Periodico semestrale - Sped. in a.p. - art. comma 20/c legge 662/96 - Filiale di Aosta - Tassa riscossa / Taxe perçue QUES RAMI PANO Rivista dicinema edita dall’assessorato istruzione ecultura della regione autonoma valle d’aosta VALLE d’AOSTA -VALLée d’AOSTE Adrian Sitaru Marilia Rocha Avi Mograbi Måns Månsson Hippolyte Girardot etNobuhiro Suwa Tizza Covi eRainerFrimmel Yu-Chieh Cheng Alejandro Fernandez Almendras

+ + + cinema in V ritratto diun cineasta Joseph Péaquin: valdostano documentario Focus sul alle d’ Aosta 48 II semestre 2009 E éDITORIAL

La Valle d’Aosta avrà una sua Film Commission

Fra la Valle d’Aosta e il cinema esi- anni di diverse manifestazioni ci- ha seguito l’evoluzione del cine- ste quello che si dice un rapporto nematografiche, che punteggiano ma attraverso i film e la parola dei consolidato. La nostra regione non con il loro programmi il calendario; loro autori. Oggi questa pubblica- è stata soltanto il set di molti film non solo la Saison Culturelle con zione dell’Assessorato Istruzione del passato (dalle avventure del ra- le proiezioni del Giro del mondo, e Cultura della Regione autonoma gionier Fantozzi, a commedie come ma anche festival che toccano di- Valle d'Aosta si presenta in veste Tutta colpa del Paradiso di France- versi argomenti: il Noir in Festival rinnovata e accresciuta, attraverso sco Nuti, a film d’autore come Le e il genere poliziesco, il Cervino una nuova immagine grafica, il pas- acrobate di Silvio Soldini), ma, tra- Film Festival e il film di montagna, saggio dal bianco e nero al colore e mite l’avviamento dell’iter che con- Strade del Cinema e i classici del uno spazio dedicato alle cronache durrà alla costituzione di una Film cinema muto musicati dal vivo, lo cinematografiche della Valle. Non Commission regionale, si appresta Stambecco d’oro e il cinema natu- è solo una scelta estetica. È un se- a diventare sempre più il punto ralistico, FrontDoc e il cinema do- gno del sempre più forte interesse di riferimento di molte produzio- cumentario. Non bisogna dimen- che questa amministrazione por- ni nazionali e internazionali che ticare infine i cineasti valdostani, ta al cinema, nel momento in cui scelgono le bellezze paesaggisti- il cui numero è in forte crescita e esso non è soltanto un momento che delle Alpi e gli spazi suggestivi che da qualche tempo stanno im- di fruizione culturale, ma anche un delle nostre architetture (castelli, ponendosi a livello internazionale indotto di promozione e di svilup- chiese, fortificazioni, strutture in- (due esempi per tutti: Joseph Péa- po capace di mettere in contatto la dustriali, villaggi, rifugi) per am- quin e Alessandra Celesia). Il tutto nostra regione e il mondo. bientarvi le storie che poi vedremo viene puntualmente testimonia- sul grande e sul piccolo schermo. to da una rivista di settore come Laurent Viérin Un tale legame tuttavia non si fer- Panoramiques, che ha alle spalle Assessore all'Istruzione e Cultura ma qui. La Valle d’Aosta è sede da quasi vent’anni di attività e che della Regione autonoma Valle d'Aosta

Dall’immagine di copertina, pre- fuori dai suoi confini geografici per attrezzato a raccogliere la sfida di sa dal film rivelazione al recente confrontarla con quanto avviene resituire un’immagine del mondo festival di Cannes (Huacho), fino altrove. Questo è in fondo ciò che in cui viviamo. Una tavola rotonda alla novità del dossier dedicato al ogni film fa. Proiettare un’immagi- sul documentario valdostano, in- cinema in Valle d’Aosta, Panorami- ne su uno schermo più grande. tesa come efficace e raro momen- ques in una nuova veste «colorata» Invariato rimane l’approccio che ri- to pedagogico, apre il discorso, non abbandona la sua missione di cerca nel medium cinematografico subito prolungato dal ritratto di accompagnare il lettore in una per- il senso ultimo delle cose e prova a Joseph Péaquin, filmmaker auto- lustrazione dei territori cinemato- dare un posto all’uomo nel mondo. didatta capace di sviluppare una grafici meno battuti. Ogni numero di Panoramiques si di- sensibilità tutta sua nel descrivere Come ogni viaggio, anche quello spone lungo un doppio binario; da la vita di montagna. Completano di Panoramiques parte da un pun- una parte l’analisi di film presenta- il quadro due incontri, uno con il to geografico preciso. Quasi una ti in Saison Culturelle, dunque visti regista israeliano Avi Mograbi in sorta di necessaria introduzione al dal pubblico valdostano e italiano, cui è questione di estetica e di cammino attuato dalle analisi dei dall’altra il racconto di opere che dif- politica e l’altro con l’esordiente film, prima, e dagli incontri con i ficilmente saranno distribuite in sala. Mans Mansson, giovane dalle idee registi, poi, Panoramiques si apre Le seconde ci sembrano importanti molto chiare e dal grande talento con una vetrina dedicata al cinema quanto le prime; servono ad allargare di pedinatore. così come esso è visto e realizzato lo spettro d’azione: un po’ come acca- in Valle d’Aosta. Tra informazioni de con quei film che usano in senso Luciano Barisone sulle prossime iniziative e appro- creativo il fuoricampo. Carlo Chatrian fondimenti su quanto è avvenuto o Resta anche l’idea di un filo rosso sta avvenendo, emerge il quadro di che collega i vari testi di ogni nu- una realtà viva e ricca di promesse. mero. Questa volta l’attenzione è Parole e immagini hanno il compito posata sul documentario, genere di traghettare la realtà valdostana che a nostro avviso appare meglio

panoramiques

Année XIX, n°48 Revue de cinéma Panoramiques 48 Directeur Luciano Barisone Editoriali 2

Rédacteur en chef CINEMA EN NOIR ET ROUGE Carlo Chatrian Il cinema in Valle d’Aosta 4 Documentario: lo stato delle cose 6

Rédaction Les vertus de l’autarcie, entretien avec Joseph Péaquin Nora Demarchi par Alice Moroni 11 Alice Moroni SCHEDE Collaborateurs Che - Guerriglia di Giona A. Nazzaro 14 Michelangelo Buffa Che - L’Argentino di Daniele Dottorini 15 Massimo Causo Control di Giuseppe Gariazzo 16 Silvia Colombo Daniele Dottorini Il Curioso Caso di Benjaminj Button di Roberto Manassero 17 Simone Emiliani Frost/Nixon - Il duello di Leonardo Gandini 18 Leonardo Gandini Frozen River di Joseph Péaquin 19 Giuseppe Gariazzo Lorenzo Leone Giù al Nord di Simone Emiliani 20 Roberto Manassero Gran Torino di Leonardo Gandini 21 Umberto Mosca Home di Cristina Piccino 22 Giona Nazzaro Grazia Paganelli Lasciami Entrare di Simone Emiliani 23 Joseph Péaquin Mamma Mia! di Simone Emiliani 24 Daniela Persico Mar Nero di Alice Moroni 25 Cristina Piccino Milk di Michelangelo Buffa 26 Eugenio Renzi The Millionaire di Leonardo Gandini 27 L’Onda di Lorenzo Leone 28 Propriété Ponyo sulla Scogliera di Daniela Persico 29 Région autonome Vallée d’Aoste Racconto di Natale di Daniela Persico 30 Rachel sta per sposarsi di Giona A. Nazzaro 31 Direction et rédaction Si può fare di Giona A. Nazzaro 32 33 rue de Paris 11100 Aoste – Italie Teza di Giuseppe Gariazzo 33 Tél. : +39 0165 26 17 90 Ti amerò sempre di Lorenzo Leone 34 Courriel : [email protected] Tony Manero di Daniele Dottorini 35 Tulpan - La Ragazza che non c’era di Cristina Piccino 36 Administration Two Lovers di Eugenio Renzi 37 Valzer con Bashir di Daniele Dottorini 38 Vicky Cristina Barcelona di Leonardo Gandini 39 Vuoti a rendere di Umberto Mosca 40 The Wrestler di Silvia Colombo 41

FESTIVAL Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, Venezia 2008 Dietro la maschera, conversazione con Avi Mograbi, a cura di Carlo Chatrian e Roberto Manassero 42

1 place Deffeyes International Thessaloniki Film Festival, Salonicco 2008 11100 Aoste – Italie In Soggettiva, conversazione con Adrian Sitaru, Tél. : +39 0165 27 34 13 / 32 Fax : +39 0165 27 33 96 a cura di Eugenio Renzi 48 Courriel : [email protected] International Film Festival, Rotterdam 2009 Graphisme et mise en page Gli ultimi, conversazione con Marilia Rocha, Pier Francesco Grizi – Charvensod (AO) a cura di Luciano Barisone 53 Italie

Impression International Film Festival, Berlino 2009 Musumeci S.p.A. – Quart (AO) – Italie Il punto di vista di un uomo, conversazione con Måns Månsson, a cura di Luciano Barisone e Carlo Chatrian 57

Enregistrement au tribunal d’Aoste n°8/90 Spingere il cinema verso la realtà, conversazione con Yu-Chieh Cheng, a cura di Massimo Causo 62 Revue semestrielle Expédition par abonnement postal Art. 2, alinéa 20/c de la loi n°662/96 – Aoste Festival International du Film, Cannes 2009 Ritratto di famiglia, conversazione con Alejandro Fernández Almendras, Pour recevoir Panoramiques a cura di Carlo Chatrian 66 Assessorat de l’éducation et de la culture Direction soutien et développement La finzione dentro il documentario,conversazione con Tizza Covi e Rainer des activités culturelles, musicales, Frimmel, a cura di Carlo Chatrian, Giuseppe Gariazzo e Grazia Paganelli 71 théâtrales et artistiques 1 place Deffeyes – 11100 Aoste – Italie Come in un sogno, conversazione con Hippolyte Girardot e Nobuhiro Suwa, Courriel : [email protected] a cura di Roberto Manassero 74 In copertina: Huacho di Alejandro Fernández Almendras 4 Cinema en noir et rouge appuntamenti con il cinema in Valle d’Aosta

Un festival di cinema Strade del cinema di montagna in montagna iunto alla sua 12ª edi- trade del Cinema è un festival di cinema e di musica G zione, il Cervino Cine- Scostruito attorno all’idea che la distanza di tempo che Mountain Film Festival avrà separa gli spettatori di oggi dall’epoca del cinema muto luogo dal 24 luglio al 2 ago- può essere usata come una cassa di risonanza all’interno sto 2009. Da due anni, con il 0-:.164.0/4. della quale una nuova esperienza di visione permette ad cambiamento di direzione, il autori riconosciuti e ad altri dimenticati (Chaplin, Keaton, festival si svolge prevalen- Lloyd, Hitchcock, Murnau, Gance, Lubitsch,Pastrone, McCa- temente a Valtournenche, rey, Pabst, Machin, Méliès, Mari, Serena) di riannodare i fili con una tappa iniziale nella di una conversazione interrotta un secolo fa. sua sede originale di Breuil- Attorno ad una spina dorsale immutata dal 2001 (una se- Cervinia, ai piedi del Monte zione monografica di mediometraggi comici musicati dal Cervino. Non è andata co- vivo nell’ambito di un concorso aperto a giovani musicisti munque persa negli anni la da tutta Europa e una di lungometraggi musicati dai grandi vocazione che ha espresso nomi della musica contemporanea) si sono nel corso de- Festival internazionale del cinema di montagna Breuil-Cervinia e Valtournenche dal 24 luglio al 2 agosto 2009 sin dalla sua nascita: la vo- www.cervinocinemountain.it gli anni sviluppati diversi filoni di ricerca (come quello sul lontà di fare del festival un soundscape design) ma anche momenti di formazione per luogo di ritrovo e di scoper- musica da film rivolti a giovani compositori, in collaborazio- ta, di approfondimento e di conoscenza, di divertimento e ne tra gli altri con la Scuola Nazionale di Cinema, il Conser- di affabulazione, trasformando uno dei numerosi comuni di vatorio Vivaldi di Alessandria, i compositori Battista Lena, montagna della valle d’Aosta, ricchi in cultura e tradizione Ezio Bosso. Tra le collaborazioni, primaria e diversificata in un palcoscenico a cielo aperto. Accanto ad un concorso, (dalla formazione alla valorizzazione dei restauri) quella con che seleziona la miglior produzione annuale del genere pro- il Museo Nazionale veniente dai maggiori festival del mondo (Banff, Trento, Au- del Cinema, insieme trans, Torello, Kendal, Poprad, Graz, Tegernsee…) sono nate a quelle interna- altre sezioni originali: Cervinia mon amour!, dedicata allo sci, zionali con Belgio, al cinema, alla musica, e Antropomount, una finestra sull’an- Francia e Germania tropologia visuale di un popolo di montagna della terra nell’ambito del pro- (quest’anno dedicata all’Atlas e ai popoli del Maghreb). La getto “Musica per sezione After festival chiude la manifestazione con un omag- gli occhi / Musique gio a Norberto Bobbio, cittadino onorario di Valtournenche. pour les yeux / Mu- Tra gli ospiti di quest’anno: Gustav Thöni, Piero Gros, Simone zik fur die Augen”. Moro, Enrico Camanni, Irene Grandi, Kurt Diemberger, Denis Curti, Annibale Salsa, Igor Man, Alberto Sinigaglia. Marco Gianni

Luca Bich e Luisa Montrosset

Agenda CINEMOUNTAIN STRADE DEL CINEMA FRONTDOC COURMAYEUR STAGE estate - autunno 2009 FESTIVAL INTERNAZIONALE FESTIVAL INTERNAZIONALE Rencontres documentaires NOIR IN FESTIVAL JEUNES CRITIQUES DEL CINEMA DI MONTAGNA DEL CINEMA MUTO de la Vallée d’Aoste EUROPEENS MUSICATO DAL VIVO 7-13 dicembre 2009 24 luglio - 2 agosto 2009 23-26 novembre 2009 Palanoir - Centro Congressi 6-12 décembre 2009 Cinéma des Guides 6-13 agosto 2009 Cinema Theatre De La Ville Piazzale Monte Bianco, 3 Courmayeur Via Carrel, 32 Teatro Romano Via Xavier De Maistre, 21 Courmayeur Breuil-Cervinia Aosta Aosta Per informazioni: Per informazioni: tel: 0165 261790 Sala Congressi Centro Polivalente Per informazioni: Sala Conferenze Biblioteca Regionale tel. 06 8603111 email: [email protected] Piazza del Mercato, 4 tel. 0165 230528 Via Torre del Lebbroso, 2 06 8605343 Valtournenche http://www.stradedelcinema.it Aosta 06 8604541 email: [email protected] Per informazioni: Per informazioni: http://www.noirfest.com tel. 0165 230528 – 392 9814692 tel. 0165 273277 http://www.cervinocinemountain.it e-mail: [email protected] Cinema en noir et rouge 5 appuntamenti con il cinema in Valle d’Aosta

SEMPRE PIù NOIR...

orman Mailer, il grande scrittore drew Vacchs, James Grady, Ian n americano, ha definito il film noir “il Rankin, George P. Pelekanos. solo grande cinema popolare, un teatro Scoperte e riscoperte anche dell’arte che capiscono e gustano insie- con Cornell Woolrich, David me il camionista e il poeta, l’adolescente Goodis, Jim Thompson, Philip incolto e il borghese dai gusti sofisticati. K. Dick, Edward Bunker; con La paura unisce...”. Il Noir oggi è il genere l’attenzione per i nuovi auto- narrativo più popolare, amato dai giova- ri della Série Noire francese, ni per il gusto della trasgressione e per il quelli delNew British Mystery, suo inguaribile romanticismo. È il gene- degli scrittori latino americani re che meglio interpreta la modernità e e delle diverse «scuole regio- le ombre della nostra società. Uno stile nali» italiane. imitato e adottato da sempre più comu- nicatori, per la sua alta capacità sedut- E anche nel 2009, da lunedì 7 tiva. Sotto l’ala protettrice della montagna più alta d’Europa, il a domenica 13 dicembre, una Monte Bianco, NOIR IN FESTIVAL celebra ormai dal 1993 i suoi nuova pagina di questa sto- riti mondano-cinematografici all’insegna del brivido. A Courma- ria verrà scritta nel segno del yeur, il NOIR ha trovato la sua casa più bella. Pubblico raffinato “Noir sul Bianco”… e pubblico giovane, amanti dello sci, della buona tavola e della I 12 film in garasono selezionati tra le migliori novità nel genere cultura si ritrovano tutti all’inizio di dicembre per un’iniziativa dell’anno in corso. Il festival ospita anche una sezione di retro- all’insegna del divertimento e dello spettacolo. spettive che esplorano la storia del genere; scopre autori di culto delineando nuove tendenze e con una nuova sezione Mini Noir NOIR IN FESTIVAL ha fatto riscoprire a Courmayeur un antico le- dedicata alle generazioni più giovani. Come per la letteratura, il game con il grande cinema e la grande letteratura di genere. Nel- festival promuove incontri con i migliori scrittori di gialli italiani la sua lunga tradizione di scoperte e riscoperte di autori nell’am- e internazionali. Conferenze e i seminari indagano sugli sviluppi bito del thriller, il festival ha proposto, in numerose retrospetti- artistici del genere e sui loro stretti legami con la realtà. ve e omaggi, una visione completa del cinema di genere italiano Tema dell’anno sarà ancora IL COMPLOTTO con un’edizione spe- dagli anni ’40 agli anni ’70, un nuovo sguardo su maestri del ca- ciale dedicata ai «Misteri di Piazza Fontana», 40 anni dopo il pri- libro di Alfred Hitchcock, Pierre Chenal, Orson Welles, William mo e drammatico attentato dell’eversione. Una speciale atten- Friedkin, Robert Wise, e nuovi autori come Wes Craven, Sam zione verrà dedicata poi al moderno NOIR FRANCESE, alle nuove Raimi, John Woo, Quentin Tarantino, Takashi Miike, Sabu e Park factories produttive italiane che lavorano sul genere thriller, alla Chan-wook. Ma anche documentaristi come Emile De Antonio e scuola sarda del noir e alle celebrazioni del CENTENARIO DI RAY- Fred Wiseman. Il festival ha ospitato e premiato anche i migliori MOND CHANDLER nel ventennale del Premio omonimo attribui- nomi della letteratura del genere come: Fruttero & Lucentini, to ogni anno a Courmayeur. Elmore Leonard, Ed McBain, P.D. James, John le Carré, John Grisham, Andrew Vacchs, Mickey Spillane, James Crumley, An- Emanuela Cascia, Marina Fabbri, Giorgio Gosetti

Agenda CINEMOUNTAIN STRADE DEL CINEMA FRONTDOC COURMAYEUR STAGE estate - autunno 2009 FESTIVAL INTERNAZIONALE FESTIVAL INTERNAZIONALE Rencontres documentaires NOIR IN FESTIVAL JEUNES CRITIQUES DEL CINEMA DI MONTAGNA DEL CINEMA MUTO de la Vallée d’Aoste EUROPEENS MUSICATO DAL VIVO 7-13 dicembre 2009 24 luglio - 2 agosto 2009 23-26 novembre 2009 Palanoir - Centro Congressi 6-12 décembre 2009 Cinéma des Guides 6-13 agosto 2009 Cinema Theatre De La Ville Piazzale Monte Bianco, 3 Courmayeur Via Carrel, 32 Teatro Romano Via Xavier De Maistre, 21 Courmayeur Breuil-Cervinia Aosta Aosta Per informazioni: Per informazioni: tel: 0165 261790 Sala Congressi Centro Polivalente Per informazioni: Sala Conferenze Biblioteca Regionale tel. 06 8603111 email: [email protected] Piazza del Mercato, 4 tel. 0165 230528 Via Torre del Lebbroso, 2 06 8605343 Valtournenche http://www.stradedelcinema.it Aosta 06 8604541 email: [email protected] Per informazioni: Per informazioni: http://www.noirfest.com tel. 0165 230528 – 392 9814692 tel. 0165 273277 http://www.cervinocinemountain.it e-mail: [email protected] Documentario: 6 lo stato delle cose Tavola rotonda - Frontdoc 2009

i sono sempre più persone CC: Ci troviamo per il secondo anno sona, del suo lavoro. Di qui nasce il C che usano il video come a confrontarci sullo stato delle cose progetto, Un messaggio d’amore. Il strumento di documentazione e di del cinema documentario in valle documentario, perciò, è rivolto in- d’Aosta. Per farlo abbiamo chiesto nanzitutto a chi mi ha pagato per espressione. Per alcuni diventerà ai filmmaker attivi sul territorio di realizzarlo, è il mio mestiere - oltre un lavoro, per altri resterà una proporre dei brevi montati, estratti a documentari, realizzo anche vi- passione. Ad Aosta sono stati dei loro lavori in fase di costruzio- deo promozionali, spot etc. mostrati sette estratti di video ne. Vorremmo che questa galleria realizzati da giovani filmmaker, di progetti venisse esaminata dagli CC: Per fare un parallelo anche con studiosi di altre discipline, ospiti presenti, convinti che le loro altri progetti che hanno uno sti- semplici amatori e professionisti. indicazioni non solo aiuteranno i le completamente diverso, vorrei registi, ma forniranno anche ele- sottolineare la questione del ritmo Sono film che probabilmente non menti di analisi importanti ad un e del tempo. Ci sono sette filmati tutti i lettori avranno occasione livello più generale. con sette ritmi e sette tempi diffe- di vedere. Abbiamo ritenuto renti. La domanda è questa: come interessante rielaborare in forma LB: Ci sono, tra l’altro, alcune per- hai pensato il tempo di questo scritta e presentare la discussione sone che non abbiamo invitato film? A volte sembri adottare solu- che ne è seguita perché pensiamo direttamente e sarebbe impor- zioni quasi «slapstick»… riguardi non solo i film in tante per noi approfondire la loro conoscenza. Alexander Casu, ad AC: Sì, è stato tutto molto ridotto e questione. E soprattutto ricorda esempio, riguardo al tuo film nel- il montaggio è stato fatto a blocchi – a noi spettatori innanzitutto – la presentazione hai parlato di in un solo pomeriggio. Ho preso quanto sia importante il confronto una docu-fiction indirizzata quasi il montato originale e l’ho rifatto e il dialogo. esclusivamente a chi è stato ripre- blocco dopo blocco. Riguardo ai so. È molto interessante, ma vorrei tempi, sicuramente è un montag- sapere meglio cosa ci sia dietro al gio molto veloce, che è poi il mio tuo lavoro? stile; ovviamente questo montato MODERATORI: esalta la velocità rispetto al do- Luciano Barisone, Carlo Chatrian AC: In realtà il progetto mi è sta- cumentario originale che dura 28 to commissionato da Guglielmo minuti. In quella versione si scopre FILMMAKER VALDOSTANI: Rossi, il protagonista, che aveva le meglio la personalità del protago- Eloise Barbieri, Olivier Bertholin, idee un po’ confuse. Lui non vede nista. Come ho detto, il progetto Alexander Casu, Paola Colliard, suo figlio da sei anni perché gli è è dedicato al suo committente, se Christiane Dunoyer, Joseph stato portato via dalla moglie e fosse stato rivolto ad un pubblico Péaquin, Massimo Sacchetti probabilmente non riuscirà mai sarebbe stato forse molto diverso. più a vederlo. Ciò nonostante, non OSPITI: si arrende e la sua ultima speranza AF: Il fatto di fare un film per una Hala Alabdalla Yakoub, è di lasciare al figlio una testimo- persona sola introduce l’impor- Alberto Fasulo, Bruno Oliviero, nianza di sé, di quella che è stata la tanza di avere, quando uno comin- Gianfranco Pannone sua vita, di quella che è la sua per- cia a pensare al documentario, un

In un altro mondo di Joseph Péaquin Passo dopo passo, giorno dopo giorno, spesso in silenzio, seguiamo Dario Favre, guardia al Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Stanno dove sono di Massimo Sacchetti Supportato e guidato da un giovane ragazzo che lo accompagna nei boschi, un non vedente cerca, attraverso il dialogo con quest’ultimo, di percepire e ritrarre le forme del reale. L’intensa e silenziosa schermaglia, tra desideri, sogni e fantasie, è il tratto caratterizzante dell’intera opera.

In un altro mondo 7

pubblico di fronte. Da qui nasce il soprattutto con te stessa, il pro- te proprie del documentario. In proprio linguaggio, il modo di dare prio materiale - anche nell’onestà certi momenti il documentario è forma alle esigenze personali e il di dire che non funziona - che può proprio un’aporia perché si tratta proprio sperimentalismo fino ad far crescere il film verso un raccon- di questioni molto private che si arrivare ad uno sguardo persona- to aperto a tutti. decide di mostrare all’esterno. Il le. Il documentario è apertura su documentario rivolto all’interno è un mondo sco- BO: Anch’io col- il classico filmato di famiglia. Per nosciuto; pur- go l’occasione per quanto riguarda Eloise, sono qua- troppo molte Bruno Oliviero fare delle conside- si «dispiaciuto» per la potenziale volte ci si tro- Nato a Napoli nel 1972, insegna razioni che esten- bellezza del suo film, per il tempo va a lavora- documentario a Milano e a Vene- do anche a tutto trascorso nella tundra, perché c’è re da soli o in zia dove co-dirige una scuola di quello che abbia- una storia enorme dietro. È bellis- pochi e questo documentario con Silvio Soldini. mo visto in genera- sima la scena dei bambini portati Lavora principalmente come re- le, e cioè una sorta dall’elicottero. porta a quello gista di film di finzione e docu- che viene de- mentari per il grande e il piccolo di mancanza di fi- finito il limite schermo. Tra le sue opere di mag- ducia nei confronti EB: Sono contenta che il mio do- di un film, visi- gior rilievo Odessa (2006), realiz- dei personaggi che cumentario abbia suscitato mol- vamente e pro- zato con Leonardo Di Costanzo e vengono delineati. ti commenti. Innanzitutto vorrei duttivamente presentato a numerosi festival in- Faccio due esem- precisare che era la seconda vol- perché un film, ternazionali, e Napoli Piazza Mu- pi per due talenti ta nella mia vita che filmavo. Ho nella mia uni- nicipio (2008) diversi. Alexander sempre fatto fotografie, ho girato ca esperienza e Eloise mi siete un film che non ho mai fatto ve- come regista e sembrate persone dere a nessuno e questa era la se- produttore, è un lavoro immane e che sanno filmare con estre- conda volta che prendevo una vi- se ci si trova ad essere soli è facile mo talento ma che non si fida- deocamera in mano, una piccola prendere una tangente. Credo sia no di ciò che mostrano. È raro nel Sony HDV senza cavalletto. L'ho strettamente necessario avere un cinema documentario italiano ve- appoggiato quando era possibile territorio dove scambiare impres- dere delle inquadrature di renne sulle slitte. Quindi sì, c’era poca sioni e idee, fare gruppo tra auto- come quelle iniziali realizzate da fiducia da parte mia nelle imma- ri e spettatori, confrontandosi con Eloise ma poi c’è una voce di sotto- gini, anche se debbo dire che per un pubblico. Nel mio caso posso fondo che ci dice molto di più. Nel il montato ho preso tutte le parti dire che parto sempre da un’esi- caso del film di Alexander siamo parlate, forse sbagliando. genza personale nell’individua- invece di fronte ad una masche- re cosa voglio raccontare. Molte ra del cinema italiano, è come se LB: Eloise, ti consiglierei di ve- volte ho visto lavori che sembra- ci trovassimo davanti a Pulcinella, dere i film di due cineasti finlan- vano più portati a voler dimostra- Pantalone o Arlecchino e dietro di desi che lavorano da trent’anni re di essere capaci di realizzare un loro c’è un dramma; in questo sen- sui nomadi dell’estremo nord. Si film invece di avere un’esigenza di so dico che la maschera basta a se chiamano Marku Lemuskallio e raccontare. Nel caso di Eloise Bar- stessa, la sua rappresentazione Anastasia Lapsui. Penso sarebbe bieri, essendo tu una viaggiatrice, non ha bisogno di effetti, perché interessante per te vedere come avevi questa forte esigenza di apri- è teatro dell’arte, improvvisazione hanno trattato l’argomento da un re l’esperienza del tuo viaggio an- e il tuo protagonista la fa benis- punto di vista linguistico e for- che agli altri. Questo effettivamen- simo. Dieci minuti davanti a quel male, che rapporto hanno istitu- te si sentiva, ma nessuno potrà mai signore sarebbero stati magnifici, ito con la cultura nomade e che insegnarti direttamente come si fa avremmo goduto e poi pian piano soluzioni hanno trovato per ri- un documentario. Sarà il confronto saremmo potuti entrare nel dram- produrla cinematograficamente. con altri film ed altre persone, ma ma, con tutte le cautele ovviamen- Senza farsi schiacciare, però, sen-

Nenet, i nomadi della tundra di Eloise Barbieri Da mille anni i Nenet, una delle ultime popolazioni nomadi della Siberia, percorrono con le loro renne gli spazi sterminati della tundra, oggi minacciata da un nuovo nemico: il gas. Il film è il racconto di questo popolo attraverso gli occhi di una donna occidentale.

Prossimamente al cinema di Olivier Bertholin Giacosa, De la Ville, Cinelandia: tre sale, tre identità, tre modi di proporre cinema ad Aosta. Davanti e dietro lo schermo, il lavoro e le passioni di proiezionisti, maschere, direttori di sala in un viaggio personale nel mondo Nenet, i nomadi della tundra dell’esercizio cinematografico aostano. 8

za prenderlo come un modello o professionale - come lo definisce in certi casi il bello e l’utile, non un paragone. il teorico Nichols. Uno sguardo ap- per essere didascalici e imitare il parentemente neutrale che poi in modello anglosassone attuale da GP: Credo che in tutti questi casi realtà non lo è mai e che diventa BBC ma per tornare a Grierson, sia emerso il solito problema di anche molto freddo. alla scuola di documentario degli chi si avvicina Il fatto di affidarsi anni Trenta. Sento l’esigenza di al documenta- alle immagini è in- avere qualche informazione per rio, un proble- Gianfranco Pannone vece una cosa che poter essere, non dico aiutato, ma ma dovuto alla Nato a Napoli nel 1963, è diplo- è molto forte in Jo- almeno per sentirmi più vicino al mancanza di mato in regia al Centro Sperimen- seph Péaquin, che personaggio. confronto. Un tale di Cinematografia a Roma, ha già realizzato problema acui- dove vive attualmente. Socio dei lavori mol- JP: Ascolto sempre quello che to dal fatto che fondatore di Doc/It, è docente di to belli. Nei suoi dice Gianfranco. Abbiamo la regia presso l’Università di Roma oggi in Italia è e la Scuola Zelig di Bolzano. Tra film c’è sempre stessa visione del documentario molto diffici- le sue opere di maggior rilievo: un rapporto forte quindi mi ritrovo nelle sue paro- le vedere do- La giostra, Trilogia dell’America, con il territorio, le. Sono d’accordo ma allo stesso cumentari. Io Io che amo solo te, la serie do- cosa che conside- tempo sono consapevole di voler vorrei consi- cumentaria Cronisti di strada, ro fondamentale. fare qualcos’altro. Le informazio- gliare di vede- Pietre, miracoli e petrolio e Il sol Credo che oggi ni nel mio documentario arrivano re i film di Jean dell’avvenire. il nostro cinema, – il documentario dura 70 minuti e Rouch per arri- e non parlo solo noi abbiamo visto solo i primi 10 – vare ad esempi deldocumentario, ma tardi. Abbiamo bisogno di tem- di filmmaker attuali, oltre a quelli si risolve dal punto di vista po per entrare nel film e nel perso- citati da Luciano. Sono consapevo- espressivo ed economico pro- naggio. È come se dicessi: “Se non le della difficoltà nel reperire certi prio sul territorio. L’unica salvez- hai tempo, cambia pure canale; ma film, Jean Rouch ormai lo vedi solo za che abbiamo è riuscire a capire se vuoi entrare nel film, devi ave- in Francia - anche se so che la bi- dove siamo e riuscire a raccontare re il coraggio di aspettare alme- blioteca di Aosta è tra le più for- il potenziale che abbiamo di fron- no venti o trenta minuti”. Ma sono nite in Italia. Il problema dicevo è te. Ovvio che c’è anche l’esigenza d’accordo con Gianfranco, aspetta- che il modello imperante è quel- di andare a filmare in paesi altri, re trenta minuti per la prima infor- lo televisivo, dove c’è quella che ma Joseph è uno di quegli autori mazione, alla fine risulta pesante. chiamiamo la «voce di Dio» che in Italia che lavora molto sul terri- Bisogna avere equilibrio. Il proble- ci accompagna. Nel caso di Eloise torio e lo fa con tenacia e grande ma è che in Italia siamo talmente è la voce dell’autore, che si tiene capacità. Se posso darti consiglio, abituati all’orrendo che mi voglio in uno strano equilibrio tra sog- da collega a collega, direi che nel posizionare altrove. gettività e descrizione. Se quella tuo film non riesco ad andare oltre, voce narrante fosse più diaristica mi manca qualche informazione, BO: Capisco, perché anche io fac- e più intima - penso a Les glaneurs esattamente il contrario di quello cio questo tipo di ragionamento et la glaneuse di Agnès Varda, un che diciamo a Eloise. A volte mi assurdo. Per me il cinema ha avuto film bellissimo in cui lei racconta domando se un certo tipo di docu- uno sviluppo e non sono d’accor- le storie in prima persona in for- mentario, a meno che non si parli do sul fatto che il documentario ma di «caméra stylo» - la paro- di Herzog che fa film visionari – lo debba essere qualcosa di utile; la assumerebbe un significato di- chiedo a me stesso in quanto re- non mi oppongo ma non va bene verso. Bisogna stare molto atten- gista e lo chiedo ai miei allievi in che debba essere uno strumento ti a questo squilibrio che spesso quanto insegnante di regia – non di comunicazione democratica. Lo vedo nella voce fuori campo tra debba tornare alla parte buona può essere in parte, ma credo che approccio soggettivo e una sorta della tradizione anglosassone. Mi il documentario possa seguire la di oggettività, di sguardo clinico domando quanto sia giusto unire stessa evoluzione che il cinema

Atlante sonoro di Paola Colliard Ad ogni immagine associo un suono o un silenzio: ho provato a individuarlo e a comprenderne la funzione; ogni suono evoca in me un’immagine: ho cercato di fissarla e di assegnarle un ritmo. Questo richiamarsi o discostarsi tra immagini e suoni va poi a confluire in un’unità di senso.

Atlante sonoro 9

ha avuto fino a noi. Non c’è solo il grande capacità di leggere la real- sone, solo con la mia percezione. modo democratico e oggettivo, ma tà e di farla rivelare. Credo che sia Cosa mettere in evidenza, cosa c’è anche il modo che io definisco una questione di coscienza e leal- scegliere ma allo stesso tempo «di fiducia»; se anche non esiste tà nei confronti del motivo per cui lasciare che fossero le immagini a quel pubblico, devi avere fiducia uno fa un film. Da una parte puoi sviluppare il filo logico e narrati- che esista e che sia intelligente. voler fare un bel video tecnica- vo strutturando semplicemente il mente, dall’altra puoi voler sco- racconto sulla base delle vicissi- CC: È questo un punto importante prire delle cose e farle emergere, tudini dei personaggi individuati. che si sente anche in altri lavori, mettendoti in discussione; credo come ad esempio nel film di Chri- fortemente nel documentario LB: Per far sì che il discorso cir- stiane Dunoyer, che ha una fiducia come azione di rivelazione anche coli tra i vari esempi visti vorrei, fortissima nell’economia delle personale. passando all’estremo opposto, parole e ha uno sguardocomple- fare un’osservazione a Olivier tamente congruo e interno alla CD: Svolgendo le mie ricerche di Bertholin. Mi permetto di dire che realtà che descrive. La questione antropologia mi sono trovata ad il tuo lavoro è forse il più imper- che però pone Bruno ne sotten- affrontare il tema della vita nelle fetto, ma ci sono all’interno degli de un’altra più complessa che ri- realtà di montagna, nel quadro elementi che mi hanno molto in- guarda la costruzione narrativa di studi più generali del rappor- teressato. Ti spiego perché. La po- del film. In questi frammenti di to tra uomo e animale. Seguendo litica cinematografica valdostana film c’è una sintassi che mi sem- questo sentiero mi sono trovata è qualcosa che mi tocca da molto bra ricorrente, quella paratattica. a dover lavorare non solo sul rap- vicino ma tu dovresti eliminare Abbiamo delle porto uomo/ani- alcuni elementi come ad esempio scene giustap- male ma sul rap- il discorso del jump cut, perché poste; ciascuna Alberto Fasulo porto dell’uomo la bellezza del documentario è scena è perfet- Nato a San Vito al Tagliamento nel nell’ambito delle proprio l’esitazione, la lungaggi- ta in sé, ma poi 1976, inizia il suo percorso di for- attività ludiche ne, l’imperfezione… Tutto questo come elabora- mazione con lo studio dell’opera basate sugli ani- deve essere mantenuto, altri- re un racconto di grandi maestri del cinema docu- mali, rapportate menti si cade nella logica della attraverso le mentario internazionale. Ha svolto in altri esempi comunicazione televisiva. L’altra diverse scene? il ruolo di direttore della fotografia nel mondo e ad cosa che mi interessava precisare di numerosi progetti cinematogra- Nel tuo caso fici, distinguendosi per la sensibi- altre ricerche ef- è che mi è piaciuto molto il modo Joseph, penso lità e il gusto delle immagini. Oltre fettuate da colle- di inquadrare i tre personaggi che che a volte do- che di immagini, si è occupato del ghi. Sin dall’inizio hai scelto. Mi ricorda il primo film vresti forzare suono, per poi cimentarsi nell’at- ho avuto questa di Nicolas Philibert La Voix de son la tua paratassi tività di regista con L’Amoralista e idea: lavorando maître, in cui fa parlare i capitani per introdurre Rumore Bianco. in modo teorico d’industria dicendo: “Domani ve- delle vertica- da etnologo sulla niamo a intervistarvi sul vostro lità sulle quali questione, ho vo- rapporto con la classe operaia”. la narrazione luto accompagna- Loro hanno accettato. Uno ha de- si poggia. In Christiane invece re il progetto di ricerca con ciso di farsi filmare nel proprio questa forma di costruzione oriz- un film. Forse è per questo che studio, un altro si è costruito una zontale è talmente evidente che l’economia di parole non è stata situazione particolare; ognuno è diventa un elemento originale di un problema, anzi avevo sete di stato libero di parlare. Ma questo linguaggio. immagini pure da associare a qual- parlare davanti alla mpd fissa, di cosa che era stato affrontato da un fronte ad un primo piano, è straor- AF: Se penso al film di Christiane, punto di vista razionale, scientifi- dinariamente rivelatore. Allo stes- vedo che lei ha una visione chia- co. Per questo mi è venuta l’idea so modo se tu avessi lavorato di ra, crea un’attesa, ha fiducia e una di percorrere la vita di queste per- più su un dispositivo che insisteva

Un messaggio d’amore di Alexander Casu Per riuscire a riconquistare suo figlio, portato via dalla madre in tenera età nel corso del suo ultimo divorzio, Guglielmo decide di lasciare una testimonianza di se stesso sperando che, un giorno, Anuar possa conoscere e forse amare suo padre.

Un messaggio d'amore 10

sul discorso del primo piano, for- voi perché si tratta di avere degli PC: L’ho montato per quest’occa- se saresti riuscito ad andare oltre scambi con persone di generazio- sione. Ho approfittato di questo la tematica inerente al soggetto. ni differenti e credo che sia un’oc- incontro per assemblare delle im- casione enorme per i giovani e an- magini che ho raccolto e girato nel GP: Secondo me ti sei preoccupato che i meno giovani. È uno scambio corso del tempo. Non si trattava di un po’ troppo di informare, renden- estremamente generoso. C’è vo- immagini sparse, quando le avevo do didascalici anche i tuoi testi- glia di imparare a dare e ricevere filmate avevo un’idea in mente moni. Ad esempio quando mostri consigli. Sono triste per il mio pae- ascrivibile ad un certo contesto e il meccanismo del proiettore in cui se, la Siria, perché è inimmaginabi- ad un determinato soggetto. È sta- il proiezionista spiega cosa fa. An- le che venga organizzato un dibat- ta l’occasione per concludere un che in questo caso c’è la televisio- tito simile. È davvero un peccato. lavoro che era sperimentale anche ne che incombe, con l’obiettivo di Riguardo a ciò che ho visto, sono per me. Magari lasciando aperta la spiegare tutto ed accompagnare lo molto colpita da un elemento: ho possibilità di tornarci sopra in altri spettatore per mano, la cosa prin- avuto l’occasione di accompagna- termini utilizzando le stessa mo- cipale peròè che il tuo punto di vi- re degli atelier di scrittura o di pro- dalità, ma per fare qualcos’altro. Il sta non si riesce a palesare. Pote- duzione e sempre di più i giovani, progetto nasce dalla necessità di va essere presente o poteva esse- soprattutto nei paesi arabi, hanno dire qualcosa e forse sono riuscita re esterno, avresti potuto in ma- progetti intimi e soggetti d’urgen- ad evitare l’estetizzante proprio niera semplice rafforzare il contra- za. Oggi, più dell’80% dei proget- per questo. Non so se ci sono riu- sto tra i due modelli, lavorando sui ti ha trattato il tema della natura, scita. È un film aperto e vorrei che due testimoni, facendo emergere dell’ambiente esterno. È piutto- tutti vedessero le proprie immagi- le contraddizioni, a livello antro- sto una sorta di contemplazione, ni, non necessariamente le mie. pologico, come uno sguardo sem- ci si muove e pre distante, cui BO: Di solito non fai film così? ci si compor- Hala Alabdalla Yakoub ci si avvicina len- ta. Ma perché Nata a Hama, in Siria, nel 1956, è tamente nel pro- PC: No, anche se lavorare sul suo- ciò si realizzi – regista e produttrice di cinema. getto. Sono mol- no e l’immagine è una cosa che e in questo ha Compie studi di scienze sociali a to stupita, non ho mi piace. ragione Lucia- Damasco e a Parigi; dal 1985 si analisi da fare ma no – bisogna dedica al cinema e inizia a viag- c’è una differenza BO: Complimenti, non so cosa vo- far respirare la giare tra Siria, Libano e Francia, enorme e non so lessi dire, quindi non so aiutarti. realtà. È neces- per co-produrre, co-sceneggiare da dove venga. Mi è sembrato un bel film sul rap- sario fermar- e co-dirigere lungometraggi e porto tra un intimo troppo intimo si. Le contrad- documentari. Nel 2006 partecipa LB: Volevo parlare e un familiare non abbastanza dizioni si col- alla 63° Mostra di Venezia con il anche del film di intimo. Io ci ho letto il familiare sorprendente Ana alati tahmol gono sapendo azouhour ila qabriha, co-diretto Paola Colliard, che inteso come ambiente domestico aspettare. con Ammar Al Beik. è diverso ancora in una sorta di strana opposizione rispetto agli altri. al mondo come energie lontane, CC: Credo che Personalmente quindi in un certo senso negative. sia interessan- mi interessa mol- Riprendendo quello che diceva te avere anche un tuo punto di vi- to, vorrei capire qualcosa di Hala, penso che tra tutti i film ce sta sui film, Hala. più. È un lavoro sperimentale ne era uno, il tuo appunto, molto in netto contrasto con quello pre- urgente.. HA: Le mie sono solo piccole im- sentato lo scorso anno. Mi incu- pressioni. Innanzitutto vorrei pre- riosisce sapere il motivo intimo A cura di Carlo Chatrian cisare di essere molto contenta di che ti ha spinto a lavorare in que- Trascrizione di Alice Moroni aver visto questi documentari con sta direzione.

