STAGIONE 2007-2008 DELIRI E ARMONIE

Martedì 22 aprile 2008 ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio

Julian Rachlin violino e viola 21 Itamar Golan pianoforte Consiglieri di turno Direttore Artistico Mario Delli Ponti Paolo Arcà Luciano Martini

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È vietato prendere fotografie o fare registrazioni, audio o video, in sala con qualsiasi apparecchio, anche cellulare. Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo dopo la fine di ogni composizione, durante gli applausi. Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si invita a: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse…); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. violino e viola Itamar Golan pianoforte

Dmitrij Sˇ ostakovicˇ (San Pietroburgo 1906 – Mosca 1975)

10 Preludi da 24 Preludi op. 34 (trascrizione per violino e pianoforte di Dmitri Tziganov)

Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 – Vienna 1827)

Sonata n. 3 in mi bemolle maggiore op. 12 n. 3

Intervallo

Johannes Brahms (Amburgo 1833 – Vienna 1897)

Sonata per viola in mi bemolle maggiore op. 120 n. 2

Ludwig van Beethoven

Sonata n. 10 in sol maggiore op. 96 Dmitrij Sˇ ostakovicˇ 10 Preludi da 24 Preludi op. 34 n. 2 in la minore (Allegretto) - n. 6 in si minore (Allegretto) n. 12 in sol diesis minore (Allegro non troppo) n. 13 in fa diesis maggiore (Moderato) - n. 17 in la bemolle maggiore (Largo) n. 18 in fa minore (Allegretto) - n. 19 in mi bemolle maggiore (Andantino) n. 21 in si bemolle maggiore (Allegretto poco moderato) n. 22 in sol minore (Adagio) - n. 20 in do minore (Allegretto furioso)

Dmitrij Sˇ ostakovicˇ sapeva suonare il pianoforte molto bene. Allievo al Conservatorio di Leningrado del grande didatta Leonid Nikolaev, il giovane Sˇ ostakovicˇ venne addirittura scelto dalle autorità sovietiche per partecipare al Concorso Chopin di Varsavia nel 1927. Il pianista Nathan Perelman ebbe occa- sione di ascoltarlo, appena prima della partenza per Varsavia: «La sua maniera di suonare Chopin non assomigliava a niente che avessi ascoltato né prima né dopo. Mi ricordava le sue esecuzioni della propria musica, molto dirette e senza troppa plasticità, e molto laconiche nell’espressione». Le testimonianze dell’epo- ca sono concordi nel dipingere Sˇ ostakovicˇ come un interprete asciutto e privo di sentimentalismo, benché fosse evidente fin dagli inizi la sua spiccata attitudi- ne da compositore a “sentire” la forma e ad accentuare i contrasti espressivi anche nell’esecuzione del repertorio. Il pianoforte rimase un fedele compagno di viaggio per Sˇ ostakovicˇ , perlomeno fino a quando la salute gli permise di suona- re, anche in pubblico, la propria musica. Lo studio di Chopin dev’essere tuttavia rimasto impresso a fondo nell’animo del compositore, dal momento che all’inizio degli anni Trenta Sˇ ostakovicˇ scrisse un ciclo di 24. Preludi, sulla falsariga del grande predecessore. I Preludi op. 34, composti in maniera disciplinata e un po’ ossessiva, uno dopo l’altro, tra il 30 dicembre 1932 e il 2 marzo dell’anno succes- sivo, seguono infatti lo schema tonale dei Preludi di Chopin. Il ciclo infatti dise- gna un cerchio armonico perfetto, a partire da do maggiore, seguendo la pro- gressione delle quinte e toccando tutte le dodici tonalità maggiori con le loro relative tonalità minori. L’omaggio a Chopin riguardava soprattutto la concezio- ne poetica del ciclo, che intendeva raccogliere un’ampia gamma d’impressioni e di stati d’animo, in maniera piuttosto libera e senza l’assillo di dover conferire al lavoro una forma organica. Il carattere frammentario rispecchiava inoltre l’im- piego di un vasto repertorio di riferimenti musicali, in una sorta di variopinto affresco di stili e di umori contrastanti. Sebbene la citazione d’autore costituisca un aspetto indiscutibile del ciclo, i Preludi op. 34 non costituivano un lavoro di sapore parodistico, in linea con le tendenze neoclassiche in voga all’epoca. Sˇ ostakovicˇ sembrava invece interessato a sperimentare, per il momento nella scrittura pianistica, una forma di sincretismo espressivo di stampo mahleriano, una strada che imboccherà in maniera ben più radicale in lavori degli anni suc- cessivi come la monumentale Sinfonia n. 4. In questo senso acquistano un rilie- vo particolare i numerosi riferimenti a Mahler, evidenti nel Preludio in la mino- re n. 2 e in quello in la maggiore n. 6. La musica di Sˇ ostakovicˇ ha sempre espresso una compassione di tipo esistenziale per la condizione umana, nella quale convivono la dimensione della tragedia e della farsa. Il contrasto confla- gra in maniera grottesca nelle volgari musiche da ballo di moda all’epoca, molto amate da Sˇ ostakovicˇ , ma si estende anche alla contrapposizione di momenti espressivi, come il lento valzer alla Chopin del Preludio in la bemolle maggiore n. 17, con episodi di sarcasmo quasi infantile, tipico del pianoforte del primo Prokof ’ev, come il Preludio successivo in fa minore n. 18 o quello in si bemolle maggiore n. 21. Dmitri Tziganov, storico leader del Quartetto Beethoven, tra- scrisse per violino e pianoforte verso la fine degli anni Trenta le pagine reputa- te più adatte. La selezione si chiude con il Preludio in do minore n. 20. Il mondo di Sˇ ostakovicˇ , ossessionato da un profondo senso tragico della condizione umana, sembra raffigurato alla perfezione tanto in questa icastica e selvaggia danza illuminata da bagliori d’odio, quanto nel gelo invernale e nella spoglia sec- chezza del precedente Preludio in sol minore n. 22.

