UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI VENEZIA Laurea magistrale in Antropologia Culturale, Etnologia, Etnolinguistica

Tesi di Laurea in Antropologia Sociale

OUT OF ORDER

Etnografia di uno stato d'eccezione Exarchia, Atene

Relatore: prof. Gianluca Ligi Candidata: Anna Giulia Della Puppa Matricola: 839912

Sessione Autunnale Anno Accademico 2013/2014

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La città per chi passa senza entrarci è una, e un'altra per chi ne è preso e non ne esce; una è la città in cui s'arriva la prima volta, un'altra quella che si lascia per non tornare; ognuna merita un nome diverso; forse di Irene ho già parlato sotto altri nomi; forse non ho parlato che di Irene.

Italo Calvino

Non abbiamo ancora realizzato fino a che punto siamo stati indotti a desiderare una fine anziché desiderare senza fine.

Raoul Vaneigem

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4 Indice

Prodromi di un viaggio………...... p. 9 1. Frammenti………………………………………………………………………………....…p. 10 2.”Siamo immagini dal futuro”………………………………………………………….….…..p. 15 3. Albe nere…………………………………………………………………………….…….....p. 22 4. Sugli altopiani di Irene………………………………………………………………….…....p. 32 5. Perché Exarchia, perché i disastri………………………………………………….………...p. 33 6. La tesi…………………………………………………………………………….…………..p. 35

1. Questioni etnografiche..……………………………...…………………………....……p. 39 1. Considerazioni metodologiche………………………………………………………….……p. 39 2. Ombre del passato…………………………………………….……………………………...p. 42 3. Spaesamento/appaesamento…………………………………………………….………...….p. 46 4. Sul campo………………………………………………………………………….……...….p. 55 5. Nuove questioni………………………………………………………………….…………..p. 58 6. La città e il conflitto…………………………………………………………………….……p. 62 7. Nuova epica urbana……………………………………………………………….……….…p. 66 8. Per un nuovo interpretativismo post-moderno………………………………………….…....p. 69 9. Note alla lettura degli etnonimi…………………………………………………….………...p. 78

2. Economie dell'indifferenza...... p. 79 1. Il grande malato…………………………………………………………………………...….p. 86 2. L’altro mondo…………………………………………………………………………..…….p. 88 3. Sangue del nostro sangue………………………………………………………………….....p. 89 4. Noi, greci……………………………………………………………………………...…..….p. 92 5. Finzioni Occidentali……………………………………………………………...…………..p. 95 6. Discriminare il sole…………………………………………………………………..…..…p. 101 7. Ripetizione e potere…………………………………………….…………….……………..p. 102 8. Realtà e tecnocrazia………………………………………………………..………………..p. 106

5 3. Frammenti di storia contemporanea…………………….…………………………...... p. 111 1. Modernità e tradizione…………………………………….…………….………………..p. 114 2. Prima della Metapoliteusi………………………………………………….……………..p. 117 3. Metapoliteusi………………………………………………………………….………….p. 124 4. Nascita di una nazione…………………………………………………………….……...p. 133 5. Generazione No Future…………………………………………………………………..p. 139 6. I giochi (d)e la finanza……………………………………………………………………p. 143 7. Come una bolla di sapone………………………………………………………………..p. 146

4. La città invisibile...... p. 151 1. Embedment...... p. 151 2. La città e la memoria...... p. 156 3. La città sottile………………………………………………………..……………………p. 178 4. Droit à la ville………………………………………………………...... …….p. 193 5. La città e i morti……………………………………………………………………….….p. 210 6. La città e i segni………………………………………………………………….……….p. 222 7. La città e il desiderio……………………………………………………………….……..p. 232

5. Etàt de siége...... p. 249 1. L’iperluogo…………………………………………………………………………….....p. 249 2. Il mito delle palme………………………………………………………………..………p. 262 3. Stato di eccezione……………………………………………………………………...…p. 265 4. Debito…………………………………………………………………………………….p. 274 5. Comando e controllo………………………………………………………………….….p. 281 6. La comunità terribile……………………………………………………………...……...p. 296 7. Condannare la violenza, da ovunque provenga…………………………………………..p. 308 8. Mezzi senza fine………………………………………………………………………….p. 316

6. Futuro sospeso...... p. 319

Appendice...... p. 337 1. Interviste...... p. 337 i. Christina…………………………………………………………………………………...p. 339

6 ii. Alexandros………………………………………………………………………………....p. 348 iii. Elli Botonaki…………………………………………………………………………….…p. 356 iv. Salomi Chatzivasileiou………………………………………………………………….....p. 372 v. Kostas Vasiropoulos……………………………………………………………………….p. 397 vi. Kostas Aggelidakis………………………………………………………………………...p. 409 vii. Thodoris Zeis………………………………………………………………………………p. 426 viii. Vangelis Dimos………………………………………………………………………...…p. 448 ix. Yiannis Felekis…………………………………………………………………………....p. 460 x. Fotini Yiannopoulou……………………………………………………………………….p. 477 2. Bibliografia……………………………………………………………………..………..p. 485 3. Ringraziamenti……………………..…………………………………………………….p. 499

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8 Introduzione Prodromi di un viaggio

L’alba rossa delle sommosse non dissolve le creature mostruose della notte.

Raoul Vaneigem, Trattato del saper vivere ad uso delle nuove generazioni

Negli ultimi anni, nell’attuale stato di crisi economica mondiale, la Grecia, piccolo paese mediterraneo, è salito alla ribalta delle cronache per qualcosa che sembra non centrare con la sua immagine più consueta: il bucolico paesaggio estivo di casette bianche dalle finestre blu, la sua gente ospitale, il mare che, come la sua bandiera, è di un azzurro e di un bianco emozionanti. È diventato, soprattutto agli occhi dei vicini europei, il punto di riferimento negativo di tutto ciò che la crisi rappresenta: miseria, devianza sociale,

“fannullismo”, lassismo istituzionale, repressione poliziesca, razzismo e tumulti di piazza.

Queste rappresentazioni, mediaticamente socializzate, sono delle costruzioni di facciata, efficaci per la loro portata simbolica e spaventosa, sono però molto spesso non indagate, non approfondite. È il compito quindi di una disciplina fluida come l’antropologia quello di entrare negli ingranaggi storici e sociali di questo “stato d’eccezione” e tentare di dare riposte circa il funzionamento interno di questi meccanismi, che meccanismi non sono, ma intrecci di vite, di percezioni, di parole, in una dinamica che sempre più tende al conflitto.

9 Per molti versi si può guardare alla gestione emergenziale della crisi greca come ad un grande laboratorio sociale per la gestione delle politiche socio-economiche e dell’ordine pubblico, messo in atto dai nuovi governi sovranazionali che determinano la situazione di amministrazione degli stati post-moderni.

Non va dimenticato, ed è ciò che cercherò di fare emergere in queste pagine, che in questa gestione socioeconomica (nella quale spesso la particella “socio” si perde in favore di un’espansione esponenziale dell’economicismo puro), nei discorsi sui “massimi sistemi” economicistici, vi è un brulichio che le formule della matematica economica neutralizzano, come l’occhio nella visione da lontano fa coi pixel di cui è formata un’immagine digitale.

Quel brulichio, continuo, incessante e vissuto come una fastidiosa falla nel perfetto funzionamento del motore neoliberista, sono le vite, i pensieri, le resistenze, di uomini e donne fatti di “carne e fiato”, corpi indocili. È ad essi che voglio rivolgere le mie attenzioni con questa ricerca, cercando di smontare lo stereotipo di cui, da troppo tempo, sono rivestiti.

1. Frammenti

Per me la crisi è il ricordo di una notizia dall’autoradio della macchina di amici dei miei genitori.

Era una giornata di metà settembre, ed io ero arrivata ad Atene davvero da pochi giorni.

Avevo preso casa a Exarchia, in un bellissimo palazzo neoclassico, ridotto non troppo bene,

10 all’incrocio tra via Solonos e via Zoodochou Pigis. Era stata una scuola di danza. Vivevo in una microscopica stanza con bagno in mansarda, subaffittata a trecentosessanta al mese

(ora questo è più o meno il costo di un appartamento di cento metri quadrati nello stesso quartiere) da una coppia di dj omosessuali, tutt’altro che ospitali.

Quella sera Sotiris ed Eleni, i vicini di casa del mare della mia famiglia, mi avevano invitata a cena fuori. Siamo andati in una specie di brasserie informale ma elegante dalle parti della facoltà di legge, di quelle dove i trentenni vanno a bere cocktail, una volta abbandonata la vita da studenti.

Alla fine della cena, piacevole, mi hanno portata a fare un giro in macchina per prendere confidenza con il centro della città.

Atene allora era bellissima. Oggettivamente bellissima, intendo. Una capitale europea pulita, curata, piena di alberi d’arancio lungo le strade. Ogni sera i bar nei quartieri erano pieni di gente. Era dolce passeggiare, nel tepore di un autunno che tardava ad arrivare, per le strade del centro lastricate di pietra.

Una metropoli senza ansia, checché ne dicessero tutti i conoscenti che ci vivevano secondo i quali era una città dai ritmi stressanti.

Quella sera abbiamo percorso le strade chiacchierando, con la musica della radio in sottofondo. Kolonaki, Pagkrati, Metz; e poi tutto intorno alla collina di Filopappos, fino a

Gazi. Da lì lungo l’arteria di via Peiraios tornavamo verso il centro: piazza Omonia e poi

11 Exarchia. È lì che è successo. Sotiris ha all’improvviso alzato il volume della radio per una notizia flash che era appena stata data: l’annuncio della bancarotta di Lehman Brothers.

Non so se ai miei ospiti fosse chiaro fin da quel momento la gravità della questione.

Inizialmente ho pensato che la loro reazione preoccupata fosse dovuta al fatto che avessero investito del denaro in azioni americane, e che li avessero, così, persi. Non potevo immaginare che invece, proprio in quel momento, stava cominciando una fase epocale per la storia economica mondiale e, ancor più, che questo avrebbe messo in atto dei mutamenti sociali profondi e che essi sarebbero esplosi in tutta la loro violenza proprio nel paese dove avevo deciso di trascorrere l’Erasmus con l’idea di imparare la lingua e di passare del tempo con gli amici che vivevano lì.

L’evento che ha caratterizzato il mio rapporto con Atene, però, è stato di tutt’altra natura.

Andare via di casa a vent’anni per vivere un anno in una città grande più del doppio di qualunque città in cui si sia mai vissuto, della quale non si conosce la geografia ne’ la lingua,

è probabilmente considerabile come un rito di passaggio moderno. Più dell’uscire di casa per andare all’università, più della prima sbronza. È il primo momento in cui davvero la vocina dentro il cervello ti dice: «e adesso arrangiati!».

Non sono stati facili i primi tempi, soprattutto considerato che, allora, ero una persona spaventata dall’aprirsi a relazioni con gli altri. La convivenza, oltretutto, si stava dimostrando insopportabile: non avevo accesso al soggiorno, ne’ mi era concesso mangiare in cucina.

12 Passavo le giornate tra l’università, distante quasi cinquanta minuti di autobus dal centro, dove comunque non avevo granché da fare, e la mia stanzetta dove, poiché non arrivava altrove il segnale di internet, ero costretta a studiare seduta sul letto.

Poi un sabato sera di dicembre, verso le 21.00 due colpi secchi, come se qualcuno sbattesse violentemente il coperchio di un bidone delle immondizie per strada. Due colpi secchi e urla.

Non avendo una finestra che desse sulla strada, e non avendo né potendo avere idea di cosa stesse succedendo, ho finito con calma di prepararmi, e sono scesa in strada. C’era molta polizia bardata, ma non sembrava stesse succedendo nulla. Più in basso, circa all’incrocio tra via Solonos e via Emanuel Benaki tre ragazzi molto giovani, circa su quattordici, quindici anni, trascinavano un bidone verso il centro della strada. Mi sono avvicinata e ho chiesto loro cosa stesse succedendo. “Hanno ucciso un ragazzo!” “Chi?!”, ho chiesto. Devo essergli sembrata molto stupida in quel momento. “Che domande fai!?” e si sono allontanati spingendo via il bidone.

Ricordo solo che c’era molto rumore in lontananza, e il silenzio ed il vuoto a circondarlo.

L’amica con cui avevo appuntamento quella sera mi aspettava a Gazi, così ho preso la metro a

Panepistimio (di lì a pochi minuti l’avrebbero chiusa) e sono uscita dal quartiere.

Una volta arrivata, la notizia dell’omicidio di Alexis Grigoropoulos era già su tutti i canali televisivi. Tutte le stazioni della metropolitana del centro erano state chiuse e i servizi autobus sospesi. Cominciavano le rivolte. Improvvise e violente. Ricordo che ci siamo fermate in un

13 bar con la televisione (raro di sabato sera), prima che decidessi di tornare verso casa a piedi.

Dal fondo di via Ermou, dove comincia a Gazi, guardando verso il parlamento, la strada si accendeva progressivamente di lapilli di fuoco. A mano a mano che salivo, gli incendi erano ormai divampati lungo tutta la strada. Percorrendola lo scenario era incredibile. Le vetrine erano sventrate e da molti negozi uscivano lingue di fuoco.

Io camminavo e non riuscivo a non pensare a un bambino che esce di casa con gli amici e che viene ucciso. Ucciso da un uomo adulto, con la divisa, che si ferma, lo guarda in faccia e gli spara addosso con odio. Con schifo.

Piangevo, e non sapevo se fosse per il fumo negli occhi o perché era tutto troppo violento e incredibile. Troppo improvviso.

A mano a mano che mi avvicinavo ad Exarchia l’odore acre dei lacrimogeni si faceva più forte, il calore del fuoco più intenso. Su via Akadimias ho cominciato a sentire delle voci e il rumore di pietre che cadevano sull’asfalto. C’era della gente con i visi coperti davanti alla facoltà di legge che urlava contro un reparto di poliziotti in assetto antisommossa, che era evidentemente incapace di reagire.

Ho ritrovato le mie lacrime in quelle urla. Urlavano allo stesso volume e alla stessa intensità dei miei pensieri. Non era il gioco della guerra, era rabbia e tristezza. Sono corsa verso di loro, e non me ne sono più andata.

14 Nei giorni successivi è successa una cosa incredibile. Tutta la rabbia e il dolore di quella notte sono diventate un patto d’amore. Una vera, autentica gioia di essere insieme che si è espansa lungo le vie della metropolitana, attraverso le strade vuote di auto, fino alla periferia e oltre.

In tutta Europa e in tutto il mondo ci sono state manifestazioni e azioni solidali con le rivolte del Dicembre greco. Ma quello che in città è accaduto allora, adesso, ha nella mia testa la consistenza di un sogno. È così per molte delle persone con cui, negli anni, ho riparlato di quell’esperienza.

Ho ritrovato una poesia che avevo scritto in quei giorni:

Siamo ombre nell'ombra che dura un istante. Barlumi di vita fragore sordo nel silenzio adrenalinico di occhi che dicono la Verità. Ci piace giocare per strada.

2. “Siamo un’immagine dal futuro”

Quello che hanno lasciato le notti di Dicembre è stata una presa di coscienza sulla necessità di azione diretta. La crisi come la conosciamo oggi non era ancora cominciata; ancora non era stata fatta la cruciale “scoperta” del neoeletto governo Papandreou del deficit pubblico al

15 12,7% del PIL greco, che avverrà solo a novembre del 2009. Tuttavia di crisi economica globale già si era cominciato a parlare diffusamente, in Grecia come altrove.

Le rivolte di Dicembre hanno aperto la strada a estesi movimenti di autogestione in città, all’insegna di occupazioni di spazi in disuso e strappati alle logiche commerciali. Inoltre, un altro dato importante che ha caratterizzato quel periodo era la volontà di sovvertire l’ordine quotidiano della vita cittadina. L’appropriazione e la risignificazione dello spazio pubblico sono stati parte integrante di questo processo. Una delle parole che più ricorre nelle interviste a chi a partecipato a quel movimento è anticommerciale (antiemporefmatikò).

Anche se adesso sembra un’immagine incredibile, è importante contestualizzare il paesaggio ecologico-relazionale della capitale greca all’alba della crisi economica. La società greca, fino al 2008, era all’apice del suo sviluppo. Una nazione giovane, piena di sole e di posti meravigliosi, che aveva dimostrato il suo valore con gli europei di calcio del 2004 e aveva avuto la possibilità di mostrarsi come degna erede del suo mitico passato con le olimpiadi dello stesso anno.

Per quest’occasione Atene era stata rimessa a nuovo. Il progetto della metropolitana, abbozzato ma mai portato a termine vide la luce, accostato alla vecchia linea ferroviaria elettrica (ilektrikò) che congiunge ancora il centro città al porto del Pireo, da un lato e ai sobborghi del nord dall’altro. Una nuova segnaletica e una nuova illuminazione stradale, nuovi marciapiedi e graziose strade pedonali alberate hanno fatto la loro comparsa, corollario

16 dei faraonici lavori per ospitare i giochi: stadi nuovi, piscine, campi da gioco e il villaggio olimpico a Menidi1. Tutto ciò giace, in gran parte inutilizzato, lungo le principali arterie stradali dell’Attica.

Menzione particolare va fatta per il nuovo aeroporto di Atene. L’aeroporto Eleutherios

Venizelos2 ha sostituito il vecchio aeroporto di Ellinikò dal 2001 (figura 1), lasciando quest’ultimo in uno stato di pressoché totale abbandono. In vista delle Olimpiadi è stato potenziato e rinnovato. Dal 2005 al 2008 ha vinto il premio come migliore aeroporto dell’Europa meridionale, anche grazie al fatto che è l’unico in questa parte di Europa a poter ospitare l’Airbus A380, l’aereo con maggiore capienza di passeggeri al mondo, di poco più piccolo del Boeing 747, in possesso di pochissime compagnie aeree, che comunque non hanno mai programmato voli di questo aereo su Atene.

Mi soffermerò in seguito sugli aspetti economici di questi investimenti, quello che per ora mi preme sottolineare è la percezione di benessere ed opulenza che si respirava alla vigilia della crisi economica. Prosperità è la parola che mi viene in mente, accompagnata da un edonismo (questa è proprio la parola giusta) diffuso.

1Rinominata Acharnes così come identificata da Pausania nel libro I della “Periegesi dell’Attica” del II secolo, in base al “piano Capodistriano” del 1998, che, tra le altre cose, ha sostituito i nomi arvanitici (di origine albanese) di tutte le amministrazioni locali dell’Attica con “nuovi” nomi arcaizzanti. Nel linguaggio quotidiano tutti continuano a riferirsi a questi luoghi coi nomi arvanitici, tranne a svelare appartenenze ideologiche di destra. 2 Considerato il fondatore della “Grecia Moderna”

17 Figura 1

Distanze tra il centro di Atene (B), il vecchio aeroporto di Ellinikò (C) ed il nuovo aeroporto (A) (fonte: google maps).

18 L’avveramento del sogno della metapoliteusi della Grecia che risorge, ancora una volta, dalle sue ceneri3.

Com’è ovvio, la tendenza della cultura egemonica, per dirla con Gramsci, non nega e anzi porta con sé il suo rovescio. Quello di una cultura subalterna fortemente in contrasto con le politiche governative e antitetica rispetto alla cultura del benessere.

Nel novembre 2003 ho partecipato al forum sociale europeo di Parigi. Ero poco più di una bimba che, dopo la traumatica esperienza delle contestazioni al G8 di Genova del 2001, si affacciava alla prospettiva di un modo diverso di osservare il mondo.

Lì, tra gli stand, ho conosciuto alcuni ragazzi che col senno di poi immagino fossero di EEK, il partito trotzkista greco, che per la prima volta mi hanno parlato dei danni irreparabili che l’organizzazione dei giochi olimpici stava causando alla Grecia, e che, già allora, prospettavano una fine catastrofica.

Ricordo ancora il poster che mi avevano regalato, e che per tanto tempo ho tenuto appeso al muro della mia camera: era il disegno della pista di un flipper. C’erano rappresentati poliziotti in assetto anti sommossa, palazzi che si affastellavano uno sopra l’altro, loghi di sponsor e simboli di dollari che si mangiavano persone e le stesse persone che tentavano di scappare ridotte in povertà. Campeggiava la scritta Athens 2004: Business as usual.

Profetico, non c’è che dire. O forse solo un ammonimento per una catastrofe annunciata.

3 Non è raro trovare riferimenti della Grecia come araba fenice, mitico animale delle patrie leggende antiche. Si veda il II libro delle “Storie” di Erodoto.

19 Nel documentario di Aris Chatsistefanos “Catastroika”4 c’è ad un certo punto un pezzo di trasmissione televisiva in cui l’allora ministro dell’ordine pubblico5 Giorgos Voulgarakis parla delle migliorie apportate alla città per l’organizzazione dei giochi olimpici. Ha un’aria civettuola, dice che «abbiamo speso tantissimi soldi, più del doppio di quanti se ne sono spesi a Sydney». L’intervistatrice americana chiede da dove vengano fuori i soldi, in particolare quelli per la sicurezza. Probabilmente il fatto che la Grecia abbia rifiutato che fossero gli Stati

Uniti a fornire gli apparati di sicurezza per i giochi olimpici ha fatto sì che la giornalista rivolgesse questa domanda un po’ piccantina, ma non sembra che ci sia l’intento di mettere in difficoltà l’interlocutore, gli chiede in buona sostanza se i soldi siano greci o derivino dal

Comitato Olimpico o dagli Stati Uniti. Il ministro però si irrita, è evidente. «Li abbiamo i soldi. Stiamo parlando di soldi greci. Forse sono più di quanto possiamo permetterci, ma ci sono».

Potremmo fare a lungo della filologia su cosa significhi questa frase; temo però che, al di là degli espedienti retorici, il ministro abbia confessato in diretta televisiva mondiale che la

Grecia si stava indebitando.

Gli anni successivi, vissuti nella piena illusione che non fosse così, comunque, sono stati anni felici, capitalisticamente parlando: quartieri rivalutati e rimessi a nuovo, molto turismo, anche grazie al nuovo museo dell’Acropoli, progettato dall’archistar svizzero Bernard Tschumi. Ora,

4 A. Chatsistefanos, K. Kitidi, GR 2012, Catastroika, 87 min., Infowar production, HDV colore. 5 Ministero che in modo molto orwellianamente interessante ha preso il nome di ministero dell’ordine pubblico e della sicurezza del cittadino dal 21 luglio 2012.

20 ovviamente una città che diventa bella e più vivibile è certamente un dato positivo. Lo stesso museo dell’acropoli è davvero splendidamente congeniato nei suoi spazi e nelle sue vedute.

La questione di fondo qua però è che è stato un mutamento al di fuori del normale flusso culturale, che ha portato ad un intensa commercializzazione e privatizzazione dei servizi e, soprattutto, che effettivamente lo stato non poteva permettersi. Teniamo pure conto che stiamo parlando di una delle democrazie europee più note per il suo livello di corruzione, come vedremo più avanti, e che un tale spostamento di denaro ha permesso a molti di arricchirsi a spese dello stato che, nel frattempo, si indebitava.

Guy Debord ha scritto:

Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere all’epoca della gestione totalitaria delle condizioni di esistenza. L’apparenza feticista di pure oggettività nelle relazioni spettacolari nasconde il loro carattere di relazione tra uomini e tra classi: una seconda natura sembra dominare il nostro ambiente con le sue leggi fatali. Ma lo spettacolo non è il prodotto necessario dello sviluppo tecnico visto come sviluppo naturale. La società dello spettacolo è al contrario la forma che sceglie il proprio contenuto tecnico. Se lo spettacolo, considerato sotto l’aspetto dei “mezzi di comunicazione di massa”, che sono la sua manifestazione superficiale più opprimente, può sembrare invadere la società come una semplice strumentazione, questa in effetti non è nulla di neutro, ma la strumentazione stessa che conviene al suo automovimento totale. Se i bisogni sociali dell’epoca in cui si sviluppano delle simili tecniche non possono trovare soddisfazione che tramite la loro mediazione, se l’amministrazione di questa società e ogni contatto tra gli uomini non possono più esercitarsi che per l’intermediario di questa potenza di comunicazione istantanea, è perché questa “comunicazione” è

21 essenzialmente unilaterale; di modo che la sua concentrazione non fa che accumulare nelle mani dell’amministrazione del sistema esistente i mezzi che le permettono di continuare questa amministrazione determinata. (Debord 2008:60)

3. Albe nere

Non mi soffermerò più di tanto sul fenomeno dell’ascesa neonazista di Alba Dorata perché non è su questo tema che verterà la mia ricerca, tuttavia, a guisa di contesto ritengo estremamente importante porre alcune considerazioni riguardo al ruolo sociale del nazionalismo e dell’esaltazione del passato nazionale.

In due occasioni mi è capitato di venire a contatto con qualcosa che mi ha profondamente turbata. Non so se sarebbe giusto parlare di nazionalismo inconsapevole, anche perché non sarei in grado di valutare, almeno per quanto riguarda il primo delle due, il livello di inconsapevolezza. È fuor di dubbio, però, che sono stati dei punti cruciali che mi hanno spinta ad aprire delle finestre di riflessione su una prospettiva olistica della società greca.

Qualche estate fa, ho avuto un acceso diverbio di natura storica con una conoscente greca.

Quando parlo di acceso diverbio, intendo dire che è finito a insulti e che la mia interlocutrice irritata dalle mie parole si è alzata dal tavolo e se n’è andata dandomi dell’ignorante.

L’oggetto del contendere è stata una mia frase, forse “buttata là” con un po’ di superficialità, ma che non credevo potesse essere offensiva. Alcuni dei convitati alla cena erano dei grandi amanti di storia antica, pur senza esserne dei “tecnici”, ed erano interessati a sapere quale

22 fosse la forma della città di Atene sotto la dominazione turca. «C’erano le capre», ho detto io in forma di battuta per dire che, essendo la capitale del mondo greco-ortodosso

Costantinopoli, Atene era in un certo senso declassata a città minore, pari a tutti gli altri centri urbani dell’impero.

La signora greca al tavolo con noi, una giovane donna acculturata e dalle idee assolutamente democratiche, mi ha aggredita verbalmente dicendo che non ero degna di parlare del suo popolo; un popolo importante, il più importante del mondo. Non sapevo “la verità”. La verità era quella del grande popolo greco ridotto in schiavitù dai barbari turchi, ma che ha lottato e ha saputo riemergere dalle sue ceneri. A nulla è servito farle notare che non intendevo offenderla, che però la cultura Bizantina prende nome dalla città di Bisanzio, antico nome di

Costantinopoli. «Non è mai esistita una città di nome Bisanzio. È solo il nome della cultura. Il centro della cultura greca è sempre stato Atene». I toni, in seguito si sono scaldati e l’epilogo l’ho già raccontato.

La seconda occasione di cui vorrei riferire è un incontro con alcuni militanti del movimento

Anti-Deusche da Berlino e di alcuni militanti “autonomi” del movimento anarchico greco, in uno spazio occupato di Exarchia. Ho posto autonomi tra virgolette perché un lettore italiano, data la storia dell’antagonismo politico nostrano, tende a pensare a quella parte del movimento operaio degli anni ’70, che si chiamava Autonomia Operaia, di matrice operaista e marxista. Nulla di tutto ciò. Gli Autonomi greci derivano direttamente dal movimento

23 anarchico, al quale però pongono delle profonde critiche di sistema circa l’ortodossia dell’ideologia e delle pratiche. Si tratta di un’Autonomia “alla tedesca”, intendendo con questo quella corrente politica dei movimenti di estrema sinistra tedesca degli anni ’60 e ’70 dai quali nasce gran parte della teoria Femminista ed Ecologista radicale, improntata ad un forte anti-fascismo e anti-razzismo. A differenza di questi, comunque, gli autonomi greci, continuano a identificarsi col movimento anarchico, se non a presentarsi propriamente come anarchici.

La serata allo spazio occupato si concentrava su Alba Dorata e sulla persecuzione delle minoranze. In particolare si parlava di ebrei. Durante la serata, la confusione tra israeliani ed ebrei ha raggiunto dei livelli davvero insopportabili. Il concetto di “minoranza perseguitata” era fissato nel ruolo di straniero/vittima e quando qualcuno ha cercato di far notare questa cosa è stato accusato di anti-semitismo e invitato a lasciare l’occupazione. Ne ho parlato con l’amica che era con me. Non capiva assolutamente cosa intendessi. «Se anche noi siamo contro di loro, che differenza c’è tra noi e i fascisti?» Ho cercato di spiegarle in soldoni il concetto di cultura diasporica, e che per questo è difficile identificare gli ebrei come

“stranieri” in qualunque terra si trovino; di fatto non lo sono, di fatto non hanno una terra loro, perché la creazione dello stato di Israele è una faccenda politica complessa.

A parte una evidente ignoranza in materia di conflitto israelo-palestinese, che però è forse una questione che concerne più il singolo e che non mi la sentirei di estendere agli altri

24 partecipanti alla serata, quello che mi è apparso evidente è che ci fosse un tentativo, da antiautoritari e antifascisti, di opporsi a un sapere egemonico ed imperante che identifica “i greci” come vittime di una cospirazione internazionale, a capo della quale ci sarebbero le banche e gli ebrei. Questa è la posizione di Alba Dorata, ma è anche parte di ciò che la gente comunemente crede sia “la verità”.

Questa verità è il frutto ovviamente di come la Storia è socializzata. I libri scolastici giocano un ruolo importante, fondamentale. Quello del liceo della mia amica Lydia, per esempio, come lei stessa mi ha riferito cominciava dicendo: «I turchi non hanno cultura propria. La cultura turca è in realtà cultura greca». Non sono i soli canali, comunque. È in atto nella società greca un profondo sentimento nazionale. Un fervore nazionalistico anche apolitico. La storia assume un valore patetico, non è “la storia degli antichi”, diventa “la nostra storia antica”.

La storia e l’ideologia nazionale condividono il doppio tempo del sogno. Avendo una struttura temporale, l’identità nazionale impone una unificazione e una ristrutturazione della percezione temporale che nei periodi (…) pre-nazionali è principalmente definita dalla religione e dalla cosmologia. Questa nuova percezione è articolata in una narrativa ed in una narrazione. Questa è formulata nella forma della storia nazionale, usando la categoria biologica de “la Nazione”. Attraverso la narrativa nazionale, identifica i soggetti nella collettività nazionale ed impersona la nazione. Consolida queste identificazioni nei domini delle istituzioni e dei simboli; (…) La costruzione della narrativa nazionale ristruttura l’esperienza del tempo, attribuendogli un nuovo significato e presentando

25 la nazione come un agente storico attivo che, attraverso la narrazione, acquista una nuova identità storica. È memoria attiva. Ma la memoria, una volta attivata e articolata secondo una certa narrativa non può accettare spazi vuoti. (Liakos 2008a, traduzione mia)

Ciò che è avvenuto in Grecia dopo l’indipendenza del 1830, è connesso alla necessità di costruzione di una storia nazionale e, dunque, di una narrazione collettiva.

Durante la creazione del nuovo stato, infatti, il mito costitutivo era la resurrezione della fenice. Come la fenice, la Grecia era risorta dalle sue ceneri dopo secoli di schiavitù. Di conseguenza, il sentimento nazionale della Storia, all’inizio, si riconosceva nell’antichità greca. La Megali Idea, “grande idea” cioè quell’aspirazione irredentista sorta con l’indipendenza greca di unire sotto uno stesso stato “storico” greco tutti i territori dell’impero

Bizantino, meglio, l’impero di Alessandro il grande, con capitale Konstantinoupoli (che viene chiamata “La Città”, I Poli), indica proprio questo sentimento.

Va inoltre tenuta in considerazione l’epoca di cui stiamo parlando: l’illuminismo europeo prima e il romanticismo poi, giocarono un grosso ruolo nel riconoscimento al popolo greco della forza del suo passato. Il concetto di Ellenismo, infatti, è una costruzione culturale dei filoellenisti occidentali, i quali avevano un’idea revivalista della Grecia antica in quella a loro contemporanea.

Ma questa relazione con la classicità escludeva dalla narrazione un pezzo non indifferente dell’identità greca, ovvero la religione ortodossa, e abbiamo già detto di come invece le narrative nazionali non possano permettersi questi vuoti.

26 Verso la fine del IX secolo un importante filosofo di Corfu, Petros Vrailas Armenis6 introdusse un nuovo elemento nella lettura della storia nazionale: era necessario considerare il passato della Grecia, nella sua relazione e soprattutto nel suo contributo alle civiltà del passato ed a quella contemporanea. Era, insomma, necessario capire quale fosse la missione della nazione greca. Veniva così introdotta la funzione della Divina Provvidenza nella storia nazionale, e veniva data, cosa estremamente importante, una lettura nazionalistica (greca) alla storia del mondo (Liakos 2008). Il periodo ellenistico, secondo questa visione è il diretto antecedente storico del cristianesimo, ciò che ha permesso a quest’ultimo di fiorire. In questo senso è molto importante guardare all’appropriazione in termini nazionalistici del periodo bizantino. Sembra banale ma, ancor oggi, se pensiamo ai dipartimenti delle università, anche fuori dalla Grecia, quasi sempre gli studi di Bizantinistica sono associati o addirittura sotto quelli di Ellenistica. Questa appropriazione fu fondamentale per coprire il tassello mancante nel puzzle della continuità storica nazionale, quello relativo alla religione e all’ortodossia.

Memorabile in questo senso fu il lavoro dello storico Kostas Papariggopoulos, Storia della

Nazione Greca (2009)7. Fu lui il primo a dare, con la sua narrazione storica, un senso di unità

6 Purtroppo quasi nulla è tradotto. Il suo testo più importante comunque è stato per la prima volta pubblicato nel 1910 e porta il titolo “Sulle prime idee e gli studi antichi”. 7 Testo scritto tra il 1860 e il 1877 e pubblicato nel 1925 in sei volumi da Eleutheroudakis. Nei suoi testi precedenti, Paparrigopoulos aveva negato qualunque tipo di discendenza del popolo greco dalle tribù slave, e ne aveva invece esaltato la discendenza dalla stirpe Dorica. La verità è che la Grecia, se non altro per la sua centralità mediterranea, è un crogiolo di culture, se non da sempre quantomeno proprio da quando Alessandro Magno unificò in un solo impero Asia Minore, Eurasia, Asia Centrale, Siria, Mesopotamia, Iran, Africa del Nord e India; cosa che L’Impero Ottomano non fece che intensificare.

27 nazionale diacronica, inserendo l’uso del “noi” (noi greci), nel discorso riguardo a tutte le fasi della storia, dalla classicità in poi.

Il senso profondo di questo lavoro è dare della nazione un’immagine ben precisa: quella del lume del mondo, della “culla della civiltà”. Se ci sembra una forzatura nazionalistica pensarla in questi termini, non dovremmo dimenticare che gran parte degli articoli, più o meno accurati, sull’attuale crisi economica fanno riferimento alla genesi greca della cultura e della democrazia occidentali. Peccato che tra Aristotele, Pericle e i giorni nostri le vicende della

Grecia siano tutt’altro che lineari e, comunque, è passato davvero tantissimo tempo! Sarebbe come dire «Noi italiani che abbiamo inventato il diritto!», frase che non può essere altro che un espediente retorico faceto, dal momento che l’Italia esiste da 153 anni, e il diritto romano indica il codice di norme dell’ordinamento giuridico romano dalla fondazione (753 a.C.) fino alla fine dell’impero di Giustiniano del 565. Essendo però la Grecia, a differenza nostra che siamo una nazione nata per conquista delle sue parti, una nazione nata da un movimento di indipendenza, asserzioni di questo genere sono tutt’altro che inusuali e fanno fronte una precisa retorica (o se non vogliamo chiamarla così diciamo pure “narrazione”, “discorso”) nazionale.

Non è una questione di schieramento politico: la nazione è sempre la nostra patria (i patrida mas) e il popolo è sempre il popolo greco (o laos), per i comunisti del KKE, come per Alba

Dorata.

28 «La Grecia ai Greci!» era lo slogan di leader e fondatore del partito socialista del PASOK, all’alba della sua elezione a primo ministro nel 1981.

Quello che cambia, forse, è solo il dispositivo di predisposizione verso “l’altro”; in che modo, però, è tutto da vedere. È un discorso questo però estremamente complesso e articolato, che esula dalla mia attuale ricerca.

Rimane comunque di fondo una confusione a livello sociale tra Storia e narrazione di essa che porta a incredibili tabù e a incredibili abbagli.

Il più incredibile tra i tabù è quello sulla guerra civile (Emfilio) combattuta tra il 1946 e il

1949. È stato un capitolo estremamente doloroso della storia greca. Un capitolo in definitiva tutt’altro che vincente. Nonostante ci siano poi state, e ancora giochino un ruolo importante a livello sociale di costruzione di memoria storica, mitizzazioni delle figure dei combattenti comunisti e dei loro capi da un lato e demonizzazione dei “comunisti” dall’altro, cosa che si è protratta sino alla fine della Chounta dei colonnelli con i fascicoli (fakeloi) del dipartimento investigativo della polizia militare (EAT ESA) su cui venivano annotati i militanti di sinistra che avevano così difficoltà a trovare un quale che sia impiego. Questa cosa, ovviamente scandalosa e condannata dall’opinione pubblica, e la demonizzazione dei partigiani della guerra civile hanno comunque lasciato una traccia nella società: lo stigma del comunismo, ancora, non è comunemente ben vista. C’è da dire che dalla visione patetica della storia nasce anche un forte sentimento popolare anti-imperialista americano, dovuto al ruolo che gli USA

29 hanno avuto durante la Chounta. Si trova forse qualcosa di simile dalle mie parti, nei territori montani e agricoli del nordest d’Italia, non veneto-giuliani, ma veneti, quando i vecchi parlano degli striaci, gli austriaci.

In tutto ciò e come vedremo anche più avanti, il ruolo dello straniero, o meglio la postura davanti allo straniero è di due tipi. Da un lato un sentimento di essere ancora una volta oppressi, come altre volte nella storia da una forza straniera (prima i turchi, poi i tedeschi, ora le banche), dall’altro un orgoglio nazionale che sfocia, come accade sempre nelle situazioni di crisi, nel razzismo verso il diverso. Non tanto, o non immediatamente in quanto diverso (e quindi tradizionalmente portatore di tutto il male antitetico alla nostra società umana che rappresenta il bene), quanto come usurpatore del contratto sociale, ingombrante in una situazione in cui non c’è posto «per noi, figurati per loro»8.

Quello che colpisce è come questa insofferenza sociale, e non ancora a questo livello culturale, per il diverso, impatti su una società che si dà, si aggrappa per non sprofondare, in quanto pura. “Noi, i greci.”, che non vuol dire “noi i greci di adesso, che viviamo ad Atene, nel quartiere di Keratsini e che fatichiamo ad arrivare a fine mese”. Vuol dire anche questo, ma soprattutto vuol dire “noi, portatori della nostra storia; noi gli eredi degli antichi”.

8 Tratto da un’intervista condotta da Antonis Vradis, antropologo della London School of Economics nel documentario “Future Suspended” a cura del progetto “Crisis-scape” di cui fa parte, nelle metropolitane di Atene. A. Vradis, D. Dalakoglou, C, Filippidis, R. Domoney, J. K. Brekke, GR-ING 2014, Future Suspended, 35 min., Crisis-scape, HDV colore.

30 Sarebbe molto interessante analizzare il tema della purezza del sangue e del sangue che purifica, così diffuso nella cultura greca da sempre, ma temo ci porti assolutamente fuori pista. Basti rendere evidente che, in un territorio attraversato da scambi e contatti di ogni genere, da contatti culturali tra i più vari da sempre, il concetto di purezza suona come poco più di uno scherzo.

Mi rimangono le parole di un vecchio taxista che una sera mi ha riportata alla mia casa di

Pagkrati, dopo una lunga serata a Exarchia.

Mi disse in sostanza, che prima che arrivassero i soldi nessuno parlava di purezza. Che prima, proprio poiché nessun greco ha sangue puro, tutti gli stranieri erano ospiti e così trattati. Poi quando la gente ha cominciato a mettere da parte del denaro e a chiudere a chiave le porte ha cominciato anche ad essere diffidente verso chi vedeva come diverso.

Sembra una semplificazione retorica, in realtà c’è qualcosa di sottile e molto interessante: queste parole hanno messo in evidenza che la diffidenza è selettiva ed è cosciente di esserlo.

Sia l’ospitalità (uno dei più grossi luoghi comuni sul popolo greco)9 che l’intolleranza non sono altro che posture che il monolite (autopercepito come tale) del popolo greco assume verso chi è “altro”. L’ospite, come il pesce di qualche giorno fa, insomma, ha cominciato a puzzare.

9 Si veda un titolo per tutti: Michael Herzfeld, 1987a, “As in Your Own House: Hospitality, Ethnography, and the Stereotype of Mediterranean Society," in D.D. Gilmore, Honor and Shame and the Unity of the Mediterranean, Special Publication n°22, Washington, American Anthropological Association, pp. 75-89.

31 4. Sugli altopiani di Irene

Detto questo, forse, si capisce di più quanto sia complesso decostruire il dispositivo nazionalistico in Grecia, soprattutto nella sua esplosione attuale, ma anche e soprattutto oltre a questa.

Da sempre questa lenta azione demolitrice ha un centro, il quartiere di Exarchia. L’azione del tempo su di esso è tutt’altro che invisibile. Quello che però mi è interessato osservare in questo mia ricerca è la peculiarità di questo luogo, da sempre mitizzato nel bene e nel male come lo “stato di eccezione” all’interno del tessuto urbano.

Quale che sia il mito, bisogna constatare che la realtà, invece, è una pratica quotidiana che è sempre altro. Così è per Exarchia. Città invisibile.

Ad Atene i quartieri si scelgono, si indossano come vestiti.

Mi piace descrivere Exarchia con l’immagine di un buco su un tessuto. All’inizio è solo un buco, talmente piccolo, tra l’altro, che possiamo darci gusto un punto, per evitare che si allarghi. Il tessuto rimane là, sembra docile sotto il filo nuovo che lo tiene unito. La verità però è che continua ad allargarsi ogni volta che il tessuto viene teso, accartocciato, piegato. Il buco comincia ad allargarsi sfibra il tessuto, lento e inesorabile. Per quanto ad un certo punto decidiamo di metterci una toppa sopra, sotto di essa il buco continua il suo lavoro, soprattutto se quel tessuto lo continuiamo ad usare come si usa una città.

32 La città, il tessuto, capiterà poi, ad un certo punto, che si tenderà troppo. Sarà forse un angolo rimasto impigliato nella maniglia di una porta, o uno sconosciuto che, passando, ci arpionerà col manico del suo ombrello; potrebbe essere ancora solo colpa nostra: un movimento inconsulto per levarci di dosso quella roba, e correre tra le braccia del nostro amore. Con il noto rumore, il buco sarà diventato uno strappo.

5. Perché Exarchia, Perché i disastri

La mia scelta di Atene, e di Exarchia in particolare, come campo di ricerca nasce quindi da questa commistione di sentimenti vissuti, dalla necessità di “tornare ai resti”, vedere cosa sia rimasto dei quel tessuto che ho tanto amato portare. Li mescola alla percezione, un po’ più razionale, che sia importante guardare alla nuova dinamica sociale, sorta con la crisi economica, di un quartiere tra i più particolari della città: uno “Stato d’eccezione” de facto.

Importante perché qua si consumano, su scala ridotta, delle sorte di esperimenti sociali che molto hanno a che vedere con lo stato di “comando e controllo”10 della gestione emergenziale.

Il contesto non è solo quello di una nazione in crisi strutturale, dunque, ma in essa, nella sua capitale, il microcosmo della sua pullulante eccezione.

10 Scelgo questa locuzione non in modo casuale, ne’ con intento di forzatura politica, ma faccio riferimento alla stessa dicitura dell’organismo governativo della protezione civile che si occupa del coordinamento di tutte le strutture autorizzate alla gestione delle situazioni di emergenza: Di. Coma. C, ovvero “Direzione Comando e Controllo”.

33 Nel bel documentario sul terremoto dell’aprile 2009 all’Aquila “Comando e Controllo” di iK

Produzioni11, parlando di “protezione civile”, si trattano molti temi che ci riportano al nostro discorso sulla gestione emergenziale. Non solo il ruolo dei media nella diffusione della

“verità” egemonica, ma pure la gestione verticistica della situazione di crisi e come essa si saldi agli interessi di speculazioni private (la gestione degli appalti per la ricostruzione nel caso dell’Aquila, la privatizzazione neoliberista dello spazio pubblico nel caso della Grecia) con la conseguente deregolamentazione dei diritti dei lavoratori in nome dell’emergenza: di fatto la prassi costante alla deroga; qualcos’altro emerge chiaramente dal documentario allo stesso modo che dalle strade di Exarchia: lo stato di militarizzazione. Chiunque si trovi anche per caso a passare per il quartiere o ne percorra i “confini” geografici non potrà non rimanere impressionato dalla quantità di forze antisommossa dislocate per le strade perimetrali, e dalle squadre motomunite che pattugliano la zona o la presidiano agli angoli delle strade. Una situazione simile l’ho sentita riportata dalla voce di alcuni amici che erano stati all’Aquila per aiutare durante le fasi iniziali post-terremoto ed erano stati malamente cacciati dai funzionari di polizia e dalla protezione civile. Come vedremo, non ci sono solo affinità casuali di scenari.

11 ITA 2010, iK Produzioni, 70 min. HDV colore. Scritto e diretto da Alberto Puliafito e prodotto da Fulvio Nebbia, distribuito da Produzioni dal Basso.

34 6. La tesi

Nell’approcciarmi a questo campo specifico e ad un contesto che si contraddistingue dall’essere in continuo mutamento, tanto da avere difficoltà ad essere fissato su un foglio senza il rischio che quelle parole siano contraddette, trasfigurate, a anche semplicemente rese insufficienti dagli eventi del giorno successivo, ho riscontrato la necessità di elaborare una metodologia che rendesse coerenza a questo movimento continuo e alle dinamiche di conflitto della città, in particolare la città di Atene e ancora più nello specifico il quartiere che più di ogni altro catalizza le contraddizioni insite nella società greca contemporanea, Exarchia.

Attraverso la contestualizzazione del mio campo e l’elaborazione di uno specifico quadro di riferimento teorico, che tenta il più possibile di fare rizoma (Deleuze, Guattari 2010 or. 1980) con altre discipline, come ad esempio la letteratura, e arricchirsi da svariate forme di saperi, nel primo capitolo cercherò di rendere ragione del mio posizionamento sul campo e delle modalità con cui si è svolta la mia etnografia.

Il secondo capitolo entrerà nel vivo del dibattito contemporaneo sulle ragioni della crisi economica greca, mettendo a confronto lo stereotipo europeo riguardo al “grande malato”

Grecia, e le attribuzioni di colpa interne al paese. Cercherò di mettere in luce i punti salienti di questo confronto e di rendere chiaro come questo sia frutto di relazioni di potere e conflitto.

Per poter comprendere bene il contesto entro cui si sviluppano determinate relazioni di conflitto e potere, però, è necessario avere un quadro storico chiaro di ciò che ha portato a

35 quello che vedremo profilarsi come uno “stato di eccezione” in senso agambeniano (Agamben

2003). Sarà questo il contenuto del terzo capitolo, che cercherà in modo sintetico ma non superficiale di spiegare, attraverso le voci di alcuni informatori e grazie agli input di approfondimento da loro forniti, quale sia il quadro storico in cui ci muoviamo; in particolare come sia mutata la società urbana greca dalla Metapoliteusi, termine che letteralmente significa “transizione politica” e che designa il passaggio dal regime dittatoriale dei colonnelli alla democrazia, sino all’avvento dei Giochi Olimpici del 2004, grande evento che determinerà in modo irreversibile le sorti della città, della nazione e dei suoi abitanti.

La città, appunto. Atene, infatti, è la grande protagonista di questa tesi. Una città magica che come una bambola russa contiene dentro di sé tante città, tante percezioni di essa. Il mio riferimento principale nel descrivere la sua storia sociale, nel quarto capitolo, sarà “Manhattan transfer”12, il romanzo di John Dos Passos che descrive una New York fatta di storie di un brulicare incessante di parole, di azioni, di storie che hanno il ritmo dello sferragliare della metropolitana. Anche la mia Atene ha un ritmo, quello dei cafè, quello dei passi delle persone sull’asfalto, quello delle canzoni, alcoliche e sporche di fumo, di Pavlos Sidiropoulos e

Katerina Gogou, i “santi” di Exarchia.

Ed eccoci a Exarchia, appunto. Cercare di capire da dove ha origine la sua mitologia, la sua fama amata, temuta, odiata sarà l’obiettivo del quinto capitolo che cercherà di far emergere

12 John Dos Passos, 2012, Manhattan Transfer, Milano, Dalai editore (or. 1925).

36 cosa significhi fare fronte allo “stato di eccezione”, in cosa esso consista e quale sia la forma spaziale che assume qui; perché questa resistenza parta proprio dal cuore della metropoli, da quel coagulo di anomie e conflitto che prende forma e pulsa tra le piccole vie in salita di questa Irene calviniana che è una per chi l’attraversa, un’altra per chi la guarda dall’altipiano, diversa per chi arriva, un’altra, ancora, per chi la lascia, se ci riesce, per non tornare (Calvino

1972).

37

38 Capitolo Primo Questioni etnografiche

L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.

Italo Calvino, Le città invisibili

1. Considerazioni metodologiche

Un po’ come il Marco Polo con Kublai Kan, non ho ancora raccontato le uniche cose che era necessario dire all’inizio di un’etnografia, quelle che Kublai Kan vorrebbe sapere.

Il mio campo ad Atene si è svolto tra i mesi di marzo 2013 e gennaio 2014, con una pausa tra i mesi di agosto e settembre.

Ho registrato quattordici colloqui con undici informatori. Tutti questi colloqui, la maggior parte dei quali potremmo chiamare “interviste”, mentre alcune sono conversazioni meno strutturare, si sono svolti in greco, come d’altra parte tutte le conversazioni intrattenute durante i miei mesi di campo. I luoghi in cui si sono svolti sono prevalentemente spazi pubblici, in genere kafeneia del quartiere di Exarchia: così per l’intervista con Alexandros A., con Christina F. e con Thodoris Zeis. Soltanto due si sono svolte fuori da Exarchia, nel quartiere di Pagkrati dove, all’epoca dell’intervista, risiedevamo sia io che i miei interlocutori; una si è svolta nel kafeneio di piazza Plastira con l’architetto Kostas Vasiropoulos, l’altra nello studio del mio interlocutore Kostas Aggelidakis, anche lui architetto. Altre due si sono svolte nelle abitazioni delle mie interlocutrici a Exarchia (a casa di Elli Botonaki in via

Themistokleous e a casa di Salomi Chatzivasileiou in via Ippokratous), una a casa mia con il musicista della scena punk ateniese Vangelis Dimos, e un’altra nel laboratorio farmaceutico della farmacia di piazza Exarchion di proprietà della mia interlocutrice Fotini Yiannopoulou.

Oltre alle dieci interviste riportate in appendice, per le quali non ho comunque mai usato questionari o liste di domande, ma ho lasciato fluire liberamente la conversazione, alcune conversazioni, sebbene registrate, non avevano una struttura tale da essere riportate sbobinate.

In particolare mi riferisco alla visita alla Ble Polykatoikia di piazza Exarchion, durante la quale Takis, un amico di un mio informatore, l’avvocato Thodoris Zeis, ci ha raccontato come gli sia capitato di andare a vivere là, e ci ha mostrato il suo appartamento; e ad un pranzo in una taverna a conduzione famigliare a Pagkrati offertomi dai due architetti, compagni di università e vecchi amici, coi quali ho condotto precedentemente delle interviste più strutturate, e altre situazioni di questo tipo.

Nonostante da quelle conversazioni siano emerse questioni interessanti, la caoticità delle situazioni mi ha reso impossibile la sbobinatura di ciò che avevo registrato.

40 Ho inoltre avuto molteplici conversazioni più o meno informali con moltissime altre persone e con le stesse con le quali ho usato il registratore nelle interviste, che non ho avuto modo di registrare o annotare sul momento, ma delle quali ho reso nota nel mio diario di campo.

Per la sbobinatura dell’intervista a Yiannis Felekis, un pezzo di storia del movimento ateniese

“su due gambe e un sidecar”, mi sono fatta aiutare dall’informatrice ed amica, Elli Botonaki, che ha aggiunto delle interessanti considerazioni a ciò che ascoltavamo che ho prontamente annotato, rendendo l’intervista estremamente densa di contenuti. L’unica lingua da me utilizzata sul campo è stata il greco.

Le circostanze “all’aperto” in cui si sono svolte la maggior parte delle interviste sono state la difficoltà più grossa al momento della sbobinatura a causa dei rumori di fondo.

Ho privilegiato di gran lunga le fonti orali rispetto a quelle scritte o illustrate, che sono servite più che altro a me, a intervista compiuta, a collocare spazialmente ciò di cui avevo parlato con gli interlocutori.

In appendice sono riportate le traduzioni delle interviste sbobinate.

Gli usi linguistici particolari e alcune annotazioni notevoli, ove necessarie saranno riportate in calce ad ogni intervista.

Le fotografie, dove non specificato altrimenti, sono state scattate da me nel corso dei mesi di permanenza sul campo. Le planimetrie, le mappe e le carte sono prodotte da me, dove non altrimenti specificato. Molto utili a questo proposito sono stati i consigli di alcuni studenti del

41 politecnico che ho avuto modo di conoscere attraverso l’assemblea del parco autogestito di

Navarinou, per il quale stanno costruendo, su loro progetto, una struttura coperta con un vecchio container.

Rispetto al contesto, molto utile mi sono stati i siti internet http://athens.indymedia.org e http://thepressproject.gr, il secondo nato dalle battaglie dei lavoratori seguite alla chiusura, da parte del governo, della radiotelevisione nazionale ERT, nel giugno 2013, e i telegiornali quotidiani. Inoltre, fonte inesauribile di approfondimenti e spunti di riflessione è stato il progetto etnoantropologico online http://crisis-scape.net di Dimitris Dalakoglou e Antonis

Vradis.

2. Ombre del passato

Alla partenza avevo le idee molto chiare su cosa andassi cercando, e come intendevo impostare la ricerca, che prevedevo durasse “al massimo” fino a settembre.

Le cose sono andate diversamente, per il mio non aver considerato la fase di “spaesamento” iniziale, tanto decantata in tutti i manuali base di etnografia, che ho decisamente sottovalutato.

Avendo già vissuto sul campo in precedenza per più di un anno, ero convinta di ritrovarlo immutabile nelle dinamiche sociali e interpersonali, e che la mia posizione non necessitasse rinegoziazione, dopo tutto quel tempo. Mi sbagliavo di grosso. Come ho precedentemente

42 accennato, infatti, le circostanze della mia prima permanenza in città erano state tutt’altro che usuali.

L’antropologo Yiannis Kallianos, nel suo articolo apparso sul volume che raccoglie tutti gli scritti di analisi sociale e politica sul “Dicembre greco” e sulla crisi che sarebbe cominciata di lì a poco, “Revolt and Crisis in ” (Occupied London 2011), ha usato la metafora della partita di scacchi e l’analisi di Badiou sul concetto di evento (Badiou 1995 or. 1988) per spiegare questa temporanea ma radicale rottura del flusso quotidiano (Kallianos in Occupied

London 2011), i cui strascichi hanno continuato a farsi sentire a lungo, non solo nei mesi, ma pure negli anni a venire.

Ho sperimentato in prima persona come le esperienze siano spazializzate, in un continuo legame dialogico tra uomo e ambiente, che modifica l’uno e l’altro in continuazione1.

Nei testi situazionisti sulla città e nell’analisi di Henri Lefevre, che dei situazionisti fu importante ispiratore, ho ritrovato molto di ciò che ho vissuto in prima persona in quei giorni.

Per questo gli eventi di Dicembre sono impossibili da scindere da quel contesto urbano e da quelle modalità di relazioni, inventate, create, agite e perpetuate a quel modo.

In New Babylon, social space is social spatiality. Space as a psychic dimension (abstract space) cannot be separated from the space of action (concrete space). Their divorce is only justified in a utilitarian society with arrested social relations, where concrete space necessarily has an anti- social character. (Nieuwenhuys 1974)

1 Ciò che di fatto è la base del pensiero costruzionista. Si veda, come punto di riferimento principale: Thomas Luckmann 1997, La realtà come costruzione sociale, Bologna, Il Mulino (or. 1966).

43

Il carattere sociale dello spazio urbano di quell’incredibile periodo, al mio arrivo lo scorso marzo, si era del tutto perso in una bolla di incredibile rigidità e tristezza, come se quella vitalità che si rigenerava continuamente dalle sue contraddizione si fosse cristallizzata, stereotipandosi, in una atrofia spazializzata. Resisteva il nesso con la città, ma non gli si dava più attenzione, l’impressione era quella di “lasciare che andasse”.

In particolare mi riferisco precisamente al mio campo, il quartiere di Exarchia, paradigma, da sempre, dell’alterità inscritta nel tessuto urbano.

Mi è rimasto impresso uno slogan, letto e sentito molte volte, coniato in occasione dello sgombero, avvenuto a dicembre 2012, dell’occupazione più significativa di Atene, e una delle più longeve (venticinque anni), Villa Amalias: Tipota den teliose, ola synexizoun, “Non è finito niente, tutto continua”. Come è evidente, l’intento dello slogan è incoraggiante. È uno slogan a tutti gli effetti nel suo doppio intento di essere da monito verso “l’esterno” e di incitare chi, invece, fa parte “del gruppo”.

In realtà però, dati il contesto e le temperie sociali in cui viene scandito, fotografa, se analizzato, tutta l’empasse del momento: non è finito niente, infatti; i discorsi e il posizionamento sociale rimangono, ma “continuano”, non si rinnovano. Sartre avrebbe detto:

«c'est toujours la même chose, une pâte qui s'allonge, qui s'allonge.»2

2 Jean-Paul Sartre, 1972, La Nausée, Paris, Gallimard (or. 1932).

44 La crisi, in un certo senso, è entrata nel movimento di opposizione sociale, ne ha trasfigurato il profilo.

Nel testo di Occupied London, molti degli articoli conclusivi si occupano proprio di questo, a diversi livelli. Non solo come effettivamente la crisi economica abbia intaccato il melieu radicale, ma anche e soprattutto come esso sia stato investito da una crisi culturale che ha avuto il suo apice con la morte di tre impiegati durante la più vasta manifestazione della

Grecia contemporanea, il 5 maggio del 2010, durante un’azione incendiaria alla banca dove lavoravano.

Dopo quel tragico evento molte cose sono cambiate. Non ultimo il posizionamento degli attori sociali coinvolti. I “duri e puri” da una parte, gli altri dall’altra, in una incessante necessità di sintesi, processo assolutamente complesso. Il tutto sintetizzato da un uso strumentale dei fatti da parte degli organi dello stato, che nella fretta di reprimere una situazione che stava sfuggendo letteralmente di mano, ha proceduto ad arresti sommari e accuse senza fondamento.

Tutto questo è rimasto iscritto nel tessuto urbano.

Se scendendo dalla metro rossa alla stazione “Panepistimio” ci lasciamo alle spalle il grande edificio neoclassico dei propilei, che ospita la presidenza dell’università Nazionale e

Capodistriana attualmente chiusa (inverno 2013/14) su decisione del senato accademico per mancanza di fondi, attraversiamo l’arteria stradale via Panepistimiou e piazza Korai e giriamo

45 a sinistra su via Stadiou, ciò che ci appare davanti agli occhi è un edificio neoclassico sventrato e avvolto da lamiere protettive. La parte di esso più vicino a noi era la banca incendiata quel 5 maggio. Ai piani alti, lasciati scoperti dalle lamiere, è ancora possibile vedere le finestre aperte, annerite dal fumo di quell’incendio.

C’è certamente un intento didascalico nel lasciare il palazzo in quello stato. Un monito e un’accusa che si tenta di far ricadere su tutto un periodo, durato ben più di un anno, che era riuscito a far palesare la possibilità di una riscossa diversa da anni che si prospettavano bui.

Era ancora solo l’inizio della crisi. Il governo socialista di Giorgos Papandreou, rampollo della dinastia politica fondatrice del partito PASOK e nato, educato e cresciuto negli Stati Uniti, era ancora in forze e solo tre giorni prima il primo pacchetto di salvataggio, subordinato alle norme di austerity (nulla in confronto a quello che sarebbe venuto), era stato approvato da

Fondo Monetario Internazionale ed Eurozona.

3. Spaesamento/Appaesamento

Dunque il mio arrivo ad Atene dove, forse commettendo un errore di valutazione non risiedevo a Exarchia, ma in un quartiere a qualche minuto dal centro, Pagkrati, sì è profilato duro sin da subito.

46 Quello che più mi ha fatto soffrire in quei primi mesi era il fatto di essere tenuta a distanza da una realtà nella quale, invece, mi sentivo a casa. Ho notato da subito una chiusura, una non disponibilità al dialogo che non riconoscevo in quel luogo rispetto a ciò che mi ricordavo.

In particolare creava problemi che fossi “un’antropologa” e il discorso che più spesso mi è capitato di sentire era che gruppi e collettivi di matrice deliberatamente libertaria3 non volevano che il sapere prodotto da dinamiche orizzontali e in autogestione venisse usato da me, che ai loro occhi rappresentavo “l’istituzione accademica”. Quest’affermazione può sembrare esagerata, ma ha in realtà delle basi molto chiare, e in buona sostanza solide, se si pensa che la posizione del movimento anarchico rispetto alle istituzioni è, in teoria, di radicale rottura. Chiunque ne faccia un qualche modo parte, non viene riconosciuto come interlocutore. È pur vero comunque che a questa dichiarazione di principio fa riscontro una realtà dei fatti diversa, come ho avuto modo di verificare, nella quale l’apertura non solo è possibile ma è addirittura naturale qualora si riconosca all’antropologo (ad esempio) la sua partecipazione personale e dunque la sua coerenza con ciò che va cercando. Questo fa si che sarà molto difficile per qualcuno che non abbia familiarità con questo “mondo” tirarne fuori qualcosa che non rimanga in superficie o nella sua sola congettura mentale. È questo un metodo di salvaguardia dalle intrusioni indesiderate, da un lato (si tratta pur sempre del

3 E con questo vorrei porre una fondamentale attenzione alla questione, che svilupperò in seguito, dei soggetti sociali e di quelli politici. Mentre i primi operano a livello di interazione sociale solidale senza una definizione politica precisa, i secondi invece, pur stando negli stessi ambiti dei primi ed intrecciandosi spesso con loro, mantengono una linea, per quanto essa non sia definibile in senso univoco, che ha a che vedere con l’ideale politico (anarchico, anticapitalista e libertario, in questo caso) a cui questi gruppi o soggetti fanno riferimento.

47 movimento anarchico, e non del circoletto del taglio e cucito!) e di qualcosa che ha a che fare con le pratiche del quotidiano, dall’altro: estremamente difficili da comunicare a qualcuno che non ne sappia nulla.

Per quanto mi riguarda, questo ruolo attribuitomi, non posso negarlo, mi ha parecchio infastidita, trovandolo inadeguato rispetto alla mia volontà di esserci, e non di “guardare gli animali allo zoo”, anche e soprattutto perché mi sentivo rifiutata dal “mio mondo”. Due eventi in particolare ricordo, rispetto a questa chiusura. Cercherò di renderne qua nota in breve, cogliendo anche l’occasione per dire di come mi sono mossa sul campo.

Il primo si è verificato pochissimo tempo dopo il mio arrivo. Con un’amica di vecchia data sono andata ad una manifestazione in solidarietà alla popolazione di Skouries, nella penisola

Calcidica che da molto tempo si oppone alla vendita delle foreste dell’area ad una multinazionale canadese che si occupa di estrazione e lavorazione dell’oro, materiale di cui la zona è ricca.

Alla fine di questa, la mia amica, che fa parte di un collettivo anti-psichiatrico, aveva assemblea e mi ha invitata a passare prima che cominciassero a discutere per conoscere Sevi, una ragazza che fa parte dell’ambulatorio autogestito di Petralona, un quartiere a sud del centro di Atene molto attivo, negli ultimi tempi, per quanto riguarda le iniziative sociali in risposta alla crisi economica.

48 All’inizio, infatti, pensavo sarebbe stato interessante mettere a sistema le iniziative dei due quartieri, Exarchia e Petralona, per vedere in che modo l’eredità storica della prima avesse inciso sulle pratiche di autogestione che lì sono spazializzate e in cosa il quartiere senza quel

“peso storico” differisse. In particolare mi interessava confrontare i due ambulatori autogestiti entrambi ospitati in edifici occupati: ben ingranato e funzionante quello di Petralona, in via di allestimento quello di Exarchia.

Lydia, la mia amica, mi ha presentato a Sevi come una attivista italiana e le ha riferito di come stessi facendo la ricerca sul campo per la tesi. Sevi sorridendomi con acidità mi ha detto che non era nulla di personale, ma che “loro” non parlavano con persone che usassero le informazioni per scopi accademici. È stata impossibile qualunque replica. Avevo davanti un muro di ghiaccio, che mi guardava con fredda superiorità e un po’ beffardamente.

Ho cercato in tutti i modi di spiegarle, nei giorni successivi, che l’ultima mia intenzione era di usarli per degli interessi personali, ma che invece, al di là della mia ricerca, credevo molto nell’importanza del progetto e per questo ne volevo scrivere, ma non c’è stato verso. Con lei, da quel giorno, si è creata una strana dinamica, per cui se da un lato ci frequentavamo per le conoscenze comuni, dall’altro sentivo un profondo disagio perché sapevo di essere costantemente sotto giudizio. Questa sensazione, col passare del tempo, si è affievolita, ma non si è dissipata del tutto.

49 L’altra situazione di questo genere è avvenuta in seguito ad un’importante conoscenza che ho fatto.

Sempre cercando contatti per la mia idea di occuparmi degli ospedali popolari, attraverso la mailing list dell’assemblea di quartiere, alla quale sono stata iscritta dopo aver partecipato a qualche assemblea sin dal mio arrivo ad Atene, sono entrata in contatto con un tale di nome

Panagiotis Linardakis, che cercava interessati a partecipare al progetto dell’ambulatorio popolare di Exarchia, ospitato nel kafeneio occupato Box, in piazza Exarchion. Gli ho scritto chi fossi e che ero interessata al progetto, sia per parteciparvi, sia per scriverne. Di grande gentilezza mi ha risposto subito, dandomi appuntamento a casa sua.

Il giorno prestabilito mi sono recata nel palazzo dove vive, in piazza Exarchion, al terzo piano.

Lì mi attendevano il signor Panagiotis, che ho scoperto essere disabile e del tutto impossibilitato ad uscire dal suo appartamento, motivo per cui non mi era mai capitato di vederlo in giro per il quartiere, ed un altro uomo sulla quarantina, che mi ha espressamente chiesto di non fare mai, in nessuna circostanza, il suo nome. Mi hanno spiegato che in realtà il progetto dell’ambulatorio era ancora allo stato germinale, che mi avrebbero tenuta informata e che invece, per la mia ricerca, dovevo parlare con tale Alexandros, militante anarchico del quartiere, di cui mi è stato dato il contatto.

50 Pochi giorni dopo sono andata all’appuntamento con Alexandros, detto da tutti a Exarchia, avrei scoperto poi, Vlachodimarkos, letteralmente “il sindaco del villaggio”, dove “del villaggio” ha una connotazione leggermente dispregiativa (qui usata ironicamente), come da noi si direbbe “dalla campagna”, “contadino”. Il fatto che questo fosse riferito ad una persona che raramente negli ultimi 20 anni è uscita da Atene, se non per brevi vacanze, ed in particolare dal suo quartiere, Exarchia, mette in evidenza la percezione, più volte riportatami dai miei informatori, del quartiere come un “villaggio”, un contesto urbano in qualche modo a se stante.

Durante la nostra chiacchierata, durata più o meno un’oretta, abbiamo affrontato diversi temi.

Di solito nelle interviste ho cercato di parlare con il mio interlocutore o la mia interlocutrice all’inizio sempre del quartiere in generale, per poi vedere dove loro portavano la discussione.

In particolare, dal momento che, come in un vero villaggio che si rispetti, Alexandros aveva preso informazioni su chi fossi, e gli era stato riferito come “bazzicassi” per l’assemblea del parco autogestito di Navarinou, uno dei temi toccati era quello dell’autogestione e l’autoproduzione legate alla terra e di come questo potesse avvenire in un quartiere centralissimo di una metropoli di tre, quattro milioni di abitanti.

Mi ha invitata a partecipare, qualora mi interessasse, a un progetto messo in piedi da lui e qualche altro membro di collettivi politici riguardante la sussistenza alimentare autorganizzata

51 in quartiere: l’assemblea di Zikos, che si sarebbe svolta la domenica successiva allo spazio occupato, Nosotros, dell’assemblea AK (Antiexousiastiko Kynima, movimento antiautoritario).

L’assemblea, programmata per le 19.00, è cominciata con quasi un’ora di ritardo ed eravamo solo in quattro, da quanto ho capito, per l’occorrere di altri incontri nel quartiere.

Mi è stato chiesto di presentarmi e nessuno dei presenti è sembrato avere qualcosa in contrario alla mia presenza in assemblea, nonostante il mio ruolo “accademico”.

Per la settimana successiva, alcuni conoscenti di un membro dell’assemblea, che hanno della terra a Corinto, avevano chiesto se Zikos volesse andare là qualche giorno a dare una mano con la raccolta e la coltivazione degli alberi da frutto.

L’assemblea, consapevole dell’opportunità di tessere relazioni con questi produttori e di apprendere alcune cose sulla coltivazione delle arance, si era detta felice. Anche io, resa partecipe, ho dato la mia disponibilità ad andare a Corinto durante il weekend. Partenza: venerdì mattina.

L’assemblea è finita verso le 21.00 e io me ne sono tornata a casa, a Pangkrati, con molte pagine di diario da scrivere.

Mercoledì verso le 18.00, ricevo una telefonata da Alexandros, mentre sono fuori, a parlare con @IrateGreek, Theodoras Oikonomides, redattrice di Radio Bubble e twitterer che seguo spesso per gli interessanti aggiornamenti di attualità politica che posta in rete. Mi dice che gli

52 dispiace molto, ma che un membro dell’assemblea che non conosco, ma alla quale è stato detto di me, ha posto il veto sulla mia presenza a Corinto.

Inutile dire quanto ci sia rimasta male. Non solo perché, personalmente, mi inibisce il fatto di sentirmi rifiutata in quanto “non abbastanza”, “non all’altezza”, ma anche perché ho avuto la percezione di fare un passo avanti e cinque indietro in ogni circostanza. Come se lo strato di ghiaccio superficiale, attraverso il quale si può ben guardare e vedere, soprattutto se si è come me abituati e familiarizzati ad un “certo tipo” di discorsi e pratiche, fosse troppo solido per spezzarsi, per lasciarmi penetrare.

Potevo guardare, ma non toccare e, pure, guardare solo ciò che mi veniva permesso di guardare. Tutto ciò che, per una mia attitudine e abitudine politica, riuscivo a vedere da sola, mi veniva strappato dalla possibilità di essere analizzato.

Questa spiacevole sensazione si è diradata con un’assidua presenza nel quartiere e alle assemblee ed iniziative che lo interessavano in qualche modo, perché riguardanti l’abitare in quel luogo, o perché politicamente connotate.

Per assurdo, è stato più utile per inserirmi il fatto che le persone intorno a me non sapessero chi fossi.

Non ho mai mentito sul mio lavoro di campo, ma ho cercato, e via via imparato, a tenere separati gli ambiti all’inizio, facendomi conoscere in modo neutro e autentico come “l’italiana che vive qui e che parla greco”, e poi col tempo spiegando cosa facevo.

53 Le relazioni di amicizia che ho costruito in questi mesi mi hanno aiutata a sciogliere la diffidenza di chi avevo davanti e favorire una comunicazione amichevole ed armonica.

Il fatto che ascoltassi un certo tipo di musica, ad esempio, e che frequentassi assiduamente gli spazi occupati e non, dove questa veniva suonata, ha favorito agli occhi di molti la possibilità di inquadrarmi in un contesto di non pericolosità.

L’aver partecipato ai lavori di semina e piantamento nel parco autogestito di Navarinou ad aprile, durante la festa dell’anniversario della sua nascita, è stata una specie di prova a cui sono stata sottoposta, in quell’ambito, per capire se il mio interesse fosse solo teorico, di osservazione, o se sapessi (o volessi) darmi da fare.

Sebbene le persone dell’assemblea di gestione del parco sapessero sin dall’inizio cosa stessi facendo e, nonostante la diffidenza iniziale, mi avessero accordato di fare loro delle

“interviste sul parco”, col tempo hanno cominciato a vedermi sotto occhio diverso. Non come una ficcanaso, ma come “una persona valida”, come ho sentito definirmi in un’occasione da

Yiannis, un membro dell’assemblea. Sono loro che mi hanno affibbiato simpaticamente il soprannome di Exarchiologos-Parkologos, “Exarchologa-Parcologa”.

Tutto sommato, la situazione ha cominciato ad essere un po’ più fluida e la mia ricerca ad ingranare verso fine giugno e la metà di luglio, quando poi sono partite diverse persone per l’estate ed io mi sono concessa poco più di un mese di rielaborazione e riordino dei pensieri.

54 Al mio ritorno, verso metà settembre, ho organizzato il mio trasloco a Exarchia, dove attualmente vivo con una ragazza conosciuta attraverso amici comuni, con la quale, complici anche i comuni studi in antropologia, siamo entrate subito in intimità.

Vivendo in quartiere è stato molto più facile “dare uno sprint” alla mia ricerca, e da ottobre a dicembre sono state diverse le occasioni di incontro e dialogo costruttivo con le persone.

Questa situazione, che posso dire essersi sbloccata solo ora, a quasi un anno dal mio arrivo qui, è stata comunque uno stimolo interessante per una riflessione a livello metodologico.

4. Sul campo

Partendo dal concetto di crisi della presenza di De Martino (1977), e quindi della frattura temporale e percettiva che un processo come questo porta con sé, sia a livello individuale che a livello collettivo, e usando i criteri di analisi dell’antropologia dei disastri (Ligi 2009), era mia intenzione iniziale andare a guardare come la crisi aveva impattato sul sistema sociale particolare del quartiere di Exarchia.

Krino, verbo da cui deriva la parola Krisi, ha due significati in greco antico, di cui solo il secondo permane nella lingua contemporanea. Il primo si riferisce all’atto di “spezzare” e dunque ci riporta esattamente all’idea demartiniana di cambiamento traumatico:

Come rischio antropologico permanente il finire è semplicemente il rischio di non poterci essere in nessun modo culturale possibile, il perdere la possibilità di di farsi presente operativamente al mondo, il restringersi –

55 sino all’annientarsi – di qualsiasi orizzonte di operabilità mondana, la catastrofe di qualsiasi progettazione comunitaria secondo valori. La cultura umana in generale è l’esorcismo solenne contro questo rischio radicale, quale che sia – per così dire – la tecnica esorcistica adottata (De Martino 1977:219); il secondo significato, che ancor oggi si usa, è quello interessantissimo di “giudicare”. La tradizione di questa seconda, densa, accezione riporta a due filoni: la prima riguarda il giudizio universale, e dunque il destino ultimo degli uomini; il secondo ci apre un altro scenario: rimanda infatti alla tradizione medica, ed in particolare alla capacità del dottore di decretare se il paziente sia vivo o da considerare morto4. Questo fa amaramente sorridere se si pensa a quante volte, dall’inizio della crisi greca ad oggi, la si sia definita “il grande malato europeo”. È una storia che va indietro fino alla Chounta dei colonelli, quando il dittatore

Papadopoulos in un suo famoso discorso del 1969 aveva dichiarato:

Abbiamo un paziente. L’abbiamo ingessato. Gli abbiamo provato a togliere il gesso per vedere se riusciva a camminare senza. Abbiamo rotto il primo gesso e, se necessario, dovremmo metterne un secondo dove serve. Il referendum sarà il controllo delle capacità del paziente. Speriamo che non abbia bisogno di un altro gesso! Se servirà glielo metteremo. L’unica cosa che posso promettervi è che vi inviterò a vedere la gamba senza gesso. (Mikedakis in Close, Tsinikas, Frazis 2001:79)

Papadopoulos amava molto questa metafora della Chounta come equipe medica che si prendeva carico della Grecia malata, e la usò diffusamente.

4 Per un approfondito escursus sull’uso della parola “Crisi”, si veda R. Kosellek, 2006, Crisis, in “Journal of history of ideas”, vol. 67, n°2, University of Pennsylvania press, pp. 357-400.

56 Quello che colpisce è come questa metafora sia inconsapevolmente stata ri-usata, uguale, da

Dominique Strauss Kahn, allora direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (FMI), durante l’incontro del 7 dicembre 2010 col governo Papandreou ad Atene:

So don't fight against the doctor. Sometimes the doctor gives you medicine you don't like; but even if you don't like the medicine, the doctor is there to try to help you5.

Da questo punto di vista, dunque, ritroviamo almeno uno dei tratti fondamentali che si trovano nelle posture degli esperti che arrivano a “sistemare le cose” nelle situazioni di emergenza, tipiche di quei disastri studiati dall’antropologia dei disastri. Ulrich Beck in “La società del rischio” ha messo in evidenza come, nella società contemporanea, il rischio è passato da essere qualcosa di tangibile, al diventare invisibile, “localizzato in formule fisiche e chimiche” (Ligi 2009). Questo può esser considerato vero in buona misura anche per quanto riguarda le regole finanziarie, matematicamente calcolate, che mettono le persone non esperte nelle condizioni di doversi fidare, come è giusto fare con le medicine prescritte dal medico secondo Strauss Kahn.

Il fatto che in Europa ci sia un malato da curare, presuppone che ci sia pure una parte sana, e che questa parte sana sia in grado di giudicare quella malata. Il meccanismo è identico a quello a cui si riferiva Papadopoulos, ma spostato su chiave sovrannazionale, piuttosto che nazionale.

5 Tratto dal documentario di Katerina Kitidi e Aris Chatsistefanou, GR 2011,Debitocracy, 74 min., Info-war productions, HDV colore.

57 Ci sono poi altre questioni che riportano direttamente all’analisi dell’antropologia dei disastri: l’angoscia che ha portato la Grecia ad un aumento esponenziale del numero di suicidi, di fronte ad un mutamento radicale, la fine del mondo (De Martino 1977), l’aspetto processuale della crisi/disastro, i processi di bleaming che vengono messi in atto (Douglas 1996, or.

1992).

Tutto ciò, ovviamente, si inscrive nella relazione che l’uomo, come singolo e come parte di una collettività, costruisce con l’ambiente circostante che chiama casa, in questo caso la città di Atene, rispetto alla quale ho considerato il quartiere che più di tutti e da sempre è il massimo catalizzatore di contraddizioni: Exarchia.

Queste tesi di base sono rimaste il cardine principale della mia ricerca, nonostante sia stato necessario un forte riposizionamento nel campo da parte mia.

5. Nuove questioni

Una domenica di novembre, al mercato senza intermediari in piazza Exarchion organizzato dall’assemblea Zikos (alla quale ho continuato a partecipare su caloroso invito di Alexandros, nonostante la faccenda del veto che ho prima spiegato) si è presentata una signora italiana riccioluta sulla sessantina. Parlava in inglese con Alexandros, “il suo contatto”. Ho sentito che diceva di essere delle cooperative sociali italiane (che procedeva a spiegare cosa fossero nel profilo saliente, ed estremamente generico), e che stava scrivendo un libro sull’economia sociale in Grecia in risposta alla crisi economica. Dal momento che sono italiana, l’assemblea

58 mi ha chiesto se potessi, insieme a Vassilis, un altro membro dell’assemblea che si era reso disponibile, parlare con lei di cosa fosse il progetto di Zikos. Ci siamo dati appuntamento al kafeneio occupato Vox di piazza Exarchion per un tardo pomeriggio di qualche giorno dopo.

Una delle cose che premeva molto a Vassilis sapere (punto sul quale anche io ho dovuto dare molte spiegazioni, che a posteriori ritengo tutt’altro che immotivate, per i motivi detti sopra) era cosa se ne sarebbe fatto di ciò che da quell’intervista sarebbe uscito, il che non è affatto strano in una relazione che si vuole orizzontale e alla pari con l’interlocutore.

A queste domande la signora Silvia si è irrigidita parecchio, dicendo che a lei le questioni ideologiche non erano mai piaciute (ed usando per esprimere questo concetto una colorita espressione italiana, di uso comune e colloquiale, che evito di riportare). A nulla è servito il mio tentativo di spiegarle che la stessa cosa era stata fatta con me e che, per quanto all’inizio l’abbia trovato un limite enorme al mio lavoro, quello di sentirmi dire: “usi quello che ti dico per i tuoi interessi personali, quindi non voglio parlarti”, poi ho capito che questo si giustifica con una precisa posizione ideologica che ha a che fare con l’orizzontalità dei rapporti sociali che evitano la mediatizzazione, e che si ovvia creando rapporti di fiducia con gli interlocutori.

La sua risposta è stata che, siccome molti altri organizzatori di mercati diretti avevano risposto alle sue domande senza questionare, non capiva perché noi non potessimo fare altrettanto. La cosa più complessa, e comunque rivelatasi un buco nell’acqua, per me, è stato tentare di riassumere l’opera di Koprotkin “La conquista del pane”6 in quattro o cinque frasi, e contestualizzarla nel processo storico del quartiere dove la signora stava facendo ricerca e del quale pareva evidente non capirci (e non voler capire) nulla.

6 Pëtr Alekseevič Kropotkin, 2008, La conquista del pane (trad. It.), Trieste, Edizioni Anarchismo (or. 1892).

59 Ogni risposta che davo io o traducevo dalle parole di Vassilis, in questa conversazione ostile e ottusamente concentrata su una tesi da confermare, senza attenzione agli input di diversità offerti, pareva imprecisa, vaga e surreale.

Alla fine, dopo avermi accusata di sciatteria perché non mi nutrivo unicamente dei prodotti acquistati dal mercato organizzato da Zikos, tradendo così il mio ruolo di consumatrice7, non avendo colto che l’importanza del progetto stava nel creare una rete sociale solidale tra produttori e consumatori che a loro volta potevano diventare produttori, e non un rapporto dialogico diretto di convenienza tra i due, se n’è andata dicendo che lei aveva altre interviste da fare in serata.

L’impressione che ci siamo scambiati io e Vassillis è stata che non abbia capito assolutamente nulla di quello che cercavamo di dirle.

In particolare, due cose mi è stato molto importante capire da questa vicenda, una rispetto ai contenuti da analizzare, e l’altra rispetto alla mia posizione sul campo: la prima è la necessità di un’analisi sui concetti di autonomia e autodeterminazione politiche: a Exarchia non c’è una semplice “risposta alla crisi”, ma un continuum di pratiche di autogestione antiautoritarie quotidiane (dalla musica al cibo, passando ovviamente per la pratica militante) che hanno le loro radici ben oltre l’attuale situazione. Questo tendevo a darlo per scontato, ma invece serve essere analizzato nello specifico; l’altra è che molta della diffidenza che i collettivi e i gruppi nutrono per chi “li studia”, ragioni ideologiche a parte, è dettata dalla smisurata quantità di giornalisti, fotografi, sociologi, antropologi che negli ultimi anni, dallo scoppio della crisi in

7 Si era convinta che quello che organizzavamo era di base assimilabile ad un gruppo di acquisto solidale.

60 poi si sono occupati delle iniziative sociali in risposta all’emergenza economica senza alcun riguardo per le persone cui si stavano riferendo.

Un cannibalismo accademico e mediatico che passa attraverso la non relazione reale con gli attori sociali, ma con la semplice costruzione di quadri ben definiti in interrelazione

(l’intervista, il report fotografico...) che si esauriscono dopo i quarantacinque minuti a disposizione di chi conduce l’indagine, spesso senza sapere la lingua greca, ne’ occupandosi della percezione della storia urbana e sociale della città, e ancor peggio, del quartiere, oltre e al di là della contingenza della crisi economica.

Il risultato sono spesso articoli o ricerche sommarie, in cui gli stessi informatori di questo o quel ricercatore si chiedono cosa possa aver colto quest’ultimo di quanto gli è stato detto.

Il risultato è spesso anche una spettacolarizzazione della vita quotidiana che, per quanto

Exarchia costituisca un unicum almeno per quanto riguarda l’Europa meridionale, e Atene effettivamente un paradigma degli effetti della crisi economica in corso, non risponde alla verità dell’abitare questa città o questo quartiere. Un esempio classico di questo è il parco autogestito di Navarinou, che per la sua unicità e il suo incredibile sorgere è finito in centinaia di articoli, tesi, documentari in tutto il mondo su cui raramente c’è stata la possibilità per i membri dell’assemblea di gestione dello stesso di avere un controllo anche minimo su come venisse usato il contributo che era stato loro richiesto.

61 Evitare il “mito delle palme” (Occupied London 2011), e saper storicizzare e spazializzare da dentro è effettivamente un’operazione di necessità basilare sia per un’analisi corretta del campo, sia per non rimanere in un perenne stato di outsider.

6. La città e il conflitto

Gli ultimi capitoli del testo di Alberto Maria Sobrero “Antropologia della città” (2013) affrontano in maniera estremamente accurata alcuni approcci contemporanei allo studio delle città, in particolare il cosiddetto Ghetto approach. Si tratta sostanzialmente di non considerare l’ambiente urbano nella sua totalità, o quanto meno in una dinamica diffusa, ma di guardare ai microcosmi cittadini.

In un certo senso, per quanto la mia ricerca non si concentri su una comunità caratterizzata da una diversità etnica o uniformemente legata a un determinato ceto sociale, questa tipologia è abbastanza calzante al mio lavoro. Vedremo diffusamente nel corso della tesi come gli stessi abitanti del quartiere facciano spesso riferimento ad esso come ad una sorta di villaggio a sé concluso. Ovviamente

Nessun luogo urbano (e nessun microevento), per quanto piccolo o per quanto grande, per quanto definito dei suoi contorni razziali, economici, urbanistici o altro, per quanto autarchico sia, può essere isolato nello spazio e nel tempo e considerato perfettamente organico, tale cioè per cui tutte le sue parti corrispondano a una “unità culturale”. La natura dell’ambiente urbano è il contatto, l’eterogeneità, il divenire (Sobrero 2013:205).

62

È chiaro dunque che per analizzare una situazione del genere, servono strumenti adeguati.

L’antropologia classica, lo strutturalismo levi-straussiano proprio per la sua tendenza all’astrazione, piuttosto che all’interpretazione dell’esistente, si trova inerme davanti alle città.

D’altra parte fu lo stesso Claude Levi-Strauss a dire che all’antropologia sfuggono i criteri per analizzare le società complesse, di cui le città sono l’archetipo, e che questo compito dunque spetta alla letteratura e all’arte. Sarà l’approccio ermeneutico con il suo effettivo ricorso alle retoriche letterarie a coniugare la complessità dell’ambiente urbano, la sua eterogeneità all’analisi antropologica.

Il fenomeno urbano è l’archetipo del molteplice. Come non esiste una sola città stereotipica, così, anche dentro la stessa città, è essa stessa a moltiplicarsi e differenziarsi continuamente attraverso lo spazio ed il tempo.

Se da una parte è infatti incontestabile che il fenomeno urbano e in generale i processi di urbanizzazione si inquadrino facilmente ed esemplarmente in prospettive di controllo e di sostituzione della complessità ambientale e territoriale, dall’altra proprio la città viene eletta abbastanza spesso come esemplificazione di una complessità, e anzi un sistema complesso, che si genera in modo non programmato a livello di demografia e di vita sociale ed economica, fino al punto che si è pensato addirittura di accostare le città ai cervelli. (Remotti 2011:210)

Nella storia delle metropoli questo caos che l’idea della pianificazione urbana vorrebbe limitare, controllare, rispunta dappertutto: nel traffico, nel disordine, nei mille colori che si

63 affacciano dalle case, negli odori, nei rumori… Atene è senza dubbio un vivido esempio di questa dimensione. Una città-giungla.

Vi è senz’altro un altro elemento, non poco importante, che possiamo aggiungere. Quando

Max Gluckman nel 1947 fondò il dipartimento di antropologia sociale nell’università di

Manchester dove insegnava (la celebre “Scuola di Manchester”), quello che veniva contestato alla corrente allora dominante in antropologia, il funzionalismo, era di considerare gli eventi sociali come stabili ed immutabili, quando invece la realtà dei fatti mostrava il loro lato processuale. All’antropologia, nella sua necessità di semplificare per analizzare, sfuggiva questa caratteristica: non esistono realtà fisse, tutto è invece in continuo cambiamento. In particolare la scuola di Manchester vedeva, per prima, l’importanza del conflitto come motore di cambiamento della società. Era l’epoca della decolonizzazione, e la maggior parte delle ricerche degli antropologi che si possono condurre a in questa scuola riguardano il continente maggiormente colpito da questo fenomeno: l’Africa.

Quello che dalle analisi sui conflitti però noi possiamo trarre ed usare qui è la loro importanza, quale che sia la loro natura, nello svelare le dinamiche di cambiamento in atto nella società. Riguardo al mio campo, questo risulta essere assolutamente vero, e, come in uno specchio, vediamo come tutto il mondo geopolitico contemporaneo, in questa fase di crisi economica globale sia scosso da profondi conflitti. Essi rendono palese la natura culturale delle crisi, di cui il fattore economico è solo l’epifenomeno.

64 Inoltre, il conflitto, risulta non caratteristico di una qualche condizione di natura, cui si possa porre il rimedio con la cultura, secondo una lezione puramente cartesiana (per non dire squisitamente levi-straussiana), ma che anzi non ha senso porre la questione in questi termini, poiché questa dicotomia non è altro che un illusione analitica; e d’altra parte il conflitto emerge dappertutto con modalità culturalmente, storicamente e socialmente connotata.

Che tipo di antropologia può cogliere, allora, le dinamiche di conflitto contemporaneo, che hanno come scenario principale le metropoli? Come fare a comprendere la complessità del territorio urbano, il rapporto che con esso instaurano i suoi abitanti e la dimensione di risignificazione che viene messa in atto?

Sobrero ci dice di come anche l’approccio interpretativista di Clifford Geertz sia nato dall’ambiente urbano, ma nella sua fase post-moderna (2013:206). Non più dunque un ambiente votato all’ordine e alla simmetria, ma un luogo che comincia a diventare anche il suo opposto. Una città-giungla, o un non-luogo. La differenza tra questi due è proprio che mentre la seconda tende ad essere un luogo umanamente ultra-controllato tanto da perdere la sua autenticità di luogo,

In questo senso, aeroporti, centri commerciali, autostrade e centri commerciali sono dei non-luoghi: infatti la loro vocazione principale non è territoriale, non è di creare identità individuali, relazioni simboliche e patrimoni comuni, ma piuttosto di facilitare la circolazione (e quindi il consumo) in un mondo di dimensioni planetarie (Augé 2009),

65 le prime sono, di fatto, dei luoghi che sfuggono al controllo. In essi l’aspetto in qualche modo identitario è pervasivo, ricco di quelle relazioni simboliche che mancano nei non-luoghi.

La guerra tutti contro tutti non è (mai) guerra tra individui, ma guerra tra gruppi di persone. In particolare (nella città-giungla) è una guerra di gruppi contro il gruppo assoluto, cioè lo stato. Questo mostra che non c’è nessuna condizione naturale, solo un diverso e sregolato posizionamento politico - conflitto (Filippidis in Occupied London 2011:67).

Questa è la definizione di conflitto che cercherò di articolare nella mia ricerca. Un conflitto urbano, dunque, che assume diverse forme, dalle più teoriche a quelle più fisicamente violente.

7. Nuova Epica Urbana

L’antropologia interpretativa è in questo senso uno strumento importante e ben calibrato per la comprensione di questi sistemi sociali complessi. Lo è per una serie di motivi, che riconosciamo nei principi cardine dell’approccio ermeneutico. La rinuncia a trovare delle leggi che spieghino l’esistente, ma piuttosto il basare l’osservazione e la comprensione, soprattutto, proprio sull’immediatezza dello stesso, nell’incontro tra diversi sistemi di significato, coinvolgendo così nella costruzione del sapere antropologico tanto le categorie di pensiero del ricercatore quanto quelle del suo interlocutore, fa si che siano privilegiate le pratiche interattive, piuttosto che le regole metodologiche. È di fatto uno scacco matto alla

66 marcia strutturalista verso l’astrazione. Non esiste in questo modo alcuna finzione di oggettività, dal momento che nessuna soggettività è negata; esistono piuttosto le strategie retoriche e letterarie che ci consentono di esprimere ciò che, insieme, in un dato spazio, ad un dato tempo, abbiamo interpretato dell’altro.

In altre parole, come scrive Siegfried Frederick Nadel nei suoi Lineamenti di antropologia sociale citati da Sobrero, «bisogna riconoscere che l’antropologia sociale è in primo luogo ricerca sul campo e che quest’ultima comporta un certo grado di empatia, una capacità di partecipare e di descrivere che si avvicina all’arte intuitiva del romanziere» (Nadel in Sobrero

2013:207).

Soprattutto per quanto riguarda le città, infatti, sarebbe impossibile prescindere dalle retoriche letterarie.

A questo proposito penso che la poetica del New Italian Epic (NIE), il fenomeno decisamente più postmoderno della letteratura nostrana, ci offra delle suggestioni interessanti, e si riconnetta, lo vedremo poi, ad una necessità fondamentale dell’essere sul campo come l’ho inteso nella mia ricerca: quella di prendere posizione.

La “nascita” teorica del NIE risale al 2008, allorché uno degli autori del collettivo letterario

Wu Ming ebbe a intervenire ad un seminario sulla letteratura italiana all’università McGill del

Quebec. L’intervento è stato poi a lungo rielaborato ed ampliato, anche con l’interazione dei

67 lettori sulla rivista letteraria online “Carmilla”, e pubblicato in seguito in un saggio, un

“Memorandum”, che ha avuto poi una riedizione arricchita.

Gli oggetti narrativi non identificati, come vengono descritti i romanzi del NIE, trattano generalmente periodi storici o fatti di cronaca reali; questo senza essere minimamente paragonabili ad un articolo giornalistico, per quanto questo possa rientrare tra gli espedienti retorici usati dagli autori.

Nella trasformazione narrativa, storia e cronaca sono solo gli ingredienti principali, non il modello. Il risultato contiene la realtà (…) ma non la rappresenta. (…) Anche se un libro tocca la realtà, la cosa più preziosa che posso trovare, tra le sue pagine, non è la verità dei fatti, ma il senso del loro intreccio. (Wu Ming1 2009)

Se vediamo nel particolare quali sono le sette caratteristiche che l’autore del “Memorandum” ritiene fondamentali per inquadrare questa corrente letteraria, vedremo come si possa partire da essi per ragionare in termini di scrittura antropologica e di posizionamento del ricercatore:

• Rifiuto del tono distaccato e "gelidamente ironico" che predomina il romanzo

postmoderno.

• "Sguardo obliquo" o “azzardo del punto di vista”. Sperimentazione di punti di vista

inconsueti e inattesi. Questo sottostà ad una presa di posizione politica, che eluda il

punto di vista egemonico “normativizzato”, a favore di uno che renda giustizia alla

diversità.

• Complessità narrativa, ma con un’attitudine “pop”. Non sono quindi romanzi elitari.

68 • Utilizzo di ucronie potenziali. Con ciò si intende che molte storie rispondono alla

domanda What if?

• Non esiste un inquadramento entro un canone letterario fisso, ma c’è massima

apertura anche a retoriche non strettamente letterarie, all’insegna del “perturbante”.

• Massima apertura verso la comunità dei lettori ed invito alla rielaborazione del testo.

Riconosco personalmente nel rifiuto del “tono distaccato” qualcosa con cui ho avuto a che fare continuamente, durante la scrittura degli appunti di campo, e nel pensare la mia etnografia: una lotta strenua tra la necessità di dare forma concreta ai miei pensieri e la paura di cadere nella staticità del distacco oggettivo; dell’osservatore da fuori.

Lo “sguardo obliquo” è quasi un proclama dell’osservazione antropologica interpretativista che cerca di “capire cosa loro pensano di stare facendo” (Geertz 2001:74).

Inoltre, la questione della “complessità narrativa” ci riporta direttamente al perché sia fruttifero, se non necessario, ricorrere alla letteratura per l’espressione di quella complessità che sfuggirebbe altrimenti alla scrittura antropologica.

8. Per un nuovo interpretativismo post-moderno

Ma facciamo un passo oltre, e torniamo in ambito strettamente antropologico. Nel 1986 uscì in America “Writing Culture” di James Clifford e George Marcus. Gli autori portarono una forte critica “da sinistra”, come afferma Dei (2003), all’antropologia interpretativa.

69 L’approccio ermeneutico, infatti, secondo gli antropologi critici, non problematizza, ed anzi, riproduce la relazione di potere asimmetrica che si instaura nel’incontro etnografico tra l’antropologo e i suoi interlocutori, proprio per il suo produrre finzione letteraria, per il suo non mettere in discussione il ruolo autoriale dell’antropologo (di potere) e, inoltre, per il suo porre sempre al centro del discorso il dato della differenza culturale. Secondo gli autori, il compito dell’antropologia è, invece, quello di eludere la finzione etnografica e costruire una rappresentazione oggettiva dei rapporti di potere che smascheri quelle finzioni.

La condizione del genocidio, si ripete spesso, è la costruzione politica e culturale dell’altro, della differenza essenziale che separa gli altri da noi.

L’antropologia quindi, è in questo senso pensata (ed è alla luce di questo approccio che in molti si sono avvicinati recentemente alle tematiche di conflitto) nella sua necessità di essere militante, di mirare all’oggettività, di lottare per ristabilirla, e di porsi “al di là” delle differenze, e anzi di partire invece da valori antitetici ad esse, proprio al fine di disinnescare i dispositivi di potere che puntellano la costruzione di sapere antropologico.

Sempre in “Antropologia della città”, dopo aver parlato dell’approccio ermeneutico e della sua genesi urbana, Sobrero si sofferma nel mettere il lettore in guardia dal grande rischio iper- iterpretativista: «perdersi, annullarsi nella nuova esperienza e non riconoscere più la ‘distanza etnografica’, la diversità e quindi la ragione stessa del proprio viaggio», di fatto di «(ridurre

70 la) cultura a esperienza individuale, come se quest’ultima fosse il solo e ultimo termine concesso alla conoscenza» (Sobrero 2013).

Trovo che la questione di impostazione metodologica a questo punto si faccia estremamente interessante. Non è solo una questione teorica, di metodo, ma qualcosa che intacca profondamente il nostro posizionamento sul campo; la necessità di fermarsi, ad un certo punto, di guardarsi in un pezzo di specchio e di chiedersi: «chi sono, come sto cambiando?»

Penso in definitiva che sia estremamente difficile pensare che un’esperienza di campo non travolga il proprio orizzonte di senso personale.

Interrogarsi su cosa sia un incontro antropologico, si sa, è una delle operazioni più importanti del “fare” etnografico. Tutto ruota, a mio avviso, intorno a questione fondamentale tanto per l’antropologia contemporanea, quanto per la letteratura post-moderna: il rapporto tra realtà e rappresentazione. La ricerca dell’oggettività totale sul campo è una gigantesca illusione.

L’interpretazione dell’altro è ineludibile, non è vero che le differenze non esistono (cadrebbe il senso dell’incontro antropologico se così fosse, diventeremmo tutti dei semplici cronisti) ma ci si è ancora interrogati troppo poco su cosa significhi per l’antropologo, l’atto ermeneutico, cosa comporti. Questo è tanto più interessante e importante quanto più questi si occupi di terreni di conflitto e di violenza strutturale, ed è vero che spesso le parole non possono descrivere quello che avviene in un incontro antropologico. Questo però non vuol dire che la ricerca perda valore, anzi. Il ricercatore non può fare finta di essere una macchina

71 che traduce sensi da una lingua all’altra, da un sistema di valori all’altro. È in primo luogo una persona che non può esimersi, per avere un rapporto etico con l’altro, dal prendere posizione. In questo senso anche la mimesi autoriale degli iperinterpretativisti comporta dei problemi, perché non va oltre la descrizione: nella volontà di non prevaricare l’altro esaurisce le sue possibilità espressive e analitiche.

È ovvio che neppure la ricerca di un’oggettività militante può esserci di qualche aiuto, proprio perché non esiste oggettività nel conflitto. La lotta e sempre parziale; si può scegliere di studiare “il nemico”, ma sarà impossibile che da questa analisi non emerga che lo consideriamo tale.

In una recente monografia sulla polizia che opera nelle banlieues parigine, l’antropologo francese Didier Fassin apre con la descrizione di un fermo di due ragazzini di colore la notte di capodanno, mentre aspettano l’autobus. Vengono vessati e umiliati fino all’arrivo dei genitori in questura. Uno di loro è il figlio dell’antropologo.

Durante il suo lavoro, finché gli è stato permesso, Fassin ha seguito le pattuglie nel loro lavoro di routine. Le impressioni che se ne ricavano in estrema sintesi sono la noia e l’uso del potere coercitivo anche senza motivazione.

Nonostante durante la sua lunga ricerca l’antropologo abbia passato tantissime ore con i poliziotti e abbia dunque instaurato con loro un rapporto cordiale, sarebbe difficile definirlo complice. Anzi, scrive nell’introduzione:

72 Rivelando ciò che è generalmente nascosto – o semplicemente ignorato – l’etnografo restituisce ai cittadini la responsabilità di sapere cosa sta succedendo e di partecipare alla vita pubblica; e infine ridà, agli individui e ai gruppi toccati dalle politiche repressive, il diritto di vedere riconosciute le loro esperienze e ascoltata la loro voce. (Fassin 2013)

Il posizionamento dell’antropologo non è una strategia di ricerca, ma spesso emerge naturalmente; riguarda, in definitiva, sempre la domanda che dobbiamo proci allo specchio:

“chi sono?”.

È certo, come afferma Crapanzano citato da Sobrero, la responsabilità che abbiamo noi come antropologi verso i popoli che studiamo, «la mia convinzione è che dobbiamo riconoscere le implicazioni etiche e politiche della nostra disciplina» (Crepanzano in Sobrero 2013:235), ma

è anche la responsabilità che abbiamo come attori sociali verso noi stessi. L’esserci è una dimensione processuale che attraversa tanto noi quanto i nostri interlocutori; la distanza, se c’è, deve essere in qualche modo colmata senza trasformarsi in fusione.

In questo dunque le pratiche letterarie ci sono di enorme aiuto. Non si tratta affatto di una presa di potere sull’altro, ingabbiato nella nostra retorica, diventa piuttosto la narrazione del nostro incontro visto dall’unico punto di vista che mi è concesso avere, il mio; mutevole, traballante, curioso fino all’auto-offuscamento, ma sempre mio. Il motto dunque diventa: esserci nella relazione con l’altro.

Il segno non è intorno a te, non è nei muri, nei mattoni, nella calce, nei ciottoli, no, non troverai ciò che vai cercando. Il segno è la ricerca stessa, il segno sei tu che arranchi nel fango delle strade. (Luther Blissett 1999)

73

E dunque non si tratta di usare la scrittura come, seppur ambiguo, rapporto di potere; si tratta piuttosto di usare le strategie narrative come mezzo per disinnescare quel potere. Non per parlare a nome di, ma per raccontare dove sono stato. In questo l’elemento taciuto ma inaggirabile è l’immersione nel campo a cui possiamo dare il nome di co-abitazione (co- dwelling): lo stare insieme in uno stesso spazio.

Un amico antropologo che sta conducendo una ricerca sulla street art come opposizione politica a Cipro mi ha raccontato che le diffidenze verso di lui si sono annullate quando, durante l’attacco da parte della polizia a una manifestazione, si è scagliato violentemente senza neppure pensarci contro un agente che stava trascinando per terra un ragazzino appena adolescente dopo averlo preso a manganellate in testa.

La situazione qui raccontata è senz’altro estrema, ma ci dice molto su cosa voglia dire condividere lo spazio con i nostri informatori. Finchè li guarderemo da estranei loro faranno lo stesso con noi.

Non è detto che questo rovini la ricerca, riguarda piuttosto noi stessi, quanto la nostra capacità di interpretazione (che rimane comunque nostra), e dunque di rappresentazione, dipenda dall’autenticità di relazione con l’altro.

Della città di Dorotea si può parlare in due maniere: dire che quattro torri di alluminio si elevano dalle sue mura fiancheggiando sette porte dal ponte levatoio a molla che scavalca il fossato la cui acqua alimenta quatto verdi canali che attraversano la città e la dividono in nove quartieri, ognuno di

74 trecento case e settecento fumaioli; e tenendo conto che le ragazze da marito di ciascun quartiere si sposano con giovani di altri quartieri e che le loro famiglie si scambiano le mercanzie che ognuna ha in privativa (…) oppure dire come il cammelliere che mi condusse laggiù: - Vi arrivai nella prima giovinezza, una mattina, molta gente andava svelta perle vie del mercato, le donne avevano bei denti e guardavano dritto negli occhi (…) prima di allora non avevo conosciuto che il deserto e le piste delle carovane. Quella mattina a Dorotea sentii che non c’era bene dalla vita che non potessi aspettarmi. (Calvino 1972)

Anche Gill Deleuze e Felix Guattari con la loro definizione di Rizoma ci possono essere molto utili per chiarire in cosa consista, allora questo tipo di rappresentazione (Deleuze,

Guattari 2010 or. 1980).

Cosa distingue, infatti, una radice arborescente da un rizoma? La prima è sostanzialmente costituita dalla moltiplicazione binaria (e gerarchica) delle parti. Questo viene riportato dagli autori alla forma-libro tradizionale: vi è il soggetto narrante e l’oggetto narrato. Per quanto si possano moltiplicare le storie narrate, il rapporto di potere autoriale rimane intoccato.

Il libro-rizoma invece è permeato dai concetti di eterogeneità e di concatenazione. Gli stessi concetti che contraddistinguono l’ambiente urbano contemporaneo. Ogni concatenazione di fatto cambia la struttura del rizoma, cosicché la complessità non procede per addizione di parti, ma per continuo riadattamento. Come la città-giungla, il rizoma è un’anti-struttura, un movimento in divenire, una fuga detta deterritorializzazione.

75 Così intesa la letteratura, come la scrittura antropologica (a maggior ragione la scrittura antropologica nella sua forma letteraria, unica che possa rendere conto del disambientamento) non è una relazione di potere, ma diventa parte del rizoma città: la sua narrazione infinitamente in movimento, un gioco profondo, direbbe Geertz (1998, or.1973), che non può avere fine.

Per questo trovo siano così importanti i testi dei situazionisti che parlano delle città.

Ancor più, uno dei miei riferimenti principali sono gli scritti di uno dei padri ispiratori dell’Internazionale Situazionista, l’urbanista Henri Lefevre.

L’analisi di situazione, e della situazione urbana nello specifico, al contrario di quella di classe, oltre all’avere l’indubbio vantaggio di parlarci dei microcosmi quotidiani e dei microeventi, lasciando ad altri il compito di parlare della dimensione ampia delle dinamiche economiche e politiche globali, ci permette di guardare con occhio differente ai contesti urbani, e all’azione (rizomatica) delle persone in questi spazi.

Lo spazio urbano è una continua contraddizione (...) le relazioni sociali hanno una area di superficie. Questa include le relazioni più astratte. (…) Da questo punto di vista il fenomeno urbano e lo spazio urbano possono essere considerate “concrete astrazioni”. (…)La città crea una situazione, la situazione urbana, dove cose diverse occorrono, una dopo l’altra, e non possono esistere separatamente, ma solo in relazione alle loro differenze. (…) La città costruisce, identifica e rimanda l’essenza delle relazioni sociali: la reciproca esistenza e manifestazione delle differenze che sorgono da, o sfociano in conflitto. (Lefevre 1970, traduzione mia)

76 Come è chiaro, entrare nelle situazioni, compiere un’analisi rizomatica di (e con) esse significa dare ragione agli autori della Critical Anthropology sulla necessità di un’antropologia che sia militante. Con questo, però, si deve intendere nient’altro che la assoluta necessità di prendere posizione.

Vi è ancora in molta antropologia più tradizionale un grosso tabù in merito a questa necessità.

Quasi che essa sia un’ammissione di volontà acritica verso il nostro campo.

Credo che questo tabù vada superato proprio in nome, invece, della necessità dell’esserci di cui parlavo prima, soprattutto in territorio di conflitto. Il conflitto, infatti, è sempre politico per sua stessa natura. Questo significa anche non adagiarci sullo statico concetto di vittima, ma guardare nel profondo come vengano agiti i ruoli sociali in questi contesti. È evidente come questo sia molto diverso da un’affermazione di acriticità.

Mi sono dunque convinta dell’utilità di un nuovo approccio interpretativo, che non neghi ed anzi constati e prenda atto dell’ineluttabilità delle relazioni di potere che attraversano la società nel suo normale esperirsi, ma che miri a smontarle (come un giocattolo di cui si vuol capire il funzionamento) anche grazie alle retoriche letterarie a nostra disposizione, e, nella consapevolezza e nel rivendicare la propria presenza nella relazione con l’altro, le utilizzi per arrivare a dire il racconto della relazione, continuamente in divenire, mai definitivamente fissata.

77 9. Note alla lettura degli etnonimi

Nella scrittura riporto gli etnonimi greci in lettere latine, per evitare complicazioni nella lettura e alleggerirla dalle ripetizioni che risulterebbero dall’affiancare al etnonimo in caratteri latini, quello greci. Vanno però chiarite alcune questioni di pronuncia. La mia trascrizione segue quello che i greci stessi chiamano greeklish, che talvolta viene usato da loro stessi quando scrivono su piattaforme informatiche che non prevedono la possibilità di scrittura in caratteri greci. Esistono diversi tipi di greeklish, uno dei più diffusi, ma che complicherebbe a noi ulteriormente la lettura, è quello che procede per somiglianza di forma tra le lettere latine e quelle greche. In esso, ad esempio, la lettera omega (ω) si esprime con la forma segnica w e la lettera thita (θ) con il numero 8. Ho quindi optato per un sistema di greeklish che mantiene i dittonghi senza semplificarli nella vocale latina corrispondente (oi > i; ai > e; ei > i; ou > u), ma che fa corrispondere alla vocale latina di pronuncia tutte le varianti di uno stesso fonema (η, ι > i; ω, ο > o). La vocale greca υ, che si legge /i/, sarà resa con il grafema /y/.

I grafemi greci γ κ saranno resi nel testo con le consonanti /g/ e /k/ che hanno sempre suono occlusivo; dove il suono dell’etnonimo greco vede un’affricata uso i grafemi /dz/ e /ts/. Per la

/z/ di “mazzo” uso il grafema /tz/. La fricativa velare sorda χ, sarà invece resa con /ch/, come nella parola “Exarchia”. Per quanto riguarda gli accenti, non cadono mai oltre la terzultima, e verranno segnalati nel testo solo se finali.

78 Capitolo Secondo Economie dell’indifferenza

A Ersilia per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case (…) Quando i fili sono tanti che non ci si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via (…) Dalla costa d’un monte, accampati con le masserizie, i profughi di Ersilia guardano l’intrico di fili tesi e pali che s’innalza nella pianura. È quella ancora la città di Ersilia, e loro sono niente.

Italo Calvino, Le città invisibili

Lunedì 11 novembre, dopo aver a lungo parlato con un mio informatore, l’architetto

Kostas Vasiropoulos, su suo suggerimento, mi sono recata agli uffici comunali centrali di

Atene, in via Liosion. Lì, mi aveva detto Kostas, avrei trovato l’ufficio della pianificazione urbana, e mi avrebbero dato le mappe e le piante catastali del quartiere di Exarchia.

Mi sembrava interessante averle, sebbene non fossero elementi fondamentali per la mia ricerca, così quel lunedì mattina verso le 11.00, a piedi, mi sono recata agli uffici.

Il quartiere un cui si trovano non è affatto ciò che si direbbe “di rappresentanza”. È anzi considerata una parte degradata della città, nota per spaccio e prostituzione, non lontano da piazza Omonia.

L’edificio in marmo scuro aveva due porte d’ingresso girevoli bloccate, ed una porta a spinta con il maniglione antipanico aperta. Entrando ho notato che la hall rettangolare, con dei grandi bassorilievi rappresentanti scene mitologiche alle pareti, era molto buia, vuota e trascurata. Solo una piccola stanzina sotto a delle scale a chiocciola, che sembravano di servizio, era illuminata vagamente.

Sulla mia sinistra c’erano due ascensori con delle porte metalliche a scorrimento, e nello spazio tra l’uno e l’altro una tabella indicativa con la disposizione degli uffici nei piani.

Quello di pianificazione urbanistica si trovava al primo.

Sono entrata in uno dei due ascensori e ho premuto il tasto del piano.

L’ascensore non si è mosso.

Ho provato a premere ancora il tasto, che si è illuminato di rosso solo per un istante.

L’ascensore è rimasto fermo.

Sono uscita dall’ascensore, e ho visto che dalla stanzetta illuminata un signore pelato e panciuto mi guardava perplesso.

«Cosa vuoi?», mi ha chiesto. Ho provato a spiegargli a grandi linee che mi servivano delle mappe della città, che mi aveva detto un amico architetto che avrei potuto trovarle lì.

«Non ne ho idea. L’ascensore comunque funziona solo dal secondo piano in su.»

Un po’ perplessa ho cominciato a salire la scala a chiocciola. Al piano ammezzato da una porta aperta su un magazzino pieno di attrezzi elettronici ed elettrici di ogni tipo arrivavano, da lontano, delle voci di persone che ridevano. Avrei potuto tranquillamente entrare e fare man bassa di un toner per stampanti, ad esempio, senza che nessuno se ne accorgesse;

80 chiunque tra gli avventori mattutini di un ufficio pubblico che fossero passati per quelle scale avrebbe potuto.

Ho continuato a salire la scala a chiocciola, che al primo piano arrivava su uno stretto corridoio completamente buio. Davanti a me un divisorio da ufficio in materiale plastico; a sinistra il corridoio proseguiva verso una porta chiusa, a destra portava verso un atrio dal quale provenivano delle voci.

Mi sono diretta titubante verso le voci.

Nell’atrio spoglio e dal vago sentore di sporcizia cinque persone bevevano caffè da bicchieri di carta e fumavano chiacchierando. Il mio arrivo li ha straniti. Mi hanno guardata senza dirmi nulla.

«Cerco l’ufficio urbanistico, o qualcosa del genere… Mi servono delle carte della città…»

Si sono guardati interrogandosi, poi una signora tra loro mi ha risposto: « qua a destra c’è una porta che dà su un corridoio, lo percorri tutto e infondo trovi l’ufficio. Prova lì.»

Ho ringraziato e mi sono avviata verso la porta, un po’ nascosta, che mi era stata indicata

(nonostante il “prova” mi abbia lasciata un po’ perplessa).

L’impressione era davvero quella di essere Alice nel paese delle meraviglie del cartone

Disney, quando apre una porta dietro l’altra, sempre più piccole. Se non altro, la piccola porta di plastica e il corridoio dal soffitto basso, fino alla seconda porta dello studio, erano illuminati con potenti neon.

81 Ho bussato alla porta dello studio senza ricevere risposta. Ho allora cercato di vedere se la porta fosse aperta. Effettivamente lo era e dava direttamente su uno studio con due scrivanie, in una delle due un uomo al computer sulla trentacinquina con degli auricolari ha alzato appena lo sguardo. All’altra un ragazzo di qualche anno più giovane alto e grosso, è scattato in piedi quando, timidamente, sono entrata.

Ho spiegato cosa stessi cercando.

Mostrando vero disappunto, mi ha riferito come l’architetto responsabile dell’ufficio se ne fosse andato, per quel giorno (lunedì mattina, un ufficio pubblico, ore 11.30. La pausa pranzo in Grecia in genere si fa alle 14.00). Molto gentilmente però l’ha chiamato al cellulare e gli ha detto di me.

L’architetto non ha dimostrato nessuna intenzione di tornare in ufficio, ne’ ha voluto che parlassi con qualcun altro, ma ha detto che se mi andava bene potevo tornare il giorno dopo, alla stessa ora.

Ho ringraziato e me ne sono andata.

Il giorno dopo, un po’ di luminosità in più a parte, la situazione della sede comunale non era differente. L’architetto però era in ufficio.

Con grande disponibilità, mi ha mostrato le carte a loro disposizione: dei poster plastificati molto belli, ma non particolarmente utili per un qualsiasi lavoro che si voglia dire in qualche modo “urbanistico”, delle circoscrizioni cittadine; non dei quartieri.

82 Gli ho spiegato che quello che serviva a me non era un poster del centro di Atene, ma delle carte dettagliate, un piano catastale del quartiere di Exarchia che lo descrivesse nel dettaglio.

Tutto quello che era disponibile, mi è stato risposto, era quello che mi aveva mostrato. Inoltre, a meno che non portassi una dichiarazione della segreteria didattica della mia università, ogni poster costava quindici euro. Mi ha anche mostrato un fascicolo con diverse dichiarazioni di studenti del politecnico, per lo più, che avevano richiesto le mappe.

Mi chiedo ancora che utilità possano avere mappe del genere per un urbanista.

Non sono più tornata nell’ufficio, perché rispetto al mio lavoro, ho potuto tranquillamente utilizzare mappe scaricate da internet, che mi hanno permesso delle operazioni interattive le quali sarebbero risultate difficili su delle superfici grandi e poco dettagliate come quelle delle mappe propostemi al comune di Atene, da dover poi riportare in formato A4.

In realtà questa esperienza è stata molto più utile per i suoi inattesi risvolti kafkiani, che per gli obiettivi primi che mi ero preposta.

“Kafkiano” è stato proprio il commento di alcuni amici a cui, la sera della mia seconda avventura agli uffici del comune di via Liosion, ho raccontato come fossero andate le cose. Il riferimento è estremamente azzeccato; la sensazione provata era esattamente quella del signor

Josef K. ne “il Processo” quando si reca all’aula dove dovrebbe tenersi il suo processo, la trova vuota e viene invece portato dall’usciere del tribunale a visitare la cancelleria

83 distrettuale, o quando, ancora, aprendo la porta del ripostiglio della banca dove lavora, trova gli agenti di polizia che l’avevano arrestato presi a frustate per punizione del giudice.

Al di là della mia esperienza personale, chiunque abbia a che fare con la burocrazia greca si ritrova invischiato in storie del genere, a prescindere che sia uno straniero o un greco, che parli o non parli la lingua. Ne rende bene conto Michael Herzfeld in “The social production of indifference. Exploring the symbolic roots of Western bureaucracy” (1992).

Ho pensato, dopo questa esperienza, che fosse interessante guardare a come questa

“predisposizione all’inefficienza” abbia inciso sulla percezione della “pigrizia” del popolo greco, e dunque della sua visione come causa della loro condizione di crisi e del successivo, doveroso, intervento di chi, invece, la burocrazia la sa usare veramente.

Ora, è chiaro che economia e burocrazia non sono la stessa cosa, ma sarebbe fuorviante non pensare che la seconda sia, negli stati moderni, il braccio della prima.

È chiaro dunque che il discorso vada articolato in due parti.

Da un lato, è interessante guardare agli stereotipi sull’uso della burocrazia riguardo all’oriente e all’occidente (e di conseguenza, riportando il discorso in termini di Europa, tra centro e periferia o più precisamente, se vogliamo, tra nord e sud), e come questi influenzino le attribuzioni di colpa (Douglas 1995 or. 1992), o meglio le giustificazioni, che vengono date dalle istituzioni nazionali greche e da quelle sovranazionali europee e mondiali riguardo alle misure di austerità inflitte alla popolazione durante la crisi.

84 Dall’altro, si tratta di verificare come queste misure effettivamente incidano sulla vita quotidiana delle persone coinvolte, e come modifichino, alterino, o radicalizzino i loro orizzonti culturali di senso. L’osservazione “da dentro” delle micropratiche quotidiane è in questo senso importantissima.

Attribuzione di colpa e modificazione degli orizzonti di senso sono due degli elementi che formano il quadro analitico che poniamo in essere davanti ad un disastro.

Gli autori che ne trattano tradizionalmente parlano di disastri naturali o tecnologici.

Raramente, sino ad oggi, si è guardato alle crisi economiche attraverso questa lente di analisi.

Credo invece, ed è questo l’obiettivo di questo mio primo capitolo, che l’antropologia dei disastri possa fornirci alcuni interessantissimi spunti, fatte le dovute differenze con la materia usualmente trattata, rispetto al contesto spazializzato della crisi economica in corso.

In oltre, questo quadro analitico si salda alla perfezione con ciò che sarà materia dell’ultimo capitolo della mia ricerca, ovvero come prende forma nello spazio urbano, e più precisamente nella “ribelle” Exarchia, quella situazione particolare che Giorgio Agamben definisce, nel testo omonimo, Stato di Eccezione (2003).

Vorrei cominciare con le parole di un “esperto di crisi”. Nel documentario “Catastroika” di

Katerina Kitidi e Aris Chatzistefanou, la scrittrice Naomi Klein racconta che, durante la privatizzazione seguita al crollo dell’Unione Sovietica, causa di una situazione di enorme povertà per la Russia negli anni seguenti, Lawrence Summers, allora a capo della Banca

85 Mondiale, primo patrocinatore di questa privatizzazione, denominata Catastroika, che aveva il fine di rilanciare l’economia del paese, dichiarò: «L’economia è una scienza esatta come l’ingegneria. Le stesse leggi funzionano dappertutto allo stesso modo».