La Bataille de Reines di Christiane Dunoyer Le storie di quattro allevatori di mucche si intrecciano per illustrare le relazioni tra gli uomini e le mucche in Valle d’Aosta. Di stagione in stagione, i problemi nascono e si risolvono, grazie soprattutto alla passione che muove gli allevatori ad amare profondamente il loro duro mestiere quotidiano e i combattimenti dei giorni di festa.

La Bataille de Reines Les vertus de l’autarcie Entretien avec JOSEPH PÉAQUIN - Aoste 2009

n pourrait emprunter le ti- sein d’un alpage (D’ici et d’ailleurs) ; j’ai eu une diffusion télé, j’ai eu aussi tre du premier long-métrage la vie solitaire d’un garde-parc (In un une certaine reconnaissance de mon O de Nanni Moretti, Je suis un altro mondo). Au fond de chacun de travail au niveau institutionnel et je autarcique, pour décrire le cinéaste ces films, il y a un désir d’intimité, un me suis dit que je pouvais continuer Joseph Péaquin. Tout comme pour le sentiment qui ne ressurgit que dans à faire du documentaire, en sachant comédien et réalisateur de Journal l’isolement, voire l’autarcie. C’est que c’était ce qui m’intéressait vu Intime, l’autarcie représente le refus pour cela peut-être que Joseph tel que je n’étais pas vraiment attiré de rentrer dans un système de travail un « one-man-band » conçoit, filme, par la publicité ou par la fiction. organisé par le haut, où l’artiste finit réalise, produit ses films tout seul : J’essayais de travailler avec l’image par être un engrenage d’une grande il y a une étrange et pourtant bien mais dans une dimension artisanale machinerie. Tout en Péaquin est sous évidente symétrie entre ses sujets et humaine et le documentaire me le signe d’une indépendance recher- et sa façon de travailler. Ce qui n’est convenait parfaitement. C’était une chée comme seule condition de tra- pas un cas isolé puisque dans le do- expérience humaine que je pouvais vail. Bien évidemment les analogies cumentaire nombreux sont les cas de renouveler à chaque fois, puisque s’arrêtent là, puisque le cinéaste réalisateurs qui travaillent en toute chaque documentaire est une nou- valdôtain a choisi le mode documen- indépendance. velle expérience humaine. En 1997, taire et un territoire bien plus péri- mon premier film était encore réalisé phérique par rapport à la Rome de J’ai commencé ma carrière de réa- avec une structure lourde, tout com- Moretti. Le Val d’Aoste pour Péaquin lisateur de documentaire en 1997 me le deuxième ; mais le troisième n’est pas simplement l’endroit qu’il a avec « Paris, Val d’Aoste». C’était un D’ici et d’ailleurs, qui a été le premier choisi de filmer (et à l’occasion de vi- projet qui me touchait directement film distribué dans les festivals et vre) ; c’est aussi une source d’inspira- étant donné qu’il s’agissait d’un do- qui a aussi reçu des prix, était un film tion pour ses sujets et pour ses thè- cumentaire sur l’émigration valdô- tourné en numérique DVCAM, ce qui mes. Ses films arrivent à nous don- taine à Paris. C’était presque un film me permettait de tourner le film en ner une image vraie de ce que cela autobiographique sur ma mémoire, solitaire et avec une équipe réduite représente vivre en montagne. Loin sur mes racines et ma famille. J’y te- en post-production. A partir du mo- des clichés romantiques propres à la nais énormément et en le réalisant ment où la technique m’autorisait pub ou le côté sportif voire mondain j’ai établi des rapports humains assez à travailler comme je le souhaitais, du grand tourisme mais sans nier les forts tout en n’ayant pas encore une dans une dimension artisanale, et contradictions de la modernité qui grande maîtrise technique. C’était où la technique n’était pas un poids aujourd’hui sont présentes en mon- mon premier documentaire, même mais au contraire une aide pour en- tagne comme en ville. si j’avais déjà une expérience dans la trer discrètement dans la réalité des Pour ce faire, Joseph choisit des per- réalisation de films institutionnelles, personnages filmés, j’ai pu alors en- sonnages singuliers: un couple qui dans la publicité et dans le court-mé- treprendre un véritable travail de do- nous amène à redécouvrir l’esprit de trage de fiction. Le film a bien mar- cumentariste. A partir de là, il y a eu la bonne cuisine d’antan et les rela- ché, je l’ai vendu à la « Vidéothèque Fleur bleue, qui a été un documentai- tions entre générations (Il était une de Paris », aujourd’hui « Forum des re important dans ma carrière de réa- fois… les délices du petit monde) ; le Images », et à une chaîne comme lisateur, puisqu’il il a été sélectionné portrait croisé d’un immigré maro- « Planète » qui l’a diffusé en Italie dans des festivals prestigieux comme cain et d’un « enfant du pays » au et en France. A partir du moment où Marseille, Trieste, Milan Filmmaker

Joseph Péaquin Réalisateur, cameraman et producteur, Joseph Péaquin est né à Avignon le 31 juillet 1971. Après quelques expériences professionnelles à Paris et à Turin, il s’établit au Val d’Aoste où il se consacre exclusivement à la réalisation de films documentaires, sélectionnés dans des festivals internationals (Festival Interna- tional du Film de Locarno, FID Marseille, Trieste Film Festival, Filmmaker Doc Festival Milano, Bilan du Film Ethnographique de Paris, Trento Film Festival, Festival du Film de Montagne d’Autrans…) et diffusés sur RAISAT, RAI3 VdA, Té- lévision Suisse Romande, Télévision Suisse Italienne, France 3, Planète France, Planete Italia etc. En 2006, le documentaire Il était une fois… les délices du petit monde est sélectionné au 59° Festival International de Locarno et en 2007 il est primé au 55° Festival de la Montagne de Trento en Italie. 12

Doc,… C’était mon premier documen- bles de chaînes qui proposent du do- ou bien encore la région, des fonda- taire non formaté, non télévisé, mais cumentaire formaté, le film est perçu tions, des institutions,… avec une véritable écriture d’auteur. avant tout comme un bruit de fond, Tes films ont un lien très fort avec le Et puis, il y a eu Il était une fois…les un accompagnement : on allume la territoire ; on dirait que tu as une exi- délices du petit monde qui a marqué télé et après on fait autre chose. Je gence à filmer ces lieux et que tu le fais un tournant décisif dans ma carrière préfère avoir un public plus réduit avec ténacité. Qu’est ce qui te pousse puisqu’il a été présenté au Festival mais des personnes actives, j’ose- à le faire ? Tu ne ressens jamais l’envie International du Film de Locarno en rais dire citoyens qui allument leur de sortir du territoire ? 2006. Il a ensuite tourné dans une 20 télé pour faire l’effort de voir un film Tout est lié au territoire parce que je de festivals internationaux. Il a été et qui ne se consacreront pas à une pense que pour vivre des expériences distribué en home-vidéo en Belgique autre activité. C’est un choix. humaines fortes l’on n’est pas forcé- et Hollande et diffusé par plusieurs ment obligé d’aller à l’autre bout de chaînes. Dernièrement, je l’ai encore Tu peux parler de ton expérience de la terre, ce qui ne veut pas dire que présenté à l’International Documen- réalisateur-producteur? Etre réalisa- je ne m’intéresse pas au monde, bien tary Film Week à Hanoi au Vietnam. teur-producteur est un choix ou une au contraire. Mais à partir du moment Voir un de ses films projeté avec des exigence? où je trouve des financements au ni- sous-titres vietnamiens, qui plus est Ce n’est pas vraiment un choix mais veau régional je suis contraint de tra- 3 ans après sa sortie, fait grand plaisir. une exigence parce que dans la réa- vailler sur le territoire. Maintenant, C’est un peu comme s’il continuait à lité italienne le documentaire n’a pas si l’on me propose d’aller raconter vivre. J’ai toujours essayé d’alterner de marché car les chaînes de télé ne une histoire à l’autre bout du monde, des productions pour la télé et des financent pas le documentaire et ne j’irai volontiers, mais j’aurais besoin productions plus cinématographi- le diffusent pas. Pour pouvoir en vi- d’au moins 2 ou 3 mois de repérage- ques, plus intimistes, en ne perdant vre économiquement, il faut abattre tournage. J’ai besoin de temps pour toutefois pas de vue l’objectif de les coûts. En m’autoproduisant j’arri- me fondre dans le territoire, com- réaliser un documentaire avec une ve à vivre correctement de ce métier. prendre la culture de l’endroit, com- certaine éthique, une certaine hon- J’ai créé ma propre entreprise dans prendre les gens, les dynamiques et nêteté ; distinct du formatage télé cet esprit. C’est une petite structure seulement ensuite je peux commen- de certaines chaînes américaines où de type individuel, mais toutefois cer à filmer avec ma caméra. Je ne l’on doit répéter un message toutes avec des coûts importants. Il faut veux pas, sous prétexte que je pars les sept minutes, où il faut avoir un prendre en compte et gérer au mieux tourner à l’étranger, faire un travail commentaire didactique, de la musi- cette dimension économique si l’on bâcler, sans profondeur, juste pour que au mètre… veut continuer à travailler dans une le « fun » de tourner dans un pays dimension humaine et avec un esprit « lointain ». Plutôt, si je n’ai pas de Le cinéma documentaire est en quel- relativement libre. Il ne faut pas que véritables moyens, je préfère rester que sorte le résultat d’une attente et le travail de réalisation documentaire chez moi et tourner intelligemment je crois que tes films reflètent cette devienne aliénant mais au contraire un film sur mon voisin de palier. idée, surtout du point de vue de la cela doit rester avant tout un vérita- narration ; tu demandes au specta- ble plaisir et une source d’enrichis- Et l’écriture ? teur d’attendre avant que quelque sement personnelle. En fait, tout est Mon écriture n’est pas ordonnée chose se passe. Et c’est évidement question d’équilibre afin de pouvoir mais fonctionne par petites tou- contraire à la logique télévisée dont vivre de ce que l’on aime. ches, par petites notes que je trans- tu parlais avant. cris sur papier et qui vont me per- Même quand je travaille pour la télé, Tes films sont toujours des coproduc- mettre d’élaborer mon projet dans il y a toujours un regard et un échan- tions ? un continuel « work in progress ». ge avec les personnes que je filme, J’essaie de trouver différents parte- Quand je sais ce que je veux dire, entre filmeur et filmé ; ça ne doit naires financiers qui me permettront par où je veux commencer, où je pas devenir mécanique, sinon il n’y a de réaliser mes projets. Ce sont sou- veux aller et comment je veux fi- plus de plaisir, ni pour le réalisateur, vent des financements par le biais de nir, alors je peux commencer à ni pour le spectateur. Je me rends projet européens sur base interré- tourner. Ce travail d’écriture et de compte que pour certains responsa- gionale comme les fonds structurels, réflexion est fondamental pour la

In un altro mondo D’ici et d’ailleurs 13

In un altro mondo

réussite d’un film. ce, cela afin de ne pas devenir voyeur. par des chaînes du monde entier qui Tes films ont un souffle particulier. Je J’essaie dans mon travail de photo- proposaient toujours les mêmes ima- pense que cela est possible grâce au graphier des instantanés de vie, tels ges, la même thématique, la plupart temps que tu passes avec tes person- des polaroids, de gens normaux, de du temps des documentaires anima- nages. vies normales voire banales et faire liers. Pourquoi ne pas réaliser un film Oui, c’est très important pour moi. en sorte que la normalité des person- sur l’humain, où l’homme serait au Tout est question de temps. Le temps nes que je filme devienne au travers premier plan. J’ai tout d’abord pro- est fondamental, à mon avis, pour du prisme de mes images extraordi- posé mon idée à la Fondation Grand la réussite d’un film. Je dois avoir le naire. La vie des gens normaux, l’in- Paradis qui a pris le pari de me le fi- temps de réfléchir et d’élaborer mon visibilité du quotidien est à mes yeux nancer en collaboration avec le Parc projet. d’une extraordinaire beauté. En fait, National du Grand Paradis. Et puis, la mon objectif principal avec mes films RAI au niveau régional a préacheté Je pense que ta façon de regarder les documentaires et mon objectif de vie mon film, ce qui soit dit en passant choses est très forte. Ton regard est en tant que réalisateur est celui de est assez exceptionnel pour la réalité discret, silencieux et avec beaucoup construire dans le temps une mosaï- italienne. Après, une fois trouvé les fi- de respect. Dans ton travail, tu es à la que de vies humaines. nancements, je suis passé à l’écriture. recherche de quoi ? C’est comme ça que naissent mes pro- Dans mon travail, je suis à la recher- Revenons à ton dernier film, « In un altro jets, à partir d’idées qui peuvent être che d’expériences humaines. Chaque mondo », qui sera présenté à Locarno intéressantes et aussi en comprenant documentaire est pour moi une façon au mois d’août prochain : comment est où je peux trouver des financements de comprendre l’autre et par la même né ce projet? Quels ont été au départ les pour ces idées. Il y a des fois où je de me comprendre moi-même. C’est choix qui ont guidé ton travail ? dois mettre des idées de côté ou les aussi une façon de voyager, pas forcé- Mon dernier film est né tout simple- abandonner parce que je sais qu’il ment physiquement, puisque comme ment : en lisant la presse je constatais n’y a pas de financement. On ne peut je le disais auparavant les budgets que dans le Parc du Grand Paradis il y pas perdre de vue les deux aspects, ne me permettent que rarement de avait une activité assez intéressante on ne peut pas commencer à tourner m’éloigner de là où j’habite, mais de la part des gardes du Parc, un tra- en disant : peut-être que je trouverai voyager dans l’univers mental des vail dur et souvent solitaire. Je me suis l’argent après ou peut-être qu’avec les personnes filmées. C’est le plus beau dit : pourquoi ne pas proposer un film ventes… sinon j’aurais déjà fermé ma voyage que l’on puisse faire, à mon sur le travail de ces gardes? J’avais société depuis longtemps. avis, découvrir l’autre dans sa dimen- aussi à l’esprit que chaque année sion intime. Bien entendu, j’essaie étaient réalisés des documentaires Par Alice Moroni toujours de garder une juste distan- sur le Parc National du Grand Paradis Transcription par Nora Demarchi

In un altro mondo Il était une fois…les délices du petit monde il giro del mondo 14 in 60 film saison culturelle CHE - GUERRIGLIA Guerrilla

Regia: Steven Soderbergh. Sceneggiatu- ra: Steven Soderbergh, Peter Buchman. Fotografia: Steven Soderbergh. Mon- taggio: Pablo Zumárraga. Scenografia: Juan Pedro De Gaspar. Musica: Alberto Iglesias. Costumi: Sabine Daigeler. Inter- preti: Benicio Del Toro, Demian Bichir, Yul Vazquez, Rodrigo Santoro, Catalina Sandino Moreno, Joaquim de Almeida, Franka Potente, Marc-André Grondin, Óscar Jaenada, Kahlil Mendez, Matt Da- mon, Rubén Ochandiano, Julia Ormond, Gaston Pauls. Produzione: Section Eight, Wild Bunch, Telecinco, Morena Films, Laura Bickford Productions, Estudios Picasso. Distribuzione: Bim distribuzio- ne. Italia. Origine: Spagna, Francia, Usa, 2008. Durata: 132 minuti.

Sia Steven Soderbergh sia Jean- dominato apparentemente dal pensie- cere”. Ed è proprio questa «visione François Richet hanno adottato nei ro – ossia la pratica rivoluzionaria vis- distante» la caratteristica politica ed confronti del proprio oggetto di in- suta come pedagogia umana – trionfa estetica dominante del film di Soder- dagine – nel caso del primo il guerri- l’azione – intesa come un prepararsi bergh che a tratti ricorda le strategie gliero Ernesto «Che» Guevara, nel se- ad agire. L’azione dunque come esito di distanziazione narrativa attuate condo il bandito Jacques Mesrine – un del pensiero e il pensiero come frutto dal Rossellini didattico. Non, quindi, approccio duplice, quasi a segnalare dell’azione. Soderbergh mette da par- ricostruzione documentaria altrettan- l’impossibilità di contenere in un uni- te l’approccio visivamente franto della to «falsa» della finzione dichiarata, co film le contraddizioni di esistenze prima parte per recuperare uno sguar- quanto rievocazione poetica della complesse (ma quali, poi, le esistenze do contemplativo e antidrammatico. Il verità del personaggio Che Guevara «non» complesse?). In questo modo è Che non è mai colto da solo, ma sempre in forme documentarie. Non cinema come se entrambi i registi provassero in relazione alla comunità guerrigliera verità, ma cinema televisivo in senso a segnalare che ogni vita è l’immagine che si raccoglie intorno a lui. Pertanto etimologico, che permette di vedere di un’altra possibilità o, se si preferi- lo sguardo colloca il gruppo in un luo- da grandi distanze, espediente che sce, di un’altra versione della stessa go, la boscaglia boliviana (in realtà la ci riconduce alla problematica della storia. Se Richet divide nettamente Spagna), che diventa essa stessa per- cosiddetta «noia» che è stata rimpro- il suo film in due opere che possono sonaggio della narrazione. La centra- verata al film. Il ritmo placido del film essere definite come ricostruzione lità verde del luogo, inevitabilmente, è ironicamente anche una lezione sui (L’istinto di morte) e leggenda (L’ora richiama alla memoria raffronti sia «tempi morti» della storia, una storia della fuga), Soderbergh procede come con l’opera degli Straub, per esempio che si compie lontana dalle urla e dal in uno schema dialettico. L’argentino, Schwarze Sünde (Peccato nero) o Ope- furore dei combattimenti. Soderbergh la prima parte del dittico, che culmina rai, contadini, sia con quella di Roberto estremizza il suo procedimento lavo- con l’esito vittorioso della rivoluzione Rossellini. Si pensa in questa direzione rativo, realizzando un film che siste- cubana è il rovescio di Guerriglia, che a Il messia, e alle modalità quotidiane maticamente delude le aspettative di narra il fallimento di innescare il pro- con le quali Rossellini pone in rela- quanti accorrono attirati dal mito del cesso rivoluzionario in Bolivia. Due zione il pensiero e le opere di Gesù Che e di quanti si aspettano un film storie, due possibilità, due esiti. Non in un teatro naturale dominato dagli tradizionalmente «d’autore». Guer- autoescludenti, ma l’una come possi- uomini e dal loro lavoro. Soderbergh riglia è tenuto come in sospensione bilità dell’altro. Se nel primo film il re- depura la sua messinscena di ogni ar- tra due enormi parentesi. Non accade gista ha consapevolmente rivendicato tificio, concentrandosi sullo scorrere nulla nel film, che non sia l’attesa che un approccio «hollywoodiano», nel immobile del tempo e sulla reitera- si conclude con la morte (anche que- secondo, realizzato però cronologica- zione degli atti necessari a tenere de- sta caratteristica intimamente rossel- mente prima, il racconto è decisamen- sta la concentrazione dei guerriglieri. liniana). Il «mito» Che Guevara resta te più anticonvenzionale, nonostante Una strategia che provocatoriamente come circondato da un’enorme bolla il titolo possa far presagire combatti- chiama in campo la «noia». Roland di nulla. Un nulla profondamente menti nella macchia e agguati assor- Barthes, infatti, sosteneva in Il piacere «educativo», nel quale ognuno può titi. Azione e pensiero sono in questo del testo che “la noia non è semplice” iniziare a lavorare sulle informazioni modo rovesciati.Nel primo film, domi- perché “la noia non può valersi di nes- che fornisce Soderbergh e probabil- nato narrativamente dall’azione, trion- suna spontaneità: non c’è noia since- mente a dirigere il proprio film su Che fa in realtà il pensiero. Ossia l’inverarsi ra” e concludeva affermando che “la Guevara. di una teoria rivoluzionaria che rove- noia non è lontana dal godimento: è scia lo stato delle cose. Nel secondo, il godimento visto dalle rive del pia- Giona A. Nazzaro il giro del mondo saison culturelle in 60 film 15 CHE – L’ARGENTINO The Argentine

Regia: Steven Soderbergh. Sceneggiatu- ra: Steven Soderbergh, Peter Buchman, Ben Van Der Veen. Fotografia: Steven So- derbergh. Montaggio: Pablo Zumárraga. Scenografia:Laia Colet, Marìa Clara Notari. Musica: Alberto Iglesias. Costumi: Sabi- ne Daigeler. Interpreti: Benicio Del Toro, Demian Bichir, Santiago Cabrera, Elvira Mínguez, Jorge Perugorría, Edgar Ramirez, Victor Rasuk, Armando Riesco, Catalina Sandino Moreno, Rodrigo Santoro, Unax Ugalde, Yul Vázquez, Carlos Bardem, Jo- aquim de Almeida, Eduard Fernández, Ramón Fernández, Óscar Jaenada, Kahlil Mendez, Jordi Mollà, Rubén Ochandiano. Produzione: Section Eight, Wild Bunch, Telecinco, Morena Films, Laura Bickford Productions, Estudios Picasso. Distribu- zione: Bim distribuzione. Italia. Origine: Usa, 2008. Durata: 131 minuti.

Mentre scorrono le immagini del so che vuole ridare corpo alla Storia, menti della vita pubblica del perso- film di Soderbergh, l’incontro con il farla rivivere come cinema, qui e ora. naggio non fa altro che rimandare ad corpo-figura di Del Toro/Guevara, con Ma la storia del «Che» è anche storia una sorta di presagio di un’impresa gli eventi che hanno dato inizio alla di un’icona contemporanea, variabi- epica destinata ad una fine tragica. Il rivoluzione cubana, con i corpi filmici le, sfuggente, come le elaborazioni «Che» di Del Toro, afflitto dall’asma, dei personaggi-doppi dei reali prota- grafiche della sua famosa foto. Non ma capace di guidare i suoi uomini in gonisti di quegli eventi (Camilo Cien- basta dunque riviverne il racconto, imprese pericolose e quasi dispera- fuegos, lo stesso Fidel, Raul Castro), ma occorre fare i conti con il corpo te, attento alle parole di Fidel e vi- il pensiero corre rapidamente verso del «Che», non per riproporlo in una cino spiritualmente alla spontaneità la memoria di un altro sguardo, capa- inutile agiografia, ma moltiplicando- rivoluzionaria di Camilo Cienfuegos, ce di fare di un evento storico acca- ne le immagini. è una figura che sembra portare già duto un luogo filmico dove l’evento Il racconto scorre per blocchi tem- scritto sul corpo l’esito della sua vita sembra verificarsi per la prima volta, porali, con inserti scanditi dal colore rivoluzionaria, la morte. depositandosi immediatamente nel- (il passaggio dal Messico alle prime Lo sguardo dell’eroe non è carico di la memoria. Lo sguardo in questione fasi della Rivoluzione a Cuba) e dal retorica ma di umana fragilità. Eppu- è quello di Roberto Rossellini, che bianco e nero (il discorso all’ONU a re ogni gesto, ogni atto deve, dovrà, riemerge prepotente di fronte alle New York nel 1964). I due piani si doveva essere compiuto. Non c’è immagini di Che – L’argentino, prima alternano, si intersecano, comuni- spazio per ripensamenti. Quello del parte del lungo film dedicato alla fi- cano nella loro diversità stilistica «Che» è un corpo destinato al sacri- gura del rivoluzionario di Rosario. (inquadrature ravvicinate e preva- ficio (o al tradimento, in ogni caso Quello di Soderbergh è dunque uno lenza della macchina a mano nelle alla morte), ma questo destino non sguardo rosselliniano? In parte sì, se- sequenze newyorchesi, inquadra- ne vanifica gli sforzi, li rende anzi, condo una dinamica però particolare. ture più ampie e spesso fisse nelle umanamente straordinari. Il percorso Ciò che lega i due sguardi è anzitutto sequenze cubane) e nello spazio filmico di Soderbergh evita il raccon- la comune volontà di fare del raccon- storico che apre il loro rapporto. La to del mito attraverso il mito. L’icona to storico una narrazione al tempo parte newyorchese del film contra- «Che» non è rovesciata o decostruita presente, fatta di frammenti e di ge- sta con lo sguardo che accompagna in un gesto revisionista, bensì esplo- sti, di momenti scelti e di uno sguar- il «Che» durante la rivoluzione. In rata come emblema di una vita vis- do che sembra, ogni volta, scoprire gioco non c’è la dimensione di un suta, di un’esistenza al centro di un l’evento nel momento stesso in cui soggetto alle prese con la Storia, ma evento fondamentale della contem- si realizza. Che è un film rossellinia- la visione dell’uomo già mediatiz- poraneità. Soderbergh situa il suo no nella misura in cui i singoli eventi zato che, ciò nonostante, sfugge al film al centro del rapporto tra Storia che compongono un flusso storico controllo, alla possibilità di essere e Mito, senza tentare di abolire tale – e che sono ricondotti, condensati inquadrato una volta per tutte (dai rapporto (perché è su questa tensio- dalla presenza attiva di un singolo discorsi dei diplomatici all’ONU, dal- ne che la vita postuma del «Che» si corpo storico (Ernesto «Che» Gue- le interviste dei giornalisti, dalle pa- fonda), ma affrontandolo di petto, vara come Luigi XIV, Garibaldi, Carte- role degli uomini che si pongono al restituendo al cinema la sua doppia sio...) – sono raccontati dando eguale suo servizio). Le inquadrature si fan- valenza di racconto e di documen- importanza al grande e al piccolo, al no strette, in movimento, troppo rav- to, sguardo carico di affabulazione e singolo gesto come alla decisione vicinate per incorniciare il volto e il esplorazione del reale. capitale. La narrazione in Che è dun- corpo del «Che» in una pittura sacra. que una narrazione storica, nel sen- Il continuo passaggio fra i due mo- Daniele Dottorini il giro del mondo 16 in 60 film saison culturelle CONTROL

Regia: Anton Corbijn. Sceneggiatura: Matt Greenhalgh. Soggetto: Deborah Curtis. Fotografia: Martin Ruhe. Musica: Joy Divi- sion, New Order. Montaggio: Andrew Hul- me. Scenografia: Philip Elton. Costumi: Ju- lian Day. Interpreti: Sam Riley, Samantha Morton, Craig Parkinson, Alexandra Maria Lara, Joe Anderson, Nicola Harrison, Toby Kebbell, Matthew McNulty, Ben Naylor, Ja- mes Anthony Pearson, Tim Plester, Robert Shelly, Harry Treadaway. Produzione: Be- cker Films International, Claraflora, North- See. Distribuzione: Metacinema. Origine: Gran Bretagna, USA, Australia, Giappone, 2007. Durata: 122 minuti.

L’arte fotografica di Anton Corbijn classico, che non invade mai gli spazi le riprese integrali delle performan- e quella dei videoclip realizzati per dei personaggi. Colloca Ian Curtis e ce). Corbijn osserva e accompagna i numerosi e famosi cantanti e grup- coloro che transitano nella sua esi- suoi personaggi, registra l’intensità, pi musicali incontrano il cinema. In stenza, che diventa sempre più fuori la violenza, la dolcezza dei corpi nel modo naturale, mai forzato, senza far controllo (“Il passato fa parte del mio costante incontrarsi e separarsi, con sentire il loro segno e sovraesporsi futuro, il presente è fuori controllo”, la complicità di un gruppo d’inter- alla narrazione e alle inquadrature afferma all’inizio del film in un’in- preti eccellenti: da Sam Riley (un Ian che si succedono con rigore e sen- quadratura che è già senza tempo), Curtis dallo sguardo dolce e diaboli- sibilità in Control. Nel sorprendente sempre in relazione con gli ambienti co, dal corpo immobile e in trance) lungometraggio d’esordio le prece- nei quali si trovano (gli appartamen- a Samantha Morton (la moglie Deb- denti esperienze dell’artista esisto- ti domestici, i locali dei concerti, le bie) e Alexandra Maria Lara (l’aman- no indelebili, ma sono intimamente strade di Macclesfield, dove tutto co- te Annik). Così, anche l’epilogo ben nascoste nella tessitura delle imma- mincia, nel 1973). Ogni inquadratura noto è nel segno della distanza e gini, in un film che non casualmente di Control afferma la necessità di una dell’emozione che nasce dalla ten- è immerso, istante dopo istante, nel luminosa e struggente composizione sione percepita, non vista. Il suicidio bianco e nero e nella musica come figurativa in cui si dibattono le esi- per impiccagione di Ian, il suo ritro- elemento inscindibile dalle altre stenze dei personaggi. vamento il mattino dopo da parte di pratiche quotidiane della vita. Il Dieci anni nella vita di Ian Curtis, Debbie e il funerale rimangono fuori bianco e il nero sono scelti per nar- dall’adolescenza solitaria all’amore campo, solo dettagli dell’abitazio- rare, senza mai giudicare, la breve per la ragazza che diventerà presto ne e gesti nelle ore che precedono esistenza di Ian Curtis, il leader della sua moglie e per la figlia che nasce- la morte, il totale dall’esterno della band musicale di Manchester dei Joy rà subito, dalle prime esibizioni con casa o il fumo che sale dalla chiesa Division, che si suicidò il 18 maggio la band (il cui nome Warsaw cambiò sono mostrati.Si sente fino all’ultima 1980 all’età di 23 anni. presto, e altrettanto provocatoria- inquadratura la vicinanza dell’artista Non è semplice realizzare film sulle mente, in Joy Division, con riferi- con il soggetto. E non è certo un caso vite «maledette» degli artisti, con- mento ai bordelli usati dai nazisti nei che il rapporto fra Anton Corbijn e i sumate senza stacchi fino alla morte. lager, le loro «divisioni della gioia», Joy Division sia iniziato molti anni Control è esempio perfetto di come provocazione politica e semantica prima. Come fotografo, Corbijn ha si possano raccontare, con esemplare per cambiare di segno certe parole) scattato la celebre foto in biancone- coerenza etica e estetica, la biografia all’incontro con la ragazza belga che ro del gruppo nel tunnel londinese, di un personaggio e la scena musi- sarà la sua amante. Dieci anni e due con Ian che si volta. E come regista di cale di quell’irripetibile momento donne dalle quali Ian non saprà se- videoclip ha firmatoAtmosphere , che culturale inglese tra anni Settanta e pararsi, protagoniste di alcune delle prende il titolo da una loro canzone Ottanta. Senza cadere nelle trappole scene più intense del film che, nella del periodo 1977-80. Il video è del dell’eccesso visionario, degli effetti messa in scena di questi rapporti, ri- 1988, i Joy Division erano già sciolti alla moda, della macchina da presa manda a certo cinema francese delle da tempo e Corbijn, in un bianconero agitata cercando di mimare quel caos inquietudini esistenziali. Control è granuloso, filma un gruppo di perso- personale e artistico (come ha fatto, un film su relazioni iniziate, inter- ne incappucciate che portano in giro, descrivendo lo stesso argomento, il rotte e riprese, e anche un film sulla per dune e spiagge, gigantografie di cineasta inglese Michael Winterbot- musica e sui Joy Division (le scene Ian e degli altri musicisti. tom in 24 Hour Party People). Corbijn, di concerti sono appena accennate, al contrario, ha diretto un film molto avendo Corbijn lasciato fuori campo Giuseppe Gariazzo il giro del mondo saison culturelle in 60 film 17 IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON The Curious Case of Benjamin Button

Regia: David Fincher. Soggetto: da un rac- conto di Francis Scott Fitzgerald. Sceneg- giatura: Eric Roth (con la collaborazione di Robin Swicord). Fotografia: Claudio Miranda. Montaggio: Kirk Baxter, Angus Wall. Scenografia: Donald Graham Burt. Costumi: Jacqueline West. Musica: Alex- andre Desplat. Interpreti: Brad Pitt, Cate Blanchett, Julia Ormond, Tilda Swinton, Faune A. Chambers, Elias Koteas, Donna DuPlantier, Jason Flemyng, Mahersha- lalhashbaz Ali, Phyllis Somerville, Elle Fanning, Joshua DesRoches, Christopher Maxwell. Produzione: Ceán Chaffin, Kath- leen Kennedy, Frank Marshall per The Kennedy/Marshall Company, Paramount Pictures, Sessions Payroll Management, Warner Bros. Pictures. Origine: Usa, 2008. Durata: 166 minuti.

Che il tempo sia fatto di materia di Amis, il protagonista vive al con- crociano in un solo punto della loro plasmabile, controllabile, manipola- trario, dalla fine al principio, mentre storia. Per essi c’è una sola possibi- bile, è uno dei grandi interrogativi, il resto del mondo prosegue in di- lità di vivere un amore totale, e nel- forse desideri, dell’umanità. Tem- rezione ostinata e conforme. I fatti la consapevolezza di questa perdita po come variabile, come direzione sono già avvenuti, ma la percezione Fincher trova la rappresentazione multipla, e non come costante, dire- che egli ha del (proprio) tempo è più sincera e toccante, non tanto zione univoca e unidirezionale. Da quella di un viaggio a ritroso, dalla del sentimento del tempo, quanto sempre la scienza prova a darne una morte alla nascita, come se la frec- del tempo di un sentimento, della rappresentazione completa, mate- cia uscisse da lui solo per curvarsi e durata di un amore. riale, cercando di spingersi al di là ripiegarsi su se stessa. Al di là degli impedimenti che ren- della luce, più rapida della sua velo- Così vive Benjamin Button: dalla dono melodrammatica la materia cità insuperabile, per scoprire cosa vecchiaia all’infanzia, con una dif- del cinema, l’amore si insinua nelle succede oltre il confine del natura- ferenza rispetto all’eroe di Amis che pieghe delle immagini come l’uni- le. In una posizione decisamente ne fa un eroe cinematografico puro. ca forza che sa plasmare, control- più privilegiata, invece, l’arte ha fin Benjamin Button non percepisce il lare, manipolare la resistenza del da subito plasmato il tempo come tempo, lo vive. In lui la freccia non è tempo. E Fincher usa il cinema, la uno dei tanti “impicci del reale” di un’immagine simbolica, un concetto memoria del cinema, come mezzo cui servirsi: come una creazione o letterario, ma una costante di realtà: per esprimere la forza di questo un manufatto. Il tempo al cinema è è una freccia duplice, dei minuti e amore. Come già in Zodiac lavora su una presenza duplice e imprescindi- dei secondi, che viaggia all’indietro un’estetica superficiale delle im- bile. C’è il tempo del racconto e c’è nell’orologio della stazione di New magini per restituire, in termini di il tempo della storia che si raccon- Orleans. È un’immagine materiale linguaggio e di emozione, il senti- ta: le due dimensioni non coincido- della sua condizione esistenziale, mento di un periodo storico, di una no quasi mai (ricordate Arca russa? tutto ciò che il cinema nella sua na- memoria cinematografica ovattata Un solo piano sequenza di un’ora e tura rozza («cafona» come diceva e soffocante, alla Tennessee Wil- mezza…), ma in questa differenza, Fellini a Flaiano) può opporre all’in- liams, nella New Orleans degli anni nella distanza tra il mondo sospeso finita profondità della parola scritta. Trenta; sfocata e nebbiosa negli sce- della finzione e il passo ineluttabile Il film se ne serve per dare una for- nari notturni della Russia sovietica; della realtà, il cinema trova il prin- ma visiva all’inconcepibile, per ri- calda e realistica negli anni Cin- cipio del proprio piacere. Il piacere condurre il curioso caso di un uomo quanta e Sessanta, con riferimen- del controllo, il potere della mani- che nasce vecchio e muore bambino ti poco cinefili e autenticamente polazione. a quel principio di realtà a cui non emotivi a Da qui all’eternità e Il sel- «La freccia del tempo», così la chia- può rinunciare. vaggio. Per Fincher spetta al cinema ma Martin Amis in un romanzo di Fincher non cerca una giustificazio- restituire ai protagonisti quel tempo qualche anno fa: è la direzione che ne teorica al suo racconto (che na- che il destino ha sottratto loro, tro- ciascuno di noi ha segnata davanti turalmente in termini di coerenza vando nel respiro sommesso eppure a sé. Come il flusso cilindrico, mol- narrativa non sta in piedi), ma vuo- appassionato della storia d’amore le e fluttuante, che in Donnie Darko, le rappresentare materialmente il una dimensione in cui renderli au- uno dei pochi film che dava forma sentimento del tempo. L’amore tra tenticamente vivi, anche se solo per alle teorie quantistiche, collegava i Benjamin e Daisy nasce nello spazio un istante. personaggi alle infinite possibilità impossibile di due frecce che viag- degli universi paralleli. Nel racconto giano in direzioni opposte e si in- Roberto Manassero il giro del mondo 18 in 60 film saison culturelle FROST/NIXON IL DUELLO Frost/Nixon

Regia: Ron Howard. Sceneggiatura: Pe- ter Morgan. Fotografia: Salvatore Totino. Montaggio: Daniel P. Hanley, Mike Hill. Musica: Hans Zimmer. Scenografia: Micha- el Corenblith. Costumi: Daniel Orlandi. Interpreti: Kevin Bacon, Matthew Macfad- yen, Sam Rockwell, Michael Sheen, Frank Langella, Toby Jones, Oliver Platt, Patty McCormack, Gabriel Jarret, Andy Milder, Jim Meskimen, Kate Jennings Grant, Simo- ne Kessell, Eve Curtis, Rebecca Hall, Jason Ciok, Jenn Gotzon, Mark Simich, Janneke Arent, Alexandria Cree. Produzione: Imagi- ne Entertainment, Working Title Films. Di- stribuzione: Universal Pictures Italia. Ori- gine: Francia/Gran Bretagna, USA, 2008. Durata: 122 minuti.

Il cinema che si occupa del potere è, legge Frost/Nixon in continuità con za alla necessità di corrispondere, at- per forza di cose, quasi sempre un cine- The Queen di Stephen Frears, a sua vol- traverso un segno tangibile e ufficiale ma che si occupa dei potenti. E questo ta scritto da lui. Ad accomunare i due della sua presenza, all’affetto del po- rappresenta per gli sceneggiatori una film, una riflessione non banale sul po- polo per la figura di Lady Diana. La ri- tentazione, quasi irresistibile, a cor- tere, nella sua accezione non di onore flessione vede collidere le inclinazioni roderecarisma, prestigio e autorevo- ma di onere, ovvero nella sua compo- personali con la necessità e la respon- lezza della celebrità di turno median- nente di responsabilità etica, da parte sabilità di rappresentare il sentimento te l’esposizione di vizi privati, piccole dell’individuo che detiene l’autorità, comune della gente. In Frost/Nixon in- manie, debolezze che finiscono per ri- nei confronti della collettività. In en- vece questa fase si dà già per trascor- dimensionare la statura del personag- trambi i casi il protagonista - la regina sa, e segnata dalla scelta, da parte del gio. In questo modo il cinema politico da una parte, Nixon dall’altra - viene presidente, di anteporre i propri inte- si riduce ad essere svilito, portato sul circondato ora da cerimoniali di com- ressi personali alla fiducia che i citta- terreno dei pettegolezzi condominia- plessa e narcotizzante ritualità, ora da dini avevano deciso di concedergli. Da li, delle maldicenze di bassa lega, che atteggiamenti di compiaciuta e rigoro- qui i sensi di colpa che si fanno strada sortiscono l’effetto di dare agli spetta- sa deferenza. Questo genera una sorta lentamente, corrodendo l’orgoglio e tori l’illusione che i destini del mondo di bolla d’aria protettiva nei confronti la convinzione di essere stato, in pre- siano retti da persone in fondo simili dell’esterno, la quale però non riesce cedenza, all’altezza del ruolo di guida a loro. di fatto a eludere il cuore del proble- di una nazione. La progressione del- Ci sono certo eccezioni: penso soprat- ma. Tra le pieghe del rispetto e della le conversazioni con David Frost regi- tutto alla trilogia di Aleksander Soku- venerazione che si deve all’alta carica, stra puntualmente questa traiettoria, rov, il quale però non a caso colloca i comincia così a farsi strada una presa dove l’autocelebrazione dei risultati suoi personaggi in situazioni liminari, di coscienza del rapporto fra la propria in politica estera viene infine ad es- in terre di confine, zone franche dove condizione di personaggi pubblici, au- sere polverizzata dalla consapevo- il loro potere viene di fatto disinnesca- torevoli, e la conseguente necessità di lezza di avere deluso il popolo ame- to dalle circostanze spazio-temporali, indirizzare il proprio comportamento ricano. Deposte le armi della retorica così da poterli esaminare sotto una verso decisioni e atti che devono ne- e dell’aneddoto compiaciuto, il pre- prospettiva differente. Qualcosa del cessariamente avere una ricaduta sul sidente diventa un uomo qualsiasi. E genere avviene anche in Frost/Nixon: piano dell’etica. È, questo, un tema non nel segno di qualche bizzarra stra- l’uomo politico è stato messo fuori caro a Shakespeare, che Morgan rac- vaganza personale, piuttosto in ragio- gioco dal corso degli eventi, siede in coglie e, non senza coraggio e intelli- ne di un sentimento di inadeguatezza panchina dopo lo scandalo Watergate, genza, prova a sintonizzare sulla lun- rispetto al proprio passato, di rimor- ed è lì che – col pretesto narrativo di ghezza d’onda della contemporaneità. so per non avere saputo muoversi in un’intervista televisiva – lo va a ripe- Cosa significa davvero essere uomini sintonia con gli imperativi etici legati scare la sceneggiatura, mettendo pro- (o donne) di potere? Quale traiettoria alla sua posizione. Proprio alla fine il gressivamente a fuoco il ritratto di un umana delinea la responsabilità del film trova il suo centro focale; il punto individuo in bilico tra orgoglio e rim- singolo sulla comunità? dove il dramma si fa tragedia, dove il pianto, che comincia a soppesare gli La risposta sembra consistere essen- passato smette di essere oggetto di un esiti, materiali e morali, della propria zialmente nella solitudine. Una soli- programma televisivo per tramutarsi presidenza. tudine fertile, ovvero meditabonda, nello spettro destinato a schiacciare la Se insisto sul copione, è perché credo pensosa. Sotto questo profilo, i due vecchiaia di un uomo. che gran parte dei meriti del film va- film fotografano stadi successivi di dano ascritti allo sceneggiatore, l’in- tale riflessione: in The Queen la regina Leonardo Gandini glese Peter Morgan, soprattutto se si si trova a piegare la propria riservatez- il giro del mondo saison culturelle in 60 film 19 FROZEN RIVER

Regia: Courtney Hunt. Sceneggiatura: Courtney Hunt. Fotografia: Reed Morano. Montaggio: Kate Williams. Scenografia: Inbal Weinberg, Jasmine Ballou. Costumi: Abby O’ Sullivan. Musica: Peter Golub, Shahzad Ismaily. Effetti speciali: Leonar- do Quiles Studios. Interpreti: Melissa Leo, Misty Upham, Charlie McDermott, Mark Boone Junior, Michael O’Keefe, Jay Klaitz, Bernie Littlewolf, Dylan Carusona, Micha- el Sky, Gargi Scinde, Rajesh Bose, Azin Jahanbakhsh, Jack Philips, James Philips. Produzione: Charles S. Cohen, Molly Con- ners, Heather Rae, Alfonso Trinidad per Frozen River Production. Distribuzione: Archibald Enterprise Film. Origine: Usa, 2008. Durata: 97 minuti.

