delle politiche aggressive del Cremlino, per esempio, dovrebbe sollevare dubbi proprio per la sua natura provocatoria. I vicini dell'Unione Sovietica di Stalin, nell'apice del suo potere negli anni Quaranta e Cinquanta, raramente parlavano del carattere aggressivo del dittatore sovietico per paura di provocarlo e di diventare la sua prossima vittima. I potenziali aggressori vengono più spesso placati, raramente provocati. Queste sono cose facili da vedere. Così, quando Obama ha detto a Romney, durante l'ultimo dibattito, “gli anni Ottanta ci stanno chiedendo il conto della politica estera”, ha espresso i sentimenti di molti russi. Molti russi, come molti americani, si stanno ponendo la domanda: qual è la differenza tra Romney e Obama, al di là della retorica? Romney promette di fare le cose che Obama sta già facendo, ma con più energia. Altre esecuzioni di sospetti terroristi e civili (occasionali) coi droni, più sanzioni contro l'Iran, più rigidità con la Russia... In realtà, questa nota inflessibilità repubblicana verso Mosca ha portato talvolta a belle relazioni personali tra i dirigenti sovietici e i loro colleghi americani. “I leader sovietici a volte hanno apprezzato la presenza dei repubblicani alla Casa Bianca, dal momento che la loro retorica dura è servita come giustificazione perfetta per l'ideologia e i programmi di riarmo all'interno dell'Unione Sovietica”, ricorda Dmitri de Koshko, uno scrittore francese che di questioni di politica estera tratta come commentatore alla radio ‘La voce della Russia’. Invece di mostrare la sua preoccupazione in merito alla dichiarazione stravagante del signor Romney sul fatto che la Russia sia il “nemico geopolitico numero uno”, Putin ha prontamente ringraziato Mitt per questa frase che ha permesso al Presidente russo di dimostrare al suo popolo che un rapido sviluppo americano del programma antimissile in Europa potrebbe cadere in “mani sbagliate”. In questa situazione, Putin non ha voluto esprimere giudizi morali, si è comportato a sangue freddo da soggetto politico che approfitta del passo falso del suo nemico. In realtà, questa potrebbe essere la soluzione a un grosso enigma. Perché i candidati democratici sono stati più popolari tra la gente semplice della Russia (Kennedy e Roosevelt erano figure pienamente positive anche per i media sovietici ultra-critici), mentre i leader sovietici riuscivano a ottenere il meglio con i falchi repubblicani? La risposta a questa domanda non sta nella debolezza militare della Russia o nella sua forza (che Reagan avrebbe presumibilmente schiacciato). Sotto Stalin, la superiorità militare degli Stati Uniti sulla Russia era maggiore, ovvio, ma non ha portato alla pace negli anni del dopoguerra. La risposta, come al solito, è nella percezione. I candidati come Romney fanno sentire i russi a Mosca e i siriani a Damasco come ostaggi. E ogni ostaggio sogna di avere una difesa personale, che i dirigenti sovietici prontamente davano.

396 Putin non è questo tipo di persona; il recente accordo della Russia con Bp dimostra quanto lui sia lontano dall'isolazionismo. Ma la bocca di Romney è uno strumento a portata di mano: con lui è possibile ‘congelare’ e ‘scongelare’ una fortezza assediata ogni volta che si vuole. Può uno statista pragmatico come Putin desiderare qualcosa di più a portata di mano? E il popolo degli Stati Uniti non merita qualcuno più esperto e meno arrogante come loro unica alternativa rispetto un piuttosto ambiguo Obama?

397 PARTE QUINTA

398 GLI ULTIMI FUOCHI (E GLI ULTIMI CHIARIMENTI)

2 NOVEMBRE 2012

Dopo Sandy, lo scontro alle fasi conclusive Barack Obama e Mitt Romney sono tornati da ieri 1 novembre all'attacco, rompendo la tregua provocata dall'uragano Sandy. A cinque giorni dal martedì elettorale, Obama ha, come detto, ricevuto il sostegno del sindaco di New York Michael Bloomberg, ha ripescato il vecchio slogan del 2008, ‘cambiamento’ e ha detto di essere il solo candidato a volerlo. Romney ha criticato Obama perché vorrebbe aumentare la burocrazia federale. I sondaggi nazionali mostrano che la corsa si giocherà sul filo di lana e i due contendenti passeranno gli ultimi giorni negli otto Stati incerti che decideranno a chi andranno i voti elettorali necessari per conquistare la Casa Bianca. Obama è salito ieri nel Wisconsin, prima tappa di un viaggio che lo porterà anche in Nevada e Colorado ed infine nell'Ohio. Romney ha fatto campagna in tutta la Virginia. “Forse siete delusi per la lentezza del cambiamento, ma voi conoscete ciò in cui credo, sapete da che parte sto", ha detto Obama ad una folla di oltre duemilacinquecento persone sulla pista di un aeroporto in Wisconsin. “So che cosa vuol dire il cambiamento, perché sto lottando per averlo”. Ad una manifestazione a Doswell in Virginia Romney ha criticato Obama dicendo che vuole riunire le agenzie governative che si occupano di attività economiche in un unico dipartimento sotto il ministero delle Attività produttive. “Non penso che aggiungere una poltrona in quel ministero aiuti a creare milioni di posti di lavoro”, ha detto il mormone. Il lavoro tornerà oggi al centro del dibattito elettorale, quando il governo darà le stime della disoccupazione in ottobre. Qualsiasi scostamento importante potrebbe spostare voti. La pausa della campagna elettorale a causa dell'uragano Sandy che si è abbattuto sulla costa orientale degli Usa ha prodotto un insperato beneficio per Obama, il quale ha avuto le lodi dell'influente governatore repubblicano del New Jersey Chris Christie, un sostenitore di Romney, e ha passato giorni interi a sovrintendere alle operazioni federali di soccorso, in una dimostrazione di leadership presidenziale che ha forse messo alle corde Romney. Il sindaco di New York, Michael Bloomberg - un repubblicano passato tra le fila degli indipendenti che non aveva appoggiato nessuno nel 2008 - si è ora schierato con Obama e ha citato i risultati del governo democratico sul cambiamento climatico, una questione che si è imposta all'attenzione degli americani dopo Sandy.

399 Il sondaggio nazionale Reuters/Ipsos di ieri ha mostrato ancora un testa a testa, in linea con le altre rilevazioni.

400 Centosettantunomila nuovi posti di lavoro escono dal cilindro C’era da scommetterlo. In vista del voto, all’improvviso, miracolosamente, i dati relativi alla disoccupazione, per anni negativi, migliorano. Nell’ultimo mese, centosettantunomila persone hanno (avrebbero) trovato occupazione e il dato nazionale sarebbe ora del sette virgola nove mentre fino a poche settimane orsono superava costantemente l’otto. Certo, alla luce delle conseguenze dei suoi attacchi, Mitt Romney ha decisamente fatto male a criticare il capo della Fed Ben Bernanke e a dire che se eletto non gli rinnoverà il mandato. Qualche alchimia, qualche sotterfugio ed ecco il miracolo. Dal cilindro del prestigiatore, il coniglio bianco. E ben si sa: la gente ha la memoria corta. Un mese che pare sia andato bene (o che in tal modo viene contrabbandato) e i quattro anni obamiani di sofferenza lavorativa passano subito in cavalleria!

Per quel che conta, gli italiani voterebbero alla grande Obama Il settanta per cento degli italiani fa il tifo per la vittoria e dunque per la riconferma di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti d'America, e solo il sette per cento é a favore di una vittoria di Mitt Romney. E' il risultato di un sondaggio dell'Istituto Piepoli, eseguito il 29 ottobre per conto del 'Robert F. Kennedy Center for Justice & Human Right' di Firenze. Sono state intervistate cinquecento persone rappresentative della popolazione italiana dai diciotto anni in su.

Il mitico ‘margine d’errore statistico’ Una valanga di sondaggi. Nazionali, Stato per Stato, addirittura contea per contea. E infiniti, conseguenti dati. Rasmussen, Gallup, PPP, eccetera e non contando gli istituti che si occupano magari solo del loro Stato. Ebbene, salvo casi davvero rari e che, per non sbagliare, riguardano quei territori nei quali un repubblicano o un democratico non potrebbero mai perdere (oggi, per esempio, nel Texas il primo e in California il secondo), tutti gli esiti comunicati alle agenzie e alla stampa rientrano nel mitico ‘margine d’errore statistico’ che è pari al tre/quattro per cento. Copriamoci le spalle, sembrano essersi detti tutti insieme i capi.

Tutto il Grand Old Party in Ohio per Romney Maxi comizio per Mitt Romney in Ohio dove ha lanciato un accorato appello agli elettori perché gli permettano di conquistare uno Stato cruciale che lo vede indietro nella maggior parte dei sondaggi.

401 “Ohio, probabilmente deciderai il prossimo presidente degli Stati Uniti”, ha scandito davanti a molte migliaia sostenitori radunati a West Chester. “Siamo quasi arrivati in meta”, ha aggiunto, “un'ultima spinta e ci arriveremo. Abbiamo conosciuto moti giorni lunghi e notti brevi, e siamo veramente, veramente vicini. La porta per un futuro luminoso é aperta: ho bisogno del vostro voto, ho bisogno del vostro aiuto”. I fan hanno scandito lo slogan “Four more days”, altri quattro giorni, quelli che mancavano al voto, in risposta allo slogan “altri quattro anni” del presidente in carica. Alla serata, oltre al suo vice Paul Ryan erano presenti un centinaio di personalità del Grand Old Party, dallo Speaker della Camera dei rappresentanti, John Boehner, all'ex segretario di Stato, Condoleezza Rice, dall'ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, al candidato battuto da Obama nel 208, John McCain.

“Devi dimetterti”, intima ad Obama Rudolph Giuliani Rudolph Giuliani ha galvanizzato la folla al grande comizio di Mitt Romney in Ohio chiedendo le dimissioni di Barack Obama. Il presidente “si dovrebbe dimettere!”, ha tuonato l'ex sindaco di New York davanti ad oltre ventimila sostenitori riuniti a West Chester, ricordando l'impegno assunto da Obama nel 2009 a non ricandidarsi se avesse “fatto male” sull'economia. Per Giuliani l'Amministrazione Obama “dovrebbe vergognarsi” di giudicare positivamente un livello di disoccupazione del sette e nove per cento. Obama “ha mentito, é stato un disastro, il peggior presidente per la nostra economia nell'arco di un'intera generazione”, ha affermato il sindaco dell'11 settembre. “Quello che vuole non é un secondo mandato ma una seconda opportunità perché ha sprecato la prima” .

402 3 NOVEMBRE 2012 Non solo Obama e Romney: trattiamo degli altri quattro candidati

Alle elezioni di martedì prossimo, con Barack Obama e Mitt Romney altri quattro candidati a contendersi la Casa ianca: Gary Johnson (ne ho già parlato) del partito libertariano, Jill Stein dei verdi, Virgil Goode del partito della costituzione e Rocky Anderson del partito della giustizia. Il loro nome non sarà tuttavia presente sulle schede elettorali di tutti gli Stati, che hanno ciascuno la libertà di scegliere i requisiti per presentare la candidatura. Gary Johnson, governatore repubblicano del New Mexico dal 1995 al 2005, si era candidato quest’anno alle primarie repubblicane, ritirandosi però il 28 dicembre e annunciando poi la candidatura con il partito libertariano. Johnson, il candidato di maggior peso fra gli outsider, ha ottenuto la nomination dal suo nuovo partito lo scorso maggio e punta sulla diminuzione delle tasse e della spesa pubblica, sulla lotta al ‘big government’ e sulla depenalizzazione del consumo di marijuana. Jill Stein, candidata dei verdi, è stata invece in corsa per due volte a governatore del Massachusetts e quest’anno ha ricevuto l’endorsement di Noam Chomsky. Punta su una forte riduzione delle spese militare e sull’aumento delle tasse per i più ricchi. Nel suo programma c’è anche l’espansione del settore delle energie rinnovabili e la conservazione dell’ambiente. Il candidato del partito della costituzione Virgil Goode rappresenta il terzo movimento politico americano per numero di elettori, comunque sempre infinitamente distante in suffragi dai democratici e dai repubblicani. Si oppone all’immigrazione e ha un programma vicino a quello della destra cristiana. Goode è stato deputato dal 1997 al 2008, prima con i democratici poi con i repubblicani, tra i quali si schierò a causa della sua opposizione all’aborto e al controllo delle armi. Dopo aver perso il seggio si è iscritto al partito della costituzione, per il quale quest’anno insegue la presidenza. Rocky Anderson è stato dal 2000 al 2008 sindaco di Salt Lake City, capitale dello Utah. Come Romney è cresciuto in una famiglia mormone, ma a differenza del candidato repubblicano ha poi abbandonato la Chiesa in età adulta ed è molto critico nei confronti della religione. Anderson, che ha fondato il partito della giustizia un anno fa, aumenterebbe le tasse agli americani più ricchi e colpirebbe le transazioni finanziarie.

403 La media delle ‘polls’ oggi 3 novembre dice Obama Stando alla media delle ‘polls’ calcolata da Real Clear Politics, Obama è oggi avanti di un soffio con il quarantasette e mezzo per cento contro il quarantasette e due. Di maggior rilievo il fatto che si tratti del primo vantaggio in questa media dai dibattiti presidenziali, quando Romney prevaleva di quasi un punto percentuale. Obama pare poter contare su un vantaggio nei collegi elettorali: viene dato in testa in Stati incerti quali Iowa, Wisconsin, Nevada e soprattutto Ohio. Stesseo in tal modo le cose, in mancanza di sorprese altrove, il presidente potrebbe aggiudicarsi duecentosettantasette grandi elettori, varcando la soglia minima necessaria a aggiudicarsi un secondo mandato alla Casa Bianca.

NB Non va dimenticato il già molte volte citato ‘margine statistico di errore’ che rende praticamente nulli tutti questi sondaggi

404 4 NOVEMBRE 2012

Parliamo del ‘voto postale ’

E’ un’opzione sempre più popolare tra gli elettori. Consente di votare per posta prima della giornata elettorale. In merito, ogni Stato ha regole differenti. Alcuni chiedono che vengano rispettati determinati criteri per usufruire di questa possibilità, altri restringono la possibilità di inviare materialmente il voto al giorno stesso delle elezioni. Due Stati del nord-ovest, l’Oregon e il Washington, lo hanno addirittura reso obbligatorio per contenere i costi. In altri (Colorado, Nevada, Texas, New Mexico, Tennessee, North Carolina e Georgia) nelle elezioni del 2008 oltre la metà dei voti fu espressa prima del giorno delle elezioni, con gran parte delle schede inviate per posta. I voti degli americani residenti all'estero - storicamente in maggioranza democratici - arrivano naturalmente con questo sistema.

405 4 NOVEMBRE 2012

Il caso Ohio in generale e l’importanza del voto postale in questo Stato in particolare

Sulla possibilità di voto anticipato si è scatenata una vera battaglia giuridica in Ohio, da sempre ed anche oggi decisivo per l'esito delle elezioni. Lo Stato aveva deciso di chiudere il 2 novembre l'accesso al voto anticipato, ad eccezione degli ‘absentee ballot’ (voto postale) dei residenti all'estero e dei militari, mentre i democratici - consapevoli che gli ‘early voters’ sono statisticamente più dalla loro parte - si sono battuti per il prolungamento della procedura. La Corte Suprema ha dato loro ragione. Nel 2008, secondo i democratici, furono circa centocinquemila gli elettori che espressero il loro voto nei tre giorni precedenti le elezioni. La seconda controversia che ha scosso questo fondamentale Stato su cui si concentrano gran parte degli sforzi dei due sfidanti è quella che riguarda le ‘schede provvisorie’. Si tratta delle schede votate da persone la cui legittimità di elettori è dubbia o la cui registrazione non riflette un nuovo nome o indirizzo. Nel 2008 furono duecentomila su un totale di cinquemilioni settecentomila elettori. Lo Stato ha prescritto che le schede vengano rifiutate se non corrispondono al ‘precinct’ - il distretto elettorale (una micro divisione territoriale utilizzata per voti e referendum locali) assegnato all'elettore, anche se l'errore di assegnazione non dipende dall'elettore ma dalle autorità. Si tratta, nel caso dell'Ohio, di un'eventualità molto probabile perché l'ottanta per cento dei seggi elettorali copre diversi distretti. Nel 2008 furono quattordicimila i voti annullati per questo motivo, circa un terzo del totale delle schede provvisorie respinte. Ma il tema di maggior rilievo a proposito di questo Stato concerne lo spoglio del voto postale, spoglio che verrà effettivamente portato a termine solo nel caso in cui il numero dei suffragi in tal modo espressi possa davvero determinare il vincitore e quindi a chi attribuire i diciotto delegati. Per esempio: se un candidato prevale nelle urne di duecentomila voti e gli ‘absentee ballot’ sono centonovantamila sarà inutile conteggiarli perché anche fossero tutti a favore del soccombente (ed è comunque impossibile) non muterebbero la sostanza delle cose. Una seconda e assai importante – addirittura nella prospettiva della proclamazione immediata del nuovo presidente - ipotesi: i predetti ‘ballot’ postali risultano in numero superiore a quelli che nelle urne determinano il prevalere di uno dei candidati. Lo spoglio è necessario e deve essere accuratissimo anche e soprattutto per verificare se e quanti abbiano in effetti espresso le loro preferenze sia di persona sia tramite posta votando quindi due volte.

406 Il termine per compiere il lavoro è di dieci giorni il che significa che se l’Ohio risultasse determinante e si trovasse nella situazione ora descritta, occorrerebbe aspettare appunto dieci giorni dal voto (salvo ricorsi) per conoscere il nome del nuovo capo di Stato USA.

407 4 NOVEMBRE 2012

I ‘morti presunti’ del Texas

Il Texas ha approvato l'anno scorso una legge per garantire che i deceduti vengano eliminati dalle liste elettorali. Nei casi dubbi - di omonimia o coincidenza di data di nascita - agli elettori (vivi) sono arrivate lettere che intimavano di dimostrare entro trenta giorni di non essere morti: passato il termine sarebbero stati eliminati dalle liste. Solo nella contea di Harris - uno dei distretti più grandi - sono state mandate quattromila comunicazioni in tal senso. “Centinaia di persone ci hanno risposto: sì sono ancora vivo”, raccontano gli amministratori. Finché quattro ‘presunti morti’ non si sono irritati e hanno fatto un esposto contro la legge dello Stato, ottenendone la revoca. Ci sarà ancora una lista di ‘morti presunti’, ma verranno eliminati solo dopo verifiche accurate.

408 4 NOVEMBRE 2012

Il referendum a Portorico

Il 6 novembre i cittadini di Portorico sono chiamati a votare per un referendum sullo status politico dell’isola. Porto Rico è oggi un ‘territorio non incorporato’, i cui residenti hanno anche la cittadinanza Usa (dal 1917) ma non il diritto di voto, e la cui legislazione ricade in gran parte nelle prerogative del congresso Usa. Gli verrà chiesto se sono d'accordo con l’attuale situazione di Stato libero associato oppure se vogliono diventare il cinquantunesimo membro degli Usa, o ancora se vogliono la totale indipendenza. E’ il quarto referendum tenuto nell'isola su questo tema: i precedenti sono stati nel 1967, nel 1993 e nel 1998. Quest'anno la popolarità dell'opzione di ingresso nella federazione Usa è più alta che in passato, arrivata al quarantuno per cento. Se però l’attuale status verrà bocciato dal referendum, il governo di Portorico dovrà rivolgersi all'amministrazione Usa e non è affatto detto che venga accolta. Infatti, l’idea di aggiungere ai programmi federali di assistenza sociale uno Stato così povero e con un altissimo tasso di criminalità - e la cui lingua ufficiale dovrebbe essere lo spagnolo - è fortemente contrastata dai repubblicani.

409 4 NOVEMBRE 2012

Joe Biden vice di Mitt Romney?

Ho già detto che ove nessuno dei candidati raggiungesse la fatidica soglia dei duecentosettanta delegati (la maggioranza assoluta), il presidente, secondo quanto disposto da XII emendamento approvato nel 1804, verrebbe scelto dalla camera dei rappresentanti. Allo stesso modo, in caso di parità (duecentosessantanove voti elettorali a testa). Ma, e a proposito del vice, come si procederebbe? E’ anche a tale riguardo il XII emendamento a venire in soccorso. Solo che la scelta nel caso spetterebbe al senato. In ipotesi, quindi e per quanto improbabile ai limiti dell’impossibile, se Obama e Romney finissero pari, una camera a maggioranza repubblicana sceglierebbe il mormone nel mentre un senato nel quale i democratici prevalessero opterebbe per Joe Biden. Biden vice di Romney? Fantascienza, anche se a ben guardare un vice appartenente a un partito diverso da quello del presidente si era avuto, causa il differente sistema corretto appunto dal XII emendamento, nei primi quattro mandati e anche nel secondo, interrotto, quadriennio di Lincoln (Andrew Johnson, il vice e successore mortis causa, era proprio democratico. La scelta era caduta su Johnson per dimostrare, in corso la Guerra di Secessione, che anche parte dei democratici appoggiava il presidente nella lotta contro lo schiavismo).

410 4 NOVEMBRE 2012

La salute necessariamente di ferro dei candidati. E tra quelli di una volta?

Ma che salute, che fisico, che morale deve avere un candidato a White House che intenda arrivare fino in fondo alla lunga corsa elettorale? Obama, osservano oggi alcuni quotidiani, è bello e pimpante. Gira come una trottola cinque, sei Stati al Giorno, affronta i problemi dati dall’incarico, uragano Sandy incluso, e sta benone. Ma, il vero miracolo, a ben guardare, lo sta compiendo Romney che è entrato in corsa addirittura nel maggio del 2011, prima impegnato in tutto il Paese nel mettere in piedi la ferrea struttura organizzativa della quale aveva bisogno, poi nel combattere e sconfiggere gli altri concorrenti Gop alla nomination e infine a cercare di mandare a casa Obama. Ebbene, neppure un giorno, che dico? Un istante di defaillance. Un miracolo, probabilmente assistito se non determinato da medici di primo ordine.