È un’affermazione interessante dalla quale partire; quanto di più lontano esista dall’approccio con cui un antropologo tende a guardare una situazione di disastro, o di crisi.

1. Il grande malato

Nel capitolo precedente ho fatto cenno alla retorica medica di Strauss-Kahn nell’incontro col primo ministro greco , il 7 dicembre 20101.

Penso che sia estremamente importante tornare un questa metafora, interessante sotto diversi punti di vista dal momento che prendiamo come assunto di fondo il fatto che «i discorsi non rappresentano mai passivamente i loro oggetti ma come potenti costellazioni di simboliche e lessicali, storicamente formate, essi di fatto li producono» (Ligi 2009:41). In questo senso, inoltre

Vi è una stretta analogia tra la visione dominante dei disastri e la descrizione di Michel Foucault su come la pazzia viene trattata o, meglio, “inventata” nell’età della ragione (Foucault 1965). La calamità (naturale) in una società tecnocratica rappresenta lo stesso tipo di problema cruciale che è la malattia di mente per i campioni della ragione (…) la pazzia e la calamità sono molto allarmanti. Entrambe sono trattate ed interpretate

1 gli interventi di Papandreou e di Strauss Kahn sono integralmente leggibili in inglese sul sto internet del primo ministro greco: http://www.primeminister.gov.gr/english/2010/12/07/meeting-with-dominique-strauss-kahn-statements/.

86 come una “punizione per una scienza inutile e disordinata” (p. 32) (Hewitt 1983 in Ligi 2009:41)

Vediamo chiaramente che sostituendo qua alla pazzia foucaultiana una qualsivoglia nozione di “malattia”, ci viene restituito un quadro tutt’altro che allusivo rispetto alle parole dell’allora presidente del Fondo Monetario Internazionale.

L’Europa, il Mondo hanno degli standard (finanziari) che devono essere mantenuti, chi non è in grado di farlo è un anormale, un malato da curare. Questo è in definitiva il senso del discorso. Impressionante come alla metafora medica in questione non faccia da sfondo nessun corpo reale, nessuna nozione di umanità. È l’economia greca ad essere malata, e, costi quel che costi, va curata.

Questo non è strano, in termini molto semplicistici, se si pensa che l’Unione Europea non è altro che un’unione monetaria (e non politica)2, e che quindi è con queste questioni che deve primariamente fare i conti: con la gestione economica dei paesi membri. Rimane però, in tutto questo, quantomeno sinistra una metafora “intima” come quella medica per riferirsi a quanto di meno intimo esista, ovvero, appunto, la gestione economica di uno stato.

Cercherò di spiegare perché non è così strano, invece, ed anzi perché proprio questo tipo di retoriche siano quelle dominanti da chi in uno “stato di emergenza” abbia il (o si sia insignito del) compito di gestire la situazione.

2 Questo è un argomento molto dibattuto dagli economisti e dai politologi dell’Unione Europea. In particolare rimando al testo dell’economista franco egiziano Samir Amin, 2010, Eurocentrism - Modernity, Religion and Democracy: A Critique of Eurocentrism and Culturalism, Oxford, Pambazuka press.

87 2. L’altro mondo

Michael Herzfeld in “The Social Production of Indifference” (1992) cerca di gettare uno sguardo critico sulle radici della burocrazia occidentale, in particolare nel confronto con quella orientale e sugli stereotipi che derivano da questo confronto. È molto interessante, quindi, riguardo al nostro discorso perché la Grecia si situa proprio tra questi due “mondi” e la retorica nazionale che ne deriva risente di questo posizionamento. Per quanto riguarda in particolare il nostro discorso, Herzfeld riflette sul concetto di “fatalismo” attribuito alle burocrazie orientali in opposizione a quelle occidentali orientate, invece, verso l’azione. Il contesto è quello di considerare la burocrazia degli stati-nazione3 in analogia diretta rispetto ai sistemi rituali di una religione (Herzfeld 1992:10): la nazione come religione secolare ritualizzata, le cui funzioni sono svolte dai burocrati, attraverso l’uso della legge, della parola scritta e sacralizzata. Per tornare al nostro discorso, però, rispetto alle nozioni di fatalismo e azione, ci interessa vedere come ci sia nel linguaggio comune rispetto all’inefficienza dell’operato dei burocrati greci una sorta di giustificazione etnica: è così perché la burocrazia greca è il lascito, la diretta conseguenza di quella turca (Herzfeld 1992:123). È un modo molto comodo per lavare via le responsabilità, e attribuire la colpa ad un Altro; in questo caso l’altro per eccellenza, quello che per la cultura greca rappresenta tutto quello che “noi” non

3 Il testo è datato, ovviamente. Solo nel febbraio del 1992 era stato firmato il trattato di Maastricht, dove si ponevano le basi per la nascita di un Istituto Monetario Europeo e si auspicava entro il 1999 la nascita della Banca Centrale Europea. Il concetto di Europa come parte dell’Occidente che viene sviluppato nel libro, quindi, è scevro di tutte quelle caratterizzazioni (fortemente economico-burocratiche) che hanno contribuito a costruire la realtà europea come la conosciamo oggi. Non solo, anche la Grecia di cui si parla ha ben poco a che vedere con quella del boom degli anni ’90-2000. Tuttavia, alcuni elementi generali possono ancora servirci.

88 siamo. Qualcosa di molto simile, rispetto all’attribuzione delle colpe della crisi succede proprio oggi, per le strade della città, sulla bocca di molta gente e sulle punte dei manganelli di troppa. L’unica differenza è che allo storico nemico turco, contro il quale ancora vengono comprate armi4, è sostituita la teodicea dei migranti poveri, per lo più pachistani e africani.

Lo vedremo nel capitolo successivo.

3. Sangue del nostro sangue

Avviene dunque che, come nella formazione di tutti gli stati nazionali europei, si dia molto peso alla metafora della famiglia. Il ”noi” di Paparrigopoulos di cui si è prima parlato. È in realtà un fenomeno antropopoietico diffuso ovunque, come ci ricorda anche Remotti (Remotti

2011:95), quello di identificare un “dentro” ed un “fuori” rispetto al gruppo di cui si fa parte e, generalmente, di far coincidere col “noi”, il canone di umanità da cui “l’altro” differisce. È un secondo termine di paragone che serve anche a riconoscere, in negativo, ciò che “noi” è da ciò che non è. Questa retorica naturalmente culturale è stata manipolata da tutti i movimenti nazionalisti a partire dal XIX secolo, sino alle derive totalitariste del ‘900. L’elemento che più di tutti determina questo legame che unisce è il sangue, la stesso che tutti “noi” condividiamo.

Così scriveva Johann Gottlieb Fichte nei “Discorsi alla Nazione” del 1808:

4 Il 3% del PIL nel 2012. Nella NATO solo gli Stati Uniti spendono di più in percentuale con il 5% del PIL. Fonte: Il Sole 24ore del 27 aprile 2012.

89 Per gli antenati germanici, la libertà consisteva nel rimanere tedeschi (...) È a loro, al loro linguaggio e al loro modo di pensare che dobbiamo, noi, gli eredi più diretti della loro terra, di essere ancora tedeschi (...) È a loro che dobbiamo tutto il nostro passato nazionale e, se non è finita per noi, finché rimane nelle nostre vene fino un'ultima goccia del loro sangue è a loro che dovremo tutto ciò che saremo in futuro. (2003)

Dalle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo (1802): E noi purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato della mia Patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. (1993:1)

Così Mussolini nella famosa proclamazione dell’Impero del 1938: «Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’Impero, lo feconderà col suo lavoro, e lo difenderà contro chiunque con le proprie armi».

E Hitler nel “Mein Kampf” (1925): «La nazione, o meglio, la razza non consiste nella lingua, ma solo nel sangue».

Si nota chiaramente come la metafora si sia trasformata, attraverso il trattamento patetico, da retorica poetica a retorica politica.

La metafora del sangue ricorre spesso anche nella mitologia e nella lirica e soprattutto nell’epica greca antica. La parola “sangue” ricorre sessantatre volte nell’Odissea, per non parlare delle centoventicinque dell’Iliade, ed in molte di esse si riferisce proprio ad un’identificazione di stirpe: «Su via, ciò dimmi, e non m’asconder nulla:/Chi? di che loco? E di che sangue sei?/Con quai nocchier venistu, e per qual modo,/E su qual nave, in

90 Itaca?»(Hom. Od. 1. 230-233. trad. I. Pindemonte, 1822), chiede Telemaco ad Atena che, sotto sembianza di vecchio, si era recata ad Itaca ad informarlo di dove si trovasse il padre,

Ulisse.

Sono questi i “padri” di cui i greci che avevano combattuto per l’indipendenza dagli ottomani erano gli eredi diretti5. È a questi precedenti che si rifanno i neonazisti di oggi, appoggiandosi al fatto che l’educazione scolastica basata sulla tradizione di Paparrigopoulos, insegna che il

“noi” non è altro che l’eredità di quegli antichi che sono i nostri “padri”, coloro con i quali condividiamo il sangue.

«Aima! Timi! Krisi Avgi!» “Sangue! Onore! Alba Dorata!” recita lo slogan del partito, scandito a molte voci durante le manifestazioni.

Dal comunicato ideologico di presentazione di Alba Dorata si legge:

Tutti, coloro i quali vivono in questa Patria e hanno l’onore di appartenere alla grande Stirpe Greca devono sentire profondamente nei loro cuori che hanno una responsabilità inestinguibile, poiché non appartengono ad una Stirpe qualunque, ma alla Grande Stirpe dei Greci, che ha fondato la cultura, ha respinto due tirannie ed è risorta, come la fenice del mito, dalle sue ceneri con il sangue dei Combattenti del 1821. Questa Patria che odiano in tanti e che in tanti temono dobbiamo proteggerla, non dobbiamo lasciare che la svendano! Abbiamo un debito con la Storia di migliaia di anni per tornare ad essere una Grande Stirpe degna di un grande passato e destinata ad un grande futuro! (fonte: www.xryshaygh.com, traduzione mia)

5 Quelli che erano stati riuniti da Alessandro Magno nella Lega di Corinto con la quale conquistò l’Asia Minore, sconfiggendo l’esercito persiano nella battaglia di Granico (334 a.C.).

91 È interessante sottolineare come questa percezione sia assolutamente in linea con l’eredità del pensiero nazionalista occidentale.

Non solo l’idea di patria come stirpe, come famiglia «è parte integrante dell’ideologia europea» (Schneider 1984:174, traduzione mia), ma pure il concetto di “Ellenismo”, e quindi di Grecia come “culla della cultura occidentale”, è inscindibilmente legato al pensiero europeo.

La storiografia greca è prodotto dello stato nazionale greco. Durante la fondazione del nuovo stato il mito costitutivo era la resurrezione della mitica fenice. (…) Soprattutto, in contrasto con molte giovani nazioni che stavano costruendosi una propria immagine, il mito dell’Antica Grecia era potente anche fuori dei territori ellenofoni dell’Impero Ottomano. I greci moderni acquisirono un’identità, per così dire, senza grande dolore – rispetto, per esempio ai loro vicini balcanici e ad altre nazioni neonate –nel presentarsi all’Europa e al mondo. (…) L’Ellenismo, come topos culturale (“luogo/categoria”) è stato un prodotto intellettuale del Rinascimento, in seguito rinnovato dalle linee di pensiero dell’Illuminismo e del Romanticismo. Come concetti, l’Ellenismo e il Revivalismo sono strettamente interconnessi. (…) Infatti il nazionalismo può essere definito, in questo contesto, come un “mito di rinnovamento storico”. Come risultato, l’incorporazione dell’antichità costituisce non semplicemente l’inizio della narrazione nazionale, ma nei fatti la costruzione dell’oggetto di questa narrazione. Per i greci, sentirsi come soggetto nazionale significa internalizzare la relazione con l’antica Grecia. (Liakos 2008:204-205, traduzione mia)

4. Noi, i greci

Nell’emancipazione, dunque, dall’oppressore turco si è compiuta, a livello sentimento storico

92 popolare, una negazione dell’influenza e della relazione storica con esso, che è diventato il portatore di tutti i tratti che non appartengono al “noi nazionale”.

Quello che si può facilmente notare è che la dicotomia tra l’operosità occidentale e l’inefficienza orientale nasce dalla società (burocratica) occidentale (che del resto è pure permeata della metafora del sangue condiviso e della nazione come famiglia), di cui la stessa

Grecia moderna fa parte. È uno stereotipo duro a morire, anche all’interno dello stato greco.

Se la burocrazia non funziona è perché è stato ereditato l’apparato ottomano, orientale e, dunque, inefficiente. È parte del discorso comune il biasimare lo stato per la sua inefficienzae attribure questa all’eredità storica (Herzfeld 1992). Non sembra quindi strano che il 21 settembre 2010 un deputato di spicco del partito socialista al governo, Thodoros Pangalos6, abbia dichiarato nel suo intervento parlamentare:

La risposta al clamore che c’è contro il personale politico del paese, al “come ve li siete mangiati i soldi?” che ci chiede la gente è questa: “vi abbiamo assunti. Ce li siamo mangiati insieme”7 (traduzione mia).

A ben guardare, quest’affermazione conferma anche la visione della relazione “familiare” dello stato. Significa, in definitiva, che non c’è differenza tra chi gestisce, o avrebbe il compito di gestire, un’economia nazionale e chi ne fa parte come privato cittadino, magari impiegato pubblico. Sono, agli occhi di chi parla, atavicamente complici. Così pure, si

6 Nipote del dittatore omonimo, presidente della seconda repubblica ellenica del 1926, collaborazionista coi nazisti tedeschi ed i fascisti italiani durante le seconda guerra mondiale. 7 Thodoros Pangalos ha anche scritto un libro che si intitola proprio Oloi mazi ta fagame, “Ce li siamo mangiati insieme”, uscito nel 20012 e acquistabile in formato ebook sul sito internet personale dello stesso Pangalos, o sul sito del libro stesso: http://mazi-ta-fagame.gr .

93 possono trarre dal documentario “Debtocracy” le parole di un ex ministro della difesa e delle finanze greco, Yiannos Papantoniou8, estrapolate da un’intervista trasmessa su Al Jazeera nel maggio del 2010: «Americans may find difficult to understand this, but Greece lacks a builded culture of stability and discipline».

È alla nazione, come entità monolitica in cui umanità e burocrazia coincidono, quindi, che viene attribuita una mancanza, o una malattia. Questa riduzione alla metafora medica o alla lacuna culturale risulta interessante per il suo meccanismo di esclusione intrinseco. È, nel suo gioco di semplificazione, parte del linguaggio burocratico, nella misura in cui diventa tassonomia. Herzfeld fa notare come questo abbia molto a che vedere con la dimensione dell’ospitalità, proverbiale caratteristica del popolo greco9. In entrambi i casi, sia in quello

8 Yiannos Papantoniou, ministro delle finanze e dell’economia dal 2001 al 2004 col governo socialista di Kostas Simitis, e in seguito della difesa nel 2003 e nel 2004, quando, dopo le dimissioni del premier, gli è succeduto George Papandreou. La situazione politica del paese in quegli anni era segnata dalle pressioni internazionali sul governo greco perché affrontasse la minaccia del terrorismo del gruppo 17Noembri, soprattutto in vista delle Olimpiadi del 2004. Per quello che ho potuto riscontrare, l’organizzazione eversiva (attiva dal 1975 al 2002), aveva molti simpatizzanti, se non altro rispetto ad ampli strati degli abitanti di Exarchia, dove ho condotto la mia ricerca sul campo. A riferirmelo diverse persone, per lo più di età non inferiore ai quarant’anni, che avevano partecipato alle rivolte del Politecnico nel 1973. Era, mi è stato riferito, una questione spinosa, per il governo dell’epoca. L’arresto dei suoi membri ha causato l’acuirsi dell’insofferenza per un partito che, sedicente socialista, agli occhi di molti non si comportava come tale. 9 Questo almeno fino a quando, con il benessere fittizio cominciato dalla metà degli anni ’90, non è si è sentito a pieno parte del mondo industrializzato e “sono arrivati i soldi”, come mi ha riferito un tassista una sera: era il 28 marzo 2013, tornavo a casa a Pagkrati da Exarchia. Leggo dal diario di quel giorno: Chiacchiero col tassista, che mi chiede se fumo. “No”. Scherza. Mi chiede se sono greca o no, che dalla faccia non sembra. “Mezza e mezza”, gli dico mentendo. “La mamma è greca”. Lo faccio spesso, con le persone con le quali non devo avere molto a che fare. Mi evita le domande di circostanza. Sempre le stesse, che arrivano comunque: “E perché sei qui e non in Italia?” “Perché sono qui per studiare come la crisi ha cambiato la relazione delle persone con la città.” “La quotidianità intendi dire?” “Sì, le pratiche di vita quotidiana” “Quelle non sono cambiate.” Mi stranisco. “Ma come!?” La risposta è sibillina: “Quando c’è dio la gente crede in dio e non ha paura. Quando arrivano i soldi, la gente comincia a non credere più e ha paura delle altre persone. Per sapere come sia cambiata la vita di un greco, bisogna sapere definire cosa sia un greco. Lo sai tu, cosa vuol dire essere greco? Lo sanno tua nonna, la sua mamma, la sua nonna eccetera da dove vengono? No, forse dalla Turchia, forse da chissà dove. Non esistono i greci” Io dico che sono molto d’accordo, ma che allora cosa succede se c’è tutto questo odio? Lui risponde: “quando non c’erano soldi tutti aprivano la porta di casa e dicevano buongiorno al vicino, chiunque fosse il vicino. Poi sono arrivati i soldi (me ne fa il segno, sfregando insieme l’indice e il pollice della

94 della burocrazia che in quello dell’ospitalità, incide la necessità di classificare l’altro come diverso. A differenza della relazione di reciprocità che tiene aperta un dono10, l’ospitalità, così come la burocrazia, apre un canale di relazione che si può esaurire in se stesso. Sono di fatto relazioni che «tengono le chiavi dell’inclusione sociale» (Herzfeld 1992:175, traduzione mia): nella relazione burocratica il “cliente” deve dimostrare di non essere come tutti gli altri clienti agli occhi del burocrate, e dunque di partecipare, in un certo senso, al suo mondo, e la relazione di ospitalità non è altro che una postura verso un estraneo che lo mette in debito; qualora questa relazione rimanga non reciproca, lo straniero rimarrà straniero.

Quello che entra in gioco qua, e che è interessante guardare in termini politici rispetto al concetto di debito economico che vedremo meglio più avanti, è l’indifferenza verso “l’altro”, l’escluso, lo straniero.

5. Finzioni Occidentali

Che siano burocrati greci, o il Fondo Monetario Internazionale, una volta stabilita la non inclusione della Grecia-monolite-politico negli standard adeguati la relazione che si mette in atto è quella dell’indifferenza burocratica.

mano destra, l’altra appoggiata al volante, il cellulare incastrato nella corona circolare del volante. Siamo arrivati a platia Plastiria. Pochi passi da casa mia), e la gente ha smesso di aprire la porta per paura che gli rubassero quello che aveva”. 10 È un’usanza di buona educazione che ha radici profonde nella costituzione dei legami di solidarietà sociale antichi, in Grecia, soprattutto tra vicini di casa, quella di scambiarsi, ad esempio, dolci fatti in casa, o cose del genere.

95 Vengono stabiliti dei criteri a cui uniformarsi, un codice binario atto a stabilire se si sia

“dentro” o “fuori”.

È in base a questo processo che, pure, è nato il soprannome di P.I.I.G.S. o, ancora più eloquentemente, di G.I.P.S.I.. Dall’enciclopedia Treccani online11:

PIIGS: Acronimo coniato dalla stampa economica anglosassone che dal 2007 indica i cinque paesi dell’Unione europea ritenuti più deboli economicamente: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna; è l’evoluzione di PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), già in uso sin dagli anni Novanta. A causa di conti pubblici precari, scarsa competitività delle economie nazionali e alti livelli di disoccupazione, i P. faticano a ripagare i loro elevati debiti sovrani e rischiano, di conseguenza, di uscire dalla zona euro e di contribuire all’aggravamento della crisi economica internazionale iniziata nel 2008. Giudicato offensivo da molti osservatori internazionali (“pigs” in inglese significa letteralmente “maiali”), dal 2010 l’acronimo P. è stato in parte sostituito dal suo anagramma GIPSI (spesso considerato comunque dispregiativo, data la somiglianza con l’inglese “gipsy”, gitano).

Un mio amico ed informatore di ventisei anni, Petros, che lavora come operatore cinematografico per film di produzione greca, mi ha raccontato una volta di come, volendo seguire dei corsi di regia a Londra, gli fosse difficile trovare casa. Era il 2011, la crisi economica non era più soltanto uno spauracchio ma nel suo pieno svolgersi e molti inglesi a cui si era rivolto per affittare un appartamento, essendo lui greco si erano rifiutati temendo che non pagasse.

11 http://www.treccani.it/enciclopedia/piigs/ (consultato il 10 febbraio 2014).

96 Lo stereotipo della “pigrizia” greca (e con essa degli altri abitanti nei paesi P.I.I.G.S.) si è diffusa ed è stata amplificata dai media mondiali. L’attribuzione di colpa a livello di sentire comune, nei paese UE senza problemi rispetto agli standard economici della Banca Centrale

Europea e del Fondo Monetario Internazionale era (ed in certa misura è) indiscutibilmente legata a questo stereotipo.

Il progetto Omikron12, che ho trovato per caso navigando sul web ha prodotto due brevi video animati sulla creazione di questo stereotipo per quanto riguarda la Grecia. Il protagonista è un pupazzetto di nome Alex. Viene descritto come un ragazzo europeo come tutti gli altri («This person could be you or me») con il sogno di girare il mondo. «Adesso, complichiamo le cose.

Poniamo il caso», dice la voce fuori campo «che Alex sia greco. Rispetto alle cose che hai sentito, Alex è anche un pigro, traditore, ingrato, pavido, corrotto, violento, villano, razzista, evasore fiscale, piantagrane, ladro, vandalo. Che vive con sua madre» (corsivo mio). La questione principale che viene presentata nel cartone con ironia è la necessità di abbattere uno stereotipo che è prevalentemente mediatico, e si basa proprio sulla dinamica di inclusione ed esclusione. Ci sono chiaramente dei dati Eurostat che dimostrano la fallacia di questo stereotipo (figure 2, 3, 4). Rimane comunque difficile da sradicare. Lo vediamo anche nel

“senso comune” di casa nostra. Nella puntata del 28 febbraio appena trascorso della trasmissione televisiva “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber sull’emittente La7

12 http://omikronproject.gr consultato il 10 febbraio 2014.

97 (segnalatami da un’amica), Massimo Cacciari, filosofo, Nora Rangieri, giornalista de “Il

Manifesto” e Paolo Crepet, psicanalista, parlano del nuovo governo Renzi. Verso metà trasmissione, la giornalista parla dell’occasione nella nuova lista Tsipras alle elezioni europee.

Crepet le risponde in modo estremamente interessante: «Bisogna dire a quel signore greco, che la Grecia non è stata distrutta dalla Troika, ma dalla corruzione, da un debito pubblico spaventoso… chi ha fatto il più grande nero d’Europa? Eh? La Grecia.» «La classe dirigente», lo corregge la giornalista del “Manifesto”. «No», dice Crepet alterandosi, «I greci, che non ti davano uno scontrino neanche se li mangiavi».

Queste affermazioni sono interessanti perché si basano su una generalizzazione che non ha nulla a che fare con l’ambito economico nel quale si è verificata la gestazione della crisi economica e dell’indebitamento. Rimanda alle considerazioni fatte sulle parole di Pangalos.

Dove questi vedeva una decadenza del “noi”, Crepet ravvisa una decadenza del “loro”13.

Quello che rimane indifferente è l’inadeguatezza allo standard.

Certamente il linguaggio burocratico interno ed estero, che come ogni linguaggio è politicamente poietico, ha contribuito a questo sentire. Si produce uno schiacciamento dell’individuo alla società, quella società nazionale che, abbiamo detto, è come una famiglia.

13 anche se poi aggiunge «come noi italiani!».

98 Figura 2

Figura 3

99 Figura 4

Tutte le immagini dei grafici sono tratte dal sito dell’Eurostat (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/eurostat/home/).

100 6. Discriminare il sole

Probabilmente, come fanno notare anche nel secondo corto di animazione di Omikron project, parte dello stereotipo sulla nullafacenza dei greci risiede anche nel fatto che, nell’immaginario comune, che pure lo stato greco ha contribuito a costruire negli anni, si associ questo paese all’estate e alle vacanze. Ovviamente, però, quello che per un turista corrisponde a un piacevole soggiorno in una terra ospitale, per gli abitanti di quest’ultima è lavoro. Lavoro che si inscrive nel più ampio contesto dell’industria turistica, parte trainante del settore economico terziario greco.

Ancora, ma questo merita un’osservazione più approfondita, perché riguarda un’usanza importante e culturalmente densa per i greci, è impossibile da stranieri non rimanere colpiti dal tempo che questi passano nei bar o negli spazi pubblici a bere il caffè, cosa che per un qualunque altro europeo costituisce un’anomalia da giustificarsi rispetto alla propria quotidianità.

In realtà, la convivialità e l’uso dello spazio pubblico sono elementi importantissimi e fortemente caratterizzanti, per quanto riguarda la cultura greca.

Il ruolo e l’importanza di questa convivialità, e dei kafeneio meriterebbe una trattazione a se stante, per la sua densità antropologica. Si tratta di un uso “politico” dello spazio, tanto è vero che fino a pochi decenni fa, quando ancora si pensava che la politica fosse una questione da uomini, alle donne non era permesso frequentarli. Questo è cambiato abbastanza durante

101 l’occupazione tedesca e poi, soprattutto, durante il periodo dei Colonnelli, durante il quale le donne (e questo è un altro elemento di grande interesse per chi, come me, è erede di una storia militante in cui, spesso e volentieri, le donne dovevano ribellarsi ad essere “gli angeli del ciclostile”) hanno preso attivamente parte alla resistenza, partecipandovi alo stesso livello, non solo pratico, ma anche politico, degli uomini. Nei kafeneia di Atene si discute di politica.

Lo si faceva sotto la dittatura14, lo si fa ancora. È un’eredità culturale importante, non riducibile alla nullafacenza che può attribuirle un nordeuropeo.

In Grecia l’uso dello spazio pubblico, anche perché, banalmente, il tempo meteorologico lo consente, è una costante vitale. Costituisce la base dei legami sociali. Per conoscere le persone, questo elemento di convivialità, inserita nel contesto di uno spazio non privato è fondamentale.

La stragrande maggioranza delle interviste che ho compiuto in questi mesi, infatti, si è svolta in un kafeneio, è stato così per scelta esplicita dei miei interlocutori, e quando non è stato così sono stata poi invitata a pranzo.

14 Yiannis Felekis, un anziano signore che costituisce, in pratica, la storia politica ambulante di Exarchia, nella nostra chiacchierata del 30 gennaio al kafeneio di via Tsamadou, mi ha raccontato che i gruppi politici considerati illegali durante la dittatura, si riunivano nei kafeneia e nelle taverne dove, «tra una braciola e calamaro, si parlava di politica». Fu da quei gruppi che venne l’iniziativa di occupare il politecnico, e di rendere l’occupazione politica in senso ampio: non solo motivata dalla condizione degli studenti nelle università, ma che si prefiggesse l’abbattimento del regime dei colonnelli. Psomi, Pedia, Eleutheria, “Pane, Educazione, Libertà”, recitava lo striscione appeso fuori dal cancello del politecnico il 17 novembre 1973.

102 7. Ripetizione e potere

C’è un altro passaggio interessante nel discorso di Strauss-Kahn:

I myself, but I think everybody around the world, is very much impressed by the efforts which are made by the people of Greece. I say the people. The government had to take very bold measures, but that’s its role. But the people in the street, they are the ones being hit by the measures that are absolutely necessary. (…) I can assure you, coming from outside, that it doesn’t happen so often that a whole people of course isn’t happy with what happens – who won’t be unhappy? – but understand that this is necessary for the future of the country.15

Ora, è chiaro che, rispetto a ciò che abbiamo prima delineato, è una furbizia retorica non indifferente. Da un lato il suo riferirsi alle “persone” rimanda ad un sentimento di solidale umanità che davvero si riscontra in molte persone quando si parla della crisi greca. Ulrich

Beck descrive molto bene questo fenomeno, delineando il profilo di una “Società mondiale del Rischio” e della sua “Spinta cosmopolita” (Beck 2008, or. 2007):

La società moderna è diventata una società del rischio, poiché discute sempre più intensamente sui rischi da essa stessa prodotti, per controllarli ed impedirli. (…) Nella società mondiale del rischio è di importanza fondamentale anzitutto anticipare e impedire le catastrofi autogenerate e, subito dopo, affrontare le insicurezze prodotte dall’uomo16 (Beck 2008:82- 83).

E poi:

15 http://www.primeminister.gov.gr (consultato il 10 febbraio 1014) 16 Continua dicendo che «Queste necessità creano grandi e crescenti mercati per le tecnologie e gli esperti (…) La società mondiale del rischio è un big buisiness!>>anche questo è un dato interessante, ma ci arriveremo in seguito.

103 Una parte dell’ambivalenza del rischio consiste anche (nella) la globalizzazione della compassione (…) i pericoli e le distruzioni che si abbattono spietatamente sui destini dei singoli, individualizzati ed anonimizzati, li legano in un’unione potente, creata dalle storie esemplari di sofferenza e raccontate dalle immagini e dai resoconti televisivi. (…) La sfera pubblica del pericolo si basa sulla non-volontarietà e possiede una connotazione emotiva ed esistenziale. (…) Le immagini dell’orrore non suscitano distacco, ma compassione al di là delle frontiere (Beck 2008:96- 97).

Il fatto che a questo preambolo faccia seguito un lungo intervento con un linguaggio che cerca di adattarsi ad essere il più divulgativo possibile, data la situazione della conferenza stampa, ma che rivela chiaramente la sua natura smaccatamente economico-burocratica (sotto diversi aspetti), e che si sia svolto in un luogo chiuso, l’ufficio del primo ministro greco, lo rivela essere quello che è: “becchime per mass media”. Il ruolo dei media nella percezione della catastrofe economica e nel pericolo sociale che essa avrebbe portato con sé, sarà affrontata in maniera più diffusa più avanti. Per adesso ci basti porre l’attenzione sul fatto che le strategie retoriche utilizzate della stampa sono dei potentissimi ripetitori delle posizioni di potere che attraversano la società: da quelle invisibili, ma da non sottovalutarsi, che corrispondono al senso comune (là dove si annida la creazione dello stereotipo), passando per quelle piccole e difficili a vedersi, che potremmo definire con Deleuze e Guattari Microfascismi, (2010 or.

1980) fino a quelle più autoevidenti del potere dominante.

104 Dall’altro lato, vediamo come la strategia retorica del “bastone e la carota”, del riconoscimento dei grandi sacrifici che il popolo greco accetta senza protestare, venga smentita clamorosamente dai fatti dalla cronaca di quei giorni.

Con uno splendido tempismo, immagino non calcolato (l’indifferenza emerge anche da questo) l’incontro di Strauss-Kahn e Papandreou ad Atene in questione si è tenuto il 7 di dicembre, il giorno dopo l’anniversario dell’omicidio di Alexis Grigoropoulos.

Dal blog “Occupied London”, che dalle rivolte del Dicembre 2008 tiene gli aggiornamenti di tutti gli avvenimenti politici di “movimento” in Grecia, emerge una realtà un po’ diversa. Per il giorno della manifestazione commemorativa, fu predisposto un blocco del traffico in tutto il centro della città per ventun’ore consecutive. Quel giorno la polizia attaccò la manifestazione prima che cominciasse, circondando il presidio presso i Propilei, sede amministrativa dell’Università Nazionale e Capodistriana, in via Panepistimiou già alle quattro del pomeriggio. Di fatto il corteo autorizzato non ci fu mai, al suo posto violenti scontri si protrassero fino a sera, il cui scenario principale fu Exarchia. Ci furono centinaia di fermi, quarantadue dei quali tramutati in arresti17. A detta di molti, fu una delle prime volte che la violenza della polizia si dimostrò così indiscriminata e massiccia, come poi diventerà la norma. Certamente uno dei motivi dell’inasprirsi dei controlli e della militarizzazione della città, in quella circostanza, fu la visita di Strauss-Kahn. Il rischio, se non ci fosse stata una

17 http://blog.occupiedlondon.org/2010/12/06/435-demonstrations-and-actions-in-17-greek-cities-mark-two-year- anniversary-of-the-state-assassination-of-alexandros-grigoropoulos-police-announce-unprecedented-traffic-ban- in-central-athens consultato il 10 febbraio 2014.

105 repressione così intensa, era che montasse il malcontento per la crisi che stava già rivelandosi estremamente gravosa per la vita dei cittadini18 e che si mescolasse, in un giorno tanto particolare, agli “umori” di una piazza già in fermento.

Quello che (non) ha visto Strauss-Kahn quel giorno, dunque, non era altro che, probabilmente, un foglio con un discorso già scritto nel suo studio di Parigi.

Questo però non è privo di interesse: si tratta di strategie comunicative atte a far passare un messaggio chiaro che si può riassumere con la celebre espressione “è un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo”.

8. Realtà e tecnocrazia

Quale sia però questo lavoro sporco non ci è dato sapere. Finché la famiglia della mia amica

Lydia (ventotto anni, una laurea in economia e un master in gestione delle risorse ambientali), formata oltre a lei dal fratello di venticinque anni neolaureato in architettura a Volos, il padre sessantenne insegnante di latino e greco al liceo di Chalandri (un sobborgo “bene” del nord della città) e la madre sulla cinquantacinquina, casalinga, non ha capito provandolo sulla

18 Il primo pacchetto di aiuti da 110 miliardi di euro era stato approvato il 2 maggio precedente, subordinato alla prima tranche di misure di austerità, denominata “Lacrime e sangue”: «Questa non è solo una grande riforma, è una rivoluzione. Paghiamo i nostri errori, sappiamo che ci sarà da soffrire. Ma questa crisi deve essere l'opportunità di trasformare la Grecia in una nazione trasparente, moderna e affidabile>>, fu la dichiarazione dell’allora premier George Papandreou. Le misure prevedevano: riduzione del 20% delle buste paga del settore pubblico, flessibilità nel settore pubblico e in quello privato (riguardo ai licenziamenti), stop delle assunzioni nel pubblico impiego (per circa diecimila persone in attesa d’assunzione), stop della pensione anticipata per i lavori usuranti e, soprattutto il via libera alle privatizzazioni degli spazi pubblici del paese.

106 propria pelle, cosa fosse il “lavoro sporco” della Troika, le formule economiche usate per spiegarlo non erano sufficienti.

Nel giro di un anno, una famiglia media greca come quella di Lydia è passata dall’avere la serenità per permettersi di mantenere un figlio in un’altra città finché non trovasse un lavoro inerente ai suoi studi e aiutare la figlia a cominciare la sua vita autonoma fuori di casa, con la prospettiva di una dignitosa pensione statale del padre, al trovarsi nelle condizioni di dover far tornare a casa il figlio (che adesso è emigrato in Germania dove lavora in uno studio di architettura). Dimitris Stergiopoulos, il padre della mia amica, un uomo altero e dedito allo studio della cultura classica, dopo aver resistito per un po’ ha deciso di andare in pensione, prima che la decurtassero ancora, e continua a lavorare, facendo lezioni di recupero in nero

«alle figlie dei ricchi, delle viziate che lo trattano come un servo», ha raccontato a me e mia madre Kety, sua moglie. Lei adesso lavora in un call center a quattrocentocinquanta euro al mese, dove ha trovato un posto anche a Lydia, dopo un anno e mezzo di disoccupazione.

Tra tutte le persone mie coetanee, o di qualche anno più grandi, con le quali ho parlato, il sentimento più diffuso è l’incertezza, quasi nessuno ha un impiego stabile, molti non ce l’hanno affatto.

Ormai, a quasi cinque anni dallo “scoppio” della crisi economica, l’effetto del linguaggio burocratico e dell’economia si fa sentire poco, nella vita quotidiana delle persone. Rimane di base solo la necessità di arrivare alla fine del mese. Quello che vorrei mettere in evidenza in

107 questo, però, è che non esistono storie esemplari, esiste, piuttosto, una quotidianità a cui ci si adatta.

Questa quotidianità crea sapere. Un sapere che condivide ben poco con il sapere prodotto dalle linee astratte dell’economia finanziaria. Si tratta di fatto di un vero e proprio scontro di saperi, che talvolta prende le forme delle sommosse di piazza (estremamente rare, durante il mio periodo di campo), ma che rimane costantemente attivo. Da un lato, infatti, c’è la quotidianità individuale, molto diversa da quella enfatizzata dalla spettacolarizzazione mediatica, che nel suo esperirsi pratico crea un sapere sociale, dall’altro il sapere tecnico scientifico, tendenzialmente astratto e che per questo si rende espressione dell’invisibile (Beck

2001). Per usare una parallelismo con un’espressione famigliare a molti studenti di antropologia come «non si vedono i rapporti di parentela, ma solo persone che intrattengono tra loro determinati rapporti che noi analizziamo come parentali», così non si vedono le percentuali di PIL procapite, o il taglio delle pensioni, ma solo i loro effetti. Questa dicotomia di saperi raramente è conciliabile. Il sapere tecnico-scientifico dell’economia (in questo caso, ma lo stesso si potrebbe dire in caso di disastro naturale o tecnologico) pone le persone nell’inerme posizione di doversi fidare di qualcosa che non comprendono, e che acuisce il loro disagio nell’immediato. Spesso, come nel nostro caso, il sapere tecnico nel suo affermarsi come unica verità da elargire al “popolo ignorante”, si accompagna alla violenza coercitiva esplicita (apparati di controllo e repressione) ed implicita.

108 Nel suo analizzare la burocrazia come analogo secolarizzato della ritualità religiosa, Herzfeld mette in evidenza come spesso questa metta in gioco una feticizzazione del linguaggio

(legale, nella sua analisi, ma noi potremmo dire finanziario economico), che lo reifica. Come il verbo di dio che il sacerdote porta ai fedeli, così il linguaggio burocratico degli esperti è la verità portata a chi non lo è.

The more succesful a bureaucrat can reify “the laws” and make them “inflexible in practice”, the easiest it becomes to manipulate legal meetings for the purposes of self-interest (Herzfeld 1992:118)19

Un ruolo fondamentale nella diffusione della “verità economico-burocratica” è, abbiamo visto, ricoperto dai mass media. Essi hanno il compito di rendere visibile il rischio, e lo fanno secondo strategie che non intacchino la “sacralità secolare reificata” del linguaggio tecnico.

Questo dunque ha due esiti: da un lato la produzione di un sapere (e la sua espressione) fuori dalla portata e controtendente rispetto al sapere prodotto dalla società, quello prettamente economico che entra nella via di tutti i giorni in una modalità che definirei “semiologica”20,

19 La questione relativa agli interessi personali non è stata ancora trattata. Basti riflettere per ora sul tipo di legame che tiene unite le istituzioni politiche europee e mondiali gli interessi economici neoliberisti. C’è un divertente video in francese di qualche minuto su youtube (http://www.youtube.com/watch?v=re-H5iXeqDo consultato l’11 febbraio 2014) che spiega cosa sia il debito pubblico e come si sia formato. Ne parla con la metafora della vasca da bagno e dei rubinetti. L’acqua è il denaro dello stato, che non deve essere né troppo (inflazione) né troppo poco (recessione). Quando un’economia statale va bene è come se crescesse la vasca da bagno, bisogna dunque riempirla creando del denaro. Spiega, in buona sostanza, come secondo l’articolo 123 del Trattato di Lisbona del 2007 non sia possibile per la Banca Centrale Europea prestare soldi agli stati, e come questi invece debbano passare per forza attraverso le banche commerciali private. È chiaro che questo meccanismo fa entrare in gioco le banche private come interlocutori principali della finanza statale europea, e con loro, dunque anche interessi di privati. Un esempio che esula dal contesto europeo, ma in questo senso significativo, è il crack argentino del 2001. 20 In questo senso opposta ad una modalità “semantica”. Per capire cosa si intende con questa opposizione si pensi all’uso che per molto mesi si è fatto della parola (più che del concetto in sé) di spread. Questa parola è entrata nel linguaggio comune, spesso senza portare con sé una vera e propria coscienza di cosa significasse.

109 dall’altro una spinta alla semplificazione divulgativa dei concetti che si spinge fino all’infantilizzazione dell’interlocutore. In questo, la metafora medica di Strauss-Kahn rientra alla perfezione. Rimanda la mente di molti alla vicenda di Pinocchio con la fata turchina, quando Pinocchio non vuole prendere la medicina e la fata chiama i corvi perché preparino la bara per portarselo via. Di fatto non vuol dire nulla di diverso: la Grecia, questo bambinone pigro e un po’ discolo deve accettare che la fatina Troika gli dia la medicina giusta, se no muore. Come gli adulti con i bambini disubbidienti, come gli insegnati che affermano fieri che per loro «tutti i bambini sono uguali», il meccanismo che guida questa postura non è altro che indulgente indifferenza.

Come scrive anche Herzfeld: «The clearest sign of totalitarianism is undisguised pressure for social and culture homogenization from the top»(Herzfeld 1992:181).

Tutt’al più si sapeva che non doveva superare una certa soglia, oltre la quale, non si sapeva bene in che modo, ma sarebbe successo qualcosa di molto grave all’economia nazionale. In questo senso, spread è parte di un sapere semiologico (inerente al segno, al significante del discorso) ma non semiologico (inerente al significato proprio del termine).

110 Capitolo Terzo Frammenti di storia contemporanea

Conserva soltanto In una grande bottiglia d’acqua Parole e significati come questi Disadattati- oppressione- solitudine- prezzo- guadagno- umiliazione Per la lezione di storia. Sono, Maria, -non voglio mentire- Tempi difficili. E ne verranno altri. Non lo so –non aspettarti troppo da me- Questo ho vissuto, questo ho imparato, questo dico E di tutto quello che ho letto ho trattenuto una cosa importante: “L’importante è restare umani” La cambieremo la vita! Nonostante tutto ciò, Maria.

Katerina Gogou, Verrà il tempo

Incontro Yiannis Felekis, un pezzo di storia vivente, un giorno di fine gennaio, al cafè di via Tsamadou, davanti allo Steki Metanaston (l’occupazione dei migranti), a Exarchia. Me l’ha presentato Thodoris, un avvocato e abitante del quartiere con cui ho spesso parlato, nella parte finale del mio campo.

Yiannis Felekis è un vecchio signore dai capelli lunghi e bianchi e dal viso appuntito che gira con una moto col sidecar. È arrivato ad Atene dal villaggio dove è nato, Arta, a nord della

Grecia, nel 1958. Ha lavorato in una officina tipografica per tanti anni, finchè non gli è stato impedito perché comunista e sindacalista. Allora ha aperto un locale dove si suonava rebetika e altra musica tradizionale (vietata durante la dittatura) che poi è diventato uno dei primi rock club di Exarchia. Ha partecipato a tutti i movimenti che si sono succeduti lungo la storia della (letteralmente, “transizione politica”), ma anche alla resistenza contro la

Chounta dei colonnelli. È stato arrestato diverse volte, e torturato. Ora partecipa alle iniziative dello Steki ed è spesso in giro per Exarchia, dove ha sempre vissuto.

La nostra chiacchierata è durata più di due ore. Era una bella giornata quasi primaverile.

Seduti al tavolino rotondo sotto ad un alberello di arance, mi ha raccontato tante cose.

Mi ha raccontato della resistenza ai colonnelli e del ruolo importantissimo del quartiere,

Exarchia, durante quegli anni; di come ci si trovasse dal 1970 in poi, perché prima era molto difficile e il controllo della polizia del regime molto stretto, nelle taverne e nei kafeneia a parlare di politica di nascosto. Da quei gruppi e dalle organizzazioni politiche studentesche1, sono nate quelle mobilitazioni massicce che portarono all’occupazione del Politecnico, e alla rivolta del 17 novembre 1973.

Il 13 agosto c’è stato il referendum che ha segnato la caduta della monarchia, e il dittatore è diventato presidente della repubblica non monarchica. Fino a quel momento avevamo la monarchia e Papadopoulos era primo ministro. Parallelamente diede l’amnistia generale e tutti i prigionieri politici poterono uscire dalle prigioni. Contemporaneamente Markesinis2 fu incaricato di organizzare un piano organizzativo e ha

1 Tra di esse il KKE Esoterikou. Il partito comunista europeista, staccatosi dal KKE Exoterikou di stampo filo- sovietico (il KKE che esiste ancora oggi). Negli anni della Metapolitefsi da esso nascerà Synaspismos che poi convergerà nella Coalizione di Sinistra Radicale, SYRIZA. Moltissimi studenti negli anni ’70 aderivano al KKE Esoterikou. 2 Elli, una mia informatrice che mi ha aiutata nella trascrizione dell’intervista con Felekis, perché non tutto mi era chiaro, mi ha raccontato che Spyridon Markezinis, incaricato dal dittatore Papadopoulos di portare il paese verso le elezioni nel febbraio 1974, dopo il referendum del 29 luglio 1973 (non del 13 agosto) che aveva dimostrato la totale impopolarità della Chounta, era un uomo davvero brutto, e che per questo si era guadagnato l’epiteto di Pithikos, cioè scimmia. C’era persino uno slogan che veniva scandito contro la dittatura nelle strade, quei giorni: O laos den se thelei, pare to pithiko kai fige!, “il popolo non ti vuole prendi la scimmia e vattene!” Il governo Markezinis durò pochissimi mesi: a novembre infatti, con le rivolte del politecnico e la sanguinosa

112 guidato un governo brevissimo che per la maggioranza era formata da ex politici (di destra, prima erano solo soldati), per organizzare, dicevano, le elezioni per la primavera successiva. E c’erano molte discussioni con i partiti politici e la sinistra su come sarebbe andata, se avrebbero reso legali i partiti comunisti per partecipare alle elezioni, o se avrebbero dovuto partecipare nascosti sotto altri partiti, perché la Chounta difficilmente li avrebbe resi legali, come è successo anche in Spagna, per una transizione controllata verso la democrazia, come è andata in Turchia, per esempio, dopo la dittatura, la transizione. Ma la gente si è infervorata ben prima, soprattutto i giovani e il movimento studentesco e in questo processo, quando era diventato tutto un po’ più libero, con l’amnistia erano finiti i prigionieri politici e non c’era più nessuno in prigione eccetera, tutti organizzavano, parlavano, e siamo arrivati al Politecnico. Che è stata una decisione degli studenti, di occupare, ma dopo che è cominciata sono arrivati tutti. Gli studenti cercavano di tenere al centro la questione

dell’educazione e la maggior parte degli studenti di quell’epoca erano del

KKE. Quindi cercavano di tenere le questioni politiche fuori dal politecnico, anche perché era passato un disegno di legge all’epoca che riguardava il funzionamento dell’università, degli studi… queste cose qua, e volevano cambiarlo, e perché ci fossero libere elezioni dei rappresentanti nelle università. Nel contesto della transizione, il governo voleva che ci fosse un movimento studentesco che fosse controllato dall’alto. Quindi cercavano che la protesta rimanesse in questo contesto, ma quando sono arrivati tutti gli altri che scandivano slogan e portavano altre istanze, che non si fermavano alle elezioni studentesche, ma che volevano la fine della Chounta, lì hanno perso un po’ il controllo della situazione. Ed ha prevalso

il contrario. Alcuni avevano formato un comitato chiamato Anti-EFEE3 che proponeva di andarsene dall’occupazione del Politechneio perché ne avevano perso il controllo, ma gli altri non li seguirono e non li seguì nessuno, praticamente. Questi dicevano che eravamo provocatori, che

repressione che ne seguì, in cui morirono, uccise, 24 persone, il generale Ioannidis, che pure faceva parte della Giunta, depose Papadopoulos e prese il potere. 3 EFEE Ethniki Fitiki Enosi Elladon, “Unione nazionale studentesca greca” erano i comitati studenteschi controllati dal governo.

113 volevamo fare casino, ma non li ha seguiti nessuno, e quindi poi tornarono la mattina dopo. (intervista n°9, 30 gennaio 2014 con Yiannis Felekis )

Penso che la rivolta del Politecnico, che portò alla caduta del regime dei Colonnelli nel 1974, sia il punto da cui partire per guardare al mutamento sociale della società greca contemporanea. Lo è per molte ragioni; a livello della percezione sociale, questo mutamento si è reso evidente in maniera estremamente radicale. Lo zio di un amico, un medico di cinquantaquattro anni, una sera a cena mi ha detto qualcosa in merito che può chiarire agli occhi esterni questa percezione. «Guarda, i soldi qua in Grecia sono arrivati a metà degli anni

’80. Prima non ce n’erano, per cui ti dico: a me piace vivere con tanto, ma so benissimo vivere con poco. L’ho provato e non mi spaventa». L’impressione, dai racconti e dalle immagini fotografiche e filmate degli anni immediatamente successivi alla dittatura, è quella di un fermento popolare diffuso, nel quale non solo vanno collocate le rivolte del politecnico, ma nel quale, esse, vanno guardate come l’apice di un tumulto che non è cominciato con esse e che non esse non ha avuto fine, uno strappo nella tela del tempo, il segno evidente della scissione in un prima e in un dopo.

1. Modernità e tradizione

Per capire dunque il contesto storico-sociale su cui la crisi attuale ha impattato, quindi, sarà necessario guardare a livello storico la costruzione sociale post-dittatura della comunità greca

114 della capitale. Nel farlo, vorrei chiarire che ciò di cui mi sono occupata è il contesto strettamente urbano della città di Atene, ma che esso emerge nel suo processo storico da una realtà di vasta scala prevalentemente agricola. Girando l’Attica in automobile, infatti, la vastità del paesaggio rurale intorno alla capitale è pervasiva; se l’impressione che si ha dell’agglomerato urbano ateniese è quello di una grande macchia in espansione, è pur vero che lo stacco tra la città e la campagna circostante è netto. È un paesaggio prevalentemente collinare e con una vegetazione non rigogliosa, ad eccezione delle piantagioni di alberi di ulivo. In primavera, a partire da marzo sino a metà maggio, quando poi comincia il calore estivo, i prati si riempiono dei colori gialli e lilla della colza e della malva. A macchie discontinue si vedono insediamenti urbani di modeste dimensioni, il cui centro è quasi sempre di nuova costruzione e costituito dall’edificio tipico delle realtà urbane greche: la polykatoikia, cioè “abitazione multipla”4. Negli insediamenti urbani minori, la contrapposizione rispetto alle polykatoikies delle case più vecchie è chiara. Esse si trovano generalmente fuori dal centro abitato, dispongono di un appezzamento di terra di dimensione variabile e sono case più grandi, di forma cubica (spesso con il tetto piatto) generalmente su uno o due piani che si sviluppano in gran parte sulla fruizione dello spazio esterno.

4 Condomini generalmente non più alti di quattro o cinque piani, il cui piano terra, isogeio, è talvolta occupato da esercizi commerciali, talaltra da abitazioni al pian terreno. Molte hanno anche un piano interrato, ypogeio. Questi ultimi due spazi, per i bassi costi di affitto, sono spesso abitati da nuclei familiari o singoli che dispongono di reddito basso. Di questo parleremo meglio comunque quando affronteremo la realtà urbana nello specifico.

115 Per capire quanto il contesto urbano della capitale sia controtendente rispetto alla modalità di abitazione e di fruizione sociale dello spazio tradizionale5, si può dire che dopo le elezioni del

2004, che il partito di destra conservatrice Nea Democratia vinse con una campagna elettorale molto intelligente che contrapponeva un’esaltazione dei valori tradizionali della cultura greca agli slanci modernizzanti del partito socialista, un grande rilievo venne posto sul potenziamento del corpo di polizia degli Agrifilakes, “guardiani dei campi” col compito di vigilare sul rispetto delle proprietà, sui furti ed in generale sulle questioni riguardanti le comunità rurali; un corpo di polizia antico al quale però, con l’esplodere la realtà urbana imperante, non si dava più gran peso.

Questo va di pari passo a un’affermazione molto comune che ho sentito pronunciare da molte persone in questi mesi, e soprattutto nel periodo che precedette il verificarsi effettivo delle conseguenze dell’austerity, specie in realtà rurali come l’isola cicladica di Paros dove, da molti anni ormai, passo le mie vacanze estive, ma anche in città: «Mal che vada, torneremo a coltivare patate!». È interessante, infatti, osservare come, nella metropoli, moltissime siano le persone che non hanno dimenticato i saperi agricoli tradizionali e come li pratichino e li potenzino oggi nel contesto della crisi economica6. Inoltre, una delle azioni più comuni sullo

5 Gli abitanti totali della regione amministrativa dell’Attica (Periferia Attikis) sono più di quattro milioni, il cui 95% vive dell’agglomerato urbano di Atene (ex Prefettura di Atene prima dell’istituzione del piano Kallikratis del 2011). 6 Tra le iniziative più interessanti, per quanto riguarda il quartiere di Exarchia, ci sono le “Banche dei semi tradizionali”, che si occupano di custodire e diffondere solo sementi non corrotte da organismi geneticamente modificati, e di cui si possa, attraverso canali di fiducia, tracciare un’origine che esuli dalla produzione e dal trattamento industriale. Molti gruppi e collettivi se ne occupano: tra di essi l’Alimentari Autogestito Zikos, la

116 spazio pubblico della città da parte di gruppi di cittadini autorganizzati, come vedremo, riguarda proprio la creazione di spazi verdi e orti urbani. Un caso significativo è quello del parco di Elliniko, area del vecchio aeroporto abbandonato, autogestito dagli abitanti della zona e nelle mire speculative di imprenditori privati dopo la decisione dello stato greco di venderne il terreno.

Da un contesto di questo tipo, dunque, in cui l’elemento urbano e quello rurale si innestano, è necessario guardare a come sia nata e si sia sviluppata la moderna società urbana metropolitana di Atene. In questo, la scelta di partire dalle rivolte del Politecnico non è casuale. Esse rappresentano a livello di sentire comune l’inizio di un nuovo periodo storico e sociale, che ha nome Metapoliteusi.

2. Prima della Metapoliteusi7

Metapoliteusi vuol dire letteralmente “transizione politica”. Essa ha una gestazione tutt’altro che rivoluzionaria: fu il dittatore Papadopoulos, quello della metafora medica del paese come malato, a dare il via a questo processo storico. Era il 1973, la dittatura dei colonnelli doveva affrontare, oltre al dissesto economico del paese, un crescente dissenso popolare dovuto al cooperativa Sporos, l’assemblea del Parco autogestito di Navarinou e il collettivo di coltivazione Rizari. Un altro importante gruppo che invece non è immediatamente legato al quartiere di Exarchia ma che si occupa di agricoltura e di tutto ciò che ne consegue è il collettivo Iliosporoi. 7 Tutto l’inquadramento storico del capitolo è tratto da conversazioni avute in varie occasioni con diverse persone, oltre a Yiannis Felekis con il quale ho un’intervista registrata. In particolare con Elli Botonaki, Thodoris Zeis, Vangelis Dimos e suo padre Antonis, maestro elementare in pensione. Per un riferimento bibliografico più generale: T. Veremis, G. Koliopoulos, 2006, Ellas, i synxroni synexeia. Apo to 1821 mexri simera. Atene, Kastaniotis (in greco).

117 dispotismo del regime, noto per il confino e le torture riservati ai dissidenti, per le liste di proscrizione di militanti e simpatizzanti comunisti e per gli austeri divieti alla popolazione; con questa didascalia si conclude il film di Kostantinos Gavras, “Z. L’orgia del potere”

(1969), tratto dal romanzo di Vassilis Vassilikos del 1967, che racconta come, dopo l’omicidio del politico Gregoris Lambrakis nel 1963 ad opera di due estremisti di destra durante un suo comizio a Salonicco, la Grecia scivoli in una crisi politica che sarà terreno fertile per il colpo di stato militare del 1967:

Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trotskij, scioperare, la libertà sindacale, Lurcat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l'ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l'enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostojevskij, Cechov, Gorki e tutti i russi, il "chi è?", la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, e la lettera "Ζ" che vuol dire "è vivo" in greco antico. (Costa-Gavras 1969)

Dall’inizio degli anni ’70, come mi ha riferito Yiannis Felekis, che le opposizioni al regime si fecero sempre più popolari e Papadopoulos, per riabilitare il nome del suo governo, pensò di avviare un processo di graduale (e solo formale) passaggio alla democrazia con il referendum popolare per la costituzione della nuove repubblica greca8. Chiese in questo in sostegno della classe politica pre-dittatoriale, e affidò il governo a Markesinis, perché portasse la nazione

8 Fu in questa occasione che pronunciò il discorso che abbiamo prima preso in analisi sulla nazione come un malato cui i medici testano le capacità di ripresa.

118 verso le elezioni nella primavera successiva. Le opposizioni non si placarono, però, e anzi i tumulti si fecero sempre più intensi. Come ricorda anche il mio informatore Yiannis Felekis, c’erano grossi interrogativi circa le modalità in cui si sarebbero svolte le elezioni, anche dal momento che il partito comunista era di fatto stato messo al bando ed era dunque illegale.

Come si sarebbe presentato all’appuntamento elettorale? Gli sarebbe davvero stato permesso?

In questo clima, anche il movimento studentesco, da parte sua, avanzava delle istanze di cambiamento. In particolare si chiedeva al governo che ci potessero essere libere elezioni studentesche, non controllate dal governo. Sotto la dittatura, infatti, la carica di rettore era affidata ad un ufficiale militare che aveva il compito di controllare, oltre ai piani didattici, anche che non si diffondessero idee invise al governo tra i giovani. Aveva a sua disposizione anche i comitati studenteschi diciamo “istituzionali”, che ricevevano le direttive dal governo.

Aldilà dei contatti che c’erano di qua e di là nelle taverne di Exarchia, hanno cominciato a crearsi verso la fine del ’72…, siccome i comitati studenteschi erano manovrati dalla dittatura e i leader erano stabiliti da essa, e in ogni facoltà c’erano poliziotti in borghese; il rettore (non esattamente, era un controllore) di ogni università era un generale dell’esercito, in pensione o in servizio. Lui decideva per le questioni. E gli studenti pensarono, non so chi tra tutti ebbe questa brillante idea, di organizzarsi in comitati locali, che era molto più facile e meglio gestibile. Erano comitati illegali, che non risultavano da nessuna parte, ma erano comitati. E quindi in questo processo quando questi si radunavano erano in grado di creare rete e organizzare l’occupazione di una facoltà. Ce ne sono state due qua alla facoltà di legge. La prima e la seconda mi pare se non sbaglio. E una al politecnico che è successo che il preside ha aperto alla polizia.

119 E all’interno di questa rete abbiamo deciso di occupare la scuola di legge. Una volta è stata una cosa piccola che non ha contato molto, e l’altra che invece è stata massiccia ed è durata due giorni. Era durante la dittatura... (…)E quindi così è successo Il politecnico che è stato una rivolta, e si è diffusa a tutte la altre università della Grecia: Atene, Salonicco, Patrasso, Ioannina… e poi è arrivato il governo militare di Ioannidis che in una settimana ha ribaltato il governo con un’altra corrente. (intervista n°9 30 gennaio 2014 con Yiannis Felekis)

Elli, che mi ha aiutata nella traduzione e nella contestualizzazione storica dell’intervista con

Felekis, mi ha raccontato che quando si formarono i comitati studenteschi locali, nonostante lei fosse di Atene ed avesse solo origini cretesi, scelse di entrare nel comitato degli studenti cretesi, perché era molto combattivo. Dopo le rivolte del Politecnico alle quali prese parte, ma dalle quali riuscì ad andarsene quando la situazione cominciò a diventare pericolosa, facendo finta di non capire dove si trovasse, fu chiamata a testimoniare a GADA, il quartier generale della polizia di Atene. La ricevette l’ispettore Gravaritis, che con lei fu molto educato e cortese e che la lasciò andare senza insistere quando lei affermò, mentendo, di non sapere nulla di cosa fosse successo e come, essendo appena iscritta al primo anno e non conoscendo ancora nessuno. Dopo il loro colloquio scoprì che l’ispettore era stato un torturatore degli oppositori politici durante la dittatura.

Quando si diede il via all’occupazione del politecnico, il 14 novembre, Elli era ad una discussione sulle libere votazioni universitarie alla scuola di legge, tenuta dagli esponenti studenteschi del KKE Esoterikou. Quando si seppe la notizia dell’occupazione tutti si recarono

120 al politecnico. Le fasi iniziali dell’occupazioni sono ricordate come frenetiche e ricche di stimoli ma non senza conflitti interni: gli studenti dei comitati studenteschi più vicini al KKE e al KKE Esoterikou volevano mantenere centrali le tematiche relative all’istruzione, mentre la stragrande maggioranza di coloro i quali partecipavano all’occupazione erano decisi ad andare avanti ad oltranza, e nel portare avanti istanze più radicali di cambiamento. «Volevamo la fine della dittatura!», mi ha detto Elli.

Quando il 17 novembre il governo diede l’ordine all’esercito di sedare definitivamente la protesta, e quest’ultimo sfondò i cancelli del politecnico con un carro armato, la repressione che ne seguì fu durissima. A seguito di questo fallito tentativo di restaurare il nome del governo greco, e trovandosi di fronte all’incalzare delle proteste interne ed internazionali,

Papadopoulos fu costretto a cedere e venne deposto da un altro generale che aveva partecipato alla Chounta, Dimitrios Ioannides che strenuamente tentò di mantenere il potere all’interno della cerchia militare. Fu comunque un tentativo senza futuro. Risale a questo periodo, infatti, a seguito del tentativo di occupazione di Cipro del generale Ioannides, l’invasione da parte delle truppe turche della parte nord dell’isola, e l’instaurazione di un governo facente capo alla Turchia. A questo punto bisogna considerare quanto fosse ancora fresca la ferita della guerra greco-turca, e soprattutto la conseguente disfatta dell’esercito greco, culminata con la distruzione di Smirne (1922) e con la cacciata e l’uccisione dei greci di Anatolia costretti alla fuga. Questo evento di cui la popolazione greca porta ancora i segni (sono tantissime le

121 famiglie greche che hanno origini anatoliche, o le cui storie sono in qualche modo legate a quei tragici fatti) porta il nome di Mikrasiatiki katastrofi, cioè “Catastrofe dell’Asia Minore”9.

Come vedremo, sono tutt’altro che rari i testi delle canzoni di musica popolare e le poesie contemporanee (i cui confini, per altro, sono estremamente labili) che raccontano di questa ferita aperta.

In questo contesto, dunque, la prospettiva di una nuova guerra aperta contro la Turchia non era accettabile e gli ufficiali dell’esercito ritirarono il loro appoggio. Il presidente della repubblica Fedon Gizkis affidò così il governo a Konstantinos Karamanlis, zio dell’ex primo ministro omonimo che ha governato dal 2004 al 2009, vigilia del verificarsi della crisi economica, che fondò il partito di destra conservatrice Nea Demokratia,

9 Con il trattato di Losanna del 1923 ci fu il famoso scambio delle popolazioni, per cui un numero di persone non chiaro che, a seconda degli autori varia dal milione e mezzo a più di tre milioni, grecofone e di religione ortodossa che però erano originarie o vivevano in Asia Minore furono mandate in Grecia, e circa trecentomila di religione islamica (non solo turchi, ma anche albanesi, rom di fede islamica e la comunità islamica di Creta) furono mandate dalla Grecia alla Turchia. L’arrivo dei profughi dall’Asia Minore, che per lo più si stanziarono ad Atene fu uno delle cause del mutamento urbano. La città allora molto piccola non era in grado di accogliere un così alto numero di persone; vennero quindi costruiti quartieri nuovi ed aree residenziali. A sud del centro vi è un comune che porta il nome di Nuova Smirne, di ufficiale istituzione solo dopo la liberazione dall’occupazione nazista, ma popolato da molte famiglie di profughi sin dalla Mikrasiatiki katastrofi. Ancora, il quartiere di Kesariani, ad est del centro storico, fu fondato dai profughi di Smirne. Molti di essi erano comunisti, ed infatti il quartiere fu un importante centro per la resistenza partigiana contro i tedeschi. Inoltre, nella parte alta di leoforos Alexandras, la grande arteria a quattro corsie che dal quartiere di Ampelokipoi scende verso via Patision, dove si trova il Politecnico, proprio tra i tribunali e la questura centrale di Atene (GADA), si trova un complesso residenziale di case a due piani (228 appartamenti divisi in 8 edifici rettangolari), chiamato Prosfigika, “dei rifugiati”, costruito tra il 1933 e il 1935 in stile Bauhaus per ospitare i profughi dell’Asia Minore. Durante la guerra civile, essendo questo luogo all’epoca il limitare dell’area abitata della capitale, molti combattimenti tra l’Esercito Democratico Greco dei combattenti comunisti e l’Esercito Nazionale hanno avuto luogo tra queste case, le quali portano sull’intonaco i segni delle pallottole. Parte degli edifici è ora occupata da greci e migranti in autogestione. Un gran numero di appartamenti, invece, è stato acquistato allo stato dalle famiglie dei profughi che lì vivono ancora. Altri appartamenti ancora, di proprietà dello stato, fanno parte di quel patrimonio statale che si vorrebbe vendere a privati per far fronte alla crisi. Durante il mio campo ha fatto molto scalpore la notizia della vendita a imprese private di alcuni degli edifici, ed in generale è più che nota la volontà dello stato di abbattere il complesso e di venderlo come terreno edificabile in un’ottica neoliberista.

122 nel 1974 e con esso si presentò alle elezioni, le prime del nuovo ciclo democratico della

Grecia, e le vinse10.

Si può dunque dire che, nonostante il nome Metapoliteusi fosse stato dato dal dittatore

Papadopoulos al periodo di transizione che doveva portare dalla dittatura al regime democratico, nel sentire comune questa ha inizio con le rivolte del politecnico (che ogni anno vengono commemorate come festa nazionale il 17 novembre, giorno della violenta irruzione dell’esercito, che voleva essere definitiva), che portarono al ribaltamento dell’ordine dittatoriale e diedero il via alla nuova fase democratica. Rispetto a questo, è interessante notare come uno slogan molto comune anche al giorno d’oggi contro le politiche repressive e le misure d’austerity viste come dispotiche del governo sia: Psomi, Paideia, Eleutheria, i chounta den teliose sto evdomindatria, “Pane, educazione, libertà, la giunta non è finita nel

‘73”11. Di fatti, la giunta non è finita nel 1973, ma nel 1974. Questa sorta di lapsus storico non

è casuale, ma mette bene in evidenza come siano stati gli eventi del Politecnico, e le lotte sociali e studentesche che l’hanno preceduto ad essere percepiti come uno scacco matto al regime e, di fatto, l’inizio di una nuova fase.

10 Konstantinos Karamanlis “vecchio”, da sempre uomo di destra conservatrice e strenuo oppositore di Lambrakis, dopo l’omicidio di ques’ultimo si auto-esiliò a Parigi, dove rimase fino a che non venne richiamato in Grecia per guidare il nuovo governo. 11 “Pane, Educazione e Libertà” era il motto dell’occupazione del politecnico del 1973, scritto sullo striscione affisso al cancello.

123 3. Metapoliteusi

Una sera di novembre, mettendo a posto gli appunti delle registrazioni, mi sono accorta che mi mancava un importante pezzo, quello della contestualizzazione storica e sociale non tanto alle lotte sociali degli anni post-dittatoriali, quanto più, nel concreto, cosa politicamente fosse successo in quegli anni, e come si fosse verificato ciò che tante volte avevo sentito ripetere circa la creazione del debito dello stato negli anni della Metapoliteusi. Ho chiesto per questo alcuni chiarimenti circa la storia politica contemporanea ad un caro amico batterista,

Vangelis, mio coetaneo, con il quale tante volte abbiamo affrontato argomenti del genere e col quale ho registrato una nostra conversazione circa il ruolo che la musica punk, e più in generale il movimento musicale non commerciale del DIY ha avuto per il quartiere di Exarchia nel suo connubio con il movimento antiautoritario. Mi ha suggerito di andare a fare una chiacchierata con suo padre, e ha organizzato per me un incontro la sera stessa, nella casa di

Pagkrati dove questo vive con la sua nuova compagna. Ci siamo dati appuntamento per le

21.00 alla stazione della metro di Evangelismos, quella che frequentavo tutti i giorni quando vivevo in quel quartiere. Pangkrati è un quartiere molto abitato, l’ultimo del centro prima che diventi comune di Kesariani. È un quartiere popolare, di quella media borghesia che adesso quasi non esiste più. Il papà di Vangelis è un maestro elementare in pensione sulla sessantina che ha insegnato per tanti anni alla scuola di Pagkrati. È originario di un paese dell’Epiro nella provincia di Arta. Vive ad Atene da quarant’anni. Vangelis mi parla sempre di lui, che è

124 stato anche il suo maestro, con grande tenerezza. È sempre stato un uomo di sinistra, un comunista. Per anni ha militato nel KKE per poi prenderne però le distanze. «Fai quello che vuoi, non votare se non vuoi ma, in caso, non votare mai per il KKE, che sono i peggiori di tutti», questa è la raccomandazione che ha fatto tante volte a Vangelis, come questo mi ha raccontato una sera. Lungo la strada Vangelis mi chiede se abbia già cenato, perché suo padre ha ordinato dei souvlaki, spiedini di carne di maiale per noi. Abita in una parte del quartiere in cui non sono mai stata, dalla parte opposta rispetto a dove vivevo io. Il suo appartamento è al terzo piano di un palazzo il cui pian terreno è disposto su un lungo corridoio verticale rispetto all’ingresso. Ci apre la porta Despina, la sua compagna che siederà per pochissimo tempo con noi, per poi ritirarsi in camera. L’appartamento è piccolo ma confortevole; per qualche motivo mi fa pensare che si vede che è l’abitazione di un insegnante. Mi ricorda, ma non saprei dire per cosa in particolare, la casa del professore da cui a quattordici anni andavo a ripetizioni di latino. Il signor Antonis Vangelis ci fa accomodare in un piccolo soggiorno con divano a penisola, diviso dallo studio, che è la stanza dove dorme Vangelis quando si ferma lì la notte, da una porta scorrevole. Ci offre gli spiedini e della birra Alfa. Si somigliano molto, lui e il figlio, se non per gli occhi di un azzurro screziato e la corporatura robusta del padre. Mi chiede esattamente che cosa mi serve sapere e di che cosa mi occupo. Glielo spiego; in genere la cosa più complessa da spiegare è a che titolo io sia ad Atene, cioè il fatto che non studi presso una università ateniese, ma che Atene sia di fatto l’oggetto della mia ricerca. Gli dico

125 che vorrei che mi parlasse della Metapoliteusi, di fatto come, dalla caduta dei colonnelli in poi, si sia formata la società greca contemporanea. La nostra conversazione è durata circa fino a mezzanotte, quando io e Vangelis ce ne siamo andati per non perdere l’ultimo metro.

Comincia precisamente con la fine della dittatura, con le prime elezioni democratiche del

1974.

L’elezione di Kostantinos Karamanlis con il suo nuovo partito di Nea Democratia ha avuto fondamentali risultati: quello di rendere la Grecia uno stato più “europeo”, quello di una maggiore apertura democratica rendendo di nuovo finalmente legale il partito comunista KKE, che era stato bandito dal 194912 ed in fine, con il referendum istituzionale che sancì la fine della monarchia, l’avvento della terza repubblica ellenica.

Vi era in quegli anni, mi è stato raccontato, una forte sentimento di attesa per una grande rinascita. In questo contesto nasce il partito socialista greco PASOK, fondato da Andreas

Papandreou, figlio di Giorgos Papandreou, politico greco, partigiano antifascista costretto all’esilio dai colonnelli.

12 La questione del partito comunista greco è molto interessante. Come mi ha raccontato Elli mentre mi aiutava con la traduzione dell’intervista di Yiannis Felekis, durante la dittatura dei colonnelli ci fu la prima scissione del partito, erede della resistenza ai nazisti, e della guerra civile. L’oggetto del contendere fu la repressione sovietica alla Primavera di Praga. Una parte del partito condanno duramente l’operato russo, l’altra rimase fedele alla linea sovietica. Bisogna ricordare che molti militanti del partito erano in esilio. Alcuni di essi in Italia. La parte meno filo sovietica e più “eurocomunista” era vicina alle posizioni del PCI, e si chiamava KKE Esoterikou, ovvero “KKE interno”. Da questo nascerà all’inizio degli anni ’90 il partito di sinistra radicale Synaspismos, che costituisce lo zoccolo duro dell’attuale Syriza. L’altra parte, chiamata ironicamente KKE “Esterno” (Exoterikou), e che invece si è sempre proclamato cone “il vero” KKE; esiste ancora oggi ed ancora rivendica come valida l’esperienza della dittatura sovietica.

126 Molti giovani, allora, credevano in questo nuovo partito, che, ci tiene a sottolineare il signor

Dimos, prese la struttura e le parole chiave del KKE. Questo non deve stupire, poiché va considerato che il momento era estremamente effervescente. Molta gente dalle campagne accorreva nella capitale e nelle altre città più grandi per partecipare alla rinascita economica del paese, si viveva un sentimento popolare estremamente radicale (rizospastiko), spinto alla de-chountizzazione della nazione13.

Rispetto al PASOK, comunque, il giudizio di tutti coloro coi quali ho parlato di esso, è estremamente duro. In alcuni casi perché la peculiarità del mio campo di ricerca fa sì che chi lo abita o lo frequenta sia politicamente impegnato e idealmente schierato altrove: con la sinistra radicale o con il movimento libertario ed anarchico, il che rende la posizione di queste persone nei confronti del partito socialista greco scettica sin dai suoi albori, in altri perché, dal

1974 ad oggi, il PASOK non ha dato prova di essere un partito degno della fiducia degli elettori; molti sono stati gli scandali in cui è stato coinvolto, non ultimo (ed anzi fondamentale) la gestione dell’organizzazione del giochi olimpici del 2004.

Rispetto a Exarchia, poi, è ben evidente, anche al primo impatto visivo, quale sia la posizione delle parti in campo: quando sono arrivata ad Atene a marzo scorso, la sede del PASOK era a poca distanza dal quartiere di Exarchia, all’incrocio tra via Skoufa e via Ippokratous, quindi già nel quartiere elegante di Kolonaki (figura 5). Verso il mese di maggio 2013, la sede è stata

13 Un ruolo importante, in questo, l’hanno avuto i processi ai generali che avevano collaborato con la giunta militare, culminati con la loro condanna a pene molto pesanti.

127 spostata di due strade più in basso14, su via Charilaou Trikoupi all’incrocio con via Valtetsiou, la strada pedonale che da qualche anno è il ritrovo dei punk nel quartiere15. Più in basso significa anche più vicina al centro nevralgico del quartiere di Exarchia che è la sua piazza.

Questo significa pure che il quartiere, qualora sia possibile, è ancora più militarizzato. Fuori dalla nuova sede del PASOK vi è stabilmente parcheggiata una corriera blu scuro della polizia.

L’ingresso è costantemente presidiato da poliziotti in borghese e lungo la strada, a gruppi di due, agenti in assetto anti-sommossa controllano che nulla succeda nei dintorni.

Questo, per un quartiere come Exarchia che analizzeremo più avanti nei suoi tratti salienti, è senz’altro una spina nel fianco, una costante provocazione ed un pretesto per le incursioni della polizia che nell’ultimo periodo si sono fatte molto frequenti. A questo si deve aggiungere una continua propaganda massmediatica (che vedremo nello specifico più avanti) che fotografa il quartiere come una zona calda, fuori dal controllo, e che necessita di una continua sorveglianza e, in caso, di celere intervento. «Voglio tornare a bere il caffè al bar

Floral, come facevo da ragazzo», ha dichiarato il ministro dell’ordine pubblico e della

14 Rispetto alla collina del Licabetto, letteralemente “Collina dei lupi” intorno alla quale si inerpica il quartiere di Kolonaki. Secondo il mio informatore Kostas Vasirpoulos, la costruzione così massiccia di abitazioni sulla collina è assolutamente contraria a tutti i saperi tradizionali sulla costruzione della città di Atene. Mi ha infatti fatto notare durante un nostro incontro che se non ci sono resti archeologici sulle pendici della collina, e se nelle foto e nei disegni di fine Ottocento e inizio Novecento quella zona appare disabitata ci sono dei motivi. Vi è una cattiva esposizione alla luce e al vento, ad esempio, e non è un caso che quella collina fosse considerata magica e pericolosa. 15 La sede in via Charilaou Trikoupi era in realtà la vecchia, originaria sede del PASOK. http://www.koolnews.gr/politiki/ipookratous-telos-to--epestrepse-sto-patriko-tis-xarilaou-trikoupi/ (consultato il 15 aprile 2014).

128 Figura 5

In questa mappa si mostra la collocazione del vecchio ufficio del PASOK, proprio sul confine urbano di via Ippokratous che divide idealmente il quartiere di Exarchia da quello di Kolonaki (Fonte: google maps).

129 sicurezza del cittadino Nikos Dendias16 durante un’intervista al canale radiofonico privato

Skai, il 15 luglio 201417.

All’epoca della sua prima elezione al governo della Grecia, nel 1981, comunque, molte aspettative erano riposte nel PASOK, che apriva alle rivendicazioni sindacali con maggiori diritti per i lavoratori. Va ricordato infatti, come mi ha raccontato Yiannis Felekis durante la nostra chiacchierata insieme al suo amico Nikolakis, che i primi anni della democrazia con il governo di Karamanlis furono segnati da forti scontri tra lavoratori, muratori e tipografi soprattutto, e stato, e da una forte repressione nei confronti del movimento operaio.

Yiannis: Gli scontri erano molto intensi, con carattere di insurrezioni, di questo ne parleremo dopo. La situazione si è diffusa a tutta la città, come il 23 luglio del ‘75, un anno dopo all’avvento della metapoliteusi, quando c’è stato uno sciopero dei muratori (…). La gente è stata attaccata dalla polizia, ed erano davvero tantissimi quelli del settore edilizio allora. Per dire che in eventi come questi c’era una grandissima presenza della sinistra e i pochi anarchici che c’erano a quell’epoca. Tutti partecipavano a queste manifestazioni, non solo i muratori; quindi la presenza della polizia era massiccia in tutta Atene, nel centro storico, almeno. E questo è

16 Il ministro Dendias di Nea Demokratia, è noto per diverse operazioni di polizia considerate “emergenziali” in questi ultimi anni. Una delle più discusse e note è l’operazione di polizia Xenios Zeus, messa in atto ad agosto 2012, che aveva lo scopo di “rastrellare” dalle strade di Atene il più alto numero di immigrati possibile (il cui destino non è stato ben chiarito negli intenti dell’operazione, ma che sono stati arrestati, rinchiusi nei centri di detenzione per migranti o espulsi). Il nome dell’operazione prende il nome dalla divinità antica protettrice dell’ospitalità, ed è stata così presentata dal ministro: «La nazione sta sparendo. È dai tempi delle invasioni doriche, 4000 anni fa, che il paese non affronta un’invasione di queste dimensioni. (…) Questa è una bomba alle fondamenta della società e dello stato». (To Bima, 6 aprile 2012, http://www.tovima.gr/society/article/?aid=469853 consultato il 15 aprile 2014). È lo stesso Dendias, inoltre, ad essere uno dei massimi sostenitori del “pugno di ferro” col quartiere di Exarchia, visto come un’inaccettabile aporia legale a cui è necessario porre fine. 17 News247.gr, 16 luglio 2014, http://news247.gr/eidiseis/politiki/dendias_thelw_na_ksanapaw_gia_kafe_sto_floral_sta_eksarxeia.2335404.htm l (consultato il 15 aprile 2014)

130 andato avanti molte ore, non mi ricordo esattamente quanto (…). Il 25 maggio del ‘75 Karamanlis, che era allora primo ministro varo la legge che indicava come dovessero funzionare i sindacati: quando potevano fare sciopero, come si eleggevano i rappresentanti, queste cose qui. La legge era una grandissima interferenza dello stato nel lavoro dei sindacati anche per quanto riguarda la parte giuridica, soprattutto per quanto riguarda i diritti dei lavoratori e gli scioperi. Questa è stata una legge molto importante che Karamanlis ha varato in accordo con i due partiti comunisti dell’epoca (…)Allo stesso tempo, pochi giorni prima di questo sciopero, io ero tipografo in una grande laboratorio, a quell’epoca, fuori a Menidi, che ha scioperato. Due, tre settimane è durata lo sciopero. E noi scioperanti avevamo un presidio stabile ai propilei per fare propaganda dello sciopero in centro. Quando è finito il presidio e la gente è scesa per Panepistimiou, decidemmo i tipografi, l’assemblea dei tipografi e qualche gruppo di muratori di andare al ministero del lavoro che allora era sulla Peiraios. Dopo i propilei che abbiamo girato su Sofokleus per prendere Stadiou e per arrivare su Peiraios, arrivando su Stadiou abbiamo visto per la

prima volta i MAT18. Era appena stata costituita e aveva due o tre

reparti, non c’erano i MAT prima, e anche se erano pochi, avevano le avres (carri armati, ndr) non cingolati, con le ruote, e ce n’erano sia di molto vecchi che di nuovi, e con quelli ci caricavano a quel tempo, comunque… le strade erano ancora piene di manifestanti e dopo questo attacco della polizia la gente si è innervosita è ha caricato la polizia, ha fatto le barricate e ha cacciato la polizia da tutto il centro, che restava o chiusa nelle stazioni o fuori dal centro cioè da Syntagma, Zampio, fino a Gazi, fino al tempio di apollo, sulla Peiraios fino a infondo a platia Amerikis, sulla Patision fino ad Ambelokipoi eccetera. C’erano dappertutto barricate, e la polizia cominciò dopo ore a prendere una barricata dopo l’altra.

18 MAT, Monades Apokatastasis Taksis, “Unità per il ripristino dell’ordine”, sono la celere greca. Sotto il governo del PASOK negli anni ’80, furono sostituite dai MEA, Monades Eidikon Apostolon, “Unità missioni speciali” per un breve periodo, e poi vennero ripristinate. La loro divisa, diversamente da quella blu scura degli agenti normali, o di quella nera delle unità DELTA che girano in moto, è di colore verde e il loro casco è bianco.

131 Questo è uguale a ciò che è successo al Politecnico nel ’73. Una situazione uguale e con la stessa estensione spaziale. Fino al giorno dopo, al mattino ci furono scontri con la polizia che occupavano una barricata dopo l’altra. Cercavano con i carri armati e con i lacrimogeni di respingere la gente. La gente però usciva dai lati e riprendeva le barricate. Questo è durato fino alla mattina seguente. C’erano fuochi per tutta la strada. (…)

Nikolakis: Una volta erano diversi i lacrimogeni Yiannis… Yiannis non li sopporto adesso i lacrimogeni… appena li lanciano, immediatamente mi sento avvelenato. Ti ricordo quanti ne abbiamo presi al consolato americano? Yiannis: Io non c’ero quella volta, ero all’inizio del corteo e non ho visto, non mi sono proprio accorto. Era la prima primissima manifestazione che c’è stata, (dopo la caduta della chounta, il 21 aprile 1975, ndr) era la protesta al consolato americano. (intervista n°9, 30 gennaio 2014 con Yiannis Felekis)

La protesta al consolato americano dell’aprile 1975, culminata con l’irruzione massiccia di manifestanti dentro all’edificio (che allora non aveva recinzioni protettive) è stato un altro evento fondamentale che ha segnato la fine dell’epoca precedente e l’inizio di una nuova. Il risentimento popolare verso l’America e la CIA, soprattutto, che aveva appoggiato e foraggiato la dittatura dei colonnelli era vastissimo. Nei filmati d’epoca19 si vede una manifestazione enorme (Nikolakis mi ha parlato di centomila persone) ed estremamente determinata che si dirige verso il consolato scandendo slogan e facendo la caratteristica Mountza20.

19 http://www.youtube.com/watch?v=uRHqaey_WKU (consultato il 7 aprile 2014). 20 Questo gesto, il più comune segno di insulto greco, paragonabile al nostro “gesto dell’ombrello”, consiste nello stendere il più possibile le dita della mano aperta davanti al viso di chi si vuole insultare. Il concetto è quello di colpire con una manciata invisibile di escrementi la faccia di chi si vuole insultare.

132 Cinque anni più tardi, il 17 novembre 1980, violentissimi scontri davanti all’ambasciata americana nell’anniversario della rivolta del politecnico portarono all’uccisione da parte della polizia di due manifestanti: Stamatina Kanelopoulou e Iakovos Koumis, un’operaia e uno studente. Erano le prime vittime della violenza dello stato dal 1974, e quindi dalla fine della dittatura (Occupied London 2011). Si collocano in un periodo, come abbiamo visto, di crescente tensione sociale e di risentimento sociale verso il governo conservatore di

Karamanlis. Come mi hanno riferito Yiannis Felekis ed il suo amico Nikolakis, le manifestazioni erano sempre massicce e fortemente determinate.

4. Nascita di una nazione

Con l’elezione del partito socialista nel 1981, dopo due mandati di Nea Demokratia, la classe operaia sperava che le sue condizioni migliorassero. In realtà, come il signor Dimos mi ha detto, se da un lato sicuramente fossero stati fatti passi in avanti rispetto ai diritti sindacali, pochissimo o quasi nulla venne fatto per il riequilibrio della giustizia sociale, in un paese in cui la classe media era inesistente, e da diseguaglianza sociale tra chi aveva molto e chi aveva poco o pochissimo imperante.

«La Grecia ai greci» (I Ellada stous ellines!) era lo slogan con cui vinse Andreas Papandreou, puntando su una forte volontà popolare di rinascita e di autonomia del popolo greco, ma anche sul forte, pervasivo, sentimento nazionale che ancora oggi caratterizza il popolo greco.

133 Perché questa affermazione non sembri un luogo comune, oltre a rimandare a quanto detto nei capitoli precedenti circa l’affermarsi di Chrisi Avgi e di quanto i suoi discorsi siano tarati sul luogo comune “da bar”, più che su una vera e propria analisi politica di destra, potrei citare quanto mi sia capitato non molto tempo fa con un amico che fa parte di un collettivo che si oppone ai centri di detenzione per migranti in Grecia (Kentra kratisis metanaston). A metà gennaio mi è stato chiesto se volessi intervenire, insieme a due ragazze, una svizzera e una francese, a un incontro sulle tematiche relative i centri di detenzione per migranti per parlare delle esperienze di lotta politica e sociale nei nostri paesi. Quando tutte e tre abbiamo finito le nostre relazioni, il mio amico ha fatto una domanda che mi ha incuriosita e alla quale non ho saputo rispondere: penso che la Grecia vada verso un modello detentivo più europeo, o penso che costituisca un caso a se stante? Io ho risposto, un po’ come boutade, che siccome, almeno in Italia, i centri di identificazione ed espulsione per migranti stanno a poco a poco soccombendo, mi auguravo che questo avvenisse anche in Grecia, ma la mia risposta, lo sentivo, non era stata esattamente centrata. Alla fine dell’incontro, però, ho chiesto cosa intendesse precisamente con questa domanda. La sua risposta è stata illuminante rispetto a quanto sia diffuso il sentimento nazionale: «qua parte del movimento pensa che quello che si fa in Grecia sia molto più “avanti” rispetto ad altrove, e che il movimento greco debba essere preso ad esempio dal resto d’Europa. La mia domanda voleva essere una provocazione in questo senso». Il fatto che, addirittura nel movimento antiautoritario ci sia la tendenza a

134 considerarsi “più avanti” rispetto ai movimenti di altre realtà europee la dice lunga, credo, se non altro su come viene percepita la “grecità” a tutti i livelli, fosse anche solo per una pressione educativa e mediatica continua. Ovviamente, questa postura inconsapevolmente nazionalistica del movimento è poi continuamente negata dalle pratiche quotidiane tese a scardinare un’idea di società che si vuole basata sul primato della nazionalità. È però una postura che sarebbe errato non considerare e che fa parte di una precisa costruzione storico- sociale. Non stupisce quindi che, aldilà delle polarizzazioni politiche, discorsi come quelli con cui il PASOK fu eletto nel 1981, e che ora fanno parte delle parole d’ordine delle formazioni di estrema destra21, facciano immediatamente presa su ampie fasce della società.

Il PASOK venne riconfermato nel suo mandato alle elezioni del 1985 con Christos Sartzetakis come primo ministro. A livello di lotte sociali, va ricordato che, dopo il primo mandato del governo socialista, gran parte della sinistra extra (i movimenti studenteschi) e parlamentare

(KKE) era molto delusa dalla gestione socialista del governo. Le manifestazioni non si fermarono, ed anzi si fecero sempre più violente, assunsero però, per la prima volta, un carattere più apertamente antiautoritario e libertario, meno “di massa” e più legato alle subculture giovanili del punk e dell’anarchia. Quello che in sostanza veniva contestato dal movimento era l’istituzionalizzazione della “generazione del politecnico” e delle pratiche di lotta sindacale che erano giudicate inefficaci. Per la prima volta, dunque, apparve sulla scena

21 Un esempio tra tutti: http://wwwpatriarcheas.blogspot.gr/2013/05/blog-post_15.html (consultato il 15 aprile 2014).

135 quella che venne definita “gioventù arrabbiata”, contraria di fatto all’ordine istituzionale.

Come fanno notare Christos Giovanopoulos e Dimitris Dalakoglou nel loro scritto contenuto nel volume di Occupied London, questo periodo segna l’inizio del de-allineamento di una parte considerevole della popolazione dagli schieramenti partitici istituzionali

(Giovanopoulos, Dalakoglou in Occupied London 2011:96). Durante gli scontri tra manifestanti e polizia durante l’anniversario della rivolta del politecnico nel 1985 un poliziotto di nome Athanasios Melistas uccise con un colpo di pistola alla nuca il quindicenne

Michalis Kaltezas a Exarchia, nei pressi del politecnico. Immediatamente dopo, ed in risposta all’omicidio, fu occupata la facoltà di chimica (Chimeio) in via Navarinou, sempre a

Exarchia, violentemente sgomberata il giorno dopo22. La “generazione del Chimeio”, è quella di cui fanno parte la maggior parte dei miei interlocutori a Exarchia, che negli anni ’80 erano adolescenti o poco più. Le rivolte di quegli anni sono uno dei punti di svolta cruciali rispetto alla creazione identitaria del movimento antiautoritario greco. Fu con esso che le pratiche ed i luoghi divennero caratteristici di un “certo” modo di fare politica, completamente in antitesi a quello dei partiti e delle istituzioni.

È questo anche il periodo in cui, per la prima volta, la finanza e la politica greca si intrecciarono e crearono scandalo. Come mi ha raccontato il signor Dimos, infatti, gli anni ’80

22 http://www.exarhia.gr/himio/ (consultato l’8 aprile 2014).

136 sono segnati dalla “scandalo Koskotas”23. Giorgos Koskotas era un uomo d’affari greco naturalizzato americano. Appartenente ad una famiglia di modesta estrazione sociale emigrata in America, tornò in Grecia poco più che vent’enne nel 1979 e cominciò una velocissima ascesa, che lo portò in brevissimo tempo nel 1984 ad essere proprietario della Banca di Creta e della squadra di calcio dell’Olympiakos, e a controllare tre testate giornalistiche e una stazione radiofonica che disponevano della strumentazione più all’avanguardia di Grecia, proveniente direttamente dagli Stati Uniti. Confesso che, data la difficoltà del linguaggio economico, ho dovuto cercare altrove notizie relative a questa questione per capire bene di cosa mi avesse parlato esattamente il signor Dimos24. In buona sostanza, diverse testate giornalistiche, tra cui Eleutherotypia, giornale di sinistra e fino a quel momento sostenitore del PASOK fecero emergere, a partire dall’ottobre 1987 che c’erano dei legami poco chiari tra la Banca di Creta di Koskotas e i alti vertici del PASOK. Il governo del PASOK rifiutò di procedere a verifiche fiscali e la magistratura fu costretta ad intervenire. Koskotas allora scappò negli Stati Uniti dove venne incarcerato per reati finanziari. Dal carcere, prima di essere estradato in Grecia e di scontare la sua pena nel carcere di Korydallos, rilasciò diverse interviste al Time nelle quali raccontava con dovizia di particolari come si svolgessero le

23 Vedere per esempio: La Repubblica, 1 dicembre 1988, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/12/01/su-papandreu-la-tempesta-koskotas.html (consultato il 17 aprile 2014). 24 La Rapubblica, 8 novembre 1988, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/11/08/affare-koskotas-scandalo-ad-atene.html (consultato il 17 aprile 2014).

137 tangenti tra il governo, che così facendo controllava una enorme fetta dei media nazionali, e la

Banca di Creta e come a capo di tutto ciò ci fosse Papandreou in persona25.

Questo scandalo costò al PASOK la credibilità dell’opinione pubblica, molti suoi alti esponenti tra cui il ministro della giustizia Menios Koutsougiorgas, che morì a seguito di un infarto che lo colpì proprio nell’aula di tribunale, e il ministro dell’economia Dimitris Tsovolas26 furono processati e alcuni di essi trattenuti in carcere. Andreas Papandreou invece venne assolto27. Le sue condizioni di salute però erano all’epoca già estremamente cagionevoli. Ciononostante, cose che mettono bene in luce quale fosse il carattere del personaggio, in quel periodo divorziò da sua moglie per sposare una giovane hostess di quasi quarant’anni più giovane di lui28 e si presentò comunque alle elezioni del giugno 1989, nonostante ancora sotto processo, poco dopo aver modificato la legge elettorale prima delle elezioni. Con il nuovo sistema proporzionale, sebbene Nea Democratia con il suo nuovo leader avesse vinto le elezioni, non c’era maggioranza parlamentare e si dovette tornare a elezioni. A novembre il risultato fu lo stesso. Venne allora formato un governo “di larghe intese”,

25 La Repubblica, 7 marzo 1989, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/03/07/bustarelle-papandreu-oltre-210-milioni-di- dollari.html (consultato il 17 aprile 2014) 26 Che da quell’episodio fu protagonista di uno slogan molto in voga all’epoca che recitava Tsovola dosta ola!, praticamente “Tsovolas dacci i soldi!”. 27 Fonti: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/11/08/affare-koskotas-scandalo-ad- atene.html; http://www.nytimes.com/1989/06/18/world/grave-scandal-for-greece.html; http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/10/03/scandalo-koskotas-arrestato-ex- ministro.html (Tutte consultate l’8 aprile 2014) 28 Quando ho scherzosamente affermato con Vangelis e suo padre che mi sembrava una mossa furba quella di sposare un uomo anziano, tra i più ricchi di Grecia e con problemi di salute, mi hanno risposto sogghignando: «Beh, sì, anche lui è stato furbo a trovarsi una così giovane!». È una risposta che mi ha fatto sorridere, ma che mi è rimasta impressa.

138 Oikoumeniki Kybernisi, a cui partecipò anche il neo nato Synaspismos, il cui primo ministro

Xenofon Zolotas era un’economista, ex capo della Banca di Grecia sino al 1981, ultraottantacinquenne, che governò per un anno.

5. Generazione No Future

Con il “governo ecumenico” del 1989 e con la seguente era Mitsotakis di impostazione neoliberale, cambiano le parole chiave della Grecia post-dittatoriale. Se fino a quel momento tutto ciò che veniva fatto nella e attraverso la politica istituzionale era nel segno del

“cambiamento”, ora comincia la fase della “modernizzazione” (Eksynchronismos)29. Questo fu possibile perché, nonostante l’esigua maggioranza di Nea Democratia in parlamento, tutto l’arco parlamentare diede il suo appoggio al progetto di modernizzazione del paese dettato da

Mitsotakis (Giovanopoulos, Dalakoglou in Occupied London 2011:99)30. Il periodo di

Mitsotakis, come dicono in molti, è ricordato come una specie di thatcherismo greco, per rendere l’idea, seppur nella diversità, della svolta liberale del paese a quel tempo. Mitsotakis fu il politico che riallacciò i rapporti con gli Stati Uniti, dando l’appoggio della Grecia alla

Guerra del Golfo, e soprattutto cercò di sanare la finanza pubblica attraverso l’opera di liberalizzazione delle imprese statali. In un certo senso, mi ha detto il signor Dimos, dopo gli

29 Come vedremo più avanti, il massimo propugnatore di questa “nuova onda” sarà, non il neoliberista Mitsotakis, ma il socialista e primo ministro dal 1996 al 2004, Kostas Simitis. 30 In questo periodo e per un breve tempo assistiamo anche alla ri-fusione delle due compagini del KKE nel Synaspismos.

139 anni della dittatura che erano segnati da una forte retorica anticomunista, e la retorica opposta usata nei primi anni della Metapoliteusi, con Mitsotakis torna ad essere usato, in qualche modo, lo spauracchio del socialismo come male della società e ostacolo al progresso.

Solo Andreas Papandreou, uscito pulito dallo scandalo Koskotas fu in grado di porre fine all’era Mitsotakis, candidandosi e vincendo, con gravissimi problemi di salute che lo porteranno alla morte solo tre anni dopo, alle elezioni del 1993. La politica greca però non ebbe alcuna “svolta a sinistra” ed anzi, quando Papandreou si ritirò pochi mesi prima della sua morte, il partito volle come suo successore Kostas Simitis detto “il ragioniere” per la sua assoluta mancanza di carisma e di capacità politica congiunta la sua predisposizione a “far quadrare i conti”. Con lui le privatizzazioni continuano e diventano un vero e proprio trend politico31. L’obiettivo era quello di ridurre al minimo le aziende statali ed invece dare in gestione ai privati sotto appalto i lavori che concernevano lo stato (strade, illuminazione, spazzatura…). Fu lui il vero artefice dell’Eksynchronismos, adottando qualunque tipo di stratagemma politico ed economico-finanziario per far entrare la Grecia nella zona Euro, sino alla falsificazione dei conti pubblici poi bellamente proseguita dal governo di Kostas

Karamanlis, nipote dell’omonimo fondatore di Nea Democratia. Fu lui, pure, l’artefice della flessibilizzazione dei contratti lavorativi, con la quale cambia anche la definizione dei lavoratori da ergazomenoi (lavoratori) a apascholizomenoi (impiegati). In questo senso, da un

31 In particolare mi viene fatto l’esempio della azienda produttrice di cemento a partecipazione statale Tsimenta Iraklis, venduta alla italiana Calcestruzzi S.P.A., nota in patria per le sue infiltrazioni mafiose.

140 punto di vista anche solo simbolico, si può notare come ci sia un tentativo di

“aziendalizzazione” del mondo del lavoro, che va pensato sempre più orientato verso il terziario turistico e dei servizi. Fu in questo periodo, ci ha tenuto a evidenziare il padre di

Vangelis, che qualunque potenziale industriale avesse la Grecia venne definitivamente accantonato dalle politiche statali o ceduto attraverso il mercato finanziario a compratori esteri32.

Fu il periodo d’oro della Grecia, quando i soldi cominciarono ad arrivare copiosi, e nessuno si pose il problema della loro origine. Con il benessere cominciò anche l’immigrazione, per lo più dall’Albania e dalla Bulgaria che in genere ricopriva quei settori lavorativi che, con la spinta verso il terziario, i greci non volevano fare più. Nelle campagne, per tenere alti i prezzi d’esportazione, mi ha detto ancora il signor Dimos, veniva sotterrata parte del raccolto delle arance.

In questo contesto arrivò pure la delega all’organizzazione dei giochi olimpici del 2004, che furono il vero paradiso per gli appaltatori.

Gli anni ’90 furono pure, come si può ben immaginare, la tappa più importante per la configurazione del movimento antiautoritario e libertario. Come altrove in Europa, la contestazione alle politiche neoliberali dei governi si salda strettamente alla subcultura punk, ai movimenti delle occupazioni (squat) e alla cultura DIY (Do it yoursef). Due tra le più

32 Eccezione sostanziale, ovviamente, furono le imprese private come, per fare un esempio considerevole rispetto al nostro contesto, le imprese armatrici.

141 importanti occupazioni della città di Atene, come vedremo più avanti, nascono proprio in questo contesto: sono Villa Amalias e Lelas Karagiannis, entrambe non lontane dal quartiere di Exarchia. La generazione degli antagonisti degli anni ’90 era formata infatti da giovani per i quali la generazione del Politecnico era ormai lontana, e che erano cresciuti ormai nel pieno della “nuova ondata” politica da Papandreou in poi.

Politically, the lack of any alternatives within the system, either nationally due to the ecumenical governament, either internationally due to the collapse of the Soviet Union and the bipolar world, was spotted clearly within the mass movement. (…) This movement tried to constitute the antithesis to the political system by the slogan: “when you [the mainstream parties] agree in the parliament, the only opposition is us”. (Giovannopoulos, Dalakoglou in Occupied London 2011:101)

Questo periodo fu molto importante per le lotte sociali poiché tutte le classi lavoratrici che non si riconoscevano nelle politiche del governo (non ultimi gli insegnanti) si trovarono in qualche modo a condividere le strade e le pratiche con il movimento antiautoritario (formato in larga parte da studenti). Si cominciò a creare allora una scissione, che sarà più evidente negli anni 2000 con l’influsso del movimento anti-globalizzazione, noto alle cronache dagli scontri di Seattle del novembre 1999 che già da qualche anno andava formando una rete internazionale, tra i movimenti studenteschi, cui partecipavano anche gli insegnanti, e lo zoccolo duro dei militanti anarchici e antiautoritari, che solo le rivolte di dicembre del 2008 saranno in grado di rimarginare. È importante tuttavia tenere a mente che l’influsso dell’ideologia libertaria o di estrema sinistra nelle pratiche del movimento studentesco

142 dell’epoca non è di secondaria importanza per i motivi che abbiamo detto sopra; tuttavia, come mettono in evidenza Christos Giovannopoulos e Dimitris Dalakoglou (Occupied

London 2011:101), a questo movimento mancava “l’attitudine distruttiva” dei movimenti della fine degli anni ’80 e dell’anarchikos choros, il movimento anarchico, con cui pure avevano stretti rapporti. Era un movimento più segnato dall’introspezione e dalle relazioni tra lo spazio politico e quello sociale. L’uso dell’ironia era pervasivo e questo nuovo modo di fare politica emerge chiaramente dai testi di alcuni gruppi punk dell’epoca. Ciò che questo movimento condividerà con quello che scenderà in strada nel dicembre 2008, è nei fatti la predisposizione spontaneista nell’appropriarsi dello spazio e del tempo in modo avverso a quello disposto dalle politiche istituzionali e commerciali, attraverso la forma primaria dell’autogestione.

6. I giochi (d)e la finanza

Più ancora dell’era Mitsotakis, dunque, il periodo in cui governò Simitis è ricordato con livore oggi da molti. In particolare, furono tre gli scandali per i quali il suo governo, durato due mandati (dal 1996 dopo la morte di Papandreou al 2004) è noto33: il primo riguarda il crollo del mercato azionario greco del 1999. La falsificazione dei conti pubblici di cui abbiamo detto sopra fu usata dal governo per indurre i piccoli e medi risparmiatori ad investire nei titoli di

33 Radiato dal PASOK nel 2008 per volere di Giorgos Papandreou, figlio di Andreas, che prese le redini del partito dopo di lui nel 2004, si è trasferito in Germania.

143 stato che apparivano andare a gonfie vele, e che invece persero tutto una volta rivelata la

“bolla” (i fouska chrimastiriou tou 1999), mentre vennero favoriti i grandi gruppi finanziari che conoscevano quale fosse la vera situazione nel mercato azionario greco34. All’epoca non c’era nessuna legislazione che ritenesse questo genere di operazioni come reati e così Simitis, nonostante le accuse unanimi di tutta la stampa greca, rimase impunito. Il secondo e il terzo scandalo si intrecciano tra loro, e riguardano le rivelazioni da parte della Società tedesca

Siemens di aver pagato tangenti ad alti funzionari del governo Simitis per assicurarsi gli appalti per la gestione della sicurezza durante le olimpiadi del 200435. La giustizia greca, però, come emerge dal documentario Debtocracy (2011) non fu all’altezza della situazione e la questione, in Grecia, (non) si risolse senza grande eco. Quello che è emerso qualche mese fa, nel dicembre scorso, in aggiunta a questo scandalo, però, è che nello stesso periodo, cioè durante il governo Simitis, sempre sotto tangente, lo stato greco acquistò dalla Germania armi per l’equivalente di diversi milioni di euro36.

34 Quest’operazione, mi è stato spiegato da mio padre, laureato in economia, si chiama insider trading. 35 Va in oltre ricordato che la Siemens partecipò anche all’appalto per la costruzione e il riammodernamento della metropolitana di Atene che venne invece vinto da una compagnia italo-greca, la Attiki Metro, che ancora gestisce la metropolitana cittadina, il cui partner italiano era la Ansaldo S.P.A. interamente posseduta da Finmeccanica (cui azionista di maggioranza è il ministero dell’economia e delle finanze italiano), che costruisce i treni ad alta velocità per Trenitalia (AnsaldoBreda), e che ha venduto nel 2012 alla stessa Siemens il settore di essa che si occupa della costruzione di centrali nucleari (Ansaldo Energia) e la holding finanziaria impegnata nella costruzione delle linee ferroviarie ad alta velocità in Europa(Ansaldo STS). 36 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/30/milioni-di-euro-per-le-forniture-darmi-scandalo-corruzione- sullasse-berlino-atene/827921/ (cosultato il 10 aprile 2014). Questa è comunque una prassi che continua ancora oggi. C’è infatti una clausola sugli accordi di prestito dell’Unione Europea alla Grecia che impone a quest’ultima di non interrompere l’acquisto di armi dalla Germania e dalla Francia. Di questo ne rese conto il co-presidente dei Verdi Europei Daniel Cohn-Bendit, quando alle seduta del parlamento europeo del 5 maggio 2010 ne parla per affermare quanta ipocrisia ci sia dietro al salvataggio europeo della Grecia. http://www.youtube.com/watch?v=ln5_t3ab_AE (cosultato il 10 aprile 2014).

144 Quest’epoca di scandali si concluse con la fine politica di Simitis, un grande risentimento popolare nei confronti del PASOK e con l’elezione di Kostas Karamanlis alle elezioni del marzo 2004. Come abbiamo già detto la campagna elettorale fu molto furba nel suo mantenere un profilo basso e nel suo concentrarsi sui valori tradizionali della cultura greca: agricola, semplice, basata sui valori della famiglia. Pochi mesi dopo, in agosto, ci furono le

Olimpiadi ad Atene, e solo un paio di mesi prima la nazionale greca di calcio aveva vinto l’Europeo. La Grecia stava ancora vivendo il periodo del suo massimo splendore sociale ed economico: era entrata nella zona euro, e stava per mostrare al mondo la sua faccia più splendente di giovane nazione in crescita.

La città alla vigilia delle olimpiadi aveva cambiato completamente immagine; tutto, dalla segnaletica stradale a nuove veloci arterie urbane e suburbane, passando per nuove stazioni della metropolitana, passeggiate pedonali lungo percorsi archeologici, riqualificazione di intere aree urbane del centro e creazione ex novo di nuovi insediamenti collaterali ad i luoghi

(tutti nuovi) di interesse sportivo per i giochi. I soldi spesi per questo ammodernamento non sono, ad oggi, ancora calcolabili in modo esaustivo, così come il debito pubblico contratto dallo stato per pagarli. Quello che si sa è che il governo di Kostas Karamanlis, senza informare l’Unione Europea e mentendo in seguito (2009) sulle percentuali di debito pubblico contratto dal paese, incentivò la condizione di paese debitore della Grecia, un po’ per ripagare l’enorme buco creato dall’organizzazione dei giochi olimpici e dal sistema degli appalti con

145 cui venne messa in piedi, un po’ per assicurarsi, attraverso l’intensificarsi delle politiche neoliberali, un guadagno per sé e per gli esponenti del suo. Un classico esempio di questo è rappresentato dalla politica degli stage nel settore del pubblico impiego: questi consistevano, dopo un periodo di formazione, di precarizzare il lavoro statale. Secondo Vangelis, con cui ho parlato di questa questione, se da un lato gli stage servivano per diminuire la percentuale di disoccupazione, dall’altra erano forza lavoro burocratica (e dunque estremamente importante per il funzionamento dello stato) a bassissimo costo e a tempo determinato. Inoltre, mi è stato riferito, molte delle posizioni di questi stage erano riservate per persone vicine al partito al governo, che tendenzialmente erano i soli a venir riconfermati allo scadere del contratto.

7. Come una bolla di sapone

Le rivolte del dicembre 2008, che seguirono di pochissimo la crisi dei mutui subprime negli

Stati Uniti, e quindi lo scoppio della crisi finanziaria globale, si collocano in una congiuntura storica particolarissima. Se da un lato, infatti, lo splendore mediatico della nuova nazione greca in ascesa era ormai diventato accecante -Aimee Placas parla nel suo articolo su “Cutural

Anthropology” di «finacialization of everyday life in Greece» (Placas 2011)-, tanto da nascondere un debito pubblico che nell’ottobre 2009 toccherà il 120% del PIL, dall’altro bisogna tenere a mente a che punto abbiamo lasciato il movimento sociale e quello studentesco, e aggiungere alcuni elementi di novità. Il primo, considerevole dato è che i figli

146 dei lavoratori migranti cominciano a costituire una generazione, una seconda generazione, di migranti alfabetizzati e scolarizzati in Grecia cui però non vengono riconosciuti gli stessi diritti dei loro coetanei e che, secondo il sistema urbano cittadino di Atene, si trovano a vivere in quartieri ad altissima densità migratoria, dove vivono anche fasce di popolazione greca a basso o bassissimo reddito37. Questa seconda generazione di migranti, come gran parte dei giovani greci prende parte alle mobilitazioni studentesche, entrando così in contatto con pratiche e retoriche del movimento. Si può a questo riguardo fare l’esempio di piazza Viktoria nel quartiere di Kypseli. Non lontano dal centro della città, questo quartiere fu nel passato, dagli anni ’30 in cui fu costruito, poi soprattutto negli anni ’60, fino alla metà degli ’80, caratterizzato dalle abitazioni (grandi appartamenti) della nuova borghesia cittadina. Lo stile architettonico degli edifici è chiaramente ispirato dal Bauhaus e dall’Art Decò. Come vedremo più avanti, verso la fine degli anni ’80, le famiglie dei ceti sociali più abbienti abbandonarono il centro di Atene per trasferirsi nei sobborghi nord, meno caotici, di nuova costruzione, dove potevano disporre di abitazioni più grandi e con giardini. Come ho già accennato, è tipico degli abitanti di questa città “riconoscersi” nel quartiere dove si sceglie di vivere. In questo senso i sobborghi settentrionali (Voria Proastia) sono diventati negli ultimi venti, trent’anni dei veri e propri status symbol per le classi sociali a più alto reddito, e per coloro i quali ambiscono ad uno stile di vita modellato su quel ceto; come d’altra parte lo

37 Vedremo come questo, con l’avvento della crisi, intensificherà le tensioni sociali interraziali in quei quartieri, dove Alba Dorata non fatica ad affermarsi tra gli abitanti greci.

147 sono, per contrasto, i quartieri popolari come Pagkrati o Kesariani per coloro i quali non si vogliono uniformare ad esso.

Kypseli, dunque, con lo spostamento dei suoi abitanti tradizionali, ha cominciato ad avere una grande concentrazione di case in affitto in un luogo della città non soggetto alla gentrification del centro. In aggiunta, il fatto che fosse non lontano dalle sedi universitarie (l’ASOEE, facoltà di economia si trova proprio a Kypseli e il Politecnico è poco lontano, entrambe lungo via

Patission), ha fatto sì che gli affittuari fossero primariamente studenti e famiglie a basso reddito, tra le quali moltissime di lavoratori migranti che ancor oggi vivono nel quartiere, ne frequentano gli spazi pubblici e hanno aperto attività commerciali proprie.

Dagli anni ’90 fino al gennaio scorso, quando è stata brutalmente sgomberata dalla polizia, a pochi passi da piazza Viktoria a Kypseli, c’era un’occupazione nell’edificio che un tempo era il secondo liceo di Atene. Villa Amalias, oltre ad essere come vedremo un luogo importantissimo per la subcultura punk e DIY non solo ateniese, ma di tutta la Grecia, ha da sempre mantenuto un ottimo rapporto con gli abitanti del quartiere, tenendo sempre in grande considerazione le tematiche dell’antirazzismo. Per molti giovani provenienti da famiglie migranti, questo luogo ha rappresentato non solo un punto di riferimento importante nel loro quartiere, ma anche una finestra su un certo modo di vivere, in opposizione a quelle istituzioni che hanno sempre fatto poco per l’accoglienza dei migranti in città.

148 Un altro elemento da tenere a mente, fortemente connesso alla vita nei quartieri cittadini, è l’inizio delle discussioni legate all’uso dello spazio pubblico che i grandi lavori di ammodernamento per i giochi olimpici stava stravolgendo.

La spersonalizzazione e la normativizzazione dello spazio pubblico cittadino, unite al nuovo uso prettamente commerciale al quale si adibivano intere aree urbane che prima erano liberamente fruibili, cominciarono a mettere in moto discussioni tra gli abitanti dei quartieri della città.

In questo senso, il collante tra le prime istanze relative ad un diverso modo “pubblico” di fruizione dello spazio urbano, la necessità di combattere la discriminazione verso i migranti che vivevano nel centro della città insieme ai locali, ed i movimenti studenteschi che in quel periodo si battevano contro la creazione delle università private a favore dell’istruzione pubblica38, era ancora non esplicito, ma attraversava e teneva insieme un’ampia fetta di popolazione che non si riconosceva o non credeva nel miracolo economico che i media e la politica volevano far passare come veritiero.

Era precisamente questo il contesto sociopolitico nel quale a ventun’anni, nel settembre del

2008, arrivavo ad Atene. Fu da esso che esplose la rivolta di Dicembre.

38 Il governo di Kostas Karamanlis, eletto nel 2004 e al potere fino al 2009, in conformità col disegno delle liberalizzazione dei settori statali, intendeva abrogare l’articolo 16 della costituzione greca, che impedisce la fondazione di università private. Lo stesso articolo inoltre, prevede che l’educazione universitaria greca sia, oltre che statale, assolutamente gratuita. Le mobilitazioni contro l’abrogazione dell’articolo 16 furono massicce e molto partecipate e risultarono vincenti.

149 Neppure lo scenario dove la miccia prese fuoco non fu casuale. Exarchia, all’epoca come da sempre, era ed è il catalizzatore delle contraddizioni cittadine, uno “stato di eccezione” che inevitabilmente alimentò la rabbia di una nuova, giovanissima generazione.

150 Capitolo Quarto La città invisibile

È inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni a dare forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.

Italo Calvino, Le città invisibili

1. Embedment

Mi ricordo bene il 6 dicembre, quello del 2008. Mi ero svegliata presto per prendere l’autobus

813 che da via Akadimias, dopo quasi cinquanta minuti di percorso, mi avrebbe portata all’università, sulla collina Imittou, nel quartiere di Zografou. Era una bellissima giornata tiepida, di sole. Avevo un paio di jeans, una maglietta grigia a maniche corte e un gilè di maglina verde sotto una giacchina leggera. Lo ricordo perché pensavo distintamente quanto fosse diverso dal clima di Bologna da dove arrivavo e dove in quel periodo nevicava fortissimo. Atene fino a quel momento mi era sembrata bellissima, ma troppo grande per me.

Mi ci sentivo straniera, a disagio. Piangevo spesso, la notte, nella mia stanza di via

Zoodochou Pigis.

Uscita di casa quella mattina, sono andata a prendere un caffè in una minuscola caffetteria di

Kolonaki dove lavorava una mia amica del mare. Da lei ricordo di aver scoperto che quel

151 giorno c’era sciopero all’università, e ci sarebbe stata una grande manifestazione nel centro città. Devo aver partecipato, ma senza troppa enfasi; a parte le molte persone, non ne ho quasi alcun ricordo.

Era un sabato, e come ogni sabato, tanto più dopo una manifestazione, le strade di Exarchia ed i suoi cafè erano pieni di persone, sopratutto mie coetanee che, complice il tepore di quella giornata, si attardavano fino a sera a zonzo.

Più o meno alle nove di sera, uscita dalla doccia, mi stavo preparando per uscire con alcuni amici. Non saremmo rimasti a Exarchia, ma il piano era di andare a Gazi, quartiere nevralgico della night life capitolina, fiore all’occhiello della gentrification pre-olimpica. Mi truccavo, credo, quando ho sentito due colpi molto forti, che mi sono sembrati metallici, come di un cassonetto delle immondizie che si chiude violentemente. Non ci ho fatto troppo caso, finchè non ho cominciato a sentire delle urla provenire dalla strada.

Ricordo di essere scesa in un silenzio irreale. Alcuni ragazzini molto giovani correvano lungo la strada vuota, immersa nella luce gialla dei lampioni. Ho chiesto loro cosa fosse successo.

«Hanno colpito un ragazzo!» Non ho capito, al momento, cosa volesse dire, e loro erano già corsi via. Ho pensato che, se non volevo tardare all’appuntamento, dovevo andarmene da lì prima che la polizia circondasse il quartiere.1 Con la metropolitana da Panepistimio sono

1 Come vedremo tra poco, il perimetro di Exarchia è sempre stato presidiato da polizia in assetto anti sommossa. All’epoca, in particolare, ricordo che una corriera della polizia con gli agenti dei MAT stazionava tutte le sere tra gli incroci di via Akadimias con via Zodoxou Pigis e con via Charilao Trikoupi. Ora, da qualche mese, il

152 arrivata a Gazi. Di lì a poco una telefonata a un’amica mi ha chiarito cosa volesse dire quel ragazzino per strada: un poliziotto aveva esploso due colpi di pistola su un ragazzo di quindici anni e l’aveva ucciso, a 10 metri da casa mia. La notizia era ormai dappertutto. Non era un cassonetto che si chiudeva, quello.

Senza quell’istante preciso, e quella sensazione sgradevole di non essere al posto giusto, con quel trucco sugli occhi e in un bar con la musica troppo alta, con una pesantezza nuova nel cervello e nel petto, nulla nella mia vita sarebbe come è ora.

Quella notte ho imparato il sapore acre dei lacrimogeni, l’odore denso delle cose che bruciano, il suono sordo delle pietre sull’asfalto, e quello acido dei vetri che si infrangono. Ho imparato soprattutto quanto sono calde le lacrime quando scendono da tanti volti sconosciuti che si stringono insieme.

Ho imparato che la conoscenza è fatta di pratiche; che le pratiche si inscrivono e plasmano il corpo.

Il Dicembre 2008 è stato un evento (Kallianos 2011 in Occupied London) che, a discapito del nome, che si riferisce solo al mese in cui Alexandros Grigoropoulos, il quindicenne ucciso dal poliziotto Epaminondas Korkoneas, ha perso la vita e in cui quindi si sono verificate le reazioni immediate alla sua morte, ha avuto una durata molto più lunga di un mese ed ha

presidio è stato sostituito dai DELTA con le moto, mentre una corriera e i MAT sono sempre presenti davanti agli uffici del PASOK all’incrocio tra via Charilao Trikoupi e via Valtetsiou, a 3 blocchi di edifici di distanza.

153 costruito un patrimonio di storie, pratiche e legami sociali di straordinaria importanza per la città di Atene e, soprattutto, per il quartiere di Exarchia.

In questo capitolo, quindi, cercheremo di capire “cos’è Exarchia”. Cos’ha questo posto di tanto speciale da poter essere considerato, come vedremo più avanti, una vera e propria

“eccezione urbana”, uno strappo nel tessuto della città.

Per farlo sarà necessario costruire una storia sociale della città di Atene nella quale collocare lo sviluppo di questo quartiere da sempre così intrecciato alla dimensione delle lotte sociali e dei movimenti studenteschi, nella convinzione che l’influenza reciproca che si ha nel nesso uomo-luogo sia importantissima per comprendere il mutamento sociale nel suo svolgersi storico-politico. È dunque utile utilizzare gli strumenti analitici fornitici dall’antropologia dello spazio che

Si pone il problema di interpretare i significati simbolici conferiti allo spazio dalle varie società umane, spiegando la funzione che essi svolgono nello strutturarsi dei rapporti interpersonali dell’individuo, all’interno e all’esterno delle abitazioni (…); nel processo di acquisizione della cultura; nella percezione e nell’organizzazione culturale del territorio; nell’appropriazione e gestione delle risorse (…) e in genere in ogni processo di azione sociale (Ligi 2009:48), in questo senso dando corpo a ciò che Setha Low chiama Spatializing cultures (Low 1986 in

Ligi 2009). In calce a questo paragrafo, tre mappe dettagliate, una del centro di Atene, e due di Exarchia con i nomi delle strade e con alcuni riferimenti spaziali, saranno d’aiuto a districarsi tra i molti riferimenti spaziali che verranno dati nel corso del capitolo.

154 Il Dicembre 2008, nonostante la sua importanza storico-politica, è anche estremamente recente. Tuttavia, date le premesse teoriche che mi sono data all’inizio di questo mio lavoro, cioè l’affermata convinzione che il ruolo del ricercatore sul campo sia importante in primis per il ricercatore stesso e che dunque il suo posizionamento, il “ruolo” che questo gioca sia stabilito in maniera determinante dal tipo di relazione che egli, come individuo e agente attivo, intreccia con il suo campo, è per me una sorta di stargate imprescindibile. Rappresenta la circostanza attraverso la quale, ancora non conscia che un giorno ne avrei scritto, ho compreso che con questo territorio, con questo ambiente, e non con un altro, avevo creato un legame particolare.

