QUADERNI DEL PENS Numero 1, 2018 CON TESTO a FRONTE
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
QUADERNI DEL PENS Numero 1, 2018 CON TESTO A FRONTE POETI E TESTI DEL NOVECENTO A CONFRONTO UNIVERSITÀ DEL SALENTO 2018 QUADERNI DEL PENS Centro di ricerca Poesia contemporanea e Nuove scritture Collana Peer review diretta da Fabio Moliterni Le pubblicazioni proposte alla collana « QUADERNI DEL PENS » vengono sottoposte a processo di peer review double-blind. Direttore della Collana Fabio Moliterni (Università del Salento , Italy) Vicedirettore della Collana Simone Giorgino (Università del Salento , Italy) Comitato Scientifico Giuseppe Bonifacino (Università di Bari) Andrea Gialloreto (Università di Chieti-Pescara) Antonio Lucio Giannone (Università del Salento) Yannick Gouchan (Università di Aix-Marseille) Paola Laskaris (Università di Bari) Juan Carlos de Miguel (Universidad de Valencia) Irene Romera Pintor (Universidad de Valencia) Progetto grafico Filippo Spiri Segreteria di redazione Carolina Tundo (Università del Salento) [email protected] © 2018 Università del Salento ISSN: 2611-903X ISBN: 978-88-8305-141-8 DOI Code: 10.1285/i9788883051418n1 http://siba-ese.unisalento.it/index.php/qpens PREMESSA I “Quaderni del Pens” si presentano come una “officina”, uno spazio o un contenitore nel quale raccogliere i risultati del lavoro critico che ogni anno il Centro di ricerca PeNs - Poesia contemporanea e Nuove scritture, istituito presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università del Salento, realizza intorno a momenti e figure della letteratura italiana del Novecento e contemporanea, riletti in una chiave interdisciplinare e transnazionale. In questo primo numero della collana si pubblicano i contributi che sono stati presentati in occasione di un Ciclo di seminari, tenuti presso l’Università del Salento nel corso del 2017, dal titolo “Con testo a fronte. Poeti e testi del Novecento a confronto”, ai quali hanno partecipato studiosi e docenti dell’Università del Salento e di altre Università europee. I saggi presenti nella prima sezione si occupano di un fenomeno che, secondo le parole di Pier Vincenzo Mengaldo (nella sua Introduzione ai Poeti italiani del Novecento, Mondadori 1990), assume in Italia un’importanza centrale a partire almeno dal periodo tra le due guerre, quando si assiste alla volontà di “apertura europea” che caratterizza la cultura post-rondesca e che spinge ad ampliare o diversificare i contatti e gli scambi con altre lingue e letterature, oltre l’esclusiva mediazione francese, “quasi d’obbligo” per la letteratura dell’Ottocento (pp. XXX- XXXI). Il diffondersi delle traduzioni d’autore, il misurarsi “ubiquo” con mondi linguistici e letterari “alieni e anche remoti” sono la testimonianza della volontà di aggiornamento della cultura italiana, documentano la crisi o il declino delle tradizioni ma anche la necessità di “rimotivare” la scrittura letteraria all’altezza del presente; indicano la “compresenza” nei grandi scrittori del Novecento di almeno tre anime, quella di poeta o narratore, traduttore e critico (p. XXXII): si pensi alla couche ermetica e alla funzione delle traduzioni dallo spagnolo nel saggio di Paolo Zublena; all’attività di mediatore tra Italia e Spagna compiuta da Vittorio Bodini, al centro del contributo di Leo Luceri; e ancora all’opera di traduttore (e di autore tradotto) di Eugenio Montale tutt’altro che pacificata, come risulta dall’intervento di Patrizia Guida; e infine allo sperimentalismo espressivo di Vincenzo Consolo indagato da Irene Romera. La seconda sezione di questo numero, in linea con le aree di ricerca del Centro PeNs e del settore della Letteratura italiana contemporanea del nostro Dipartimento, è dedicata alla pubblicazione di inediti, carte d’autore e documenti provenienti dagli archivi di autori del Novecento. In questo caso si è scelto di pubblicare due testi che provengono dall’Archivio Vittorio Bodini, raccolti e sistemati da Simone Giorgino, che documentano i rapporti tra il poeta salentino e lo spagnolo Rafael Alberti. L’ultima sezione, infine, intitolata “Pens papers”, intende offrire spazio ai giovani e alle giovani studiose dell’Università del Salento, con una selezione dei loro migliori saggi che nel corso dell’ultimo anno sono stati pubblicati sulla rivista on line del Centro (www.centropens.eu). I contributi di Roberta Caiffa su Amelia Rosselli, di Anna Chiara Strafella su Vincenzo Rabito, di Simone Giorgio su Giorgio Vasta vertono ancora sui fenomeni di “extra-territorialità”, di scambi o conflitti tra culture e di sperimentazioni intorno al linguaggio, come aspetti cruciali che attraversano tutta la letteratura del Novecento fino ai nostri giorni. Riflettono sull’urgenza che hanno soltanto gli scrittori “veri” di porsi di fronte alla (propria) scrittura “con testo a fronte”, con uno