Andrea Sacchi 1639-1661: Il Patronato Dei Barberini, L’Ambiente Erudito, Le Opere Della Tarda Attività
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FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’ARTE E DELLO SPETTACOLO Dottorato di Ricerca in Storia dell’Arte – XXXI Ciclo Andrea Sacchi 1639-1661: il patronato dei Barberini, l’ambiente erudito, le opere della tarda attività Tutor: Dottoranda: Novella Barbolani di Montauto Alessandra Cosmi Co-Tutor: Matricola: Michela di Macco 1698476 Anno Accademico 2017/2018 2 Indice Introduzione p. 4 1 CAPITOLO Fortuna critica e ragioni della ricerca p. 8 2 CAPITOLO Andrea Sacchi e l’entourage barberiniano p. 42 2.1 I primi contatti con la famiglia papale: incertezze e ipotesi p. 42 2.2 Il mecenatismo del cardinale Antonio p. 51 2.3 La corte di Urbano VIII: committenti e opere p. 59 3 CAPITOLO La cultura antiquaria di Andrea Sacchi p. 65 3.1 Lo studio dall’antico: Lelio Biscia e François Duquesnoy p. 65 3.2 La cerchia erudita di Francesco Barberini e il ‘Museo Barberiniano’ p. 69 4 CAPITOLO Il programma culturale della famiglia Barberini: l’esaltazione di Raffaello p. 73 4.1 Il cardinale Francesco e la nascita dell’arazzeria p. 73 4.2 Le copie da Raffaello ordinate dalla famiglia Barberini p. 87 5 CAPITOLO Le opere della tarda attività e i rapporti con la bottega p. 94 5.1 La decorazione del Battistero Lateranense 1639-1649 p. 97 5.2 Andrea Sacchi e la Marca p. 106 3 5.3 Rieti: il caso dell’Angelo custode p. 109 5.4 I dipinti per l’area umbra p. 112 5.5 La Visione di S. Filippo Neri a La Valletta p. 116 5.6 I cantieri promossi da Antonio Barberini: Andrea Sacchi come architetto e soprintendente ai lavori p. 118 Appendice documentaria p. 123 Regesto dei documenti p. 149 Bibliografia p. 178 Tavole p. 230 4 Introduzione Sono trascorsi ormai quarant’anni dalla monografia che Ann Sutherland Harris (1977) dedicò ad Andrea Sacchi, un lavoro che ebbe il merito di definire la personalità di uno dei principali protagonisti della scena artistica romana della prima metà del Seicento. Da allora si sono susseguiti una serie di contributi che in misura diversa hanno permesso di aggiungere altri tasselli alla conoscenza del pittore, sul quale però permane un giudizio che fatica ad essere abbandonato e che ancora lo consacra come uno dei massimi rappresentanti della tendenza classicista. È quanto emerge anche dal catalogo dell’unica esposizione monografia che nel 1999 fu dedicata all’artista, un’occasione importante durante la quale furono approfonditi alcuni aspetti centrali, come l’uso del colore e l’attività di architetto, ma che privilegiò soprattutto i dipinti eseguiti durante il pontificato di Urbano VIII Barberini (1623-1644). Fu però un momento cruciale per porre l’attenzione sulla fortuna di Sacchi, su quanto egli sia stato ammirato dagli artisti contemporanei e seguito da quelli della generazione successiva, uno spunto di ricerca che avrebbe potuto aprire un dibattito intorno a tale tema ma che sembra essere rimasto circoscritto a quella circostanza. Nel corso degli anni poi si sono susseguiti molti studi che hanno permesso di ampliare e approfondire le conoscenze sul pittore, ma che presentano ancora molti interrogativi che almeno in parte si è cercato di discutere in questa sede. È solo negli ultimi anni, e attraverso un lento procedere, che ha iniziato a farsi strada una considerazione più oggettiva dello stile di Sacchi e del ruolo ricoperto nel panorama artistico seicentesco, sebbene la quantità di opere che gli vengono attribuite lasci intendere che molta strada è ancora da fare. Occuparsi oggi dell’artista infatti implica destreggiarsi in molti casi con una compagine di assunti che spesso hanno pregiudicato la considerazione del suo modo di dipingere e quindi la lettura delle sue opere. Una lettura che, come si diceva, ha privilegiato i dipinti eseguiti nel periodo più sfolgorante della sua carriera, caratterizzato da una sequela di incarichi che vedono nel cardinale Antonio la figura principale ma, è bene sottolinearlo, non esclusiva. Gli studi infatti sembrano essersi concentrati soprattutto intorno al sodalizio tra Sacchi e il prelato, un rapporto che fu certamente fondamentale ma che oggi si rivela in parte insufficiente per comprendere alcuni legami che il pittore seppe intessere anche con altre personalità presenti a Roma. L’intento di questo lavoro dunque non era né quello di aggiornare il testo della Sutherland Harris, né quello di proporre un nuovo catalogo delle opere, tanto che, come si evince dell’impostazione seguita, il discorso avviato intorno al pittore ha inevitabilmente escluso alcuni aspetti. La ricerca muove invece dalla consapevolezza che il testo della studiosa inglese non si debba considerare come un punto di arrivo per le conoscenze su Sacchi – e quindi un lavoro che deve solo 5 essere aggiornato con le nuove scoperte che si sono susseguite dal 1977 ad oggi – bensì come una fondamentale acquisizione che avrebbe dovuto dar vita ad un fruttuoso dibattito intorno al pittore. Come si è cercato di far emergere, Ann Sutherland Harris aveva fornito una serie di spunti di ricerca che non sempre risultano perseguiti, proprio come era