Frozen River - film révélé au « Cour- sol américain des immigrés depuis gelé que l’on traverse constam- mayeur Noir in Festival », où il a le Canada en leur faisant traverser ment d’un bout à l’autre durant remporté le prix pour la meilleure la fleuve St Laurent, gelée en hiver. tout le film. interprétation féminine et le grand Après une première rencontre vio- La frontière, traversée plusieurs prix du Festival - nous plonge dans lente durant laquelle Lila cher- fois pour acheminer les clandes- l’univers trouble du trafic de clan- che à escroquer ray - dans le film tins, n’est pas vue comme une li- destins entre les deux rives du la violence est souvent expression gne mais comme un désert sans Saint-Laurent, l’immense fleuve qui d‘un malaise plus profond - ces deux contours, ni horizon. sépare (et fait figure de frontière) « paumées », ces deux rejetées de la Un endroit totalement abstrait. les Etats-Unis du Canada. vie décident de s’associer en affaire. Sorte de huit clos, à la limite de la Le film nous propose un récit où Elles veulent tout simplement s’en claustrophobie. les femmes tiennent le rôle prin- sortir. Vivre. Survivre. Ce film témoigne de l’importance des cipal. La cinéaste Courtney Hunt, C’est là que réside la force de Fro- relations humaines et de l’entraide. sans recourir au mélodrame ni for- zen River, dans l’interprétation C’est, aussi, un film d’amour cer sur le pathétique, nous livre au remarquable de la souffrance hu- contemporain simple et d’une contraire avec une extrême délica- maine et sociale, et de l’amour qui grande force. Il faut alors oublier tesse, le portrait de deux femmes en s’en dégage. le sujet premier du film, celui sur souffrance; une américaine et une Melissa Leo, Misty Upham - deux l’immigration, qui n’apporte rien indienne. formidables actrices- ne jouent de nouveau par rapport aux nom- Deux âmes solitaires, deux êtres à pas, elles deviennent les person- breux films indépendants réalisés la dérive qui essaient de sortir de nages qu’elles incarnent à l’écran. ces dernières années, et se laisser la misère par le biais de ce sordide Si la première a une certaine expé- porter par cette intense relation trafic de clandestins. rience au cinéma - elle a joué dans d’humanité entre ces figures fémi- Le décor est planté et toute la force le remarquable film de Tommy Lee nines. du film réside dans cette structure Jones Three Burials - Misty Upham L’humanité et la vraie émotion font cadre : l’humain et le politique. en est à sa première apparition de Frozen River un film fort qui Premier plan : une femme fume une dans un rôle de cette importance. transcende car il nous émeut, sans cigarette. C’est précisément ce « jeux d’ac- recourir à aucun artifice. Elle s’appelle Ray. teur / non-jeux d’acteur » qui nous Un film réellement sincère qui arri- Elle est américaine. émeut et rend ce film si singulier. ve à gommer les limites du filmage Son mari vient de la quitter en par- Car le sujet et le scénario sont, et du scénario, pour nous livrer un tant avec l’argent qu’elle avait éco- somme toute, assez banals ; et la superbe témoignage d’amour. nomisé pour payer le crédit de sa réalisation est tout ce qu’il y a de Cela est tellement rare que l’on maison. plus conventionnel et ne se déta- reste séduit. Ray se retrouve ainsi seule avec ses che que rarement d’un filmage for- deux jeunes enfants, totalement maté télé. Joseph Péaquin dépourvue, sans ressource, ni tra- Et pourtant, la force que ces deux vail. Par hasard, sur sa route, Ray actrices réussissent à faire passer croise Lila, une indienne rempli l’écran et contraste, c’est Mohawk qui gagne de l’argent en aussi là que réside l’habileté du faisant rentrer illégalement sur le film, avec le désert de ce fleuve il giro del mondo 20 in 60 film saison culturelle GIÙ AL NORD Bienvenue chez les Ch’tis

Regia: Dany Boon. Sceneggiatura: Dany Boon, Alexandre Charlot, Franck Magnier. Fotografia: Pierre Aïm. Montaggio: Luc Bar- nier. Musica: Philippe Rombi. Scenografia: Alain Veyssier. Costumi: Florence Sadau- ne. Interpreti: Kada Merad, Dany Boon, Zoé Felix, Lorenzo Ausilia-Foret, Anne Marivin, Philippe Duquesne, Guy Lecluyse, Michel Galabru. Produzione: Pathé Renn Produc- tins. Distribuzione: Medusa. Origine: Fran- cia, 2008. Durata: 106 minuti.

Ultimamente sembra esserci un però, non funziona, tanto che Phi- il postino dipendente di Philippe comune denominatore nella col- lippe viene trasferito a Bergues, una (interpretato proprio da Dany Boon) locazione geografica di alcuni film cittadina del Nord del paese, popola- con cui il protagonista, dopo un’ francesi. Come Welcome di Philippe ta da persone rozze che parlano l’in- iniziale diffidenza, riuscirà ad avere Lioret e Ti amerò sempre di Philip- comprensibile dialetto dello Ch’tis. un rapporto di sincera amicizia. Una pe Claudel, Giù al Nord è ambienta- A suo modo di vedere, la peggiore scena di loro due ubriachi che con- to nella parte settentrionale della destinazione che poteva capitargli, segnano la posta ricorda a tratti le Francia. Welcome si svolge a Calais, La formula non è poi così lontana da traiettorie impazzite del Giorno di Ti amerò sempre a Nancy, in Lorena, e quel contrasto dialettale su cui si è festa di Tati. gran parte dell’azione di Giù al Nord a costruita la storia della commedia La pellicola riesce poi a mostrare Bergues nel Nord-Pas de Calais. I pri- italiana dopo il Neorealismo. E, in bene lo scarto tra immaginazione e mi due sono film che hanno un respi- effetti, Giù al Nord alimenta la sua realtà, in questo senso vanno le si- ro drammatico, quello di Dany Boon comicità proprio dai contrasti: Nord/ mulazioni messe in atto da Philippe è invece una commedia. È comunque Sud, luce/ombra. Da quest’ultimo nei confronti della moglie, che è ri- sorprendente vedere come, in tutti e punto di vista si passa dall’assolata masta a casa. Lui le dice di trovarsi tre i casi, il luogo diventa essenziale visione della Costa Azzurra a una in un posto infernale mentre in re- allo sviluppo della vicenda: che si regione buia, perennemente ghiac- altà, col passare del tempo, si trova esprima il senso di un’appartenenza ciata e caratterizzata da frequenti sempre meglio. E, quando lei decide geografica oppure una totale estra- piogge. Certo, il doppiaggio – nono- di andarlo a trovare, lui mette in sce- neità ad uno spazio vissuto come re- stante lo sforzo condotto – smorza na, assieme agli altri amici del posto, spingente. Ciò è evidente nel primo probabilmente la forza al film, non una recita scatenata dove la diffiden- approccio di Philippe con Bergues in permette di cogliere tutte le sotti- za della donna sugli abitanti delle Giù al Nord, nel modo in cui Calais gliezze linguistiche. Lo stesso titolo regioni del Nord prende forma e vie- sembra continuamente respingere originale, Bienvenue chez les Ch’tis, ne ricostruita visivamente come ci si il diciassettenne di origine irachena già ci porta dentro questo universo trovasse in un film nel film. Questo Bilal in Welcome o nell’atteggiamen- isolato, da fiaba nera, dove il prota- tipo di comicità, giocata sull’estra- to assente e impermeabile (al luogo, gonista è costretto ad andare. Forse neità del personaggio assente, può al tempo, quindi anche alla vita stes- è per questo che in Francia il film è apparire facile e ripetitiva; tuttavia sa) di Juliette (Kristin Scott-Thomas) stato molto amato; ha infatti sbanca- Giù al Nord non si riduce a questo in Ti amerò sempre. to il box-office con oltre 20 milioni ma si presenta come una scatenata La vicenda del film di Dany Boon di spettatori (più di Titanic!). commedia corale con dentro tracce (che si era già messo in luce come Al di là delle sue debolezze, legate di sincera umanità. Il modo in cui protagonista accanto a Daniel Au- soprattutto allo schematismo con Boon porta sullo schermo il pre- teuil in Il mio migliore amico di Patri- cui è rappresentato il pregiudizio di giudizio giocando sul contrasto tra ce Leconte) è quasi invidiabile nella Philippe e della moglie nei confron- «l’immagine del pensiero individua- sua semplicità. Philippe, direttore di ti delle regioni del Nord, Giù al Nord le» e «l’immagine concreta» è di in- un ufficio postale di Salon-de-Pro- possiede un’efficace linearità in cui vidiabile essenzialità. E, al di là delle vence, cerca – anche con azioni non emerge la riuscita caratterizzazione sue cadute, Giù al Nord è l’esempio proprio canoniche – di farsi trasfe- dei personaggi minori che sembrano di una commedia che gode di un di- rire in Costa Azzurra per soddisfare provenire dall’universo di Pagnol. Fi- screto stato di salute. il desiderio di una moglie soggetta gure forti ed efficaci sono, ad esem- alla depressione. La sua manovra, pio, l’invadente madre di Antoine, Simone Emiliani il giro del mondo saison culturelle in 60 film 21 GRAN TORINO

Regia: Clint Eastwood. Soggetto: Dave Johannson, Nick Schenk. Sceneggiatura: Nick Schenk. Fotografia: Tom Stern. Mon- taggio: Joel Cox. Scenografia: Gary Fettis. Musica: Kyle Eastwood, Michael Stevens. Costumi: Deborah Hopper. Interpreti: Clint Eastwood, Cory Hardrict, John Car- roll Lynch, Geraldine Hughes, Brian Ha- ley, Brian Howe, Nana Gbewonyo, Chris Carley, Bee Vang, Ahney Her, Choua Kue, Chee Thao. Produzione: Double Nickel Entertainment, Gerber Pictures, Malpaso Productions, Village Roadshow Pictures, Warner Bros. Distribuzione: Warner Bros. Italia. Origine: Usa, 2008. Durata: 116 minuti.

La morte come valore. E di cosa può gnato alla mitologia hollywoodiana. protagonista, un ritorno sulla scena, parlare un film che inizia e finisce con Qui il processo di decostruzione rag- in quella che si configura come l’en- un funerale? La morte come possibili- giunge una fase estrema: è struggen- nesima interpretazione di un ruolo tà di lasciare una traccia, un’impron- te la spudoratezza con cui Eastwood si che risulta però incompatibile con la ta, un pensiero sulla (e della) vita. La mette a nudo, esibendo la propria se- condizione fisica e anagrafica del per- morte come modalità estrema di dare nescenza e inadeguatezza, fisica e in- sonaggio. Ma laddove Aronofsky uti- un senso alla propria esistenza, fuori teriore, a reggere la parte del raddriz- lizza gli stilemi del cinema indipen- dalle scorciatoie e dalle verità di car- zatore di torti che pure il copione gli dente – macchina a mano, primissimi tapesta della religione - nei confronti vorrebbe imporre. I tratti costitutivi piani, montaggio febbrile – Eastwood della quale il protagonista prova una del «suo» personaggio nel frattempo ricorre al linguaggio che da sempre diffidenza ispida e malevola, che si sono andati incontro a dissoluzione o gli è congeniale: trasparente, sem- traduce in una fiera riluttanza a con- degenerazione: l’eroe solitario e taci- plice, essenziale. Questo determina fessarsi. turno si è tramutato in un misantropo una corrispondenza, fondata in primo Soffermiamoci su questa diffidenza: inacidito e in rotta col mondo; le sue luogo sulla circostanza che vede in pur essendo legittimata sul piano armi letali sono state rimpiazzate da azione, dietro e davanti alla macchina narrativo dalla misantropia del per- un’innocua pantomima gestuale. Ma, da presa, la stessa persona. Come se sonaggio, trova poi un’ulteriore e più tra le stesse pieghe di questa irrever- l’orgoglioso anacronismo del perso- importante giustificazione sul piano sibile spirale di decadenza, sono indi- naggio sul piano degli atteggiamenti metatestuale. È, infatti, il film nella viduabili le basi di un’evoluzione, di morali e sociali si riflettesse in una sua totalità, ad essere costruito come un riscatto. La realizzazione del quale predilezione per uno stile rigorosa- una confessione. In misura ancora più prevede però che le caratteristiche di mente tradizionale. La linearità dei evidente che in altre pellicole da lui un tempo vengano non semplicemen- gesti e dei comportamenti si specchia dirette e interpretate, in Gran Tori- te abbandonate ma ribaltate di senso: in quella delle scelte di regia; l’uomo no Eastwood fa i conti con la propria il protagonista rimane un messaggero tutto di un pezzo fa un cinema tutto identità cinematografica. Si carica di morte, solo che questa volta si trat- di un pezzo. sulle spalle il suo oneroso passato ta della propria, non di quelle altrui. Non sarà un caso se ad attendere di attore assurto a notorietà, dai we- Così facendo, egli paradossalmente si il lottatore interpretato da Mickey stern di Sergio Leone in poi, con film riaccosta alla religione per via diretta, Rourke, alla fine della sua corsa, c’è nei quali gli uomini cadevano come aldilà di tutte le intermediazioni for- una morte celibe, intransitiva, la cui birilli, morivano come mosche, am- nite dalla chiesa, calandosi in prima unica funzione è quella di restituire mazzati (quasi tutti da lui). È proprio a persona nel ruolo del martire, il qua- al personaggio la fiducia in se stesso. partire da questo retroterra biografi- le si immola per il bene di quella che Una morte rappresentata metonimi- co e intertestuale, che la morte viene nel frattempo è andato riconoscendo camente, con un fermo-immagine che riconsiderata, in una prospettiva etica come la propria comunità. rinuncia ad andare oltre, perché que- che la distingue e la singolarizza. Una Ci sono diversi tratti in comune fra sto «oltre», nell’economia narrativa sola morte in scena. E un film costrui- questo film e The Wrestler. Entrambi e morale del film, in definitiva non è to interamente sulla necessità di dare parlano di vecchiaia e solitudine, e lo importante. In Gran Torino invece la a quella morte un significato e uno fanno a partire dall’impietosa esibi- morte è fondamentale per conferire spessore morale, oltre che dramma- zione del corpo malandato di quello alla scelta del personaggio un valore turgico. che è stato, un tempo, un sex-symbol sociale: ad essere recuperata qui non Approdato alla fase terminale del- hollywoodiano. In entrambi i casi poi è tanto la fiducia in se stessi, quanto la propria carriera, Eastwood ha già l’invecchiamento viene ulteriormen- quella nel prossimo. da qualche anno avuto il coraggio di te drammatizzato da una struttura smontare l’immagine che lo ha conse- narrativa che rende necessario, per il Leonardo Gandini il giro del mondo 22 in 60 film saison culturelle HOME

Regia: Ursula Meier. Sceneggiatura: Ursula Meier, Antoine Jaccoud, Raphaëlle Val- brune, Gilles Taurand. Fotografia: Agnès Godard. Montaggio: Susana Rossberg, François Gédigier, Nelly Quettier. Sceno- grafia: Maria Doicheva. Suono: Quentin Collette, Etienne Curchod. Interpreti: Isa- belle Huppert, Olivier Gourmet, Adélaïde Leroux, Madeleine Budd, Kacey Mottet Klein, Renaud Rivier, Kilian Torrent. Produ- zione: Box Productions, Archipel 35, Need Productions. Distribuzione: Teodora Film. Origine: Svizzera, Francia, Belgio. 2009. Durata: 95 minuti.

Definirlo un «film di famiglia» sareb- ventare impossibili. Andare a scuola, personaggio in apparenza forte, colui be riduttivo, anche se Home, esordio fare la spesa, stendere i panni, pren- che asseconda la fragilità dell’altro di Ursula Meyer, è costruito su un in- dere il sole nel giardinetto, persino (in questo caso la madre/Huppert), sia terno familiare: padre, madre, tre figli, tornare a casa: come si fa a passare proprio per questo il più debole. Un tutti disfunzionali, tutti nevrotici, tutti da una parte all’altra di un’autostra- essere disposto a gesti estremi pur di chiusi in ossessioni pericolosamente da in una mattina qualsiasi, per non non spezzare l’equilibrio che ha man- «borderline». Ne è prova evidente la parlare dei giorni di estate e di code tenuto fino a allora, quasi totale assenza di relazione col delle vacanze? A partire da qui, da La realtà è quindi ciò che entra nella resto del mondo: a parte il ragazzino questa situazione molto speciale, vita di questa famiglia, cosa provoca che gioca con qualche amichetto co- Home diventa un film sulla realtà – e come queste persone rispondono etaneo, non li vediamo mai interagire e non solo la realtà intesa nella sua nel tentativo sempre più disperato di con qualcuno fuori dal loro microco- natura metaforica, in cui il micro- ignorarla. Si sviluppa così una trama di smo. Una morbosità sottolineata dal cosmo si oppone al macrocosmo, sentimenti e paradossi che Ursula Me- luogo in cui abitano - una casetta ai nell’evidenza di un sentimento con- ier rende a ogni passo in movimento bordi di un’autostrada rimasta a metà temporaneo di reciproca diffidenza e filmico. L’Angelo sterminatore bunuea- - e dalla condivisione quasi obbligata reciproco sospetto. Per Ursula Meier liano si perde in quella casa che non è il degli spazi che nega intimità o picco- la «realtà» riguarda soprattutto il ci- bunker di salvataggio contro il nemico li momenti di solitudine. La famiglia nema, la messinscena, la costruzione esterno; al contrario la casa è una trap- fa tutto insieme, anche il bagno, con narrativa, il gioco dei personaggi. La pola temibile, quasi mortale, che nes- l’eccezione della figlia di mezzo, che scelta di Isabelle Huppert e di Oli- suno riesce più a governare perché non a differenza della maggiore - tutta vier Gourmet, attore icona dei fratelli più accordata all’armonia degli inizi, al esibizione e sempre mezza-nuda - Dardenne, è solo uno dei molti «tradi- cambiamento dei personaggi. Quasi copre il corpo un po’ goffo e rifiuta menti» che la regista dissemina nella che nella necessità di riposizionarsi cia- di dividerlo con gli altri. Ursula Meier sua opera, dimostrando una bella pa- scuno prenda il posto dell’altro: come però «tradisce» quasi subito il regi- dronanza dell’immaginario cinema- accade con la madre e il padre, o anche stro della follia, che pure c’è, mutan- tografico e la capacità di costruire un con la sorella che, dopo l’uscita di scena do il segno della narrazione verso un racconto calato nell’attualità a partire della maggiore, libera il corpo, mette lo tono surreale che scivola a sua volta dal gesto del cinema. All’interno di un smalto sulle unghie infilando un paio di nel thriller. L’ansia. L’ossessione. Il ter- film così inteso si determina un oriz- occhiali modello «Lolita». rore. All’improvviso l’atmosfera idillia- zonte aperto, che non impone signi- Home è per questo un film disturban- ca di piscine all’aperto e barbecue, di ficati e che anzi, al contrario, lavora te, inquieto, che a tratti persino inner- serate stellate e corse in bici sul nastro sulla suggestione di molte possibilità vosisce, o almeno fa sentire a disagio deserto dell’autostrada abbandonata interpretative. nel crescendo di tensione, nonostante svanisce, lasciando il posto all’incubo. L’aura di Huppert, attrice-feticcio del- il finale liberatorio. Sentimenti, sta- O meglio alla «norma». Quando l’au- le nevrosi, conforma la percezione ti d’animo, esplosioni di nervi sono tostrada, una volta finita, ritrova la sua del suo personaggio a questo: fragile, modulati con lucidità tesa, forse con destinazione d’uso prevista, imme- determinata, pazza si direbbe mentre eccesso di freddezza, che delinea una diatamente la casetta viene sommer- attraversa con passo deciso l’autostra- trama in continuo movimento. Quella sa dall’insopportabile rumore delle da sui tacchi altissimi, «fetish», da cui della Realtà, percepibile soltanto at- automobili, dallo smog, dagli sguardi non si separa neppure nelle faccen- traverso la lente surreale di un estre- invasivi della gente. Ma soprattutto, in de domestiche. Olivier Gourmet di- mo paradosso. questo capovolgimento, sono i gesti spiega al massimo la sua capacità di Cristina Piccino del rito quotidiano della famiglia a di- follia trattenuta, mostrando come il il giro del mondo saison culturelle in 60 film 23 LASCIAMI ENTRARE Låt den rätte komma in

Regia: Tomas Alfredson. Sceneggiatura: John Ajvide Lindqvist dal suo romanzo omonimo. Fotografia: Hoyte Van Hoyte- ma. Montaggio: Dino Jonsäter, Tomas Alfredson. Musica: Johan Söderqvist. Scenografia: Eva Norén. Costumi: Maria Strid. Interpreti: Kåre Hedebrant, Lina Leandersson, Per Ragnar, Henrik Dahl, Karin Bergquist, Peter Carlberg, Ika Nord, Mikael Rahm. Produzione: Carl Molinder, John Nordling per EFTI. Distribuzione: Bolero Film. Origine: Svezia, 2008. Dura- ta: 114 minuti.

In virtù di squarci da teenager- effetto o compiacimento formale. più importante è stato Four Shades movie statunitense, a prima vista Tutt’altro. Alfredson tende a rimuo- of Brown del 2004, opera fluviale Lasciami entrare potrebbe essere vere dal film ogni effetto descritti- di 192 minuti che ha vinto 4 Guld- considerato una versione scandina- vo e, addirittura, ad prosciugare la bagge - i più importanti premi cine- va di Twilight. Come il film diretto tensione. Ciò è evidente proprio in matografici assegnati in Svezia. La- da Catherine Hardwicke infatti, al un ritmo che perde la normale velo- sciami entrare conferma il talento di centro della vicenda c’è un rappor- cità dell’horror e appare più interno un cineasta che sa curare l’aspetto to molto stretto tra un umano e un alle pulsioni dei personaggi. Quello formale dei suoi film senza per que- vampiro; inoltre anche quest’opera esteriore invece tende quasi ad es- sto rinunciare a liberare in maniera è tratta da un romanzo di successo, sere annullato e ciò si può vedere istintiva le pulsioni (sentimentali e quello scritto da John Ajvide Lin- nel modo in cui il cineasta filma gli omicide) intrappolate dentro i corpi dqvist (anche autore della sceneg- attacchi di Eli agli umani. Pochi ele- dei loro personaggi. Nel film questo giatura del film) il cui nome è stato menti: deboli squarci di luce, una avviene anche attraverso l’uso degli accostato a quello di Stephen King. dimensione oscura accecante per spazi - luoghi preesistenti che scar- Qui si fermano le analogie; visto quanto appare opprimente, un per- nificati e ridotti all’osso ed finisco- che Twilight si caratterizza per una sonaggio che cammina e si avverte no per assomigliare ad un finto dé- certa ridondanza negli effetti (gli che è seguito da quello che diven- cor espressionista. In questo senso, improvvisi squarci di luce bianca terà il suo prossimo carnefice. Sco- le figure di Oskar ed Eli sembrano sui due protagonisti e l’utilizzo di modare, in questa estrema sintesi di delle apparizioni, degli alieni che una colonna sonora ricchissima geometria visiva, il cinema di Dre- vivono in un loro universo a parte. che accentua le forme di un neo- yer (Vampyr) ed Herzog (Nosferatu, Privilegiando questa visione, sono romanticismo), mentre Lasciami principe della notte) può apparire quindi i frammenti più quotidiani entrare colpisce per la sua essen- un’operazione rischiosa da un pun- (come quelli di Oskar a scuola) ad zialità e per la sua rarefazione. Si ha to di vista critico; tuttavia Alfredson apparire più stranianti. Nella sua l’impressione che Tomas Alfredson potrebbe aver utilizzato questi due uniformità soprattutto cromatica, tenda a filmare la vicenda come film come modello per il modo in Lasciami entrare viene però scosso se si trattasse quasi di una leggen- cui lascia progressivamente pre- dalla sequenza della piscina, in cui da nordica. Ambientato nel 1982 cipitare il suo racconto dentro una l’improvviso chiarore diventa prin- a Blackeberg, un quartiere della dimensione onirica, dando forma a cipale elemento destabilizzante. periferia di Stoccolma, il film vede un incrocio di amore e morte. Il suo Il modo in cui da forma al silenzio, protagonista il dodicenne Oskar, un sguardo assembla non solo dei re- al vuoto e all’attesa mostra come il ragazzino frequentemente vittima sidui visivi (il degrado del quartiere regista sappia maneggiare perfetta- di episodi bullismo a scuola, che un di Blackerberg, la stanza dell’ospe- mente i meccanismi dell’horror ma giorno conosce Eli, una misteriosa dale, gli sfondi scuri che appaiono al tempo stesso evidenzia il modo vicina di casa. L’approccio realistico come una provvisoria materializ- in cui lascia emergere un originale dominante traduce una forte sensa- zazione delle tenebre) ma anche istinto irrazionale. Forse anche per zione d’inquietudine quando la di- tattili (sembra di sentire l’odore del questo Lasciami entrare può lascia- mensione soprannaturale irrompe sangue ma anche quello di Eli che re spaesati ma alla fine seduce nella nella quotidianità con disarmante contraddistingue la sua diversità). sua intenzionale mancata sincronia naturalezza. Gli omicidi nel bosco, Lasciami entrare è il primo film con tra l’horror e il ritmo abituale del gli effetti del contagio, le apparizio- cui Alfredson si è fatto conoscere in genere. ni di Eli sono mostrati senza nessun Italia. Prima di questo, il suo lavoro Simone Emiliani il giro del mondo 24 in 60 film saison culturelle MAMMA MIA!

Regia: Phyllida Lloyd. Sceneggiatura: Ca- therine Johnson dal suo musical omo- nimo. Fotografia: Haris Zambarloukos. Montaggio: Lesley Walker. Musica: Benny Andersson, Björn Ulvaeus, canzoni degli Abba. Scenografia: Maria Djurkovic. Costu- mi: Ann Roth. Interpreti: Meryl Streep, Pier- ce Brosnan, Colin Firth, Stellan Skarsgård, Julie Walters, Dominic Cooper, Amanda Seyfried, Christine Baranski. Produzione: Universal Pictures/Littlestar Productions/ Playtone/Internazionale Filmproduktion Richter. Distribuzione: Universal. Origine: Gran Bretagna,Stati Uniti, 2008. Durata: 108 minuti.

Alla base di Mamma mia! c’è il musical di le braccia come Di Caprio in Titanic. A avuto una relazione molti anni prima. Catherine Johnson, che è stato tradotto dispetto di questi facili e avvicinamenti Tutto avviene anche attraverso un gio- in otto lingue e ha spopolato a Londra (o forse grazie ad essi), Mamma mia! è co di equivalenze matematiche giocate e Broadway. Come da copione l’origine anche un delirio contagioso, una festa sul numero tre: Donna e le sue due teatrale è preesistente al genere e la senza fine e possiede un’euforia che amiche; i tre ex della protagonista; versione cinematografica cercare di ri- avvolge e trascina dentro. Quello di Sophie e le due coetanee venute per spettare le prospettive degli spazi nella Phyllida Lloyd è un film solare, pieno di fare le damigelle. Come in Luhrmann messinscena, la dimensione cromatica luci riflesse, dove l’isola della Grecia su l’atmosfera è subito surriscaldata e e i numeri cantati. Da questo punto di cui è ambientato dà l’idea di estender- si è come travolti dentro questo gio- vista, per esempio, si è avuta recente- si all’infinito. Inoltre i movimenti sono co folle, delirante, pieno di ebbrez- mente l’idea che ci sia stata una stretta uniformamente accelerati, dove gli at- za. Moulin Rouge scivola lentamente aderenza tra teatro/cinema in Chicago tori (strepitosa Meryl Streep, ma davve- verso il melodramma terminale, ma il (2002) di Rob Marshall. Lo spettacolo ro in forma anche Pierce Brosnan, Colin modo in cui è raccontata la passione della Johnson, poi, era già «segnato» Firth, Stellan Skarsgård, Julie Walters e che travolge Christian (Ewan McGre- dalle canzoni degli Abba, tra cui quella Christine Baranski) cantano e ballano gor) e Satine (Nicole Kidman) appare del 1975 che gli da il titolo. Il film diret- dando l’idea di andare su e giù nell’sola; potentissima proprio perché si deve to da Phyllida Lloyd poteva quindi limi- danzano sul molo, fanno capriole, sal- catturare e godere proprio nell’attimo tarsi a seguire dei percorsi già segnati e tano in aria, sottoponendosi così a una in cui si manifesta sapendo che que- stabiliti. Da un punto di vista narrativo, stremante performance fisica nella qua- sto frangente sarà destinato a durare lo può anche aver fatto. La pellicola le non si risparmiano. Certo, a volte, non molto poco. Mamma mia! appare un vede protagoniste Donna (Meryl Streep) solo il successo ma anche la piena riu- film di gioia ininterrotta, con balli sfre- e Sophie (Amanda Seyfried) che vivono scita di un film come questo non segue nati e infiniti sull’isola fino a tarda not- felicemente su un’isola della Grecia delle regole già stabilite, ma si regge te, con il fantasma di Afrodite (la dea dove gestiscono un albergo. La ragazza su equilibri misteriosi. Per certi aspetti dell’amore) che lascia sentire su tutti ha 18 anni ed è in procinto di sposarsi. l’artificiosità di Mamma mia! si dissolve i corpi l’ombra della sua presenza. Nel In occasione delle sue nozze, vorrebbe progressivamente e il musical raggiun- film sono comunque presenti momenti che fosse presente il padre che non ha ge una libertà e un’euforia inaspettate emotivamente intensi come quello di mai conosciuto. Non sapendo chi possa e coinvolgenti proprio come era acca- Donna che canta davanti alla figlia che è essere, di nascosto dalla madre decide duto in Moulin Rouge di Baz Luhrmann; allo specchio e poi quest’ultima le chie- di mettersi in contatto con i tre uomini i due film infatti vengono attraversati de di essere accompagnata da lei all’al- che, circa 20 anni prima, sono stati im- da inquadrature dall’alto, come se vo- tare. Qui la loro storia privata riemerge portanti nella vita di Donna. lessero far innalzare continuamente i in tutta la sua forza. Alla fine, al termine All’interno di questa semplice struttu- loro protagonisti da terra e farli quasi di un continuo gioco di equivoci, il colpo ra narrativa, le singole azioni sembra- volare. Se nel film del regista australia- di teatro: il set si frantuma, l’acqua esce no basarsi sui testi delle canzoni degli no c’era lo sfondo di una Parigi finta di dal suolo. Stacco, sui titoli di coda, Don- Abba. Mamma mia! viene cantata, per fine ‘800 che veniva percorsa dai due na e le sue due amiche sono sul palco e esempio, da Donna nel momento in cui protagonisti in una storia di amore e salutano il pubblico. Mamma mia! torna scopre che i suoi tre ex sono arrivati morte, in Mamma mia! c’è un set vero così alla sua origine. Dopo essere stato sull’isola. Oppure Money, Money, Money (l’isola greca, appunto) in cui attraverso una specie di «ronde» impazzita, di film caratterizza i flash della protagonista e il presente (l’imminente matrimonio di en plein-air con un’energia capace di la- delle sue amiche Rosie (Julie Walters) Sophie) riprende forma il passato, ma- sciare a lungo i suoi segni addosso. e Tanya (Christine Baranski) che s’im- terializzato proprio attraverso il ritor- maginano su una nave e Donna apre no dei tre uomini con cui Donna aveva Simone Emiliani il giro del mondo saison culturelle in 60 film 25 MAR NERO

Regia: Federico Bondi. Soggetto: Federico Bondi, Cosimo Calamini. Sceneggiatura: Federico Bondi, Ugo Chiti. Fotografia: Gigi Martinucci. Montaggio: Ilaria Fraioli. Mu- sica: Enzo Casucci. Scenografia: Daniele Spisa, Dan Toader. Costumi: Alessandra Vadalà. Interpreti: Ilaria Occhini, Dorote- ea Petre, Corso Salani, Vlad Ivanov, Maia Morgenstern, Theodor Danetti, Vincen- zo Versari, Giuliana Colzi, Marius Silagiy, Alessandra Redino. Produzione: Kairòs Film, HiFilm, Manigolda Film, RAI Cinema. Distribuzione: Kairòs Film, Digima Spa. Origine: Italia/Francia/Romania, 2008. Durata: 95 minuti.

Viviamo una realtà in cui le fobie sui un tema di grande attualità. Un film riso sui loro volti. pericoli dell’«altro», sia esso norda- sull’immigrazione, dunque, ma anche Il ricorso al piano sequenza permet- fricano, zingaro o albanese, hanno un film sulla vecchiaia, un’altra tema- te a Bondi di concentrarsi in maniera portato verso una sempre più acca- tica sociale fondamentale per il nostro semplice e diretta sul dramma e sul nita demonizzazione dello straniero. presente, che ci apre gli occhi sulla rapporto fra le due donne nel suo I recenti casi di cronaca del nostro banale ma comune problematica della consolidarsi ed evolvere dalla diffi- paese, in particolare quelli riguar- difficile gestione degli anziani, affidati denza iniziale fino alla solidarietà e danti la questione rumena, hanno dai propri figli o nipoti alle cure di ba- alla comprensione. Se la lunga car- accentuato le paure di una società danti rigorosamente straniere. rellata laterale sull’Arno apre la pri- ormai terrorizzata, che si sente mi- Il pretesto narrativo di Mar Nero è ma sequenza del film interamente nacciata dal «diverso». Le nostre di dichiarata matrice autobiografi- girata nella casa di Gemma, è il corso terre, tratteggiate come tutt’altro ca: ispirandosi all’esperienza della di un altro fiume, il Danubio, ad in- che ospitali, fanno spesso da scena- propria nonna, il regista tratteggia trodurre le due donne in Romania in rio a racconti di esistenze disperate la storia di Gemma, una donna an- un viaggio che è l’apice del loro so- e viaggi dolorosi verso sponde più ziana, vedova, incline ai pregiudizi dalizio, durante il quale scopriranno ricche e fortunate, in cui la speranza e tormentata da continui dolori alle di aver bisogno l’una dell’altra: Gem- di trovare condizioni di vita migliori ossa, che soffre riversando sugli altri ma di una figlia che si prenda cura di annega nella disillusione. Stupisce, l’asprezza di una vita che sente or- lei per colmare quella carenza di af- dunque, l’intenso e profondo esor- mai inutile, e di Angela, una giovane fetto che non riesce più ad ottenere dio del giovane regista fiorentino badante rumena, premurosa e deter- dal figlio ormai lontano e Angela di che affronta il tema dell’immigrazio- minata, giunta in Italia alla ricerca di una confidente e madre che la guidi ne, spesso sviluppato dal cinema in un lavoro che le permetta di aiutare lungo il suo avvenire ancora confuso. maniera problematica e con risvolti finanziariamente il marito rimasto Coppia emblematica del nostro tem- drammatici, lasciando da parte quel- in patria. Costretta dal figlio lontano po e della nostra realtà, l’anziana e la le forme discriminazione di cui oggi (lei vive a Firenze, lui a Trieste dove badante sono ritratte da Bondi con si parla tanto. E ne approfondisce un lavora e ha messo su famiglia) ad uno sguardo onesto e profondo, in aspetto: quello dell’integrazione tra accoglierla in casa, Gemma tratta la un racconto che sembra volerci aiu- italiani ed immigrati. Il risultato non giovane estranea come una serva, ri- tare a comprendere le ragioni di chi è un film sulla solitudine degli extra- fiutandosi di accettare che si occupi con l’emigrazione cerca solo il bene comunitari dell’est Europa in un pae- di lei, sbagliando nome e mostrando per sé e i suoi cari, accettando qua- se confuso come l’Italia, né il ritratto indifferenza - a tratti addirittura di- lunque compromesso. Una vicenda di un popolo che vive tra diffidenza sprezzo - per il suo paese. Due anime narrata con delicatezza ed empatia e disperazione come nel recente Il diverse, che apparentemente non che fa affiorare le marcate distanze resto della notte di Francesco Munzi, hanno nulla in comune, non l’età, socio-economico-culturali di due bensì un inno all’umanità e all’esi- non la cultura, non il ceto sociale. mondi opposti, ma che apre anche genza di comunicare tra culture di- Due persone dai caratteri antitetici uno spiraglio di luce in un’Italia an- verse. Anziché accanirsi nell’additare eppure simili: entrambe sono don- cora radicata nelle sue tradizioni e le differenze tra persone provenienti ne fragili, emarginate ed infelici che, allo stesso tempo aperta verso la da terre straniere, Federico Bondi forse proprio grazie alla loro comune multietnicità e l’integrazione multi- riesce a raccontarne le affinità, dise- condizione di dolore, con il tempo si culturale. gnando una storia priva di sbavatu- avvicinano scambiandosi le prime re nella sua semplicità che affronta confidenze e lasciando spazio al sor- Alice Moroni il giro del mondo 26 in 60 film saison culturelle MILK

Regia: Gus Van Sant. Sceneggiatura: Dustin Lance Black. Fotografia: Harris Savides. Montaggio: Gus Van Sant, Elliot Graham. Scenografia: Bill Groom. Costumi: Danny Glicker. Musica: Danny Elfman. Interpreti: Sean Penn, Emile Hirsch, James Franco, Josh Brolin, Diego Luna, Brandon Boyce, Kelvin Yu, Lucas Grabeel, Alison Pill, Victor Garber, Denis O’Hare, Howard Rosenman, Stephen Spinella, Peter Jason, Carol Ruth Silver. Produzione: Focus Features, Groun- dswell Productions, Jinks/Cohen Com- pany. Distribuzione: BIM distribuzione. Origine: Usa, 2008. Durata: 128 minuti.

Come un pesce nell’acqua, l’attore Sean di Harvey Milk, primo «gay» america- ca un tempo storico ormai trascorso. Gli Penn scivola nel personaggio di Harvey no ad avere una carriera politica, dopo stessi frammenti di filmati d’epoca, che Milk e con lui attraversa la messa in sce- anni di contestazioni e rivendicazioni ogni tanto intervengono a contestualiz- na cinematografica che Gus Van Sant ha a favore di ogni minoranza, altrettanto zare l’azione nell’ambito delle lotte del predisposto per loro. Di questa scena sorprendente è la ricostruzione che il movimento omosessuale americano, si Penn occupa il ruolo principale, veste regista Gus Van Sant fa di quegli anni. integrano perfettamente con le imma- la figura catalizzante, in armonia con Invece di piazzare auto d’epoca, abbi- gini del film nonostante, o forse in virtù, le scelte del regista. insieme, armoni- gliamenti e pettinature del periodo, e della loro deformazione (sono immagini camente, i due inanellano un racconto poi colore, colore… e tanta musica di stirate orizzontalmente per uniformarsi biografico, tragico e nostalgico, dolce quegli anni, Gus Van Sant produce una al formato cinematografico). Le immagi- e fragile, delicato quanto discreto, ri- ricostruzione spiazzante, ritratta in una ni d’archivio perdono cioè l’urgenza del- schiando di costruire un film che po- dimensione sottilmente sottotono, for- la denuncia che possedevano in origine trebbe passare inosservato perché non se di primo acchito deludente (per lo per divenire memoria lontana, deforma- abbastanza caricato, teso ad agganciare spettatore affamato di spettacolo!). È ta. Sottilmente febbrile è quindi tutto il lo spettatore, com’è d’uso nei film di una ricostruzione che non sposa i luoghi decorso del racconto biografico dove oggi. Magnificamente Sean Penn si la- comuni visivi e sonori e che, in definiti- ogni personaggio è intensamente pre- scia fagocitare dal suo difficile perso- va, non soddisfa il desiderio dello spet- sente pur in un tempo sfuggente. Al ter- naggio, vi scivola dentro come se Milk tatore, legittimo ma illusorio, di godere mine del film, la brevissima, fulminante, fosse da sempre il suo alter ego! Opera- di un «tempo ritrovato». I colori pastel- improvvisa sequenza dell’assassinio di zione, questa, rischiosa tanto più perché lo, le luci morbide e tenui, le situazioni Milk. Dopo il biografico mormorare che il signor Milk, di cui nel film si racconta- minimali, tutte centrate intorno al per- l’ha preceduto, questo istante diviene no gli ultimi otto anni di vita, è un omo- sonaggio, rendono il film «distante», un momento assoluto, un blocco mor- sessuale. Quanti «gay» ridicoli, mal in- protetto in un mondo appena lontano tale sul quale s’appuntano mille inter- terpretati, involontariamente parodiati, eppure perfettamente ricalcato sugli rogativi. O, semplicemente, un’enorme abbiamo visto e detestato al cinema? Il anni a cui fa riferimento. Milk si aggira sorpresa, non solo per noi spettatori, ma «gay» di Penn è «misuratissimamente» in un universo desaturato, non più in soprattutto, forse, per Milk stesso, in- effeminato, non una piega del suo volto presa diretta su un presente possibile quadrato, fissato nel suo profilo inerme pallido ed emaciato cede al ridicolo, alla e ritrovato, ma scivola anch’egli in am- per pochi secondi, prima di afflosciarsi. facile espressività di un cliché. Penn in- bienti che sembrano essere già vissuti, Quella vita è stata un sogno? Quella terpreta gli umori e le emozioni del suo in un’atmosfera vagamente moribonda. biografia è stata un sogno? passionale personaggio attraverso un Sono sequenze di vita quotidiana, di La morte, nel cinema di Gus Van Sant – trasporto interiore e non di superficie, passioni amorose, di relazioni intime, reduce dalla trittico Paranoid Park, Last tale da affascinarci da subito e da indur- sulle quali soffia l’atmosfera del tem- Day e Elephant - non è mai un accadi- ci a pensare di vedere per la prima volta po, eppure tutto sembra già accaduto. mento banale, normale, superficiale, al cinema una simile performance. Sono Da qui un forte sentimento di nostalgia, non è mai un luogo comune, essa è sem- tanti i film insignificanti quanto ottima- che non cade nel sentimentale ma pro- pre rappresentata come un momento mente interpretati, ma non è il caso di duce un clima vagamente metafisico. indicibile eppure ricercato, preceduto, Milk. Sean Penn ed il suo personaggio D’altronde tutto è già chiaro all’inizio inseguito, arrestato pur di distillarne costituiscono una straordinaria porta del film, quando Milk, oramai al culmi- frammenti di senso, una qualche ten- d’ingresso in un universo, i «mitici» ne della sua parabola socio-politica, re- tata certezza e questo proprio con lo anni Settanta di San Francisco, anni di gistra le proprie memorie. Milk, il film, strumento cinematografico, macchina sregolatezze e ribellioni, anni pop, anni diviene allora un lungo flash-back, ma- capace di “filmare la morte al lavoro”! coloratissimi, anni gridati. Ora, se è sor- teria «morta» rianimata. Anzi: doppia- prendente l’interpretazione che Penn fa mente «morta» e rianimata poiché toc- Michelangelo Buffa il giro del mondo saison culturelle in 60 film 27 THE MILLIONAIRE Slumdog Millionaire

Regia: Danny Boyle. Sceneggiatura: Sia- mon Beaufoy. Fotografia: Anthony Dod Mantle. Montaggio: Chris Dickens. Musica: A.R. Rahman. Scenografia: Michelle Day. Costumi: Suttirat Anne Larlarb. Interpre- ti: Dev Patel, Anil Kapoor, Freida Pinto, Madhur Mittal, Irfan Khan. Produzione: Celador Films. Distribuzione: Lucky Red. Origine: Gran Bretagna, Usa, 2008. Durata: 120 minuti.