Guardando al passato tra i candidati delle diverse epoche, tutta gente dalla salute inattaccabile, almeno durante la campagna elettorale e salvo poi schiattare velocemente una volta in carica come William Harrison, durato solo un mese. Con una notevole eccezione, invero. Elezioni del 1824 (travagliatissime e ne ho ampiamente trattato parlando di John Quincy Adams e di Andrew Jackson). Nessuno dei quattro in corsa conquista la maggioranza assoluta dei delegati. La camera viene chiamata a decidere e deve farlo scegliendo fra i primi tre (in tal modo delibera il XII emendamento) classificati. Primo è risultato Jackson, secondo J. Q. Adams e terzo il georgiano William Crawford, designato come suo successore da James Monroe. La scelta sarà obbligatoriamente tra i primi due perché Crawford si becca un bel colpo apoplettico ed esce pertanto dai giochi.

411 5 NOVEMBRE 2012 Documenti Obama, chi teme l'uomo nero, un articolo di Gian Giacomo Migone per l’Unità (pubblico questo pezzo, scritto in alcuni punti in un mediocre italiano e ricco di imprecisioni da un cosiddetto intellettuale di sinistra, a futura memoria. Ecco a cosa conducono l’ansia del politicamente corretto, la demagogia)

Ruth è seduta accanto a me su un autobus che da New York ci porta a Washington. Sui Greyhound di solito s’incontra una sezione di popolo americano, multietnica e multirazziale, di estrazione sociale medio-bassa (gli altri prendono l’aereo o il treno). Ruth è atipica, scopro, di professione psicoterapeuta, insegna alla Columbia University; bianca, ebrea, anche se fermamente laica e critica di Netanyahu. Una nonna che, come me, va a trovare i suoi nipotini. Porta una coccarda che la qualifica come sostenitrice di Barack Obama. Non è difficile attaccare discorso, partendo da lì. “Ma sono preoccupata perché potrebbe non farcela. C’è ancora molto razzismo negli Stati Uniti”. Mi meraviglio. Non siamo mica nell’America degli anni Sessanta in cui chi traversava gli Stati del Sud su un’auto targata New York o, peggio ancora, Massachusetts, rischiava di prendersi una schioppettata. E poi il razzismo c’era, anche quattro anni fa, quando Obama fu eletto. “Ma è aumentato sotto la sua presidenza”, dice Ruth, “Me ne accorgo nella mia famiglia. Ho un marito e un fratello che odiano Obama. Non sopportano un nero che si permette di essere più colto e più intelligente di loro”. Ruth mi fa tornare in mente la mia prima reazione, quando fu eletto. Più che il colore della pelle mi colpì il primato intellettuale del nuovo presidente, già direttore della più prestigiosa rivista giuridica degli Stati Uniti e professore all’Università di Chicago, che mi sembrava incompatibile con l’odio che molti americani tuttora riservano agli intellettuali. Ma Ruth mi ha fatto notare che è il combinato pelle nera-eccellenza intellettuale a risultare micidiale anche per tipi come suo marito, malgrado abbia una nuora con lo stesso colore di pelle del Presidente degli Stati Uniti. Commentiamo alcuni articoli del ‘New York Times’, fortemente schierato con Obama, che lo descrivono come il presidente democratico più odiato dai ricchi, dopo Roosevelt. Dico: “Ma se il suo errore è stato quello di credersi Lincoln, con il compito di riunificare il paese, anziché scegliere come suo modello Franklin Roosevelt che

412 trascorse i primi due anni della sua presidenza ad inchiodare banchieri e repubblicani alla loro responsabilità per lo scoppio della grande crisi del ’29. Con il bel risultato che dopo sei mesi il disoccupato che continuava a non trovare lavoro e la famiglia che perdeva la casa hanno cominciato ad attribuirne la colpa al nuovo presidente. Piove governo ladro, diciamo in Italia”. “È vero”, dice Ruth, “ma l’uomo d’affari piccolo o grande” (o grandissimo: una sentenza recente della Corte Suprema ha consentito all’alta finanza di versare una fortuna nella campagna elettorale di Romney) “lo percepisce lo stesso come un nemico”. Roger Cohen, altro suo sostenitore, cita alcune sue affermazioni rivelatrici: ‘Non mi sono candidato per tirare fuori dai guai un branco di banchieri ingordi di Wall Street’ e, ancora più provocatorio: ‘Se hai un’impresa, non sei stato tu a costruirla da solo!’ Ma si tratta soltanto di scatti rivelatori che lo differenziano dalle politiche cui si è adeguato. Certo, la riforma della sanità è stata fatta, pur con mille compromessi estorti dai repubblicani in Congresso, puntuali rappresentanti delle lobby assicurative. Per il resto il presidente ha ereditato gli economisti neo-liberisti di Clinton che a suo tempo liquidarono la riforma delle riforme del New Deal: quel Glass- Steagall Act che non consentiva ai finanzieri di speculare con i soldi dei risparmiatori, per poi rifilare le perdite ai contribuenti quando scoppia la bolla. Eppure ricordo il suo discorso, un grande discorso, sulle origini del razzismo negli Stati Uniti. Secondo la tesi di Obama quello che lui definì un equivoco storico, il razzismo, impedì alle classi socialmente più deboli di unirsi, implicitamente privando gli Stati Uniti di un’alternativa socialista. “Ma per questo lo odiano”, m’incalza Ruth. “Lo percepiscono come un socialista europeo. Per te e anche per me può essere un complimento, ma da queste parti è motivo di scandalo. E poi la sua politica estera, pragmatica e moderata, viene percepita come una rinuncia alla leadership americana. Non hanno torto a percepire qualcosa di alieno, di non detto, nella personalità del Presidente, quei moderati, spesso ma non sempre repubblicani, forse agganciati in extremis da Romney dopo essere stato passato al vaglio degli estremisti dei Tea Parties. Barack Obama è il primo presidente ad avere percepito che il declino del potere relativo degli Stati Uniti è un fatto, che questo non sarà un altro American Century, che nuovi protagonisti stanno costruendo un mondo multipolare. Anche se il suo linguaggio è prudente, per non dire reticente, la sfida è grossa. Mai dimenticare il bisogno di orgoglio nazionale, bandiere al vento, caccia perpetua al nemico esterno, per tenere insieme un paese costruito da strati successivi di immigranti di ogni religione e razza.

413 “Speriamo soltanto che gli operai di Cleveland e di Detroit si ricordino dei loro interessi materiali e che io e le mie amiche riusciamo a convincere donne e ragazzi che vale ancora la pena di scommettere su chi li aveva entusiasmati, ma che pure deve fare i conti con i poteri che tuttora controllano il paese. Che l’Obama del secondo mandato potrebbe assomigliare di più all’Obama delle origini, l’Obama schierato contro la guerra nell’Iraq. L’Obama di Michelle” dice Ruth, che scende dal Greyhound per abbracciare la nuora e nipotini del colore del Presidente.

414 5 NOVEMBRE 2012

Documenti

“Vincerà Romney”, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa

A sostenere la tesi che Mitt Romney diventerà il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti è chi prevede la trasformazione dell’Election Day in un referendum contro Barack Obama, frutto della combinazione fra crisi economica, impoverimento della classe media e delusione popolare per le promesse mancate rispetto al 2008.

I sondaggi Lo scenario di un massiccio aumento di voti repubblicani è avvalorato dai sondaggi di Gallup, che da sei settimane assegnano a Romney vistosi vantaggi. I rilevamenti di Gallup hanno appurato un aumento di favori del quindici per cento per i repubblicani, rispetto al 2008, e mentre altre società demoscopiche ritengono il dato eccessivo al punto da essere un errore, Gallup ribatte che non è affatto uno sbaglio ma la fotografia di una realtà mutata. Se Gallup va in questa direzione dall’indomani del primo dibattito a Denver, all’inizio di ottobre, Rasmussen ha previsto una sensibile crescita di favori per i repubblicani sin dall’estate, sulla base del maggior entusiasmo del loro elettorato. A confermare tale lettura è il Pew Research Center, secondo cui “fra chi ha già votato la competizione Obama-Romney è serrata” indicando un aumento di mobilitazione repubblicana in quanto il voto anticipato vede per tradizione una maggiore partecipazione democratica.

Gli analisti A prevedere con certezza che tale dinamica porterà Romney alla Casa Bianca è Karl Rove, l’ex guru politico di George W. Bush, spingendosi anche a indicare il risultato: “Un minimo di duecentosettantanove voti elettorali”. “Il traguardo sarà raggiunto nelle prime ore del 7 novembre” aggiunge Rove, riferendosi alla necessità di aspettare l’esito del conteggio dei voti nelle singole contee di Stati in bilico come l’Ohio. “Sandy ha giocato a favore di Obama ma non basterà a mutare l’esito - aggiunge Rove - Romney vincerà per uno, due punti punti, non più per tre”. Il politologo Michael Barone, fra i maggiori esperti di presidenziali, si spinge oltre nella disamina degli Stati in bilico: “Romney vincerà facilmente strappando a Obama Indiana, North Carolina, Florida, Ohio, Virginia, Colorado, Iowa, New Hampshire, Pennsylvania e Wisconsin lasciando all’avversario Michigan, Minnesota, Nevada, New Mexico e New Jersey” per un risultato finale di “trecentoquindici a duecentoventitre”. Ciò che accomuna Rove e Barone è la convinzione che l’Election Day non sarà un testa a testa bensì un risultato netto, schiacciante.

415 Pur con maggiore prudenza Michael McDonald, esperto di flussi elettorali della George Mason University, va nella stessa direzione quando si dice “sorpreso dal livello di affluenza alle urne dei repubblicani nel voto anticipato”.

Gli strateghi Sono valutazioni che premiano gli sforzi di Rich Beeson, direttore politico della campagna di Romney, e Stuart Stevens, suo principale stratega, accomunati dalla convinzione che la sfida a Obama dovesse essere impostata sin dall’inizio su una ricetta semplice: unire tutti gli scontenti ovvero quel cinquantacinque per cento di cittadini secondo cui l’America “va nella direzione errata”. Non dunque creare una coalizione di più segmenti dell’elettorato, come in genere i candidati fanno, ma puntare su un unico messaggio nazionale. Il risultato più importante finora ottenuto è la mobilitazione dei bianchi: per Washington-Abc Romney fra loro ha un vantaggio cinquantasette a trentanove per cento, ben sei punti in più dei dodici che McCain inflisse a Obama, grazie soprattutto alle donne.

416 5 NOVEMBRE 2012

I sondaggi secondo Daily Poll Summaries

(riporto le previsioni di voto in trentacinque Stati e nel District of Columbia)

Arizona, PPP, 11/2 - 11/3: Obama 46, Romney 53 Arizona, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 44, Romney 52

California, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 55, Romney 40

Colorado, Ipsos Poll for Reuters, 11/2 - 11/4: Obama 48, Romney 48 Colorado, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 48, Romney 47

Connecticut, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 54, Romney 39

Delaware, Townhall Polling, 8/22 - 8/22: Obama 52, Romney 37

Florida, Ipsos Poll for Reuters, 11/2 - 11/4: Obama 46, Romney 46 Florida, JZ Analytics, 11/1 - 11/3: Obama 47, Romney 49 Florida, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 47, Romney 48

Georgia, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 44, Romney 52

Idaho, Huffington Post Projection, 11/4 - 11/4: Obama 30, Romney 65

Illinois, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 57, Romney 38

Indiana, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 44, Romney 51

Iowa, PPP, 11/3 - 11/4: Obama 50, Romney 48 Iowa, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 48, Romney 47

Louisiana, Huffington Post Projection, 11/4 - 11/4: Obama 37, Romney 58

Maine, Obama 49, Romney 42

Maryland, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 59, Romney 37

Massachusetts, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 57, Romney 37

Michigan, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 51, Romney 44

417 Minnesota, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 50, Romney 43

Mississippi, PPP, 11/4 - 11/6: Obama 36, Romney 54

Missouri, PPP, 11/2 - 11/3: Obama 45, Romney 53 Missouri, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 42, Romney 53

Montana, PPP, 11/2 - 11/3: Obama 45, Romney 52

North Carolina, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 47, Romney 49

Nevada, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 49, Romney 45

New Hampshire, PPP, 11/3 - 11/4: Obama 50, Romney 48 New Hampshire, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 47, Romney 43

New Jersey, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 53, Romney 41

New Mexico, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 49, Romney 43

New York, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 59, Romney 36

Ohio, Ipsos Poll for Reuters, 11/2 - 11/4: Obama 48, Romney 44 Ohio, JZ Analytics, 11/1 - 11/3: Obama 50, Romney 42 Ohio, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 49, Romney 46

Pennsylvania, Morning Call, 11/1 - 11/3: Obama 49, Romney 46 Pennsylvania, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 52, Romney 44

South Dakota, Nelson Brothers, 10/31 - 11/4: Obama 41, Romney 53

Tennessee, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 42, Romney 53

Texas, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 38, Romney 57

Virginia, Ipsos Poll for Reuters, 11/2 - 11/4: Obama 47, Romney 46 Virginia, JZ Analytics, 11/1 - 11/3: Obama 50, Romney 44 Virginia, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 48, Romney 46

Washington, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 54, Romney 40

Wisconsin, YouGov, 10/31 - 11/3: Obama 50, Romney 46

418 Washington DC, Huffington Post Projection, 11/4 - 11/4: Obama 87, Romney 8

Wyoming, Townhall Polling, 8/20 - 8/22: Obama 36, Romney 54

419 Si vota anche per la camera e per un terzo dei senatori L’attenzione giustamente rivolta alla corsa verso White House costringe in secondo piano l’importantissimo fatto che in questo stesso 6 novembre si tengono anche le votazioni per il rinnovo totale della camera dei rappresentanti e per quello di un terzo dei senatori. Le previsioni in proposito parlano di una affermazione repubblicana alla camera bassa e della conservazione, sia pure a fatica, della maggioranza che hanno nella camera alta ad opera dei democratici.

I referenda sui quali si voterà Gli americani il 6 novembre saranno chiamati ad esprimersi, in trentasette Stati, anche su diversi quesiti referendari: dalla legalizzazione della marijuana ai matrimoni gay, alla messa al bando dell’uso di finanziamenti pubblici per pagare l’aborto. Complessivamente i referendum su questi temi saranno centosettantaquattro, il numero più alto dal 2006. Di solito, i cittadini erano chiamati a votare sul bando alle nozze gay ma quest’anno in Maine, Maryland e Washington il quesito riguarderà invece la legalizzazione delle di quei matrimoni.

‘Provisional ballots’ Nei casi in cui i documenti presentati al seggio elettorale presentino qualche problema, nei casi in cui il cittadino, anche per responsabilità della pubblica amministrazione, si presenti al voto in un seggio diverso da quello do competenza e in qualche altra ipotesi particolare del suffragio espresso si terrà conto in modo provvisorio salvo poi effettuare le necessarie verifiche. E’ questo il cosiddetto ‘provisional ballot’.

420 LA PREVISIONE

VORREI PREVALESSE LA ‘VECCHIA AMERICA’ DI MITT ROMNEY, REPUTO E TEMO FINISCA PER PREVALERE L’AMERICA ‘SOCIALISTA’ DI BARACK OBAMA

(solo chi ha il coraggio di fare una previsione può sbagliarla)

5 novembre 2012 L’ho detto e scritto infinite volte e qui lo ripeto: la vittoria di Barack Obama nel 2008 (in qualche modo prefigurata e annunciata dai due mandati di Bill Clinton, non per niente definito da molti “il primo presidente ‘nero’”) ha rappresentato il compimento, il punto di arrivo - e quasi certamente, almeno in prospettiva, di non ritorno - di quel lungo iter che, partendo da alcune visioni del ‘New deal’, di Franklin Delano Roosevelt e soprattutto a seguito della vera rivoluzione legislativa in specie nel sociale voluta ed attuata da Lyndon Johnson, ha portato gli USA sulla via del socialismo, come confermato in modo evidente dalla esaltata riforma sanitaria, giustamente chiamata, a rappresentare nel nome e in relazione al disposto tanto poco americano, ‘Obamacare’.

Era, è questa una ‘evoluzione’ (per molti, una ‘involuzione’) inevitabile in un mondo USA in dapprima lenta e infine precipitosa trasformazione in particolare dal punto di vista etnico? E’, pertanto, questa la necessaria, obbligata conseguenza del deflettere, del declinare dell’America di una volta, quella mitica e del ‘sogno’, del cosiddetto ‘eccezionalismo’, in conseguenza, nei differenti casi, dell’emergere, dell’arrivo e alla fine del prevalere di ‘non americani’ quali sono neri, ispanici e quanti altri non ‘wasp’ (white, anglosaxon, protestant) vanno conquistando – hanno già raggiunto? - nel Paese la maggioranza?

Non solo, naturalmente, infinite altre essendo le incidenze (e vanno sottolineate quella religiosa, l’ateismo apertamente professato, nonché, tra gli acculturati, tra gli

421 intellettuali delle due coste, il tramonto per non dire il rifiuto irridente di dottrine quali quella del ‘destino manifesto’), ma fondamentalmente sì. E lo si vede, lo si può constatare semplicemente dando un’occhiata non superficiale, non disattenta in giro, in particolare nei ‘blue States’, quelli usi a votare democratico. Quando mai la ‘vecchia America’ ci aveva, ci avrebbe, proposto, come oggi la prevalente ‘nuova America’ fa, milioni e milioni di grassoni nullafacenti, impegnati ad abbuffarsi di merendine e pollo fritto, che trascinano una vita senza neppure immaginate e quindi non ricercate prospettive in quartieri periferici degradati e degradanti o, a seconda della collocazione territoriale nell’immenso Paese, in roulotte oramai significativamente ancorate al terreno e casupole fatiscenti dipendendo praticamente in tutto e per tutto da uno Stato assistenziale?

Nessuno, in questi diffusissimi ambienti tanto ‘obamiani’, accetterebbe di far suo il dettato di Ronald Reagan che, all’inizio degli anni Ottanta del Novecento, in opposizione all’allora già annunciato precipitare della situazione, disse “Lo Stato non è la soluzione, lo Stato è il problema”.

In un contesto quale quello or ora rappresentato e che piace tanto agli europei e a noi italiani che da tempo abbiamo adottato, spesso senza rendercene conto ed essendone stati conquistati surrettiziamente, un sostanziale socialismo legislativo e comportamentale, ripeto, quasi ‘inconsapevole’, quali le reali possibilità di vittoria il 6 novembre del ‘sorpassatissimo’ Mitt Romney? Del candidato mormone che si batte contro il da tutti voluto, osannato, sognato e nei fatti deleterio ‘cambiamento’, che richiama ed esalta il Paese che fu, gli ideali e la spinta propulsiva, individualista di una volta? Del candidato che, del tutto consapevole delle difficoltà, ha sottolineato di non poter contare su quel quasi cinquanta per cento della popolazione che non paga le tasse e vive a spese o alle dipendenze dello Stato? Esiste un’America diversa, quella dei ‘red States’ nei quali un Obama non può neppure immaginare, non può sognare di prevalere. Se a questa non piccola ma periferica fetta del Paese si unissero larga parte degli ‘swing States’, quelli in bilico, laddove le due anime, l’antica e la nuova si fronteggiano ancora, Romney potrebbe farcela.

A dispetto dei sondaggi che proponevano a tre giorni dal voto i due alla pari, penso e temo che questo non succederà e che Barack Obama sarà confermato, sia pure, probabilmente, con una ridotta maggioranza.

Potrebbe, con un Romney vincente, essere questo ‘il canto del cigno’ dell’America che fu, prospettando il futuro, comunque, una lunga prevalenza di un partito democratico destinato a trasformarsi in un movimento fondamentalmente socialista in grado di raccogliere larghe maggioranze in un Paese in qualche modo a quel punto non più ‘americano’!

422 5 NOVEMBRE 2012

L’ipotesi Gallup

Tutto quanto or ora vergato in merito alle prospettive politiche nel medio e lungo termine degli USA resterebbe valido anche se, contro le aspettative e in disaccordo con la gran parte dei sondaggi, domani, come previsto invece da Gallup, prevalesse Romney. Va, comunque, segnalato che appunto Gallup ritiene che il repubblicano vincerà ed anche nettamente. L’autorevole istituto segnala oramai da giorni l’aumento notevole dei suffragi Gop sia tra gli elettori già andati alle urne sia nelle intenzioni di voto.

423 I Redskins hanno perso, per la cabala vince Romney Anche l’anglosassone America, fredda e raziocinante (ma quando mai?), patisce le sue scaramanzie. Ed ecco che la sconfitta odierna dei Redskins, la squadra di football americano di Washington, secondo la cabala ‘Made in Usa’ è segno che il 6 novembre Mitt Romney batterà Barack Obama. Come scrive il Washington Post, sin dal 1937, l'anno in cui i ‘pellerossa’ (Redskins) si sono trasferiti nella città della Casa Bianca, vige una sorta di legge non scritta: se la squadra perde la partita il week end precedente alle elezioni, il candidato del partito che ha vinto le elezioni precedenti non ripete lo stesso successo. Dal ‘37 si sono tenute diciotto elezioni presidenziali, e questa sorta di superstizione tra sport e politica, é stata rispettata diciassette volte. Unica eccezione nel 2004, ma i suoi seguaci la spiegarono con il fatto che l’inquilino della Casa Bianca, George W. Bush, quattro anni prima non aveva vinto nel voto popolare. Insomma, oggi i Redskins hanno perso in casa contro i mediocri Panthers della North Carolina. Dal punto di vista sportivo, non é una gran notizia, visto che la squadra della capitale americana ormai da anni fa penare i suoi fans. Ma stavolta, il risultato era seguito con attenzione da chi, anche da queste parti, dichiara candidamente: “'Non e' vero, ma ci credo”. Ovviamente la cosa é finita su internet. E su twitter alcuni elettori obamiani hanno sfottuto i repubblicani: '”Se sperate di vincere citando i Redskins, allora siete veramente messi male”.