avvenuto anni prima con la monografia di Hans Posse (1925) che aveva posto l’accento su alcuni punti tuttora validi e sui quali si è ritenuto necessario interrogarsi ulteriormente. La direzione indicata dai due studiosi ha permesso infatti di considerare l’artista da un nuovo punto di vista, per alcuni versi inedito, che ha portato ad una maggiore consapevolezza del ruolo che egli ricoprì all’interno del programma culturale promosso dalla famiglia Barberini, nonché a riflettere maggiormente sulle opere realizzate nel corso dell’ultimo ventennio di attività. Tale approfondimento sul periodo più tardo dell’artista ha portato inevitabilmente ad interrogarsi anche sulle opere realizzate nella seconda metà degli anni Trenta, così da poter individuare l’evoluzione dello stile di Sacchi attraverso le riflessioni condotte sul colore, soprattutto in relazione al soggiorno nel Nord Italia (1635-1636) e ai nuovi ragionamenti sulle opere di Correggio e Raffaello, arrivando all’elaborazione di quello che Giovan Pietro Bellori definì il “colore temperato”. L’intento iniziale del presente lavoro era soprattutto quello di lavorare sui dipinti che Sacchi inviò in alcuni centri dell’area umbro-marchigiana, cercando di comprendere l’impatto che questi ebbero in quei territori e quindi la risposta che giunse da parte degli artisti locali. Vi erano già stati alcuni tentativi in questa direzione che avevano preso in esame le singole opere, ma, dopo il testo della Sutherland Harris, non era stato condotto alcun approfondimento che abbracciasse l’intera produzione relativa agli anni Quaranta e Cinquanta. Pertanto, si era giunti all’evidente divario tra le conoscenze acquisite sui dipinti del primo periodo romano rispetto a quelle sulle ultime opere, una lacuna che aveva pregiudicato anche la possibilità di osservare l’evoluzione dello stile di Sacchi durante tutto l’arco della sua carriera, nonché l’individuazione della partecipazione della bottega nelle diverse commissioni. Si è potuto rilevare che la maggior parte degli studi dedicati alle opere più tarde avevano cercato di chiarire il contesto in cui queste erano state inviate e quindi i rapporti diretti con la scena artistica romana, soprattutto nel caso dei dipinti inviati nelle aree marchigiane. Quest’ultimi infatti erano stati letti soprattutto come il riflesso di quanto avveniva alla corte di Roma, giustificando le scelte dei committenti con la volontà di inserirsi in una linea di gusto che dal centro si propagava alle zone periferiche dello Stato Pontificio. Era stata quindi individuata e definita una tendenza molto diffusa e avallata da diverse e importanti personalità legate all’entourage dei Barberini, come i cardinali Angelo Giori e Giovan Battista Pallotta. Seguendo questa direzione tracciata dagli studi si è cercato di ragionare sulla fortuna che ebbero le opere di Sacchi nei contesti in cui furono inviate, ragionando sulla risposta degli artisti locali e provando – soprattutto nel caso delle Marche – a 6 rintracciare la diffusione del linguaggio sacchiano prima dell’arrivo nelle stesse zone dei dipinti di Carlo Maratti che, come è ormai noto, ebbero un’eco vastissima. Bisogna però tenere conto che, in questo approccio che mette al centro la lettura dell’opera, vi sono state molteplici difficoltà a causa del sisma che ha recentemente interessato i territori presi in esame, quindi non sempre è stato possibile effettuare i sopralluoghi necessari, pregiudicando in molti casi la visione diretta dei dipinti. L’attenzione dedicata agli ultimi lavori ha permesso inoltre di approfondire le conoscenze sul contesto romano nel quale Sacchi si trovò a lavorare durante la fase matura della sua carriera, scandita da una parte dalla decorazione del Battistero Lateranense (1639-1649) e dall’altra dall’incarico di supervisionare i cantieri architettonici promossi dal cardinale Antonio dopo il 1653. Proprio quest’ultima attività sembra aver impegnato enormemente il pittore al punto da costringerlo a demandare alcune commissioni alla sua bottega, avviando così anche la realizzazione di un’ampia serie di repliche tratte dalle sue invenzioni. L’approfondimento sull’attività di architetto, avviata dagli importanti studi di Karin Wolfe (1999), ha permesso di ragionare sulle competenze dell’artista e di perseguire una direzione indicata proprio dalla studiosa in merito alle conoscenze che Sacchi aveva dell’architettura classica. Partendo quindi da casi individuati dalla critica, come il legame del pittore con Lelio Biscia e Leonardo Agostini tratteggiati rispettivamente dalla Wolfe e da Ingo Herklotz (2012), si è cercato di verificare se gli interessi di Sacchi per l’antico fossero circoscritti soltanto ad alcuni momenti specifici o se invece potessero rappresentare la traccia di una più complessa e approfondita cultura antiquaria. Questa ipotesi ha permesso di rintracciare – o di definire con maggiore chiarezza – alcuni rapporti che egli seppe intessere con alcuni eruditi del tempo, un lavoro che certamente non ha la pretesa di essere esaustivo ma che si pone come un primo tentativo per comprendere quanto Sacchi partecipasse attivamente al dibattito culturale nella Roma del tempo.