Ecco un film figlio della sua epoca. gressione delle risposte giuste correre vita di Jamal viene così ancorata al fat- Ovvero segnato in profondità da trat- parallela alla crescita del personag- to che, alla luce della sua evoluzione e ti quali l’interculturalità, l’incidenza gio: alle prime domande egli risponde spersonalizzazione, egli non può che sociale dei «media», la capacità del facendo appello a situazioni vissute «rivederla» in forme più ordinarie e cinema di catalizzare, rielaborare e far nell’infanzia, a quelle successive rial- stereotipate, più banali e grossolane, convivere stili e modi narrativi fra loro lacciandosi ad episodi della sua adole- in sostanza più aderenti e compatibili molti diversi. scenza e gioventù. Questo fa sì che alla alle dinamiche del consumo di massa; The Millionaire attraversa con disinvol- parabola del suo successo televisivo le stesse che hanno presieduto alla sua tura e sapienza tutta la storia del cine- corrisponda sostanzialmente, sul pia- affermazione, e alle quali ormai appar- ma indiano, a partire da una soluzione no della memoria personale, una tra- tiene. Una volta finito negli ingranaggi narrativa che mette in diretto contatto iettoria biografica, e che le sue espe- della popolarità mediatica, il protago- il linguaggio del cinema con la cultura rienze di vita si configurino dunque nista subisce una mutazione sul piano popolare mediata, e innescata, dalla come ricordi innescati dalle domande della rievocazione del proprio passato, televisione. Le vicende del protagoni- del quiz. Troviamo qui il punto focale che viene ora ad essere filtrato da uno sta vengono introdotte dalle sue rispo- della metamorfosi del film, che - da un sguardo che si è a sua volta spersona- ste al quiz televisivo; ma, quel che più certo punto in poi - abbandona i canoni lizzato, finendo per assumere tratti e conta, la loro messa in scena viene con- del cinema realista per sposare quelli modi propri del cinema popolare, qui dizionata dalla popolarità determinata del melodramma popolare. The Millio- restituiti da Boyle con perizia calligra- dalla sua permanenza in trasmissione naire si trasforma, improvvisamente, in fica. Il film traccia una parabola di pro- e dalla conseguente dilatazione della un film che obbedisce ad un’estetica gressiva espropriazione dell’identità cifra che potrebbe vincere. In princi- dell’eccesso, improntato ad un reper- del personaggio, in particolare della pio, quando Jamal è ancora un concor- torio di stereotipi tipico del melodram- sua memoria individuale, che scen- rente come tanti, la ricostruzione della ma e ad un linguaggio che si fa più ap- de necessariamente a patti con la sua sua infanzia segue, sotto il profilo del- pariscente, sul piano cromatico e della nuova natura di idolo collettivo. lo stile e dei contenuti, la lezione del messa in scena. Questa traiettoria che porta dalla te- cinema realista, di denuncia sociale. Il L’idea è che, essendo il film ancorato levisione verso il cinema ha tuttavia modello è rappresentato dai film di Sa- alla rappresentazione dei ricordi del un suo punto di fuga, rappresentato tyajit Ray: focalizzazione sulla miseria protagonista, sia necessario un ade- dalle esperienze biografiche che per- e le disgrazie di un’infanzia tribolata e guamento alla sua evoluzione. Quanto mettono al protagonista di conoscere oppressa, contestualizzata a scenari ur- più egli diventa una figura pubblica, un le risposte giuste. Non è lecito parlare, bani polverosi e degradati, caotici e fra- «uomo televisivo», tanto più cambia il nel suo caso, di cultura nel senso tra- stornanti. Tuttavia, a mano a mano che suo modo di pensare il proprio passato. dizionale del termine; si tratta piutto- il protagonista risponde correttamente Essere popolari ha un costo che si paga sto di un sapere cementato su forme alle domande del quiz, catalizzando anche, e forse soprattutto, nelle mo- di apprendimento eclettiche e casuali, l’attenzione dell’opinione pubblica e dalità con cui (ri)pensiamo alla nostra discontinue ed estemporanee. L’impre- diventando un personaggio televisivo vita. Entrare nel circolo della comuni- vedibilità dell’esistenza si prende una di grande popolarità, il film va mutan- cazione di massa passando per la porta rivincita sull’erudizione, premiando do le coordinate formali attraverso le del divismo spicciolo, implica anche il una cultura impressa sulla propria pel- quali viene raccontata la sua vita. fatto di essere espropriati di un modo le, su esperienze vissute in prima per- È sottile e intelligente il meccanismo personale, e quindi originale, di vede- sona, non mediate dai libri. messo a punto dalla sceneggiatura, re noi stessi e il nostro passato. Nella basato sul dettaglio che vede la pro- seconda parte, la ricostruzione della Leonardo Gandini il giro del mondo 28 in 60 film saison culturelle L’ONDA Die Welle

Regia e sceneggiatura: Dennis Gansel. Fo- tografia: Torsten Breuer. Montaggio: Ueli Christen. Musica: Heiko Maile. Scenogra- fia: Knut Loewe. Costumi: Ivana Milos. In- terpreti: Jürgen Vogel, Frederick Lau, Max Riemelt, Jennifer Ulrich, Jacob Matschenz, Christiane Paul, Max Mauff, Cristina do Rego. Produzione: Rat Pack Filmprodu- ktion, Constantin Film Produktion. Distri- buzione: BIM. Origine: Germania, 2008. Durata: 101 minuti.

Rainer Wenger (Jürgen Vogel), te- dosi tra le pieghe della Germania mania) su cui L’onda ruota attorno sta rasata e «mise» sdrucita, è un contemporanea – basino le proprie può ricordare le atmosfere di Hei- professore un po’ atipico che corre teorizzazioni facendosi ispirare da mat, salvo poi mostrarsi alla prova in auto verso la scuola cantando a eventi accaduti negli Stati Uniti. dei fatti l’antitesi. Se l’epopea di squarciagola Rock’n’Roll High Scho- Se non siamo proprio dalle parti Edgar Reitz non voleva dimostrare ol dei Ramones (dei quali indossa dei giovani Wenders e Fassbinder proprio nulla se non farsi cronaca puntualmente la t-shirt). Durante che, agli albori del Nuovo Cinema «proustiana» di un tempo perduto, un corso sull’autocrazia vengono Tedesco, guardavano ai model- la pellicola di Gansel è un classico fuori gli ideali del Nazismo – siamo li culturali statunitensi come ad film a tesi e il suo incedere per tap- nella Germania di oggi – e gli stu- un punto di riferimento su cui far pe piuttosto forzate finisce col sa- denti negano con vigore che nella poggiare un paese sommerso dalla crificare tutto ciò che non concor- società contemporanea si possa vergogna, è comunque significati- re a creare un senso: ciò è evidente arrivare ad una forma così estrema vo che anche la nuova generazione analizzando i personaggi del film, di governo. Wenger non ci sta e da (il regista di L’onda, Dennis Gansel, i quali appaiono abbozzati, squa- buon professore «borderline» va- è del 1973) annaspi nel trovare drati, senza alcuna sfaccettatura gamente sinistrorso decide di far spunti ragionevolmente interes- psicologica che non sia quella at- sperimentare loro le discipline, i santi tra le mura amiche. Gansel si tribuita al proprio ruolo. Ecco per- simboli e i riti propri di una ditta- ispira infatti al famoso movimento ché i tanti ragazzi protagonisti del tura che si rispetti. Il gioco comin- chiamato The Third Wave, con cui film sembrano essere nient’altro cia a farsi serio e Il Quarto Reich è nel 1967 il professor Ron Jones che delle marionette ingabbiate in pronto a menare le danze… fece sperimentare il Nazismo agli una sceneggiatura di ferro che non Il cinema tedesco negli ultimi anni studenti di una scuola californiana permette loro il benché minimo si è preso la briga di ripensare alla finendo col creare un vero e pro- respiro. Anche nell’impianto for- propria Storia, anche se in modo prio caso nazionale. male il film di Gansel mostra evi- molto neutrale, sviscerando epi- Il film sembra essere nient’altro denti limiti: dapprima affidandosi sodi piuttosto controversi ma non che una riproposizione in chiave all’abusata categoria estetica del andando quasi mai oltre una pura e moderna di quell’evento, anche videoclip, ritmo altissimo a base di semplice narrazione – vedi La Ban- se ovviamente l’ambientazione in ralenti/accelerazioni e tutto un ru- da Baader Meinhof, Sophie Scholl – Germania conferisce dei connotati tilare di batterie punk (i Ramones La rosa bianca e La caduta – Gli ul- simbolici oggettivamente impor- di cui sopra, ma non era meglio la- timi giorni di Hitler, solo per citar- tanti. E sono proprio questi conno- sciarsi trasportare anche «ideolo- ne gli esempi più lampanti. L’onda tati a muovere Gansel – quasi os- gicamente», magari con un pezzo tenta invece di attualizzare le te- sessionato nel tracciare le ragioni dei Clash?), per poi appiattirsi pro- matiche del Grande Rimosso Tede- del fenomeno nazionalsocialista gressivamente fin quasi a nascon- sco (che oggi, in effetti, non è più (NaPolA, il suo film precedente, è dersi tra i risvolti teorico-narrativi tale), ma che alla fine del percorso ambientato in una scuola d’élite della vicenda. Come dire, quel che porta più o meno alle stesse con- nazista) – declinati però in un’ac- conta è solo l’intento. clusioni. Ed è curioso notare come cezione assai didattica. Il concetto questa pellicola e un’altra ad essa e l’esperienza di appartenenza ad molto affine, The Experiment, di un gruppo e soprattutto ad una Lorenzo Leone Oliver Hirschbiegel – pur muoven- patria (concetto fortissimo in Ger- il giro del mondo saison culturelle in 60 film 29 Ponyo sulla scogliera Gake no ue no Ponyo

Regia: Hayao Miyazaki. Sceneggiatura: Hayao Miyazaki. Fotografia: Atsushi Okui. Montaggio: Hayao Miyazaki, Takeshi Seya- ma. Scenografia: Noboru Yoshida. Musica: Joe Hisaishi. Suono: Mika Yamaguchi. Pro- duzione: Studio Ghibli. Distribuzione: Lu- cky Red. Origine: Giappone, 2008. Durata: 101 minuti.

La sacralità e il fascino misterioso del- calmo degli abissi per abbracciare la in curiosità, la solitudine in scoperta, la natura muovono ogni opera di Hayao complessità dell’umano, a Miyazaki la diffidenza in apertura. La tensione Miyazaki: nella loro fissità i suoi perso- interessa soprattutto la doppia ricer- della continua ricerca ben si inserisce naggi richiedono all’elemento naturale ca che implica la sua doppia natura. in questo ritorno dello Studio Ghibli ad la spinta per esternare le loro emozioni Da una parte la scoperta di se stessa e un’animazione più semplice e essen- o, meglio, per propagarle e permetter- del suo desiderio, dall’altra la messa in ziale, che volutamente abbandona le gli di raggiungere lo spettatore. Così è crisi di due mondi e il possibile nuovo sperimentazioni 3D per ritornare alle la brezza che all’improvviso sconvolge equilibrio che la natura ristabilisce per linee armoniose, ai colori trasparenti, le chiome dei protagonisti a metterci accogliere una nuova persona. La pe- ai movimenti morbidi raggiunti attra- in contatto con i loro pensieri, a far- sciolina in mare è pressoché priva di verso centottantamila tavole di disegni ci percepire i turbamenti d’animo di identità, uguale – se non fosse per le acquerellati. Sosuke rappresenta una Chihiro e i tormenti delle principes- dimensioni - alle centinaia di sue sorel- possibile speranza in un mondo umano se guerriere. Dello scintoismo il laico le, distinta soltanto dalla curiosità che confuso e instabile: una mamma che Miyazaki conserva il senso profondo la spinge fino alla scogliera. Là incon- fa i capricci delle adolescenti e un pa- della natura come luogo di manifesta- tra Sosuke, che le dà un nome, Ponyo: dre assente perennemente in mare. A zione delle forze spirituali, in precario la parola che la distingue e che segna lui, bambino sempre sorridente, spet- equilibrio con i desideri e le ambizioni l’interessamento del bambino nei suoi ta il compito di portare un po’ di gioia umane. In Ponyo sulla scogliera l’ele- confronti. Il nome sarà portatore della alle anziane ospiti di un ricovero per mento naturale prescelto è l’acqua, le nuova identità, come già succede in cui lavora la madre, talmente anziane profondità degli abissi, con le armonio- tanti film di Miyazaki (da Porco Rosso da essere quasi bambine. A lui, al suo se forme delle creature in perenne mo- a La città incantata, dove i protagonisti cuore puro, spetta il compito di ricreare vimento. Tra le distese geografie dei smarrivano la loro identità fino qua- un equilibrio tra la terra e il mare, forse paesaggi marini, concitate pescioline si a dimenticarsi il loro vero nome) e tra la vita e la morte come suggerisce rosse dal volto umano tentano di usci- da quel momento una nuova energia la sospesa sequenza finale. Se il mare re dalla loro bolla, una sfera protetta spalanca la forma chiusa ed embriona- s’impossessa della terra, allora non e controllata da un padre padrone - lo le della pesciolina in un nuovo stato, esistono più le malattie né sembra più strano stregone Fujimoto dalle sem- prima mostriciattolo anfibio, poi vera scorrere il tempo e persino le nonnine bianze umane e dalla chioma fluente: e propria bambina. In una danza sul- di Sosuke possono riprendere a cam- un uomo che ha raggiunto l’equilibrio le onde al ritmo della Cavalcata delle minare. Ma non è questo l’equilibrio con l’acqua. Immerso negli abissi Fuji- Valchirie, momento magico del film, in da rispettare: qui c’è l’imposizione del- moto oscilla sinuoso, quasi trasportato cui la scoperta di se stessa e la corsa la magia, la dittatura del più forte che passivamente dalle onde, in cambio verso la terra provoca un terribile e al resta sempre nel cinema di Miyazaki ha ottenuto la forza di muovere i flutti tempo stesso meraviglioso tsunami. la natura (splendidamente rappresen- governandoli a suo piacimento. A rom- Così se la terra è sommersa dalle ac- tata da una dea del mare - la mamma pere l’armoniosità della natura sarà la que in un cataclisma che ricorda molti di Ponyo - che lenisce i guai provocati sua primogenita, che vorrà avvicinarsi recenti disastri naturali, Miyazaki sce- dalla figlia). Là nell’abbraccio tra Sosu- al mondo terreno e per amore di un glie di raccontarlo con l’incanto dello ke e Ponyo, nella ricostruzione preca- bambino trasformarsi in essere uma- sguardo infantile, quello di Sosuke, che ria della città sull’acqua, c’è il ridonare no. Seguendo la celebre fiaba di Hans tra lo smarrimento e la sorpresa resta speranza all’umanità grazie alle future Christian Andersen, Miyazaki ce ne attonito di fronte alla potenza delle generazioni e al loro sguardo vergi- consegna una versione contrapposta onde e a quella bambina, che senza ne. Due bambini di cinque anni con la ai cupi toni sacrificali dell’originale e paura, le cavalca per raggiungerlo. E loro spontaneità, sospesi finalmente lontana dal semplicistico happy end così è soltanto calandosi negli occhi nell’aria per il loro primo bacio. del cartone disneyano. Della sirenetta, degli infanti che il mondo rivela il suo desiderosa di abbandonare il mondo lato più magico e la paura si scioglie Daniela Persico il giro del mondo 30 in 60 film saison culturelle RACCONTO DI NATALE Un conte de Noël

Regia: Arnaud Desplechin. Sceneggiatura: Emmanuel Bourdieu, Arnaud Desplechin. Fotografia: Eric Gautier. Musica: Grégoire Hetzel. Montaggio: Laurence Briaud. Sceno- grafia: Dan Bevan. Interpreti: Catherine De- neuve, Jean-Paul Roussillon, Mathieu Amal- ric, Emile Berling, Françoise Bertin, Laurent Capelluto, Anne Consigny, Emmanuelle Devos, David Frenkel, Hippolyte Girardot, Romain Goupil, Samir Guesmi, Azize Kabou- che, Chiara Mastroianni, Melvil Poupaud, Miglen Mirtchev, Clément Obled, Thomas Obled. Produzione: Pascal Caucheteux per Why Not Productions. Distribuzione: BIM. Origine: Francia, 2008. Durata: 150 minuti.

“Noi siamo all’interno di un mito ma Deneuve). Per accorrere in soccorso della storia che il suo credo le permette non so quale mito sia” scrive Henri a della madre, colpita dalla stessa leuce- di seguire, qualcosa assume improvvisa- sua sorella Elizabeth in una lettera di mia del figlio e in cerca di un donatore, mente una parvenza di vita, lontana dal- Natale, forma di comunicazione che non si riunisce l’intera famiglia per Natale: la fissità assegnata ad ogni personaggio. è altro che la reminescenza di un’edul- figli, nipoti, mogli, mariti e compagne; Un amore tenuto segreto è svelato nella corata educazione borghese. La lettera tutti varcano nuovamente la soglia della notte di Natale: un rimosso che ha bloc- è al centro del complesso rapporto tra casa d’infanzia, di quel tempio in cui re- cato una vita, quella dell’artista Simon, e una sorella amata e un fratello bandi- sta l’ombra dell’antica tragedia. Ed è tra non ha permesso alla dolce Sylvia di cre- to, in una famiglia segnata fin dalla sua le pareti della dimora, uno spazio fisso scere, vittima di una scelta non presa, di origine da una tragedia: la strana forma e chiuso, che fioriscono i miti personali un gioco di famiglia. Il racconto di que- di leucemia che ha ucciso Joseph, primo con cui Desplechin intesse la vicenda: i sto amore, racchiuso per tanti anni nella figlio di Abele e Giunone, quando era suoi ricordi della vita borghese e agiata curva malinconica degli occhi di Simon ancora bambino. Proprio nel disperato nella nordica Roubaix, vicino a Lille, la e nello smarrimento di Sylvia, si traduce tentativo di salvarlo era stato concepi- presenza del fantasma di una nonna li- nell’atto di una notte incantata baciata to Henri, figlio senza amore, inutile fin bera e controcorrente, la cui compagna dalla quotidianità dell’alba. I bambini dalla nascita nella mancata compatibi- è invitata proprio per il giorno di Natale saltano sul letto senza curarsi troppo lità con il fratello più grande. Il lutto ha (una storia legata all’autobiografia del con chi stia la mamma, il marito lancia coperto la luce degli avvenimenti, ha regista, che ne aveva già esplorate le po- uno sguardo incredulo e sottile, lei può creato un leggero distacco dalle cose in tenzialità nel documentario L’Aimée) e il solo rispondere con il sorriso: perché Abele e Giunone, ha velato di tristezza la suo amore per il cinema, in cui sacro e per un attimo un fantasma si è dissolto vita di Elizabeth, ha generato una rabbia profano si intrecciano nuovamente. Per e ora sarà la vita ad indicare delle nuove luciferina in Henri. Unico a possedere la quasi tutta la famiglia I dieci comanda- strade, anche lontane dalla penombra chiave di lettura di questa vicenda così menti di Cecile B. De Mille sostituiscono della casa di Abele e Giunone. Quasi si umana e normale, trasposta in mito dal- la messa di Natale, mentre l’elegante fosse finalmente rotto un tempo eterna- la narrazione fluida e piena di Arnaud versione de Il sogno d’una notte di mez- to: l’anti-Natale di Desplechin che rac- Desplechin. Henri sa che “la vita di ogni za estate del regista teatrale tedesco conta la notte dell’attesa, della gioiosa uomo è un incessante sforzo per ridur- Max Reinhardt è l’ennesimo segno del- nascita del Salvatore, parlando di chi ha re a chiarezza i suoi miti” come scriveva la realtà stratificata che il regista riesce negato il valore salvifico della nascita, Cesare Pavese. E Desplechin riconosce a portare sullo schermo. Le ombre del costruendo uno spettro su un bambino che l’artista non deve “vietarsi estetica- passato (raccontate nel prologo come morto e la nullità di un bambino appena mente lo sforzo più assiduo per ridurli a in un teatrino rubato all’immaginario nato. Per questo il film può aprirsi sol- chiarezza, cioè distruggerli. Soltanto ciò dell’artista afro-americana Kara Walker) tanto con una bara: il sogno di Henri che che rimarrà dopo questo sforzo (e qual- si allungano oltre le menti dei personag- ascolta le parole malvagie del padre al cosa non può non rimaner sempre, se è gi, oltre gli specchi che ne deformano i proprio funerale, l’incubo di ogni figlio vero che lo spirito è inesauribile), potrà volti. Sembrano addirittura prendere che continua a non trovare il suo posto valere come fonte di vita”. Così il suo corpo nel lupo nero che sta nascosto nella famiglia e nel mondo. Un incubo Racconto di Natale si muove attraverso in cantina, pronto a manifestarsi nelle che si perpetua, mentre le parole della i miti che segnano la cultura occidenta- stanze della casa: tutto grazie a un rapi- sorella Elizabeth – rubate a Shakespeare le, ad iniziare dalla coppia degli anziani do spostamento di campo, con il quale – ci invitano ad abbandonare l’intricata genitori che sanciscono una perfetta si gioca a confondere fantasia e follia, vicenda. Riconsegnarla allo statuto di unione fra tradizione cristiana (il padre realtà e immaginazione, focalizzazio- sogno o viverla come un’immersione Abele, interpretato con estrema calma ne interna ed esterna al racconto. E in profonda nel confessionale della nostra da Jean-Paul Roussillon) e reminescen- questo inseguirsi di figure mitiche, tra le società? ze pagane (la madre Giunone, incarnata quali entriamo con un’ebrea errante che dalla forza accentratrice di Catherine osserva distaccata e divertita la parte Daniela Persico il giro del mondo saison culturelle in 60 film 31 RACHEL STA PER SPOSARSI Rachel Getting Married

Regia: Jonathan Demme. Sceneggiatura: Jenny Lumet. Fotografia: Declan Quinn. Montaggio: Tim Squyres. Scenografia: Ch- ryss Hionis. Costumi: Susan Lyall. Musica: Donald Harrison Jr. Zafer Tawil. Interpreti: Anne Hathaway, Debra Winger, Bill Irwin, Rosemarie DeWitt, Anna Deavere Smith, Mather Zickel, Anisa George, Tunde Ade- bimpe. Produzione: Clinica Estetico, Marc Platt Productions, Sony Pictures Classics. Distribuzione: Sony Pictures Italia. Origi- ne: Usa, 2008. Durata: 116 minuti.

Più volte nel corso degli ultimi anni Jo- pleonastica la spiegazione teorica del za di una certa frontalità documentaria nathan Demme – ricordiamolo: premio regista che attribuisce il montaggio e la possibilità di decostruirla, come se Oscar per Il silenzio degli innocenti – ha disarmonico e franto del suo film alle si trattasse di una sorta di gioco di pre- espresso l’intenzione di abbandona- teorie dogmatiche di Lars Von Trier, stidigitazione di Orson Welles, offren- re il cinema di finzione per dedicarsi attribuendo in questo modo meriti al doci un racconto di finzione assoluta esclusivamente alla realizzazione e danese che a nostro giudizio non van- ma come mondato dei «peccati» della alla produzione di documentari. Qua- ta, Demme riesce con sorprendente finzione più deleteria. In questo senso lunque cosa si possa pensare di film fluidità, anche stando ai suoi elevatis- è illuminante l’utilizzo della diva Anne come The Agronomist o Heart of Gold, simi livelli qualitativi, ad amalgamare Hathaway, abituata a ben altro rigore della loro fattura formale o del discor- uno stile programmaticamente non da set, che tra le mani di Demme rivela so politico-poetico a essi sotteso, è narrativo con un racconto che invece non solo un virtuosismo d’attrice inso- innegabile che Demme ha sfruttato al risulta di fortissima presa emotiva ed spettato, ma soprattutto un’incredibi- meglio la propria posizione di regista efficacia (soprattutto se fruito nella le capacità di mimetizzazione del suo «hollywoodiano» – per quanto ormai versione originale che ovviamente è stesso talento. Tutto il cinema statuni- anche lui si trovi in una posizione mol- parte fondamentale della riuscita glo- tense più interessante, nella fattispecie to meno favorevole rispetto a qualche bale del film). la produzione che si affaccia nelle sale decennio fa – per creare delle possibi- Demme infatti non usa l’approccio tra la fine degli anni Sessanta e che im- lità di spazi alternativi a delle modalità spigoloso che la macchina a mano o prime un’impronta indelebile a tutto il espressive che negli Stati Uniti (come a spalla gli garantisce per privilegiare decennio successivo, viveva di questo nel resto del mondo, d’altronde) sono un inutile esibizionismo tipico invece equilibrio che poi si è rivelato irripe- ridotte a poche situazioni più o meno del collega danese. La possibilità di tibile: un tensione ibrida fra elementi privilegiate. Inevitabile quindi che avvicinarsi ai personaggi privo degli spuri in grado di offrirsi come ipotesi di l’ultima produzione più strettamente ancoraggi di sicurezza che offre la co- una pratica produttiva e di linguaggio narrativa del regista sia risultata pro- siddetta modalità documentaria per- articolati in una fertile dialettica aper- fondamente influenzata dal suo ap- mette al regista non solo di sfondare ta all’innovazione. Demme oggi, con la proccio «documentario». Basti pensa- dall’interno le restrizioni temporali resa di Scorsese, il silenzio coatto di re al filmSongs in the Front, dedicato al che in una narrazione tradizionalmen- Michael Cimino, le lunghe pause filmi- menestrello folk-psichedelico Robyn te strutturata caratterizzano la descri- che di Coppola, l’invisibilità dei nuovi Hitchcock, musicista che compare a zione d’ambiente e la presentazione film di Schrader, rappresenta forse la sorpresa in Rachel sta per sposarsi, co- dei personaggi, ma soprattutto di rein- sola possibilità di sopravvivenza di stituito da un’unica lunga inquadratura ventare, all’interno di questo presunto una «certa idea di cinema americano». fissa e che è esemplare della poetica e anarchismo formale, una sintassi cine- E conferma che la più grande astuzia delle strategie attraverso le quali Dem- matografica rinnovata. Basti pensare del cinema, pari solo a quella del dia- me è solito approcciarsi alla musica. alla sequenza del bagno di Anne Ha- volo che opera in maniera analoga, è Senza volere introdurre una distinzio- thaway, lavata nella vasca della sorel- di farci credere che non esiste (e che è ne forzata tra presunti generi come la la: nonostante la fluidità della scena, il stato sostituito dal documentario, po- finzione e il documentario, è non di montaggio e la tipologia delle inqua- tremmo aggiungere). Menzogna, que- meno rigenerante osservare come Jo- drature rivelano, inconfutabilmente, sta, che solo i più grandi registi di tutti nathan Demme proceda a scollare gli che si tratta di un momento di cinema hanno saputo rendere una strategia di elementi della narrazione tradizional- costruito con sapienza e grande umil- lavoro. E forse Demme appartiene alla mente «invisibile» in uso a Hollywood tà figurativa. Demme, quindi, è come loro categoria. e maldestramente imitata nel resto del se cercasse la verità emotiva dei suoi mondo. Per quanto risulti francamente personaggi in un equilibrio fra l’urgen- Giona A. Nazzaro il giro del mondo 32 in 60 film saison culturelle SI PUÒ FARE

Regia: Giulio Mandredonia. Soggetto e sceneggiatura: Fabio Bonifacci e Giulio Manfredonia. Fotografia: Roberto Forza. Musica: Aldo De Scalzi. Montaggio: Ceci- lia Zanuso. Scenografia: Marco Belluzzi. Costumi: Maurizio Millenotti. Interpreti: Claudio Bisio, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Giorgio Colangeli, Bebo Storti, Andrea Bosca, Carlo Giuseppe Gabardi- ne, Andrea Gattinoni, Pietro Ragusa. Pro- duzione: Andrea Rizzoli Jr., Angelo Rizzoli Jr. per Rizzoli FIlm. Distribuzione: Warner Bros Pictures Italia. Origine: Italia, 2008. Durata: 111 minuti.

A suo modo il film di Manfredonia è sottile rovesciamento che in realtà singolo o la squadra?” Manfredonia esemplificativo di una certa tendenza ne esalta il funzionamento. Manfre- risponde: “valgono di più i singoli che del cinema italiano contemporaneo. donia riesce a replicare con grande lavorano tutti insieme per il bene del- Sempre alla ricerca di altre realtà e di efficacia la classica formula del film la squadra”. altri orizzonti contenutistici, la nostra sportivo statunitense per conferire Ovviamente lungo la traiettoria della produzione attuale, almeno quella un valore drammatico al suo apologo parabola che conduce al trionfo mo- dotata di un minimo di discernimento morale e politico. Bisio è il coach eso- rale anche il coach ha il suo momento e di gusto, tenta di rilanciare la sempi- nerato dalla sua squadra precedente di sconforto. La redenzione, però, sarà terna carta dell’impegno guardandosi che deve inventarsene un’altra sen- tanto più forte, quanto più determi- bene però dal trascurare l’approccio za avere a disposizione non solo un nata sarà la presenza della compagna umoristico. Praticata con il bilancino fuoriclasse degno di questo nome ma al suo fianco. Si può fare è anche il degli ingredienti del farmacista que- nemmeno un semplice giocatore che racconto dell’economizzazione delle sta strategia ha mostrato ben presto conosca i fondamentali. In perfetto relazioni e degli affetti: risorsa poten- i suoi limiti, rivelandosi arida maniera ossequio alla tradizione hollywoo- zialmente accessibile a tutti ma che portatrice di una falsa coscienza - se- diana (Frank Capra è dietro l’angolo), solo pochissimi sanno far funzionare gno della crisi di un’idea che un’intera l’allenatore, prima ancora di mettersi con cognizione di causa. Manfredonia generazione ha avuto e probabilmen- a pontificare di sport e performance, pratica la sua variante di commedia te ha tuttora del cinema italiano. fa appello alla dignità di quella che all’italiana al riparo degli acidi di un Pur non sottraendosi a tali dinamiche, potrebbe essere la sua futura squa- Risi o degli sberleffi anarchici di un Si può fare ha il merito di manifestarle dra. Nello specifico, l’intuizione che Salce. Di Comencini conserva la tene- in positivo. Nella vicenda del sinda- dai lavori socialmente inutili si pos- rezza e dimentica il veleno. Portatore calista Bisio esiliato dai compagni in sa passare a quelli utili e collocarsi di un «buonismo» non troppo ragio- una cooperativa dove si tenta di recu- produttivamente sul mercato. Ossia nevole, Si può fare è opera tipica del perare dei disabili mentali nel quadro diventare dei produttori e dei consu- cinema italiano (per tutti gli elementi delle teorie di Basaglia, Manfredonia matori. Produttori di lavoro proprio e che abbiamo tentato di evidenziare) dimostra non solo di sapere tradur- consumatori di beni selezionati. e atipica (perché Manfredonia rie- re con un preciso senso del ritmo le Come si vede, Bisio il suo «goal» ce sce «comunque» a far funzionare la premesse ideologiche del suo film (il l’ha negli occhi e Manfredonia, con formulare piuttosto che limitarsi a dibattito iniziale che lacera tuttora il un’abilità davvero poco italiana e esibirla come tale). In questo senso sindacato, teso fra lavoro e mercato, è soprattutto poco televisiva, riesce si offre come un esempio di cinema risolto con un montaggio velocissimo a mettere in piedi un racconto che industriale, funzionale e funzionante, degno di un thriller), ma riesce a insi- procede esattamente come una pa- che rivela anche la tenuta del mestie- nuare credibilità nei suoi personaggi rabola di formazione sportiva. Gli al- re di un cineasta che, dall’interno di evitando che a parlare sia la sceneg- lenamenti iniziano ovviamente con un dato sistema, riesce a produrre un giatura, preferendo di conseguenza qualche difficoltà e quello che sem- film dotato di una voce propria. A ben puntare l’attenzione sulla messa in brerebbe essere un errore madornale rifletterci non è un risultato da poco: scena del lavoro. La grande intuizio- si rivela essere epifania di talento. Il nonostante qualche eccessiva legge- ne di Manfredonia, a ben vedere, è migliorare progressivo delle condi- rezza nella caratterizzazione del disa- da un lato avere ben strutturato la zioni di lavoro comporta non solo una gio mentale, Si può fare vale più per la riconoscibilità di genere del suo film, maggiore complicità ma soprattutto tenuta globale che per le sue appros- ossia una «commedia sentimentale l’emergenza dell’irriducibilità dei sin- simazioni. impegnata», dall’altro di avere, all’in- goli tratti caratteriali. Alla domanda terno di questi elementi, operato un squisitamente agonistica, “vale più il Giona A. Nazzaro il giro del mondo saison culturelle in 60 film 33 TEZA

Regia e sceneggiatura: Haile Gerima. Foto- grafia: Mario Masini. Montaggio: Haile Ge- rima. Scenografia: Seyum Ayana, Patrick Dechesne, Alain-Pascal Housiaux. Costu- mi: Genoveva Kylburg. Musica: Vijay Iyer, Jorga Mesfin. Suono: Martin Langenbach. Interpreti: Aron Arefe, Abiye Tedla, Take- lech Beyene, Teje Tesfahun, Nebiyu Baye, Mengistu Zelalem, Wuhib Bayu. Produ- zione: Negod-gwad Production, Pandora Film. Distribuzione: Ripley’s film. Origine: Germania, Etiopia, Francia, 2008. Durata: 140 minuti.

La potenza visionaria e politica del che inquadratura dopo inquadratura Occidente, di una fotomodella è prece- cinema di Haile Gerima riaffiora intat- definisce un lento, progressivo e inar- duto da una sorta di prologo visionario ta in Teza, il lungometraggio con cui il restabile scioglimento dei nodi in cui dove il montaggio visivo e sonoro (ele- cineasta etiope, nonché figura di rife- la memoria è stata bloccata, liberando mento che caratterizza tutta l’opera di rimento della diaspora africana negli infine le immagini e i corpi dagli strati Gerima) crea continue aperture di sen- Stati Uniti, è tornato dietro la macchina più pesanti del passato, ma solo dopo so e di connessioni spazio-temporali. da presa. Sebbene siano trascorsi quasi avere fatto i conti con esso. Anberber, Fin quando il rapporto con il passato dieci anni dal suo precedente lavoro, il in una delle frasi più significative, dice non sarà regolato, anche il film, come documentario sul colonialismo italia- proprio di avere la memoria bloccata. il protagonista, non potrà sciogliersi in no Adwa, Gerima mostra di non aver La sua memoria è rinchiusa in un labi- un procedere meno nervoso. Teza è perso il contatto con la Storia e con un rinto di immagini e suoni, quel labirin- un film storico che sgretola del tutto modo di narrarla non convenzionale. to magistralmente costruito da Gerima la geografia di questo genere nel met- Segno di un’opera inscritta in una mi- nell’incipit di Teza, una lunga, espansa tere in scena l’Etiopia di Haile Selassie, litanza mai dismessa, anzi rivendicata serie di istanti, di visioni, o meglio di quella del regime marxista di Haile nel corso del tempo come gesto impre- allucinazioni, del protagonista, da un Mariam Mengistu, quella dei rivolu- scindibile, Teza (che significa rugiada) letto d’ospedale dove giace grave- zionari come Anberber che credevano è un viaggio, soggettivo e non crono- mente ferito o da quello dove dorme nella lotta per dare al popolo una reale logico (senza didascalie o capitoli che nel villaggio d’origine in cui è tornato. possibilità di cambiamento e migliora- semplifichino il percorso), nella storia Immagini che, come schegge che si mento sociale, quella che fu lacerata dell’Etiopia. Il viaggio fa ricorso a una incontrano in un gioco di sovrimpres- dall’occupazione fascista. solida struttura di finzione dalla quale sioni, costituiscono attimi provenienti Film anti-dogmatico e pacifista, ma per fare emergere fatti, episodi, lotte per da un passato confuso, dentro il quale nulla riconciliato, Teza consegna il fu- l’emancipazione di un popolo dalle fare a poco a poco chiarezza. Il ritorno turo a un protagonista zoppicante che dittature e repressioni che subì. Un a casa dell’intellettuale e medico non diventerà il nuovo maestro del villag- doloroso percorso nella memoria che viene dunque descritto da Gerima in gio, alla sua anziana madre, a una don- descrive il disorientamento, gli incu- modo cronologicamente ordinato. Non na ritenuta pazza, che darà alla luce un bi, le ossessioni che ingombrano la sarebbe possibile, a meno di tradire il bambino avuto da Anberber, e a una mente e il presente di un uomo, l’in- personaggio, il suo disagio interiore, il comunità di ragazzini. Si chiamano i tellettuale etiope Anberber. Attraver- suo procedere claudicante, costretto a figli del drago e vivono in una grotta, so la sua esperienza, in Etiopia come portare una gamba artificiale da quan- loro rifugio per sottrarsi all’esercito in Germania, dove negli anni Settanta do perse la sua nel suo ultimo soggior- che rastrella i villaggi per reclutare studiò medicina, e dai suoi occhi pren- no a Colonia, nella Germania unificata militari in un’Etiopia non ancora pa- dono forma avvenimenti pubblici e dopo il 1989, in seguito a un’aggres- cificata. In quella caverna il film «ri- personali con i quali Anberber, figura sione. Inoltre Gerima, fin dagli esordi posa», alla luce delle candele accese simbolica di un’intera popolazione, è di una filmografia indissolubilmente in che i bambini tengono in mano. In uno costretto a confrontarsi se vuole poter viaggio fra l’Etiopia e gli Stati Uniti, non spazio sospeso e senza tempo che si ricominciare a incamminarsi nel pre- è un regista che ama le strutture nar- ricollega alle immagini dei titoli di te- sente verso il futuro. Teza è un film che rative lineari. Così, l’inizio di Teza non sta, ai dipinti guerrieri lì collocati, segni trova le sue fonti in quella che negli solo è funzionale al testo, ma si ricol- anch’essi senza tempo di una memoria anni Settanta fu la stagione del cosid- lega con precisione all’inizio di uno dei resistente che dialoga con il presente detto «terzo cinema» militante, che suoi film più noti, Sankofa (1993), in e il futuro. scardina le regole di una costruzio- cui il viaggio nel passato, al tempo del- ne classica dello spazio e del tempo, la deportazione degli schiavi africani in Giuseppe Gariazzo il giro del mondo 34 in 60 film saison culturelle TI AMERÒ SEMPRE Il y a longtemps que je t’aime

Regia e sceneggiatura: Philippe Claudel. Fotografia: Jérome Alméras. Montaggio: Virginie Bruant. Musica: Jean-Louis Au- bert. Scenografia: Samuel Deshors. Co- stumi: Laurence Esnault. Interpreti: Kristin Scott Thomas, Elsa Zylberstein, Serge Hazanavicius, Laurent Grévill, Frédéric Pierrot, Claire Johnston, Catherine Ho- smalin, Jean-Claude Arnaud. Produzione: Canal Plus, France 3 Cinéma, Integral Film. Distribuzione: Mikado. Origine: Francia, 2008. Durata: 115 minuti.