È anche la ragione per cui ho deciso di scrivere di questo posto, e la lente d’ingrandimento attraverso la quale, inevitabilmente, lo guardo. Ancora oggi, che a quelle storie, a quei ricordi, a quelle immagini che sembrano venire da un sogno fantastico e lontano, ho sommato altre storie, altri ricordi, altre immagini, faccio lo stesso. Vivere intensamente il luogo di cui parlo, fa parte per me della ricerca stessa, sentirmi parte di qualcosa, lasciare che mi attraversi, è un importantissimo strumento di analisi sul sé, che modifica, intacca, costruisce lo spazio che descrivo. “Dicembre” è la mia cartina di tornasole, lo spazio-tempo che determina chi sono io nello spazio in cui ragiono.

155 2. La città e la memoria

Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città si imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira com’è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta da graffi, seghettature, tagli, svirgole.

Italo Calvino, Le città invisibili

Atene è una città nuova, dove la storia spunta quasi per dispetto, qua e là. La si vuole vedere, ci si ostina a cercarla, ma questa si nega. Solo alzando gli occhi, come un’astronave aliena, si afferma al nostro sguardo il Partenone. Sorge solo, sul suo monte, in mezzo ad un tessuto di edifici che non lo considerano, lo lasciano essere e imporsi. La storia, nella città di Atene, è un gioco continuo tra la negazione e l’affermazione. È un artificio retorico.

Questo intreccio tra visibile ed invisibile nella città rispecchia, a mio parere, in modo incredibilmente vivido il rapporto della Grecia con la sua storia passata, in particolare quella classica. È un passato che non è presente da nessuna parte se non nella ricerca di esso, una ricerca ricca di pathos e caricata di aspettative. L’Atene classica, ciò che ne resta, è sepolta dalla nuova metropoli, asfissiata da tutto ciò che è venuto dopo di lei, ma mantenuta come un monito d’appartenenza, come la reliquia di un santo. È un sentimento platonico, un rapporto patetico-sentimentale che la tiene in vita ma, a ben guardare, come in ogni rapporto platonico,

è una costruzione mentale univoca. La città cresce, cambia, si espande ma rimangono,

156 incastrate nel tessuto, vestigia di un tempo lontanissimo, idealizzato, che obliano ciò che viene dopo, ma che, per quanto si impongano, al contempo si negano e vengono risucchiate.

Così, non è più vero il Partenone che sovrasta via Ermou, di quanto non siano i due negozi di

Zara che si trovano sulla stessa strada.

Retaggio classico a parte, l’attuale forma urbana di Atene si deve ai disegni di Leo von

Klenze e dei molti architetti tedeschi del revivalismo neoclassico, chiamati dal re di Grecia

Ottone I, dopo la dichiarazione d’indipendenza del 1822. Prima, lo spazio abitato della città si concentrava nell’attuale zona di Psiri, Gazi, Thisio, Plaka e Monastiraki, alle pendici dell’Acropoli (figure 6 e 7). Di questo ho discusso a lungo con l’architetto Kostas

Vasiropoulos, davanti a qualche mezedes, ad alcuni bicchierini di ouzo (lui) e un’aranciata con ghiaccio (io), al kafeneio di piazza Plastira, a Pagkrati, poco distante dal suo studio e dalla mia vecchia casa.

L’unica cosa che già esisteva era Monastiraki, che era l’Agora (mercato, ndr) vecchia dei turchi. Atene era un paesino, contava trentamila abitanti, finchè non l’hanno nominata capitale. I bavaresi ed i tedeschi che erano qui hanno chiamato rinforzi per fare i disegni, e diventò neoclassica, c’erano tre assi: il potere, il mercato, e l’esercito, hanno tenuto Monastiraki, via Athinas esisteva già e hanno costruito la piazza Omonoia. (…) nel 1850 è stato realizzato il centro. Il museo archeologico fu costruito in quell’anno, che però era fuori da centro città. Cioè da dove erano i palazzi pubblici e punti di riferimento. Quindi nel 1880… 1900 non erano state fatte le estensioni di Atene, ancora… era il principale disegno di città di Klenze. Che non è stato quasi realizzato. Perché i tedeschi stessi non l’hanno permesso. Sapevano qual era il disegno. Avevano comprato i migliori terreni per venderli dopo a

157 guadagnarci sopra. Per di più i tedeschi hanno insegnato ai greci questo commercio, i greci all’epoca non ne erano al corrente. Questo è stato il nucleo, poi il parlamento, le Anaktora (Palazzo reale, ndr), e il museo nazionale. Piazza Omonoia era molto importante già all’epoca. I teatri sono andati lì. (…) E poi i grandi lavori che sono stati realizzati ad Atene erano le strade e i treni, la stazione Larissis, il Pireo, il tram e gli ospedali. Gli ospedali sono stati finanziati da greci che vivevano all’estero, nei Balcani. Erano mercanti, Siggros, Eginitis, quelli che hanno fatto l’ospedale Eginitio. Cioè gli ospedali Singrou, Limodon, Evagelismos erano tutti costruiti lungo la sponda dell’Ilissos. Il fiume di Ilissos, dove oggi si trova via Michalopoulou- Vrachonisi. Pensa che fino al 1930 avanti a Kalimarmaro passava un fiume ed esisteva un ponticello. E gli ospedali venivano costruiti fuori città, che in Europa seguivano la “scuola francese” di tenere sotto controllo le malattie infettive, malaria eccetera, che all’epoca erano tantissime. Il grande boom è stato verso 1900 - 1920, e in questo periodo è stata fatta Neapoli. C'era il Politecnico, i quartieri migliori erano lì, è stata fatta l’estensione di Neapoli, ci sono andati in molti, e quelli che avevano soldi abitavano intorno il Politecnico e il museo archeologico. Così sono venuti fuori questi bei palazzi che sono rimasti. Che sono in art decò, un po’ Bauhaus, case bellissime. (intervista n° 5, 4 novembre 2013 con Kostas Vasiropoulos)

Una cosa che colpisce passeggiando per le strade della città è che la differenza, in un certo senso, tra il vecchio centro cittadino e la sua espansione successiva è ben evidente. Le case della “Atene vecchia” sono rimaste case a uno, massimo due piani, e non si sono conformate al modello abitativo predominante della città, che si svilupperà successivamente solo negli anni ’30, la polykatoikia (letteralmente “abitazione multipla”, di fatto un palazzo che

158 generalmente raggiunge i quattro, cinque piani di altezza con due o più appartamenti per piano)2. Continua infatti l’architetto Kostas Vasiropoulos:

Via Pireos è ed è sempre stata una via importante. Quindi Metaxourgeio, Kerameikos si trovavano lì di fianco. E i primi comandanti della rivoluzione del 1821 hanno insistito per andare a vivere là. Lì, e vicino all’Akropoli, in via Makriyianni...ecco perchè si chiama Makrigianni (da Yiannis Makriyiannis, generale della rivoluzione del ’21, ndr) la via… capito.. la vecchia Atene allora era quella. (…) Gazi era zona industriale... Metaxourgeio porta il suo nome dall’industria della seta (metaxi). (…) La prima grande fabbrica. Ed anche nella Pireos facevano tessuti.. per l’esercito.. la maggioranza erano per l’esercito… e che ti volevo dire dell’esercito? Ahh, sì, questi comandanti che vivevano lì, in via Megalou Alexandrou, Keramikou, Kolokintous, Milerou. (…) Questi non sapevano fare qualcosa, non sapevano fare qualche lavoro (di ristrutturazione, ndr). Avevano case e non hanno fatto niente, molte sono rimaste così da allora. Così sono andati via.. i loro figli, che facevano molti figli, litigavano tra di loro… perciò a Metaxourgeio non sono stati costruiti edifici alti. (…) E neanche a Psiri. Perché c’erano molti eredi e litigavano tra di loro, non volevano fare nulla, hai capito? Ed è rimasto così. (intervista n° 5, 4 novembre 2013 con Kostas Vasiropoulos)

Negli anni venti, però, Atene era ancora una città molto piccola, un gioiello neoclassico incastonato tra i paesi di campagna che la circondavano, separati da essa. Per spiegare meglio questa dimensione, si può prendere ad esempio una delle strade che è ancora molto importante per il flusso urbano, e che ritorna nel nostro discorso su Exarchia: via Patission.

2 Quando, parlando di Exarchia dove vive da quasi trent’anni, ho chiesto all’avvocato Thodoris Zeis dove vorrebbe andare a vivere, dopo Exarchia, mi ha risposto: «Quella zona là a Keramikos, mi piace molto, perché ci sono ancora degli edifici bassi e si può vedere il cielo.» (intervista n° 7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

159 Figura 6

Mappa disegnata da Coubault (1800 circa) che mostra la densità abitativa della città di Atene all’inizio del XIX secolo. Si vedono chiaramente l’Acropoli e lo spazio abitato in rosso, e i campi circostanti (Fonte: http://www.skyscrapercity.com).

160 Figura 7

In questa immagine tratta da google maps che mostra all’incirca l’area del centro di Atene oggi, ho cerchiato in rosso il sito della città come si presentava all’arrivo di Ottone e del suo esercito (Fonte: google maps).

161 Lungo essa sono stati costruiti il politecnico e il museo archeologico a metà dell’800; questi due edifici, quando costruiti con i migliori crismi neoclassici, erano considerati decisamente periferici rispetto all’insediamento urbano dell’epoca. La strada3 deve il suo nome al fatto che porta a Patissia, oggi integrata completamente nel tessuto urbano cittadino, ma che allora era un villaggio dell’eparcheia4. È interessante notare come congiunga piazza Omonoia, allora centro nevralgico della neo formata capitale greca e l’insediamento di Patissia. Di fatto, però, la strada che quasi specularmente a questa porta da piazza Omonoia verso Monastiraki si chiama via Athinas, mettendo in evidenza come conducesse all’originario insediamento della città5. Ecco dunque che il famoso “triangolo” entro cui la città del neonato stato si inscriveva prende corpo. Piazza Syntagma, Monastiraki con la vecchia agorà, unico insediamento che ci fosse già in precedenza, e piazza Omonoia, vicina alle caserme e dove secondo il primo progetto della città degli architetti Stamatis Kleanthis e Eduard Schaubert del 1833 (figura 8) doveva sorgere il palazzo reale6.

3 Poi rinominata 28 Okobriou in onore del rifiuto che il generale e dittatore Ioannis Metaxa nel 1940 impose all’ultimatum di Mussolini sull’invasione della Grecia. Segnò di fatto l’entrata in guerra della Grecia e la sua invasione forzata da parte delle truppe italiane. 4 Con questo termine si indica in greco un insediamento urbano che non fa parte di un complesso cittadino. In genere, ad Atene, le strade che dal centro città portano fuori prendono il nome del loro punto di arrivo. 5 A questo proposito va ricordato che piazza Omonoia è il centro esatto della città. Da essa, secondo i primi piani di espansione della città di fine ‘800, dovevano generarsi tutte le strade più importanti, come Place de l’Etoile di Parigi. Questo per mettere in evidenza come lo sviluppo cittadino, lungi dall’essere “antico”, si inscrive perfettamente nelle tendenze architettoniche ed urbanistiche europee del tempo. 6 Questo piano verrà nel tempo modificato più volte, soprattutto dall’intervento di Leo von Klenze del 1934 e da quello di Gardner del 1936, che proporrà (con successo) di spostare il palazzo reale (che adesso è la sede del parlamento), all’incrocio tra la vecchia via Ermou e via Stadiou (cioè la strada che portava all’antico stadio di Kalimarmaro), e di sfruttare l’andamento collinare del terreno che avrebbe fatto sì che il palazzo fosse in una posizione liminale rispetto alle mura della città, e rialzata rispetto ad essa. La piazza che lì si trova ancora oggi, una volta “piazza dei regnanti” è adesso piazza Syntagma, cioè “piazza della costituzione”, nome datogli dopo la

162 Figura 8

Progetto urbanistico per il rinnovamento della città di Atene disegnato da Stamatis Kleanthis ed Eduard Schaubert nel 1833. Si vede il progetto di situare il palazzo reale al vertice del triangolo cittadino, dove ora sorge piazza Omonoia. (fonte: www.eie.gr)

forzata concessione della costituzione ai greci da parte del re Ottone I, il 3 settembre 1843. Il palazzo reale, poi verrò spostato altrove, nell’attuale palazzo presidenziale, sul retro dei giardini reali.

163 Gli anni ’20 sono un passaggio cruciale per le sorti della città di Atene. Lo sono ad un livello materiale di cambiamento, ma soprattutto nella misura in cui questo cambiamento non è che la spazializzazione di un sentimento, di un orizzonte di senso ben preciso: il frutto di dinamiche storiche che lasciano un segno indelebile nelle sorti di intere famiglie e, dunque, nella loro azione sullo spazio urbano.

Nel 1922 l’esercito turco di Mustafà Kemal riconquista la città di Smirne, ceduta alla Grecia dall’Impero Ottomano a conclusione della prima guerra mondiale, e la rade al suolo con un incendio. Gli abitanti, in maggioranza greco-ortodossi, furono costretti a scappare dalla città e a riparare in Grecia. A seguito di questo evento, noto come Mikrasiatiki Katastrofi, “disastro dell’Asia Minore”, su pressioni internazionali, fu firmato dal governo turco e da quello greco un accordo, il trattato di Losanna, col quale si sanciva lo “scambio delle popolazioni”. Questo significava la dipartita di tutti i musulmani greci dal territorio greco verso quello turco e lo sbarco in Grecia di un enorme numero di profughi greco-ortodossi dal Ponto, dalla

Cappadocia e da Smirne. A questo si aggiungerà il “pogrom di Istanbul” compiuto nel 1955, che porterà all’espulsione (e dunque all’arrivo in Grecia) di moltissimi greci della comunità cittadina turca, tutelati invece dagli accordi di Losanna.

Non esiste famiglia con cui io abbia parlato o avuto a che fare in questi mesi che, in un modo o nell’altro, non sia stata toccata da questi eventi. È una vera e propria ferita aperta, di cui

164 ancora le canzoni popolari raccontano il dolore7.

È in oltre un buon esempio di ciò che prima abbiamo visto essere il rapporto patetico- sentimentale con la storia. Il professor Antonis Liakos ha riportato, infatti a questo proposito, in un suo testo del 2008 che una commissione culturale dell’UNESCO e dell’Unione Europea col supporto di alcuni enti indipendenti si occupa dal 1954 di rivedere i libri di testo scolastici in adozione nei paesi membri per costruire una storiografia che, nell’esposizione degli eventi del passato, promuova la tolleranza e l’armonia tra essi. Nel 2006 un libro di testo per la scuola dal titolo “Il periodo Moderno e Contemporaneo”, con un focus particolare sulla storia nazionale, fu pubblicato in Grecia seguendo le linee guida dell’UNESCO8. Fu un vero e proprio polverone. Il libro ricevette pesanti accuse da tutti i fronti, accademici e politici, e persino il

KKE richiese esplicitamente che venisse eliminato dai piani di studio. Una commissione dell’accademia di Atene fu interpellata per valutarlo e propose ottanta punti di emendamento; un anno dopo, nel 2007, gruppi di estrema destra bruciarono il libro davanti al parlamento durante il giorno della celebrazione della dichiarazione di indipendenza dall’Impero

7 Un esempio tra tutti, è una canzone molto popolare del cantautore contemporaneo Pantelis Thalassinos, dal titolo Ta Smyrneika Tragoudia “Le canzoni di Smirne”, i cui versi recitano: «il tuo vecchio specchietto/ e dietro alla superficie offuscata/ si vede Smirne e il Kordelio/ e la vecchia Grecia./ Il vetro è malconcio/ ma dietro ai suoi fumi/ Dio vede Aivalì/ e ferma il suo pensiero./ Le canzoni di Smirne/ chi te l’ha insegnato/ a cantarle e a piangerle/ bocciolo del mio cuore./ Il tuo vecchio specchietto/ e il cervello perso./ In quale bettola hai bevuto/ e sei uscito ubriaco./ (…)» (traduzione mia) 8 Rispetto a questo è bene precisare che, diversamente dal sistema didattico a cui siamo abituati in Italia, secondo il quale sono gli insegnanti ed i collegi didattici a scegliere i libri di testo da adottare nelle classi, in Grecia i libri di testo sono unificati e seguono direttive ministeriali. Come Liakos mette in evidenza nel suo testo, è la stessa costituzione greca a stabilire che «l’educazione deve promuovere coscienza nazionale e spirito cristiano tra gli studenti» (Liakos in Halfdarson 2008b:80, traduzione mia)

165 Ottomano (25 marzo) e pure l’arcivescovo greco condannò pubblicamente il libro. Il motivo di un tale scandalo era che nella trattazione dei fatti della Mikrasiatiki catastrofi, il libro

evitava di riferirsi ai miti comuni dell’ideologia nazionale Greca (che abbiamo visto nei capitoli precedenti, ndr), usava un linguaggio più neutrale e imparziale in riferimento alle sofferenze e alle gesta eroiche dei Greci ed evitava di usare un linguaggio ostile verso i tradizionali nemici nazionali del paese. (Liakos in Halfdarson 2008b:80, traduzione mia)

Le accuse erano che il libro minasse le basi dell’identità nazionale, tentasse di spezzare i legami tra la chiesa ortodossa e la nazione, e producesse, di fondo, una lacuna storica imperdonabile riguardo a ciò che la Turchia significava per la Grecia.

È senza dubbio un tema importante per il quale approfondimento rimando direttamente all’articolo di Antonis Liakos che apre interessanti e vari spunti di riflessione a partire da questa circostanza. Ci basti qui sottolineare come il tema sia sentito tanto fortemente ancora, nella prima decade del 2000 e ben prima dell’exploit delle derive estremiste nazionaliste di

Alba Dorata, da essere motivo di uno scandalo di tale portata che, è bene notare, non si esaurisce nelle diatribe politiche, ma diventa la trasversale affermazione di un sentimento storico patetico.

Questo si spazializza nella dimensione urbana della città di Atene.

Come mi ha spiegato l’urbanista e architetto Kostas Aggelidakis nel suo studio di Pagkrati,

Sai la Grecia ha avuto due grandi fasi, diciamo di grande cambiamento, grandissimo cambiamento: una nel '22 con i profughi, nella quale Atene era una città che era diventata grande, la cui popolazione era circa di

166 duecentomila persone con intorno vari paesi, Kifissia era un paese per esempio, Maroussi, eccetera. I profughi si sono stabiliti intorno con anche degli spazi non abitati, in mezzo e la città così è diventata dispersiva, sono arrivate anche le fabbriche, che si sono stabilite in mezzo... e così fino alla guerra era arrivata... comincio a dimenticarle tutte queste cose... eh, a meno di un milione di persone. (Intervista n°6, 12 novembre 2013 con Kostas Aggelidakis)

Con l’arrivo dei profughi dall’Asia Minore, quindi, la geografia umana e abitativa della città cambia per sempre e velocemente. Viene costruito, ad Ambelokipoi, una zona appena fuori da quella che allora era considerata la città e che ospitava vasti vigneti, il complesso dei

Prosfigika (figura 9). Come abbiamo visto precedentemente si tratta di un complesso abitativo composto da otto parallelepipedi per un totale di duecentoventotto appartamenti. È uno scorcio estremamente importante per la città che, con i segni delle pallottole sparate durante le battaglie in città tra partigiani e cittadini da una parte e nazisti dall’altra, durante le giornate del Dicembre 1944 (la famosa Dekembriana), rimane a testimonianza della storia della città e dei suoi abitanti. È infatti al centro di una fitta battaglia sociale, perché questo patrimonio storico non venga svenduto o, peggio, abbattuto.

(…) Per spiegarmi meglio, la KED (Ufficio pubblico del demanio, ndr) ha proceduto a degli espropri; espropri coatti, e ha stabilito un prezzo altissimo per ogni appartamento, gli abitanti là sono poveri, e sono stati proposti prezzi tanto alti perché la percentuale possibile di costruzione in quella zona è alto, quindi si può costruire coprendo molti mq. Allora, affinché non sparisca la memoria collettiva della città, abbiamo cominciato una vera lotta allo scopo che venissero dichiarati da conservarsi e che non vengano svenduti. E’ stato detto che sono pericolosi eccetera, e che per questo

167 Figura 9

Complesso dei Prosfygika, come si presenta oggi, in una foto tratta dal sito online del quotidiano (Fonte: www.kathimerini.gr).

168 dovrebbero essere demoliti; sciocchezze, storie da bambini. Se è pericolosa la Camera dei Deputati, le case dei profughi non lo sono di più. Siamo andati al Ministero della Cultura, siamo riusciti a farle dichiarare da conservarsi e adesso non possono essere toccate. Però la questione non è che gli edifici non possano essere toccati, non è solo questo, perché tutta questa discussione non riguarda solo gli edifici; città non significa edifici e strade, significa istituzioni, abitanti, no? Non basta che gli edifici non vengano demoliti, sarebbe necessario che gli abitanti non vengano cacciati via (intervista n°4, 25 luglio 2013 con Salomi Chatzivasileiou), mi ha raccontato una splendida exarchiotisa combattiva durante la nostra chiacchierata di un torrido luglio cittadino.

Si palesa dunque in modo chiaro come lo spazio urbano di Atene, soprattutto per quanto riguarda i suoi spazi più centrali, sia costantemente un terreno di battaglia. Il caso dei

Prosfygika è emblematico, perché ci mostra, anche a livello visivo, come questo scontro sia effettivamente in atto. Chiunque infatti si imbattesse in questo complesso residenziale per caso, ne rimarrebbe quantomeno colpito. Sorge, del tutto fuori contesto, come se lo scorrere del tempo non l’avesse toccato, se non per imprimerne i segni di decadimento, tra i nuovissimi edifici dei tribunali e l’alto palazzo di vetro della questura centrale di Atene. La facciata del primo parallelepipedo che dà direttamente su viale Alexandras porta degli evidenti cedimenti strutturali, ai quali si aggiungono le modifiche personali che ogni abitante ha apportato alle sue finestre e al suo piccolo balcone. È la storia attiva, quella che vede ogni uomo come un agente performativo, che lascia il segno del suo passaggio e rende questo luogo, apparentemente fermo ad un passato centenario, vivo e capillare.

169 Per quanto riguarda l’arrivo dei profughi dall’Asia Minore, comunque, è chiaro che duecentoventotto appartamenti non erano abbastanza per accoglierli tutti. Come spiegatomi dall’architetto Kostas Aggelidakis, quindi, la maggior parte di questi si insediò in quello spazio non edificato che rimaneva tra la città e l’eparcheia. Sono ancora i quartieri più densamente abitati, e hanno una disposizione spaziale tutt’altro che casuale. Secondo quanto raccontatomi da Kostas Vasiropoulos (intervista n°5, 4 novembre 2013) la collocazione dei nuovi quartieri là dove ancora sorgono (Nea Ionia, Nea Smirni, Nea Chalkidonia, Nea

Filadelfia –figura 10-, solo per citarne alcuni) aveva precisi intenti di controllo sociale: ne’ troppo lontani, ne’ troppo vicini al centro. Questo spiegherebbe, tra l’altro, come mai il blocco dei quartieri periferici di Vyronas e Kessariani, edificati dai profughi, è noto storicamente per il suo posizionamento abbastanza omogeneo “a sinistra” (cosa che emerge ancora dall’andamento elettorale) e per essere stato, durante la resistenza contro i nazisti, la roccaforte dei partigiani comunisti.

Le vicissitudini politiche della Grecia fra le due guerre sono decisamente ricche di contrasti, con un colpo di stato a cui ne seguiva un altro. La capitale si espandeva sempre più verso i villaggi circostanti, ma a parte un tessuto industriale appena nascente (tutte le industrie si collocavano lungo la via Pireos, che portava quindi al mare), la città non aveva grandi attrattive.

170 Figura 10

Foto d’epoca del sobborgo di Nea Filadelfia, a nord del centro cittadino, nel costruito dai profughi dell’Asia Minore. Immagine tratta dal settimanale gratuito Lifo del 23 marzo 2013 (originale custodita all’Archivio della ERT).

171 Nel 1936, per evitare che i comunisti, che accoglievano grande favore presso la popolazione, prendessero il potere, il re appena reinsediato proclamò un generale dell’esercito, e allora ministro della difesa, Ioannis Metaxas come primo ministro. In brevissimo tempo Metaxas prese il sopravvento e divenne dittatore con il sostegno della Gran Bretagna.

È interessante tener presente a questo propositi che il Metaxismo è una teoria politica di stampo fascista cui ancora oggi si rifanno apertamente i militanti di estrema destra (tranne che per il sostegno alla monarchia). Mira infatti, cosa che emerge omologamente nella dichiarazione dei principi politici di Alba Dorata, alla costituzione di una società ellenica omogenea, nella quale il tema del sangue puro è ricorrente e centrale e che vede nella chiesa ortodossa un alleato e un caposaldo per il raggiungimento di tale scopo. Sotto il regime di

Metaxas, chiaramente, si formò anche una fitta rete di relazioni di potere informali, intessuta dal governo stesso, che saranno poi importantissime per l’emergere, trent’anni dopo, della dittatura militare dei colonnelli.

Questa rete di rapporti di potere, che esiste ancora oggi e che prende il nome di parakratos,

“parastato” è qualcosa di cui per molto tempo ho sentito parlare, senza che mi fosse chiaro esattamente cosa fosse. Ci sono evidentemente, cosa che mi è parsa subito palese dai discorsi di molte persone in cui appariva questo parakratos, dei punti di contatto con quello che anche in Italia si identifica come “parastato”: il fatto che avesse fondamentalmente a che fare con gruppi di estrema destra molto vicini alle forze armate alla polizia.

172 Solo parlando con Kostas Vasiropoulos la questione mi si è fatta più chiara. Parlando di come venga gestito il controllo a Exarchia dove, come vedremo, è sempre stato storicamente complesso il rapporto con le forze dell’ordine e il loro accesso a questa zona della città, mi ha riferito che, oggi come allora, vengono utilizzati molti agenti in borghese ed il “parastato”, di cui la questura di via Kallidromiou, a Exarchia, era ed è piena. In particolare ho compreso quali fossero le intime connessioni tra questo parastato e quella che in questi mesi avevo sentito chiamare “Mafia”, ma che non capivo, complice il mio retaggio nazionale, in che cosa consistesse se non con la microcriminalità urbana: un po’ poco per assumere il nome di

“Mafia”.

Kostas: Vuoto di potere dico io. Non posso capire il perchè ma non c è mai stata la volontà di controllare Exarchia! E siccome in Grecia è sempre esistito lo stato e il parastato, erano molto sicuri di questo, e così hanno lasciato dicendo: qualsiasi cosa facciano loro comunque saranno controllati dai nostri. La questura di Kallindromiou e di Omonoia era sempre piena di parastatali. Erano molto sicuri del potere che avevano come parastato, per questo hanno lasciato la situazione così. Pensavano: qualsiasi cosa facciano noi sappiamo chi sono.

Anna: è molto interessante questa cosa del parastato, perché non c’è simile da qualche altra parte.

Kostas: C’era in Italia.

Anna: Si, però erano perlopiù i fascisti.

Kostas: E mafia.

Anna: Ma la mafia è una cosa diversa, pensa in Italia è molto più vecchia dello stato stesso.

173

Kostas: Si, è più vecchia, in Italia, e ha sempre avuto una rappresentanza nello stato. La rappresentanza è una procedura democratica. Qui invece è successo che lo stato ad un certo punto è diventa la mafia. Per esempio era la struttura dello stato che era parastatale. Per esempio, una cosa nota, di cui parlano mille persone è che quando il vecchio Karamanlis con i brogli elettorali e le violenze, nel 1963, 65, il periodo degli “Iouliana”, si è scontrato con il Re… allora per potersi opporre Karamanlis, ha fatto il suo stato nello stato!

Anna: Karamanlis..

Kostas: Si, Karamanlis perchè c’era il parastato già prima della guerra. Il Re ha sempre avuto il suo parastato, ma Karamanlis non lo aveva, e allora lo ha costruito anche lui. Sai, si dice che tante volte non

bastava questa forza e usava l’aiuto del KKE.

Anna: Karamanlis??

Kostas: Certo. La sicurezza in molti cortei era del KKE. Questi sono fatti, è dimostrato. Hai capito.. il parastato è cominciato con la dittatura, erano gli uomini di Metaxas (…) Dopo però la struttura base era dei tedeschi. Quando sono venuti i tedeschi.

Anna: I tedeschi hanno dato parti della città ad alcune famiglie? Come funzionava?

Kostas: Esatto. I tedeschi in ogni paese che occupavano.. le SS per esempio avevano sviluppato una strategia… trovavano un “mafioso” locale, piccolo, un ladro (lopoditis) e collaboravano con loro… questo è successo in Francia, lo so per certo, e in Grecia. Lo so molto bene questo. Hanno trovato le loro persone.. hanno trovato alcuni cittadini e hanno fatto un accordo con loro. Ti facciamo capo noi, basta che hai cura di noi. E siccome non bastava il loro esercito volevano una base sociale per cavarsela. Quando i tedeschi sono andati via, gli altri sono rimasti. (…) Questi cicli c’erano dove vivevano militari e dove c’erano interessi molto importanti. Ad Atene questo era a

174 Metaxourgeio. Perché lì c’era tutta la vita, i teatri, c’era la stazione del treno. Tutti i militari e le cose che si usano nell’esercito erano stati trasferiti da lì e le controllavano i tedeschi. E hanno trovato alleati greci da lì, da Metaxourgeio, piazza Vathis, Agio Pavlo e hanno fatto nucleo lì. E questa era la mafia. Si chiamava “vecchia mafia”, i famosi “capellani”. La mafia di Atene. E al Pireo è stato fatto accanto al porto, dove è stato fatto il “Trouba”. Hai capito… c’erano di nuovo tedeschi. Adesso che ci penso erano i due quartieri con i teatri più grandi. Il teatro nazionale e al Pireo quell’altro, che hanno costruito.. perché gli piaceva uscire.. erano militari, volevano donne. Li proteggevano loro, ed avevano sviluppato anche interessi economici.. con persone che collaboravano con loro. E quando sono andati via i tedeschi, loro sono rimasti.. e ancora oggi, come allora, sono ricchi.. c’è una continuazione.. l’illegalità però l’ha fermata la dittatura nel ’67. (…) La dittatura ha distrutto tutta la mafia che c’era nel centro di Atene. (…) L’hanno distrutta, perché non potevano accettare.. e poi se n’è formata un’altra, in posti diversi, ad esempio alla Plaka.. cioè negli anni della dittatura tutti quelli che si cercavano, cioè noi, i musicisti, tutti questi erano alla Plaka. I primi bar, gli anarchici, andavano alla Plaka.

Anna: Perché?

Kostas: Credo perché era vicino Syntagma. Cioè gli stranieri che venivano per fare vacanze.. c’era uno dei primi bar con musica rock live. Il primissimo, dove suonavano musicisti in tour, era il “Trip” alla Plaka, se l’hai mai sentito…

Anna: No, dove era?

Kostas: In via Tholou… immagina che noi dal Politecnico avevamo una comune, dove vivevamo per dire, ad Anafiotika nella Plaka. I miei amici erano musicisti e avevano trovato lì. In Plaka erano concentrati tutti gli stranieri, nel resto di Atene non c’era niente. Solo a Fokionos Negri ce n’erano. Patissia, Fokionos Negri e Kolonaki. Kolonaki in seguito.

175

Anna: Perché hai detto che nuova mafia è venuta alla Plaka?

Kostas: Guarda, in quel periodo, il giro (diakinisi, ndr) di droga, di donne, di uomini, lo controllava tutto una famiglia. Ed era tutto lì, alla stazione del treno “Larissis”. È cominciata la dittatura e nel ’69… era stato fatto ministro... lo so perché era anche il mio quartiere.. di nome Apostolatos, ministro di ordine pubblico, un militare, ha detto che entro una notte doveva essere chiuso il “Truba” al Pireo e anche l’“Hawai” che si trovava sotto il teatro “Perokè”, se hai presente, si trovava dove ora c’è un grande albergo, in piazza Deligianni (sempre al Pireo, ndr)…

Anna: Ok..

Kostas: Così ha detto “chiudere”. Li hanno arrestati tutti... condannati… sai.. era dittatura. E direttamente dopo, i nuovi mercati di droga, di donne eccetera si sono dispersi, e così tutto si è trasferito alla Plaka.. sono stati fatti nuovi bar lì, buàt (locali grechi dove si suonava rebetika, ma un po’ più eleganti di un rebetadiko, ndr) ...cioè durante tutta la dittatura e fino all’83, i buàt e i club di categoria medioalta che sono stati aperti erano tutti alla Plaka. (intervista n°5, 4 novembre 2013 con Kostas Vasiropoulos)

Questo passaggio sui poteri nascosti che attraversano la città ci servirà per comprendere uno dei mutamenti sociali più importanti che ha agito a Exarchia, la cui origine andava indagata per evitare incomprensioni. “Mafia” e “parastato”, dunque, che possono apparirci così diversi, si intrecciano invece nel contesto della vita notturna e dei locali: se da un lato si considerano

“mafia” tutti quei gruppi che gestiscono il traffico della droga e della prostituzione e la sicurezza dei locali, il parakratos, come vedremo, è quell’intessersi di relazioni di potere non mediate dalla legge (e presente all’interno delle forze di polizia e dell’esercito) che, in

176 particolare come vedremo nel caso di Exarchia, usa le “mafie” e i rapporti con esse per tenere sotto controllo una situazione potenzialmente eversiva rispetto ad un ordine da esso stabilito.

Pochi giorni prima del colpo di stato dei colonnelli, il 17 aprile 1967 un grande evento era in programma nella città di Atene. Suonavano i Rolling Stones. In un suo breve resoconto di quella epica serata al giornale settimanale Lifo del 28 marzo 2013, il famoso DJ e giornalista musicale Yiannis Petridis racconta un fatto che era ormai più che un tetro presagio dell’imminente futuro.

Prima di suonare “Satisfaction”, il manager della band cominciò a lanciare sul pubblico garofani rossi. Questo innervosì alcuni poliziotti che menarono a sangue il manager e fecero allontanare Jagger. La banda lasciò il palco e non tornò più fuori. Ci furono un po’ di disordini, si sentirono diversi insulti e per calmare il pubblico la direzione dello stadio spense le luci. Il gruppo se ne andò nell’oscurità. Una parte del pubblico protestò fino all’hotel Hilton, invocando le dimissioni di Tsilichristos, il capo della polizia di allora. Pochi giorni dopo, l’esercito e la polizia avrebbero preso con un colpo di stato il governo del paese. (da Lifo del 28 marzo 2013, pp. 76-77, traduzioni mie)

Non è casuale, dunque, che nello spazio più libertario della città, che allora era la Plaka, con le comuni e i primi locali alternativi questo tipo di controllo sociale fosse pervasivo.

Come mi ha raccontato infatti Yiannis Felekis:

Yiannis: (…) Questa situazione c’è dal ‘79/’80, quando è cominciata un’altra “fabbrica” a Exarchia. Fino ad allora tutta la vita notturna, tutta la scena alternativa e tradizionale era alla Plaka, poi quando hanno deciso di rendere la Plaka più turistica, hanno cacciato tutti i locali rumorosi, tutto quello che poteva provocare rumore, per rendere più pulita e in ordine la Plaka e hanno cominciato ad aprire nel

177 quartiere di Exarchia moltissimi locali di musica tradizionale, rebetadika e roba così. Dal ’79 al ‘83/’84 hanno aperto a decine..

Anna: E prima non ce n’erano?

Yiannis: Prima c’erano ristoranti, tavernette, robe così… dal ’79/’80 hanno aperto baretti di musica, musica straniera, rock e musica tradizionale e i giovani da tutta Atene hanno cominciato a ritrovarsi a Exarchia. (intervista n°9, 30 gennaio 2014 con Yianis Felekis)

«L’underground ateniese nacque alla Plaka, ma ha preso forma e coscienza politica a

Exarchia», scrive il giornalista Thodoris Antonopoulos sul numero del giornale Lifo dedicato alla città di Atene e alla sua storia.

Exarchia, quindi, prima degli anni ’70 post-dittatura era molto diversa dal luogo che è ora.

Nelle parole dei miei interlocutori, e come vedremo meglio adesso, per la sua composizione abitativa e le sue peculiarità emerge chiaramente come fosse un quartiere residenziale, senza le attrazioni che l’hanno caratterizzata negli anni immediatamente successivi alla dittatura.

Era un luogo vivo, di intellettuali, artisti, e studenti che da sempre, da quando nelle sue strade era stata preparata e poi combattuta la resistenza nei giorni della Dekembriana del 1944, aveva una precisa collocazione politica.

3. La città sottile

Ma quel che è certo è che chi abita a Zenobia e gli si chiede di descrivere come lui vedrebbe la vita felice, è sempre una città come Zenobia che egli immagina, con le sue palafitte e le sue scale sospese, una

178 Zenobia forse tutta diversa, sventolante di stendardi e di nastri, ma ricavata sempre combinando elementi di quel primo modello.

Italo Calvino, Le città invisibili

È stato Yiannis Felekis a raccontarmi di come fosse Exarchia prima degli anni ’70, di come lui, arrivato da Arta, un piccolo paese dell’Epiro, nel 1958, in pieno boom economico9,

9 A questo proposito è bene tenere presente che, mentre Atene fioriva e diventava veramente una capitale ricca di vita urbana, nelle montagne e nell’eparchia si combatteva la guerra civile. Questo è un capitolo oscuro della storia della Grecia contemporanea, di cui solo oggi si comincia a parlare in maniera più aperta, ma che per lunghissimi anni era un tabu storico non indifferente. Un’amica di Paros di trentacinque anni con cui una volta ho parlato di questi eventi mi ha infatti detto che solo al compimento del suo diciottesimo compleanno suo nonno, come a rivelarle un segreto che ora era abbastanza grande per sapere, le aveva raccontato di quel periodo e di quanto dolore avesse portato alle persone. «Dentro ad Atene non abbiamo avuto scontri durante la guerra. Gli scontri ci sono stati soltanto durante la Dekembriana, dopo la Dekembriana, nella guerra civile, gli scontri ci sono stati solo… Ad Atene c’era solo tantissima repressione, perseguitavano persone, arrestavano persone… non c’era però resistenza organizzata. C’erano persone in clandestinità ad Atene, c’era un movimento sotterraneo di opposizione, ma neanche a Exarchia che io sappia è successo qualcosa di particolare durante la guerra. E questa situazione era uguale ad Atene e in tutte le grandi città della Grecia. I combattimenti della guerriglia avvenivano fuori dalla città, almeno per quanto riguarda le grandi città. C’erano attacchi alle stazioni di polizia e alle caserme militari, e da un certo momento in poi l’esercito che ha attaccato i guerriglieri sulle montagne. (…) non c’era un movimento né politico, né sindacale… tutto questo era represso. E poi c’è stata la dittatura… (…)Era successo che il KKE i capi del ELAS avevano firmato un accordo con gli inglesi e con il governo Papandreou che era al Cairo, avevano deciso che non sarebbero entrati nelle città i soldati dell’esercito, che sarebbero rimasti fuori. Quindi quelli che combattevano dentro Atene erano quelli che c’erano anche durante l’Occupazione, che l’arma più importante che potevano avere era una pistola, un coltello… mentre gli inglesi avevano carri armati, cannoni…armi vere insomma. L‘esercito greco invece stava fuori da Atene. Immediatamente, quando arrivarono gli inglesi ridiedero le armi a quelli che sotto l’occupazione avevano collaborato coi tedeschi. Questi erano i primi gruppi armati, dal momento che non c’era l’esercito, i così chiamati “tagmatasfalites” (ordine di sicurezza, ndr). E quando c’è stato l’accordo di Varkiza e i guerriglieri hanno consegnato e armi, l’unica cosa che potevano fare era nascondersi perché i tagmatasfalites non li fottessero. E questo è successo in tutta la Grecia, perché dappertutto avevano consegnato le armi, e questo il motivo per cui in molti sono risaliti in montagna ed è cominciata la seconda guerra civile. Nel frattempo è arrivato il ’47 ed è cominciata la guerra fredda e Stalin e la leadership del KKE decisero che in Grecia, la guerra fredda poteva diventare calda. Questi guerriglieri avevano l’illusione che quelli che avevano partecipato all’ELAS e all’EAM sarebbero risaliti sulle montagne, ma una cosa del genere non era facile, perché a migliaia erano stati arrestati ed erano in prigione o in esilio, in migliaia era stati fucilati. Era molto più difficile, anche perché la polizia controllava i villaggi, e sai, è diverso combattere i tedeschi occupanti, che invece combattere col tuo vicino che è col governo greco e ha mezzo paese dalla sua parte, non è lo stesso che avere contro gli amici dei tedeschi che si potevano contare sulle dita di una mano. Perché finchè ci sono stati i tedeschi qua, anche quelli che non partecipavano all’EAM e e all’ELAS, rimanevano neutrali e in qualche misura aiutavano...» (intervista n°9 del 30 gennaio 2014 con Yiannis Felekis). Anche se poi quando ho chiesto a Thodoris Zeis, il cui padre era membro dell’EAM cosa succedesse a Exarchia durante l’Emfilio mi ha risposto: «Anche qui abbiamo avuto degli episodi... battaglie...» (intervista n°7 del 20 novembre 2014).

179 l’avesse conosciuta e di come, con le rivolte del politecnico del 1973 e con l’arrivo dei primi locali, fosse cambiata.

Yiannis: La vecchia città di Atene, prima della liberazione, diciamo, era piccola, tutto intorno all’Acropoli, e poi c’erano persone che vivevano vicine ai loro appezzamenti di terra…a Menidi, nei villaggi diciamo. Da qua, Patision… tutto intorno, fino agli inizi del ‘900, erano tutti campi. Io ho fatto in tempo a vedere, intorno a Kifisos diciamo, grandi aree che erano ancora coltivazioni di cavoli, fino agli anni ’60.

Anna: Ma quindi c’è stato un cambiamento molto rapido del paesaggio urbano…

Yiannis: Sì, perché con la guerra e poi in seguito, tantissime persone sono venute a vivere ad Atene perché c’erano gli uffici, qualche fabbrica, ed è così che è cresciuta. Pensa che più di metà della popolazione greca vive ad Atene. Nell’Attica, diciamo, quindi Atene coi suoi sobborghi ci sono circa 4 milioni di persone. E tutti i restanti 6 milioni sono sparsi per la nazione. Il periodo più importante per questi spostamenti è quello dopo la seconda guerra mondiale, con lo sviluppo economico… e quindi questa zona qui era isolata, uno spazio libero. Per questo dopo il 1850 circa hanno cominciato a costruire la zona universitaria, perché c’era tanto spazio… come adesso la zona universitaria è fuori Zografou, sull’Imittou, quella volta era qui. Quindi il politecnico, la facoltà di economia, quella di legge, quella di medicina, che era dove adesso c’è il centro culturale comunale, in parte alla facoltà di legge, e lì c’era anche l’ospedale comunale, in quello spazio che è parco adesso. Aveva da una parte la facoltà di legge e dall’altra quella di medicina; e davanti c’erano i propilei con le altre facoltà, che non mi ricordo quali fossero, nell’edificio centrale. Chimica anche era qui sopra, quindi qua, tutto intorno ad Exarchia c’erano tutte le università e si radunavano nel quartiere sia diversi intellettuali che i

180 semplici abitanti, come era anche a Kolonaki che in quell’epoca era… c’era un piccolo kafeneio, lì dove si trova la piazza, dove si ritrovavano Palamas e la sua compagnia. Tutto ciò era fuori dal centro, diciamo.. dove c’è adesso la piazza di Kolonaki, fino a più sopra verso il Licabetto pascolavano le capre prima, da lì fin verso fuori, verso Zografou c’erano i pascoli delle pecore. Tutto ciò fin verso la metà del ventesimo secolo, diciamo. Per questo la maggior parte dei palazzi in questa zona, fino a poco tempo fa, tutti questi palazzi neoclassici, che i proprietari ci vivessero effettivamente o meno, verso il ’60, più o meno, quando sono arrivato io ad Atene, tutte queste case erano divise in stanze piccole piccole, ciascuno con il proprio contatore elettrico e in ciascuna vivevano uno o due studenti. Così, tutte le persone che c’erano nel quartiere hanno costruito il suo carattere, anche per quanto riguarda l’orientamento politico dell’epoca. E dal diciannovesimo secolo cominciarono ad esserci delle controversie portate avanti da movimenti che si stavano diffondendo qua nel quartiere contro la visione della high- class che pure era originaria di questa area. Il loro obiettivo… forse avevano a che fare coi i demoticisti, non mi ricordo adesso… era molto tempo fa, la loro caratteristica era la psathakia (un caratteristico cappello di paglia, ndr), ma non mi ricordo adesso l’obiettivo politico che avevano, gli studenti erano comunque di famiglie ricche, scarsi in numero, ma comunque in agitazione, più in agitazione rispetto ad altri strati sociali. E sono gli stessi che hanno preso parte alla resistenza durante l’Occupazione. Questo ha continuato ad essere tale, fino alla dittatura. In particolare proprio qua in piazza Exarchion, il kafeneio qua all’angolo era il ritrovo di questi giovani in fermento politico. Che poi è stato preso in gestione da altri che l’hanno cambiato, coi giochetti, i flipper… questo fino al 1974, quando hanno cominciato a costruire qua le sedi di vari gruppi politici di sinistra… maoisti, trotzkisti… anarchici…tutto qua intorno alla piazza. (intervista n°9, 30 gennaio 2014 con Yiannis Felekis)

181 Tutta la zona intorno al Politecnico, da piazza Exarchion fino al quartiere di Kypseli, adesso considerato uno dei quartieri più degradati del centro, era allora una zona in cui le famiglie della nuova borghesia cittadina costruivano le loro residenze: bellissime polykatoikies neoclassiche e art decò (figura 11) che si inerpicavano sulle pendici della collina di Strefi10.

Se quindi consideriamo la geografia urbana della città, allora vediamo come ci sia stato uno spostamento, circa verso gli anni ’30, del centro gravitazionale del centro città verso il nord geografico, con piazza Omonoia e i nuovi quartieri residenziali di Kypseli, Kolonaki e

Neapoli. Quest’ultima, dove risiedo anche io, è la parte di Exarchia che seguendo le pendici del Licabetto sale verso viale Alexandras e come dice il nome stesso (Neapoli, “nuova città”)

è la parte del quartiere di più recente edificazione.

Lì la zona si chiama Agios Nikolaos -Pefkakia, dove si trova il Licabetto... là non abitava nessuno, anni fa non ci viveva nessuno perchè dicevano che c’erano vibrazioni negative, e cose del genere… Pensa che lì abitava un fabbro ed era un mostro (o fobos kai tromos, ndr) per gli abitanti, ma parliamo di tanti anni fa… E da sempre, sul Licabetto non viveva la gente, anche gli antichi greci non abitavano attorno a Licabetto. E anche io un periodo che ho abitato lì, ti posso garantire che non è una buona

10 Il Lofos tou Strefi era, nel XIX secolo, una collina privata appartenente alla famiglia Strefis. Non era raro che ricche famiglie come questa avessero le loro dimore in questa zona; un altro esempio è la Ble Polykatoikia di piazza Exarchion cui faremo cenno più avanti, fatta costruire tra il 1932 e il 1933 dalla famiglia Antonopoulos. Lo Strefi è stato usato come cava di pietra fino al XX secolo inoltrato (insieme ad altre aree di Atene che servivano a tale scopo come il Theatro Vraxon di Vyronas, la collina di Gizi e, prima ancora, la collina del Licabetto) per la costruzione degli edifici della nuova città che si stava espandendo. Thodoris Zeis una volta, mentre chiacchieravamo delle bellissime case che si trovano in via Kallidromiou, cioè esattamente sotto alla collina, dove c’era anche l’abitazione della famiglia Strefi, mi ha raccontato la leggenda metropolitana secondo la quale un giorno la moglie del signor Strefi, infastidita dal fatto che l’ennesimo bucato le era stato rovinato dalle polveri rossastre della cava, aveva dato ordine alla sua domestica di comperare quanti più alberi potesse e di cominciare a piantarli sulla collina. Così, si narra, ha preso forma la collina come la conosciamo ora, che la famiglia ha donato poi nel 1963 al comune di Atene.

182 Figura 11

La Ble Polykatoikia, all’incrocio tra via Arakovis e via Themistokleous, in piazza Exarchion in una foto d’epoca. Al pian terreno, le vetrate del cafè Floral. (fonte: Istoria tou neoterou kai synxronou kosmou –libro di testo scolastico del terzo anno del liceo, ebooks.edu.gr)

183 posizione… (…) Non ha un buon.. non ha energia positiva e in più non ha un bell’orientamento. Una parte sola ha un buon orientamento, dietro, verso Evangelismos, lì sì è bello. (intervista n°5, 4 novembre 2014 con Kostas Vasiropoulos)

Queste parole mi hanno molto colpita, dal momento che, vivendoci, non ho mai avuto l’impressione che fosse un tratto della città male esposto, anzi, il fatto che si trovasse proprio in mezzo tra le due colline dello Strefi e del Licabetto mi è sempre sembrato un punto a favore di quella zona.

Rispetto alla parte bassa, dove si trova la piazza, è una zona che, comunque, si è mantenuta residenziale, lontana dai bar e dai locali che popolano il quartiere.

Come mi ha detto un po’ provocatoriamente l’avvocato Thodoris Zeis, il cui padre, durante la resistenza ai nazisti, era un partigiano dell’EAM del battaglione di Neapoli e che ha quindi con la zona un rapporto familiare molto particolare (inoltre, sia lui che la sorella hanno vissuto lì per tutti gli anni dell’università e ancora ci vivono):

Verso il basso di via Arachovis, sono stati aperti luoghi di divertimento nuovi. E questo perché là era facile avere i permessi. Più in su, non si può, ci sono solo case. Aggiungerei che, non solo simbolicamente, da via Arachovis verso più in su, vedi, quello che ti ho già detto, non si danno permessi di luoghi di divertimento. Questo, per il fatto che a molti fra quelle persone di sinistra, gli è andata bene dal punto di vista economico, hanno comprato delle case e adesso vogliono essere tranquilli. ...Allora, partendo di là in giù, c’erano i posti per i quali si poteva avere il permesso. Qui vicino, sai, dove si trovano le strade pedonali, è appunto là che sono apparsi molti nuovi bar. (intervista n°7, 20 novembre 2014 con Thodoris Zeis)

184 Il quartiere, comunque, ai margini della città sino a circa la metà del ‘900, ha una storia che si lega alla costruzione del politecnico e alla grandissima presenza di studenti e intellettuali che si incontravano nelle taverne e nei kafeneia della zona. Da subito, e per questo, sono stati aperti moltissimi laboratori tipografici e tantissime librerie, tratto che ancora caratterizza la zona, e che è inserito in un processo interessante di riuso e ridestinazione di cui mi ha parlato

Thodoris, che, oltre ad essere un avvocato, è anche un musicista di bouzouki e un attore teatrale:

A Exarchia ci sono molti vecchi negozi tipografici… ecco, proprio là (mi indica un pezzo della strada dove si trova la caffetteria dove ci troviamo, una cinquantina di metri alla nostra destra, ndr), c’era un posto dove si trovavano molte librerie, e molti negozi tipografici. Anche oggi ce ne sono. I vecchi negozi tipografici, i vecchi magazzini di carta e simili, molto spesso vengono trasformati in teatri. (…) Perché è vero che Exarchia è stata una zona di artigianato; c’erano molti falegnami, cartolerie, negozi tipografici, negozi di scritte, tabelloni, che so io, fabbricavano…si stampavano dei libri... Molte cose. Anche nelle gallerie, nei negozi negli interrati... molti. Come si chiamano? Producevano le confezioni per la carta da stampare, dei poster... ce n’erano molti. Questi, quando vengono lasciati, quando finisce il periodo del loro uso e i proprietari vanno in pensione, il proprietario dell’immobile non sa che farsene. Sarà trasformato in magazzino oppure sarà usato in questo modo. E i gruppi teatrali li affittano, li rinnovano, li conservano in modo che ricordino l’uso precedente… E’ una tendenza. Sia del teatro, sia dell’architettura, (intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

Uno degli aspetti più piacevoli del quartiere, al di là delle sue particolarità strettamente politiche (anche se è in realtà parte integrante di una più vasta “politica dei luoghi”) è proprio questo uso interessante degli spazi che da sempre attraversa le botteghe vuote, i suoi ambienti

185 che si aprono sulle fitte stradine che si intersecano inerpicandosi verso la collina dello Strefi e quella del Licabetto, attraversando le strade come un contagio positivo.

Prima di percepire lo spessore storico del luogo, prima di chiedersi dove ci si trovi, lo spazio di Exarchia appare subito come diverso, un buco in una tela, uno stacco netto dalla rigidità chic di Kolonaki11 e pure dal caos di piazza Omonoia.

Nel giugno del 2012, il giorno prima delle elezioni che avrebbero portato al governo di unità nazionale del PASOK e di Nea Democratia, e Alba Dorata a guadagnare quasi il 7% e ventuno seggi in parlamento, sono arrivata ad Atene per organizzare il mio campo.

Aggirandomi per il centro della città che avevo amato e attraversato tante volte appena tre anni prima, che avevo conosciuto nelle albe della rivolta e nelle sere dolci delle passeggiate al chiaro di luna, ero rimasta molto scossa da come tutta la città fosse attraversata da un fremito triste, uno spasmo teso che la faceva brutta, squallida. L’austerità era nel pieno del suo svolgersi. Si vedeva in ogni volto, in ogni pietra, in ogni cane per strada. Era come quando si trasloca da una casa dove si abbia abitato, ma non tutto in un colpo; pezzo pezzo. Via via si portano via le cose meno importanti, quelle che non ci serviranno, poi si mettono negli

11 Per capire come nel centro della città ha funzionato l’agglomerarsi degli spazi e dei quartieri, in particolare due così storicamente e simbolicamente diversi come Exarchia e Kolonaki si può tenere presente quanto mi ha detto in merito Kostas Vasiropoulos: « La via Ipokratous era sempre il limite tra Exarchia e Kolonaki. Là si trova una caffetteria Korais... (…) Questa caffetteria c’era dal 1971-’72, allora era una caffetteria molto moderna.. come era all’inizio così è rimasta, e lo so di sicuro perchè la frequento spesso. Ho degli amici che la frequentano, è un ritrovo di avvocati, e giornalisti, e letterati ...e fanno anche delle serate filosofiche (…) ogni martedì. Da allora! (…) Tra via Ipokratous e via Didotou. Allora là in quella caffetteria finiva l’area di Exarchia.. sai non esattamente secondo i confini della cartina geografica di Atene. Ma da là in su c’era un vuoto fino Agio Dionisio. E dopo iniziava Kolonaki..in base alla concezione comune.. Dopo pian piano hanno iniziato a mettere qualche bar, negli anni ‘90 su via Skoufà, e questo vuoto si è assottigliato... (…)C’era una divisione chiara, e adesso Kolonaki ed Exarchia sono collegati. (Intervista n°5, 4 novembre 2013 con Kostas Vasiropoulos).

186 scatoloni, ma magari tenendoli in casa, aperti, le cose che non servono, ma alle quali teniamo e dalle quali siamo portati a separarci più difficilmente… piano piano la casa si svuota, senza essere realmente vuota. Una massa di cose strettamente necessarie a vivere occupano i posti di sempre, ma la casa è come se sbiadisca dietro di loro. Così era Atene, la mia adorata, dopo due anni di memorandum.

Con un po’ di ansia e di paura per cosa avrei dovuto vedere nel quartiere che era stato “il mio” più di qualunque altro prima, mi sono avviata verso Exarchia, lungo via Akadimias, poi risalendo Zoodochou Pigis fino a via Koletti.

Girato l’angolo un’emozione fortissima di consuetudine mi ha fatto sciogliere in un sorriso, come quando, dopo un viaggio, si torna a casa. Tutti i tavolini esterni dei bar erano occupati da compagnie di ragazzi. Come sempre il colore prevalente era il nero, e dai locali usciva il suono della musica. Graffiti e manifesti ovunque. La vita continuava, Exarchia resisteva a suo modo, mostrandosi sempre uguale a se stessa, sempre diversa dal resto.

Kostas Aggelidakis, il più caro amico di Kostas Vasiropoulos e suo compagno di studi a

Parigi mi ha raccontato del perché amasse Exarchia e avesse deciso di andare a viverci.

La cosa che per me era molto piacevole era che ci fossero molti giovani e c’erano anche servizi adatti per questo, per esempio negozi, stekia, negozi che avevano dei prodotti inusuali, poi c’erano negozi di dischi che non ci sono più da nessun altra parte. Poi c’erano case editrici, e ovviamente locali dove si poteva mangiare, bar eccetera. E comunque con tutto questo noi avevamo già contatti anche durante il periodo della dittatura e del Politechnio, quel periodo però era una zona molto tranquilla, cosi direi, e

187 comunque quel periodo io non andavo da quelle parti. (…) avevo vissuto a Parigi, avevo bisogno di questo tipo di cose qua (…) Lo vedo come uno dei pochi quartieri che rappresenta ciò che chiamiamo la metropoli, uno spazio centrale ed urbano, però con il significato che ha questo per le città europee, che hanno spazi per tutti gli usi, anche per usi inusuali che non avvengono in altre città ma neanche in altri quartieri di Atene. (intervista n°6, 12 novembre 2013 con Kostas Aggelidakis)

Gran parte del cambiamento che ha investito il quartiere verso l’inizio degli anni ’80, che ha portato Exarchia a configurarsi come un vero e proprio centro cittadino e non più come (o solo come) una roccaforte isolata, è stato l’inizio dello spostamento di gran parte degli abitanti del centro verso i nuovi sobborghi del nord della città12. «In questo modo si è svuotato dagli abitanti il centro e si prestava per usi diversi, in questo modo un quartiere come

Exarchia ha attirato anche persone come me», ha continuato a raccontarmi Kostas

Aggelidakis.

Perché per esempio gli anni ‘70 che c’era ancora la dittatura, ad Exarchia c’erano ancora i vecchi abitanti, i borghesi e naturalmente persone che frequentavano le case editrici , scrittori, artisti soprattutto scrittori che si esprimevano in questo spazio e i quali si ritengono loro stessi Exarchiotes, abitanti del quartiere. Però è dagli anni Ottanta che sono cominciati i cambiamenti, perché come ti ho già detto hanno cominciato ad andare via. (intervista n°5, 12 novembre 2013 con Kostas Aggelidakis)

12 «I quartieri a nord avevano la caratteristica, come Kifissia ad esempio, di essere zone di seconde case per fasce sociali ad alto reddito, diciamo, e per qualcuno potevano diventare anche l'abitazione principale, e hanno cominciato dagli anni '80 a riempirsi e a crearsi... lo vedi dall'età degli edifici... Le palazzine, per dire, hanno cominciato... già dal '70 direi, ma a formarsi e a radunare queste classi sociali in appartamenti più belli, più nuovi e moderni. (…) Erano zone che non avevano altri usi, gli usi in queste zone hanno cominciato a concentrarsi intorno centro commerciale per esempio. Diversa l'evoluzione di zone più popolari come i quartieri a ovest che avevano una struttura di città, con un centro classico, le strade, i negozi... come nelle città della periferia, ma città diciamo, non come nei sobborghi che hai la zona residenziale e poi gli spazi commerciali concentrati lì vicino.» (intervista n°5, 12 novembre 2014 con Kostas Aggelidakis).

188 Questo cambiamento, però, che allora era solo all’inizio, non ha incontrato il favore di tutti coloro i quali avevano scelto di vivere a Exarchia. Come mi ha detto infatti Salomi

Chatzivasileiou, un’urbanista che insegna al politecnico presentatami da Kostas Variropoulos, quando sono andata a trovarla nel grazioso appartamento in cui vive con suo marito, al secondo piano di una palazzina blu in via Ippokratous a Neapoli, che rappresenta perfettamente il tipo di abitazione che era stata pensata per la costruzione di questa parte di città:

Io sono venuta ad abitare qui, in questo appartamento che si trova in via Ippokratous 161 A e Vatazi negli anni ottanta, nel 1980. Questo è un palazzo del periodo del primo dopoguerra che è stato costruito nel 1934. Al pianoterra ci sono negozi e poi ci sono tre piani di residenze. Ad ogni piano ci sono due appartamenti, approssimativamente di 61 mq ognuno. Quando io sono venuta qui, era... meglio dire questa casa me l’ha trovata una signora che abita accanto e che era... è la madre di un amico... e poiché io cercavo una casa, ci ha detto che questa qui si affittava. Era il periodo in cui gli abitanti di Exarchia abbandonavano le loro case e andavano ad abitare nei quartieri della parte nord di Atene perché qui da una parte trafficava la droga e dall’altra... eh... perché andava di moda... andare ad abitare verso i quartieri settentrionali. In quel periodo, il valore degli appartamenti del centro... era molto più basso, rispetto a quello degli appartamenti dei quartieri settentrionali. (…)Allora i prezzi erano molto più bassi, immagina che si poteva comprare una casa neoclassica nella zona di Exarchia allo stesso prezzo di un appartamento ad Agia Paraskevi. Così, coloro che erano coscienti della situazione e volevano vivere nel centro, nel caso in cui avevano i soldi... (…)... hanno comprato una casa qui. Quindi, alcuni miei colleghi, anzi molti, hanno qui le loro case, mentre altri se ne sono andati e abitano nella parte settentrionale di Atene. Questo, ha avuto molte conseguenze negative, soprattutto riguardanti la qualità dei negozi.

189 C’erano negozi dove fino all’ ’80 si vendeva…piuttosto fino all’ 85...si vendevano formaggi buoni, c’erano negozi in cui si poteva comprare dei formaggini, dei salamini, insomma prodotti di ottima qualità... (…) e ora hanno chiuso. E se ne sono andati e così man mano la zona ha cominciato a essere priva di molte... di quelle caratteristiche del passato, diciamo. (…)Nella zona c’è un limite... altrimenti, fra un po’ di tempo, la zona sarà piena di bar o di ristoranti. Ma, una zona residenziale non è così; in una zona residenziale c’è il negozio di alimentari, il fruttivendolo, il macellaio... non c’è bisogno che... tutta Atene diventi luogo di divertimento; la zona di Thiseio è cambiata in peggio. Lo stesso a Keramikos, e sta per succedere in modo simile a Exarchia. Questa storia deve avere una fine. E di solito, il permesso di questi luoghi di divertimento, è un permesso per libreria. Così è successo con il Vox (adesso uno spazio occupato in piazza Exarchion, ma prima un kafeneio, ndr), come anche con Floral (il Floral, come vedremo bene più avanti, è uno storico cafè del quartiere. Ha effettivamente una libreria, al suo interno, ma non ho capito, dato il suo valore di locale storico, perché la mia interlocutrice lo ponesse in relazione coi nuovi “luoghi di intrattenimento”, ndr). E’ bene, in un modo, che gli abitanti delle case vicine resistano, se non resistono si perde tutto. Ci vogliono delle mobilitazioni massicce. Basta che se ne interessino sempre più persone. Il loro interesse non deve essere concentrato solo... al valore del loro appartamento. Che si interessino del valore della loro vita. A questo, non pensano. Se i prezzi degli immobili aumenteranno, ecco un buon argomento da pensare. Sai, questo palazzo (mi mostra la foto di un palazzo neoclassico su via Methonis, ndr), l’ha comprato un investitore... ha distrutto tutti i pavimenti. Ha tolto i camini dalla cucina, li ha sostituiti mettendo assorbitori. Non c’è cultura, figliola, non c’è educazione, cultura. Chi ha soldi, fa quello che vuole, senza essere controllato da nessuno. (intervista n°4, 25 luglio 2013 con Salomi Chatzivasileiou)

Nella nostra conversazione, diverse volte Salomi è tornata sulla necessità di preservare

Exarchia da un’involuzione, ma sarebbe meglio dire una “normativizzazione”, verso cui il

190 quartiere sta andando, anche senza l’intervento istituzionale sullo spazio. È un problema sul quale, accecata dall’amore per quel luogo che mi sembrava essere comunque un a-sé spaziale, non mi ero mai soffermata troppo.13

4. Droit à la ville

The right to the city is far more than the individual liberty to access urban resources: it is a right to change ourselves by changing the city. It is, moreover, a common rather than an individual right since this transformation inevitably depends upon the exercise of a collective power to reshape the processes of urbanization. The freedom to make and remake our cities and ourselves is, I want to argue, one of the most precious yet most neglected of our human rights.

David Harvey, The right to the city

In effetti, fermarsi a considerare Exarchia come una semplice “eccezione urbana”, un luogo nel quale le norme consuete della vita urbana ateniese siano stravolte, senza problematizzare questa condizione, rischia di dare del luogo di cui parliamo una percezione distorta.

13 C’è da dire per altro, a questo proposito, che questa condizione, nelle circostanze attuali di crisi ha preso dei contorni diversi e meno radicalmente negativi. Come infatti mi ha fatto notare Kostas Aggelidakis: «…all’inizio della crisi, che era una crisi soprattutto per i giovani, che si sono trovati a non poter fare tante cose che magari progettavano di fare. Tutti quindi si sono orientati verso la soluzione di aprire qualche locale, magari più insieme, quindi cose di questo genere. Come aprono, chiudono, per esempio vai in certe zone che si stanno evolvendo adesso ed è pieno di gente, aprono in continuazione locali», anche se poi mette in evidenza che « però anche questo non è… intendo dire a breve non sarà più uno sbocco valido. Spesso poi tutti questi locali magari diventano proprietà di una persona» (intervista n°5, 12 novembre 2014 con Kostas Aggelidakis).

191 Non è soltanto un luogo di alterità (le cui ragioni simboliche spiegheremo tra un attimo), ma un terreno di conflitto tra due percezioni diverse e antitetiche sulla fruizione dello spazio urbano.

Salomi: (…)l’immagine della zona è cambiata molto recentemente. Però bada, in tutti questi ultimi anni si è cercato tanto di... fare in modo che lo status predominante del tipo residenziale nella zona di Exarchia cambiasse. Il primo tentativo è stato quello della riqualificazione della zona; c’erano… sono stati proposti vari studi sulla riqualificazione del centro di Atene, prima per quanto riguarda Plaka, dove si è stati costretti ad abbandonare tutti i negozi e quindi la situazione è cambiata, Plaka ha oggi un altro aspetto... Poi si è passati alla zona di Psiri... e subito dopo sono stati proposti vari studi su come riqualificare il centro di Atene, Piazza Omonia, piazza Vathi, Metaxourgheio, le zone di Aghios Pavlos, di Aghios Panteleimon, Ilissia, Neapoli qua vicino e, la zona di Exarchia inclusa. Si pensava che così, molta gente si spostasse, venendo ad abitare in quelle zone... Con una somma di denaro…

Anna: Gentrification.

Salomi: Gentrification, esatto. Riqualificazione allora. Sì. Allora si cercava di mettere in atto questa “gentrification”. Come dappertutto, la gentrification presenta le stesse caratteristiche... che vadano via i poveri, che vengano i ricchi, questo. Non si è realizzato a Exarchia e a Exarchia non può passare. E non può passare perché ogni generazione che viene qua, bada che la casa che lascerà, vada nelle mani di qualche persona a lui vicina. Be’, e così i proprietari delle case cambiano appunto in questo modo e di conseguenza un conoscente di un abitante di Exarchia appartiene allo stesso gruppo per quanto riguarda la mentalità o la classe sociale... conseguentemente il carattere della zona rimane

192 inalterato. Questo da un lato; d’altra parte, quale famiglia con due bambini verrebbe ad abitare a Exarchia, diciamo. Non lo farà, e non lo farà perché non c’è spazio. I balconcini sono delle dimensioni di un metro circa, le strade sono strette... (…) mancanza di verde e così via. Quindi, non è conveniente per una famiglia piccolo borghese venire ad abitare qua. Il che rende impossibile realizzare ciò che è stato progettato. (intervista n°4, 25 luglio 2014 con Salomi Chatzivasileiou)

Ci sono chiaramente delle ragioni storiche che hanno portato Exarchia ad essere un luogo di questo genere, denso.

Anna: E durante la dittatura, che ruolo ha giocato il quartiere di Exarchia?

Yiannis: Un ruolo molto importante! Era come ti dicevo un luogo di ritrovo, io l’ho vissuto così per pochi giorni, perché i primi anni ’67, ’68 finchè sono stato arrestato all’inizio del ’69 non c’erano movimenti visibili. Lo facevano molto di nascosto. Dagli anni ’70 in poi che ha cominciato a rilassarsi la situazione e hanno cominciato le persone parlare un po’ più liberamente. Era in platia Exarchion, e al “Tsaf” (caffetteria all’angolo tra via Tsamadou e piazza Exarchion, ndr) il ritrovo. C’erano le taverne di “Fonta”, “Lefka”, “Durios”.

Anna: e dove erano questi posti?

Yiannis: Lefka era in via Mavromichali.. Mavromichali e Voulgaroktoni (in quegli anni non c’erano bar. C’erano le taverne, dove all’inizio andavano i vecchi, e dove i giovani hanno cominciato ad andare in quell’epoca, ndr), i bar a quell’epoca erano sono locali per soli uomini, con ragazze… di bar ce n’erano solo un paio in tutta Atene, tipo american bar. Il resto erano tutti kafeneia e taverne. I primi bar come li intendiamo adesso sono cominciati verso la metà degli anni ’70. Il primo è stato a Kolonaki, il

193 Radka, che allora si chiamava Montparnasse, una cosa molto “underground” per la città. Noi andavamo da Fondas, andavamo, e diventavamo tutti una compagnia e cantavamo le canzoni che erano vietate. Durios era in via Koletti, dove c’è ancora, una piccola taverna, che scende un po’ sotto il livello della strada, che ha una terrazza al piano di sopra adesso. Prima non c’era la terrazza, c’era solo il sotto.

Nikolakis: Mantenevano viva la situazione!

Yiannis: Erano ritrovi di studenti. Dove avvenivano i contatti, “tra le pere e il formaggio”, tra una braciola e un piatto di pasta…

Anna: E da questa situazione com’è scaturita la rivolta del Politecnico?

Yiannis: Questo è stato un processo molto più vasto, che è cominciato da questi gruppi, ma anche parallelamente nelle scuole. Era insomma al di là dei contatti che c’erano di qua e di là nelle taverne di Exarchia, hanno cominciato a crearsi verso la fine del ’72, siccome i comitati studenteschi erano manovrati dalla dittatura e i leader erano stabiliti da essa, e in ogni facoltà c’erano poliziotti in borghese; il rettore (non esattamente, era un ufficiale designato dai colonnelli, ndr) di ogni università era un generale dell’esercito, in pensione o in servizio. Lui decideva per le questioni. E gli studenti pensarono, non so chi tra tutti ebbe questa brillante idea, di organizzarsi in comitati locali, che era molto più facile e meglio gestibile. Erano comitati illegali, che non risultavano da nessuna parte, ma erano comitati. E quindi in questo processo quando questi si radunavano erano in grado di creare rete e organizzare l’occupazione di una facoltà. Ce ne sono state due qua alla facoltà di legge. La prima e la seconda mi pare se non sbaglio. E una al politecnico che è successo che il preside ha aperto alla polizia. E all’interno di questa rete abbiamo deciso di occupare la scuola di legge. Una volta è stata una cosa piccola che non ha contato

194 molto, e l’altra che invece è stata massiccia ed è durata due giorni. Era durante la dittatura.. (intervista n°9, 30 gennaio 2014 con Yiannis Felekis)

Dopo la rivolta del politecnico del ’73, dunque, e con l’arrivo dei primi locali anche di musica dal vivo, Exarchia comincia ad assumere le caratteristiche con le quali la si conosce ancora.

L’aspetto della zona è cominciato a cambiare verso la fine degli anni ’80, inizio degli anni ’90. La piazza è ormai piena di. .. cioè anni fa Exarchia era una zona residenziale, c’erano dei negozi, nel senso di negozi di alimentari eccetera, c’erano delle taverne, o ristoranti, per chi non cucina a casa, e i bar erano pochissimi. Meno di dieci, in tutta la zona. Potrebbe darsi che ce ne fossero solo cinque. I proprietari di quei bar, erano persone ideologicamente di sinistra, o anche anarchici. (…) Ne sono rimasti pochissimi, ad esempio “Paraskinio”, dall’ ’83, in via Kallidromiou; quello che si trova accanto appartiene allo stesso proprietario, prima era gestito da un collettivo e oggi è un’impresa. Questi sono i bar vecchi, di fronte c’è una taverna… (…) Allora, di fronte c’è una taverna, i proprietari sono andati in pensione, adesso la taverna è sotto una direzione nuova. Questi nuovi proprietari erano studenti universitari che, dopo gli studi non hanno potuto trovare un lavoro nel settore pubblico a causa del loro orientamento politico e hanno incontrato molte difficoltà. Questo, prima del Politecnico, ormai loro hanno sessantacinque anni. E questo era in generale il profilo di tutti i proprietari di bar qui. Poi, in piazza sono apparsi nuovi caffé. Pian piano, l’aspetto è cambiato. Ed è arrivato ad essere un posto dove... ad Atene, Exarchia è la zona che viene frequentata da giovani14. (Intervista n° 7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

La particolarità di questo luogo, come ho spesso cercato di spiegare alle persone che, pur avendone sentito parlare, non c’erano mai state, non sta tanto, però, nel suo retaggio storico.

14 E poi aggiunge un po’ scettico: «però ormai è una zona di consumo».

195 Non è, questo, un luogo della memoria, ma piuttosto un luogo, come vedremo più avanti, dove le pratiche quotidiane (influenzate e modellate dal processo storico) determinano un certo tipo di modo di vivere lo spazio ed il tempo.

In particolare mi riferisco alle reti sociali autorganizzate che attraversano e fanno vivere il quartiere.

Quando io sono tornata a Exarchia, dato che non ho sempre vissuto qui, nel 2000, ero così felice, tutto sembrava positivo e ho pensato che se doveva cambiare qualcosa in questo paese solo ad Exarchia poteva succedere. Vedevi che succedevano tante cose tutte intorno, esperimenti, mercatini, si realizzavano progetti interessanti e vitali: movimenti tra gli abitanti, assemblee su varie tematiche. È sempre stato uno dei luoghi più vivi di Atene e che si distingueva fino ad un certo momento, c'è sempre stato spazio per i migranti, spazio per gli anarchici, ci sono le occupazioni, erano riuniti molti luoghi di opposizione, che adesso pian piano stanno diminuendo e si stanno indebolendo (Intervista n°3, 8 luglio 2013 con Elli Botonaki), mi ha raccontato Elli, un’abitante del quartiere di circa sessant’anni originaria di Creta, tornata a Exarchia dove aveva già vissuto a lungo dopo una permanenza di alcuni anni altrove, che ho conosciuto alle assemblee del Parko Navarinou e con la quale ho fatto quasi da subito una grande amicizia.

Questo sentimento che Exarchia faccia davvero la differenza rispetto al resto della città, lo si può vedere rispetto al tipo di educazione che ricevono i bambini nella scuola elementare del quartiere, che è senza dubbio influenzata dal resto dell’ambiente circostante. Christina,

196 un’altra partecipante alle assemblee del parco, mi ha raccontato di queste iniziative che lei segue come genitore:

Siccome questa è una scuola con un grande numero di ragazzi migranti e si trova in un luogo centrale di Exarchia, noi abbiamo costruito un’assemblea e lavoriamo abbastanza a scuola impegnandoci perché ci sia uno scambio tra le persone, in qualche modo. Facciamo… è anche una scuola molto buona, ci sono dei bravi insegnanti, e dei programmi interessanti. Ci sono insegnanti che portano avanti un programma scolastico che comprende elementi di prevenzione della salute, o temi riguardanti il razzismo e la xenofobia in collaborazione con il coordinamento dei rifugiati, e diversi altri, con l’uso di libri particolari, esce anche un giornalino scolastico negli ultimo cinque anni… e ogni volta si vede nel giornale tutto il lavoro che si fa durante l’anno. Adesso uscirà l’ultimo numero… e noi, come assemblea genitori, abbiamo aiutato moltissimo: siamo riusciti a costruire una biblioteca, abbiamo procurato dei tavoli e una cucina con il secchiaio, quindi i ragazzi… è un po’, quando mangiano durante il tempo pieno, come una cucina collettiva15. Facciamo iniziative, facciamo una gita alla fine dell’anno con una quota davvero minima di partecipazione, tipo due euro, paga l’assemblea il resto. Noi i soldi li troviamo dai mercatini che facciamo. Facciamo ad esempio un mercatino di natale con cose fatte a mano dai genitori e le vendiamo in piazza Exarchion, in genere un sabato di dicembre; facciamo girare le locandine, e quindi è così che racimoliamo soldi anche per le iscrizioni che qualcuno può non poter pagare, magari è disoccupato o povero… e quindi a scuola facciamo un lavoro che, ecco, per noi è molto importante per i ragazzi perché dà molto l’idea di un gruppo. E quindi ad esempio non abbiamo

15 Le “cucine collettive”, sillogikes kouzines, sono un tipo di iniziativa solidale molto diffusa nel quartiere. Ogni spazio autogestito ne ha una che organizza pasti, generalmente su offerta libera, generalmente una volta alla settimana. Sono un modo per venire incontro alle esigenze alimentari di chi ha pochi soldi per fare la spesa, o non dispone di una cucina (come i senzatetto, i migranti, o le persone che adesso soffrono le difficoltà della crisi), ma è anche un modo per trovarsi insieme ai “compagni” e agli amici e mangiare insieme discutendo e scambiandosi idee e pensieri. Non è raro che le cucine collettive cucinino per le iniziative e le grandi mobilitazioni sociali, come erano l’acampada di piazza Syntagma nel 2010, il presidio permanente sotto la sede della ERT occupata nel giugno del 2013, o il presidio delle donne delle pulizie dei ministeri licenziate di pochi mesi fa. Inoltre prestano gli spazi e aiutano nella preparazione dei pasti per iniziative politiche come, ad esempio, i concerti di autofinanziamento per progetti politici o i benefit per i detenuti politici.

197 problemi di razzismo o cose simili… perché abbiamo a scuola venti etnie diverse, sì, quindi abbiamo bambini dal Pakistan, dalle Filippine, dalla Cina, dall’Albania, ovviamente, dalla Romania, Georgia… non me le ricordo tutte… sono tantissimi paesi! (…) Ci sono circa 100 bambini a scuola… vabè, non partecipano tutti i genitori, ma molti partecipano. E l’obiettivo per noi è che partecipino all’assemblea anche genitori che sono migranti. Ce ne sono dall’Ucraina, dall’Albania, dalla Georgia… quindi partecipano. Sì, è molto buono. Questo è una conquista. Perché la prima volta che ci sono andata non partecipavano! Abbiamo invece costruito un nucleo di genitori affiatati da diversi paesi, e questo ci fa moltissimo piacere. Ovviamente c’è ancora molto lavoro da fare…(Intervista n°1, 20 maggio 2013 con Christina)

Ho notato tra gli abitanti una “naturale” propensione ad un certo tipo di pratiche, che prescinde dalla comune concezione di esse come “sovversive”, “illegali” o “estreme”. Una di queste, è la pratica dell’occupazione (un esempio della placida accettazione di questa pratica, come vedremo, è il Parko Navarinou):

Salomi: Negli anni ottanta c’erano moltissime occupazioni nella zona, contrariamente ad oggi.

Anna: Oggi, perché non ci sono?

Salomi: Non ci sono. E questo è terribile perché oggigiorno, in un periodo in cui il problema dell’alloggio è tanto grave, è assurdo che non... che non ci siano occupazioni. (…) Voglio dire, per quale motivo la gente deve alloggiare per strada, mentre nello stesso tempo ci sono tante case vuote, non capisco la ragione per l’esistenza di questo fenomeno, diciamo. Però non si fa delle mobilitazioni contro questo fenomeno. Diversamente da allora, dal periodo degli anni ’80 in cui le occupazioni erano tante... e si può dire che molte di quelle durano fino ad oggi. (Intervista n°4, 25 luglio 2014 con Salomi Chatzivasileiou)

198 Questo tipo di pratiche, nei discorsi di molti abitanti, non rientra tra quelle che nell’immaginario comune sono considerate “tipiche pratiche degli anarchici”16, le quali anzi vengono viste come pratiche di disturbo che non hanno a che vedere con chi pratica attivamente i principi dell’autogestione.

Quel che succede di solito è che le sere dei venerdì o del sabato, ci sono da una parte quelli che cercano di provocare e dall’altra gli sbirri. Tutti insieme giocano a “ladri e poliziotti”, chiamiamolo così... fra la squadra dei “ladri” possono esserci anche degli sbirri; te lo dico perché non si vede mai le stesse persone, ecco... (Intervista n°4, 25 luglio 2013 con Salomi Chatzivasileiou)

Alcuni in certi periodi appaiono e bruciano delle macchine, questa non è una casualità, se c’è un attacco alla klouva (corriera della polizia antisommossa, ndr), che sta là del PASOK, vuol dire che questo qualcuno lo organizza, me lo dice la logica, c'è la possibilità che un ragazzo di vent'anni da solo decida di radunarsi con cinque amici? Avrebbe paura in primo luogo. Può un ragazzo dire ad altri cinque di incappucciarsi per andare ad attaccare la klouva? Io tremerei, perché penserebbero a se li prendessero, vuol dire che non hanno paura che li prendano e qualcuno si organizza in modo che non vengano presi, come posso dire... (Intervista n°10, 31 gennaio 2014 con Fotini Giannopoulou)

C’è da dire a questo proposito che ho notato una sorta di “scontro generazionale” tra gli stessi abitanti, o comunque tra coloro i quali vivono il quartiere, appartenenti a generazioni diverse.

Da un lato è abbastanza verosimile che i più giovani siano meno impressionati dalle pratiche, anche violente, di azione diretta e siano meno portati immediatamente a pensare queste azioni

16 Gli scontri con la polizia, il lancio di sassi o di molotov, che vengono però, se non condivise, quantomeno giustificate quando vi è un palese attacco da parte della polizia nel quartiere, vissuto come una provocazione all’identità del luogo.

199 come “manovrate” rispetto agli abitanti più anziani; dall’altro c’è proprio una modalità di approccio all’autorganizzazione concepita in modo differente. Tra le due vi è un rapporto molto difficile che passa comunque, continuamente, attraverso negoziazione: difficilmente arrivano a collidere apertamente.

La coscienza del tipo di relazione informale che predilige l’autorganizzazione, ma non immediatamente legata agli ambienti politici, mi è parsa molto viva nella generazione dei

“quarantenni in su”, con i quali ho avuto a che fare in questi mesi, piuttosto che nelle generazioni più giovani17, generalmente più impegnate nei gruppi e nei collettivi che si rifanno più esplicitamente a matrici politiche.

Non dipende affatto, ho avuto modo di verificare, da una sorta di indifferenza storica, quanto più da una diversa organizzazione di queste pratiche. È stato Thodoris Zeis a chiarirmi bene questa percezione.

17 Salomi: «Molti fra quelli che si sono occupati più di me del parco di via Navarinou, sono amici miei, professori della Facoltà di Architettura, come ancora molta gente della zona; hai capito? Però, i più giovani, purtroppo, non possono capire quanto è importante... quando si lotta, non si deve farlo in un solo modo. (…)Tutte le volte cioè che ho parlato con quegli studenti della Facoltà che si interessano al parco di Navarinou, mi dicono: “Per noi, quello che è importante è il parco.” D’accordo, ma, gli ho detto: “Bene, succederà qualcosa in agosto, quando mancherete tutti, ci sarà un blitz e addio parco.” Le cose non sono così. Non capiscono; e non è l’unica cosa che non capiscono. Ad esempio il problema dell’asilo diciamo, alle università, per noi più “vecchi” è un aspetto molto importante, invece per i più giovani... loro considerano solo il traffico delle idee, che avviene ormai tramite il nuovo spazio pubblico chiamato internet, e il fatto che si possa avere un traffico di idee libero tramite questo mezzo, come se fosse abbastanza e che non ci sia bisogno dell’asilo universitario. E’ un dibattito che... » Anna: «E’strano, perché in Italia invece ha fatto impressione il fatto che ci fosse, e che adesso non ci sia più. (…) E quando parlo con alcuni conoscenti qui, mostrano una certa indifferenza.» Salomi: «Sì, questo è il problema della nuova generazione, anche se io... per tutto il periodo in cui sono stata nella Facoltà... noi abbiamo avuto molti contatti in proposito... e non solo io, molti miei coetanei... ci sono dei dialoghi nel forum della Facoltà di Architettura su questi argomenti, non... molto difficilmente, non so per quale motivo, la nuova generazione non lo può capire. Personalmente non posso capire come pensano perché noi abbiamo vissuto la dittatura quando eravamo giovani, giovanissimi; ci cacciavano... tutt’altra cosa, sappiamo bene che cosa vuol dire non avere appoggio in nessuna parte.».

200 In questa zona qui c’era un contesto sociale tradizionale di solidarietà, anche perchè quelli della generazione del Politecnico, come li chiamiamo qui, hanno una solidarietà molto sentita tra di loro. Ecco, conosci Yannis Felekis? Lui è una figura caratteristica di Exarchia; ha ormai settant’anni. Trotskista. Porta un berretto di Che Guevara. Aveva una vecchia moto, una BMW. Quando una volta era guasta, la comunità di allora, ha fatto la colletta e gli ha comprato una moto nuova. Oppure oggi, se si ammala, si incaricheranno delle spese per l’ospedale. La comunità è la sua sicurezza. C’è un supporto reciproco ancora oggi. Questo una volta si ripeteva quando serviva per tutti i membri del gruppo dei “vecchi”. Attualmente si fa ma in un altro modo, più visibile, più organizzato e meno spontaneo. Anche a livello politico, gli ambulatori sociali, le strutture alternative, sono cose che si organizzano e si rivolgono alla grande massa della gente. Al contrario, prima la cosa era più silenziosa, ma riguardava dei legami, visibili da noi. Oggi questo non c’è. E’ mediato dalla... si passa per una soglia, vale a dire sei povero e andrai all’ambulatorio medico sociale. Non sei quello di Sinistra, l’anarchico che per un tuo problema ti saresti rivolto alla comunità affinché ti aiutasse. E’ qualcosa di meno spontaneo che viene gestito da altri tipi di reti di solidarietà, più visibili, più organizzate, più... (…) Più ideologiche18. (Intevista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

Uno degli esempi più evidenti di questo “conflitto” interno è rappresentato dai punk.

Salvo derive apolitiche e qualunquiste, il punk è un movimento controculturale tutt’altro che banale nato in Inghilterra, che ha segnato in maniera notevole e si è fortemente intrecciato con i movimenti libertari e antiautoritari di tutta Europa almeno dalla fine degli anni ’80. La

18 Rispetto a questo un altro elemento emblematico riguarda come, nel quartiere, erano accettati i senzatetto: «Quando venivano i... diciamo così, i senzatetto dell’epoca... anche se erano “adottati” dai vicini, loro erano... avevano nomi, li conoscevano; c’era per esempio una signora anziana con la gobba che dava da mangiare ai gatti... e andava a mangiare normalmente al ristorante gratis. La trattavano come un cliente normale. “Cosa desidera oggi, signora Froso?” “Mi prepari questa, oggi mangerò un po’ di carne” ... tutto normale. Ma oggi si fa difficilmente, magari ti daranno una porzione in un recipiente di plastica... molto difficilmente... e...» (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis).

201 Grecia, in questo, non fa eccezione. Il motivo di questa affinità risiede nelle pratiche di organizzazione dei concerti e nel modo di intendere la musica:

Diciamo quindi l’autogestione della musica, e in particolare in Grecia

rispetto ad altri paesi dove hanno pure una scena musicale DIY19, ha una forte caratterizzazione politica. Almeno dalla fine degli anni ’80 in poi, quando sono cominciati i concerti autogestiti e molti gruppi suonavano, già dagli anni ’80, nelle occupazioni come quella della facoltà di chimica, dopo le manifestazioni del 17 novembre.. cominciavano a suonare musica, ma mantenendo una linea decisamente politicizzata… linea… un target più chiaramente politicizzato che è cominciato credo alla fine degli anni ’80, con le occupazioni, soprattutto con Villa Amalias che è cominciata allora, su via Amalias e poi all’incrocio tra via Acharnon e via Heiden, perché lì ha cominciato a diventare centrale non solo la preparazione dei concerti ma anche …. E delle strutture, nel senso anche dell’espressione come anti- cultura, ma anche soprattutto che cominciasse ad esserci un… diciamo che

19 DIY è una sigla che significa “Do It Yourself”. Il movimento (o meglio scena) DIY è internazionale e si riferisce ad uno specifico modo di intendere i live e le esibizioni in generale. I musicisti, il pubblico, i tecnici e gli organizzatori non sono entità distinte, ma orizzontalmente collaborano per la riuscita dell’evento, e spesso sono le stesse persone. Viene elusa qualunque figura di “direttore artistico” o di “esperto” per arrivare ad una gestione assembleare e autogestita del live. «Era questa la questione principale, che sei sia musicista, sia tecnico del suono, sia nella preparazione proprio del concerto in tanti modi diversi… dal punto di vista tecnico, alla sicurezza (sempre negli spazi occupati, come nei concerti organizzati negli spazi all’aperto c’è un gruppo di persone che si occupa di controllare che non ci siano irruzioni di fascisti o di polizia, ndr), niente ti distingue dagli altri che sono lì quando suoni, e questo è ancora una parte molto importante, almeno in Grecia» (intervista n°8, 21 dicembre 2013 con Vangelis Dimos). L’idea che sta alla base del DIY è che la musica è una forma espressiva di sé e della propria visione del mondo, non un’industria commerciale per l’intrattenimento. « e continuando su questo tema della non commercialità e dei locali c’è anche la questione che non ci sia un biglietto di ingresso o “face control”, buttafuori vari (bravilikia) e tutto questo… tutta questa filosofia che si trova nei locali e nel loro modo di funzionare. Quindi che non ci sia un prezzo per i concerti, che ci sia piuttosto una scatola per le offerte… ci sono collettivi che non mettono un prezzo neppure al bar, anche il bar funziona con l’offerta libera, e ci sono ancora dei collettivi che nelle manifestazioni quando riescono ad organizzarle, sia di teatro che di musica che di altre cose decidono che non ci sia neppure il bar. Che non ci sia quindi nessuna logica commerciale.. nessuno scambio in denaro in assoluto, almeno per la durata dello spettacolo… come una piccola oasi diciamo nella quotidianità capitalistica e profondamente intaccata dallo scambio economico» (intervista n°8, 21 dicembre 2013 con Vangelis Dimos). Questo fa si che chi fa parte di questo movimento si impegni in prima persona per produrre la sua stessa musica o per organizzare eventi in cui questa musica viene suonata. Non esiste in questo processo nessuno scambio economico, né nessun intento lucrativo, se non quello (uno dei motivi principali per cui i concerti vengono organizzati) per raccogliere fondi per autofinanziare la scena stessa o benefit per alcune cause particolari di interesse politico, generalmente progetti sociali nuovi, la copertura delle spese legali per gli attivisti in prigione, o quelle mediche per attivisti vittime della violenza della polizia. In Grecia la scena DIY nasce ad Atene intorno all’occupazione Villa Amalias del 1992, sgomberata solo nel dicembre del 2013, e con questa il luogo d’espressione più importante per questo movimento è il Politecnico di via Sturnari a Exarchia.

202 cominciasse con la musica e poi che andasse verso altre forme.. perché sai, era.. la musica porta sempre le persone ad avvicinarsi, quindi aiuta una tendenza di questo tipo, parlando di autogestione… A partire da ciò, quando parliamo di un ambiente politicizzato, sicuramente ha giocato un ruolo importante la logica anti-autoritaria e anarchica e il carattere non lucrativo delle manifestazioni che continuano ad essere tali, il cui scopo era prevalentemente ciò che dicevamo prima dell’essere completamente autogestite e l’abolizione completa della logica dello spettacolo e dell’arte musicale convenzionale sul palco una presa di posizione netta contro la commercialità e la commercializzazione di questi contesti, quindi una scena che fosse del tutto fuori da queste logiche, che non ci fosse scambio economico di denaro…(Intervista n°8, 21 dicembre 2013 con Vangelis Dimos)

In particolare quindi c’è una continuità tra le due pratiche: quella dell’autogestione politica in senso più stretto e quella di un’autorganizzazione che, invece di essere schiettamente politica, si dà con le modalità espressive della musica.

La cosa importante per i concerti che si fanno al politecnico, visto che parliamo di Exarchia, (…) era che sono luoghi di incontro per persone, collettivi, persone che non si vedono da tanto, persone che devono discutere cose.. in genere i concerti erano manifestazioni in cui le persone erano in fermento, e lo sono ancora… dalla formazione di un nuovo collettivo, alla formazione di un nuovo gruppo … in qualche modo si intrecciano queste due cose. Si sperimenta, si dà progettualità, confronto, ma ci sono anche incontri di persone che non si vedono sempre, complicità… sono sicuramente importantissimi per l’ambiente (anarchico, ndr) i concerti, anche se qualcuno si ostina a dire che serve maggiore preparazione e che si può fare tranquillamente una manifestazione meno complessa o una festa, una discussione prima di una presentazione… ma il concerto aiuta il movimento a più livelli. Penso, e molti altri lo pensano credo, ed è emerso anche dai rapporti, che la polizia ritiene i live, i concerti, estremamente importanti, a livello di organizzazione delle azioni del movimento antiautoritario. Quindi

203 che si incontrino persone e si accordino per azioni, iniziative, si costituiscano gruppi è molto più complesso che semplicemente andare a sentire un gruppo e a goderti la loro musica, diciamo. (Intervista n°8, 21 dicembre 2013 con Vangelis Dimos)

Si capisce, dunque, che, non riducibile alla percezione comune di un gruppo di giovani vestiti di cenci maleodoranti, questo è piuttosto un “fenomeno”, chiaramente di costume, ma intriso di una percezione “politica” ben precisa del mondo20.

Ora, se lasciamo per un attimo lo spazio, estremamente complesso, della piazza, che guarderemo almeno in uno dei suoi aspetti più problematici tra un attimo, ci sono due luoghi del quartiere che per diversi anni hanno funzionato come ritrovo per coloro i quali si riconoscevano in questa scena. Entrambi i luoghi sono strade pedonali del quartiere, con alcuni bar nelle vicinanze, non lontani dalla piazza, ma geograficamente ben separati da essa.

La prima strada pedonale è via Mesologiou, che connette via Koletti a via Metaxa21.

Dopo ripetuti blitz della polizia, alcune tensioni con i tifosi dell’AEK che hanno la loro sede lì vicino e con l’esaurirsi spontaneo dell’entusiasmo per quel luogo, più o meno le stesse persone si sono spostate di un paio di strade più in alto, in una pedonale perpendicolare a questa: via Valtetsiou.

20 Chiaramente, bisogna tenere presente che il fatto che sia un fenomeno di costume fa sì che sia molto difficile sganciarlo dalla questione dello “stile”, che non è necessariamente politica. Vicino e in mezzo a persone che attraverso questa controcultura esprimono una posizione politica, quindi, ne esistono altre che, pur integrati in questo ambiente, lo frequentano senza dare troppo peso al posizionamento politico che esso comporta. 21 Proprio lì, all’incrocio con un'altra stradina pedonale, via Tsavella, Alexandros Grigoropoulos muore la sera del 6 dicembre 2008. In quell’incrocio una targa ricorda il ragazzo ucciso ed è stato piantato un albero con una lapide commemorativa. Via Tsavella, poi, su iniziativa degli abitanti del quartiere che hanno cambiato le insegne della strada, è stata rinomonata odos Alexandrou Grigoropoulou.

204 Le modalità di aggregazione sono rimaste le stesse: evitando la consuetudine di sedersi in locali rumorosi dove pagare consumazioni più costose, i “punk” prendono piuttosto una birra da un periptero, “chiosco” della piazza, e siedono per terra, passando la serata in chiacchiere.

È interessante che nessuna delle persone di Exarchia “sopra i quaranta” e attive in questo luogo con cui ho parlato ha espresso nessuna opinione negativa su Villa Amalias, ad esempio, il luogo che ha dato vita alla controcultura punk-DIY in Grecia. Anzi, alcuni di loro hanno riportato parole lodevoli rispetto alla sua longeva ed importante esperienza di autogestione e alla collaborazione col quartiere dove si trovava, Kypseli, a poca distanza da Exarchia. Uno di essi Thodoris Zeis:

Ad un certo punto, si è diffusa una breve onda di occupazioni, di case e di edifici vuoti, ed è stato deciso di andare là, a Keramikos, a Patissia, a Villa Amalias, ecc. Può darsi che tu ne abbia sentito parlare. Là, forse per la prima volta, in alcuni di questi stekia, è cominciata a crearsi una certa solidarietà da parte degli abitanti del vicinato. Cioè, si è cominciati ad organizzare degli eventi, ci andava la gente, tutto ciò non era più così connotato... diretto da persone di Exarchia22... (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

22 Questa considerazione positiva, esce mentre discutiamo di come Exarchia determini una sorta di status symbol che crea delle difficoltà a confrontarsi con ciò che non è più Exarchia, e che è un male, se ci si occupa di lotte sociali. Motivo per cui, questo, molti “giovani attivisti” hanno ad un certo punto deciso di “lasciare il quartiere” e di spostarsi altrove per creare legami con i quartieri in modo più autentico. « anche qui si sono effettuate delle occupazioni. E durano ancora. Però, vedi, uscendo da Exarchia e andando altrove a occupare una casa, si deve andare d’accordo con i vicini. Quindi, si fa in un modo piuttosto aperto. Si è cominciato a vendere prodotti biologici, organizzare dei bazar o degli eventi, la gente andava, ma se tutto questo fosse fatto a Exarchia, non sarebbe stato fatto niente di simile. (…)Molte fra le persone di Exarchia, chiamiamole così, che sono... parlo delle persone membri di qualche organizzazione, persone di questo tipo, non sanno come comportarsi fuori Exarchia. Qui, è come se fosse una patria per loro, “fuori” c’è l’ “estero”. Però negli ultimi anni, con questa breve onda di occupazioni di case o edifici vuoti, specialmente là a Keramikos... (…)

205 Poi però, lo stesso Thodoris mi ha parlato dei ragazzi che stanno in via Valtetsiou (tra i quali diverse volte mi è capitato di essere anche io), molti dei quali (come quelli che precedentemete si ritrovavano a via Mesologiou) sono gli stessi che frequentavano e partecipavano alle iniziative della Villa, in questi termini:

Ci sono alcuni cambiamenti di caratteristiche per quanto riguarda i giovani di oggi che vengono a Exarchia, cioè sono quelli che... che non sono più giovani delle stesse idee politiche di prima, adesso sono giovani che quando vengono in centro a divertirsi scelgono Exarchia per i numerosi bar e tanta gente. E, non so se hai visto, in via Valtetsiou, là dove stanno in piedi tenendo in mano una birra (…) E’ che nell’ultimo periodo non si ha molti soldi da spendere, di conseguenza una forma di divertimento è prendere una birra dall’edicola e, in piedi, o seduti per strada... cioè non come Asimos, con lo scopo di discutere su qualcosa profondo o politico, discutere per esempio sul perché i Sovietici hanno invaso la Cecoslovacchia, o parlare del maggio ’68, ma è... niente... parlano di vicende personali o non parlano affatto. È un altro tipo di gioventù, questa gente qua. E questo si fa in via Valtetsiou. (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

Oppure, Elli si è riferita con me al “fenomeno Mesologiou” come un qualcosa di radicalmente lontano dalle pratiche di autogestione in cui lei si riconosce. Parlando di quando siano cominciati i cambiamenti ad Exarchia, infatti, mi ha detto:

Avevamo incominciato però ad avere... perchè quel “fenomeno Mesologiou” c'era anche prima di Dicembre, cioè lì in via Mesologiou dove c'erano tante persone, alcune anarchiche, altri hooligans23 e causavano problemi anche

23 In via Tsavella, molto vicino all’angolo con via Mesologiou, si trova in effetti la sede dei ultras dell’AEK, la cui tifoseria, in gran parte è di destra. Quelli che si trovano ad Exarchia non lo sono affatto, ma non sono neppure considerati degli interlocutori neppure plausibili quando, tra le varie anime del quartiere, si parla di portare avanti iniziative comuni che interessino il quartiere nella sua interezza. Spesso c’erano state tensioni tra i tifosi e i punk di via Mesologiou, e anche questo è stato uno dei motivi che ha fatto sì che essi si spostassero verso via Valtetsiou.

206 prima del Dicembre. Solo che questo genere di giovani con l'atmosfera che dopo il Dicembre era diventata ancora più rivoluzionaria, sono ulteriormente aumentati. Le persone che fanno solo disordine, "i casinisti" questo genere si è diffuso a Exarchia dopo il Dicembre, ha trovato il terreno giusto per diffondersi. (Intervista n°3, 8 luglio 2013 con Elli Botonaki)

Ci troviamo di fronte a diversi ordini di problemi, che nel nesso relazionale complesso con questo luogo tendono a confondersi: è vero che uno dei problemi attuali del quartiere è che si stia via via trasformando (da sé, senza troppe ingerenze esterne) in una zona di consumo, in cui nuovi locali aprono in continuazione (approfittando del lassismo dei controlli, proprio perché è Exarchia24) e che in definitiva rischia di rendere questa parte di città, così storicamente particolare, una come molte altre in città. Un altro livello intersecato riguarda le

“mafie” legate ai locali notturni25, che ledono fortemente all’identità antiautoritaria e autogestionale del quartiere26 e che sono motivo di grande fastidio per gli abitanti. Questo fastidio, però, non è prerogativa unica degli abitanti meno giovani, ma è comune a chi, pur condividendo lo spazio del quartiere con loro, è portatore di pratiche e modalità politiche che se ne discostano. Si pone, quindi, la necessità di conciliare due visioni del mondo che

24 « Aprono solo bar, tutto il resto apre e chiude. (…) Qui sono senz’altro tanti perché vengono ad aprire bar e sanno che qui non verrà mai un poliziotto a chiedergli perché hanno la musica alta. Hanno il permesso di mettere tre tavolini e ne mettono ventitre e non viene nessuno a controllarli.» (intervista n°3, 8 luglio 2013 con Elli Botonaki) 25 Per portare un esempio estremo ma concreto: «In piazza Exarheion, all’angolo di... piazza piazza Exarchion e Via Stournari, c’era un fruttivendolo. Un negozio molto vecchio. Quando questa persona è andata in pensione, non è stato possibile che il posto dove si trovava il negozio continuasse con la stessa attività; ed è stato aperto un bar. Il primo bar che è apparso in piazza, è stato quello. Si chiamava... Matis Pub. Si chiamavano pub allora. Ha funzionato per un anno e alla fine c’è stata un’esplosione di una bomba. L’hanno fatto persone della notte perché il proprietario doveva pagare per la protezione.» (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis) 26 « Oggi Exarchia è controllata dalle mafie del consumo, sai, economia nera, con tanti bar... quelle persone non possono essere controllate, per la maggior parte sono persone della notte...» (intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis).

207 convivono in questo quartiere fianco a fianco e che vivono, forse, nell’incomprensione.

Continua infatti Thodoris:

Molti di questi nuovi gruppi, hanno voluto continuare, diciamo così, hanno cominciato ad esercitare una critica contro la cultura del consumo. Ricordo degli slogan di tipo: “Fuori dai bar”... Erano giovani, influenzati da diverse figure animate da principi di resistenza, perché appunto allora sono stati tradotti in greco libri di Debord, ad esempio; hanno cominciato a leggerli come pazzi, e hanno cominciato a elaborare idee contro lo spettacolo, contro il consumismo. (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

È difficile, sentendo il suo discorso di ammirazione verso questi fautori contemporanei del situazionismo, pensare che ci sia un reale conflitto con chi, attraverso l’espressione musicale della musica punk, persegue esattamente questo stesso scopo.

Questo esempio mette in evidenza, secondo me, il fatto che Exarchia sia veramente un luogo su cui si concentrano diversi tipi di percezione dello spazio e del suo uso. Questo “uso”, però, non è solo da intendersi, come cerco di mostrare in queste pagine, come una “destinazione d’uso”, una spinta alla differenza piuttosto che all’uniformità di questo luogo rispetto al flusso urbano della città o viceversa, ma anche, è chiaro, come il configgere di una varietà di percezione di come le pratiche quotidiane, all’interno stesso dell’affermata diversità di

Exarchia, vengono agite.

208 In questo senso dunque, rispetto al conflitto aperto che si ha nel primo caso, nel secondo vi è la convinzione, seppure a volte difficile e combattuta, di dover negoziare queste posizioni per poter far fronte all’avversario comune che si trova “fuori” da Exarchia27.

Exarchia è come… un pezzo prezioso di Atene, quindi diventa oggetto di grande interesse da varie “fazioni”. Influenzano molto di più la situazione generale ad Exarchia queste fazioni con i loro interessi piuttosto che la crisi. (Intervista n°6, 12 novembre 2013 con Kostas Aggelidakis)

5. La città e i morti

Bianca è la stirpe ariana il silenzio le celle d’isolamento il gelo la neve i bianchi camici dei medici i sudari

27 Era questa una delle grandi vittorie del Dicembre 2008, che ha inciso, allora, non solo sulle relazione di negoziazione ad Exarchia, ma anche in altri luoghi della città. «Quello che credo che sia successo, ma questa è un’opinione personale.. (…)si sono costruite alleanze, non so se è giusto dire su base ideologica, direi piuttosto su base di compagnosità (syntrofiko epipedo), perché per me un compagno non è qualcuno che è ideologicamente conforme, ma colui che mi sta vicino in una circostanza difficile, e in questo senso, si sono costruite diverse cose: il parco Nabarinou, alcune occupazioni… e credo che sia cambiata un po’ la gente nel corso di una serie di cose, nel senso: c’è stato il dicembre 2008, poi c’è stata Syntagma, e poi c’è stato il Memorandum, quindi una serie di cose, a breve distanza una dall’altra che ha maturato una sensibilità in ognuno che lo fa credere sia un modo di pensare differente si che le cose possano funzionare in un modo diverso dal sistema esistente.» (intervista n°2, 23 maggio 2013 con Alexandros A.). come afferma il professor Stavros Stavrides in un documentario dal titolo Dikioma stin poli, “Diritto alla città” del 2010, di www.aformi.gr (http://vimeo.com/14895896) riguardante le esperienze di autogestione nate dalle rivolte del dicembre 2008, e con particolare riferimento al Parko Navarinou di Exarchia: «C’erano molti motivi di tensioni, derivanti da come le diverse parti del movimento, o diverse persone del movimento rispetto percepissero questo obiettivo comune. Non è semplice dire “voglio negoziare con il quartiere, con le mamme e i papà con i bambini piccoli che vengono al mattino, con i giovani a cui piace stare ad ascoltare musica fino a tardi la sera, con i negozianti che rispettano o non rispettano la nostra convivenza”, non è facile dire questo, come si fa? Che tipo di spazio può accogliere una cosa così? Che tipo di forme possono esprimerlo? (…) perché la formazione di uno spazio pubblico in genere non è una produzione di elementi stabili. Possono esserci degli elementi che cambiano. Come cambiano, chi li cambia? E la stessa procedura di cambiamento richiede che chi usa lo spazio pubblico abbia rispetto ad esso un atteggiamento di negoziazione. “Prendiamo questa cosa da qui e la mettiamo lì”. Sembra una cosa piccola, non lo è. Ritengo che tutta la storia dell’abitare lo spazio pubblico sia fatta di queste piccole questioni che sviluppano grandi quesiti, grandi problemi. Grandi problemi di gestione e grandi problemi di significato. In nome di quale valore, prendiamo questa cosa prendiamo questa cosa da qua e la spostiamo là?» (traduzione mia)

209 l'eroina. Tutta roba poco confortevole questa per la riscossa del nero.

Katerina Gogou, Per la riscossa del nero

Questa poesia di Katerina Gogou è del 1982. Sono un’autrice ed un periodo storico molto importanti per il luogo di cui stiamo parlando.

Katerina Gogou è stata una poetessa anarchica, una di coloro i quali vengono chiamati “i santi di Exarchia”. Come gli altri “santi” ha affrontato una morte prematura, uccidendosi con i barbiturici. Era il 1993. Pavlos Sidiropoulos, era morto per overdose da eroina cinque anni prima, e solo nel 1990 anche Nikolas Asimos, dopo aver tenuto un diario nei suoi ultimi quindici giorni di vita, in cui si sforzava giornalmente di trovare un motivo per cui vivere, si era ucciso impiccandosi nella sua casa di Exarchia.

Erano poeti, artisti, intellettuali della strada, legati a doppio filo con quello spirito libertario che si respirava ad Exarchia, e non altrove, negli anni successivi alla dittatura dei colonnelli alla quale si erano strenuamente opposti in gioventù. Exarchia ha costruito, attraverso le loro poesie d’amore, disagio e lotta, e i racconti sulle loro incredibili personalità, una agiografia eretica, una religione della strada. Erano, come tutti dopo di loro e moltissimi della loro generazione, “stranieri” a quel luogo, “migranti” da altrove, da altri quartieri-vestito, da altre città, da altri mondi. Loro come gli altri avevano scelto di stare lì, di diventare exarchiotes.

210 Facevano parte, allora, di coloro i quali si ritrovavano e passavano le loro giornate sui cordoli e sulle panchine di piazza Exarchion e le loro storie sono connesse ad uno dei tratti che a partire da quell’epoca sino ad oggi ha caratterizzato la piazza di Exarchia come uno stigma difficile da cancellare. Una fragilità che un luogo come questo difficilmente può permettersi di accettare.

Un fatto che mi sono dimenticato di raccontarti è come è arrivata la droga. Una versione, che accetto anch’io, è che verso la fine degli anni ’70, inizi degli anni ’80, quando ancora Exarchia era come ti ho raccontato... col passar degli anni, ’81, ’82, ’83, a tutta quella generazione dei giovani radicali del periodo del “Politecnico”, che non hanno trovato un buon lavoro, non sono diventati professionisti, non hanno trovato lavoro nel settore statale, o che non sono diventati deputati ecc, è successo qualcosa, visto anche in Francia dopo il maggio ’68 e altrove: quei giovani hanno cominciato a vivere una sconfitta personale. Una stanchezza psicologica; non a caso per esempio, ecco, te lo descrivo a poche parole, Asimos, ad un certo punto, ha raggiunto la decisione di suicidersi, quella figura di quel periodo, come anche molte altre persone coinvolte nei fatti di quel periodo. Dopo il cambiamento del regime politico, ci sono stati dei suicidi qui. Depressione... Questo fenomeno, ad un certo punto è diventato molto evidente, si capiva facilmente... nelle discussioni, in compagnia. Quelle persone non avevano... una specie di speranza... si sentivano finiti. E credo che appunto allora, nel momento giusto, sia stata la polizia ad aver lanciato il traffico di droga a Exarchia, da altre zone dove era nel periodo precedente. Certo, il fenomeno è massiccio, ma è sicuro che l’hanno lasciato espandersi verso questa zona qui. E allora, quei primi gruppi, hanno reagito. Hanno reagito in modo intenso. E violentamente. E’ appunto in quel periodo in cui è nato lo slogan “gli sbirri vendono l’eroina”. Slogan molto vecchio, degli inizi degli anni ’80. (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

211 Esiste una bellissima foto di Katerina Gogou davanti alla sua macchina da scrivere. Ha i capelli che le ricadono sulle spalle e la faccia magra, quasi emaciata. Dietro di lei c’è un manifesto nero, con una scritta bianca. Era un manifesto che girava per le strade di Exarchia, allora. Diceva, appunto I mpatsoi poulane tin iroini, “gli sbirri vendono l’eroina” (figura 13).

In un’intervista al giornale “Vice”, Yiannis Felekis, che aveva conosciuto personalmente

Katerina Gogou e aveva condiviso con lei molte battaglie negli anni dell’opposizione alla

Chounta, la descrive così:

In piazza Exarchion incontravo spesso anche Katerina Gogou, in uno stato penoso: «Dobbiamo fare qualcosa, Yiannis. Ci stanno distruggendo con le siringhe. Fate qualcosa che ci organizziamo…» mi diceva. 28

Thodoris mi ha raccontato di come queste persone, che con gli anni ’80 cominciarono l’uso di sostanze a Exarchia, e in particolare l’uso di eroina, non fossero estranee all’ambiente di Exarchia, ma di come prima, in un certo senso, il quartiere fosse aperto verso un certo tipo di scelte di vita radicale.

Io mi ricordo che molti dei ragazzi che li conoscevamo come... allora veniva usata un’espressione... ecco, oggi si dice questo o quello spazio politico, si usano espressioni popolari o dotte, allora era… c’era un’altra espressione, era... però non apparteneva al registro di ogni giorno... o al gergo che viene usato dai giovani, si diceva “lui vive al margine” (zei sto perithorio, ndr). Thodoris? Eh, lui vive al margine. Che si intendeva dire? Che se ne era andato di casa, che aveva litigato con i genitori, che non aveva lavoro, che non è in contatto con niente da cui possa essere alterato. Eh, mi ricordo che molti ragazzi di quel tempo, passavano pian piano da quella situazione

28 http://www.vice.com/gr/read/exarcheia-felekis-istoria (consultato il 20 agosto 2014, traduzione mia)

212 Figura 13

Katerina Gogou (Fonte: gogou.page.tl)

213 all’uso di droga. Li ricordo chiedere dei soldi per strada ed erano quelli, sì, lo ricordo benissimo, quelli che si sapeva che appartenevano a dei gruppi come questi... quando vivevano al margine per motivi tutti diversi, ideologici. Man mano la droga ha dominato la zona; Exarchia è diventata punto d’incontro, centro di distribuzione, ormai anche all’interno dei bar. Quello che chiamiamo la mafia dei luoghi di divertimento notturni, controlla in gran parte il turnover della droga. (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

Si comprende quindi come la questione dello spaccio e del consumo di sostanze, che si colloca prevalentemente in piazza Exarchion, non sia una nuova deriva causata dalle miserie della crisi, ma qualcosa di ben radicato storicamente, e storicamente giocato come un terreno di conflitto.

Dal ’79, ’80 hanno aperto baretti di musica, musica straniera, rock e musica tradizionale e i giovani da tutta Atene hanno cominciato a ritrovarsi a Exarchia. In questo clima ha cominciato anche a diffondersi l’uso di droghe, l’eroina, i cui spacciatori, che probabilmente erano controllati dalla polizia, hanno istituito il loro centro a Exarchia, perché conveniva anche a loro il fatto che la presenza della polizia non fosse evidente, oltre che ai tossici. Probabilmente erano anche controllati ma così dagli anni ’80 Exarchia è diventato un posto dove si potevano trovare tutti i tipi di droga, col risultato che tutta la gente che in Grecia era interessata a questo genere di cose sapeva di poterle trovare in piazza Exarchion. Ha cominciato così a circolare l’idea che fosse un quartiere brutto, ad alto livello di criminalità, ma a parte la questione della droga non si può dire che in realtà lo fosse. Questa cosa è stata molto usata dalla polizia e dalle forze dell’ordine in genere, soprattutto negli anni ’80, per dire che lì si concentravano pratiche illegali. Ad esempio nel ’84, il ministro dell’ordine pubblico Drosogiannis usò la famosa operazione Aretì per cacciare i tossici, come scusa per l’incursione della polizia nel quartiere, come poi è avvenuto anche in seguito. In pratica quello che hanno fatto è stato andare anche nei negozietti al dettaglio (li chiama

214 evges, dalla marca greca di gelato confezionato più venduta nei negozietti di questo genere. È una denominazione popolare e andata in disuso, ndr), a dire “andatevene di qua, cosa fate a Exarchia?”, e anche dagli abitanti. In quel momento spacciatori e tossici che si trovavano in piazza… perché la parte alta non era ancora pedonale, era circolare, la piazza e ci giravano attorno le auto, e tutto intorno c’erano pattuglie di MAT e in centro alla piazza spacciatori e tossici che facevano i loro commerci (alisverisia, parola molto rara di origine turca, ndr), mentre tutto intorno, per le strade e ai crocevia giravano poliziotti e arrestavano gente. Come succede anche oggi, che pensavano che così per caso potessero beccare qualcuno di 17Noembri, come fanno anche adesso che fermano motorini a caso vicino al museo o in altri punti, in genere alle entrate di Exarchia per beccare per caso “qualcuno”. (Intervista n°9, 30 gennaio 2014 con Yiannis Felekis)

È una questione che, seppure io non me ne sia mai accorta durante la mia precedente permanenza ad Atene, probabilmente anche per la particolarità del periodo storico, è da sempre ben presente nel quartiere, l’ha segnato profondamente e lo rende più vulnerabile.

Kostas Aggelidakis mi ha detto di ricordarsi che, almeno fino ad un certo periodo «c’erano in zona i varie organizzazioni e strutture di solidarietà sociale che aiutavano tutti questi giovani legati alla droga, non so se se ne sono andate via, penso di sì…» (Intervista n°6, 12 novembre

2013 con Kostas Aggelidakis).

In effetti, da quanto mi è parso di vedere, il conflitto intorno a questa tematica si è inasprito molto, anche perché, se da un lato il problema sembra essersi intensificato, con un ritorno all’uso massiccio di droghe pesanti29, dall’altro si assiste ad una vera e propria apparizione

29 Tra cui la Shisa, cosiddetta “droga della crisi”, davvero molto diffusa, non solo a Exarchia, perché costa davvero pochissimo (1.50 € alla dose) e della quale la componente principale sono gli acidi di batterie. «Adesso

215 palese delle mafie dello spaccio a Exarchia, che precedentemente lavorava, se non altro, in modo più nascosto.

Poche settimane prima del mio arrivo ad Atene, infatti, nel marzo del 2013, una persona era stata uccisa a colpi di pistola vicino al parco di Navarinou, durante un sabato pomeriggio. Si scoprirà poco dopo essere stato un regolamento di conti tra affiliati a cosche diverse, per la spartizione della piazza di spaccio30.

Di nuovo, nel novembre scorso, un uomo è stato freddato a colpi di kalashnikov in via Koletti da due individui in motorino31.

Un altro episodio ambiguo, mi è stato riportato diversamente da due delle mie informatrici, rispettivamente nelle conversazioni avute con l’una e con l’altra.

Ad un certo punto, nel mese di giugno del 2013, nelle mailing list con le quali il quartiere si tiene in rete e su Indymedia è uscita la notizia che alcuni fascisti avevano fermato e picchiato violentemente un giovane migrante32. Salomi Chatzivasileiou mi ha riportato, durante la nostra conversazione, la notizia come lei stessa deve averla letta attraverso questi network:

con l’uso della shisa, della droga insomma, ci sono punti qua a Exarchia in cui, dove stanno di solito chi ne fa uso, che sono un po’ pericolosi perché li rende molto aggressivi questa droga, che è anche così economica… (…) Bisogna fare attenzione, ma non credo che la città sia particolarmente pericolosa. Anche venendo la notte da altri quartieri, camminando… non sento, non ho paura, devo dire. Semplicemente, c’è un grandissimo degrado come vedi…moltissimi senzatetto…è cambiata l’immagine della città.» (Intervista n°1, 20 maggio 2013 con Christina). Il megazine VICE ha curato un documentario sulla Shisa che si spaccia e si consuma per le strade di Atene: http://www.vice.com/it/vice-news/sisa-cocaine-of-the-poor-part-1 30 https://athens.indymedia.org/post/1458737/ (consultato il 20 agosto 2014).. 31 http://www.makeleio.gr/?p=30997 (consultato il 20 agosto 2014). 32 La presenza di fascisti nel quartiere mi è stata più volte negata da molti interlocutori; solo alcuni mi hanno riferito che questi sono presenti, a Exarchia, come in tutte le parti di Atene (basta considerare i dati elettorali), ma che non appaiono nella vita pubblica del quartiere. Quando nel novembre 2013 è scattata l’operazione di polizia che ha portato all’arresto di diversi militanti di Alba Dorata, tra cui cinque deputati e il leader maximo

216 Negli ultimi anni ci sono fenomeni che non c’erano nel passato, cioè... (…) gruppi appartenenti all’estrema destra, per esempio Alba Dorata. ...per esempio, no? Ultimamente un migrante è stato attaccato; là, vicino al parco di Via Navarinou, non da molto, dev’essere da circa un mese (…) è stato picchiato, i vicini sono usciti fuori, gridavano e quelli di Alba Dorata hanno detto di non gridare così, che le ragioni per l’attacco erano che quella persona vendeva droga. C’e quindi un casino tra i gruppi del traffico di droga, una gran parte del quale si verifica in Via Themistokleous… hai capito? E che di sera si fanno conflitti appunto per questo motivo… cioè, quale gruppo, fra questi trafficanti di droga, predomina. Prima, tutto questo, non succedeva. (Intervista n°4, 25 luglio 2014 con Salomi Chatzivasileiou)

Come si vede, nel raccontarmi questa circostanza, la mia interlocutrice ha mescolato due ordini di questioni completamente diverse: la presenza di Alba Dorata nel quartiere, e i violenti regolamenti di conto delle mafie che si occupano dello spaccio.

Quando con Elli, sempre parlando della presenza o meno di Albadorati in quartiere, abbiamo fatto riferimento alla stessa faccenda, la sua percezione, molto simile a quella di Salomi rispetto alla presenza delle mafie in quartiere, era invece completamente divergente rispetto all’azione di Alba Dorata:

Che Alba Dorata sia apparsa qua io non l’ho mai sentito dire. Anche adesso che hanno detto che forse i fascisti o i razzisti… io non credo sia successo qualcosa del genere, qualcuno deve aver inviato una mail che lo diceva, ma alla fine probabilmente si trattava dei ragazzi come quelli che ci sono qui che si drogano. Anche qua fuori una notte mi sono svegliata alle tre del mattino a causa delle urla e alla fin fine erano degli albanesi che facevano

Nikos Michaloliakos, tra il materiale sequestrato vi era una mappa dettagliata (figura 14) di tutti gli spazi occupati e autogestiti di Exarchia. Il quartiere, dunque, era e probabilmente è ancora monitorato, e in questo giocano sicuramente un ruolo fondamentale le strette relazioni che il partito intrattiene con la polizia (circa il 50% dei poliziotti, secondo i dati elettorali, è un sostenitore della formazione neonazista).