424 OBAMA: ANCORA QUATTRO ANNI

Parte prima Non tutti i voti sono stati conteggiati, ma già è possibile dire che Obama ha vinto perdendo a livello nazionale rispetto al 2008 circa tre punti percentuali e parecchi milioni di voti, tanto da conquistare con quasi certezza nell’occasione meno suffragi di quanti ne ebbe a catturare allora il bistrattato John McCain. Romney, per parte sua, perde a propria volta e nettamente il confronto per somma di voti con il precedente candidato Gop.

La prima considerazione da fare? Il voto non è stato condizionato quanto si pensava dalla crisi economica e dagli alti livelli di disoccupazione.

Avevo previsto esattamente (si legga il capitolo che ho riservato appunto alle previsioni) l’esito delle elezioni USA del 6 novembre. Riservandomi di tornare a breve alle riflessioni conseguenti (sul filo, peraltro, di quanto da me esposto nel saggio USA 2012), di seguito, espongo i dati maggiormente significativi.

I risultati (non ancora definitivi) Nelle elezioni del 6 novembre 2012, Barack Obama ha sicuramente conquistato un totale di trecentotre (303) delegati ed ha conseguentemente ottenuto l’investitura per un secondo mandato alla Casa Bianca (ricordo che la maggioranza assoluta è fissata a duecentosettanta, 270). Mitt Romney ha dalla propria con sicurezza duecentosei (206) voti elettorali.

425 Incerta ancora in queste ore (è la mattina del 9 novembre) l’attribuzione dei ventinove delegati (29) della Florida laddove i suffragi raccolti dai due sono talmente vicini da non permettere una sicura attribuzione dello Stato (“too close to call”). Rispetto al 2008, Obama ha perso all’incirca undici milioni di voti popolari a livello nazionale prevalendo comunque sul rivale anche da questo punto di vista. Sempre con riferimento al 2008, il presidente ha dovuto sicuramente cedere a Romney l’Indiana e il North Carolina (vedremo, come detto, quanto alla Florida) dove allora aveva prevalso. Guardando ai singoli Stati, i risultati percentualmente migliori colti dai due sfidanti sono, ovviamente ma non troppo (Al Gore, per esempio, nel 2000, perse proprio nel suo), nel loro Stato di nascita: Hawaii, settanta e sei (70,6%) per cento quanto ad Obama e Utah, settantadue e sette (72,7) quanto a Romney.

Nel contempo, alla camera dei rappresentanti i repubblicani hanno mantenuto la maggioranza con duecentotrentadue (232) deputati finora attribuiti (il totale dei rappresentanti è di quattrocentotrentacinque). Al senato, i democratici restano il partito con il maggior numero di seggi.

Cosa è successo negli ‘swing States’ Nel corso dell’intera campagna, si è parlato a mille riprese degli Stati in bilico, i cosiddetti ‘swing States’. Attribuendo, difatti, con un notevole margine di sicurezza al repubblicano e al democratico gli Stati tradizionalmente e in base ad univoci sondaggi rispettivamente ‘rossi’ e ‘blu’ (i colori dei due partiti), determinanti per la vittoria dell’uno o dell’altro risultavano sostanzialmente nove/dieci Stati. Orbene, ripetuto che l’esito del voto in Florida è ancora ignoto, possiamo dire che Romney ha perso in ragione del fatto di non essere riuscito a sfondare proprio in questo ambito. Il mormone ha alla fine prevalso in Indiana e North Carolina ma ha perso, a volte davvero di stretta misura, in bel altri sette territori: Nevada, Colorado, Iowa, Wisconsin, Ohio, Virginia e New Hampshire per un totale, decisivo, di sessantasei (66) delegati.

426

Gli altri candidati Due parole a proposito degli altri candidati soprattutto per sottolineare l’esito, buono e non scontato, della campagna di Gary Johnson. L’esponente del Libertarian Party, benché non presente in tutti gli Stati, ha conseguito il miglior risultato ‘all times’ per il suo partito con circa un milione e centoquarantamila voti a livello nazionale e con punte anche del tre e mezzo per cento nel New Mexico e del due punto nove nel Montana. Non male davvero.

Il voto: donne, neri, ispanici Come previsto, alla fine, al fianco e a sostegno di Romney sono rimasti quasi solamente i bianchi maschi mentre le donne, di qualsivoglia etnia sia pure in percentuali diverse, hanno preferito Obama. Detto che i neri si sono espressi per il presidente in carica oltre il novanta per cento, va sottolineato che gli ispanici – i ‘latinos’, infinite volte ricordati e sollecitati dai due candidati – hanno costituito il dieci per cento dei votanti e votato Obama nella misura del sessantanove per cento e Romney solo in quella del ventinove.

Il web E’ con ogni probabilità giunta l’ora di cancellare dalle nostre menti quanto occorso in una trascorsa circostanza ad Howard Dean, l’allora beniamino di internet per ciò stesso dato per favorito da tutti nelle primarie democratiche e subito battuto quando dal suffragio della rete si passò a quello reale, nei seggi. Già nel 2008, Obama aveva impostato parte notevole della sua campagna sul web e lo sforzo aveva dato confortanti esiti. In questo 2012, viepiù. Internet, facebook, twitter, sms: tutte le possibili diavolerie sono state brillantemente cavalcate dal suo entourage dando frutti copiosi. Sempre più in futuro ci si combatterà in cotal modo. Tempi e mezzi che, velocemente, assai velocemente, cambiano.

427 Michelle Michelle Robinson: ho più volte sottolineato il particolare appeal di questa signora alla quale il presidente deve davvero molto. Ancora una volta in questa campagna, la first lady si è dimostrata indispensabile. Gradita alla gran parte dei cittadini, è stata capace di attirare sul coniuge il consenso non solo delle donne. Ha combattuto per lui tenacemente credendo fortemente nella vittoria che, forse, lei assente, non sarebbe stata raggiunta. Chapeau!

428 Parte seconda

Anche la Florida va a Obama: risultato finale trecentotrentadue e duecentosei Mitt Romney ha perso anche la Florida. E' quanto ha ammesso il suo staff. Il presidente Barack Obama avrebbe dunque conquistato anche il Sunshine State, i cui risultati erano rimasti in sospeso da martedì notte. Obama è in vantaggio di cinquantacinquemilaottocentoventicinque voti, e avrebbe ottenuto il quarantanove punto nove per cento delle preferenze contro il quarantanove punto due di Romney. Secondo i membri dello staff però fra i voti rimasti da contare non ci sarebbero abbastanza aree repubblicane per far sperare in una peraltro inutile vittoria dello sfidante in Florida. Romney aveva comunque già ammesso la sconfitta a livello nazionale nella notte di martedì, prima con una telefonata di congratulazioni a Obama, poi con un breve ‘concession speech’ da Boston. Si chiude così per mormone una campagna elettorale lunghissima, cominciata il 2 giugno 2011 in una fattoria di Stratham, in New Hampshire e andata avanti per un anno e mezzo fra primarie ed elezioni presidenziali. Con i ventinove grandi elettori della Florida Obama sale così a trecentotrentadue (332) voti elettorali, mentre Romney si ferma a Duecentosei (206). Nel 2008 il presidente in carica ne ottenne trecentosessantacinque (365), mentre lo sfidante repubblicano John McCain si fermò a centosettantatre (173).

Le sfide del secondo mandato di un’anitra zoppa Dopo la non esaltante vittoria del 6 novembre, Barack Obama avrà poco tempo per riprendersi dalle fatiche della lunga campagna elettorale. Il presidente dovrà infatti rimettersi immediatamente al lavoro per affrontare le sfide principali del secondo mandato, a cominciare dall'enorme debito pubblico che ne ridurrà notevolmente la libertà di azione. A minacciare i prossimi quattro anni di Obama sarà innanzitutto il pericolo del 'fiscal cliff', ovvero la combinazione della fine di sgravi fiscali e di tagli automatici alla spesa pubblica.

429 Per affrontare questo ‘precipizio fiscale’ in arrivo nei prossimi mesi, il presidente dovrà infatti fare i conti con la Camera, a maggioranza repubblicana, probabilmente pronta a rendere difficile un accordo. Per i prossimi due anni, fino alle elezioni di metà mandato del 2014 e ammesso che le cose allora cambino, Obama – da ‘anatra zoppa’ come viene definito un presidente USA che si trovi nella sua situazione riguardo ad almeno uno dei rami del parlamento - dovrà continuare a confrontarsi con un congresso diviso. Martedì sera – come or ora ripetuto - i repubblicani hanno mantenuto il controllo della Camera, mentre il Senato è rimasto ai democratici. Per Obama la difficoltà principale consisterà nel raggiungere un accordo fra i democratici, che non vogliono fermare l'espansione di programmi come Medicare e Medicaid, e i repubblicani, che sostengono invece come il debito debba essere ridotto attraverso tagli alla spesa e non con nuove tasse. Obama incontrerà la disponibilità dei moderati in forza ai due partiti, ma si scontrerà con le frange più radicali. Il 2 gennaio scadranno gli sgravi fiscali dell'era Bush e una serie di tagli automatici alla spesa potrebbero entrare in vigore immediatamente colpendo tutti i programmi federali fatta eccezione per il Social Security e il Medicaid. Obama cercherà di imporre al congresso l’estensione di detti sgravi fino alla fine del suo mandato e potrebbe cercare di far approvare un progetto di riduzione del debito che ritardi i tagli alla spesa almeno alla fine del 2013. Un eventuale accordo potrebbe aumentare temporaneamente il tetto del debito che sarà raggiunto all'inizio del 2013. Obama in campagna elettorale ha promesso di voler estendere gli sgravi fiscali per tutti, fatta eccezione per coloro che guadagnano oltre duecentomila dollari (duecentocinquantamila per le coppie). I repubblicani vorrebbero invece mantenere gli sgravi per tutti, ma hanno poca possibilità di successo. Il presidente si impegnerà a mantenere la struttura di Medicare e Medicaid, i programmi di assistenza sanitaria gratuita per anziani e poveri. In senato però i moderati di entrambi i partiti stanno vagliando l’ipotesi di introdurre modifiche sostanziali ai due programmi. Obama dovrà inoltre riuscire a portare avanti la riforma dell'immigrazione che aveva promesso durante il suo primo mandato.

430 Il presidente potrebbe spingere per l'approvazione del Dream Act, la proposta di legge che aiuterebbe un milione settecentomila giovani immigrati, arrivati in America da bambini, ad ottenere la cittadinanza. La legge era stata bocciata dal Senato nel 2010, ma l'amministrazione Obama si è impegnata a portarla avanti nel secondo mandato.

Siamo sicuri che nel secondo quadriennio i presidenti facciano meglio? Da sempre, si sostiene che una volta rieletto il capo dello Stato USA, svincolato dal problema e dai vincoli operativi relativi alla rielezione, possa dare il meglio di sé. Ora, guardando ai precedenti, verrebbe voglia di dire il contrario visto che è praticamente sempre all’inizio che il presidente americano gode di maggiore autorevolezza, non è stanco ed è in grado di agire. Si pensi, per esempio e per restare a tempi a noi vicini, al pessimo, ingrato, pieno di trappole e problemi secondo mandato di George Walker Bush e a quello non certo esaltante del pur fortunato Bill Clinton. In lontanissimi anni, nella prima metà dell’Ottocento, il partito whig sostenne inutilmente la proposta di ridurre ad un solo quadriennio l’impegno dell’eletto. Come ho già scritto, i due whig effettivamente arrivati a White House, William Harrison e Zachary Taylor, mantennero fede all’impegno preso morendo nel corso appunto del primo mandato

431 COMMENTI E PROSPETTIVE

Vauro

8 novembre 2012 Corriere della Sera

In una magnifica vignetta, Vauro rappresenta Obama che sotto la dicitura “Il meglio deve ancora venire” dice “Per ora accontentavi di me”

432 Luigi Zingales Non ha vinto Obama, ma ha perso Romney 8 novembre 2012 - Il Sole 24 Ore

Obama ha vinto. Ma il clima (anche atmosferico) della sua vittoria è molto diverso da quello di quattro anni fa. Nel 2008 la notte della vittoria era tiepida, con una luna piena che illuminava a giorno un Grant Park dove a celebrare non c'erano solo i democratici, ma tutta l'America. Dopotutto, in quella campagna elettorale Obama era andato ripetendo che in America non esistono Stati repubblicani e Stati democratici, ma solo gli Stati Uniti d'America. E l'America unita aveva celebrato l'alba di quella che sembrava una nuova era. Ieri a Chicago invece faceva freddo, pioveva, e le celebrazioni erano rinchiuse nella sede locale delle fiere aziendali. A partecipare c'erano solo i democratici, felici solo che non aveva vinto il loro nemico. Ebbene sì. Ieri non ha vinto Obama, ma ha perso Romney. Un presidente che in quattro anni ha aumentato il debito del cinquanta per cento, non è riuscito a far scendere la disoccupazione al di sotto del sette e otto, e non ha presentato un piano serio per ridurre l'esplosione futura delle spese sanitarie per gli anziani (il cui fondo diventerà insolvente tra undici anni), era facilmente battibile. Romney non è stato in grado di farlo, nonostante gli americani abbiano rinnovato la loro fiducia ai candidati repubblicani, che hanno mantenuto la maggioranza in Congresso. È stato sconfitto il Romney tecnocratico: competente, ma incapace di parlare al cuore degli Americani. È stato sconfitto il Romney super tattico, bravissimo (forse troppo) ad adattarsi agli umori degli elettori, ma incapace di generare fiducia. È stato sconfitto il Romney troppo succube a quell'America bigotta che crede che il concepimento a seguito dello stupro sia “un dono del Signore” (come ha detto in un dibattito il candidato repubblicano al senato in Indiana) e che la migliore educazione sessuale sia l'insegnamento dell'astinenza. Questa vittoria suo malgrado, rende difficile al presidente Obama gestire il suo secondo mandato, soprattutto con un congresso a maggioranza repubblicana. Difficoltà aumentata dalla mancanza di chiarezza del suo programma. Una delle poche proposte chiare è un aumento delle imposte per chi ha un reddito familiare maggiore di duecentocinquantamila dollari l'anno.

433 Questo provvedimento è lungi dal risanare il deficit federale che viaggia al dieci per cento e non dà segnali di ridursi. Una politica fiscale accomodante nel colmo della più grande crisi economica dal 1929 poteva andare bene, ma continuare quattro anni dopo mette a repentaglio la stabilità finanziaria degli Stati Uniti. La piattaforma elettorale di Obama contiene anche delle proposte utili per combattere la disoccupazione, come un piano per riqualificare due milioni di disoccupati ed assumere più insegnanti di matematica e scienze. Contiene infine settantacinque miliardi di dollari di spese in infrastrutture. Ma siamo ad una vecchia strategia di ‘tassa e spendi’ che ha fallito nella Spagna di Zapatero e sta fallendo nella Francia di Hollande. E siamo lungi dalle speranze di un nuovo modo di fare politica promesso quattro anni fa. Questo nuovo modo di fare politica non si è visto neppure nella regolamentazione finanziaria. La legge Dodd-Frank ha certamente degli aspetti positivi, come la creazione di un'agenzia di protezione dei consumatori, ma non risolve il problema del ‘troppo grande per fallire’. Ed è difficile pensare che la stessa amministrazione che l'ha approvata possa cambiarla. L'unica speranza del secondo mandato è che, libero da preoccupazioni elettorali, Obama ritorni ad essere quello che aveva promesso di essere nella sua prima campagna elettorale: un presidente bipartisan che tratti i suoi elettori come cittadini adulti e responsabili, dicendo loro le verità (anche amare) e non vendendo illusioni. Se volesse fare questo dovrebbe nominare come ministro del Tesoro Erskine Bowles, co-presidente della commissione sulla sostenibilità fiscale, impegnandosi ad approvare le conclusioni di quella commissione. Sono proposte molto serie e coraggiose per risanare il bilancio federale, tra cui l'eliminazione dei sussidi all'agricoltura, un aumento dell'età pensionabile, ed un aumento dei contributi sociali per sostenere il peso pensionistico futuro. Sarebbe difficile per i repubblicani opporsi a questo piano, cui hanno in parte contribuito. Libero da necessità di raccogliere ulteriori fondi elettorali, Obama potrebbe anche dedicarsi ad una riforma dei finanziamenti elettorali. Oggi il tipico rappresentate al congresso è costretto a fare quattrocento eventi di raccolta di fondi all'anno (più di uno al giorno). È un sistema infernale in cui le imprese si sentono ricattate e i parlamentari costretti a mendicare, ma da cui nessuno può deviare, pena la non rielezione. Per questo solo un presidente nel suo secondo mandato può farsi promotore di una riforma di questo tipo. Solo se si impegnasse in queste riforme e diventasse quel presedente che aveva promesso di essere, Obama potrebbe passare alla storia per qualcosa di più che essere il primo presidente nero degli Stati Uniti.

434 Guido Mariani

In prospettiva: cambi nel governo degli Usa (Hillary lascia, Geithner e Panetta lasceranno). Possibili aperture ai repubblicani

8 novembre 2012 Lettera 43

Vinte le elezioni, per Barack Obama è tempo di scelte. A partire dai membri della squadra di governo per il suo secondo mandato. Il suo primo quadriennio si è contraddistinto per una grande e insolita stabilità nei membri del cabinet che i presidenti hanno facoltà di cambiare a piacere (sono poi sottoposti solo a una conferma da parte del Senato a maggioranza semplice). In quattro anni sono stati sostituiti solo il segretario alla difesa Robert Gates, nominato da George W. Bush e al fianco di Obama per due anni, e i segretari al Commercio Gary Locke, diventato ambasciatore in Cina, e John Bryson che ha dovuto lasciare per motivi di salute. Si attende ora un profondo rinnovamento. La voce più affascinante circolata nelle ultime ore e lanciata dal giornalista della Cnn Wolf Blitzer è quella che il presidente potrebbe nominare Mitt Romney nella sua squadra affidandogli il nuovo ruolo di ‘secretary of business’, una sorta di ministro dello sviluppo economico. Per Obama sarebbe un modo per mettere in pratica le parole del suo discorso dopo la vittoria elettorale, quando ha chiesto allo sfidante sconfitto di lavorare insieme per andare avanti. Sarebbe anche un’apertura verso un mandato ispirato a un dialogo e a un costruttivo rapporto con una Camera dei rappresentanti controllata dai repubblicani. La mossa avrebbe anche un precedente illustrissimo: il «team of rivals» di Abramo Lincoln che nel 1861 nominò nel suo governo quattro ministri scelti tra i suoi oppositori elettorali. Il ruolo più delicato per l’Obama bis è quello occupato da Timothy Geithner, il segretario al Tesoro. Al momento la sua posizione è intoccabile, si deve infatti discutere in queste settimane il destino degli sgravi fiscali che scadono alla fine 2012, così come il rinnovo delle aliquote: il cosiddetto 'fiscal cliff' che sarà certamente al centro di un tiro alla fune tra Casa Bianca e Congresso. Geithner dovrà essere lo stratega di un compromesso. Solo alla fine di questo delicatissimo passaggio l’ex economista della Federal reserve potrà essere sostituito. Ci sono già alcune ipotesi in discussione. La più accreditata parrebbe quella di Jack Lew, attuale capo di gabinetto di Obama, già vice-segretario di Stato, ma con un’esperienza pluriennale come responsabile dell'Ufficio management e budget con le amministrazioni Clinton e Obama.

435 Circolano anche voci su una scelta di profilo più alto con il reclutamento di un manager di una grande corporation. Sono stati fatti i nomi di Larry Fink di BlackRock, Tony James di Blackstone Group, David Cote di Honeywell o Eric Schmidt di Google. Più stimolante l’ipotesi Sheryl Sandberg, attualmente direttore operativo di Facebook: sarebbe la prima donna a occupare la posizione. Obama ha un debole per lei (politicamente) e ha già un’esperienza nell’esecutivo come capo dello staff nel National economic council. Ricambio in vista anche per il segretario di Stato. Hillary Clinton ha già annunciato la sua intenzione di farsi da parte: ufficialmente il suo desiderio è quello di ritirarsi a vita privata, ma in molti sperano in una sua candidatura alle primarie democratiche del 2016, anche se l’ex first lady ha appena compiuto sessantacinque anni. Per il suo posto si sprecano le ipotesi. D’alto profilo sono quelle dell’ex candidato alla presidenza John Kerry, che però lascerebbe libero un cruciale seggio senatoriale, oppure Susan Rice, attuale ambasciatrice all’Onu, che però è stata al centro di molte critiche per la sua reticenza sull’attacco all’ambasciata americana a Bengasi. Altri nomi sono quelli del senatore Richard Lugar e di Howard Berman che ha appena perso il suo seggio alla Camera. Alla difesa per ora rimarrà Leon Panetta che avrà il compito di gestire le eventuali conseguenze del 'fiscal cliff' sulle spese militari. Sciolto questo nodo, la sua poltrona potrebbe liberarsi a vantaggio del suo vice, Ash Carter, oppure per Michèle Flournoy già sottosegretario al Pentagono e che sarebbe la prima donna a occupare la posizione. Il ministro della giustizia Eric Holder non sembra avere le valigie in mano nell’immediato, ma si pensa comunque a un successore. Buone le chance di un altro afro-americano come il governatore del Massachusetts Deval Patrick, ma sono stati fatti i nomi anche del senatore Sheldon Whitehouse e di Preet Bharara, il ‘mastino di Wall street il procuratore distrettuale che sta mettendo sotto inchiesta banchieri e trader coinvolti negli scandali finanziari. Alla giustizia potrebbe anche finire Janet Napolitano, attualmente responsabile della sicurezza nazionale al cui posto potrebbe andare il giudice federale Merrick Garland o Matt Olsen, direttore del National counterterrorism center. È previsto anche un rinnovo di alcuni dicasteri minori come il dipartimento degli Interni (che non corrisponde al nostro ministero dell'Interno, ma gestisce solo alcune agenzie federali) che vedrà l’uscita di Ken Salazar, probabilmente a favore del vice David Hayes. Nel dipartimento dell’energia sarà sostituito Steven Chu. Si fa il nome di due donne. Cathy Zoi, già amministratore delegato dell'Alleanza per la protezione del clima fondata da Al Gore e di Kathleen McGinty presidente del consiglio per la qualità del clima sotto l’amministrazione Clinton.