Ludwig van Beethoven

Sonata n. 3 in mi bemolle maggiore Allegro con spirito op. 12 n. 3 Adagio con molt’espressione Rondò. Allegro molto

Sonata n. 10 in sol maggiore op. 96 Allegro moderato Adagio espressivo Scherzo. Allegro Poco allegretto

Le Sonate per violino di Beethoven sono iscritte ancora alla storia della musica strumentale del Settecento. Persino la ciclopica Sonata Kreutzer op. 47, malgra- do le mostruose novità della scrittura, costituiva la punta estrema di quella tradizione, nella quale l’appartenenza a un genere giustificava il linguaggio e la forma di un lavoro. Tutte, tranne l’ultima Sonata, quella in sol maggiore op. 96, che appartiene non solo a una fase diversa del lavoro di Beethoven, ma anche a una visione nuova delle possibilità della musica strumentale. Le prime tre Sonate “per Clavicembalo / o Forte-piano, con un Violino” op. 12 risalgono agli anni 1797-1798 e furono pubblicate a Vienna da Artaria tra il dicembre 1798 e il gennaio successivo. La maggior parte dei lavori degli anni Novanta, tra quelli reputati degni dall’autore di entrare nel novero dei Werke, consiste appunto in opere a gruppi. Un breve elenco comprende per esempio i tre Trii op. 1, le tre Sonate per pianoforte op. 2 e le tre op. 10, le due per violon- cello op. 5. Questa composita mappa di lavori ruota attorno alla tastiera del pianoforte, che rappresentava per Beethoven il territorio vitale da conquistare, dopo il suo arrivo definitivo a Vienna nel 1792. L’arte d’improvvisare sul fortepiano costituiva la sua arma migliore, con la quale Beethoven sperava non solo di sbarazzarsi della numerosa concorrenza, cosa tutto sommato non troppo difficile, ma forse anche di far dimenticare ai viennesi il genio divino di Mozart. Sebbene gli esperti criticassero la pessima formazione teorica e le lacune tec- niche nella composizione, il pubblico degli amatori rimaneva impressionato dalla maniera impetuosa di toccare la tastiera e dalla sovrabbondanza d’idee del gio- vane pianista. Il ruvido ma onesto Haydn si accorse subito che Beethoven era un musicista di un’altra razza e fece il possibile, con relativo successo, per incanalare la sua travolgente energia in maniera più ordinata. Le numerose edi- zioni delle sue opere aiutavano in maniera considerevole Beethoven a diffondere lo stile vigoroso della sua musica. Le tre Sonate con violino op. 12, in re mag- giore, la maggiore e mi bemolle maggiore, manifestavano in maniera evidente la natura esuberante del pianoforte di Beethoven. La tastiera, per esempio, diven- ta la protagonista indiscutibile dello sviluppo nel primo movimento, “Allegro con spirito”. Il violino infatti si limita a sostenere con una serie di bicordi le tem- pestose sestine del pianoforte o al massimo ne imita il turbine di semicrome. È lo strumento di Beethoven a prendere sulle spalle la responsabilità di elaborare gli elementi tematici e anche di suggerire il misterioso episodio sottovoce in si bemolle minore, che prepara in maniera splendida e geniale il ritorno del tema principale. La stessa sensazione di lontananza, di smarrimento dell’essere negli infiniti spazi del lirismo si ritrova nell’episodio centrale del movimento lento, “Adagio con molt’espressione”. La parte dei due strumenti reca la scritta per- dendosi, come per indicare un abbandono del suono al flusso delle armonie, le più delicate immaginabili, in questo scorcio notturno degno dei versi di Hölderlin. Che a una pagina visionaria come questa, sconvolta nella coda da emozioni quasi fuori controllo, faccia seguito un movimento di carattere rude fino alla rozzezza come il “Rondò” finale esprime in maniera idiomatica la natu- ra della musica di Beethoven. Sembra di vedere il vecchio Haydn scuotere il capo, di fronte al finale. La danza rustica, così simile a quelle scritte da lui, era del tutto priva però del saggio umorismo che l’aveva reso famoso. Nel “Rondò” l’allegria dei contadini diventava minacciosa e la danza rischiava di trasformar- si in rivolta. A Parigi, in quel tempo, le teste rotolavano dal palco. Una campagna ben diversa compare invece nella Sonata in sol maggiore op. 96, scritta nel 1812 e rivista nel 1815. Il violino apre il lavoro con un trillo e una sorta di richiamo, al quale risponde per imitazione il pianoforte. Siamo nel mondo della Natura e Beethoven conferisce