Non capita a tutti gli ex-detenuti di dove il marito (Hazanavicius) della la pellicola. Verità che Kristin Scott reinserirsi come Edward Bunker che, sorella non vede certo di buon oc- Thomas riesce magicamente a tratte- dopo aver passato diciotto anni in chio l’avvicinarsi di Juliette alle loro nere nel proprio sguardo, che solo a cella, è diventato Mr. Blue in Le Iene due figlie adottive. tratti viene lacerato da un dolore che di Quentin Tarantino e, soprattutto, Claudel sembra avvicinarsi in punta riemerge brutale. un romanziere di successo. Philippe di piedi alla sua eroina, «limitando- Ed è un peccato che il regista, dopo Claudel, anch’egli scrittore di una si» a braccarla silenziosamente nella aver a lungo magistralmente tratte- certa fama, per il suo esordio sul sua nuova quotidianità, in quei gesti nuto quelle stesse verità in un an- grande schermo ha scelto invece una normali, elementari, con cui ci si ri- golo di schermo, senta il bisogno di «normale» storia di reinserimento appropria del mondo per sentirsi estirparle in un finale che ha troppa nella società, un numero di matri- vivi, di nuovo. Juliette sfiora la su- fretta di spiegare, di riempire i silen- cola carceraria che prova a rientrare perficie liscia delle cose e i suoi ge- zi con le parole e di affidarsi ad una in possesso della propria esistenza, sti si fanno parola, parole che spesso questione morale a dir poco conso- a trasformarsi semplicemente in un valgono mille e più di quelle scritte latoria - anche un po’ paradossale, nome ed in un cognome qualunque. o dette. In questo, Ti amerò sempre se si pensa a come la stessa cosa La collina del Sunset Boulevard è lon- è un intimo melodramma raggelato, era stata resa visivamente nel resto tana, così come l’America del Grande dove Juliette sembra essere sola- del film. È come se in quel momento Sogno. Qui siamo a Nancy, nella tran- mente l’esempio più ingombrante fosse deflagrata la provenienza -let quilla provincia francese, dove già di una solitudine che avvolge più teraria dell’autore e il testo avesse l’eco di Parigi non è altro che un fa- o meno tutti nel film, come fossero preso il sopravvento sulla visione. A stidioso brusio, figuriamoci Hollywo- tante parabole solitarie che si sfio- dire il vero già altrove aveva provato od. Claudel non è certo ai sogni che rano vivendo. Ed è in quei lunghi a fare capolino nel film, visto che in guarda, ma ad una semplice storia di primi piani che quasi sospendono alcuni momenti si avverte il peso di ritorno alla vita, ad una donna che l’azione, che Claudel isola i propri una sceneggiatura i cui dialoghi sono aspira nient’altro che alla normalità. personaggi (anche grazie ad una forse un po’ troppo verbosi, soprat- Juliette (Kristin Scott Thomas), dopo colonna sonora azzeccata, realizza- tutto a cospetto di una leggerezza aver scontato quindici anni di prigio- ta da Jean-Louis Aubert, l’ex «fron- di sguardo davvero encomiabile. Ma ne, si ritrova catapultata in un’esi- tman» della rock band transalpina era sembrato il vezzo di uno scrittore stenza che non aveva mai vissuto e dei Téléphone, con sonorità che desideroso di ritornare per un attimo che forse nemmeno pensava (e me- ricordano molto da vicino quelle in un territorio per lui più rassicuran- ritava) di avere. Ad inseguirla c’è il del Ry Cooder di Paris, Texas), co- te, niente di più. Ecco perché, quel fantasma del terribile delitto che ha stringendoli in un angolo a confron- cedere conclusivo, stride con l’irre- commesso – l’uccisione del figlio di tarsi con le tracce di un passato che prensibile parsimonia espressiva con sei anni – mentre ad aspettarla c’è la sembra avvolgerli indelebilmente, cui aveva narrato il film. Sarebbe sta- sorella Léa (Zylberstein, sofferente violandone persino l’epidermide to più coerente lasciar parlare quel musa di Raoul Ruiz), molto più giova- alla ricerca di un’emozione. Lacerti volto, le cui sofferenze solo nel fina- ne di lei, con la quale ha un rapporto di vita emergono dai loro volti, dal- le sembrano arrendersi ad un tenue tutto da costruire. Ma è la sua vita le mani che lambiscono altre mani sorriso, quasi stupito nel ritrovarsi ad intera a dover esser ricostruita. Per e dagli occhi che piangono lacrime osservare qualche goccia di pioggia di più in un mondo che sembra acco- appartate. Sono piccoli gesti quasi che scivola lungo un vetro. glierla con sospetto e circospezione, sottratti a se stessi, che nascondono a cominciare dalla nuova famiglia quelle inenarrabili verità per tutta Lorenzo Leone il giro del mondo saison culturelle in 60 film 35 TONY MANERO

Regia: Pablo Larraín. Sceneggiatura: Pablo Larraín, Alfredo Castro, Mateo Iribarren. Fotografia: Sergio Armstrong. Montaggio: Andrea Chignoli. Scenografia: Polin Gar- bisù. Suono: Miguel Hormazàbal. Musica: The Bee Gees, Juan Cristóbal Meza, José Alfredo Fuentes, Frecuencia Mod. Inter- preti: Alfredo Castro, Amparo Noguera, Héctor Morales, Paola Lattus, Elsa Poble- te. Produzione: Fabula Productions, Prodi- gital. Distribuzione: Ripley’s film. Origine: Brasile, Cile, 2008. Durata: 98 minuti.

Come parlare della dimensione poli- appena espressi (“dovremmo andare chiuso e violento. Raul segue il suo tica dell’esistenza in un’epoca in cui lontano”), parole, sguardi e comporta- mito con liturgica precisione, offician- tale dimensione sembra sfuggente e menti che sembrano semplicemente do ogni giorno al rito della visione del al contempo pervasiva, senza più di- negare la realtà (i concorsi dei sosia, film, ripetendo fedelmente le battute stinzioni tra sfera pubblica e privata? Il l’attenzione posta esclusivamente ai in lingua originale, vivendo dunque il cinema lavora da sempre sulle pieghe propri problemi quotidiani). Tutto sem- cinema come possibilità di occludere dell’esistenza, accettando la sfida di bra dipingere con chiarezza un quadro lo sguardo, anziché aprirlo. raccontare con le proprie immagini le in cui l’esistenza è dominata da una La macchina da presa di Larrain segue il sfumature più nascoste del complesso dimensione politica che porta all’oblio, personaggio – violento, sgradevole, in- rapporto tra l’individuo e la Storia, tra alla scelta di rinchiudersi in se stessi, sostenibile – dall’inizio alla fine senza il singolo e l’esistenza collettiva. Tony creando, come fa Raul-Tony, un mon- staccare mai, alternando le inquadra- Manero, secondo film del cileno Pablo do capace di escludere perfettamente ture secondo la regole dell’ellissi, con Larrain, sfugge con uno straordinario ogni esteriorità, ogni richiamo alla di- uno stile costante (macchina a mano ed controllo dei mezzi a disposizione alle mensione politica e collettiva. inquadrature in movimento continuo), trappole del film a tesi, il pericolo sem- Raul è ossessionato dal personaggio che non lascia respiro allo spettatore, pre in agguato di ogni cinema politico, Tony Manero, fino ad identificarsi in lui lo costringe a stare con il personaggio, seguendo con ossessiva compulsione o, meglio, fino a concentrare ogni sfor- a seguirne i gesti e gli sguardi vuoti e il frammento di vita del suo personag- zo della sua esistenza in lui, annullando folli. Raul cercherà la sua via persona- gio (presente in ogni inquadratura del ogni possibile altro (la realtà, gli affetti, le, tentando in tutti i modi di perdere film), Raul Peralta, alias Tony Manero, la Storia). Raul si trasforma allora in un la propria identità e di trasfigurarsi cinquantenne di Santiago, povero, di- contemporaneo «uomo senza quali- nell’unico altro che egli riconosce. La sperato, attraversato da un’unica to- tà». A differenza di Ulrich, il personag- sua sconfitta (arriverà secondo nella talizzante idea: quella di identificarsi gio di Musil, all’assenza totale di ogni gara dei sosia di Tony Manero) non con- totalmente nel suo mito, che è appun- interesse, Raul sostituisce l’ossessione, cluderà la sua parabola: semplicemen- to il personaggio interpretato da John allo svuotamento l’elezione di un mito te lo consegnerà all’elenco senza fine Travolta nel film di John Badham, usci- ad unico orizzonte possibile. Proprio in degli sconfitti. Visione terribile, questa, to nel 1977, a quattro anni dal golpe virtù di questo spostamento, l’uomo che mostra una doppia immagine del militare del generale Pinochet (che ha senza qualità (paradigma dell’antipoli- cinema, capace di raccontare spietata- gli occhi azzurri, come dice una vecchia tica di Musil) si trasforma nella matrice mente l’adesione senza adesione alla all’inizio del film). del rifiuto contemporaneo del politico, dittatura (Raul è di fatto un frutto del La storia di Raul-Tony si svolge all’in- che, a differenza dell’orizzonte descrit- controllo politico della dittatura cile- terno del Cile sotto la dittatura milita- to dallo scrittore, si configura come for- na) e al tempo stesso capace di offrire re, che Larrain sceglie di rappresentare ma crudele, violenta e cinica. Raul non una via di fuga patologica dalla realtà. saggiamente non attraverso evidenti ha problemi ad uccidere, a coinvolgere Poche volte la sala buia di un cinema contrapposizioni, ma tramite una se- la famiglia e i suoi cari nella spirale di è sembrata così soffocante e priva di rie molteplice di accenni, dettagli che violenza che di fatto attraversa il Pae- vita come nelle immagini girate da Lar- sembrano ininfluenti e che restitui- se. Egli non è affatto contrapposto alla rain, poche volte un film (anche un film scono invece, con crudeltà e oggettiva violenza di Stato, ne è, in un certo sen- così straordinariamente «aperto» come freddezza, la presenza di una dittatu- so, il prodotto più perverso. L’immagine quello di Badham), è sembrato indiffe- ra nei comportamenti quotidiani, nel cinematografica, che si sprigiona dalle rente al mondo, incapace di gettare su modo di parlare, pensare, muoversi visioni ripetute de La febbre del saba- di esso il suo sguardo alternativo. delle persone. Battute brevi e veloci to sera, anziché liberare lo sguardo lo (“Il paese è ora più ordinato”), desideri imprigiona in un mondo soffocante, Daniele Dottorini il giro del mondo 36 in 60 film saison culturelle TULPAN LA RAGAZZA CHE NON C’ERA Tulpan Regia: Sergey Dvortzevoy. Sceneggiatura: Sergey Dvortzevoy, Gennadi Ostrovsky. Fotografia: Jolanta Dylewska. Montaggio: Isabel Meier, Petar Markovic. Scenografia: Roger Martin. Costumi: Kaziza Korshiyeva. Interpreti: Akhat Kuchencherekov, Ondas Besikbasov, Samal Esljamova, Tulepber- gen Baisakalov, Bereke Turganbayev, Nur- zhigit Zhapabayev, Mhabbat Turganbaye- va, Amangeldi Nurzhanbayev, Tazhyban Kalykulova, Zhappas Zhailaubaev, Esentai Tulendiev. Produzione: Pallas Film, Pan- dora Film. Distribuzione: Bim distribuzio- ne. Origine: Svizzera, Germania, Polonia, Russia, Kazakhistan, 2008. Durata: 100 minuti.

Nella steppa non c’è posto per i sin- nante anche nella sua apparente na- chie antiche o stabilite da funzionari gle, maschi almeno: se si vuole es- turalezza di casualità. A cominciare e dal potere che decidono come vi- sere pastori, avere un gregge, della dalla predilezione per luoghi e per- vere e che scelte fare. Ciò che sfugge terra, dunque il lavoro necessario a sonaggi marginali, lontani da tutto e è l’elemento fisico, il deserto e la sua vivere, si deve prima prendere mo- da tutti, che rende le geografie della energia che nessuna regola può do- glie. È quanto patisce appena tor- sua terra tracce esistenziali e dichia- mare, costringendo così a invenzioni nato a casa dal servizio militare il razione di poetica. e riposizionamenti continui. giovane Asa. La divisa da marinaret- Bread Day (1998), uno dei suoi do- Non è la contrapposizione tradizio- to sbandierata con il molto onore di cumentari, racconta la giornata del ne/modernità che interessa il cinema avere servito la patria, poco vale in pane in un piccolissimo villaggio di Dvorstevoy ma piuttosto la libertà quell’angolo remoto di Kazakistan escluso dal mondo, in cui l’arrivo che dentro a una situazione obbligata dove la prima città dista centinaia di del pane per i suoi pochi abitanti, di- resta agli esseri umani. Il vecchietto kilometri e il quotidiano di uomini e venta un rito e un avvenimento. Così cieco che non si arrende o gli abitanti donne e bimbi, come sua sorella, il In the Dark, che pur essendo girato di quel lontano villaggio che hanno marito e la famiglia, respira seguen- in una periferia di palazzoni grigi e reso una condizione di svantaggio do il movimento del vento, il blu del anonimi di Mosca, ci porta dentro un un elemento quasi fiabesco. Così cielo, le tempeste di polvere, violente universo umano scomparso. Quello i pastori nomadi kazaki, tra i quali e inaspettate, il ciclo delle nascite e del protagonista, un uomo anziano e l’esperienza del concreto si trasfor- delle morti degli animali. Che si de- cieco che vive nel suo povero appar- ma in elaborazione fantastica lungo vono sapere ascoltare, se ne devono tamento insieme al gatto e intreccia il filo di un orizzonte infinito, antico, cogliere la fame, i dolori, la fertilità fili di plastica per fabbricare borse: immutabile come il ciclo della vita ... Asa è un ragazzo e ha due grandi sportine della spesa, per noi molto eppure in continuo cambiamento. È orecchie, vuole obbedire alla sorella «moda vintage» lì segno invece di anche, in questo movimento intorno e al cognato e diventare anche lui pa- un’epoca sovietica di miseria che la alla realtà, la scommessa del regista, store. Però si sente attratto dalla città, nuova Russia preferisce cancellare. laddove documentario e finzione dalle automobili, dalle fotografie di La stessa dimensione è presente si incontrano in una forma-cinema. una vita diversa che sembra un altro in Tulpan. Anche qui siamo in uno Poco importa se ci sono gli attori e la tempo, almeno finché non vede Tul- spazio remoto dove passato arcaico «storia» come in Tulpan, perché nei pan, giovane bella, bellissima, delica- di tradizioni e presente di presunta suoi film i protagonisti sono comun- ta e misteriosa. La famiglia la vorreb- modernità cozzano scivolando per que «personaggi», il perimetro della be sua sposa, lei no. Asa non le piace forza l’uno nell’altro. Perché è ovvio loro vita e del loro agire è quello che e non le importa che pure Carlo di che anche i pastori non possono ri- determina l’immagine, il suo ritmo Inghilterra ha le stesse orecchione a manere indifferenti al mutamento di e il suo tempo interno. La realtà per sventola. A lei quel ragazzo goffo e un logiche sociali, economiche, ai diver- Dvorstevoy prende forma nel raccon- po’ stupidino proprio non interessa. si stimoli che arrivano dall’esterno; to dei singoli o di una comunità, co- Tulpan - La ragazza che non c’era è alla fascinazione di una vita como- munque nelle persone che ne sono l’esordio alla finzione di Sergei Dvor- da e meno esposta all’intermittenza al centro, in quel loro confronto o stevoy, anche se parlare di generi per della natura quale può offrire la città contrapposizione di sopravvivenza questo regista kazhako quarantaset- pure se sottoposta a altre forme di (meglio, esistenza) che dichiara uno tenne risulta limitante. Il suo è un controllo e a una indifferenza gene- spazio di libertà. cinema costruito nei dettagli, dove ralizzata. Questo non vuol dire che la la messinscena è il dispositivo domi- campagna sia libera, chiusa in gerar- Cristina Piccino il giro del mondo saison culturelle in 60 film 37 TWO LOVERS

Regia: James Gray. Soggetto e sceneggia- tura: James Gray, Ric Menello. Fotografia: Joaquín Baca-Asay. Montaggio: John Axe- lrad. Musica: Dana Sano. Costumi: Michael Clancy. Interpreti: Joaquin Phoenix, Gwy- neth Paltrow, Vinessa Shaw, Isabella Ros- sellini, Elias Koteas, John Ortiz, Samantha Ivers, Jeanine Serralles. Produzione: 2929 Productions. Origine: Usa, 2008. Durata: 110 minuti.

Leonard Kraditor è un adulto che una gio di Stewart-Hitchcock: il detective che cade tra le braccia di due amanti. storia d’amore brutalmente interrotta innamorato di La donna che visse due Il film è bello anche per questo, perché fa regredire allo stadio d’adolescente volte. Anche qui, si tratta di una citazio- radicalizza, in un solo personaggio, un attardato. Avrebbe dovuto sposarsi ne e al tempo stesso di una manipola- confronto che nei film precedenti era con la donna della sua vita; quando le zione dell’originale. Sebbene anche in affidato a due esseri distinti. La lotta di analisi del sangue mostrano che una Vertigo il protagonista cade all’inizio Phoenix è tutta con se medesimo. Ma malattia genetica comune impedirà del film, la caduta del suicida Leonard è la lotta di una persona banale. Il suo loro di avere figli sani, lei scompare e fa pensare piuttosto al (doppio) per- sogno di vivere un’avventura califor- lui cade in una depressione suicida. La sonaggio interpretato da Kim Novak, niana con la bionda Michelle, non ha cosa bella e interessante di James Gray la celebre donna che visse due volte, niente a che vedere con le avventure è la sua capacità di prendere le storie una volta in bionda e un’altra in bruna. del reporter Jeff. Tutte queste svolte del cinema come archetipi letterari E che due volte cadde. Anche Leonard servono a farci capire che in verità da invertire, manipolare e rimettere cade due volte. La prima è il suicidio Leonard, non solo non sa scegliere, in gioco per trarne nuove inedite le- nel fiume Hudson che apre il film. ma in ultima analisi non può. Che si zioni morali. We own the night, era una Deluso dal suicidio mancato, Leonard tratti della fotografia, del commercio tragedia di stampo coppoliano. Qui, arriva trascinando per terra una co- o dell’amore, le sue non sono vere nel depresso bipolare Leonard, Gray pertina alla Linus e se ne va come era passioni ma i passatempi di un essere fa rivivere il fotografo di La finestra venuto. È una banderuola al vento che eminentemente grigio. È per questo sul cortile interpretato a suo tempo il film si diverte a stropicciare a piaci- che è bella l’idea che l’anello che lui da James Stewart. Sia per il pubblico mento. Durante una cena organizzata aveva comprato per la bionda Michel- di Hitchcock allora sia per lo spetta- dalla famiglia, egli fa conoscenza con le finisca al dito della bruna Sandra. tore di Gray oggi, è difficile capire la Sandra. Il giorno dopo, il caso gli met- Qui, Leonard getta metaforicamente ritrosia dei protagonisti nei confron- te sul pianerottolo un essere all’appa- a mare la propria vita. Una delle sue ti delle «avance» rispettivamente di renza fragile con il quale si convince di due vite possibili. Ma la psicologia del Grace Kelly e di Vinessa Shaw. Nel pri- avere delle cose in comune: la bionda personaggio non emerge da questo mo caso Stewart era un reporter che Michelle. In verità Michelle, il nostro gesto di stizza, tante volte visto fare un incidente sul lavoro costringeva eroe lo scoprirà poco dopo, non cerca in molti film da personaggi ben più per un mese ad una vita sedentaria un «lover» ma un confidente al quale coerenti. La natura di Leonard affiora ed esponeva alle attenzioni moleste parlare del rapporto burrascoso con il infatti poco dopo il lancio, quando il di una modella newyorchese. L’im- proprio amante. Sandra risorge allora nostro scende in spiaggia per ripren- maturità sentimentale andava di pari con un semplice colpo di telefono. dersi il gioiello. C’è in questo compor- passo con lo spirito da scavezzacollo, Sembra un ritorno indesiderato, ma tamento l’essenza della famiglia, dove entrambi rendevano l’eroe partico- quando la bruna bussa alla porta Leo- niente è definitivo, tutto è recuperato, larmente ricettivo alla comprensione nard decide di baciarla. Fino all’ultimo trasmesso. Two Lovers è un film fero- del muliericidio che avveniva nell’ap- momento del film, l’eroe è sballotta- ce. Lo sguardo in macchina della fine partamento di fronte. Anche Leonard to tra l’una e l’altra opzione. Tra due non è quello di chi ha perso un grande guarda dalla parte opposta del cortile donne che rappresentano anche due amore e si è dovuto accontentare di una finestra dove pensa di trovare un vite, una avventurosa e una borghe- un comodo volersi bene. È il vuoto di essere travagliato da desideri simili ai se. Il due è il numero del cinema di chi si era illuso di essere una persona suoi, con la medesima stessa vita di Gray. Simboleggia il remake. Il ritorno speciale, capace di scelte e di rotture, adolescente attardato. Soltanto che, su un personaggio già filmato. Qui la e che invece si è risvegliato nel corpo contrariamente a Jeff diLa finestra sul doppiezza è senza pluralità: oppo- di un uomo mediocre. cortile, Leonard si sbaglia di grosso. sta all’interno stesso personaggio, La stessa cecità di un altro personag- quest’ultimo è un depresso bipolare Eugenio Renzi il giro del mondo 38 in 60 film saison culturelle VALZER CON BASHIR

Regia e sceneggiatura: Ari Folman. Mon- taggio: Nilli Feller. Musica: . Scenografia: David Polonsky. Interpreti: Ari Folman, Mickey Leon, , Ye- hezkel Lazarov, Ronny Dayag, Shmuel Frenkel, Dror Harazi, Ron Ben-Yishai, Gae- tano Varcasia, Massimo Rossi, Franco Man- nella, Angelo Maggi, Gianni Bersanetti, Pasquale Anselmo, Stefano De Sando, Pa- olo Marchese. Produzione: Les Films d’Ici, Razor Film Produktion GmbH, Bridgit Fol- man Film Gang. Distribuzione: Lucky Red. Origine: Germania, Francia, Israele, 2008. Durata: 87 minuti.

Iniziamo col dire che un film come «osceno», al-di-fuori-della-scena: in grado di «documentare» il vuo- Valzer con Bashir pone una serie di la guerra. Non la guerra come en- to creativo della memoria, la forma interrogativi teorici, una serie di tità astratta, teorica, condannabi- molteplice dell’immagine-ricordo. domande che riguardano un tema le a priori, bensì la guerra come Scelta radicale che immediatamente assolutamente classico del cine- esperienza personale, il cui orrore pone il film come una forma possibi- ma inteso come sguardo morale ha finito per cancellare i ricordi. In le del cinema, che può essere mes- (e dunque del cinema moderno, in questo caso, la guerra del Libano e sa in rapporto con quella fatta da fondo «sguardo» e «moralità» sono in particolare uno dei suoi momenti Amos Gitai nel dittico War Memories le parole su cui si fonda un’idea di più orribili e sanguinosi, il massacro (1997) e Kippur (2000), che sembra immagine), ma che permettono allo di Sabra e Chatila, il massacro siste- anch’esso riflettere sull’abisso tra stesso tempo di affrontarlo in modo matico di uomini, donne e bambini immagine documentaria e memo- nuovo, o perlomeno attuale, varian- avvenuto nel 1982 nei campi pro- ria della guerra. (Il primo è un do- done i termini in gioco. fughi palestinesi in Libano; atto i cumentario che cerca di ricostruire Ma procediamo con ordine. Il film cui responsabili materiali sono i fa- l’evento bellico a cui lo stesso Gitai di Ari Folman pone anzitutto dei langisti cristiano-maroniti libanesi, ha partecipato durante la guerra del problemi di definizione, di genere: ci racconta Folman, ma atto che si Kippur; mentre il secondo, è il film Valzer con Bashir è un documenta- è svolto sotto gli occhi dell’esercito di finzione che quell’evento lo evo- rio e, al tempo stesso è un film di israeliano, che immobile sorveglia- ca come immagine appunto, quasi animazione, un film autobiografico va il campo e che vedeva perfetta- nella consapevolezza che solo così e un film di finzione. E lo è neces- mente ciò che stava accadendo. l’evento può trovare una nuova pos- sariamente, perchè non può essere C’è dunque un evento, oggettivo, sibile forma.) È dunque l’immagine altro, non può cercare altra forma storico. È forse questo il lato do- che nasce là dove non è possibile che non sia quella che lo fa esiste- cumentario del film? E perché non dare alcuna immagine. re. Perché il film lavora a partire raccontarlo con altri mezzi? No, In questa prospettiva, dunque, un da un’immagine mancante, che la non è questo l’obiettivo, non la ri- film come quello di Folman - regista memoria sostituisce ogni volta con costruzione storica (essa sì impos- che si muove da anni nell’ambito immagini alternative, allucinatorie, sibile), ma la genesi di un ricordo, del reportage televisivo e del film trasfigurate, oniriche, assenti. La di un’immagine-ricordo, attraverso di finzione, così come nell’ambito memoria è un’operazione creatri- tutti i passaggi allucinatori e man- della scrittura e della sceneggiatu- ce, ricorda l’amico psicoanalista al canti, traslati, ripresi per mezzo ra - pone interrogativi teorici im- regista, essa crea storie e immagini delle testimonianze altrui: questo portanti. Seguendo una linea che è laddove il vuoto, pericolosamente, è l’obiettivo. Elaborare un’imma- dentro la contemporaneità, il regi- si affaccia. Come l’atto di memoria, gine là dove l’immagine manca, o, sta israeliano pone con forza la sfida anche il cinema crea, e lo fa con i meglio, là dove l’immagine viene di un cinema che fa della propria ar- mezzi a sua disposizione, compreso sostituita in continuazione, osses- tificialità (l’animazione come forma il più puro, il più immediatamente sivamente sostituita con altre im- estrema del documentario), l’unica «cinematografico» di tutti, l’anima- magini, eventi onirici alternativi (i risposta possibile alla propria crisi, zione. sogni – cioè la realtà allucinata – di alla propria necessità di trovare uno Le immagini di Folman hanno una cui è costellato il film). Ecco dunque sguardo là dove lo sguardo sembra genesi particolare, dunque. Nasco- l’obiettivo, ed ecco dunque l’anima- perdersi. no dalla necessità di rappresen- zione come pura creazione di im- tare l’irrappresentabile, ciò che è magini, l’unica forma (per Folman) Daniele Dottorini il giro del mondo saison culturelle in 60 film 39 VICKY CRISTINA BARCELONA

Regia e sceneggiatura: Woody Allen. Fo- tografia: Javier Aguirresarobe. Montag- gio: Alisa Lepselter. Scenografia: Alain Bainée. Costumi: Sonia Grande. Interpreti: Scarlett Johansson, Penelope Cruz, Javier Bardem, Rebecca Hall, Patricia Clarkson, Kevin Dunn, Chris Messina, Josep Maria Domènech, Julio Perillán, Pablo Schreiber, Manel Barceló, Zak Orth, Lluìs Homar, Abel Folk, Carrie Preston. Produzione: Media- pro, Antena 3 Films, Gravier Productions. Distribuzione: Medusa. Origine: Stati Uni- ti/Spagna, 2008. Durata: 97 minuti.

Proviamo a fare un breve riepilogo Da quando Allen si è trasferito in Eu- ti newyorchesi. Non può essere al- sul rapporto, ormai pluridecennale, fra ropa, il suo cinema necessita tuttavia trimenti, posto che in precedenza la Woody Allen e le città. All’inizio della di essere letto in un’altra prospettiva. scelta delle ambientazioni era figlia carriera lo spazio urbano non sembra- Essendo di fatto immutata la predi- di una conoscenza approfondita della va destinato a dover giocare, nella sua lezione per gli scenari metropolitani città dove si era nati e cresciuti. Ora poetica, un ruolo importante. Nei primi – Parigi, Londra e ora Barcellona – i invece il cineasta si assesta prudente- film di Allen le ambientazioni urbane cambiamenti possono sembrare rela- mente su un repertorio collaudato di sono assenti o marginali. È a partire tivi. In realtà, il rapporto fra Allen e lo luoghi canonici della bellezza metro- dalla seconda metà degli anni Settanta, spazio urbano obbedisce ora a nuovi politana, alimentando una visione tu- prima con Annie Hall e poi con Manhat- criteri. Dei quali è possibile dare due ristica della città che, in questo ultimo tan, che nel cinema di Allen si comincia diverse letture, l’una economica-cul- film, trova una giustificazione anche a respirare un’aria mondana-metropo- turale, l’altra estetica. sul piano narrativo. Si potrebbe ma- litana. È lo stesso regista, peraltro, a Cominciamo dalla prima. Allen ap- lignamente ipotizzare che la commit- sollecitare una lettura in questa dire- proda in Europa sulla scia della pro- tenza influisce sulla scelta dei luoghi, zione dei suoi film, attraversati da un pria immagine pubblica di «cantore» che la necessità di mettere in vetrina coefficiente di affettività per New York della bellezza di Manhattan. Questo la città condiziona il repertorio icono- che trapela in ugual misura dalla ca- lo rende, sotto il profilo commerciale, grafico. Credo invece che nel cinema ratterizzazione dei personaggi e dalle l’equivalente di un marchio di qualità: di Allen si stia facendo gradualmente modalità di messa in scena. quale migliore promozione, per una strada una nuova modalità di rappor- Non è un caso che proprio in questa grande città, di quella rappresentata to tra luoghi e individui. Come i suoi congiuntura della sua carriera Allen dal fatto di fungere da palcoscenico film londinesi, anche Vicky Cristina diventi un cineasta prediletto dalla cri- urbano per un film del cineasta me- Barcelona delinea traiettorie umane tica europea, più in sintonia, rispetto a tropolitano per eccellenza? Quella di ondivaghe e irrequiete, personaggi quella americana, con un cinema che Allen è ormai una «griffe» di qualità: in evoluzione, figure scosse e sbilan- ruota attorno all’idea di un rapporto aprire le porte della propria città alla ciate da dilemmi sentimentali ed eti- simbiotico, quasi patologico, fra un re- sua macchina da presa equivale ad ci. Questo orizzonte umano segnato gista e una città (Truffaut e Parigi, Fel- affidare la progettazione di un edifi- dall’instabilità e dalla provvisorietà lini e Roma, ecc.). La storia d’amore fra cio pubblico ad un architetto di fama: si muove su un palcoscenico urbano Allen e New York si è poi arricchita di l’immagine urbana ne guadagna in che risulta cristallizzato e raggelato numerosi altri capitoli, corroborando le prestigio, con tutto quello che ne dalla sua valenza turistica. Il contra- svariate interpretazioni che andavano consegue sotto il profilo del turismo sto che ne scaturisce è il centro focale in quella direzione con una puntualità e dell’intrattenimento. Finanziare un di questo film, come dei precedenti. persino sospetta, quasi che il regista film di Woody Allen significa oggi fare Nella loro rigida immutabilità di ste- volesse, film dopo film, consolidare un investimento redditizio, che ga- reotipi, i luoghi diventano il perno l’immagine che la critica gli aveva cu- rantisce dei ritorni economici, i quali intorno al quale ruotano vorticosi de- cito addosso. Al punto che, da un cer- peraltro non hanno quasi più a che stini e sentimenti individuali. Quanto to momento in poi, si è cominciato a vedere con l’esito commerciale del più l’immagine urbana viene piegata parlare, ben al di fuori dei circuiti della film stesso. alla rigidità e alla superficialità di una cinefilia, della «New York di Woody Veniamo ora alla seconda lettura, di cartolina illustrata, tanto più nitide si Allen», a sancire la compiutezza di un carattere estetico. A partire da una stagliano, su questo sfondo, le inquie- processo di appropriazione, da parte considerazione di tutta evidenza: tudini e le intermittenze emotive dei del regista, di una fetta consistente e l’iconografia urbana dei film europei personaggi. importante dell’immaginario urbano di Allen è molto meno originale di contemporaneo. quella che caratterizza i suoi raccon- Leonardo Gandini il giro del mondo 40 in 60 film saison culturelle VUOTI A RENDERE Vratné lahve

Regia: Jan Sverak. Sceneggiatura: Zde- nek Sverak. Fotografia: Vladimír Smutný. Montaggio: Alois Fisarek. Musica: Ondrej Soukup. Scenografia: Jan Vlasák. Costu- mi: Simona Rybáková. Interpreti: Zdenek Sverak, Daniela Kolarova, Tatiana Vilhel- mova, Robin Soudek, Jiri Machacek, Pavel Landovsky, Jan Budar, Miroslav Taborsky. Produzione: Jan Sverak e Eric Abraham. Distribuzione: Fandango. Origine: Gran Bretagna, Repubblica Ceca, 2007. Durata: 103 minuti.

Come già accadeva in , vincito- anche speranzoso, bilancio. In tal sen- ad altezza della vita delle misteriose re dell’Oscar nel ’96, anche in questo so la collaborazione tra Jan e Zdenek tacche di inchiostro di numero sem- film del quarantenne ceco Jan Sverak, Sverak rappresenta una tappa rara e pre diverso), arrivando addirittura a la struttura portante del film è costru- significativa nella storia del cinema, simpatizzare con essi anche quando ita sull’asse privilegiato padre-figlio. dove il confronto tra le generazioni le vittime delle loro scelte sono i suoi Nel senso che tra il regista e l’inter- acquista la duplice valenza di analisi diretti familiari (vedi il personaggio prete principale Zdenek Sverak vi è socio-culturale e di riflessione esi- del genero che ha lasciato la figlia e il in comune un cognome ed evidente- stenziale. Ventenne al tempo della nipote per un’infermiera eroticamen- mente uno stretto legame di paren- Primavera di Praga, il personaggio te scatenata). È nei sogni che è pos- tela. Nella realtà Zdenek Sverak è un interpretato da Zdenek Sverak guida sibile cogliere la verità dei desideri famosissimo uomo di cultura, scritto- la schiera di figure che all’interno del di un individuo, ma è nei sogni stessi re di teatro e sceneggiatore, umorista racconto cercano nuove scintille in che tale verità trova il momento di e attore; nel film diretto da suo figlio una vita quotidiana ripiegata sull’at- sublimazione, come confermano i so- Jan, invece, è un insegnante plurises- tesa e la rassegnazione. Sono le con- gni erotici di Peter che, per una serie santenne che decide di concedersi traddizioni di un Paese che, a vent’an- di ragioni più o meno casuali, rimar- ancora una scelta di vita. ni dalla caduta del Muro, vive la pro- ranno sempre soltanto dei sogni. Ed Vuoti a rendere è stato scritto insieme pria identità in una sintesi di pigrizia è proprio in questo lavoro sulla vita (così come insieme avevano scritto e inadeguatezza. Il problema è di tro- intesa come attività immaginativa Dark Blue World, nel 2001) e l’im- vare la velocità giusta per riprendere che si esplicita uno dei temi di Vuoti a pronta di questa prospettiva com- a sentirsi addosso l’aria della Storia rendere, laddove le avventure sogna- plessa che concilia le generazioni si (non come quel gruppo di anziani te assumono la medesima intensità riflette con estrema chiarezza all’in- che attraversano a passo di lumaca i appagante di quelle davvero vissute terno dell’opera. Più che uno sguardo giardini innevati della città), senza an- e, spesso, un po’ deludenti. Con sa- malinconico ed esterno sulla vita che dare troppo veloce, però, e finire per piente metafora collocata nella parte è in buona parte trascorsa, il racconto schiantarsi, come capita al protagoni- finale, il film suggerisce l’importanza si presenta come il prodotto di un’os- sta alle prese con il suo nuovo lavoro di gonfiare al punto giusto il pallone servazione speculare in cui trionfa la di pony express. Meglio allora occu- aerostatico della propria vita di cop- curiosità reciproca del vecchio verso pare la postazione di addetto al ritiro pia, sapendo trovare la chiave con cui il giovane e del giovane verso il vec- delle bottiglie di vetro, esercitando riaccendere la fiamma nei momenti di chio. Vuoti a rendere, insomma, non è l’utile ed eccitante funzione simbolica maggior indifferenza verso l’altro, ma semplicemente la visione del mondo di dare un significato e un futuro a ciò anche badando bene di mantenere un di un uomo anziano che cerca un rin- che è già stato consumato. Attraverso equilibrio che sappia veleggiare a una novato entusiasmo nei modelli di gio- il suo sportello interno al supermer- giusta altezza, cercando, soprattut- vinezza, ma è anche il frutto dell’in- cato, il ringalluzzito Peter si rende uti- to, di non finire troppo immersi nel- teresse proiettato da un giovane che le agli anziani un po’ in crisi (portan- le acque scure dell’inconscio e delle ha da poco passato i quarant’anni e do e pagando loro la spesa, facendoli psicologie tormentate che affondano ha compiuto una sorta di giro di boa comunicare e addirittura sposare), al ogni visione di futuro. Quando uno della propria esistenza. Vedersi rap- contempo si diletta nell’opera di de- sguardo naif nasce dall’esperienza e presentati in una fase successiva del- cifrazione delle affascinanti incon- diventa la forma insospettabile della la vita può servire a fare i conti con gruenze che avvolgono i personaggi saggezza. la propria condizione presente, può più giovani (vedi il caso emblematico scatenare un primo preoccupato, ma della ragazza avvenente che porta Umberto Mosca il giro del mondo saison culturelle in 60 film 41 THE WRESTLER

Regia: Darren Aranofsky. Sceneggiatu- ra: Robert D. Siegel. Fotografia: Maryse Alberti. Montaggio: Andrei Weisblum. Scenografia: Tim Grimes. Musica: Clint Mansell. Interpreti: Mickey Rourke, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood, Ernest Miller, Todd Barry. Distribuzione: Lucky Red. Ori- gine: Usa, 2008. Durata: 105 minuti.

è possibile cominciare a parlare di un film di scena. «The Ram» muore per niente. battimenti si susseguono identici, imba- partendo dalla fine? È possibile scrivere Non muore per l’amore di una donna, stiti su un rigido copione: c’è un buono di The Wrestler partendo dalla fine di un non si sacrifica per salvare l’altro ene- e un cattivo che si fronteggiano; dopo altro film? L’ «altro film» è Gran Torino anche per redimere sé stesso dalle colpe un’iniziale cedimento dell’eroe buono, ed è immediato rilevare come l’ultimo di una vita. «The Ram» muore solamen- la vittima trova la forza di reagire e at- lavoro di Clint Eastwood presenta no- te per restare quello che è. Da questo traverso il suo celeberrimo colpo finale tevoli analogie con l’opera di Darren punto di vista il film pone in maniera mette il vile avversario al tappeto). Allo Aronofsky. In primo luogo, entrambi i cruciale il problema dell’identità: infatti stesso modo, The Wrestler procede se- film mettono un scena la storia di due Randy non indossa la sua maschera da condo un canovaccio fisso, le cui con- uomini a fine carriera: il Walt Kowalski wrestler solo sul quadrato del ring, ma venzioni sono la gabbia rigida in cui si di Eastwood è stato soldato in Corea la mitologia del lottatore tracima in ogni dibatte da sempre il cinema di genere: il e ora è un operaio in pensione. Randy aspetto della sua vita (nel momento in nostro antieroe, dopo aver intravisto la «The Ram» Robinson era negli anni Ot- cui è costretto a sostituire la sua divisa possibilità del cambiamento e della sal- tanta un famoso campione di Wrestling da wrestler con quella di un commes- vezza, va incontro a un destino a cui si e vent’anni dopo si trova nelle condi- so da supermercato il suo nome viene è consegnato fin dall’inizio. Questa idea zioni di non poter più combattere. Sullo «dimenticato» e sostituito). La condot- monolitica, fondamentalmente nostal- schermo si trascinano due corpi ostinati ta di Randy si delinea in opposizione gica del racconto, ci riguarda ancora? e testardi che non vogliono smettere di alla strategia identitaria di Cassidy, la Pagare con la morte il privilegio di te- funzionare, che non si rassegnano alla lap dancer di cui pensa di essere inna- nersi stretto il proprio nome e la propria malattia, alla decadenza fisica, al tempo morato. La donna, infatti, vive due vite faccia è ancora il tòpos in cui le storie che passa. Kowalski vorrebbe tornare a diverse, che non si sovrappongono mai trovano un proprio nucleo di senso? Ma sparare, vorrebbe l’azione, la corsa, la (di notte è una spogliarellista in locale a il film ci racconta anche qualcos’altro. Il battaglia, la lotta. Randy dovrebbe smet- luci rosse, di giorno è una madre single wrestling come body art ante-litteram. Il tere di combattere ma non riesce a fare a con un altro nome, altri vestiti, altra fac- corpo come campo di intervento, luogo meno del plauso del pubblico. Entrambi cia ). Diversificata, multiforme, camale- del restauro continuo, verifica dei propri alla fine del film trovano la morte, ma la ontica, Cassidy gioca su più tavoli e vince limiti, ricostruzione ossessiva. Il film di messa in scena della «sacra rappresenta- perché è riuscita a fare della schizofrenia Aranosky potrebbe essere letto come zione» dà risultati opposti, sia sul piano – la strategia esistenziale tipicamente un film sul dolore e in questo senso è stilistico che su quello più strettamente post-moderna – una netta giustappo- un grande film sul dolore: in primo luo- ontologico. Iconograficamente classica, sizione di ruoli da cui entrare e uscire go perché mette in scena uno sport, il composta, sacrale è la crocifissione di in maniera funzionale ai suoi scopi e ai wrestling, dove tutto è falso (forse non è Eastwood: crocifissione che prelude ad suoi obbiettivi. Randy Robinson invece, è nemmeno uno sport, ma soltanto show) una liturgia di salvezza. Il sacrificio di essenzialmente un uomo moderno: gli è e solo il dolore è vero. In secondo luogo sé schiude il suo senso nel momento in impossibile uscire da sé stesso e muore perché il dolore della rappresentazione cui si offre il proprio corpo per gli altri. Il per salvaguardare ciò che è sempre sta- rimbalza e ci torna in faccia violente- freeze-frame che conclude The Wrestler to (anche quando compra un regalo alla mente, amplificato dalle sofferenze reali è stilisticamente agli antipodi del rigore figlia, sceglie ciò che piace solo a lui, in di un attore, un grande Mickey Rourke, classico con cui Clint gira Gran Torino. una sorta di egocentrismo cieco che se- che ha portato le proprie sofferenze (e la Mickey Rourke si lancia letteralmente gna la radicale incapacità di «vedere» i propria biografia) sul set. E che ha fatto nell’inquadratura, e noi avvertiamo tutta bisogni degli altri). Quello che colpisce è del set il luogo di una rinascita (media- la fisicità, tutto il l’intollerabile peso di il rigido determinismo con cui Aronofsky tica, artistica ed esistenziale) ottenuta in un tale movimento. Il suo andare verso delinea la parabola del suo protagoni- primo luogo attraverso il martirio della la morte è mosso, è veloce, è un balzo, sta, che ricalca la schematicità ossessiva carne. un’aggressione, un’acrobazia, un colpo degli incontri di wrestler (sul ring i com- Silvia Colombo 42 Dietro la VENEZIA maschera Conversazione con Avi Mograbi Venezia 2008

n archivio. Una lettera e premesse oggettive di un reso- soggetto operante nel film. Si met- un numero. Una testimo- conto e, attraverso la ricostruzione te in mezzo, letteralmente, ai due U nianza catalogata come personale del protagonista, cerca fidanzati che discutono, si mostra un prodotto su uno scaffale. La tra- di superare la freddezza della se- come uomo e come artista per gedia simbolo dei nostri tempi, il quenza d’archivio per ritrovare la rimettere alla nudità del cinema conflitto tra israeliani e palestine- pienezza dell’emozione, la verità il suo «mandato». Il suo è l’uni- si, si riduce anche a questo: all’og- della consapevolezza. La via scelta co volto visibile del film, laddove quelli del ex soldato responsabile del massacro, Diman, e della sua fidanzata sono stravolti da ma- schere digitali che ne sconvolgo- no i contorni: sono un uomo e una donna nella loro nudità, manichi- ni, pupazzi. Personaggi di un altro gioco, più grande del cinema stes- so, che ha come demiurgo la Storia e la nostra civiltà, con i suoi orrori e le sue tragedie. Sono pezzetti di un meccanismo come ciascuno di noi, che da spettatori guardiamo e ascoltiamo il compiersi di un dramma e ci specchiamo nei loro volti senza contorni in grado di di- ventare i volti di ciascun uomo e di ciascuna donna di questa Terra.