436 Sicuramente Obama non deve dimenticarsi di chi lo ha rieletto alla Casa Bianca e la presenza femminile nel nuovo riassetto del gabinetto sarà assai più che una semplice quota rosa.

437 APPENDICI

438 BREVE GLOSSARIO DELLA POLITICA AMERICANA

Caucus : 'Consiglio ristretto' - secondo Maldwyn Jones - è uno dei sistemi con i quali vengono prescelti i candidati alla Presidenza (l'altro è quello delle 'primarie'). Il vocabolo, per alcuni, deriverebbe dal tardo greco 'kaukos', che significa 'boccale', e indicherebbe il fatto che le riunioni così chiamate si svolgevano originariamente nei saloons e nelle bettole. Per altri, risalirebbe alle riunioni dei capi tribù algonchini, in tal modo definite in quella particolare lingua. Sorto nei primi decenni del secolo scorso, il meccanismo in questione è tuttora vigente in alcuni Stati. Il più famoso caucus è quello dello Iowa che, tradizionalmente, inaugura la campagna elettorale in febbraio (dal 2000, in gennaio). Nella sostanza si tratta di una riunione ristretta agli attivisti del partito che in questo modo scelgono i delegati alla Convenzione.

Convention : la Convenzione nazionale è il momento conclusivo verso il quale tende tutto il sistema dei caucus e delle primarie e altresì l'unico Congresso dei due partiti, che, quindi, si riuniscono al massimo livello ogni quattro anni, in estate, per scegliere il candidato alla Presidenza ed il suo vice, nonché per discutere ed approvare la 'piattaforma' elettorale e cioè il programma del partito.

Dark horse : è il candidato inizialmente sconosciuto che improvvisamente ottiene un sorprendente successo (lo stesso Clinton, allora quasi ignoto governatore dell'Arkansas, quando nel 1992 riuscì a raggiungere imprevisti consensi nelle primarie e nei caucus di 'inizio corsa', fu definito 'cavallo scuro').

Endorsement: la dichiarazione ufficiale di appoggio ad una candidatura resa da un personaggio di spicco, governatore, parlamentare, ex presidente od altro che sia.

Front runner : è, invece, il candidato da battere, colui che si porta in testa alla maratona elettorale e che conduce la corsa verso la nomination.

Maverick : è il nome che si affibbia al candidato di uno dei partiti nazionali che sia ritenuto un po’ troppo indipendente (deriva dalla definizione del ‘vitello non marchiato’ che non si sa pertanto a chi davvero appartenga).

Mid term elections : espressione che indica le elezioni che si tengono a metà del mandato presidenziale (quindi, a metà del termine). A livello nazionale riguardano tutti i Rappresentanti - la cui Camera si rinnova totalmente ogni due anni - ed un terzo dei senatori, il cui mandato è di sei anni e che, a partire dal 1913 - prima erano nominati dalle Assemblee degli Stati di provenienza - debbono presentarsi agli elettori, appunto, un terzo alla volta.

439 Nomination : è l'investitura ufficiale che un partito dà al proprio candidato alla Presidenza nel corso della Convention nazionale.

Platform : è il programma elettorale del movimento politico nel quale sono espresse le sue posizioni sulle questioni più importanti in discussione nel Paese.

Primaries : le 'primarie' - la cui origine è relativamente recente visto che furono tenute per la prima volta nel 1903 nello Stato del Wisconsin - sono elezioni pubbliche dei delegati alle Convenzioni. A seconda degli Stati e dei loro regolamenti, possono essere 'aperte' (è consentito il voto non solo agli elettori del partito registrati come tali ma anche a quelli negli altri movimenti o agli indipendenti), o 'chiuse', che sono la maggioranza, nelle quali votano solo i citati elettori del partito in questione dichiaratisi tali. La più famosa primaria resta quella del New Hampshire che è la prima in ordine di tempo nel calendario elettorale (si svolgeva in febbraio – dal 2000 a gennaio - subito dopo il caucus dello Iowa).

Rednecks : definizione dei contadini degli Stati del ‘profondo Sud’ (che hanno il collo rosso perché esposto al sole nel mentre lavorano i campi) considerati un tempo rozzi bifolchi profondamente razzisti.

Running mate : è il compagno prescelto dal candidato alla Presidenza; in caso di vittoria sarà il vice presidente.

Term : così è definito il mandato, a termine perché quadriennale, del presidente. Tutte le cariche pubbliche elettive negli Stati Uniti sono a termine (non è previsto, quindi, per esempio, l'istituto della 'fiducia' e, conseguentemente, quello della 'sfiducia') e la teoria, a tale riguardo, parla di 'importanza dell'orologio'.

Ticket: l'accoppiata dei candidati alla Presidenza e alla vice Presidenza.

Turnout : è la percentuale d'affluenza alle urne, tradizionalmente molto bassa se paragonata a quelle europee (raramente si avvicina e, a maggior ragione, supera il sessanta per cento degli aventi diritto al voto).

Winner take all : è il sistema con il quale vengono attribuiti i delegati dei singoli Stati (Nebraska e Maine esclusi) al Collegio Nazionale che dovrà successivamente eleggere ufficialmente il presidente. In ogni Stato, chi vince anche per un solo voto popolare conquista tutti i delegati ai quali lo Stato stesso ha diritto.

440 I QUARANTAQUATTRO PRESIDENTI

Presidente e partito di In carica dal al appartenenza

George Washington (F) 30.4.1789 3.3.1797 John Adams (F) 4.3.1797 3.3.1801 Thomas Jefferson (R-D) 4.3.1801 3.3.1809 James Madison (R-D) 4.3.1809 3.3.1817 James Monroe (R-D) 4.3.1817 3.3.1825 John Quincy Adams (R-N) 4.3.1825 3.3.1829 Andrew Jackson (D) 4.3.1829 3.3.1837 Martin Van Buren (D) 4.3.1837 3.3.1841 William H. Harrison (W) 4.3.1841 4.4.1841 John Tyler (D) 6.4.1841 3.3.1845 James K. Polk (D) 4.3.1845 3.3.1849 Zachary Taylor (W) 4.3.1849 9.7.1850 Millard Fillmore (W) 10.7.1850 3.3.1853 Franklin Pierce (D) 4.3.1853 3.3.1857 James Buchanan (D) 4.3.1857 3.3.1861 Abraham Lincoln (R) 4.3.1861 15.4.1865 Andrew Johnson (D) 15.4.1865 3.3.1869 Ulysses S. Grant (R) 4.3.1869 3.3.1877 Rutheford B. Hayes (R) 4.3.1877 3.3.1881 James A. Garfield (R) 4.3.1881 19.9.1881 Chester A. Arthur (R) 20.9.1881 3.3.1885 Grover Cleveland (D) 4.3.1885 3.3.1889 Benjamin Harrison (R) 4.3.1889 3.3.1893 Grover Cleveland (D) * 4.3.1893 3.3.1897 William McKinley (R) 4.3.1897 14.9.1901 Theodore Roosevelt (R) 14.9.1901 3.3.1909 William H. Taft (R) 4.3.1909 3.3.1913 Woodrow Wilson (D) 4.3.1913 3.3.1921 Warren G. Harding (R) 4.3.1921 2.8.1923 Calvin Coolidge (R) 3. 8.1923 3.3.1929 Herbert Hoover (R) 4. 3.1929 3.3.1933 Franklin Delano Roosevelt (D) 4. 3.1933 12.4.1945 Harry S. Truman (D) 12. 4.1945 20.1.1953 Dwight D. Eisenhower (R) 20. 1.1953 20.1.1961 John F. Kennedy (D) 20. 1.1961 22.11.1963 Lyndon B. Johnson (D) 22.11.1963 20.1.1969 Richard M. Nixon (R) 20. 1.1969 9.8.1974 Gerald R. Ford (R) 9. 8.1974 20.1.1977 Jimmy Carter (D) 20. 1.1977 20.1.1981 Ronald Reagan (R) 20. 1.1981 20.1.1989 George Bush (R) 20. 1.1989 20.1.1993 Bill Clinton (D) 20. 1.1993 20.1.2001 George W. Bush (R) 20. 1.2001 20.1.2009 Barack Obama (D) 20. 1.2009 ______

441 I RISULTATI DELLE ELEZIONI

Anno Presidente eletto Avversari

1789 George Washington (F) John Adams (F) 1792 George Washington (F) John Adams (F) George Clinton (R-D) 1796 John Adams (F) Thomas Jefferson (R-D) Thomas Pinckney (F) Aaron Burr (R-D) 1800 Thomas Jefferson (R-D) Aaron Burr (R-D) John Adams (F) C.C. Pinckney (F) John Jay (federalista) 1804 Thomas Jefferson (R-D) C.C. Pinckney (F) 1808 James Madison (R-D) C.C. Pinckney (F) George Clinton (R-D) 1812 James Madison (R-D) De Witt Clinton (F) 1816 James Monroe (R-D) Rufus King (F) 1820 James Monroe (R-D) John Q. Adams (R-N) 1824 John Quincy Adams (R- Andrew Jackson (R-D) N) William Crawford (R- D) Henry Clay (R-D) 1828 Andrew Jackson (D) John Q. Adams (R-N) 1832 Andrew Jackson (D) Henry Clay (R-N) John Floyd (Indip.) William Wirt (Antimassonico)

1836 Martin Van Buren (D) William Harrison (W) Hugh White (W) Daniel Webster (W) W.P. Mangum (Indip.) 1840 William Harrison (W) Martin Van Buren (D) J.G. Birney (Libertà) 1844 James Polk (D) Henry Clay (W) J.G. Birney (Libertà) 1848 Zachary Taylor (W) Lewis Cass (D) Martin Van Buren (Freesoil) 1852 Franklin Pierce (D) Winfield Scott (W) John Hale (Freesoil) 1856 James Buchanan (D) John Fremont (R) Millard Fillmore (Americano) 1860 Abraham Lincoln (R) Stephen Douglas (D) John Breckinridge (D) John Bell (Union) 442 1864 Abraham Lincoln (R) George McClellan (D) 1868 Ulysses Grant (R) Horatio Seymour (D) 1872 Ulysses Grant (R) Horace Greeley (D-L-R) 1876 Rutheford Hayes (R) Samuel Tilden (D) 1880 James Garfield (R) Winfield Hancock (D) 1884 Grover Cleveland (D) James Blaine (R) 1888 Benjamin Harrison (R) Grover Cleveland (D) 1892 Grover Cleveland (D) Benjamin Harrison (R) James Weaver (Populista) 1896 William McKinley (R) William Jennings Bryan (D) 1900 William McKinley (R) William Jennings Bryan (D) 1904 Theodore Roosevelt (R) Alton Parker (D) Eugene Debs (Socialista) 1908 William Taft (R) William Jennings Bryan (D) Eugene Debs (Socialista) 1912 Woodrow Wilson (D) Theodore Roosevelt (Progressista) William Taft (R) Eugene Debs (Socialista) 1916 Woodrow Wilson (D) Charles Hughes (R) A.I. Benson (Socialista) 1920 Warren Harding (R) James Cox (D) Eugene Debs (Socialista) 1924 Calvin Coolidge (R) John Davis (D) Robert La Follette (Progressista) 1928 Herbert Hoover (R) Alfred Smith (D) Norman Thomas (Socialista) 1932 Franklin D. Roosevelt (D) Herbert Hoover (R) Norman Thomas (Socialista) 1936 Franklin D. Roosevelt (D) Alfred Landon (R) William Lemke (Union) 1940 Franklin D. Roosevelt (D) Wendell Wilkie (R) 1944 Franklin D. Roosevelt (D) Thomas Dewey (R) 1948 Harry Truman (D) Thomas Dewey (R) J. Strom Thurmond (D-Dixiecrats) Henry Wallace (Progressista) 1952 Dwight D. Eisenhower (R) Adlai Stevenson (D) 1956 Dwight D. Eisenhower (R) Adlai Stevenson (D)

443 1960 John F. Kennedy (D) Richard M. Nixon (R) 1964 Lyndon B. Johnson (D) Barry Goldwater (R) 1968 Richard M. Nixon (R) Hubert Humphrey (D) George Wallace (Indipendente) 1972 Richard M. Nixon (R) George McGovern (D) 1976 Jimmy Carter (D) Gerald Ford (R) 1980 Ronald Reagan (R) Jimmy Carter (D) John Anderson (Indipendente) 1984 Ronald Reagan (R) Walter Mondale (D) 1988 George Bush (R) Michael Dukakis (D) 1992 Bill Clinton (D) George Bush (R) Ross Perot (Indipendente) 1996 Bill Clinton (D) Bob Dole (R) Ross Perot (Reform Party) 2000 George W. Bush (R) Al Gore (D) Ralph Nader (Verdi) 2004 George W. Bush (R) John Kerry (D) 2008 Barack Obama (D) John McCain (R)

SIGLE DEI PARTITI (esclusi quelli citati per intero): D (democratici); D-L-R (democratici-liberal-repubblicani); F (fe- deralisti); R (repubblicani); R-D (repubblicani-democratici); R-N (repubblicani-nazionali, conservatori); W (whigs).

444 LA COSTITUZIONE FEDERALE E GLI EMENDAMENTI

PREAMBOLO Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di perfezionare ulteriormente la nostra Unione, di garantire la giustizia, di assicurare la tranquillità all'interno, di provvedere alla comune difesa, di promuovere il benessere generale e di salvaguardare per noi stessi e per i nostri posteri il dono della libertà, decretiamo e stabiliamo questa Costituzione degli Stati Uniti d'America.

ARTICOLO I SEZIONE 1. - Tutti i poteri legislativi conferiti col presente atto sono delegati ad un Congresso degli Stati Uniti, composto di un Senato e di una Camera dei Rappresentanti. SEZIONE 2. - 1. La Camera dei Rappresentanti sarà composta di membri eletti ogni due anni dal popolo dei vari Stati, e gli elettori di ciascuno Stato dovranno avere i requisiti richiesti per essere elettori della Camera più numerosa del Parlamento dello Stato (1). 2. Non può essere Rappresentante chi non abbia raggiunto l'età di 25 anni, non sia da sette anni cittadino degli Stati Uniti e non sia; nel periodo delle elezioni, abitante dello Stato in cui sarà eletto. 3. I Rappresentanti e le imposte dirette saranno ripartiti fra i diversi Stati che facciano parte dell'Unione secondo il numero dei loro abitanti (2); numero che verrà determinato aggiungendo al totale degli uomini liberi - compresi quelli sottoposti a prestazione di servizio per un periodo limitato ed esclusi gli Indiani non soggetti a imposte - tre quinti del rimanente della popolazione (3). Il censimento deve essere fatto entro tre anni dalla prima riunione del Congresso degli Stati Uniti, e successivamente ogni dieci anni, secondo le norme che verranno stabilite per legge. Il numero dei rappresentanti non supererà quello di uno per ogni trentamila abitanti (4), però ciascuno Stato avrà almeno un Rappresentante; e fino a che quel computo non sarà effettuato, lo Stato del New Hampshire avrà il diritto di eleggere tre Rappresentanti: il Massachusetts otto, il Rhode Island e le Piantagioni di Providence uno, il Connecticut cinque, lo Stato di New York sei, quello del New Jersey quattro, la Pennsylvania otto, il Delaware uno, il Maryland sei, la Virginia dieci, la Carolina del Nord cinque, la Carolina del Sud cinque, la Georgia tre . 4. Quando nella rappresentanza di uno Stato rimarranno seggi vacanti, gli organi del potere esecutivo indiranno le elezioni per ricoprire tali seggi. 5. La Camera dei rappresentanti eleggerà il suo Presidente e le altre cariche ed essa sola avrà il potere di mettere in stato di accusa il Presidente o i membri del Congresso. SEZIONE 3. - 1. Il Senato degli Stati Uniti sarà composto da due Senatori per ogni Stato, eletti dalla Legislatura locale (5) per un periodo di sei anni; ed ogni Senatore disporrà di un voto. 2. Immediatamente dopo la riunione successiva alla prima elezione, i Senatori saranno divisi in tre classi, in numero possibilmente eguale. I seggi dei Senatori della prima classe diverranno vacanti allo scadere del secondo anno, quelli della seconda classe allo scadere del quarto anno, quelli della terza allo scadere del sesto anno, in modo che ogni due anni venga rieletto un terzo del Senato; e ove nell'intervallo tra le sessioni della Legislatura di ciascuno Stato, in seguito a dimissioni o per altra causa qualsiasi, alcuni seggi rimangano vacanti, l'Esecutivo potrà procedere a nomine provvisorie fino alla prossima sessione della Legislatura, che conferirà i seggi vacanti (6). 3. Non potrà essere Senatore chi non abbia compiuto l'età di 30 anni, non sia da nove anni cittadino degli Stati Uniti, e non sia, nel periodo della elezione, abitante dello Stato da cui sarà eletto. 4. Il Vice-Presidente degli Stati Uniti sarà Presidente del Senato, ma non avrà voto, salvo nel caso in cui, in sede di votazione, l'assemblea sia pariteticamente divisa.

445 5. Il Senato nominerà le altre sue cariche, come pure un Presidente pro-tempore, il quale presiederà in assenza del Vice-Presidente, o quando questi svolga le funzioni di Presidente degli Stati Uniti (7). 6. Il Senato avrà il potere esclusivo di giudicare gli atti d'accusa contro membri del Governo e parlamentari. Ove si riunisca per tale scopo, i suoi membri presteranno giuramento o impegneranno la loro parola. Ove si debba giudicare il Presidente degli Stati Uniti, presiederà il Presidente della Corte Suprema; nessun accusato potrà essere dichiarato colpevole senza una maggioranza dei due terzi dei membri presenti. 7. Le condanne pronunziate in tali casi non avranno altro effetto se non di allontanare l'accusato dalla carica che occupa e di interdirgli, negli Stati Uniti, l'accesso a qualsiasi carica onorifica, di fiducia o retribuita; ma il condannato potrà nondimeno essere soggetto o sottoposto ad incriminazione, processo, giudizio e punizione secondo le leggi ordinarie. SEZIONE 4. - 1. La data, i luoghi e le modalità delle elezioni dei Senatori e dei Rappresentanti saranno fissati in ogni Stato dalle relative Legislature; ma il Congresso federale potrà in qualsiasi momento emanare o modificare queste norme, salvo per quanto riguarda i luoghi in cui i Senatori debbono essere eletti. 2. Il Congresso si riunirà almeno una volta all'anno e tale riunione dovrà aver luogo nel primo lunedì di dicembre, a meno che non venga fissato per legge un altro giorno (8). SEZIONE 5. - 1. Ciascuna delle due Camere sarà giudice delle elezioni, delle rielezioni e dei requisiti dei propri membri. Il numero legale per ciascuna delle due camere sarà costituito dalla metà più uno; qualora non si raggiunga il numero legale, ciascuna Camera può aggiornare la seduta di giorno in giorno, ed essere autorizzata a costringere i membri assenti ad intervenire, ricorrendo a quei mezzi e comminando quelle sanzioni cui essa riterrà di ricorrere. 2. Ciascuna Camera elaborerà il proprio regolamento, punirà i suoi membri per condotta scorretta, e potrà, a maggioranza di due terzi, procedere ad espulsioni. 3. Ciascuna Camera redigerà un verbale delle proprie sedute e lo pubblicherà periodicamente, ad eccezione di ciò che crederà debba rimanere segreto; i voti favorevoli e contrari dei membri di ciascuna Camera, sopra una qualsiasi questione, saranno, su domanda di un quinto dei membri presenti, inseriti a verbale. 4. Nessuna delle due Camere, durante la sessione del Congresso, potrà, senza il consenso dell'altra, rinviare la seduta per più di tre giorni, né spostarla ad un luogo diverso da quello in cui seggono le due Camere. SEZIONE 6. - 1. I Senatori e i Rappresentanti riceveranno per le loro funzioni un'indennità che verrà determinata per legge e pagata dal Tesoro degli Stati Uniti. In nessun caso, salvo che per tradimento, fellonia e turbamento della quiete pubblica, essi potranno essere arrestati, sia durante la sessione, sia nel recarsi a questa o nell'uscirne; né per i discorsi pronunziati o per le opinioni sostenute nelle rispettive Camere potranno essere sottoposti a interrogatori in alcun altro luogo. 2. Nessun Senatore e Rappresentante, per tutto il periodo per cui è stato eletto, potrà essere chiamato a coprire un qualsiasi ufficio civile alle dipendenze degli Stati Uniti che sia stato istituito, o la cui retribuzione sia stata aumentata durante detto periodo; e nessuno che abbia un impiego alle dipendenze degli Stati Uniti potrà essere membro di una delle due Camere finché conservi tale impiego. SEZIONE 7. - 1. Tutti i progetti di legge relativi all'imposizione di tributi debbono aver origine nella Camera dei Rappresentanti; il Senato pero può concorrervi, come per gli altri progetti di legge, proponendo emendamenti. 2. Qualsiasi progetto di legge che abbia ottenuto l'approvazione del Senato e della camera dei Rappresentanti, deve essere presentato, prima di divenire legge, al Presidente degli Stati Uniti. Questi, qualora lo approvi, vi apporrà la firma; in caso contrario, lo rinvierà con le sue osservazioni alla camera da cui è stato proposto, e questa inserirà integralmente a verbale tali osservazioni e discuterà di nuovo il progetto. Se, dopo questa seconda discussione, due terzi dei membri della Camera interessata si dichiarano in favore del progetto, questo sarà mandato, insieme con le