217 Figura 14

Questa è la mappa di Exarchia trovata tra gli effetti sequestrati durante l’operazione di polizia che ha portato all’arresto di diversi esponenti albadorati. Sono evidenziati con dei quadratini gli spazi occupati e autogestiti dei quartiere e i bar e i principali luoghi di ritovo dei frequentatori di Exarchia. Si è supposto fossero obiettivi per un eventuale attacco. (Fonte: http://tvxs.gr/news/ellada/oi-stoxoi-tis- xrysis-aygis-sta-eksarxeia)

218 pesantemente a botte e uno era ridotto male era pieno di sangue ma nessuno è voluto intervenire perchè avevano paura che avessero delle armi. Poi questo ragazzo si è diretto verso la piazza ed è venuto un'ambulanza a prenderlo e quei ragazzi gli avevano preso tutti i documenti e gli avevano dato fuoco qui davanti. Capitano tante cose del genere. (Intervista n°3, 8 luglio 2013 con Elli Botonaki)

Ho parlato della situazione con la dottoressa Fotini Giannopoulou, farmacista di piazza

Exarchion, che sta nel quartiere da venticinque anni.

C’è un'apparente calma ma in profondità ci sono i problemi, come posso dire.. è come una catena, lo stato utilizza la scusa di non poter venire all'interno del quartiere... (…) anche se non è vero perchè potrebbe venire ottenendo anche un risultato, come avviene in tutto il mondo, senza provocare, senza utilizzare la propria autorità in modo sbagliato, no? E invece non è presente come dovrebbe e da quindi la possibilità che si formino gruppi di albanesi e mafia che gestiscono le droghe. (…) C'è una zona che non segue la legge. Non segue la legge ma è lo stato stesso che crea questa situazione, se volesse attuerebbe le leggi in un minuto, questo ovviamente, invece serve ai locali notturni, ai gruppi della mafia albanese che trattano le droghe, ovviamente tutto ciò non si vede, e serve a quelli che non sono antiautoritari in senso politico, ma sono casinisti: ragazzini e sicuramente alcuni tra loro stranieri, albanesi, i quali nel momento in cui ci sono delle agitazioni (Anabouboula, ndr) dicono che sono anarchici. Non lo sono, non esiste un serio movimento anarchico che rappresenta il "vai e spacca la macchina di quella persona". Tutto è dentro il clima della agitazione e del casino. (…) In apparenza la zona è migliorata, non ci sono punti di ritrovo visibili per le droghe, non vedi tossici camminare per strada. In passato era una situazione disperata, c'erano duecento, trecento tossici in piazza... Adesso non si vede questo, ma il problema è più profondo e sostanziale secondo me perché i fili vengono mossi dall'alto, non in alto il governo, ma in alto nella gestione della situazione. Non puoi prendere la mafia albanese quando ha le armi. (…) La mia opinione è che prima di tutto

219 vengono serviti alcuni gruppi e in secondo luogo lo stato non vuole imporre quello che deve o meglio non lo vuole applicare, una semplice attuazione, come a me lo stato dice non puoi avere una ricetta per più di cinque giorni, devi utilizzarla e io lo faccio perché è così, anche se non mi piacesse dovrei farlo per fare questo lavoro. Così dice lo stato, chi fuma droghe o chi accende un fuoco in una piazza in cui abita della gente intorno, disturba, quindi non deve farlo che lo voglia o no. É così semplice però non si attua.33 (Intervista n°10, 31 gennaio 2014 con Fotini Giannopoulou)

Le risposte che il quartiere, attraverso le sue forme autorganizzate, dà a questo problema sono estremamente varie. Quella che sembra dare più risultati e che risale a pochissimi mesi fa

(all’inizio di quest’estate), è la costituzione di un’assemblea popolare di Exarchia, alla quale partecipano abitanti e gruppi politici insieme, che si ritrova settimanalmente e che organizza

“azioni” degli abitanti nello spazio del quartiere che, più che contrastare con un muso contro muso poco efficace e pericoloso le mafie direttamente, sono indirizzate a ripopolare le strade dei suoi abitanti.

33 Alla mia domanda se non fosse pericoloso, allora, in questo contesto, Fotini ha risposto: « No, devi tenere certi equilibri, essere neutrale, io non prendo mai le parti di qualcuno, voglio che si faccia ciò che è giusto, io non ho una posizione politica all'interno della farmacia, ho l'opinione del giusto, e per giusto intendo, “disturbo con il fuoco, allora spengo il fuoco”,”disturba il signor ricco che parcheggia sul marciapiede? Allora deve andare via” non mi interessa chi sia, mi interessa che avvenga il giusto. La cosa giusta è una, quindi sanno tutti che non mi sono mai immischiata e non ho mai fatto niente che possa portare a pensieri ambigui. (…)Non sono io la poliziotta e nemmeno la CSI Miami che fanno vedere in televisione, vedo ma non sono obbligata a sapere, vedo però, vedo lo spacciatore che apre chiude e tira fuori. Non sono cieca, non è necessario che sappia, ma vedo. Chi la vende deve essere preso, chi è non lo so» (intervista n°10, 31 gennaio 2014 con Fotini Giannopoulou). Mi ha molto colpito il fatto che tornasse così insistentemente sul fatto che le mafie dello spaccio siano costituite da albanesi, nonostante nel corso dell’intervista avesse precisato che non fosse un problema etnico, dal suo punto di vista, quanto più di “commettere atti illegali”. Non sono riuscita a capire, dal tono del discorso, e forse da una mia prevenzione inconscia nel sentire così ripetutamente questa insistenza sul fattore etnico, se fosse un dato che effettivamente corrispondeva a realtà (cosa confermatami poi da altri interlocutori). A posteriori, comunque, sbobinando l’intervista e a fronte di quanto mi hanno riportato anche altri abitanti, il senso di disagio che questa conversazione mi aveva creato sul momento è andato svanendo.

220 Questa è senza dubbio un’iniziativa positiva, di cui mi ha parlato con grande entusiasmo Elli, invitandomi a prendere parte alle assemblee il prima possibile; ma le iniziative non sono sempre state così brillanti.

Qualche volta la polizia arresta i tossicodipendenti che prima stavano intorno alla piazza e li porta alcuni metri più in là... poi in memoria del periodo passato ci sono delle organizzazioni di anarchici che ad un certo punto hanno deciso di cacciarli via in modo violento... ci sono stati degli scontri... mi ricordo che due o tre anni fa, gli anarchici hanno picchiato e ferito dei tossicodipendenti e dopo di che hanno pulito la piazza usando candeggina. E’ un atto chiaramente razzista.34 (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

Exarchia, quindi, alle prese con un problema così grosso da gestire, e attraversata dai conflitti che esso comporta, sembra quasi soffocare, e ha perso un po’ del fascino che, però, per molti, ne fa ancora brillare l’aurea.

I giovani, che sentono la necessità che le organizzazioni si riprendano ... fra il divertimento e il consumo, cercano della gente che vorrebbe impegnarsi. Inoltre c’è questa tradizione del punto di riferimento (…) Se nel passato si sarebbe potuto dire che si trattava di una zona libera, oggi, così come l’ho vissuto io, si dice che si tratta di una zona inaccessibile, ma lo dice la polizia, perché vuole che la zona sia inaccessibile, non lo è veramente...è tutto mappato. Direi che... è simbolico, ecco. (Intervista n°8, 20 novembre 2014 con Thodoris Zeis, corsivi miei)

34 Negli ultimi anni, a fronte di iniziative, anche molto violente, di una parte degli anarchici del quartiere contro i tossicodipendenti, si sono costituiti diverse assemblee che vi si oppongono fortemente, e che criticano l’aggressività e il razzismo di queste azioni.

221 6. La città e i segni

La memoria è ridondante: ripete i segni perché la città cominci a esistere.

Italo Calvino, Le città invisibili

«(…) Com’è cambiata la percezione del quartiere da Dicembre in poi?», ho chiesto a Elli l’8 luglio 2013, mentre, accomodate nel tavolo di cucina della sua bella casa in via

Themistokleous, registravamo la nostra chiacchierata.

Ho conosciuto Elli ad un’assemblea di quartiere; me l’aveva presentata Despina, una simpatica signora che vive gran parte dell’anno a Paros e si occupa di curare e cercare casa agli animali randagi dell’isola. Parlando con lei un’estate mi ha raccontato di vivere ad

Exarchia da molti anni, e di essere stata una giornalista radiofonica. I suoi figli, miei coetanei, vivono entrambi in Belgio, dove sono cresciuti per gran parte della loro adolescenza. Quando sono arrivata ad Atene, mi ha suggerito di andare con lei, un lunedì sera, all’assemblea degli abitanti di Exarchia per conoscere un po’ di gente e prendere contatti. Lì ho incontrato Elli.

All’inizio le sue maniere dirette, senza formalismi, mi avevano fatto pensare che la mia presenza non le fosse gradita. Quando le ho detto che avrei avuto piacere a tornare, dopo tanti anni, alle assemblee e a fare i lavori al parco Navarinou e magari fare due chiacchiere con qualcuno dell’assemblea per quando riguardava la mia ricerca, non mi è sembrata particolarmente entusiasta. Si era limitata a dirmi dove, che giorno e a che ora si sarebbe svolta l’assemblea e mi aveva salutata, mi era sembrato, in maniera un po’ scettica.

222 Quasi da subito mi sono resa conto che questa mia impressione era sbagliata. Solo poche settimane dopo la nostra conoscenza, una domenica mattina nella quale partecipavo ai lavori del parco, chiacchierando del più e del meno e in presenza di altre persone ha dichiarato in modo aperto che le sembrava di conoscermi da sempre e che le stavo molto simpatica, che avrebbe voluto non me ne andassi mai dall’assemblea, da Exarchia. Ricordo che tutto ciò mi aveva preso un po’ alla sprovvista, ma è stato solo l’inizio di un bel rapporto di stima reciproca e di scambio. È stata lei a coniare per me il soprannome di “Exarchologa-

Parcologa” (Exarchiologos-Parcologos) con cui mi presentava alla gente che mi faceva conoscere.

La prima volta che sono stata a trovarla a casa sua era per “la nostra intervista”. C’eravamo accordate diversi giorni prima, perché potesse trovare alcune ore da dedicarmi.

Mi ha offerto un succo di mirtillo abbiamo cominciato a parlare.

«Sì, il quartiere è cambiato molto, ma la percezione del luogo e delle persone riguardo allo spazio pubblico, quella dubito che sia cambiata». (Intervista n°3, 8 luglio 2013 con Elli

Botonaki) In questa frase mi si è dischiuso il senso di quanto fino a quel momento avevo ricercato. Anche ora, a posteriori, rileggendo quanto le persone mi hanno detto in questi mesi, ripercorrendo attraverso il mio diario di campo le mie sensazioni, le impressioni di questo luogo, credo sia tutto quanto si possa affermare con certezza; il concentrato di un lungo domandare; l’essenza di una pratica continua, educata nel tempo, a queste stradine strette, a

223 questi colori, allo stringere relazioni la cui unica certezza è lo spazio in cui prendono forma e che dà loro un senso; la pratica, pure, al sesto senso che ti dice quando è il caso di andarsene e quando, invece, è meglio restare insieme agli sconosciuti che hai vicino, fidarsi. Una pratica che non può prescindere da quello spazio preciso, uno spazio storico e, insieme, concretamente presente.

Ti dirò qualcosa che ricordo, la prima sera... Allora, la prima cosa che ho visto, quella prima sera appena venuto qui… Mi ha accompagnato mio padre, che era ateniese, votava qui... e siamo arrivati nel giorno in cui c’è stato il cambiamento politico in Grecia, quando la Destra ha perso il potere, il 18 ottobre dell’’81. Te lo dirò perché è divertente… siamo venuti, lui ha votato, era molto felice perché era sicuro che la situazione sarebbe cambiata, e poi siamo andati a incontrare Kostas (Aggelidakis, che mi ha dato il suo contatto, ndr), a casa di sua madre; mi ricordo in modo chiarissimo la discussione di allora tra Kostas e mio padre. Mio padre aveva votato per il PASOK, Kostas votava per la Sinistra allora, e hanno avuto una discussione ideologica. E quella sera, siamo andati a mangiare e in quel tempo la piazza non era come adesso, c’erano delle macchine intorno. (…) E quella prima sera, mentre andavamo in macchina e stavamo per finire il giro della piazza… quando all’improvviso abbiamo visto un tizio alto - più tardi ho saputo che era Nikolas Asimos, una figura caratteristica di Exarchia - che stava parlando con un altro , in piedi, per strada, e ad un tratto gli dice: “Resteremo qui a discutere, adesso stesso.” Parlavano dei fatti del maggio del ’68. Allora, si siedono per terra, e il traffico sulla strada si ferma. Hanno cominciato a discutere là, sull’asfalto... Dalle macchine intorno nessuna protesta, perché in quei tempi Exarchia era veramente “Exarchia”, gli autisti, guidando in retromarcia, se ne andavano. Quella è stata la mia prima esperienza che ho avuto a Exarchia. L’atmosfera era così. (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

224 Era quindi un luogo fortemente politico, allora, dove cose del genere succedevano quasi quotidianamente35.

Adesso, come abbiamo visto, molta di quell’energia, di quell’atmosfera non c’è più, è cambiata. Lo dicono tutti, lo si respira nell’aria, eppure qualcosa rimane, qualcosa che rende questo luogo uno strappo su un tessuto.

Oggi Exarchia è solo un ricordo del passato. I protagonisti di allora sono oggi d’età avanzata; si può trovarli il sabato, qui vicino, al café “Voriades”, a bere tsipouro... (…) C’è questa tradizione del punto di riferimento: quando ci sono scontri in città, cosa che è molto evidente dal 2008, da dicembre, alla fine tutti questi gruppi ritornano e si può dire che “si fortificano” nella zona di Exarchia e cominciano la “guerra” in queste stradelle. (…) Nel passato perché... si cominciava da qui. Tutte le organizzazioni erano qui. (…)Vedi, da una parte è simbolico, dall’altra è conveniente perché la gente qui è ostile davanti alla polizia, di conseguenza si viene in un posto amichevole, dove si sarà protetti. Poi, le stradine della zona sono fatte in un modo che difficilmente un’operazione da parte della polizia può essere efficace. C’è la collina di Strefi, piccole strade, eccetera, ma anche dal punto di vista tecnico per quanto riguarda la “guerra”, è conveniente. Però, sì, in gran parte è simbolico. Ancora oggi. (Intervista n°7, 20 novembre con Thodoris Zeis)

È stato un mutamento progressivo, che ha sicuramente avuto i suoi momenti di massima tensione, ma che rimane evidente come un percorso storico. Molte delle forme aggregative di allora, seppure meno spontanee e più “militanti”, sono rimaste. Exarchia, vissuta e plasmata

35 «Insomma, per una persona giovane, venire a Exarchia era una vera scelta. Inoltre, si poteva incontrare, se ci si interessava di politica, dei membri di organizzazioni... tutte le organizzazioni politiche c’erano e continuano ad esserci. La maggior parte di queste, hanno qui le proprie sedi. Di conseguenza, al di là dell’atmosfera, se ci si voleva occupare di politica, i primi contatti, volenti o nolenti, si verificavano a Exarchia. Qualunque sfumatura della sinistra con cui si volesse entrare in contatto, maoisti, trotskisti, anarchici, libertari, tutti, c’erano...» (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis).

225 attraversi i conflitti interni che l’attraversano, rimane, per la città, un luogo di incontro per un certo tipo di persone, una spazializzazione culturale precisa, con la sua storia.

Questo appare chiaro da quanto mi ha detto Alexandros, un militante anarchico del quartiere alla soglia dei quarant’anni. Stavo cercando di capire con lui quali fossero stati gli snodi cruciali, gli epifenomeni spazializzati del mutamento culturale nel quartiere e, chiaramente, il discorso si è soffermato sul dicembre del 2008. «Com’era Exarchia prima di Dicembre?», gli ho chiesto.

Credo che fosse… col pilota automatico. Sai, era… normale. Non c’erano molte iniziative sociali… nel senso, non c’erano queste assemblee popolari. C’era un’assemblea che era abbastanza attiva, degli abitanti, c’erano le solite assemblee degli anarchici, (…) c’era la situazione con l’eroina, che era molto pesante, ma era… everyday Exarchia, diciamo. (Intervista n°2, 23 maggio 2013 con Alexandros, corsivo mio)

La normalità del luogo, quindi, è costituita da questa modalità di vivere lo spazio, dallo stesso tipo di conflitti interni che ci sono ancora oggi.

Un elemento importante di cosa sia, e sia stato “everyday Exarchia” è la complicità.

È assolutamente diverso vivere qua rispetto a vivere, che ne so, a Pagkrati. Anche lì può succedere che gli abitanti si salutino per strada, ma non è lo stesso. Non c’è lo stesso tipo di complicità. Qui ad esempio ci si ferma a parlare anche tra persone di età molto diverse, può succedere di scambiarsi commenti politici anche tra sconosciuti… è un’altra cosa. (Intervista n°1, 20 maggio 2013 con Christina)

226 C’è quindi un sentimento di appartenenza, che non si respira, uguale, da altre parti. I rapporti tra le persone, meno mediati da formalità rispetto ad altrove, si pongono in un continuum storico di pratiche quotidiane condivise, e di modalità espressive simili.

Yiannis Felekis mi ha raccontato, durante il nostro incontro che per alcuni anni negli anni ’80 ha avuto un bar di musica rock all’angolo tra via Eressou e via Tositsa.

Devi sapere che questo posto era diventato un ritrovo per tutte le persone delle insurrezioni. C’erano casi in cui vedevo, soprattutto nei finesettimana, venivano molti giovani studenti eccetera. E vedevo ognuno con il suo gruppetto ad un tavolo separato: alcuni erano di Peristeri, altri di Exarchia, altri di Pagkrati, e non si conoscevano tra loro. Ciascuno al proprio tavolo, ballavano… e poi c’erano anche situazioni simili nelle quali… erano studenti, soprattutto… e quando cominciavano le occupazioni più combattive, era bellissimo perché tutti questi si abbracciavano, scherzavano tra loro, ballavano e discutevano tantissimo, cantavano slogan, si organizzavano (…) “Cosa è successo tutto d’un tratto!? Come vi siete conosciuti!?” “Eh, siamo tutti nel coordinamento di occupazione!” Ed era molto interessante perché tutti questi che ascoltavano la stessa musica, che avevano lo stesso.. stile di vita, erano gli stessi che erano nelle occupazioni! E questo succedeva sempre quando c’erano occupazioni degli studenti, che erano molto frequenti… negli anni ’80 e ’90. (Intervista n°9, 30 gennaio 2014 con Yiannis Felekis)

La generazione del Chimeio, quindi, del primo grande movimenti delle occupazioni e delle pratiche radicali è in questo senso posta in continuità storica e spaziale con la generazione che oggi, allo stesso modo, si ritrova ai concerti della scena DIY e frequenta le occupazioni, come

Villa Amalias.

227 Aveva forti rapporto col quartiere (Kypseli, ndr), alcuni membri partecipavano alle assemblee degli abitanti di piazza Viktoria; organizzava diverse manifestazioni nella zona, e sostegno… perché ci sono nel quartiere tantissimi migranti, soprattutto arabi che vivono lì da tantissimi anni, ma è in genere una zona di grande presenza migrante, e quindi si cercava di… di stare vicino ai lavoratori migranti e alle loro famiglie e ad aiutare nelle frizioni che c’erano nel quartiere, soprattutto a causa delle intimidazioni dei nazisti, questo. Qualcosa del genere… questo per gli ultimi anni è qualcosa di molto importante. Tantissimi collettivi, sia musicali che artistici che di altra natura si sono ritrovati a Villa Amalias, c’era una propria tipografia gestita dal collettivo Rota, estremamente importante questo per quanto riguarda l’autorganizzazione, tantissimi gruppi, anche musicali ma anche gruppi del movimento stampavano i loro manifesti lì, altri copertine per le loro pubblicazioni… stiamo parlando di pazzeschi… grandissimi passi in avanti, incredibili mosse… una sala prove… si discuteva di quando in quando di idee nuove che si potevano mettere in pratica, che ci fosse anche uno studio di registrazione, perché i gruppi potessero registrare la loro musica dentro Villa Amalias, c’erano state delle discussioni con qualcuno… tra il serio e lo scherzoso.. vabbè, davvero… forse ad un certo punto qualcosa del genere sarebbe stato fatto… non sarebbe stato poi così strano.. sala per concerti, kafeneio, proiezioni… anche d’estate proiezioni del kafeneio .. nel senso tutte queste cose e questo tipo di manifestazione soddisfano le persone e le portano più vicino con l’idea di supportare uno spazio… quindi così, Villa Amalias è stata molto più di una casa, un po’ di casino o una roba del genere, ha rappresentato idee e percezioni che si discutevano da anni e anni nell’ambiente anarchico, rispetto a come potesse andare avanti l’autorganizzazione e l’autogestione… Questo, rispetto alla Villa (parla e si rattrista veramente, come a pensare a qualcosa di bellissimo e perso per sempre, un pensiero, un amore lontano. ndr). (Intervista n°8, 21 dicembre 2013 con Vangelis Dimos)

E rispetto a Exarchia i legami sono sempre stati evidenti, legati al clima di autogestione:

228 C’erano molte connessioni, ovviamente, tra i due. Rispetto a Exarchia posso dire che potevano non esserci occupazioni... vabbè ce ne sono anche state, dei tentativi di occupazione, ma diventavano sempre dei target (per la polizia, ndr), mentre la gente si trova molto più facilmente nella piazza, nei kafeneia e live ce ne sono stati tantissimi, in piazza, sullo Strefi tanti soprattutto negli ultimi anni, al politecnico… ci sono stati addirittura concerti nei parcheggi del quartiere qualche volta.. nel senso c’era lo spazio e c’è lo spazio, come spazio d’espressione e di creatività per azioni di questo genere… per quanto riguarda la Villa certamente era strettamente legata al movimento e certamente molto vicina ai collettivi che hanno Exarchia come base per diverse questioni… (Intervista n°8, 21 dicembre 2013 con Vangelis Dimos)

Non è un caso a questo proposito che una strategia poliziesca conclamata per fare fronte a questo tipo di legami di complicità sia stata quella di sgomberare quegli spazi occupati che, a livello simbolico, oltre che nei fatti, facevano da collante per quanto riguarda il “fermento sociale”, molto pericoloso per chi, nella gestione emergenziale di una situazione di crisi economica come quella in corso, abbia il compito di mantenere il controllo sulla situazione.

Una tecnica che, a quanto pare, sta dando i suoi frutti.

Arrivata ad Atene nel marzo del 2013, che ricordavo nel periodo del post-dicembre 2008 come una città viva, costantemente attraversata dalla sperimentazione sociale e dai germi dell’autogestione, che era stata in grado di creare un movimento come quello di piazza

Syntagma, fatto di persone che senza alcuna preparazione politica erano riuscite a portare nei loro quartieri iniziative spontanee, l’ho trovata ferma. Quasi bloccata.

229 Abbiamo avuto un picco, con quella fantastica manifestazione di dodicimila mila persone, quanti eravamo, per Villa Amalias… e poi… plof! Incredibile però, così flop. Come se qualcuno avesse premuto il tasto “pausa”. Non riesco a capire perché. E adesso è un fenomeno generale. Tutti lo diciamo. Lo diciamo e rimaniamo fermi, questo facciamo. (Intervista n°2, 23 maggio 2013 con Alexandros)

Riguardo a Exarchia, poi, in effetti, come mi ha fatto notare anche Thodoris, uno dei pericoli di rimanere così attaccati ad uno spazio urbano specifico è che si è facilmente individuabili. È l’altra faccia della continuità simbolica:

E’ simbolico, certo. Notevolmente simbolico direi. Però credo che per quanto riguarda lo stato non sia simbolico e credo che qualcuno voglia che succeda così. Perché sa dove li troverà. Hai capito? Li spinge verso Exarchia, loro ritornano qui, sa dove trovarli. Farà in modo che lo scontro sia qui, procederà a degli arresti, il giorno seguente si prenderanno impronte digitali... Specialmente dopo la fine dei procedimenti giudiziari. Nel decennio precedente hanno avuto luogo due procedimenti importanti, sulla lotta armata, sul terrorismo eccetera e dopo la fine di queste battaglie giudiziarie, è stato aperto un nuovo capitolo e molte persone giovani hanno cominciato a pensare diversamente. Tutte queste persone vivono intorno a Exarchia, quindi, lo Stato vuole che il fenomeno sia concentrato, affinché possa essere monitorato strettamente. Così, di tanto in tanto, lo Stato, in caso può provocare uno scontro. (Intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

La realtà quotidiana di Exarchia, quindi, è segnata dal conflitto. Un conflitto che non si riconosce solo nel momento della sua espressione, ma che fermenta nel tempo, come un impasto di tanti ingredienti. Esiste un fuori ed esiste un dentro, espressioni antitetiche di realtà in conflitto ma in perenne comunicazione. Esiste la lotta costante contro una stigmatizzazione

230 negativa. Esiste, ancora, la negoziazione continua di elementi contrastanti che si inserisce in un percorso comune.

“Dicembre” è stato per Exarchia il momento culmine di questa fermentazione, come mi ha detto Thodoris Zeis, forse «un ultimo spasmo di radicalismo (…) che ha provocato un terremoto grande e che ormai il vulcano è spento».

7. La città e il desiderio

La notte accanto ai fuochi tutt'intorno al mercato, seduti sui sacchi o sui barili, o sdraiati su mucchi di tappeti, a ogni parola che uno dice - come "lupo", "sorella", "tesoro nascosto", "battaglia", "scabbia", "amanti" - gli altri raccontano ognuno la sua storia di lupi, di sorelle, di tesori, di scabbia, di amanti, di battaglie. E tu sai che nel lungo viaggio che ti attende, quando per restare sveglio al dondolio del cammello o della giunca ci si mette a ripensare tutti i propri ricordi a uno a uno, il tuo lupo sarà diventato un altro lupo, tua sorella una sorella diversa, la tua battaglia altre battaglie, al ritorno da Eufemia, la città in cui ci si scambia la memoria a ogni solstizio e a ogni equinozio.

Italo Calvino, Le città invisibili

Il dicembre 2008 è forse l’evento più recente che abbia iscritto i suoi segni così in profondità nel tessuto urbano di Atene. Lo è ancora di più per coloro i quali hanno attraversato quelle strade, in quel tiepido inverno, scaldato dai fuochi di quei giorni.

231 Ricordo come un sogno un’alba grigia e una strada deserta, sventrata. Avevo corso tutta la notte ma non ero stanca, solo il sonno che era mancato per così tante ore imprimeva un suono ovattato ai rumori e alle immagini intorno a me. Persone, molto giovani, camminavano come me lungo questa strada, che doveva essere via Stadiou. La rabbia e la profonda tristezza delle notti passate tra l’asfalto si stava trasformando in qualcosa di diverso, di euforico. Ci si chiamava per nome, ci si salutava ridendo. Ho avuto la percezione, fisica, concreta, che la distruzione serva alla rinascita.

La mia stanza aveva i colori del mattino che si abbozza. Ho dormito così tante ore da non sapere al risveglio, davvero, se avessi sognato.

Exarchia al mio risveglio era calda dei colori della sera in inverno: viola e gialla. Mi sentivo più forte, più piena. Sono uscita di casa, e come quella sera molte altre. Ciò che succedeva intorno a me, che mi risucchiava come un gorgo (io, che allora non avevo vissuto, se non attraverso la letteratura che trangugiavo avidamente per sentire delle emozioni che la realtà non era in grado di restituirmi) è stato un punto di non ritorno, ho capito, per molti individui intorno a me. Exarchia era, allora, il cuore di questo desiderio (Deleuze, Guattari 2010, or.

1980) pulsante.

Yiannis Kallianos, nel suo testo sul volume di Occupied London (2011) ha paragonato il

Dicembre ad una partita di scacchi, in cui ad un certo punto qualcosa di inaspettato, nel normale flusso del conflitto tra opposti, stravolge il gioco, determina una rottura improvvisa.

232 Unable to forsee this rupture, the player is forced to engage in the game under new situations where the previous rules do not apply. In terms of the anti-authoritarian community in Greece, December was a situation of this kind. To make sense of it, the political subject had to resort to a familiar setting, the political imaginary. (Kallianos in Occupied London 2011:152)

Questo è vero anche e soprattutto per quanto riguarda il normale flusso della vita a Exarchia, che fino a quel momento, usando le parole di Alexandros che abbiamo letto prima, andava avanti con “il pilota automatico”. È stato con lui, infatti che ho discusso a lungo di questo argomento.

Diciamo che Dicembre è stato l’inizio, da lì in poi hanno cominciato a mettersi molto in moto gli spazi anarchici. Penso che cercassero in un certo senso di gestire tutta questa cosa, perchè molti dicevano fosse “dell’anarchia”…ecco io non sono d’accordo con questa cosa. Era degli studenti, principalmente. Sia il movimento anarchico, ma sia anche soprattutto la società aveva costruito un sorta di…come se avesse in qualche modo spaventato il sistema, grazie alle forti relazioni sociali che si erano create (…) Qua a Exarchia io mi ricordo c’era un’incredibile mole di gente, Exarchia pullulava di gente, e si riempiva molte volte anche di fasaria (casino, ndr)… ok, credo fosse una bella cosa, ma non so quanto dipenda dal dicembre 2008, nel senso non credo sia stato un evento così grandioso. È stato un evento grandioso per gli studenti. Per quanto riguarda il movimento anarchico, qualcuno dice che sì è mosso grazie a Dicembre, è stato quindi una chiave che ha fatto anche tornare al movimento persone che da molti anni si erano allontanati. Ha avuto quindi lati positivi, ma anche molti negativi. Sempre così è comunque… L’assassinio di una giovane persona da parte di uno sbirro… la reazione del movimento anarchico per me è stata giusta, ha fatto quello che doveva fare, semplicemente se ci fosse stato qualcosa in più, avrebbe potuto… le persone che sono arrivate, la gente giovane era giusta per le linee di quella cosa lì. E l’hanno reso un grandissimo strike, ancora più forte, ma non c’era quel qualcosa in più (…)

233 non c’era l’organizzazione. (…) C’è un equivoco di base in tutto ciò. E quindi, come evento è stato sicuramente importante, nel senso, se ne parliamo riguardo a Exarchia, Exarchia in ogni caso vive di una tendenza diversa, politica, ma quello che è successo è che ha dato un riferimento al resto dell’Europa, credo Nel senso, la rivolta che c’è stata… la rivolta che c’è stata ad Atene, in un periodo molto breve ha provocato manifestazioni di solidarietà in tutta Europa e in tutto il mondo. E quindi questo lo trovo importante. (…) Ma sai cosa… in qualche modo…a me non mi ha cambiato personalmente, non mi ha reso più anarchico o meno anarchico. Ero lì, sì, è successo questo, mi ha tirato fuori la rabbia, con tutto ciò che questo comporta, ma non mi ha cambiato in qualche modo. (Intervista n°2, 23 maggio 2013 con Alexandros)

Era la prima volta che qualcuno mi parlava del Dicembre 2008 in questi termini. Alexandros deve aver percepito la mia perplessità alle sue parole. Mi ha chiesto quanti anni avessi, nel

2008. Ventuno. Mi ha sorriso con tenerezza e ha aggiunto:

Ma per questo, esattamente. Questa cosa, voi, via toccati moltissimo. E lo senti molto. Io che ero abbastanza più grande, la situazione mi ha toccato emotivamente, ma non mi ha cambiato. Perché in genere, quando sei in un modo, tipo parte del movimento anarchico, può farti pensare se ne sei fuori, ma se lo sei già, continui ad esserlo. Mantieni le tue posizioni politiche. (…) In un giovane questo è terribilmente importante. (…)Molte persone, le ha cambiate, e anche più anziani; che non erano nel movimento anarchico. Sono arrivati al movimento anarchico. Penso comunque che siano una piccola parte. La parte più cospicua erano i coetanei di Grigoropoulos. Perchè quello di cui discutevano i ragazzi, e io sono andato praticamente a tutte le manifestazioni, era il nero… che non esiste futuro. E lottavano in questo senso. Nel senso, ho ascoltato molti slogan così che neanche ricordo, ma questi ragazzi in quel periodo sono cambiati. (Intervista n°2, 23 maggio 2013 con Alexandros)

234 Quello che effettivamente è avvenuto in quei mesi è stato un vero e proprio stravolgimento degli equilibri preesistenti. Non più solo i giovani libertari e i “vecchi anarchici” che praticavano l’autogestione nel loro quartiere, ma una nuova modalità di partecipazione alla costruzione di uno spazio urbano libero e pubblico che attraversava tutti i quartieri del centro, fino a quelli periferici e passava, ovviamente, per la strada: lo spazio pubblico per eccellenza.

The largest part of public space in the city is its most authentic form –that is, the street. Streets as public spaces are alive for 24 hours a day. As the mixture of multiple uses permits and promotes such a situation. The street is a place of open-air trade, meeting, finding a job, and so on –while, of course, it i salso the prime site of protest. Urban planning in Athens is characterized by the small distances (an average of 70 m) between street intersections. This is owed to the small size of building blocks, which is in turn a result of fragmented nature and small size property-holding in the city. The frequency of road intersections has particolar significante when it come sto the crucial moments of demonstrations and clashes with the police. Factors as visibility, ambushes, or the ability to communicate are directly related to the physical and geometrical characteristics of the urban space. (…) Compared to its western counterparts, Athens has much smaller blocks and many more streets. Its public space, which ha sto be under surveillance and control, is therefore much larger and denser. In terms of urban planning and zoning, Athens is a pure failure. (Makrygianni, Tsavdaroglou in Occupied London 2011: 35-37)

In questo senso, dunque, la conformazione della strada, e in generale dello spazio urbano ateniese è stato congeniale, non solo per il conflitto aperto con la polizia, ma anche successivamente, per essere usato in modo nuovo dagli abitanti e dai giovani che erano nelle strade in quei mesi. Le esperienze di spazi occupati e autogestiti furono moltissime, negli

235 spazi urbani più disparati, e videro la partecipazione attiva di strati molto diversi di popolazione che portavano alla progettualità autogestita degli spazi il proprio vissuto36.

Per quanto riguarda Exarchia, una delle esperienze più importanti a livello di autogestione e negoziazione dello spazio è stata senza dubbio il parco autogestito di via Navarinou (figura

15). Lo è stato in quanto spazio aperto, quindi immediatamente fruibile all’inizio di un periodo storico, quello della crisi, in cui l’uso dello spazio pubblico urbano ha subito un grosso cambiamento.

Perhaps concerning public spaces there are also changes in Athens (…): first of all public space is used by much more people than it used to be. Because the poor people and the immigrants mostly have to deal with a life that gives them only the opportunity to live in a very small house, and they tend to export part of their everyday life in public space. So we have a sudden trend of public space being used more and in many inventive ways. It’s almost becoming a community space in certain areas in Greece.37

È stata Elli a parlarmene a lungo, attraverso le sue parole ho rivissuto mentalmente l’atmosfera di quei mesi, che sentivo ormai lontani.

Quello che è sicuro è che ha cambiata la nostra vita e delle persone che hanno partecipato a questa cosa. Questo è vero, uscendo dalle nostre case siamo in un luogo pubblico dove pensiamo e realizziamo cose che ci piacciono, ci interessano e riteniamo ne valga la pena che vengano realizzate nei luoghi pubblici. Le realizziamo come vogliamo che siano. Abbiamo fantasia e alcune idee ma non è sempre tutto realizzabile purtroppo. Molte

36 Il documentario che ho già citato, Dikaioma stin poli, disponibile all’indirizzo internet: http://vimeo.com/14895896, del 2010, riporta diverse testimonianze delle esperienze di autogestione nate dalle mobilitazioni del “Dicembre” nei quartieri di Atene. 37 Dall’intervista al porofessor Stavros Stavrides, fonte: http://crisis-scape.net/blog/item/124-interview-with- professor-stavros-stavrides min. 3.12-4.09 (consultato il 15 agosto 2014)

236 volte rimangono solo delle idee nelle nostre menti e non le riusciamo a mettere in pratica. (…) Dall'inizio, dal primo giorno del parco. Per me questo è importante, personalmente partecipavo spesso alle cose sociali qui a Exarchia. Ho partecipato ad una iniziativa di abitanti con i quali abbiamo fatto delle manifestazioni in zone a traffico limitato. Una domenica avevamo fatto una bella festa qui sulla via Temistokleous. Abbiamo contestato il fatto che molte macchine avessero parcheggiato in zone destinate ai pedoni, ancora adesso parcheggiano alcune macchine nonostante sia una zona pedonale. Passano anche motorini nonostante giochino i bambini. E durante la protesta tra i motivi della rivendicazione c'erano la volontà che ci fossero zone pedonali affinchè potessero giocare i bambini o camminare gli anziani e tutti, senza gas di scarico delle macchine o veicoli in mezzo alla via. E durante la manifestazione è venuta molta gente, avevamo messo degli striscioni per bloccare il traffico (Era prima del Dicembre 2008, ndr). (…)Ha partecipato molta gente avevamo piantato degli alberi, abbiamo sistemato le aiuole. Abbiamo tantissime fotografie sul blog dell'iniziativa di quella giornata che è stata bellissima. Avevamo già una presenza nei luoghi pubblici, io in prima persona partecipavo a queste iniziative, solo che prima di questo evento era una cosa molto più sporadica, era capitata una cosa simile una volta e dopo un mese magari facevamo un'altra iniziativa in piazza a Exarchia. Con il parco improvvisamente ci siamo ritrovati ad uscire di casa numerosi e a ritrovarci in un luogo del nostro quartiere che costruiamo così come piace a noi. (…)L'iniziativa è cominciata con la diffusione dell’ idea della realizzazione di un parco e era stato cercato anche l'appoggio del comune. Per esempio hanno fatto molte richieste al comune, abbiamo raccolto firme affinché venisse realizzato un parco invece di un parcheggio. Così è incominciata questa storia, all'interno di questa situazione era coinvolta anche un altro gruppo di cui facevo parte anche io. (…) Un gruppo di attivisti che si era formato a Dicembre. (…) Nessun personaggio di particolare rilevanza, erano tutti ragazzi giovani, molti artisti che provenivano da tutta Atene, non solo da Exarchia. Però questi ragazzi sono sulla stessa linea d'onda di Exarchia. C'era anche una partecipazione attiva da parte di questi ragazzi e, grazie a loro soprattutto che erano più combattivi, abbiamo ottenuto più cose per la nostra iniziativa.

237 Figura 15

Parco autogestito di via Navarinou, in una foto (diventata un poster) presa da uno dei balconi del palazzo limitrofo. Si vede, oltre allo scorcio sul parco come si presenta ora, alcune immagini che mostrano come fosse precedentemente. (foto mia di un poster venduto a 3 euro alla festa per i quattro anni del parco, nell’aprile 2013)

238 Prima i partecipanti alla nostra iniziativa erano più anziani e ci limitavamo ad uscire con manifesti e a gridare i nostri diritti. Poi abbiamo richiesto anche un martello pneumatico per poter mettere un paio di alberi a livello simbolico. L'altro gruppo però voleva le cose più in grande, voleva infatti piantare una ventina di alberi e ordinare un camion di terra. Il giorno della protesta infatti abbiamo portato un intero camion di terra, e molte piante. Molti fiorai hanno partecipato all'iniziativa regalando alberi. É venuto anche un gruppo che si è occupato di rompere l’asfalto per piantare le piante. Alla fine tutta questa iniziativa è diventata più grande di quello che ci potessimo immaginare. Però io che partecipavo a entrambe i gruppi posso affermare che in nessuno dei due, nonostante uno fosse più estremo, avremmo mai immaginato che ci sarebbe stato un parco l’anno dopo... cioè non credevamo che un'iniziativa così breve avrebbe portato alla formazione di un parco. Io dico questo sinceramente, e credo di parlare anche per altri che hanno partecipato. Non credevamo avrebbe avuto così tanto successo. Almeno nella mia testa non credevo che il parco sarebbe diventato com'è adesso. (Intervista n°3, 8 luglio 2013 con Elli Botonaki)

Il parco esiste ancora. L’assemblea di gestione, a cui ho partecipato durante la mia permanenza ad Atene, è ancora attiva. Negli anni ovviamente molti membri se ne sono andati, e alcuni nuovi sono arrivati. Certo, ora non è più nell’onda di quell’incredibile momento creativo che sono state le rivolte del “Dicembre 2008”, ma continua a vivere nel cuore del quartiere, insieme agli altri spazi autogestiti che lo puntellano.

Uno dei problemi principali, riscontrati negli anni, era quello di negoziare due tipi di approcci diversi che, in un luogo come un parco che ha bisogno di azioni pratiche per essere mantenuto vivo e vivibile, si sono mostrati molto difficili da conciliare.

La parte pratica credo sia importante ma per tanti anni si è discusso solo l'aspetto teorico. E una cosa fastidiosa che molte persone vengano solo alle

239 assemblee e ad altri eventi mai. Per esempio c'era bisogno di innaffiare, di costruire, di scavare, ha numerosissime necessità, il parco. Loro invece venivano solamente alle assemblee, era la loro unica apparizione nel parco oltre qualche altro incontro all'infuori del contesto del parco dove affermavano di partecipare alle attività del parco, ma l'unica loro partecipazione avveniva alle assemblee. Ci sono persone che non ho mai visto tra le iniziative pubbliche , c'era da appendere volantini, stampare, creare le locandine,inviare mail, portare sedie, sistemare gli impianti acustici, il proiettore, …non li ho mai visti in nessuna di queste attività, venivano solo come spettatori ed erano sempre presenti alle assemblee per dire le loro opinioni che insistevano per fare valere. Sembrano dei sindacalisti professionisti che sono immersi nella vita politica, io credo che a certe persone dovrebbe essere impedito di andare alle assemblee. Una volta abbiamo discusso il principio -ma non l'abbiamo mai attuato,- che se partecipi alle assemblee del parco devi contribuire anche a livello pratico. Avevamo detto di fare la assemblea sempre verso le sette di sera ma di andare sempre un'oretta prima per sistemare, lavare, innaffiare per fare dei lavoretti e poi fare la assemblea in modo che anche queste persone partecipassero. Non puoi decidere tu per gli altri che fanno cose e tu dai solo idee e fai da porta voce in assemblee di altro genere. (Intervista n°3, 8 luglio 2013 con Elli Botonaki)

Il movimento di piazza Syntagma del 2010, inoltre, ha determinato una situazione ancora nuova, per quanto riguarda Exarchia. Se da un lato, infatti ha determinato qui come altrove nella città una rinnovata spinta verso i progetti di autogestione, nel contesto specifico di

Exarchia ha determinato uno spostamento verso altri luoghi (in generale i quartieri da cui molte persone che prima frequentavano prevalentemente Exarchia provenivano e dove invece sono “tornati”) di molte persone che prima partecipavano attivamente alle iniziative del quartiere.

240 In questo si vedono delle impressioni completamente diverse di due miei interlocutori. Da una parte Alexandros che afferma:

C’è stato Syntagma che, a Exarchia c’è stata un’incredibile spinta verso l’autorganizzazione. Si cercava l’accordo, che si trovasse un punto comune tra tutti gli spazi, sia anarchici che antiautoritari, che di sinistra. Per questo vedi a Exarchia adesso, sia tante nuove occupazioni, sia iniziative sociali e discussioni su di esse in numero sempre crescente. (Intervista n°2, 23 maggio 2013 con Alexandros)

Mentre d’altra parte Elli ha tutta un’altra percezione:

Qui a Exarchia dopo Syntagma le cose sono peggiorate. Infatti qui una assemblea popolare non siamo mai riusciti ad ottenerla, facevamo alcune piccole assemblee in piazza Syntagma ma non sono mai state niente di particolare nonostante alle spalle ci fossero iniziative che in qualche modo continuano. (Intervista n°3, 8 luglio 2013 con Elli Botonaki)

Un’altra questione intersecata con questa percezione di Elli, che si è determinata col passare del tempo, con l’esaurimento della “scia” di Dicembre, è che molte persone hanno smesso di partecipare alle iniziative.

Il parco è in una posizione strana di fronte ci sono solo uffici, non ci sono molte abitazioni intorno e anche qua a Exarchia non ce ne sono molte, infatti ci sono tantissimi uffici su più piani, molti appartamenti vuoti, forse non esiste più la comunità. E purtroppo credo che un grosso problema sia che molte persone che nelle occasioni di festa venivano al parco, venivano come spettatori, cioè chiedevano cosa facevamo e se gli interessava rimanevano. Facevamo dei bellissimi eventi per bambini, si radunavano cinquanta bambini con altri centocinquanta adulti e genitori e il parco diventava pieno di vita e di tutti questi solo due genitori si sono interessati un po' per il parco, nessun altro, gli altri venivano come se andassero ad un evento qualsiasi,

241 facevano bei commenti e poi ciao. Non si interessavano anche se era il loro quartiere, né venivano a pulire o innaffiare o tagliare le piante. E questo è uno dei problemi. (…)è rimasto così, ma dall'altro lato c'erano sempre persone alle assemblee che venivano spesso al parco e che dicevano giustamente che siamo noi il parco, noi siamo qui tutti i giorni trecentosessantacinque giorni l'anno. E allora nessuno poteva controbattere. La cosa incredibile era che durante tutta l’assemblea stavamo tutti al Glimaz (kafeneio di via Navarinou, vicino al parco, ndr) e vedevamo il parco pieno di tutte queste persone che non ci piacciono perchè sporcano, fumano e così via. E noi tutti che siamo seduti al Gilmaz a bere una birra. Esiste quindi un problema. (…) All'inizio era migliore l'atmosfera ed era più selettivo l'ambiente, c'era molta gente e anche noi stavamo di più. Dal momento in cui però le persone che frequentavano il parco sono diventate di un altro genere non avevamo molta voglia di andare e pian piano abbiamo cominciato ad andarci più raramente. (Intervista n°3, 8 luglio 2013 con Elli Botonaki)

Anche Alexandros mi ha detto qualcosa di molto simile rispetta all’allora nuovo progetto nato ad Exarchia, sull’autogestione alimentare del quartiere attraverso l’assemblea Zikos.

Non eri qui a vedere, ma sono venuti alla festa cinquemila persone e nell’iniziativa sociale siamo in tutto 18 persone. Ma come è possibile? (…) Mi ha detto una compagna alla quale ho chiesto di venire a Zikos “sì, vengo ad aiutare”, ma non voglio che vieni ad aiutare! Ci credi in questa cosa? Credi che ne abbiamo bisogno? Se ci credi vieni, ma che tu venga ad aiutare non mi interessa affatto. Non è un favore. (Intervista n°2, 23 maggio 2013 con Alexandros)

Questo fa parte dell’atmosfera un po’ “congelata” davanti alla quale mi sono trovata, nell’impossibilità di non percepirla. Parlando con Christina, durante la nostra chiacchierata al kafeneio Glimaz di fronte al parco Navarinou, il 20 maggio 2013, non ho potuto fare a meno di esporre questa mia percezione, e di chiederle cosa ne pensasse lei. La percezione, così ho

242 saputo, non era solo mia, ma diffusa, e la risposta, la spiegazione che lei si era data era molto più che credibile, ma l’ultima delle cose che avrei voluto sentire:

Credo che qualunque cosa sia successa dal 2010 in poi, oltre all’incredibile repressione che si è dovuta affrontare, incredibile repressione, penso che si sia entrati in questo sentimento di abbattimento, del tipo… non abbiamo vinto, non abbiamo guadagnato qualcosa come movimento, come persone resistenti, questo è un motivo, ma sicuramente ci sono anche altri fattori credo, è difficile. Adesso c’è un affaticamento comunque… credo, così mi sembra. Vedo che tutto è così, sottotono, e penso sia per questo: che siamo stata per strada tutto questo tempo e che, sai, non abbiamo avuto una piccola vittoria, diciamo, che ci abbia fatto continuare… non che non ce ne siano state affatto, ma forse così piccole che in confronto alla repressione alla grande mole di disoccupazione, la necessità di sopravvivere che è un grandissimo scoglio per tutto questo, di fronte quindi a tante cose che hanno fatto sì che le cose si affievolissero. Sì, purtroppo. (Intervista n°1, 20 maggio 2013 con Christina)

Come vedremo nel capitolo successivo, la crisi, ha colpito lo spazio urbano cui stiamo guardando in modo particolare rispetto al resto della città, e questo anche e soprattutto a ragione del suo retaggio storico e della sua particolarità attuale, oltre ad aver colpito molti degli abitanti nella loro vita individuale, dal momento che, come mi ha fatto notare Yiannis

Felekis

Exarchia non è un posto dove viva gente particolarmente ricca, quindi incide ancora di più. La disoccupazione è molto alta, e tutti i problemi si sentono forse ancor più che in altri posti, per quanto riguarda la crisi economica. D’altra parte però per quanto riguarda il discorso politico, le cose oggi sono molto più… richiedono un impegno molto grosso del movimento, non una cosa piccola, ma il fatto che non ci sia un grande movimento si ripercuote sul

243 fatto che la gente non sente di poter cambiare le cose. E c’è dunque una grande rabbia, da una parte, ma dall’altra anche una grande disillusione. C’è una grossa chiusura verso l’esterno, una crisi di fiducia verso i partiti politici, ma ancora di più verso le parti più marginali, sai, l’anarchismo, verso l’ estrema sinistra eccetera, che sono decisamente situazioni marginali. Quindi non possono incidere in queste cose così grandi. Su queste cose si incide con una grande rivolta di massa, ma che deve proporsi obiettivi coerenti. Ma la cosa più probabile che accada in questa situazione di rabbia e disillusione è che avvenga un’esplosione spontanea, che succeda un casino, che si bruci tutto senza che ci sia un obiettivo, una rivolta cieca e violenta , piuttosto che qualcosa di organizzato, dentro al contesto elettorale eccetera, dentro ai limiti della moderazione che cerchi di seguire le regole dell’unione europea, del piano economico controllato dal comitato di controllo, dell’eurogrouppo, eccetera. Difficile che succedano robe serie, e temo che

neppure SYRIZA potrebbe risolvere i problemi che ci sono. (Intervista n°9, 30 gennaio 2013 con Yiannis Felekis)

Come risulta chiaro anche dalle parole di Christina, però, su Exarchia nello specifico si concentra un tipo di attenzione particolare, dopo un’ondata repressiva generale che ha colpito indiscriminatamente tutti coloro i quali, anche attraverso e grazie la partecipazione alle grandi acampade di piazza Syntagma, si erano proposti di trovare delle strategie di autogestione insieme agli abitanti del proprio quartiere per far fronte alla crisi incalzante.

I motivi di queste attenzioni particolari, che nel seguito di questo testo cercheremo di guardare più da vicino, risiedono nel percorso storico, di negoziazioni e azioni quotidiane sullo e attraverso lo spazio che abbiamo visto in queste pagine, un percorso storico che ha reso questo posto, con tutte le sue contraddizioni, un segno evidente delle potenzialità reali dell’autorganizzazione come pratica quotidiana.

244

Figura 16

Mappa del centro di Atene (Fonte: www.in2greece.com)

245 Figura 17

Mappa di Exarchia a cura degli studenti Panos e Charis del Michanourgio del Politecnico di Atene (in gentile concessione). Le linee rosse mettono in evidenza le arterie stradali principali del centro che delimitano il quartiere. In senso orario a partire dall’alto a sinistra: viale Alexandras, via Ippokratous, via Akadimias, via Patission. In verde prato sono messi in evidenza gli spazi verdi del quartiere, tranne il Parko Navarinou che è posto in rosso all’interno di un cerchio. Spicca il Lofo tou Strefi. In verde menta sono segnalate le strade pedonali del quartiere, mentre in bianco sono segnalati i lotti di terra vuoti. I cerchi rossi indicano le autogestioni. Come si può notare, il cerchio più grande indica il Politecnico.

246 Figura 18

Sezione della mappa di Atene che mostra il triangolo entro cui si iscrive il quartiere di Exarchia. (Fonte: google maps)

247

248 Capitolo Quinto État de Siège

Il territorio così com’è oggi è il prodotto di secolari operazioni di polizia. (…) Il problema del territorio non si pone per noi come per lo stato. Per noi non si tratta di mantenerlo, ma di rendere localmente più dense le comuni, la circolazione e la solidarietà, in modo che il territorio diventi indecifrabile ed opaco agli occhi dell’autorità. Non è questione di occupare, ma di essere il territorio.

Comitato Invisibile, L’insurrezione che viene

1. L’Iperluogo

Se quindi come abbiamo visto, e come scrive Lefevre, il concetto molto usato di città come

“sistema urbano” non è sufficiente per spiegare il fenomeno della città e invece bisogna prestare attenzione alle «pratiche urbane» (Lefevre 1970), che continuamente trascendono l’idea di “sistema”, non possiamo che guardare il nostro riferimento spaziale, Exarchia, come un taskscape (Ingold 2000) molto particolare. Sedendo negli innumerevoli kafeneia e negli stekia del quartiere, parlando con le persone che li frequentano, l’impressione di vivere in un villaggio, e non al centro di una caotica metropoli mediterranea, è palpabile.

Alla fine della nostra chiacchierata al kafeneio vicino al parco Navarinou, Christina mi ha detto:

Riguardo al quartiere comunque tutti più o meno le stesse cose ti diranno, “il villaggio” come lo chiamiamo. È assolutamente diverso vivere qua

249 rispetto a vivere, che ne so, a Pagkrati. Anche lì può succedere che gli abitanti si salutino per strada, ma non è lo stesso. Non c’è lo stesso tipo di complicità. Qui ad esempio ci si ferma a parlare anche tra persone di età molto diverse, può succedere di scambiarsi commenti politici anche tra sconosciuti… è un’altra cosa. E non credo che.. siccome c’è anche un’altra immagine del quartiere dettata dai mezzi di informazione, che Exarchia è un posto terribile, dove ci sono gli anarchici, e questo e quell’altro…balle! È un quartiere molto sicuro, è bello, c’è un’atmosfera amichevole, e per questo ci si sente come in un villaggio, che puoi passeggiare e sentirti bene. Puoi parlare alla gente, sapere le novità. Le persone qua si somigliano, si scambiano informazioni. C’è questo nel quartiere, non dico che lo facciano tutti, ma lo si sente. Se a Exarchia arrivassero gli Albadorati gli si farebbe il culo… non ci sono solo queste cose, ma sono queste principalmente, positive. (intervista n° 1, 20 maggio 2013 con Christina)

Di fatto, lo spazio e le persone, in un nesso strettissimo, creano quello che è un ricchissimo luogo politico. Una parte importante di ciò viene giocata da quella che in molti hanno definito una legacy spazio-sociale (Occupied London 2011). Ciò che succede a Exarchia, nel bene o nel male è fortemente connotato culturalmente e spazialmente in una dialogica relazione con ciò che non è Exarchia. In antitesi rispetto ai Nonluoghi descritti da Augé (Augé 2006 or.

1992), userei per descrivere il quartiere nella sua congiuntura spazio-temporale la definizione di Iperluogo. Dove infatti un Nonluogo svuota lo spazio delle sue relazioni storiche e delle caratterizzazioni socio-culturali che l’hanno costruito e ed è caratterizzato dall’essere prettamente transitorio ma non mutevole, un Iperluogo, al contrario, non si basa soltanto sul tessuto identitario di sentimento spazio-culturale, ma soprattutto, ed è questo ciò che interessa

250 noi ora, su un legame mitologico (e non mitico)1 interpersonale e antropo-spaziale dinamico, di natura decisamente storica (e quindi segnato dal cambiamento).

Nell’Iperlouogo non succede nulla che non sia connesso con la densità dei rapporti e tutto ciò che non solo succede, ma viene raccontato, modificato, sussurrato o dichiarato con parole scritte, contribuisce a formare la legacy di Exarchia. La comunicazione, qui, non è un mero atto informativo ma un’affermazione soggettivante che contribuisce a connettere gli individui e i gruppi che popolano il quartiere come in una rete. Fondamentale da questo punto di vista anche l’uso che si fa del sito internet athens.indymedia.org, dove si trova il calendario di tutto quanto avvenga in città a livello di mobilitazioni e iniziative politiche, ma i cui

“aggiornamenti continui” (synexis enimerosi), soprattutto, aggiornano in tempo reale su quanto succeda per le strade: dai raid della polizia, alle incursioni di albadorati, sino alle azioni dirette dei vari collettivi. Diventa una sorta di diario continuo, il racconto in diretta del choros ateniese.

1 È importante fare questa distinzione, non solo perché ritengo debba stare alla base di ogni approccio di metodo di ricerca antropologica, ma anche perché è qui estremamente importante per comprendere il concetto di legacy, così importante per spiegare il nesso storico uomo-luogo che si sviluppa in questo quartiere di Atene. L’idea di mito è infatti tendenzialmente staticizzante e stigmatizzante rispetto a ciò a cui viene riferito. L’atto del “mitizzare” infatti presuppone un soggetto che agisce intellettualmente e un oggetto che passivamente subisce questa azione e diventa mitico. L’approccio mitologico, invece, presuppone che soggetto e oggetto si leghino l’un l’altro attraverso l’insieme di percezioni, di discorsi sul luogo (mitologia significa infatti “discorsi sul mito”) che costituiscono la sua storia materiale e simbolica, entro un orizzonte specifico di senso. Ovviamente esistono discorsi diversi e anche profondamente antitetici sul luogo, ma tutti questi contribuiscono a costruirlo come luogo sociale. Partecipano, insomma, alla sua legacy.

251 Dalle pagine del mio diario di campo traggo la descrizione di un pomeriggio passato con alcuni frequentatori del parco Navarinou, passato in un bar del quartiere dopo aver fatto lavori nell’orto del parco al mattino:

La conversazione con i ragazzi al bar è poi finita in gag, sulla leggenda metropolitana del perché “la divisa” del militante greco sia la giacca nera north face, e le scarpe salomon. N. ha riferito come leggenda narri che, in un tempo lontano lontano, sul finire degli anni novanta, durante una manifestazione enorme nel centro di Atene, ci siano state delle tensioni con la polizia e che sia stato saccheggiato un megastore di articoli sportivi per acquisire le bardature necessarie per affrontare la guerriglia. Da quel momento, siccome molte delle persone in strada quel giorno erano molto rispettate ed ammirate, e portavano gli indumenti appena espropriati dal negozio, si è diffuso questo abbigliamento durante le manifestazioni. È una storiella buffa, che mi fa ridere: una vera e propria leggenda metropolitana. Nessuno può dire se sia vera o falsa! (dal mio diario di campo, 9 maggio 20013)

La densità di questa legacy rende Exarchia un’”eccezione urbana”, il luogo che, nel suo cuore, racchiude le contraddizioni della città.

Dal punto di vista urbanistico questo è immediatamente percepibile. I confini del quartiere, di fatto delle arterie stradali importanti, sono marcati dalla presenza costante di forze di polizia2

(figura 19).

2 Secondo Thodoris Zeis, con cui ho parlato di questo circondamento, la polizia non presidia Exarchia per evitare che succedano disordini ma, al contrario, è lì proprio per farli succedere. Non si spiegherebbe altrimeni un tale, continuo, schieramento di forze in un quartiere dove, da sempre, la politica degli abitanti sia quella di tenere la polizia il più lontano possiblie

252 Figura 19

In questa mappa ho segnalato in rosso i confini del quartiere di Exarchia. Le frecce nere segnalano la presenza di klouves, ovvero le corriere della polizia, e di reparti MAT. Sono in corrispondenza della sede del PASOK in via Charilaou Trikoupi, all’”ingresso” di Exarchia, all’incrocio tra via Charilaou Trikoupi e via Akadimias e tra via Zoodoxou Pigis e via Akadimias, e in prossimità degli uffici del ministero della cultura, dietro al politecnico e al museo archeologico in via Bouboulinas. Le frecce azzurre segnalano i presidi più o meno stabili dei DELTA force in moto, che comunque possono subire variazioni. Particolare menzione va fatta per quello all’incrocio tra via Ippokratous e via Nabarinou, che proprio in quel punto diventa via Skoufa. Quel punto segna il confine tra Exarchia e il quartiere centrale del lusso Kolonaki. I percorsi segnalati in viola sono le strade circondariali del quartiere a traffico intenso dove i DELTA vanno avanti e indietro con le moto tutta la notte. In ultimo, in verde, ho segnalato la stazione di polizia di Exarchia in via Kallidromiou tra via Ippokratous e via Mavromichali, e la questura centrale di Atene GADA, vicino alla stazione della metropolitana di Ampelokipoi. (Fonte: google maps)

253 È bene sottolineare che, nonostante questo apparente isolamento, che da sempre e soprattutto ultimamente i poteri politici cittadini e nazionali cercano di stigmatizzare, rendendo Exarchia un “caso”, un’aporia legale, che debba essere trattata e risolta, Exarchia non è un ghetto e nessuno dei suoi abitanti e dei suoi frequentatori vuole che lo diventi. È piuttosto da considerare come uno snodo politico, il cuore di una rete, il filo tirato del tessuto urbano sgualcito. Un esempio di questo lo si può trarre da un recente, freschissimo fatto di cronaca.

Si ricordi che da sempre i gruppi politici impegnati nel quartiere si oppongono, insieme agli abitanti, alla presenza di quelle che qui vengono chiamate mafie, e che con questo nome si intendono quei gruppi, generalmente etnici3, che controllano lo spaccio di droga, nel caso specifico di Exarchia, ma anche il traffico della prostituzione e il controllo dei locali notturni.

Come abbiamo visto, quello della droga è un problema da sempre presente nel quartiere (in tutte le interviste vi si fa riferimento) che, a seconda dei tempi, si fa sentire più o meno prepotentemente. Nell’ultimo anno e mezzo la situazione, a detta di molti abitanti con cui ho parlato, è diventata insostenibile. Ho già citato le circostanze verificatesi, l’una poche settimane prima del mio arrivo ad Atene quando un uomo era stato ucciso con un colpo di pistola al parco Navarinou durante un regolamento di conti tra bande che controllavano lo spaccio. E l’altra quando, questo inverno in via Themistokleous all’incrocio con via Koletti,

3 Fotini, la farmacista di piazza Exarchion mi ha esplicitamente parlato di gang di nazionalità albanese (intervista n° 10, 31 gennaio 2014).

254 due uomini incappucciati su un motorino hanno avvicinato un terzo e gli hanno sparato addosso una raffica di kalashnikov. La situazione non è nuova, comunque.

Già sul finire degli anni ’80 lo slogan Oi mpatsoi poulane tin iroini, “gli sbirri vendono l’eroina”, che si vede nella foto (figura 13) dietro le spalle della poetessa anarchica Katerina

Gogou, era usato per mettere in evidenza che in una situazione come quella di Exarchia, nella quale la polizia era volutamente tenuta fuori dal quartiere dagli attivisti che lì si ritrovavano e dagli abitanti che intrecciavano, da sempre, buoni rapporti con il movimento antiautoritario, la presenza della droga e dello spaccio desse il pretesto alla polizia per fare incursioni, che in realtà avevano scopi di controllo politico4. Come è emerso dalle interviste, si sosteneva allora e ancora si sostiene in gran parte degli ambienti di movimento e del quartiere in generale che ci sia una vera e propria collusione delle mafie dello spaccio con la polizia, entrambi interessati a rendere Exarchia un ghetto chiuso, senza connessioni con l’esterno e facilmente controllabile. È di pochissimi giorni fa (3 giugno 2014) la notizia che “ignoti” abbiano sparato nottetempo almeno cinque colpi di pistola contro il centro sociale occupato K*Vox in piazza

Exarchion. Per fortuna nessuno si trovava all’interno dell’occupazione al momento dell’attacco. Il testo del comunicato5 scritto dagli occupanti in merito a questo evento mette in

4 Yiannis Felekis, infatti, nella nostra conversazione, mi ha parlato della famosa “Operazione Aretì” (operazione virtù) che avvenne nel quartiere nel 1984 (intervista n°9, 30 gennaio 2014 ) 5 «All'alba di martedì, circa alle 2.30, ignoti hanno sparato almeno 5 volte contro l'entrata centrale del centro sociale occupato K*Vox. due delle pallottole hanno trapassato la saracinesca e hanno rotto il vetro dell'entrata centrale. Per fortuna a quell'ora nessun compagno si trovava nell'occupazione. Nell'ultimo periodo il K*Vox insieme agli abitanti, a collettivi e militanti del quartiere ha partecipato alle

255 luce molto chiaramente quale sia la posizione degli abitanti e del movimento che lì vivono rispetto alle politiche che si muovono intorno al quartiere di Exarchia6. In particolare si pone l’accento più volte sulla non volontà di creare un ghetto “di illegalità” o “di anarchia”. In questo senso, quindi, sono in gioco piani percettivi differenti, e alcuni di essi contrastanti, che si intersecano. Della costruzione “negativa” parleremo più avanti. Per adesso vorrei soffermarmi sulla sorta di collante identitario interno al quartiere, che ha molto a che fare con la legacy di cui stiamo parlando. Abbiamo visto nel capitolo precedente come le pratiche iniziative per alcune azioni contro le mafie e lo spaccio di droga a Exarchia, che avviene con la collusione e la copertura della polizia. Mercoledì 28 maggio c'è stata un'assemblea generale con queste tematiche di discussione, alla quale hanno partecipato gli abitanti, i lavoratori, e i collettivi di Exarchia. è stata presa la decisione di formare una assemblea popolare a Exarchia e di organizzare un presidio/corteo mercoledì 5 giugno, come inizio di un ciclo di azioni contro le mafie e il loro patrocinio statale. Pensiamo che gli spari contro il K*Vox, due giorni prima del presidio e del corteo siano un tentativo andato a vuoto di spaventare il movimento e la società locale messo in atto da parte degli spacciatori i quali, in accordo con la polizia, vorrebbero rendere il quartiere un ghetto. E' importante segnalare che i bossoli dell'attacco di cui stiamo parlando sono stati raccolti da noi 12 ore dopo il fatto. Come anche in altri casi di regolamento di conti tra mafiosi avvenuti nel quartiere durante i quali, i bossoli, li hanno raccolti gli abitanti, visto che la polizia, data la sua connivenza, mostra un disinteresse provocatorio. il K*Vox sin dal suo primo giorno si è posto contro la collusione delle mafie e della polizia a Exarchia e contro la ghettizzazione del quartiere. Diverse volte compagni del K*Vox sono stati vittime della polizia e delle mafie e di gran parte dei mass media per le loro azioni. Non è ancora passato abbastanza tempo da quando tre compagni del K*Vox sono stati trattenuti come sospettati nel quartiere generale della polizia di Atene con il solo motivo di una "telefonata anonima" che li metteva in relazione con un'azione anarchica contro lo spaccio. Poiché non sono riusciti a spaventarci con il blitz della polizia nell'edificio (aprile 2012), con le incursioni nelle nostre case (gennaio 2014) e con le continue minacce contro di noi, ricorrono ora ai proiettili dei codardi armati. Il movimento non si spaventa per nessuna delle cose precedenti. Chiamiamo la gente solidale e parte della lotta al presidio/corteo in piazza Exarchion giovedì 5 giugno alle 18.00. NON UN PASSO INDIETRO» (traduzione mia) fonte: http://left.gr/news/anakoinosi-gia-tin-epithesi-me-pyrovolismoys-enantion-toy-kvox-stis- 362014 (consultata il 3 giugno 2014) 6 È inoltre interessante porre in essere una riflessione su un conflitto in atto tra visioni contrapposte all’interno del movimento, che mi limito qui ad accennare. Da un lato i trascorsi storici del quartiere col problema dello spaccio di droga, e d’altra parte anche i trascorsi di una parte importante del movimento degli anni ’80 e ’90, legato alle sottoculture del punk, che ha letteralmente visto la consunzione (e la graduale incapacità di lucidità politica) e la morte di molte persone che lo animavano a causa dell’eroina, trascorsi che, proprio in ragione della legacy di cui stiamo parlando, si riflettono sul presente; dall’altro un’ondata critica nei confronti dell’intransigenza (che a volte assume contorni anche nettamente autoritari) di molti militanti exarchioti verso chi fa uso di sostanze stupefacenti. Questa “massa critica” pone l’accento sul fatto che è una pratica fortemente autoritaria (e quindi non libertaria) l’imporre agli altri una lucidità e una sanità del corpo che essi non intendono perseguire. Questo argomento ci porterebbe decisamente fuori tema, ma ho trovato interessa a citarlo per tenere aperte alcune possibilità di approfondimento, essendo, in definitiva, un tema fortemente biopolitico.

256 dell’abitare (Ingold 2000) siano prodotto della relazionalità storico-sociale dell’uomo con l’ambiente, in questo caso cittadino, in cui vive ed agisce7. Aggiungiamo qui un ulteriore tassello a questa relazionalità, esplicitando, qualora non fosse emerso già, che questa costruzione biforcuta è influenzata dalle relazioni di potere interne e generalmente dalla dinamica politica dove la dimensione del conflitto è eternamente presente. La legacy di

Exarchia si basa esattamente sulla dimensione del conflitto.

Il labirinto di piccole stradine crea l’ambiente perfetto per le sommosse. Le sue taverne e cafè e gli spazi aperti, sin dall’opposizione al regime dei colonnelli, sono i luoghi ideali per parlare senza dare nell’occhio. La posizione centrale nella città la rende facile da raggiungere. I tantissimi laboratori tipografici danno l’opportunità di stampare a prezzi convenienti manifesti e testi di controinformazione. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, non è solo la dimensione del “villaggio” che costruisce l’identità del quartiere, ma anche la legacy politica che si costruisce attraverso pratiche di autogestione e solidarietà sociale attiva (sono infatti innumerevoli i collettivi e i gruppi che si occupano di scambio e mutuo aiuto nel quartiere: dalle banche delle sementi tradizionali, al bazar Skoros dove invece di comprare le

7 Si può ben immaginare a questo proposito che lo stravolgimento del panorama urbano dovuto alla costruzione delle megastrutture olimpiche in ambiente sostanzialmente di colture e spazi aperti non sia passato senza lasciare segni nella percezione dello spazio. Come abbiamo visto, e cosa sulla quale torneremo, questa improvvisa privatizzazione e cementificazione dello spazio ha dato il via a innumerevoli iniziative popolari per l’autogestione e la salvaguardia degli spazi pubblici in Attica. Un ottimo esempio è il comitato di autogestione del parko di Elliniko, dove sorgeva il vecchio aeroporto cittadino. Terreno che, lottizzato, è adesso in svendita a privati per sfruttamento commerciale. Ad ogni modo è difficile non lasciarsi colpire, girando per le periferie della città, da questi giganti di cemento lasciati nel totale abbandono. Uno spreco di spazio pubblico, ma ovviamente a loro tempo un investimento fruttuoso per le aziende che li hanno costruiti.

257 cose le si scambia, alla banca del tempo, dal mercato autorganizzato con i produttori diretti

Zikos, all’assemblea che si occupa della consulenza per far fronte alle difficoltà economiche degli abitanti, fino all’ambulatorio popolare presso il centro sociale K*Vox), oltre che di conflitto sociale e azione diretta (Graeber 2009). Parlando con le persone che vivono qui, da veri e propri abitanti o anche da assidui avventori, ciò che colpisce è il sentimento di prendere parte a qualcosa. Una storia, una mitologia condivisa. Tutte, indistintamente, le persone con cui ho parlato hanno in qualche modo scelto Exarchia perché volevano fare parte di questo percorso (questo emerge in modo chiaro da tutte le interviste da me svolte, che si possono leggere in appendice, ma anche in maniera chiara lo si può percepire conversando con chiunque viva questo quartiere). Il fatto che venga dato per scontato, come emerso dalla mia conversazione avuta nel luglio 2013 con la professoressa di urbanistica del politecnico di

Atene e abitante del quartiere dagli anni ’60 Salomi Chatzivasileiou (intervista n°4, 25 luglio

2013), che difficilmente il quartiere di Exarchia venga scelto come residenza da famiglie con figli, ad esempio, a meno che non siano persone già residenti nel quartiere, è indice di ciò che stiamo dicendo.

Sono originario di Creta. Ho dei parenti qua... sono venuto ad Atene e ho vissuto a Exarchia dall’inizio. L’ho scelta perché allora la zona era molto vivace, adatta a degli studenti e alle attività politiche, per questo. (...) e per tutti questi anni, ho abitato qui intorno. (intervista n° 7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis)

258 Mi ha raccontato Thodoris Zeis, un avvocato che lavora con le donne migranti, quando ci siamo conosciuti il 20 novembre 2013.

Sono venuto ad abitare a Exarchia in quel tempo, appunto per questo motivo, volevo, oltre ai miei studi, vivere delle esperienze, come membro della mia generazione di allora, credevo che Exarchia fosse la zona adatta (intervista n°7, 20 novembre 2013 con Thodoris Zeis).

In questo senso, dunque, cioè quello di “mitologia attiva”, partecipazione ad un “percorso”, il concetto di legacy viene usato e teorizzato da Antonis Vradis e Dimitris Dalakoglou, in riferimento alle rivolte di Dicembre 2008. (Occupied London 2011).

Il luogo dove Alexandros Grigoropoulos è stato ucciso, un incrocio di strade pedonali, via

Mesologiou e via Tsavella, all’epoca molto frequentato dai punk, e a pochissimi passi dai bar di via Koletti, e gli eventi che hanno portato alla sua morte violenta, non potevano essere più provocatori e simbolici. Una provocazione di un’autopattuglia della polizia che, alle 21.30 di un sabato sera dopo una manifestazione, si ferma dove sa che la sua presenza sarà presa di mira; ne esce un uomo in divisa che prima risponde agli insulti di un gruppo di ragazzi appena quindicenni, poi torna in auto, ne ridiscende armato e spara ad altezza uomo nel mucchio, nel luogo in cui “i diversi”, “gli anarchici”, “i nemici dello stato” si ritrovano e dove la legge non scritta “della strada”, costruita con decenni di pratiche di lotta e conflitto sociale dice che lui non può passare8. Quella sera un ragazzino di quindici anni fu ucciso. La reazione fu

8 È da evidenziare che la questione della non presenza della polizia nel quartiere è un dato centrale: se da un lato infatti è riconosciuto da tutti che polizia in borghese sia sempre presente nel quartiere, le incursioni della polizia

259 immediata e per almeno una settimana l’intera città di Atene fu un campo di battaglia.

L’avamposto degli insorti, comunque, era senza ombra di dubbio Exarchia e il suo politecnico. Quei giorni di rivolta, l’abbiamo detto, hanno dato luce a qualcosa di estremamente longevo e creativo. Un nuovo modo di vivere e rimodulare lo spazio urbano è stato messo in pratica nel quotidiano. Uno “spazio liquido” (Bauman 2011, or. 2000) in senso positivo, costruito con processi orizzontali e collettivi. Il Parco Autogestito di Navarinou è per

Exarchia la viva testimonianza di questo.

L’imperativo di quei giorni era la “rottura della quotidianità”, l’interruzione della routine della città. Alberi di natale giganteschi dati alle fiamme, barricate di divani su cui sedersi e sorseggiare caffè freddo e l’occupazione dei luoghi più insoliti (parcheggi trasformati in parchi, vecchi mercati coperti, il teatro lirico nazionale, la vecchia casa di Maria Callas tra via

Patision e via Skaramagka,…) sono state le modalità per mettere in atto quella che, in termini

Benjaminiani può essere definita una “violenza pura” o “divina”9.

in divisa (prevalentemente Delta Force in moto, ma spesso anche MAT) sono vissute come una provocazione non solo dai militanti più intransigenti, ma dagli abitanti stessi che di frequente associano il fastidio per la polizia nel quartiere a quello dello spaccio di droga. “Fuori la polizia e le mafie dal nostro quartiere” recitava un volantino dell’inverno scorso firmato dall’assemblea degli abitanti (alla quale, è bene sottolinearlo, non prendono parte membri dei collettivi politici libertari o gli occupanti dei centri sociali del quartiere). 9 Nella sua Critica alla violenza (Benjamin 2010, or. 1921) Walter Benjamin teorizza una “terza figura” oltre a quella che chiama “violenza che pone il diritto” e la “violenza che conserva il diritto”. Essa è appunto la “violenza pura”. Mentre le prime due si attivano e si disinnescano vicendevolmente in un ciclo che costituisce l’ambito dello stato, la “violenza pura” è una figura che Benjamin vede come del tutto al di fuori da questo dialogo, ed anzi, che ha per obbiettivo il minare e il distruggerlo. Nella prima Soglia di “Homo Sacer” (Agamben 2005:73-74 or. 1995) Agamben fa alcune interessanti considerazioni, che poi riprenderà in “Stato di Eccezione” (Agamben 2003) sul fatto che durante lo stato di eccezione (situazione di cui parleremo diffusamente più avanti) qualcosa accomuna la violenza sovrana a quella pura, ed è il fatto che entrambe esse non possano essere riportate ne’ all’ambito della violenza costituente (che fonda la legge), ne’ di quella costitutiva (che mantiene la legge). Tuttavia è fortemente errato confonderle l’una con l’altra: se nel caso della violenza sovrana, infatti, rimane evidente il nesso con il diritto, essendo “sovrano” colui che «decide sullo stato d’eccezione» (Karl

260 La percezione di Alexandros, il vlachodimarkos di Exarchia, (intervista n°2, 23 maggio

2013), che Dicembre non fosse stato di nessuno dei gruppi politici radicali le lo preesistevano, ma un evento del tutto nuovo, corrisponde senza dubbio al vero. Lui definisce “studenti” coloro i quali hanno animato quelle strade, ma io guarderei al di là di questa etichetta. È vero molte erano persone giovani, alcune sicuramente vicino ad un certo tipo di pensiero e di pratiche (il più forte movimento studentesco di occupazioni per la scuola pubblica, come abbiamo visto più sopra, è di pochissimi anni precedente alle rivolte di Dicembre, e moltissimi giovani facevano parte degli steki universitari), ma penso che il dato più importante sia che fossero persone al di fuori dei gruppi precostituiti, che si sentivano spazialmente legati a Exarchia e che hanno saputo mettere in pratica “l’inatteso”.

Molti dicevano fosse “dell’anarchia”…ecco io non sono d’accordo con questa cosa. Era degli studenti, principalmente. Sia il movimento anarchico, ma sia anche soprattutto la società aveva costruito un sorta di…come se avesse in qualche modo spaventato il sistema, grazie alle forti relazioni sociali che si erano create. (Intervista n°2, 23 maggio 2013 con Alexandros)

In questo senso dunque la legacy spaziale di Exarchia, ha fatto sì che le rivolte e le pratiche di

Dicembre 2008 trovassero una collocazione, un luogo. «Places don’t have location, but histories», scrive Tim Ingold (Ingold 2000), e, di fatto, non c’è nulla che possa descrivere meglio il quartiere delle narrazioni, delle storie di chi l’attraversa e lo vive; sono queste che,

Schmitt in Agamben 2003), la violenza pura non pone né conserva il diritto, ma lo de-pone. Si può quindi ravvisare quella “sovversione del quotidiano” (Kallianos in Occupied London 2011) che era praticata per le strade di Atene nel dicembre 2008.

261 come le fantasie dei bambini che mantenevano viva Fantàsia ne “La storia infinita”10, tengono attiva la legacy di Exarchia. È questa densità di narrazioni, la solidità dell’intreccio storico che esse costituiscono, il loro intessersi con le pratiche del quotidiano, che rende questo luogo un iperluogo.

2. Il mito delle palme

Come mettono brillantemente in evidenza nell’introduzione a “Revolt and Crisis in Greece”

Antonis Vradis e Dimitris Dalakoglou (Occupied London 2011), a chi come me e come loro è capitato di girare un po’ fuori dalla Grecia per raccontare delle rivolte di Dicembre, sono state poste domande “interessanti” circa la situazione ad Atene dopo quei giorni. C’erano ancora scontri tutti i giorni? Exarchia “bruciava ancora”? Com’era vivere in un perenne stato di rivolta? Domande simili continuo a sentirle ogni volta che, tornata in Italia, mi viene chiesto come sia vivere in un paese che, stando al pensiero comune della gente, sembra la città di

“Cecità” di Josè Saramago11, vessata da uno stato quasi di guerra civile permanente, o, nella versione positiva, con le piazze sempre piene di gente pronta ad assaltare il parlamento e dare fuoco al centro cittadino in nome della libertà. Le une e le altre immagini fanno parte, chiaramente, di un processo inconscio di esotizzazione del “altro”. Avviene anche l’opposto,

10 Michael Ende, 1988, La Storia Infinita, Latea, Milano (or. 1979), da cui è stato tratto un film culto uscito nel 1984, diretto da Wolfang Petersen. 11 J. Saramago, 2010, “Cecità”, Milano, Feltrinelli (or. 1995)

262 ovviamente. Sempre durante la conferenza alla quale mi è stato chiesto di parlare della situazione dei centri di identificazione e di espulsione in Italia e delle lotte sociali coi migranti per la loro chiusura, una ragazza, alla fine del mio intervento mi si è avvicinata e ha commentato sogghignando: «da voi sì che c’è conflitto sociale!».

Bisogna quindi fare molta attenzione in situazioni come queste, in cui si cerca di analizzare la situazione e le dinamiche di un contesto così mediatizzato e idealizzato, a compiere una lenta ma inesorabile opera di disesoticizzazione. «There’s no palm tree in Athens!», viene dichiarato dai due autori di Occupied London, intendendo che non c’è nulla di caratterizzante a Exarchia e ad Atene che renda questi luoghi “diversi”, ne’ le persone che li abitano particolarmente propensi alla rivoluzione in senso innato. Sono piuttosto il prodotto di dinamiche storiche. Atene è una metropoli europea come ce ne sono tante, ricca sicuramente di contraddizioni e densità interessanti, ma non possiede lo stigma della rivolta sociale permanente, e Exarchia, seppure sia un luogo con delle particolarità politiche innegabili, è un luogo di vita, un quartiere di una metropoli mediterranea, dove la gente vive, lavora, si ammala, guarisce, studia e affronta i problemi della crisi come può.

Exarchia non è un posto dove viva gente particolarmente ricca, quindi incide ancora di più. La disoccupazione è molto alta, e tutti i problemi si sentono forse ancor più che in altri posti, per quanto riguarda la crisi economica (intervista n°9, 30 gennaio 2014 con Yiannis Felekis)

263 Come abbiamo visto prima è chiaro che la dinamica storica e la sua continuità renda questo posto in qualche modo eccezionale (ex + capio, latino > tirare fuori –da qualcosa che è la norma, il canone, la normalità), ma non lo è per dei motivi magici ed esotici, quanto più per le questioni antropo-sociali che ho cercato di delineare nel capitolo precedente. Chi cerchi, in senso positivo come abbiamo visto o in senso negativo come vedremo, di stigmatizzare questa eccezionalità compie un grosso errore di astrazione idealizzante (positiva o negativa che sia).

A questo proposito, infatti, possiamo usare, adattandola un po’, la definizione di Jean

Baudrillard in “Simulacri e Simulazione” (Baudrillard 1981) di ciò che chiama iperrealtà.

Questo concetto, lungi da ciò che abbiamo finito come iperluogo, identifica la condizione nella quale vi è di fatto uno scollamento percettivo tra la realtà e la sua astrazione simbolica, il suo simulacro. Una sostituzione della realtà con i suoi segni. In questo senso, dunque

Exarchia diventa “il quartiere anarchico” e la quotidianità della crisi diventa “la miseria”. La realtà, il “territorio”, però, sono sempre più complessi e articolati del loro simulacro, di una sua mappa. La geografia simbolica, infatti non è univoca, ma molteplice e, per dirla con

Gilles Deleuze e Felix Guattari, rizomatica (Deleuze, Guattari 2010 or. 1980); si intreccia, si creolizza con altre: con ciò che si sa per sentito dire, con le proprie esperienze personali, e tutto concorre alla costruzione di Exarchia, città invisibile, città “delle palme”.

264 3. Stato di eccezione

«Uno dei grandi desideri della mia vita è di fare di nuovo quello che facevo da ragazzo, da studente. Tornare a bere il caffè al “Floral” 12 di Exarchia!» queste le parole che il ministro per l’ordine pubblico e la sicurezza del cittadino Nikos Dendias ha proferito durante un’intervista del 15 luglio 2013 alla radio Skai 100.313. È sicuramente un’affermazione interessante, perché risulta insensata per qualcuno che non sappia “cosa” sia Exarchia. Presuppone, quindi, un sentito comune, una conoscenza data per scontata. Senza dubbio, la fama di Exarchia è estremamente diffusa, non solo ad Atene, quanto in tutta la Grecia. Non è raro, ad esempio prendendo in taxi e comunicando che la destinazione è Exarchia, sentirsi chiedere dal conducente «Perché Exarchia? Ci vivi?». A mia madre, una volta che è venuta a trovarmi, il

12 Il caffè “Floral” in piazza Exarchion è si trova al pian terreno della Ble Polykatoikia, la “Palazzina blu”, un edificio in stile modernista costruito tra il 1932 e il 1933. Le Courbousier espresse i suoi pareri più positivi rispetto a questo edificio che, ora non più blu, è un vero gioiello incastonato nelle stradine del quartiere. Il caffè “Floral”, che da sempre occupa il pian terreno dello stabile, oltre ad essere internamente un capolavoro architettonico, è molto noto per essere il ritrovo storico di intellettuali ed artisti prima, durante, e dopo la dittatura dei colonnelli. Un giorno, conversando con Thodoris Zeis, questi mi ha raccontato di avere un amico che viveva nella Ble Polykatoikia, ed insieme siamo andati a fargli visita. Il signor Takis mi ha raccontato di aver acquistato la casa attraverso un annuncio in un giornale di affari immobiliari per pochi soldi una quindicina di anni prima, e di aver sistemato tutto da solo l’appartamento, che da molto sembrava abbandonato in uno stato di grande trascuratezza. Gli spazi interni, seguendo i dettami del modernismo, sono tutti rotondeggianti, quasi senza alcuno spigolo, e l’impressione è quasi di trovarsi nelle spaziose cabine di un transatlantico. Dai racconti del signor Takis sono venuta a sapere che tutto il palazzo apparteneva ad una importante famiglia greca, gli Antonopoulos, il cui capostipite volle costruire, nell’allora nuovo quartiere della città, un palazzo da dividere tra tutta la famiglia. Scoppiò però la guerra, molti degli eredi emigrarono negli Stati Uniti e l’edificio, rimasto in minima parte incompiuto, venne ulteriormente suddiviso e affittato. Pare che, durante la guerra, parte dei suoi appartamenti, quelli che affacciavano su piazza Exarchion, fossero occupati dal quartier generale delle SS, mentre la leggenda metropolitana narra che negli appartamenti con gli affacci interni e su via Arachovis e nei sotterranei che ospitavano laboratori artigianali e un cinema si riunissero di nascosto i gruppi partigiani che operavano in città. Non sono stata in grado di verificare questa voce che rimane, comunque, molto suggestiva. 13 Fonte: http://www.mopocp.gov.gr/index.php?option=ozo_content&perform=view&id=4711&Itemid=574&lang= (consultata il 10 giugno 2014)

265 taxista ha chiesto, sorridendo sotto i baffi e guardandola dallo specchietto retrovisore: «Eiste anarchiki, kyria?», «È anarchica, signora?».

Cosa significa, quindi, in una situazione di crisi, che adesso cercheremo di delineare spazializzandola nel nostro campo di ricerca, per il ministro dell’ordine pubblico e della sicurezza del cittadino (dicitura che apre solo di per sé un ampio spettro di analisi psicosociale sulle paure moderne dei cittadini metropolitani) dire che il suo sogno è, sostanzialmente, di poter tornare a Exarchia?

Per poter rispondere bisogna capire come si intersecano due piani storici e sociali contemporanei in questo luogo: quello del “mito di Exarchia” e quello della gestione dello stato di emergenza causato dalla crisi.

Facciamo un passo indietro. Quando nel 1997, sotto il governo Simitis, il comitato olimpico decise che la città che aveva il compito di organizzare i giochi olimpici del 2004 era Atene, la notizia fu accolta con grande gioia dalle istituzioni greche14 e, di rimando, venne socializzata da tutti i media nazionali come una grande e felice opportunità di sviluppo sociale ed economico per il paese. Finalmente la capitale della “culla della civiltà occidentale” avrebbe avuto il lustro che si meritava. Come abbiamo detto la città fu completamente rimessa a nuovo, e il periodo pre-olimpico ed olimpico, gestito con la logica del “grande evento” (lo slogan dell’epoca era «Live your myth in Greece», accompagnato da uno spot giocato tutto

14 E ovviamente, da subito non mancarono, come ho già spiegato più sopra, le perplessità e le contrarietà di molti.

266 sull’immagine stereotipica della Grecia del mare blu, del passato antico, e della vita notturna15,) vide la messa in atto di politiche securitarie ed emergenziali, cui tutta la popolazione della città era sottoposta, per garantire che i lavori e in seguito i giochi si svolgessero senza “inconvenienti”. Un esempio di questi possibili “inconvenienti” era rappresentato dal gruppo terroristico “17Novembre”, per il quale venne richiesto direttamente dai servizi segreti americani che il governo greco si adoperasse per fare qualcosa.

Oltre alle megastrutture olimpiche (assolutamente fuori misura e che non hanno trovato poi alcun secondo utilizzo) che andarono a ricoprire gran parte dei terreni statali e non registrati al catasto (dunque, di fatto liberi) dell’Attica, una serie di micro mutamenti al paesaggio urbano

(oltre ai noti, immensi, lavori di ammodernamento della città) presero atto in tutto il centro cittadino: telecamere a circuito chiuso, un aerostato che sorvolava perennemente la città con funzioni di controllo, il divieto di assembramenti nel centro città, pattuglie di polizia antisommossa a presidio dei luoghi ritenuti “caldi”, solo per citare alcuni degli esempi portatimi da Thodoris Zeis in una nostra recente conversazione in un cafè di via

Kallidromiou.

La circolazione urbana, per permettere che si svolgessero i lavori di messa a nuovo e la costruzione delle linee metropolitane, fu completamente stravolta per anni. Tutto questo, al di là dei grossi disagi per il quotidiano svolgimento della vita delle persone, sottoposte a

15 https://www.youtube.com/watch?v=kCWDdZYY1Bo

267 controlli e norme “straordinarie”, comunque fortemente pubblicizzati come un sacrificio minimo e temporaneo sino all’avvento del grande, magnifico evento olimpico, aveva ovviamente un costo che, nonostante le parole del ministro alla televisione americana che abbiamo visto all’inizio, evidentemente la Grecia non era in grado di pagare da sola. La

Grecia, un piccolo paese non industrializzato, con una classe dirigente ed un settore pubblico che, a detta dei suoi abitanti e come abbiamo già visto, sono da sempre dediti alla corruzione, accrebbe enormemente il suo debito pubblico, e lo tenne nascosto sino al 2009 quando il rampollo di casa Papandreou, neoletto, dichiarò che il paese era a rischio di bancarotta.

«Ma, non si sapeva prima?», ho chiesto a molte persone. «Ma certo che si sapeva!», è stata la risposta quasi unanime.

Riconosco che un’affermazione come questa possa lasciare sgomenti, visto che nessun tentativo politico di fermare la corruzione e la crescita del debito è stato fatto, nonostante si affermi che fosse cosa nota. Va tenuto in considerazione, però, che le persone con cui ho parlato prevalentemente durante il mio campo sono politicamente attive o schierate, quantomeno, e quest’affermazione ha assunto contorni di cinica ironia16.

16 L’unico che rispetto a queste cose mi ha dato una lettura tutt’altro che ironica è stato l’architetto Kostas Vasiropoulos. Dopo la nostra chiacchierata registrata del pomeriggio del 4 novembre 2013 al kafeneio di piazza Plastira a Pagkrati, mi ha offerto da mangiare in una graziosa trattoria del quartiere, dove vive e ha lo studio, a pochi passi da dove vivevo io. In quel contesto mi ha raccontato che prima delle olimpiadi era stato assunto dalla sovrintendenza dei lavori pubblici in qualità di tecnico, per monitorare i lavori di ristrutturazione e ammodernamento della città in vista del grande evento. Ben presto, mi ha raccontato con un evidente amarezza nella voce, il suo ruolo prettamente tecnico aveva costituito un problema perché si scontrava coi molti interessi politici che le circostanze portavano con sé, e Kostas Vasiropoulos fu allontanato dal suo incarico. Da allora non è stato più contattato per nessun tipo

268 Quello che a noi ora interessa in particolare, nella globalità di questa curiosa situazione, però,

è che ciò che si è messo in moto dalla dichiarazione di Papandreou, al di là delle misure di austerità, ed in stretta relazione con esse, fu una serie di scelte politiche inappellabili e di norme emergenziali eccezionali che corrispondono alla definizione classica di Stato di

Eccezione (Agamben 2003).

Nel suo testo, Giorgio Agamben, per definire questa situazione particolare, ne ricerca le origini nelle letterature antiche. Si sofferma in particolare su quella latina. Nel decimo libro dell’Ad Urbe Condita di Tito Livio (27 a.C.-14 d. C.) si parla dello Iustitium, parola creata in analogia a “solstizio” (cioè “quando il sole sta fermo”) per indicare che ciò che è fermo, in questo caso, è lo Ius, il diritto. Si tratta dunque di una sospensione dello stato di diritto, che si concepisce come conseguente ad uno stato di tumultus. Cosa sia quest’ultimo è una questione estremamente interessante e dibattuta su diversi piani, da quello filologico, a quello giuridico.

In buona sostanza si tratta della dichiarazione del senatoconsulto di uno stato di pericolo per la Res Publica. Qualcosa, in genere, configurato con una rivolta (non una guerra vera e propria) che mina, scuote, lo stato di cose esistenti. Per arginare questo stato di pericolo, si dichiarava lo Iustitium: una situazione in cui la legge ordinaria veniva sospesa, e rimaneva solo una forza di legge; di fatto una legge al di fuori della legge, ma legittimata dalla legge stessa. Un’eccezionalità, appunto, uno stato di eccezione. Non è difficile applicare questa di lavoro pubblico, e si limita a lavorare come architetto privatamente. Gli sprechi, e i maneggi di denaro erano all’ordine del giorno. «Cosa non hanno visto i miei occhi in quel periodo, una vera vergogna».

269 definizione di tumultus alle grandi mobilitazioni popolari che nel 2011 hanno preso la forma delle manifestazioni e delle acampade di piazza Syntagma, e in generale alle strenue opposizioni “dal basso” alle politiche di austerity, ed è altrettanto semplice verificare come le politiche repressive e la violenza delle forze dell’ordine a seguito di quelle iniziative si sia affinata e intensificata, tanto da far sembrare Atene una città militarizzata17.

17 Rispetto al movimento di piazza Sytagma vanno fatte alcune importanti considerazioni. Per prima cosa va evidenziato come la piazza fosse di fatto divisa in due (figure 20 e 21). Come ben spiega Dimitris Dalakoglou nel suo saggio "The Movement and the “Movement” of Syntagma Square." Fieldsights - Hot Spots, Cultural Anthropology Online, February 14, 2013, (fonte: http://www.culanth.org/fieldsights/70-the-movement-and-the- movement-of-syntagma-square consultato il 10 giugno 2014), la costruzione e il continuo riammodernamento dello spazio negli anni, e soprattutto in preparazione dei giochi olimpico del 2004, hanno reso questo luogo, che voleva essere una vetrina della nuova Grecia moderna e neoliberista, poco più di un luogo di transito (la stazione della metropolitane che è stata l’ costruita è uno snodo di transito importante e frequentatissimo), per la prossimità col parlamento e con via Ermou, la via dello shopping, continuamente presidiato da forze dell’ordine. In particolare, si tratta di uno spazio quadrato, completamente circondato dalla viabilità urbana. La peculiarità del luogo consiste nella sua verticalità: non solo infatti piazza Syntagma consta in un piano inclinato, ma ad una delle sue estremità una scalinata che, dall’area pedonalizzata “bassa”, porta sino a via Amalias, arteria a due corsie molto trafficata e sovrastata dal palazzo del parlamento; questa parte è chiamata “piazza alta”. Durante le acampade del 2011 questa conformazione spaziale ha determinato una peculiare spazializzazione politica. La “piazza bassa” era il luogo delle assemblee, delle discussioni, dell’elaborazione dal basso di alternative possibili alle misure di austerità (abbastanza in linea, seppur con diverse peculiarità, con le piazze dei vari movimenti Occupy che in quel periodo animavano innumerevoli città europee), mentre la “piazza alta” era un luogo politico di tutt’altra natura. Si trattava di un luogo sicuramente più “teatrale”, più provocativo. Era il luogo in cui più che i contenuti “altri” venivano espressi insulti, minacce, ingiurie verso il parlamento senza alcun contenuto politico. Era il luogo dove, sventolando tantissime bandiere nazionali, veniva cantato tra le lacrime di commozione l’inno greco. Sebbene Alba Dorata non si sia mai palesata apertamente in queste circostanza, in base ai discorsi e alle istanze, è molto logico pensare che la ano platia ne abbia costituto un bacino elettorale notevole. Un secondo dato interessante da trarre in merito al movimento di piazza Syntagma, tratto da una conversazione avuta con il mio amico Vangelis Dimos la sera del 5 dicembre 2013 e riportata sul mio diario di campo il giorno successivo, riguarda la composizione politica della piazza e il motivo per cui una tale mobilitazione sia stata effettivamente importante. «Tu sei stato a Sytagma quei giorni?» «Sì, ci sono passato. Alle manifestazioni più che altro, e a qualche discussione» «Com’era?», gli ho chiesto. Prima di rispondere Vangelis mi lancia un’occhiata tra lo scettico e il sarcastico. «Molto piccolo borghese (mikrastiki fasi). Per lo più gente che non aveva mai discusso di alternative politiche con altri, o alle quali non era mai capitato di avere a che fare con gente “diversa”. Persone che non si erano mai occupate di queste cose. Poi ovviamente quando la polizia li ha aggrediti e hanno sentito cosa dicevano alla televisione hanno cominciato a capire che non è sempre la verità e dicevano “ma non è vero quello che dicono, non stavamo facendo nulla e ci hanno caricati a freddo!” e veramente c’era gente che distribuiva fiori alla polizia che poi è stata caricata e ha capito che sono dei bruti e non dei potenziali interlocutori, che non possono essere dalla loro parte. Questo sì, è stata una cosa molto importante!». L’acampada di piazza Syntagma è stata violentemente sgomberata dalla polizia il 29 giugno 2011. Le sue iniziative hanno però fatto sì che molte delle persone che vi avevano preso parte continuassero le loro azioni sociali nei quartieri. In particolare, come emerge dall’intervento di Charis Tsavdaroglou e Vasiliki Makrygianni alle prime giornate di antropologia del conflitto urbano svoltesi dal 7 al 10 novembre 2012 all’università di Barcellona, una delle peculiarità del movimento greco rispetto agli altri Occupy è stata proprio che la strategia

270 Lo stato di iustitium, o stato di eccezione è, per Agamben, il paradigma di governo moderno.

Lo è in quanto, come lui stesso ha spiegato nel suo intervento al teatro Embros occupato di

Atene il 18 novembre 2013, lo stato di crisi, come nuovo “modo di essere” moderno, presuppone una nuova attenzione a quello che è forse il più grande feticcio della società contemporanea: la sicurezza18. In nome di essa tutte le misure sono lecite.

Nella definizione del giurista nazista Carl Schmitt, uno dei massimi teorici del reich, che nei suoi “La dittatura” (1921) e “Teologia Politica” (1922), si occupa specificamente di cosa significhi stato di eccezione, questo è la circostanza nella quale si crea di fatto una situazione in cui la sovranità diventa l’unico luogo di decisione.

Va fatto notare che Schmitt considera questa condizione indispensabile e l’unica possibile per mantenere l’ordine, a differenza di quanto afferma nello stesso periodo Walter Benjamin nel suo “Per la critica alla violenza” (2010 or. 1921), che vede nello stato di eccezione l’aberrazione della storia contemporanea, che solo un movimento storico completamente nuovo, capace di rompere il dialogo tra il potere che fonda e quello che mantiene la legge, sarà in grado di arrestare.

Questa circostanza, comunque, è definita eccezione nella misura in cui si verifica una sospensione della legge, decretata dalla legge stessa. repressiva di molecolarizzazione delle lotte sociali per indebolirle si è rivelata invece essere vincente per un territorio politico come quello di Atene “abituato” ad avere a che fare con la dimensione dei quartieri. 18 Al riguardo: U. Beck, 2000 “La società del rischio. Verso una seconda modernità”, Bologna, Carocci (or. 1986), S. Zikek, 2007, “La violenza invisibile”, Milano, Rizzoli; N. Klein, 2007, “Shock Economy”, Milano, Rizzoli, Z. Bauman, 2003, “La società sotto assedio”, Bari-Roma, Laterza (or. 2002); 2005, “Fiducia e paura nella città”, Milano, Bruno Mondadori; 2008, “Paura Liquida”, Bari-Roma, Laterza (or. 2006)

271 Figura 20

Piazza Syntagma, con indicazioni mie che ne mostrano la conformazione. Immagine nella pagina seguente. (Fonte: google maps)

272 Figura 21

Foto dal sito Imprecor.gr (International Press Correspondence) di una manifestazioni del movimento di piazza Syntagma del giugno 2011. Nei contesti di manifestazione sicuramente la composizione della piazza alta e di quella bassa era più fluida. In questa immagine si può comunque notare la conformazione spaziale (alta e bassa) di piazza Sytagmatos.

273 Come si può facilmente capire e verificare nei fatti, è il potere, e dunque lo stato stesso che, per mantenere sotto controllo un pericolo che lo incalza, produce una città disciplinare

(Dreyfus 1978) dominata dalla paura. Come essa assuma connotati culturali precisi e come si spazializzi nell’ambiente urbano specifico del quartiere di Exarchia, lo vedremo tra un attimo.

Per il momento cerchiamo di considerare l’aspetto altrettanto concreto, ma più sfuggevole di questa paura.

4. Debito

Ho un caro amico attuario che da tempo lavora in una importante agenzia assicurativa nel nord Italia. Mi ha sempre enormemente colpita il suo lavoro: come da variabili reali, concrete, che hanno a che fare con la vita che ciascuno di noi conduce ogni giorno, possano essere tratte delle formule astratte, matematiche che determinino l’incidenza dei “rischi” più vari per un determinato individuo. Mi ha sempre colpita come l’aspetto umano, sociale, si congeli scientificamente perdendo ogni tepore di realtà e d’altra parte come su esso si basi il lavoro dell’attuario: senza una “signora Rosa” che va al mercato e che ha una storia personale, clinica, lavorativa, familiare di un certo tipo, sarebbe impossibile trarre le variabili del calcolo astratto.

Sotto questo punto di vista mi è capitato di guardare al concetto di debito, approfondito e storicamente sviscerato da David Graeber in “Debito. I primi cinquemila anni” (Graeber

274 2012) e nel suo articolo nel volume di Occupied London che già tante volte è tornato nel nostro discorso (Graeber in Occupied London 2011:229-243). Come abbiamo già visto, vi è un notevole scollamento tra i saperi degli esperti e quelli delle persone “normali”, e questo in particolare nelle situazioni di crisi, in cui i primi sono chiamati in causa (o si chiamano in causa loro stessi) come potenziali salvatori della situazione, col risultato di un’infantilizzazione delle popolazioni cui fa riscontro la capacità “esperta” di guarigione dei tecnici.

Quando Christine Lagarde, appena eletta presidente del FMI nel 2011, dichiarò rispetto alla questione del debito greco che l’unica cosa che le interessava realmente era che la Grecia rientrasse nei mercati e che facesse riforme strutturali che la portassero in linea con lo standard europeo attraverso un programma di aiuti che passassero anche attraverso la privatizzazione dei settori pubblici, cui avrebbero partecipato privati volontariamente19 e si disse piacevolmente colpita dalla sinergia dei leader europei affinché ciò avvenisse, il discorso tecnico-attuariale raggiunse il suo apice.

Qual’è il significato profondo di essere in debito?

David Graeber nel suo testo (2012) mette bene in evidenza quale sia la storia (lunga cinquemila anni) di questa tipologia relazionale. È interessante notare, infatti, quanto questo concetto permei la nostra quotidianità e quanto quest’ultima, con la somma dei valori morali

19 http://www.youtube.com/watch?v=y5qMRJbQdqk

275 di cui è costruita, intacchi di conseguenza il concetto economico di debito in un circolo vizioso senza fine. Vi è una convinzione intrinseca alla morale occidentale dei rapporti che ci dice che “dobbiamo pagare i nostri debiti”. È la religione che ce l’ho insegna: Cristo è morto per noi, e noi siamo in debito con lui. La nostra vita è segnata da questo debito. Si può andare oltre: il racconto di Adamo ed Eva (comune a Cristianesimo, Ebraismo e Islamismo) ci dice che noi, discendenti del primo uomo e della prima donna, scontiamo sulla terra l’onta del loro peccato originale. Il corpo e lo spirito, in totale antitesi, sono poste come dicotomiche basi del nostro essere uomini. Se l’uno è la sede del peccato, l’altro deve aspirare alla purezza20 ed espiare. A questo proposito è curioso notare, e anche Graeber lo evidenzia, come in moltissime lingue indoeuropee ci sia una sovrapposizione concettuale, laddove non una vera e

20 Neppure l’avvento della scienza cosiddetta “moderna” ci salva da questo sapere dicotomico: la mente continuerà ad essere considerata ciò che governa il corpo, tra l’altro mettendo in atto proprio quei meccanismi, prima psicologici di rapporto di potere medico-paziente, e poi sociali, come abbiamo appena visto, di “governo degli esperti” sul “corpo” sociale. Come si può notare torna incessante la metafora medica, la biopolitica. Secondo la Teoria della Continuità Paleolitica espressa da Mario Alinei e nel cui quadro si inscrivono gli studi di tantissimi ricercatori (www.continuitas.org per una rassegna sistematica dei testi), vi era un tempo in cui presso i popoli indeuropei gli operatori magici, guarivano attraverso la parola e il corpo. La trance, la glossolalia sono fenomeni tipici e noti dello sciamanismo, come lo è la dimensione del sogno e della parola che curano. A partire da questo, altrove, ho cercato di capire come questa dimensione insieme psico-corporea da un lato si sia scissa fondando con il principio cartesiano di divisione tra anima e corpo che fonda il nostro pensiero occidentale, dall’altro abbia dato il via alla marginalizzazione psichiatrica. Per fare ciò ho preso in considerazione uno dei fondamenti della letteratura europea, ovvero le liriche romanze. Come nota Francesco Benozzo (2007) non solo le tematiche più diffuse delle liriche in lingua d’oc sono quelle del sogno, del viaggio e delle apparizioni magiche (vestigia quindi di un sapere molto più antico di queste forme scritte), ma pure come gli stessi poeti si riferiscano a se stessi come a dei “pazzi” o delle persone che “vengono da lontano”. Si potrebbero vedere, dunque, come gli eredi di una tradizione molto antica di maghi-guaritori. In “Homo sacer”, Giorgio Agamben (1995) mette in relazione l’idea di “sacertà” con quella di “fuori legge”, ed è proprio questo passaggio che può essere qui interessante. Egli identifica come “sovrana” quella condizione in cui «si può uccidere senza commettere omicidio e senza celebrare un sacrificio». Come scrive Carl Schmitt nella “Teoligia Politica” «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione», cioè di fatto su ciò che abbiamo visto essere “fuori dalla legge”, come “fuori dalla legge”, perché non soggetto ad essa, è pure il potere sovrano. Se la sacertà dunque può essere decisa solo dalla sovranità, in questo senso Sacro è ciò che, scrive Agamben «è uccidibile ma non sacrificabile». Se quindi, seguendo questo filo, non esiste esistenza che più dello sciamano, o del pazzo, è da considerarsi “fuori legge”, ecco come la devianza venga marginalizzata, espulsa dal corpo sociale su cui governano, rigorose, le menti degli esperti.

276 propria concomitanza lessicale, tra il concetto di colpa e quello di debito (si pensi all’inglese due, per esempio). In generale l’idea è quella di uno squilibrio che deve essere aggiustato.

«Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Cosa vuol dire esattamente rimettere? Se si tratta di un valore monetario significa letteralmente “restituire”, appunto “pagare un debito”. Ma è evidente che nessuno ha debiti monetari con l’Altissimo.

Va dunque bene solo per la seconda parte di questa invocazione. Nella prima, allora, immaginiamo che i debiti di cui si parla non siano calcolabili, siano quindi in realtà “colpe”,

“peccati”, e dunque in questo senso remissione può voler dire solo perdono. A ragion di logica, però, questa diventa è una questione molto spinosa, perché un conto è essere perdonati da qualcuno, un altro, completamente diverso, il dovergli dei soldi e ridarglieli indietro. Come

è avvenuto quindi questo accavallamento?

È difficile dirlo; David Graeber (2012) risponde con una accurata spiegazione storica dalla quale emerge come questo avvenga attraverso la quantificazione (e come essa sia inscindibile dalla violenza) degli impegni verso gli altri. Quando posso determinare matematicamente cosa ti devo, cioè a dire, in “quanto” consiste l’impegno che ho nei tuoi confronti, questo vuol dire che ho determinato il valore del mio debito con te. Finchè questo debito non sarà saldato, io sarò in colpa.

277 Questa spiegazione è chiaramente unicamente morale, determina solo una tipologia relazionale asimmetrica tra persone, ma noi sappiamo bene che il debito, soprattutto per quanto riguarda il nostro caso di studio, è anche un concetto economico.

Il FMI e la BCE affermano che la Grecia è in debito, e che questo debito deve essere ripagato.

Uno dei principi base del capitalismo, però, come afferma anche Graeber (2012), è quello di

“rischio”. Se tutti i debiti potessero e dovessero essere interamente ripagati questo caposaldo non esisterebbe. Si rischia e si vince o si perde. Gli stati europei attraverso le banche private

(unico tramite di prestito ammesso dal Trattato di Lisbona, art.123 del dicembre 2007) hanno finanziato un progetto che sapevano fallimentare (l’ammodernamento della Grecia) perché, probabilmente, sapevano quanto il mondo della finanza globale sia invece intaccato dal principio morale che tutti i debiti devono essere saldati, e che quindi da questo potevano venir loro solo vantaggi: sia che veramente la Grecia mettesse a frutto il capitale prestatole, sia che si rivelasse un fallimento, perché comunque “i debiti vanno rimessi”. Il debito quindi, gestito in questi termini, può essere considerato un’appendice astratta dello stato di eccezione. Si tratta infatti di una decisione sovrana, di una forza di legge fuori dalla legge, su una condizione che si dà per pericolosa per lo stato di cose esistenti. Necessitas legem non habet, sed ipsa sibi facit legem21, “l’emergenza non ha legge, ma determina essa stessa la legge”.

Come più volte è successo in questi cinquemila anni di storia del debito, i creditori hanno il

21 Brocado già noto nel Corpus iuris civilis (527-565), presente anche nel Decretum Gratiani (1140-1142) e parte integrante del codice penale italiano (art. 54)

278 potere di decidere in senso sovrano della sorte dei debitori (e dunque colpevoli di tale debito), finché non riterranno che il loro debito sarà scontato.

L’eccezionalità delle norme (nel nostro caso le misure di austerità chieste ai governi), e le modalità eccezionali con le quali vengono fatte rispettare, oltre alla condizione di crisi in cui vessa il sistema che le applica, sono certo molto calzanti per la nostra materia, ma pure un paradigma generale di quello che Agamben ha definito, durante la sua lettura pubblica all’auditorium di Technoupoli a Gazi il 16 novembre 2013, «perpetual coup d’état», un paradigma di “comando e controllo22” estendibile a qualunque situazione che si consideri

“eccezionale”. Dal grande evento (giubleo, olimpiadi…) alla gestione degli impatti di catastrofi naturali o tecnologiche, sino alla gestione dell’ordine pubblico in situazioni di crisi: dai cortei di protesta pacifici, alle acampade, sino alle rivolte di piazza, ma anche, come vedremo, la gestione ordinaria di una situazione eccezionale per la popolazione, come l’attuazione di leggi di speciali che ne stravolgono la vita quotidiana, tutto questo, in quanto eccezionale, è passibile di norme non ordinarie.

Qui il concetto di “rischio”, sottratto al campo economico, viene utilizzato solo come mezzo di controllo sociale, come giustificazione dello stato di eccezione permanente. È infatti questo il senso intrinseco dei sacrifici “lacrime e sangue” richiesti ai greci col “pacchetto austerità”: diventare poveri per non diventare poveri, per evadere il rischio di diventare poveri (dove il

22 Dal nome dell’unità della protezione civile che operava all’Aquila nel post-terremoto del 6 aprile 2009

279 secondo “poveri” vuole dire “sotto lo standard europeo”). È bene notare come il concetto di sovranità, unito a quello di “esperti”, è completamente sottratto all’autonomia nazionale

(come peraltro previsto dal Trattato di Lisbona per quanto riguarda il “travaso di sovranità”23).

I governi nazionali, quello greco in particolare, si trovano nella condizione di apparato

(Foucault 1980) di un potere che sta altrove, e la classe dirigente non è che espressione di questa nuova politica sovranazionale.

Il “rischio” dunque, per assurdo, nella completa astrazione economicistica che pervade la vita quotidiana di ciascuno con la sua freddezza calcolatrice (non esiste società, esistono numeri da far quadrare; non ci sono disoccupati, ma “tagli” necessari), rimane l’unico elemento culturale e psicologico usato nei confronti delle popolazioni.

È chiaro come esso diventi, in definitiva, una categoria di pensiero tra le più malleabili, un giocattolo che crea diseguaglianza tra chi subisce una condizione di crisi e vi si oppone e chi, invece, la gestisce24. È un giocattolo spaventoso nel senso che consiste nel creare paura: paura del “vuoto”, di fatto, cioè, paura del rischio che incombe sullo stato di cose esistenti

23 http://www.appuntieconomia.it/economia-gestione-delle-imprese-internazionali/il-trattato-di-lisbona.html (consultato l’11 giugno 2014) 24 Non sono rare, infatti, le situazioni nelle quali un rischio sentito come imminente dalle popolazioni, venga minimizzato dalla comunità degli esperti. Un esempio estremamente contemporaneo è quello della Valsusa e della linea del TAV che si vuole lì costruire, costruendo un tunnel che attraversi il massiccio d’Ambin. Sarebbe questo un interessante campo di ricerca per studiare le dinamiche di conflitto tra saperi tra comunità locale, esperti che la appoggiano e istituzioni ed esperti ex-loco. Se è infatti cosa nota che le rocce della montagna che divide la Fracia dall’Italia in quel tratto sono ricche di amianto e uranio, e che il massiccio costituisce per la ricchezza ecologica un patrimonio importantissimo per la Val Susa, il rischio sanitario e quello idrogeologico- ambientale sono oggetto di forte conflitto tra le parti in causa. In questo caso viene fortemente minimizzato dalla comunità degli esperti “ufficiali”, e in ragione di ciò le istituzioni difendono il progetto, strenuamente vessato dalla popolazione locale che vi si oppone da almeno due decadi, con la totale militarizzazione dell’area del cantiere e con controlli e azioni di polizia continui in tutta la valle. La lotta NO TAV in Val Susa è diventata un simbolo delle lotte territoriali contro i progetti istituzionali neoliberisti, ma è anche un interessantissimo terreno di ricerca per la dimensione sociale e politica che si è costruita negli anni.

280 (seppur impietoso almeno consueto), e ad un livello intersecato paura per chi “mette in crisi la crisi”, opponendosi allo stato di eccezione.

5. Comando e controllo

Esiste un documentario di grandissimo valore, di Alberto Puliafito e prodotto da Fulvio

Nebbia, che tratta della gestione emergenziale post-terremoto all’Aquila dopo il sisma del

2009. Si intitola “Comando e controllo”25 dal nome della direzione operativa della protezione civile (Di. Coma. C., Direzione comando e controllo) attiva in quei giorni. Più che su l'Aquila dopo il terremoto, è un documentario su come la situazione sia stata gestita dalla protezione civile secondo il “Metodo Augustus”, mutuato dalla FEMA, Federal Emergency Management

Agency statunitense. Questo metodo si basa sulla divisione dei compiti per settori d’intervento, chiamati “funzioni di supporto”.

Come è molto facile notare guardando la struttura di questo metodo26, il ruolo della popolazione nella gestione delle emergenze è assolutamente passivo. Esistono le azioni degli

“esperti” sul territorio, ma ogni azione individuale o collettiva slegata dalla pianificazione istituzionale è assolutamente non contemplata e, come emerge chiaramente da “Comando e controllo”, vietata. Così, quando il regista del documentario cerca di entrare in un campo dove vivono gli sfollati per intervistarli, un militare in mimetica lo ferma e dichiara perentorio:

25 A. Puliafito, F. Nebbia, ITA 2010 “Comando e controllo”, iK produzioni, HDV Colore 26 http://www.reformnet.it/joomla/attachments/114_Metodo_Augustus.pdf

281 Allora, io sono il capo-campo. (…) Noi abbiamo delle disposizioni della Di.

Coma. C. che sono ben precise: allora, estranei nei campi per fare riunioni, volantinaggio o quant’altro, o riprese non possono entrare.

Comparando la situazione dei vari campi allestiti all’Aquila e provincia in questa circostanza, e quella degli altri (uno per ogni comune) allestiti dopo il terremoto in Emilia Romagna del maggio 2012, si comprende come ci siano dei regolamenti molto rigidi e diversi per ogni campo, stabiliti dai responsabili della protezione civile e dell’ordine pubblico che operano in ogni campo27.

Nella diversità ovvia tra situazioni come quelle della gestione post-terremoto all’Aquila o in

Emilia Romagna, e la circostanza di gestione di una situazione di “crisi” economica come quella di cui stiamo trattando, ci sono alcuni punti di contatto importanti. Innanzi tutto, per quanto riguarda le popolazioni colpite, nell’uno e nell’altro caso, vi è la percezione di una frattura temporale tra il prima e il dopo.

Come riportato dal mio diario di campo, mi è capitato diverse volte di sentire commenti su

“come si stava prima”. Una sera di febbraio sono stata invitata a cena a casa della famiglia di un caro amico, uno zio paterno del quale aveva studiato architettura a Padova ed era rimasto innamorato dell’Italia. Uno degli argomenti di discussione, come spesso succede, era la crisi

27 http://www.informa- azione.info/emilia_romagna_giornalisti_protezione_civile_e_la_%E2%80%9Cgestione%E2%80%9D_del_sism a (consultato l’11 giugno 2014)

282 economica28. La famiglia di cui ero ospite è una famiglia abbastanza tradizionale: composta da tre fratelli (due maschi e una femmina) e la madre vedova, originari dell’Acarnania, regione della Greca Occidentale. I due figli maschi sono rispettivamente un medico e un architetto, e la figlia femmina, madre del mio amico, un’infermiera. Da diversi anni l’anziana madre (che nonostante l’età e il suo corpo esile si occupa ancora in modo vigoroso della casa e della cucina) vive nella bella villa del figlio architetto, e torna al villaggio per le vacanze estive, pasquali ed invernali, dove i figli e le loro famiglie che la vengono a trovare spesso.

Una situazione familiare come questa è estremamente comune tra gli abitanti della capitale greca, tra i quali è molto raro trovare qualcuno la cui famiglia sia originaria di Atene.

I figli, trasferitisi in città in giovane età per gli studi o subito dopo, fanno parte di quella

“classe media” che ha subito il cambiamento dovuto alla crisi economica in maniera più evidente.

Rispetto a questo, durante la conversazione, lo “zio medico” ha detto qualcosa che mi ha profondamente colpita, e che dà il metro per capire la percezione del cambiamento: «guarda», mi ha detto ad un certo punto «a me piace avere belle cose, una bella macchina, una bella casa; mi piace avere soldi, ma so vivere senza. Quando ero giovane non avevo nessuna di queste cose, non avevo soldi e non mi fa paura l’idea di tornare a vivere senza».

28 Un argomento davvero pervasivo che, ho potuto notare passando del tempo con le persone più disparate, entra in quasi tutti i discorsi almeno con un accenno.

283 Una situazione come questa è interessante, perché mostra quante molteplici facce possa avere quello che Ernesto De Martino chiama crisi della presenza:

La fine dell’ordine mondano può essere considerata in due sensi distinti, e cioè come tema culturale storicamente determinato, e come rischio antropologico permanente (…) come rischio antropologico permanente il finire è il rischio di non poterci essere in nessun modo culturale le possibile, il perdere la possibilità di farsi presente operativamente al mondo, il restringersi –sino all’annientarsi- di qualsiasi orizzonte di operatività mondana, la catastrofe di qualsiasi progettazione comunitaria secondo valori. La cultura umana in generale è l’esorcismo solenne contro questo rischio radicale, quale che sia –per così dire- la tecnica esorcistica adottata. (De Martino 1977: 219)

Le “crisi” come quella in corso, come i disastri, hanno il potere di mettere gli individui di fronte a questo rischio di perdere il loro modo di essere nel mondo, la loro modalità culturalmente connotata di operarvici, e chiaramente questa “paura del vuoto” o “crisi della presenza” viene complicata dal fatto che non esistono culture o comunità monolitiche, ma che esse sono perennemente attraversate da dislivelli di potere29 sui quali un “evento”, un agente di cambiamento, impatta in modi multiformi.