All’inizio del film tu compari in sce- na con una calzamaglia sul volto, parlando come una persona senza Z32 identità e non identificabile. Questa scena introduce un aspetto molto importante: il tema dell’identità, gettività di una sequenza lettera- da Mograbi, anch’egli israeliano, reso ancora più forte dal fatto che le e numerica persa tra migliaia anch’egli abituato alla guerra den- tu, regista del film, ti introduci al di altre sequenze catalogate. È il tro casa, è quella dell’ironia, della pubblico come un personaggio dramma della guerra che si fa or- distanza critica opposta proprio al privo di un volto e di un nome. Allo dinario per via di una pratica quo- senso della tragedia: un’operetta stesso modo, anche gli altri per- tidiana; è la guerra in sé e per sé, brechtiana, con tanto di canzo- sonaggi del film saranno «privi di dicono quelli che la vivono giorno ni «parlate» e di musica suonata identità», con delle maschere digi- per giorno, che non è più evento dal vivo, puntella i dialoghi tra un tali a coprire i loro volti. Come, dun- straordinario, ma normalità priva ragazzo e una ragazza che devo- que, possiamo definire un’identità? del senso del tragico. La normalità no fare i conti con la morte e non Ci vuoi parlare di questo aspetto, di un episodio di morte e massa- manca di interrogare il cinema che non riguarda solo il film in que- cro uguale a mille altri: un giovane stesso sulla moralità del «mecca- stione ma l’intero tuo cinema? riservista dell’esercito israeliano nismo di sfruttamento» messo in Nel film, la questione dell’identità che racconta il suo coinvolgimen- atto da ogni film sulla guerra. è incarnata soprattutto da Diman, to in una missione punitiva contro Cos’è un documentario? Qual è il il protagonista, il cui volto non è una pattuglia di polizia palestine- ruolo del regista? A cosa serve il mai mostrato e del quale non se in cui sono morte cinque perso- cinema? Mograbi non si nascon- si dice mai il nome. Solita- ne. Un racconto, nulla più. de dietro un dito. Anzi, si mette mente, quando decidi di Come Z32, film che parte dalle in scena, in prima persona, come fare un film in cui ri- 43

prendi un personaggio per un’ora sta non ha volto, ma assomiglia co- un’approvazione dell’altro sesso e mezza facendolo parlare di fron- munque a qualcuno. Al termine di per qualsiasi tipo di azione. te alla macchina da presa, pensi una proiezione a , un ami- In generale, tornando alla questio- che senza mostrare la sua identità, co mi ha avvicinato e mi ha chiesto ne degli spazi di cui è composto il il suo volto e le sue emozioni, stai se per caso il protagonista fosse film, direi cheZ32 è essenzialmen- perdendo qualcosa, come se il film in sala, perché credeva di averlo te un film di interni. Tant’è che a fosse un programma radiofonico: identificato in un giovane visto un certo punto mi sono chiesto se in questo caso, ci sono elementi e nell’atrio. Diman non era presen- fosse davvero il caso di rompere informazioni non verbali che non te, ma questo aneddoto è utile a questa unità e spostarmi all’ester- si riescono a cogliere. Con Z32 chiarire quanto quel volto venga no per filmare il luogo dove è volevo perciò sfidare questo tipo in qualche modo «riconosciuto» avvenuta la missione punitiva di procedimento tipico del docu- e, dunque, quanto quella persona dell’esercito israeliano contro la mentario. In quanti film, infatti, si possa diventare chiunque noi vo- polizia palestinese. Perché, in fon- vedono persone con il volto coper- gliamo. Non è nessuno e al tempo do, è a casa propria che ciascuno di to, oscurato o trattato con la tecni- stesso è tutti noi. Questa per me è noi si confronta con se stesso, che ca digitale? E pensiamo, ancora, al stata la conquista più importante: si interroga circa la ragione delle fatto che, solitamente, l’immagine una scelta che poteva essere ne- proprie azioni. In un certo senso, di un volto coperto fa venire in gativa per un cineasta, è diventata le pareti di casa nostra possono mente l’idea di un terrorista. Ecco, un espediente creativo. essere considerate una sorta di io volevo mantenere l’ambiguità metafora della nostra interiorità. di queste sensazioni nei confronti L’idea di mostrare direttamente il Poi c’era anche la questione se del protagonista: Diman non è un tuo volto di fronte alla macchina includere o meno il momento del terrorista, non è un mafioso o un da presa ci ha fatto venire in mente viaggio verso la scena del crimine. gangster, ma un ragazzo norma- uno dei tuoi primi film, How I Lear- Forse quella scena rompe il forma- le cresciuto in Israele e destinato ned to Overcome My Fear and Love lismo del film, ne incrina la perfe- ad arruolarsi nell’esercito. La sua Arik Sharon (1997). In questo caso, zione, ma non per questo la inten- identità, però, ha subito un trauma, però, sembri delimitare nettamen- do al di fuori dal film stesso. Anzi, uno stravolgimento completo, nel te lo spazio in cui compari: da un introduce elementi improvvisi, momento in cui è entrato a fare lato c’è la tua casa, i tuoi familiari, sorprendenti, come quando, una parte dell’esercito, nel momen- dall’altro lo spazio dei personaggi, volta giunti sul luogo del massa- to in cui è diventato un pezzetto la loro casa e la camera d’albergo cro, Diman indica il luogo dove ha del meccanismo della guerra, che in India, in cui tu sembri non esse- colpito uno dei poliziotti e non si agisce senza pensare e senza du- re presente. Ci sono naturalmente accorge che, in quello stesso luogo, bitare. Ma questo è l’esercito: non dei momenti in cui questi due spazi sta passando una donna palestine- solo quello di Israele, ma di tutto convergono, ma in generale sem- se che quindi potrebbe essere una il mondo. brano affrontarsi, opporsi. sua potenziale vittima. È una sce- Di fronte a tutte queste questio- Diciamo subito che alcune scene na che dice molte cose a proposito ni, all’inizio del mio lavoro avevo in cui Diman parla direttamente di ciò che questa persona vede e dubbi molto forti: come realizzo alla macchina da presa sono state non vede, capisce, non capisce o questo film? Come mostro le cose girate nel mio appartamento, men- non vuole capire. È un momento che ho intenzione di far vedere? tre è vero che i dialoghi con la sua molto forte del film che nasce dal- Inizialmente, infatti, volevo girare fidanzata sono stati ripresi in mia la vita vera e non, invece, da una un film semplice, limitandomi a assenza. I due mondi che entrano messa in scena o un elemento che raccontare questa storia terribile, in contatto, o in collisione, sono fa da sfondo. Se ripenso al giorno che già di per sé è forte, intensa, comunque quelli di due coppie: da in cui l’abbiamo girata, mi viene in drammatica. Poco a poco, però, è una parte Diman e la sua fidanza- mente la tensione e la paura che diventato un lavoro creativo, dal ta, dall’altra io e mia moglie. E se provavo, opposte all’eccitazione momento che ho dovuto trovare un parallelo si viene creare, allora di Diman, che saltellava e correva un mondo per dare al protagonista è quello tra gli uomini e le donne. sul luogo del delitto per cercare di un nuovo volto, affrontando que- Le donne, infatti, rappresentano ricordare la sua esatta posizione. stioni non solo di carattere tecni- sempre un confronto che, dal pun- Non era affatto spaventato o irrigi- co ma anche di carattere, diciamo, to di vista degli uomini, mette in dito da quel posto, ma in un certo morale: come, infatti, sarei riuscito crisi un mare di certezze. Le donne senso si sentiva esaltato, lo trova- a nascondere un volto senza far hanno principi morali molto più va assolutamente normale. perdere la sua umanità? Inoltre forti e quasi sempre si può essere adottando la tecnica digitale è certi della loro condotta; al con- Il tema dell’identità coinvolge anche sorta una questione che non mi trario, gli uomini sono meno sicuri te stesso, in quanto regista, e mette aspettavo: e cioè che il protagoni- della loro etica e hanno bisogno di in discussione la tua stessa ragione 44

d’essere. Tu ti poni in prima persona battito o una discussione, e io ho musica faccia parte di questo pro- al centro della scena e ti chiedi che dovuto così abbandonare l’idea cesso mentale, consapevole o in- senso abbia fare un film del genere, che, attraverso un mio film, potes- consapevole non saprei dirlo. La addirittura che senso abbia, per te, si smuovere le montagne o mutare musica mi aiuta a capire – e spero essere un regista «politico». Pensi la realtà. Eppure è proprio questo faccia altrettanto con il pubblico – che il film sia nato anche, e forse che uno si aspetta quando realizza che non si tratta di un’azione poli- soprattutto, per rispondere a questo un’opera come quella: si aspetta la tica, ma di un lavoro «artistico», di genere di domande? polemica, la discussione, il rifiuto. un atto «culturale». A questo ser- Questo dilemma che, è vero, sta al Per uno solo dei miei occhi (2005) ve l’operetta in stile brechtiano: centro del film, è emerso dopo aver è stato accettato in toto dalla so- a chiedermi chi sono, cosa faccio, realizzato Per uno solo dei miei oc- cietà israeliana e per me è stata quali sono i miei obblighi politici chi, che è immediatamente prece- una cosa molto triste e frustrante. ed etici di regista; a domandarmi dente a Z32. Quel film è stato forse A quel punto ero costretto a una se sono consapevole del fatto che il mio più grande successo di pub- scelta: capire la mia situazione di metto in scena un «giochino» che blico e ancora oggi ne sono molto regista oppure negare l’evidenza mi rende ricco e famoso mentre soddisfatto; al tempo stesso, però, che ciò che faccio sono solamen- parlo di una realtà tragica. Tutte credo che sia un’opera ispirata da te film e non azioni politiche. Film queste domande sono presenti un’energia troppo ingenua, troppo che appartengono a una cultura e nel film e l’unica certezza che ho naif. È come se fosse stata realizza- che forse tra qualche anno verran- è che non gioco con questi argo- ta da un soldato che, invece di una no riconosciuti come parte di un menti, ma li affronto nel modo più pistola, impugna una macchina da generale processo di cambiamen- serio e impegnato possibile. presa con la quale vuole dare sen- to di quella stessa cultura, ma che, so al mondo e «politicizzare la po- in ogni caso, non saranno mai in La presenza delle maschere e il tuo lizia» (Mograbi utilizza il gioco di grado di mutare la realtà. A volte commento «dal vivo» delle ragioni parole «policing the police» Ndr). noi registi sappiamo essere tre- per cui hai realizzato il lavoro, fan- che presidia i territori occupati mendamente ingenui, crediamo no venire in mente il teatro greco. della West Bank. che la gente guardi quello che fac- Quella che scegli per te, infatti, Il risultato è stato apprezzato per il ciamo e di conseguenza cambi. sembra essere la funzione assunta suo valore artistico, la critica isra- Questa è la natura dei dubbi ri- dal coro. eliana ne ha parlato molto bene, guardo al mio ruolo di regista. So bene che il film ha tutti que- ma nessuno ha sollevato un di- E credo anche che il ricorso alla sti elementi, ma, diversamen-

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te da quanto molti pensano, non altro. Ad esempio, del rapporto tra con la sua fidanzata. sono una persona così acculturata. Diman e la sua fidanzata, il loro In ogni caso, una volta tornato Brecht e il teatro greco, ad esem- equilibrio di coppia e il modo in cui dall’India, Diman mi ha mostrato il pio, li conosco in modo abbastan- la ragazza giudica le azioni del pro- materiale che aveva girato e io l’ho za superficiale, ma so bene che tagonista. Da qui veniamo a sapere trovato decisamente interessante. vedere delle maschere e del- qualcosa anche del modo in cui le La ragazza dice cose a Diman che le scenette cantate ricon- donne vedono il conflitto israelia- nessun altro avrebbe il diritto di duce immediatamente no-palestinese, un argomento che dire, perché solo le persone vicine a un contesto di teatro non viene quasi mai affrontato. possono permettersi certi discorsi. brechtiano o di influenze classiche. Era tua intenzione allargare così lo È chiaro che diventa un personag- È chiaro che la vicenda del prota- spettro del tuo film? gio molto importante del film, sia gonista ha in sé qualcosa di tragico, Assolutamente no. Per quanto ri- perché esprime con forza le sue perché Diman ha compiuto azioni guarda la ragazza, quando ho co- convinzioni sull’accaduto, sia per- terribili alle quali non può più ri- minciato a realizzare il film non ché a un certo punto diventa una parare: ma è tutto qui quello che sapevo neanche esistesse, ma du- sorta di specchio di Diman. Uno so del teatro greco e degli eroi tra- rante una delle prime confessioni specchio deformante, perché ri- gici, figure che vanno consapevol- alla macchina da presa Diman dis- flette ciò che il ragazzo non vuole mente incontro al loro destino. In- se che aveva avuto diversi scontri dire e non vuole sapere; ma anche somma, credo che questi elementi con la fidanzata per via di ciò che uno specchio che si rifiuta di riflet- servano solo da retroterra cultura- era successo. Ed è stato perciò lui tere, di ripercorrere, i particolari di le per il mio film, dal momento che a decidere di inserire anche lei quel ricordo. Non a caso, quando non sono un teorico e nemmeno mi nel film. All’inizio, infatti, diceva lui le chiede di ricostruire l’acca- considero un intellettuale. di non essere soddisfatto delle duto sulla base di ciò che ha sen- sue confessioni, di non riuscire a tito raccontare, lei si rifiuta, non ha C’è un momento in cui sembri an- esprimere tutto ciò che provava, di il coraggio di esprimere esplicita- cora più «compromesso», quando non confessare pienamente i suoi mente l’orrore. Tutti questi aspetti compari in mezzo ai due fidanzati, ricordi; allora gli ho affidato una vi- psicologici rendono interessante il con il volto in dissolvenza incrocia- deocamera e gli ho detto di girare rapporto tra i due ragazzi. ta. È un modo di operare davvero la confessione nel modo che prefe- inusuale nel documentario, e sem- riva, da solo, senza la presenza mia La presenza della ragazza rimanda bra proprio che tu voglia forzare e della troupe. Lui ha cominciato a anche a un’altra questione: e cioè le forme di questo genere fino a un girare a casa sua, ma in queste regi- quella della vita che, in un modo o punto di rottura… strazioni parlava soprattutto delle nell’altro, anche dopo un fatto così È vero, solitamente nel documen- sue responsabilità, o meglio delle tragico, deve continuare. Nei film tario queste cose non si vedono. sue «parziali» responsabilità. Non costruiti sulle testimonianze di un Ma pensavo che per rendere evi- era però quello che volevo, dal sopravvissuto ci sono solitamente dente la drammaticità del mio momento che io cercavo soprat- due poli: quello del personaggio e discorso avrei dovuto inserire tutto i dettagli di ciò che era suc- quello del regista. Qui invece c’è il anche il mio volto al fianco dei cesso quella notte. Così, quando terzo polo, il terzo vertice del trian- due protagonisti. Inoltre, questa ha deciso di andare in vacanza in golo, la ragazza: lei sembra porre la presenza non fa che aumentare India insieme con la fidanzata, l’ho domanda su come continuare a vi- l’ambiguità del ruolo del regista, convinto a portarsi la videocamera vere nonostante si sia responsabili perché lo compromette ancora di e a filmare: ho affittato un apparec- di un evento tragico. più. Se penso al mio ruolo, infat- chio su internet da ritirare una vol- Certo. La ragazza rappresenta la fa- ti, non posso che dirmi cinico, dal ta arrivati in India e li ho lasciati li- miglia, la società, il tipo di relazione momento che, da un lato, parlo di beri di girare. Le scene girate nella che si viene a creare quando due eventi drammatici e, dall’altro, ap- stanza d’albergo sono all’inizio del persone sono divise da una tale profitto del mio lavoro per venire film e da lì si capisce che la ragazza distanza. In un certo senso, rap- a Venezia e concedere interviste ai è imbarazzata dalla presenza della presenta il fatto stesso per cui una bordi della piscina dell’Excelsior… camera. A dire il vero lo sono en- società permette ancora di vivere a trambi, ma è lui che chiede a lei di una persona come Diman, respon- La cosa sorprendente del tuo film farsi filmare; lei vorrebbe smettere, sabile di un crimine orrendo. è il modo in cui riesce a superare ma lui continua. In un certo senso i propri confini. Se infatti la linea è la prosecuzione di uno meccani- Ripensando anche al tuo ultimo principale racconta la storia di un smo di sfruttamento cominciato in film, ci sembra esatto considerate fatto di sangue e la confessione di primo luogo da me: come io ho for- i tuoi lavori come dei work in pro- uno dei suoi autori, noi spettato- zato Diman a comparire davanti la gress. Quando è che per te comincia ri veniamo a conoscenza di molto macchina da presa, così lui ha fatto un film? 46

I miei film li realizzo sempre men- pio, sono state scritte quando la asse una sorta di corto circuito tra tre… li sto realizzando. È chiaro parte «documentaria» del film era ciò che si vede e ciò che si crede di che prima scrivo delle cose, ma già stata quasi del tutto montata e vedere, come è successo nel caso tutto quello che butto giù in que- Noam (Noam Enbar, autore delle del mio amico di cui vi parlavo sta fase preliminare non sono al- musiche del film, ndr) ha potuto poco fa. Quella maschera è il volto tro che «lettere d’intenzione», lavorare su materiale pressoché di tutti e di nessuno. idee che nascono nel momento definitivo, da cui poi è stato tolto o in cui rifletto sul tema principale aggiunto veramente poco. Con lui E perché durante il film l’effetto del film. Mai un mio lavoro non è stato un lavoro bellissimo, per- della maschera sembra dissolversi? potrebbe essere completamente ché abbiamo discusso su ciascuna Sembra quasi che, con il procedere scritto. Pensate, ad esempio, alla parte del film, decidendo insieme del racconto, si entri in contatto ragazza, che inizialmente, come quale problema affrontare e quale con queste persone e quindi si co- ho detto prima, non era prevista; lasciare da parte. minci a vedere una parte più chiara oppure al fatto che nella fase ini- del loro volto… Ma forse è solo una ziale avevo intenzione di inserire Con quale tecnica hai realizzato le nostra interpretazione… la testimonianza di un secondo maschere digitali che nascondono i Non saprei… La dissolvenza non soldato presente nella stessa mis- volti dei protagonisti? era un effetto voluto. Ma è inte- sione, ma in un altro check point: Si tratta di animazione in 3D, alla ressante che voi mi facciate que- sarebbe stato come avere due gla- quale hanno lavorato tre tecnici sta domanda, perché durante ogni diatori mascherati che parlano di per ben nove mesi: quelle ma- proiezione succedono sempre ciò che hanno fatto. Poi ho abban- schere ci sono costate un mucchio cose non intenzionali che ne mu- donato questa idea perché volevo di soldi! Non consiglierei a nessun tano l’effetto. Quello che mi sug- concentrarmi soprattutto sull’am- regista di imbarcarsi in una cosa gerite non era nelle mie intenzio- biguità della situazione, sull’ambi- del genere. A questo proposito, ni, ma sono contento che durante guità della natura umana di fronte posso dire che dal punto di vista la visione vi sia venuta in mente. a un fatto come quello. Non volevo produttivo esistono due film sepa- In ogni caso, l’effetto della ma- che i soldati israeliani comparisse- rati: prima abbiamo realizzato una schera non scompare mai, forse un ro come gladiatori, ma come indi- piccola produzione documentaria, po’ negli ultimi quindici minuti del vidui molto più complessi. poi, nel momento in cui abbiamo film quando i primi piani si fanno Lo stesso potrei dire della musica, cominciato a realizzare le masche- più ravvicinati. che ho deciso di usare in modo re, ci siamo ritrovati in quella che, così frequente solo durante la la- stando al mio solito modo di lavo- Come hai scelto il titolo del film,Z32 ? vorazione. Come vi ho detto, vole- rare, mi sembrava una produzione Z32 è il numero della testimonian- vo fare un film molto semplice, ma hollywoodiana. Da un lato ero re- za di Diman nell’archivio Shovrim allo stesso tempo sentivo che la sponsabile del lavoro di altre per- Shtika (ovvero «rompere il silen- musica mi sarebbe servita; allora sone e dall’altro dipendevo dagli zio»), che raccoglie confessioni di ho detto al mio musicista di sfrut- altri per lavori che non sarei stato soldati che hanno partecipato ad tare le testimonianze di Diman in grado di realizzare. Solitamente azioni nei territori occupati. Io fac- come un libretto d’opera, come sono abituato a fare tutto da solo, cio parte di questa organizzazione una traccia per comporre. Non dalle riprese al montaggio, men- e ho ascoltato decine di testimo- avevo idea di come servirmene, tre questa volta mi sono ritrovato nianze: è così che sono venuto a ma sapevo che l’idea si sarebbe si- con qualcosa di molto diverso, con conoscenza della storia di Diman. curamente trasformata in qualcosa molti soldi da dover spendere. di importante. E se all’inizio volevo a cura di Carlo Chatrian una specie di opera, poi ho capito Il risultato finale di queste masche- e Roberto Manassero che il tutto sarebbe diventato più re è comunque significativo: da un simile a un’operetta. Ma questa è lato siamo di fronte a un uomo che l’ultima parte della lavorazione, potrebbe essere chiunque, dall’al- quando il budget è esaurito e i tro, però, percepiamo che in quel produttori non ti obbligano più a volto c’è qualcosa di disturbante, di fare nulla. È questo il momento in non realistico… cui si può essere più liberi, in cui Volevo che il pubblico pensasse si può lavorare come un artista nel che quella che ha di fronte è una suo atelier: se il quadro non ti pia- persona vera, ma al tempo stesso ce, fai delle correzioni, lo cambi. mi piaceva mettere in crisi tale impressione. Questa è la ragio- Questo vuol dire che tu monti ne per cui non ho usato ma- il materiale e poi fai ancora dei schere vere, ma qualcosa cambiamenti? che aumentasse l’effetto Certamente. Le canzoni, ad esem- di ambiguità, che cre- Z32 48 In salonicco soggettiva Conversazione con Adrian Sitaru, Salonicco 2008

l lungomare di Salonicco è una giovane romeno Adrian Sitaru mi sua amante Sweetie, la prostituta grande insenatura che dal nord era sfuggito a Venezia, dove avevo Violetta. E quindi nessun altro pun- I della città curva dolcemente visto e amato il suo secondo lun- to di vista, che quello dei protago- verso sud; in corrispondenza del gometraggio, presentato alle gior- nisti. Eppure, se questo dispositivo Museo della civiltà ellenica, un nate degli autori. In Pescuit Sportiv nasconde l’occhio dell’autore, in promontorio taglia la rada perpen- una coppia di amanti approfitta un certo senso non lo toglie, ma lo dicolarmente, proiettandosi verso dell’assenza del marito di lei per rende assoluto sciogliendolo nella il mare per circa duecento metri. È concedersi una giornata al lago. molteplicità degli sguardi partico- il vecchio porto commerciale, nella Sulla strada, complice una discus- lari. Esso non è da nessuna parte, cui area, interamente recuperata, sione, urtano contro una prostituta, ma dappertutto. Così nel film non ha luogo Il festival internazionale che in un primo momento sembra si può dire se il dispositivo forma- del film, arrivato alla 49a edizione. esangue. Per evitare lo scandalo, le è al servizio della storia o vi- Il festival è genericamente inter- decidono di abbandonare il corpo ceversa, Pescuit Sportiv è riuscito nazionale, ma attraverso di esso nel bosco. Improvvisamente lei si proprio perché i due aspetti sono la città di Salonicco rinnova la pro- risveglia… tenuti, dal regista, in magico equi- pria vocazione storica di porta bal- Pescuit Sportiv è un piccolo rac- librio. Adrian Sitaru è un cineasta canica aperta all’Europa dell’est e conto morale, asciutto e serrato. del controllo, della «maîtrise» si all’Asia minore. Fotografia e messa in scena sono direbbe in francese. Sebbene ab- Come altri festival dello stesso impiegati con mestiere al servizio bia qualche perplessità con questo spirito e importanza, Salonicco è di un dogma: non c’è altra inqua- tipo di registi, o più probabilmente un luogo dove si trova il tempo e dratura che quella soggettiva dei proprio per questo motivo, volevo la calma per incontrare i registi. Il personaggi: il professore Mihai, la assolutamente incontrarlo.

Come è stato accolto il film dal pub- di fotografia. Mihai, per esempio, gista. Pensavo che sarei diventato blico di Salonicco? doveva avere una soggettiva con un musicista, avevo una band. A L’accoglienza è stata calorosa. Du- dei movimenti di camera rallentati Timisoara, all’università mi sono rante la proiezione ufficiale, diver- rispetto a tutti gli altri. Poi mi sono iscritto alla facoltà di informatica. se risate hanno scandito i momenti reso conto che non era una buona Poi ho scoperto la cineteca, e lì i comici. Non era scontato, perché la idea. Sarei scaduto in un simboli- film di Tarkovski, Bergman, Fellini. vena comica non è mai nettamente smo che, oltre ad essere pesante, È stata una rivelazione. Ho pensato scissa dal tono drammatico e teso avrebbe compromesso l’unifor- che avrei voluto fare parte di quel del racconto. Dopo, c’è stato un mità del film. Alla fine ho tenuto mondo. A partire da quel momen- lungo dibattito con gli organizza- solo quell’effetto ravvicinato per to, ho cercato in tutti i modi di sa- tori. Dal pubblico non sono venute la prostituta, che si percepisce in- perne di più. Ho letto tutto quello domande, ma gli spettatori sono consciamente ma è difficile da re- che ho trovato. C’è solo una scuola rimasti fino alla fine. A Pusan in perire. A parte lei, soltanto il guar- in Romania. Per di più è molto ge- Corea del Sud, dove Pescuit Sportiv dacaccia ha una soggettiva per- nerica. Attori, ssceneggiatori, re- è stato proiettato qualche giorno sonalizzata: un po’ inclinata d’un gisti seguono tutti gli stessi corsi. fa, ce ne sono state molte. Alcune lato. Ma questo è un personaggio Ho tentato per tre volte di passare mi hanno sorpreso per intelligen- minore con poche inquadrature. l’esame di ammissione, e per tre za e precisione. Gli spettatori, tutti volte sono stato respinto. molto giovani, avevano notato un Che tipo di attrezzatura hai usato? Ho dovuto trovare un’altra strada. dettaglio tecnico: le inquadrature Una Panasonic DVX 100, mini dv. Finiti gli studi di ingegneria in- che rappresentano la soggettiva Un modello di macchina da pre- formatica, passo dopo passo, ho della prostituta sono ravvicinate sa digitale usata da molti registi cercato di riavvicinarmi al cinema. rispetto alle altre; volevano sape- indipendenti. Per prima cosa ho lavorato in una re se era solo un’impressione op- piccola emittente vicino casa mia. pure se c’era dietro un concetto. Qual è la tua storia? Si trattava di una rete locale, ma è C’era. Volevo suggerire che il suo Sono nato e cresciuto in una pic- servita da apprendistato tecnico sguardo fosse più penetrante e in- cola città della Transilvania. Ho - tutto in analogico, ovviamente. telligente di quello degli altri. cominciato ad avere ambizioni Del resto ho girato i primi corti in All’inizio avevo pensato di carat- artistiche al liceo. Era subito dopo analogico, utilizzando una video- terizzare lo sguardo di ogni per- la caduta del muro di Berlino. Non camera Sony HI-8 offertami da mia sonaggio attraverso un certo tipo avevo idea di che cosa fosse un re- madre. Il mio primo film di finzio- Pescuit Sportiv ne l’ho realizzato in un’economia sore di cinema che stava mettendo di storia in cui una serie di even- non molto diversa. Era una storia su una scuola di cinema privata a ti, che sembrano essere soltanto abbastanza semplice da poter es- Bucarest. Mi ha convinto ad iscri- delle disavventure accidentali, sere realizzata praticamente sen- vermi. Mi disse che era importante rivelano infine una logica provvi- za soldi. essere nella capitale, che se vole- denziale. Questa è anche la mo- vo diventare regista dovevo tra- rale di Pescuit Sportiv. Pian piano C’era già l’idea di girare un film tut- sferirmi lì. mi sono venute le idee. Da quelle to in soggettiva? I miei genitori non erano entusia- più astratte, come la relazione tra No. Non avevo un partito preso tec- sti all’idea che a ventisette anni i due, il tradimento, a dei dettagli nico ed estetico. Però a quell’epo- cominciassi da zero una nuova più precisi. ca sono stato molto influenzato formazione. Comunque, a partire dal «dogma». dal secondo anno, ho cominciato Una delle qualità del film è la pre- a lavorare per la televisione a Bu- cisione dei dialoghi. Oltre ad avere Dal loro cinema o dal loro manifesto? carest. Giravo delle «soap», e que- una sua soggettiva, ogni attore ha Dall’uno e dall’altro. E soprattut- sto mi ha permesso di guadagnare un suo modo di esprimersi. to dall’idea che, il primo pratica- bene. Con il denaro risparmiato La sceneggiatura definitiva di Pe- mente e il secondo teoricamente, dal salario della televisione ho fi- scuit Sportiv mi è costata sedici entrambi affermavano: non c’è nanziato il mio secondo film. Non versioni e un anno e mezzo di lavo- bisogno né di grandi mezzi tecnici era molto, ma io avevo in mente di ro. Non è stato un compito penoso, né di particolari risorse finanziarie continuare a lavorare con l’econo- tutt’altro. Mi considero in effetti per fare un buon film, ma soltanto mia dei primi corti casalinghi. Ho uno scrittore prima ancora che un di buone storie. Il loro cinema era lì scritto la storia di Pescuit Sportiv regista, mi piace poter essere ve- per dimostrarlo. Festen di Thomas con la mentalità di un produttore, ramente soddisfatto di quello che Vinterberg mi piacque moltissimo. tenendo presente esattamente scrivo. Detto questo, la più solida Era interamente girato con una il budget e il materiale che avrei delle sceneggiature non basta ad mini dv. avuto a disposizione. assicurare che le riprese si svol- Con la rivoluzione digitale tutti gano senza sorprese. Quello che potevano realizzare film, e dunque Quali erano le storie che raccontavi funziona sulla carta può apparire anche io. Feci un lungometraggio nei tuoi primi corti? C’è un legame sbagliato una volta messo in bocca di finzione e lo mandai il più pos- tra questi e Pescuit Sportiv? agli attori. Per questo ho previsto sibile in giro. Mi rispose un profes- Mi ha sempre attratto quel tipo un lungo periodo di ripetizioni, 50

durante il quale rivedo e adatto i un’economia ristretta, non c’è tem- da zero e la stessa storia era rivista dialoghi. Alle volte, provando, si po per l’improvvisazione sul set. dal punto di vista della prostituta verifica che una certa scena non Devo sapere esattamente quante Violetta. Ma non ero contento di funziona nel senso che si vorreb- e quali scene girare ogni giorno. questa forma. be. La si può ripetere mille volte. Inoltre sul set voglio potermi con- Con il modello Rashomon, quel- Può essere un problema di attore. centrare sui problemi tecnici. lo che si guadagna in termini di Ma per lo più, se un attore nell’in- cambio di prospettiva non mi sem- terpretare una replica non riesce a Come ti è venuta in mente la storia brava abbastanza forte da contro- riprodurre il senso voluto dall’au- della coppia di amanti e dell’inci- bilanciare la noia di assistere due tore della sceneggiatura vuol dire dente con la prostituta? volte di seguito alla stessa storia. che la frase è sbagliata e che biso- Conosci Radu Jude, il regista del Allora, mio malgrado, ho deciso di gna mettere mano al testo. corto Lampa cu caciula (The Tube sviluppare il racconto in una forma Inoltre, sulla pagina scritta non c’è with a Hat) ? Il suo film ha ricevu- più tradizionale. Andando avanti, alcuna indicazione rispetto al tem- to diversi premi. Era un compagno ho realizzato che quello che mi po. Per essere veramente precise, alla scuola di cinema. Lui aveva una interessava non era tanto raccon- tare due volte la stessa storia, ma rappresentare due punti di vista in uno stesso racconto. Una volta capito questo, trovare l’espres- sione formale e tecnica è stato re- lativamente, non dico immediato, ma logico.

L’idea è che non esiste un punto di vista della storia in sé. È un modo per aggirare il punto di vista dell’autore. Per tutto il film ogni punto di vista corrisponde ad un personaggio della storia. Potrei esprimere questo concetto con una formula: dietro la macchina da presa non c’è il regista ma sempre questo o quel determinato eroe Pescuit Sportiv del film. Tranne alla fine. Mihai raggiunge le sceneggiature dovrebbero somi- storia con una coppia di giovani Sweetie in macchina. Lei è riu- gliare a delle partizioni musicali. Si che ha un incidente. Sono partito scita a confessare la loro storia al dovrebbe sapere quando una certa da lì. In particolare, ho capito che marito, lo dice a Mihai. Allora si voce entra, quando e se un’altra ri- l’incidente poteva essere il punto baciano, e per la prima volta fan- sponde, se le due voci devono so- di partenza per un racconto «mo- no l’amore. Noi vediamo la scena vrapporsi o no. E ancora, anche la rale». Ora, dire che la sceneggia- con gli occhi di qualcuno nascosto più precisa delle opere sinfoniche tura di Pescuit Sportiv sia basata nel bosco. Potrebbe essere Violet- può variare anche di molto a se- su quella storia sarebbe esagera- ta, la prostituta, che contempla la conda di come la si interpreta. Non to. Però, siccome molti, vedendo propria opera. Oppure il guarda- si finisce mai di precisare, annota- il film, hanno pensato al Coltello boschi. Oppure il camionista. Di re, indicare... nell’acqua di Roman Polansky, ho certo c’è solo che è qualcuno a cui preferito precisare nei titoli di piace guardare. Molti hanno det- Sei geloso dei tuoi dialoghi? coda come mi è venuta l’idea del- to: quell’ultima sequenza sei tu, Tengo molto ai miei personaggi. la sinossi. è il regista, che ti riappropri dello Mi considero il creatore di tutti i sguardo. protagonisti della storia. Ma sono Perché fare un film tutto in soggettiva? contento quando si verifica che Avevo voglia di tentare un raccon- Molti film recenti utilizzano un di- gli attori, capita la psicologia dei to non convenzionale. In una pri- spositivo soggettivo: Rec, Clover- personaggio che stanno interpre- ma versione del progetto, il film field, Il diario dei morti viventi, tando, adattano o inventano del- avrebbe dovuto funzionare come solo per citarne alcuni. le battute. L’importante è che al Rashomon. C’era una prima parte È un modo di portare sul grande momento di fare le riprese tutto tutta dal punto di vista del profes- schermo qualcosa che appartiene sia il più possibile determinato. In sore, Mihai. Poi il film ricominciava alla nostra esperienza comune: 51

Pescuit Sportiv da un lato l’onnipresenza delle battute, ma anche i movimenti tre punti di vista. In primo luo- videocamere digitali, dall’altro la dello sguardo del proprio partner. go, quello di Sweetie su Mihai, la moltiplicazione di dispositivi di Ovviamente, è molto difficile ri- quale lo guarda un po’ dall’alto riproduzione avvolgenti tipo l’ho- cordare il cento per cento di ogni verso il basso. In secondo, c’è lo me theater e il dolby surround. Ci singolo movimento degli occhi. sguardo di Mihai su Sweetie, lui la metterei anche i videogiochi. Sono Eppure se la sono cavata molto vede distante e indecisa sull’av- i videogiochi in tre dimensioni ad bene. Durante le riprese, l’attore venire della loro relazione. Mihai aver imposto il P.O.V. [Point of view inquadrato fa dei cenni al came- vorrebbe che lei annunciasse la shot]. Il cinema, penso ad un film raman, attraverso una specie di loro relazione al marito, e dunque come Elephant di Gus Van Sant, se linguaggio dei segni inventato che rompesse con questi. Ma la ne è appropriato in un secondo mo- da noi, per indicargli dove inqua- vede anche da una posizione di mento. La mia teoria è che il P.O.V. drare e soprattutto in quale mo- debolezza. La vede condurre l’au- sarà sempre più diffuso tra i cine- mento cambiare inquadratura. tomobile, così come la loro rela- asti. E non solo in film catastrofici In questa maniera, al montaggio, zione. è lei sola a poter decidere come Rec e Cloverfield. Ma anche in sono riuscito a ricostruire il gio- che direzione prendere e a che racconti morali come il mio, molto co di sguardi tra i personaggi che velocità andare. In terzo luogo, lontani dall’universo fantascienti- produce il senso di continuità del sempre nella stessa scena, abbia- fico o horror. È una maniera ecce- film. Ovviamente è impossibile mo in un certo senso lo sguardo zionale per mettere lo spettatore essere perfetti. Ma per lo più il di Mihai su se stesso. Lo sentiamo nella pelle dei personaggi. nostro metodo ha funzionato. affermare con molta convinzione che mai lui è stato o sarà disposto In un certo senso, è come se la Come vedi i personaggi del tuo a scendere a patti con le proprie macchina da presa, inquadrando film? convinzioni e principi morali. L’in- oggetti o gesti, recitasse. Di fatto, Non vorrei ricostruire qui un pun- cidente ribalta tutti questi punti essa interpreta lo sguardo degli to di vista esteriore, oggettivo. Ho di vista. L’arrivo della prostituta attori. Come si gestiscono questi cercato di costruire e di pensare il Violetta mostra che Sweetie non movimenti di macchina così preci- film come un complesso di punti ha il controllo della propria rela- si e complessi? di vista interni, in cui ogni per- zione. D’altro canto, il compor- Non ho fatto un «decoupage». sonaggio è descritto attraverso tamento di Mihai ci fa capire che In ripresa, ogni sequenza è gira- l’occhio di un altro personaggio. la sua rigidità etica esiste solo in ta interamente da – prendiamo All’inizio del film, nella scena in astratto. l’esempio della conversazione in macchina, vediamo Mihai con gli macchina tra Mihai e Sweetie – occhi di Sweetie. Lei è da un lato Con l’arrivo di Violetta, Mihai di- entrambi i punti di vista. Poi nel attratta dalla posizione sociale di venta il centro di un triangolo montaggio finale, le due sogget- Mihai, insegnante di matemati- amoroso. Perché scegliere un per- tive si alternano allo schermo, ca. Al tempo stesso non riesce a sonaggio così fisicamente e mo- seguendo una trama che decido comprenderne la rigidità morale. ralmente modesto come centro di soltanto dopo le riprese. Mihai si presenta come un intel- gravità di tutti i desideri? Per quanto riguarda i movimenti lettuale attaccato a principi che Mi piace l’idea che una persona di macchina, invece, durante le sembrano in un primo momento normale, vale a dire moralmente prove gli attori devono memo- imprescindibili. Quindi, durante e fisicamente imperfetta, possa rizzare non soltanto le proprie la stessa scena, abbiamo almeno essere desiderata. Non ho scelto 52

Pescuit Sportiv

dunque un adone. E non trovo tempo, avevo scelto un’altra attri- più vicino anche dal punto di vi- che il film per questo diventi ce per il ruolo di Violetta. La sera, sta drammatico. Quando dice che meno credibile. Ci sono tante rivedendo il girato, ho capito che le persone sono essenzialmen- ragioni, non per forza gloriose, c’era qualcosa di sbagliato. Non te pigre, e che se ne avessero la non per forza semplici, per cui saprei dire cosa. Così ho fatto un possibilità passerebbero la vita qualcuno possa essere o diven- nuovo cast per quel personaggio. a letto, oppure quando racconta tare attraente agli occhi di qual- Maria mi è piaciuta subito. Allora, l’aneddoto del bambino fanatico, cun altro. Come ho detto prima, non avrei saputo dire esattamen- che poi si rivela essere un ipocri- probabilmente Sweetie vede in te perché, ma era perfetta. ta, sono cose che penso o che mi Mihai un uomo stabile con una Più tardi ho capito. Lei ha come sono capitate. Dovrei ricontrolla- posizione rispettabile e un salario persona qualcosa che la avvicina re battuta per battuta; ma sono fisso. Cosa non da poco in Roma- molto al personaggio di Violetta. convinto che ogni giudizio, ogni nia. Violetta non è certo attratta È una manipolatrice. Usa senza frase, ogni opinione espressi da dal suo aspetto. Bisogna ricorda- scrupoli la sua intelligenza e la sua Violetta nel film rappresentino il re che Violetta è una prostituta. comprensione della psicologia al- mio pensiero. È l’unico personag- Le prostitute non cercano degli trui. Il suo inguaribile narcisismo gio con il quale sento un legame adoni, ma delle persone capaci non le consente di sopportare di intimo. di amare. Anche se non è colta, passare inosservata; per la stessa Violetta è evidentemente molto ragione, se si accorge di non es- Nel film c’è una tensione molto par- intelligente. Lei capisce al volo la sere amata, diventa estremamen- ticolare. Qualcosa di simile a quella psicologia altrui; ha notato imme- te aggressiva. Questo bisogno di che si prova nei film di Haneke. diatamente nel comportamento di amore, unito ad una mente svelta Sono contento che tu lo dica, per- Mihai il tipo che per assecondare e penetrante, ne fa una persona ché sono un ammiratore dei suoi la persona amata rinuncia a con- naturalmente molto adatta ad in- film. formarsi quello che gli suggerisce carnare Violetta. Ma questo l’ho l’istinto. Lei è attratta da questa scoperto soltanto molto tardi, In un certo senso Pescuit Sportiv generosità interiore di Mihai, poco verso la fine delle riprese. Il suo è ancora più radicale di un film importa che sia o meno un uomo è un ruolo piuttosto sottile da in- come Funny Games. Qui, fin dalle oggettivamente bello. terpretare. Le ho chiesto di recita- prime battute i due eroi sono infe- re costantemente sopra le righe. lici, scorbutici, decisamente poco Maria Dilunescu è straordinaria Ogni affermazione di Violetta in- attraenti. Qualche minuto dopo c’è nel ruolo di Violetta. Eccezionale, frange le regole e le convenzio- l’incidente, la tragedia. Solo trenta come gli altri del resto, nella reci- ni della buona educazione quel minuti dopo che il film è comin- tazione diretta in macchina. tanto che basta a spiazzare il suo ciato concedi al pubblico qualche Forse avrai riconosciuto in lei la interlocutore, ma non al punto da elemento rassicurante. protagonista di California Drea- farla passare per pazza. Quello Sono sicuro che ti è capitato di ming. In effetti in questo film la che dice deve turbare, pur restan- avere delle giornataccie. Quelle difficoltà principale per gli attori do credibile. veramente brutte cominciano di consiste nel recitare non con un buon mattino. Ti rendi conto subi- altro attore, ma principalmente Violetta è un’osservatrice e una to che la giornata sarà completa- con l’obiettivo della macchina da manipolatrice. In un certo senso mente fottuta, e non c’è nulla che presa, come se questo fosse il loro è un modo per reinserire una «re- tu possa fare per cambiarla. Istin- partner. Ci si abitua, ma ci vuole gia» davanti alla macchina da tivamente ho preferito mettere le un po’ di pratica, e le ripetizioni presa in un film che in teoria (ma cose in chiaro con lo spettatore. sono servite anche a questo. Le ho evidentemente non in pratica) ne è Pescuit Sportiv è la storia di una quasi tutte registrate e le rivedevo privo dietro. giornata dove va tutto storto. la sera per vedere se gli attori riu- È assolutamente vero! Tra l’altro scivano ad abituarsi. In un primo lei è il personaggio a cui sono A cura di Eugenio Renzi rotterdam GLI ULTIMI Conversazione con Marilia Rocha, Rotterdam 2009

è un mondo perduto to di Guimarães Rosa che evoca anche una decisa sensibilità nel cinema di Marilia un canto antico del Nord-Est del verso soggetti «sfuocati», pe- C’ Rocha; un mondo di Brasile, Marilia Rocha, reduce da riferici, dimenticati. Qui siamo emarginati, travolto dall’avan- un minuzioso lavoro di docu- ancora più lontani del Nord-Est zare inesorabile del tempo, ma mentazione fra letteratura, geo- brasiliano. Il gioco si attua fra ancora denso di storie, di me- grafia e antropologia, attraversa tre continenti: l’Europa, l’Africa moria, di vita. La regista brasi- tre stati, Minas Gerais, Pernam- e il Sud America. Marilia Rocha liana, pur senza aver nessun le- buco e Bahia. Lo fa a cavallo, affronta la storia di due pedine game di parentela con Glauber, con la sua troupe, come quelli di della colonizzazione, vittime di ne porta non solo il cognome, cui ricerca le tracce: i mandriani una coincidenza fra la Storia e ma anche il desiderio di anda- che conservano un arcaico lin- le storie. Acácio Videira e Maria re oltre i confini, imposti dalla guaggio, simile a un canto, per da Conceiçao, ragazzi innamo- cultura egemone, e di cogliere, comunicare con gli animali. Il in una ricerca che non ha nulla film si snoda lungo il percorso, di prestabilito, l’anima profonda cresce con gli incontri, si ali- delle cose. menta di spazi, luce, suoni. La Il suo è un cinema che parte da cineasta trova quello che cer- una base narrativa, per perdersi cava, ma, invece di documenta- e ritrovarsi lungo un cammino re scientificamente l’«aboio», compiuto insieme ai suoi per- si perde nei racconti dei «cow- sonaggi. È un cinema alla prova boy», nella tessitura di quelle del reale, che si forma sull’espe- facce cotte dal sole, nel fascino rienza, sul vissuto, e trova la sua di una cosmogonia nata dalla strada, strada facendo: niente terra. Di colpo lo spettatore si di ideologico alle sue spalle, trova sbalzato in un mondo di nessuna esigenza di insegnare pura analogia, dove la parola o informare, nessuna voglia di del mandriano rima con quella intrattenere con lo «scandalo»; di poeti e musicisti, cogliendo Acácio solo uno sguardo che cerca da- i bagliori di una biodiversi- vanti a sé, attento ed emozio- tà nel flusso mortifero della rati di inizio secolo, decidono nato di fronte alla scoperta. Un globalizzazione. di sfidare le convenzioni socia- cinema che ha il ritmo del suo Acácio, il suo secondo film, in li fuggendo in Angola, dove lui stesso respiro. programma al Festival di Rot- ottiene un lavoro di fotografo Già Aboio, il suo primo lungo- terdam, conferma non solo tali e cineoperatore per un’impre- metraggio, testimonia questa stilemi di messa in scena, fatti sa mineraria. Ci vivono fino alla paziente e testarda capacità di di una ricerca del respiro segre- fine dell’impero, nel 1975, per attendere, fino a sfiorare il mi- to di uomini e cose e di ampia tornate alla madre patria da re- racolo. Folgorata da un raccon- disponibilità all’imprevisto, ma ietti, ex-coloni senza radici, ac-

Acácio 54

cedere, la tensione per trovare il cammino. I mandriani, Acacio e Maria erano gli ultimi. Nel cinema di Marilia Rocha, gli ultimi diventano i pri- mi, come all’origine del mondo.