446 osservazioni del Presidente, all'altra Camera, da cui verrà discusso in maniera analoga; e se anche in questa sarà approvato con una maggioranza di due terzi, acquisterà valore di legge. In tali casi, però, i voti di entrambe le Camere debbono esser dati per appello nominale, e i nomi dei votanti pro e contro saranno annotati nei verbali delle rispettive Camere. Se entro dieci giorni (escluse le domeniche) dal momento in cui gli sarà stato presentato, il Presidente non restituirà un progetto di legge, questo acquisterà forza di legge come se egli lo avesse firmato, a meno che il Congresso, aggiornandosi, non renda impossibile che il progetto stesso gli sia rinviato; nel qual caso il progetto non acquisterà forza di legge. 3. Tutti i mandati, deliberazioni o voti, per i quali sia necessario il concorso delle due Camere (salvo che si tratti di aggiornamento) debbono essere sottoposti al Presidente degli Stati Uniti, e da lui approvati prima che entrino in vigore; oppure; se egli li respinge, debbono nuovamente essere approvati dai due terzi delle due Camere, conformemente a quanto prescritto per i progetti di legge. SEZIONE 8. - 1. Il Congresso avrà facoltà: Di imporre e percepire tasse, diritti, imposte e dazi; di pagare i debiti pubblici e di provvedere alla difesa comune e al benessere generale degli Stati Uniti. I diritti, le imposte, le tasse e i dazi dovranno però, essere uniformi in tutti gli Stati Uniti; 2. Di contrarre prestiti per conto degli Stati Uniti; 3. Di regolare il commercio con le altre nazioni, e fra i diversi Stati e con le tribù indiane; 4. Di fissare le norme generali per la naturalizzazione, e le leggi generali in materia di fallimenti negli Stati Uniti; 5. Di battere moneta, di stabilire il valore di questa e quello delle monete straniere, e di fissare i vari tipi di pesi e di misure; 6. Di provvedere a punire ogni contraffazione dei titoli e della moneta corrente degli Stati Uniti; 7. Di stabilire uffici e servizi postali; 8. Di promuovere il progresso della scienza e delle arti utili, garantendo per periodi limitati agli autori e agli inventori il diritto esclusivo sui loro scritti e sulle loro scoperte; 9. Di costituire tribunali di grado inferiore alla Corte Suprema; 10. Di definire e di punire gli atti di pirateria e di fellonia compiuti in alto mare, nonché le offese contro il diritto delle genti; 11. Di dichiarare la guerra, di concedere permessi di preda e rappresaglia e di stabilire norme relative alle prede in terra e in mare; 12. Di reclutare e mantenere eserciti; nessuna somma, però, potrà essere stanziata a questo scopo per più di due anni; 13. Di creare e mantenere una Marina militare; 14. Di stabilire regole per l'amministrazione e l'ordinamento delle forze di terra e di mare; 15. Di provvedere a che la milizia sia convocata per dare esecuzione alle leggi dell'Unione, per reprimere le insurrezioni e per respingere le invasioni; 16. Di provvedere a che la milizia sia organizzata, armata e disciplinata e di disporre di quella parte di essa che possa essere impiegata al servizio degli Stati Uniti, lasciando ai rispettivi Stati la nomina degli ufficiali e la cura di addestrare i reparti secondo le norme disciplinari prescritte dal Congresso; 17. Di esercitare esclusivo diritto di legiferare in qualsiasi caso in quel distretto (non eccedente le dieci miglia quadrate) che per cessione di Stati particolari, e per consenso del Congresso, divenga sede del Governo degli Stati Uniti e di esercitare analoga autorità su tutti i luoghi acquistati, con l'assenso della Legislatura dello Stato in cui si trovano, per la costruzione di fortezze, di depositi, di arsenali, di cantieri e di altri edifici di utilità pubblica; 18. Di fare tutte le leggi necessarie ed adatte per l'esercizio dei poteri di cui sopra, e di tutti gli altri poteri di cui la presente Costituzione investe il Governo degli Stati Uniti o i suoi Dicasteri ed uffici. SEZIONE 9. - 1. L'immigrazione o l'introduzione di quelle persone che gli Stati attualmente esistenti possono ritenere conveniente di ammettere, non potrà essere vietata dal Congresso prima dell'anno 1808: ma può essere imposta sopra tale introduzione una tassa o un diritto non superiore ai dieci dollari per persona (9).

447 2. Il privilegio dell'habeas corpus non sarà sospeso se non quando in caso di ribellione o di invasione lo esiga la sicurezza pubblica. 3. Non potrà essere approvato alcun decreto di limitazione dei diritti del cittadino, né alcuna legge penale retroattiva. 4. Non potrà essere imposto testatico o altro tributo diretto, se non in proporzione del censimento (10) e della valutazione degli averi di ciascuno, che dovranno essere effettuati come disposto più sopra nella presente legge. 5. Nessuna tassa e nessun diritto potrà essere stabilito sopra merci esportate da uno qualunque degli Stati. 6. Nessuna preferenza dovrà essere data dai regolamenti commerciali o fiscali ai porti di uno Stato rispetto a quelli di un altro; e le navi dirette ad uno Stato o provenienti dai suoi porti non potranno essere costrette ad entrare in quelli di un altro Stato o a pagarvi alcun diritto. 7. Nessuna somma dovrà essere prelevata dal Tesoro, se non in seguito a stanziamenti decretati per legge; e dovrà essere pubblicato periodicamente un rendiconto regolare delle entrate e delle spese pubbliche. 8. Gli Stati Uniti non conferiranno alcun titolo di nobiltà; nessuna persona che occupi un posto retribuito o di fiducia alle dipendenze degli Stati Uniti potrà, senza il consenso del Congresso, accettare doni, emolumenti, incarichi o titoli da un Sovrano, da un principe o da uno Stato straniero. SEZIONE 10. - 1. Nessuno Stato potrà concludere trattati, alleanze o patti confederali; o accordare permessi di preda o rappresaglia; o battere moneta; o emettere titoli di credito; o consentire che il pagamento dei debiti avvenga in altra forma che mediante monete d'oro o d'argento; o approvare alcun decreto di limitazione dei diritti del cittadino, alcuna legge penale retroattiva, ovvero leggi che portino deroga alle obbligazioni derivanti da contratti; o conferire titoli di nobiltà. 2. Nessuno Stato potrà, senza il consenso del Congresso, stabilire imposte e diritti di qualsiasi genere sulle importazioni e sulle esportazioni, ad eccezione di quanto sia assolutamente indispensabile per dare esecuzione alle proprie leggi di ispezione; e il gettito netto di tutti i diritti e di tutte le contribuzioni imposte da qualsiasi Stato sulle importazioni e sulle esportazioni sarà a disposizione della Tesoreria degli Stati Uniti; e tutte le leggi relative saranno soggette a revisione e a controllo da parte del Congresso. 3. Nessuno Stato potrà, senza il consenso del Congresso, imporre alcuna imposta sulle navi in base al tonnellaggio, mantenere truppe o navi da guerra in tempo di pace, concludere trattati o unioni con altri Stati o con potenze straniere, o impegnarsi in una guerra, salvo in caso di invasione o di pericolo così imminente da non ammettere alcun indugio.

ARTICOLO II SEZIONE 1. - 1. Il Presidente degli Stati Uniti d'America sarà investito del potere esecutivo. Egli rimarrà in carica per il periodo di quattro anni, e la sua elezione e quella del Vice-Presidente, eletto per lo stesso periodo, avranno luogo nel modo seguente: 2. Ogni Stato nominerà, nel modo che verrà stabilito dai suoi organi legislativi, un numero di elettori, pari al numero complessivo dei Senatori e dei rappresentanti che lo Stato ha diritto di mandare al Congresso; nessun Senatore e Rappresentante, però, né alcuna persona che abbia un pubblico incarico o un impiego retribuito dagli Stati Uniti, potrà essere nominato elettore. 3. Gli elettori si riuniranno nei rispettivi Stati e voteranno a scrutinio segreto per due persone, delle quali una almeno non dovrà appartenere allo stesso Stato degli elettori. Essi compileranno una lista di tutti coloro che hanno ottenuto voti e del numero dei voti raccolti da ciascuno; questa lista sarà da essi firmata, autenticata e trasmessa, sotto Sigillo, alla sede del Governo degli Stati Uniti, indirizzata al Presidente del Senato. Il Presidente del Senato, in presenza del Senato e della Camera dei Rappresentanti aprirà le liste autenticate e quindi si procederà al computo dei voti. La persona che avrà ottenuto il maggior numero di voti sarà Presidente, sempre che questo numero rappresenti la maggioranza del numero totale degli elettori nominati: e se vi sarà più di uno che abbia ottenuto tale maggioranza, con un egual numero di voti, allora la Camera dei Rappresentanti

448 procederà immediatamente a scegliere uno di essi per Presidente, mediante scrutinio segreto; qualora invece nessuno raccogliesse la maggioranza, la Camera procederà in modo analogo a eleggere il Presidente tra i cinque che abbiano raccolto il maggior numero di voti. Nell'elezione del Presidente, tuttavia, i voti saranno dati per Stato e la rappresentanza di ciascuno Stato avrà un solo voto. Il numero legale sarà costituito a tale scopo dalla rappresentanza, composta di uno o più membri, dei due terzi degli Stati, ma per la validità dell'elezione saranno necessari i voti della metà più uno di tutti gli Stati. In ogni caso, dopo l'elezione del Presidente, la persona che abbia raccolto il maggior numero di voti degli elettori sarà nominata Vice-Presidente. Se due o più candidati si trovassero con egual numero di voti, il Senato eleggerà fra questi il Vice-Presidente a scrutinio segreto (11). 4. Il Congresso può determinare l'epoca per la designazione degli elettori, e il giorno in cui questi dovranno dare i loro voti; giorno che dovrà essere lo stesso per tutti gli Stati Uniti. 5. Nessuna persona, che non sia per nascita o comunque cittadino degli Stati Uniti nel momento in cui questa Costituzione sarà adottata, potrà essere eleggibile alla carica di Presidente; né potrà essere eleggibile a tale carica chi non abbia raggiunto l'età di 35 anni e non sia residente negli Stati Uniti da 14 anni. 6. In caso di rimozione del Presidente dalla carica, o di morte, o di dimissioni, o di inabilità ad adempiere le funzioni e i doveri inerenti alla sua carica, questa sarà affidata al Vice-Presidente, ed il Congresso potrà provvedere mediante legge, in caso di rimozione, di morte, di dimissioni o di inabilità sia del Presidente che del Vice-presidente, dichiarando quale pubblico funzionario dovrà adempiere le funzioni di Presidente: tale funzionario le adempirà fino a quando la causa di inabilità cessi, o venga eletto il nuovo Presidente (12). 7. Il Presidente riceverà per i suoi servizi, a epoche stabilite, una indennità che non potrà essere aumentata né diminuita durante il periodo per il quale egli è stato eletto, ed egli non dovrà percepire durante tale periodo alcun altro emolumento dagli Stati Uniti o da uno qualsiasi degli Stati. 8. Prima di entrare in carica, il Presidente dovrà fare la seguente dichiarazione con giuramento o impegnando la sua parola d'onore: «Giuro, (o affermo) solennemente che adempierò con fedeltà all'ufficio di Presidente degli Stati Uniti e che con tutte le mie forze preserverò proteggerò e difenderò la Costituzione degli Stati Uniti». SEZIONE 2. - 1. Il Presidente sarà Comandante in Capo dell'Esercito, della Marina degli Stati Uniti e della milizia dei diversi Stati quando questa sia chiamata al servizio attivo degli Stati Uniti; egli può richiedere il parere per iscritto del principale funzionario di ciascuno dei dicasteri esecutivi su ogni argomento relativo ai doveri dei loro rispettivi uffici, e avrà anche l'autorità di concedere diminuzioni di pena e grazia per tutti i crimini compiuti contro gli Stati Uniti, salvo nel caso dei procedimenti di incriminazione da parte della Camera. 2. Egli avrà il potere, su parere e con il consenso del Senato, di concludere trattati, purché vi sia l'approvazione di due terzi dei Senatori presenti; designerà, e su parere e con il consenso del Senato, nominerà gli ambasciatori, gli altri diplomatici e i consoli, i giudici della Corte Suprema e tutti gli altri pubblici funzionari degli Stati Uniti, la cui nomina non sia altrimenti disposta con la presente Costituzione, e che debba essere stabilita con apposita legge; ma il Congresso può mediante legge, devolvere quelle nomine di funzionari di grado inferiore che riterrà opportuno al solo Presidente, alle Corti Giudiziarie, ovvero ai capi dei singoli dicasteri. 3. Il Presidente avrà il potere di assegnare le cariche che si rendessero vacanti nell'intervallo tra una sessione e l'altra del Senato, mediante nomine provvisorie, le quali avranno validità fino alla fine della sessione successiva. SEZIONE 3. - Il Presidente informerà di tanto in tanto il Congresso sulle condizioni dell'Unione e raccomanderà all'esame del Congresso quei provvedimenti che riterrà necessari e convenienti; potrà, in contingenze straordinarie, convocare entrambe le Camere, oppure una di esse, e, in caso di dissenso tra le camere circa la durata dell'aggiornamento, potrà fissare quella che gli parrà conveniente; riceverà gli ambasciatori e gli altri diplomatici; avrà cura della piena osservanza delle leggi e sanzionerà la nomina di tutti i funzionari degli Stati Uniti.

449 SEZIONE 4. - Il Presidente, il Vice-Presidente e ogni altro funzionario civile degli Stati Uniti saranno rimossi dall'ufficio ove, in seguito ad accusa mossa dalla Camera, risultino colpevoli di tradimento, di concussione o di altri gravi reati.

ARTICOLO III SEZIONE 1. - Il potere giudiziario degli Stati Uniti sarà affidato ad una Corte Suprema e a quelle Corti di grado inferiore che il Congresso potrà di volta in volta creare e costituire. I giudici della Corte Suprema e quelli delle Corte di grado inferiore conserveranno il loro ufficio finché non se ne renderanno indegni con la loro condotta, e ad epoche fisse riceveranno per i loro servizi un'indennità, che non potrà essere diminuita finché essi rimarranno in carica. SEZIONE 2. - 1. Il potere giudiziario si estenderà a tutti i casi di diritto e di equità che si presenteranno nell'ambito della presente Costituzione, delle leggi degli Stati Uniti e dei trattati stipulati o da stipulare, sotto la loro autorità; a tutti i casi concernenti gli ambasciatori, gli altri rappresentanti diplomatici ed i consoli, a tutti i casi che riguardino l'ammiragliato e la giurisdizione marittima; alle controversie in cui gli Stati Uniti siano parte in causa; alle controversie tra due o più Stati, tra uno Stato e i cittadini di un altro Stato (13), tra cittadini di Stati diversi, tra cittadini di uno stesso Stato che reclamino terre in base a concessioni di altri Stati, e tra uno Stato e i suoi cittadini, e Stati, cittadino o sudditi stranieri. 2. In tutti i casi che riguardino ambasciatori, altri rappresentanti diplomatici o consoli e in quelli in cui uno Stato sia parte in causa, la Corte Suprema avrà giurisdizione originaria. In tutti gli altri casi sopra menzionati la Corte Suprema avrà giurisdizione d'appello, sia in diritto che in fatto, con le eccezioni e le norme che verranno fissate dal Congresso. 3. Il giudizio per tutti i crimini, salvo nei casi di accusa mossa dalla Camera dei Rappresentanti, dovrà avvenire mediante giuria; e tale giudizio sarà tenuto nello Stato dove detti crimini siano stati commessi; quando il crimine non sia stato commesso in alcuno degli Stati, il giudizio si terrà nel luogo o nei luoghi che saranno stati designati per legge del Congresso. SEZIONE 3. - 1. Sarà considerato tradimento contro gli Stati Uniti soltanto l'aver impugnato le armi contro di essi, o l'aver fatto causa comune con nemici degli, Stati Uniti, fornendo loro aiuto e soccorsi. Nessuno sarà dichiarato colpevole di alto tradimento, se non su testimonianza di due persone che siano state presenti a uno stesso atto flagrante, ovvero quando egli confessi la sua colpa in pubblico processo. 2. Il potere di emettere una condanna per alto tradimento spetta al Congresso; ma nessuna sentenza di tradimento potrà comportare perdita di diritti per i discendenti, o confisca di beni se non durante la vita del colpevole.

ARTICOLO IV SEZIONE I. - In ogni Stato saranno attribuiti piena fiducia e pieno credito agli atti, ai documenti pubblici e ai procedimenti giudiziaria degli altri Stati; e il Congresso, potrà, mediante leggi generali, prescrivere il modo in cui la validità di tali atti, documenti e procedimenti debba essere determinata, nonché gli effetti della validità stessa. SEZIONE 2. - 1. I cittadini di ogni Stato hanno diritto in tutti gli altri Stati a tutti i privilegi e a tutte le immunità inerenti alla condizione di cittadini. 2. Qualsiasi persona accusata in uno Stato di alto tradimento, di fellonia o di altro crimine e che si sia sottratta alla giustizia e sia trovata in altro Stato sarà - su richiesta degli organi esecutivi dello Stato da cui è fuggita - consegnata e condotta allo Stato che abbia giurisdizione per il reato ad essa imputato. 3. Nessuna persona sottoposta a prestazioni di servizio o di lavoro di uno degli Stati, secondo le leggi ivi vigenti, e che si sia rifugiata in un altro Stato, potrà, in virtù di qualsiasi legge o regolamento quivi in vigore, essere esentata da tali prestazioni di servizio o di lavoro; ma, su richiesta dell'interessato, verrà riconsegnata alla parte di cui tali prestazioni sono dovute (14).

450 SEZIONE 3. - 1. Nuovi Stati potranno essere ammessi nell'Unione per decisione del Congresso; ma nessuno Stato nuovo potrà essere costituito entro la giurisdizione di qualsiasi Stato già esistente; e nessuno Stato potrà essere formato dalla riunione di due o più Stati già esistenti, o di parte di essa, senza il consenso della Legislatura degli Stati interessati, oltre che del Congresso. 2. Il Congresso avrà l'autorità di disporre del territorio e delle altre proprietà appartenenti agli Stati Uniti e di stabilire tutte le norme e le misure che in detto territorio si ritenessero necessarie. Nessuna disposizione della presente Costituzione potrà essere interpretata in modo pregiudizievole a qualsiasi diritto che possa essere accampato dagli Stati Uniti o da uno dei singoli Stati. SEZIONE 4. - Gli Stati Uniti garantiranno a ogni Stato dell'Unione la forma di governo repubblicana, e proteggeranno ogni Stato, contro qualsiasi invasione: e - su richiesta degli organi legislativi o del potere esecutivo (quando il legislativo non possa essere convocato) - contro violenze interne.

ARTICOLO V Il Congresso, ogniqualvolta i due terzi delle Camere lo riterranno necessario, proporrà emendamenti alla presente Costituzione, oppure, su richiesta dei due terzi delle Legislature dei vari Stati, convocherà un'Assemblea per proporre gli emendamenti. In entrambi i casi, gli emendamenti saranno validi a ogni effetto, come parte di questa Costituzione, allorché saranno stati ratificati dalle Legislature di tre quarti degli Stati, o dai tre quarti delle Assemblee di cui sopra, a seconda che l'uno o l'altro modo di ratifica sia stato prescritto dal Congresso; tuttavia resta stabilito che nessun emendamento, prima dell'anno 1808, potrà modificare in alcun modo i capoversi primo e quarto della Sezione 9 dell'articolo 1 (15), e che nessuno Stato, senza il suo proprio consenso, potrà essere privato della parità di rappresentanza nel Senato.

ARTICOLO VI 1. Tutti i debiti contratti e le obbligazioni assunte prima della presente Costituzione, saranno validi per gli Stati Uniti sotto la presente Convenzione, come lo erano sotto la Confederazione. 2. La presente Costituzione e le leggi degli Stati Uniti che verranno fatte in conseguenza di essa, e tutti i trattati conclusi, o che si concluderanno, sotto l'autorità degli Stati Uniti, costituiranno la legge suprema del Paese; e i giudici di ogni Stato saranno tenuti a conformarsi ad essi, quali che possano essere le disposizioni in contrario nella Costituzione o nella legislazione di qualsiasi singolo Stato. 3. I Senatori e i Rappresentanti sopra menzionati, i membri delle Legislature dei singoli Stati e tutti i rappresentanti del potere esecutivo e di quello giudiziario, sia degli Stati Uniti, che di ogni singolo Stato, saranno tenuti, con giuramento o con dichiarazione sul loro onore, a difendere la presente Costituzione; ma nessuna professione di fede religiosa sarà mai imposta come necessaria per coprire un ufficio o una carica pubblica degli Stati Uniti.

ARTICOLO VII La ratifica da parte delle Assemblee di nove Stati sarà sufficiente a far entrare in vigore la presente Costituzione negli Stati che l'abbiano in tal modo ratificata. Redatto in Assemblea, per unanime consenso degli Stati presenti, il giorno diciassettesimo del settembre dell'anno del Signore 1787, e dodicesimo dell'indipendenza degli Stati Uniti d'America. In fede di che abbiamo qui sotto apposto le nostre firme.

451 EMENDAMENTI

BILL OF RIGHTS (*) (15 dicembre 1791)

ARTICOLO I Il Congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione, o per proibirne il libero culto; o per limitare la libertà di parola o di stampa, o il diritto che hanno i cittadini di riunirsi in forma pacifica e di inoltrare petizioni al Governo per la riparazione di torti subiti.

ARTICOLO II Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben ordinata milizia, il diritto dei cittadini di tenere e portare armi non potrà essere violato.

ARTICOLO III Nessun soldato, in tempo di pace, potrà essere alloggiato in una casa privata senza il consenso del proprietario; né potrà esserlo in tempo di guerra, se non nei modi che verranno prescritti per legge.

ARTICOLO IV Il diritto dei cittadini a godere della sicurezza per quanto riguarda la loro persona, la loro casa, le loro carte e le loro cose, contro perquisizioni e sequestri ingiustificati, non potrà essere violato; e nessun mandato giudiziario potrà essere emesso, se non in base a fondate supposizioni, appoggiate da un giuramento o da una dichiarazione sull'onore e con descrizione specifica del luogo da perquisire, e delle persone da arrestare o delle cose da sequestrare.