al trillo, segno musicale indiscutibile della presenza di uccelli, un’importanza strutturale all’interno dell’intera Sonata. Dal sol maggiore spira un’aura di serenità arcadica, fuori dal tempo. Come in una sorta di Paradiso terrestre, l’“Allegro moderato” dispensa le gioie di una pri- mavera allietata dal canto degli uccelli e rallegrata dalla perfetta comunione tra l’uomo e la natura benigna. Il mondo pastorale rappresentava per Beethoven una forma di risposta alla crisi del periodo “eroico”, che volgeva al termine dopo i grandi lavori degli anni tra il 1803 e il 1808. La possibilità di un sollievo al dolore della condizione umana, spenta l’illusione di trovar salvezza nella virtù, viene rimandata a un mondo immaginario e lontano, contrapposto alla vita reale. Ma ogniqualvolta Beethoven ripropone il tema del mondo pastorale, come per esempio nella Sinfonia in fa maggiore n. 6, la strategia del suo lavoro diventa sfuggente e labirintica, sconcertando le aspettative dell’ascoltatore e creando complessi scenari poetici. L’ Eden, per esempio, lascia trapelare l’affanno, come dimostra la dolorosa appoggiatura, quasi un sospiro, sulla quale si sviluppa gran parte dell’elabo- razione della forma sonata. Il mondo dell’arcadia non è infatti privo di lutti e l’“Adagio espressivo” seguente rappresenta la forma trasfigurata di questi angosciosi pensieri. Una specie di corteo funebre, animato da creature fantas- tiche, si snoda con religiosa lentezza. La tonalità di mi bemolle maggiore costi- tuiva già nel movimento precedente una sorta di eco, come se la sua presenza indicasse la riminiscenza di un mondo lontano. L’estrema dolcezza di questo addio acquista dunque il senso di una rassegnazione spirituale collocata ancora più in là, in una sorta di arcadia trasfigurata, come se un corteo di fate accom- pagnasse al riposo la morte di una libellula. Un do diesis del violino, su un accor- do di mi bemolle maggiore ribattuto a tremolo dal pianoforte, conduce diretta- mente allo “Scherzo” in sol minore. Come spesso accade nei lavori dell’ultima fase, lo “Scherzo” acquista un carattere transitorio e svolge una funzione di rac- cordo. La melanconia dell’“Adagio” non viene abbandonata immediatamente, ma trova la maniera nel “Trio” di confluire nella serenità pastorale del movi- mento iniziale. Una breve Coda infine prepara l’orecchio al ritorno della tonal- ità di sol maggiore nel Finale. Il “Poco allegretto” costituisce uno dei movimen- ti più elusivi della produzione di Beethoven. In primo luogo segna il restauro dell’armonia del mondo arcadico, ma in maniera ambigua. La simmetria del fraseggio e la figura del basso inducono a pensare che la scena raffiguri una danza, ma la melodia non corrisponde a una reale forma di ballo. Occorre poi aspettare l’inizio della prima variazione, per ravvisare la forma del tema con variazioni. Nella prima parte il movimento procede nel solco della retorica con- venzionale, con quattro variazioni leggere e senza problemi, come se il ritorno al mondo pastorale fosse una naturale soluzione ai quesiti esistenziali adombrati in precedenza. Ma all’improvviso lo scenario cambia in maniera radicale e la prospettiva, non solo del singolo movimento, ma dell’intera Sonata, viene scon- volta. L’“Adagio espressivo” compare di nuovo, al posto della canonica variazione in minore, recuperando in maniera frammentaria tracce di memoria del passato, incluso il trillo dell’inizio, elemento germinale e simbolo del risveglio del mondo alla vita. Di colpo Beethoven squarcia il velo dell’idillio per mostrare l’aspetto caduco del tempo, secondo un processo tipico dell’ironia romantica. La fatica di trovare una maniera di concludere questa magnifica Sonata, nella quale il rap- porto tra i due strumenti stravolge ogni forma convenzionale, rappresenta il segno della crisi spirituale vissuta dall’autore. La fede di Beethoven nella virtù e nella ragione sembrava vacillare. La vita, persino quella generata in forma illusoria dall’immaginazione dell’uomo, si riduceva in questo enigmatico finale a un cumulo di rovine, come quelle che la Storia accumula ai piedi dell’Angelus Novus di Benjamin. L’ultima Sonata per violino lasciava dietro di sè delle gran- di questioni irrisolte, che Beethoven avrà la forza di affrontare nelle forme apodittiche degli ultimi lavori.