Come lavori sul soggetto che sce- gli? Come arrivi a capire cosa per te è interessante all’interno di un progetto? Ho sempre pensato che il tema del film dovesse «prendermi», colpire la mia sensibilità. Ma il modo di lavorare in Aboio o Acácio è stato molto diverso. Nel primo caso ho letto molti li- bri e scritto altrettante storie su quella comunità di mandriani, facendo diverse ricerche prima di recarmi nella loro regione, Acácio situata nel nord-est del Brasile. Quando sono partita per andare cusati di tutte le malefatte del sta ostaggio degli straordinari a cercarli insieme alla mia equi- salazarismo, e finire ancora una filmati di Acácio, si perde dietro pe – abbiamo viaggiato per un volta esuli in Brasile. alle chiacchiere semiserie dei mese – non sapevo se avremmo “Qual è il mistero di una vita?” due personaggi, segue i loro iti- mai incontrato un cow-boy che sembra chiedersi Marilia Rocha nerari in Portogallo e in Angola, conoscesse un simile tipo di can- mettendo sotto la lente della interroga e si interroga; fino a to, l’«aboio», che è molto antico macchina da presa questa cop- trovare la «Rosebud» nascosta e non viene quasi più praticato. pia di vecchi che ripercorre e in una doppia esposizione del- Non avevo idea di cosa avrem- commenta il passato attraver- la pellicola, la bellezza di un mo trovato, né di quale percor- so i relitti trascinati nella fuga, attimo prima di essere cancel- so avremmo intrapreso. Sapevo opere d’arte africana, ma anche lato per sempre. Qui, nel magi- soltanto che saremmo arrivati da immagini fisse o in movimento co istante in cui vita e sogno si qualche parte, con la speranza di di un mondo scomparso. Il film sovrappongono, si dissolvono trovare qualcuno che ci avrebbe non risponde subito: esita, re- tutte le attese, la fatica nel pro- illuminato.

Acácio 55

stavo scegliendo le immagini in fase di montaggio, ho notato che entrambi avevamo effet- tuato delle riprese molto simili. Una tale sincronia non era pro- grammata, ma frutto del caso, dell’influenza del soggetto sulla nostra sensibilità.

Vedendo Acácio mi è venuta in mente l’espressione «immagine latente». Credo che i tuoi film abbiano qualcosa a che fare con qualcosa che rimane celato nella storia e che viene fuori pian pia- no inconsciamente. In Aboio c’è la rappresentazione di una co- smogonia sconosciuta; in Acácio i lati oscuri del personaggio. Tutto questo emerge già in fase di ripresa o solo dopo durante il montaggio? Durante il montaggio. Quando filmo, lascio che le cose accada- no davanti alla macchina da pre- sa. Con Acácio Videira è stato molto difficile, perché abbiamo provato a fissare dei punti insie- me a lui prima di effettuare le ri- prese, cercando di chiarire gli ar- gomenti da affrontare. Poi però, una volta giunti a casa sua per Aboio girare, Acácio ha detto: “Avete presente le cose di cui abbiamo chiacchierato? Ecco, scordate- La sorpresa è che i cow-boys, tatori siamo attratti dal modo vele. Non parlerò di questo, ma che ci aspettiamo essere degli in cui si esprimono... come se di qualcos’altro”. Aveva cambia- uomini forti, in realtà appaiono cantassero. Il risultato ha un po’ to idea, perché era preoccupato: come delle persone dalla vena a vedere con il miracolo: prima era fuggito dalla guerra e aveva poetica. del film non mi ero mai recata in paura di toccare certi argomen- La maggior parte di loro non sa quella zona per compiere delle ti, Altre volte si era dimentica- né leggere né scrivere; però sa ricerche e tutto è accaduto sul to delle cose o non riusciva a raccontare storie. La difficoltà posto. Anche nelle immagini ci ricordarle bene. Cominciava le nel renderle sullo schermo sta sono delle curiose coincidenze. storie e poi si perdeva. In quei nella traduzione. Per Aboio un Alcune scene sono inframmez- momenti c’erano tante cose alle lavoro di questo genere è stato zate da piani molto ravvicinati quali pensare e su cui concen- molto complicato, ma alla fine dei loro volti, della loro pelle. trarsi; e questo aspetto della è bellissimo vedere il modo in Questi piani sono stati ripre- latenza non era evidente. Solo cui quei cow-boy usano la loro si dal mio operatore e da me dopo sono riuscita a coglierlo. lingua, ricorrendo a parole ar- stessa. Nessuno dei due ha vi- caiche che noi a volte non cono- sto il girato dell’altro durante il Ogni film ha dei segreti, che sciamo nemmeno. Come spet- viaggio. Soltanto dopo, quando non devono essere svelati dalle 56

immagini. Altrimenti scatta un intorno molte volte”. Credo che do di risultare superficiale. Così dispositivo didattico, che ren- questo «movimento» (del treno ho seguito il ritmo della mia ri- de tutto banale. In Acácio credo e del film) dia un’idea dei loro cerca, senza farmi distrarre dalle che il cuore nascosto del film sia percorsi mentali e, in fondo, del- false piste. la casa di di Acácio e Maria. In la loro vita. E che ci faccia anda- questo senso trovo molto inte- re, in un certo senso, nella stessa Hai trovato qualcosa che fosse af- ressante l’idea di iniziare il film direzione. fascinante, ma allo stesso tempo con un lungo piano sequenza sul pericoloso da avvicinare? paesaggio del Nord del Porto- Nel film ci sono diversi, possibili, Forse il modo in cui parlavano gallo dal treno in corsa. È come fili narrativi: la casa in Portogallo; della guerra. Noi non sapeva- se quel movimento guidasse lo la colonizzazione, di cui loro stes- mo il motivo per cui avevano spettatore in una direzione sco- si, come gli africani, sono vittime: lasciato l’Angola; né loro hanno nosciuta... la relazione tra Acácio e Maria... detto molto a questo proposito. Per questo motivo ho deciso Perché hai deciso di strutturarlo In questo senso, a un certo pun- di non mostrare mai il Brasile. in questa maniera? to ho avuto paura di utilizzare il Acácio e sua moglie hanno abi- All’inizio non volevo parlare suo materiale, perché forse non tato là per trent’anni, ma non solo della storia della loro vita, ero autorizzata a farlo. Pensa- l’hanno mai sentito come casa né volevo descrivere semplice- vo: in Angola lo hanno lasciato loro. Hanno trascorso tutto quel mente il lavoro di Acácio come riprendere dei rituali solo a se- tempo parlando, pensando e so- artista. Alcuni amici antropologi, guito della sua promessa di non gnando di andare via, in Angola, che erano stati colpiti dalle im- rivelarne il segreto. Sarà dunque verso un paradiso che non esiste magini fotografiche e dai vecchi possibile mostrare quelle imma- più. Quella sequenza, con cui co- filmati, insistevano perché rea- gini rubate? I miei dubbi si sono mincia e finisce il film, non l’ave- lizzassi un film etnografico; ma dissolti quando mi sono recata a vo in mente sin dall’inizio: l’ho io non volevo nemmeno questo. Luanda. E ora ne sono contenta. scelta riguardando la scena in Il rischio sarebbe stato quello di Credo sia lì il mistero del film. cui i due personaggi accennano produrre un film che andava a al treno e lei dice: “Ah, conosco toccare diverse tematiche senza A cura di Luciano Barisone quella montagna: il treno ci gira approfondirne alcuna, rischian- Trascrizione di Alice Moroni

Aboio Il punto di vista BERLINO di un uomo Conversazione con Måns Månsson, Berlino 2009

Mr Governor r Governor è il tuo pri- mo lungometraggio Piatti e bicchieri accumulati, andirivieni di servitori, confusione di M documentario, come corpi e di spazi: sullo sfondo, nelle cucine del palazzo del Governatore sei arrivato a questo soggetto? di Uppsala, degli altoparlanti diffondono la retorica di un discorso, In origine c’è il desiderio di vo- reso sterile dalla diplomazia. L’effetto di presenza della voce, la ler fare un film in linea con la sua prosopopea, è smorzato dalla scarsa attenzione del personale, più pura tradizione del cinema concentrato sulla funzionalità pratica dell’evento. Lo iato fra il visivo e il sonoro, la contraddizione fra la pienezza della carica e il vuoto diretto. Avendo avuto modo di che una tale funzione sottende, è fin da subito il segno dominante vedere in videoteca o ai festi- di Mr. Governor, folgorante debutto di un cineasta e testimonianza val i capolavori degli anni Ses- della vitalità del «cinema diretto» a cinquant'anni dalla sua nascita. santa, sono rimasto impressio- Nel primo film di Måns Månsson si vede e si sente tutta la libertà nato dalla forza con cui questi di sguardo e di movimento che quella corrente documentaria ha film rappresentavano l’incontro saputo infondere alla pratica della testimonianza visiva. Il cineasta tra persone, come trattavano il svedese non solo mostra una straordinaria padronanza del mezzo, ma soprattutto sa adottare nei confronti del suo soggetto, un uomo tema della comunicazione. Nei politico perduto nei gesti del cerimoniale, una giusta distanza, quella film di Wiseman, di Maysles o che non giudica e allo stesso tempo non penetra troppo nell’intimità Leacock c’erano momenti che facendosene complice. È come se Månsson sapesse che il potere è un per me erano più forti di ogni soggetto difficile da filmare, una materia sfuggente e manipolatrice, film di finzione. Erano così po- rispetto alla quale bisogna osservare delle precauzioni. È quello che lui tenti che mi hanno dato voglia fa, raccontandoci con uno sguardo talvolta divertito, talvolta pietoso la di produrre qualcosa di simile, gloria e la solitudine di una delle massime cariche del suo paese. di esplorare questa tecnica per 58

vedere se era ancora possibile molte e aspre reazioni. Bisogna da presa. Da un punto di vista oggi. Il fatto è che ai giorni no- sapere che la Svezia è un paese tecnico era qualcuno a cui mi stri è molto raro trovare un film con una grande tradizione so- potevo avvicinare con la mac- realizzato in questo stile. Mi do- cialista; i politici di destra non china da presa senza troppi mandavo: come è possibile che sono così numerosi e sono tutti problemi. questi capolavori non abbiano molto particolari. Saltano fuo- Poi nel mio intento di istituire prodotto un vero e proprio se- ri dal mucchio e si fa fatica a un rapporto con le origini del guito? Volevo dunque capire comprenderli. Così è stato per movimento del «cinéma véri- se era troppo difficile fare un Björck. Ho sempre pensato che té», il ritratto politico giocava film così ai giorni nostri o se si trattava di un personaggio il suo ruolo. Penso al film su era il mondo che era cambiato interessante, con il quale avrei Kennedy o Primary di Leacock. e che non permetteva più que- potuto passare del tempo. Più Kennedy è stato probabilmen- sto tipo di approccio. Una volta tardi mi sono reso conto che te il politico più influente della questo tipo di film, dovevo tro- era anche un attore straordina- sua epoca, io avevo un politico vare il personaggio che faceva rio, in un certo senso. Come lo locale in Svezia, una periferia al caso mio. sono molti politici: da Arnold del mondo. Fatte le debite pro- Schwarzenneger a Ronald Rea- porzioni, c’era dunque la stes- Come sei arrivato alla persona gan. E anche Berlusconi. Sono sa estetica e probabilmente di Anders Björck? tutti dei grandi perfomer. gli stessi obiettivi – anche La scelta di un anziano signore Fin da bambino ho capito che se le personalità di Kennedy alle prese con il lavoro ha pro- quella era una parte che stava e Björck non possono essere babilmente a che vedere con recitando. Nel momento in cui paragonate. una cosa molto intima e atti- mi sono messo a progettare il nente alla sfera dell’inconscio: mio primo film, ho pensato che In entrambi i casi, si tratta, co- una forma di complesso del pa- anche da un punto di vista tec- munque, del potere della poli- dre. D’altra parte, però, Anders nico sarebbe stato facile lavo- tica, ma anche la solitudine del Björck è un uomo che ho visto rare con un personaggio simile. politico. fin da bambino in televisione. Björck è qualcuno che ama le Sì, la solitudine e, aggiungerei, Si tratta di un politico conser- telecamere, che sa come par- il senso del dovere. Posso ride- vatore che ha sempre suscitato lare di fronte ad una macchina re vedendo il mio film e pos-

Mr Governor Mr Governor so ridere del Governatore, ma vazionale hai bisogno di esse- l’ho scelto. La sfida era dunque non sto cercando di prenderlo re concentrato e al contempo vedere se era possibile fare un in giro. C’è una sorta di strano aperto a cogliere tutti i piccoli intero film rispettando questo affetto e amore che lo spinge dettagli che possono accadere: punto di vista. E la ragione per a compiere il suo lavoro. Ha avere troppe opzioni o attrezzi cui non mi sono avvicinato mai dei doveri. Sono compiti che io non è di aiuto, anzi. troppo al mio personaggio, ma non farei e che lui, nonostante anzi a volte ho sentito la ne- a volte non li consideri alla sua Nel film ci sono due grandi cessità di allontanarmi un po’ altezza, compie con estrema gruppi di inquadrature: quelle era per riprodurre la distanza dignità. C’è una sorta di ambi- centrate abbastanza chiara- esistente tra il governatore e valenza nel mio atteggiamento: mente sul personaggio (ripreso altre persone. Björck è un per- sono un po’ spaventato da lui, nella sua scrivania o a colloquio sonaggio che tiene a distanza i lo rispetto, e talvolta sorrido con qualcuno) e altre più eccen- suoi colleghi di lavoro come le delle cose che fa. triche, che spostano il centro persone che incontra; di qui la dell’attenzione da Björck ad al- sua solitudine. Ho pensato dun- Hai girato in 16 o super16? tri soggetti. Queste ultime rive- que che questa distanza anda- In super16. Il primo film che ho lano la tua presenza nel film e va riprodotta nel film, questo realizzato – è un documentario danno modo allo spettatore di era il solo modo per mostrare di 5 minuti – è stato filmato in cogliere una certa distanza dal la vacuità che sussiste tra lui super16 reversibile. Ho davve- soggetto stesso. e il mondo. O forse, più sem- ro amato il procedimento e le È vero. Potremmo dire che ci plicemente, ho sentito questa limitazioni che questo suppor- sono come due mondi. Quan- distanza e dunque sono indie- to mi ha offerto. Avevo un solo do Björck è seduto nella sua treggiato come reazione al suo stacco in più o in meno e poi scrivania è come se fosse in un rifiuto di farmi avvicinare. l’immagine sarebbe diventata mondo privato. Poi a volte si fa o tutta bianca o tutta nera. Con un passo indietro e si scopre la Prima hai parlato dei film del queste limitazioni bisogna es- bolla in cui lui stesso vive. Per cinema diretto che ti hanno im- sere molto precisi. Allo stesso me questo passo indietro, che pressionato e del rapporto che modo avevo un solo obiettivo, concretamente ho fatto lavo- questi avevano con la comuni- il 12mm. Questa struttura così rando con un solo obiettivo, ha cazione. È qualcosa che colpisce rigida è stata molto utile: con un valore preciso. È Jean Rouch se riferita al tuo film, perché ci un’altra macchina e filmando a che ha detto che il 12mm mon- sembra che il suo centro sia pro- colori avrei avuto così tante va- tato su una cinepresa 16mm è prio la non-comunicazione. riabili che difficilmente avrei il formato che più si avvicina Assolutamente. È un film sulla potuto controllarle tutte a do- al punto di vista di un uomo – non-comunicazione, sul non- vere. Quando fai un film osser- questa è la ragione per cui io evento, sul non-potere. Il go- 60

vernatore in Svezia è un posto di filmare solo alcuni momenti e prenderci ma in realtà fingiamo. subito suscita un fascino parti- con il soggetto e in particolare Questa è stata anche una delle di pura rappresentanza in cui il questi sono quelli in cui quanto Nella vita reale capita di rado colare. Nient’altro che captare con le celebrazioni per l’anni- motivazioni che mi ha consenti- potere è quasi nullo. Tutto il film dici è particolarmente evidente. di sederci e di prestare molta la tonalità di una voce o ripren- versario di Linneo. Prima di ini- to di ottenere l’assenso del Go- sottolinea l’impossibilità di co- Sì. Ma penso di essere sempli- attenzione alle cose, cercando dere la coreografia di un movi- ziare il film ho fatto delle ricer- vernatore, nel tentativo di con- municare: le persone parlano tra cemente molto affascinato da di capire davvero che cosa l’in- mento ha acquisito un valore a che in archivio e ho trovato un vincerlo. Era come dirgli: “Come di loro ma in realtà non comu- questa sorta di non comunica- terlocutore sta dicendo. Ci sono se stante. È diventata come una filmino (uno dei primi girati in è accaduto per i partecipanti alle nicano. Le loro parole mancano zione. Ritorniamo qui ad una così tante informazioni che una sorta di droga di cui non mi stan- Svezia) realizzato in occasione celebrazioni del 1907, anche lei sempre il bersaglio. I personaggi sorta di maschera che Björck in- comprensione piena è quasi im- cavo mai. Questo riporta – pen- del secondo centenario dedica- farà parte della Storia!” non sono connessi. dossa come un vestito pubblico. possibile. Sedersi in un cinema e so – alle radici etnografiche del to al celebre studioso. Nel 1907, È qualcosa che succede anche assistere ad una conversazione cinema. L’idea di fare un passo c’era un’immagine più larga e a cura di Luciano Barisone Questo fa parte di una tua scelta, a noi, nella vita di tutti i giorni, tra due persone normali è una indietro per trovare un quadro una macchina da presa sul trep- e Carlo Chatrian perché hai deciso di conservare o quando pretendiamo di com- cosa così rara che filmandola più ampio ha anche un rapporto piede che ha registrato la storia. Trascrizione di Alice Moroni 61

vernatore in Svezia è un posto di filmare solo alcuni momenti e prenderci ma in realtà fingiamo. subito suscita un fascino parti- con il soggetto e in particolare Questa è stata anche una delle di pura rappresentanza in cui il questi sono quelli in cui quanto Nella vita reale capita di rado colare. Nient’altro che captare con le celebrazioni per l’anni- motivazioni che mi ha consenti- potere è quasi nullo. Tutto il film dici è particolarmente evidente. di sederci e di prestare molta la tonalità di una voce o ripren- versario di Linneo. Prima di ini- to di ottenere l’assenso del Go- sottolinea l’impossibilità di co- Sì. Ma penso di essere sempli- attenzione alle cose, cercando dere la coreografia di un movi- ziare il film ho fatto delle ricer- vernatore, nel tentativo di con- municare: le persone parlano tra cemente molto affascinato da di capire davvero che cosa l’in- mento ha acquisito un valore a che in archivio e ho trovato un vincerlo. Era come dirgli: “Come di loro ma in realtà non comu- questa sorta di non comunica- terlocutore sta dicendo. Ci sono se stante. È diventata come una filmino (uno dei primi girati in è accaduto per i partecipanti alle nicano. Le loro parole mancano zione. Ritorniamo qui ad una così tante informazioni che una sorta di droga di cui non mi stan- Svezia) realizzato in occasione celebrazioni del 1907, anche lei sempre il bersaglio. I personaggi sorta di maschera che Björck in- comprensione piena è quasi im- cavo mai. Questo riporta – pen- del secondo centenario dedica- farà parte della Storia!” non sono connessi. dossa come un vestito pubblico. possibile. Sedersi in un cinema e so – alle radici etnografiche del to al celebre studioso. Nel 1907, È qualcosa che succede anche assistere ad una conversazione cinema. L’idea di fare un passo c’era un’immagine più larga e a cura di Luciano Barisone Questo fa parte di una tua scelta, a noi, nella vita di tutti i giorni, tra due persone normali è una indietro per trovare un quadro una macchina da presa sul trep- e Carlo Chatrian perché hai deciso di conservare o quando pretendiamo di com- cosa così rara che filmandola più ampio ha anche un rapporto piede che ha registrato la storia. Trascrizione di Alice Moroni

Mr Governor 62 BERLINO Spingere il cinema verso la realtà Conversazione con Yu-Chieh Cheng, Berlino 2009

o slittamento tra vita e tenenza dei personaggi si intrec- Over, in Yang Yang non abbia- set, il dislocamento paral- ciano col sempre problematico mo cercato la perfezione di ogni L lelo di situazioni emotive rapporto dei taiwanesi con la loro ripresa. Molte scene sono sta- forti, un certo disorientamento identità e la loro storia nazionale. te girate una sola volta, proprio nelle traiettorie esistenziali: sono perché abbiamo preferito affi- le tracce fondamentali del cinema Sia in Do Over, il tuo primo film, darci alla verità del momento, un di Cheng Yu-Chieh, trentaduenne che in Yang Yang i protagonisti po’ come accade nella vita reale, taiwanese scoperto dalla Settima- ruotano attorno al mondo del ci- dove non ci sono «secondi ciak». na della Critica di Venezia 63 con nema: sembra quasi che tu non rie- È un modo di girare che io ritengo la sorprendente opera prima Do sca a fare a meno di riflettere sulla piuttosto rischioso e che non cre- Over (Yi nian zhichu, 2006) e con- tua condizione di filmmaker, sulla do utilizzerò di nuovo in futuro. fermatosi al Panorama della Berli- stretta connessione che si instaura Qui è stato possibile perché con nale 59 con Yang Yang (id., 2009), tra vivere e fare film... Jake Pollock, Huang Chien-wei opera seconda in cui – come l’in- Io non avevo intenzione di fare il e Sandrine Pinna lavoriamo da tervista che segue racconta mol- regista. Sia mia madre che mio pa- tempo: tra noi c’è qualcosa di più to bene – l’intensità della mes- dre lavorano nel campo dell’eco- del semplice rapporto di lavoro, sa in scena passa per una pratica nomia e si auguravano che io c’è affetto, fiducia, anche odio… del set impregnata dai rapporti di facessi lo stesso: così, giunto E quindi siamo andati in una dire- vita. È come se il filmare e il vive- all’università, ho intrapreso studi zione che non avevamo mai osa- re in questo regista andassero di di economia. Poi, però, ho sco- to intraprendere. Questa è stata pari passo, al punto che entrambi perto che ero affascinato dai film, un’occasione speciale, perché i suoi due primi film si tengono in così ho iniziato a girare un corto- nel nostro gruppo di lavoro c’era bilico su situazioni esistenziali che metraggio, poi un altro, e non mi molta confidenza e abbiamo vo- nascono o confluiscono su set e sono più fermato... Penso che per luto approfittare dell’occasione di conducono al mondo del cinema. me fare cinema volesse dire fug- lavorare ancora insieme. Mi sem- Se Do Over intrecciava i destini gire da quello che ero. Poi questo brava naturale che il film riflet- personali e sentimentali di più lavoro mi ha permesso di cono- tesse il nostro bisogno di fare personaggi attorno all’incertezza scere gente come Jake Pollock, il ancora un film insieme e quindi di un giovane regista durante le mio direttore della fotografia, e l’idea di mettere la protagonista riprese del suo primo film, Yang attori come Huang Chien-wei e nella situazione di fare l’attri- Yang elabora la storia di una gio- Sandrine Pinna, con cui lavoro da ce mi è sembrata la cosa giusta vane atleta, segnata dalla man- tempo: abbiamo fatto insieme Do per dire anche qualcosa di noi, canza del padre francese mai co- Over e mi hanno spinto ad anda- per mostrare il nostro affetto nosciuto, la quale cerca di defini- re avanti. Dopo tre anni ci siamo reciproco... re la propria identità nel rappor- riuniti e abbiamo fatto questo se- to affettivo col patrigno, che le fa condo film, che è un po’ il frutto Quello che dici sulla coincidenza da coach, con la sorellastra, con la del nostro affetto reciproco: sa- tra Cinema e Vita, sul fare film quale rivaleggia in pista e in amo- pevamo che eravamo destinati a per lavorare assieme a delle per- re, e infine con il giovane agente farlo... sone fa venire in mente i registi che la lancia prima come modella della Nouvelle Vague... e poi come attrice. C’è una differenza sostanziale tra In realtà non conosco bene il ci- Cheng Yu-Chieh filma con una fla- le tue due prime opere: Do Over è nema della Nouvelle Vague. Per granza emotiva che, per verità e un film che lavora sul tempo e nel noi è stato molto naturale agire immediatezza, soprattutto in Yang tempo, giocato muovendoti anche in questo modo... Yang ricorda il miglior Assayas. Ma narrativamente sulla time-line dei lo stile di questo regista si defini- protagonisti, mentre Yang Yang si Yang Yang è un film che lavo- sce in uno sguardo molto persona- spinge sulla durata e sulla sensibi- ra principalmente sul tema le e determinato, pur nascendo da lità dei piani sequenza, quasi a pre- dell’identità nazionale, che è un una chiara ricerca interiore, in cui servare l’emozione del momento... elemento centrale nella cultura i temi dell’identità e dell’appar- In effetti, diversamente da Do taiwanese. 63

Yang Yang

Sì, il tema principale del film è il so l’amore. Yang Yang ha tre padri cosa interessante a questo pro- concetto di identità: ovviamen- (quello vero, francese, che non posito è che durante le riprese io te quella franco-taiwanese della conosce, il patrigno e poi il suo stesso sono diventato padre: mio protagonista, Yang Yang, ma in agente, che ha un atteggiamento figlio è nato nel bel mezzo della essa si riflette anche la situazione paterno nei suoi confronti), ma lavorazione e così se prima di ini- personale di molti membri della non si sente veramente amata da ziare il film ero un figlio, ora sono troupe, a iniziare da me, che sono nessuno di loro ed è questo il suo un padre... per metà giapponese e per metà dramma personale. L’assenza del taiwanese. Ma anche Sandrine padre è per lei un’identità che È interessante la maniera in cui Pinna (nota anche come Yung- in qualche modo rimanda alla parli del tuo film non come un’ope- yung Chang, n.d.r.) è per metà identità problematica del popo- ra che hai realizzato, ma come un francese e per metà taiwanese, lo taiwanese? pezzo della tua vita, di cui l’intera mentre Jake Pollock, il mio diret- In effetti, ogni taiwanese ha troupe ha fatto parte. tore della fotografia, è americano, un’identità diversa: alcuni si ri- Girare questo film è stata davvero ma si sente a casa più a Taiwan che tengono taiwanesi, altri invece un’esperienza molto personale in America. Poi c’è il mio primo as- cinesi. Poi a Taiwan ci sono bam- per me, ma anche per la mia attri- sistente alla regia, Tom Lin (che in bini di varie etnie, asiatici, est- ce Sandrine Pinna, con cui siamo realtà è più famoso di me come re- asiatici… Il tema dell’assenza del molto amici. Un’esperienza che gista, ma ha voluto farmi da aiuto), padre in qualche modo riguarda si riflette un po’ nella storia del che è cresciuto negli Stati Uniti e anche me, forse dipende dal fat- film stesso. Ad esempio, l’ultima poi è tornato a Taiwan... Insomma to che mio padre era giapponese scena, in cui lei recita nel film era una troupe multiculturale e in- ed era sempre silenzioso: nei miei che sta girando, è stata realizzata fatti molti a Taiwan considerano il trent’anni di vita non ho mai real- nell’ultima giornata di riprese e lì film «non taiwanese»... mente comunicato con lui, anche realtà e finzione si sono mescola- se era fisicamente presente, ma in te... Poi io e lei siamo buoni ami- È un film sull’identità personale silenzio. Credo che per tutti i tai- ci, lei è stata la madrina di mio e nazionale, ma è anche un film wanesi esista una situazione del figlio. Ad ogni modo è davvero sull’identità che si forma attraver- genere, un padre silenzioso. Una un rapporto molto intimo quello 64

che ho con la mia troupe, questo non è un film «professionale»: con altri tecnici non sarebbe stato lo stesso e non sarei riu- scito a farlo.

Durante le riprese avete lavorato insieme anche sullo script o parti- vi da una sceneggiatura rigida? In realtà la sceneggiatura era molto debole e sono stato for- tunato, perché il mio direttore della fotografia mi ha sempre spronato. Mi diceva: “Capo, questa sceneggiatura fa schi- fo! Devi essere più onesto con te stesso!”. E mi incitava a la- sciarmi andare prima e durante le riprese. D’altronde, durante la riprese abbiamo improvvi- sato molto. Certo, parlavamo di quello che stavamo facendo, ma non sapevo dove gli atto- ri mi stessero portando, dove stavamo andando... Anche per questo ho usato molto i piani ravvicinati, perché non potevo prevedere di preciso cosa sa- rebbe successo, come avrebbe- ro agito i personaggi.

Non dev’essere stato facile man- tenere il controllo dell’inqua- dratura in una situazione simile, con piani così ravvicinati. In realtà non ho avuto grossi problemi, perché mi sono sem- pre fidato del mio direttore del- la fotografia. A volte, quando le lenti e io gli chiedevo quale avesse montato, lui preferi- va non dirmelo e se accettavo una simile situazione è perché sai mai dove gli attori ti stanno preferito non interrompere i partivamo da una fiducia reci- portando, così alla fine per la miei attori. Ci conosciamo bene proca, un po’ come succede in maggior parte del tempo sono e sapevo di poterlo fare. Non so una rock band... Probabilmente stato vicino agli attori, «den- come dire, ma a volte penso a la prossima volta non farò così, tro» il film anche se invisibile. me stesso come a una persona ma questa è stata un’occasione In realtà mi reputo più un atto- che sta recitando il ruolo del speciale, sapevamo che esiste re che un regista. regista su un set: non mi riten- una sola volta in cui si può cat- go un «director» professionale, turare la realtà. Infatti tu sei anche un attore. mi vedo come dentro un film... Sì, ed è il motivo per cui ho Durante le riprese, eri sul set ac- scelto di girare il film sfruttan- È un po’ quello che accade alla canto agli attori che recitavano do il più possibile la flagranza protagonista nella prima scena o seguivi l’azione dal monitor? del primo ciak. Quando recito del film: la vediamo dormire e la In una situazione come quella non mi piace interrompere la sentiamo dire che vorrebbe ru- che abbiamo creato sul set non scena e così, come regista, ho bare i sogni... 65

È un po’ quello che accade a Yang Yang, che è costretta a re- citare – a fingere – anche nella vita reale... Sì, un altro tema importante in Yang Yang è l’ipocrisia: io cer- co di essere una brava persona, ma a volte temo che la gente mi veda come un ipocrita e penso che lo stesso accada a Yang Yang. Lei fa quel che fa perché è ciò che vuole fare, desidera essere una persona come tutte le altre. Vuole essere la figlia di Chen, il suo coach nonché pa- trigno: è un desiderio semplice, basico, vuole la sua identità, ma viene fraintesa e considera- ta un’ipocrita. Penso sia la cosa più triste del mondo, perché ti dedichi al tuo obiettivo con tanta passione, sopporti anche dei sacrifici, ma vieni fraintesa. Per me questa è una cosa molto triste, ma per Yang Yang diven- ta un incentivo, una forza che le permette di continuare ad andare avanti per la sua strada. È la stessa forza che ho visto in Sandrine Pinna come attrice, mi ha colpito molto ed è anche il motivo che mi ha spinto a fare il film.

Vita e Cinema, insomma, vanno di pari passo e hanno a che fare con l’amore... Per filmare qualcuno devi amar- lo. È un po’ quello che capita a me quando scatto delle foto o Yang Yang filmo mio figlio: ogni immagine mi sembra bellissima perché A volte penso che la mia inte- gli altri, sono me stesso e nel lo amo. Questo è il concetto ra vita sia un sogno... Non so se mio mondo ci sono due realtà che ho voluto trasferire nella anche altri pensano lo stesso parallele. In Do Over, Sandrine sceneggiatura. Sarà che sono o se è solo il frutto della mia Pinna dice che sul palmo del- molto timido e mi può capita- esperienza personale, ma a vol- la sua mano ci sono due linee re di amare senza esser capace te i sogni mi sembrano più rea- della vita, per me ci sono due di dirlo, ma poiché in qualche listici della vita, che può essere mondi nella mia vita: la realtà modo devo esprimere questo davvero ridicola. e il cinema. Così, mentre io cer- sentimento, filmare è per me un co di spingere il cinema il più modo per esprimere quell’amo- Quello che dici ricorda e spie- vicino possibile alla realtà, allo re. Un modo molto intimo. Pen- ga una bellissima scena di Do stesso tempo la mia vita si av- so sia la mia maniera d’amare, Over, in cui i protagonisti sono vicina sempre di più al cinema. ma credo che la prossima volta tutti addormentati, con la testa A volte penso che la mia vita non sarà così... poggiata sul tavolo... sia più drammatica delle storie Io non sono un filmmaker come che racconto... A cura di Massimo Causo 66 Ritratto CANNES di famiglia Conversazione con Alejandro Fernandéz Almendras, Cannes 2009

resentato alla Semaine de politico, riguardante la perdita di una modernità deprimente e pri- la Critique, Huacho è l’ope- radici di una famiglia rurale nel va di significato, dove tutto ruota P ra di esordio di un giovane sud del Cile , si fa più circostan- intorno all’attesa di poter provare critico cileno, che si era fatto no- ziato e non semplice riflessione il videogioco dell’amico - come se tare per un cortometraggio, da cui sociologica. quell’immagine artificiale conte- questo lungo trae ispirazione. Di- Almendras infatti sembra più vi- nesse un valore aggiunto su tutte viso in quattro tempi, dedicati ad cino ad uno sguardo antropolo- le altre che lo circondano: tanto altrettanti personaggi (la nonna, la gico, ovvero curioso di cogliere quelle dell’ambiente quanto quel- madre, il figlio e il nonno), il film e riprodurre le caratteristiche di le evocate dai racconti del nonno. tratteggia un originale ritratto di fondo di un modo di vita che sta La scelta di concludere il film sul famiglia. Idealmente i quattro rac- scomparendo. Non a caso gli epi- capitolo dell’anziano e dunque conti comprendono una giornata sodi stilisticamente più riusciti su una relazione stretta tra uomo d’estate della famiglia. Fortuna- sono il primo e l’ultimo (quelli e ambiente acquista un doppio tamente Alejandro Fernandéz Al- dedicati agli anziani). La scom- valore: non solo recupero di una mendras ha visto abbastanza film messa del film è però quella di far dimensione quasi perduta, ma an- per aver scelto di non cadere nelle convivere in uno stesso racconto che riappropriazione di un figura trappole della struttura ad incastri. luoghi, prospettive e tonalità di- sociale, quella del contadino e di Pur richiamandosi le storie resta- verse. Da questo punto di vista il un immaginario a lei collegato che no separate, lasciando autonomia segmento più illuminante è quel- la contemporaneità (nei videogio- e libertà di respiro ad ogni perso- lo del giovane. Nella sua giornata chi come nella pubblicità) sembra naggio. In questo modo il discorso in classe si consuma la visione di voler negare o stravolgere.

Huacho

Per cominciare vorrei chiederti presenti in Huacho ma questi due dine politico. Per me era evidente qualcosa a proposito dell’argo- sono quelli di cui ero maggior- che, se avessi voluto lavorare su mento e dei temi affrontati nel mente consapevole e su cui ave- degli argomenti specifici, avrei film. Nelle note di produzione ho vo riflettuto molto. Prima di dedi- dovuto essere molto chiaro. letto che Huacho riguarda la glo- carmi alla regia sono stato critico Ho visto il film così tante volte balizzazione - e in effetti è così - ma di cinema, e ancora adesso amo che è difficile essere obiettivi, ma credo che si tratti principalmente scrivere. È una delle mie vere pas- credo che il tema della famiglia di un film sulla famiglia. sioni. La critica è stata la chiave emerga molto bene verso la fine. Sono d’accordo, si tratta di un film per svolg ere il mio lavoro di film- Penso ad un momento in partico- sulla globalizzazione, sui cambia- maker. Analizzando i film mi sono lare, a quell’ultima inquadratura menti del mondo rurale causati reso conto di quanto sia difficile con la casa illuminata dalla luce: dall’economia globale, ma è an- riuscire a procedere su più livel- grazie ai movimenti di macchina che un film sulla famiglia e sulle li, ottemperando alle esigenze di sembra che si tratti di una barca persone. Molti argomenti sono tipo narrativo e alle ragioni di or- mentre affonda in un mare nero. 67

Nella mia testa ho associato que- sta immagine a quella di una zat- tera a cui tutti i membri della fa- miglia si aggrappano, gli uni con gli altri, fino alla fine. Ciò che ho voluto e potuto trasmettere della famiglia è il suo lato fisico, penso al momento in cui la madre in au- tobus abbraccia il figlio.Huacho è un film fisico, quasi carnale. Vole- vo filmare i corpi di certe persone perché quando non ti rimane più niente, hai ancora te stesso da of- frire agli altri. E nel film gli indivi- dui si aggrappano gli uni agli altri con grande intensità.