ARTICOLO V Nessuno sarà tenuto a rispondere di reato che comporti la pena capitale o comunque infamante, se non per denuncia o accusa fatta da una Grande Giuria, a meno che il reato non sia compiuto da individui appartenenti alle forze di terra o di mare, o alla milizia, quando questa si trovi in servizio attivo, in tempo di guerra o di pericolo pubblico; né alcuno potrà essere sottoposto due volte, per un medesimo delitto, a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica; né potrà essere obbligato, in qualsiasi causa penale, a deporre contro sé medesimo, né potrà essere privato della vita, della libertà o dei beni, se non in seguito a regolare procedimento legale; e nessuna proprietà potrà essere destinata a un uso pubblico, senza un giusto indennizzo.

ARTICOLO VI In ogni processo penale, l'accusato avrà diritto di essere giudicato sollecitamente e pubblicamente da una giuria imparziale dello Stato e del distretto in cui il reato è stato commesso (i limiti di tale distretto saranno stati precedentemente determinati per legge); e avrà diritto di essere informato della natura e del motivo dell'accusa; di esser messo a confronto con i testimoni a carico, di far comparire i testimoni a suo favore, e di farsi assistere da un avvocato per la sua difesa.

ARTICOLO VII Nelle cause che dovranno essere giudicate a norma della «Common Law», il diritto al giudizio a mezzo di giuria sarà mantenuto ogni volta che l'oggetto della controversia superi il valore di venti dollari; e nessun fatto giudicato da una giuria potrà essere sottoposto a nuovo esame in qualsiasi altra Corte degli Stati Uniti, se non secondo le norme della «Common Law».

(*) I primi dieci emendamenti approvati nel 1791 costituiscono la cosiddetta “Dichiarazione dei Diritti” (Bill of Rights). 452 ARTICOLO VIII Non si dovranno esigere cauzioni esorbitanti, né imporre ammende eccessive, né infliggere pene crudeli e inusitate.

ARTICOLO IX L'enumerazione di alcuni diritti fatta nella Costituzione non potrà essere interpretata in modo che ne rimangano negati o menomati altri diritti mantenuti dai cittadini.

ARTICOLO X I poteri non delegati dalla Costituzione agli Stati Uniti, o da essa non vietati agli Stati, sono riservati ai rispettivi Stati, ovvero al popolo.

EMENDAMENTI APPROVATI DOPO IL «BILL OF RIGHTS»

ARTICOLO XI (8 gennaio 1798) Il potere giudiziario federale degli Stati Uniti non potrà essere chiamato a decidere in qualsivoglia processo, di legge o di equità, iniziato o perseguito contro uno degli Stati Uniti da cittadini di un altro Stato o sudditi di qualsivoglia Stato estero.

ARTICOLO XII (25 settembre 1804) 1. Gli elettori si riuniranno nei loro rispettivi Stati e procederanno con voto a scrutinio segreto alla nomina del Presidente e del Vice-Presidente, uno dei quali almeno non potrà essere abitante dello stesso Stato degli elettori; questi designeranno in una scheda la persona per cui votano come Presidente e in una scheda distinta quella per cui votano come Vice-Presidente; compileranno liste distinte di tutte le persone designate per la Presidenza e di tutte quelle designate per la vice- Presidenza, e del numero di voti da ciascuna raccolti; tali liste saranno dagli elettori firmate, autenticate, e trasmesse, sigillate, alla sede del Governo degli Stati Uniti, indirizzate al Presidente del Senato. Il Presidente del Senato, presenti le due Camere, aprirà tutti i verbali e si procederà al computo dei voti. Colui che avrà ottenuto il maggior numero di suffragi per la Presidenza, sarà Presidente, sempre che tale numero rappresenti la maggioranza del numero totale degli elettori nominati. Se nessuno raggiungesse tale maggioranza, la camera dei rappresentanti sceglierà immediatamente il Presidente, per scrutinio segreto, fra i tre candidati (e non più) che hanno ottenuto per la Presidenza il maggior numero di voti. Ma, in questa scelta del Presidente, i voti si conteranno per Stato, avendo la rappresentanza di ciascuno Stato un solo voto. Il numero legale per questo scrutinio sarà costituito dalla rappresentanza di due terzi degli Stati, composta di uno o più membri, e la maggioranza di tutti gli Stati sarà necessaria per la scelta. Se la camera dei Rappresentanti non sceglie il Presidente, allorché questa scelta le sia devoluta, prima del quarto giorno del seguente mese di marzo (16), il Vice-Presidente fungerà da Presidente, come nel caso di decesso o d'altra incapacità costituzionale del Presidente . 2. Colui che ottiene maggior numero di suffragi per la Vice-Presidenza, sarà Vice-Presidente, sempre che tale numero rappresenti la maggioranza del numero totale degli elettori riuniti; e se nessuno raggiungesse questa maggioranza, il Senato sceglierà il Vice-Presidente fra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti: la presenza dei due terzi dei Senatori e la maggioranza del numero totale sono necessarie per questa scelta. Peraltro, nessuno che sia

453 costituzionalmente ineleggibile alla carica di Presidente, sarà eleggibile a quella di Vice-Presidente degli Stati Uniti.

ARTICOLO XIII (18 dicembre 1865) SEZIONE 1. - Né schiavitù né servitù involontaria potranno sussistere negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla loro giurisdizione, se non per punizione di un crimine per il quale l'imputato sia stato debitamente condannato. SEZIONE 2. - Il Congresso è incaricato di emanare le norme necessarie per imporre l'osservanza di questo articolo.

ARTICOLO XIV (23 luglio 1868) SEZIONE 1. - Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro giurisdizione sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono. Nessuno Stato emanerà o darà vigore ad alcuna legge che restringa i privilegi e le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; così pure nessuno Stato priverà alcuna persona della vita, della libertà, o della proprietà, senza una procedura legale nella dovuta forma, né rifiuterà a chicchessia nei limiti della sua giurisdizione l'eguale protezione delle leggi. SEZIONE 2. - I Rappresentanti saranno ripartiti fra i diversi Stati in proporzione alla popolazione di questi, computando la totalità degli abitanti di ciascuno Stato, ad esclusione degli Indiani non tassati. Ma se il diritto di voto in una qualsiasi elezione per la scelta degli elettori del Presidente e del Vice-Presidente degli Stati Uniti, o dei Rappresentanti al Congresso, o dei rappresentanti del potere esecutivo e giudiziario di uno Stato o dei membri della sua Legislatura, è rifiutato ad alcuno degli abitanti maschi (17), di tale Stato che abbiano compiuto ventuno anni d'età (18) e siano cittadini degli Stati Uniti, o se questo diritto è ristretto in qualsiasi modo, ove non sia per avere partecipato a una ribellione o per altro crimine, la base della rappresentanza di questo Stato sarà ridotta in proporzione al numero dei cittadini che saranno stati esclusi, confrontando con il numero totale dei cittadini maschi dello Stato suddetto che abbiano compiuto i ventuno anni di età (18). SEZIONE 3. - Non potrà essere Senatore o Rappresentante al Congresso, né elettore del Presidente o del Vice-Presidente, né ricoprire alcun impiego civile o militare dipendente dagli Stati Uniti o da qualche Stato chi, avendo antecedentemente - come membro del Congresso o pubblico funzionario degli Stati Uniti, o membro della Legislatura di uno Stato, o rappresentante del potere esecutivo o giudiziario di uno Stato - prestato giuramento di difendere la Costituzione degli Stati Uniti, abbia preso parte a un'insurrezione o ribellione contro la nazione stessa, o prestato aiuto o concorso ai suoi nemici. Ma il Congresso potrà, col voto di due terzi dei membri di ciascuna camera, eliminare questo motivo di incapacità (*) . SEZIONE 4. - La validità del debito pubblico degli Stati Uniti, contratto secondo la legge, compresi i debiti derivanti dal pagamento di pensioni e ricompense in ragione di servizi resi per la repressione di insurrezioni o ribellioni, non potrà mai essere messa in discussione. Ma né gli Stati Uniti, né alcuno Stato potranno prendere a loro carico o pagare alcun debito o alcuna obbligazione contratti per venire in aiuto all'insurrezione o ribellione contro gli Stati Uniti, né alcuna indennità reclamata per la perdita o l'emancipazione di alcuno schiavo; tutti i debiti, le obbligazioni, i reclami per simili titoli saranno tenuti per illegali e nulli. SEZIONE 5. - Il Congresso è incaricato di emanare le norme necessarie per l'applicazione di questo articolo.

ARTICOLO XV (30 Marzo 1870) SEZIONE 1. - Il diritto di voto spettante ai cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato né limitato dagli Stati Uniti, né da alcuno Stato per ragioni di razza o di precedente condizione servile.

(*) Nel 1895 il Congresso, col voto di due terzi, abrogò questa Sezione (la terza). 454 SEZIONE 2. - Il Congresso è incaricato di emanare le norme necessarie per l'applicazione di questo articolo.

ARTICOLO XVI (25 Febbraio 1913) Il Congresso avrà la facoltà di stabilire ed esigere imposte sui redditi derivanti da qualunque fonte, senza ripartirle tra i vari Stati e senza voler tenere conto di alcun censimento o valutazione.

ARTICOLO XVII (31 Maggio 1913) SEZIONE I. - Il Senato degli Stati Uniti sarà composto di due Senatori di ciascuno Stato, eletti dalla popolazione di questo per la durata di sei anni; e ogni Senatore avrà diritto ad un solo voto. Gli elettori di ogni Stato dovranno possedere gli stessi requisiti per essere elettori del più numeroso dei due rami della Legislatura dello Stato. SEZIONE II. - Allorché nel Senato dovesse rendersi vacante uno dei seggi spettanti ad uno Stato, il potere esecutivo di quello Stato ordinerà che si proceda alle elezioni per la copertura del seggio vacante; a meno che la Legislatura dello Stato in parola non autorizzi il potere esecutivo locale a procedere a nomine provvisorie, valide sino a che il popolo non provveda a coprire la vacanza con elezioni da tenersi quando la Legislatura stessa disponga. SEZIONE III. - Il presente emendamento non dovrà essere interpretato nel senso che possa influire sull'elezione o la permanenza in carica di un qualunque Senatore prescelto prima che, l'emendamento stesso entri a far parte integrante della Costituzione.

ARTICOLO XVIII (16 Gennaio 1920) SEZIONE 1. - A partire da un anno dopo la ratifica del presente articolo, e per effetto del medesimo, sono vietati entro i confini degli Stati Uniti la fabbricazione, la vendita e il trasporto a scopo di consumo dei liquori nocivi nonché l'importazione e l'esportazione dei medesimi da e per il territorio degli Stati Uniti e di tutte le regioni soggette alla loro giurisdizione . SEZIONE 2. - Il Congresso ed i vari Stati sono autorizzati a emanare le norme necessarie per l'applicazione del presente articolo . SEZIONE 3. - Il presente articolo non sarà valido, sinché non sarà stato ratificato dagli organi legislativi dei singoli Stati, quale emendamento alla Costituzione e come previsto da quest'ultima, entro sette anni dalla data in cui esso sarà stato sottoposto dal Congresso ai singoli Stati per tale ratifica (19).

ARTICOLO XIX (26 Agosto 1920) SEZIONE l. - Il diritto di voto conferito ai cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato o limitato dagli Stati Uniti o da uno degli Stati in considerazione del sesso. SEZIONE 2. - Il Congresso è incaricato di emanare le norme necessarie per l'applicazione di questo articolo.

ARTICOLO XX (23 Febbraio 1933) SEZIONE 1. - La durata in carica, del Presidente e dei Vice-Presidente avrà termine a mezzogiorno del 20 gennaio, mentre la durata in carica dei Senatori e dei Rappresentanti cesserà alle dodici del giorno 3 gennaio degli anni in cui dovrebbero scadere i rispettivi mandati se il presente articolo non fosse stato ratificato; alle stesse date entreranno in carica i loro successori. SEZIONE 2. - Il Congresso si riunirà almeno una volta l'anno, e la sessione dovrà aver inizio a mezzogiorno del 3 gennaio, a meno che il Congresso stesso non fissi per legge un altro giorno. SEZIONE 3. - Se all'epoca fissata per l'inizio del mandato presidenziale, il Presidente eletto fosse deceduto, il Vice-Presidente diverrà Presidente. Se non si fosse proceduto alla designazione di un Presidente, prima del momento fissato per l'inizio del mandato, o se il Presidente eletto non avesse dimostrato di possedere i requisiti necessari, il Vice-Presidente fungerà da Presidente sino a quando non sia stato proclamato formalmente un Presidente; e, nel caso in cui né un Presidente eletto, né un

455 Vice-Presidente eletto avessero dimostrato di possedere i requisiti necessari, il Congresso provvederà per legge ad indicare chi dovrà fungere da Presidente o il modo in cui dovrà essere designata la persona che dovrà fungere da Presidente; la persona così designata eserciterà le funzioni presidenziali sino a quando non vengano formalmente proclamati un Presidente o un Vice- Presidente. SEZIONE 4. - Il Congresso può, per legge, prendere i provvedimenti necessari nel caso di morte di una delle persone tra le quali la Camera dei Rappresentanti sceglie il Presidente, ove il diritto di scelta le sia devoluto, e per il caso di morte di una delle persone tra le quali il Senato sceglie il Vice- Presidente, ove il diritto di scelta gli sia devoluto. SEZIONE 5. - Le Sezioni 1) e 2) entreranno in vigore il 15 ottobre successivo alla ratifica del presente articolo. SEZIONE 6. - Il presente articolo non sarà valido sinché non sarà stato ratificato come emendamento alla Costituzione dalle legislature di tre quarti degli Stati, entro sette anni dalla data in cui esso sarà stato sottoposto alla loro approvazione.

ARTICOLO XXI (5 Dicembre 1933) SEZIONE 1. - L'articolo XVIII di emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti è abrogato. SEZIONE 2. - Il trasporto o l'importazione in qualunque Stato, Territorio o possedimento degli Stati Uniti dei liquori nocivi a scopo di vendita o di consumo, in violazione delle leggi ivi vigenti, sono vietati con il presente articolo. SEZIONE 3. - Il presente articolo non sarà valido finché non sarà ratificato come emendamento alla Costituzione, e, come da questa previsto, dalle Assemblee dei vari Stati, entro sette anni dalla data in cui sarà stato sottoposto dal Congresso agli Stati stessi per la ratifica.

ARTICOLO XXII (l° marzo 1951) Nessuno potrà essere eletto per più di due volte alla carica presidenziale e nessuno che abbia occupato tale carica o fatto funzione di Presidente per più di due anni durante il mandato di altro Presidente eletto potrà essere eletto per più di una volta alla carica presidenziale. Questo articolo non si applicherà al Presidente in carica al momento in cui l'articolo stesso è stato proposto dal Congresso e non impedisce a colui che occupi la carica di Presidente o funga da Presidente nel corso del mandato durante il quale questo articolo entra in vigore di occupare tale carica o farne funzione per il restante periodo del mandato stesso.

ARTICOLO XXIII (29 marzo 1961) SEZIONE 1. - Il Distretto che è sede del Governo degli Stati Uniti nominerà, nella maniera che il Congresso potrà indicare: Un numero di elettori del Presidente e del Vice-Presidente pari al numero complessivo dei Senatori e dei Rappresentanti che il Distretto stesso avrebbe diritto di inviare al Congresso qualora fosse uno Stato, ma in nessun caso superiore a quello dello Stato meno popolato; essi saranno in aggiunta agli elettori nominati dagli Stati ma verranno considerati, ai fini dell'elezione del Presidente e del Vice- Presidente, elettori nominati da uno Stato; ed essi si riuniranno nel Distretto ed assolveranno agli obblighi prescritti dall'Articolo XII di emendamento. SEZIONE 2. - Il Congresso avrà i poteri per far applicare questo articolo mediante opportuni provvedimenti legislativi.

ARTICOLO XXIV (23 gennaio 1964) Il diritto conferito ai cittadini degli Stati Uniti di votare nelle elezioni primarie o d'altro genere per la scelta del Presidente o del Vice-Presidente, degli elettori del Presidente o del Vice-Presidente o di un Senatore o di un Rappresentante al Congresso, non potrà essere negato o limitato dagli Stati Uniti o da qualsiasi Stato per omesso pagamento di una tassa elettorale o di altro genere.

456 ARTICOLO XXV (10 Febbraio 1967) SEZIONE 1. - In caso di rimozione del Presidente dalla carica o di morte, o di dimissioni, il Vice- Presidente diventerà Presidente. SEZIONE 2. - Ogniqualvolta la carica di Vice-Presidente sarà vacante, il Presidente nominerà un Vice-Presidente che assumerà la carica non appena la sua nomina sarà stata confermata da un voto di maggioranza delle due Camere del Congresso. SEZIONE 3. - Ogniqualvolta il Presidente trasmetterà al presidente pro-tempore del Senato ed allo Speaker della Camera dei Rappresentanti una sua dichiarazione scritta che egli non è in grado di adempiere le funzioni e i doveri della sua carica e fino a quando egli non invierà loro una dichiarazione scritta in senso contrario, tali funzioni e doveri saranno espletati dal Vice-Presidente in qualità di facente funzioni di Presidente. SEZIONE 4. - Ogniqualvolta il Vice-Presidente e una maggioranza o dei funzionari più elevati in grado dei dipartimenti esecutivi o di qualsiasi altro organo che potrà essere per legge indicato dal Congresso, trasmetteranno al presidente pro-tempore del Senato ed allo Speaker della Camera dei Rappresentanti una loro dichiarazione scritta che il Presidente non è in grado di adempiere le funzioni e i doveri del suo ufficio, il Vice-Presidente assumerà immediatamente le funzioni e i doveri dell'ufficio quale facente funzioni di Presidente. Successivamente, quando il presidente trasmetterà al Presidente pro-tempore del Senato e allo Speaker della camera dei rappresentanti una sua dichiarazione scritta che non esiste più alcuna incapacità, egli riassumerà le funzioni e i doveri del suo ufficio, a meno che il Vice-Presidente e la maggioranza, o dei funzionari più elevati in grado o di qualsiasi altro organo che potrà essere indicato per legge dal Congresso, non trasmettano entro quattro giorni al Presidente pro-tempore del Senato ed allo Speaker della Camera dei Rappresentanti una loro dichiarazione scritta che il Presidente non è in grado di adempiere le funzioni ed i doveri del suo ufficio. Spetterà allora al Congresso decidere la questione riunendosi a tale scopo entro 48 ore, qualora non fosse in sessione. Se il Congresso, entro 21 giorni da quando gli è stato chiesto di riunirsi, deciderà con il voto dei due terzi di ambedue le Camere che il Presidente non è in grado di assolvere le funzioni e di doveri del suo ufficio, il Vice-Presidente dovrà continuare ad assolverli quale facente funzioni; in caso contrario, il Presidente dovrà riassumere le funzioni e di doveri del suo ufficio.

ARTICOLO XXVI (30 Giugno 1971) SEZIONE 1. - Il diritto al voto dei cittadini degli Stati Uniti che hanno compiuto il diciottesimo anno non potrà, a causa dell'età, essere negato né limitato da parte degli Stati Uniti né dai singoli Stati. SEZIONE 2. - Il Congresso è autorizzato ad emanare le norme necessarie per l'applicazione di questo articolo.

ARTICOLO XXVII (1992) Nessuna legge che modifichi il compenso per i servigi di Senatore o di Rappresentante potrà avere effetti fino a che non sia intervenuta una [ nuova ] elezione dei Rappresentanti.

457 NOTE

Cfr., ad integrazione e complemento, gli Emendamenti XV, XIX, XXIII, XXIV e XXVI. Si veda, peraltro, l’Emendamento XVI. Decaduto per effetto dell’Emendamento XIV, Sezione 2. Il rapporto è attualmente un rappresentante per 412.000 persone. Decaduto a seguito dell’Emendamento XVII. Decaduto per effetto dell’Emendamento XVII. Cfr. anche l’Emendamento XXV, Sezione 2. Decaduto a seguito dell’Emendamento XX, Sezione 2. Decaduto in seguito al divieto di importazione degli schiavi, deciso dal Congresso nel 1808. Cfr., tuttavia, l’Emendamento XVI. Decaduto per effetto dell’Emendamento XII. Integrato e completato dall’Emendamento XXV. Cfr., l’Emendamento XI. Decaduto a seguito dell’Emendamento XIII. Decaduto. Medicato dall’Emendamento XX. Cfr. l’Emendamento XIX. Cfr. l’Emendamento XXVI. Decaduto a seguito dell’Emendamento XXI.