Johannes Brahms

Sonata per viola in mi bemolle Allegro amabile maggiore op. 120 n. 2 Allegro appassionato Andante con moto

Nel grande Reich edificato da Otto von Bismark sopravvivevano, nella seconda metà dell’Ottocento, delle piccole istituzioni autonome come la corte del Duca di Meiningen, residuo di forme politiche del secolo precedente. Il Duca mantene- va tra l’altro una cappella musicale, affidata a un direttore di spicco come Hans von Bülow, paladino della musica di Brahms. Il primo clarinetto dell’orchestra di Meiningen era Richard Mühlfeld, un musicista talmente eccellente da sus- citare nel compositore il desiderio di scrivere diversi lavori per il timbro melan- conico di questo strumento. Nacquero così nel giro di pochi anni capolavori come il Trio op. 114, il Quintetto in si minore op. 115 e le due Sonate. Le Sonate per clarinetto e pianoforte furono scritte nell’estate del 1894 a Bad Ischl, nel confortevole appartamento preso in affitto in casa della vedova Grüber. I due lavori costituivano l’ultima parola di Brahms nell’ambito della musica da camera. Nonostante che il loro mondo espressivo sia legato in maniera indiscutibile al suono umbratile del clarinetto, le Sonate furono ben presto adottate anche nel repertorio della viola, grazie al registro simile degli strumenti. La trascrizione per viola rappresenta una versione alternativa, pre- vista per altro dallo stesso autore. Quel che colpisce in modo particolare in questa coppia di opere, è l’infinita libertà spirituale con cui l’autore tratta la materia musicale, come se Brahms avesse ormai lasciato alle spalle ogni sorta di preoccupazione o fatica mentale nel trattare la forma. Dopo il Doppio Concerto per violino e violoncello, nel 1887, Brahms si era ritirato dalla vita musicale pubblica, benché non avesse certo smesso di scrivere. Il suo lavoro non era più proiettato nel mondo, ma si limitava a esprimere delle riflessioni interiori. Brahms coltivava senza dubbio un’immagine postuma di se stesso, come se avesse deciso di apparire il sopravvissuto di un’epoca gloriosa e lontana dalle forme d’espressione del suo tempo. La musica dell’ultima fase riflette questo ambiguo e insondabile aspetto della sua personalità. Lavori come il Trio, le due Sonate per clarinetto, le due serie d’Intermezzi per pianoforte e persino gli ultimissimi Corali per organo esprimevano in apparenza un mondo definitivamente tramontato, ma in realtà parlavano con un linguaggio di sconcertante modernità. L’estrema fluidità delle forme della musica da camera dell’ultimo Brahms, scavalcando Mahler, costi- tuirà agli inizi del Novecento un solido punto di riferimento per Arnold Schönberg e i giovani musicisti viennesi. Come Beethoven, Brahms aveva la tendenza a sviluppare le forme strumentali scrivendo gruppi di lavori dello stesso genere. La coppia di Sonate op. 120 manifesta appunto il desiderio di sfruttare fino in fondo tutte le possibilità espressive di un mezzo musicale. La conseguenza più evidente di questo approc- cio consiste nel carattere