Un aspetto molto particolare del film è la sua struttura, con diversi punti di vista, diverse prospettive e, sebbene ognuna di queste sia indi- Huacho viduale, alla fine ritrovi la famiglia, intesa come gruppo. Questo è mol- storie è più semplice agire così – musica. Adoro questa to importante e credo che esprima con un montaggio alternato - spe- scena perché è come se ciò che hai appena spiegato anche cialmente al giorno d’oggi questa i fratelli Dardenne, intro- da un altro punto di vista. è una struttura molto usata, in cui ducendo la musica, dicessero: Sì è così. Il film inizia e finisce con alla fine tutto si riconnette. Ma io “Lorna non è sola al mondo, c’è una famiglia; così come inizia e non volevo realizzare un film di qualcuno con lei.” La stessa cosa finisce in una casa. Il film ha una questo tipo. Volevo produrre una si trova in Bresson, in Mouchette struttura circolare e alla fine la sensazione diversa, per cui ad un ad esempio, che pure è un film famiglia è l’unica cosa che rima- certo punto si ritorna allo stesso molto cupo. Ma allora, Bresson ne. La conseguenza sociale della momento della storia per rico- credeva ancora nel genere umano globalizzazione è la migrazio- minciare da un’altra prospettiva. e lì infatti utilizza la musica verso ne verso la città, in seguito alla Anche se in realtà non è un aspet- la fine, nella scena in cui Mouchet- scomparsa dei vecchi mezzi di to poi così importante nel mio te muore. Poi quando smetterà di sussistenza: quando il nonno mo- film, ci siamo resi conto che quan- credere nel genere umano Bres- rirà, il resto della famiglia lascerà do collegavamo i dettagli delle son toglierà completamente la definitivamente la campagna per storie gli uni con gli altri, ciò acca- musica. Ma io non credo che Dio trasferirsi in città, la nonna morirà deva molto naturalmente. Alcune esista, almeno non nel senso che poco dopo, la madre e il figlio si connessioni erano scritte, altre le Dio si trova al mondo per aiutarti. separeranno. Il grande elemen- abbiamo scoperte in fase di mon- to che manca nel film è il padre, taggio. La cosa importante per la Poiché si parlava della struttura, che dovrebbe essere colui che struttura del film era di mantene- vorrei chiederti se hai scritto una porta il pane in tavola ogni gior- re separate le storie. Per la stessa sceneggiatura prima di comincia- no. In Huacho non c’è un singolo ragione non uso la musica, perché re le riprese, e in questo caso quale momento in cui si fa riferimento a sia la musica sia l’alternarsi delle differenza c’è tra la sceneggiatura lui; è come se fosse un fantasma, storie sono elementi che danno prima e dopo aver girato? in un certo senso in quella fami- l’idea che ci sia qualcosa dietro, Ho scritto una vera sceneggiatura glia manca l’uomo forte e non c’è una sorta di Dio... C’è una bellis- di 110 pagine. Anche i dialoghi nessuno ad aiutarli, a difenderli. sima scena al riguardo nell’ul- erano scritti, ma solo per dare Nella struttura del film, scegliamo timo film dei fratelli Dardenne, un’idea di ciò di cui i personaggi di cominciare con un personaggio Il silenzio di Lorna, quando alla avrebbero dovuto dire. Quando e poi passare all’altro senza alter- fine la protagonista cammina nel abbiamo cominciato le riprese non narli; altrimenti avresti la sensa- bosco e trova la casa. Una picco- abbiamo mai mostrato la sceneg- zione che loro non siano soli ma la casa in mezzo al bosco – quasi giatura agli attori, l’abbiamo utiliz- insieme, secondo uno schema più fosse un’immagine allegorica – zata solo come uno strumento per ampio. Quando si hanno tante accoglie Lorna, e poi comincia la noi, come punto di riferimento e 68

guida. Durante le riprese abbiamo È questa una tecnica presa a pre- la, i bambini ci hanno chiesto di lasciato spesso carta bianca agli stito dal documentario. cosa avrebbero dovuto parlare attori; mi sono detto: “Se credono, Sì, ma non si tratta di documen- e noi li abbiamo lasciati liberi possono dire quello che voglio- tario nel senso che seguiamo un di scegliere. In fondo non esiste no”. La sceneggiatura è fatta di fatto reale o qualcosa che accade una maniera specifica per prepa- parole e il film di immagini quin- realmente; il nostro obiettivo era rare un bambino a un film; noi li di è normale che non coincidano. creare delle condizioni durante abbiamo seguiti per circa un’ora Abbiamo tagliato la sceneggiatura le riprese che ci permettessero con la mpd e tutti i dialoghi che e parlato con gli attori, con le per- di modificare la sceneggiatura si ascoltano riguardanti le mac- sone scelte per le parti, cercando restando fedeli allo spirito del chine, le vacanze e altri dettagli di trovare insieme a loro gli argo- film e alla natura dei personag- di vita quotidiana sono quelli menti di cui avrebbero parlato. Ad gi. A scuola ad esempio abbiamo originali. esempio la scena del ragazzo che formato una classe nuova dalle tiene in mano pile di cd da ven- tre esistenti. Sono tutti bambini È come se la loro vita entrasse nel dere, in sceneggiatura prevedeva che si conoscevano da tanti anni film e desse origine al film stesso. che si parlasse del servizio milita- e che utilizzano il loro nome. Noi Questa era l’idea, far sì che fos- re, ma il ragazzo scelto durante il abbiamo fatto sì che i bambini se un film aperto, permettendo casting, non aveva nessun legame fossero loro stessi: abbiamo per- ai personaggi di essere liberi di con quell’argomento. Così invece messo loro di rimanere in classe, parlare di qualsiasi argomento, di parlare del servizio militare ha chiedendo di comportarsi come nella misura in cui questo fosse chiamato per davvero un amico fanno solitamente, così si sono in qualche modo pertinente. Così che vendeva cd, quindi ciò che si rilassati e abbiamo potuto co- gli attori hanno scelto le parole e ascolta è una vera conversazione minciare le riprese. Prima di gira- il modo in cui esprimersi. E que- al telefono. re le scene riprese fuori da scuo- sto mi ha forzato a non essere 69

così «pulito» in sala di montag- provenga dal lavoro sul suono. È un’inquadratura fissa. gio come invece avrei voluto. Nel stato molto difficile lavorare su film molte scene si raccordano questo aspetto. Abbiamo utilizza- Forse è solo una questione di fidu- una all’altra in maniera classica, to la giraffa e due o tre microfoni cia nelle immagini. Credo che la con campo/controcampo o altre per tutto il tempo ma c’era tanto parte di Cornelio sia girata molto strutture del genere che non amo rumore intorno quindi abbiamo bene, grazie anche a questo ritmo particolarmente, ma queste solu- dovuto ritoccare molto il suono particolare. Tu dici di aver tenuto zioni sono state la conseguenza in post-produzione, stando però un montaggio serrato, ma io credo delle modalità di ripresa. Se aves- attenti a tutti i dettagli. Infatti, che ogni inquadratura abbia un si dovuto scegliere tra un film gi- tutti gli uccelli che si sentono nel respiro. rato perfettamente da un punto film sono reali. Una delle espe- Sì, in quel momento funziona di vista formale e un approccio rienze più belle l’ho avuta quan- bene perché non si sta più se- molto più realistico, avrei scelto do ho guardato il film con amico guendo la storia. È come se fosse quest’ultimo. in campagna. Era l’ora di pranzo sospesa visto che non c’è più un o poco dopo e non sapevamo se filo narrativo da seguire. Quello Ciò che dici è strano perché è come gli uccelli che sentivamo prove- che volevo fare era dare il tempo se ci fossero più film nel film: alcu- nissero dal film o dall’esterno. per riflettere rispetto a ciò che ne parti, come ad esempio quella Erano esattamente gli stessi, con si è appena visto, far respirare al con il bambino e quella con Corne- lo stesso canto La scena dei bam- film e permettere allo spettatore lio, sono molto diverse in termini bini è stata invece girata con un di rilassarsi. Ieri parlavo con il co- di inquadratura. Le scene con Cor- altro tipo di rumore in sottofondo, produttore tedesco che mi ha det- nelio sono più poetiche, sembri la- quello della città. Ed è stato diffi- to che per lui il film avrebbe dovu- vorare sul montaggio in modo da cile combinare il suono e il ru- to concludersi quando la madre e tagliare gli aspetti più narrativi e more della città con quello della il figlio sono sul pullman, perché lasciare fluire il tempo. campagna. È come se si trattasse è una scena che suscita emozio- Sì, è vero. Questa è anche la mia di due film differenti. ni, forse la più forte del film. È parte preferita. Ho voluto girare l’abbandono da questo mondo questa parte in quel modo per Ed è anche una questione di tempo. da «cartolina», in cui si conduce lasciare tempo allo spettatore di Sì, in realtà il nonno è molto sve- una vita molto pacifica, anche se pensare a ciò che ha visto poco glio e veloce ma fa le cose con un in realtà molto dura. Ma a me pia- prima, fare delle riflessioni e col- ritmo più rilassato. Forse perché ce molto, e sono orgoglioso della legamenti con le diverse storie. non lo vediamo dormire molto, se storia di Cornelio. Era fondamentale per me avere non per pochi minuti. Per me è dif- questo momento all’interno del ficile tenere la macchina da presa Sono d’accordo, per quanto ri- film. Quando Cornelio mangia, fissa per tanto tempo; ho paura guarda le riprese invece, lo stile lavora, legge, lo spettatore ha di risultare noioso e dunque la è di rimanere molto vicino a tutti tempo di pensare e paragonare muovo spesso. Resto invece mol- gli attori, e questo ti porta a con- quella vita a quella vista prima. to ammirato da quanti riescono a centrarti sui loro corpi, ma vorrei Credo che una grande differenza rendere la scena interessante con chiederti qualcosa riguardo alle

Huacho 70

luci. Hai scelto di girare in un mo- ampia ed esposta. Infatti il nome ama raccontare le storie e fare mento particolare della giornata? della città, Chillán, tradotto dal- in modo che la gente si fermi ad Spesso c’è una luce molto calda, la lingua indiana locale, significa ascoltarlo. È il personaggio più re- è evidente che sia stata fatta una «dove il sole si siede». alistico di tutti. scelta specifica, vorrei sapere se è davvero così e il motivo. Ti pongo un’ultima domanda ri- È il metodo di Kiarostami di lavo- Vorrei precisare due punti riguar- guardo alle storie che Cornelio rac- rare con gli attori e funziona molto do alle luci. Innanzitutto abbiamo conta. Ho letto che il film è stret- bene nel tuo film. La storiella del girato in Super16 con una pellicola tamente legato alla tua personale cane che viene al posto della per- Fuji molto sensibile, che funziona esperienza, mi piacerebbe sapere sona è semplice ma importante: molto bene con il verde, il giallo e qualcosa in proposito. Vorrei sape- conferisce un tono al film ma allo il rosso. Non è come la Kodak che re se le storie di Cornelio, che sono stesso tempo proviene dalla bocca è più brillante in alcuni colori ma così particolari, così vere e che di Cornelio come se fosse sua. con i verdi meno caldi. Poi abbia- rimandano ad un tempo antico, Cornelio è un grande attore ma mo utilizzato una pellicola 500D provengono dalla tua esperienza o è stato il più difficile da trovare. che è molto sensibile alla luce del dalla sua. Abbiamo impiegato mesi prima giorno. Per questo abbiamo utiliz- Le storie che Cornelio narra du- di scoprirlo, girando diversi pae- zato diversi filtri per neutralizzare rante il film sono tre: la prima par- si. Alla fine l’abbiamo incontrato la luce troppo forte e diretta. A la di qualcosa che accade a suo in una stazione degli autobus. Si causa dell’intensità della luce, in padre, la seconda riguarda sem- è rivelato essere un bravissimo Chillán non è stato assolutamen- pre direttamente la vita di Corne- attore, anche se un po’ lento nel te possibile lavorare tra l’una e lio e la terza – quella che narra del ripetere tutte le parole. Ma è stato le tre del pomeriggio. C’è solo un cane e del giovane con lo stesso divertente lavorare con lui! Nella momento in cui abbiamo girato a nome - invece è una storia che ho versione finale, per conservare il quell’ora, quando Cornelio lavora sentito da un amico argentino che giusto ritmo, ho dovuto tagliare nei campi. Ma lì si voleva proprio abita a Buenos Aires. In questo alcune parti del discorso e so- riprodurre la durezza del sole. caso ho raccontato la storia a Cor- stituirle con altre provenienti da Altrimenti abbiamo cercato di ri- nelio. A lui è piaciuta molto, ma altri dialoghi fatti poco prima o prendere al mattino presto o la è stato necessario un lungo pro- poco dopo. L’ho fatto per tutto il sera tardi. Chillán si trova in una cesso di assimilazione. Poi dopo tempo. Mi piace lavorare in que- zona particolare nel sud del Cile molti giorni, alla fine lui racconta sto modo sui dialoghi. dove il sole è molto forte. Più a quella storia come se fosse la sua. nord la valle è protetta dalle cate- Tutto ciò che si vede nel film è il A cura di Carlo Chatrian ne montuose, ma in quella zona è vero Cornelio; lui è davvero così, Trascrizione di Alice Moroni

Huacho La finzione CANNES dentro il documentariO Conversazione con Tizza Covi e Rainer Frimmel, Cannes 2009

a pivellina è il primo film di ta conoscenza con i loro protagoni- smo, e dunque l’aspetto documen- finzione realizzato da Tizza sti, hanno potuto mescolare verità tario, rimane l’elemento più impor- L Crovi e Rainer Frimmer (di e finzione, adattando la vita di Pat- tante del nostro lavoro, non vole- Bolzano lei, di Vienna lui) dopo gli ti, Walter, Tairo e la piccola Asia alla vamo modificare del tutto il nostro studi e il lavoro come fotografi e la storia che hanno immaginato per modo di fare film. È sorta quindi la regia di alcuni documentari per fil- loro. Lo scambio é continuo e frut- necessità, non semplice da risolve- mare la vita, le famiglie, il proce- tuoso perché portatore di un’idea re, di trovare un equilibrio, una via dere quotidiano delle cose. Il loro fresca e matura, senza compiaci- giusta tra i vari passaggi più espres- Babooska (2005), ad esempio, ruo- menti e senza cadere in nessun samente documentari e quelli che tava attorno ad un piccolo circo di manierismo. rientrano in una struttura più tipi- periferia, seguendo i personaggi ca della finzione, anche se dobbia- nel lavoro e nei momenti trascorsi Ci sembra esistano, nel film, due mo dire che pure il documentario insieme, quando non si fa spettaco- materie, due soggetti diversi. Da Babooska è stato un atto di costru- lo e la vita di comunità diventa im- una parte ci sono delle persone, con zione. Inoltre, l’aspetto documen- portante. La pivellina si muove nel- le loro vite, i loro corpi, le loro espe- tario del film è dato anche dal fat- lo stesso senso, ma stando dentro rienze nell’ambiente del circo di to che agli attori non avevamo dato una struttura narrativa che ripren- strada. Dall’altra parte c’è una sto- dialoghi da recitare; prima di girare de alcuni personaggi già presen- ti in Babooska e costruendo attor- no a loro una storia di invenzione. Vivono in un campo alla periferia di Roma, in una roulotte circonda- ta da container e altre roulotte, po- chi amici ma fidati con cui far festa e condividere i problemi. Tutto inizia quando Patti trova una bambina nel vicino parco giochi. Non ha più di due anni e la ma- dre l’ha abbandonata su un’alta- lena, vestita di rosa e con in tasca un biglietto in cui promette di tor- nare a prenderla presto. Questo il pretesto per raccontare una storia semplice, che ha, però, il compito di aprire gli occhi dello spettatore su una realtà spesso ignorata, anzi, del tutto sconosciuta a chi vive fuo- ri da quei cancelli fatti di lamiera. A nessuno verrebbe in mente di pen- sare che nei cortili improvvisati si consuma una storia di tenerezza e di accoglienza, dove tutti si sforza- La pivellina no per rendere gioiosi quei giorni d’attesa. Il ritmo é lento e riflessi- vo, lo sguardo indulge sui partico- ria. Dunque, una base reale e una una scena loro sapevano poco del- lari, i dialoghi - tutti improvvisati narrativa che, se abbiamo capito la scena stessa, che cosa avrebbe- dagli attori - parlano una lingua di bene, avete aggiunto, come elemen- ro dovuto dire o come comportarsi. concretezza mentre i silenzi lascia- to di finzione. Abbiamo lasciato la libertà di im- no intendere i pensieri e i desideri Tizza Covi.: Per noi, in questo mo- provvisare, di creare sul momento dei protagonisti. mento della nostra ricerca espressi- le situazioni, i gesti, le parole. Girato in super 16mm, La pivellina va e narrativa, era molto importan- Rainer Frimmel.: A noi interessava ha il carattere di un film familiare, te compiere il passo dal documen- mostrare la vita di quelle persone, studiato con precisione dai due re- tario alla finzione. Lo volevamo as- la loro quotidianità. E il modo mi- gisti che, solo dopo un’approfondi- solutamente fare. Siccome il reali- gliore per osservare, descrivere, fil- 72

mare le persone e il loro ambiente come prendeva forma la relazione gendola verso la fine che aveva- è inserire un elemento estraneo, fra Tairo e Patti e la bambina. Nel mo scelto. utile per avere un punto di vista di- nostro modo di lavorare è fonda- verso. mentale conoscere bene i perso- È una riflessione che avete fatto TC: E questa presenza straniera ci naggi e adattarsi a loro, altrimenti dopo Babooska? Perché un altro è servita per mostrare come quel- sarebbe stato molto difficile rea- aspetto interessante di La pivellina le persone vivono, ricorrendo a una lizzare il film. Già pensare di utiliz- è che il film continua l’esplorazione storia. zare un nome diverso dal loro sa- di un universo, quello circense, ini- rebbe stato impossibile, si sarebbe ziata appunto con il testo preceden- Avete deciso che lo straniero da in- creata un’artificiosità fuori luogo te. Che cosa vi affascina di quell’am- serire in quella comunità fosse una e non avremmo ottenuto la stessa biente? bambina molto piccola. È stata la concentrazione. Infatti, gli attori, RF: È una domanda che ci ponia- prima scelta, o avevate altre ipotesi? che sono stati davvero molto bravi, mo spesso. Ci piace analizzare la Che cosa vi ha convinti a usare come puntuali, si conoscevano così bene contraddizione fra come si vede la intruso un essere così indifeso? che cambiare i loro atteggiamenti gente mentre fa gli spettacoli nel- TC: Abbiamo cercato a lungo una avrebbe prodotto risultati negati- le piazze e come loro vivono nel storia che potesse andare bene. Io vi. Bisognava prendere quel che si campo, nelle roulotte. È una discre- facevo delle proposte a Rainer, che trovava e inserirlo nella narrazione, panza forte ed è una parabola del- subito le scartava. E viceversa. Poi, anche perché ciò che ti regala il re- la vita. mi è venuta l’idea della bambina alismo, con tutte le sue sfumature, e Rainer mi ha detto che non era non si può inventare. Ci piace pensare questo film un po’ male… A quel punto ho capito che al contrario, cioè non tanto o non si trattava della soluzione giusta. Pensiamo che tutte le scene con solo un film fatto per lo spettatore Da quel momento tutto si è svolto la bambina siano state quasi che viene a conoscere il mondo di in modo veloce: abbiamo impiega- improvvisate… chi lavora nel circo di strada, ma to un mese per scrivere e tre mesi TC: È vero, le abbiamo molto adat- anche un film fatto per chi vi reci- dopo avevamo già girato. Lascian- tate a lei. Non sarebbe stato possi- ta affinché conosca un altro mon- do agli attori la costante invenzio- bile fare diversamente. Ma per noi do. Un po’ come l’esperienza del te- ne dei dialoghi. documentaristi, lavorando all’in- atro di socialità. Fare un film pro- terno di una storia di finzione, ab- Come avete lavorato insieme? Par- biamo dovuto fare i conti con il La pivellina lavate della scena che dovevate gi- problema della continuità fra le rare volta per volta? scene. La continuità è molto diffi- TC: Avevamo una sceneggiatura cile da gestire quando si ha a che abbastanza precisa per quel che ri- fare con una bambina. Lei all’ini- guardava l’inizio e la fine del film. zio è vestita di rosa e poi di ver- Tutto il resto era aperto alle situa- de, abbiamo dovuto affrontare i zioni che nascevano in diretta. Per suoi malumori, quando non esi- esempio, la scena del pugilato, in steva ancora un’intesa fra lei e cui Tairo chiede a Walter come do- Patti. Non è stato facile risolvere vrebbe comportarsi per difender- questi elementi tipici della finzio- si, non era scritta, non era prevista. ne, e siamo incorsi anche in alcu- Siccome anche noi abitavamo nella ni errori. stessa zona, passavamo tutte le se- rate insieme ai protagonisti e una Voi avete dichiarato che con i docu- sera abbiamo visto che Tairo chie- mentari eravate arrivati a un punto deva a Walter cosa fare perché un in cui il fatto di non poter influen- ragazzo lo importunava. Ascoltan- zare quel che accade vi poneva un do e vedendo quella scena abbia- problema. Cosa intendete con que- mo pensato che sarebbe stato pos- sta affermazione? sibile inserirla nel film. TC: Il documentario va dove vuo- le andare, sceglie lui la direzione Voi avete scritto la storia sulla base da prendere; noi possiamo inter- dei personaggi che già esistevano, venire nella costruzione, ma mai l’avete un po’ adattata a loro e ave- in modo assoluto. Con La pivelli- te adattato loro alla vostra storia… na volevamo provare l’esperienza TC: Certo, perché li abbiamo osser- di un controllo diverso sulla sto- vati a lungo, per esempio vedendo ria, conoscendone l’inizio e spin- 73

prio per chi lo sta facendo… TC: Per noi si tratta di un’esigenza, varie soluzioni. In moviola bisogna TC: È interessante questo ragiona- non riusciamo a lavorare in un al- invece pensare molto prima di in- mento, è un’idea che non aveva- tro modo. È una scelta teorica che tervenire, richiede dei tempi diver- mo avuto… In un certo modo ave- ci contraddistingue fin dagli inizi, si. Anche questa scelta ha a che ve- te ragione, infatti per noi era fon- quando abbiamo girato Das ist al- dere con la durata. damentale fare vedere gli aspetti les, dove le scene duravano intor- positivi della vita di chi vive nei no ai quattro minuti. Poi, con Ba- Questa è anche la ragione per cui campi, soprattutto in un momento booska abbiamo ridotto la durata avete deciso di girare, come negli al- storico come quello che stiamo vi- a circa due minuti e un lavoro an- tri film, in pellicola? Oppure ci sono vendo, dove ogni giorno si assiste cora maggiore di riduzione della altre motivazioni, più legate all’este- ad attacchi contro gli abitanti dei durata lo abbiamo raggiunto con tica? Il film ha una luce particolare, campi rom e sinti, anche se quel- La pivellina, che per noi è un film e voi avete girato in Super 16mm, la di Patti, Walter e Tairo è un’al- molto veloce, ma oltre non riusci- ovvero con una macchina che ha un tra storia. Ma la gente spesso non remmo a spingerci, anche perché il peso diverso da una videocamera, e è informata e non fa differenze… nostro modo di vedere richiede un che determina specifiche modalità suo tempo specifico, necessario sia di ripresa. Aver fatto un film come La pivelli- a noi sia allo spettatore. È il nostro RF: Noi siamo abituati a lavorare in na cosa ha cambiato nella vita di ritmo, e non lo dobbiamo modifica- pellicola e sono convinto che si la- quelle persone? re. Siccome lavoriamo con budget vora meglio, più facilmente e velo- TC: Non penso che cambierà nul- diversi da quelli dei film commer- cemente, con il 16mm perché non la. È stata una grande soddisfazio- ciali e non subiamo la pressione da è così delicato come una camera ad ne per loro e per noi. Ci sono regi- parte degli enti che ci finanziano, alta definizione. Nel caso del nostro sti che dicono che i film possono siamo liberi di realizzare le nostre film bisognava lavorare con molta cambiare il mondo, la vita. Io non opere senza compromessi. attenzione, soprattutto per quanto ci credo. RF: Tutti i nostri film sono stati gira- riguarda la luce bassa, e ciò con il ti e montati in pellicola, ed è un la- 16mm era possibile. Abbiamo sem- Un segno molto evidente voro molto diverso rispetto al com- pre usato la luce naturale, ovunque, in tutto il film è il lavoro puter, dove il montaggio si può fare e il diaframma era sempre aperto al sulla durata. in maniera molto veloce, provando massimo. Con il video non si posso- no raggiungere dei risultati simili. TC: Devo aggiungere che noi siamo anche abituati a lavorare con poco materiale e molto concentrati, e questa modalità è stata colta anche dagli attori, sapevano il tempo che ogni volta avevano a disposizione, e che quel tempo aveva un costo, quindi facevano molta attenzione. Ogni aspetto della lavorazione as- sume così un senso più rigoroso, fino al montaggio, dove le scelte, di fronte a un girato relativamente breve per un film di finzione, circa venti ore, si fanno in maniera altret- tanto concentrata.

Avevate un’idea di quanto tempo doveva durare la vostra storia, mesi, settimane, giorni… perché un po’ per via delle dissolvenze sul nero che usate si ha l’impressione che ci sia un tempo sospeso. Era vostra inten- zione sospendere il tempo? TC: Abbiamo sempre pensato che la storia si sarebbe sviluppata nell’ar- co di un mese. Ci sono sempre dei riferimenti temporali che fanno pensare a un periodo simile, per 74

La pivellina

esempio la fidanzata di Tairo che gli e Mamma Roma. In noi c’è natural- Come per Babooska, la cosa impor- dice che da due settimane non ha mente l’influenza di come quel ci- tante de La pivellina, oltre al suo va- tempo per lei… nema veniva pensato e realizzato, lore filmico, è che mostra un volto di- anche se non vogliamo copiarlo e verso dell’Italia. Babooska era più un Il fatto di non spiegare i dettagli del- non ci poniamo sullo stesso livello. discorso sulla provincia interna, men- la vita privata dei personaggi, che tre La pivellina descrive l’altra faccia appaiono ogni tanto e senza ulterio- La differenza rispetto a Pasolini è di una città che tutti conoscono. In ri informazioni, è stata una scelta? che Pasolini nei due film citati sce- questo senso i vostri film contengono TC: Non fa parte del nostro lavoro glieva degli individui per parlare di un importante segno politico. spiegare tutto, ci piace quando del- una disgregazione del tessuto so- TC: L’aspetto politico esiste nei no- le cose rimangono non risolte, av- ciale, mentre il vostro progetto di stri film, ma in maniera molto sot- volte in una sorta di mistero, op- cinema vuole andare oltre. L’idea di tile, non costituisce mai il discorso pure solo accennate, come le due maternità, che si introduce casual- centrale. Per esempio la città rima- scene alle quali viene consegnata mente nella vita dei personaggi e ne sullo sfondo, non si vede quasi la funzione di raccontare la vita e il che è alla base del film, serve per nulla, tranne il viaggio a Ostia. Pre- lavoro che svolgono Patti, Walter e costruire una possibile nuova fa- feriamo anche in questo caso la- Tairo. Va anche detto che noi siamo miglia. E anche in Babooska c’era sciare nelle inquadrature piccoli in- consapevoli di avere una scrittu- l’idea di una connessione sociale dizi, come i quotidiani romani com- ra un po’ sperimentale, e vogliamo forte che non è quella del legame prati da Patti per vedere se tratta- mantenerla. Anche se continuere- di sangue. no la scomparsa della bambina o un mo con la finzione, non vorremmo TC: A noi interessa cercare l’uma- muro su cui c’è la scritta San Basilio. diventare più narrativi. nità, le energie positive che esi- La periferia romana rimane un luo- stono e si manifestano, in modo go connotato ma anche universale, Vedendo La pivellina non si può non sottile, e non dare spazio a quelle simile a tante periferie di altre gran- pensare ai luoghi del film come a negative. Per noi è questa la ricer- di città dove ogni giorno si esprime luoghi di memoria pasoliniana. È ca fondamentale. Ci piace filmare una battaglia per la sopravvivenza. un’analogia che sentite? le persone insieme ad altre, non Volevamo rendere questo stato di RF: Certo! Noi siamo molto legati a isolate. E continueremo in questa lotta che le persone devono affron- quelle memorie. E, anche se non è direzione con il nuovo progetto, tare per ogni cosa, anche per l’ac- possibile fare un paragone simile, dove racconteremo persone di di- qua. È una guerra di resistenza. Patti è una nuova “Mamma Roma”. versi mondi o di diverse famiglie Ammiriamo il cinema italiano di che si incontrano con problemi da a cura di Carlo Chatrian, quel periodo, il neorealismo, e di risolvere, descrivendo cosa nasce Giuseppe Gariazzo, Pasolini amiamo molto Accattone da queste relazioni. Grazia Paganelli Come CANNES in un sogno Conversazione con Hippolyte Girardot e Nobuhiro Suwa, Cannes 2009

l segreto del cinema, se vuoi, Girare un film insieme non deve lo puoi trovare in uno stacco essere facile. Eppure durante la I di montaggio. Nello spazio tra visione si sente la presenza di due inquadrature, nel tempo di in entrambi gli autori, sia nella un raccordo di sguardo, la materia loro diversità, sia nel loro trat- di cui è fatta la finzione afferma to comune. Come è stato lavo- discreta la propria natura. Sta lì, rare in due? sullo schermo, per condurre in un Hippolyte Girardot: È la do- altro luogo, per dare forma a un manda che ci fanno tutti, e mi desiderio. Il cinema è fatto della sembra inevitabile dover par- materia di cui sono fatti i sogni, tire da qui. La collaborazione e a volte capita che in un solo è stata fantastica, ma per nulla passaggio, in un campo-contro- facile. Anzi, direi proprio com- campo nato dallo sguardo di un plessa. Io non parlo giappo- personaggio, si dia vita al sogno nese e lui non parla francese di quello stesso personaggio. La e ci è voluto molto tempo per piccola Yuki, protagonista del film entrare in sintonia. È stato un che porta il suo nome e quello lavoro a distanza, ciascuno dell’amica Nina, entra nel sogno ha scritto la propria parte e nell’attimo di uno stacco, come poi quando ci siamo incon- se il cinema desse ai suoi occhi la trati abbiamo cercato di unire forza di annullare il reale. le due idee; dopo poco, poi, Yuki & Nina, diretto in collabo- sono cominciate le riprese. razione da Nobuhiro Suwa e da Credo sia stato questo il mo- Hippolyte Girardot, racconta una mento in cui ho cominciato a storia di sopravvivenza a un di- capire come sarebbe venuto il vorzio; la storia di un’infanzia che film. È come se con le riprese trova il suo stupefatto riscatto in le cose fossero «precipitate», una sola, meravigliosa sequen- nel senso chimico del termine: za in cui la piccola protagonista, quando una sostanza si separa vagando smarrita in un bosco e dà vita a qualcosa di nuovo, della campagna francese esce si dice che avviene una preci- Yuki & Nina dalle sue paure ritrovandosi im- pitazione. Con noi è successo provvisamente in una inconta- il contrario, dalla separazione la collaborazione con gli altri au- minata campagna del Giappone, ci siamo uniti e in un certo senso tori dei miei film era limitata al tra amiche con cui giocare e una le cose hanno cominciato ad agi- rapporto con gli attori. Ci mette- dolce vecchina a vegliare su di re da sole, quasi indipendente- vamo attorno a un tavolo a stabi- loro. È un attimo, ma racconta un mente da noi. Alla fine credo che lire le linee guida dei personaggi, mondo. È un semplice stacco, ma il risultato finale del film sia la ma poi grazie all’improvvisazio- conduce nel reame dell’ignoto realizzazione più sincera ed evi- ne creavamo insieme qualcosa di e trova una soluzione al dolore dente di quello che ho provato diverso. Mai mi era invece capita- della bambina – che si separerà lavorando in coppia. to di lavorare in questo modo per dal padre e andrà a vivere con la Nobuhiro Suwa: È la prima volta la regia: e devo dire che ne sono madre dall’altra parte del mondo che lavoro in coppia, e con Hip- pienamente soddisfatto. È stata –, così come fa capire il rappor- polythe abbiamo formato ve- un’esperienza nuova e intensa, to di vicinanza e differenza tra ramente una strana unione, dal soprattutto perché, dopo aver i due registi, autori così diversi momento che non siamo fratelli inizialmente lavorato separata- e distanti (uno francese l’altro e nemmeno marito e moglie... mente, abbiamo deciso di fare giapponese, un attore l’altro ci- Mi era comunque già capitato di tutte le cose insieme. Sapevamo neasta), eppure uniti nel nome di lavorare in gruppo, sebbene in infatti che la collaborazione tota- un unico progetto. modo diverso, dal momento che le avrebbe sicuramente portato a 76

qualcosa che facesse intendere potevamo fare. Abbiamo raccon- nostro appoggio le due bambine allo spettatore l’identità di cia- tato ciò che dovevamo racconta- non avrebbero saputo arrivare scuno dei due, ma anche l’unione re: la storia di una distanza che in a un tale risultato, ma devo dire delle nostre esperienze. un certo senso unisce. Una storia che noi siamo stati solo gli ispira- in cui i due registi sono protago- tori: il resto lo hanno fatto loro. Da dove nasce l’interesse per il nisti tanto quanto i personaggi mondo del bambini? delle due bambine. Quindi è come se le bambine vi NS: Entrambi abbiamo dei figli avessero guidato in un universo piccoli, e credo che sia da ricer- Come è stato lavorare con i bam- che voi stessi non conoscevate? care in questa esperienza comu- bini? Come avete ottenuto dalla HG: Noi eravamo come dei geni- ne l’origine del film. Volevamo due piccole protagoniste quel tori che non capiscono i loro infatti parlare di infanzia, di ciò senso di intimità e spontaneità figli. Fare il film è stato che si vive, e sovente non si ca- che emerge dalle immagini? come passare attraverso pisce, da bambini, e abbiamo ri- HG: Per lavorare con i bambini una serie di tappe suc- trovato nell’educazione il tema bisogna essere poco pretenzio- cessive. Tappe attraver- fondamentale. Credo infatti che si e parlare normalmente, senza so le quali si cresce e Yuki & Nina sia un film sull’edu- pensare che il bambino che hai si impara: esattamen- cazione: sull’educazione alla di fronte dovrà lavorare con te. te come nella vita. La vita, certamente, quella che so- Sono bambini, in fondo, ingenui metafora dei genitori prattutto Yuki deve vivere sulla e indipendenti, maturi per quello racchiude esattamen- propria pelle, ma anche l’educa- che la loro età richiede. Il segreto te il senso del lavoro zione che spetta ai genitori e ai forse è far capire loro che lavo- svolto. Per entrambi loro amici, la responsabilità che rare è un piacere e che in fondo si trattava di proiet- si ha nei confronti dei più piccoli. non è tanto diverso da giocare. La tarsi in qualcosa che La prima scena del film, ad esem- bambina che interpreta Yuki, Noë non eravamo mai stati, pio, mette in luce esattamente Sampy, non aveva mai fatto cine- e cioè una bambina di questo: fa vedere come la ma- ma prima e con lei abbiamo lavo- sei anni, e l’esperienza dre di Nina tratti la figlia e la rato cercando di crearle tutt’at- ci ha permesso di proiet- sua amichetta Yuki nello stesso torno un’atmosfera tranquilla, tare qualcosa di noi stessi modo, come se le bambine fos- semplice, il più naturale possibi- nel personaggio. Era come sero entrambe sue, come se la le. Lei ci ha ripagati entrando nel entrare nella testa di una responsabilità che le tocca in film con una semplicità sorpren- bambina e al tempo stesso quanto madre fosse collettiva dente, dal momento che appena guardarla da distante: una e non ristretta alla cerchia dei finite le riprese tornava a fare le sensazione strana, quasi legami di sangue. sue cose quotidiane con assolu- straniante. Eppure c’era HG: Yuki & Nina, per noi, è come ta libertà. Era imperscrutabile il sempre qualcosa di perso- un bambino. Solo che non sap- modo in cui riusciva a dare forza nale. In fondo è inevitabile. piamo chi è il padre e chi è la al personaggio e questo aspetto Quando si fa un film è im- madre. È la storia di una bambina credo abbia dato mistero al per- possibile evitare di parla- che sopravvive alla separazione sonaggio stesso. In fondo ogni re di se stessi; ma siccome dei genitori, esattamente come bambino è un mistero e noi adul- in questo caso eravamo il nostro lavoro è sopravvissuto ti a volte non possiamo fare altro in due, l’unico modo per alla separazione dei suoi due au- che guardare o rispettare il loro unire le rispettive perso- tori, alla separazione delle loro mondo. nalità era di proiettarle in idee, alla distanza di due mon- Gran parte del lavoro sul set, in- una terza persona. È così di e di due culture. Per Yuki è la fatti, l’abbiamo fatto proprio per che è nato il personaggio stessa cosa: lei sopravvive a una proteggere le bambine dalle in- di Yuki. condizione in cui vede il padre e terferenze esterne e arrivare al NS: La storia di Yuki per la madre allontanarsi progressi- ciak in modo quasi spontaneo. certi versi potrebbe es- vamente. Mi piace pensare che È chiaro che questo metodo è sere contrapposta a quel- siamo riusciti a raccontare una servito anche a noi, perché ab- la di Un couple parfait storia che si presta a un doppio biamo creato i personaggi passo (2005), dove racconta- livello di interpretazione. Non so dopo passo, vedendo come essi vo del disfacimento di se l’esperienza di girare un film prendevano forma anche grazie una coppia, ma non era con Suwa si ripeterà, ma sono as- alla spontaneità di Noë e Arielle quello che mi interessa- solutamente soddisfatto perché (Arielle Motel, la bambina che in- va. Questa volta volevo abbiamo fatto l’unico film che terpreta Nina, ndr). Certo, senza il raccontare l’universo di 77

un bambino, mettermi alla sua altezza. Infatti, il problema con i bambini al cinema è che nella maggior parte dei casi, specie nel cinema commerciale, sono raccontati dagli adulti. Noi, in- vece, volevamo farli vivere sul- lo schermo; volevamo guardarli vivere. Inizialmente abbiamo esitato un poco, eravamo inti- moriti dalla difficoltà del lavoro, che consideravamo una vera e propria sfida. Sappiamo infatti quanto sia difficile rapportarsi ai bambini, quanto sia faticoso com- prendere le loro logiche, le loro esitazioni, le loro paure che non sanno esprimere. Noi cercavamo un canale per riuscire a entrare in contatto e siamo riusciti a trovar- lo durante le riprese, arrivando ad avere una libertà d’espressio- ne e di emozione assolutamente uniche. Poco fa, se mi è parso di capire bene con il francese rudi- mentale che ho messo su in que- sti mesi, Hippolythe ha parlato delle riprese come del momento in cui le cose hanno cominciato a prendere una direzione: anche per me è così, perché sono riu- scito a trovare la naturalezza e la libertà che ho sempre avuto nei film precedenti. È una condizio- ne indispensabile.

Nel vostro film colpisce la dispari- tà tra la messinscena realista e gli improvvisi squarci onirici, surrea- li, immaginifici. Non mi riferisco solo al bellissimo momento del «salto» in Giappone, ma anche a tutte quelle scene in cui emer- ge la fervida immaginazione delle bambine, la loro ingenua fantasia… NS: Si tratta ancora una volta dell’espressione di una distanza, di una separazione che in realtà nasconde l’unione di due univer- si. Dopo aver visto il film, in molti mi chiedono se conosco il cine- ma neorealista e se per il film ho sentito l’influenza di Rossellini, in particolare di Viaggio in Italia. È una domanda a cui non saprei Yuki & Nina rispondere. Conosco il cinema 78

italiano del dopoguerra, ma se dovessi pensare a un riferimen- to preciso mi verrebbe in mente Germania anno zero, con la soli- tudine del bambino e il suo er- rare senza meta tra le macerie di Berlino. In fondo è quello che fa Yuki quando si perde nel bosco. È in questo momento che la mia visione della realtà prende for- ma. Lo stacco di montaggio che porta dalla Francia al Giappone è un salto nel vuoto, uno squar- cio surreale che nasce da un dato assolutamente concreto. Il bosco è fitto, impenetrabile, ma all’improvviso è come se Yuki fosse in un sogno, in un modo parallelo. Ma questo mondo onirico è assolutamente reale, tant’è che alla fine lo rivediamo nella sua totalità e la bambina crede di esservi già stata. In que- sta opposizione tra realtà e sur- realtà, e nel loro fondersi senza continuità, sta il segreto del film e credo anche del mio modo di concepire il cinema. È come se il bosco fosse un punto di passag- gio, l’immagine concreta delle due idee di cinema che io e Hip- polyte portiamo dentro.

La scena girata nel bosco emo- ziona, sorprende, toglie il fiato grazie a uno stacco di montag- gio. Mi viene difficile pensare a un omaggio più semplice e pro- fondo alla potenza del cinema… NS: È cinema puro, è vero, ma che si era creato tra noi e all’in- alla magia del cinema, che con nasce dalla vita. Non è un caso contro fra la mia cultura e la sua, uno stacco di montaggio riesce che il film sia nato da lunghe di- abbiamo capito che il film parla- a condurci dove non si sarebbe scussioni tra me e Hippolyte sul va di questo dualismo, che por- mai immaginato. nostro rapporto con l’infanzia, tava dentro di sé una doppia ap- con i bambini, sulle nostre espe- partenenza a due mondi diversi. Quindi anche in questo caso si è rienze. Il cinema era certamente Da un punto di vista stilistico e trattata di un’improvvisazione… presente nei nostri discorsi, ma narrativo, poi, anche quando ab- HG: Non abbiamo riflettuto non veniva al primo posto. La biamo deciso di girare una parte molto su come arrivare alla scena girata in Giappone, che del film in Giappone, non aveva- svolta del film. Semplicemente, arriva inaspettata, è stata come mo alcuna idea di come arriva per come si erano messe le cose una specie di liberazione, pro- rci. E, cosa assai più importante, fino a quel momento, era imme- prio perché è nata naturalmen- non avevamo alcuna idea sulla diato arrivare alla soluzione del te, senza forzature. Inizialmente, fine che avrebbe fatto la picco- salto improvviso, quasi magico, infatti, non prevedevamo né di la Yuki. Tutto poi è arrivato in in un altro mondo. Il bosco è un girare in Giappone, né di immer- modo sciolto, naturale, grazie al salto nel vuoto ed è assoluta- gerci in un bosco, ma durante la lavoro preparatorio fatto in pre- mente significativo che la sce- lavorazione, grazie al rapporto cedenza. E magari anche grazie na sia stata quasi improvvisata 79

Francia, soprattutto quando il personaggio che interpreta, il padre di Yuki, rimane solo con la bambina. Ma si tratta solamente di pensieri legati ai nostri lavori precedenti. Come abbiamo già detto, tutto il film è nato a parti- re da un processo comune e il ri- sultato è l’unione di due modi di lavorare, di pensare, di guardare. Quando lo rivedo rimango stupi- to dalla quantità di cose che non capisco, che avrei girato diversa- mente, ma non escludo che fosse proprio questa sensazione che volevo ottenere quando ho deci- do di girare un film in collabora- zione con un altro regista. Perché è proprio in queste piccole man- canze, in questi particolari che non tornano, che io ritrovo il sen- so del mio cinema, la mia voglia di fare cinema e il desiderio di farlo in un certo modo.

Guardando all’elemento surreale, però, a quell’insinuarsi nella real- tà, non può non venire in mente Mizoguchi e tutti i fantasmi del ci- nema giapponese e quindi ricono- scere la radice del tuo cinema… NS: Quando la gente mi chiede del neorealismo si rifà a una tra- dizione, a un modo di leggere la realtà e il pensiero dell’uomo. La sua domanda fa l’identica cosa: Yuki & Nina riallaccia il mio modo di fare cinema a un modello stilistico e narrativo tipico della cultura con Noë e che sia nata senza sa- del trasferimento con la madre giapponese. È chiaro che sono pere bene cosa avremmo fatto. in Giappone: adattandoci e so- influenzato da quel mondo, non Dopotutto, un film è il risulta- pravvivendo. Ed è così che pure potrebbe essere altrimenti, e to di emozioni molto forti e di le cause materiali hanno dato sono contento che dai miei film cose assolutamente concrete. il loro contribuito alla riuscita emerga il patrimonio cultura- Perché se è vero che la parte in del film. le del mio paese: ma proprio Giappone è arrivata come una per questo credo non si tratti di rivelazione, come una scelta Ci sono nel film elementi che ri- intenzioni volontarie, bensì di dettata dal percorso fatto in- conoscete come vostri e altri che intuizioni naturali, immediate, sieme, lo è altrettanto che, una invece considerate appartenere quasi spontanee. Mizoguchi è un volta arrivati là, abbiamo do- più all’altro? maestro imprescindibile e forse, vuto adattarci alle condizione NS: Non saprei… forse no. Ma il sì, la mia visione del reale, l’idea della produzione (ad esempio, fatto che tu faccia questa do- che il sogno possa fare da tra- non potevamo girare a Tokyo), manda è significativo. È chiaro mite di due mondi separati, l’ho del tempo, delle situazioni che che la gente pensi che la mia presa da lui. trovavamo. Abbiamo così fini- parte più «personale» sia quel- to per comportarci esattamen- la girata in Giappone e quella A cura di te come Yuki di fronte al fatto di Hippolyte quella girata in Roberto Manassero