29 In questo senso, a partire dall’analisi gramsciana sull’egemonia e la subalternità, potrebbe esserci utile un’analisi del concetto di subculture e controculture. Prendiamo la voce subculture, curata da Pier Giorgio Solinas, nell’Enciclopedia Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/subculture_(Enciclopedia_delle_scienze_sociali), consultato il 12 giugno 2014) Rispetto alle subculture si dice: «Il grado di effettiva autonomia che una subcultura può conseguire rispetto alla cultura di appartenenza è variabile, e variabili sono i fattori che concorrono ad accrescere o a diminuire questo distacco. Una subcultura può accentuare la rigidità dei patterns che riceve dalla cultura matrice, oppure può differenziarsene fino a produrre schemi di cultura contrari. Per quanto ampio possa diventare tale divario, resta il fatto che il concetto di subcultura presuppone l'inclusione. Se si accentua questo aspetto si avrà difficoltà ad ammettere che un sistema di valori e di costumi, interno a un altro più comprensivo, possa costituire una struttura separata e tuttavia inglobata in quella superiore. È per questo che, nella maggior parte delle definizioni antropologiche accreditate, si parla di non autonomia. Così, nella definizione proposta in uno dei manuali più diffusi negli Stati Uniti, il concetto di subcultura viene concisamente formulato come segue: "Un settore di una cultura estesa significativamente distinto, ma non autonomo, spesso basato su differenze di identità

284 Come è chiaro, a differenza di un sisma, una situazione di crisi economica mostra chiaramente la sua dimensione processuale che invece, pur essendoci, può sfuggire nell’osservazione non approfondita di una situazione di post-impatto di una calamità naturale.

Se prendiamo, però, la definizione di “disastro” del Disaster Reasearch Center dell’Università dell’Ohio, formulata da Enrico Quarantelli e Dennis Wenger, e cioè che:

I disastri sono eventi sociali, osservabili nel tempo e nello spazio, in cui entità sociali (…) subiscono uno sconvolgimento delle loro attività sociali quotidiane, come risultato di un impatto effettivo o di una percezione di minaccia (…) non quindi eventi fisici come comunemente si ritiene (Ligi 2009:33)

Vediamo come in effetti la dimensione sociale del disastro fa sì che i punti di contatto possano essere trovati.

Anche nel nostro caso, infatti, la “crisi” ha un inizio, un impatto percepito ben netto che si colloca tra il mese di ottobre e quello di novembre del 2009, con l’annuncio del rischio bancarotta e del debito pubblico al 12,7% annunciati dal primo ministro neo eletto

Papandreou30.

etnica, classe o casta, e/o sulla separazione geografica" (v. Hammond, 1978, p. 495)». Una questione diversa si pone col concetto di “controcultura”, che abbiamo già incontrato nella narrazione delle particolarità del campo di ricerca cui questa tesi fa riferimento e che qui accenniamo di nuovo brevemente, attraverso le parole di Solinas: «L'identità sociale dei portatori dei differenti moduli di stile (giovani della classe lavoratrice bianca, minoranza nera, immigrati dalle Indie Occidentali) viene trasposta, se non sublimata, negli ambiti di espressione della musica, della danza (i sound systems, i luoghi di socialità e di consumo alternativo), della moda (di strada, punk, skinhead), per dar luogo a veri e propri sottosistemi di antagonismo simbolico, 'forme simboliche di resistenza'». 30 http://www.reuters.com/article/2010/02/03/us-greece-economy-events-idUSTRE6124EL20100203 (consutato il 30 giugno 2014)

285 Ciò che ha messo in moto il processo di percezione del rischio, la paura del vuoto e tutto ciò che agli occhi dell’opinione pubblica ha preso il nome di “crisi”, come per i disastri naturali, non è stato tanto il reale andamento economico del paese, quanto più la gestione istituzionale di questa circostanza: le misure di austerity, la richiesta di aiuti e l’intervento del FMI e della

BCE che hanno messo in moto una sere di processi a catena. Si tratta, di fatto, delle modalità di gestione emergenziale che si configurano con un ricorso al sapere degli esperti e al totale esautoramento dell’iniziativa della popolazione che viene messa nelle condizioni di “fidarsi”.

In aggiunta, il concetto di “deroga” è centrale nella definizione delle politiche emergenziali, e, di conseguenza di quello che abbiamo definito “stato di eccezione”. È una precisa modalità di gestione che non si esaurisce, come invece afferma Guido Bertolaso in “Comando e controllo”, unicamente nell’«accelerare le procedure»31, ma che investe tutti i campi decisionali from the top down, anche e soprattutto nella gestione dell’ordine pubblico. È la modalità principe di gestione della protezione civile nelle situazioni di emergenza32, ma è anche il principio gestionale per quanto riguarda il contesto urbano ateniese di “crisi” (che ha ovviamente delle peculiarità che lo differenziano da un simile contesto in ambiente, periferico, insulare o rurale, ad esempio) cui stiamo guardando.

31 A. Puliafito, F. Nebbia, ITA 2010 “Comando e controllo”, iK produzioni, HDV Colore 32 Stabilita per decreto legge dopo il terremoto del Friuli del maggio 1976

286 Nell’intervista Stavros Stavrides, professore di social housing del politecnico di Atene33, emerge come, attraverso la retorica della città malata che produce violenza, lo spazio urbano venga gestito in modo “contenitivo”, ma non “inclusivo”. Si può in questo senso guadare al corso che Michel Foucault tenne al Collège de France tra il 1974 e il 1975, pubblicato poi con il titolo di “Gli Anormali”.

Nella lezione del 15 gennaio 1975 (Foucault 2010:37-56), parlando di come la perizia medico-legale sia diventata, nello stato moderno il modo per discernere in base ad un criterio di normalità chi era innocuo e chi invece, standone fuori, era da considerarsi pericoloso, anormale, porta l’esempio di due tipi di “repressione”, di gestione di situazioni critiche. Il primo esempio riguarda come nel medioevo avveniva la pratica sociale di esclusione dei lebbrosi dalle città. Essi, leggiamo, venivano spinti oltre i limiti della comunità,

“marginalizzati”, di fatto esclusi dal corpo sociale. Questo modello repressivo continua ad essere usato fino alla fine del XVII secolo e viene esteso alla marginalizzazione di tutti coloro i quali non trovavano spazio nel canone di accettazione sociale (vagabondi, medicanti, libertini) ed è quindi legato ad un’idea di “purezza” della comunità (Foucault 2010:47-48)34.

33 http://crisis-scape.net/blog/item/124-interview-with-professor-stavros-stavrides (consultato il 18 giugno 2014) 34 Come si può facilmente notare, questo modello repressivo non è affatto scomparso. Lo ritroviamo intatto nelle istituzioni totali dei CIE, affatto simili alle prigioni se non in apparenza. Un CIE infatti, è frutto di un pensiero marginalizzante che mira a liberare il corpo sociale di quegli elementi giudicati corrotti o corruttivi del sistema (i migranti irregolari). Come in una sorta di reiterazione dell’editto napoleonico del 1806 di cui parla Ugo Foscolo nei “Sepolcri”, che decretava che i cimiteri dovessero essere spostati al di fuori delle mura delle città e non, com’era uso in Italia a quel tempo, al loro interno, i “non umani”, cioè quelli “diversi”, anormali, appunto, poiché sprovvisti del collante legale della cittadinanza nazionale (e poi europea) sono esclusi e reclusi in strutture fuori dal tessuto urbano o isolate da esso attraverso diverse cinte murarie e alte reti spinate. Il carcere, a differenza del CIE non è solo un dispositivo detentivo e marginalizzante, ma è considerato uno strumento

287 Con il XVIII secolo compare un diverso modello di gestione per un’altra piaga gravissima, la peste. Questo secondo modello viene identificato da Foucault come un “modello di controllo” che si basa non sulla marginalizzazione, quanto più sull’”inclusione dell’appestato” (Foucault

2010:48). Non più un sistema che si basa sull’allontanamento dell’”anormale”, ma piuttosto una politica di controllo capillare in seno al territorio. Ritroviamo in questo modello di gestione il tipico, moderno modello della gestione dei disastri. Come anche il “metodo

Augustus” della protezione civile prevede, vi è una divisione territoriale gerarchizzata dello spazio urbano alla quale presiede un ordine gerarchico di controllori. Quello che ne risulta è una città ultra controllata, dove chiunque, come in “Saggio sulla lucidità” di Saramago, può essere un potenziale eversore, un potenziale anormale, un appestato.

Le farò una domanda, A sua disposizione signor ministro, Ha votato scheda bianca, Come, prego, non ho sentito bene, Le ho domandato se ha votato scheda bianca, le ho domandato se era in bianco la scheda che ha depositato nell'urna, Non si sa mai, signor ministro, non si sa mai, Quando sarà tutto finito, spero di avere con lei una lunga conversazione, Ai suoi ordini, signor ministro, Buonasera, Buonasera, Avrei voglia di venir lì a darle una tirata di orecchio, Non ho più l'età, signor ministro, Se un giorno dovesse essere ministro dell'interno, saprà che per le tirate di orecchio e altri rimproveri non c'è mai stato limite di età, Che non la senta il diavolo, signor ministro, Il diavolo ha un udito talmente buono che non ha bisogno che gli dicano le riabilitativo del condannato che sconta la pena inflittagli per un crimine per cui è stato giudicato colpevole (Foucault ne “Gli Anormali” mette in evidenza come il giudizio di colpevolezza si basa di fatto sulla perizia psichiatrica, ovvero sulla capacità del potere psichiatrico di determinare che in un’azione criminale ci sia razionalità e non follia, e che quindi il colpevole non sia un anormale ma, di fatto, parte di quel corpo sociale di cui ha momentaneamente tradito il contratto (Foucault 2010: 109)). Una volta finito il suo periodo di detenzione, che è nei fatti una punizione del crimine, e non della persona, il criminale dovrebbe concettualmente tornare ad essere parte integrante del tessuto sociale. A ben vedere, invece, l’illegalità, la clandestinità è una condizione de facto dei reclusi nei CIE che porterà alla loro espulsione, e mai alla loro reintegrazione nel tessuto sociale che non li riconosce come parte di se stesso.

288 cose a voce alta, Che dio ci aiuti, allora, Non vale la pena, è sordo dalla nascita. 35

Il controllo, in buona sostanza, si fa individualizzato ed è mirato al mantenimento dell’ordine.

Ancora nella sua lettura pubblica del 16 novembre 2013, però, Giorgio Agamben ha giustamente messo in evidenza come si possa fare un passo ulteriore per comprendere di che natura sia la dinamica del controllo urbano in un contesto di “stato d’eccezione”, come stiamo verificando essere quello della crisi economica36:

The state in which we live now is no more a disciplinary State. Gilles Deleuze suggested to call it «Etat de contrôle», control State, because what it wants, is not to order and to impose discipline, but rather to manage and to control. Deleuze’s definition is correct, because management and control do not necessarily coincide with order and discipline. No one has told it so clearly as the Italian police officer, who, after the turmoils of Genoa in July 2001, declared that the government did not want that the police maintains order, but that it manages disorder. (Agamben 2013)

Questo va del tutto in linea con quanto mi ha raccontato, durante una nostra conversazione avvenuta in un cafè di via Kallidromiou ad Exarchia un pomeriggio di febbraio 2013 (nel diario di campo ho tralasciato di segnare la data precisa), l’avvocato Thodoris Zeis a proposito di come si sono evoluti i sistemi di controllo in città e di come, giuridicamente, venga trattato il “disordine” con l’avvento della crisi.

35 J. Saramago, 2004, “Saggio sulla Lucidità”, Milano, Feltrinelli 36 http://www.chronosmag.eu/index.php/g-agamben-for-a-theory-of-destituent-power.html

289 Durante quella chiacchierata, Thodoris mi ha spiegato che le nuove leggi sul “terrorismo”

(tetarto tromonomos, quarta legge sul terrorismo) varate dal governo greco a scoppio della crisi già avvenuto, nel 2010, non avvengono in un terreno di vuoto giuridico (sono invece emendamenti ad una legge già esistente, varata nel 2001 per far fronte alla questione dell’organizzazione 17Noembri e già rammodernata nel 2004 e poi ancora in seguito) in quanto non sono che l’attualizzazione di una politica di controllo già in auge37. Quello che cambia è, di fatto, il contesto in cui il controllo sociale e la repressione si trovano ad agire, che modifica di conseguenza i termini entro cui si costruisce un impianto accusatorio. È quindi, direbbe Agamben, il fatto che si debba “gestire il disordine” di uno stato

“eccezionale”, e non, invece, mantenere un “ordine” che funziona, che determina l’approccio emergenziale di intervento.

In particolare un'altra legge che Thodoris mi ha preso ad esempio per farmi capire questo concetto, è la legge “contro il cappuccio” del giugno 2009, in seguito alle rivolte del

Dicembre 2008 e dei mesi successivi, quando i giovani che scendevano per le strade, praticavano azioni dirette e si scontravano con la polizia in antisommossa erano detti koukouloforoi, “incappucciati”.

37 Per un approfondimento sulle precedenti situazioni giuridiche della legge anti terrorismo e per dettagli sulle novità portate nell’emendamento del 2010: http://image.guardian.co.uk/sys-files/Politics/documents/2005/10/12/foreignterrorlaw1.pdf http://en.contrainfo.espiv.net/2010/11/27/new-provisions-of-the-anti-terror-law/ http://www.enet.gr/?i=news.el.article&id=301626 (in greco).

290 È una legge mirata a criminalizzare la gioventù, un certo tipo di gioventù, con i suoi spazi, la sua musica, la sua cultura… come era coi rebetades all’inizio del Novecento, che avevano un certo tipo di vestiti, con i gilè colorati e i baffoni e giravano armati di coltello in bande38 (dal diario di campo, febbraio 2013).

Oggi come allora si dice che Exarchia sia il luogo dove “questo tipo di gioventù” si incontra e che dunque rappresenti una situazione da controllare. A questo si aggiunga l’eccezionalità urbana del quartiere in questione e l’eccezionalità delle circostanze politico-sociali in cui vessa il paese: la necessità di identificare un nemico pubblico e di gestire il disordine potenziale di cui è portatore si configura come impellente. Non è un caso a questo proposito che, in base alle norme del pacchetto di austerità varato dal governo Papandreou nel 2009, il blocco delle assunzioni del settore pubblico non riguardi le forze dell’ordine39, che in effetti sono composte, cosa che appare lampante prestando attenzione agli agenti di pattuglia nelle strade, da giovanissimi e che sono gli impiegati pubblici più pagati del paese.

Così, la sera del 15 giugno 2013 verso le 22.00, come riportato dal mio diario di campo, ho avuto modo di sperimentare cosa questa politica di controllo voglia dire nella pratica.

Dalla mia casa di Pagkrati, spesso, attraversando Kolonaki, andavo a piedi a Exarchia. Era una passeggiata piacevole, di venticinque, trenta minuti al massimo. Attraversavo l’Alsos

38 La musica rebetika è l’archetipo della musica tradizionale greca. Nel corso degli anni e dei decenni è diventato un genere molto diffuso e apprezzato, anche perché fu vietato durante la dittatura dei colonnelli. All’origine però era considerata la musica dei “devianti”. I testi delle canzoni parlavano di droga, alcol, amori e ribellione contro la società. I musicisti e il pubblico della rebetika erano giovani che vivevano “ai margini”, rifiutando i canoni egemonici dell’epoca. 39 http://www.spiegel.de/international/europe/greek-parliament-agrees-on-more-public-sector-austerity-and-job- cuts-a-911795.html (consultato il 30 giugno 2014)

291 Pagkratiou, il piccolo parco di Pagkrati su cui si affacciava il mio appartamento, percorrevo via Rizari fino alla fermata Evangelismos della metro, poi salivo la collina del Licabetto attraverso il quartiere di Kolonaki. Arrivavo alla piazza e poi, lungo via Skoufa, fino a

Exarchia.

Come ho mostrato precedentemente in una mappa, l’incrocio tra via Skoufa e via Ippokratus è spesso (allora lo era sempre) presidiato dalla polizia. Quella sera erano agenti DELTA.

Ricordo che stavo andando ad un concerto punk, e indossavo una minigonna nera con delle toppe con i nomi di diversi gruppi, una canotta scura, una felpina nera col cappuccio e scarpe da ginnastica.

Due agenti si sono avvicinati per fermarmi, e, rivolgendomisi in greco mi hanno chiesto con tono brusco dove andassi. Ho chiesto loro di parlarmi in inglese, poiché ero straniera (una studentessa erasmus, ho mentito) e non capivo. In un inglese davvero poco curato mi hanno ripetuto la domanda. «A bere una birra con delle amiche», ho risposto sorridendo un po’ giuliva. «A Exarchia? Perché a Exarchia?», «Abbiamo appuntamento in un bar» ho risposto di nuovo sempre sorridendo. A quel punto mi hanno chiesto i documenti. «Sei italiana?», «Sì».

Il tono dell’agente più anziano, sulla quarantina (l’altro doveva avere più o meno la mia età), si è fatto allora più gentile, ma sempre inquisitorio. Che bar, chi erano i miei amici, ero già stata a Exarchia? Alla mia cortese minaccia di chiamare l’ambasciata, aggiungendo che

292 trovavo il fatto che due uomini adulti fermassero una ragazza in minigonna, sola, per strada, alquanto disdicevole, mi hanno lasciata andare brontolando un po’.

Quando ho raccontato ciò che mi era accaduto agli amici con i quali avevo appuntamento, mi hanno detto che ero stata fortunata, perché di solito fermi come questo finiscono con un interrogatorio sommario nel quartiere generale della polizia (GADA) o alla stazione di polizia più vicina.

Mi hanno inoltre raccontato che un loro conoscente che era stato fermato, come me, mentre si dirigeva a piedi verso Exarchia e aveva, agli occhi degli agenti, un aspetto “sospetto” (tiro a indovinare, sapendo di avere un margine di errore limitato: era vestito di nero, probabilmente con una felpa col cappuccio) era stato portato alla stazione di polizia per “accertamenti”. Ad una sua timida protesta del tipo «Ma perché? Io voglio solo andare a bere una birra!», la risposta secca degli agenti sembra essere stata: «A Exarchia non si va a bere la birra!».

Questa costante politica del “sospetto”, che si concentra in maniera quasi maniacale intorno a

Exarchia e a chi frequenta o abita questo quartiere, è parte integrante della precisa modalità gestionale che abbiamo visto configurarsi in questo paragrafo.

Mi pare riecheggiare il discorso di un perfetto dirigente della polizia politica interpretato da

Gianmaria Volontè in “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”40, quando dice

40 Elio Petri, ITA 1970, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, 118 min.

293 «Sotto ogni criminale può nascondersi un sovversivo, sotto ogni sovversivo può nascondersi un criminale».

Come bene mette in evidenza anche il professor Stavrides nella sua intervista, l’autorità, attraverso i mezzi di comunicazione, costruisce l’idea che la città dove le circostanze eccezionali della crisi dilagano sia una città che produce violenza, attraverso una illegalità diffusa cui bisogna porre rimedio, che va tenuta sotto controllo.

Questo meccanismo potrebbe rievocare ciò che il saggista Luigi Fabbri nel 1922 identificava come controrivoluzione preventiva, riferendosi all’affermarsi del fascismo in Italia e considerandolo come il frutto della cultura borghese, e non come un fattore esterno ad essa

(Fabbri 2009).

Per quanto riguarda noi, comunque, i discorsi sulla città, sullo spazio pubblico e sul controllo di esso di cui trattiamo divergono dal concetto di Fabbri poiché hanno come perno centrale il concetto di sicurezza, una vera e propria ossessione post-moderna, la madre di uno stato di eccezione permanente.

Stabilire i nessi tra il concetto post-moderno di sicurezza e quello moderno di purezza sarebbe senz’altro interessante, ma ci spingerebbe lontano dal nostro discorso41.

41 A questo proposito, comunque, basti ricordare, come esempi di possibili case studies da cui partire, solo alcune delle operazioni di polizia svoltesi nel centro di Atene negli ultimissimi anni, che svelano il filo rosso che, almeno per quanto riguarda il nostro contesto, collega questi due concetti. Mi riferisco all’operazione Xenios Zeus, lanciata dal ministro Dendias nell’agosto del 2012 che prevedeva il fermo di polizia indiscriminato per tutti i migranti che si trovassero in città per procedere a controlli sull’identità e verificarne lo stato di clandestinità: una vera e propria caccia all’uomo (http://www.hrw.org/news/2013/08/02/dispatches-greece-one- year-abuses-continue-under-operation-xenios-zeus (consultato il 30 giugno 2014)); al controllo sanitario a

294 In questa logica securitaria, dunque, target spaziale primario sono i luoghi della città che costituiscono alternative fuori dalla pianificazione istituzionale, Exarchia in primo luogo per la sua caratura storico-politica.

In questo senso possiamo riconsiderare sotto la luce di questi nuovi fattori il desiderio espresso dal ministro Dendias.

Exarchia è sì uno spazio anomico (Agamben 2003) che va controllato ma, a differenza di uno spazio circoscritto (un’occupazione, un parco, una piazza…), ha “l’inconveniente” di essere un luogo non solo vissuto ma abitato, attraversato da una quotidianità che va al di là della comune volontà di costruzione di un processo comune. È questa la natura di una legacy che si rispetti: il tenere insieme in un processo storico unitario stili di vita, anche molto vari, che vi si riconoscono, è una trama molteplice. Questo rende dunque più difficile la definizione del suo spazio pubblico come “spazio contenitivo”, come vorrebbero le politiche emergenziali e il

tappeto su tutti i migranti della città per evitare la “bomba sanitaria” che avrebbero potuto causare (queste le parole dell’allora ministro della sanità Antreas Loverdos) dell’aprile 2012 (http://www.ethnos.gr/article.asp?catid=22768&subid=2&pubid=63638394 (consultato il 30 giugno 2014)); e al rastrellamento del mese successivo compiuto dalla polizia nei dintorni di piazza Omonia delle sex workers (o presunte tali) straniere terminato con l’arresto e il test dell’HIV coatto, con tanto di prime pagine del quotidiani e servizi speciali alla televisione in cui i volti e i nomi delle donne venivano sbandierati come trofei; operazione commentata dal ministro Dendias come necessaria per arginare la “minaccia per le famiglie greche” che queste donne rappresentavano (http://www.youtube.com/watch?v=LlbL4sQ3_Fo (consultato il 30 giugno 2014)). Se si considera queste misure poliziesche di razzismo istituzionalizzato, e le incrociamo con la retorica della “città malata”, che produce violenza e che va controllata con una “contro violenza” istituzionale (una forza di legge che è di fatto senza legge perché si tratta di una legge di emergenza), e mettiamo sul piatto anche un altro interessante elemento che però sarebbe troppo lungo articolare qui, che è quello della “purezza del sangue”, una retorica molto comune nella letteratura greca, da quella antica a quella più moderna e del’esaltazione della nazione storica che, come abbiamo visto, è riemersa dalle sue ceneri come la fenice, allora possiamo intravvedere come il quadro che ci troviamo davanti ha molto a che fare con una spinta al mantenimento di valori tradizionali, sentiti più forti adesso che la comunità sente di perdersi nelle difficoltà (ecco il concetto di sicurezza), e che questi valori si basano sulla preservazione di una presunta omogeneità sociale che passa non solo attraverso la cultura e il richiamarsi agli “antichi”, ma anche attraverso un richiamo ideologico e biologico ben preciso (purezza); ma ovviamente questa non è che una suggestione.

295 ministro Dendias. Perché quest’operazione riesca serve dunque un fino lavoro di stigmatizzazione e stereotipizzazione che dall’ideologico si riversi sul reale.

«La polizia», mi ha detto l’avvocato Thodoris durante la nostra chiacchierata, guardandomi dritto in faccia con i suoi occhi blu che facevano capolino dagli occhialetti da vista rotondi,

«la polizia è lì, pattuglia, presidia… ma non pensare che lo faccia per evitare che succedano disordini, lo fa per provocarli».

6. La comunità terribile

Il vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, diplomatici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà. Come i malati, i paesi diventano casi critici. Crisi, la parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire “scelta” o “punto di svolta”, ora sta a significare: «Guidatore, dacci dentro!». [...] Ma “crisi” non ha necessariamente questo significato. Non comporta necessariamente una corsa precipitosa verso l'escalation del controllo. Può invece indicare l'attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all'improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa. Ed è questa la crisi, nel senso appunto di scelta, di fronte alla quale si trova oggi il mondo intero. (Illich 1981 ebook)

Questo passaggio, tratto da “Per una storia dei bisogni”, testo di Illich del 1977 e tradotto in italiano per Mondadori nel 1981 ed ora fuori commercio, mi pare particolarmente calzante nel passaggio che ci accingiamo ora a compiere per spiegare in che modo la particolarità di

Exarchia, che abbiamo visto profilarsi sin d’ora prendendo contorni via via più definiti,

296 costituisca un’aporia legale che i poteri politici che gestiscono questa situazione emergenziale non possono tollerare, e come questa “aporia”, che meglio viene definita (lo vedremo) da

Walter Benjamin nella sua critica alla violenza e successivamente da Agamben (2003) come

“anomia”, venga affrontata.

Come abbiamo visto emergere dall’intervista a Stavros Stavrides, una delle strategie di controllo e gestione dello spazio urbano “in crisi”, e la più diffusa nella realtà cittadina di

Atene, è quella della creazione di uno spazio che, pur rimanendo pubblico nella sua fruizione, si fa contenitivo. Crea di fatto delle enclavi spaziali non comunicanti. Dall’intervista al ministro dell’ordine pubblico e della sicurezza del cittadino Nikos Dendias alla radio Skai, cui abbiamo già fatto cenno, emergono chiaramente due unità spaziali che vengono configurate come critiche. Ad una più generale domanda del giornalista se ci sia la necessità di un maggior controllo poliziesco in certe zone del centro della città, seguono espliciti riferimenti ad Exarchia (contesto nel quale il ministro ha espresso il suo desiderio di tornare a bere il caffè al Floral) e al quartiere di Kypseli, il quartiere del centro a più alta densità migratoria cui abbiamo già fatto cenno precedentemente; da lì, in particolare da piazza Pantelaimonas, è deflagrato il fenomeno dei “cittadini indignati”, di fatto configuratosi con l’ascesa di Alba

Dorata.

Il giornalista Aris Portosaltè chiede al ministro Dendias:

297 Crede, signor Dendias, che ci siano quartieri del centro di Atene che richiedano una maggiore presenza di polizia o un maggior spiegamento di forze per la persecuzione dei crimini?

Il ministro risponde:

Certamente. Chi dice che sono stati raggiunti il 100% degli obiettivi di pattugliamento di polizia ad Atene non dice la verità. È una sfida enorme. Bisogna qua mettere in riga cose che negli ultimi vent’anni sono state trascurate e trattate con lassismo. C’è stato già un grande tentativo. Se guardate il tasso di diminuzione della criminalità nel centro è significativo, per quanto ancora bisogna fare attenzione per quanto riguarda la periferia di Atene. Ci sono zone con enormi problemi ancora e che necessitano di un grandissimo sforzo anche a lungo termine. (traduzioni mie)

E poi l’affondo su Exarchia nel quale dopo aver confessato il suo desiderio di sedere di nuovo nei caffè del quartiere dice:

Credo che ad un certo punto anche coloro i quali ritengono che Exarchia sia un luogo fuori dalla legalità o che in ogni caso credono di poter agire diversamente dagli altri nostri concittadini dovranno capire che anche a Exarchia c’è bisogno della presenza della legalità e della polizia greca. E penso che questo tempo non tarderà ad arrivare. Penso che cambi la società, cambino le prospettive e che pian piano sarà normalizzato tutto il centro di Atene, e anche Exarchia. (traduzione e corsivo mio)

Non è un caso che questo discorso venga subito dopo alle parole che il ministro aveva speso in merito al terrorismo. Dopo aver affermato che è una «cosa cattiva per la Grecia che sembri essere in balia degli esponenti della rete del terrorismo internazionale, sia per la sua immagine che per il turismo», Dendias parla di una «dispersione del fenomeno» che non è più

298 riconducibile alle organizzazioni marxiste come era 17Noembri, «dopo il cui smantellamento abbiamo erroneamente pensato di esserci liberati del terrorismo». La pericolosità del nuovo fenomeno terroristico è il fatto che

si sia spezzettato in gruppi che si inscrivono nell’ambiente anarchico, che sono estremamente violenti e pericolosi e che come abbiamo ben compreso sono numericamente molto più consistenti rispetto al passato42 (traduzione mia).

È cosa nota, e l’abbiamo visto, che “l’ambiente anarchico” abbia nell’opinione comune il suo quartier generale a Exarchia. Il riferimento, qui, non è esplicito, ma non tarda ad arrivare con il riferimento al cafè Floral di cui abbiamo già parlato.

Poi l’argomento si sposta su Kypseli e il giornalista afferma che alcuni suoi conoscenti dichiarano di aver visto il ministro Dendias aggirarsi nelle ore notturne per le strade del quartiere per verificare la situazione. Non è un caso che l’altro argomento centrale dell’intervista che stiamo analizzando sia “l’emergenza migrazione”, in Grecia e nel tessuto urbano ateniese.

42 Questa affermazione è, per altro, in linea con le politiche antiterrorismo europee. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega ai servizi segreti italiano Marco Minniti ha affermato in una recente intervista che « la situazione di disagio sociale non sembra in grado di attribuire nuova linfa a progetti eversivi di stampo brigatista, tuttora perseguiti da ristretti circuiti dell’estremismo marxista-leninista. Attenzione particolare deve, invece, essere rivolta ai tentativi dell’estremismo antagonista di strumentalizzare le rivendicazioni sulle tematiche ambientaliste, sul diritto al lavoro e sul diritto alla casa, provando a connotarle per il ricorso alla violenza. In questo senso, non sono da sottovalutare le potenzialità dell’eversione di matrice anarco- insurrezionalista, intenzionata a infiltrare manifestazioni di dissenso, come la mobilitazione No Tav» (fonte http://www.controlacrisi.org/notizia/Conflitti/2014/7/14/41561-lallarme-eversione-lanciato-da-minniti-contro- gli-anarco/ consultato il 14 luglio 2014). Questo discorso è particolarmente interessante perché mette in luce come non siano di fatto delle “battaglie ideologiche” quelle che spaventano i servizi segreti, e che fanno scattare l’allarme terrorismo, ma piuttosto delle lotte sociali per i diritti e il territorio, che vengono affiancate al terrorismi jihadista: «Il terrorismo di matrice jihadista continua a rappresentare una temibile minaccia. Molta attenzione è, al momento, rivolta al fenomeno dei cosiddetti ‘foreign fighters’ per il correlato rischio di reducismo» (fonte http://corrispondenti.net/?p=64316 consultato il 14 luglio 2014)

299 I suoi conoscenti le hanno detto la verità. Ogni sera vado in giro per Atene e anche, spesso, alle prime ore dell’alba, perché è inutile dire bugie, la polizia greca mi fa avere report e dispacci, cose varie, ma penso che, sempre, vedere coi i propri occhi sia un’altra cosa. Le dirò di più, ciò che si vede coi propri occhi è diverso anche da ciò che vede la polizia43. (traduzione mia)

A parte il fatto che un’intervista del genere potrebbe davvero, questa sì, essere tratta da

“Cecità” di Saramago, o piuttosto anche per questo, si può ben comprendere il tipo di politica gestionale che il ministro persegue. I “target” individuati come pericolosi sono quelle zone della città che costituiscono degli “altro” rispetto al tessuto cittadino normativizzato; come dice Stavrides nell’intervista, sono spazi dove prendono forma «modalità di vita pubblica che sono resistenze alle politiche dominanti»44.

Per quanto riguarda Kypseli, si può ben dire che, nonostante la multiculturalità di fatto del quartiere, nessun tentativo neanche abbozzato è stato fatto dalle istituzioni per fornire dei servizi d’integrazione, figuriamoci interculturali, ed anzi il quartiere è stato semplicemente lasciato a se stesso, in balia delle ronde dei cittadini di estrema destra e del controllo poliziesco, nella percezione diffusa che sia un quartiere violento e degradato.

Va inoltre ricordato che, solo pochi mesi prima dell’intervista qui citata, Villa Amalias, una delle occupazioni più longeve della città (dal 1990 si trovava all’incrocio tra via Acharnon e via Cheyden, vicino a piazza Victoria proprio a Kypseli) e sicuramente una delle più

43 Tutte le citazioni: http://www.mopocp.gov.gr/index.php?option=ozo_content&perform=view&id=4711&Itemid=574&lang= (consultato il10 luglio 2014) 44 http://crisis-scape.net/blog/item/124-interview-with-professor-stavros-stavrides

300 importanti per l’elaborazione di un pensiero anticommerciale sull’autoproduzione come strumento politico, attraverso le subculture e le controculture musicali ma non solo, oltre che importante luogo di confronto tra i migranti del quartiere, gli abitanti greci, e gli attivisti antiautoritari, e l’occupazione più rappresentativa nata dalle rivolte del Dicembre 2008,

Skaramagka, su via Patision, erano state sgomberate dalla polizia; di poco precedente è anche, invece, un altro procedimento legislativo che eliminava il diritto di asilo negli spazi universitari, importante conquista delle lotte contro la dittatura dei colonnelli.

Di fatto, tutto ciò che permetta o rappresenti una pratica di diversità nell’uso dello spazio urbano, quello che Henri Lefevre ha chiamato droit à la ville (Lefevre 1968), il diritto di chi lo vive ad agire sullo lo spazio urbano e modificarlo performativamente attraverso la negoziazione dei valori, viene cancellato dal tessuto cittadino. Come si può ben immaginare, questa performatività spaziale è quanto di più lontano esista dall’idea istituzionale di gestione di un’emergenza che si lega alle politiche securitarie.

Se consideriamo i due cardini dello stato sociale moderno, quello di essere sì, da un lato, un meccanismo di controllo, ma dall’altro l’essere anche un meccanismo di supporto, vediamo come il secondo perno, in uno stato di crisi, si perda e come questo provochi due conseguenze fondamentali per capire il campo in cui ci muoviamo: la prima è che le persone si trovano in una situazione di necessità non appagate cui lo stato non può più provvedere, e si organizzano per ottenerle senza l’intervento delle istituzioni competenti. Questo, va considerato in un

301 preciso contesto storico-sociale. Come abbiamo visto nel secondo capitolo, gli stessi greci hanno, generalmente, scarsa o scarsissima fiducia nelle loro stesse istituzioni.

In un’intervista al collettivo ateniese di controinformazione (ora disciolto) Ego Te Provoco pubblicata sul sito libcom.org, con data 28 giugno 2011, si legge:

It’s a very different situation here because in the UK or the US the man in the street is convinced that there might be some rotten elements but the State in itself is good, that it’s there for your own good. In Greece no one believes that. There is a complete and utter mistrust, all politicians are lying bastards, all they do is steal the budget money but the people tolerate it because they can’t do anything else. There is no civil society in Greece. No social contract. There is a long relationship of imposition, and it is experienced as such, even though in reality it’s a relationship of complicity that is experienced as one of imposition. So resistance is a great value and compliance and conformity are utterly disgraceful in public discourse. They stink of the junta. The imaginative construction of Greek society draws from values of resistance.45

Che questi valori di resistenza siano in effetti diffusi, a vari livelli, lo si può evincere da diversi esempi, dai molti mercati senza intermediari che si organizzano nei quartieri della città

(settimanalmente vessati da blitz della polizia), alle esperienze di ambulatori popolari autogestiti, sino all’occupazione della radiotelevisione nazionale ERT da parte dei lavoratori che hanno continuato la programmazione in autogestione per cinque mesi, fino allo sgombero degli edifici da parte della polizia (dall’11 giugno 2013 al 7 novembre successivo), affiancata

45 https://libcom.org/library/we-need-make-it-obvious-it-easy-attack (consultato il 10 luglio 2014).

302 da un’assemblea pubblica e aperta di sostenitori, solo per citare gli esempi non immediatamente “politicizzati”46.

Una tale disposizione al “fare da sé”, non solo nei termini di collettivizzazione che ho esemplificato sopra, soprattutto in una situazione in cui lo stato sociale si sfalda, come durante la crisi economica, mette in moto una seconda conseguenza che è quella di intensificare il controllo e monitorare tutti i comportamenti che devino dalla gestione verticale, i cosiddetti comportamenti “devianti”.

Che ruolo ha Exarchia in tutto questo? Si sarebbe portati a pensare, rispetto a quanto abbiamo detto nel capitolo precedente, che Exarchia sia un catalizzatore di esperienze di autogestione, ed in effetti è così; quello però che va immediatamente sottolineato è che il suo essere in un certo senso una “eccezione urbana”, la colloca in una situazione un po’ diversa dal resto della città. L’episodio con la signora Silvia di cui ho già parlato nel primo capitolo è in questo esemplare; non capire la diversità storica sociale di questo quartiere, o appiattirla ad una mera coloritura folckloristica rischia di portare fuori strada.

Come abbiamo visto, infatti, se da un lato tutti i quartieri, in questa città multiforme, si indossano come abiti, Exarchia è un po’ diversa. Una maglia stinta, vecchia e logora che non

46 In realtà, le rivolte del Dicembre 2008, la cui peculiarità è stata quella di essere proprio un movimento che creava spazi di autogestione sociale nei quartieri della città, e il movimento di Sytagma del 2011 che ha allargato la base sociale attiva anche a persone che prima non si erano mai occupate di autogestione, sono state esperienze molto importanti in questo processo.

303 tutti sanno portare con disinvoltura; ma, in fondo, ancora confortevole. Una confortevolezza data dall’immediatezza del sentirsi parte di qualcosa.

Christina, nella nostra chiacchierata del 20 maggio 2014 mi aveva detto:

Anche i miei amici che vivono in altri quartieri mi dicono che quando vengono a Exarchia è come se entrassero in un altro pianeta, la sera. Altrove è tutto un po’ morto... tutto, non so… non cammina nessuno, solo automobili… e poi arrivano qui e ci sono tantissimi pedoni, le strade piene, ha vita il circondario e ce l’ha sempre avuta, però. Penso che adesso sia tra i pochi punti vivi della città. Perché con la crisi la città è diventata brutta, e, vabbè, anche un po’ spaventosa direi. (intervista n° 1, 20 maggio 2013 con Christina)

Questa diversità che bisogna tenere in considerazione si basa soprattutto sulla composizione degli abitanti del quartiere.

«Ad Exarchia c’è una popolazione compatta ed uniforme di giovani, attivi politicamente, quindi queste strutture si evolvono», mi ha detto durante il nostro primo incontro nel suo studio di Pagkrati, con una splendida terrazza con vista sull’Acropoli, l’architetto Kostas

Aggelidakis il 12 novembre 2013.

Ancora, e ancor di più, mi sono a lungo rimaste in mente le parole di un altro architetto,

Salomi Chatzivasileiou. Durante la sua lunga permanenza nel quartiere, Salomi ha stretto forti amicizie con molti artisti e scrittori che vivevano a Exarchia, come Nikolas Asimos, e nella sua casa, come mi ha raccontato, ha ospitato moltissimi di loro per periodi più o meno lunghi.

È una di quegli exarchiotes veri, che non si sa da dove vengano veramente, ma che, quando

304 glielo chiedi, ti rispondono «Exarchia». Exarchia come modo di vita, Exarchia che ti adotta e non ti lascia più.

Parlando di come la crisi abbia modificato la vita degli abitanti del quartiere, Salomi, tra una boccata di sigaretta e l’altra mi ha detto:

Ho saputo vivere sia avendo poche cose, sia molte. Poi, fra le cose di cui si ha veramente bisogno, non ce n’è nessuna che possa essere comprata per mezzo di soldi. L’amore non può essere comprato. Il sentimento del voler bene, non può essere comprato. Non si può comprare l’amicizia, il sole, il mare. Se quindi si ha tutto ciò, i soldi li prendano coloro che ne hanno bisogno; alla fine, sia io che loro, prenderemo uno per due [mq di terra], è questo lo spazio proporzionale per tutti. Uno per due. Tutto il resto, riguarda l’inutilità, la vanità di ognuno, che non so cosa crede o che cosa vuole che sia scritto nella storia a lettere d’oro; A lettere d’ oro nella storia, sono stati scritti solo coloro che sono morti all’esilio, o in carcere, o le persone condotte al patibolo... il resto sono persone di potere, hanno portato sciagure all’umanità... se poi quelle persone vengono considerate tali, da essere stati scritti a lettere d’oro nel libro della Storia, eh, chi ci crede, è poco intelligente. Che ti posso dire. Pensaci, crede per caso “Bouloukos” (soprannome dispregiativo traducibile con “panzone”, “ciccione”, che penso si riferisse a Evangelos Venizelos, vice primo ministro del governo di sicurezza nazionale con , ndr) di essere ricordato dalla storia? Se sì, è un grande stronzo. Chi deve essere ricordato? Papandreou, Giorgetto? Rimarrà nella storia un cazzo! Guardali, uno per uno, verranno ricordati come individui stupidi. Se gli piace essere ricordati come stupidi, va bene, facciamo parte di due mondi diversi. Non si può fare altrimenti, il loro mondo e il nostro. Era così da sempre, c’erano alcuni che pensavano in un modo ed altri che pensavano in un modo diverso. Questo non cambia. Non possiamo essere simili, grazie a Dio. Non diventeremo tutti stupidi. Ecco tutto. (intervista n° 4, 25 luglio 2013 con Salomi Chatzivasileiou)

305 In queste parole ho trovato il senso della relazione che Exarchia, con le sue storie, i suoi abitanti, la sua vita plasmata dalle scelte e dalla storia, intesse con ciò a cui si oppone, come un deserto calviniano. Una diversità incolmabile, la quinta essenza di un conflitto radicale, che ha molteplici e multiformi modi di esprimersi. Uno spazio nomade.

Lo spazio liscio e lo spazio striato –lo spazio nomade e lo spazio sedentario- lo spazio dove si sviluppa la macchina da guerra e lo spazio dove si istituisce l’apparato di stato non sono della stessa natura. Ma a volte possiamo notare un’opposizione semplice tra i due tipi di spazio. Altre volte dobbiamo rilevare una differenza molto più complessa, per cui i termini successivi delle opposizioni considerate non coincidono del tutto. Altre volte ancora dobbiamo ricordare che i due spazi esistono in realtà solamente per i loro incroci reciproci: lo spazio liscio non cessa di essere tradotto, intersecato in uno spazio striato, lo spazio striato è costantemente trasferito, restituito ad uno spazio liscio. (Deleuze, Guattari 2010:698 or. 1980)

Si possono seguire Deleuze e Guattari identificando in questa opposizione tra spazio liscio

(nomade) e striato (dello stato) la dicotomia radicale, seppure in un perpetuo intersecarsi, tra lo spazio mentale e fisico che costruiscono Exarchia e la sua legacy e l’apparato istituzionale che la contrasta.

Il mito, positivo o negativo che sia, inoltre, gioca in questa opposizione un ruolo fondamentale che non può essere trascurato. Se della mitologia che tiene viva la legacy di

Exarchia abbiamo già parlato, non ci resta che guardare al modo in cui il mito negativo si diffonde e venga usato. L’esempio del discorso del ministro Dendias è senz’altro calzante.

Come abbiamo già detto altrove, e come è il caso di ripetere ora, il discorso massmediatico è

306 lo strumento primario attraverso il quale viene socializzato non solo il sapere degli “esperti”, ma anche quelle “verità” che servono alle istituzioni per creare consenso intorno al loro operato. Ciò che resta, come afferma il professore Stavrides nella sua intervista, del complesso meccanismo che connetteva le istituzioni al tessuto civile e che è andato in crisi.

Come abbiamo visto, la più pervasiva di queste “verità” è che la città produca violenza, una violenza che ha delle origini ben precise (quelli che Foucault ne “gli Anormali” chiama “il mostro umano”, di fatto l’individuo pericoloso, e “l’individuo da correggere”47) e che essa debba essere estirpata da una “contro-violenza” legittima dello stato, rappresentato in questo dal “Ministero dell’ordine pubblico e della protezione del cittadino” (Ypougeio dimosias taksis kai prostasias tou politi), dicitura, quest’ultima aggiunta dal 2012, dopo che nel 2007 il ministero si è scorporato dal ministero degli interni, e dalle forze dell’ordine che da esso dipendono.

E dunque i massmedia sono il canale principale attraverso cui questa verità viene socializzata presso la popolazione, attraverso retoriche mirate alla creazione del consenso, da un lato, e a creare uno stato di allerta e paura che legittimi l’operato emergenziale, dall’altra.

Un’analisi approfondita dei linguaggi dei media attraverso questi cinque anni di crisi economica sarebbe senz’altro interessante, ma costituirebbe una ricerca ed una tesi a se stante.

47 Rispetto alla figura del “mostro”, di nuovo calzante è l’esempio della caccia alle prostitute migrati che si presumevano malate di HIV cui abbiamo già accennato, e vale la pena ricordare le parole con cui il ministro Dendias ha presentato in conferenza stampa l’operazione Xenios Zeus nell’agosto del 2013: «La nazione sta sparendo. Era dai tempi delle invasioni doriche, quattromila anni fa, che il paese non affrontava un’invasione di queste dimensioni. Questa è una bomba alle fondamenta della società e dello stato.” (traduzione mia, fonte: http://www.tovima.gr/society/article/?aid=469853, consultato il 12 luglio 2014)

307 Ci limitiamo qua, a titolo di esempio (comunque esaustivo), a riportare l’evoluzione di alcuni elementi tratti dalla cronaca di questi mesi.

7. Condannare la violenza, da ovunque provenga

A settembre 2013 mi trovavo in Italia, a casa di alcuni amici di Bologna.

Ero felice di sentirmi, dopo tanto, di nuovo in mezzo a persone di cui non dovevo conquistare la fiducia, con le quali facilmente e con mia grande soddisfazione, riacquisivo quella proprietà di linguaggio e quella scioltezza nel gioco lessicale che per me è sempre stata uno dei massimi piaceri dell’avere una lingua madre, e che per lungo tempo mi era negata. «Difficile essere intelligenti, in una lingua straniera» mi sono spesso trovata a pensare in questi mesi.

A settembre c’era un’atmosfera autunnale, la città, quella che per tanti anni e ancora oggi ho chiamato e chiamo “casa”, la sera, si illuminava di luce gialla, che si faceva calda sotto ai portici, sui muri rossi di cotto. La pavimentazione di marmorino faceva risuonare il suono dei passi e delle nostre risa. Ero davvero felice.

La mattina del 18 settembre, sul divano blu che i miei amici mi avevano messo a disposizione nel loro piccolo salotto da studenti abitato da due deliziosi cagnolini, ho acceso il computer per leggere le notizie.

308 Il rapper trentaquattrenne Pavlos Fyssas, noto per essere un attivista antifascista di Atene, era stato ucciso a coltellate, dopo l’aggressione subita nelle strade del quartiere Keratsini da parte di membri di Alba Dorata.

Ho immediatamente chiamato amici e conoscenti ad Atene: tristezza, rabbia e shock erano nelle parole di tutti. Sembrava essere stata tracciata una linea, un punto di non ritorno.

L’opinione pubblica è rimasta molto scossa da questo fatto. Come era stato per Alexis nel

2008, il fatto che fosse un giovane greco la cui vita era stata strappata violentemente da altri greci ha giocato un ruolo determinante. I media nazionali hanno dato molto spazio alle interviste ai membri della sua famiglia e alla ricostruzione della sua vita fatta di musica e

“antifascismo”. Un dato interessante rispetto a questo è che il discorso pubblico sembrava aver dimenticato che un certo tipo di antifascismo, quello militante che è costato la vita a

Fyssas, è da sempre denunciato come un estremismo di sinistra da condannare.

Sembrava, appunto. Durante le manifestazioni, organizzate immediatamente in risposta al sanguinoso omicidio, i reparti antisommossa MAT hanno caricato violentemente. Gli arresti sono stati molti. Le accuse pesanti riguardavano il possesso di armi improprie (bottiglie vuote e sassi) e la violenza aggravata.

309 Un passaggio del comunicato scritto dagli arrestati (che metto per intero in nota, per completezza) è importante per il prosieguo del nostro ragionamento48:

Per i nostri accusatori: non riuscirete ad applicare a noi la teoria degli "opposti estremismi". La teoria di uno stato che mantiene "l'equità" davanti ai fascisti e agli antifascisti, per consolidare l'immagine di "gestione lineare" che ipocritamente tenete, gettando nel fango tutto e ancora altri dei nostri.

La teoria degli opposti estremismi, in greco Theoria ton dyo axron, è nota a noi italiani per le vicende degli “Anni di Piombo” nel nostro paese, ed è quella teoria che si pone l’obiettivo di marginalizzare (e di porre sullo stesso piano) tanto gi estremismi di destra quanto quelli di sinistra per la loro pericolosa “contiguità” con il terrorismo49. Neppure in Grecia è una teoria

48 « Mercoledì 18/9 ci hanno presi durante il corteo che c'è stato a Keratsini dopo l'omicidio di Pavlos Fyssas da parte di un manipolo di fascisti, avvenuto la sera precedente. Gli arresti sono stati numerosi, dopo l'intervento dei MAT. Oggi, siamo trattenuti a G.A.D.A., caricati di una serie di false accuse per "fatti" che non sono mai avvenuti. Diversi di noi sono stati feriti gravemente durante l'arresto. Eravamo lì, e se potessimo tornare indietro nel tempo, sempre lì saremmo stati. Perchè una persona è stata uccisa, questa volta per la sua azione politica. Ci siamo trovati lì contro il fascismo e gli attacchi omicidi, che arrivano sia dai manipoli di neonazi, che dallo stesso stato e dalla repressione. Respingiamo tutte le accuse. Per i nostri accusatori: non riuscirete ad applicare a noi la teoria degli "opposti estremismi". La teoria di uno stato che mantiene "l'equità" davanti ai fascisti e agli antifascisti, per consolidare l'immagine di "gestione lineare" che ipocritamente tenete, gettando nel fango tutto e ancora altri dei nostri. Alcuni potrebbero pensare di applicare per l'ennesima volta la stessa favoletta degli arrestati e dei feriti, gettando il panico tra noi. Sappiamo molto bene che questo giochetto è una pugnalata alle spalle di tutti noi. Qua, conoscendoci l'un l'altro siamo più forti. Ringraziamo tutti i solidali e tutte le solidali, e i compagni e le compagne che si trovano dappertutto. Esprimiamo alla famiglia e agli amici di Pavlos la nostra vicinanza. Prigionier* del "dipartimento di sicurezza dello stato sociale" (sesto piano, G.A.D.A.)» (fonte: http://www.informa- azione.info/atene_comunicato_degli_arrestati_dopo_gli_scontri_in_risposta_all039omicidio_di_pavlos_fyssas consultato il 14 luglio 2014) 49 La sua “nemesi” è detta “Strategia della tensione”, un’espressione coniata dal giornalista Leslie Finer dell’Observer nel dicembre del 1969 per indicare un la strategia politica dell’epoca che usava il terrorismo di estrema destra e le infiltrazioni dei servizi segreti per creare un clima di terrore nella società e legittimare l’instaurazione di un governo autoritario. È interessante che, secondo il giornalista dell’Observer che si basa su alcuni documenti che i servizi segreti inglesi avevano sottratto all’ambasciatore greco in Italia (siamo in pieno

310 recente, ma certamente l’ascesa di Alba Dorata ha dato adito ad un suo rinnovato utilizzo, soprattutto da parte dei mezzi di comunicazione. In un articolo del 25 marzo 2013 su “The press project”, quindi ben prima dell’omicidio di Fyssas, il giornalista Konstantinos Poulis affronta questo tema e riporta le parole di alcuni dei più famosi giornalisti della carta stampata e della televisione in merito alla “violenza senza colore”:

Così Pasxos Mandravelis (che scrive su Kathimerini e appare su Skai tv, ndr) può dichiarare che «quando si legalizza anche una violenza a bassa intensità, nella testa della gente questo significa legalizzare la violenza in toto”, e Yiannis Pretenderis (giornalista di Ta Nea e Mega Channel, ndr) che l’opposizione tra anarchici e fascisti è «una controversia interna al partito della violenza». Ma l’oscar dell’oscena equidistanza va a Stefanos Kasimatis (giornalista di To Vima e di Kathimerini, ndr): «Il colore della violenza non ne cambia la sostanza. Da entrambe le parti, apre la porta che porta per

imporre la sua legittimazione: KKE, Syriza, Alba Dorata, tutti nuociono ugualmente alla democrazia50. (traduzione mia)

Il discorso sulla violenza, così socializzato al grande pubblico, si è sviluppato nel quadro del discorso sulla “città malata”, ed il suo motto significativo è stato proferito a più voci da esponenti politici dei più vari schieramenti: «condanniamo la violenza da ovunque essa provenga», katadikazoume tin via apo pou kai an proerxetai.

regime dei Colonnelli), oltre all’esistenza di un piano politico degli Stati Uniti per favorire il sorgere di dittature militari di destra (e quindi anticomuniste) nei paesi del Mediterraneo, come era in atto in Grecia, ci fossero forti legami tra il regime di Papadopoulos e le organizzazioni eversive della destra italiana come Gladio. (fonte: Leslie Finer. «Greek premier plots army coup in Italy». The Observer, 6-12-1969. and Observer digital archive, consutato il 14 luglio 2014) 50 http://www.thepressproject.gr/folder/40572/10-I-theoria-ton-duo-akron (consultato il 14 luglio 2014)

311 È un tema talmente versatile che è in grado di essere applicato a tutto, dalle manifestazioni di piazza agli assassinii fascisti, senza che nessuno dia di “violenza” una definizione. La violenza così rappresentata nel gesto “estremo”, la cui estremità è variabile a seconda della situazione, è un potente strumento manipolativo; dà a chi ne è spettatore la scelta di non esserne complice. La violenza quotidiana e impalpabile dell’indifferenza burocratica, quella non è in discussione.

Protosaltè: Nel quadro di una riorganizzazione del ministero e della polizia si integreranno la lotta alla violenza criminale, intendo a livello di terrorismo, e agli altri crimini previsti dal codice penale, signor ministro?

Ministro Dendias: Per cominciare, penso che ciò che costituirebbe un grande cambiamento sarebbe la creazione, se posso dirlo, di un bacino comune di informazione. Queste informazioni sarebbero raccolte da tutti i dipartimenti di polizia, e in generale da chi ha contatti con essa, anche quando esse arriverebbero dal resto del settore pubblico o dai cittadini, entrerebbero e sarebbero trattate come parte di un comune bacino di informazione. Qualcosa che ancora non avviene in questa fase, non esiste culturalmente qualcosa del genere in Grecia. (…) questo permetterebbe, in modo significativo, credo, alla polizia di avere maggiore forza. Inoltre, si è costituito un direttivo che incorpora tutti i servizi che si occupano di crimini gravi e di terrorismo, e sicuramente la collaborazione di diversi dipartimenti e servizi renderà

312 possibile adempiere al bisogno primario, che è la sicurezza del cittadino. (traduzione mia)51

Così, l’operazione di polizia che dieci giorni dopo l’omicidio di Pavlos Fyssas ha portato all’arresto di cinque deputati di Alba Dorata e del leader Nikos Michaloliakos52 e all’accusa di organizzazione criminale, è servita a dimostrare che il pugno duro contro la violenza, come la violenza stessa, non ha colore.

Nel 2013 ricorreva la commemorazione dei centocinquant’anni di Konstantinos Kavafis. A solo un mese dall’omicidio di Pavlos Fyssas, dalle cariche al corteo e dall’arresto dei manifestanti che erano scesi in strada contro il fascismo che l’aveva ucciso; a un mese dagli arresti dei deputati di Alba Dorata, mentre a Exarchia le incursioni della polizia si succedevano a frequenza più che settimanale53 e il dibattito sul nuovo Tromonomo era

51http://www.mopocp.gov.gr/index.php?option=ozo_content&perform=view&id=4711&Itemid=574&lang= (consultato il 14 luglio 2014) 52 È il caso di ricordare che Alba Dorata è un partito che annovera 18 seggi su 300 nel parlamento greco a seguito delle elezioni politiche del 2012, e 3 seggi su 21 nel parlamento europeo dopo le elezioni del 2014, passando dal 6,9% dei voti ricevuti alle politiche, al 9,4%, nonostante le indagini a loro carico, che hanno portato a definire il partito un’organizzazione criminale e che hanno portato all’arresto dei suoi vertici. Resta comunque un partito che siede in parlamento, dopo che i suoi esponenti hanno minacciato di far cadere il governo. 53 Dal mio diario di campo dell’11 ottobre 2013: «Da tre giorni qua in quartiere succedono cose strane. Martedì mentre andavo ad un'assemblea sui cie il quartiere pullulava letteralmente di polizia di varia natura (così tanta senza motivo apparente non ne avevo mai vista, da queste parti). Sembrava stessero preparando un'irruzione, ma poi, alla fine dell'assemblea, quando sono uscita dal politecnico, non c'era più nessuno e tutto era tornato nella norma. Mercoledì, invece, l'irruzione c'è stata. piazza bloccata, 40 minuti di delirio e arresti preventivi random all'occupazione dei migranti. 5 persone al quartier generale della polizia, ma penso che (almeno quelli di nazionalità greca) poi siano stati liberati. È stato molto brutto però. Mi sono accorta che qualcosa non andava perchè mentre attacchinavo con alcune persone per la manifestazione di domani in solidarietà alle occupazioni sono passate diverse moto dei delta (tante e più volte). Ci hanno guardato stortissimo, hanno tentato di tenderci agguati al fondo della via. Erano tanti, però, troppi per giustificare che fossimo noi l'obiettivo (4 persone con un secchio e due pennelli). Sia i delta che i mat oltre ad aver bloccato e occupato la piazza, entravano nei bar (hanno spaccato le vetrata del kafeneio di piazza Exarchion a colpi di manganello) a minacciare la gente. Hanno strattonato pure giù dalla sedia un uomo che aveva la sua bambina in braccio, e i delta hanno fatto su e giù un pò di volte in moto per via Valtetsiou, la strada pedonale dove i ragazzi del quartiere sono soliti sedersi a bere birrette. Sono anche scesi dalle moto per fare "controlli"...! Mentre mi allontanavo dalla piazza per tornarmene verso casa (straniera e con manifesti nello zaino... meglio non essere fermata) continuavano a fare i caroselli con

313 infuocato, gli autobus di Atene erano stati dipinti di rosso, e su ciascuno, a lettere maiuscole e bianche, erano scritti i versi del poeta. Uno in particolare spiccava tra gli altri: Ein’epikinynon pragma i via. «È una cosa pericolosa, la violenza».

Incredibilmente l’immenso poeta alessandrino aveva trovato le parole giuste! Forse no, però.

La bella poesia En megali elliniki apokia, 200 p.x., “In una grande colonia greca, 200 a.C.”, cui appartengono questi versi parla di tutt’altro argomento.

Nella lingua greca, in modo assolutamente poetico ed esemplificativo di un tratto culturale tra i più piacevoli, piuttosto, l’espressione “essere di fretta” si traduce con la forma mediopassiva del verbo viazo, “fare violenza a qualcuno”. Essere di fretta, in greco, si dice “farsi violenza” viazomai, che Kavafis, data l’epoca in cui scrive, usa nella variante in kathareousa viazometha (in dimotiko sarebbe viazomaste). Il poeta fa il suo mestiere, gioca con le parole:

(…) Forse il momento non è ancora arrivato. Non facciamoci fretta: è una cosa pericolosa, la fretta. (…)54

le moto anche nelle stradine pedonali de quartiere. Per fortuna il mio noto profilo basso non ha attirato troppo l'attenzione. Tanti e brutti, comunque. Anche ieri, pare, sono successi casini in piazza. Noi avevamo una festa a casa, quindi l'abbiamo saputo poi da chi arrivava ed era passato per la piazza, e l'abbiamo immaginato dalle moto dei delta che ci sono sfrecciate sotto casa più e più volte. Polizia comunque a tutti gli angoli. Leggendo indymedia stamattina ho appreso che ci sono stati un numero imprecisato di arresti preventivi, che l'irruzione è stata come quella di mercoledì… improvvisa e violenta. Sono stati lanciati anche dei razzi stordenti, così, senza motivo. Dicono che comunque hanno rilasciato tutti verso le 4, le 5 del mattino.... la cosa strana è che non ci sono motivi veramente validi per queste irruzioni. Sono state cose ingiustificate... so che mercoledì nel pomeriggio c’è stato un attacco incendiario a Kolonaki, il che giustificherebbe, forse, l’irruzione di quel giorno. A me pareva, però, che fosse una cosa organizzata, con una strategia, non una semplice irruzione per fare controlli. L’impressione è che stiano preparando qualcosa, un blitz grosso, tipo.» 54 «(…)Ίσως δεν έφθασεν ακόμη ο καιρός. Να μη βιαζόμεθα· είν' επικίνδυνον πράγμα η βία. (…)» Traduzione mia, fonte: http://www.kavafis.gr/poems/content.asp?id=59&cat=1 (consultato il 14 luglio 2014)

314 Come si può dunque vedere la violenza, qui, non c’entra proprio nulla. Diventa una strategia retorica di socializzazione veicolare di un contenuto. Uno strumento di creazione del consenso, in questo caso neppure troppo raffinato.

«Condannare la violenza da ovunque essa provenga». Dopo lo scandalo dell’aprile 2014 della registrazione segreta fatta dal portavoce di Chrisi Avgi, Ilias Kasidiaris, e portata in parlamento, di una sua conversazione con il segretario generale del governo, Panagiotis

Baltakos, nel quale quest’ultimo afferma candidamente che l’unico motivo per cui Samaras, che non ha nessun problema con la linea ideologica del partito, ha tirato in ballo la teoria degli opposti estremismi e ha proceduto alla criminalizzazione di Alba Dorata, approfittando del momento proficuo, era che tentava così di portargli via voti a favore del suo partito, Nea

Democratia55, a molti è risultato chiaro che l’unica provenienza davvero pericolosa della

“violenza” per chi gestisce in modo autoritario una situazione di emergenza, sia quella che con questo tipo di gestione non c’entra affatto. Quella di chi non è interessato a spartirsi la torta.

«Hai capito cosa sta succedendo?», mi ha chiesto una mattina di aprile la mia coinquilina mentre facevamo colazione davanti al notiziario di Skai tv. «Praticamente ci sono le prove che

Samaras e Chrysi Avgi sono la stessa cosa!» Mi era sembrata una affermazione scioccante.

Affatto perché potesse non essere così, quanto più perché mi sembrava impossibile che fosse

55 http://www.vice.com/gr/read/baltakos-xrysh-aygh (consultato il 14 luglio 2014)

315 così facile provare una cosa così grossa. «E adesso?» avevo chiesto concitata. «Figurati, adesso niente» mi aveva risposto lei, continuando a mangiare i suoi cereali.

8. Mezzi senza fine

Vivendo ad Exarchia, mi sono accorta dagli occhi sgranati di molti amici in Italia, ai miei racconti di vita quotidiana nel quartiere che come un villaggio, nel bene e nel male, mi ha accolta nell’ultimo anno e mezzo, ci si abitua a cose che non sono proprio “normali”.

Diventa una questione quotidiana imparare in quali strade è meglio non passare da sole, se si

è vestite in maniera troppo “sospetta”, per non rischiare di essere fermate dalle squadre di

DELTA. Si impara che “fare la oca” è il modo migliore per non passare la notte alla stazione di polizia, quando ti fermano mentre stai tornando a casa da una manifestazione. Si sa che possono esserci molti “percorsi lunghi”, piuttosto che scorciatoie dove si rischia di incontrare posti di blocco di polizia. Ci si abitua alla possibilità che, all’ultimo minuto, un appuntamento per bere una cosa in via Valtetsiou possa essere cancellato, perché tutte le strade del quartiere sono diventate un campo di battaglia, o che quest’eventualità si verifichi all’improvviso, proprio mentre stai per sederti sul cordolo di un’aiuola di una stradina pedonale, per raccontare ad un’amica le ultime conquiste amorose. Capisci che è sempre meglio avere scarpe comode, qualcosa di nero per confonderti tra gli altri, e qualcosa di molto colorato per non essere fermata nel tragitto che ti porta verso casa. A poco a poco il cervello educa il corpo

316 a non trasalire, quando una pattuglia ti circonda per valutare se sia il caso di fermarti oppure no. Diventa normale andare al panificio o in banca per pagare le bollette passando attraverso un gruppo di poliziotti in assetto antisommossa. A seconda dell’umore della giornata ti rendi conto che cerchi il loro sguardo, con sfida, o semplicemente passi oltre ignorandoli.

Diventano normali, però, tante altre cose. Non sentirsi mai soli, anche tra estranei. Poter fare a meno del denaro praticamente per tutto, e affidarsi, invece, ai legami di vicinato. Chiedere aiuto per cercare mobili o addirittura una casa e trovare, dopo appena ventiquattrore, oltre ai mobili o ad una casa almeno provvisoria, delle persone con le quali intrattenere amichevoli conversazioni davanti a tazze di caffè filtrato (quello greco, con tutti quei fondi, non mi è mai piaciuto). Si impara il piacere dei viali alberati di aranci e tappezzati di manifesti; il gusto di sedersi ad un tavolino di un bar e aspettare di vedere i conoscenti passare. Conoscere l’amara ma illuminante verità che tutti servono, ma nessuno è indispensabile.

Lo spazio e il tempo, in questa realtà anomica, non conoscono crisi, sono pratiche quotidiane che stanno a latere rispetto ai dogmi sociali. A-nomali, a-normate, a-nomiche. Cronotopie alternative, che rispondono alla domanda what if, e che da essa fanno nascere un parco dove prima c’era un parcheggio, complicità dove prima c’erano estranei.

Se, come scrive Bejamin nell’ottava tesi sul concetto di storia, «la tradizione degli oppressi ci insegna che lo stato di eccezione in cui viviamo è la regola», è pur vero che è la stessa tradizione degli oppressi che ci educa all’anomia. Spazio-tempo autonomo, che, come

317 un’Alice disambientata celatiana, sta sempre “da un’altra parte” (Celati 2007) rispetto alla relazione di potere dominante. Una linea di deterritorializzazione lungo un concatenamento di intensità (Deleuze, Guattari 2010, or. 1980).

Spazio-tempo anomico di quella che Walter Benjamin chiama in “Per la critica della violenza” violenza pura (reine Gewalt) che invece di rimanere nel dialogo tra il potere che fonda la legge e quello che la mantiene, lo depone e che dunque è la vera posta in gioco dello stato di eccezione (Agamben 2003:78).

La possibilità, che le strade di Exarchia rendono palpabile finché resiste ancora, di poter vivere in un mezzo che, poiché lo è già nella sua pratica costante, non si prefigge un fine.

318 Futuro sospeso

L'histoire des peuples sans histoire, c'est (...) l'histoire de leur lutte contre l'État.

Pierre Clastres, La société contre l'État

Trovandoci allora a dover tirare le fila di questo viaggio urbano attraverso la “crisi”, è necessario porre l’accento su alcune questioni che sono state il cardine di questa ricerca.

Bisogna tenere presente che, essa, è destinata a non avere delle conclusioni che possano dirsi anche solo provvisorie, dato che è impossibile prevedere come questo conflitto silenzioso volgerà al termine, e se davvero ne vedremo mai la fine.

Quello che è concretamente percepibile attraversando le strade di Atene, scrutando le facce dei passanti, entrando nei cafè, è che la Crisi è entrata nella vita e nei discorsi quotidiani di tutti; è la condizione, lo stato di cose con cui si deve fare i conti. Fare i conti, bene inteso, vuol dire vivere, attraversare questa fase di cui non è dato perscrutare la fine, renderla un fatto di quotidianità.

Questa crisi, insomma, per le persone che tutti i giorni vivono questa condizione non ha la consistenza astratta delle formule matematiche che la rappresentano; non è neppure concretamente ravvisabile nel nebuloso concetto di debito, che abbiamo visto delinearsi in queste pagine e che pure può essere compreso come una sorta di “stato di eccezione” de facto che mette in gioco la sovranità, in questo caso sovranazionale, come «luogo ultimo di decisione» (Schmitt 1922 in Agamben 2003).

319 Molto di più, invece, la Crisi si materializza nella sua gestione: nelle pratiche politiche con le quali lo stato, le istituzioni sovrannazionali e nazionali in genere maneggiano questa situazione che è, nei fatti, uno solo dei modi possibili per far fronte ad essa.

Abbiamo visto come la gestione emergenziale di una situazione critica sia estremamente diffusa a vari campi di intervento: dal grande evento, sino alla gestione delle crisi economiche, passando per i disastri naturali. Ciò che lega tutte queste situazioni, così diverse tra loro è, infatti, il loro verificarsi come condizioni eccezionali (ex+capio, “trarre fuori” dal flusso consueto degli eventi), che richiedono norme e azioni esperte per le quali le normali pratiche culturali sembrano essere obsolete. Di fatto, come anche riportato dal Corpus iuris civili e dallo stesso codice penale italiano (art. 54), è la situazione di emergenza stessa a determinare la necessità di norme eccezionali (Necessitas legem non habet, sed ipsa sibi facit legem).

In questo senso, dunque, abbiamo visto come le retoriche del corpo malato e del medico esperto chiamato a curarlo siano pervasive. Lo sono poiché è la stessa cultura occidentale, le cui radici fondano nella formazione degli stati-nazione, che attinge alle (antichissime) retoriche corporee del sangue e dei suoi legami indissipabili per costruire l’identità culturale dei suoi cittadini. Nel contesto sovrannazionale (e schiettamente economico) dell’unione europea, dunque, si vede come la malattia di alcuni “corpi” debba essere curata sul modello

320 dei “corpi” sani da esperti super partes le cui modalità di gestione, come le terapie di un medico, non possono e non devono essere contestate.

Lo stereotipo di inefficienza e di malattia, dunque, colpisce un corpo astratto, il corpo sociale, che accomuna istituzioni e popolazione, e si dimentica completamente degli effetti che esso riversa sui corpi veri, individuali, delle persone. È una biopolitica burocratica sottile e indifferente.

Se da un lato la gestazione storica di questa organizzazione sociale, in Grecia, può essere rintracciata nel sogno della Metapoliteusi che, con la caduta del regime dei colonnelli si auspicava, e ha fatto in modo si verificasse, una modernizzazione in senso neoliberista dello stato greco, dall’altro abbiamo visto come la seconda faccia di questo movimento di costruzione storica si basi su retoriche di forte sentimento nazionale che si inscrivono nella memoria selettiva concretizzata nel tessuto urbano della capitale, ma che pervadono l’orizzonte percettivo egemonico della storia nazionale. L’esaltazione dell’antichità e della

Grecia classica come “culla della civiltà occidentale” (celebrata anche da una visione stereotipica fuori dalla nazione stessa), la visione del sé nazionale, quindi, come fondamento imprescindibile di quello stesso mondo che adesso si pone con atteggiamento giudicante verso le sue stesse radici, costruisce una percezione patetica del “noi” storico che non può permettersi di accettare il “diverso” come partecipe delle stesse sorti e che, dunque, esclude lo

321 straniero, in quanto impuro1 oltre che “in eccedenza”, “di troppo”. Abbiamo visto come questa percezione storica, lungi dall’essere frutto unicamente di un delirio razzista, ha molto a che fare con il modo in cui la storia è socializzata nell’educazione scolastica nazionale, e con le aporie storiche della lettura storiografica egemonica di forte impronta patetica.

Per quanto riguarda il compimento del sogno neoliberista di eksynchronismos, a cui pure corrisponde questa visione nazione-centrica2, possiamo prendere come punto di svolta centrale l’organizzazione delle olimpiadi del 2004 di Atene che hanno segnato in modo indelebile (ed in senso fortemente neoliberista) sia le politiche di gestione dei servizi pubblici che il tessuto urbano della capitale.

Ciò che in effetti rende così fluido il confine tra il grande evento e la crisi, oltre che il pragmatico rapporto di causa-effetto, per quanto riguarda le olimpiadi e il debito nello specifico, è proprio la gestione eccezionale delle situazioni. Come, infatti, la logica dello spettacolo sottrae il grande evento al quotidiano flusso culturale, ponendolo come fine ultimo di un’organizzazione costosa ed elaborata, fortemente connotata dall’aspetto commerciale, in questo caso, e non solo propagandistico3, così anche la dichiarazione di uno stato di crisi

1 La retorica del sangue greco è talmente poco estranea alla quotidianità della crisi greca che una delle pratiche diffuse dei militanti di alba dorata è quella di prestare aiuti sociali soltanto a coloro i quali possano “dimostrare di avere sangue greco” 2 Ricordiamo in questo senso che il motto con cui l’allora nascente partito socialista greco PASOK vinse le elezioni nel 1981 era «La Grecia ai greci!» 3 In questo lo spettacolo post-moderno si distingue dallo spettacolo moderno: mentre nell’epoca delle grandi ideologie lo spettacolo era usato prevalentemente a fini di propaganda politica o, al massimo, come intrattenimento fine a se stesso (un bellissimo esempio di questo è il cinema delle origini, un vero e proprio artificio visionario atto a stupire e ad impressionare il pubblico), nell’era post-moderna prevale, ed è contro questo che si cagliano violentemente i situazionisti, l’aspetto del consumo e dello scambio economico.

322 economica o del rischio bancarotta pone in essere una serie di norme gestionali e di pratiche politiche, anche stavolta fortemente connotate dall’aspetto e economico-finanziario, che determinano una situazione fuori dalla norma, emergenziale.

La gestione di uno stato di emergenza (o così definito “stato di eccezione”), di cui si incarica un corpus di esperti, viene sottratta alla sfera decisionale della popolazione ed è quindi agita unicamente in modo verticale dalle istituzioni.

Abbiamo visto come l’analisi di Foucault sui due modelli storici di città disciplinare, quella marginalizzante e quella contenitiva, calzi a pennello rispetto alle modalità in cui vengono gestite attualmente situazioni emergenziali.

Non ci siamo occupati del modello marginalizzante (del XVII per gestire l’epidemia di lebbra), che pure ritroviamo nelle istituzioni totali come i centri di identificazione ed espulsione

(Kentra kratisis metanaston, in greco) e nelle politiche di gestione dei flussi migratori affidati ad agenzie private come Frontex (nomen omen: in greco frontizo vuol dire “proteggere,”, ma

è chiaro anche l’evocazione alla l’idea di “frontiera”, quindi di una barriera invalicabile se non a determinate condizioni) che hanno il compito di proteggere la cosiddetta Fortress

Europe, e hanno importanti riferimenti lungo il confine greco-turco sul fiume Evros.

È invece piuttosto calzante rispetto al nostro discorso sulla città il modello contenitivo (usato nel XVIII secolo per far fronte alla peste) nel quale lo spazio urbano viene gerarchizzato in base ad una serie di funzioni e di responsabili con compiti gestionali inappellabili. È lo stesso

323 modello su cui si basa il “Metodo Augustus” della protezione civile, mutuato dall’equivalente agenzia statunitense FEMA, Federal Emergency Management Agency.

In questo senso, il soggetto principe di questa ricerca è stato la città, il suo brulicare di storie indocili che sfuggono alle tecniche contenitive. Exarchia, in particolare, è spazializzazione di questa devianza come luogo dove le pratiche quotidiane e la legacy storica che la attraversa si fondono in un tutt’uno: una mitologia attiva, praticata, che elude il dispositivo cartesiano di distinzione tra l’uomo e l’ambiente e, pure, si oppone ad ogni statica definizione “mitica”, positiva o negativa che sia, che la guarda come “scenario” di una stereotipica, innata rivoluzione. Per citare i due antropologi Dimitris Dalakouglou e Antonis Vradis, che proprio di questo stereotipo si sono occupati nell’introduzione del volume da loro curato sulle rivolte del Dicembre 2008 e sulla crisi del melieu radicale ateniese che ne è seguita, «There is no palm tree in Athens!», cioè a dire non esiste nessuna condizione innata o permanente che rende questo posto per un certo verso “predisposto” all’insurrezione.

In questo senso, e per comprendere meglio, invece, quale sia il tipo di rapporto performativo che lega il quartiere di Exarchia e i suoi abitanti, mi è sembrato importante citare Henri

Lefevre e quello che lui chiama droit a la ville: il diritto performativo di agire sullo spazio urbano e di trovare in questa dimensione un legame creativo, autentico, con esso.

Exarchia, per la sua lunga storia di lotte sociali e di pratiche di autogestione molteplici, in continua, complessa negoziazione tra loro, è dunque l’elemento urbano vivo che meglio

324 rappresenta il conflitto, dimensione caratterizzante delle città contemporanee, sempre più agglomerati complessi, e sempre meno monoliti identitari, dove ogni quartiere, ogni strada può essere un vestito che si indossa e rappresentare un microcosmo a se stante, ma continuamente in comunicazione con il tutto.

Le modalità attraverso cui Exarchia, per la quale abbiamo coniato l’epiteto di Iperluogo per mettere in evidenza la sua densità storicamente spazio-relazionale, è in rapporto con l’esterno, allora, è proprio il conflitto; un conflitto che a questo livello si fa bilaterale (ma non impermeabile), per la verità, tra concezioni antitetiche dello spazio urbano come concretizzazione di valori. Lo abbiamo sentito nelle parole del ministro dell’ordine pubblico e la sicurezza del cittadino Nikos Dendias:

Credo che ad un certo punto anche coloro i quali ritengono che Exarchia sia un luogo fuori dalla legalità o che in ogni caso credono di poter agire diversamente dagli altri nostri concittadini dovranno capire che anche a Exarchia c’è bisogno della presenza della legalità e della polizia greca. E penso che questo tempo non tarderà ad arrivare. Penso che cambi la società, cambino le prospettive e che pian piano sarà normalizzato tutto il centro di Atene, e anche Exarchia. (traduzione e corsivo miei)

Dalle parole dei miei interlocutori, abitanti del quartiere, questo conflitto sulla percezione della fruizione dello spazio urbano, e di questo spazio urbano denso di “senso del luogo” in particolare, si palesa in tutta la sua forza: da un lato una visione normativizzata e commerciale dello spazio, dall’altra una iniziativa performativa quotidiana di autogestione e pratiche solidali orizzontali: la creazione nel marzo 2009, sull’onda delle rivolte del Dicembre 2008 e

325 l’autogestione, che ancora continua, del parco di via Navarinou dove prima sorgeva un parcheggio in disuso, da parte di un’assemblea di abitanti, è solo un esempio di queste pratiche.

Il fronte di questo conflitto è bene iscritto nel tessuto urbano e percepibile come una soglia: pattuglie di polizia, posti di blocco, presidi di antisommossa e controlli sono la quotidianità nelle strade perimetrali del quartiere: via Patission, viale Alexandras, via Ippokratous e via

Akadimias e spesso, sempre più spesso, i raid degli agenti antisommossa MAT e della squadra motorizzata speciale DELTA rendono il quartiere una zona fortemente militarizzata con non poche limitazioni e disagi per gli abitanti e per gli avventori.

È una contrapposizione storica, che trova le sue ragioni d’essere nella legacy del quartiere e nella sua particolarità storico-spaziale: la sua vicinanza al politecnico e alle vecchie sedi universitarie, e le sue stradine strette che si inerpicano verso la collina di Strefi, i suoi piccoli crocevia, sono da sempre, dalla resistenza partigiana dell’EAM durante la seconda guerra mondiale, attraverso le rivolte del politecnico, sino ad oggi, congeniali alla “battaglia”; ma anche il posto ideale per artisti, intellettuali e studenti che qui potevano, e possono, trovare laboratori tipografici, librerie, negozio di dischi e graziosi kafeneia dove poter chiacchierare e scambiarsi pensieri politici. Sarebbe un errore pensare che questa porzione di città così particolarmente densa sia immune dal passare del tempo. La storia e il cambiamento attraversano Exarchia e modificano insieme a lei l’agency degli attori sociali le cui sorti sono

326 intrecciate ad essa: così, se per ognuno esiste “la sua Exarchia” come esperienza individuale, ciascuna di queste esperienze modifica e plasma in senso storico il quartiere e la sua forma ecologico-relazionale.

La crisi, dunque, attraversa questo microcosmo, questo strappo nel tessuto urbano, in un modo particolare: se da un lato colpisce gli abitanti con la stessa burocratica indifferenza cui abbiamo fatto cenno, che non risparmia nessuno tra il ceto medio greco e coloro i quali avevano già un reddito basso, dall’altro è proprio l’eccezionalità di questo luogo che fa si che essa prenda qui forma di pratiche politiche di controllo sociale e repressione che hanno l’obiettivo di rendere questo uno spazio isolato dal resto del flusso urbano e dunque facilmente controllabile, prima e poi, una volta stigmatizzato, atto ad essere normalizzato.

Sono molti i tentativi che, da tempo, corrispondono a questa volontà: dalle leggi speciali contro il “cappuccio”, di fatto mirate a criminalizzare “un certo tipo” di gioventù, rappresentata così da un capo di abbigliamento significativo (le felpe nere col cappuccio, appunto) e che ha a Exarchia il suo luogo di ritrovo, alla legge antiterrorismo (tetartos tromonomos) che di fatto estende la nozione di terrorismo a qualunque tipo di affinità ideologica con ciò che viene identificato come “pericoloso” per lo stato (ricordando così il tumultus latino analizzato da Agamben4), identificato univocamente con il melieu anarchico.

4 Vedere: Agamben 2003

327 Mentre scrivo, è in atto nel quartiere di Exarchia e nelle occupazioni di Salonicco una vasta operazione di polizia condotta dai nuclei antiterrorismo contro quelli che vengono definiti gruppi di affinità vicini alla “cospirazione dei nuclei di fuoco”, colpevoli di compiere rapine per finanziare il gruppo. Dalle notizie che si apprendono dai siti internet di informazione, però, almeno per quanto riguarda Exarchia, l’operazione starebbe coinvolgendo anche abitazioni e persone note nel quartiere per il loro attivismo politico nei gruppi radicali, ma assolutamente lontane dalle posizioni dei gruppi della così chiamata “nuova guerriglia urbana anarchica”5. Ritornano le parole di Yiannis Felekis che, per spiegarmi come si era svolta l’operazione Aretì contro lo spaccio ed il consumo di droga a Exarchia nel 1984, mi aveva detto:

In centro alla piazza spacciatori e tossici che facevano i loro commerci (alisverisia, parola molto rara di origine turca, ndr), mentre tutto intorno, per le strade e ai crocevia giravano poliziotti e arrestavano gente. Come succede anche oggi, che pensavano che così per caso potessero beccare qualcuno di 17Noembri, come fanno anche adesso che fermano motorini a caso vicino al museo o in altri punti, in genere alle entrate di Exarchia per beccare per caso “qualcuno”. (Intervista n°9, 30 gennaio 2014 con Yiannis Felekis)

Come abbiamo visto in queste pagine, ma è il caso di richiamarlo qua, rispetto ad alcune considerazioni finali su questa etnografia, Giorgio Agamben, nella su lettura pubblica del 16 novembre 2013 alla Technoupoli di Gazi, ad Atene, ha messo in evidenza che, attraverso lo stato di eccezione permanente (perpetual coup d’état) come paradigma di governo moderno,

5 https://athens.indymedia.org/post/1531961/

328 lo stato di controllo (État de controle) descritto da Deleuze6 ha sostituito quello che Michel

Foucault aveva definito Stato disciplinare. Questa sorta di evoluzione dei sistemi di controllo

è avvenuta dal momento che non si tratta più, e le situazioni di crisi (come archetipi degli stati eccezionali) lo rendono evidente, di mantenere l’ordine, quanto più l’imperativo diventa il gestire il disordine imperante, in nome della sicurezza (come rappresenta bene la dicitura del ministero dell’ordine pubblico greco, che ha solo funzioni di polizia, dal momento che il suo dicastero, a differenza da quello nostrano, è slegato dal ministero dell’interno). Abbiamo cercato di dimostrare come questo État de controle, lungi dall’essere un concetto vuoto, sia non solo in atto, ma pure come esso abbia una sua concreta spazializzazione nell’eccezione urbana ateniese per eccellenza, il quartiere “degli anarchici”, Exarchia “la nera”; e come sia basilare per comprendere questo stato di controllo il concetto di gestione, che si trova uguale nelle situazioni post-impatto dei disastri naturali o tecnologici, dove un sapere “esperto” si trovi a dover maneggiare una criticità e lo faccia senza il coinvolgimento (ed anzi, al comando e attraverso il controllo delle) popolazioni locali.

Per concludere, tuttavia, mi pare il caso di porre alcune considerazioni riguardanti lo spazio urbano, attore centrale di questa ricerca, e come esso giochi un ruolo fondamentale e attivo anche nella pratica del controllo e della gestione delle situazioni di emergenza.

6 http://eagainst.com/articles/postscript-societies-control-gilles-deleuze/ (consultato l’1 ottobre 2014)

329 Negli ultimi quattro anni si fa un gran parlare di un progetto, che aveva cominciato ad essere pensato come possibile a metà degli anni ’80, per la completa pedonalizzazione di via

Panepistimiou, sulla quale dovrebbe passare anche la linea di un tram.

Via Panepistimiou è una delle arterie stradali centrali più importanti della città, accoglie una mole incredibile di traffico ogni giorno, poiché connette punti importanti della città: piazza

Syntagma a piazza Omonoia. Di fatto quindi è il raccordo tra due snodi, quello che porta ai quartieri nord della città (voria proastia), e quello che conduce verso il Pireo e la parte più densamente abitata, con i sobborghi popolari, molti dei quali costruiti dai profughi dell’Asia

Minore dopo la Mikrasiatiki catastrofi.

Il progetto, denominato Rethink Athens7, è stato dunque presentato alla popolazione dall’amministrazione comunale e dai ministeri dei trasporti e dell’ambiente con grande enfasi, sottolineando i vantaggi per la vivibilità che una tale opera potrebbe portare alla vita cittadina.

L’idea generale, più ambiziosa, è quella di connettere il museo archeologico di via Patission e l’Acropoli, passando per via Panepistimiou, quindi Syntagma e da lì la già pedonale via dello shopping Ermou, e la poco distante zona già pedonalizzata dell’Acropoli, costruita per le olimpiadi del 2004.

7 http://www.rethinkathens.org/eng/project

330 Per progettare la pedonalizzazione di via Panepistimiou è stato coinvolto il politecnico e diversi dei suoi studenti che, attraverso un concorso, hanno presentato i loro progetti che sono stati valutati da una commissione di architetti e urbanisti esperti.

Per presentare il vincitore l’architetto olandese Martin Nait, lo scorso giugno, è stata allestita una grande mostra in una bellissima galleria neoclassica i cui spazi commerciali sono ormai disuso a causa della crisi, che connette via Panepistimiou a via Stadiou, nei pressi dell’incrocio della prima con via Charilaou Trikoupi, una delle strade che si inerpica verso lo

Strefi e porta a Exarchia.

La mostra riguardava i mutamenti urbani di Atene ed era possibile vedere i progetti e gli studi fatti sullo spazio cittadino. Per ogni area urbana vi era a disposizione un grosso libro che ne illustrava la storia, ma al centro di tutto, protagonista, c’era, esemplificato in ogni suo dettaglio e fase, il progetto di pedonalizzazione di via Panepistimiou in cui autenticamente consiste Rethink Athens. Disegni e proiezioni della resa di questo grande viale una volta pedonalizzato, immerso nel verde urbano rigorosamente pianificato e dotato di traversine per il tram e barriere di protezione lungo il suo percorso, erano dappertutto.

Una vera e propria “grande opera” di riqualificazione urbana, che renda il centro più appetibile per il turismo e gli esercizi commerciali.

331 Chiaramente, come abbiamo già detto all’inizio, una città che si renda più vivibile non è certo qualcosa cui ci si possa opporre, ma come sempre ci sono dei dettagli oscuri che dalla versione ufficiale del progetto vengono ovviati.

Se ci fermiamo a pensare dal punto di vista dell’ecologia relazionale antropo-spaziale “che cosa sia” via Panepistimiou, e per farlo ascoltiamo le parole di persone come Yiannis Felekis, che hanno attraversato, partecipandovi attivamente, tutte le fasi della Metapoliteusi nella capitale greca, se ci capitasse di rimanere bloccati nel traffico a causa di una manifestazione durante sciopero del pubblico impiego, ad esempio, o ci trovassimo catapultati in uno scenario di militarizzazione da guerra civile e ci rendessimo conto che è il 6 dicembre, come la notte in cui Alexis Grigoropoulos fu ucciso nel 2008, ci accorgeremmo, senza troppa difficoltà, che è Panepistimiou la strada dove le persone, fianco a fianco, nei blocchi o a piccoli gruppi camminano con decisione, tra le bandiere, gli striscioni e gli slogan scanditi con le mani e a piena voce. È Panepistimiou la strada che, grazie alla sua ampiezza e al rettorato dei Propilaia (Pritanìa), unico luogo dove esista ancora l’asilo politico, importante lascito alle lotte sociali dell’opposizione ai colonnelli, e spazzato via dal governo Papandreou dopo lo scoppio della crisi, permette ai manifestanti di trovare la fuga o il rifugio in caso di una carica della polizia.

Terminata nel 1859 e da sempre strada di “ordinanza” per le parate militari, su odos

Panepistimiou, la “via dell’università”, in sostanza, simbolicamente e per ragioni pratiche,

332 hanno avuto, e continuano ad avere luogo, tutte le manifestazioni di massa della Grecia moderna e contemporanea.

Tutto questo patrimonio storico, politico e popolare rischia dunque di essere spazzato via: i lavori pubblici, finanziati in parte dall’Europa, durerebbero anni e, alla loro conclusione, la nuova configurazione della strada, normalizzata, come direbbe il ministro Dendias, o più precisamente riqualificata, gentrificata renderebbe impossibile qualunque assembramento o tentativo di corteo.

Non basta, come parte integrante del progetto di riqualificazione del centro cittadino, esiste anche il piano per la nuova linea metropolitana gialla (linea 4) che connetta il comune urbano di Galatsi a Zografou, dove sorgono le sedi universitarie, passando per Kypseli, i tribunali di viale Alexandras e, ovviamente, piazza Exarchion8.

Il progetto della fermata della metropolitana nel cuore di Exarchia è discussa da tempo, ma presentata ufficialmente dal sindaco Kaminis solo nel settembre di quest’anno.

A detta di tutti gli abitanti, questo segnerebbe la fine del quartiere come è adesso, di fatto, la fine della sua storia come eccezione urbana, lo smantellamento del patrimonio sociale di opposizione sociale e alternative dal basso di cui la legacy del quartiere, la sua “mitologia attiva” sono costituite.

8 http://www.lamiareport.gr/index.php?option=com_content&view=article&id=103425:allazei-o-xarths-tou- metro-me-14-stathmous-h-grammi-4&catid=72&Itemid=90

333 Come dappertutto, la gentrification presenta le stesse caratteristiche... che vadano via i poveri, che vengano i ricchi, questo. Non si è realizzato a Exarchia e a Exarchia non può passare. E non può passare perché ogni generazione che viene qua, bada che la casa che lascerà, vada nelle mani di qualche persona a lui vicina.

Mi ha detto durante la nostra conversazione l’architetto e abitante del quartiere Salomi

Chatzivasileiou, che da poco più di un mese, però, e dopo trent’anni di vita a Exarchia, è stata costretta a trasferirsi a Larissa, in Tessaglia, per motivi economici.

Sono queste pratiche che il potere agisce sul tessuto urbano che non possono non essere considerate, e che, anzi, hanno un’importanza centrale nella comprensione dei futuri equilibri di potere e di conflitto nella città.

Voglio chiudere dunque con questi due esempi di progettualità sospesa, per dare il senso di quanto si viva, oggi, nelle strade di Atene. Un precariato emotivo, un’instabilità quotidiana, un’impotenza. La concreta distopia di questa visione di riqualificazione urbana ci fa pensare che, nella metropoli della gestione emergenziale, non solo vige lo stato di controllo deleuziano, ma pure è bene riscattare e tenere in considerazione l’uso disciplinare dello spazio in senso foucaultiano, che impone e ordina affinché il controllo possa diventare, come in un’Alphaville dove si dimentichi cosa sia l’amore, superfluo.

334 Figura 22

Fotogramma dal film di Jean-Luc Godard, Alphaville, USA 1965 (fonte: http://brightlightsfilm.com)

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336 Appendice

Interviste

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Intervista n° 1, Christina F.

20 maggio 2013, ore 11.15

Christina, 46 anni, madre di una bambina che va alle elementari nella scuola di odos Koletti a Exarchia. Fa parte dell’assemblea di gestione del Parko Nabarinou, anche se raramente riesce a partecipare agli incontri. È la mia prima conversazione registrata. L’incontro è avvenuto nel kafeneio di odos Nabarinou, adiacente al parco autogestito, in un tavolino esterno. Durante il nostro incontro sono passate altre due donne dell’assemblea che si sono fermate per qualche minuto a salutare. Non ho registrato questa pausa nella conversazione, per non mettere a disagio Christina.

Anna: Allora, cominciamo… dimmi un po’ intanto cosa fai nella vita?

Christina: Beh, sono disoccupata. Perché lavoro al ….?? E non c’è lavoro. Non ci sono progetti in questo momento in Grecia, quindi non c’è lavoro. Faccio diverse robette per sopravvivere, in ogni caso.

Anna: (poiché spesso nelle nostre conversazione ricorre il fatto che va e viene da “scuola”, le chiedo che relazione abbia con essa): Ma quindi a scuola cosa fai?

Christina: A scuola c’è mia figlia...

Anna: ah, ok…

Christina: Io partecipo semplicemente come genitore, che comunque siccome questa è una scuola…

(arrivano i nostri caffè, e quindi ringraziamo il cameriere)

… con un grande numero di ragazzi migranti e si trova in un luogo centrale di Exarchia, noi abbiamo costruito un’assemblea e lavoriamo abbastanza a scuola impegnandoci perché ci sia uno scambio tra le persone, in qualche modo. Facciamo… è anche una scuola molto buona, ci sono dei bravi insegnanti, e dei programmi interessanti.

Anna: è una scuola privata?

Christina: no no, è una scuola pubblica. Una scuola elementare. Ci sono insegnanti che portano avanti un programma scolastico che comprende elementi di prevenzione della salute, o temi riguardanti il razzismo e la xenofobia in collaborazione con il coordinamento dei rifugiati, e diversi altri, con l’uso di libri particolari, esce anche un giornalino scolastico negli ultimo cinque anni… e ogni volta si vede nel giornale

339 tutto il lavoro che si fa durante l’anno. Adesso uscirà l’ultimo numero… e noi, come assemblea genitori, abbiamo aiutato moltissimo: siamo riusciti a costruire una biblioteca, abbiamo procurato dei tavoli e una cucina con il secchiaio, quindi i ragazzi… è un po’, quando mangiano durante il tempo pieno, come una cucina collettiva.. Facciamo iniziative, facciamo una gita alla fine dell’anno con una quota davvero minima di partecipazione, tipo due euro, paga l’assemblea il resto. Noi i soldi li troviamo dai mercatini che facciamo. Facciamo ad esempio un mercatino di natale con cose fatte a mano dai genitori e le vendiamo in piazza Exarchion, in genere un sabato di dicembre; facciamo girare le locandine, e quindi è così che racimoliamo soldi anche per le iscrizioni che qualcuno può non pagare, magari è disoccupato o povero… e quindi a scuola facciamo un lavoro che, ecco, per noi è molto importante per i ragazzi perché dà molto l’idea di un gruppo. E quindi ad esempio non abbiamo problemi di razzismo o cose simili… perché abbiamo a scuola venti etnie diverse, sì, quindi abbiamo bambini dal Pakistan, dalle Filippine, dalla Cina, dall’Albania, ovviamente, dalla Romania, Georgia… non me le ricordo tutte… sono tantissimi paesi!

Anna: ma che bello!

Christina: sì, sì è multiculturale, in un certo senso. E penso che tutto il lavoro che facciamo, sia il collegio docenti che noi come genitori sia indirizzato all’antirazzismo.

Anna: è un lavoro molto interessante…

Christina: sì e ci da grande soddisfazione, perché vediamo che funziona questa cosa, non in modo ineccepibile, ma vediamo che funziona!

Anna: quanti siete?

Christina: ci sono circa 100 bambini a scuola… vabè, non partecipano tutti i genitori, ma molti partecipano. E l’obiettivo per noi è che partecipino all’assemblea anche genitori che sono migranti. Ce ne sono dall’Ucraina, dall’Albania, dalla Georgia… quindi partecipano. Sì, è molto buono. Questo è una conquista. Perché la prima volta che ci sono andata non partecipavano! Abbiamo invece costruito un nucleo di genitori affiatati da diversi paesi, e questo ci fa moltissimo piacere. Ovviamente c’è ancora molto lavoro da fare…

Anna: beh ma questo sempre…

Christina: Eh sì, come tutto, come tutto…

Anna: Ma tu sei di Exarchia?

Christina: no, no, ma vivo a Exarchia da 13 anni. E ovviamente quando ero giovane bazzicavo per Exarchia.

340 Anna: di dove sei?

Christina: Sono di Lutraki, vicino.

Anna: ah, sì ho capito!

Christina: sì, ahahah, industrie eccetera…

Anna: e adesso dove vivi a Exarchia?

Christina: vivo qui, su Zodochou Pigis. (la strada perpendicolare a quella dove ci troviamo, ndr)

Anna: ah, proprio qui, allora!

Christina: sì, molto vicino al parco.

Anna: anche io vivevo lì.

Christina: sì, Zodochou Pigis, è una bella strada… centrale. Prima abitavo su Dervenion, che è pedonale ed era ancora meglio.

Anna: A me piaceva molto abitare lì. La casa era bellissima, ma i coinquilini terribili, e me ne sono andata.

Christina: Eh, quando si condividono le case con gli estranei succedono di questi problemi. Poi vabbè ci sono altri problemi nel quartiere, questo è chiaro. Le strade, lo vedi…

Anna: eh già, dopo sono andata a vivere tra Tossitsa e Spiridon Trikoupi, ed era ancora peggio…

(è noto che nella parte bassa di Tossitsa, dietro al Politecnico, si radunino i tossicodipendenti per comprare droga. Spiridon Trikoupi è una strada che dalla piazza va verso la grande arteria di Leoforos Alexandras. Ci sono solo palazzi piuttosto vecchi, qualche ufficio o negozio al piano terra che chiude alle 20.00, e l’illuminazione è scarsa.)

Christina: Oh sì, lì decisamente doveva essere peggio. Ma quando si sta nei posti un po’ lo si impara a conoscere meglio, lo spazio. Comunque Exarchia è un bel quartiere, un quartiere vivo.

Anna: anche a me piace molto.

Christina: anche i miei amici che vivono in altri quartieri mi dicono che quando vengono a Exarchia è come se entrassero in un altro pianeta, la sera. Altrove è tutto un po’ morto.. tutto, non so… non cammina nessuno, solo automobili… e poi arrivano qui e ci sono tantissimi pedoni, le strade piene, ha vita il circondario e ce l’ha sempre avuta, però. Penso che adesso sia tra i pochi punti vivi della città. Perché con la

341 crisi la città è diventata brutta, e, vabbè, anche un po’ spaventosa direi. Ci sono alcuni luoghi che fanno paura.

Anna: sai, in molti mi hanno detto che la città è diventata in un certo senso pericolosa, mentre ero in Italia, e mi ha spaventata un po’ ciò che mi hanno detto, per quello che avrei trovato qua, all’inizio. Poi però una volta qua, credo che non ci sia paragone con una metropoli italiana come Milano, per esempio: è molto più pericolosa.

Christina: Sì, io non credo che sia particolarmente pericolosa, Atene. È pericolosa per i migranti, adesso… ma pericolosa in genere no, ci sono alcuni punti che sono pericolosi, soltanto. Per esempio… vabè adesso con l’uso della shisa, della droga insomma, ci sono punti qua a Exarchia in cui, dove stanno di solito chi ne fa uso, che sono un po’ pericolosi perché li rende molto aggressivi questa droga, che è anche così economica…

Anna: hai visto il documentario? (documentario di Vice sull’uso della Shisa ad Atene)

Christina: ho letto solo l’articolo che lo corredava, ma conoscevo da prima la questione perché alcuni amici hanno visto un accoltellamento su Stournari l’anno scorso… in pieno giorno, le 14.45 tipo. Sai, li rende molto aggressivi.. è poco comunque questo, bisogna fare attenzione, ma non credo che la città sia particolarmente pericolosa. Anche venendo la notte da altri quartieri, camminando… non sento, non ho paura, devo dire. Semplicemente, c’è un grandissimo degrado come vedi…moltissimi senzatetto…è cambiata l’immagine della città. Questa penso sia la cosa principale, e non che sia così pericolosa, semplicemente ti spaventa quello che vedi o forse, non ti spaventa proprio… ti abbatte, ti provoca dispiacere, questo penso sia la cosa principale. Ci sono alcuni punti al Pireo, ad esempio, in contesti molto centrali, sono… c’è povertà.

Anna: E Omonia? È davvero così pericolosa?

Christina: A me capita di passare la notte, non tardissimo, ma la notte sì, verso mezzanotte… Vedi sono più che altro le immagini che spaventano.

Anna: Sai dove si vende la droga qua a Exarchia? Perché anche Exarchia è diventato un posto dove si spaccia…

Christina: lo è sempre stato. Il quartiere è colpevole di non aver fatto molto, è logico che a causa di … si ritrovino… di base penso che adesso la piazza principale siano i Propilei, la sera, non a Exarchia... in genere è su Tositsa, lì dietro al Politecnico. Queste sono i luoghi principali dello spaccio, diciamo e verso piazza Bathi, più in basso rispetto a Exarchia.

Anna: c’è stata una festa degli abitanti del quartiere “contro la droga” su Themistokleous…

342 Christina: sì, li’ vanno più che altro per consumare… dipende comunque, non è la stessa droga. Dipende dalla zona… anche se questo non so molto bene. Di Tossitsa so, ma di altri posti… non so bene. È ciò che vedo o ciò che leggo su internet..

Anna: perché questo è qualcosa che io non ricordo quando stavo qua…

Christina: no, c’era, come problema… quattro, cinque anni fa c’era il problema della droga nella piazza. C’era sia spaccio che consumo di eroina. Ma poi c’è stata una iniziativa degli abitanti contro la droga. Si sono riuniti gli abitanti e gli hanno cacciati verso il basso, ci sono stati presidi col megafono eccetera per molto tempo, una continua presenza in piazza, quindi è finito lo spaccio lì. Adesso… abitanti e negozianti hanno portato avanti principalmente questa iniziativa, adesso c’è un ritrovo in piazza, ma è di altro tipo, rispetto all’uso dell’eroina diciamo. Perché è un ritrovo la sera anche per ragazzi molto giovani, con le birre dei chioschi.. è la piaga di Exarchia che si ritrova eheh.. nelle strade pedonali, dappertutto…

Anna: E tu, perché hai deciso di trasferirti a Exarchia?

Christina: ah, perché è un quartiere che amavo molto per…per questo: per la sua grande vitalità; qui ci sono molti collettivi, negozi di dischi, ci sono i cinema, è insomma un quartiere che è veramente di città, ma non città come è Kolonaki, diciamo, è un centro cittadino, un quartiere con grande carattere e di grande politicizzazione, pure. Questo, predo sia la caratteristica principale, e mi ha dato tanto amore sin da quando ero molto giovane, quindi volevo vivere e Exarchia.

Anna: prima hai vissuto ad Atene da qualche altra parte?

Christina: Prima non vivevo ad Atene, mi sono trasferita e ho vissuto due anni prima a Pagkrati e poi a Exarchia. …questa è stata la ragione principale, quindi e poi inoltre posso fare tutte le mie commissioni a piedi, che non sopporto tanto gli spostamenti coi mezzi pubblici. Mi piace molto questa cosa che ho tutto intorno a me eheheh, è molto utile. E inoltre le persone sono amichevoli, si conoscono… salutano, si danno il buongiorno, è molto bello.

Anna: Da quanto tempo esiste l’assemblea di quartiere?

Christina: non mi ricordo esattamente… sono diversi anni. Non mi ricordo quanti, ma sicuramente più di sei. E nei suoi primi anni, gli anni prima del 2008, prima dell’omicidio di Grigoropoulos aveva organizzato anche molte iniziative di grande partecipazione del quartiere, sia per i bambini che altre, ed era anche tra i collettivi di base che hanno organizzato e che hanno partecipato all’occupazione del parcheggio che è diventato parco.

Anna: me le ricordo le prime assemblee del parco, c’era tantissima gente…

Christina: tantissima gente, davvero… Era il marzo del 2009 che è cominciato. Teneva vivo il movimento che era nato dopo la morte di Grigoropoulos e degli eventi di dicembre

343 2008, e moltissima gente è scesa in strada in quel periodo, anche io, perché è stato molto … ciò che abbiamo vissuto, soprattutto nel quartiere, quindi molta gente è …, ha attraversato ciò che accadeva di questo tipo. Moltissime occupazioni ci sono state all’inizio del 2009, che ci sono ancora, intendo.

Anna: molte però sono state sgomberate…

Christina: Sì sono rimaste a lungo però, Skaramagka ad esempio…

Anna: è considerata Exarchia quella?

Christina: in un certo senso sì, perché è su Patision, prima di Alexandras.. “Politechneio”, così si chiama la zona. Hanno occupato molti spazi non solo a Exarchia. Erano i germogli di dicembre, voglio dire, con uno spirito molto antagonista. Poi lo spirito antagonista è continuato, adesso siamo un po’ sottotono ahahaha mi pare…

Anna: quando hanno cominciato a cambiare le cose?

Christina: non so… penso che questo sia molto difficile da analizzare, penso che ci siano molte circostanze che bisognerebbe prendere in considerazione. Credo che qualunque cosa sia successa dal 2010 in poi, oltre all’incredibile repressione che si è dovuta affrontare, incredibile repressione, penso che si sia entrati in questo sentimento di abbattimento, del tipo… non abbiamo vinto, non abbiamo guadagnato qualcosa come movimento , come persone resistenti, questo è un motivo, ma sicuramente ci sono anche altri fattori credo, è difficile. Adesso c’è un affaticamento comunque… credo, così mi sembra. Vedo che tutto è così, sottotono, e penso sia per questo: che siamo stata per strada tutto questo tempo e che, sai, non abbiamo avuto una piccola vittoria, diciamo, che ci abbia fatto continuare… non che non ce ne siano state affatto, ma forse così piccole che in confronto alla repressione alla grande mole di disoccupazione, la necessità di sopravvivere che è un grandissimo scoglio per tutto questo, di fronte quindi a tante cose che hanno fatto sì che le cose si affievolissero. Sì, purtroppo. Abbiamo adesso pure questa svendita dei sindacalisti che sta avvenendo in questi giorni con gli insegnanti…

Anna: ma infatti, cosa è successo? Una casino, mi è sembrato.

Christina: sì, un casino. Praticamente le assemblee generali degli insegnanti greci avevano deciso per lo sciopero e alla riunione finale della OLME i rappresentati sindacali, invece di votare come avevano deciso le assemblee hanno voltato contro lo sciopero. Solo 18 hanno votato a favore. È assolutamente… Come posso dire… non puoi farlo! Se hai dietro di te un’assemblea generale che vota per lo sciopero, devi andare là e dire sì voto per lo sciopero, non esiste altrimenti. È ovviamente avvenuta una svendita, lo sappiamo questo, ma quando ti appresti ad una lotta così importante e te la svendono davanti agli occhi…

Anna: ma allora poi cos’è successo?

344 Christina: Eh, non poteva andare… con cinquantacinque schede bianche non si può prendere nessuna decisione e quindi non c’è stato lo sciopero. Nonostante tutte le assemblee fossero a favore, non proprio tutte, ma insomma…

Anna: Ma come è potuto succedere?

Christina: eh, alla riunione finale qua ad Atene, hanno cominciato a cambiare leggermente la proposta, hanno aggiunto qualcosina… ma il dato è che i rappresentanti, nonostante fossero lì per votare sì allo sciopero abbiano deliberatamente tradito il volere assembleare. Penso che questo sia una enorme svendita e….

(qui arrivano le due amiche di Kristina, e spengo il registratore per qualche minuto. Quando riaccendo, entrambe ci siamo dimenticate esattamente dove fossimo rimaste, ma ritroviamo il filo presto)

Christina: Questo, in sostanza… di base seguo le notizie da internet, perché non ho la televisione, ho visto ch adesso tutti, beh, non tutti tutti… ci sono moltissimi che stanno duramente criticando la OLME ed i rappresentanti per quello che è successo. Poiché lo scopo principale della OLME era di supportare i rappresentanti sindacali, ma la verità è che le grandi sigle sindacali in Grecia non hanno nessuna voglia di fare lotta politica. Ed in questo senso è molto grave perché una lotta che riguarda l’educazione è una lotta che riguarda tutti. Viviamo in una particolare situazione di fascismo, non esiste il diritto di fare sciopero. Non è un caso che altrove nel modo quando una categoria decide di fare sciopero può farlo senza problemi e qua non è così. Provano qua un modello, per vedere se funziona anche altrove e fino a che punto possa arrivare.

Anna: in effetti la percezione, leggendo i giornali italiani è che stiano mettendo in atto quello che è stato provato qui, prima.

Christina: ma certamente, tutto il sud Europa segue questo filone. Ma il punto è che noi dormiamo, come lavoratori…non riesco ad immaginare una peggiore violenza del vivere senza lavoro, senza sapere se domani ce l’avrai… ti portano via la dignità, insomma, lo trovo estremamente violento.

Anna: lo è…

Christina: o la fame dei bambini, ad esempio, che vedo a scuola… ci sono famiglie che non hanno neppure i beni di prima necessità per tutto il mese. È pazzesca questa situazione e credo che non abbiamo nessuna scusa nello stare così immobili.

Anna: ma in una situazione del genere, come vive la gente? Non paga? Come fa?

Christina: credo che ci siano le piccole proprietà di famiglia eccetera che aiutano, cosa che è sempre stata. Penso che l’impoverimento per questo proceda più lentamente di come potrebbe succedere in un altro paese. Non che non succeda, ma avanza molto lentamente , perché col 60% di disoccupazione giovanile, se non ci fosse la

345 famiglia, questi sarebbero per strada, non potrebbe essere altrimenti… adesso sempre di più i ragazzi vivono con i genitori, forzatamente, prima anche succedeva. Specialmente i maschi uscivano di casa solo per sposarsi. Ora però è una condizione forzata. Non c’è lavoro, e quindi si mette insieme quello che c’è per comprare da mangiare. Ci sono anche piccole proprietà, per cui qualcuno può avere un pezzo di terra, una casa al villaggio, o qualcosa del genere e questo, ok, aiuta. Una volta però che le vendi per farcela, è dopo che ti tocca pensare a come vivere. Per questo dico che procede lentamente, non mi viene in mente niente altro. Se non fosse così saremmo tutti per strada e la questione sarebbe evidente. Perché nelle proteste degli ultimi tempi, questo è un parere comune a molti che sono scesi per strada, i grandi numeri di quelli che non erano lì erano costituiti dai giovani. Era molto piccolo in numero di giovani, e non c’è possibilità che ci sia qualcosa di forte senza i giovani. In sostanza le età delle persone in strada, c’erano studenti, ovviamente, ma una piccolissima percentuale, le età delle persone per strada erano dai 35/40 in su. Insomma persone che hanno sentito la crisi subito, che hanno famiglia, che hanno figli da far vivere e che non trovano lavoro, perché quando ti licenziano a 50/55 anni non lo trovi più lavoro. E di questo tutti se ne sono accorti, tre anni di proteste e i giovani non c’erano., di contro a Dicembre, durante il quale erano prevalentemente giovani, per strada. I giovani e alcuni della mia età eheheh, che eravamo giovani quando c’è stato il primo omicidio qua a Exarchia, quello di Kaltezas nell’85… C’erano dunque i giovani, e noi che allora eravamo giovani ahahah vabè, ricordi…

Anna: trovi ci siano analogie tra i due episodi?

Christina: non so se ce ne siano. Dicembre è stato molto particolare. Anche allora è successo un casino, nell’85, ma Dicembre è stato… c’era come un’effervescenza sottostante che ha fatto saltare il tappo e tutta la rabbia è uscita fuori. C’è la possibilità che succeda qualcosa del genere anche adesso; che ci sia un’ebollizione che provochi un’esplosione, ma penso che adesso non sia così, penso che ci sia solo depressione. Questo non va bene, perché non reagisci alle situazioni.

Anna: Mi pare che ci siamo molta violenza…

Christina: Non c’è violenza…

Anna: Dallo stato intendo, dalle istituzioni…

Christina: oh sì molta violenza, molta repressione…

Anna: sì, ma nessuna tensione sociale…

Christina: no, non particolarmente… penso che la depressione giochi un grande ruolo in questo. Certo, non bisogna cadere nella trappola della depressione, ma dormiamo… in genere la situazione è molto brutta, eh, vediamo cosa sta succedendo anche a Ierissos… se lo prendi come termine di paragone, tre anni fa, quando è successa uan cosa simile a Keratea c’era un movimento (ad Atene, ndr) che sosteneva la lotta

346 a Keratea. Anche adesso c’è. Ci sono persone dappertutto che sostengono la lotta della Calcidica, ma in paragone non c’è la stessa forza che c’era allora nel movimento di solidarietà con Keratea, che era solo tre anni fa. È cominciato a febbraio del 2010, penso che questo dia la misura. Cosa posso dire, la situazione adesso fa schifo…

Alla fine di questa conversazione, ci diamo un appuntamento per il mercoledì successivo per continuare, che non ci sarà, per impegni di Christina a scuola. Chiederà comunque ad Elli di parlare con me dell’esperienza del parco Nabarinou.

Christina: riguardo al quartiere comunque tutti più o meno le stesse cose ti diranno, “il villaggio” come lo chiamiamo. È assolutamente diverso vivere qua rispetto a vivere, che ne so, a Pagkrati. Anche lì può succedere che gli abitanti si salutino per strada, ma non è lo stesso. Non c’è lo stesso tipo di complicità. Qui ad esempio ci si ferma a parlare anche tra persone di età molto diverse, può succedere di scambiarsi commenti politici anche tra sconosciuti… è un’altra cosa. E non credo che.. siccome c’è anche un’altra immagine del quartiere dettata dai mezzi di informazione, che Exarchia è un posto terribile, dove ci sono gli anarchici, e questo e quell’altro…balle! È un quartiere molto sicuro, è bello, c’è un’atmosfera amichevole, e per questo ci si sente come in un villaggio, che puoi passeggiare e sentirti bene. Puoi parlare alla gente, sapere le novità. Le persone qua si somigliano, si scambiano informazioni. C’è questo nel quartiere, non dico che lo facciano tutti, ma lo si sente. Se a Exarchia arrivassero gli Albadorati gli si farebbe il culo… non ci sono solo queste cose, ma sono queste principalmente, positive.

Anna: ah, ma infatti… Albadorati, non ce ne sono a Exarchia?

Christina: Certo che ce ne sono! Guarda i risultati delle elezioni dell’anno scorso… ahahahah no, ce ne sono come dappertutto, ci sono elettori di Nea Democratia, del Pasok…

Anna: mi sembra così strano…

Christina: ma non è questo che caratterizza il quartiere, è anzi irrilevante rispetto alle cose che dicevamo prima… ti senti insicura per esempio a camminare per Exarchia? Perché io non mi sento affatto. Da che mi ricordo nessuna donna si è mai sentita. Possiamo camminare tranquillamente senza problemi a qualunque ora. Non ti pare? Mi sento sicura, cosa che non avviene in altri luoghi della città. È un quartiere piacevole e decisamente amichevole. Con i suoi problemi, ovviamente…

347 Intervista n° 2, Alexandros A.

23 maggio 2013, ore 14.00

Alexandros A., 39 anni. Ha studiato cinema alla London Film School, ma è nato e cresciuto a Exarchia dove è tornato dopo i suoi studi. È soprannominato “il sindaco” perché è nel movimento antiautoritario da sempre e ha agganci praticamente con tutti. È un militante di A.K.A. (Anarchici per la liberazione sociale), un’organizzazione legata alla CNT/FAI. Lo incontro in un caffè con tavolini all’aperto nella strada pedonale Tsamadou, dove si trova lo Steki metanaston, un palazzo occupato da greci e migranti insieme, e un altro vecchio bar, ora occupato dall’assemblea di quartiere, dove si svolgono gli incontri ad essa legati e l’assemblea del Parko Navarinou, durante l’inverno. Quando gli ho spiegato bene cosa stessi facendo, mi ha molto rasserenata il suo dimostrarsi interessato e i commenti positivi che ha fatto sui miei studi.

Anna.: Allora, parlami un po’ di Exarchia, come è cambiata da com’era prima di Dicembre, ad oggi…

Alexandros.: Allora, cosa è cambiato… com’era Exarchia prima di Dicembre, mi chiedi?

Anna: sì, com’era… vorrei farmi un immagine, perché quando sono arrivata io la prima volta ad Atene… ok, sono arrivata a Settembre, in realtà, ma già era un periodo particolare..

Alexandros: Settembre 2008?

Anna: sì, settembre 2008.

Alexandros: guarda, se devo dire la verità non mi ricordo come fosse Exarchia allora. Credo che fosse… col pilota automatico. Sai, era… normale. Non c’erano molte iniziative sociali… nel senso, non c’erano queste assemblee popolari. C’era un’assemblea che era abbastanza attiva, degli abitanti, c’erano le solite assemblee degli anarchici, ma l’autorganizzazione al livello in cui è adesso non c’era. Non so se questo combacia col dicembre 2008, o no… è possibile che sia stato un fattore. Prima c’era la situazione con l’eroina, che era molto pesante, ma era… everyday Exarchia, diciamo. A dicembre 2008, e da lì in poi avevamo molte persone… giovani persone che sono arrivate nel movimento antiautoritario/anarchico, ma era anche un po’ una moda. Perché Dicembre è stato… mi ricordo molti ragazzi giovani che sono arrivati e che andavano a tirare pietre o qualche bottiglia sugli sbirri e pensavano tsh.. che questo è l’anarchia. E il movimento anarchico sì è ingrossato moltissimo di gente a caso. Penso che, poichè il movimento anarchico in Grecia è non-organizzato, non è stato in grado di assimilare in maniera corretta queste persone. E come risultato, alla fine alcune di queste persone se ne sono andate, la maggior parte, alcuni si sono dispersi… alcuni si sono dati alla mircocriminalita, tipo rubare nei negozi nel nome di una qualche anarchia, che sono nella loro testa riconoscono come anarchia, e a creare piccoli scontri qua e là nel quartiere, perché rubano nei locali

348 e nei negozi di persone che sono in ogni caso, qualcuno, anche solidali. E sono arrivate persone anche molto strane: alcuni hanno costruito dei gruppi, anche abbastanza violenti, che ci sono ancora. Ma quello che credo che sia successo, ma questa è un’opinione personale..

Anna: e sì, ma va bene…

Alexandros: si sono costruite alleanze, non so se è giusto dire su base ideologica, direi piuttosto su base di compagnosità (syntrofiko epipedo), perché per me un compagno non è qualcuno che è ideologicamente conforme, ma colui che mi sta vicino in una circostanza difficile, e in questo senso, si sono costruite diverse cose: il parco Navarinou, alcune occupazioni… e credo che sia cambiata un po’ la gente nel corso di una serie di cose, nel senso: c’è stato il dicembre 2008, poi c’è stata Syntagma, e poi c’è stato il Memorandum, quindi una serie di cose, a breve distanza una dall’altra che ha maturato una sensibilità in ognuno che lo fa credere sia un modo di pensare differente si che le cose possano funzionare in un modo diverso dal sistema esistente. Quindi non posso rimanere solo nel post- Dicembre, ma diciamo che Dicembre è stato l’inizio, da lì in poi hanno cominciato a mettersi molto in moto gli spazi anarchici. Penso che cercassero in un certo senso di gestire tutta questa cosa, perchè molti dicevano fosse “dell’anarchia”…ecco io non sono d’accordo con questa cosa. Era degli studenti, principalmente. Sia il movimento anarchico, ma sia anche soprattutto la società aveva costruito un sorta di…come se avesse in qualche modo spaventato il sistema, grazie alle forti relazioni sociali che si erano create, con il risultato della loro rottura improvvisa con quello che è successo alla Marfin. Il paradosso di questa cosa è che sono state lanciate centinaia di bottiglie sulle banche senza che mai nessuno sia morto, mai. E qui abbiamo il paradosso di tre persone che sono asfissiate, perché questo è successo, non sono bruciati vivi come dicono, sono asfissiati. Non sono d’accordo, non plaudo, ma la responsabilità non è solo di tre persone. In ogni caso, è stata una coltellata improvvisa ai legami sociali. Perché se non fosse successo questo, c’è stata Syntagma, e sarebbe potuto essere un movimento molto più forte. Poi c’è stato Syntagma che, a Exarchia c’è stata un’incredibile spinta verso l’autorganizzazione. Si cercava l’accordo, che si trovasse un punto comune tra tutti gli spazi, sia anarchici che antiautoritari, che di sinistra. Per questo vedi a Exarchia adesso, sia tante nuove occupazioni, sia iniziative sociali e discussioni su di esse in numero sempre crescente. Credo che uno “spiffero” dal Dicembre 2008 soffia ancora adesso, ma dal momento che il dicembre 2008 è stata una cosa molto particolare e ha cambiato principalmente gli studenti; nel senso gli studenti, gli studenti di allora, che adesso potrebbero essere albadorati… li dicembre del 2008 è stato degli studenti, non è stato nostro, nostro nel senso di anarchico. Semplicemente era una buona occasione, che credo abbiamo perso, per fare un passo in avanti. Nel senso, dal momento che eravamo disorganizzati, poiché l’anarchia in Grecia è molto frammentata: esiste l’anarchia nera, esiste l’anarchia individualista, dell’organizzazione, politca sulla quale sono d’accordo, sociale, eccetera eccetera, ma non c’è organizzazione, siamo un po’ a caso e quindi capisci non siamo riusciti… qua a Exarchia io mi ricordo c’era un’incredibile mole di gente, Exarchia pullulava di

349 gente, e si riempiva molte volte anche di fasaria (casino, ndr)… ok, credo fosse una bella cosa, ma non so quanto dipenda dal dicembre 2008, nel senso non credo sia stato un evento così grandioso. È stato un evento grandioso per gli studenti. Per quanto riguarda il movimento anarchico, qualcuno dice che sì è mosso grazie a Dicembre, è stato quindi una chiave che ha fatto anche tornare al movimento persone che da molti anni si erano allontanati. Ha avuto quindi lati positivi, ma anche molti negativi. Sempre così è comunque…

Anna: Quindi ti dici che Dicembre non è stato un evento così importante…

Alexandros: Non è stato così… c’è una tendenza nel movimento anarchico a ingigantire le cose. È stato un avvenimento molto serio. L’assassinio di una giovane persona da parte di uno sbirro… la reazione del movimento anarchico per me è stata giusta, ha fatto quello che doveva fare, semplicemente se ci fosse stato qualcosa in più, avrebbe potuto… le persone che sono arrivate, la gente giovane era giusta per le linee di quella cosa lì. E l’hanno reso un grandissimo strike, ancora più forte, ma non c’era quel qualcosa in più da poter…

Anna: ma perché, secondo te?