strabismo indispensabile per tentare di colmare – o di abitare – lo iato esistente tra le parole e le cose, il “mondo scritto” e il “mondo non scritto”, le lingue ufficiali e quelle “minori”. FABIO MOLITERNI LAVORO CRITICO QUADERNI DEL PENS, 1 (2018) PAOLO ZUBLENA (UNIVERSITÀ DI GENOVA) ERMETICI O NO? BO E MACRÌ TRADUTTORI DI POESIA SPAGNOLA NOVECENTESCA (1938-1945) Questo intervento vorrebbe verificare la presenza di tratti stilistici riconducibili al codice ermetico nelle prime traduzioni della grande poesia spagnola novecentesca a cavallo tra anni ‘30 e ‘40. Considereremo in particolare i casi di Carlo Bo e di Oreste Macrì, sodali di quella compagnia di letterati che si riunì per molti anni prima presso il Caffè san Marco, poi alle Giubbe Rosse. Nelle parole di Macrì, ecco quanto era accaduto: «la traduzione, in particolare, risultava conseguenza psicologica e artistica della nostra vocazione europea e quindi planetaria, suggerita dal demone delle letterature straniere, sincronizzati con noi o di poco anteriori i nostri padri e maestri […]. Ma lo spirito e l’intento dei traduttori era diverso, oltre che comprensivamente impegnato: riprodurre stili, modelli, persone poetiche, esempi concreti che rompessero la nostra tradizione indigena provincializzata e sclerotizzata nell’accennato manierismo postclassico e purista. Soleva dire umoralmente Sergio Baldi che ci eravamo spartiti il mondo della poesia: per sé si era riservato i paesi di lingua inglese, discepolo di Mario Praz; i russi assegnati a Poggioli e Landolfi; i tedeschi a Leone Traverso; gli spagnoli a Carlo Bo e a chi vi parla, discepolo di Casella; i portoghesi a Panarese scopritore e diffusore del grande Pessoa; ancora gli spagnoli a Bodini e al giovane Tentori; i francesi allo stesso Bo, Mario Luzi, Bigongiari, Parronchi, restando la Francia comune a tutti; ancora dall’inglese tradussero Carlo Izzo, Augusto Guidi, Bertolucci, Sereni e i più giovani Margherita Guidacci e Roberto Sanesi. Sto procedendo per sommi capi e a memoria, giacché desidero soltanto ridestare l’aura di quei tempi fino almeno al ventennio postbellico, quando si notarono gli enormi effetti di tale azione traduttoria fino a quello “stile di traduzione”, avvertito da Enrico Falqui nella sua introduzione a una antologia di essa giovane poesia»1. La tarda rievocazione di Macrì è sintomatica di una vulgata, come si era diffusa nella storia letteraria – non senza il contributo dello stesso Macrì. Ma esisteva davvero questo «stile di traduzione»? E, se è esistito qualcosa del genere, ce n’era stata una protovarietà ermetica già 1 ORESTE MACRÌ, La traduzione poetica negli anni Trenta (e seguenti), in ID., La vita della Parola. Da Betocchi a Tentori, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni, 2002, pp. 47-64, alla p. 49. 7 LAVORO CRITICO negli anni dell’ermetismo storico? Si può insomma sostenere che in Italia verso gli anni ‘40 si formò qualcosa come un modello di lingua “da traduzione”, agglutinato attorno al nucleo stilistico della grammatica ermetica? Non mi azzardo a dare una risposta certa, anche se propenderei per il no – almeno a quell’altezza, ed eccettuando forse gli esercizi francesi degli stessi poeti ermetici – Luzi in primo luogo (e sospendendo il giudizio sul maggiore, forse, dei traduttori evocati da Macrì, e cioè il Leone Traverso alle prese con Rilke e George). Andrà intanto precisato che l’evocazione di Falqui può risultare leggermente fuorviante. Falqui usava la formula “stile da traduzione” in modo tutt’altro che positivo o anche neutro: «E qui, per quanto rincrescevole, torna giusta una osservazione anche sul minaccioso persistere dello “stile da traduzione”, in cui risulta schiacciante e mortificante l’influsso esercitato dall’uno o dall’altro poeta straniero preferito. Fra i moderni, oggi, Withman, Esenin, Aragon, Majakovskij, Lorca, Neruda, Lee Master, la fanno troppo da padroni. E troppi sono i versi che sembrano ricalcati sul loro modello. E quasi sempre l’autore del rifacimento milita tra i Neorealisti. Ond’è che torna altrettanto giusto notare [...] che molti nostri giovani poeti (e sono per solito quelli più inclini o più aperti o più pronti ad accogliere l’istanza sociale) presumono d’aver conquistato chissà quale novità nella trasposizione in vocaboli italiani di versi rifatti su traduzioni spesso scialbe»2. Non c’è qui davvero la possibilità di intravvedere uno stile traduttivo fondato sul paradigma ermetico. Semmai, al negativo, il riconoscimento di un fenomeno la cui importanza non mancherà spesso di richiamare Mengaldo, ad esempio nella premessa della terza serie della Tradizione del Novecento – in cui si sostiene con forza l’esigenza di «delineare una storia globale del tradurre (poesia) nell’Italia del Novecento, evidentemente comprensiva anche delle versioni “medie” e non solo delle insigni»3. Se limitiamo