…. 458 Indice dei nomi

Adams, Charles Francis Adams, John Adams, John Quincy Adelson, Sheldon Agnelli, Umberto Agnew, Spiro Albright, Madeleine Alesina, Alberto Alfieri, Paolo Alito, Samuel al-Maliki, Nouri Alvarez, Anita Anderson, Rocky Arthur, Chester Asness, Cliff Assange, Julian Axelrod, David Ayotte, Kelly Ayrault, Jean Marc Babich, Dmitri Bachmann, Michele Barone, Michae Barreto, Matt Barrett, Tom Bastasin, Carlo Becker, Jo Beeson, Rich Bell, John Berman, Howard Bernanke, Ben Berry, Michael Bharara, Preet Bickers, Timothy Biden, Joe Bigelow, Kathrin Bin Laden, Osama Bismarck-Schoenhausen, Otto von Blaine, James Blair, Dennis Blitzer, Wolf Bloomberg, Michael

459 Borglum, Gutzon Booker, Cory Bowless, Erskine Brader, Ted Branstad, Terry Breckinridge, john Bryan, William Jennings Bryson, John Buchanan, James Buchanan, Pat Buffett, Warren Bullock, Fraser Burke, Martyn Burr, Aaron Bush, George Herbert Bush, George Walker Bush, Jeb Caddell, Patrick Caillat, Patrice Cain, Herman Cantor, Eric Carieri, Dan Cardenas, Al Carlucci, Antonio Carney, Jay Carter, Ash Carter, Jimmy Carville, James Casini, Pierferdinando Castro, Joaquin Castro, Julian Castro, Mariela Castro, Raul Cheney, Dick Chavez, Hugo Cher Chiapparino, Valerio Chomsky, Noam Chon, Nate Christie, Chris Chu, Steven Clapper, James Clay, Henry Cleveland, Grover

460 Clinton Rodham, Hillary Clinton, Bill Clinton, George Clooney, George Coen, Ethan Coen, Joel Cohen, Roger Coluccino, Anna Conard, Ed Cortella, Attilio Cote, David Coolidge, Calvin Cox, Chris Cox, James Crawford, Broderick Crawford, William Crawley, Candy Cuneo, Gianfilippo Cuomo, Andrew Cuomo, Mario D’Addesio, Angelo Dalton, Timothy Daniels, Mitch Dante, Joe Davis, Gray Davis, Jim Davis, John Dean, Howard Debs, Eugene de Koshko, Dmitri De Niro, Robert Dewey, Thomas Diaz, Porfirio Dickens, Charles Dillon, Tom Dimon, Jamie Dolan, Timothy Dole, Bob Douglas, Alfred Downey jr, Robert Dukakis, Michael Duvall, Robert Dylan, Bob Eastwood, Clint

461 Edison, Thomas Eisenhower, Dwight Edwards, John Emanuel, Rham Erdogan, Recep T. Fabius, Laurent Faggionato, Giovanna Fallin, Mary Faubus, Oral Fehrnstrom, Eric Ferraro, Geraldine Fillmore, Millard Fink, Larry Fleischer, Ari Flournoy, Michèle Folsom, Frances Fonda, Henry Ford, Gerald Fortuno, Luis Foster, William Zebulon Frazier, Lynn Freeman, Morgan Fremont, John Friedman, Thomas Gaggi, Massimo Gallup, George Gardiner, Julia Gardini, Raul Garfield, James Garland, Merrick Garner, John Gates, Bill Gates, Robert Gethner, Timothy Geraci, Angela Gillespie, Ed Gingrich, Newt Giuliani, Rudolph Giulio Cesare Goeas, Ed Goldwater, Barry Gonzalez, Antonio Goode, Virgil Gore, Al

462 Grant, Ulysses Granzotto, Paolo Grenell, Richard Griffin, Kenneth Gruenewald, Herbert Hackman, Gene Hamm, Harold Hamilton, Alexander Hanks, Tom Harding, Warren Harrison, Benjamin Harrison, William Hart, Gary Hatch, Orrin Hayes, David Hayes, Rutherford Holder, Eric Hoover, Herbert Horowitz, Jason Houston, Whitney Hughes, Charles Hughes, Chris Humphrey, Hubert Huntsman, John Iacocca, Lee Jackson, Andrew Jackson, Jesse Jackson, Michael Jagger, Mick James, Hamilton ‘Tony’ Jefferson, Thomas Jindal, Bob Johnson, Andrew Johnson, Gary Johnson, Lyndon Johnson, Ron Jolie, Angelina Jones, Maldwyn Judd, Keith Karzai, Hamid Kaufman, Ron Keenan, Nancy Kennedy, Anthony Kennedy, John

463 Kennedy, Ted Kerry, John King, Martin Luther Koch, Bill Koch, Charles Koch, David Krugman, Paul La Follette, Robert sr Land, Richard Landon, Alfred LaPierre, Wayne Lake, Celinda Lavine, Jonatha Leavitt, Mike Lee, Mike Lee, Spike Leno, Jay Leone, Sergio Leone, Vincenzo Letterman, David Lew, Jack Lincoln, Abraham Locke, Gary Lohan, Lindsay Lombardo, Steve Long, Earl Long, Huey Longoria, Eva Love, Mia Luce, Edward Lugar, Richard Lund, Steven Madison, James Madonna Magni, Stefano Maher, Bill Maraniss, David Marcy, William Mariani, Guido Marriott, Bill Marriott, J. Willard sr Marriott, Richard Marshall, John Marti, Jonathan

464 Martinez, Susana McAdoo, William Gibbs McCain, John McCarthy, Kevin McConnell, Mitch McDonald, Michael McDonnell, Bob McGinty, Kathleen McKinley, William Medvedev, Dmitry Mercer, Robert Messina, Jim Migone, Gian Giacomo Molinari, Maurizio Moltedo, Guido Mondale, Walter Monroe, James Montanelli, Indro Morrison, Toni Mourdock, Richard Munter, Cameron Murdoch, Rupert Nader, Ralph Napoleone Bonaparte Nast, Thomas Netanyahu, Benjamin Neville, Allan Newman, Paul Newmark, Craig Nixon, Richard Noonan, Peggy Norquist, Grover Norris, Chuck Norris, Gena Obama, Barack Obama, Michelle (nata Robinson) Ogrodowski, Monica Olsen, Matthew Pacino, Al Palin, Sarah Panetta, Leon Paris, Michele Parker, Sarah Jessica Parrish, Michael

465 Patrick, David Paul, Rand Paul, Ron Paulson, John Pawlenty, Tim Pelosi, Nancy Penn, Mark Penn, Sean Perkins, Tony Perot, Ross Perry, Bob Perry, Rick Petraeus, David Pfeiffer, Michelle Pierce, Franklin Pinckney, C.C. Pioli, Giampaolo Pitt, Brad Pitt, Jane Podhoretz, Norman Poli, Carlandrea Polk, James Portman, Robert ‘Rob’ Powell, Colin Pratt, Anna Amelia Priebus, Reince Putin, Vladimir Rampini, Federico Rand, Ayn Rasmussen, Scott Reagan, Nancy Reagan, Ronald Redford, Robert Reeves, Rosser Renard, Andrè Rice, Condoleezza Rice, Susan Ricketts, Joe Roberts, John Robertson, Cliff Robertson, Julian Rocca, Christian Romney, Ann Lois (nata Davies) Romney, Gaskell

466 Romney, George Romney, Lenore Romney, Miles Archibald Romney, Miles Park Romney, Mitt Roosevelt, Franklin Delano Roosevelt, Theodore Rosen, Hilary Rossen, Robert Rove, Karl Roveda, Daniela Rubio, Marco Ryan, Paul D. Saakashvili, Mikahil Sabato, Larry Salazar, Ken Sandberg, Sheryl Santorum, Rick Scagliarini, Luca Scalia, Antonin Schoen, Douglas Schaffner, Franklin Schieffer, Bob Schmidt, Eric Scott, Robert Sembler, Mel Shelton, Ron Schmidt, Eric Shane, Scott Simmons, Harold Singer, Paul Smith, Alfred Smith, Joseph Smith, Will Spielberg, Steven Springsteen, Bruce Stalin Stein, Jill Steinhorn, Leonard Stevens, Christopher Stevens, Stuart Stevenson, Adlai Stiglitz, Robert Stone, Sharon

467 Story, Joseph Sullivan, Andrew Taft, William Tamman, Maurice Taylor, Zachary Thomas, Clarence Thune, John Tornquist, Peter Truman, Harry Trump, Donald Twain, Mark Tyler, John Van Buren, Martin Vauro Vidal, Gore Voight, John Walesa, Lech Walker, Scott Wallace, George Wallace, Henry Warren, Earl Warren, Robert Penn Washington, Denzel Washington, George Wayne, John Webster, Daniel Westen, Drew Whitehouse, Sheldon Wilkie, Wendell Wilson, Woodrow Winfrey, Oprha Wintour, Ann Wirt, William Wolfe, John Woodward, Bob Wright, Jeremiah Zakaria, Fareed Zingales, Luigi Zoi, Cathy Zuckerberg, Mark Zurleni, Michele Zwick, Spencer

468 MAURO DELLA PORTA RAFFO

IL GRAN PIGNOLO

Mauro Maria Romano della Porta Rodiani Carrara Raffo di casa Savelli, semplicemente noto come Mauro della Porta Raffo è nato a Roma il 17 aprile del 1944, sotto il segno dell’Ariete, e vive da sempre a Varese con viva soddisfazione. Pessimo studente e ciò malgrado laureato in Giurisprudenza alla Cattolica di Milano, nella vita ha fatto i più diversi mestieri (da direttore di un ente pubblico locale a patrocinatore legale, da consulente commerciale ad agente di assicurazione, da formatore assicurativo e finanziario a giocatore di carte professionista e così via) trovandoli tutti più o meno interessanti per qualche tempo e cercando sempre nuove possibilità in altri campi.

Ha alle spalle una più che discreta carriera politica nel defunto Partito Liberale, ultimamente follemente ripresa candidandosi da indipendente quale sindaco di Varese, ha giocato a carte e a biliardo con Piero Chiara – il suo vero maestro – per circa quindici anni ed ha soprattutto seguito ed amato la storia, la letteratura, il teatro, il cinema, lo sport e l’amore.

Dal 1996, per caso e su sollecitazione di Giuliano Ferrara , che lo ha ribattezzato ‘il Gran Pignolo’ , ha intrapreso l’attività giornalistica. Dopo una veloce incursione al Corriere della Sera e una lunga stagione a Il Giornale al quale è saltuariamente tornato, è stato columnist de La Stampa e de Il Tempo. Ha collaborato a La Gazzetta dello Sport (era ‘ Il Rompiscatole’) nel periodo in cui la ‘rosea’ fu diretta da Pietro Calabrese. Per Il Foglio ha creato e poi curato praticamente dalla fondazione del giornale (1996) e fino al 2009 la famosissima ed impietosa rubrica ‘ Pignolerie ’. Su Il Giorno, a far luogo dall’aprile del 2004 e per buona parte del 2005 ha proposto, in ‘Il lunedì ( e, in seguito, La domenica) di Mauro della Porta Raffo’ , le sue Memorie dal Varesotto, i Racconti ambientati nel mondo del gioco d’azzardo (e dintorni), il romanzo breve ‘Albergo a ore’ . Dall’estate del 2007 scrive, quando e se gli viene il ghiribizzo, per QN (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione). E’ apparso di frequente sulle pagine dei settimanali Oggi, Vanity Fair , Gente e de Il Giornale del Popolo di Lugano, del mensile Capital e, a volte, sul Sole 24 Ore all’epoca di Ferruccio de Bortoli. Per Panorama (settimanale al quale, dopo un lungo intervallo, ha collaborato anche tra il 2005 il 2007) ha redatto una celebre rubrica, ‘The Other Place’ , dedicata agli errori del concorrente L’Espresso. Ha scritto per il Borghese di Vittorio Feltri, di quando in quando per il suo Libero e per il settimanale femminile Anna. Suoi articoli appaiono quando gli aggrada nelle pagine de La Prealpina nel mentre nell’inserto Lombardia oggi ha proposto per anni la rubrica ‘ Mille battute (spazi inclusi)’. E’ collaboratore del mensile Studi Cattolici. Spesso ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche della Rai e della TV svizzera, ha ideato e realizzato anche due documentari dedicati l’uno al gioco d’azzardo e l’altro a Piero Chiara. Con Onofrio Pirrotta , nella primavera del 2000, ha contribuito su Rai 3 al successo della trasmissione TV ‘E’ la stampa, bellezza! ’. E’ stato ed è consulente storico di diversi programmi televisivi in specie di RAI 1.

Dal 1999, in Varese, organizza e conduce gli incontri culturali denominati ‘Il salotto di Mauro della Porta Raffo’ ai quali incontri sono intervenuti finora oltre duecento personaggi di rilievo: attori, artisti, cantanti, giornalisti, scrittori…

Nel 2012, massimo conoscitore europeo della storia politica degli Stati Uniti e del loro sistema elettorale temi ai quali ha dedicato esaustivi saggi, ha seguito la campagna elettorale americana per la Fondazione Italia/USA con video interventi visibili sul portale www.italiausa.org .

469 Nel 2009 gli è stato conferito il Premio Controcorrente Luca Hasdà con la seguente motivazione: “Per l’anticonformismo che da sempre lo contraddistingue. Per la tenacia con cui nella vita si è battuto e si batte tuttora in difficili battaglie a difesa della libertà. Per la passione per la cultura e lo studio. Per l’amore che ha nutrito e nutre per le idee meno conformiste. Per il coraggio dimostrato quale ‘Gran Pignolo’ nel dissacrare i ‘mostri sacri’ della politica, del giornalismo e della cultura italiana e nel puntare l’indice anche su personaggi ritenuti ‘intoccabili’”.

Da sempre studia con passione ogni giorno, sperando (e gli manca ben poco!) di arrivare al livello di conoscenza a suo tempo raggiunto da Adalbert Pösch , il maestro ebanista del giovane Karl Popper , che poteva tranquillamente sfidare l’allievo dicendogli: “Mi chieda pure quello che vuole. Io so tutto (Ich weiss alles)!”.

E’ semplicemente bellissimo.

OPERE:

1999, Sale, tabacchi e...; 2000, Un amico, un certo Piero Chiara 2001, Tato fuma 2002, Prendere la vita di petto e guadagnarci in salute. Memorie di uno scioperato 2003, Obiettivo Casa Bianca. Come si elegge un presidente (già on line per il Corriere della Sera nel 2000) 2003, Vecchi barbieri, antiche barberie 2004, La prima squadra non si scorda mai (con Luca Goldoni) finalista al ‘Premio Bancarella Sport 2005’ 2004, I signori della Casa Bianca (già on line per il Corriere della Sera nello stesso anno con il titolo Casa Bianca 2004) 2005, Dodici giorni in un’altra città 2005, I signori della Casa Bianca (seconda edizione ampliata e aggiornata) 2005, Piero Chiara 2006, Eminenti varesini 2006, Dieci anni di Pignolerie 2007, Mi dia del lei! 2007, C’è posta per Liala 2008, Albergo a ore (romanzo breve, già proposto nel 2004 a puntate su Il Giorno) 2008, I film della nostra vita 2009, La volpe rossa 2010, Il continente della speranza? Storia e storie dell’America Latina 2011, La vita come viene (edizione fuori commercio) 2011, Americana (edizione fuori commercio) 2011, Pignolerie 1996/2009 (edizione fuori commercio) 2011, Varesini. Non solo Piero Chiara (edizione fuori commercio) 2012, Figura e memoria del tempo presente (edizione fuori commercio) 2012, Varie ed eventuali (edizione fuori commercio) 2012, USA 2012 (edizione fuori commercio

PLAQUETTES

2006, Viacard 2007, Tre storie 2008, La casa, la vita 2010, Il terzo quarto 1951/1975 2011, Ernest (1961/2011). In memoria

470 2012, La città bianca. Tre giorni a Belgrado

FASCICOLI

2011, White House

471 Indice generale

I motivi del contendere

Un’impresa davvero difficile

Il cimento di Obama. Tutti i precedenti

I numeri delle elezioni del 2008

I poteri del presidente

Saggio introduttivo

Parte prima Storia delle elezioni presidenziali americane

Capitolo primo Cinquanta semidei 1824/1828 La rivoluzione jacksoniana Capitolo secondo Nascono il partito democratico e quello repubblicano Capitolo terzo I repubblicani a White House Capitolo quarto Il Nord progressista e repubblicano, il Sud conservatore e segregazionista democratico Capitolo quinto La crisi e il New Deal Capitolo sesto Eisenhower va a Sud Capitolo settimo Lyndon Johnson Capitolo ottavo Il credo reaganiano Capitolo nono Il terzo millennio

472 Potrà il partito repubblicano riconquistare White House in questo 2012 o comunque in futuro? Capitolo decimo Una domanda

Parte seconda Come e in qual modo si elegge il presidente degli Stati Uniti d’America. Come e in qual modo si scelgono i candidati

Capitolo primo Come si svolge la votazione Capitolo secondo Come si scelgono i candidati Le primarie I caucus Le convention Capitolo terzo Un’ultima annotazione

Parte terza Domande e risposte a proposito del sistema elettorale americano: regole, primati, curiosità

Parte quarta Numeri

Parte quinta I quarantaquattro presidenti

Parte sesta I risultati delle elezioni

Appendice La seconda volta: cosa è successo quando un presidente, come Obama oggi, ha chiesto un secondo mandato?

473

Cronaca della campagna elettorale 2012

Introduzione

Calendario delle primarie e dei caucus repubblicani

Nota in premessa

A giochi ancora non ufficialmente aperti 22 novembre 2011 – Romney guida il gruppo Gop - Qualche democratico pensa sia meglio mettere in campo Hillary Confronti, dibattiti, Hillary e Condoleezza 1 gennaio 2012 – Lo scenario

Parte prima La lunga corsa repubblicana 3 gennaio 2012 – Il caucus dell’Iowa - Conseguenze 10 gennaio 2012 – New Hampshire: la conferma di Mitt Texas Meeting Cosa dicono i sondaggi? Huntsman si ritira Alla vigilia della primaria del South Carolina Super Pac (Political Action Committee) 22 gennaio 2012 – Dopo il South Carolina Ipotesi ‘terzo uomo’ Turbolenze 1 febbraio 2012 – Romney vince bene in Florida Confluenza dei voti conservatori su Gingrich? Sondaggio Gallup su base nazionale 4 febbraio 2012 – Romney vince il caucus del Nevada - Il totale dei delegati conquistati 5 febbraio 2012 – Il cammino di Romney Dell’attendibilità dei sondaggi ieri e oggi 7 febbraio 2012 - Minnesota, Colorado, Missouri: la resurrezione di Santorum 11 febbraio 2012 – Il lungo caucus del Maine Lotta dura, senza paura ‘Brokered Convention’?

474 Rimonta? 28 febbraio 2012 – Michigan e Arizona a Mitt La situazione Il caucus del Washington In vista del ‘supermartedì’ 3 marzo 2012 – I risultati del caucus del Washington Nota a margine dopo il caucus del Washington 6 marzo 2012 – Sei Stati a Romney, tre a Santorum, uno a Gingrich - Ad oggi i delegati complessivamente conquistati sul campo Della necessità di compattare i Gop 9 marzo 2012 – Romney vince nelle isole Santorum chiede a Gingrich di ritirarsi 10 marzo 2012 – Dopo Kansas, Wyoming e Virginia Islands Aspettando Mississippi e Alabama Romney supera Obama nelle intenzioni di voto 13 marzo 2012 – Alabama, Mississippi ma anche Hawaii e American Samoa, ovvero ‘vincere perdendo e perdere vincendo’ E se Gingrich si ritirasse? L’attuale attribuzione dei delegati 16 marzo 2012 - Aspettando Illinois e Louisiana 18 marzo 2012 – A Puerto Rico Mitt vince per KO - Delegati: la situazione 20 marzo 2012 – Illinois ‘handly’ Jeb Bush appoggia Mitt Romney La Louisiana nei sondaggi è per Santorum 24 marzo 2012 - Santorum alla grande in Louisiana I capi Gop si schierano con Romney La Corte Suprema e la riforma sanitaria obamiana Santorum è vicino alla resa? Romney attacca Obama sulla politica estera Gingrich sull’orlo del ko Marco Rubio, G.H.Bush e Scott Walker per Romney Prospettive Dove vanno i dollari? Novantotto a zero? Si parla dei possibili vice In economia, gli americani preferiscono le ricette Gop Il Tea Party è con Mitt. E gli evangelici? 3 aprile 2012 – Maryland, Wisconsin e Washington DC con Romney - Obama ottiene ufficialmente la nomination democratica Il ‘peso’ di Ann Romney e Michelle Obama Si parla già del 2016! Ricordiamoci di Reagan Chi è Rob Portman e perché si parla di lui?