Alexandros: non c’era l’organizzazione. Ci sono persone che pensano che il movimento anarchico non possa essere politico, che stia piuttosto a livello dei gruppi di amici, che sia un’altra cosa… nel senso, ci sono talmente tanti punti di vista… non è come la Spagna anarchica del ’38 nella quale c’era l’Anarcosindacalismo ed era quello e basta, il profilo era chiaro e sapevano molto bene cosa volevano, ‘che avevano un’organizzazione e una struttura… noi siamo un po’ a caso. Non siamo tutti insieme, è molto frammentato. Ma io penso che, così credo io, almeno, spero, ci sia stata la voglia dei ragazzi allora, ma poiché era un po’ caotico è stato impossibile trovare un focus, un “sì, quindi…”, quello che ci proponiamo. Prefiggersi come scopo un avvenire diverso, ma invisibile, senza avere tra le mani qualcosa di esso è un processo miope, nel senso… aspetti che ti ammazzino per costruirti il futuro? C’è un equivoco di base in tutto ciò. E quindi, come evento è stato sicuramente importante, nel senso, se ne parliamo riguardo a Exarchia, Exarchia in ogni caso vive di una tendenza diversa, politica, ma quello che è successo è che ha dato un riferimento al resto dell’Europa, credo Nel senso, la rivolta che c’è stata… la rivolta che c’è stata ad Atene, in un periodo molto breve ha provocato manifestazioni di solidarietà in tutta Europa e in tutto il mondo. E quindi questo lo trovo importante. C’è una tendenza, in sostanza. Anche dal momento che sono venuti molti anarchici stranieri in Grecia, che si sono uniti alle proteste e tutto il resto. Ma sai cosa… in qualche modo…a me non mi ha cambiato personalmente, non mi ha reso più anarchico o meno anarchico. Ero lì, sì, è successo questo, mi ha tirato fuori la rabbia, con tutto ciò che questo comporta, ma non mi ha cambiato in qualche modo.

(un uomo e una donna poco lontano sembrano litigare violentemente. Ci giriamo entrambi a guardare cosa stia succedendo.)

350 Alexandros: giocano, mi sembra…

Anna: sembra anche a me, lo spero…

Alexandros: dimmi qualcos’altro, chiedimi qualcosa…

Anna: e, sto pensando… perché, la percezione che avevo, e che mi ero fatta di Dicembre era molto diversa. Ma credo che ciascuno abbia diverse percezioni di Dicembre, ciascuna personale. Questo stavo pensando…

Alexandros: Semplicemente, sai cosa succede? La differenza è che tu allora… quanti anni avevi?

Anna: eh, ero piccolina…

Alexandros: ma per questo, esattamente. Questa cosa, voi, via toccati moltissimo. E lo senti molto. Io che ero abbastanza più grande, la situazione mi ha toccato emotivamente, ma non mi ha cambiato. Perché in genere, quando sei in un modo, tipo parte del movimento anarchico, può farti pensare se ne sei fuori, ma se lo sei già, continui ad esserlo. Mantieni le tue posizioni politiche. Eccetto se uno prima era anarchico ed è diventato di destra… non so… ma, in un giovane questo è terribilmente importante.

Anna: sì questo pensavo… che non so, per me almeno, se politicamente ha cambiato qualcosa, ma ha cambiato me come persona. La percezione che avevo di molte cose.

Alexandros: Sì, ma in ciascuno… tu me l’hai messa in particolare a Exarchia, ma se usciamo un po’ da questo, perché a Exarchia è c’è solo stato l’avvenimento. Ma gli svolgimenti di esso sono, praticamente mondiali. Molte persone, le ha cambiate, e anche più anziani; che non erano nel movimento anarchico. Sono arrivati al movimento anarchico. Penso comunque che siano una piccola parte. La parte più cospicua erano i coetanei di Grigoropoulos. Perchè quello di cui discutevano i ragazzi, e io sono andato praticamente a tutte le manifestazioni , era il nero… che non esiste futuro. E lottavano in questo senso, nel senso ho ascoltato molti slogan così che neanche ricordo, ma questi ragazzi in quel periodo sono cambiati. Ma purtroppo la triste verità è che quando non riesci politicizzare e curare il pensiero in modo tale che possa progredire, è molto probabile che poi torni ad essere quello che era prima. Quindi penso che Dicembre abbia svegliato molti, molte persone si sono svegliate, anche anarchici che magari erano caduti in una specie di torpore del tipo: “ah, la mia occupazione, la mia assemblea…” la loro piccola sfera, diciamo, “io sto qui e ci sto bene, ok, folle anarchia eccetera eccetera”. Questo può essersi messo in moto in modo diverso, rispetto al movimento anarchico. Non intendo dare il merito agli scontri, che negli scontri eravamo fantastici, non ha importanza questo. Perché adesso siamo disorganizzati, non abbiamo nessuna struttura, zero. Loro sono arrivati là in alto all’improvviso e noi siamo rimasti qua in basso. Polli senza tesa. In qualunque momento adesso ci possono distruggere, non possiamo fare nulla, per chiamare

351 le cose col loro nome. Ma… ecco, la cosa riguardo a questo che posso dire è che persone che si erano alontantate sono tornate nel movimento. Questo è importante. E credo che persone che hanno fatto Syntagma, poi, la piazza intendo, perché il resto, quelli che stavano sotto il palazzo, è irrilevante. Syntagma era divisa in due, c’era la parte alta che insultava il parlamento, e l’assemblea in basso. Per me Syntagma è stata solo il basso. La parte alta è stata… quelli che erano lì votano Alba Dorata, adesso. Ma credo che quelli che hanno fatto Syntagma, Syntagma bassa, devono… immagino, che vengano da Dicembre.

(squilla il suo cellulare e parla qualche minuto)

Alexandros: guarda a me personalmente… posso dire che mi ha dato una svegliata. Ero tra quelle persone che, ti ho detto, andavano avanti col pilota automatico, tipo: corteo, corteo, corteo, corteo, presidio, corteo, corteo… così, mi ha svegliato in un certo senso, in modo diverso, forse. Ma sono passati tanti anni da allora, sono passati 5 anni, la mia memoria ormai è… non mi ricordo esattamente come mi sentivo; mi ricordo qualche cosa. È stato un fatto che ogni volta che mi viene in mente mi incupisce, mi rattrista. Ma sono venuti fuori molti movimenti che hanno costruito situazioni, non solo anarchici, e credo che questo sia un fatto, quello più positivo è stato Syntagma, e adesso vediamo come è finita… è che, sai cosa succede? Sia rispetto a dicembre 2008, sia a Syntagma, è principalmente se cogli l’occasione, se lo fai in quel momento perché è di moda e te lo senti, o se lo continui anche dopo. Questo per me è il grande discrimine. E quelli che sono tutti adesso nelle iniziative sociali, che costruiscono e organizzano, se all’improvviso finisce la crisi e hop, tornano… come ti ho detto prima, tornano come erano prima… rimaniamo? Come ne usciamo? Questo, come nei fatti crediamo in queste cose. Io conosco me stesso. Ok, io è un altro discorso, ma come si può far sì che questi che ci sono adesso rimangano nelle iniziative sociali?

Anna: ma guarda, io che vedo questa situazione da fuori, ancora da fuori perché sono qua davvero da pochi mesi, non la vedo così vitale.

Alexandros: sì è un po’ congelata.

(Passa una signora con un bambino in passeggino e degli orecchini a forma di libellula. Alexandros scambia con lei qualche parola.)

Alexandros: sì, anche io lo penso questo. Abbiamo avuto un picco, con quella fantastica manifestazione di 12 mila persone, quanti eravamo, per Villa Amalias… e poi… plof! Incredibile però, così flop. Come se qualcuno avesse premuto il tasto “pausa”. Non riesco a capire perché. E adesso è un fenomeno generale. Tutti lo diciamo. Lo diciamo e rimaniamo fermi, questo facciamo. Vabbè ci proviamo in un po’, con Zikos, ad esempio. Vabbè ma anche Zikos, non eri qui a vedere, ma sono venuti alla festa cinquemila persone e nell’iniziativa sociale siamo in tutto 18 persone. Ma come è possibile?

352

Anna: sì, anche sabato al Politecnico che c’era una festa. Era pieno di gente. Persone che bene male di faccia ho già visto. Ma poi? Dov’è tutta questa gente di giorno?

Alexandros: infatti, non so… su twitter, o su facebook. Non so dove sono. Se li trovi portali! Mi ha detto una compagna alla quale ho chiesto di venire a Zikos “sì, vengo ad aiutare”, ma non voglio che vieni ad aiutare! Ci credi in questa cosa? Credi che ne abbiamo bisogno? Se ci credi vieni, ma che tu venga ad aiutare non mi interessa affatto. Non è un favore. Ancora, domani andrò a parlare con un’amica, una compagna, perché vorremmo aprire una scuola libertaria…

Anna: Wow!

Alexandros: ti dirò poi, se ti interessa… e abbiamo preso qualche contatto con alcune persone interessate, e ho pensato: sempre i soliti, siamo. Io da Zikos, altri da altri collettivi, ok, sempre le stesse persone. Comunque… mi sembra di lamentarmi come un vecchio.

Anna: ahahaha..

Alexandros: se vuoi posso presentarti un mio amico, che mi pare di aver capito, ma non ne sono sicurissimo, che abbia deciso di diventare anarchico dopo Dicembre 2008. Ed è una persona che ha letto moltissimo. Lo posso chiamare…

(lo chiama, ma questo incontro, poi, non avverrà mai)

Anna: e delle iniziative sociali nuove, come l’assemblea di Zikos, o l’ambulatorio popolare che si farà a Box, cosa mi puoi dire?

Alexandros: sono quello che succede adesso, Box è solo un anno che c’è.

Anna: cosa era prima, che non ricordo?

Alexandros: era un kafenio. Ha chiuso, e ha riaperto… liberato! Ahahaah

Anna: non me lo ricordavo.

Alexandros: era carino. Facevano un caffè migliore di quello che fanno adesso… ahaha oh, guarda, su quel muro c’è un manifesto di Zikos, vedi quel manifesto giallo? Quello è di Zikos. La attacchiamo vicino ai palazzi dove vive la gente, e scriviamo tutti prodotti che ci saranno di volta in volta al mercato senza intermediari che organizziamo e i prezzi. Che altro posso dirti, Anna mia?

Anna: dimenticavo una cosa basilare ma importante, da quanto tempo vivi a Exarchia?

Alexandros: …31 anni. Vabbè per essere onesti non esattamente 31 anni. Sono stato via quattro anni, quando sono partito per l’Inghilterra, dai 6 ai 13 anni ho vissuto

353 qualche giorno alla settimana con mio padre che viveva altrove, ma ecco… 31 generalmente. Full time, diciamo.. quando sono tornato…? Dai 25 anni, circa… quindi… 13, 14 anni… se non calcoliamo quando ero piccolo che andavo e venivo. E 10 da che sto in questa casa dove vivo ora.

Anna: stavi in Inghilterra?

Alexandros: sì, 4 anni. Quando avevo… tu quanti anni hai?

Anna: 26, quasi.

Alexandros: più piccolo di te. Ci sono stato dai 18 ai 22. Ho fatto l’accademia di regia e cinema… eh, come passa il tempo…

Anna: e poi, hai deciso di tornare?

Alexandros: non pensavo di restarci. Era solo per la scuola che volevo fare. La scuola di cinema era a Londra e quindi sono andato lì. Vivevo a Wimbledon, dove fanno tennis, poi ho vissuto a Kingston, e alla fine in centro.

Anna: molte persone di qui che conosco, in effetti, hanno studiato in Inghilterra. È molto diverso da qui…

Alexandros: adesso neanche non posso andarmene. Ogni tanto penso di andare in un altro paese e poi mi dico… e la rivoluzione!? Eheheh parto adesso e mi perdo la rivoluzione, dopo tutti questi anni!?

Anna: eh, sono scelte difficili! Eheheh e dove andresti?

Alexandros: a New York.

Anna: io sono tornata qua perché ad un certo punto mi sono detta: dove vorresti andare? E ho pensato: Atene!

(Alexandros mi guarda con un’alzata di sopracciglio)

Anna: lo so, tutte le persone a cui lo dico fanno quella faccia.

Alexandros: vedi, come hai detto anche tu, siamo qua fermi. Non so cosa aspettiamo, le elezioni, aspettiamo?! Così stiamo tutti. È tutto flat…

Anna: vabbè, io vengo dall’Italia, quindi…

Alexandros: sì ma qua non è sempre stato così. Cosa posso dire… adesso con Zikos ci sarà la rivoluzione. Eheh..

Anna: beh, è una piccola…

354

Alexandros: resistenza.

Anna: sì, resistenza.

Alexandros: beh, ad un certo livello potrebbe, se diventa grande, dappertutto, allora può. Perché la gente non ha bisogno di sentire tanti discorsi. Neanche discorsi rivoluzionari, non gli interessano. Non ci crede. Sai, l’abbiamo reso così (fa un gesto con le mani che sta a significare “aereo”, teorico”), che quando cominci a fare cose che la gente riconosce, può succedere qualcosa, attraverso loro, che ci mettono speranza, attraverso loro. E non in modo rivoluzionario nel senso della lotta armata, rivoluzionario qua dentro (si porta un indice alla fronte). E quindi, vedrai tra dieci anni, Zikos sarà una rete mondiale con nuclei dappertutto ahahahah. Uno scrittore ha scritto un libro, coso… lo conosci sicuramente… è famosissimo… non mi viene adesso, non importa… insomma ci sono le elezioni nel paese in cui si svolge la storia, quel giorno piove tantissimo e il risultato è che quel giorno vota pochissima gente. Il 20% circa. E dicono che è stato a causa della pioggia e quindi ripetono le elezioni, e non vota praticamente nessuno solo qualcuno. E le persone decidono, semplicemente di ignorarli, di continuare la loro vita normale, come se questi non ci fossero. Non l’ho letto, ho letto solo la quarta di copertina…

Anna: è di Saramago, si intitola Saggio sulla Lucidità.

Alexandros: Ecco sì, brava! È così, li ignorano semplicemente, non esistono… vanno avanti come se non ci fossero. Se si costruissero le strutture perché questo possa avvenire, questo creerebbe non pochi problemi. Del tipo, i supermercati scomparirebbero… ci sarebbero tantissimi problemi.

Anna: sì anche se, se devo pensare ad un modo in cui potrebbe arrivare il cambiamento, personalmente lo vedo così.

Alexandros: sì, anche a me sembra il più probabile. Anche perché non si sa chi potrebbe prendere il potere, ora come ora. Potrebbero essere i fascisti. E cosa fai allora?! Ma allora, per continuare questi sogni, diciamocelo pure, perché non ci sarà mai nessuno che farà andare le cose così… dovremmo raccoglierci tutti, quanti siamo, 3,4, 10, 12 mila? ...Andiamo a Creta tutti insieme, lasciamo che tutti gli altri vadano al diavolo, e facciamo una Creta tutta anarchica, tutta autogestita. Tutte le cose che crediamo, le mettiamo in pratica per noi. E così saremo l’esempio vivente per i posteri ahahah ecco, lo vedete, non vi diciamo cose che non esistono! Come per quel villaggio Spagnolo, Marialeda, intorno al quale si faceva la guerra per conquistarlo, una volta arrivata la crisi non ha patito nulla. E adesso tutti vanno là a chiedere il loro aiuto, e “come avete fatto”, eccetera, come ha fatto adesso Zikos che è andato a Corinto. All’inizio erano tutti “che si fottano”, adesso: “ah, ma com’è questa cosa dell’autorganizzazione”, non importa, ve la mostriamo. Non importa che prima non foste così… vedremo. Così, Anna mia… spero di esserti stato d’aiuto.

355 Intervista n° 3, Elli Botonaki

8 luglio 2013, ore 16.40

Conosco Elli da molti mesi, quando decidiamo di farci una chiacchierata su Exarchia e sul parco nel suo appartamento di via Themistokleous. Fa parte dell’assemblea del parco Nabarinou dall’inizio e dell’assemblea di Zikos. È una donna sulla cinquantina, che vive a Exarchia da molto tempo. È una di quelle persone che posso senza dubbio considerare amiche, e questo traspare in maniera chiara dal tenore della nostra conversazione. All’inizio della nostra conoscenza, all’assemblea del parco, mi sembrava di non starle simpatica affatto, ma questa si è rivelata solo una mia impressione, perché in breve tempo mi ha rivelato che le sembrava di conoscermi da una vita. E’ lei che ha coniato per me il soprannome di “Exarchologa-parcologa”.

Anna: quello che vorrei sapere riguarda il parco e il cambiamento del quartiere. Come è cambiata la percezione del quartiere in questi anni da dicembre in poi. Incomincio dal parco perchè credo sia più importante ma vorrei sapere anche il cambiamento di Exarchia in generale.

Elli: tu che ti ricordi il quartiere, credi che sia cambiato?

Anna: si è cambiato molto.

Elli: sì il quartiere è cambiato, ma la percezione del luogo e delle persone riguardo allo spazio pubblico io dubito sia cambiato.

Anna: Qual è la tua opinione in proposito?

Elli: quello che è sicuro è che ha cambiata la nostra vita e delle persone che hanno partecipato a questa cosa. Questo è vero, uscendo dalle nostre case siamo in un luogo pubblico dove pensiamo e realizziamo cose che ci piacciono, ci interessano e riteniamo ne valga la pena che vengano realizzate nei luoghi pubblici. Le realizziamo come vogliamo che siano. Abbiamo fantasia e alcune idee ma non è sempre tutto realizzabile purtroppo. Molte volte rimangono solo delle idee nelle nostre menti e non le riusciamo a mettere in pratica.

Anna: da quanto tempo è che realizzate queste cose?

Elli: dall'inizio, dal primo giorno del parco. Per me questo è importante, personalmente partecipavo spesso alle cose sociali qui a Exarchia. Ho partecipato ad una iniziativa di abitanti con i quali abbiamo fatto delle manifestazioni in zone a traffico limitato. Una domenica avevamo fatto una bella festa qui sulla via Temistokleous. Abbiamo contestato il fatto che molte macchine avessero parcheggiato in zone destinate ai pedoni, ancora adesso parcheggiano alcune macchine nonostante sia una zona pedonale. Passano anche motorini nonostante giochino i bambini. E durante la protesta tra i motivi della rivendicazione c'erano la volontà che ci fossero zone pedonali affinchè potessero giocare i bambini o camminare gli anziani e tutti, senza gas di scarico delle macchine o

356 veicoli in mezzo alla via. E durante la manifestazione è venuta molta gente, avevamo messo degli striscioni per bloccare il traffico.

Anna: Quando c’è stata questa manifestazione?

Elli: nel 2007 o forse l’estate del 2008, comunque prima del dicembre 2008. Ha partecipato molta gente avevamo piantato degli alberi, abbiamo sistemato le aiuole. Abbiamo tantissime fotografie sul blog dell'iniziativa di quella giornata che è stata bellissima. Avevamo già una presenza nei luoghi pubblici, io in prima persona partecipavo a queste iniziative, solo che prima di questo evento era una cosa molto più sporadica, era capitata una cosa simile una volta e dopo un mese magari facevamo un'altra iniziativa in piazza a Exarchia. Con il parco improvvisamente ci siamo ritrovati ad uscire di casa numerosi e a ritrovarci in un luogo del nostro quartiere che costruiamo così come piace a noi.

Anna: quindi è successo per volontà dei residenti?

Elli: si, ma non solo. L'iniziativa è cominciata con la diffusione dell’ idea della realizzazione di un parco e era stato cercato anche l'appoggio del comune. Per esempio hanno fatto molte richieste al comune, abbiamo raccolto firme affinché venisse realizzato un parco invece di un parcheggio. Così è incominciata questa storia, all'interno di questa situazione era coinvolta anche un altro gruppo di cui facevo parte anche io. Tutto ciò è presente anche nella storia del parco.

Anna: di che gruppo si trattava?

Elli: Questo gruppo era un gruppo di attivisti che si era formato a Dicembre

Anna: Aveva a che fare con Exarchia?

Elli: no, non c'entrava con Exarchia. Non è mai emerso come gruppo, lo conoscono solo quelli che vi partecipavano. Semplicemente facevamo alcuni volantini per manifestazioni o facevamo qualche iniziativa nei centri commerciali. Avevamo fatto un intervento al telegiornale sul canale ERT. E altre azioni di questo genere. Eravamo solo una trentina di persone. Nessun personaggio di particolare rilevanza, erano tutti ragazzi giovani, molti artisti che provenivano da tutta Atene, non solo da Exarchia. Però questi ragazzi sono sulla stessa linea d'onda di Exarchia. C'era anche una partecipazione attiva da parte di questi ragazzi e, grazie a loro soprattutto che erano più combattivi, abbiamo ottenuto più cose per la nostra iniziativa. Prima i partecipanti alla nostra iniziativa erano più anziani e ci limitavamo ad uscire con manifesti e a gridare i nostri diritti. Poi abbiamo richiesto anche un martello pneumatico per poter mettere un paio di alberi a livello simbolico. L'altra squadra però voleva le cose più in grande, voleva infatti piantare una ventina di alberi e ordinare un camion di terra. Il giorno della protesta infatti abbiamo portato un intero camion di terra, e molte piante. Molti fiorai hanno partecipato all'iniziativa regalando alberi. É venuto anche un gruppo che si è occupato di rompere l’asfalto per

357 piantare le piante. Alla fine tutta questa iniziativa è diventata più grande di quello che ci potessimo immaginare. Però io che partecipavo a entrambe le squadre posso affermare che in nessuna delle due, nonostante una fosse più estrema, avevamo mai immaginato che ci sarebbe stato un parco l’anno dopo .. cioè non credevamo che un'iniziativa così breve avrebbe portato alla formazione di un parco. Io dico questo sinceramente, e credo di parlare anche per altri che hanno partecipato. Non credevamo avrebbe avuto così tanto successo. Almeno nella mia testa non credevo che il parco sarebbe diventato com'è adesso. Vai a vedere le foto per vedere quanta gente c'è.

Anna: si c'ero anche io. C'è un motivo per il quale tutto ciò è avvenuto a Exarchia e non altrove? Oppure no?

Elli: si, credo che molte cose potevano realizzarsi ( soprattutto) ad Exarchia, c'era il clima, c'era un interesse per la politica, uno spazio molto vivace e sicuro.

Anna: Dici che è cambiata la zona adesso?

Elli: Adesso la situazione in generale a Exarchia è cambiata. Ma non so se è cambiata per il meglio. A me sembra sia peggiorata. All'epoca c'era un periodo di creatività, le iniziative erano molto positive, nonostante l'ambiente fosse molto pesante dopo il dicembre.. con tutto quello che è successo con la morte di Grigoropoulos e con tutti questi movimenti che erano molto interessanti e dinamici ma anche aggressivi in certe situazioni. La creazione del parco è stata invece un momento di luce, positivo con un respiro diverso e un'altra qualità che ha retto per un periodo.. dopo nel parco sono cominciati alcuni problemi (che si sono mostrati) e con tutte le persone che hanno incominciato a venire perchè era diventato una moda. Nel primo periodo soprattutto. Abbiamo capito che le persone venivano per altri scopi rispetto a quelli che avevamo in mente. Noi volevamo un luogo d'incontro, per uno scambio di idee, un luogo di dialogo, rispettato dai visitatori, organizzato e che potesse ospitare tutti, ma a poco a poco è diventato un luogo per un certo target limitato, che escludeva altri. I primi due anni c'erano delle signore anziane che venivano ogni giorno per mesi da quando l'abbiamo aperto d'estate. É stato molto commovente e alcuni mi dicevano che volevano fare foto e fare un documentario su queste signore per come sfruttavano lo spazio. Dopo un po' di tempo se ne sono andate, adesso ogni tanto le vedo che sono sedute su alcune panchine in altre zone di Exarchia. Venivano nonne con i nipoti a giocare nel parco giochi. Dopo un po' di tempo abbiamo incominciato a trovare bottiglie rotte, spazzatura, bisogni dei cani, siringhe e quindi è incominciata a venire sempre meno gente. Così quello che ci aspettavamo noi in gran parte non si è realizzato.

Anna: ho conosciuto molta gente in questi mesi che è passata dall’assemblea però dopo è andata via, ed è una cosa che non ho ben capito come sia accaduta, anche Alexandros.

Elli: La verità è che Alexandros è venuto poco, ci ha aiutati molte volte nel parco soprattutto con cose pratiche quando dovevamo fare alcune proiezioni, ma lui ha sempre detto che non sopporta le assemblee. Il problema con le assemblee del parco è che si sono sempre

358 tenute all'aperto per anni. Adesso per questo anno e mezzo per fortuna siamo andati in via Tsamadou per lo meno nei mesi invernali, altrimenti i primi due anni e mezzo si teneva nel parco e io ero sempre raffreddata. In pieno inverno novembre, dicembre eravamo seduti sulle panchine e c'era da un lato questo freddo, umidità eccetera e dall'altra parte tutti intorno che urlano spaccano la legna e accendono fuochi e le condizioni in cui si doveva discutere erano orribili, era molto difficile fare una discussione seria. Eravamo in uno spazio aperto in cui passavano tutti, che fosse inverno o estate, adesso ci raccogliamo anche al Lofos (Lofos tou Strefi, collina che sovrasta Exarchia, ndr), prima invece ci si radunava alla panchina centrale, c'era casino, il primo che passava ci chiedeva "cosa dite" e poi "sono cazzate quelle dite", e se ne andava con la birra in mano. Ci vuole un bel controllo per sopportare tutto ciò. E per tre o quattro ore ogni tanto passava qualcuno e commentava. Poi c'era un periodo in cui venivano dei ragazzini che si atteggiavano un po' da anarchici. La maggior parte di essi adesso sono venditori ambulanti, vendono cose, li ho visti in giro. La maggior parte fa quel lavoro. All'epoca non avevano ancora un lavoro e venivano all’assemblea a disturbare. Per esempio proiettavamo un film e incominciavano a chiedere di che film si tratta, chi sono gli attori e perchè, per ogni minima cosa creavano problemi. Non riuscivamo neanche a decidere che film proiettare perchè continuavano a ribattere, perchè se Dino De Laurentis era il produttore non andava bene, se c'era una certa attrice il cui ex compagno aveva votato la tal persona non andava bene. Venivano persone che ci proponevano di organizzare delle scene teatrali nel parco e ci tartassavano stavano lì tre ore a chiedere il perchè e il percome. Basta semplicemente buttare l'idea di una rappresentazione teatrale ed è nostra gioia organizzarla e far venire delle persone a vederla, non c'è motivo per portare l'altra persona all'esasperazione. Si atteggiavano da anarchici duri e puri, tutti fanno finta di voler evitare la commercialità, ma è tutta una posa, oramai c'è solo compra vendita nel parco, tutti comprano e bevono birre e comprano e fumano canne. Dove sta quindi quest’anticommercialità? Però non appena proponevamo qualcosa a nessuno andava bene niente, così diventavano stancanti le assemblee. A me stancavano molto e quando eravamo d'estate nel parco molte volte nel mezzo della assemblea prendevo la canna dell'acqua e mi rinfrescavo e continuavo ogni mezz'ora.

Anna: nelle ultime assemblee quello che ho capito è che la parte più importante non è l'aspetto teorico del parco ma il pratico. Vero?

Elli: La parte pratica credo sia importante ma per tanti anni si è discusso solo l'aspetto teorico. E una cosa fastidiosa che molte persone vengano solo alle assemblee e ad altri eventi mai. Per esempio c'era bisogno di innaffiare, di costruire, di scavare, ha numerosissime necessità, il parco. Loro invece venivano solamente alle assemblee, era la loro unica apparizione nel parco oltre qualche altro incontro all'infuori del contesto del parco dove affermavano di partecipare alle attività del parco, ma l'unica loro partecipazione avveniva alle assemblee. Ci sono persone che non ho mai visto tra le iniziative pubbliche , c'era da appendere volantini, stampare, creare le locandine,inviare mail, portare sedie, sistemare gli impianti acustici, il proiettore, …non li ho mai visti in nessuna di queste attività, venivano solo come spettatori ed erano sempre presenti alle assemblee per dire le loro opinioni che insistevano per fare valere. Sembrano dei sindacalisti professionisti che sono immersi nella vita politica, io credo che a certe

359 persone dovrebbe essere impedito di andare alle assemblee. Una volta abbiamo discusso il principio -ma non l'abbiamo mai attuato,- che se partecipi alle assemblee del parco devi contribuire anche a livello pratico. Avevamo detto di fare la assemblea sempre verso le sette di sera ma di andare sempre un'oretta prima per sistemare, lavare, innaffiare per fare dei lavoretti e poi fare la assemblea in modo che anche queste persone partecipassero. Non puoi decidere tu per gli altri che fanno cose e tu dai solo idee e fai da porta voce in assemblee di altro genere. Una persona che credo abbia dato davvero tanto a questo parco nel passato e non partecipava quasi mai alle assemblee perchè lavorava e non poteva è Spyros il quale era uno dei primi fondatori del parco a livello di lavoro manuale e faceva cose che prima non sapeva fare ma le ha imparate lì, costruzioni con pietra e mattoni, ci voleva molto lavoro e partecipava poco alle assemblee, quindi non ha mai creato delle situazioni in cui si lamentava o interveniva creando situazioni difficili. Aveva però una presenza utile come anche Nikos l'avvocato, erano sempre molto discreti però la loro presenza nel parco era molto significativa in tutti questi anni. Poi c'era Giorgos che era molto presente sia alle assemblee che ai lavori nel parco. Io per esempio sono sempre andata alle assemblee e abbastanza ai lavori, da un momento in poi non così tanto. Un anno e mezzo fa andavo tutti i lunedì e pulivo, poi l'ho fatto più raramente. Però aiutavo durante le manifestazioni, quando c'era da mettere poster e tutto quello che potevo. Abbiamo lavorato molto noi, c'era un certo Yiannis “il giardiniere” e lo chiamavamo così perchè quando è venuto si era interessato a tutto ciò che riguardava il giardino. Se ne è occupato lui il primo anno e mezzo, poi ha avuto dei problemi di cuore. Si era trasferito di fronte al parco per abitare vicino ma adesso sta pensando di trasferirsi. Yiannis non veniva alle assemblee perchè si annoiava e non gli piaceva, ma ha fatto un buon lavoro, il primo anno e mezzo il giardino l'ha mantenuto lui per l'80%. Molte persone sono passate dal parco chi per più tempo chi per meno. I soli che siamo rimasti dal primo giorno siamo Giorgos e io. Nikos Varvakastanis, Nicolakis, c'era dall'inizio, non era nella prima squadra come me e Giorgos ma c'era dal primo giorno anche lui e partecipava più alle assemblee, solo adesso lo vedo che partecipa anche a livello pratico.

Anna: questo è un cambiamento che sto vedendo, le persone incominciano a partecipare alla cura degli orti. Ma non solo del parco, in generale. Vero? È una cosa che sto notando.

Elli: si la verità è che credo che in tutto il mondo negli ultimi anni le persone incomincino a curare gli orti, anche in Spagna ho notato questa cosa, in Italia non so...

Anna: è difficile, ci sono assemblee da tempo, spero che ci siano dei cambiamenti adesso perchè da molti anni c'è solo una piccola parte che lo fa.

Elli: anche qui è così, noi crediamo di essere in tanti perchè conosciamo tante persone in questo contesto ma in realtà non siamo in molti. Certo si incomincia a discuterne ma sembra ci sia una nuova tendenza, io ho dei cugini nel nord africa che stanno facendo orti. Li ha raggiunti una logica che non avevano. Prima di cinque, dieci anni poche erano le persone che vivevano vite "urbane” (astikes zoes, ndr), anche se avevano orti pensavano di mettere fiori invece di frutta e verdura. Adesso c'è un cambiamento verso orti di verdura. Nel parco uno degli obiettivi era questo, volevamo l'orto, e per questo avevamo delimitato un piccolo pezzo del giardino di fronte al parco giochi, avevo

360 comprato io a monastiraki la rete per delimitarlo. All'epoca io partecipavo ad un gruppo di cucina sociale che si chiamava "Cucina del mercoledì", è in quel momento che abbiamo incominciato, ero nella prima squadra e ci sono rimasta per un anno e mezzo. Allora ho pensato dato che ero anche nel parco, di fare un piccolo orto per le cucine sociali perchè oltre alla nostra c'era la cucina sociale a Skaramagka e quella di Elichef, quella dello steki dei migranti. Erano tre e sarebbe stata l'occasione per unirci e collaborare. Abbiamo quindi delimitato una piccola zona del parco e l'abbiamo sistemata, abbiamo piantato i semi ma poi solo Iasonas un ragazzo di Skaramagka se ne era occupato un po' e poi nessun altro in maniera particolare, così alla fine questa collaborazione tra le cucine è andata distrutta. Ci siamo messi d'accordo per una festa e abbiamo cucinato un paio di volte insieme ma poi ci siamo divise e ognuna ha fatto il proprio lavoro. Credevo che questa cosa sarebbe piaciuta al quartiere e avrebbero partecipato nel piantare verdure o curare l'orto. Ma non siamo riusciti a raggiungere lo scopo. Forse non l'abbiamo pubblicizzato come dovevamo. Non ci sono neanche abbastanza persone intorno, il parco è in una posizione strana di fronte ci sono solo uffici, non ci sono molte abitazioni intorno e anche qua a Exarchia non ce ne sono molte, infatti ci sono tantissimi uffici su più piani, molti appartamenti vuoti, forse non esiste più la comunità. E purtroppo credo che un grosso problema sia che molte persone che nelle occasioni di festa venivano al parco, venivano come spettatori, cioè chiedevano cosa facevamo e se gli interessava rimanevano. Facevamo dei bellissimi eventi per bambini, si radunavano cinquanta bambini con altri centocinquanta adulti e genitori e il parco diventava pieno di vita e di tutti questi solo due genitori si sono interessati un po' per il parco, nessun altro, gli altri venivano come se andassero ad un evento qualsiasi, facevano bei commenti e poi ciao. Non si interessavano anche se era il loro quartiere, né venivano a pulire o innaffiare o tagliare le piante. E questo è uno dei problemi.

Anna: ed è rimasto così alla fine?

Elli: è rimasto così, ma dall'altro lato c'erano sempre persone alle assemblee che venivano spesso al parco e che dicevano giustamente che siamo noi il parco, noi siamo qui tutti i giorni trecentosessantacinque giorni l'anno. E allora nessuno poteva controbattere. La cosa incredibile era che durante tutta l’assemblea stavamo tutti al Glimaz (kafeneio di via Navarinou, vicino al parco, ndr) e vedevamo il parco pieno di tutte queste persone che non ci piacciono perchè sporcano, fumano e così via. E noi tutti che siamo seduti al Gilmaz a bere una birra. Esiste quindi un problema.

Anna: ma era così sin dall'inizio?

Elli: Guarda all'inizio era migliore l'atmosfera ed era più selettivo l'ambiente, c'era molta gente e anche noi stavamo di più. Dal momento in cui però le persone che frequentavano il parco sono diventate di un altro genere non avevamo molta voglia di andare e pian piano abbiamo cominciato ad andarci più raramente.

Anna: è un peccato però. Io che sono arrivata adesso ho trovato molto strano che ci fosse una assemblea che non si trovasse al parco ma altrove…

361 Elli: è un grande problema, io personalmente ritenevo questa storia molto importante perchè credevo che potesse dare un luogo in cui ritrovarci, una bella presenza, un punto di appoggio per ritrovarci e chiacchierare.Ma sembrava che la gente preferisse altro, non so che logica abbiano.

Anna: vorrei sapere più cose su Exarchia. Vorrei capire come è cambiato il quartiere.

Elli: quello che posso dirti è che quando io sono tornata a Exarchia, dato che non ho sempre vissuto qui, nel 2000, ero così felice, tutto sembrava positivo e ho pensato che se doveva cambiare qualcosa in questo paese solo ad Exarchia poteva succedere. Vedevi che succedevano tante cose tutte intorno, esperimenti, mercatini, si realizzavano progetti interessanti e vitali: movimenti tra gli abitanti, assemblee su varie tematiche. All'epoca per esempio abbiamo ci siamo organizzati per migliorare la linea in modo che tutti usassero i cellulari, vedevi un quartiere molto vivo, aperto, amichevole, sicuro in cui potevi girare ventiquattro ore su ventiquattro, c'era tutt'altra atmosfera.

Anna: E come mai era così?

Elli: La zona di Exarchia è sempre stata così per tradizione, perchè è sempre stata una zona universitaria, c'erano sempre ragazzi giovani perchè c'era il Politecnico e l'università, c'erano tutti i tipi di facoltà all'epoca, giurisprudenza, filosofia, chimica. Adesso sono rimaste poche facoltà. Prima erano tutte qua, anche ingegneria, geologia tutte. C'era anche l'accademia di belle arti. In un secondo momento sono state costruite altre sedi universitarie e c'è stato uno smistamento. Prima tutte le facoltà di Atene erano raggruppate al Politecnico. Perciò anche quando ero io bambina negli anni '60 c'erano molte case che affittavano stanze economiche per gli studenti che venivano da fuori e che abitavano qui per studiare all'Università di Atene. Quindi questa era una zona piena di giovani interessati alla politica anche per la questione della dittatura militare e del Politecnico all'epoca. Quindi è sempre stata una zona con una certa tradizione alle spalle. Anche quelli che facevano economia a Solonos ed erano vicini. Poi c'erano le librerie, molte persone venivano per tutte queste cose a Exarchia, c'erano dei caffè e dei punti di incontro per giovani e persone di sinistra. Poi da tradizione ci sono gli anarchici, dagli anni '80 soprattutto, periodo in cui hanno incominciato a farsi sentire, hanno sempre avuto qui i loro punti di incontro anche in piazza. Qui accadevano cose che non accadevano altrove. Anche all'epoca con il PASOK, e in epoche come quelle, in cui c'erano problemi con la polizia, le occupazioni delle università tutti i combattimenti avvenivano ad Exarchia. Non c'è paragone con quello che sta avvenendo adesso, adesso tutte queste cose che non sai perchè avvengono, sembrano non avere un obbiettivo o una ragione, c'erano lotte di altro tipo prima. All'epoca Exarchia aveva tutto questo background.. forse c’era qualche concezione sbagliata, ma le persone sentivano che non c'erano così tanti problemi, i soldi c'erano e le persone non avevano così tanti problemi come noi oggi. Per tutte queste cose Exarchia era un luogo in cui succedevano cose interessanti, è passata un po' l’avanguardia di tutta la Grecia qui. Quindi credevo che la vera rivoluzione in Grecia sarebbe partita da qui.

Anna: lo credi ancora oggi?

362 Elli: no, lo credevo all'epoca, adesso non più. Adesso sento che è arrivata un po' la loro fine. Ce l'hanno fatta quelli che hanno il potere di diffondersi in larga scala, all'epoca c'era il problema con l'eroina, anche nel 2000 quando sono tornata a vivere qui l' hanno sostenuto apposta, è anche per questo che un tempo mettevano i volantini con scritto che i poliziotti vendono l'eroina. I giri di potere hanno sempre infastidito Exarchia.

Anna: e quando è incominciato a cambiare? Perchè anche dopo dicembre 2008 era un luogo molto vitale

Elli: si lo era,avevamo incominciato però ad avere..perchè quel “fenomeno Mesologiou” c'era anche prima di dicembre cioè lì nella Mesologiou dove c'erano tante persone, alcune anarchiche, altri hooligans e causavano problemi anche prima del dicembre. Solo che questo genere di giovani con l'atmosfera che dopo il dicembre era diventata ancora più rivoluzionaria, sono ulteriormente aumentati. Le persone che fanno solo disordine, "i casinisti" questo genere si è diffuso a Exarchia dopo il dicembre, ha trovato il terreno giusto per diffondersi. Tutti questi episodi succedevano a causa della crisi, per i figli dei migranti o le seconde generazioni di migranti che a livello di lavoro non potevano fare quasi niente e hanno trovato una via di uscita in questa cosa. Si sono incominciate a formare delle piccole mafie, gli albanesi, i georgiani e incominciano a giocare un gioco che non conosco bene.

Anna: ma perchè qui? Perchè non c'è la polizia? Perchè è più facile?

Elli: io credo siano qui perchè come dicevo è sempre stato uno dei luoghi più vivi di Atene e che si distingueva fino ad un certo momento, c'è sempre stato spazio per i migranti, sazio per gli anarchici, ci sono le occupazioni, erano riuniti molti luoghi di opposizione, che adesso pian piano stanno diminuendo e si stanno indebolendo. Ma credo sia questo il motivo.

Anna: un grande cambiamento che ho visto io credo sia influenzato anche dal movimento a piazza Sintagma, mentre prima era questo il luogo , dopo questo movimento si è un po' spezzato.. si è rivolto all'interno dei quartieri. Le persone si sono spostate dal centro.

Elli: tu avevi contatto quindi con altri quartieri?

Anna: si, ho delle amiche che abitano a Petralona e non era così il quartiere prima di dicembre, almeno io non me lo ricordo così.

Elli: si questo è stato un grande cambiamento, leggo su internet e vedo tutte le cose che succedono a Pakrati, Kaisariani, Zografou hanno un gruppo di cucina sociale ogni giorno per esempio. A Filopapou (collina che sovrasta il quartiere di Petralona, ndr) c'era già la assemblea tra gli abitanti del quartiere quando noi l'abbiamo proposto a Exarchia e il PIKPA, c'era anche a Nea Smirni. C'erano vari posti in cu si organizzavano cose. Viceversa qui a Exarchia dopo Syntagma le cose sono peggiorate. Infatti qui una assemblea popolare (dal mese di giugno, dopo gli attacchi al K*Vox è cominciata invece l’assemblea popolare di Exarchia che è molto partecipata da tutte le “categorie” di persone che frequentano il quartiere, ndr) non siamo mai riusciti ad

363 ottenerla, facevamo alcune piccole assemblee in piazza Syntagma ma non sono mai state niente di particolare nonostante alle spalle ci fossero iniziative che in qualche modo continuano.

Anna: magari perchè c'è molta politica in questo quartiere e quindi una assemblea tra cittadini può essere difficile.

Elli: si, anche questa è una delle nostre questioni che mi ha stancato molto, anche nelle iniziative dei cittadini; prima, fino al 2006 , c'erano un certo tipo di persone soprattutto di stampo anarchico e di sinistra, da un certo momento in poi, dal 2008 soprattutto, alcune persone di sinistra hanno cercato di prevalere e così molti anarchici se ne sono andati. Sono rimaste poche persone come Giorgos e me, gli altri per la maggior parte appoggiano SYRIZA e ANTARSYA purtroppo. Questa era una cosa che mi ha sempre fatto molto arrabbiare, c'era un periodo in cui dicevo che me ne sarei andata dall'iniziativa perchè non sopportavo più la situazione. Anche per la questione del parco c'erano sempre motivi politici che si intromettevano nelle decisioni e ci lamentavamo dato che era semplicemente un parco e non luogo politico. In certe occasioni il parco ha posto dei limiti invece di essere un posto aperto a tutti, io ho provato a renderlo aperto a tutti, ma purtroppo non siamo riusciti.

Anna: e come si fa a fare in modo che la gente non se ne vada?

Elli: la gente va via, e forse sta arrivando un altro genere di persone, non so però se è gente che vogliamo. Quelli che vanno via è gente che ci sta simpatica, brave persone che non sopportano più la situazione. E anche io, Anna, se devo dirti la verità se questo appartamento non fosse stato mio probabilmente me ne sarei andata, mi ha stancato il rumore e l'atmosfera di Exarchia. Anche Spyros che ama molto Exarchia che è rimasto qui per anni dice di volersene andare. Anche Thanasis che è qui a Exarchia da quindici anni dice che adesso se ne va a Neapoli, la figlia di Dekavala qui a fianco che è architetto è andata a Gizi, ho molti conoscenti, Panagiotis e sua moglie si sono trasferiti a Plaka. Vanno tutti via in altri quartieri. Una mia amica è andata a Kipseli. La gente va via ma dato che si sono abbassati gli affitti potrebbe venire della gente nuova. Ci sono anche zone come la Mesologgiou dove nessuno vuole affittare, c'è tanto rumore, era un luogo dove la gente protestava, spaccava cose. Adesso si è tranquillizzata la situazione lì e si è spostata in piazza e anche lì non abiti facilmente al primo e al secondo piano. Lì al massimo c'è qualche ufficio. In via Benaki, dove hanno aperto dieci ouzeri non si può vivere a meno che tu non sia un'anziana sorda. È un peccato. Ci sono i negozi che chiudono, ieri per esempio ha chiuso un negozio aperto da venticinque anni si chiamava "Parastasi" all' angolo tra via Metaxas e via Themistokleous appena passata la piazza di Exarchia, un edificio arancione, è diventato un bar. Aprono solo bar, tutto il resto apre e chiude.

Anna: Credi che succeda solo qui questo?

Elli: qui sono senz’altro tanti perché vengono ad aprire bar e sanno che qui non verrà mai un poliziotto a chiedergli perché hanno la musica alta. Hanno il permesso di mettere tre tavolini e ne mettono ventitre e non viene nessuno a controllarli. Qui ci sono due negozi,

364 uno lo conosco molto bene, senza alcun permesso e due rakadika davanti al Vox. La nostra strada da Arachovi in su è stato dichiarato ufficialmente per norma di legge strada per soli residenti e tutti i bar che lavorano hanno dei permessi vecchi, di prima del '85 e non potrebbe aprire nessun bar o rakadiko e invece alcuni hanno aperto e lavorano. L'altro giorno quando sono venuti dei poliziotti a controllare per i tavolini nei bar e i permessi, loro hanno abbassato le saracinesche come se non lavorassero mentre altri raccolgono i tavolini che non possono mettere fuori. Prima volta dopo dieci anni sono venuti dei poliziotti a controllare che i locali fossero a norma. Per questo vengono tutti qui, mettono la musica che vogliono a che ora vogliono. Ero passata da uno che non aveva il permesso per il locale e gli ho chiesto a che ora chiude la sera e al suo perchè ho risposto che ieri c'era la musica di Xilouris fino le cinque del mattino, gli ho detto che lui magari al mattino dorme ma altre persone lavorano. Non è possibile che tieni al musica al massimo fino a che non se ne va proprio anche l’ultimo cliente! Adesso vendono appartamenti, quella che mi abita di fronte ha otto appartamenti ne hanno in affitto due e vogliono vendere tutto il condominio. È un problema. È tutto un gioco, Despina… che sai dove vive no?? (all’inizio di via Sturnari, ndr), potrebbe dirti di quelle cose!! Mi diceva che sa quando vengono le squadre della polizia perché vede tutte queste persone che se ne vanno. Quelli che vendono sigarette illegalmente, se ne vanno prima che arrivi la polizia, com'è possibile? Esiste un collegamento in tutto ciò. Chi vogliono arrestare lo arrestano, una volta sono scesi in Via Sturnara e hanno arrestato un ragazzo che era avvocato e sua madre ha un negozio.. solo lui hanno trovato da arrestare e questo solo perchè stava difendendo degli uomini di colore che vendevano borse per strada e lo hanno arrestato .. poi sono usciti per strada vari vicini e l'hanno rilasciato. Tutti quelli che vendono illegalmente le sigarette o quelli che li riforniscono invece li lasciano stare.

Anna: io credo che non sia solo questo, secondo me anche il cosidetto Movimento è cambiato molto, mi hanno detto che questo inverno quando è successa quella faccenda con la Villa Amalias si è fermato tutto e questo ha influenzato anche Exarchia. Non so bene, una forte repressione, credo! Quello che è evidente è che fino all'episodio della villa c'era qualcosa, dopo più niente.

Elli: si io penso questo, per esempio sono state arrestate tante persone e abbiamo raccolto soldi, ma io dicevo che se avessimo dovuto pagare ogni cauzione a così caro prezzo si sarebbe finiti come la lepre nel bosco, direttamente tra le fauci del lupo. Ci vuole un altro tipo di tattica. Se arrestassero una decina di persone per ogni gruppo antifascista e per ognuno di loro bisognasse pagare le cauzioni, dovremmo fare in continuazione feste per raccogliere soldi a sufficienza per pagare le cauzioni… non si risolvono così le cose. Solo feste per guadagnare soldi per il tale compagno che è stato arrestato. Questo non è intelligente. Credo che anche il loro ambiente non sia organizzato, ma credo anche che fosse basso il numero degli anarchici "per bene" all'interno di questo ambiente, anche nelle vie in cui vado ormai molto raramente vedi che ci sono persone serie e per bene e vedi anche ragazzi che non solo non hanno letto un libro sull'anarchia, forse non sanno neanche che esiste. Girano solo per divertirsi fare festa e ovviamente questo luogo risente di tutto ciò. Sono avvenute molte cose per le quali hanno accusato gli anarchici di gesti vari come la banca Marfin e altre storie del genere, sia che siano avvenuti per colpa loro, sia che siano avvenuti da provocatori che purtroppo entrano all'interno dei gruppi di anarchici. Come il casinista coglione che crede di essere anarchico e crea casini, questo

365 genere l'abbiamo vissuto anche al parco, ragazzi che rompono i giochi dei bambini e che vogliono fare quello che vogliono, siamo a questi livelli.

Anna: Ci sono cose altre cose però, Zikos è una cosa bella, a me piace. Mi sembra molto nuovo.

Elli: è qualcosa di positivo, anche io vado alle assemblee di Zikos perchè credo abbia un futuro, credo possa uscirne qualcosa di interessante. Vedremo. Per quanto riguarda l’ambulatorio popolare, speriamo vada bene.

Anna: ma hanno già incominciato?

Elli: dovrebbe aprire a settembre, lo spazio è pronto.

Anna: e dove sarà attivato questo studio medico? ci sono dei medici?

Elli: Molto pochi, a differenza di quello che ha istituito SYRIZA che ha fatto in piazza Kanigos. Non ci sono andata ma mi hanno detto che copre molti settori di medicina, e per questo esiste sempre una certa lotta e antagonismo tra cosa fa SYRIZA e cosa facciamo noi.

Anna: si ma anche PIKPA a Petralona lavora bene.

Elli: anche l'altro lavora bene, quello a Elliniko, hanno fatto un lavoro molto serio i dottori lavorano molte ore, è molto ben organizzato mi hanno detto. A questo ha collaborato anche il comune anche se all'inizio lo studio era autogestito, il comune essendo di sinistra aiuta, gli pagano l'elettricità e altre spese. Io non sono contraria a queste cose, ci sono qui persone che vogliono strappare tutta la propaganda per lo studio medico. Io non capisco il perchè dato che c'è necessità di queste cose, ma esiste tutta una rivalità.

Anna: io ho una cara amica che è nella assemblea dei migranti dell’ASOEE che mi dice che non ha mai votato ma ho parlato con i ragazzi lì e dicono che sono d'accordo ad avere SYRIZA al governo perchè non sopportano più la situazione con gli immigrati e di avere la destra al potere.

Elli: Certo è vero però si pensa anche che SYRIZA ci deluderà tutti molto, sai non ho delle prove per garantire che farà qualcosa di buono, nonostante esistano singolarmente degli uomini con dei valori. Ho paura però che con il grado di azione che ha raggiunto improvvisamente, ci siano tante persone che hanno abbandonato PASOK in favore di SYRIZA però mantengono la stessa logica che avevano all'interno del precedente partito: di stare bene, mangiare bere,fare i loro lavori e dato che adesso non lo possono fare con PASOK lo fanno con SYRIZA. Credo sfortunatamente che siano quel genere di persone che "vogliono stare comode". Ci sono però persone molto oneste, ho però paura che vada a finire un po' come PASOK. Non so se Tsipras o qualcun altro riuscirà a sostenere questa cosa, credo che faranno gli stessi errori che hanno fatto un tempo. Io non ho mai votato PASOK però mi ricordo che in molti erano contenti e positivi per il partito ma poi la delusione è stata tanta. Non è rimasto niente di tutto quello che dicevano, dicevano

366 meritocrazia e poi non è successo niente. E adesso hai questa sensazione, persone che ti promettono cose come SYRIZA e poi sai che non sono davvero onesti. Ci sono persone che non hanno mai votato SYRIZA e provano per vedere se qualcosa magari cambia per il meglio. Come alcuni miei zii di Creta che non sanno che votare ormai e votano SYRIZA. Ci sono anche persone che votato onestamente perchè ci credono senza un tornaconto personale.

Anna: qui ci sono persone di Alba Dorata?

Elli: Io non ci ho mai fatto caso, solo un ragazzo di un negozio di cibi ecologici in via Metaxa in cui faccio la spesa che è afgano che se n’è andato adesso, in Svezia mi pare. Mi ha raccontato che erano passati un paio di volte dei ragazzi che facevano qualche sceneggiata con le moto, però che Alba Dorata sia apparsa qua io non l’ho mai sentito dire. Anche adesso che hanno detto che forse i fascisti o i razzisti… io non credo sia successo qualcosa del genere, qualcuno deve aver inviato una mail che lo diceva, ma alla fine probabilmente si trattava dei ragazzi come quelli che ci sono qui che si drogano. Anche qua fuori una notte mi sono svegliata alle tre del mattino a causa delle urla e alla fin fine erano degli albanesi che facevano pesantemente a botte e uno era ridotto male era pieno di sangue ma nessuno è voluto intervenire perchè avevano paura che avessero delle armi. Poi questo ragazzo si è diretto verso la piazza ed è venuto un'ambulanza a prenderlo e quei ragazzi gli avevano preso tutti i documenti e gli avevano dato fuoco qui davanti. Capitano tante cose del genere.

Anna: ma capitano solo qui o anche altrove?

Elli: anche altrove credo, non so... In Italia come sono le cose?

Anna: manco da molto, quindi non so esattamente come sia la situazione, è brutta e senza grande reazione da parte delle persone, sono tutti tranquilli. È difficile perchè l'unica cosa che è successa dopo tanto tempo è quella di Grillo e io mi sono spaventata molto perchè non è una bella situazione ed è un modo stupido di reagire.

Elli: Da un lato vedi un popolo a livello di quello italiano con intelligenza e cultura che vota Berlusconi da tanti anni e non si può spiegare.

Anna: e questo centra, perchè se stanno tutti a casa a guardare la televisione la situazione non può essere che così. Io spero che vengano i tedeschi a comprare il Colosseo perchè è l'unico modo per risolvere la situazione.

Elli: lo stesso dicevo io per l'Acropoli.

Anna: è difficile però. Non la vedo una cosa facile. Ogni giorno leggo il giornale su internet e ogni giorno c'è qualcuno che ha ucciso qualcun'altro, il marito che uccide moglie e figli, cose senza senso. Le persone impazziscono e fanno cose stupide.

Elli: Voi avevate sempre molti furti vero? In periodi in cui qua non dicevano niente, io mi ricordo quand'ero piccola dicevano che in Italia c'erano casini . Ho anche un'esperienza

367 personale; quando tornavo in macchina da Parigi, me l'hanno rotta a Salerno e mi hanno rubato la borsa alle sette di sera in pieno centro.

Anna: io quando sono venuta ad Atene l'ho trovata una città molto sicura, grande, strana ma molto sicura. E secondo me lo è tutt'ora.

Elli: è meglio di altre ma non è poi così sicura.

Anna: Milano, ad esempio è una cosa incredibile. Adesso che ero in Italia sono stata a Milano e Torino e una notte a Milano con il mio ragazzo siamo andati per una birra e avevo paura tornando a casa.

Elli: io credo sia la cosa peggiore vivere con la paura. È la cosa peggiore per qualsiasi persona. Non essere libero di girare o di pensare. Qua le cose però sono cambiate, i primi anni in cui giravo per il parco quattro anni fa stavamo lì fino le tre e quattro del mattino senza problemi. Adesso però mi capita di rimanere fino a tardi ma penso sempre che strada fare perchè hanno derubato anche persone che conosco e non tardi, a mezzanotte l'una. E se senti intorno persone che conosci a cui capitano queste cose ovviamente ti influenzano. Quando è tardi evito i marciapiedi e cammino in mezzo alla strada. Penso a cose alle quali non pensavo fino a qualche anno fa. E dato che Exarchia è molto frequentata come zona ti senti più sicura, ci sono persone fino a tardi. Anni fa mi ricordo che in via Pireos mi capitava la sera di andare per qualche manifestazione e di tornare da sola o con una mia amica ma non lo faccio tranquillamente, se è l'una di notte prendo un taxi, non faccio tutta la Pireos fino ad Omonia a piedi.

Anna: una sera con una mia amica abbiamo detto di andare a piedi alle nove di sera da Omonia a Gazi, Metaxourgio, per via Pireos. Ad un certo punto abbiamo deciso di prendere il pullman perchè si vedevano cose brutte intorno, niente di inconcepibile ma non ci sentivamo tranquille a camminare da sole.

Elli: a me è capitato anche a mezzogiorno sulla via Evripidou di dover andare a comprare una cosa e alle quattro del pomeriggio. C'era una compagnia che mi guardava in modo strano, un po' più avanti altre due tre persone che mi guardavano come se si aspettassero qualcosa. Ho deciso di tornare a casa e passare un altro giorno al mattino con tutti i negozi aperti, non mi sentivo sicura, avevo l'ansia. E così continua la vita e ci si chiude nelle case. Questa è una grande differenza ad Exarchia. In certi momenti senti una certa solitudine e desolazione, capisci che tutti sono rinchiusi in casa, anche d'inverno.

Anna: mi hanno detto che questo inverno è stato più difficile dello scorso.

Elli: si, adesso stanno seduti davanti la televisione, non riesco a capire. Sei stata alla ERT negli ultimi giorni?

Anna: si , questi giorni no, prima.

Elli: ieri c'era un concerto con Papakostantinou, Malamas e vari artisti.

368 Anna: sta continuando lì vero?

Elli: così sembra

Anna: io l'ultima volta che sono andata c'era una grandi discussione fuori nella assemblea all'aperto per andare all'interno dell'edificio.

Elli: ci sono tutti i giorni le assemblee?

Anna: non lo so, in questo periodo si ogni giorno, c'erano molte persone fuori e dopo sono entrate, era la prima volta che entravano nell'edificio per l’assemblea.

Elli: era interessante? Hai seguito due o tre assemblee?

Anna: guarda due o tre cose erano strane, è stato positivo che molta gente abbia avanzato proposte, la voce della gente eccetera. Poi ad un certo punto c'era questa ragazza, hanno detto che volevano dieci persone del pubblico che venissero a parlare della assemblea, non di più perchè non ci sarebbero stati tutti. Quando eravamo giù abbiamo detto che avremmo raccolto i fogliettini con i nomi di tutti quelli che volevano partecipare e i primi dieci sarebbero andati. Ma una ragazza ha detto che siccome era la moderatrice e aveva avuto lei questa idea sarebbe dovuta andare per prima. Alla fine le hanno detto di no e lei si è arrabbiata. In Italia però non si farebbe una assemblea così aperta a tutti. Credo anche che se chiudesse mai la Rai, semplicemente la chiuderebbero senza lamentele o rivolte da parte di giornalisti o lavoratori che lavoravano dentro al canale o no.

Elli: Anche alla ERT da un lato scrivono cose positive sul canale ma dall'altro lato ci sono tante persone sui blog che la screditano e la insultano. Non solo per la ERT ma anche per la Olimpiaki per cui ho lavorato per anni, ci sono persone che si lamentavano di cose che effettivamente c'erano, le conoscevamo anche noi che ci lavoravamo. Il problema è che la responsabilità non è di noi dipendenti ma dell'amministrazione che fanno i loro giochetti. La Olimpiaki l'hanno distrutta i sindacalisti e i direttori che erano persone subdole con i loro partiti e hanno distrutto la compagnia. Nonostante ciò esisteva una percentuale di lavoratori che si impegnavano in quello che facevano. Lo stesso è successo con la ERT. E i sentimenti delle persone sono un po' ambivalenti. Anche io che non ho la televisione perchè ritengo sia un mezzo limitato guardando sia su internet che sulle televisioni di mia mamma o di mia sorella c'erano delle cose che mi interessavano sul canale ERT. Se c'erano delle cose interessanti in televisione erano su ERT. Da un lato la usavano per far passare le idee politiche, la tele non è mai stata così oggettiva come sarebbero dovuti essere i canali televisivi. E la paghiamo oro. Non è accettabile. Tutte queste cose ti fanno dire di non volere la ERT com'era, vorrei fosse diversa, mi spiace che la paghino quelle povere persone, che poi tanto povere non sono, sarebbero dovuti andare a quel paese da anni. È un'altra questione questa.

Anna: Quella sera la assemblea credo sia avvenuta a causa di una presentatrice televisiva, Elli Stai e tutti dicevano che bisogna smettere di mandarla in onda.

369 Elli: Eh, ma sì scusa! Deve fare la trasmissione Elli Stai che si è comprata mezza Grecia, non ho capito!! Proprio questo intendevo dire…

Anna: Adesso vedevo che hanno dato in televisione il documentario degli Iliospori (collettivo che si occupa di tematiche ambientali e di autogestione legata alla terra che ha da sempre un forte legame con il parco Navarnou, ndr). Trasmettono cose molto più interessanti. Se continua così sarà sicuramente un’esperienza interessante.

Elli: tu la vedi su internet, no? Su che sito la prend’?

Anna: Non mi ricordo… mi pare doctv.gr. Ma adesso c'è ancora l'occupazione? E cosa sta succedendo lì dentro?

Elli: non lo so, aspetteranno che muoia Sakkas, per sgomberarli (Kostas Sakkas è un anarchico che, accusato di terrorismo, è stato tenuto in stato d’arresto per diversi anni senza processo. All’epoca dell’intervista era in sciopero della fame da quasi un mese. I giornalisti indipendenti della ERT si erano occupati molto di questa situazione, ndr)…non lo so proprio. Tu cos'hai sentito, lo lasceranno Sakkas?

Anna: non lo so, io ho molta paura di questa cosa. Non so cosa succedera. Ho tantissima paura. Da un lato… non so, non ho parole per una cosa del genere: che muoia una persona così senza motivo senza… e nessuno dice niente! Ho parlato qualche giorno fa con una mia amica, e lei dice che… è molto contraria alla pratica dello sciopero della fame, diche che è un modo stupido di agire.

Elli: ma quando sei rinchiuso quale altro modo hai di reagire?

Anna: è quello che ho detto anche io, non hai un'altro modo. Un'altra cosa a cui penso è che non ho mai sentito in Grecia che una persona in prigione morisse così.

Elli: per lo sciopero della fame?

Anna: non solo per lo sciopero della fame, ma senza che nessuno facesse niente, che lo lasciassero morire in prigione. Perchè in Italia succede che uccidano persone in galera, e li lasciano morire senza grande prosopopea. C'è una grande associazione delle famiglie i cui parenti sono stati uccisi dai poliziotti o sono morti in prigione. Succede spesso, è un grande scandalo. Qui non c'è mai stato niente del genere credo.

Elli: si, cosa posso dire…

Anna: Alcune persone di SYRIZA mi hanno detto “Ah, tranquilla, lo lasceranno!”

Elli: Eh, ne sapranno qualcosa…comunque in questo caso hanno preso questa posizione sin dall'inizio. SYRIZA in questa situazione con Sakkas ha fatto molte comunicazioni, credo che facciano cose per Sakkas. Non lo lasciano perdere.

Anna: certo non so se lui vuole troppo avere SYRIZA intorno.

370

Elli: si, però so tramite dei miei conoscenti che nei casi di anarchici andati in tribunale erano sempre quelli di SYRIZA ad aiutare. Le testimonianze di quelli di SYRIZA sono sempre tenute da conto. Che vogliano o non vogliano, ma dato che li chiamano a testimoniare vuol dire che vogliono. Se vai in tribunale a vedere le liste dei testimoni più della metà sono di SYRIZA in tutti i casi di anarchici. Sono più conosciuti forse e li prendono più seriamente. Inoltre non ci sono molte persone disposte a testimoniare, molti anarchici che lo farebbero. Quelli di destra non ci andrebbero mai, quelli di Pasok non li vogliono neanche e quindi vanno quelli di SYRIZA. Comunque, Annetta mia…se ti viene in mente qualcos’altro da chiedermi… adesso o in futuro, sarò molto felice di aiutarti!

Anna: Ti ringrazio moltissimo! Ci sentiamo presto, quando torno da Paros tra una decina di giorni…

371 Intervista n° 4, Salomi Chatzivasileiou

25 luglio 2013, ore 16.30

Incontro Salomi Chatsivalileiou nel suo appartamento in via Ippokratous. Ci siamo date appuntamento lì telefonicamente, dopo che Kostas Vasiropoulos mi ha dato il suo contatto. È una signora sulla sessantina, mi accoglie con dei vestiti freschi e un po’ trasandati, da casa. Il pomeriggio è terribilmente caldo. A casa c’è suo marito e un ospite che parlano in soggiorno. Mi fa accomodare nel suo studio di architetto, che si divide dal soggiorno con una sorta di divisorio scorrevole. La casa è vissuta, piena di oggetti, e molto piacevole.

Salomi: Allora, io sono venuta ad abitare qui, in questo appartamento che si trova in via Ippokratous 161 A e Vatatzi negli anni ottanta, nel 1980. Questo è un palazzo del periodo del primo dopoguerra che è stato costruito nel 1934. Al pianoterra ci sono negozi e poi ci sono tre piani di residenze. Ad ogni piano ci sono due appartamenti, approssimativamente di 61 mq ognuno. Quando io sono venuta qui, era... meglio dire questa casa me l’ha trovata una signora che abita accanto e che era... è la madre di un amico... e poiché io cercavo una casa, ci ha detto che questa qui si affittava. Era il periodo in cui gli abitanti di Exarchia abbandonavano le loro case e andavano ad abitare nei quartieri della parte nord di Atene perché qui da una parte trafficava la droga e dall’altra... eh... perché andava di moda... andare ad abitare verso i quartieri settentrionali. In quel periodo, il valore degli appartamenti del centro... era molto più basso, rispetto a quello degli appartamenti dei quartieri settentrionali.

Anna: E ci credo!

Salomi: Non lo so. Non te lo posso dire di sicuro perché non ho fatto qualche ricerca. Ne potresti avere conferma chiedendo in qualche agenzia immobiliare...

Anna: Bene.

Salomi: ... o puoi confrontare i prezzi. Allora i prezzi erano molto più bassi, immagina che si poteva comprare una casa neoclassica nella zona di Exarchia allo stesso prezzo di un appartamento ad Agia Paraskevi. Così, coloro che erano coscienti della situazione e volevano vivere nel centro, nel caso in cui avevano i soldi...

Anna: Hanno comprato...

Salomi: ... hanno comprato una casa qui. Quindi, alcuni miei colleghi, anzi molti, hanno qui le loro case, mentre altri se ne sono andati e abitano nella parte settentrionale di Atene. Questo, ha avuto molte conseguenze negative, soprattutto riguardanti la qualità dei negozi. C’erano negozi dove fino all’ ’80 si vendeva - piuttosto fino all’ 85...si vendevano formaggi buoni, c’erano negozi in cui si poteva comprare dei formaggini, dei salamini, insomma prodotti di ottima qualità...

Anna: Sì, sì.

372

Salomi:... cioè...

Anna: Prodotti tradizionali.

Salomi: Esatto, e ora hanno chiuso. E se ne sono andati e così man mano la zona ha cominciato a essere priva di molte... di quelle caratteristiche del passato, diciamo. Certo, Exarchia è una zona dove molti gruppi lottano per rivendicarla. Ogni tanto, un gruppo cerca di prevaricare un altro e questo è un gioco cominciato almeno nell’ ’80, anno in cui ho cominciato a vivere qui, fino ad oggi; questo non è cambiato. Quello che è cambiato, è il fatto che i giocatori di questo gioco sono ben altri. Negli ultimi anni ci sono fenomeni che non c’erano nel passato, cioè...

Anna: Quando dici non c’erano...

Salomi: ... gruppi appartenenti all’estrema destra, per esempio Alba Dorata. ...per esempio, no? Ultimamente un migrante è stato attaccato; là, vicino al parco di Via Navarinou, non da molto, dev’essere da circa un mese.

Anna: Sì, mi ricordo…

Salomi: Ed è stato picchiato, i vicini sono usciti fuori, gridavano e quelli di Alba Dorata gli hanno detto di non gridare così, che le ragioni per l’attacco erano che quella persona vendeva sostanze stupefacenti. C’e quindi un casino tra i gruppi del traffico di droga, una gran parte del quale si verifica in Via Themistokleous… hai capito? e che di sera si fanno conflitti appunto per questo motivo… cioè, quale gruppo, fra questi trafficanti di droga, predomina. Prima, tutto questo, non succedeva. C’era un certo traffico sempre, ma...

Anna: Oggi, negli ultimi tempi, cosa vuoi dire, esattamente?

Salomi: Eh, dopo il... almeno per me, è diventato così ovvio, dopo il 2010.

Anna: Ah, o.k. Molto recentemente.

Salomi: Molto recentemente, sì, l’immagine della zona è cambiata molto recentemente. Però bada, in tutti questi ultimi anni si è cercato tanto di... fare in modo che lo status predominante del tipo residenza nella zona di Exarchia cambiasse. Il primo tentativo è stato quello della riqualificazione della zona; c’erano… sono stati proposti vari studi sulla riqualificazione del centro di Atene, prima per quanto riguarda Plaka, dove si è stati costretti ad abbandonare tutti i negozi e quindi la situazione è cambiata, Plaka ha oggi un altro aspetto... Poi si è passati alla zona di Psiri... e subito dopo sono stati proposti vari studi su come riqualificare il centro di Atene, Piazza Omonia, piazza Vathi, Metaxourgheio, le zone di Aghios Pavlos, di Aghios Panteleimon, Ilissia, Neapoli qua vicino e, la zona di Exarchia inclusa. Si pensava che così, molta gente si spostasse, venendo ad abitare in quelle zone... Con una somma di denaro…

373

Anna: Gentrification.

Salomi: Gentrification, esatto. Riqualificazione allora. Sì. Allora si cercava di mettere in atto questa “gentrification”. Come dappertutto, la “gentrification” presenta le stesse caratteristiche... che vadano via i poveri, che vengano i ricchi, questo. Non si è realizzato a Exarchia e a Exarchia non può passare. E non può passare perché ogni generazione che viene qua, bada che la casa che lascerà, vada nelle mani di qualche persona a lui vicina. Be’, e così i proprietari delle case cambiano appunto in questo modo e di conseguenza un conoscente di un abitante di Exarchia appartiene allo stesso gruppo per quanto riguarda la mentalità o la classe sociale... conseguentemente il carattere della zona rimane inalterato. Questo da un lato; d’altra parte, quale famiglia con due bambini verrebbe ad abitare a Exarchia, diciamo. Non lo farà, e non lo farà perché non c’è spazio. I balconcini sono delle dimensioni di un metro circa, le strade sono strette...

Anna: Non ci sono...

Salomi: …parchi giochi, ecco.

Anna: E’ vero, non ci sono.

Salomi: ...mancanza di verde e così via. Quindi, non è conveniente per una famiglia piccolo borghese venire ad abitare qua. Il che rende impossibile realizzare ciò che è stato progettato. (Il telefono che squilla, Salomi risponde e parla per un po’, ndr ) Quindi, tutto quel progetto è rimasto sulla carta, tutto lo studio sulla riqualificazione di Exarchia. L’ inverno scorso l’ho cercato perché anche noi alla Facoltà Politecnica avevamo proposto una ricerca su Exarchia, appunto dello stesso argomento della tua... e allora non l’ho trovato, quello studio, è scomparso.

Anna: Kostas mi ha detto..

Salomi: Sì, è scomparso; c’ è la corrispondenza in cui si vede che lo stavo cercando; non l’ho trovato.

Anna: Non c’ è.

Salomi: Non l’ho trovato. L’asse principale della proposta di quello studio sulla riqualificazione che aveva progettato Kydoniatis Linos, che per un certo periodo è stato anche vice sindaco di Atene, verso l’inizio degli anni ’90... periodo in cui è stato progettato lo studio di cui parliamo, perchè lo conoscevo e avevo parlato con lui di questo argomento qui, era il seguente: si cercava di unificare alcune funzioni, cioè che una certa pedonalizzazione cominciasse dal posto dove si trova il Museo Archeologico...

Anna: Sì...

374

Salomi: ... che passasse per il Politecnico, che unisse cioè il Museo d’Arte Bellica, voglio dire il Museo Archeologico al Politecnico...

Anna: Sì...

Salomi: ... Piazza di Exarchia - Collina di Strefi e Licabetto. Questo era il progetto. Ad esempio, via Dervenion è una tra quelle aree pedonali interessate dalla riqualificazione, quello studio sul rinnovamento della zona; non si chiamava riqualificazione, rinnovamento era il termine usato negli studi di allora. E questo è un termine proposto da quello studio. Come capisci non è stato realizzato niente, come al solito in Grecia, dove non viene realizzato nessuno studio; di tanto in tanto vengono realizzate alcune proposte, dico di tanto in tanto, certi punti di qualche proposta e non interamente; così, si può averne alla fine alcune parti... solo questo e niente di più. Ecco che cosa è successo; io, nella mia ricerca dell’inverno scorso allo scopo di trovare... vedo se ce l’ho in questo computer qua, quando cercavo delle informazioni su Exarchia e ho scattato alcune fotografie allo scopo di farle vedere agli studenti... ecco, è qui... allora, che cos’ho trovato: prima di tutto, aspetta un po’, cominciamo per questo qui, questa è la cartina. di Exarchia al quale... aspetta un po’, vediamo che cosa abbiamo... bene, lo stesso, questo qua l’ho trovato su internet; “Exarchia, una storia d’amore e di lotta”.

Anna: E’ un libro questo?

Salomi: L’ho trovato su internet.

Anna: Ah, bene.

Salomi: Te lo posso dare...

Anna: Molto bene.

Salomi: ... Ti posso dare questi dati. Asimos stava qui... Ho conosciuto Asimos, anche lui abitava qui, in una casa in un seminterrato, te la farò vedere la casa in cui abitava prima, dove c’era tutto un andirivieni di diverse persone; e poi lo incontravamo molto spesso perché lui vendeva diversi oggetti facendo dei giri per le taverne e per i bar qui intorno, be’, era una persona con cui facevamo compagnia diciamo. Ecco, ci sono dei dati... qui, ecco, questo l’ho trovato durante la mia ricerca, te lo darò tutto... Negli anni ottanta c’erano moltissime occupazioni nella zona, contrariamente ad oggi.

Anna: Oggi, perché non ci sono?

Salomi: Non ci sono. E questo è terribile perché oggigiorno, in un periodo in cui il problema dell’alloggio è tanto grave, è assurdo che non...

Anna: ... ci siano…

375 Salomi: ... che non ci siano occupazioni.

Anna: Appunto.

Salomi: Voglio dire, per quale motivo la gente deve alloggiare per strada, mentre nello stesso tempo ci sono tante case vuote, non capisco la ragione per l’esistenza di questo fenomeno, diciamo. Però non si fa delle mobilitazioni contro questo fenomeno. Diversamente da allora, dal periodo degli anni ’80 in cui le occupazioni erano tante... e si può dire che molte di quelle durano fino ad oggi.

Anna: Sì...

Salomi: ...ad esempio , ecco: dal FΕΚ (Gazzetta ufficiale della Repubblica Greca, ndr) dell’’88, “sul progetto urbanistico di Atene fino al ’94 e il problema del consolidamento dei siti archeologici previsto per tutta Atene, la protezione e promozione del carattere storico della città, come anche l’aggiornamento tanto del centro, quanto di tutta l’area urbana…” Lo sai tutto questo, ce l’hai? Qui ho raccolto diversi dati, ecco, ecco gli studi... quelli che sono stati proposti, gli interventi riguardanti proposte di riqualificazione sono state fatte per i seguenti quartieri: Plaka, Vecchio Centro Commerciale, Thisseio, Mets, Triangolo Commerciale, Zona di Psiri, Metaxourgheio, Via Peiraios, Koundouriotika, Attiko Alsos. In più, contemporaneamente agli studi sopra elencati, vengono implementati quattro interventi fondamentali... del progetto urbanistico di Atene, vedi, tutto questo presenta un certo interesse, cioè che cosa si pensa... che cosa si pensava di fare in quel periodo... Ad esempio, per Exarchia, con decreto presidenziale sono stati stabiliti degli usi speciali, concernenti soprattutto la residenza in generale e la riduzione riguardante l’altezza degli edifici. Duecento edifici sono stati dichiarati da conservarsi. Una certa parte della rete stradale è stata dichiarata come strade pedonali. E’ quello di cui ti parlavo, di via Dervenion eccetera.

Anna: Sì, sì...

Salomi: Con decreti ministeriali sono stati ampliati i limiti del centro storico nelle zone di Strefi e di Neapoli. Questi sono i dati principali dello studio di allora.

Anna: ok...

Salomi: Hai visto, ecco le caratteristiche dello studio proposto, ed è stato determinato che lo status degli edifici da conservarsi restasse inalterato, in quali FEK sono stati dichiarati edifici da conservarsi... e puoi trovare questi numeri del FEK e vedere quali sono per esempio questi 48 edifici, del FEK 311... del ’92. Li troveremo insieme, fra poco.

Anna: Ah, bene.

376 Salomi: Faremo una ricerca su internet e vedremo se... ce li darà, se non ce li darà… questi edifici sono... vengono dichiarati da conservarsi in due modi. Uno è quello del Ministero di Cultura...

Anna: Sì...

Salomi: ... e l’altro, quello dell’ YPEHODE (Ministero per l’ambiente, l’urbanistica e le opere pubbliche, ndr), prima si chiamava YHOP (Ministero per l’ambiente e l’urbanistica, ndr) , YPEHODE più tardi, e adesso, non so come si chiama. E’di... dell’Ambiente e... lascia stare, qualcosa del genere, una sciocchezza. Comunque, la storia degli edifici neoclassici che vengono proclamati da conservarsi è complicata. Perchè gli edifici vengono proclamati per due motivi… ad esempio, o perché sono edifici di valore storico... consistono diciamo punti di riferimento della città, oppure in base a criteri urbani; tali criteri sono i seguenti: Un blocco di edifici…che è costruito totalmente, e dove ci sono palazzi alti, è chiuso, se però nel blocco esiste un edificio neoclassico a due, magari a tre piani, questo edificio permette che l’aria passi e che entri all’interno del blocco di edifici.

Anna: Ho capito.

Salomi: Ah, hai capito, però se anche là sarà costruito un palazzo, il blocco di edifici sarà chiuso. Così, molto spesso, vengono proclamati da conservarsi degli edifici… del primo dopoguerra o neoclassici, affinché il blocco di edifici possa respirare, indipendentemente se questi edifici… per esempio ci sono dei neoclassici che sono stati saccheggiati… mancano le ringhiere dai balconi, o gli manca tutto il balcone di marmo, gli mancano le mensole…Nonostante ciò, vengono proclamati da conservarsi per motivi urbanistici. Nella città di Atene, ci sono gli strati, uno sull’altro, di tre città; c’è l’antica Atene, che si trova ad un livello più basso rispetto ad Atene odierna e a quella neoclassica, perché Atene odierna e quella neoclassica si trovano sullo steso livello; l’antica Atene, a causa delle sedimentazioni eccetera, compare come se ci fossero delle fosse... qua e là, per tutta la città. Questo è assai interessante, immagina se si decidesse, se si potesse vedere attraverso queste fosse, la storia della città... Però, il parere prevalente, è di solito solo uno... Durante tutte le ere, quello che si vuole mettere in evidenza, è l’aspetto che riguarda il potere... nei confronti della città... e così si seppelliscono altri aspetti che potrebbero presentare un interesse maggiore, aspetti tramite i quali si potrebbe comprendere in modo migliore le condizioni di vita di allora; la vita quotidiana è un aspetto importantissimo, dato che sono le persone quelle che vivono e che formano una città: produzione e riproduzione di edifici e di relazioni all’interno di questa. Allora, ecco, qui ci sono dei dati che riguardano la riqualificazione, quali ministri, come, perché, quale è stato il processo, cosa è stato realizzato e cosa no, cos’ è stato realizzato negli anni ’70, perché non è che tutto sia cominciato... negli anni ’80, no? C’erano da allora delle proposte, che hanno condotto verso questa riqualificazione qui. L’urbanistica come repressione applicata, e questo è ... qualcosa di importante; ce l’hai tutto ciò, sai queste cose?

Anna: questo, no.

377

Salomi: Bene, e tutti questi qua sono dei brevi brani che ti posso dare con molto piacere.

Anna: Grazie tante.

Salomi: Ce n’è molti, e c’è anche la bibliografia... così potrai cercare e trovare delle cose in più, è questa tutta, ecco, la bibliografia, è tutto qui... questi qui sono relativi a quella lezione che ho cercato di fare ai miei studenti, l’inverno scorso. Be’, te lo darò tutto... anche se troverai qualcosa copiato due volte, ma tu ne sceglierai...

Anna: Sì...

Salomi: ... Anch’io ho provato a fare una conferenza per i miei studenti e sai, si devono mettere in evidenza alcune cose ed altre non si può, dipende da quanto tempo si ha per parlare in classe... E questo è stato una mia preparazione, questi qui in giallo, vedi, contengono che cosa gli ho detto. Be’ ok, ti darò tutto quello che tengo qui...

Anna: Grazie.

Salomi: ...“la Città effimera, critiche empiriche e discussione immaginaria sullo spazio”... Sì, te li darò, hai un flash?

Anna: Non ce l’ho, ti darò il mio indirizzo e-mail.

Salomi: Ah, bene, mi darai il tuo indirizzo e-mail. Il sogno della città onirica è un incubo, bene, puoi trarre molte informazioni da qui. Bene? Lo troverai tutto. Exarchia incatenata, parla delle operazioni Aretì, che si effettuavano allora a Exarchia...

A.:E’...

Salomi: Gli spazi pubblici del potere esecutivo,... che cosa?

Anna: E’ il periodo in cui Kaltezas è stato ucciso, no?

Salomi: Ah, sì, sì. Dunque, questo te lo darò... insomma, te lo do tutto...

Anna: Sì, bene.

Salomi:... Atene città smurata, analisi spaziale della rivolta del...

Anna: Dicembre?

Salomi:... del dicembre del 2008, come si è svolta nello spazio, la rivolta...

Anna: Sì.

Salomi: be’, non so, mi dirai tu se ce ne hai già qualcosa, questo è... antagonismi

378 metropolitici di Atene.

Anna: Questo non ce l’ho, ma Kostas me ne aveva parlato

Salomi: Bene. Ti darò tutto, figliola, quindi non dovrai cercare, è tutto qua, sommato. Sullo spazio pubblico, sul centro storico, sui palazzi, sulle Università e così via... c’è di tutto, no? Te lo manderò tutto, questo qui è scritto da noi del Politecnico... ti darò anche questi dati...

Anna: Ah, bene.

Salomi: ... con delle mappe e tutto quello che ci vuole... bene, sì, questo è dal mio gruppo alla facoltà del politecnico, bene. Quindi, devi studiare anche questo, ci sono molte cose.

Anna: Ce ne sono, sì. Bene. Sì, allora, questi sono, diciamo, i fatti. Per il momento mi interessa capire qualcosa...

Salomi: Dimmi, cosa vuoi sapere?

Anna: Ecco, qualcosa che ho notato, che è cambiato molto, è quel grande problema che c’è adesso, il fatto che tutti parlano del traffico di droga, che è più evidente che prima. Perché io... Prima non c’era, certo che sì, però non era tanto evidente. Questo, credo, abbia provocato una modificazione dell’aspetto della zona... in qualche modo. Non ho ancora capito, come... in più, ho notato che il parco è cambiato molto per quanto riguarda questo argomento. Prima non era... Io mi ricordo, quando ero qui, sono stata qui per due anni, e durante questo periodo, 2008-2009, il parco era uno spazio... in cui ci andava molta gente a passare la serata, a fare cose... e adesso è... di sera non è un luogo tanto piacevole, per andare a fare due passi. Adesso è...

Salomi: Di sera... vuoi dire a che ora?

Anna: Tardi. Dopo mezzanotte comincia a non essere... be’, prima va bene, però ad esempio, ti dico cos’è successo, un mese fa più o meno, è stata distrutta una lampada affinché non ci fosse la luce nel...

Salomi:... parco.

Anna: ecco, delle piccole cose, magari di una certa importanza, cose simili che fanno cambiare, credo...

Salomi: La storia del parco, la conosci?

Anna: Sì ero qui quando l’hanno costruito...

Salomi: In breve, il parco non è ancora stato definito come parco, perché si tratta di uno scambio... questa terra apparteneva alla Camera di Tecnologia e la Camera doveva prendere la decisione di cederla. Dopo l’occupazione di... c’è stata anche la decisione

379 ufficiale, c’ero anch’io e ho votato sì alla definizione di questa terra come parco. Però lo scambio è stato realizzato fra il parco qui e il complesso dei prosfigika della via Alexandras. Tuttavia, ancora oggi tutto ciò rimane sospeso. Tutto parole, niente definito o varato, quindi si corre il pericolo che si perda tutto, le case dei profughi incluse, dopo tante lotte, insieme al Politecnico. La mia docente, Any Vrychea, una professoressa eccezionale, era ancora in vita... lei si occupò tanto dell’argomento dei prosfygika, moribonda sul letto e se n’è occupata fino all’ultimo momento. E io avevo... c’è materiale fotografico se vuoi, e questo perché ogni anno pertecipavo alla mostra antirazzista di via Alexandras... ci sono molti dati se ti interessa... Il pensiero era di procedere a questo scambio affinché la questione delle case dei profughi non si perda, perché si vuole che quella zona venga svenduta e quindi distrutta (usa un’espressione volgare e piena di disprezzo per le autorità in ballo in questa disputa, ndr). Per spiegarmi meglio, la KED (Ufficio pubblico del demanio, ndr) ha proceduto a degli espropri; espropri coatti, e ha stabilito un prezzo altissimo per ogni appartamento, gli abitanti là sono poveri, e sono stati offerti prezzi tanto alti perché la percentuale possibile di costruzione in quella zona è alto, quindi si può costruire coprendo molti mq. Allora, affinché non sparisca la memoria collettiva della città, abbiamo cominciato una vera lotta allo scopo che venissero dichiarati da conservarsi e che non vengano svenduti. E’ stato detto che sono pericolosi eccetera, e che per questo dovrebbero essere demoliti; sciocchezze, storie da bambini. Se è pericolosa la Camera dei Deputati, le case dei profughi non lo sono di più. Siamo andati al Ministero della Cultura, siamo riusciti a farle dichiarare da conservarsi e adesso non possono essere toccate. Però la questione non è che gli edifici non possano essere toccati, non è solo questo, perché tutta questa discussione non riguarda solo gli edifici; città non significa edifici e strade, significa istituzioni, abitanti, no? Non basta che gli edifici non vengano demoliti, sarebbe necessario che gli abitanti non vengano cacciati via. Appunto per questo ti dico che è ancora tutto sospeso, ci sono dei fronti aperti. Molti fra quelli che si sono occupati più di me del parco di via molta gente della zona; hai capito? Però, i più giovani, purtroppo, non possono capire quanto è importante... quando si lotta, non si deve farlo in un solo modo. Cioè, certo il corpo umano è molto importante per chi sta lottando per strada, e sicuramente sono l’ultima a sostenere che la gente non debba scendere per le strade e alle manifestazioni, però quest’azione da sola non fa niente, perché il potere non si è interessato mai, le leggi vengono varate da “loro” per loro stessi... solo perché sono convenienti per loro; le leggi non vengono varate per il resto dei cittadini. Il resto dei cittadini semplicemente viene oppresso dalle leggi. Perciò, la lotta deve essere fatta anche pretendendo dalle istituzioni. Nel caso delle case dei profughi, la nostra pretesa era che fosse varata una nuova legge (e non solo decisione), affinché non cambiasse il loro status. E’ stato un atto buono da parte nostra. Così si deve agire anche per quanto riguarda il parco di via Navarinou. Non basta che l’Associazione degli architetti come anche la Camera di Tecnologia abbiano deciso, be’, è positivo ma non basta... In qualunque modo si verifichi lo scambio che riguarda le case sei profughi, la storia deve andar avanti. Però c’è chi non lo capisce. Tutte le volte cioè che ho parlato con quegli studenti della Facoltà che si interessano al parco di Navarinou, mi dicono: “Per noi, quello che è importante è il parco.” D’accordo, ma, gli ho detto: “Bene, succederà qualcosa in agosto, quando mancherete tutti, ci sarà un blitz e addio parco.” Le cose non sono così. Non capiscono; e non è l’unica cosa che

380 non capiscono. Ad esempio il problema dell’asilo diciamo, alle università, per noi più “vecchi” è un aspetto molto importante, invece per i più giovani... loro considerano solo il traffico delle idee, che avviene ormai tramite il nuovo spazio pubblico chiamato internet, e il fatto che si possa avere un traffico di idee libero tramite questo mezzo, come se fosse abbastanza e che non ci sia bisogno dell’asilo universitario. E’ un dibattito che...

Anna: E’strano, perché in Italia invece ha fatto impressione il fatto che ci fosse, e che adesso non ci sia più. Da noi, la polizia...

Salomi: ...entra e esce quando vuole.

Anna: Appunto, ci vuole un luogo che sia...

Salomi: ...protetto.

Anna: Sì, e questo è qualcosa molto...

Salomi:. ..serio.

Anna: Serio, importante, buono si può dire. E quando parlo con alcuni conoscenti qui, mostrano una certa indifferenza.

Salomi: Sì, questo è il problema della nuova generazione, anche se io... per tutto il periodo in cui sono stata nella Facoltà... noi abbiamo avuto molti contatti in proposito... e non solo io, molti miei coetanei... ci sono dei dialoghi nel forum della Facoltà di Architettura su questi argomenti, non... molto difficilmente, non so per quale motivo, la nuova generazione non lo può capire. Personalmente non posso capire come pensano perché noi abbiamo vissuto la dittatura quando eravamo giovani, giovanissimi; ci cacciavano... tutt’altra cosa, sappiamo bene che cosa vuol dire non avere appoggio in nessuna parte. Per quanto riguarda il parco, che ti posso dire, è notevole il fatto che in un posto dove per tanti anni c’era l’asfalto, dopo che è stato asportato, la terra fiorisca di nuovo e questo è per me molto rivitalizzante, come potrei dire, si vede che la terra è ancora viva nella città. E’ solo un esempio che magari ci spingerà verso azioni simili riguardanti la vita cittadina. Ci sono altri ancora pezzi di terra come questo sui quali è cominciato un dialogo allo scopo che tornino ad essere usati così. Sono andata in Mexico con altri colleghi per partecipare al IV Congresso di Geografia Critica, organizzato dall’Università Autonoma del Mexico. Abbiamo incontrato gli Zapatisti che ci hanno accompagnato a fare un bel giro e ci hanno fatto vedere che cosa erano riusciti a fare, con le proprie mani. Pulivano le zone dove c’erano rifiuti, stavano costruendo una scuola materna, una Casa di maternità, un parco, avevano costruito una palestra, un magazzino di medicine, un sacco di cose. Sorvegliavano i vari posti per poter proseguire con queste azioni, aiutando ciascuno nel modo in cui poteva farlo, e naturalmente prestando lavoro personale. Tutto ciò, mi ha fatto ricordare quello che abbiamo fatto noi qui per il parco Navarinou. Per me, è stato molto emozionante il fatto che abbiamo lottato e abbiamo partecipato tutti, ognuno come poteva. Ti dico, io per

381 mezzo delle leggi, gli altri per mezzo delle mani. Ognuno nel modo suo. Così si fa, tutto è utile. Tutti possono fare qualcosa. Allora, ecco, sul parco... quanto alla droga, be’, è molto crudele a... non solo a Exarchia, ma in tutta la città, è molto crudele che zone intere vengano precluse alla gente. Io sono fra gli ultimi che abbandonerebbe le strade. Tuttavia anch’io, ormai, comincio ad avere problemi girando da sola. A Exarchia, il gran problema non è il parco. Il problema grosso è la Via Stournari. Perché prima, la droga si trovava in Via Tositsa e non in Stournari. Tutto ciò indica che qualcuno si è messo d’accordo con la polizia; non a caso si trovano fra il Museo Archeologico, cioè in Via Tositsa, allora, fra il Museo Archeologico e il Politecnico. Queste strade si trovano accanto a questi due edifici e non ci sono abitazioni in quel punto, in quella parte. Sono stati portati là per... (il telefono squilla) questo succede quindici volte al giorno... allora... e... non potrei sapere perché fossero stati portati in Via Sturnari, ma posso supporre. L’edificio del politecnico è un simbolo e negli ultimi... da molti anni si cerca di trasferire la Facoltà di Architettura... e che gli edifici del Politecnico vengano usati... in modo supplementare agli edifici del Museo Archeologico. Avrai sentito parlare Bakalis (professore del senato accademico del Politecnico, ndr) in modo pomposo e dire che al Politecnico si vende la droga. Questo non è vero perché anche se molto difficilmente, il Politecnico viene salvaguardato. Ci sono due portieri alle due entrate. Non solo. La Comunità Universitaria veglia, non dorme; si è cercati di entrare usando vari mezzi, io personalmente ho incontrato qualcuno... erano le dodici ed essendo andata al Politecnico ho trovato un tizio là dentro, vendere degli orecchini. L’abbiamo fatto uscire, non... lui ha detto: “Ma... se ne esco, mi faranno la multa” e gli abbiamo risposto: “Caro, l’asilo non c’è perché tu venda la tua roba... Via!” In effetti ogni tanto si può vedere delle scene simili, ma queste persone vengono cacciate via. Meno male, perché così possiamo ancora mantenerlo. Difficilmente, molto difficilmente, però... be’... si fa uno sforzo. Ritengo allora che la droga sia stata trasferita là affinché il Politecnico presenti un’immagine decadente e affinché per strada... ecco. Hai capito? Ecco che cosa credo io, perché non trovo un’altra spiegazione... perché è stata trasferita in Sturnari? Qual è stato il motivo? poiché dalla parte opposta ci sono uffici, ci sono abitazioni, c’è un sacco di cose... perché non è stata lasciata in Tositsa? Perché per la porta del Politecnico dalla parte di Tositsa non passa tanta gente; gli studenti sono... entrano ed escono usando quella della Via Sturnari. Hai capito? e il posto è sempre affollato, i ragazzi entrano tenendo in mano il cellulare, può darsi che mentre uno parla, gli acchiappino il telefonino.

Anna: Ah, succede questa cosa?

Salomi: Cose simili succedono, sì. E’ tutta una questione sul come si passa per quella porta... ci sono momenti in cui si radunano comprare... lo spacciatore passa e distribuisce. Abbiamo fatto delle lotte affinché se ne andassero [...]. Niente, se la polizia non vuole che se ne vadano, non se ne andranno mai.

Anna: Ah, sulla polizia a Exarchia... com’è, qualcosa è cambiato, molto, ho notato...

Salomi: Quali cambiamenti hai notato?

382 Anna: Eh, bah, io mi ricordo che stava fuori Exarchia. Qualche volta entrava nella zona, ma quando lo faceva, era successo sempre qualcosa di grave. Comunque, gli abitanti facevano un casino! Ieri, mentre ero in Valtesiou a prendere una birra con un’amica, sono passati in moto quindici poliziotti del gruppo “Delta”; in via Valtetsiou, che è pedonale.

Salomi: Non ci credo!

Anna: Non hanno fatto niente, ma...

Salomi: Io non ho mai visto una cosa del genere...

Anna: Non sai mai cosa vogliano fare...

Salomi: Quel che succede di solito è che le sere dei venerdì o del sabato, ci sono da una parte quelli che cercano di provocare e dall’altra gli sbirri. Tutti insieme giocano al “ladri e poliziotti”, chiamiamolo così... fra la squadra dei “ladri” possono esserci anche degli sbirri; te lo dico perché non si vede mai le stesse persone, ecco... e quando durante i fatti di Grigoropoulos oppure dell’articolo 16... non ricordo... credo dell’articolo 16... no, di Grigoropoulos... non ricordo... allora nel ’07 o nell’’08, quando solo al Politecnico c’erano cinque occupazioni, si entrava nell’ edificio Ghinis e ne usciva tanta gente... là, a destra, c’era una cisterna e si doveva vegliare e io, le sere di solito, stavo a proteggerla da lontano. Allora si entrava in moto fino alla cisterna, dove si trova l’edificio Ginis... Dicembre. Di conseguenza con i fatti di Grigoropoulos. Era molto pericoloso, ecco perché si faceva questa cosa. Fino al 17 novembre, il Politecnico non viene fornito di petrolio. I fatti su Grigoropoulos sono accaduti in dicembre. E i serbatoi erano pieni di petrolio. Eh, sai, ci sono dei fanatici e stupidi. E si deve fare qualcosa prima che alcun fanatico combinerà una stronzata senza accorgersene. Così, facciamo molta attenzione. In ogni caso, nel Politecnico i serbatoi sono chiusi in modo sicuro, vengono messi in funzione i tubi per il petrolio e a novembre tutto è chiuso bene, in modo che non possano essere aperti e si combini alcuna stronzata, hai capito? Si fa una preparazione generale, il Politecnico non è tanto privo di protezione, si fa uno sforzo perché sia uno spazio sicuro e perché rimangano salvi tutti quelli che ci sono dentro; molte volte ci si trovano anche 8500 persone, o perché stanno partecipando a delle assemblee, oppure perché ritornano là dopo le manifestazioni eccetera. Quei fanatici che stanno fuori, può darsi che tirino una molotov nel cortile esterno, provocando panico ai ragazzi. Questi ultimi, cercando di fuggire, potranno calpestarsi gli uni gli altri... O che succeda qualcosa nel Max, è uno degli anfiteatri, un grande anfiteatro, naturalmente ci sono storie da raccontare... ecco perché c’è un... un controllo continuo, meglio dire una veglia continua, e per questo è mantenuto ancora così, altrimenti non si potrebbe, con i due portieri… non si potrebbe mantenerlo, così com’è, è assai grande ed è difficile che sia protetto da due persone sole. Poi, ovviamente, si tratta di un simbolo in questa zona che, be’, deve essere protetto. Riguardo alla polizia, che ti posso dire, non ho avuto mai delle relazioni buone, semplicemente ti dico qualche volta le case sono monitorate. Me, ad esempio, mi seguivano per qualche giorno, mi guardavano da un palazzo vicino e una volta sono venuti da me e mi hanno detto che cercavano

383 qualcuno che abitava di fronte, il figlio se non mi sbaglio che vive all’ estero. Io, in questi trent’anni qui, quella persona l’avevo vista due volte... Che stessero cercando lui, lo escludo. In più, il signore che abitava là… l’hanno portato in un ricovero per vecchi; la ragione quindi non era quella. In poche parole, io conosco solo il controllo di questo tipo, e anche il controllo telefonico, che si capisce chiaramente quando lo fanno, cioè si sente, si capisce; il rumore è colpa anche delle reti, ma...

Anna: Però in generale o solo a Exarchia...?

Salomi: Terrorizzano i più giovani... le persone più giovani. Riguardo a noi, ci controllano in modo differente. Dipende. “Chi sei” Però... guarda, mi stai domandando se a Exarchia o meno. A Exarchia ci sono molte persone che si occupano di “politica” (usa un’espressione classica, traducibile letteralmente con “le cose comuni: koina, ndr), anche molti docenti universitari ecc... non dimenticare che Exarchia è una zona dove la percentuale dei laureati, rispetto alla popolazione, è molto alta. La maggioranza... be’, non so se è la maggioranza, comunque una gran parte di loro si occupa di politica in modo molto serio. Così, quello di cui piuttosto hanno paura gli sbirri, a parere mio, è il modo in cui funzionano le reti dal basso. Del resto, passano per qui per... ogni motivo. La cosa più seria è questo controllo continuo. Perché di solito non ce se ne accorge. Un altro problema apparso da poco è ecco, là all’angolo, in Via Ippokratous 163-165, all’angolo vicino a me, è stata istallata un’antenna... un’antenna di una compagnia di telecomunicazione mobile; e stiamo procedendo a una mobilitazione relativamente a questo; siamo anche in collaborazione con altri abitanti di altre zone dato che sono state istallate delle antenne senza che gli abitanti lo capissero in tempo. Sono state messe su alcuni garage e si intende mettere 4500 antenne ad Atene. Qualcuno deve frenarli. Le leggi favoriscono le compagnie, questa cosa deve essere fermata in qualche modo. E per questo motivo si fanno delle mobilitazioni. In via Zoodohou Pighis c’è un posto... ci sei andata con gli altri ragazzi a vedere dove si trova il posto dove si può scambiare vestiti ecc?

Anna: Sì, sì.

Salomi: Hai trovato Haido? Con i capelli rossi? Da Haido, alla Banca di Tempo ci sei andata? Poi hai parlato con...

Anna: Elli, ho parlato con lei molte volte.

Salomi: Vado spesso a Skoros e anche alla Banca di Tempo. (Skoros è un “negozio” dove non avvengono scambi in denaro ma solo in cose, nato dall’iniziativa di alcuni abitanti del quartiere, ndr)

Anna: Sono esperienze molto importanti!

Salomi: C’è un piccolo negozio sociale di alimentari; in più, qui in Zoodohou Pighis piccoli produttori portano dei prodotti da vendere, non è esposizione, si può comprare olio, miele, varie cose di questo tipo... simpatico, piccolo ma simpatico; che poi, vabbè, noi scambiavamo degli oggetti da sempre, vale a dire non eravamo di quelle persone

384 che gettavano facilmente qualcosa nei rifiuti. Guarda, questa qui, la casa dove ti trovi, è un posto che accoglie molta gente... feste, compagnie... per noi la crisi non è attuale, noi abbiamo sempre vissuto in crisi. Perché ad esempio le mie compagnie, molta gente, gli artisti, i musicisti, gli attori, lavorano a stagioni. In un certo periodo non lavorano. E attualmente, con la crisi, è ancora più grande il periodo in cui non lavorano... eh, ci sarà sempre una pentola sul fuoco e sempre si troverà un vino in questa casa qui. Si riuniscono allora qui diverse persone e gli dico: “Un tempo ce la passavamo bene, ma anche adesso ce la passiamo bene.” Non ci manca nulla. Certo quello che... non ci manca qualcosa di materiale, quello che manca è la creatività, perché quando non c’è qualcosa di cui occuparsi ... creare qualcosa, ecco, inventare da soli un oggetto di lavoro; si fa una, due, tre volte, si inventa, non so, si fa delle cose allo scopo di far sboccare la propria energia verso qualcosa, ma... io figliola sono architetto, lo voglio vedere quest’edificio, il disegno non mi basta. Un altro è attore, reciterà; bene, che lo invitiamo qui, in compagnia, che ci reciti... bene. Ma anche lui vuole il palcoscenico, ogni professione ha le caratteristiche proprie... e questo è dolore, il fatto che non si può creare, è quello che costa di più a noi, non i beni materiali, perché, guarda, la maggior parte degli oggetti qui, provengono dalla strada; ad esempio questo faceva parte di una scena teatrale e ci sono anche altri oggetti dallo stesso teatro. Questo è di mio padre, questo qui da un ufficio che non c’è più e me l’hanno regalato, questo è di mia nuora, questo di un amico che ripara computer; io volevo una stampante, me l’ha portata e me l’ha regalata. Questa sedia l’abbiamo fatta da soli, di cartone... sì, sì, è di cartone e di disegni... fotocopie di disegni. L’abbiamo rivestita con fotocopie di disegni. Insomma, in generale, la maggior parte degli oggetti provenienti dalla strada, li abbiamo raccolti e li abbiamo restaurati da soli, non c’erano... non siamo mai stati consumatori e di conseguenza non ci manca il consumo... si andava in vacanza in tenda, sai... il cibo al sacco… non ci mancavano i soldi, almeno a me, non era che… molte volte non mi bastano per pagare l’affitto ma il proprietario, che può fare, avrà pazienza, sono qui da trentadue anni, non ha mai perso niente per colpa mia. Sono sempre disposta a... anch’io cerco di essere... lui non è sempre pretenzioso e io, prendo cura della casa, tutto bene. Ognuno di noi aiuta come può e fa tutto quello che può fare affinché la nostra coesistenza si renda facile. E’ qualcosa di positivo, il lato positivo della crisi è che sempre più persone cominciano a... a partecipare; è questo l’esito positivo. Non si lavora più dalla mattina alla sera come cani, diciamo così, e di conseguenza c’è tempo per discutere, fare compagnia; i genitori possono vedere i figli che fino ad ora crescevano con le ragazze filippine o non so con chi, e non avevano dei contatti con i oro figli. Diventano umani di nuovo insomma. Ecco qual è il lato positivo della crisi.

Anna: E’ per questo forse che la repressione si fa più forte contro queste forme di organizzazione autonome delle persone…

Salomi: Vogliono... una volta andati... come si sviluppa il capitalismo? Ιl capitalismo si sviluppa… vuole la terra, tutto quello che c’è sotto la superficie e tutto quello che c’è sopra questa. Giusto? bene. Allora vogliono prendere tutto: terra, mare, l’etere... anche tutto quello che c’è in aria, le telecomunicazioni, tutto... qualunque cosa ci sia, qualunque cosa possano... tutto. E... una volta preso tutto, qualcuno deve lavorare e lo deve fare a salario... bassissimo; vale a dire imporre la schiavitù a un’intera

385 popolazione. La questione è se si vuole partecipare al gioco... se si partecipa... Se... se tutti rifiutano di giocare, il gioco è vinto, saremo noi a vincere, se parteciperemo a questo, saremo sconfitti.

Anna: E qual è il tuo parere, si cerca di vincere?

Salomi: No, purtroppo no, perché il greco, farà la rivoluzione solo se... forse no, neanche nel caso in cui sarà privato di casa sua. Qualcuno lo deve tirare via dalla comodità del divano, perché fino a quel momento si alza solo se vuole mangiare. Non lascerà mai il divano. Tutti credono che con la riduzione del numero degli impiegati statali che si sta preparando, sarà facile per loro andare dal deputato conosciuto di turno e... chiedergli un posto di lavoro per il proprio figlio; vogliono che i loro figli abbiano il posto dei licenziati, cioè è questa mentalità stupida che... un bel paese con cittadini stupidi, ecco. Sì, vogliono che crepi la capra del vicino insomma. Eh, quelle persone non potranno mai… fare qualcosa di positivo. No, mai, e purtroppo i cambiamenti avvengono solo se c’è il supporto della massa. Con dieci persone, non si fa niente. Io ho detto: “Spero che gli hackers faranno qualcosa.” Voglio che gli hackers distruggano il sistema. Altrimenti, non trovo un’altra soluzione... guarda, discussioni e lotte sono già state fatte, per esempio sull’articolo 16, nel ’07, poche ma molto serie. Finalmente, per prima volta, l’Università è riuscita a unirsi con la società; gli universitari, avendo lasciato l’ambiente universitario, andavano spesso a parlare in molte zone, spiegavano le proprie opinioni sulle questioni allora correnti, hanno avuto il supporto di molta gente e le mobilitazioni sono state significative. Nel 2008, con i fatti di Grigoropoulos, lo stesso. C’è stato anche “Syntagma”, no? Essendo avvenute tante cose, come si spiega che oggi non ci si alza dal divano? Se oggi i cittadini non sono attivi, significa che qualcuno non li ha convinti e, ovviamente, è stata la Sinistra a non averli convinti. E’ così, perché se la Sinistra li avesse convinti, loro sarebbero stati per le strade. Si deve convincere in un modo tutto differente rispetto a come si faceva prima. Deve essere qualcosa di nuovo. Si devono trovare allora nuovi modi per comunicare qualcosa agli altri perché solo così potranno capire e cambiare. Un esempio è la ERT; in questo periodo l’edificio è quasi vuoto. D’ altra parte ci sono un sacco di artisti, artisti molto bravi... E’ meglio vedere uno spettacolo alla tv gratuitamente, diretto a tutti, che andare a Licabetto (dove si tiene il festival teatrale della città, ndr) , dopo aver fatto il biglietto, qualcosa che possono fare poche persone. Pensaci un po’. Vuoi qualcos’altro? Vuoi domandarmi?

Anna: Sto pensando...

Salomi: Pensa pure.

Anna: Qualcosa che è successo, che... credo che sia interessante... non so se hai qualche risposta su questo; è qualcosa che ho domandato a molte persone, ma mi hanno risposto di non sapere niente. Si tratta di quest’argomento su cui discutiamo, perché ultimamente, negli ultimi mesi, si discute tanto di... Ci sono stati tanti fatti notevoli; da una parte i fatti su ERT, dall’altra ciò che succede con Sakkas, un’altra cosa importante; sono cose molto diverse, ma per dire in questo secondo caso qualcosa che mi è capitato di sentire spesso è che o facciamo qualcosa di grosso e ci arrestano tutti,

386 o… oppure l’altra idea è che non ci siano le forze per fare qualcosa, adesso… che non è più la situazione per poterlo fare… perché è tutto un po’... down diciamo, non c’è…

Salomi: Partecipazione.

Anna: Esatto. Partecipazione, reazione in generale... ecco che cosa ho notato.

Salomi: Sì, senti come penso io... Poiché il teatro è nato in Grecia... quest’anno in inverno sono andata molto spesso a teatro e... stanno succedendo tanti fatti significativi, figliola, siamo in mezzo a questa crisi... le rappresentazioni che c’erano, erano ridicole. C’è stato “Il giardino dei ciliegi” di Č echov; non ce l’ho con Čechov, neanche con il suo giardino. Come si può occuparsi dell’argomento dell’opera, nella Grecia del 2013, in mezzo alla crisi? Oppure un’altra opera teatrale con Katalifos; sono andata a vederne un’altra, c’erano tre atti unici, un’opera tedesca; trattava la Germania del primo dopoguerra... c’era una famiglia borghese, con le tazzine e le posate... Invece di contribuire, cercando di fare pensare i cittadini, il teatro funziona come se non ci fossero problemi richiedenti soluzioni (usa un’espressione dotta dal greco classico, ndr). Stavo discutendo con un amico, attore, e mi diceva: “Né la commedia né il teatro di rivista possono essere tanto divertenti, quanto i deputati alla tv; guardarli alla tv, è lo spettacolo più divertente che si sia mai visto.” Cioè, tutto quello che succede è tanto ridicolo... così come lo stanno trattando tutti quelli che credono che noi stiamo guardando una commedia alla tv. Dall’ altra parte, non dimenticare che nel teatro antico c’era il Deus ex machina. Ecco, credo che appunto questo stiamo aspettando. Il Deus ex machina. Che glielo faccia qualcun altro. Si voleva da sempre che qualcun altro facesse tutto. C’era una signora che lavorava da noi, ci puliva il palazzo insieme ad un signore. Loro non si occupavano dei propri affari da soli, volevano che qualcun altro gli desse la soluzione pronta. Che qualcun altro lo facesse sempre fatto per loro. Una volta mi dice: “Non abbiamo dei capi.” “Ma che lo volete a fare il capo?” replico io. “ Solo se c’è il capo, potete fare anche voi qualcosa? Non potete far niente in modo collettivo? ” Ecco che cosa si sente dire, che si aspetta che qualcuno faccia qualcosa. Se un’altra persona farà qualcosa, seguiranno anche loro. Ma, scusa, non si fa così...

Anna: Però con il movimento di Syntagma non era così. Possiamo dire che ci sia stato un cambiamento... mi ricordo che a Syntagma c’era gente che voleva fare molte cose... E’ vero che nello stesso luogo si trovava sempre anche gentaglia... ma la parte inferiore della piazza era sempre molto vivace. E, alla fine, dov’è andata tutta questa gente?

Salomi: Basta pensare solo al primo maggio di quest’anno, non c’era gente. Dov’è andata? Dov’è andata... a casa. E’ andata a casa. E non capisco il motivo per il quale quelli che stanno a casa sono la maggioranza, mentre chi è fuori lottando, fa parte della minoranza. E’assurdo, ma te lo spiego così: stanno aspettando il capo. Spero che lui, non sia Mihaloliakos.

Anna: Eh, mah, ecco... io sono andata in piazza ad ascoltare il comizio di Tsipras... ma, che stava succedendo... C’è la...

387 Salomi: Anche là c’era poca gente.

Anna: Sì, poca gente, ma era strano... mi è sembrato un comizio tipo americolatino... e questo fenomeno qui di SYRIZA, non so cosa dire... sì, ecco, che cosa vorrei sapere... com’è la relazione della gente con SYRIZA...

Salomi: Credo di non essere la persona più adatta a rispondere alla tua domanda, anche se ideologicamente appartengo alla Sinistra... guarda; quando in Grecia abbiamo avuto la transizione politica (Metapoliteusi, ndr), io ero una ragazzina. Attualmente ho cinquantacinque anni, tutti noi veniamo chiamati “ragazzi della transizione politica”. Sono stata membro di “Rigas”, ma solo per un breve periodo di tempo... non mi adatto facilmente; quando non sono d’accordo, la decisione è finale. Poi, nel KKE esoterikou,.. anche là per un po’ di tempo... poi ci sono state delle scissioni, molti piccoli partiti, come se ci fosse qualcosa da dividere; l’unica cosa da dividere era il posto di ognuno. A me piace unire, non rompere. Credo che l’obiettivo sia unico, se siamo d’accordo continuiamo, se no, lasciamo stare. Così, con una Sinistra divisa in più di mille pezzi... parlo di quella Sinistra, perché dall’altra parte c’era e c’è ancora il Partito Comunista, che crede che tutti gli altri soffrano di... come si chiama... tubercolosi, che abbiano la tisi e per questo li tengono lontano. Nelle manifestazioni cominciano da un’altra parte, fanno delle manifestazioni separate, si comportano come se volessero qualcosa di differente, stupidaggini, ecco. Ci sono problemi che richiedono soluzioni e loro si occupano stronzate. Allora, capisci, con una Sinistra divisa in mille pezzi, non si fa niente. Alexis Tsipras è un mio amico. Siamo stati anche compagni di classe nel periodo dei nostri studi. Quando è stato eletto come presidente di SYRIZA, mi sono domandata: “che sta combinando”, perché lui è così ambizioso? E’ vero che è ambizioso, ma quando l’ho visto al suo primo dibattito, mi sono impressionata. Mi è piaciuto perché per prima volta, benché ci fosse anche tutta la banda del resto dei personaggi politici, ho sentito un discorso politico diverso. E mi è piaciuto da morire. E va forte. E credo che andrà bene. Dall’altra parte, sai, il potere fa nascere l’arroganza e se i politici diventano arroganti, è molto difficile che tornino ad essere normali. Stiamo a vedere. Comunque, ritornando al discorso di prima, in questo modo non ci sono degli esiti positivi. Tutti devono essere un po’ più sinceri. Ecco, quest’anno, abbiamo proceduto a delle mobilitazioni in proposito di TSMEDE, l’Ente per la previdenza sociale... c’è stato un aumento di imposte... noi che abbiamo questo tipo di previdenza da molti anni, prima pagavamo 4000 all’anno e adesso è giunto ai 4600. La nuova generazione non può essere iscritta allo stesso Ente... i giovani finiscono l’Università e non... una volta finite le Facoltà... di Architettura, il Politecnico o di Ingegneria... i giovani non possono più iscriversi all’Ente, dato che l’aumento per loro è altissimo. Ad esempio, un giovane che lavora da quindici anni, oggi deve pagare 8.000 all’anno. Sì, sì, 8000. Si tratta di casi incredibili. E abbiamo fatto... tutto l’inverno, l’abbiamo passato con queste mobilitazioni perché c’entra anche la questione dell’Assistenza Sanitaria. Ci si trova privi di Assistenza Sanitaria. Ecco, ci sono persone, dei colleghi, che ogni tanto hanno bisogno di analisi del sangue all’ospedale e non hanno i soldi per questo. Ormai c’entrano questioni di vita o morte. Quindi, abbiamo costruito delle mobilitazioni, siamo riusciti a continuare come prima, pagando cioè la somma delle imposte richieste nel passato, almeno fino al momento in cui stiamo parlando. Sono

388 stati stampati tutti i nostri libretti sanitari affinché tutti possano avere diritto all’assistenza sanitaria. Tutto ciò, è stato come se fosse una battaglia, però molto difficile. La discussione ha avuto luogo in un’aula enorme, dove si trovavano i dirigenti di TSMEDE, quelli di ETA, vale a dire dell’Ente dei farmacisti ecc. Loro erano seduti e noi, in piedi, intorno a loro, pareva come se stessimo arrampicati sulle loro spalle. Sapevano bene che nel caso in cui avessero preso una decisione diversa da quella che ci si aspettava, sarebbero stati picchiati. E abbiamo avuto un esito positivo. Però, bisogna occuparsene continuamente, come se non si avesse nient’altro da fare. Infatti, ci vuole più partecipazione perché non... non siamo mai abbastanza. Mai! Ci vuole partecipazione. Non so che cosa avverrà con SYRIZA, si fanno diverse discussioni che... una fra queste è che ci si aspetta che la Destra indichi Anghelopoulou a sostituire Samaras.

Anna: Chi è?

Salomi: Yanna Anghelopoulou. Avrai visto anche tu che è apparso un suo libro. Si cerca di presentarla come un’immagine del nuovo... Lei, per quanto riguarda la dracma, è favorevole. Mantiene delle buone relazioni con gli americani. Certo, Alba Dorata... i suoi membri sono tutti marionette, ma non è questo... Se Alba Dorata potrà riuscire ad avere una percentuale maggiore di quella che ha già, le marionette saranno sparite... Voridis sostituirà Mihaloliakos e lui, Voridis, non è marionetta. SYRIZA non ha voluto mai avere il potere. E non credo che lo voglia neanche adesso. Combinerà di nuovo qualche stronzata, non c’è dubbio, è successo molte volte... E’ come se tutto questo gioco politico fosse già progettato... guarda: quando è stato fondato lo Stato Neogreco? nel 1837. Bene. Perché c’è stata la Rivoluzione del ’21? E’ che così all’improvviso, c’è stata una rivoluzione nel 1821, che cosa era successo? Perché c’è stata? Allora, 1815: c’è una crisi economica... in Europa... c’è la formazione dei primi movimenti rivoluzionari... e questo non solo in Europa, ma anche in America. La Gran Bretagna ha già cominciato a produrre dei prodotti industriali che sono di ottima qualità e a prezzi bassi. I mercati locali... la Grecia, come mercato locale non può concorrere con questi prodotti, allora le esportazioni vanno malissimo... di conseguenza c’è molta disoccupazione... specialmente nel settore navale. C’è una percentuale alta di marinai... Gli ufficiali del paese vogliono che gli Ottomani se ne vadano via perché così potranno approfittare delle loro terre. Fra la popolazione rurale, c’è una gran percentuale di agricoltori che non sono proprietari di terre. E gli Ottomani impongono delle tasse. E le fanno aumentare. Ti fa ricordare qualcosa? Ti ricorda il FMI per esempio? Ti fa ricorda il FMI? Allora, nasce il... in Moldova e Slovacchia, nasce Eteria (in realtà nasce ad Odessa nel 1814, ndr) come un’organizzazione segreta di emigrati. Insomma, si organizzano, la Rivoluzione comincia, è tutt’ una grande discussione... troppo per poter essere fatta adesso. In poche parole, questa rivoluzione fa nascere lo Stato Neogreco, sebbene tutte le Potenze di allora fossero contro la Rivoluzione del ’21, ovviamente perché non volevano l’esistenza di movimenti, perché non volevano riconoscere i movimenti europei e così via, appunto come si fa oggi. Alla fine, decidono di lasciare esistere lo Stato Ellenico, e il motivo di ciò era il controllo del Mediterraneo Orientale. Appunto come oggi. A partire di allora, fino ad oggi, non è stato cambiato qualcosa; pensaci, Kolokotronis, Karaiskakis e Botsaris erano in vita quando è stato

389 insediato un re dalla Baviera. Come è successo, insediare un re dalla Baviera, dopo che Karaiskakis e tutti quanti erano capi delle armi, avevano sconfitto gli Ottomani, che c’entra il re Bavarese? C’entra, come centra anche Papadimos. Neanche lui è stato eletto. Anche lui è “venuto” col FMI. I Poteri continuano ad essere gli stessi. Non dimenticare che, dopo che è nato lo Stato Neogreco, l’acqua, apparteneva ad una compagnia francese. L’energia elettrica, la possedeva la Power, inglese. Le comunicazioni, ce le aveva la Siemens. La Siemens, se ne è mai andata via? Mai. In questo periodo allora, io considero che non ci sia nessuna scusa, come potrei dire, le maschere stanno cadendo. Ed è ovvio, in modo chiarissimo, che il Paese non è nostro, non lo è mai stato, lo possiedono e ce lo fanno sapere. Quello che hanno fatto gli Ottomani, sulle tasse, lo stanno facendo anche loro, e tutto quello che è successo nei tempi di allora, sta succedendo attualmente, esattamente lo stesso. La domanda è, quale sarà il risultato da tutto ciò. Ultimamente, stavo parlando con un amico dell’Università, mi ha detto che secondo lui, nel 2030 il 40% della popolazione di Atene sarà composto di greci e il resto sarà composto di stranieri. Delle grandi compagnie istallate qui ecc... Questa è stata la previsione di questo amico dell’Università. Io, non so, non posso vedere tanto lontano nel tempo, sebbene possa dire di avere intuito... la crisi, mi aspettavo che arrivasse; mi ricordo che nel 2002... al Politecnico... mentre l’economia era come una piramide, l’economia assomigliava al numero otto, nel cerchio grande, in quello di sotto, ci troviamo noi, la maggioranza... e quello di sopra, il più piccolo, non tocca quello di sotto. Le colleghe, le professoresse, mi rispondevano che non era così e che sarebbe stato impossibile che... Eppure, è così. E tutti quanti, stiamo andando verso il grande cerchio di sotto, il cerchio di quell’otto. Ho saputo vivere sia avendo poche cose, sia molte. Poi, fra le cose di cui si ha veramente bisogno, non ce n’è nessuna che possa essere comprata per mezzo di soldi. L’amore non può essere comprato. Il sentimento del voler bene, non può essere comprato. Non si può comprare l’amicizia, il sole, il mare. Se quindi si ha tutto ciò, i soldi li prendano coloro che ne hanno bisogno; alla fine, sia io che loro, prenderemo uno per due metri quadrati di terra, è questo lo spazio proporzionale per tutti. 1x2. Tutto il resto, riguarda l’inutilità, la vanità di ognuno, che non so cosa crede o che cosa vuole che sia scritto nella storia a lettere d’oro; A lettere d’ oro nella storia, sono stati scritti solo coloro che sono morti all’esilio, o in carcere, o anche persone condotte al patibolo... il resto è composto da persone che sono state persone del potere, hanno portato sciagure all’umanità... se poi quelle persone vengono considerate tali da essere stati scritti a lettere d’oro nel libro della Storia, eh, chi ci crede, è poco intelligente. Che ti posso dire. Pensaci, crede per caso Bouloukos (soprannome che significa “cicciottello”, “panzone”, credo in riferimento a Venizelos, ndr) di essere ricordato dalla storia? Se sì, è un grande stronzo. Chi deve essere ricordato? Papandreou, il Giorgino? Rimarrà nella storia un cazzo! Guardali, uno per uno, verranno ricordati come individui stupidi. Se gli piace essere ricordati come stupidi, va bene, facciamo parte di due mondi diversi. Non si può fare altrimenti, il loro mondo e il nostro. Era così da sempre, c’erano alcuni che pensavano in un modo ed altri che pensavano in un modo diverso. Questo non cambia. Non possiamo essere simili, grazie a Dio. Non diventeremo tutti stupidi. Ecco tutto. Non mi viene qualcos’altro da dirti, se mi viene qualcosa su Exarchia, te lo dirò...