contrastante dei lavori, come avviene in questo caso. Rispetto alla Sonata in fa minore, la Sonata in mi bemolle maggiore mostra uno spirito più incline all’effusione lirica, espressa con insolita abbondanza d’idee musicali nel movimento iniziale “Allegro amabile”. Al centro della compo- sizione si staglia, in forma drammatica, un ampio Scherzo nella rara tonalità di mi bemolle minore. La musica, specie nel trio, assume un carattere appassiona- to e fiero, con un’intensità d’espressione paragonabile a quella degli eroici lavori degli anni Settanta. L’estremo addio alla musica da camera si compie nella forma forse più idiomatica del mondo di Brahms, il Tema con variazioni. Dal momento che in questi lavori ogni aspetto tende a manifestare un carattere retrospettivo, a cominciare forse dalla dedica stessa delle Sonate a Clara Schumann, non sor- prende che il Tema sembri tratto dal mondo di Schumann e della giovinezza di Brahms, definendo i contorni dell’elegia d’un mondo perduto.

Oreste Bossini JULIAN RACHLIN violino e viola

Nato in Lituania nel 1974 in una famiglia di musicisti, Julian Rachlin nel 1978 è emigrato in Austria dove ha studiato al Conservatorio di Vienna con Boris Kuschnir e con Pinchas Zukerman. Nel 1988 ha vinto il premio “Young Musician of the Year” al Concertgebouw di Amsterdam che gli è valso l’invito di Lorin Maazel al Festival di Berlino con l’Orchestra Nazionale di Francia e una tournée in Europa e in Giappone con l’Orchestra Sinfonica di Pittsburgh. È il più giovane solista che abbia mai suonato con i Wiener Philharmoniker, debuttando con Riccardo Muti. Collabora con le maggiori orchestre del mondo e direttori di primo piano quali Ashkenazy, Blomstedt, Chung, Gatti, Haitink, Jansons, Levine, Mehta, Menuhin, Norrington, Penderecki, Previn, Rostropovich, Tilson Thomas, Salonen e Sawallisch. Nel 2000 ha iniziato a suonare anche la viola che alterna regolarmen- te al violino nei suoi recital in tutto il mondo. Impegnato anche nel repertorio cameristico, ha suonato con partner quali Martha Argerich, Jurij Bashmet, Gidon Kremer, Misha Maisky, Yefim Bronfman, Mstislav Rostropovich e Heinrich Schiff ospite dei maggiori festival internazionali. Nel 2000 ha fondato a Dubrovnik un suo festival annuale "Julian Rachlin and Friends". Nella stagione in corso è stato in tournée con i Wiener Philharmoniker, ha debuttato con la New York Philharmonic e la Staatskapelle di Dresda, è stato protagonista di concerti con la Israel Philharmonic, Bayerischer Rundfunk e di recital a Vienna, Milano, Parigi, Salisburgo, Tokyo, Sydney e Buenos Aires. Le sue incisioni comprendono i concer- ti di Sibelius, Saint-Saëns, Wieniawski, Prokof’ev, Cˇajkovskij e Mozart. Ha inoltre interpretato il ruolo di Paganini per la serie TV “Napoleon” con Gerard Depardieu. Nel 2000 ha ricevuto il Premio dell’Accademia Chigiana. Dal 1999 è docente al Conservatorio di Vienna. Suona il Guarnieri del Gesù “ex Carrodus” del 1741, affidatogli dalla Banca Nazionale Austriaca. È per la prima volta ospite della nostra Società.