475 Aspettando il 24 aprile 10 aprile 2012 – Santorum getta la spugna! Sette mesi (o quasi) di battaglia elettorale Ricordate Ross Perot? Casalinghe disperate? ‘Restore our Future’ ‘Swing States’ 16 aprile 2012 – Si comincia a parlare della religione di Romney 17 aprile 2012 - Documenti : Come battere Obama puntando sulla politica estera, un Articolo di Karl Rove e Ed Gillespie per Foreign Policy Due sondaggi per Obama e due per Romney! Dieci possibili vice presidenti Gop La base preferisce Condoleezza Cani e Casa Bianca 19 aprile 2012 – Un bel problema: le primarie a venire contano poco o nulla Jeb Bush si propone, Marco Rubio si sottrae ma fa campagna con Mitt Secondo il New York Times Romney deve ‘riposizionarsi’ 24 aprile 2012 – Cinque a zero e la corsa Gop è davvero finita “Oggi prende il via una nuova America” 26 aprile 2012 – Il ritiro di Newt Gingrich - Romney ha vinto prima del prevedibile Polemiche, confronti, wikipedia, antiche amicizie, prove e successivi sondaggi, attese… 30 aprile 2012 – Ipotesi e conteggi del Washington Post Mie, conseguenti osservazioni Giuliani appoggia Mitt, Bloomberg tergiversa ma probabilmente, Gingrich ufficializza… 2 maggio 2012 – Documenti : La politica energetica di Mitt Romney, un articolo di Monica Ogrodowski Del difficile rapporto Gop/gay 3 maggio 2012 – Michele Bachmann dichiara il proprio appoggio a Romney Dell’identificazione di Obama con Jimmy Carter Indiana, North Carolina, West Virginia I cattolici da che parte stanno? 6 maggio 2012 – 3.2.1. Come, secondo Karl Rove, Romney vincerà 7 maggio 2012 - Documenti : A proposito di ‘Southern Strategy’, di MdPR 8 maggio 2012 - Santorum si schiera con Romney 9 maggio 2012 – Oltre i novecento delegati Matrimoni gay, sondaggi nazionali, Mary Fallin, Cher… Gallup a proposito delle capacità dei contendenti nel campo economico Una tendenza? Romney corteggia gli evangelici 14 maggio 2012 – Ron Paul sospende la campagna elettorale Gente di Hollywood e riccastri

476 15 maggio 2012 – Documenti: La religione e la Casa Bianca, di MdPR George Walker Bush endorsement

Parte seconda Verso le convention 15 maggio 2012 - Obama contro la Romneyeconomics 16 maggio 2012 – I risultati in Oregon e nel Nebraska 17 maggio 2012 – Documenti: Polemiche e affari, un articolo di Michele Paris pubblicato on line su ‘Altrenotizie’ La crisi economica europea favorisce Romney Ci si deve fidare delle promesse dei candidati? 18 maggio 2012 – Un possibile colpo sotto la cintura Raccolta fondi in aprile Sondaggi e gradimento Il presidente più ricco 18 maggio 2012 – Documenti: Come si distribuiscono i contributi dei piccoli finanziatori, Superpac, quindi, esclusi, un articolo di Michele Zurleni per Panorama.it 19 maggio 2012 - Documenti: Il primo giorno, di MdPR Herman Cain: il penultimo endorsement Poteva mai mancare la notizia di un attentato ad Obama? "Soy Mitt Romney y apruebo este mensaje " 21 maggio 2012 - Le primarie del mese di maggio nei due campi: riflessioni 22 maggio 2012 - Dubbi e perplessità della stampa USA a proposito della Campagna elettorale di Obama Obama: “Romney è un Robin Hood al contrario” 22 maggio 2012 – Documenti : Guerra di religione, un articolo d i Michele Zurleni per Panorama.it 23 maggio 2012 – Primarie nel Kentucky e in Arkansas Pennsylvania, Florida, Ohio: almeno due su tre Colin Powell torna a galla Obamiani pronti a risfoderare l’arma del razzismo 24 maggio 2012 - Documenti: Ora Mitt Romney fa paura, un articolo di Guido Moltedo per Europaquotidiano.it Con chi si schiera la Silicon Valley? Succede verso fine maggio 26 maggio 2012 – Documenti: Questa è la via che Mitt Romney deve seguire per andare alla Casa Bianca, Karl Rove per il ‘Wall Street Journal’ ‘Barry’ Obama e la marijuana Dopo Hollywood, Broadway 28 maggio 2012 – Documenti: Red, Blue and Swing: lo stato delle cose, di MdPR

477 I veterani di guerra preferiscono Romney Dagli amici mi guardi Iddio 30 maggio 2012 – Dopo il Texas: per Romney nomination in tasca A centosessanta giorni dal 6 novembre Gli astrologi dicono Obama I principali finanziatori di Mitt Romney Aumenta il tasso di disoccupazione negli USA Nancy Reagan 4 giugno 2012 – Wisconsin, supertest per Obama e Romney Gary Johnson, il terzo candidato 5 giugno 2012 – Il Gop Scott Walker mantiene il Wisconsin 6 giugno 2012 – California, Montana, New Jersey, New Mexico e South Dakota con Mitt Romney La crisi economica? Per Obama è colpa dell’Europa Raccolta fondi elettorali Vogue è con Obama (!?) La replica Gop Valanga di spot Una colonscopia senza anestesia Obama e l’industria farmaceutica 11 giugno 2012 – Documenti: Ben meritato da Obama il Nobel per la pace! Un articolo del Movimento Internazionale per i diritti civili E se per White House votasse il mondo intero? Il voto di Wall Street a favore di Romney Il ‘cane democratico’ Dollari come se piovesse per Mitt 15 giugno 2012 – Documenti: Romney-Obama, botta e risposta in Ohio. Duello a distanza sull'economia nello Stato chiave per la vittoria alle presidenziali, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa Obama concede il permesso di soggiorno a ottocentomila clandestini Romney critica la politica a suo dire anti israeliana di Obama Il clan Bush a proposito dei latinos La scuola in crisi 18 giugno 2012 – Documenti: Quali i presidenti non rieletti dopo un solo mandato? di MdPR 25 giugno 2012 - Molta carne al fuoco 27 giugno 2012 – Documenti: Donna, nera e mormone, Mia Love si candida per la Camera, di MdPR Sondaggi ballerini Condoleezza: “non corro per la vicepresidenza” 27 giugno 2012 – Utah, le ultime primarie 27 giugno 2012 – Documenti: Mitt Romney è il ventottesimo candidato repubblicano A White House, di MdPR 28 giugno 2012 – La riforma sanitaria obamiana è costituzionale

478 28 giugno 2012 – Documenti: La Corte Suprema USA, di MdPR 29 giugno 2012 – Documenti: Obamacare: il presidente è nei guai, un articolo di Gianbattista Rosa per Cartalibera.it Hillary fa campagna elettorale a favore di Romney (!!??) Trentamila piccole donazioni in dodici ore Fine giugno: raccolta fondi, Murdoch per i Gop, Romney va in Israele A giugno Romney raccoglie oltre cento milioni in piccole donazioni A fine luglio, Romney verrà in Europa Guai per Obama: la disoccupazione non cala Morga Freeman: “Obama non è il primo presidente nero!” La madre di Brad Pitt appoggia Romney “Too close to call”, sondaggio ai primi di luglio del Washington Post Condoleeza è nuovamente in corsa nel mentre Dick Cheney dichiara di appoggiare Romney con tutte le sue forze 30 luglio 2012 – Documenti: Obama e Romney tra religione, economia e colpi bassi, un articolo di Anna Coluccino per Fanpage.it Dopo un luglio di normale combattimento eccoci a cento giorni dal voto Agosto comincia male per Obama, economicamente parlando Agosto comincia bene per Obama, stando ai sondaggi 2 agosto 2012 – Documenti: Romney e la colpa di essere americano, un articolo di Stefano Magni per L’Opinione 3 agosto 2012 – Giovani con Obama, anziani con Romney Clint Eastwood è con Romney 5 agosto 2012 – Documenti: Quando John Wayne appoggiava Barry Goldwater, di MdPR Romney vince la raccolta fondi anche in luglio 6 agosto 2012 – Documenti: Romney? Conosciamolo meglio, un articolo pubblicato dal Washington Post e da Panorama.it 7 agosto 2012 – Cerchiamo di capire chi sarà il vice di Romney Come la vedono gli allibratori Si torna a dubitare della nascita negli USA di Obama 9 agosto 2012 – Documenti: In attesa di Tampa e Charlotte, Storia e storie delle Convention Usa, di MdPR I conservatori vogliono Paul Ryan La delusione di Spike Lee 11 agosto 2012 – Il running mate è Paul Ryan, secondo le previsioni 15 agosto – Paul Ryan: le ragioni di una scelta 16 agosto 2012 – Documenti: Ryan, l’asso delle lobby conservatrici, un articolo di Giovanna Faggionato per Lettera 43 Sondaggi ballerini Prime indicazioni sugli interventi dei big alla convention Gop di Tampa 16 agosto 2012 – Hillary Clinton vice in luogo di Joe Biden? Ok, ma non porta bene 18 agosto 2012 – Ma che brutta campagna! 19 agosto 2012 – Incredibile: Newsweek invita Obama a levarsi dai piedi

479 22 agosto 2012 – Come sempre, l’Ohio Bernanke out se vince Romney Romney: “A me nessuno chiede il certificato di nascita” Il presidente dei vescovi americani sarà a Tampa 24 agosto 2012 – Documenti: Il piano energetico di Romney: una manna per i petrolieri, un articolo di Federico Rampini (sempre iper critico nei confronti dei repubblicani) pubblicato da Repubblica Eva Longoria è con Obama Il ‘libertarian’ Gary Johnson presente in tutti gli Stati 25 agosto 2012 – Tampa Sembler: “Obama sarà seppellito dagli spot avversi”

Parte terza Le convention (ma non solo, ovviamente) 26 agosto 2012 – A Tampa, a Tampa! Il via della kermesse spostato al 28 causa maltempo 26 agosto 2012 – Gli ‘swing States’ al 25 agosto secondo Rasmussen 28 agosto 2012 – Tampa, il primo giorno: Ann Romney alla ribalta Il testo inviato via mail a MdPR da Ann Romney dopo il suo intervento 29 agosto 2012 – Tampa, il secondo giorno: Ryan come Goldwater? Il testo della mail inviata a MdPR da Paul Ryan dopo l’accettazione della nomination Perché Romney è in grado di vincere a detta dei giornali a lui avversi Sarà Clint Eastwood ad introdurre il discorso di accettazione di Mitt Romney 30 agosto 2012 – Tampa, il terzo giorno: il discorso di accettazione di Mitt Romney Il testo della mail inviata a MdPR da Mitt Romney dopo il suo discorso di accettazione della nomination a candidato del partito repubblicano USA alla presidenza L’intervento di Condoleezza Rice 1 settembre 2012 – Documenti: Romney punta sugli Stati chiave, un articolo di Christian Rocca per Il Sole 24 Ore Il voto degli ispanici La cortesia di una volta 3 settembre 2012 – Fissato al 3 ottobre il primo dibattito in tv Continua il testa a testa nei sondaggi (?!) I coniugi Norris, con toni un po’ forzati, a sostegno di Romney 3 settembre 2012 – Documenti: Obama verso la convention di Charlotte, un articolo di Antonio Carlucci per L’Espresso Blog 4 settembre 2012 – Charlotte 5 settembre 2012 – Charlotte, il primo giorno: Michelle all’attacco

480 Denver dice 320 a 218 per Romney Obama (a detta di Obama) in economia merita un ‘incomplete’ Perché Hillary Clinton e Andrew Cuomo non sono a Charlotte? 6 settembre 2012 – Charlotte, il secondo giorno: il ciclone Bill Clinton 7 settembre 2012 – Charlotte, il terzo giorno: il discorso di Obama Una domanda 8 settembre 2012 - Occupazione, colpo duro per Obama, un commento di Federico Rampini per Repubblica dopo Charlotte

Parte quarta La sfida finale 9 settembre 2012 - I giochi sono tuttora aperti Quattro i dibattiti televisivi in programma 10 settembre 2012 – Documenti: Altro che l’economia: determinante sarà l’assenza o presenza di Dio nei due schieramenti?, di MdPR Nuovi quattrini e nuovi sondaggi 11 settembre 2012 – C’è chi ‘rimbalza’ e chi no: giorni difficili per Mitt Romney Come e perché si trucca un sondaggio elettorale 12 settembre 2012 – L’uccisione dell’ambasciatore USA in Libia e i moti anti americani nei Paesi arabi Come voterebbero gli europei dei quali solo il trentotto per cento ha una vaga idea di chi sia Romney? I bookmaker, gli scommettitori e le elezioni USA 2012 Elettori sposati e non sposati (‘marriage gap’) La disinformazione giornalistica ai danni del Gop e di Mitt Romney Gene Hackman nei panni di Romney 16 settembre 2012 – Documenti: Alle ‘anime belle’ Romney non piace, di MdPR Obama teme che gli elettori di fronte all’attuale esplosione anti USA dubitino del suo operato ai tempi della ‘primavera araba’ 16 settembre 2012 – Documenti: Diamo voce ai complottisti: ‘Come distruggere Barack Obama con la nuova Guerra Santa’, un fantastico Articolo di Angelo D’Addesio Inquietudini settembrine e prospettive Gop 18 settembre 2012 – Documenti: Nuovo video imbarazza Mitt Romney: “Chi sta con Obama non paga le tasse”, un articolo di Angela Geraci per il Corriere della Sera Bob Woodward contro Obama “La promessa repubblicana di ridurre le tasse non interessa chi non le paga” Cosa ha veramente detto Mitt Romney 19 settemnre 2012 – Documenti : Il ‘rimbalzo’ di Obama nei sondaggi è già finito? un articolo di Alessandro Tapparini per America 24

481 Romney difeso dai danesi (?!) 20 settembre 2012 – Rasmussen assegna il New Hampshire a Romney Ann Romney si arrabbia e intanto Tim Pawlenty se ne va 22 settembre 2012 – Documenti: I razzisti votano Obama, di MdPR I sondaggi cambiano di giorno in giorno 23 settembre 2012 – Documenti: In America già si vota in venticinque Stati, un articolo di Giampaolo Pioli per Quotidiano.net I veterani a favore di Romney Madonna: “Votate tutti Obama, un fottuto mussulmano nero alla Casa Bianca” 26 settembre 2012 – Documenti: L’imbecillità (per non dire altro) del web, di MdPR Romney in difficoltà: gli ebrei americani gli voltano le spalle e i sondaggi in Florida e Ohio lo vedono indietro 28 settembre 2012 – Documenti: Romney: “Con Obama deriva europea”, un articolo di Daniela Roveda per Il sole 24 Ore Porno falsificati e perfino la carpe asiatiche Chavez dal Venezuela vota Obama, Denzel Washington e Colin Powell si dicono delusi 30 settembre 2012 – I due sfidanti si allenano in vista di Denver La relativa incidenza dei faccia faccia tv Su Mitt Romney le gentili espressioni di Madeleine Albright Sondaggi che vanno e vengono Biden: “La classe media è stata sepolta negli ultimi quattro anni”, quelli nei quali con Obama ha governato lui stesso! 3 ottobre 2012 - Le preoccupazioni e le promesse non mantenute di Obama. I temi che Mitt Romney dovrebbe mettere in campo a Denver Il migliore nei faccia a faccia tv? Ronald Reagan 4 ottobre 2012 – Denver: Romney per ko! L’analisi semantica del confronto di Denver La lobby delle armi è con Romney e i sondaggi lo danno in ripresa Polemica dura sui dati relativi alla disoccupazione Obama in crisi a Denver? Colpa dell’altitudine! Obama in crisi a Denver? Gli mancava il ‘gobbo’! 7 ottobre 2012 – Documenti: Obama/Romney e milioni di tweets, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa.it 8 ottobre 2012 – Obama ha paura di perdere Romney attacca Obama a proposito della politica estera Gallup vede oggi 8 ottobre i due contendenti in parità Pew Research Center vede oggi 9 ottobre Romney avanti La lobby delle armi contro Obama. Spot in alcuni ‘swing States’ Goldman Sachs, JPMorgan, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley da Obama a Romney Ulteriori considerazioni sulla base del sondaggio indipendente di Pew Research Center

482 “Lasciate che Mitt sia Mitt”, ha detto Ann Romney 10 ottobre 2012 – Domani sera il faccia a faccia Biden/Ryan Obama ha problemi anche con ‘Big Bird’ 11 ottobre 2012 – Accenni di panico in casa democratica? Biden/Ryan: chi ha vinto? 12 ottobre 2012 – Documenti : L’autogol di Obama, un articolo di Jason Horowitz per Internazionale Florida: Romney oltre il cinquanta per cento Lindsay Lohan si dichiara pro Romney Il prossimo faccia a faccia? Nella forma ‘town hall’ Il ‘boss’ Springsteen a Parma (Ohio) con Obama 13 ottobre 2012 – Documenti : Podhoretz: Romney come John F. Kennedy su tasse, patriottismo e aborto, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa Cosa dicono oggi i bookmaker: Obama ancora favorito ma Romney migliora le proprie quotazioni Murdoch a piedi uniti contro Obama Vincere senza l’Ohio? Difficile, non impossibile La gara dell’entusiasmo Incertezza negli ‘Stati chiave’ Agenzia del 16 ottobre: Romney in vantaggio di quattro punti Hillary Clinton protegge Obama alla vigilia del secondo dibattito Fallisce una seconda società ‘verde’ sostenuta da Obama 17 ottobre 2012 – Obama prevale nettamente nel secondo dibattito televisivo Dopo Hofstra, in giro con maggiore accanimento per gli ‘swing States’ 18 ottobre 2012 – Documenti : Dopo Hofstra: un’agenzia Agi conferma l’obiettività della denuncia di Romney contro Obama a proposito del ‘caso Bengasi Il terzo appuntamento 18 ottobre 2012 – La corsa alla Casa Bianca Stato per Stato secondo i sondaggi Gallup il 16 ottobre vedeva Romney in netto vantaggio, Chi ci capisce qualcosa è bravo Redford per Obama, Lee Iacocca per Romney mentre Gallup dà il mormone avanti di sette punti Il film su Bin Laden in programma due giorni prima del voto Ann Romney: “Dovesse perdere, Mitt lascerebbe la politica attiva” Le cose cambiano: Obama 2008, Obama 2012 secondo Grover Norquist Secondo un sondaggio Cbs, Obama avrebbe favorito l’incremento della vendita delle armi (?!) In vista del terzo dibattito tv 20 ottobre 2012 – Documenti : Romney, il pareggio di bilancio per tornare a crescere, un articolo di Carlandrea Poli per Termometro politico Gallup insiste e vede Romney davvero in grande spolvero 22 ottobre 2012 – Documenti : Obama/Romney in tv, ecco come si rovescia l’utopia

483 Democratica, un articolo di Carlo Bastasin per Il Sole 24 Ore 23 ottobre 2012 – Boca Raton pro Obama Della sostanziale inutilità di un dibattito sulla politica estera nell’opinione di Antonio Carlucci

24 ottobre 2012 – Documenti: La rete mette le ali a Romney, un articolo di ‘Voices from the Blogs’ per il Corriere della Sera L’importantissima contea di Cuyahoga Eastwood negli ‘swing States’ in uno spot anti Obama Trump sfida Obama, cinque milioni di dollari in beneficenza in cambio del certificato di nascita Romney in Nevada, Obama in Colorado: in giro per gli ‘swing States’ Bernanke, Ayrault e lo spray abbronzante I primi duecento giorni alla Casa Bianca di Mitt Romney Endorsement di autorevoli organi di stampa Obama ha già votato 26 ottobre: ancora nessuna certezza guardando ai sondaggi Una campagna da due miliardi di dollari e passa 26 ottobre 2012 – Documenti: La dinastia dei Romney: il vero mito è papà George, un articolo di Valerio Chiapparino per Meridiani Relazioni Internazionali 27 ottobre 2012 – Documenti: Possibile che Obama e Romney pareggino? di MdPR Documenti: Romney-Obama, ecco la strada per la vittoria secondo i consiglieri, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa 28 ottobre 2012 – La marginalità dell’Europa: né Obama, né Romney ne parlano Aziende in campo: “Non votate per Obama” Il ‘Chicago Tribune’ appoggia Obama che perde tra i giovani rispetto al 2008 28 ottobre 2012 – Documenti: Testa a testa: i precedenti ricordando che è possibile Vincere perdendo, di MdPR 29 ottobre 2012 – Documenti: USA 2012, e adesso pubblicità: sfida tra Obama e Romney a tutto schermo, un articolo di Vinccenzo Leone per Meridiani Relazioni Internazionali Documenti: Romney-Obama, quale America sarà? Un articolo di Paolo Alfieri per Avvenire Rasmussen dà Romney in vantaggio in Ohio! Colpi e contraccolpi: reciproci attacchi! ‘Effetto Sandy’: Obama e Romney fanno a gara per dimostrarsi impegnati a riparare i danni prodotti dal ciclone. Demagogia? 30 ottobre 2012 - Il sorprendente sondaggio Gallup tra chi ha già votato: Romney stacca Obama di sei punti. Aumentano i repubblicani alle urne, calano i democratici (!?) Il peso del fattore razziale Gallup a favore di Romney anche per quanto riguarda i dibattiti tv 1 novembre 2012 – Alberto Alesina sul Corriere della Sera e Valerio Chiapparino

484 su Meridiani Relazioni Internazionali intervengono a proposito della distorta considerazione della gran parte dei media in merito alla candidatura di Mitt Romney e in genere delle posizioni politico/sociali/economiche dei repubblicani Romney ricomincia dalla Florida, parla dell’uragano e invita a donare denaro per i sinistrati Endorsement di Bloomberg per Obama “Obama ridurrà gli USA come l’Italia” 2 novembre 2012 – Documenti : Obama o Romney: dubbio amletico per la Russia, un articolo di Dmitri Babich per Russia Oggi

Parte quinta Gli ultimi fuochi (e gli ultimi chiarimenti) 2 novembre - Dopo ‘Sandy’, lo scontro alle fasi conclusive Centosettantamila nuovi posti di lavoro escono dal cilindro Per quel che conta, gli italiani voterebbero alla grande Obama Il mitico ‘margine d’errore statistico’ Tutto il Grand Old Party in Ohio per Romney “Devi dimetterti”, intima ad Obama Rudolph Giuliani 3 novembre 2012 – Non solo Obama e Romney: trattiamo degli altri quattro candidati La media delle ‘polls’ oggi 3 novembre dice Obama 4 novembre 2012 – Parliamo del ‘voto postale’ Il caso Ohio in generale e l’importanza del voto postale in questo Stato in particolare I ‘morti presunti’ del Texas Il referendum a Portorico Joe Biden vice di Mitt Romney? La salute necessariamente di ferro dei candidati. E tra quelli di Una volta? 5 novembre 2012 – Documenti : Obama, chi teme l’uomo nero, un articolo di Gian Giacomo Migone per l’Unità Documenti : “Vincerà Romney”, un articolo di Maurizio Molinari per La Stampa I sondaggi secondo Daily Poll Summaries Si vota anche per la camera e per un terzo dei senatori I referenda sui quali si voterà ‘Provisional ballots’

485

La previsione

5 novembre 2012 Vorrei prevalesse la ‘vecchia America’ di Mitt Romney. Reputo e temo finisca per prevalere l’America ‘socialista’ di Barack Obama

(solo chi ha il coraggio di fare una previsione può sbagliarla)

5 novembre 2012 – L’ipotesi Gallup I Redskins hanno perso, per la cabala vince Romney

L’esito Obama: ancora quattro anni

Parte prima I risultati (non ancora definitivi) Cosa è successo negli ‘swing States’ Gli altri candidati Il voto: donne, neri, ispanici Il web Michelle

Parte seconda Anche la Florida va a Obama: risultato finale trecentotrentadue a duecentosei Le sfide del secondo mandato di un’anatra zoppa Siamo sicuri che nel secondo mandato i presidenti facciano meglio?

486 Commenti e prospettive

Vauro: Una magnifica vignetta Luigi Zingales: Non ha vinto Obama, ha perso Romney Guido Mariani: In prospettiva, cambi nel governo

Breve glossario della politica americana

La Costituzione federale e gli Emendamenti

MdPR, ovvero ‘Il Gran Pignolo’

Indice dei nomi Indice generale

487