390 Ho alcune fotografie che ho scattato io, in cui ci sono diversi vecchi bar della zona. Ci andavamo spesso... il “Dada”, per esempio, il “Decandence”, il “Parafono”... c’erano anche dei piccoli gruppi musicali... Quello che era rimasto tra gli ultimi... ci andavamo qualche volta... si trovava in piazza, dall’altra parte, un seminterrato ormai trasformato in osteria.

Anna: Nella parte opposta della piazza?

Salomi: Vicino a “Diporto”, no, mi sbaglio, come si chiama?

Anna: Vediamo un po’: Piazza, parte opposta...

Salomi: La piazza è a triangolo, sì?

Anna: Appunto.

Salomi: Un piccolo triangolo. Immagina che qui si trovi il “Vox”.

Anna: Sì...

Salomi: Questa è la Via Themistokleous. In questo punto incontra la Via Spyridonos Trikoupi. All’angolo delle vie Themistokleous e Spyridonos Trikoupi, un po’ più avanti, c’era un seminterrato, vero?

Anna: Sì, giusto...

Salomi: Si trovava là; si poteva vedere qualche gruppo musicale nuovo... ma anche là, adesso si trova una taverna. A me, mi piace molto la musica, cercavo sempre dei nuovi gruppi... di ogni tipo. Ma anche qui, in casa... ho convissuto per anni con un musicista, era contrabbassista ...da questa casa sono passati moltissimi musicisti... molte persone che si occupavano della musica jazz e... e stavo cercando le foto.. dato che una volta conoscevo tante persone, mi piaceva conoscere gruppi di questo tipo. Ce n’erano sai, ce n’erano molti. Oggi, in piazza, ne è rimasto solo uno; il café Balet non c’è più...

Anna: E vedo che è un ciclo, un bar con musica chiude, apre un altro dove si può solo prendere qualcosa da bere.

Salomi: Nella zona c’è un limite... altrimenti, fra un po’ di tempo, la zona sarà piena di bar o di ristoranti. Ma, una zona residenziale non è così; in una zona residenziale c’è il negozio di alimentari, il fruttivendolo, il macellaio... non c’è bisogno che... tutta Atene diventi luogo di divertimento; la zona di Thiseio è cambiata in peggio. Lo stesso a Keramikos, e sta per succedere in modo simile a Exarchia. Questa storia deve avere una fine. E di solito, il permesso di questi luoghi di divertimento, è un permesso per libreria. Così è successo con il “Vox”, come anche con “Floral”. E’ bene, in un modo, che gli abitanti delle case vicine resistano, se non resistono si perde tutto. Ci vogliono delle mobilitazioni massicce. Basta che se ne interessino

391 sempre più persone. Il loro interesse non deve essere concentrato solo... al valore del loro appartamento. Che si interessino del valore della loro vita. A questo, non pensano. Se i prezzi degli immobili aumenteranno, ecco un buon argomento da pensare. Sai, questo palazzo (mi mostra la foto di un palazzo neoclassico su via Methonis, ndr), l’ha comprato un investitore... ha distrutto tutti i pavimenti. Ha tolto i camini dalla cucina, li ha sostituiti mettendo assorbitori. Non c’è cultura, figliola, non c’è educazione, cultura. Chi ha soldi, fa quello che vuole, senza essere controllato da nessuno.

Anna: Ecco, questo è interessante; che sì, Exarchia è una zona... diciamo differente, ma in fondo anche qui si fanno le stesse cose.

Salomi: Da molti. Non da tutti, meno male. Ti dico, meno male. Meno male. Se non fossimo rimasti noi vecchi abitanti, a dare le nostre case a quelli arrivati da poco...

Anna: Sì, è il sistema di cui mi hai parlato.

Salomi: Appunto. Sarebbe finito tutto, ne sono sicurissima. Anch’io, dopo trentadue anni di residenza qui, se me ne vado, cercherò di passare la casa a qualcun altro. Altrimenti non si fa. In questi giorni il primo piano è vuoto e mi domando: “Chi vuole venirci ad abitare?” [...] Prima c’era un batterista, Papakonstantinou, noi abitavamo qui, di fronte c’era il signor Kostas con sua moglie che era pittrice... Un po’ più in là c’era un mio compagno di facoltà, al piano di sotto uno spazzino, una persona con problemi di alcolismo, con sua moglie, poi un barbiere che era andato via dell’isola di Corfù perché non gli hanno dato il permesso di sposarsi con la ragazza di cui si era innamorato... se ne è andato e non ci è ritornato mai... non si è mai sposato con lei però ed è morto qui...

Anna: Che storie!

Salomi: Sì, ho conosciuto diverse persone così, perché eravamo vicini e dato che abito qui da tanto tempo... Loro mi conoscono meglio, io non li riconosco sempre per strada, ormai c’è stata molta gente che è passata da qui, sono confusa. E’ che non sto in un luogo... mi occupo di molte cose e... devo ricordare il... dove ho conosciuto ognuno di loro. Ecco. C’è una foto molto bella, l’ho fatta io e sto cercandola... se si trova qui... [...] non la trovo. [...] Queste sono alcune foto di Exarchia, eccone una... un senzatetto. Sta in Via Methonis. Ecco... la via Methonis... queste case qui, come anche questa, sì, sta’a sentirmi; questa casa, dove alla fine siamo venuti ad abitare, ce l’ha trovata la signora che abita vicino. Tutte queste case erano in cattiva condizione, abbandonate dagli abitanti di prima, te l’ho detto. Allora, questo qui, è il cortile della casa in Via Methonis. Più tardi, è stato trasformato in bar, chiamato “Skiniko”. E queste due case... piuttosto il cortile, era pieno di materiali usati, provenienti dai palazzi accanto. L’hanno affittata alcuni studenti dalla Facoltà di Architettura, a prezzo basso e a patto che si occupassero dei restauri richiesti, facessero cambiare il riscaldamento e che pulissero il cortile. Allora Themis, uno dei ragazzi a cui piacevano molto le palme, quando vedeva che in un posto ce n’era tagliata qualcuna, la portava a casa con il suo motorino e la piantava nel cortile. Dopo un po’ di tempo,

392 non c’era più spazio nel cortile; la signora Noula, la padrona di casa, ha chiesto un affitto molto alto e i ragazzi, non potendo pagare, se ne sono andati. La signora Noula ha permesso che ci fosse poi una taverna... ed è questa. Questa qui, un caso simile, ci sono stati alcuni compagni di Facoltà che l’hanno riparata, rinnovata ecc. E poi, ovviamente c’è stato qualcuno a comprarla, oggi si affitta per 1200 €. Ecco l’interno del cortile, con il pozzo... sei mai entrata qui?

Anna: No. So dove si trova, ma non mi sono mai trovata là dentro...

Salomi: Questo è il cortile. Vedi, tutte queste case, sono state mantenute in buona condizione, perché sono state abitate da studenti. Questa è molto bella, del primo dopoguerra, eccellente. Si trova nella stessa strada, in Methonis. Qui è l’angolo delle vie Kallidromiou e Zoodohou Pighis. Questa qui era una taverna, vecchia, chiamata “Monastiri”. Molti, molti anni fa. E dopo che l’edificio è stato ristrutturato, nel posto in cui c’era la taverna è apparso un negozio, la vetrina è questa. Lo stesso qui. C’è una foto molto bella che voglio darti; alcuni studenti hanno scritto su un muro: “L’altra metà della riqualificazione sono gli attacchi della polizia”. Mi piace e voglio darti anche questo, probabilmente lo tengo nell’altro computer. E vorrei... vale la pena di dartelo... l’ho pubblicato su internet e l’hanno copiato in tanti tanto velocemente... non ce l’avrai solo tu! Ce l’hanno tutti. Un po’ strano... cosa c’è... Di solito devi esserci a “Exarchia”. Forse è qui. Non credo. Comunque, lo troverò. Non preoccuparti. No. Questa è la zona di Aghios Pavlos. Avendo fatto uno studio, l’abbiamo dato come tema alla Facoltà, per i ragazzi...

Anna: Dal Politecnico, conosco i ragazzi che stanno costruendo il container.

Salomi: Quale container, non ho la minima idea. Ultimamente non ci sono andata... dimmi!

Anna: E’ tutt’una storia. All’inizio si doveva che... Stavridis...

Salomi: Stavridis è un mio amico.

Anna: L’ho conosciuto a Barcellona, in un convegno. Molto bravo. Lui ha telefonato a qualcuno dal parco e ha detto che c’erano alcuni studenti che volevano fare... avevano un progetto per il parco. E alcuni dell’assemblea del parco sono andati a parlare di questo progetto. Loro vogliono fare uno steki, non esattamente uno steki, ma qualcosa, un luogo al coperto nel parco. Alla fine è successo qualcosa e non dovevano farlo più, ma il container è arrivato e ora lo costruiscono nel Politecnico, molto bello, sì, si apre, si chiude, molto bello.

Salomi: Ci passerò, passerò di sicuro. Sempre dico passerò, passerò e ultimamente non... non sono passata. Dove diavolo è quello che sto cercando cazzo! mi dà ai nervi... Anche queste sono fotografie di Exarchia, ecco, questo qui, si trova qui vicino, il Café Palet.

Anna: E’ molto bello.

393 Salomi: Café Palet, così si chamava; si poteva ascoltare musica jazz. Ricorda questo qui. Questò è “Rebetiki istoria”. Anche questo bar si trovava in Via Ippokratous, in funzione fino a poco tempo fa, oggi non so. Questo è “Parafono”, l’ultimo a essere chiuso. Ecco un palazzo, questo qui è il “Decadence”, che... che si trova in Via Poulcherias... qui è la zona di Strefi. Questa è la Scuola di Simonas Karras, il cortile, la casa che ti ho fatto vedere anche poco fa, il “Dada”, uno dei palazzi i cui appartamenti passano dall’uno all’altro...

Anna: Ah, lo riconosco, è l’edificio che preferisco. E’...

Salomi:...in Themistokleous.

Anna: Sì, Themistokleous. Là dove si trova...

Salomi: No, in Via Benaki.

Anna: Benaki, sì. E’ là che si trova il “Mikro Café”...

Salomi: Esatto.

Anna: Non è così?

Salomi: Il “Mikro Café”... questo appartiene a... ecco, è qui dove abitava Asimos. Prima di trasferirsi, abitava qui. In questo seminterrato qui. Questo era un bar chiamato “Burbon”, in Via Mavromihali. All’angolo di Mavromihali e Kallidromiou, là intorno, di fronte alla stazione di polizia. Questo qui era l’ex “Tram”, era un bar, in Mavromihali. L’ “A2” lo conosci, questo era il “Bar 25”, si trova all’angolo delle vie Mavromihali e Laskareos. Ecco, ecco che cosa volevo farti vedere.

Anna: Molto bello.

Salomi: Sì, lo è. Ecco cosa stavo cercando. Quando parlo di Exarchia all’Università, comincio sempre con questa diapositiva. E finisco appunto con questa.

Anna: Mi piace.

Salomi: Te lo manderò. Allora, ti manderò le foto, questo non so cos’è... uno studio. Cos’altro, non posso pensare a... sai, una vita intera… Vorrei scrivere qualcosa... Ah, del resto, vedi tanti negozi che a causa della crisi sono chiusi... fra un po’ sarà chiuso un negozio qui vicino, in Via Ippokratous, con diversi oggetti per la casa, è finito anche questo, dopo diciotto anni... E’ un peccato vedere delle persone che per tanti anni... erano qui e... professionisti, ci salutavamo... la città diventa più povera con perdite come questa. Però io non smetterò di lottare. Continuerò ad abitare in questa casa quanto posso, perché se anch’io me ne vado, chissà chi viene dopo di me, distruggerà questa casa. Cercherò di rimanere qui, fino al momento in cui capiranno alcuni che vale così com’è... e non rivestita con quella tendenza architettonica moderna, secondo la quale si lascia intatti i quattro muri e il resto lo distruggono...

394 lasciando che si perda la storia. Ho cercato di continuare a vivere qui, come altri ancora stanno facendo lo stesso, proteggendo altri edifici. Abbiamo fatto lotte e abbiamo vinto... siamo stati in tre... Di fronte a “Rex” c’è “Magestic”, un edificio che adesso è coperto, lascito dell’Università. L’ Università voleva che fosse aggiunto un piano di istallazioni meccaniche, voleva demolirlo da dentro e fare tutto quello che piaceva ai propri dirigenti... e l’abbiamo fermato. Siamo andati ai tribunali, alla fine alla Corte di Cassazione e abbiamo vinto, siamo riusciti a chiudere a chiave l’edificio. Proseguiamo con delle mobilitazioni di questo tipo per diversi edifici qui vicino, cercando di salvare... ma non ci sono soldi, non si va alla Corte di Cassazione senza avere soldi, ci vogliono avvocati, ci vogliono tante cose. Io spendevo i soldi dal mio lavoro. Devono essere trovate delle persone che vogliano dare soldi per scopi simili... guarda; adesso abbiamo una certa esperienza, sappiamo che si deve fare.

Anna: Qualcos’altro: abbiamo detto poco fa che ci sono molti senzatetto e molte case vuote. Però, quello che vedo è che in generale le case sono private. Non sono pubbliche. C’è stato alcun cambiamento in proposito, o era sempre così?

Salomi: Era sempre così.

Anna: Sempre private?

Salomi: Sempre. Naturalmente, ci sono state alcune occupazioni, nel passato, di edifici pubblici. Nella zona di Patissia per esempio, un’occupazione che dura fino ad oggi, l’edificio era lascito dell’Università. Edifici di questo tipo, ci sono. Ci sono state delle occupazioni in molte zone ancora, nella parte opposta della Via Patission, che adesso è finita, un edificio grande. Edifici pubblici, che possono essere occupati facilmente, ci sono. Certo che ce ne sono. A dirti la verità, non so chi è che impedisca le occupazioni. Immagina un compagno dell’Università che non ha una casa. Sono molti quelli che non hanno soldi, che difficilmente sbarcano il... ed essendo una volta presso l’Associazione degli Architetti, eravamo in tanti, gli ho detto: “Ragazzi, perché non occupiamo degli edifici della Camera di Tecnologia, o del TSMEDE? Portatemi la lista degli edifici appartenenti al TSMEDE o alla Camera, vediamo quali sono vuoti o semivuoti, vediamo anche in quale condizione si trovano e andiamo a occuparli; in una prima fase, potremo trasferire i nostri uffici là. E una volta entrati, potremmo far espandere e modificare la natura dell’occupazione. Così come vanno le cose, gli edifici saranno persi. Invece che si perdano, li occuperemo.” La reazione è stata: “Eh, ma non siamo...” il presidente del TSMEDE, “...non siamo in uno Stato comunista. Queste cose si fanno altrove.” Così mi hanno risposto. E io insistevo. Poi c’è stata un’altra proposta, riguardante il numero totale degli ingegneri che possiedono case al momento libere. Private, di loro proprietà. Bene. Invece che si affitti una casa appartenente a uno qualunque, perché non sopportare un amico, un compagno di lavoro? Affitterò la sua casa, pagherò le sue tasse, non quelle di un proprietario qualunque. Perché non aiutare l’uno l’altro? E non abbiamo fatto, neanche questo. Voglio dire che delle proposte, ci sono. Manca la volontà però. Ci vuole che qualcuno se ne occupi, perché ci sono dei problemi correnti, un esempio è la casa che hanno preso in affitto gli architetti, richiede delle

395 riparazioni e non ci sono soldi per queste riparazioni. Non dobbiamo fare qualcosa, per trovare i soldi richiesti? Altrimentri, l’edificio crollerà. Scrivimi qua la tua mail…

396 Intervista n° 5, Kostas Vasiropoulos

4 novembre 2013, ore 13.45

Ho conosciuto l’architetto Kostas Vasiropolos attraverso una comune amica che ha un negozio a Paros, dove passo le mie estati da quando sono piccola. È un uomo gioviale ed elegante, sulla sessantina. Mi ha raccontato che sua figlia, appena sposata, era un quei giorni in viaggio di nozze a Venezia, una città che ama molto nella quale si reca spesso per la biennale di architettura. Ha abitato a lungo ad Exarchia, ma ha passato gli anni dei suoi studi a Parigi. Prima di questa conversazione registrata c’eravamo già incontrati prima dell’estate. Questa volta come quella precedente ci siamo dati appuntamento al kafeneio di platia Plasira a Pagkrati. A pochi passi sia da casa sua che dalla mia vecchia casa in quel quartiere.

Kostas: Guarda ho tante cose storiche da raccontarti..guarda è arrivato il re ed è stata costruita la capitale, qui vedi il famoso triangolo. Tutti i servizi importanti quindi.

Anna: Il triangolo qual’è?

Kostas: Il “triangolo” sono Syntagma-Omonoia-Monastiraki. Per dirti, via Stadiou l'hanno chiamata Stadiou perchè finiva a Kalimarmaro. Se prendi via Stadiou arrivi dritta a Kalimarmaro- però all’epoca hanno deciso fare “il giardino del Re” e così si è fermato tutto lì. E poi Klenze e gli altri hanno fatto …

Anna: Quindi, c’era la strada da prima?

Kostas: L’unica cosa che già esisteva era Monastiraki, che era l’Agora (mercato) vecchia dei turchi. Atene era un paesino, contava trentamila abitanti, finchè non l’hanno nominata capitale. I bavaresi ed i tedeschi che erano qui hanno chiamato rinforzi per fare i disegni, e diventò neoclassica, c’erano tre assi: il potere, il mercato, e l’esercito, hanno tenuto Monastiraki, via Athinas esisteva già e hanno costruito la piazza Omonoia.

Anna: Sì Omonoia. Ma in che anno?

Kostas: nel 1850 è stato realizzato il centro. Il museo archeologico fu costruito in quell’anno, che però era fuori da centro città. Cioè da dove erano i palazzi pubblici e punti di riferimento. Quindi nel 1880… 1900 non erano state fatte le estensioni di Atene, ancora… era il principale disegno di città di Klenze. Che non è stato quasi realizzato. Perché i tedeschi stessi non l’hanno permesso. Sapevano qual era il disegno. Avevano comprato i migliori terreni per venderli dopo a guadagnarci sopra. Per di più i tedeschi hanno insegnato ai greci questo commercio, i greci all’epoca non ne erano al corrente. Questo è stato il nucleo, poi il parlamento, le Anaktora (Palazzo reale, ndr), e il museo nazionale. Piazza Omonoia era molto importante già all’epoca. I teatri sono andati lì.

Anna: Ho visto fotografie vecchie di Omonoia. Era pazzesca...

397 Kostas: E poi i grandi lavori che sono stati realizzati ad Atene erano le strade e i treni, la stazione Larissis, Pireus, il tram e gli ospedali. Gli ospedali sono stati finanziati da greci che vivevano all’estero, nei Balcani. Erano mercanti, Siggros, Eginitis, quelli che hanno fatto l’ospedale Eginitio. Cioè gli ospedali Singrou, Limodon, Evagelismos erano tutti costruiti lungo la sponda dell’Ilissos. Il fiume di Ilissos, dove oggi si trova via Michalopoulou- Vrachonisi. Pensa che fino al 1930 avanti a Kalimarmaro passava un fiume ed esisteva un ponticello. E gli ospedali venivano costruiti fuori città, che in Europa seguivano la “scuola francese” di tenere sotto controllo le malattie infettive, malaria eccetera, che all’epoca erano tantissime. Il grande boom è stato verso 1900 - 1920, e in questo periodo è stata fatta Neapoli. C'era il Politecnico, i quartieri migliori erano lì, è stata fatta l’estensione di Neapoli, ci sono andati in molti, e quelli che avevano soldi abitavano intorno il Politecnico e il museo archeologico. Così sono venuti fuori questi bei palazzi che sono rimasti. Che sono in art decò, un po’ Bauhaus, case bellissime.

Anna: è vero, ho visto. Però adesso non è una zona buona, vero? Perché ho trovato case bellissime che sono vuote, e altre che costano pochissimo.

Kostas: Dopo la catastrofe dell' Asia Minore c'e stato il grande cambiamento della città, perchè la gente che arrivava da fuori doveva abitare da qualche' parte. Ecco quando sono usciti i disegni per l’estensioni della città.. Patissia, Pagrati, Neos Kosmos ecc.

Anna: Quindi era la catastrofe dell’ Asia Minore che ha cambiato il disegno della città..

Kostas: Tanta gente è andata a vivere lontano, come nei quartieri periferici occidentali, Nikaia per esempio. Li hanno mandati lì per poterli controllare e non averli nella città. Gli inglesi hanno sempre avuto una politica di raggruppamento per poter controllare, i francesi hanno sempre avuto i ghetti... Exarchia dal punto di vista della pianificazione urbana non si controlla, come succede con altre parti della città, è perchè il sistema politico ha permesso che Exarchia può essere così.

Anna: Perché?

Kostas: Il perchè non lo so

Anna: Ma era sempre così, vero?

Kostas: Non sempre così tanto. Da sempre è stato un quartiere con studenti, professori.. da sempre, a causa del Politecnico. Simbolicamente. La mitologia è simbolica, come dici tu. E come vedi anche il Politecnico non è più dove era..

Anna: anche questo è simbolico..

Kostas: è andato su (a Zografou, ndr). Kesalis ha fatto spostare anche la scuola delle belle arti vicino al fiume....ed è rimasta così questa cosa, questa situazione..

398 Sai quando sono andato io in Francia, nel maggio 1968, lo stato siccome era centralizzato voleva controllare il centro e tutto il resto che si trovava attorno al centro. Avevano una direzione centrale delle università e dopo il maggio del '68 ogni scuola aveva fatto la sua piccola “guerra” e così hanno raccolto tutti i anarchici, comunisti in un università fuori Parigi. Hanno investito soldi per fare un ghetto per potere controllarli. Qui invece non è successo niente di tutto ciò, tutto è stato lasciato così senza regole.

Anna: Quindi tu dici che in qualche modo non vogliono controllare Exarchia?

Kostas: Vuoto di potere dico io. Non posso capire il perchè ma non c è mai stata la volontà di controllare Exarchia! E siccome in Grecia è sempre esistito lo stato e il parastato, erano molto sicuri di questo, e così hanno lasciato dicendo: qualsiasi cosa facciano loro comunque saranno controllati dai nostri. La questura di Kallindromiou e di Omonoia era sempre piena di parastatali. Erano molto sicuri del potere che avevano come parastato, per questo hanno lasciato la situazione così. Pensavano: qualsiasi cosa facciano noi sappiamo chi sono.

Anna: è molto interessante questa cosa del parastato, perché non c’è simile da qualche altra parte.

Kostas: C’era in Italia.

Anna: Si, però erano perlopiù i fascisti.

Kostas: E mafia.

Anna: Ma la mafia è una cosa diversa, pensa in Italia è molto più vecchia dello stato stesso.

Kostas: Si, è più vecchia, in Italia, e ha sempre avuto una rappresentanza nello stato. La rappresentanza è una procedura democratica. Qui invece è successo che lo stato ad un certo punto è diventa la mafia. Per esempio era la struttura dello stato che era parastatale. Per esempio, una cosa nota, di cui parlano mille persone è che quando il vecchio Karamanlis con i brogli elettorali e le violenze, nel 1963, 65, il periodo degli “Iouliana”, si è scontrato con il Re… allora per potersi opporre Karamanlis, ha fatto il suo stato nello stato!

Anna: Karamanlis..

Kostas: Si, Karamanlis perchè c’era il parastato già prima della guerra. Il Re ha sempre avuto il suo parastato, ma Karamanlis non lo aveva, e allora lo ha costruito anche lui. Sai, si dice che tante volte non bastava questa forza e usava l’aiuto del KKE.

Anna: Karamanlis??

Kostas: Certo. La sicurezza in molti cortei era del KKE. Questi sono fatti, è dimostrato. Hai capito.. il parastato è cominciato con la ditattura, erano gli uomini di Metaxas

399

Anna: Quindi, al inizio erano gli uomini di Metaxas.

Kostas: Sì, all’inizio. Dopo però la struttura base era dei tedeschi. Quando sono venuti i tedeschi.

Anna: I tedeschi hanno dato parti della città ad alcune famiglie? Come funzionava?

Kostas: Esatto. I tedeschi in ogni paese che occupavano.. le SS per esempio avevano sviluppato una strategia… trovavano un “mafioso” locale, piccolo, un ladro (lopoditis) e collaboravano con loro… questo è successo in Francia, lo so per certo, e in Grecia. Lo so molto bene questo. Hanno trovato le loro persone.. hanno trovato alcuni cittadini e hanno fatto un accordo con loro. Ti facciamo capo noi, basta che hai cura di noi. E siccome non bastava il loro esercito volevano una base sociale per cavarsela. Quando i tedeschi sono andati via, gli altri sono rimasti.

Anna: Forse è per questo che a Exarchia non è successo qualcosa di simile? Perché c’erano dei partigiani, i partiti comunisti, eccetera...?

Kostas: Può essere. Questi cicli c’erano dove vivevano militari e dove c’erano interessi molto importanti. Ad Atene questo era a Metaxourgeio. Perché lì c’era tutta la vita, i teatri, c’era la stazione del treno. Tutti i militari e le cose che si usano nell’esercito erano stati trasferiti da lì e le controllavano i tedeschi. E hanno trovato alleati greci da lì, da Metaxourgeio, piazza Vathis, Agio Pavlo e hanno fatto nucleo lì. E questa era la mafia. Si chiamava “vecchia mafia”, i famosi “capellani”. La mafia di Atene. E al Pireo è stato fatto accanto al porto, dove è stata fatto il Trouba. Hai capito… c’erano di nuovo tedeschi. Adesso che ci penso erano i due quartieri con i teatri più grandi. Il teatro nazionale e al Pireo quell’altro, che hanno costruito.. perché gli piaceva uscire.. erano militari, volevano donne. Li proteggevano loro, ed avevano sviluppato anche interessi economici.. con persone che collaboravano con loro. E quando sono andati via i tedeschi, loro sono rimasti.. e ancora oggi, come allora, sono ricchi.. c’è una continuazione.. l’illegalità però l’ha fermata la dittatura nel ’67.

Anna: Che cosa?

Kostas: La dittatura ha distrutto tutta la mafia che c’era nel centro di Atene.

Anna: Ah, si?

Kostas: L’hanno distrutta, perché non potevano accettare.. e poi se n’è formata un’altra, in posti diversi, ad esempio alla Plaka.. cioè negli anni della dittatura tutti quelli che si cercavano, cioè noi, musicisti, tutti questi erano alla Plaka. I primi bar, gli anarchici, andavano alla Plaka.

Anna: Perché?

400 Kostas: Credo perché era vicino Syntagma. Cioè gli stranieri che venivano per fare vacanze.. c’era uno dei primi bar con musica rock live. Il primissimo, dove suonavano musicisti in tour, era il “Trip” alla Plaka, se l’hai mai sentito…

Anna: No, dove era?

Kostas: In via Tholou… immagina che noi dal Politecnico avevamo una comune, dove vivevamo per dire, ad Anafiotika nella Plaka. I miei amici erano musicisti e avevano trovato lì. In Plaka erano concentrati tutti gli stranieri, nel resto di Atene non c’era niente. Solo a Fokionos Negri ce n’erano. Patissia, Fokionos Negri e Kolonaki. Kolonaki in seguito.

Anna: Perché hai detto che nuova mafia è venuta alla Plaka?

Kostas: Guarda, in quel periodo, il giro (diakinisi, ndr) di droga, di donne, di uomini, lo controllava tutto una famiglia. Ed era tutto lì, alla stazione del treno “Larissis”. È cominciata la dittatura e nel ’69… era stato fatto ministro... lo so perché era anche il mio quartiere.. di nome Apostolatos, ministro di ordine pubblico, un militare, ha detto che entro una notte doveva essere chiuso il “Truba” al Pireo e anche l’“Hawai” che si trovava sotto il teatro “Perokè”, se hai presente, si trovava dove ora c’è un grande albergo, in piazza Deligianni…

Anna: Ok..

Kostas: Così ha detto “chiudere”. Li hanno arrestati tutti... condannati… sai.. era dittatura. E direttamente dopo, i nuovi mercati di droga, di donne eccetera si sono dispersi, e così tutto si è trasferito alla Plaka.. sono stati fatti nuovi bar lì, buàt (locali grechi dove si suonava rebetika, ma un po’ più eleganti di un rebetadiko, ndr) ...cioè durante tutta la dittatura e fino all’83, i buàt e i club di categoria medioalta che sono stati aperti erano tutti alla Plaka.. anche a Glifada e al Pireus dove si trovava“ta maniatika”.

Anna: Alla Plaka?

Kostas: Al Pireo. Erano i “maniates” che venivano da Mani che fin oggi controllano il Pireo. Sai, come Sicilia..

Anna: Sì

Kostas: La stessa cosa, un altro paese. (Il Pireo, ndr) Non non centra con Atene, e non sono mai stati collegati. E neanche oggi.

Anna: Altro posto, sì.

Kostas: Però, se hai letto delle analisi politiche lo sai anche tu, che Atene oggi si divide nei quartieri occidentali e i quartieri di qui.. questa è una divisione fatta con la guerra civile. E che a livello di città queste cose hanno un peso. Dove vanno i bar il lifestyle...

401

Anna: Sì.

Kostas: Il giornale “Nitro”, tempo fa, che faceva le analisi del comportamento, cioè che locali si frequentavano.. sai, (faceva analisi sui, ndr) comportamenti culturali che risultavano dai consumi della città. Che locali, quanto cari sono, chi li frequenta, come.. nella città contemporanea. Questa contraddizione tra quartieri del nord e centro, quartieri proletari e quartieri dei ricchi, è diventata ancora più forte ed anche di classe.

Anna: Dopo la guerra civile questo.

Kostas: Sì dopo.

Anna: Come è avvenuto?

Kostas: Perché ogni attività nella città si appoggia da qualche parte e prende forma dagli spazi urbani, come dici tu “spatialization” ..questo prende una forma, e in questo senso anche Exarchia ha preso la forma che ha preso. Cioè non è una, sono molte. Mitologica, economica, simbolica, sociale, politica e mille altre. Come succede in ogni città, ed è qualcosa di vivo.

Anna: Lo è, però ad esempio lì è più forte che da altre parti. Non so perché.

Kostas: Penso per questa ragione. Cioè, c’è vuoto di potere, un vuoto politico.. politico. Perché le funzioni delle istituzioni… per esempio la pianificazione urbana non funziona, la tassazione non funziona, la polizia non funziona, per dire che un’istituzione lavora… sai, arriva in una zona e va avanti, non la devi sempre controllare. Prende una direzione e va avanti. Ad esempio a New York, che sono gli Anglosassoni che l’hanno applicata questa come forma di gestione, pensavano “abbiamo un problema, che facciamo?”. E prendevano sempre una posizione dal momento che c’ era un problema. New York aveva grossi… però hanno dei meccanismi e delle istituzioni.. che vedi una quartiere con grattacielo 40 piani, poi vedi una strada, poi finisce e vedi case vecchie da 100 anni, ma decidono di buttare giù entro 2 anni le case vecchie le fanno nuove. Che hanno fatto a N.Y.? Se ne usciva il sindaco, bisognava raccogliere delle immondizie, portare acqua, elettricità, gas, polizia, aveva una città enorme, 10 milioni di persone. Non avevano tanti soldi. Perché gli altri erano disoccupati, delinquenti, neri, portoricani. E dice: “Questo pezzo della città lo lasciamo crollare”, ma lo faceva coscientemente. Cadevano i prezzi e ad un certo punto qualcuno, un consorzio di banche, di acquirenti, veniva, lo comprava, e lo metteva a posto entro 2 anni. Capito? Era un metodo di gestione. Che ormai lo fanno in tutta l’Europa, in tutto il mondo. Perché le città crescono in modo pauroso. Io ho fatto 2 volte relazioni urbanistiche per il comune di Atene su questo tema.. il comune ha 44 indirizzi, capisci cosa vuol dire? Il sindaco deve dirigere 44 mini-ministri e mini- direttori. Ad esempio per quanto riguarda il verde, non c’è un’indirizzo per il verde, ce ne sono due. E litigano tra di loro, e il sindaco non può cancellarli e farli uno.

402

Anna: Sì, ho capito.

Kostas: E questo sistema miserabile che c’è in Grecia. Secondo me, a Exarchia è successo una cosa così, successa anche in altri posti. Ad esempio il Metaxurgeio era un quartiere.. era centro città fin al 1925.. era urbano al momento che non c'era Kipseli ad esempio. Kerameikos, Metaxourgeio, via Pireos.. che via Pireos era l’asse industriale.

Anna: Che cosa era?

Kostas: Asse industriale.

Anna: Ok.

Kostas: Tutte le industrie si trovavano su via Pireos. Ed anche i centri grandi dell’esercito, le caserme, perché controllava il porto.

Anna: Certo.

Kostas: Via Pireos è ed è sempre stata una via importante. Quindi Metaxourgeio, Kerameikos si trovavano lì di fianco. E i primi comandanti della rivoluzione del 1821 hanno insistito per andare a vivere là. Lì, e vicino all’Akropoli, in via Makrigianni...ecco perchè si chiama Makrigianni (dal nome di uno degli eroi della rivoluzione del ’21, ndr) la via… capito.. la vecchia Atene allora era quella.

Anna: Metaxourgeio..

Kostas: Metaxourgeio, Monastiraki fino a via Pireos

Anna: Keramikos, Gazi per dire..

Kostas: Gazi era zona industriale... Metaxourgeio porta il suo nome dall’industria della seta, “metaxi”.

Anna: Eh, sì!

Kostas: La prima grande fabbrica. Ed anche nella Pireos facevano tessuti.. per l’esercito.. la maggioranza erano per l’esercito… e che ti volevo dire dell’esercito? Ahh, sì, questi comandanti che vivevano lì, in via Megalou Alexandrou, Keramikou, Kolokintous, Milerou.

Anna: Sì sì, lì..

Kostas: Questi non sapevano fare qualcosa, non sapevano fare qualche lavoro (di ristrutturazione, ndr). Avevano case e non hanno fatto niente, molte sono rimaste

403 così da allora. Così sono andati via.. i loro figli, che facevano molti figli, litigavano tra di loro… perciò a Metaxourgeio non sono stati costruiti edifici alti.

Anna: Non sono stati costruiti che cosa?

Kostas: Edifici. E neanche a Psiri. Perché c’erano molti eredi e litigavano tra di loro, non volevano fare nulla, hai capito? ed è rimasto così. C’erano anche i monumenti antichi vicino, e l’ente per la protezione dei monumenti ha vietato la costruzione. In questo punto è andata la mafia. Sono andati via loro ed è arrivata la mafia. Ha preso il posto e sta ancora lì.. i cinesi adesso.. a Gazi hanno sempre vissuto le minoranze, intorno lì.. cioè è sempre stata una parte di centro abbandonata. Contro i turchi lo stato greco aveva una strategia, ma per gli anarchici non esisteva una cosa simile. Probabilmente è quello che ti dicevo, che era insieme il parastato.. probabilmente, non lo so, è una questione..

Anna: Perché tu dici che con la mafia era più facile avere relazioni (per lo stato, ndr).. che questo non esisteva a Exarchia perchè era già uno luogo politico..

Kostas: Certo, era un luogo politico.. e ti posso trovare.. ti ho presentato il mio amico Kostas Aggelidakis che ha vissuto per anni ad Exarchia?

Anna: No.

Kostas: Ah, te lo devo far conoscere.

Anna: Ho conosciuto solo Salomi.

Kostas: Salomi, ok. Però Kostas, che ha dei dati incredibili e segue le elezioni, ci può dire cose.

Anna: Sì.

Kostas: Lui ha un’idea politica di Exarcheia, precisa, con dati.

Anna: E’ questo che mi interessa.

Kostas: Lui deve avere cose, lo posso contattare. Abita qui vicino.. allora, tu vuoi bere ancora qualcosa?

Anna: Ah, no.

Kostas: Io vorrei bere ancora un bicchiere... Ho capito, vuoi capire qual è l’evoluzione politica di questo luogo.

Anna: Naturalmente, mi interessa anche molto il resto dello spazio urbano perché è da lì che è venuto fuori.. è stato creato un certo contesto.

404 Kostas: Guarda innanzitutto resta la zona più vivace di tutta Atene

Anna: Exarchia. Eh, sì!

Kostas: La più interessante diciamo, come produzione di idee e stile di vita. Sai che cosa è interessante? ...mi vengono delle idee. La via Ipokratous era sempre il limite tra Exarchia e Kolonaki. Là si trova una caffetteria Korais... ma bevi anche tu qualcosa..

Anna: E cosa prendo!? Non lo so! Ci penso.

Kostas: Questa caffetteria c’era dal 1971-’72, allora era una caffetteria molto moderna.. come era all’inizio così è rimasta, e lo so di sicuro perchè la frequento spesso. Ho degli amici che la frequentano, è un ritrovo di avvocati, e giornalisti, e letterati ...e fanno anche delle serate filosofiche.

Anna; Ahh, molto bello.

Kostas: Ogni Martedì. Da allora!

Anna: In via Themistokleous?

Kostas: tra via Ipokratous e Didotou. Allora là in quella caffetteria finiva l’area di Exarchia.. sai non esattamente secondo i confini della cartina geografica di Atene. Ma da là in su c’era un vuoto fino Agio Dionisio. E dopo iniziava Kolonaki..in base alla concezione comune.. Dopo pian piano hanno iniziato a mettere qualche bar, negli anni ‘90 su via Skoufà, e questo vuoto si è assottigliato...

Anna: Prima c’era un vuoto..?

Kostas: C’era una divisione chiara, e adesso Kolonaki ed Exarchia sono collegati.

Anna: Dopo la via Charilaou Trikoupi si vede che cambia tutto comunque...

Kostas: E sono stati collegati. Tutte quelle strade verticali, Ipokratous e le strade di Neapoli.. Asklipiou, Ippokratous, Charilaou Trikoupi, Themistokleous, tutte queste strade verticali erano una zona residenziale

Anna: una zona grigia come dire..

Kostas: Sì, era residenziale. E andavano o verso Exarchia, al Politecnico, o su verso Kolonaki, oppure verso i Tribunali.. molti avvocati. Mio padre è stato un chimico. Da studente abitava in via Themistokleous, negli anni '30 la maggior parte dei studenti abitava là. Se guardi la cartina, c’erano tutte le facolà là raggruppate…

Anna: Sì, giusto quello che dici.. perché Mavromichali, per dire è ancora Exarchia…ma già Asklipiou non si può più dire che lo sia...

405 Kostas: è Exarchia, certo, lo è. Lì la zona si chiama Agios Nikolaos -Pefkakia, dove si trova il Licabetto... là non abitava nessuno, anni fa non ci viveva nessuno perchè dicevano che c’erano vibrazioni negative, e cose del genere.. Pensa che lì abitava un fabbro ed era un mostro (o fobos kai tromos, ndr) per gli abitanti, ma parliamo di tanti anni fa… E da sempre, sul Licabetto non viveva la gente, anche gli antichi greci non abitavano attorno a Licabetto. E anche io un periodo che ho abitato lì, ti posso garantire che non è una buona posizione…

Anna: Davvero??

Kostas: Non ha un buon.. non ha energia positiva e in più non ha un bell’orientamento. Una parte sola ha un buon orientamento, dietro, verso Evangelismos, lì sì è bello.

Anna: Dall’altra parte ancora? No?

Kostas: Dall’altra parte, verso lo stadio del Panatinaikos diciamo, è bello! Ha un buon orientamento, l’altra parte assolutamente no. Te lo dico perché ci ho vissuto! Cambio discorso, sai cosa mi viene in mente ora, che la zona di Exarchia aveva un terreno ottimo e si poteva costruire con sicurezza, mentre in altre zone di Atene non era lo stesso… Ad Exarchia il terreno era di pietra. Ed è uno dei motivi per cui le case lì hanno tenuto durante i terremoti. Ci sono stati 2 grandi paurosi terremoti, Exarchia ha subito danni, ma non così gravi…

Anna: In che anni?

Kostas: 1981 il primo e poi nel 1999, l’ultimo. Nel secondo si è spaccato tutto!

Anna: A Exarchia?

Kostas: Sì. Dappertutto, sono andato a vedere diverse case. Hanno subito danni gravi perché erano vecchi stabili, rinnovati, per mettere robe che prima non c’erano…questi sono crollati, tutte costruzioni fatte senza uno studio.

Anna: E quindi è perché c’è pietra che non subisce gravi danni con i terremoti…

Kostas: Sì e a parte il terreno roccioso, c'è anche un fiume sotterraneo che inizia dallo Strefi, va fino al politecnico, poi verso Marnis… Marnis è un fiume… che passa così e va a finire nel Kifissos. Anche su via Alexandras c'erano ruscelli, perché via Alexandras era tutta coltivata, Ampelokipoi come si chiamavano erano dei campi.

Anna: Tutto là intorno lo era, no? La zona di Gizi…

Kostas: Sì! Campi e cave sui colli, da cui hanno preso le pietre per costruire la città di Atene. Quando hanno costruito Atene, servivano materiali… E da dove li hanno presi per prima cosa? Dai resti antichi! Prendevano i marmi per fare gli edifici, e ad un certo

406 punto il Re ha detto stop... solo dopo hanno fatto le cave... Tourkowunia, Akropoli… allora nel ‘50, 1895…hanno cominciato a scavare e prendere le pietre dal Licabetto e hanno costruito la Neapoli, Dopo il Re ha detto stop alle cave sul Licabetto, ed è allora che è stato costruito Gizi, Tourkowunia, Galatsi, qua a Vironas che c’è il teatro Braxon...erano tutte cave. Atene aveva, prima della seconda guerra, 400-500 mila abitanti e 100 anni prima, prima della disfatta dell’Asia Minore, non ne aveva neanche 30 mila. Patrasso e Salonicco erano città più grandi di Atene in quei anni, Atene è una nuova città… credo sia un tema interessante, il tuo.. molto interessante. Più penso e più lo trovo interessante...

Anna: Sì, perché mi sembra che Exarchia sia… uno spazio chiuso… non solo politicamente, intendo, penso che il territorio abbia influito…

Kostas: Sì, è una zona chiusa… non solo per motivi politici ma anche per motivi strutturali, è rimasta un cerchio chiuso come dici tu. C’è il centro e poi verso Patission cambia tutto, è diverso ed è sempre stato diverso. Su via Alexandras c’è montagna. C’è uno storico, devi comprarti suo libro, ha scritto delle epoche passate dei quartieri di Atene, e ha scritto anche su Exarchia, lo devi trovare..

Anna: Ti ricordi il nome, o l’editore…?

Kostas: Ti troverò il nome e te lo dirò… Ho i suoi libri su Kolonos, su Psiri… Di Exarchia non ce l’ho. Però scrive delle storie di altri tempi ed è molto bello. Conosci il libro su Atene di Biri? Questo è il migliore! ...Guarda ti do tutto io, passiamo da casa mia e avrai tutto. Chiamo anche Angelidakis, sicuramente ti potrà dire delle cose.

Anna: Lui di cosa si occupa, è architetto anche lui?

Kostas: Sì, è mio miglior amico, era con me a Parigi.

(lo chiama al telefono e intanto parla con me…)

È venuto a vivere qui 5 anni fa, prima abitava in piazza Exarchia..

(Risponde: gli chiede dove è..cosa fa..cosa fa dopo e se può incontrarsi con me più tardi)

Andiamo verso il suo studio, a casa sua, e poi a mangiare in una taverna vicina e chiacchieriamo di Exarchia e del politecnico, di quando negli anni ’80 (1985) fu occupato durante le rivolte in seguito all’omicidio da parte di un poliziotto di un ragazzo di 15 anni, Mixalis Kaltezas, appartenente all’area anarchica, durante le manifestazioni per l’anniversario della rivolta del politecnico del 73.

Kostas: Quando entri nella porta del politecnico, che oggi non si può più, era il rettorato a destra, a sinistra si trovava la scuola delle belle arti…

407 Anna: Mmm.. allora, entrando da Sturnari…

Kostas: No, entri dalla Patission!

Anna: Ah l’entrata sotto! Ok!

Kostas: Ti faccio un disegno...qui era il rettorato e la biblioteca, qui era la scuola delle belle arti, architettura, la portineria, qui l'altra entrata dalla parte della Via Stournari e qui lo stabile Averof. E guarda qua, questa era la biblioteca che era l'archivio della scuola. Bruciata! Tutto questo ha bruciato per 5 giorni,

Anna: Ma quando è successo?!

Kostas: nell' 1980…, ma non so esattamente, la troverai la data esatta. Capisci però che è stato bruciato tutto l’archivio della scuola. Tutti i lavori, i documenti, raccolte, le donazioni..tutto..proprio tutto è stato bruciato, una situazione paurosa.

Anna: Ma come è successo??

Kostas: Eh, c’era stata un’occupazione e durante questa è stato appiccato l’incendio.

Anna: Ah, ma era l’anno di Kaltezas!?

Kostas: Sì, l’anno di Kaltezas. Mi pare, ma non sono sicuro.. forse un giornalista potrebbe avere queste informazioni, vedi? Io non mi ricordo esattamente.. Comunque, è bruciato tutto e per me è stata una grande catastofe , enorme.. perchè sono stati bruciati documenti molto importanti, quindi parliamo di una catastrofe nel vero senso della parola, non esiste una migliore descrizione. Gli antichi greci dicevano:loimos- sismos-katapontismos...e fuoco....il fuoco spegne tutto! Se vedi le grandi tragedie, anche qualche tempo fa che sono bruciate le persone nella banca… c’è sempre il fuoco di mezzo! E dopo tutto questo la scuola si è trasferita a Zografou… Comunque la scuola ha preso fuoco più volte, ma quest'ultima è stata la definitiva. Guarda hanno bruciato questo stabile, non hanno bruciato però lo stabile di Averof, che è nuovo, hanno bruciato proprio quell’edificio lì.

408 Intervista n° 6, Kostas Aggelidakis

12 novembre 2013, ore 15.30

Il contatto di Kostas Aggelidakis me l’ha dato Kostas Vasiropoulos. Sono amici, oltre che colleghi architetti, e hanno studiato insieme urbanistica a Parigi, dove hanno vissuto il Maggio francese. Ci diamo un appuntamento nel suo studio per telefono, dal cellulare di Kostas Vasiropoulos che lo chiama durante un nostro incontro nel suo studio e me lo passa. A differenza di Kostas Vasiropoulos, che è un po’ sopra le righe, Kostas Aggelidakis è un uomo dall’aspetto più riservato, minuto e calvo. Ha un sorriso caloroso e gentile. Mi fa accomodare a un grande tavolo quadrato nel suo studio di Pagkrati all’ultimo piano di un palazzo su via Imittu, da cui si gode una fantastica vista su tutta la città, acropoli compresa che, con la luce del pomeriggio, è incredibilmente bella. Mi offre del caffè greco che, anche se non mi piace affatto, accetto e sorseggio in sua compagnia.

Anna: Vorrei che mi parlassi di Exarchia, mi ha detto Kostas che ci hai vissuto anche tu per parecchio tempo…

Kostas: la cosa che per me era molto piacevole era che ci fossero molti giovani e c’erano anche servizi adatti per questo, per esempio negozi, stekia, negozi che avevano dei prodotti inusuali, poi c’erano negozi di dischi che non ci sono più da nessun altra parte. Poi c’erano case editrici, e ovviamente locali dove si poteva mangiare, bar eccetera. E comunque con tutto questo noi avevamo già contatti anche durante il periodo della dittatura e del Poilitecnio, quel periodo però era una zona molto tranquilla, cosi direi, e comunque quel periodo io non andavo da quelle parti.

Anna: E come mai hai poi cominciato ad andare? Negli anni novanta….?

Kostas: Dopo?

Anna : sì

Kostas: Perché avevo vissuto a Parigi, avevo bisogno di questo tipo di cose qua, perché anche lì frequentavo il centro di Parigi… ti piace il caffè?

Anna: Oh sì è buono, grazie!

Kostas: Lo vedo come uno dei pochi quartieri che rappresenta ciò che chiamiamo la metropoli, uno spazio centrale ed urbano, però con il significato che ha questo per le città europee, che hanno spazi per tutti gli usi, anche per usi inusuali che non avvengono in altre città ma neanche in altri quartieri di Atene. Per esempio un negozio che produce, per dire, solo prodotti di… che ne so, prodotti di cauciù, per esempio borse, di un designer, queste cose particolari riempiono il mio giro, lì andrò a comprare, e mi riferisco anche a questi, e una cosa che mi piace ed è rilassante perché rappresenta il quartiere ed è molto vivace tutto questo….

409 Anna: sì, sì capisco… è molto vivace!

Kostas: Inoltre in passato quando non c’erano ancora questo tipo di cose, era un quartiere residenziale e per questo gli abitanti erano borghesi, al di là degli studenti che venivano dalla provincia. In particolare quelli che io conoscevo, gli studenti del Politecnico, non abitavano necessariamente ad Exarchia o a Neapoli, anzi il maggior numero abitava verso Kipseli, parlo di quelli che venivano dalla provincia, non da Atene, all’epoca erano belle zone. Ad un certo punto verso gli anni ‘80 gli abitanti hanno cominciato spostarsi dal centro, dai quartieri centrali come Kipseli, Pagrati, Ampelokipoi, ai quartieri più lontani dal centro. Questo spostamento è cominciato dagli anni ‘80 ed è continuato con un ritmo più intenso gli anni ‘90. In questo modo si è svuotato dagli abitanti il centro e si prestava per usi diversi, in questo modo un quartiere come Exarchia ha attirato anche persone come me. Adesso quello che io ho fatto ad Exarchia dieci anni fa lo farei in zone come Metaxurghio , lì dove adesso si creano nuovi usi. Un’altra cosa, già prima ad Exarchia c’erano anche tanti cinema, soprattutto cinema all’aperto, era una cosa che attirava la gente , mi ricordo che andavamo ad Exarchia proprio perché andavamo al cinema..

Anna: Sì c’è quello che sulla via Valtetsiou…..

Kostas: Sì, poi il Vox che è sulla piazza,e più su a Zoodohou Pighis è il Kramer…..

Anna: Ah, giusto!

Kostas: Questi sono i cinema più famosi.

Anna: un centro culturale, quindi…..

Kostas: Sì, contemporaneamente al fatto che erano apparsi anche degli spazi che non erano solo dei bar ma anche qualcos’altro ….

Anna: degli stekia, diciamo…..

Kostas: sì degli stekia…. Io per esempio, da casa mia che era sulla piazza per esempio vedevo spesso… facevano delle proiezioni su un muro bianco della terrazza.. non so se c’è ancora…era alla fine di via Solomou ed inizio Metaxa…

Anna: …A Nosotros…

Kostas: no, non Nosotros, dov’è il Diplo cafè… Lì davanti. Si era formato un collettivo artistico

Anna: in via Metaxa quindi….?

Kostas: Sì sì, Metaxa. Quell’edificio a due piani... non mi ricordo bene, perché ad un certo punto ho cominciato a non frequentare tanto Exarchia, ci vado solo per mangiare a

410 questi nuovi ristoranti che erano aperti e costavano poco, e mi piacevano molto con tutta questa gente giovane…che però aprono e chiudono in continuazione, eh…

Anna: sì è vero, lo fanno in continuazione….

Kostas: già all’epoca penso che ci fosse… “Rosalia”? Doveva esserci “Rosalia”… Poi “o kir- yiannis” e un'altra taverna in Mirantopoulou, poi più recentemente hanno cominciato anche su via Benaki, con luoghi che aprivano e chiudevano in continuazione...

Anna: sì, aprono e chiudono spesso su via Benaki, quasi ogni due anni….Mi interessa molto il punto di vista politico politica che rappresenta questa zona e come è cambiata negli anni la zona urbana…

Kostas: Quali sono gli elementi che stai cercando….da quale punto di vista….?

Anna.: per la parte politica della ricerca che faccio comincio dal Politecnico…..

Kostas: stiamo parlando ancora quindi dei vecchi abitanti di Exarchia…

Anna: sì giusto, è un cambiamento sociale anche questo… perché anche da dopo il Dicembre del 2008, anche Exarchia è cambiata.

Kostas: sì, giusto!

Anna: Perché tutta la parte creativa che non c’è più ad Exarchia si è spostata a Petralona….

Kostas: Giusto…..

Anna: vorrei capire proprio all’interno di questo cambiamento politico di Exarchia come è cambiato …

Kostas: Intendo, quale è il tuo metodo, oltre ad incontrare persone e sentire delle opinioni , hai dei settori che ti interessano in modo particolare e cerchi degli elementi precisi, elementi quantitativi, o delle descrizioni.

Anna : Questa è la parte più storica che poi si intreccerà coi cambiamenti urbani, quello che faccio soprattutto è parlare con la gente che era lì in quelli anni. Per esempio qualche giorno fa ho parlato con un mio amico, il quale mi ha riferito che il 2006/07 ad Exarchia era un periodo di grande repressione e c’erano i poliziotti molto vicini allo spazio centrale di Exarchia non come adesso che sono abbastanza lontano dalle zone centrali. Praticamente all’epoca c’erano, dove c’è il bar Kazan e in via Koleti, era pieno di poliziotti e chiudevano tanti bar. Questo per una zona come Exarchia è politicamente molto importante.

Kostas: A proposito di questo ho da dire che la polizia controllava la piazza di Exarchia per tutto il periodo che io ero lì, praticamente dagli anni 90. Quindi molto prima, e c’erano dei punti di ritrovo ben precisi e i poliziotti passavano tutto il giorno lì, in

411 borghese ovviamente. Precisamente nella parte in alto della via Sturnari prima di arrivare alla piazza sulla destra accanto a un negozio “Grigoris” che forse c’è ancora,…

Anna: sì c’è.

Kostas: lì al primo piano dove c’era un tabaccaio, la gente che si fermava intorno a quel negozietto erano tutti poliziotti in borghese….i quali controllavano la zona. Per quanto riguarda la questione “droga” non so cosa succedeva, ma so che controllavano, e per avere informazioni ricattavano dei piccoli spacciatori e drogati, tramite questo canale venivano a sapere varie cose. Questo succedeva ovviamente dopo, perché per esempio gli anni 70 che c’era ancora la dittatura, ad Exarchia c’erano ancora i vecchi abitanti, i borghesi e naturalmente persone che frequentavano le case editrici , scrittori, artisti soprattutto scrittori che si esprimevano in questo spazio e i quali si ritengono loro stessi Exarchiotes, abitanti del quartiere. Però è dagli anni Ottanta che sono cominciati i cambiamenti, perché come ti ho già detto hanno cominciato ad andare via. Ed è cominciato il problema con la droga perchè sono subentrati nella zona nuovi strati sociali, questi soggetti ovviamente vengono piazzati ogni volta in zone diverse, gli mandano via da una zona, che viene ripulita da questi personaggi e loro si spostano in una altra zona in gruppo. Quindi nel periodo degli anni ’90 c’era una massiccia presenza di forze dell’ordine, poi con la ricorrenenza dell’anniversario del Politecnico cominciavano le occupazioni e si espandevano gli scontri in tutta la zona dietro al Politecnico, e il posto di polizia sulla via Kallidromiou diventava il punto di riferimento per i vari gruppi che si radunavano nei caffè della piazza, e nella parte sopra di via Sturnari , nei caffè che arrivavano all’altezza del cinema Vox, e nei caffè che sono sulle viuzze, per esempio quella di Tsamadou., Lì si radunavano e decidevano cosa fare, come attaccare il posto di polizia come procedere ecc. Queste cose quindi si facevano da allora. Quello che è cambiato dal 2008 è , e qui forse possiamo parlare insieme anche con Kostas, ad Atene è avvenuto un cambio di proprietà sostanzioso , la zona di Omonoia e fino alla piazza Klavthmonos, a Patissia ecc., ai nuovi proprietari non interessa usare in modo costruttivo queste proprietà, non le sfruttano, isolati interi rimangono vuoti, vedi per esempio gli edifici all’inizio di via Stadiou che rimangono chiusi, al massimo in qualche caso apre qualche catena di negozi al piano terra per un periodo e dopo chiude. Spesso sono dei bellissimi edifici e li vogliono buttare giù….

Anna: Si è vero dei bellissimi edifici…

Kostas: …quello che è successo recentemente, il fatto che hanno dato fuoco a questi edifici concorre proprio a questo progetto. Come saprai anche da ciò che si sa dall’Italia questo paese è molto vulnerabile. Anche tutti questi ragazzi che partecipano alle manifestazioni e alle proteste possono essere in certe occasioni manovrati a fare certe azioni che magari servono a certe lobby economici. Ultimamente siccome questo spazio politico è più aperto è diventato anche più vulnerabile.

412 Anna: Si, è vero quando ero qui fino il 2009 avevo conosciuto tantissima gente, e adesso quando sono ritornata ho visto che stanno cercando di chiudersi in se stessi, non vogliono altra gente.

Kostas: Si, è vero perché aprendosi sono entrati nel movimento anche quelli che erano manovrati, e questo costituiva un pericolo per loro stessi. E’ cambiato anche l’uso quindi degli spazi, la distruzione di via Sturnari, che per esempio era la via dei negozi di tecnologia digitale, diciamo pure…quindi tutti i negozi della via avevano apparecchi, sistemi etc., tutto questo è stato distrutto in modo ben organizzato non so ovviamente come è stato organizzato. Per capire però l’evoluzione della situazione a Exarchia….. è un caso a parte, ed è molto difficile che non si intromettano in modo organizzato gli interessi, e i vari interessi politici, nella zona per la sua posizione strategica. Tutti vogliono in qualche modo influenzare lo spazio e la gente. Ovviamente è difficile capire chi ha dei progetti, chi ha delle mire su Exarchia. Non so bene dirti adesso, però in passato facevo anch’io delle ricerche. Ti posso forse dire dove puoi trovare degli elementi. La tesi che ho presentato anch’io in Francia era per tutta l’Attica, come l’organizzazione dello spazio ha influenza il modo di vivere, allora era il periodo degli studi marxisti, io mi ero interessato della riproduzione della forza lavoro. Quando sono ritornata in Grecia, poi, mi sono interessato di nuovo all’architettura, che avevo accantonato del tutto a Parigi. All’epoca era difficile trovare ricerche che si occupassero di questo, quindi avevo pensato di ricavare elementi dalla letteratura. Ho visto recentemente che è stato pubblicato un libro del genere. Ieri dopo che ci siamo sentiti ho cercato al computer se c’è una cosa del genere e ne ho trovati due. Uno è del 2009, Dora Menti, introduzione, raccolta di testi. Una raccolta di testi di letteratura senza commenti particolari. Atene dal novecento fino il ventunesimo secolo, uno sguardo all’evoluzione della città come si rispecchia nella letteratura. L’altro è di due storici, due professori di scuola, hanno scritto questo libro, esplorando la città attraverso la storia e la letteratura, puoi trovare tanti elementi. Chi abitava e dove per esempio ad Exarchia. Questo libro è di edizioni “Estia”

Anna: Un’altra cosa che vorrei capire come la crisi ha cambiato lo spazio urbano di Exarchia.

Kostas: Si però, la questione è abbastanza difficile. Si ci sono due argomenti da affrontare, uno è l’economia dello spazio , che bisogna discuterlo insieme con Kostas.

Anna. Si, certo.

Kostas: Exarchia è come… un pezzo prezioso di Atene, quindi diventa oggetto di grande interesse da varie “fazioni”. Influenzano molto di più la situazione generale ad Exarchia queste fazioni con i loro interessi piuttosto che la crisi. Come ti ho detto in un periodo molto positivo per l’economia, le classi privilegiate si sono spostate da Exarchia nei quartieri migliori e sono arrivate ad Exarchia delle persone nuove, possiamo dire, che non appartenevano alla classe operaia e non erano neppure migranti, erano giovani, e giovani coppie, gente comunque non solo giovane, ma che aveva interessi nuovi e faceva cose nuove. La nozione crisi e spazio ha solo

413 una dimensione, lo si può vedere anche in un quartiere operaio o in un quartiere borghese. Exarchia è una zona molto particolare anche storicamente, sia per il fatto che è molto vicino al centro, sia per la sua naturale espansione, con le colline etc., ha un’evoluzione che è stata influenzata da diversi aspetti, ovviamente anche da tutta questa gente che era vicino alle droghe, e girava nel quartiere. C’erano anche i vari locali che ovviamente magari non erano permanenti, può darsi quindi che ti svegliassi un giorno e tutto fosse sparito. Quello che voglio dire è che darei un titolo come “Evoluzione o mutamento” e non titolo come “Crisi e cambiamento” perché non è solo la crisi, ci sono tante cose.

Anna: sì, certo non è solo la crisi ci sono tante cose, però credo in un quadro generale di crisi, in Grecia, in Europa, anche noi in Italia, quello che succede a Exarchia è molto diverso da quello che succede a Pagkrati per esempio.

Kostas: La verità che si può supporre….comunque anche il periodo in cui vivevo ad Exarchia ero un po’ come uno di passaggio, e allo stesso tempo anche quando mi sono spostato qua il mio punto di riferimento era Exarchia, adesso però ho smesso. Perché è cambiata molto anche Exarchia. Non mi ricordo che cos’altro volevo dirti….

Anna: …dicevamo che la crisi ad Exarchia è molto diversa dalla crisi in altre zone di Atene.

Kostas: Sì! Queste persone che hanno dato vita, ciò che a me piaceva diciamo… ad Exarchia, ciò che a me piaceva ad Exarchia, che venivano giovani e facevano nuove cose, nei locali, nelle varie iniziative, può darsi che adesso non abbiano possibilità…

Anna: di fare le cose che facevano…?

Kostas: Sì, però la crisi, da sempre, fa venire a galla nuove cose, appaiono nuove alternative, quindi può darsi che alcuni vadano via, ma vengono altri a sostituirli, adesso comunque non ho contatti e non lo so, non giro da solo, ma vado in compagnia di altre persone, comunque ti dirò il mio parere, che si basa su quello che vedo: …all’inizio della crisi, che era una crisi soprattutto per i giovani, che si sono trovati a non poter fare tante cose che magari progettavano di fare. Tutti quindi si sono orientati verso la soluzione di aprire qualche locale, magari più insieme, quindi cose di questo genere. Come aprono, chiudono, per esempio vai in certe zone che si stanno evolvendo adesso ed è pieno di gente, aprono in continuazione locali, però anche questo non è… intendo dire a breve non sarà più uno sbocco valido. Spesso poi tutti questi locali magari diventano proprietà di una persona, per esempio i locali che aprono in piazza Keramikou, vieni a sapere dopo anni, che sono tutti proprietà di un unico proprietario. I giovani quindi, le nuove idee sono di fare qualcosa di diverso, pensano di aprire un negozio che vende cose fatte da loro stessi, questi sono un mercato e ultimamente si organizzano le strutture per permettete cose di questo genere. Per esempio piccole banche, che danno mutui molto piccoli, di cinque, sei mila euro per cominciare una nuova attività, ti seguono anche per quanto riguarda il management, sia per poter prendere indietro i loro soldi sia perché si riesca in qualcosa, diciamo. Quindi con ogni probabilità Exarchia forse ritroverà tutto questo, perché magari tanti vanno via, ma

414 tanti anche se magari chiudono un’attività ne riaprono un’altra, perché Exarchia è lo spazio adatto per queste nuove persone, non è lo spazio per le famiglie per esempio. Non credo che Exarchia, a differenza dalle altre zone dove si muovono grandi interessi come Omonoia o via Sturnari, rimarrà distrutta o perderà tutto questo movimento. Non porta i segni della crisi, ci saranno sempre dei tentativi di rinnovamento, non ci saranno solo nell’ambito dei bar e dei locali ma si amplierà.

Anna : Si ci sono oramai varie cose…..

Kostas: si, c’erano anche prima, dei piccoli laboratori che costruivano cose e le vendevano, vedo anche qui,,,, nella zona centrale di Pagkrati, verso la Rizari e via Archelaou, cominciano ad aprire negozi di nuovo tipo, diciamo.

Anna: Ad Exarchia, forse dipende anche dal tipo di persone che abitano e frequentano la zona, c’è un movimento continuo legato alla solidarietà sociale.

Kostas: Hai ragione, hai ragione su questo….. c’è una popolazione compatta ed uniforme di giovani, attivi politicamente, quindi queste strutture si evolvono. Sì, questo c’è sicuramente. Purtroppo però siccome io manco, non li ho proprio in mente.. Una volta c’erano in zona i varie organizzazioni e strutture di solidarietà sociale che aiutavano tutti questi giovani legati alla droga, non so se ne sono andate via, penso di sì…..

Anna: per tanti anni però la questione droga non c’era più ad Exarchia., è ricominciata ultimamente, ho parlato però con tanta gente… non c’è però...

Kostas: non c’è qualcosa che incida sulla situazione….

Anna: Si, si, Sono andata all’assemblea degli abitanti e hanno detto che è effettivamente un grande problema, e non c’era questo problema gli ultimi anni……almeno, gli ultimi , dopo il 1998, da una diecina anni non c’era questo problema perché c’era un pensiero politico….che proveniva dal movimento antiautoritario contro la droga…. Quindi tutto questo ha creato una sorta di…

Kostas: c’era però la droga, perché io ero lì fino il 2006, ma non ha creato problemi, c’erano attività in piazza, eventi organizzati perfino dalle occupazioni, ogni tanto c’erano varie manifestazioni… per poter in qualche modo controllare questa cosa e scacciare…tante di queste manifestazioni si sono spostate nella zona verso il Politecnico.

Anna: intorno a via Tositsa?

Kostas: Sì Tositsa, ma anche più in basso..…

Anna: …via Marni…..

Kostas: sì anche Marni, quella zona là.

415 Anna: Adesso c’è anche in piazza ad Exarchia che prima era una zona controllata, è la stessa polizia, mi hanno detto, che vuole una cosa del genere… che è bene che ci sia una situazione del genere, per poter creare un contesto di repressione generale, e poter…

Kostas: Sì, lo vogliono, diciamo… li portano lì…certamente diciamo che li spostano in varie zone per vari motivi….. Non so, perché sai, la zona dietro il politecnico, tempo fa era abbastanza una bella zona.. era una bella zona anche per andare a viverci.

Anna: Sì, c’è anche la sede del ministero… (della cultura, ndr)

Kostas: sì, dici che si è degradata?

Anna: Guarda, io vivevo… adesso vivo in alto, in via Smolenski…

Kostas: sì, lo so…

Anna: prima vivevo tra via Tossitsa e via Trikoupi… esattamente di dove stiamo parlando adesso. Erano anche anni strani, devo dire, quelli in cui vivevo là.

Kostas: quando era?

Anna: 2008, 2009… quindi era una situazione diversa sia rispetto a prima che rispetto a dopo. Ma era una zona abbastanza tranquilla, devo dire. L’unica cosa che era un po’ particolare era la polizia che ti faceva sempre domande… “Dove vai?”, “Vivi qui?”, “Vediamo se è vero che vivi qui davvero o no…”, questo succedeva continuamente, ma… ah, e l’odore dei lacrimogeni sempre dentro la casa, queste erano le due cose un po’ così.. ma solo questo. Mi ha detto poi un mio amico italiano che viveva lì, quando ormai io ero già in Italia, che lui per esempio invece aveva avuto grossi problemi coi tossici… Io devo dire che adesso passandoci non mi pare così pericoloso come invece mi ha detto questo… certamente forse però è la parte di Exarchia che si è rovinata di più. Diciamo la piazza, più in alto, via Metaxa… più o meno sono rimaste uguali.. come me lo ricordavo insomma. Lì invece è un po’ più buio, più sporco… è…

Kostas: sì. Io vivevo tra via Trikoupi e via Stournari... all'angolo della piazza, adesso che me lo dici mi ricordo che abita lì un mio amico più giovane che abita sulla salita di Tositsa, dove giri in alto a sinistra...

Anna: Allora...

Kostas: Allora, Tositsa, in alto, a destra c'è Eressou... a sinistra...

Anna: Ah sì sì ho capito, non mi ricordo il nome!

Kostas: Vive lì con sua moglie e una bambina,

Anna: Sì, la strada che finisce su Kallidromiou...

416

Kostas: Sì, non mi ricordo se finisce proprio su Kallidromio, ma lì insomma. Abitava da studente in via Stournari, in basso, di fronte al Politecnico, diciamo...poi hanno abitato più in alto, a Vatatsi e infine si sono spostati in questa zona. Si muove in questa zona... da molto tempo, diciamo. Lui diciamo è arrivato ad Atene... Ha quarantacinque anni circa, ed abita da venticinque anni ad Atene, comunque...dagli anni '80, diciamo... ha finito economia (in realtà è avvocato, ndr) ed è interessato anche a livello politico, lo potrei chiamare per incontrarvi., lo posso chiamare per vedere se ha tempo per vedervi...puoi passare di lì..

Anna: Oh sì, molto volentieri, grazie!

Kostas: E anche sua sorella, ovviamennte ma questa non avrà sicuramente tempo perchè si occupa adesso di loro madre che sta male.. lei è una storica, hanno vissuto assieme diverso tempo e adesso le vive più in alto verso Arianou.. anche lei diciamo... è un abitante di Exarchia da sempre. Ma questo ragazzo, Thodoris, può avere informazioni precise su quello che cerchi... Io lo contatterò sicuramente e gli chiederò se ha tempo.... Per Exarchia io dovrei avere molti dossier, che ho tenuto dagli anni dell'università, che non apro da tantissimi anni...eheheh..potrei proprio riaprirli adesso che sei qui! Ahaha alla ho informazioni, direi fino agli anni '70... allora io ho cercato di tutto, sino ai dati elettorali, per dire. Dovrei avere dati abbastanza analitici... ma non so. Voglio capire cosa ti interessa.

Anna: a me interessa in generale l'aspetto storico, con Kostas, per dire, abbiamo parlato di come è cominciata la città di Atene.

Kostas: Ho molte informazioni in proposito, ma non so quanto possa interessarti... questo per dire...

Anna; Sì me ne ha parlato anche Kostas

Kostas: Questo, l'ho comprato, ma ancora non ho avuto il tempo di guardarlo... e ha diverse cose... Guarda, un libro storico che tratta l'evoluzione della città a livello.. non ha... ha anche a livello di popolazione, ma soprattutto di edificazione della città è il libro di Biri, un geografo, che è stato chiamato qua per uno studio degli anni '60. La Grecia ha tardato a fare quello che hanno fatto negli altri paesi, perchè c'era la guerra civile e ha cominciato tra gli anni '50 e '60 e con anche un governo, anche diciamo più democratico che ha formato.. anche un po' prima ma comunque diciamo negli anni '60, organismi di studio vari e ha portato diversi scienziati che hanno fatto diversi studi, la rete idrica per dire... e molti altri e hanno portato importanti studiosi, uno di quelli che ha che si è occupato sia del livello sociologico che di quello economico di Atene era questo professore di geografia. Io i suoi scritti li avevo... Questo libro è uscito quando io avevo già finito il lavoro... per questo non l'ho letto molto. Comunque tratta tutta l'evoluzione dell'economia, eccetera, l'edizione di questo libro è del '98 ed è stato scritto in francese, in greco vediamo quando è stato pubblicato... Sì, (legge dalla quarta di copertina, ndr) è un professore di geografia urbana, geographie urbaine, a Nanterre, ed ha vissuto in Grecia dal '63 al '66 dove ha

417 condotto diverse ricerche per il laboratorio di geografia dell'università di Paris X, a Nanterre, sì. Quindi questo...guardatelo un po'. Ho molte di queste cose ma ho paura che ti porti lontano dato che sei molto precisa nelle informazioni che vuoi ma credo che questi testi che descrivono a livello di comunità ed etnografia Atene attraverso la letteratura siano più interessanti.

Anna; E sì, le connessioni con la letteratura mi interessano molto, devo dire. Anche questo comunque me lo guardo con attenzione...

(cerca qualcosa nella libreria per alcuni minuti, mentre io sfoglio il libro di Biri...)

Kostas: Questo è il libro di Biri, che con molti riferimenti agli edifici ma soprattutto ci sono le carte della città dalle più antiche alle più recenti, ma su questo hai bisogno forse di aiuto in questo per vedere come si sono evolute le cose.

(porta le tazze in cucina e cerca ancora qualcosa nella libreria, io prendo appunti)

Master plan e interventi in ambito tecnico li hanno fatti loro, non c'era un organismo che si occupasse di ciò. Era la persona che si è interessato alla città da questo punto di vista e ha fatto anche molte proposte che sono state attuate. Qui nel quartiere, la strada Vasileos-Kostantinou la conosci immagini... è stata creata dopo la guerra ed è molto interessante, come strada, è una delle prime ad essere a due sensi di marcia... e per questo motivo non ha negozi, e se vai dallo stadio alla statua di Truman non ci sono negozi, e dall'inizio non c'erano neppure ingressi per le palazzine, gli ingressi si trovavano, da dove giri per Pagkrati fino a più in alto, nelle strade dietro alle palazzine, adesso hanno aperto anche sul davanti ma prima non era così e poi in basso c'era il fiume che continuava fino la Michalakopoulou e ancora negli anni '60 quando era aperto il fiume ma c'era poca acqua c'erano le abitazioni (parages) di profughi. Fino agli anni '60. Poi è stato fatto l'Hilton, e la formazione delle strade intorno eccetera...

Anna: Di che anno è l'Hilton?

Kostas: l'Hilton è del '60, più o meno... La Vasileos-Konstantinou che passa davanti lo stadio è diventata una strada nel '47, '48 ma via Michalankopoulou che seguiva il fiume e più tarda.

Anna: in pochi anni.

Kostas: si ma la Grecia ha fatto molto dopo la guerra. Sai la Grecia ha avuto due grandi fasi, diciamo di grande cambiamento, grandissimo cambiamento: una nel '22 con i profughi, nella quale Atene era una città che era diventata grande, la cui popolazione era circa di 200.000 persone con intorno vari paesi, Kifissia era un paese per esempio, Maroussi eccetera. I profughi si sono stabiliti intorno con anche degli spazi non abitati, in mezzo e la città così è diventata dispersiva, sono arrivate anche le fabbriche, che si sono stabilite in mezzo... e così fino alla guerra era arrivata... comincio a dimenticarle tutte queste cose... eh, a meno di un milione di persone. Con

418 la guerra ci sono stati numerosi danni e la gente in città ha sofferto di più rispetto la periferia intorno, quindi alcuni se ne sono andati. Dopo c'è stata la guerra civile e c'è stato un movimento demografico perché molti hanno abbandonato i villaggi, e lì che è diventato... perchè diciamo, durante la guerra civile la strategia del KKE era che, ad Atene non facciamo niente, voleva fare la guerra sulle montagne.

Anna: come da noi con i partigiani in guerra che non stavano nelle città... certo, è una cosa diversa... ma la strategia era simile...

Kostas: Sì ma durante l'occupazione qua c'era la resistenza anche dentro Atene. E dopo la guerra, dopo, durante la guerra civile per cinque anni c'era battaglia all'interno di Atene, c'erano quelli di sinistra che se se ne fossero andati per andare in montagna ok, ma non erano più guerriglia, diciamo... avevano creato un esercito, democratico diciamo e hanno fatto un po' di casini. Intendo che hanno fatto un grosso errore nel comportarsi così e hanno combattuto in Macedonia e in Epiro. La questione è che si è creato così con le battaglie, con la guerra civile insomma… le persone hanno lasciato i paesi per venire ad Atene principalmente per nascondersi e sopravvivere, perchè non riuscivano a vivere nel pieno del campo di battaglia. Irrompevano gli uni e chiedevano cibo, arrivavano gli altri in cerca di quelli a cui era stato dato cibo...tutto quello che succede in ogni guerra civile, diciamo... Molte persone si spostarono ad Atene per evitare tutto questo ma anche per nascondersi nello sconosciuto, nell'anonimato e così è aumentata tanto la popolazione dopo il '45. Queste sono i due grandi movimenti.

Anna: dove sono andate le persone dopo la guerra civile, durante la guerra civile?

Kostas: sono venuti in zone di periferia, non in centro.

Anna: Mai quindi in centro...

Kostas: No, mai in centro. In centro c'erano da sempre insediamenti di più lunga data. Quando ci fu un'evoluzione, Atene incominciò ad avere uno sviluppo a parte rispetto al resto della Grecia. Dei funzionamenti che non erano uguali in altre città, diciamo... Non è come in Italia diciamo che è “policentrica”, nessuna relazione. Quindi… una persona, che ne so, che voleva laurearsi o voleva prendere parte ad un'iniziativa... sia a livello economico che pure a livello politico, diciamo, veniva ad Atene. Abbiamo quindi una migrazione dal fuori di persone che volevano venire dove il luogo fosse più sviluppato. Ciò è successo negli anni '60 e '70. Abbiamo un aumento della popolazione che poi si fermò però, dopo gli anni '80 abbiamo un aumento molto minore, te lo dicono i fatti. Abbiamo invece uno spostamento della popolazione, quello che ti dicevo prima,

Anna: Che se ne andavano dal centro e...

Kostas: Sì esatto, che se ne andavano dal centro verso i sobborghi. Adesso ciò sta cambiando ancora. Ma durante la crisi abbiamo un particolare rapporto nel valore dei beni immobiliari, ciò ha a che fare con l'economia della crisi. Questo influisce... possiamo

419 fare poi una parentesi su questo... questo quando c'è crisi, anche dal punto di vista economico... ha grande importanza, diciamo. La popolazione, aspetta che ci penso un attimo, in tutta Atene centro e intorno ad Atene: Kypseli, Ampelokipoi, Pagkrati e le più vecchie zone residenziali, che hanno una popolazione di più lunga data...dalla parte di Omonoia a più in basso, diciamo.

Anna: Keramikos e quella zona...

Kostas: Sì sì, questi sono insediamenti molto precedenti. Queste, che fino al '77 ho monitorato, erano interessanti anche a livello di elezioni le differenze, cosa vota ogni quartiere per esempio. Ho delle informazioni in proposito ma solo fino a quell'epoca, perchè dopo.... ho anche dopo... se cerco dati elettorali ho molte cose... dopo si diversifica un po', perchè ormai in Grecia molte persone votavano in centro senza necessariamente viverci perché erano andati a vivere a Kifissia per esempio, perché non erano più gli abitanti del centro che erano andati a votare nel loro quartiere. Poi in seguito le cose sono cambiate. Non c'è quindi una grande corrispondenza tra la composizione sociale e l'espressione politica. Mentre fino al '77 c'era una corrispondenza. Negli anni '60 e '70 venivano strati dalla periferia, piccola borghesia diciamo, ma dalla periferia, venivano ad Atene per studiare, una cosa e l'altra... queste ragioni diciamo. Uno che veniva a studiare medicina voleva rimanere nei grandi ospedali del centro, non rimaneva in periferia. Quindi abbiamo l'aumento demografico improvviso nel '22 per lo scambio di popolazioni, il grande spostamento degli abitanti dai paesi dopo la guerra civile e subito dopo negli anni '50 e poi l'attrattiva della città quando si è sviluppata tra il '60 e il '70, dopo possono cambiare un po' le cose ma non c'è più un boom demografico.

Anna: E quindi i quartieri a nord da che anni ci sono?

Kostas: i quartieri a nord avevano la caratteristica, come Kifissia ad esempio, di essere zone di seconde case per fasce sociali ad alto reddito, diciamo, e per qualcuno potevano diventare anche l'abitazione principale, e hanno cominciato dagli anni '80 a riempirsi e a crearsi... lo vedi dall'età degli edifici... Le palazzine, per dire, hanno cominciato... già dal '70 direi, ma a formarsi e a radunare queste classi sociali in appartamenti più belli, più nuovi e moderni. Mentre le zone di Kipseli, Pakrati sono stati fatti nel '60, Ampelokipi poco dopo. Lì invece la costruzione è degli ani '80.. e dei '90 eccetera. Zone che non avevano altri usi, gli usi in queste zone hanno cominciato a concentrarsi intorno centro commerciale per esempio. Diversa l'evoluzione di zone più popolari come i quartieri a ovest che avevano una struttura di città, con un centro classico, le strade, i negozi... come nelle città della periferia, ma città diciamo, non come nei sobborghi che hai la zona residenziale e poi gli spazi commerciali concentrati lì vicino. Più tardi sono stati costruiti grossi supermarket e negozi dappertutto in questi quartieri. Lì si è verificato il maggior agglomerato di persone, direi. Adesso, come riescano a sopravvivere i negozi al dettaglio... sì forse su articoli di altro tipo... Vestiti... non so, non so esattamente... Ad un certo punto sono apparsi anche centri commerciali, così com'è nel centro di Atene, tre o quattro, nelle zone di maggiore tendenza Glyfada, Kifissia... per dire i negozi di Kifissia con caratteristiche molto precise sono... Si sono formati questi centri, com sono Ikea, come sono... questi sono

420 apparsi un po' dappertutto, anche su via Mesogion... è stata una dispersione sul territorio in tutte le direzioni. Ah, tutta questa storia ha uno sviluppo intenso soprattutto dopo il '95 quando c'è stato questo interesse... sia per le olimpiadi, questo era il trend diciamo, nuovo aeroporto, Attiki Odos, il cui studio è stato fatto nel 1964 che quando ero all'università io, la utilizzavamo molto spesso per gli esempi di progetti per lo sviluppo della città. L'aveva ideata un americano, lo studio Smith veniva chiamato, come sviluppare l'Attiki Odos, diciamo. Sì ma sai, i grandi interventi sono strategici e sono pianificati da tanti anni, in Grecia. Vengono fatti gli studi ma ci sono molti contrasti, dal momento che tutto il sistema è clientelare. Cioè non c'è... cioè, può essere che il governo sia centrale, ma non ha così tanta forza, è un gioco di convenienze di un gruppo di persone, che arrivano fino agli interessi molto piccoli, eh, per dire dal sindacato X, sino a convenienze maggiori. Diciamo succede qualcosa, c'è un progetto, uno studio, una legge e impiega tanto tempo ad attuarsi perché ha molti contrasti e ostacoli organizzativi. Queste quindi... ah, adesso mi sono ricordato di un altro libro che ho, interessante.. molto interessante... Sono quindi avvenuti questi grossi interventi per la prima volta in base alle forze economiche della città, diciamo... Sono state fatti interventi strategici, molto precisi nel contesto delle olimpiadi, ma non era quello lo scopo, lo scopo era, teoricamente, rendere Atene, la sua periferia, più in linea con il modello delle altre città europee. In Europa, in Germania ci sono per esempio, città piccole che si “specializzano” per esempio nella concentrazione dei musei. Dusserdorf ad esempio ha non so quanti musei... La specializzazione per Atene è avvenuta, fino alla crisi diciamo perchè poi sono cambiate le cose, nella logistica, per questo è stato fatto l'aeroporto lì, quella era la zona che prima era della produzione agricola della città, per il consumo della città. Capito? Erano campi che avevano filiere alimentari per la popolazione cittadina. Questo è stato distrutti, cambiato sono state fatte grandi strade, depositi, l'aeroporto... e vari cambiamenti che continuano ad esserci, potremmo continuare a parlarne per ore dei cambiamenti di questo tipo che avvengono nelle campagne. E in generale esiste questa tendenza, non si sviluppano più sistemi complicati in ogni zona della città, si specializzano, piuttosto... Questo avviene anche nei quartieri... per dire qua Pagkrati c'è ancora una struttura di vecchio stampo, ma credo che Exarchia siano in una zona in cui entrano... entreranno nuove strutture, si specializzerà, diciamo.

Anna: Mmmh... sì... c'è un tentativo...

Kostas: Ovviamente c'è, ovviamente. In genere sempre quando la zona è così centrale è più complesso! Ad Atene non c'è mai stata diciamo una città con un centro da cui si generano tutte le strade e tutto intorno le periferie... è una città europea, e anche orientale ovviamente, che ha uno sviluppo diciamo a griglia e quindi il centro è raro.. io le ho viste queste cose, in zone storicamente, fino agli anni '60 e '70 non c'era un cambiamento di tendenza nello sviluppo delle cose. Dal diciannovesimo secolo prima che si popolasse la parte nord del Licabetto, lì dove c'è ora Kolonaki, era una bella zona, c'era un buon clima, era a nord, c'era una buona esposizione... e vennero fatte lì sotto grosse costruzioni e il palazzo, mentre nel primo studio per l'evoluzione di Atene dopo la dominazione turca era che il palazzo venisse fatto ad Omonia. Da quelle parti però era una zona migliore, la zona si è sviluppata molto come zona residenziale borghese diciamo dall'inizio, non c'è stato un cambiamento. E altre zone

421 come Psichiko, e anche Ilioupoli, sono due zone la cui la costituzione e l'allargamento sono stati realizzati da un progetto organizzato di un privato. Se vedi sulla cartina Psichiko è formata da strade molto curve, molte piazze unite da grande strade e intorno molte strade curve, questo è un progetto disegnato da un privato e poi venduto come Kipoulopi (Peristeri, ndr), anche per Ilioupoli.

Anna: Anche se sono due quartieri così diversi...

Kostas: Sì. Mentre Marousi era un paese, c'erano gli ilioplastes e si è evoluto dal centro del paese come in passato, io mi ricordo che c'erano i baretti e il platano del paese e c'era uno che faceva anfore (kanatia), me lo ricordo. Dopo c'è stata l'evoluzione, prima di tutto è cambiata Kifissia con la costruzione di grandi edifici, tutto è incominciato nel periodo della dittatura nel '69 e dopo c'è stato un cambiamento nelle modalità di sfruttamento del terreno. Sono state date grandi possibilità alla costruzione di edifici. Se si costruiva una città con le limitazioni che c'erano allora avremmo avuto una città di 14 milioni. Da allora quei limiti sono andati stringendosi.

Anna: Abbiamo detto prima che con la crisi è cambiato questo spostamento dall'esterno della città e abbiamo detto prima di fare una parentesi in proposito. Le persone torna verso il centro della città.

Kostas: sì, non mi ricordo bene cosa dicevamo... allora, vedendo il rapporto con l'evoluzione che ha la zona ovest Petralona e Keramikos, luogo in cui hanno la possibilità di nuovi edifici offrendo un nuovo prodotto come i loft e se non tanto a Petralona, in cui ci sono atelier ma ultimamente vengono chiusi forse per colpa della situazione economica attuale. Exarchia bisogna capire dove vada... Credo sia una zona tra le più più creative del centro, tra Kolonaki e le altre. Ah sì, quello che volevo dire riguarda la questione del valore e del prezzo, quanto vale e a quanti soldi possono essere vendute le case... una cosa è il valore e l'altra il prezzo, no?

Anna: Certo...

Kostas: Il valore è una cosa che una cosa ha, mentre il prezzo una cosa che gli attribuisci per essere valutata monetariamente. I prezzi con la crisi... in genere il valore degli immobili si gonfia da sempre... possono anche esserci bolle speculative, per dire. Ci sono dei movimenti molto grandi rispetto all'economia. Da sempre, non solo adesso. Anche adesso se le entrate delle persone si sono abbassate anche del 30%, nelle costruzioni si sono abbassati anche del 70%. Questo cambia la situazione, perchè come gli investimenti, possono entrare nuovi compratori... ma chi sono i compratori? Si pensa che adesso la gente non ha la possibilità di comprare... alcuni però hanno le possibilità, per esempio persone che abitano all'estero, che non sono pagati dalla Grecia, anche greci che vogliono comprare qualcosa per il dopo, no? e teoricamente anche gli stranieri. Gli stranieri cercano soprattutto nelle isole, in qualcosa di caratteristico... Adesso però, grandi capitali, grandi imprese è un altro discorso, pensa come comprano a Omonia per dire e cose del genere... Questo cambiamento non so cosa può portare a Exarchia perché anche lì come ovunque sono scesi i prezzi. Questo da un lato permette che si creino più facilmente piccole imprese, piccole

422 attività economiche... quello che dicevo prima, laboratorio e vendita diretta, anche delle cose più rare. Questo succede in tutta Europa, per esempio in centro a Parigi puoi trovare un posto che costruisce e vende soldatini per esempio, nella parte più bella di Parigi, per dire. Cosa che non troverai altrove, come un negozio che fa bambole, per esempio, a Exarchia, queste cose nel momento in cui il proprietario di un terreno o casa non ha più questa occupazione può trovare un'altra alternativa, questo è buono, e credo che non si vedrà un rialzo dei prezzi finchè non ci saranno attività di questo tipo, e penso che si vedrà a Exarchia tutto ciò. A meno che non esistano certe forze, intendo forze economiche che vogliono rendere povera la zona... tenerla nella miseria proprio... per dopo, come succede a Omonia, ma non mi sembra che dalla piazza in su ciò possa accadere...

Anna: Difficile...

Kostas: mentre la parte bassa, Politecnico, Omonia, questa zona sì. Una parte di questa area è ancora Exarchia, ma sì...

Anna: Sì, più in alto non mi pare probabile... intendo dire, c'è molta energia...

Kostas: Sì. Non ci dimentichiamo che Exarchia vuol dire anche attività, studi e laboratori di tipografia che si aggirano intorno alle pubblicazioni. Questo... questo in genere costituisce un problema. Una sensazione che ho rispetto al prodotto librario, è che stiamo attraversando una fase in cui hanno problemi anche le librerie “di massa”, anche Eleftheroudakis che aveva un bel negozio, mi piaceva sia fuori che dentro, ha chiuso.

Anna:dove si trovava?

Kostas: Eleftheroudakis nella sua collocazione finale si trovava di fronte all'Attica (grande magazzino su via Panepistimiou, ndr),

Anna: Ah sì mi ricordo!

Kostas: è diventato un negozio di scarpe, questo è successo non molto tempo fa. Ed è rimasto poco più in basso... ancora prima, non tantissimo prima, più in basso c'era un negozio a più piani e adesso quello l'ha chiuso e ha aperto l'altro, adesso in quello grande è aperto solo il piano terra e il primo piano, forse c'è anche il piano interrato, non so... questo è rimasto per libri di seconda mano, qualche CD e cose così. E lì adesso è rimasta la libreria... non ci sono andato ancora.

Anna: Neppure io...

Kostas: l'ha ridotto a questo...

Anna; Ma era nuovissimo lì, si è trasferito in brevissimo tempo!

423 Kostas: Sì.. e bello, a me piaceva... anche se non aveva poi tante cose come libri come aveva un tempo Eleftheroudakis... prima ancora era dietro a Sintagma, su via Mixis, lì era Eleftheroudakis, non so se hai fatto in tempo a vederlo...

Anna: Dove adesso c'è Public adesso?

Kostas: Dietro a Public.

Anna: Ah! ok ok!!

Kostas: Con Public, Papasotiriou resistono perché ha anche l'aeroporto...

Anna: Sì ma dentro non ci sono solo libri...ci sono anche giochi, cose così!

Kostas: Sì infatti... quello che sta succedendo adesso è che stanno aprendo piccole librerie e qui in zona ce ne sono due di cui uno è molto bello, in via Spirou-Merkouri ha aperto una libreria classica nelle scelte e nella selezione. Immagino che sia successo anche in altre nuove zone di intrattenimento, come Garitsi, lì per esempio. Ah, la figlia di Eleutheraki ne ha aperta una piccola, simpatica a Kolonaki, verso la piazza in in angolino...è interessante che non abbia seguito il business di famiglia e ha aperto un negozio più piccolo a Kolonaki, diciamo. La maggior parte degli sforzi avverranno nella piccola impresa privata che solitamente non si trovano nelle città, insomma è raro trovare nelle grandi città, mentre per esempio il Public puoi trovarlo chessò, anche a Larisa... e ha le classiche cose che ci sono al Public, diciamo! Il posto per queste iniziative è coso... è Exarchia. Sì, anche se al momento Exarchia si incentra sui bar e ristoranti.

Anna: sì, ci sono anche negozi di strumenti, negozi di dischi...

Kostas: già ma questo è da prima, adesso ne possono fare di nuovi. Il negozio che ti dicevo del caucciù, per esempio....

Anna: Ah ma dov'è?

Kostas: E' sulla salita per Tositsa, all'angolo tra Spiridon Trikoupi e Tositsa in alto a destra. Dove vivevi tu?

Anna: Esattamente all'angolo di Trikoupi con Tositsa!

Kostas: E quel negozio era proprio lì... non so se c'è ancora. Aveva vestiti, borse, ogni tipo di cosa fatta a mano di caucciù. E li faceva una ragazza lì. Mi piaceva tantissimo quel negozio!E queste cose hanno a che fare con i consumi eccetera, quello che interessa a te devo pensarmelo bene, ha a che fare di più con le persone e i movimenti politici ma ciò ha a che fare con i valori, per esempio la polizia lavora su un filone politico e ha certi obiettivi e consegue alcuni risultati...

Anna: Esattamente!!

424

Kostas: A livello teorico che riferimenti hai? Quando studiavo io c'era Castels.

Anna: Eh questo ce l'ho anche io... e poi anche quando ho cominciato ho letto molti libri di Lefevre, che mi piaceva molto che è abastanza il perno centrale per me; quindi poi quando sono andata a Exarchia e ho capito come funzionava la comunità ho visto molte cose che Lefevre diceva per la città e ho visto che lì c'erano.. anche per motivi storici, credo. Questa è una parte molto importante della ricerca.

Kostas: italiani no?

Anna: di italiani Agamben soprattutto, la maggiorparte delle cose sono di Agamben, per quanto riguarda gli italiani... Per la parte politica Bauman, Foucault... Molti antropologi che trattano di disastri, quindi le situazioni post impatto dei disastri ambientali.

Kostas: Anche Agamben ne parla...

Anna: Certo, infatti... poi articoli, varie cose così... poi La Cecla che è un urbanista, ma tratta della città in modo molto filosofico, diciamo...

Kostas: io ho dei libri francesi qui: Lefevre, Castels eccetera, alcuni trattano esattamente questa questione, ma fino agli anni '80. E poi ho alcuni testi che trattano del modello marxista di analisi della città. Te li mostro, sono molto interessanti!

Anna: Ah, una cosa che utilizzo molto è l'Internationale situationniste di cui ho diversi numeri e hanno molte cose interessanti sull'uso dello spazio urbano.

Kostas: Certo! E questo è il numero di una rivista francese che si chamava Autrement, “Diversamente”... che trattava sia di filosofia politica, che di lotte sociali... tutte queste cose... te lo posso lasciare...

Anna: Grazie mille!

425 Intervista n° 7, Thodoris Zeis

20 novembre 2013, ore 12.00

Incontro Thodoris Zeis, un avvocato che vive ad Exarchia da sempre in una caffetteria di via Charilao Trikoupi. La scelta si rivelerà non delle migliori, poiché Thodoris mi confesserà di non bere caffè, dal momento che prende medicine omeopatiche. Io ordino un’espresso doppio, lui un tè verde. Kostas Aggelidakis, con il quale ho parlato qualche giorno prima, mi ha dato il suo contatto e mi ha raccomandata di chiamarlo. Thodoris arriva in scooter con la cartella di pelle dell’ufficio. Ha una decina di minuti di ritardo. È un uomo abbastanza alto e biondo fra i 40 e i 50 anni . Ha una faccia aperta e un po’ timida, e ha degli occhiali da vista tondi su degli occhi molto blu. Ci accomodiamo su un divanetto e ordiniamo da bere. Mi racconta di essere un avvocato che si occupa di magranti e di violenza sulle donne.

Thodoris: Come ti è conveniente che io risponda, c’è un questionario?

Anna: No, no. Vorrei piuttosto parlare liberamente. Dimmi qualcosa sui migrati in quartiere...

Thodoris: A Exarchia non è che ce ne siano, in un numero più alto, rispetto ad altre zone. Ad esempio, ce ne sono molti a Kypseli, e ad altre zone. Questo perché i prezzi qui non sono tanto bassi. Certo che ci sono dei posti anche qui in cui... Ma non è che io abiti qui per questa ragione, io sono venuto ad Atene nel periodo dei miei studi all’Università...

Anna: Di dove sei?

Thodoris: Sono originario di Creta. Ho dei parenti qua... sono venuto ad Atene e ho vissuto a Exarchia sin dall’inizio. L’ho scelta perché allora la zona era molto vivace, adatta a degli studenti, ricca di attività politica …per questo... e per tutti questi anni, ho abitato qui intorno.

Anna: Perché a Exarchia?

Thodoris: Sono venuto ad abitare a Exarchia in quel tempo, appunto per questo motivo. Volevo, oltre ai miei studi, vivere delle esperienze, come membro della mia generazione di allora credevo che Exarchia fosse la zona adatta.. perché in quel periodo non si era ancora trasformata in un luogo di consumo, come lo è oggi, piena di bar e posti simili. Allora i bar erano pochissimi, era una zona principalmente residenziale. L’aspetto della zona è cominciato a cambiare verso la fine degli anni ’80, inizio degli anni ’90. La piazza è ormai piena di. .. cioè anni fa Exarchia era una zona residenziale, c’erano dei negozi, nel senso di negozi di alimentari ecc, c’erano delle taverne, o ristoranti, per chi non cucina a casa, e i bar erano pochissimi. Meno di dieci, in tutta la zona. Potrebbe darsi che ce ne fossero solo cinque. I proprietari di quei bar, erano persone ideologicamente di sinistra, o anche anarchici.

Anna: Quali sono questi bar vecchi? Ci sono ancora?

426

Thodoris: Ne sono rimasti pochissimi, ad esempio “Paraskinio”, dall’ ’83, in via Kallidromiou; quello che si trova accanto appartiene allo stesso proprietario, prima era gestito da un collettivo e oggi è un’impresa. Questi sono i bar vecchi, di fronte c’è una taverna… a guarda c’è anche la mia amica qua, ho un appuntamento con lei dopo (saluta con la mano una signora che passa fuori dalla vetrata della caffetteria dove ci troviamo, ndr)... Allora, di fronte c’è una taverna, i proprietari sono andati in pensione, adesso la taverna è sotto una direzione nuova. Questi nuovi proprietari erano studenti universitari che, dopo gli studi non hanno potuto trovare un lavoro nel settore pubblico a causa del loro orientamento politico e hanno incontrato molte difficoltà. Questo, prima del Politecnico, ormai loro hanno 65 anni. E questo era in generale il profilo di tutti i proprietari di bar qui. Poi, in piazza sono apparsi nuovi caffé. Pian piano, l’aspetto è cambiato. Ed è arrivato ad essere un posto dove... ad Atene, Exarchia è la zona che viene frequentata da giovani, però ormai è una zona di consumo, non... e un’altra zona è Bournazi, a Peristeri, se sai... Allora, ecco perché io sono venuto in questa zona qua, e appena venuto... ti dirò qualcosa che ricordo, la prima sera... Allora, la prima cosa che ho visto, quella prima sera appena venuto qui, mi ha accompagnato mio padre, che era ateniese, votava qui... e siamo arrivati nel giorno in cui c’è stato il cambiamento politico in Grecia, quando la Destra ha perso il potere, il 18 ottobre dell’’81. Te lo dirò perché è divertente… siamo venuti, lui ha votato, era molto felice perché era sicuro che la situazione sarebbe cambiata, e poi siamo andati a incontrare Kostas, a casa di sua madre; mi ricordo in modo chiarissimo la discussione di allora tra Kostas e mio padre. Mio padre aveva votato per il PASOK, Kostas votava per la Sinistra allora, e hanno avuto un discussione ideologica. E quella sera, siamo andati a mangiare e in quel tempo la piazza non era come adesso, c’erano delle macchine intorno.

Anna: Sempre triangolare, però.

Thodoris: No, era circolare. C’è stato un ammodernamento della piazza, ed è cambiata molto. E quella prima sera, mentre andavamo in macchina e stavamo per finire il giro della piazza, quando all’improvviso abbiamo visto un tizio alto - più tardi ho saputo che era Nikolas Asimos, una figura caratteristica di Exarchia - che stava parlando con un altro , in piedi, per strada, e ad un tratto gli dice: “Resteremo qui a discutere, adesso stesso.” Parlavano dei fatti del maggio del ’68. Allora, si siedono per terra, e il traffico sulla strada si ferma. Hanno cominciato a discutere là, sull’asfalto... Dalle macchine intorno nessuna protesta, perché in quei tempi Exarchia era veramente “Exarchia”, gli autisti, guidando in retromarcia, se ne andavano. Quella è stata la mia prima esperienza che ho avuto a Exarchia. L’atmosfera era così. inoltre, mi ricordo che in quegli anni, quando si andava a mangiare... c’era un bar in piazza, il “Dadà”, non c’è più, [...]. E’ di fronte a “Rakoumel”, immagino sai dove. un vecchio edificio, che da una parte era un “rebetadiko”, il “Frangosyrianì”, e dall’altra parte c’era il “Dadà”. Come si capisce anche dal nome, apparteneva ad artisti che tenevano certi legami con... In ogni posto dove andavi, incontravi scrittori, poeti, c’era... là dove oggi credo che si trovi la mensa universitaria, in Via Arahovis, c’era il bar di uno scrittore di teatro Giorgos Skourtis...

427 da Barba-Yiannis, la taverna di Barba-Yiannis, in Via Benaki, l’avrai vista; questo è molto vecchio, c’è dal 1920. Era luogo d’incontro di persone di sinistra. Si organizzavano delle feste, sai... Queste cose qua, quando lui era ancora in vita. Dopo la sua morte, la taverna è passata ai suoi eredi. Là, si potevano vedere studenti, che si conoscevano tutti, mangiava l’uno accanto all’altro... insomma, per una persona giovane, venire a Exarchia era una vera scelta. Inoltre, si poteva incontrare, se ci si interessava di politica, dei membri di organizzazioni... tutte le organizzazioni politiche c’erano e continuano ad esserci. La maggior parte di queste, hanno qui le proprie sedi. Di conseguenza, al di là dell’atmosfera, se ci si voleva occupare di politica, i primi contatti, volenti o nolenti, si verificavano a Exarchia. Qualunque sfumatura della sinistra con cui si volesse entrare in contatto, maoisti, trotskisti, anarchici, libertari, tutti, c’erano... Tutto questo, per quanto riguarda la mia scelta personale. Però, è da molti anni che quello che si vede oggi, non assomiglia per niente al passato. Oggi Exarchia è solo un ricordo del passato. I protagonisti di allora sono oggi d’età avanzata; si può trovarli il sabato, qui vicino, al café “Voriades”, a bere tsipouro...

Anna: In quale café?

Thodoris: Qui, di fronte, nel vecchio café. Il sabato, quando c’é il mercato all’aperto, si può incontrare molte di queste persone. Ormai è certo che non è più niente come prima; tutto è un ricordo del passato. Qui, viene molto spesso anche uno che ha partecipato all’occupazione del Politecnico nel ’73.. lui partecipava alla trasmissione radiofonica pirata di allora. Oggi Exarchia è controllata dalle mafie del consumo, sai, economia nera, con tanti bar... quelle persone non possono essere controllate, per la maggior parte sono persone della notte...

Anna: Però è rimasto un certo contesto politico...

Thodoris: Sì, è rimasto, grazie alle organizzazioni che continuano a rimanere qui; non so per quale motivo, è ormai, credo, una decisione sbagliata, tuttavia si crede che si rianimerà. I giovani, che sentono la necessità che le organizzazioni si riprendano ... fra il divertimento e il consumo, cercano della gente che vorrebbe impegnarsi. Inoltre c’è questa tradizione del punto di riferimento: quando ci sono scontri in città, cosa che è molto evidente dal 2008, da dicembre, alla fine tutti questi gruppi ritornano e si può dire che “si fortificano” nella zona di Exarchia e cominciano la “guerra” in queste stradelle. Per questo se nel passato si sarebbe potuto dire che si trattava di una zona libera, oggi, così come l’ho vissuto io, si dice che si tratta di una zona inaccessibile, ma lo dice la polizia, perché vuole che la zona sia inaccessibile, non lo è veramente...è tutto mappato. Direi che... è simbolico, ecco; quando si verifica una giornata di mobilitazione, quella stessa sera a Exarchia c’è fuoco. Fuochi dappertutto, e questo fatto mantiene vivo il ricordo di quanto si faceva nel passato. Poi, c’è anche la Scuola Politecnica, le diverse facoltà che si trovano qui vicino, il Politecnico, l’Università, la Facoltà di Chimica; sono accaduti dei fatti molto importanti negli ultimi 30 anni, oltre al “Politecnico”, nel ’73, durante gli anni ’80 c’è stata la Facoltà di Chimica a...

428

Anna: Nell’’85.

Thodoris: Nell’’85, poi nel ’90 c’è stato il Politecnico di nuovo... e ci sono state diverse manifestazioni perché c’era la Guerra del Golfo, quella prima, poi contro la visita di Le Pen ad Atene... ci sono stati scontri molto intensi, e a proposito di quei fuochi, è stato fondamentale il fatto che tutte queste facoltà si trovassero lì vicino; c’era l’asilo allora, oggi...

Anna: Non c’è.

Thodoris: C’è ma... guarda, non è così facile abolirlo..

Anna: Ma questo è vero, che non c’è più? C’è ancora o no?

Thodoris: C’è. Non è stato abolito, ma è stato molto modificato, così molto facilmente, ormai, la polizia può entrare...

Anna: In Italia teoricamente non c’è, ma si può entrare solo se il rettore lo permette. E’ questo che generalmente vale in Italia; se il rettore dice: “Sì, entrate”, si può entrare, altrimenti no.

Thodoris: Qui è più o meno così, cioè il rettore lo può permettere, ma d’altro canto la polizia può entrare se c’è flagranza di reato, cioè se ha la prova che c’è qualche reato che viene commesso in quel momento. In questo caso si può non chiedere il permesso alle autorità universitarie, ma anche nel passato, ad esempio verso il ’90, io mi ricordo che c’è stata infrazione dell’asilo. E’ stato... allora la polizia è entrata nel Politecnico e 500 persone sono state arrestate. Quelle 500 persone, avranno avuto 19, 20, 25 anni... da quel momento in poi, e avevano potuto controllare un sacco di cose, su quelle 500 persone. Avevano trovato quindi una ragione, quella volta. Ecco, l’aspetto di Exarchia era quello. C’erano molte facoltà vicino, man mano le facoltà si sono indebolite... l’Università è stata spostata e si trova nella zona di Zografou, Scuola Politecnica inclusa, pochissime sono ormai le facoltà che sono rimaste qui, l’asilo c’è ancora, anche se riguarda gli uffici dell’amministrazione universitaria, il rettorato (i Propilaia su via Panepistimiou, ndr)... però c’è. Tuttavia l’asilo è ormai poco efficiente. Tutto sommato, ti posso dire, dato che sono vissuto tutti questi ultimi anni qui, che oggi Exarchia è una zona controllata... prima era una zona che resisteva, come in molte città... a Copenhagen, come a Parigi, il Quartiere Latino di un tempo, così anche Exarchia era un luogo libero. E’ quello che ti ho raccontato poco fa, quando ho visto Asimos decidere che si facesse in quel momento esatto una discussione in mezzo alla strada, e aveva il potere di farlo. E nessuno protestava. Se oggi si facesse una cosa simile, verrebbe arrestati tutti. E’ questo.

Anna: Però tu non lavori a Exarcheia.

429 Thodoris: Fino a tre anni fa, il mio ufficio era qui vicino. Mi conveniva, perché si trovava vicino a casa mia. Adesso il mio ufficio è a Syntagma. Però, il lavoro è tale che... I tribunali si trovano in Via Evelpidon, o al Pireo, se i casi riguardano emigrati, vado spesso in Via Petrou Ralli...

Anna: Quello là però non è un vero e proprio centro di detenzione...

Thodoris: No. In Via Petrou Ralli si trova il centro amministrativo regionale, là dove si rilasciano i permessi, i permessi di soggiorno, e vicino si trova il dipartimento di polizia della Via Petrou Ralli, il dipartimento centrale dell'immigrazione. E’ là dove li portano dai diversi uffici di polizia, quando ci sono motivi di espulsione. C’è penitenziario. Però ti volevo dire che qui a Exarchia c’è la rete di supporto di migranti e di profughi, come anchelo steki, dove si fanno lezioni per migranti, questo nel cuore di Exarchia.. . Anna: In Via Tsamadou.

Thodoris: Tsamadou, sì. E questa organizzazione è stata fondata da persone che una volta partecipavano spesso alle mobilitazioni e ad un certo punto hanno deciso di occuparsi di questa iniziativa, seguendo quella che diventava la realtà di ogni giorno.. dato che tutti quelli provenivano da organizzazioni dell’estrema sinistra e ad un certo punto, hanno cominciato a fare un lavoro di tipo diverso. Questo è cominciato negli anni ’80, con un’orgazizzazione che si occupava dei diritti e poi ha assunto una forma giuridica, organizzazione non a scopo di lucro, e si è trasformata in “rete di supporto”. Vedi, a seconda dei diversi periodi, cambiano anche le parole. E stanno facendo un lavoro importante di supporto. Ad esempio, ogni anno si organizzano il festival antirazzista... guarda, questo è qualcosa che si fa a Exarchia, è questo il legame degli migranti con Exarchia; del resto io non credo che qui abitino più migranti che nelle altre zone.

Anna: C’è qualcos’altro che vorrei chiedere... rispetto a ciò che Exarchia rappresenta oggi. qualche giorno fa, ci sono state degli scontri violenti... è qualcosa che normalmente non succede in altre zone...

Thodoris: Sì, esatto; in generale, negli ultimi cinque anni a Exarchia si verifica un braccio di ferro, fra lo Stato e gruppi diversi. A livello politico, non so... meglio che non ci perdiamo occupandoci di che cosa potrebbe significare, ma negli ultimi anni c’è un conflitto ambiguo, tanto che molto spesso, si può vedere la polizia entrare in certi luoghi, anche là dove si trovano gli uffici della Rete di Supporto per i migranti. C’è il processo per quella cosa lì in questi giorni… Però, molto spesso, ci si accorge della presenza della polizia tutto il giorno, intorno alla zona di Exarchia. Come se fosse una catena. Molte volte, arrivano in forze, cioè vengono, stanno al centro della zona e ci rimangono per tutto il giorno, magari anche di notte. Oppure, passano spesso in moto, be’, è un gioco di potere che si mette molto in gioco negli ultimi cinque anni. Dall’altra parte...

Anna: Dal dicembre (2008, ndr)...?

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Thodoris: Dal dicembre in poi. Stavo dicendo che dall’altra parte, se tu, per esempio, entri nella zona e scopri che ti hanno derubato la casa e vuoi chiamare la polizia, non ci vengono perché hanno paura, nel senso che se vengono in centro a Exarchia, può darsi che... l’apparire di una loro macchina, può darsi che provochi scontri... Quello che è successo domenica scorsa è qualcosa che succede sempre nel cuore di fatti importanti; se in qualsiasi parte di Atene inizia uno scontro, finisce a Exarchia. E’ qui che ritorna.

Anna: Ma perché? Perché ancora oggi, e nel passato...

Thodoris: Nel passato perché... si cominciava da qui. Tutte le organizzazioni erano qui.

Anna: Vuoi dire che questo ha un significato simbolico?

Thodoris: E’ simbolico, certo. Notevolmente simbolico direi. Però credo che per quanto riguarda lo Stato non sia simbolico e credo che qualcuno voglia che succeda così. Perché sa dove li troverà. Hai capito? Li spinge verso Exarchia, loro ritornano qui, sa dove trovarli. Farà in modo che lo scontro sia qui, procederà a degli arresti, il giorno seguente si prenderanno impronte digitali... Specialmente dopo la fine dei procedimenti giudiziari. Nel decennio precedente hanno avuto luogo due procedimenti importanti, sulla lotta armata, sul terrorismo eccetera. Dopo la fine di queste battaglie giudiziarie, è stato aperto un nuovo capitolo e molte persone giovani hanno cominciato a pensare diversamente. Tutte queste persone vivono intorno a Exarchia, quindi, lo Stato vuole che il fenomeno sia concentrato, affinché possa essere monitorato strettamente. Così, di tanto in tanto, lo Stato, in caso può provocare uno scontro. Vedi, da una parte è simbolico, dall’altra è conveniente perché la gente qui è ostile davanti alla polizia, di conseguenza si viene in un posto amichevole, dove si sarà protetti. Poi, le stradine della zona sono fatte in un modo che difficilmente un’operazione da parte della polizia può essere efficace. C’è la collina di Strefi, piccole strade, eccetera, ma anche dal punto di vista tecnico per quanto riguarda la “guerra”, è conveniente. Però, sì, in gran parte è simbolico. Ancora oggi.

Anna: Che cosa è cambiato dopo che è stata varata la legge riguardante le lotte? C’è questa legge antiterrorismo...

Thodoris: La legge antiterrorismo è stata varata prima che avessero luogo quei procedimenti giudiziari e dopo che sono state arrestate alcune persone appartenenti alle vecchie organizzazioni... Quelle persone sono state accusate come membri di quelle organizzazioni. Questa legge è stata varata molto velocemente. Di seguito, è stata modificata molte volte.

Anna: Perché io mi ricordo che nel mese di dicembre 2008 c’era questa legge sul cappuccio. In un periodo come questo, è stata varata questa legge.

431 Thodoris: In generale, questa legge tratta come reato separato la formazione di un’organizzazione terroristica, e l’adesione a questa, anche se c’è stata solo l’adesione, viene perseguita separatamente... rispetto al resto dei reati. Il reato concerne la partecipazione e adesione. Questo viene perseguito indipendentemente dal reato, ad esempio, “ha sparato”, eccetera. Questo pesa sulle persone arrestate, Parlo delle pene per le persone arrestate che aumentano in modo cumulativo. In più, lascia carta bianca in gran parte alle mani della polizia. Questo è stato pensato per permettere alla polizia di “lavorare” nelle prime 24 ore critiche, nella vera e propria fase inquisitoria , e raccogliere dei dati, senza un limite, un minimum di garanzie che ormai sono già poche, parlo di garanzie democratiche... e per quanto riguarda il cappuccio…

Anna: ...E’ qualcos’altro.

Thodoris: E’ tutta un’altra cosa. Il cappuccio come legge è nata negli ultimi anni. In pratica, anche questa legge aiuta la polizia a fare quello che chiamiamo controllo, in modo collettivo. Se ti vede con il cappuccio per strada e sei in una zona dove succedono delle cose, può arrestarti e potarti in questura. Per spiegarmi meglio, come magari sai, il diritto penale persegue gli atti. Gli atti sono quelli che vengono perseguiti, e dopo di che, viene identificato il colpevole. Adesso, man mano, quello che sta cambiando, è che si mettono in evidenza dati di carattere soggettivo. Cioè, si porta il cappuccio, si è ribelli, rivoluzionari eccetera, di conseguenza si è probabilmente terroristi, di conseguenza... quindi... prima dell’atto ti arresto. Il reato è perseguito prima dell’atto. Questo non è mica intenzione. Perché intenzione significa che si intende a commettere un reato e questo può essere provato anche…. Questa, praticamente, è una legge contro i giovani. E’ questa la legge che riguarda il cappuccio. L’apparenza personale. Cioè, sei giovane, può darsi che tu sia fastidioso.

Anna: La legge antiterrorismo è più rigida?

Thodoris: Sì. Perché c’entra la partecipazione a un’organizzazione criminale.

Anna: Ma… senza che… ecco… ho letto qualcosa sui ragazzi di Velvento Kozanis…

Thodoris: C’è la possibilità che vengano arrestati per il reato di formazione di un’organizzazione criminale e partecipazione a questa. L’importante è che si comincia un processo con già un’accusa molto severa . Però prima, questa legge non era così rigida. Molte volte, atti di questo tipo venivano caratterizzati come reati penali e non come eversione. Per esempio, nel ’90, quando c’è stata l’esplosione di un seminterrato qui vicino, c’è stata un’esplosione in un appartamento, dove c’erano materie esplosive. La persona che si trovava là dentro e che ha perso la mano è stata arrestata nell’appartamento... Però è stata condannata quando ancora la legge antiterrorista non c’era: cinque anni dopo è uscito dal carcere. Se quella persona fosse stata condannata secondo la legge di oggi, sarebbe stata ancora in carcere; hai capito la differenza? E’ che

432 l’incriminazione comincia con un reato molto più grave. Verrà provato o meno, è tutt’altra cosa. Si ha come scopo il fermo preventivo e il controllo, servendosi di una legge separata, molto più rigida. E questo si è deciso nel 2001-2002, quando è stata varata questa legge nuova in fretta, affinché possano...

Anna: Mira a interi gruppi, ecco. E’questo che ho trovato... ho cercato...

Thodoris: C’è poi la responsabilità collettiva... che è importante in questioni di questo tipo. Dunque, si espande il concetto di delinquenza. Si espande cioè alla responsabilità collettiva e all’istigazione a delinquere… In questi giorni c’è un modello su questa istigazione a delinquere. Infatti, ci sono stati ultimamente dei provvedimenti. Risulta istigazione a delinquere anche nel caso in cui non può essere provata. In che modo io ti ho convinto affinchè tu commettessi un reato? Collegamento diretto. Anche se la persona fisica non c’è, anche se l’autore del delitto non è ancora individuato, è probabile che io per esempio venga accusato e condannato come favoreggiatore e dall’altra parte, può darsi che il colpevole non sia stato trovato e individuato.

Anna: Com’è possibile cosa?

Thodoris: E’ previsto dalla legge. E da tutte le aggiunte seguenti. Si basa su... su un modello proposto come pilota che, poiché quella prima volta ha avuto successo, il sistema ha cominciato a usare sempre. Allora, responsabilità collettiva, istigazione a delinquere, legge sul cappuccio, tutto ciò, porta facilmente alla persecuzione collettiva, di massa. Ecco, allora, tutto ciò su Exarchia... qui ci sono tutti quei gruppi, ancora resistenti, che si occupano di attivismo in modo molto intenso. Attivismo politico.

Anna: Anche questi gruppi rappresentano qui qualcosa di simbolico... c’è un quadro simbolico.

Thodoris: Ci sono molti stekia.

Anna: Ma, qui e non altrove, appunto per questo...

Thodoris: Ad un certo punto, si è diffusa una breve onda di occupazioni, di case e di edifici vuoti, ed è stato deciso di andare là, a Keramikos, a Patissia, a Villa Amalias, ecc. Può darsi che tu ne abbia sentito parlare. Là, forse per la prima volta, in alcuni di questi stekia, è cominciata a crearsi una certa solidarietà da parte degli abitanti del vicinato. Cioè, si è cominciati ad organizzare degli eventi, ci andava la gente, tutto ciò non era più così connotato... diretto da persone di Exarchia...

Anna: Questo non è tanto... voglio dire attualmente, non è tanto evidente.

Thodoris: No, no.