ITAMAR GOLAN pianoforte

Nato a in Lituania, Itamar Golan è emigrato giovanissimo in Israele dove ha iniziato gli studi musicali con Lara Vodovoz e Emmanuel Krasovsky. Vincitore di varie borse di studio della American Israel Cultural Foundation, dal 1985 al 1989 ha studiato al New England Conservatory of Music di Boston con e Patricia Zander, e in seguito musica da camera con Chaim Taub. Particolarmente appassionato del repertorio cameristico, si è esibito in tutto il mondo in collaborazione con i più grandi solisti (, , , , Ivry Gitlis, Barbara Hendricks, ) e formazioni cameristiche di primo piano, ospite dei maggiori festival internazionali quali Ravinia, Chicago, Tanglewood, Salisburgo, Edimburgo, Besançon, Ludwigsburg, Verbier e Lucerna. Suona inoltre in trio con Julian Rachlin e Orfeo Mandozzi. In qualità di solista si è esibito con importanti orchestre quali Israel Philharmonic, Berliner Philharmoniker con e Orchestra Filarmonica della Scala con Riccardo Muti. Ha al suo attivo numerose incisioni discografiche. Docente fino al 1994 alla Manhattan School of Music, col- labora attualmente con il Conservatorio di Parigi. È stato ospite della nostra Società nel 2002. Prossimi concerti: martedì 6 maggio 2008, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio András Schiff pianoforte

András Schiff non è soltanto uno dei maggiori interpreti del nostro tempo, ma anche un artista di grande cultura e un uomo di spirito. Negli anni scorsi s’è divertito a far circolare la biografia immaginaria di un musicista fiorentino del Settecento, Andrea Barca, prendendo spunto dalla versione italiana del suo stesso nome. Anche Bach amava giocare con la musica, sapendo maneggiare in maniera magistrale forme e stili provenienti da ogni tradizione. Le Suites francesi rappresentano lo sguardo di un provinciale di genio come Bach sul mondo, sebbene la definizione “francese” per questo gruppo di lavori, così come quella “inglese” per il ciclo analogo, appartenga più alla tradizione storiografica che a un concreto riferimento stilistico. Schiff conosce come pochi altri musicisti al giorno d’oggi il linguaggio di Bach, animato da una complessa retorica dei gesti e degli affetti, dimostrando la sua dimestichezza con il mondo del maestro sassone in un lungo programma che comprende anche l’Ouverture in stile francese BWV 831.

Discografia minima J.S. Bach “Solo Keyboard Works” (András Shiff, Decca 452279, 12 CD)

giovedì 22 maggio 2008, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Orchestra dei Pomeriggi Musicali Antonio Ballista pianoforte Made in Italy La canzone italiana: 1910 – 1950

martedì 7 ottobre 2008, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Murray Perahia pianoforte Società del Quartetto di Milano via Durini 24 - 20122 Milano tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281 www.quartettomilano.it e-mail: [email protected]

MONI OVADIA MERCOLEDÌ 23 APRILE 2008, ORE 18.30, SALA PUCCINI DEL CONSERVATORIO

Domani, mercoledì 23 aprile alle ore 18.30 nella Sala Puccini del Conservatorio, Moni Ovadia parlerà della Musica ebraica nell’ambito della rassegna Parole in nota, realizzata grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo. Ad accompagnarlo ci saranno il filosofo e consigliere del Quartetto Carlo Sini e lo scrittore e ideatore della rassegna Andrea Kerbaker. Ingresso libero fino a esaurimento dei posti.

MUSICA E POESIA A SAN MAURIZIO, PRIMAVERA 2008 CAMBIO DI DATA

8 giugno 2008, Chiesa di Sant’Antonio Abate Michael Chance controtenore Paul Beier liuto

Gli Artisti ci hanno chiesto di spostare ai primi di giugno il concerto già previsto per martedì 29 aprile. D’intesa con il Comune di Milano, il concerto si terrà domenica 8 giugno 2008, sempre nella chiesa di Sant’Antonio Abate, alle ore 21. Anche l’in- contro con il poeta Tomaso Kemeny è spostato a tale data con inizio alle ore 20.30.