Anna: Nel quadro…

433

Thodoris: Però... anche qui si sono effettuate delle occupazioni. E durano ancora. Però, vedi, uscendo da Exarchia e andando altrove a occupare una casa, si deve andare d’accordo con i vicini. Quindi, si fa in un modo piuttosto aperto. Si è cominciato a vendere prodotti biologici, organizzare dei bazar o degli eventi, la gente andava, ma se tutto questo fosse fatto a Exarchia, non sarebbe stato fatto niente di simile.

Anna: Ma, per quale motivo?

Thodoris: Guarda, è qualcosa di differente. Molte fra le persone di Exarchia, chiamiamole così, che sono... parlo delle persone membri di qualche organizzazione, persone di questo tipo, non sanno come comportarsi fuori Exarchia. Qui, è come se fosse una patria per loro, “fuori”, c’è l’ “estero”. Però negli ultimi anni, con questa breve onda di occupazioni di case o edifici vuoti, specialmente là a Keramikos...

Anna: (qua gli chiedo) Dove a Keramikos (ma capisce “Dov’è Keramikos?”, ndr) ?

Thodoris: Rispetto a Omonia, verso la parte sud-est. Cioè, andando verso... tra Thissio e Psiri... Con queste occupazioni, è cominciata ad esserci vita, e credo, una certa apertura. Questo vale anche per Patissia o altre zone, e questo succede ultimamente. Tutto ciò, nel periodo precedente, si faceva solo a Exarchia. Niente fuori Exarchia.

Anna: Nel periodo precedente, quando?

Thodoris: Fino alla fine degli anni ’80, forse anche degli anni ’90... Solo da dopo il 2000... E credo che una ragione per questo, possa essere il fatto che molti di questi nuovi gruppi, hanno voluto continuare, diciamo così, hanno cominciato ad esercitare una critica contro la cultura del consumo. Ricordo degli slogan di tipo: “Fuori dai bar”... Erano giovani, influenzati da diverse figure animate da principi di resistenza, perché appunto allora sono stati tradotti in greco libri di Debord, ad esempio; hanno cominciato a leggerli come pazzi, e hanno cominciato a elaborare idee contro lo spettacolo, contro il consumismo; e credo che questa critica abbia fatto sì che se ne andassero e mettere piede in altre zone. E questo li ha spinti a fare un lavoro molto serio aiutando i migranti, ad esempio sono nati i coordinamenti metropolitani, il gruppo antifa; hanno cominciato a fare un lavoro molto serio per i migranti, con i migranti. Prima, non facevano niente. Exarchia che ricordi io, era un luogo ideologico, di molti discorsi ideologici intensissimi, senza fine e molte volte di livello alto, ma senza una base reale. L’uscita allora dalle discussioni ideologiche era la lotta a diverse forme estreme. Credo che, quando pian piano si è cominciati a servirsi di altre forme di richieste ideologiche, e l’ aspetto urbano è cominciato a cambiare, con il mutamento d’uso degli edifici... i vecchi negozi chiudevano, il fruttivendolo chiudeva il suo negozio... là dove c’è... in piazza Exarheion, all’angolo di... piazza piazza Exarchion e Via Stournari, c’era un fruttivendolo. Un negozio molto vecchio. Quando questa persona è andata in pensione, non è stato possibile che il posto dove si trovava il negozio continuasse con la stessa attività; ed è stato aperto un bar. Il primo bar che è apparso in piazza, è stato quello. Si chiamava... Matis Pub. Si chiamavano pub allora. Ha funzionato per un anno e alla

434 fine c’è stata un’esplosione di una bomba. L’hanno fatto persone della notte perché il proprietario doveva pagare per la protezione.

Anna: Quando è successo?

Thodoris: Nell’86, 87.

Anna: Oggi c’è un “Grigoris” nello stesso posto.

Thodoris: Esatto. Allora, c’era il fruttivendolo. Vendeva frutta... c’erano molti negozi di questo tipo a Exarchia. Ma perché ti ho detto tutto questo?

Anna: Sul cambiamento...

Thodoris: Sì. Cambiamento. Quando tutto è cominciato a cambiare, e i bar aprivano l’uno dopo l’altro, anzi, da che li avevano persone di orientamento politico di Sinistra che pian piano li hanno dati a delle persone venute da poco, come... ti dirò qualcosa di caratteristico... Cinque anni fa, è cominciato ad apparire qui il supermercato della catena “OK”. Questi sono aperti anche di notte, fino a tardi. Allora, una sera, ci sono andato a comprare qualcosa, mi conveniva perché era aperto e non sono andato a quello di fronte, in Via Tositsa, dove c’è un supermercato vecchio, e uno tra quegli anziani...

Anna: Anch’io abitavo là; all’angolo delle vie Tositsa e Trikoupi.

Thodoris: ...allora, mi vede un vecchio di quei vecchi comunisti, avrà avuto 70 anni, e mi dice: “Thodoris, perché non fai la spesa nei negozi del tuo quartiere? Questo che è venuto qui è un estraneo, noi dobbiamo fare le spese da chi conosciamo, che è qui da molti anni.” Infatti, ne sono venuti molti di questi “estranei” e hanno aperto negozi, luoghi di divertimento, eccetera. E’ stato proprio allora che è cominciata la polemica contro il consumismo, e ci sono molti giovani, che dopo che questi libri di Debord e di altri scrittori sono stati tradotti, libri conto lo spettacolo... questi libri sono per loro come vangeli. Sono apparsi sui muri degli slogan contro lo spettacolo; e credo che pian piano, dopo il 2000... quando una parte di Exarchia è stata trasformata in... verso la fine della Via Arachovis, sono stati aperti luoghi di divertimento nuovi. E questo perché là era facile avere i permessi. Più in su, non si può, ci sono solo case. Aggiungerei che, non solo simbolicamente, da via Arachovis verso più in su, vedi, quello che ti ho già detto, non si danno permessi di luoghi di divertimento. Questo, per il fatto che a molti fra quelle persone di sinistra, gli è andata bene dal punto di vista economico, hanno comprato delle case e adesso vogliono essere tranquilli. ...Allora, partendo di là in giù, c’erano i posti per i quali si poteva avere il permesso. Qui vicino, sai, dove si trovano le strade pedonali, è appunto là che sono apparsi molti nuovi bar. Ed è cominciata una critica contro questi bar e credo che a questo abbia contribuito il fatto che dei gruppi di giovani hanno cominciato ad andarsene e a occupare degli edifici, gli stekia, fuori Exarchia e a fare qualcosa anche “fuori”; là non è Exarchia; non si tratta di qualcosa di “morale” o di memoria storica. A Patissia o a Keramikos oppure… In queste zone

435 le condizioni sono differenti. Ho l’impressione che sia nata una certa complicità tra gli occupanti e i vicini, a un altro livello. E come forse sai, l’anno scorso, il governo ha deciso di essere più rigido anche là; la polizia è entrata in questi stekia, ha cacciato via gli occupanti, ha identificato reati delinquenti, servendosi, ancora una volta di quella legge... E ha cominciato la repressione; diciamo così. Questo è cominciato dopo Dicembre. Perché si suppone che tutto ciò abbia funzionato come preparazione ai fatti del Dicembre e… 2008.

Anna: Quindi, che ruolo ha avuto il Dicembre in questo...? Anche rispetto agli abitanti della zona, credo che abbia avuto un ruolo importante.

Thodoris: Il Dicembre, per tutta la zona di Exarchia, ma anche per tutta Atene, è stato un punto di svolta per entrambe le parti: si deve pensare al punto di vista dal quale si parla. Dal punto di vista della città, delle autorità comunali eccetera perché le distruzioni sono state moltissime. Edifici pubblici sono stati bruciati, in genere si sono viste distruzioni gravi in tutta Atene. E’ stato un... non so se tu sia stata qui in quel periodo... se c’eri, allora l’avrai visto. E’ stato un... incredibile… si camminava ad esempio nella zona di Gizi, nella parte più alta della zona, sulla collina, dove si arriva difficilmente, all’improvviso si vedeva un negozio bruciato o semibruciato. Come quando, dopo essere caduta, la neve si scioglie e si vede in posti inaspettati una parte rimasta dove la neve non è ancora sciolta, così... ed era impressionante, tanto da pensare: “Che cosa sarà successo qui?” Eppure, anche nei punti più inaspettati, c’erano le tracce di un vasto conflitto. Quindi, per la città è stato un evento importante perché si sono verificate delle distruzioni enormi e tutto ciò non è stato possibile controllarlo, era impossibile che ci fosse repressione. Era molto difficile... dato che in tutta Atene accadevano cose del genere, lo Stato doveva pensare a un nuovo modo di conflitto collettivo e si doveva in un certo modo... non si trattava solo di Exarchia, verso cui si sarebbe potuto incastrare i ribelli, perché a Exarchia era stato commesso un assassinio. Non bastava più che il conflitto si esaurisse a Exarchia. Per quanto riguarda i giovani...

Anna: Dall’altra parte...

Thodoris: Dall’altra parte è stato un punto di riferimento perché tutto ciò di cui parliamo, sotto alcune condizioni, era stato creato affinché quel conflitto si verificasse. Molti giovani si sono orientati verso pratiche radicali e tramite questo processo ideologico, lettura di libri, contatti con altre correnti ideologiche eccetera per tutto il periodo prima di quei fatti, la polizia ha esercitato molta pressione su Exarchia. Ha esercitato una pressione in modo asfissiante. Si avvicinava e si avvicinava ancora; la sua presenza era facilmente percepita, e appunto quel fatto ha dato il coraggio a quel poliziotto, di voler andare più avanti e sparare. Non l’avrebbe fatto cinque anni prima. Quindi, anche per quei giovani è stato un punto di riferimento perché uno di “loro” è stato ucciso.. è esploso tutto quello che che covava da molto tempo e si è diffuso in tutta… in tutta Atene e in tutta la Grecia. Allora si può dire che, forse... secondo me, è stato un ultimo spasmo di radicalismo a Exarchia che ha provocato un terremoto grande e che ormai il vulcano è spento. Il vulcano che si chiama Exarchia... Però si è esteso in tutta la Grecia, è stato... non so... l’avrai

436 visto... a Kastorià, una città della Grecia del Nord dove sono accadute tantissimi misfatti durante la guerra civile... fascisti eccetera c’è stata l’occupazione di un dipartimento di polizia, fatto che non si era visto dal periodo della guerra civile. Quindi, anche in una regione di orientamento politico di destra, anche oggi si tratta di una regione di destra, pure là, c’è stato un assalto contro una stazione di polizia, il primo dal periodo della guerra. Tutto ciò, è cominciato quella sera, e ha creato una nuova tradizione di memoria per quei giovani, e tutti quelli che l’hanno vissuto, sono quelli che adesso dicono... come si diceva del maggio ’68? “C’ero anch’io”. Ecco come funzionato tra di loro, come una specie di continuazione. Ma credo che tutto ciò ha reso Exarcheia vuota. Come se fosse una calza rivoltata. D’ora in poi, cosa succederà nel futuro, non so… La riqualificazione da parte delle autorità comunali sta continuando, si prevede che sia costruita una stazione di metro qui, più negozi di abbigliamento, di alimentari ecc. E’ nel progetto. Gli studi geologici sono già finiti... Ci sarà una stazione che collegherà i Tribunali con Galatsi.

Anna: In Piazza Exarheion?

Thodoris: Sì, ci sarà una stazione della metro. Così è il progetto, se non mi sbaglio. Ecco perché in questo periodo c’è un tipo di “specula”… c’è chi vuole comprare qui, perché il valore della terra aumenterà… e si giocano…

Anna: Quanto può cambiare il valore della terra in un posto con una stazione di metro! E’ incredibile! In piazza questo, là intorno…

Thodoris: Sì. Guarda, sotto la piazza, non so se lo sai, ci sono molte gallerie sotterranee. Nel passato erano dei rifugi. Io ricordo il “Floral” che oggi si trova… e accanto c’era un ristorante, “l’Attikon”, molto vecchio, e oggi nello stesso posto si trovano dei café... là, sotto la piazza... in piazza c’erano due porte e si poteva scendere nelle galerie, dove si trovavano dei negozi. Negozi che stampano dei poster; lo so perché ci sono stato. Quelli più grandi di me, sessantenni ormai, quando erano bambini, raccontano, giocavano in quelle gallerie. Giocavano alla guerra, a nascondino… La persona più adatta per raccontarti tutto questo, è Kostas, credo che lui sappia più cose... sulla storia e sui diversi strati della città sotterranea.

Anna: Tu non sei cresciuto qui, vero, ma a Creta...?

Thodoris: E’ a Creta dove sono cresciuto e sono venuto qui quando avevo diciotto anni… Un fatto che mi sono dimenticato di raccontarti è come è arrivata la droga. Una versione, che accetto anch’io, è che verso la fine degli anni ’70, inizi degli anni ’80, quando ancora Exarchia era come ti ho raccontato... col passar degli anni, ’81, ’82, ’83, a tutta quella generazione dei giovani radicali del periodo del “Politecnico”, che non hanno trovato un buon lavoro, non sono diventati professionisti, non hanno trovato lavoro nel settore statale, o che non sono diventati deputati ecc, è successo qualcosa, visto anche in Francia dopo il maggio ’68 e altrove: quei giovani hanno cominciato a vivere una sconfitta personale. Una stanchezza psicologica; non a caso per esempio, ecco, te lo descrivo a poche parole, Asimos, ad un certo punto, ha raggiunto la decisione di suicidersi, quella figura di quel periodo, come anche

437 molte altre persone coinvolte nei fatti di quel periodo. Dopo il cambiamento del regime politico, ci sono stati dei suicidi qui. Depressione... Questo fenomeno, ad un certo punto è diventato molto evidente, si capiva facilmente... nelle discussioni, in compagnia. Quelle persone non avevano... una specie di speranza... si sentivano finiti. E credo che appunto allora, nel momento giusto, sia stata la polizia ad aver lanciato il traffico di droga a Exarchia, da altre zone dove era nel periodo precedente. Certo, il fenomeno è massiccio, ma è sicuro che l’hanno lasciato espandersi verso questa zona qui. E allora, quei primi gruppi, hanno reagito. Hanno reagito in modo intenso. E violentamente. E’ appunto in quel periodo in cui è nato lo slogan “gli sbirri vendono l’eroina”. Slogan molto vecchio, degli inizi degli anni ’80. Infatti, io mi… mi ricordo, mia madre era venuta a farmi una visita, da Creta, ed è tornata a casa impaurita, allora abitavo vicino alla Via Stournari e mi ha detto che tutt’intorno alla piazza, ricorda che prima c’era la strada... c’erano alcuni anarchici, che avendo cacciato un tizio nudo, lo stavano picchiando. E sono corso a vedere cosa stava succedendo; e gli anarchici avevano trovato un poliziotto in borghese che stava cercando di scappare; l’avevano appena catturato e l’avevano spogliato. Però, molto probabilmente hanno perso questa battaglia perché… io mi ricordo che molti dei ragazzi che li conoscevamo come... allora veniva usata un’espressione... ecco, oggi si dice questo o quello spazio politico, si usano espressioni popolari o dotte, allora era… c’era un’altra espressione, era... però non apparteneva al registro di ogni giorno... o al gergo che viene usato dai giovani, si diceva “lui vive al margine”. Thodoris? Eh, lui vive al margine. Che si intendeva dire? Che se ne era andato di casa, che aveva litigato con i genitori, che non aveva lavoro, che non è in contatto con niente da cui possa essere alterato. Eh, mi ricordo che molti ragazzi di quel tempo, passavano pian piano da quella situazione all’uso di droga. Li ricordo chiedere dei soldi per strada ed erano quelli, sì, lo ricordo benissimo, quelli che si sapeva che appartenevano a dei gruppi come questi... quando vivevano al margine per motivi tutti diversi, ideologici. Man mano la droga ha dominato la zona; Exarchia è diventata punto d’incontro, centro di distribuzione, ormai anche all’interno dei bar. Quello che chiamiamo la mafia dei luoghi di divertimento notturni, controlla in gran parte il turnover della droga. …Qualche volta la polizia arresta i tossicodipendenti che prima stavano intorno alla piazza e li porta alcuni metri più in là... poi in memoria del periodo passato ci sono delle organizzazioni di anarchici che ad un certo punto hanno deciso di cacciarli via in modo violento... ci sono stati degli scontri... mi ricordo che due o tre anni fa, gli anarchici hanno picchiato e ferito dei tossicodipendenti e dopo di che hanno pulito la piazza usando candeggina. E’ un atto chiaramente razzista. Atto commesso da persone che sono politicamente contro ogni potere governativo, un lato violento di questo orientamento che non ha grandi relazioni con la teoria e l’ideale, ma piuttosto con la pratica. Così, il problema della droga si è affermato gravemente qui. Inoltre, ti devo dire che negli ultimi anni, sotto la pressione dei problemi, di tutto quello che è stato accumulato qui a Exarchia, come il fatto che si sia privi di alloggi sociali, occupazioni eccetera, il problema dei migranti, il problema dei luoghi di divertimento notturni e del rumore che disturba gli abitanti, il problema della droga... è stata costituita, o meglio costituita di nuovo un’iniziativa di abitanti... un’iniziativa di abitanti di Exarchia, assai attiva, mobilizzata contro le antenne di

438 compagnie di telecomunicazione mobile, i rifiuti, la droga. Ci sono state molte attività di questo tipo, ma ad un certo punto, il’assemblea si è opposta a quella parte degli abitanti che volevano cacciare via le persone dipendenti con violenza...

Anna: Ma questo… pensavo adesso: rispetto a ciò che mi hai detto adesso su come è arrivata l‘eroina a Exarchia. E’ possibile che sia successo qualcosa di simile, qualcosa del genere, dopo il dicembre? Intendo dire, negli ultimi anni…

Thodoris: Non ho capito. In che senso?

Anna: ...perché mi ricordo, quando ero qui nel 2008 - 2009, il fenomeno della droga non era tanto intenso.

Thodoris: No, lo era. Infatti, per questo erano già in funzione qui delle unità di disintossicazione. Degli enti statali, unità di disintossicazione che hanno cominciato la propria funzione dopo che... e poi mi ricordo che nel 2000, negli anni 2000, ci sono stati alcuni abitanti, attraverso diverse associazioni, di negozianti per esempio, personaggi conservatori, che volevano che le unità si trasferissero perché non volevano vedere delle persone dipendenti in quella condizione, neanche siringhe per strada… un conflitto tale aveva già avuto luogo qui e questo mostrava che non a caso le unità sono state istallate qui; perché qui si trovavano i punti di distribuzione… qui si incontravano. Si prendeva l’autobus da Peristeri o da Chaidari e si veniva a Exarchia a trovare la propria dose... a comprare e a consumare. Il fenomeno era intenso anche prima del Dicembre. Poi, all’improvviso, è diventato ancora più intenso. E... un argomento ancora del quale l’assemblea di quartiere credo si sia occupata, è stato quello della violenza. Ci sono alcuni cambiamenti di catteristiche per quanto riguarda i giovani di oggi che vengono a Exarchia, cioè sono quelli che... che non più sono giovani, delle stesse idee politiche di prima, adesso sono giovani che quando vengono in centro a divertirsi scelgono Exarchia per i numerosi bar e tanta gente. E, non so se hai visto, in Via Valtetsiou, là dove stanno in piedi tenendo in mano una birra, questo me l’ha detto una ragazza, che in Spagna e in Italia è così.

Anna: Sì sì certo...

Thodoris: E’ che nell’ultimo periodo non si ha molti soldi da spendere, di conseguenza una forma di divertimento è prendere una birra dall’edicola e, in piedi, o seduti per strada... cioè non come Asimos, allo scopo di discutere su qualcosa profondo o politico, discutere per esempio sul perché i Sovietici hanno invaso la Cecoslovacchia, o parlare del maggio ’68, ma è... niente... parlano di vicende personali o non parlano affatto. È un altro tipo di gioventù, questa gente qua. E questo si fa in Via Valtetsiou. Poi, sono venuti molti giovani, seguaci di squadre sportive, sono un po’ anarchici, un po’ hooligans, e questi nutrono una certa mentalità violenta. Se ad esempio, una vicina apre la finestra e gli dice: “Ehi, ragazzi, fate un po’ di silenzio, si vuole dormire, qui!” Loro le distruggeranno la porta di casa. Le scassineranno la serratura della porta di casa. Ricorderanno la sua faccia, la picchieranno eccetera. Ci sono stati anche casi in cui hanno attaccato delle

439 persone che semplicemente stavano passando di là, la loro presenza non è piaciuta a quei giovani e... e ultimamente ci sono dei gruppi, migranti di seconda generazione, adolescenti, che formano... lo dirò così... come dire... dei gruppi informali, chiamiamoli gruppi di affinità… come potrei dire... così come si comporta un gregge, che... per esempio ci sono gruppi che frequentano la via Themistokleous, che è pedonale, dove si fuma molta “erba”... e i membri di questi gruppi molte volte sono minorenni, sono in gran parte ragazzi di seconda generazione di migranti, molto spesso sono albanesi, anche questo è significativo; mostra come e se i loro genitori si sono incorporati o meno nella società greca, e questi giovani fanno… quello che diciamo noi avvocati e giudici “si impegnano in atti di mocrocriminalità”. Cioè, “fumano” in pubblico. Poi, possono fare dei furti di poca importanza, entrano in negozi e prendono degli oggetti, in supermercati… entrano in un negozio e rubano per esempio delle birre. Se gli dici qualcosa, ti distruggono il negozio. Questi sono gli elementi caratteristici nuovi, che non c’erano prima a Exarchia e che questa iniziativa di abitanti da alcuni anni cerca di contrastare. E’ un problema difficile da risolvere, dato che coinvolge anche delle posizioni ideologiche... ad esempio viene uno presso l’iniziativa degli abitanti, supponiamo che si tratti di un anziano, e dice: “Io voglio che la polizia venga quando la chiamo.” La risposta potrebbe essere: “Qui è Exarchia, non vogliamo la polizia.” Non si può trovare una soluzione. Ecco, questi sono i problemi di cui ci si occupa negli ultimi anni. Dei cambiamenti...

Anna: Perché qui? Non... quando sono venuta qua la prima volta, ci sono rimasta per due anni, nel ’09 in ottobre, sono partita, poi ritornata... poi sono andata via, mi sono laureat... è da un anno che sono qui, stabile, poi non so... però non mi sembra che sia una città... forse Exarchia un po’ di più che il resto, ma generalmente Atene non è una città dove c’è violenza. Per niente. E’ molto... ecco, a Parigi, ci sono stata molte volte, dopo mezzanotte non circolo tanto facilmente per strada da sola.

Thodoris: Guarda, a Parigi c’erano delle zone del nord, là dove abitavo io, il 18° era una zona molto problematica; si andava per esempio a comprare qualcosa da mangiare e si rischiava di essere picchiati da uno sconosciuto. Io mi ricordo che una volta ho detto: “Aspetta un po’, devo pagare”, un tizio dietro a me ha cominciato a colpirmi sulle spalle, gridando: “Non mi piace la tua faccia” e cose del genere. Questo, è un tipo di violenza senza motivo. Casi come questo stanno venendo fuori anche ad Atene. Per esempio, nella zona di Keramikos, vicino ad Omonia, adesso no, però prima dell’’08, e sporadicamente durante il 2008 e 2009, ci sono stati fatti come questo... è stata notata violenza senza motivo, il che rendeva difficile passeggiare per strada soprattutto quando scendeva la notte, la zona cominciava ad essere pericolosa. O anche, ancora oggi, di sera, da una parte della Piazza Kanigos, o in uvicino al via Patission,. L’anno scorso, sono andato in una farmacia aperta di notte a prendere delle medicine, verso mezzanotte, e non mi apriva la porta. Mi guardava attraverso la porta sbarrata dall’inferriata e voleva che io gli facessi vedere la mia carta d’identità. A confronto con il passato, io non ricordo delle situazioni simili in quella zona. Certo ,il fenomeno è molto più complesso; riguarda la paura che si ha dei migranti; il controllo di quelle zone, Alba Dorata e i fascisti, ancora un

440 fenomeno nuovo; fino a poco fa, controllavano tutta quella zona e ci sono stati grandi scontri. Si poteva vedere qualcuno, molto spesso un migrante, ricevere botte violente da un gruppo di persone... mentre si camminava per strada, si vedeva alcune persone colpire qualcuno fino alla morte. Ultimamente, atti di questo tipo sono fortemente diminuiti, ma, sì, può darsi che tu, confrontando Atene con altre città europee o italiane...

Anna: Milano ad esempio...

Thodoris: Certo. Comunque, Atene sta diventando quello che abbiamo vissuto negli anni precedenti in altre città. Negli anni ’90, sono stato a Parigi per due anni e adesso Atene sta per assomigliare a quello che Parigi era in quel periodo. Almeno per quanto riguarda alcuni quartieri. Quanto alle persone senza tetto... Mi ricordo... lascia che te lo dica, è significativo... quando sono venuto ad Atene per prima volta, una sera, mentre camminavo per strada, in Piazza Omonia, c’era una donna anziana che stava cercando nei rifiuti per trovare qualcosa da mangiare. E’ stato uno shock per me, perché nella città dove sono nato, a Irakleio, non avevo mai visto un mendicante. Sono andato da un poliziotto e gli ho detto: “Guardi cosa sta succedendo qui; questa donna sta cercando nei rifiuti!” e lui guardava come se io fossi un extraterrestre. Oggi, scene simili si vedono dappertutto. Si vedono anche molti senzatetto. Questo fenomeno non c’era dieci anni fa. E a Exarchia, i senzatetto vivono come se vivessero in modo normale. Lasceranno per tutto il giorno la loro roba vicino al portone di un palazzo, la tengono là... questo è un fenomeno nuovo.

Anna: Però non ha a che fare con la violenza... o...

Thodoris: E’ un altro tipo di violenza, che prima non c’era in Grecia, la violenza del rimanere sospesi all’improvviso, da soli, senza un aiuto... senza solidarietà. Nel passato, Exarchia era una zona di solidarietà. Tutti ci conoscevamo. Tutti ci salutavamo, oggi c’è un certo distacco. E nessuno aiuterà, neanche a Exarchia, un senzatetto. Be’, può darsi che gli diano da bere una birra gratuitamente. Ma io mi ricordo quel ristorante di cui ti ho parlato, qui in piazza, a Exarchia, quando venivano i... diciamo così, i senzatetto dell’epoca... anche se erano “adottati” dai vicini, loro erano... avevano nomi, li conoscevano; c’era per esempio una signora anziana con la gobba che dava da mangiare ai gatti... e andava a mangiare normalmente al ristorante gratis. La trattavano come un cliente normale. “Cosa desidera oggi, signora Froso?” “Mi prepari questa, oggi mangerò un po’ di carne” ... tutto normale. Ma oggi si fa difficilmente, magari ti daranno una porzione in un recipiente di plastica... molto difficilmente... e...

Anna: Mi hanno detto che Vergina lo fa.

Thodoris: Lo fa, sì. Vergina è a Exarchia da molto, però molti di loro, la maggioranza, sono imprenditori che hanno aperto qui e si sono identificati con l’ambiente. I vecchi proprietari sono andati in pensione e se ne sono andati. Amalakis mi ricordo che... ma anche oggi, l’estate scorsa ha chiuso, certo, aprirà di nuovo ma... sai, Amalakis,

441 grande, vecchio, una taverna; in Via Kallidromiou. C’è un grande giardino. Si scendeva le scale della Via Kallidromiou... Là, mi ricordo che quando entrava qualcuno a chiedere da mangiare, gli davano con piacere, senza diffcoltà, si faceva in quel tempo. Oggi, se si fa, si fa per motivi diversi. Perché hanno paura che qualcuno gli distrugga il ristorante... per paura. Anche quando c’è il mercato all’aperto si lascia... alla fine si lascia qualcosa perché se li portino via e così non verranno a rubare. Li lasciano là affinché qualcuno li prenda.

Anna: Lo fanno ancora?

Thodoris: Lo fanno. La maggior parte di loro sì, lo fa.

Anna: E questo si fa nei mercati all’aperto in generale o solo qui a Exarchia?

Thodoris: Credo che in generale si faccia, in tutte le zone dove c’è mercato all’aperto; almeno in questo periodo di crisi. Si fa. L’ho visto fare... guarda, io vado molto spesso all’ufficio comunale per l’immigrazione che si trova a Metaxourgheio; i mercoledì c’è un mercato all’aperto e vedo che quando finiscono, lasciano qualcosa a parte. Quindi, si fa anche là.

Anna: Eppure, ecco, un nuovo tipo di solidarietà.

Thodoris: E’ una forma di solidarietà che non proviene dal contesto sociale tradizionale, nel senso di come era nel passato. Nel passato si poteva... io mi ricordo, da studente, andavo da Barba-Yianni a mangiare, era ancora in vita, e quando non avevo dei soldi, potevo mangiare lo stesso. Poi gli portavo un regalo. Una volta che sono andato mi ha detto, “Se un giorno non avrai dei soldi, se tuo padre non farà in tempo a mandartene, me lo dirai.” Oggi, il proprietario di un ristorante lo farà, non tanto perché si interessa a te, ma perché ha paura di te. E’ che... nel passato si faceva a Exarchia e credo in altre zone di Atene, perché Atene ha veramente questa caratteristica, è una città accogliente. D’altra parte, Salonicco ad esempio, non lo è, Parigi non lo è. Città difficili.

Anna: E questo per esempio è... lo stesso... appunto è così se si parla di Roma. A Roma succede… di capitare in una zona non turistica e dire che non si ha soldi... succede. Come città sì, Atene è molto accogliente.

Thodoris: Lo è, sì. In questa zona qui c’era un contesto sociale tradizionale di solidarietà, anche perchè quelli della generazione del Politecnico, come li chiamiamo qui, hanno una solidarietà molto sentita tra di loro. Ecco, conosci Yannis Felekis? Lui è una figura caratteristica di Exarchia; ha ormai settant’anni. Trotskista. Porta un berretto di Che Guevara. Aveva una vecchia moto, una BMW. Quando una volta era guasta, la comunità di allora, ha fatto la colletta e gli ha comprato una moto nuova. Oppure oggi, se si ammala, si incaricheranno delle spese per l’ospedale. La comunità è la sua sicurezza. C’è un supporto reciproco ancora oggi. Questo una volta si ripeteva quando serviva per tutti i membri del gruppo dei “vecchi”. Attualmente si fa ma in un altro modo, più visibile, più organizzato e meno

442 spontaneo. Anche a livello politico, gli ambulatori sociali, le strutture alternative, sono cose che si organizzano e si rivolgono alla grande massa della gente. Al contrario, prima la cosa era più silenziosa, ma riguardava dei legami, visibili da noi. Oggi questo non c’è. E’ intermediato dalla... si passa per una soglia, vale a dire sei povero e andrai all’ambulatorio medico sociale. Non sei quello di Sinistra, l’anarchico che per un tuo probrema ti saresti rivolto alla comunità affinché ti aiutasse. E’ qualcosa di meno spontaneo che viene gestito da altri tipi di reti di solidarietà, più visibili, più organizzate, più...

Anna: ...più ideologiche.

Thodoris: Più ideologiche. Ad un certo punto è stata presa una decisione sulla costituzione di un posto dove si sarebbero distribuiti capi di abbigliamento. Un posto dove si sarebbero... anche qui a Exarchia c’è un tipo di scambio di servizi, una banca di scambio di servizi. Ce ne sono...

Anna: Ci sono stata, alla banca del tempo.

Thodoris: Tutto ciò funziona così, in modo organizzato. E direi che questa vecchia tradizione della comunità, per quanto riguarda una sua parte, è diventata imprenditoriale. Questo significa che molti fra quei “vecchi” hanno avuto successo dal punto di vista economico e sono riusciti ad avere accesso a delle informazioni. Quando si sa che dopo dieci anni dell’acquisto di qualcosa... quando uno ti consiglia di comprare qualcosa sapendo che dopo dieci anni sarai ricco, questa cosa, il fatto che qualcuno può darti un’informazine del genere, significa che dovrà avere un certo accesso al potere. Ecco. Non trovo alcuna differenza... io ho studiato quello che chiamiamo generazione del Politecnico confrontandola con la generazione del ’68 e non c’è differenza in questi due Paesi. Le differenze non sono tante. Come il potere ha gestito lo Stato o come è cambiato. Ci sono delle somiglianze. E poi il mito, la narrazione, la leggenda ecc. Anche oggi, quelli che vogliono essere chiamati “generazione del Politecnico”, qualunque cosa siano diventati, ministri ancora, la vigilia del giorno del 17 novembre si riuniranno in una taverna di Exarchia per vedersi. L’anno scorso c’ero anch’io, è stato organizzato in una taverna a Neapoli di Exarchia, sono state cantate canzoni di Theodorakis, canzoni partigiane ed altre del genere. C’era una taverna, “Fondas”, non c’è più, è stato costruito un palazzo, all’angolo delle vie Mavromihali e Arianitou, l’ho vista per prima volta quella sera, quando sono venuto con mio padre... siamo passati di là con il taxi e mio padre mi ha detto: “Vedi questa taverna? E vedi quest’albero? Si trova là da allora.” Mio padre era ad Atene durante l’Occupazione e la guerra civile, lui era membro dell’ EAM di Neapoli Pefkakion. E mi dice: “Quest’albero c’è da allora.” E in quella taverna, si incontravano quelli del Politecnico, ogni anno, e cantavano... Ad un certo punto la taverna è stata demolita, è stato costuito un palazzo... insomma, voglio dire che tutto ciò ha piuttosto il carattere di una leggenda, tutto per Exarchia di ieri, affinché faccia da collante e attivi la memoria di quelle persone, delle quali l’unica cosa in compagnia ormai può darsi che siano delle vecchie fotografie... nessuna continuità ideale... ricordare il passato, è solo un’ emozione. E verranno a Exarchia per questo motivo.

443

Anna: Cos’è successo durante la guerra civile?

Thodoris: Anche qui abbiamo avuto degli episodi... battaglie...

Anna: Perché Kostas mi ha detto che in generale, durante la guerra civile i diversi gruppi o le diverse parti stavano fuori città.

Thodoris: Sì, però c’era anche Thisseio che è stato la sede diciamo dei fascisti e degli inglesi; di quelli di destra e degli inglesi. Là ci sono state delle battaglie, come anche a Kesarianì. Se capiti in Via Alexandras, ci sono alcuni edifici vecchi, sono di interesse architettonico perché sono... si trovano di fronte allo stadio di Panathinaikos... là si può vedere ancora oggi sui muri delle pallottole da... Lo stesso a Kesarianì. Ma anche qui c’erano... mio padre era membro dell’EAM di Neapoli. Poi, anche dalla sera del “Politecnico”, molti anni dopo la guerra civile, ci sono... sappiamo che in alcune zone, ecco, là dove abito io, all’angolo delle vie Kallidromiou e Zosimadon, uno fra i morti del Politecnico, è stato ucciso là. E anche nei nostri giorni, quando ci sono le sassaiole, dopo gli scontri le persone corrono su verso quel punto, perché è più facile... per andare verso la collina di Strefi. Per questo, ultimamente, quando succede qualcosa, i ΜΑΤ vengono dalla parte di via Kallidromiou, perché accerchino i manifestanti. Ma li ho visti molte volte salire la strada correndo per salvarsi. Ovviamente, è successo lo stesso quella sera, e gli hanno sparato da lontano. Perché allora si sparava.

Anna: Eh, sì. Beh, ma anche oggi... Ma quindi, anche durante la guerra civile c’erano dei nuclei di resistenza qui, o no?

Thodoris: Per quanto riguarda la guerra civile non posso risponderti, devo cercarlo, perché non so se si sia verificato qualcosa di concreto, qualche battaglia, qualche scontro, lo dovrei chiedere a qualcuno...

Anna: Però dei gruppi di... c’erano.

Thodoris: C’erano, sì. Sto cercando di ricordare se c’è qualcuno che sappia... Qualcosa di cui mi sono dimenticato di dirti, è che Exarchia era luogo di artisti. Devi trovare e leggere un libro, è esaurito, il libro di Leonidas Christakis. Vedrò se ce l’ho ancora, se sì, te lo darò; l’avevo prestato ad un amico... Christakis era uno dei “gurù”, di Salonicco, che, perseguitato è venuto ad Atene in quel periodo ed è vissuto a Exarchia. Conosce bene la zona e ha scritto un libro su Exarchia. Fa anche un riferimento ai poeti e agli scrittori che sono vissuti qui, ci dice quali attori, registi ci sono vissuti. C’erano molti gruppi come questi. Molti artisti, che abitavano qui da molto. Vicino a casa mia, si trova la casa di Lapathiotis; era la casa di uno dei poeti maledetti degli anni ’30...

Anna: Dov’è questa casa?

444 Thodoris: C’è una via pedonale, Via Eresou sai dov’è? La Via Eresou comincia, supponiamo di qua, si va sempre dritto e finisce presso una pedonale che... è una pedonale piccola che finisce in un luogo libero da edifici, a sinistra c’era una scuola di teatro, adesso non c’è più. Allora, di fronte, si trovano due edifici neoclassici. Il primo, è stato rinnovato, è molto bello, e l’altro è un rudere; quella appunto era la casa di Lapathiotis. Nella quale fino a poco tempo fa io mi ricordo che abitavano alcune persone, non parenti di lui, chiamiamoli “clochard”; l’avevano occupata, vivevano là e sono morti là. Li ricordo abitare là. E nel cortile di quella casa, negli ultimi anni sono state fatte delle rappresentazioni teatrali. Certo, oggi, la sua parte esteriore è un ritrovo di drogati. Attualmente, ma anche prima. È perché la casa si trova in una parte “nascosta”, ci si va per “fumare”, per bucarsi, per scambiare. In quel tempo, là, si trovava la casa di Lapathiotis. Ecco, credo che la via si chiami Oikonomou... Si trova verso la parte di sopra... Molte case... erano così... dove un tempo abitavano poeti ecc. Insomma, questa zona veniva frequentata e abitata da moltissimi artisti. E’ quello che ti ho detto all’inizio... era molto probabile che si incontrasse delle persone famose di quel tempo come Nikos Karouzos... in un ristorante ad esempio, dove si era andati a mangiare. Tutti questi, hanno praticato anche lo stile di vita di Exarchia. Bevevano troppo, alzavano facilmente il gomito... ancora oggi. Sono numerosi gli artisti che abitavano qui. C’erano poi molti gruppi teatrali, ma anche nei nostri giorni, si nota che si formano molti nuovi gruppi tetrali. Nascono sempre più nuovi, piccoli ambienti teatrali... si fa continuamente qui intorno. Forse perché... sì, perché ci sono molti... A Exarchia ci sono molti vecchi negozi tipografici… ecco, appunto là, c’era un posto dove si trovavano molte librerie, e molti negozi tipografici. Anche oggi ce ne sono. I vecchi negozi tipografici, i vecchi magazzini di carta e simili, molto spesso vengono trasformati in teatri.

Anna: Perché teatro? Perché teatro e non... atelier, ad esempio...

Thodoris: Perché c’è una tendenza verso il teatro, è poi un tipo di evoluzione teatrale, dato che si fa performance in posti... è una logica di... entrare nella reltà senza dell’ausilio della scritta esterna “Teatro”, quindi l’idea è che si entra in qualcosa di differente; si entra in ciò in cui si è già e questo è teatro. È un pensiero... aperto. E molti edifici, che funzionavano prima come fabbriche o laboratori, sono stati trasformati in teatri. Alcuni di questi attualmente sono occupazioni. Il teatro Embròs per esempio, è uno... sai? Ci sarà una discussione venerdì prossimo, per la giornata internazionale contro la violenza sulle le donne, ci sarà anche una conferenza di stampa…

Anna: Ah, non lo sapevo... ci andrò...

Thodoris: Eh, ecco! quello spazio presenta un certo interesse... come... Perché è vero che Exarchia è stata una zona di artigianato; c’erano molti falegnami, cartolerie, negozi tipografici, negozi di scritte, tabelloni, che so io, fabbricavano…si stampavano dei libri... Molte cose. Anche nelle gallerie, nei negozi nelgi interrati... molti. Come si chiamano? producevano le confezioni per la carta da stampare, dei poster... ce n’erano molti. Questi, quando vengono lasciati, quando finisce il periodo del loro

445 uso e i proprietari vanno in pensione, il proprietario dell’immobile non sa che farsene. Sarà trasformato in magazzino oppure sarà usato in questo modo. E i gruppi teatrali li affittano, li rinnovano, li conservano in modo che ricordino l’uso precedente… E’ una tendenza. Sia del teatro, sia dell’architettura, tutto insieme. Kostas sa più cose, ti potrebbe spiegare meglio. Lui è anche scenografo, conosce molte persone che si occupano del teatro; mi ricordo che il suo primo lavoro, l’ha presentato a Gazi, dopo che non funzionava più come “Gazi” ed diventato un posto di esposizioni.

Anna: Mi ha detto che…

Thodoris: Non so che altro ti potrei dire... Credo che per me sia l’ora di abbandonare Exarchia e andare... l’ho vissuta da tutti i lati possibili. Visto che si deve... ad un certo punto… non voglio diventare anch’io come quei vecchi, che si incontrano qui tutti i sabati spinti da emozioni e bevono e... ricordano il passato; voglio essere attivo e... a Exarchia non c’è più spazio per questo, qiundi non riesco trovare un motivo per continuare a stare qui.

Anna: In quale altra zona... andresti?

Thodoris: Dove andrei... buona domanda; essendo vissuto a Exarchia, quale altra zona sarebbe quella giusta da “emigrare”... Mi piace Pangkrati, mi piace… quella zona là a Keramikos, mi piace molto, perché ci sono ancora degli edifici bassi e si può vedere il cielo.

(lo dice sorridendo e alzando gli occhi a guardare un punto in alto, dietro le mie spalle)

Anna: A Metaxourgheio, là intorno?

Thodoris: sì, però mi piacerebbe abitare anche in centro, a Syntagma ad esempio…

Anna: Ah, sì?

Thodoris: Mi piacerebbe…

Anna: Quante case hai cambiato qui a Exarchia?

Thodoris: Quante case ho cambiato in tutti questi anni… tre.

Anna: Non tante.

Thodoris: Quattro, scusa. Non sono il caso più classico, perché io non cambio casa facilmente, però molti miei coetanei cambiavano casa anche ogni sei mesi. Allora era facile; cioè si aveva dei soldi, si affittava una casa. I soldi finivano, si andava via da quella casa. Niente tasse, niente… Allora era… Poi… Ah! ecco qualcosa di particolare, allora si abitava insieme, in tante persone. A quel tempo, quest’abitudine era il modo di vivere, non solo perché non si avevano dei soldi,

446 ma perché si voleva stare insieme. Complicità, sai... Oggi questa tendenza sta per affermarsi di nuovo, cioè essere conviventi per motivi economici… qui a Exarchia. Ma mi ricordo che allora, io abitavo con mia sorella e si trattava di un’eccezione. In casa c’era anche il collegamento telefonico. E mi vergognavo a dirlo. Se si voleva il collegamento telefonico, si aspettava dieci anni. Che si abitasse insieme a molte persone era molto comune, l’ho visto anche in altre città europee, ma qui… giovani che arredavano la casa… Dipingevano la casa come volevano, a volte se ne andavano senza aver pagato, si recavano in altre zone… si faceva spesso. Era un’immagine molto consueta. A Exarchia. In generale, gli studenti potevano trovare alloggio comune… allora. Anche oggi, a causa della crisi però… i prezzi non sono tanto alti, ma neanche bassissimi. …Si beve caffè caro nei caffè i cui proprietari sono di sinistra...

Anna: ahahah Ah, sì? Dove ad esempio?

Thodoris: In Via Kallidromiou, ad esempio. Ecco tutto. Noi che abbiamo vissuto qui per tutti questi anni, per cambiare casa dobbiamo prendere una decisione senza sentimentalismi. Però è un po’difficile. Perché io mi sono identificato con quel primo periodo. Anche con il secondo forse... Per spiegarti meglio, è morto uno di quelli che ti dicevo, uno degli ultimi... Lui però faceva parte della scena musicale, il bar di Vassilis, forse lo ricordi...

Anna: Dove?

Thodoris: Era... Una volta si trovava all’angolo delle vie Zoodohou Pighis e Elisavron. Dopo il terremoto, dato con il terremoto alcuni edifici vecchi sono stati distrutti, questo nel ’99, allora dopo si è trasferito in Via Didotou, a Kolonaki. Comunque, vicino alle vie Didotou e Sina. Quel “Vassilis” era fra i bar più vecchi. Vassilis, il proprietario, è morto l’estate scorsa e sono andato al funerale. E ci sono andati molti dei vecchi abitanti di Exarchia. Ci è andata tanta gente perché lui rappresentava la vecchia abitudine del supporto reciproco, della solidarietà e... lui dava anche delle opportunità a dei giovani musicisti, là, al bar... si presentavano delle bande, faceva concerti dal vivo eccetera. Ecco. Man mano sta diventando... passi sopra un pennello e tutto si trasforma in un... Il Paese ha bisogno di crisi... concrete... di polizia, di ordine eccetera, come ci vuole anche lotta da parte nostra. Non si sa che cosa si deve fare di fronte a tutto questo... cioè non si sa più che cosa difendere dopo tanti anni... qualcosa che abbia un significato anche oggigiorno .. Perché se si tiene qualcosa solo come memoria, è inutile. Puoi passarci sopra il pennello o puoi avere a casa un archivio, e pubblicarlo e dire che... qualcosa che attualmente sia importante, non so. …Sta passando un’attrice molto conosciuta; e un’attrice piuttosto giovane, che abita a Exarchia da molto. Si occupa di teatro d’avanguardia, chiamiamolo così. Ecco tutto, relativo a... Vorresti registrare qualcos’altro?

Anna: Grazie, ho saputo già moltissime cose.

447 Intervista n° 8, Vangelis Dimos

21 dicembre 2013, ore 20.00

Vangelis Dimos è un mio caro amico. È un ragazzo di ventisei anni moro, alto e ossuto che vive a Chalandri con sua madre, un sobborgo nord della città di Atene, anche se è originario di Pagkrati. Studia filologia tedesca e lavora in una caffetteria. Ci ha presentati una comune amica di Paros in occasione di un concerto sull’isola nella primavera del 2013. Vangelis è un musicista della scena DIY di Atene e ha partecipato per diversi anni all’occupazione di Villa Amalias, in piazza Vicktoria. Suona la batteria in cinque gruppi, in due dei quali suona con suo fratello Ilias. Gli ho chiesto se avesse voglia di parlarmi dell’esperienza della controcultura punk e del movimento DIY di Atene, che mi pareva essere una parte importante del contesto storico del quartiere di Exarchia; così una sera di inverno a casa mia, davanti ad un tè caldo, abbiamo avuto questa conversazione.

Anna: Allora, vorrei sapere da te qualcosa sul movimento DIY e sull’autogestione della musica e sul perché è importante per il movimento antiautoritario e perché si è intrecciato in modo così consistente con Exarchia e tutto il resto… con Exarchia… intendo dire con tutta quella situazione lì…

Vangelis: Sì, guarda il movimento DIY ha ovviamente molte declinazioni, ma in Grecia, come nel resto del mondo, anche, la parte musicale è stata sempre “in prima linea”. Diciamo quindi l’autogestione della musica, e in particolare in Grecia rispetto ad altri paesi dove hanno anche lì una scena musicale DIY, ha una forte caratterizzazione politica. Almeno dalla fine delgi anni ’80 in poi, quando sono cominciati i concerti autogestiti e molti gruppi suonavano, già dagli anni ’80, nelle occupazioni cme quella della facoltà di chimica, dopo le manifestazioni del 17 novembre.. cominciavano a suonare musica, ma mantenendo una linea decisamente politicizzata… linea, un target più chiaramente politicizzato che è cominciato credo alla fine degli anni ’80, con le occupazioni, soprattutto con Villa Amalias che è cominciata allora, su via Amalias e poi all’incrocio tra via Acharnon e via Heiden, perché lì ha cominciato a diventare centrale non solo la preparazione dei concerti ma anche …. E delle strutture, nel senso anche dell’espressione come anti-cultura, ma anche soprattutto che cominciasse ad esserci un… diciamo che cominciasse con la musica e poi che andasse verso altre forme.. perché sai, era.. la musica porta sempre le persone ad avvicinarsi, quindi aiuta una tendenza di questo tipo, parlando di autogestione… A partire da ciò, quando parliamo di un ambiente politicizzato, sicuramente ha giocato un ruolo importante la logica anti-autoritaria e anarchica e il carattere non lucrativo delle manifestazioni che continuano ad essere tali, il cui scopo era prevalentemente ciò che dicevamo prima dell’essere completamente autogestite e l’abolizione completa della logica dello spettacolo e dell’arte musicale convenzionale sul palco una presa di posizione netta contro la commercialità e la commercializzazione di questi contesti, quindi una scena che fosse del tutto fuori da queste logiche, ch non ci fosse scambio economico di denaro… da lì in poi c’è stata una divisione un po’ perché c’erano gruppi che suonavano nelle occupazioni ma che suonavano anche nei locali che…

448 Anna: Questa divisione in che anni è cominciata?

Vangelis: Penso intorno al ’93, il ’94 è cominciato… non mi ricordo adesso esattamente, a dirti il vero… perché molti gruppi arrivavano, non aiutavano nella preparazione del concerto… e invece era questa la questione principale, che sei sia musicista, sia tecnico del suono, sia nella preparazione proprio del concerto in tanti modi diversi… dal punto di vista tecnico, alla sicurezza (sempre negli spazi occupati, come nei concerti organizzati negli spazi all’aperto c’è un gruppo di persone che si occupa di controllare che non ci siano irruzioni di fascisti o di polizia, ndr), niente ti distingue dagli altri che sono lì quando suoni, e questo è ancora una parte molto importante, almeno in Grecia. E su questa logica, la divisione tra gruppi che suonavano anche nei locali eccetera è molto difficile datarla, perché ha attraversato molte fasi, molte situazioni… ci sono state molte divisioni, il che alla fine non erano neppure evidenti… comunque questo è un discorso molto lungo che si discute da almeno vent’anni tra gruppi, se nei locali o no, e l’anticommercialità… ci sono stati alcuni passi comunque dagli anni ’90… e, è un bene per me, per dire che ci sia questa discussione sul fatto se sia giusto o meno che i gruppi suonino in spazi così… che poi sai, gruppi che sono più chiaramente schierati in un certo ambiente hanno la questione più chiara davanti a loro su come vogliono gestirsi le cose e in che tipo di concerti vogliono suonare e per quali obiettivi… e continuando su questo tema della non commercialità e dei locali c’è anche la questione che non ci sia un biglietto di ingresso o “face control”, buttafuori vari (bravilikia) e tutto questo… tutta questa filosofia che si trova nei locali e nel loro modo di funzionare. Quindi che non ci sia un prezzo per i concerti, che ci sia piuttosto una scatola per le offerte… ci sono collettivi che non mettono un prezzo neppure al bar, anche il bar funziona con l’offerta libera, e ci sono ancora dei collettivi che nelle manifestazioni quando riescono ad organizzarle, sia di teatro che di musica che di altre cose decidono che non ci sia neppure il bar. Che non ci sia quindi nessuna logica commerciale.. nessuno scambio in denaro in assoluto, almeno per la durata dello spettacolo… come una piccola oasi diciamo nella quotidianità capitalistica e profondamente intaccata dallo scambio economico. E quindi sì, la scatola delle offerte e offerte che sono molto spesso per altre cose… per dire quelli di sinistra hanno molto la logica del coupon… quindi che ne so.. offerta benefit con 2 €, 3 €… e tagliano questo coupon che dice che hai sostenuto questo o quell’altro obiettivo, qui abbiamo l’offerta libera anche nelle manifestazioni solidali dove ciascuno mette quello che vuole per un qualche tema o persona che ha bisogno di essere sostenuto economicamente, quindi che ci sia solidarietà nei fatti anche a livello economico per sostenere ad esempio un prigioniero politico o qualche altro attivista del movimento, per dire.

Anna: Come si intrecciano così profondamente queste due cose?

Vangelis: Quali intendi?

Anna: Ciò che stiamo dicendo adesso della solidarietà con i prigionieri politici, diciamo il livello politico con la musica…

449 Vangelis: Quello che vorrei dire, ed è lì che centra quello che mi chiedi è che la cosa più importante di questi concerti che ci sono e dei moltissimi che ci sono stati se facciamo riferimento preciso ad Exarchia, ok, sono state fatti molti concerti in piazza e vengono fatti ancora, su, spesso concerti hip-hop o con altri obiettivi… qualche anno fa quando sono entrati al Vox (la polizia, ndr) e l’hanno chiuso dopo c’è stato il concerto in piazza… sono stati fatti tanti concerti in piazza, ma lo spazio più importante, in genere per …

Anna: Quando hanno sgomberato il Vox?

Vangelis: Oddio, adesso mi sfugge… due anni fa?? Mi pare di sì..

Anna: É occupato dal 2010, no?

Vangelis: Sì, il ’10 o l’11… ti saprò dire esattamente… comunque, il luogo importantissimo per i concerti per davvero tantissimi anni, storicamente proprio, soprattutto in relazione ai movimenti studenteschi era ed è il Politecnico. Tantissime assemblee e tantissimi concerti, a parte le feste del 17 novembre che si radunano tantissimi di sinistra di estrema sinistra, antiautoritari e anarchici, è un luogo di grandi fermenti, perché tantissimi concerti sono stati fatti lì, tantissime discussioni di collettivi, c’è questo background storico con il politecnico della generazione del Novembre, della xounta, del ’73. La cosa importante per i concerti che si fanno al politecnico, visto che parliamo di Exarchia, anche all’ASOEE ne sono stati fatti tanti, su via Patission, un po’ lontano da Exarchia ma.. nel pensiero comune è comunque su via Patission, la facoltà di economia di Atene… era che sono luoghi di incontro per persone, collettivi, persone che non si vedono da tanto, persone che devono discutere cose.. in genere i concerti erano manifestazioni in cui le persone erano in fermento, e lo sono ancora… dalla formazione di un nuovo collettivo, alla formazione di un nuovo gruppo … in qualche modo si intrecciano queste due cose. Si sperimenta, si da progettualità, confronto, ma ci sono anche incontri di persone che non si vedono sempre, complicità… sono sicuramente importantissimi per l’ambiente (anarchico, ndr) i concerti, anche se qualcuno si ostina a dire che serve maggiore preparazione e che si può fare tranquillamente una manifestazione meno complessa o una festa, una discussione prima di una presentazione… ma il concerto aiuta il movimento a più livelli. Penso, e molti altri lo pensano credo, ed è emerso anche dai report, che la polizia ritiene i live, i concerti estremamente importanti, a livello di organizzazione delle azioni del movimento antiautoritario. Quindi che si incontrano persone e si accordano per azioni, iniziative, si costituiscono gruppi e molto più complesso che semplicemente andare a sentire un gruppo e a goderti la loro musica, diciamo. Per questo ritengo sia molto importante che continuino ad esserci, questi live. E quindi sì, ci sono gruppi che… si costituiscono all’interno dei collettivi politici, gruppi che si occupano di concerti i quali… e qui torno sulla tua domanda di prima, funzionano secondo una logica comune, e quindi la musica è usata anche per esprimere un certo tipo di contenuti, e i gruppi possano esprimere quello che vogliono esprimere, che di solito è contro l’esistente, e dall’altra parte per sostenere obiettivi e tirare su i mezzi per muoverci in un’altra direzione, per costruire delle strutture che servono all’ambiente anarchico e ai collettivi, quindi qualcuno che

450 suoni in un gruppo in realtà prende parte attivamente a tante altre “procedure”, sia in collettivi, che in assemblee, che in iniziative che si organizzano. E quindi c’è una parte importante che è decisamente connesso con l’ambiente politico antiautoritario… c’è poi… negli ultimi anni è venuta fuori anche una corrente più apolitica, ci sono molte più persone apolitiche rispetto al passato, rispetto alla scena diy, diciamo…

Anna: Perché?

Vangelis: Molti dicono che dopo il Dicembre a causa della grande….. sì che ci sono sicuramente tanti gruppi che suonano in concerti e in contesti di quel genere, ma che sono di più per il concerto in senso stretto… qualche volta anche per attitudine, ma… non sono così legati a queste strutture … allora devi sapere che dopo il Dicembre c’è stato un grande boom… in un certo modo un’apertura… in pratica l’ambiente anarchico.. ma non in senso stretto l’ambiente anarchico, quanto più…. Neppure il movimento direi, perché non sono queste le caratteristiche, potremmo dire l’anticultura se vogliamo metterla sul più vasto piano della cultura… quindi queste persone non,.. cioè, ecco questi concerti hanno cominciato ad attrarre sempre più gente, c’era un background comune… del tipo che come c’erano le assemblee di quartiere così anche c’erano assemblee per la musica… come è successo per tante altre cose dopo l’ondata di Dicembre… e quindi in particolare nei live che si facevano per qualche scopo, o ai live aut organizzati eccetera c’erano tantissime persone. In città diverse… io l’ho visto succedere a Patrasso, ad Atene… in modo particolare mi ricordo di Patrasso, perchè parlavamo e mi han detto che ormai non si vedeva mai meno di 500 persone, ehehe.. ai concerti dove una volta andavano in 150, per dire… e questo ha creato credo… perché hanno cominciato anche ad esserci tanti gruppi.. è cominciato proprio un dibattito, se questo fosse un bene oppure no suonare anche nei locali… non c’è stata questa divisione come c’era stata negli anni precedenti, i gruppi suonano un po’ qua e un po’ là, ma ci sono anche gruppi che sono più… in un certo senso come se vedessi un’immagine dal passato, ci sono gruppi che cominciano suonare in certi spazi e vedi che poi continuano e suonano in contesti un po’ diversi che non hanno molta connessione con ciò da cui erano partiti… questo, rispetto all’apolitique.. ora però non posso dirti qualcosa di saggio in merito a questo.. forse è anche il periodo storico che …è difficile e si cerca in questo una direzione nella musica e nell’espressione, ma questa esce un po’ “ego centrato”, come altre cose d’altra parte, nella società greca, complice una qual certa alienazione, quindi esce fuori una cosa un po’… tutto questo effimero, diciamo superficiale del adesso così e poi in caso dopo vediamo cosa sarà… forse anche questo… ma dal momento che siamo in una società come dicono post-ideologica, tutto questo violento attacco del capitalismo e anche questo credo… penso che anche in altri paesi deve succedere qualcosa del genere.. gruppi che suonano solo per la musica… ma la rabbia da sola.. la rabbia di alcuni gruppi rock, non fa un granchè se è fine a se stessa, se non costruisce qualcosa più in là, come hanno invece provato a fare le generazioni precedenti, i giovani di un tempo se vogliamo dire così… i primi ranghi di persone giovani… ranghi adesso…. Capito cosa intendo.. gente che ha creato qualcosa, come quella degli anni ’80 e degli anni ’90, che ha provato di costruire qualcosa di diverso da ciò che era il loro

451 esistente, per portarlo avanti come concezione e come prospettiva rispetto alla vita, a quello che viviamo quotidianamente, che ci costringe e nel quale siamo incastrati tutti con lo sfruttamento del sistema economico egemone. A parte ciò comunque, qualcosa di molto importante che avviene negli ultimi anni è l’incredibile attacco che lo stato porta avanti contro le parti sociali che si ribellano, io dico questo intendendo quelle parti della popolazione che da sempre stanno nelle strade, non penso si tratti di un’avanguardia o qualcosa di simile, ne’ illuminati o qualcosa del genere, semplicemente è gente che è sempre stata nelle strade, prima del movimento degli indignati e dopo di esso… quindi tutti coloro che protestavano in tutti i decenni della Metapoliteusi, e che ancora continuano nelle strade, più giovani, più vecchi non importa, e che sono sempre stati dalla stessa parte e lì si sono scontrati con una fortissima repressione della polizia e di tutto il resto, che non aspettavano che ci fosse nessuna crisi e nessun attacco su tutti i fronti come quello che sta avvenendo adesso da parte dello stato e dei padroni ai loro diritti come è successo adesso con gli indignati negli ultimi anni nelle piazze, e nelle strade… che alla fine è stata un’ondata di rabbia che si è sgonfiata perché non aveva alcuna base ideale su cui appoggiarsi, ma neanche nessun obiettivo concreto rispetto alla struttura delle cose e non solo alle contingenze… è in pratica gente che non ha alcuna educazione politica ne’ un pensiero critico particolare rispetto a ciò che avviene intorno… quindi queste persone che si ribellano… dove volevo arrivare, adesso, che ho divagato… sì sono sempre stati per le strade e… non mi ricordo adesso.. ahaha

Anna: Ahahahahaha

Vangelis: Ma perché ho cominciato a dirti delle persone delle lotte adesso? Ah sì ecco! Perché lo stato… voglio dirti degli attacchi alle occupazioni praticamente… che queste persone sono sempre state nelle strade e adesso lo stato come ha attaccato i sindacati e le unioni, così ha attaccato anche le occupazioni, e le occupazioni le ha attaccate anche molto presto, tra l’altro, per mettere in chiaro che nessuno è esente dalla legge e dalla legalità, come la situazione democratica prevede che sia la legalità, no? Cosa è legale e cosa illegale… e quindi vediamo che intorno alle occupazioni ha molta importanza il tema dell’autogestione della musica, perché tantissimi spazi che sono stati creati, e tantissime strutture come Villa Amalias che era un palco, uno spazio dove hanno suonato tantissimi gruppi sia dall’estero che di qua e per tantissimi motivi diversi .. e tutte queste strutture adesso non esistono più. E cosa si può fare adesso? È anche per questo che molti gruppi si sono girati a suonare solo in concerti che si fanno fuori, nelle piazze… molta gente dice che però questo non è qualcosa di effettivo, che ok, può aiutare per qualche scopo ma non è… non crea strutture! Perché sono le strutture che danno continuità a qualcosa e possono far progredire la storia, la scena farla andare avanti… no? È la stessa cosa dei cortei… se non ci sono collettivi , i cortei ci sono solo per fare vedere che c’è tanta gente in forze e attiva, servono solo a contarci: quanti siamo che siamo ancora per la strada, ma la questione non va oltre, oltre ci vanno tutti i soggetti che fanno parte del movimento antiautoritario che esistono quando la gente si incontra, discute e organizza cose… quindi rispetto all’autorganizzazione e all’autogestione di cui chiedevi prima c’è bisogno che le persone a cui interessa, i collettivi che si

452 occupano di concerti, i collettivi musicali, i gruppi tornino a creare strutture. ‘Che lo stato ha mostrato il suo vero volto e deve esserci una risposta a tutto questo, e l’unica risposta possibile sono strutture, non solo come qualche concerto o qualche manifestazione che possono essere fatte in solidarietà a qualche compagno. Questo, quindi tutti gli attacchi che ci sono stati agli stekia e alle occupazioni, a parte quelli che un tempo avvenivano da parte del parastato e dei fascisti, adesso sono da parte dello stato che vuole chiaramente spezzare queste strutture. E quindi… non so se riusciremo a ricostruirle, ovviamente lo spero molto, ma è per questo che penso che bisognerebbe muoversi da una base di questo genere, anche i gruppi, per questo parlo dei gruppi, perché una volta suonavamo nelle occupazioni, adesso non ci sono più occupazioni, suoniamo allora… che ne so, almeno in un posto dove non ci sia il biglietto d’ingresso, dove non ci sia giro di soldi o ce ne sia uno molto inferiore, qualcosa del genere insomma… non vado in un locale per dire, in un posto dove vai semplicemente per suonare, tipo. Perché prima il fatto che ci fosse un concerto faceva venire fuori una certa ottica, alcune idee di solidarietà e collettività, collettivizzazione dei pensieri, delle azioni da parte di persone che si incontrano per creare qualcosa di bello… nel senso che anche un concerto fine a se stesso quando avviene in un contesto di autorganizzazione, diciamo, supportato da questo tipo di premesse è di per se stessa una… è una proposta, in un certo senso, una proposta politica, un’affermazione di poter fare questa cosa da soli e che si può fare la stessa cosa anche in altre circostanze della vita. Senza un termine economico, senza che sia il tuo lavoro ma apertamente spontaneo e gratuito…

Anna: E rispetto alla musica cosa mi dici? Intendo dire perché sono proprio quei generi lì e non sono altri…

Vangelis: Sì, sicuramente ha a che fare con il rock e col punk. Del punk vuoi sapere? E va bene… come tutte le cose che arrivano in ritardo in Grecia, così anche il punk, vediamo che c’è una politicizzazione in Inghilterra, coi Crass e tutti questi gruppi anarcho-punk, anche in America da un certo punto di vista rispetto a come preparano alcuni live, c’era una base politicizzata credo, negli anni ’80.. e quindi in Grecia… queste esperienze arrivarono, diciamo…

Anna: Dagli anni ’90 diciamo…

Vangelis: Oh, no, già dagli anni ’80, già negli ’80 suonavano gruppi con degli scopi… nelle occupazioni, nelle scuole, festival antifascisti e antirazzisti… c’erano cose non è che non ce n’erano. Semplicemente dagli anni ’90 la gente che girava intorno a questo mondo dicono che i gruppi fossero più hardline , erano più political correct, gruppi che suonavano con un evidente… sia nei tesi, che nella posizione, avevano un segno evidentemente anticommerciale e anche ideologico di un certo tipo. Quindi sì, penso che i prodotti musicali più radicali e più apprezzati e abbracciati dalla gioventù fossero quello che nascevano da questo incrocio tra il DIY e il movimenti antiautoritario, per dirla così molto in generale, l’ambiente anarchico e autonomo greco e dallo spirito antifascista che c’è ed è costitutivo almeno per quanto riguarda la controcultura di Exarchia e che anima tutto il movimento antiautoritario, perché in Grecia si rivolgeva ad una comunità ben precisa, e il terzo

453 punto è il punk che negli anni subito precedenti aveva conosciuto una fioritura, e ancora esistono gruppi con queste caratteristiche musicali, ok, si è un po’ arricchita questa cosa ma da sempre la storia girava intorno al punk, al rock, al metal diciamo… non vedrai facilmente… perché tipo anche il punk aveva di per sé una logica do it yourself, quindi non aspettare il grande artista… la situazione in cui sei solo un consumatore che ascolta un artista suonare lo stesso pezzo venti ore, tipo.. puoi prendere anche tu uno strumento e suonare, e far venire fuori le tue canzoni che tirano fuori quello che tu stesso hai dentro, diciamo e questo arriva fino a… cioè tipo, ok, dal momento che abbiamo fatto il gruppo, organizziamo anche un concerto adesso cosicchè possiamo suonare da soli senza figure di grandi esperti, e da lì si creano anche le strutture, si può mettere su anche un collettivo che si occupi di concerti che abbia anche i suoi impianti, pian piano, finchè ci sia una certa autonomia e un certo rendimento, un buon suono, un buon concerto, un buon risultato affinchè si possano supportare in modo bello praticamente elementi di cultura, perché anche questo è un prodotto culturale in un certo modo, aiutare in questo modo gli scopi del movimento, questa è l’idea. Per questo vedo il punk come un diretto interlocutore del diy e del movimento antiautoritario in Grecia.

Anna: E la Villa? Penso sia in tutto questo il pezzo di storia più importante per la città di Atene.

Vangelis: La Villa, sì… nel senso tieni presente che io ero molto giovane all’interno di questo progetto ma… la Villa è stato un grande successo, credo, nel dimostrare che una compagnia di persone si sia messa insieme e sia entrato in una casa, che all’inizio era in via Amalias, era molto vicino al parlamento quindi, la prima casa e da lì hanno poi mantenuto il nome… prima che li sgomberasse la polizia dopo pochi mesi e andassero nell’altra casa, la grande casa dove per tantissimo tempo, più di vent’anni, lì all’angolo tra Acharnon e Heiden, hanno avuto luogo tantissime manifestazioni politiche, culturali e che aveva anche una presenza importante per strada… non era quindi solo un luogo a se stante, separato dal resto. Lì quindi sono state fatte tante cose, ma soprattutto tutto quello che abbiamo costruito rispetto ai concerti e hai gruppi è cominciato dentro la Villa, non centra che ci fossero contraddizioni o meno dentro ad essa, ma non si cade in contraddizione solo se non si fa nulla, no? Se fai puoi caderci ma credo che la tua posizione sia del tutto dignitosa; e credo che la gente che criticava molto quella situazione non abbia poi alla fine fatto nulla per creare le sue strutture per mostrarci cosa criticava così acremente, perché credo… cioè per me non è mai stato questo e nient’altro… non è mai stata la chiesa del DIY o il tempio, la Villa. Era solo che qualcuno ha fatto dei tentativi in base ad alcune premesse e alcune cose di base su come avrebbero suonato lì i gruppi, su come ci si sarebbe mossi e in modo schietto… quello che pensano le persone che si occupano di questo, direi, nient’altro.. poi se ti piaceva ci suonavi, se non ti piaceva non ci suonavi, perché aveva una etica molto rigida… sicuramente ha fatto i suoi errori, ha avutole sue contraddizioni… anche io non ero più d’accordo gli ultimi anni… forse semplicemente mi ero stufato di partecipare alle attività musicali…

Anna: Perché?

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Vangelis: Tutto questo i locali sì i locali no… anche se era cominciato dal novanta qualcosa, quindi ci sta che alcuni comportamenti li avessero scazzati… ma vabbè… le bande dall’estero che fai, che sicuramente hanno suonato o suonano nei locali perché all’estero le robe sono diverse? Non le fai suonare? Quindi così… c’erano diverse questioni, ma diciamo il contenitore, il fatto che i gruppi partecipavano, o meglio anche solo idealmente avrebbero partecipato alla preparazione del concerto e al richiamare le persone e questa idea di spezzare il binomio pubblico/artista… c’erano queste cose… diciamo credo che si fosse in una buona e sana direzione da questo punto di vista, in fin fine. A parte ciò quello che voglio dire, musica a parte, è che Villa Amalias ha avuto una presenza importante anche su altri fronti, anche sulle strade, intendo praticamente per quanto riguarda l’antifascismo e l’antirazzismo… adesso negli ultimi anni con la grande apparizione dei neonazisti, negli ultimi 6, 7 anni, che di tanto in tanto attaccavano Villa Amalias, ma che sempre con la protezione degli antifascisti si riuscivano a scacciare, anche in attacchi che avvenivano con la evidente collaborazione degli sbirri che stavano alle spalle dei fascisti, si è trovata ad essere oggetto di una fortissima repressione e… da un anno più o meno non esiste più. Ma sì, nel senso… aveva forti rapporto col quartiere, alcuni membri partecipavano alle assemblee degli abitanti di piazza Viktoria; organizzava diverse manifestazioni nella zona, e sostegno… perché ci sono nel quartiere tantissimi migranti, soprattutto arabi che vivono lì da tantissimi anni, ma è in genere una zona di grande presenza migrante, e quindi si cercava di… di stare vicino ai lavoratori migranti e alle loro famiglie e ad aiutare nelle frizioni che c’erano nel quartiere, soprattutto a causa delle intimidazioni dei nazisti, questo. Qualcosa del genere… questo per gli ultimi anni è qualcosa di molto importante. Tantissimi collettivi, sia musicali che artistici che di altra natura si sono ritrovate a Villa Amalias, c’era una propria tipografia gestita dal collettivo Rota, estremamente importante questo per quanto riguarda l’autorganizzazione, tantissimi gruppi, anche musicali ma anche gruppi del movimento stampavano i loro manifesti lì, altri copertine per le loro pubblicazioni… stiamo parlando di pazzeschi… grandissimi passi in avanti, incredibili mosse… una sala prove… si discuteva di quando in quando di idee nuove che si potevano mettere in pratica, che ci fosse anche uno studio di registrazione, perché i gruppi potessero registrare la loro musica dentro Villa Amalias, c’erano state delle discussioni con qualcuno… tra il serio e lo scherzoso.. vabbè, davvero… forse ad un certo punto qualcosa del genere sarebbe stato fatto… non sarebbe stato poi così strano.. sala per concerti, kafeneio, proiezioni… anche d’estate proiezioni del kafeneio .. nel senso tutte queste cose e questo tipo di manifestazione soddisfano le persone e le portano più vicino con l’idea di supportare uno spazio… quindi così, Villa Amalias è stata molto più di una casa, un po’ di casino o una roba del genere, ha rappresentato idee e percezioni che si discutevano da anni e anni nell’ambiente anarchico, rispetto a come potesse andare avanti l’autorganizzazione e l’autogestione… Questo, rispetto alla Villa (parla e si rattrista veramente, come a pensare a qualcosa di bellissimo e perso per sempre, un pensiero, un amore lontano. ndr), così più o meno.

Anna: Io credo che quello che mi dici sia estremamente importante per il mio lavoro, e per parlare di Exarchia in particolare. Sono molto interconnesse le due cose. In un modo

455 però che non è così auto evidente, perché non esistono a Exarchia posti come la Villa… o dei gruppi che si occupino di musica o di concerti in particolare…

Vangelis: Sai, il fatto è che ok, Exarchia ha questa cosa che è un punto di ritrovo per gli studenti… ci sono tante facoltà tutto intorno, la scuola di legge, pedagogia, il politecnico, l’ASOEE più in basso … e questo da sempre richiamava gente… con tanto tempo libero, volontà di cambiare l’esistente… e tutte ‘ste belle cose qua che, in pratica questo ha portato vicino la gente che costruisce questa cultura contro l’esistente, ma a parte ciò è sempre stato anche un luogo di concerti… anche la Villa ha fatto tanti live al politecnico e allo Strefi.. ma vabbè, ricorda che Exarchia comunque è un quartiere… non ha queste caratteristiche definite… ok, si respira quest’aria di anticultura, ma la Villa era qualcosa di ben preciso che stava da un’altra parte, in piazza Viktoria. Certo, c’erano molte connessioni, ovviamente, tra i due. Rispetto a Exarchia posso dire che potevano non esserci occupazioni.. vabbè ce ne sono anche state, dei tentativi di occupazione, ma diventavano sempre dei target (per la polizia, ndr), mentre la gente si trova molto più facilmente nella piazza, nei kafeneia e live ce ne sono stati tantissimi, in piazza, sullo Strefi tanti soprattutto negli ultimi anni, al politecnico… ci sono stati addirittura concerti nei parcheggi del quartiere qualche volta.. nel senso c’era lo spazio e c’è lo spazio, come spazio d’espressione e di creatività per azioni di questo genere… adesso sì, per quanto riguarda la Villa certamente era strettamente legata al movimento e certamente molto vicina ai collettivi che hanno Exarchia come base per diverse questioni… non credo serva entrare nei dettagli rispetto a questo… così, addirittura al Pedio tou Areos sono stato fatti live, su via Alexandras, dall’altra parte, vabbè, poi… la zona si praticamente completamente riempita di sbirri, e quindi…

Anna: Eh, ma anche questo… sulla collina di Strefi non hanno smesso di fare concerti proprio per questa ragione?

Vangelis: Vabbè, la verità è che… negli ultimi tempi c’erano davvero tantissimi live, party e… è anche una zona abitata là tutto intorno, voglio dire mi sembra logico che ci siano problemi.. cioè tipo d’estate all’improvviso c’erano tantissimi eventi là senza... diciamo senza misura, anche in giorni infrasettimanali andava là gente con la musica a divertirsi.. la faccenda diventa pesante, diciamo … stufi la gente e questo non aiuta. Ehm… vabbè ma ci sono spazi, lo steki di Kallidromiou, il Nostros di AK che faceva ogni tanto… ha fatto ogni tanto diversi eventi musicali… che hanno un’aria un po’ di autorganizzazione in qualche cosa e si muovono in quella direzione.. comunque sì la Villa aveva sicuramente relazioni con Exarchia,in definitiva per chiudere questo discorso. Ehehe.. Moltissima gente c’era anche a Patrasso, per dire… c’erano molti stekia e occupazioni in città.. c’era una ottica molto simile, decisamente comune, specialmente con Patrasso, rispetto ad altre città, una grande comunanza, perché molta gente.. di Patrasso era ad Atene molta di Atene è andata a Patrasso come studente.. quindi c’erano caratteristiche ideali comuni sulle premesse che dovevano esserci per formare un gruppo e su come dovevano avvenire le manifestazioni musicali … c’è un pensiero comune sulle strutture e su come devono funzionare le cose… come devono… intendo dire come idealmente potrebbero funzionare all’interno di questi soggetti politici e di queste

456 manifestazioni autorganizzati. E questi legami stretti tra l’ambiente antiautoritario e la scena musicale, la scena musicale autorganizzata, quindi i concerti per uno scopo e tutto quello che abbiamo detto prima, diciamo. Perché per dire anche a Patrasso c’è stata una simile diatriba, sui locali e tutto il resto. Finisco di nuovo a parlare di Villa solo per dire che ok, nel movimento di solidarietà, e anche l’anno scorso a gennaio che c’è stata la grande manifestazione verso i tribunali con circa 10000 persone e tutto il movimento di solidarietà sul territorio nazionale greco e anche all’estero mostra i legami della Villa col movimento e con i movimenti… con molte occupazioni all’estero, per dire della rete in cui stava, diciamo .. come luogo di creatività ed espressione ma anche di pratiche concrete.

Anna: Pensavo ad uno spazio come il sotterraneo di Kallidromiou, che per qualcuno che non sa potrebbe sembrare qualcosa di simile a Villa, ma che in realtà non lo è… quali sono le differenze?

Vangelis: Ma, allora… Kallidromiou è stata cominciata da membri di EEK, che è il movimento trotzkista… che ok, all’inizio avevano relazioni più strette, poi meno… poi hanno cominciato a formarsi diversi gruppi che organizzavano live, chi per scopi chi no… ma insomma L’EEK è molto vicino a Exarchia… intendo i suoi membri sono attivi nella zona, anche se possono sembrare parte dell’ambiente anarchico perché hanno un modo di scendere in strada… e stanno fianco a fianco con gli anarchici, per questo anche durante Dicembre la polizia ha caricato molto violentemente il loro blocco.

Anna: Ah sì?

Vangelis: Sì… sono irrotti con le moto, hanno ferito diverse persone e… insomma lotta corpo a corpo, in maniera chiara era un attacco preparato proprio contro di loro. Comunque, a parte ciò, Kallidromiou dopo ha assunto un carattere meno connesso a loro, la cosa ha assunto un’altra ottica comunque diciamo… ha cominciato a partecipare gente diversa che non c’entrava, abbastanza presto che ha portato la questione altrove… ok, non è… è uno spazio per i concerti, si incontrano collettivi, c’erano lezioni con i migranti un tempo… adesso non so cosa succeda con la nuova “leva”… visto che c’era il rischio che chiudesse a causa della cattiva gestione economica… come steki, adesso, non so se è ricominciato perché adesso è una sala per concerti.. per quel che ne so hanno cominciato un kafeneio con sottofondo musicale e immagino che a qualche punto vedremo riformarsi strutture… come lezioni di autodifesa, lezioni ai migranti e tutte queste belle cose che c’erano… ma sì, sicuramente non è come un’occupazione, ne’ tantomeno come Villa Amalias diciamo. Ah rispetto a Kallidromiou e ai gruppi, per me la cosa bella è che dall’inizio potevano venire a contatto con l’autorganizzazione gruppi che non avevano nessuna relazione con questa logica… era una specie di finestrella, diciamo molti gruppi potevano venire lì, vedere com’è un concerto che ti costruisci da solo… con altri termini rispetto a quello dei locali, ai quali era più facile andare vicino… sì diciamo che era più accessibile, rispetto alla Villa che aveva una posizione molto chiara che ti diceva “è così e basta per noi. Vedi tu come ti sembra”. E quindi a Kallidromiou sono venuti a suonare anche gruppi arrivavano,

457 guardavano, suonavano e ti dicevano “Mi piace questa roba qua!” e così cominciavano a partecipare a qualcosa del genere e a entrare in una logica diversa da quella che avevano prima. Così, e quindi per me questo è stato il vantaggio di Kallidromiou… vicino a Exarchia, sicuramente richiamava della gente, e sono stati fatti molti bei concerti… e importanti live per degli scopi, diversi nel corso degli anni. E molte volte offerte per i processi di persone che erano state arrestate durante cortei; o che erano stati picchiati… per dire che erano in un blocco ad una manifestazione e sono stati picchiati. Ed inoltre sono abbastanza in questa cultura del “teniamo Exarchia pulita da sbirri, spacciatori, armi, prostituzione” e tutto questo sottobosco di stato, parastato e gente della notte, no? E contro i neonazi che hanno attaccato tempo fa Kallidromiou …

Anna: Ah sì?

Vangelis: Sì, non è successo nulla di che… per dire anche alla Villa quando c’è stato il grande attacco.. cos’era, 2008, 09… avvengono… con la copertura degli sbirri, non è una cosa che si pensa che entrino e ti dicano “siamo qua adesso ti ammazziamo”, sempre vigliaccate.. perché è questa la natura di queste persone… non so se è la natura, comunque… è la logica di tutti questi. E quindi sì, se l’è passata male anche Kallidromiou… ma poi c’era gente che si è radunata là, che era ed è gente della prima linea del movimento in un modo o nell’altro. Così. Adesso vedremo cosa succederà in futuro perché, ok… di base è uno spazio per fare concerti, ma ho visto che la gente là è interessata alla discussione sul come possiamo fare dei passi avanti, diciamo la necessità di autorganizzazione e di musica ci può portare, oltre alle difficili condizioni economiche e al periodo difficile che colpisce tutte le questioni a tutti i livelli, a fare quello che ci piace fare e a farlo con sempre più forza e voglia e supporto… anche di persone che venga a partecipare a queste cose non semplicemente che venga a vendere i concerti e a passarsela bene. Perché può sembrare futile che uno si occupi di musica, in questi tempi difficili, ma io penso che l’arte in genere, e la cultura, ti tengano su in questi periodi e ti diano la possibilità di andare più vicino alle persone a cui tieni, e a quelli che consideri compagni e compagni di lotta… a parte le offerte economiche.

Anna: E tu, come hai cominciato a partecipare a questa cosa?

Vangelis: Io ho cominciato a partecipare perché vengo da una famiglia dove c’era…. Dove c’era una certa politicizzazione diciamo… mio padre è un uomo di sinistra che viene dalle lotte sociali … e che Russia e che Cina e che Mao, eccetera eccetera… e in genere mi sono sentito molto presto vicino all’estrema sinistra diciamo, e poi piano piano crescendo ho cominciato ad ascoltare anche musica e sono incappato in alcuni gruppi i cui testi sono apertamente contro l’esistente e alcuni con un messaggio politico più definito, e quindi così sono venuto a contatto con la… sai sono diversi modi in cui puoi arrivare ad una determinata musica e a dei gruppi che senti che ti rappresentano, alla fine, fanno sé che problematizzi delle questioni , e così ho cominciato a suonare in diversi gruppi della scena, perché per me il DIY e il punk e la filosofia e la cultura della liberazione sociale diciamo, sono molto vicine… e quindi da lì ho cominciato e sono finito a partecipare in soggetti politici,

458 in gruppi che si occupavano di organizzare live e in gruppi musicali che avevano un messaggio molto chiaro… chiaro… non era proprio chiaro il messaggio socio politico perché l’espressione è anche qualcosa di personale, e quando dico che le ragioni e l’espressione di questi gruppi sono politicizzate, per me questo non ha un significato meramente militante… perché è una mia espressione personale e quindi è ciò che sento dentro e le la mia coscienza soprattutto, non ha a che fare con qualche dogma o con qualche… ha a che fare con la mia percezione dell’umanità e sulla necessità di aiutare gli uomini a liberarsi dalle catene che ha nel cervello, nella sua quotidianità o più letteralmente le catene dello sfruttamento del lavoro, che sai in greco somiglia tanto a schiavitù (doulià/doulìa, ndr) che ci tengono divisi invece di farci sentire più vicini gli uni agli altri . E quindi, dove trovi persone con cui comunicare puoi esprimere anche questa parte, come essere umano e quindi a me interessa che ci sia un afflato umano, non che abbia a che fare con quanti libri ha letto uno e che è così e che la vita non è nient’altro. Credo quindi importante mettere davanti i nostri sentimenti, e quello che sentiamo e crediamo… idee che distruggiamo e ricreiamo ogni giorno… è tutto… bisogna mettere alla prova tutto ogni giorno… e quindi io mi esprimo attraverso un prisma umano, con i bisogni e i desideri che hanno anche fare con l’uomo… Tutto per tutti e ciascuno secondo le sue possibilità. Credo che attraverso un prima del genere si debbano muovere tutti coloro che si occupano di arte e di espressione, e non di qualche criterio chiaramente ideologico o robe del genere, perché forse tutto ciò è contraddittorio, ma ci sono cose che sono universali e sin-patiche, se parliamo dell’umanità, della liberazione dell’umanità e della dignità umana, diciamo… questo voglio cercare di esprimere con la musica, qualcuno può chiamarla utopia ma credo che solo ricercando qualcosa di diverso ci si può indirizzare verso di esso … e non c’è posto per questo in dogmi e canoni, se vogliamo dirla così. E quindi parlando di tutti questi “anti” e di questi “contro”, lo si fa perché vuoi che i tuoi pensieri e la tua umanità faccia un passo oltre, perché ci sia vita intorno a te e non sopravvivenza, non semplicemente sopravvivenza, questo. Questo insomma più o meno…

459 Intervista n° 9, Yiannis Felekis

30 gennaio 2014, ore 12.00

Incontro Yannis al bar davanti allo Steki Metanaston. È stato Thodoris a darmi il suo contatto e a dirgli che l’avrei chiamato. È una specie di icona vivente, per il quartiere di Exarchia. Lo si vede spesso con la sua figura minuta sfrecciare su una moto con sidecar per le strade del quartiere. È sempre stato un militante comunista e ancora oggi partecipa attivamente alle iniziative dello Steki Metanaston, il ritrovo dei migranti in via Tsamadou. È una tiepida giornata di gennaio, arriva un po’ in ritardo con la sua moto vecchia col sidecar. È un uomo sulla settantina, dai lunghi capelli bianchi e con una faccia che termina su un mento molto triangolare, con una lunga barba bianca. Il naso è lungo e aquilino, e il fisico molto magro. Porta un paio di jeans e un giacchetto scamosciato. Si scusa e dice che era in ospedale a trovare un amico ed era rimasto senza batteria. Io sto bevendo un tè, lui ordina una birra piccola. È affabile e amichevole. Gli spiego il mio progetto, e si dice felice di rispondere a qualche domanda. Mentre io sorseggio tè lui beve una birra alla spina.

Yiannis: Io non sono di Atene, sono di un villaggio, ma quello che possiamo dire di Exarchia a partire da quando la città si estendeva fino a quella che adesso è Akadimias è che qua era campagna… La vecchia città di Atene, prima della liberazione, diciamo, era piccola, tutto intorno all’Acropoli, e poi c’erano persone che vivevano vicine ai loro appezzamenti di terra…a Menidi, nei villaggi diciamo. Da qua, Patision… tutto intorno, fino agli inizi del ‘900, erano tutti campi. Io ho fatto in tempo a vedere, intorno a Kifisos diciamo, grandi aree che erano ancora coltivazioni di cavoli, fino agli anni ’60.

Anna: Ma quindi c’è stato un cambiamento molto rapido del paesaggio urbano…

Yiannis: Sì, perché con la guerra e poi in seguito, tantissime persone sono venute a vivere ad Atene perché c’erano gli uffici, qualche fabbrica, ed è così che è cresciuta. Pensa che più di metà della popolazione greca vive ad Atene. Nell’Attica, diciamo, quindi Atene coi suoi sobborghi ci sono circa 4 milioni di persone. E tutti i restanti 6 milioni sono sparsi per la nazione. Il periodo più importante per questi spostamenti è quello dopo la seconda guerra mondiale, con lo sviluppo economico… e quindi questa zona qui era isolata, uno spazio libero. Per questo dopo il 1850 circa hanno cominciato a costruire la zona universitaria, perché c’era tanto spazio… come adesso la zona universitaria è fuori Zografou, sull’Imittou, quella volta era qui. Quindi il politecnico, la facoltà di economia, quella di legge, quella di medicina, che era dove adesso c’è il centro culturale comunale, in parte alla facoltà di legge, e lì c’era anche l’ospedale comunale, in quello spazio che è parco adesso. Aveva da una parte la facoltà di legge e dall’altra quella di medicina; e davanti c’erano i propilei con le altre facoltà, che non mi ricordo quali fossero, nell’edificio centrale. Chimica anche era qui sopra, quindi qua, tutto intorno ad Exarchia c’erano tutte le università e si radunavano nel quartiere sia diversi intellettuali che i semplici abitanti, come era anche a Kolonaki che in quell’epoca era… c’era un piccolo kafeneio, lì dove si trova la piazza, dove si ritrovavano Palamas e la sua compagnia. Tutto ciò era fuori dal

460 centro, diciamo.. dove c’è adesso la piazza di Kolonaki, fino a più sopra verso il Licabetto pascolavano le capre prima , da lì fin verso fuori, verso Zografou c’erano i pascoli delle pecore. Tutto ciò fin verso metà del ventesimo secolo, diciamo. Per questo la maggior parte dei palazzi in questa zona, fino a poco tempo fa, tutti questi palazzi neoclassici, che i proprietari ci vivessero effettivamente o meno, verso il ’60, più o meno, quando sono arrivato io ad Atene, tutte queste case erano divise in stanze piccole piccole, ciascuno con il proprio contatore elettrico e in ciascuna vivevano uno o due studenti. Così, tutte le persone che c’erano nel quartiere hanno costruito il suo carattere, anche per quanto riguarda l’orientamento politico dell’epoca. E dal diciannovesimo secolo cominciarono ad esserci delle controversie portate avanti da movimenti che si stavano diffondendo qua nel quartiere contro la visione della high-class che pure era originaria di questa area. Il loro obiettivo… forse avevano a che fare coi i demoticisti, non mi ricordo adesso… era molto tempo fa, la loro caratteristica era la psathakia (un caratteristico cappello di paglia, ndr), ma non mi ricordo adesso l’obiettivo politico che avevano, gli studenti erano comunque di famiglie ricche, scarsi in numero, ma comunque in agitazione, più in agitazione rispetto ad altri strati sociali. E sono gli stessi che hanno preso parte alla resistenza durante l’Occupazione. Questo ha continuato ad essere tale, fino alla dittatura. In particolare proprio qua in piazza Exarchion, il kafeneio qua all’angolo era il ritrovo di questi giovani in fermento politico. Che poi è stato preso in gestione da altri che l’hanno cambiato, coi giochetti, i flipper… questo fino al 1974, quando hanno cominciato a costruire qua le sedi di vari gruppi politici di sinistra… maoisti, trotzkisti… anarchici…tutto qua intorno alla piazza. Come pure la piazza era un luogo di incontro politico. Per questo motivo non c’è mai stato un presidio della polizia, perché ci sarebbe stata una reazione immediata delle persone. Per questo non si vede polizia a Exarchia. Da sempre invece c’è una forte presenza di polizia (astinomokratia) lungo il perimetro del quartiere…

Anna: Anche dentro il quartiere…

Yiannis: Sicuramente ci sono anche asfalites (poliziotti in borghese, infiltrati, ndr) che circolano, ma si palesano solo quando ci sono grandi irruzioni nel quartiere. Negli ultimi tempi ci sono anche pattuglie che fermano qualche motorino, ma soprattutto vengono per i migranti. Questa situazione c’è dal ‘79/’80, quando è cominciata un’altra “fabbrica” a Exarchia. Fino ad allora tutta la vita notturna, tutta la scena alternativa e tradizionale era alla Plaka, poi quando hanno deciso di rendere la Plaka più turistica, hanno cacciato tutti i locali rumorosi, tutto quello che poteva provocare rumore, per rendere più pulita e in ordine la Plaka e hanno cominciato ad aprire nel quartiere di Exarchia moltissimi locali di musica tradizionale, rebetadika e roba così. Dal ’79 al ‘83/’84 hanno aperto a decine..

Anna: E prima non ce n’erano?

Yiannis: Prima c’erano ristoranti, tavernette, robe così… dal ’79/’80 hanno aperto baretti di musica, musica straniera, rock e musica tradizionale e i giovani da tutta Atene hanno cominciato a ritrovarsi a Exarchia. In questo clima ha cominciato anche a diffondersi l’uso di droghe, l’eroina, i cui spacciatori, che probabilmente erano

461 controllati dalla polizia, hanno istituito il loro centro a Exarchia, perché conveniva anche a loro il fatto che la presenza della polizia non fosse evidente, oltre che ai tossici. Probabilmente erano anche controllati ma così dagli anni ’80 Exarchia è diventato un posto dove si potevano trovare tutti i tipi di droga, col risultato che tutta la gente che in Grecia era interessata a questo genere di cose sapeva di poterle trovare in piazza Exarchion. Ha cominciato così a circolare l’idea che fosse un quartiere brutto, ad alto livello di criminalità, ma a parte la questione della droga non si può dire che in realtà lo fosse. Questa cosa è stata molto usata dalla polizia e dalle forze dell’ordine in genere, soprattutto negli anni ’80, per dire che lì si concentravano pratiche illegali. Ad esempio nel ’84, il ministro dell’ordine pubblico Drosogiannis uso la famosa operazione Aretì per cacciare i tossici, come scusa per l’incursione della polizia nel quartiere, come poi è avvenuto anche in seguito. In pratica quello che hanno fatto è stato andare anche nei negozietti al dettaglio (li chiama evges, dalla marca greca di gelato confezionato più venduta nei negozietti di questo genere. È una denominazione popolare e andata in disuso, ndr ), a dire “andatevene di qua, cosa fate a Exarchia?”, e anche dagli abitanti. In quel momento spacciatori e tossici che si trovavano in piazza… perché la parte alta non era ancora pedonale, era triangolare, la piazza e ci giravano attorno le auto, e tutto intorno c’erano pattuglie di MAT e in centro alla piazza spacciatori e tossici che facevano i loro commerci (alisverisia, parola molto rara di origine turca, ndr), mentre tutto intorno, per le strade e ai crocevia giravano poliziotti e arrestavano gente. Come succede anche oggi, che pensavano che così per caso potessero beccare qualcuno di 17Noembri, come fanno anche adesso che fermano motorini a caso vicino al museo o in altri punti, in genere alle entrate di Exarchia per beccare per caso “qualcuno”.

Anna: Ma quindi è una questione politica, non di droga…

Yiannis: Certamente è politica. Perché credono che sia un covo di terroristi, che da qui insomma arrivino tutti i terroristi degli ultimi tempi.

Anna: Dagli anni ’90 circa, quindi?

Yiannis: Anche da prima… in sostanza subito dall’inizio della Metapoliteusi in poi, con le manifestazioni del Politechneio che hanno dato adito a questo genere di cose da parte della polizia.

(A questo punto arriva un amico di Yiannis, tale Nikolas che si siede con noi, e per un certo tempo la conversazione si svolge anche con lui.)

Yiannis: Queste manifestazione come altre proteste hanno dato il pretesto alla polizia per far succedere qualche scontro. Un pezzo della gente dopo le manifestazioni si dirigeva ad Exarchia. O a Exarchia o al politechneio dove gli sbirri cercavano di occupare lo spazio perché non lo prendessero quelli di sinistra e gli anarchici, cosa che è successa diverse volte nel corso degli anni.

Anna: È successo che la polizia entrasse al politecnico?

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Yiannis: No che entrassero gli studenti e altre persone e occupassero il politecnico e lo tenessero alcuni giorni. Quindi dopo qualunque scontro, la faccenda si concludeva in piazza Exarchion con grande schieramenti di forze dell’ordine, con lacrimogeni, fuochi e BAM BUM. Gli scontri erano molto intensi, con carattere di insurrezioni, di questo ne parleremo dopo. La situazione si è diffusa a tutta la città, come il 23 luglio del ‘75, un anno dopo l’avvento della metapoliteusi, quando c’è stato uno sciopero dei muratori (Nikolas si siede con noi, e Yiannis gli spiega di cosa stiamo parlando). La gente è stata attaccata dalla polizia, ed erano davvero tantissimi quelli del settore edilizio allora. Per dire che in eventi come questi c’era una grandissima presenza della sinistra e i pochi anarchici che c’erano a quell’epoca. Tutti partecipavano a queste manifestazioni, non solo i muratori; quindi la presenza della polizia era massiccia in tutta Atene, nel centro storico, almeno. E questo è andato avanti molte ore, non mi ricordo esattamente quanto…

Nikolakis: Fino al pomeriggio. Siamo scesi a Metaksourgio noi e ci siamo scontrati per la seconda volta. Il blocco con cui eravamo era molto forte.

Yiannis: Il 25 maggio del ‘75 Karamanlis, che era allora primo ministro varo la legge che indicava come dovessero funzionare i sindacati: quando potevano fare sciopero, come si eleggevano i rappresentanti, queste cose qui. La legge era una grandissima interferenza dello stato nel lavoro dei sindacati anche per quanto riguarda la parte giuridica, soprattutto per quanto riguarda i diritti dei lavoratori e gli scioperi. Questa è stata una legge molto importante che Karamanlis ha varato in accordo con i due partiti comunisti dell’epoca (il KKE, filosovietico e che è il KKE che esiste ancora oggi e il KKE esoterikou, da cui poi nacerà Synaspismos e dunque SYRIZA e il DIMAR. Sin dall’inizio avevano una impostazione eurocomunista, vicina al PCI di Berlinguer, ndr). Il PASOK non penso che l’abbia consultato perché non aveva alcun peso in quell’epoca. Karamanlis ha ordinato, finchè non fosse passata la nuova legge sui sindacati, che tutte le attività sindacali si fermassero e che i sindacati tornassero alle leadership di prima della dittatura, quindi prima del ’67. Dal momento che non sapevano quando e se ci sarebbero state le elezioni, volevano portare avanti i loro piani per assicurarsi le loro poltrone, le loro targhe, etc. e comunque quella è stata una grandissima manifestazione, molto partecipata, e davvero con tanta gente nelle strade. Una grande protesta. Allo stesso tempo, pochi giorni prima di questo sciopero, io ero litografo in un grande fabbrica, a quell’epoca, fuori a Menidi, che ha scioperato. Due, tre settimane è durata lo sciopero. E noi scioperanti avevamo un presidio stabile (accampamento, ndr) ai propilei per fare propaganda dello sciopero in centro. Quando è finito il presidio e la gente è scesa per via Panepistimiou, decidemmo noi litografi, l’assemblea dei litografi e qualche gruppo di muratori di andare al ministero del lavoro che allora era su via Peiraios. Dopo i propilei, che abbiamo girato su via Sofokleus per prendere via Stadiou e per arrivare su via Peiraios, arrivando su via Stadiou abbiamo visto per la prima volta i MAT. Erano appena stati costituiti e aveva due o tre reparti (dimiria, ndr), non c’erano i MAT prima, e anche se c’erano reparti antisommosso, avevano solo i carri armati (avres,

463 minacciano di rimetterli ora, ndr), non cingolati, con le ruote, e ce n’erano sia di molto vecchi che di nuovi, e con quelli ci caricavano a quel tempo, comunque… le strade erano ancora piene di manifestanti e dopo questo attacco della polizia la gente si è innervosita è ha caricato la polizia, ha fatto le barricate e ha cacciato la polizia da tutto il centro, che restava o chiusa nelle stazioni o fuori dal centro cioè da Syntagma, Zampio, fino a Gazi, fino al tempio di Apollo (via Sigrou), su via Peiraios fino a infondo a platia Amerikis, su via Patision fino ad Ambelokipoi eccetera. C’erano dappertutto barricate, e la polizia cominciò dopo ore a prendere una barricata dopo l’altra. Questo è uguale a ciò che è successo al Politecnico nel ’73. Una situazione uguale e con la stessa estensione spaziale (sull’estensione spaziale degli scontri di questa giornata ci sono opinioni controverse. Elli che mi ha aiutato nella traduzione di quest’intervista e che era presente anche le a quella giornata dice che era più piccola, tutto intorno al politecnico, ndr). fino al giorno dopo, al mattino ci furono scontri con la polizia che occupavano una barricata dopo l’altra. Cercavano con i carri armati e con i lacrimogeni di respingere la gente. La gente però usciva dai lati e riprendeva le barricate. Questo è durato fino alla mattina seguente. C’erano fuochi per tutta la strada. Qualcosa di simile, ma non so con che estensione spaziale, è successo anche nel ’91 con le rivolte studentesche, non mi ricordo, perché io ero a Salonicco quel giorno e tornando in città la mattina c’erano ancora incendi dappertutto, qua sulla Akadimias, per le strade. La differenza con oggi è che la gente non riesce a resistere molte ore per la quantità enorme di lacrimogeni che vengono usati. Un’altra cosa è che non è più così facile costruire barricate e ostacoli per la polizia. L’unica cosa che fanno adesso è di trascinare i cassonetti per la strada e dargli fuoco che viene fuori una “fumera” (tendoumani, parola in disuso, ndr) con la plastica che brucia, l’immondizia e i lacrimogeni tutto insieme e diventa un casino sia per noi che per i… (poliziotti, ndr)

Nikolakis: Una volta erano diversi i lacrimogeni Yiannis… Yiannis non li sopporto adesso i lacrimogeni…appena li lanciano, immediatamente mi sento avvelenato. Ti ricordo quanti ne abbiamo presi al consolato americano?

Yiannis: Io non c’ero quella volta, ero all’inizio del corteo e non ho visto, non mi sono proprio accorto. Era la prima primissima manifestazione che c’è stata (dopo la caduta della xounta, ndr) era la protesta al consolato americano.

Nikolakis: Come ogni volta il giorno del politecnico…

Yiannis: Sì, ma quella era la prima manifestazione…

Anna: Quindi nel ’75?

Yiannis: Sì, nel ’75… no no, nel ’74! Subito dopo l’avvento della metapoliteusi, novembre ‘74!

Nikolakis: Ma no… quando è salito Karamanlis?

464 Yiannis: Karamanlis è salito il 24 luglio del ’74.

Nikolakis: E noi siamo andati alla manifestazione al consolato americano il 21 aprile 1975…

Yiannis: Ma no, no… non ti ricordo che eravamo con l’ EKKE (epanastatiko komunistiko kinima elladon –di ispirazione marxista-maoista, ndr)

Nikolakis: E col EKKE eravamo!

Yiannis: C’era L’EKKE in testa

Nikolakis: E poi c’era il Rigas (giovani del KKE esoterikou, ndr) io ero con il Rigas, che è entrato al consolato e ci siamo beccati un sacco di botte

Yiannis: non era recintato come è adesso, il consolato, dopo hanno messo la sicurezza.

Nikolakis: E hanno lanciato tantissimi lacrimogeni e io li sopportavo. Bruciavano solo gli occhi, si piangeva un sacco ma finiva lì.

Anna: ma quelli che usano adesso sono terribili…

Yiannis: Quelli di adesso ti asfissiano, non riesci a respirare .

Nikolakis: Quella volta comunque è stata un corteo grandissimo con circa 100mila persone. E quando ci hanno attaccato, e sono apparse per la prima volta le avres…

Yiannis: Ma le avres c’erano anche prima della dittatura. Non le tiravano fuori per i cortei, ma c’erano.

Nikolakis: Io le ho viste per la prima volta quel giorno.

Yiannis: Erano begli anni! Grosso modo così, come ti ho detto.

Anna: pensavo adesso che mi parlavate del ’75, che somiglia in qualche modo al Dicembre del 2008, con le barricate, gli scontri notturni…

Yiannis: Un’altra storia quella. Allora partecipava tantissima gente, molta di più.

Nikolakis: Ti ho detto, circa 100mila! Eravamo tutti insieme, non era come adesso che ci sono blocchi.

Yiannis: C’erano anche sconosciuti, tutti insieme, e non si isolavano gli uni dagli altri. C’era una risposta immediata dalle persone, non era come adesso che ti tocca propagandare un corteo per due settimane, e alla fine si ritrovano ai propilei 200/300 persone.

Nikolakis: Quando intendo una grande manifestazione intendo ad esempio il funerale di Panagoulis.

465

Anna: quando era?

Yiannis: Era il ‘76!

Nikolakis: Superò i 100mila!

Yiannis: Ed era nello stesso periodo del 1 maggio (assassinio di Panagoulis, ndr) e contro la 3/30 (legge che ridimensionava le azioni dei sindacati e i diritti dei lavoratori, durante le massicce manifestazioni un carro armato uccise una manifestante, ndr). Il 30 aprile hanno anche ucciso Sideris Isidoropoulos… e anche Panagoulis è stato ucciso il 30 aprile

Nikolakis: Sì all’alba del 1!

Yiannis: Sideris era un giovane che attacchinava manifesti sulla Peiraios, lo hanno attaccato gi sbirri, e nella fuga l’ha travolto una macchina. Attacchiava, aveva appena 15, 16 anni… E Panagoulis non si è mai capito cosa sia successo esattamente, chi l’abbia ucciso (è opinione diffusa che centri la CIA, ndr) in odos Vouliagmeni..

Yiannis: Nel 2000 poi c’è stato in un certo senso la più grande estensione spaziale della rivolta studentesca, perché era estesa in tutta la Grecia da una parte all’altra (contro una legge contro le occupazioni scolastiche, legge che oggi viene riutilizzata, ndr). Non c‘era villaggio, che avesse una scuola in cui non ci fossero occupazioni. Gli studenti si ritrovavano a scuola la mattina presto e poi andavano alle stazioni di polizia a lanciare le pietre, le bottigliette d’acqua, quello che trovavano. Se non c’era una stazione di polizia vicina, andavano dove capitava e lanciavano pietre. Quando vedevano alla televisione che c’erano scontri ad Atene, scendevano in piazza anche loro dove erano. Ma questo era circoscritto agli studenti. E principalmente molto giovani.

Nikolakis: Dopo gli scontri al consolato americano, ti ricordi Yiannis? Anche l’albergo Megali Bretania ci ha aperto le porte per faci entrare e ci hanno dato limoni…

Yiannis: Dopo il ‘76, comunque, usavano anche gas asfissiante. Mi ricordo una volta qua su Solonos, nel ’76 doveva essere, dopo un corteo, in una stradina laterale, penso fosse Stouliou. Hanno lanciato di quello e mi ha aperto il portone un vecchio del KKE, perché mi ha visto che stavo male. E una volta dentro non riuscivo a respirare non riuscivo a muovermi e mi ha portato su in braccio per quelle scale a chiocciola che hanno i vecchi palazzi. È passato molto tempo prima che riuscissi a respirare di nuovo normalmente.

Nikolakis: Ne usavano di “lacrimageni”anche prima. Per esempio quando hanno ucciso Petroulas, non gli hanno sparato, ma è stato colpito da lacrimageno, che gli è stato mortale. La sai la storia di Petroulas?

Anna: no!

466

Nikolakis: Era studente dell’ASOEE durante gli scontri di luglio 65.

Yiannis: Quando è caduto il governo Papandreou, con Mitsotakis, quella storia là. E il lacrimogeno gli è caduto proprio vicino. Perché quei lacrimogeni li sparavano con un’arma. Era una specie di razzo. Quando si premeva il grilletto faceva come una piccola esplosione e partiva il lacrimogeno come un razzo, che quando cadeva si incendiava una parte, il resto aveva tanti buchetti dal quale usciva il gas. E faceva il suo effetto che era semplicemente far scappare la gente, e veniva lanciato da lontano.

Nikolakis: Questo non si dissolve, rimane.

Yiannis: No non si dissolve, li raccoglievamo.

Anna: quindi semplicemente si svuotano?

Yiannis: Sì. Si svuotano. Ma quando arriva è un oggetto pesante e bello grosso!

Nikolakis: Mi ricordo dall’Italia Oriana Fallaci…è ancora viva?

Anna: no, è morta qualche anno fa.

Nikolakis: È venuta qua e si è messa con Panagoulis.

Yiannis: L’ha resa famosa, Panagoulis. Ha fatto anche quel reportage dal Vietnam… ha fatto una bella intervista al generale, come si chiamava… Chi.

Anna: negli ultimi anni di vita, comunque, era diventata un po’… strana! Ha scritto molte cose contro il movimento antagonista in Italia, contro il social forum di Firenze del 2002. E dopo l’11 settembre si è apertamene schierata a favore dell’America e dell’attacco all’Afghanistan.

(passano delle persone, salutano)

Anna: Un’altra cosa che volevo sapere di Exarchia è che ruolo abbia la musica, la scena musicale. ho avuto modo di parlare con alcuni ragazzi dei gruppi punk della scena DIY che anche la musica ha avuto un ruolo importante per quanto riguarda l’autorganizzazione del quartiere..

Yiannis: Sì qua dietro, in piazza… c’è quel ciccionetto, fuori di testa, che ha un bar… Koutsoumpas. Lui può dirti di più. Aveva una volta un baretto dove adesso c’è la stazione di polizia, su all’angolo. E da lì sono cominciati tutti questi gruppetti, piccoli di rock. Doveva essere…. Circa l’’82, o l’83. Era il primo locale apparso ad Exarchia. Suonavano ogni giorno gruppetti diversi. Poi ne hanno aperto altro. Lui stesso dopo ha gestito l’AN. Era la persona che aveva i contatti coi gruppetti. Ce ne

467 sono poi stati altri, il DADA (all’incrocio tra via Araxobis e via Benaki, che è stato molto attivo una decina d’anni, poi è stato danneggiato dal terremoto e non l’hanno più rimesso a posto, ndr), più grandi, più piccoli… Adesso tutti i kafeneia fanno musica dal vivo ogni tanto (una volta c’erano i livadika, locali dove si facevano live e basta che mettevano musica, ndr). ma Exarchia era il connettivo di tutta queste cose. Dagli anni ’90 questa cosa ha cominciato a disgregarsi, e a succedere anche a Peristeri… e in altri quartieri.

Nikolakis: Il “quinto” non è la stazione di polizia che è su Kallidromiou? Prima non era in Alexandras?

Yiannis: Era a Exarchia prima. Poi hanno abbattuto il palazzo, e aspettando di rilocarlo l’avevano messo su leoforos Alexandras. Era nella parte alta di Alexandras in quella zona che si chiama Gizi.

Anna: Quindi il posizionamento politico di Exarchia, diciamo, è cominciato perché era un quartiere studentesco…

Nikolakis: Da sempre e ancora di più!

Yiannis: Scrittori e simili che si incontravano spesso a Exarchia, come prima succedeva a Psiri. Papadiamantis e i suoi contemporanei, si incontravano a Psiri. In piazza Deksameni a Kolonaki…

Nikolakis: Sai da dove viene l’espressione “Xrostaei stis Mixalous”. Mixalou era una oste dell’epoca. Lì gli scrittori non avevano soldi e mangiavano a credito (veresè). Pame sti Mixalou na fame, pou na fame, xrostame sti Mixalou…

Yiannis: E adesso questo si dice di qualcuno che comincia a impazzire.

(ridiamo)

Anna: E durante la dittatura, che ruolo ha giocato il quartiere di Exarchia?

Yiannis: Un ruolo molto importante! Era come ti dicevo un luogo di ritrovo, io l’ho vissuto così per pochi giorni, perché i primi anni ’67, ’68 finchè sono stato arrestato all’inizio del ’69 non c’erano movimenti visibili. Lo facevano molto di nascosto. Dagli anni ’70 in poi che ha cominciato a rilassarsi la situazione e hanno cominciato le persone parlare un po’ più liberamente. Era in platia Exarchion, e al “Tsaf” ((caffetteria all’angolo tra via Tsamadou e piazza Exarchion, ndr) il ritrovo. C’erano le taverne di “Fonta”, “Lefka”, “Durios”.

Anna: e dove erano questi posti?

Yiannis: Lefka era in via Mavromichali.. Mavromichali e Voulgaroktoni (in quei anni non c’erano bar. C’erano le taverne, dove all’inizio andavano i vecchi, e dove i giovani hanno cominciato ad andare in quell’epoca, ndr), i bar a quell’epoca erano sono

468 locali per soli uomini, con ragazze… di bar ce n’erano solo un paio in tutta Atene, tipo american bar. Il resto erano tutti kafeneia e taverne. I primi bar come li intendiamo adesso sono cominciati verso la metà degli anni ’70. Il primo è stato a Kolonaki, il Radka, che allora si chiamava Montparnasse, una cosa molto “underground” per la città. Noi andavamo da Fondas andavamo, e diventavamo tutti una compagnia e cantavamo le canzoni che erano vietate. Durios era in via Koletti, dove è ancora, una piccola taverna, che scende un po’ sotto il livello della strada, che ha una terrazza al piano di sopra adesso. Prima non c’era la terrazza, c’era solo il sotto.

Nikolakis: Mantenevano viva la situazione!

Yiannis: Erano ritrovi di studenti. Dove avvenivano i contatti, “tra le pere e il formaggio”, tra una braciola e un piatto di pasta…

Anna: E da questa situazione come è scaturita la rivolta del Politecnico?

Yiannis: Questo è stato un processo molto più vasto, che è cominciato da questi gruppi, ma anche parallelamente alle scuole. Era insomma al di là dei contatti che c’erano di qua e di là nelle taverne di Exarchia, hanno cominciato a crearsi verso la fine del ’72, siccome i comitati studenteschi erano manovrati dalla dittatura e i leader erano stabiliti da essa, e in ogni facoltà c’erano poliziotti in borghese; il rettore (non esattamente, era un ufficiale designato dai colonnelli, ndr) di ogni università era un generale dell’esercito, in pensione o in servizio. Lui decideva per le questioni. E gli studenti pensarono, non so chi tra tutti ebbe questa brillante idea, di organizzarsi in comitati locali, che era molto più facile e meglio gestibile. Erano comitati illegali, che non risultavano da nessuna parte, ma erano comitati. E quindi in questo processo quando questi si radunavano erano in grado di creare rete e organizzare l’occupazione di una facoltà. Ce ne sono state due qua alla facoltà di legge. La prima e la seconda mi pare se non sbaglio. E una al politecnico che è successo che il preside ha aperto alla polizia. E all’interno di questa rete abbiamo deciso di occupare la scuola di legge. Una volta è stata una cosa piccola che non ha contato molto, e l’altra che invece è stata massiccia ed è durata due giorni. Era durante la dittatura..

(Elli, che mi ha aiutata a tradurre l’intervista, mi ha raccontato che lei, all’epoca al primo anno di università, faceva parte del comitato degli studenti cretesi perché era molto combattivo, anche se era di fatto ateniese, e solo le sue origini erano cretesi. Fu chiamata a testimoniare a GADA dall’ispettore Gravaritis qualche giorno dopo la rivolta del politecnico, che poi si scoprì essere un torturatore di dissidenti politici. Con lei però fu molto gentile. Anche Elli era presente allo scoppio delle rivolte al politecnico, e riuscì a scappare facendo finta di non capire dove era, aveva 18 anni, ndr).

Nikolakis: Era il febbraio del ’73 ed è continuata il fermento fino al novembre.

Yiannis: Nello stesso periodo una cosa uguale si è cercato di farla anche al politecnico, ma il rettore ha aperto la porta posteriore alla polizia che è entrata. E vedendo queste

469 cose, non riusciva a controllare, era chiaro che prima o poi ci sarebbe stata una grande esplosione, che non sarebbero stati in grado di controllare, la dittatura ha portato avanti una proposta di passaggio democratico. Il 13 agosto c’è stato il referendum che ha segnato la caduta della monarchia, e il dittatore è diventato presidenti della repubblica non monarchica. Fino a quel momento avevamo la monarchia e Papadopoulos era primo ministro. E parallelamente diede l’amnistia generale e tutti i prigionieri politici poterono uscire dalle prigioni. E contemporaneamente fece un piano organizzativo Markesinis (detto pithikos, “scimmia” perché era molto brutto, era il primo ministro designato da Papadopoulos, ndr) e ha guidato un governo brevissimo che per la maggioranza era formata da ex politici (di destra, prima erano solo soldati, ndr), per organizzare, dicevano, le elezioni per la primavera successiva. E c’erano molte discussioni con i partiti politici e la sinistra su come sarebbe andata, se avrebbero reso legali i partiti comunisti per partecipare alle elezioni, o se avrebbero dovuto partecipare nascosti sotto altri partiti, perché la Xounta difficilmente li avrebbe resi legali, come è successo anche in spagna, per una transizione controllata verso la democrazia, come è andata in Turchia, per esempio, dopo la dittatura, la transizione. Ma la gente si è infervorata ben prima, soprattutto i giovani e il movimento studentesco e in questo processo, quando era diventato tutto un po’ più libero, con l’amnistia erano finiti i prigionieri politici e non c’era più nessuno in prigione eccetera, tutti organizzavano, parlavano, e siamo arrivati al Politecnico. Che è stata una decisione degli studenti, di occupare, ma dopo che è cominciata sono arrivati tutti. Gli studenti cercavano di tenere al centro la questione dell’educazione e la maggior parte degli studenti di quell’epoca erano del KKE. Quindi cercavano di tenere le questioni politiche fuori dal politecnico, anche perché era passato un disegno di legge all’epoca che riguardava il funzionamento dell’università, degli studi… queste cose qua, e volevano cambiarlo, e perché ci fossero libere elezioni dei rappresentanti nelle università. Nel contesto della transizione, il governo voleva che ci fosse un movimento studentesco che fosse controllato dall’alto. Quindi cercavano che rimanesse in questo contesto, ma quando sono arrivati tutti gli altri che scandivano slogan e portavano altre istanze, che non si fermavano alle elezioni studentesche, ma che volevano la fine della Xounta, lì hanno perso un po’ il controllo della situazione. Ed ha prevalso il contrario. Alcuni avevano formato un comitato chiamato Anti-EFEE (EFEE erano i primi comitati guidati dal governo) che proponevano di andarsene dall’occupazione del politechneio perché ne avevano perso il controllo, ma gli altri non li seguirono e non li seguì nessuno, praticamente. Questi dicevano che eravamo provocatori, che volevamo fare casino, ma non li ha seguiti nessuno, e quindi poi tornarono la mattina dopo.

Nikolakis: Pochi giorni dopo è salito al potere Ioannidis.

Yiannis: E quindi così è successo Il politecnico che è stato una rivolta, e si è diffusa a tutte la altre università della Grecia: Atene, Salonicco, Patrasso, Ioannina… e poi è arrivato il governo militare di Ioannidis che in una settimana ha ribaltato il governo con un’altra corrente. Questi facevano parte del precedente regime, ma hanno preso il potere (in realtà al posto di primo ministro, Ioannidis non si mise se stesso ma una marionetta: Fedon Gizikis, ndr) Ha affossato il governo Markesinis. Hanno anche

470 arrestato qualche ministro: Ioannis Agathangelou, che era ministro della giustizia, l’hanno mandato con noi a Giaros. Mentre Papadopoulos e gli altri solo dopo la metapoliteusi li hanno arrestati, ma Ioannidis li aveva messi ai domiciliari.

(qua arriva una conoscente, Eleni, e parlano. Parlano di un incontro che c’è stato la sera prima alo steki metanaston di presentazione di una nuova forza di sinistra che si dovrebbe presentare alle elezioni. Sono tutti molto scettici. In particolare, dicono, è inutile fare un’analisi e una proposta politica che dicano di uscire dal Memorandum e dall’Euro, perché sono realisticamente opzioni impraticabili.)

Eleni: in ogni caso la gente è estremamente disillusa, e quando le fai credere una cosa e poi non la metti in pratica è ancora peggio di dirgli apertamente la verità.

Nikolakis: Quante sono, abbiamo circa 5mila suicidi per problemi economici. E ogni giorno la gente impazzisce.

….

Anna: in ogni caso però, nessuno fa niente per queste cose, negli ultimi tempi. Io ero qua quattro anni fa, poi me ne sono andata, adesso da febbraio sono qua di nuovo, e noto delle differenze gigantesche da allora, nella società, nella voglia di scendere in strada, di fare cose...

Eleni: è la disillusione!

Yiannis: Ci sono state grandissime mobilitazioni… nel 2010, nel 2011 e nel 2012 ci sono state grandissime mobilitazioni. Adesso siamo tornati indietro… hanno fallito, non siamo riusciti ad ottenere qualcosa.

Anna: Mi interesserebbe anche capire come incide la crisi economica a Exarchia, che è un luogo così diverso dal resto della città

Yiannis: Exarchia non è un posto dove viva gente particolarmente ricca, quindi incide ancora di più. La disoccupazione è molto alta, e tutti i problemi si sentono forse ancor più che in altri posti, per quanto riguarda la crisi economica. D’altra parte però per quanto riguarda il discorso politico, le cose oggi sono molto più… richiedono un impegno molto grosso del movimento, non una cosa piccola, ma il fatto che non ci sia un grande movimento si ripercuote sul fatto che la gente non sente di poter cambiare le cose. E c’è dunque una grande rabbia, da una parte, ma dall’altra anche una grande disillusione. C’è una grossa chiusura verso l’esterno, una crisi di fiducia verso i partiti politici, ma ancora di più verso le parti più marginali, sai, l’anarchismo, verso l’ estrema sinistra eccetera, che sono decisamente situazioni marginali. Quindi non possono incidere in queste cose così grandi. Su queste cose si incide con una grande rivolta di massa, ma che deve proporsi obiettivi coerenti. Ma la cosa più probabile che accada in questa situazione di rabbia e disillusione è che avvenga un’esplosione spontanea, che succeda un casino, che si bruci tutto senza che ci sia un obiettivo, una rivolta cieca e violenta , piuttosto che qualcosa di

471 organizzato, dentro al contesto elettorale eccetera, dentro ai limiti della moderazione che cerchi di seguire le regole dell’unione europea, del piano economico controllato dal comitato di controllo, dell’eurogrouppo, eccetera. Difficile che succedano robe serie, e temo che neppure SYRIZA potrebbe risolvere i problemi che ci sono, dal momento che anche per gli anarchici italiani che ho incontrato qua l’anno scorso all’Alter Summit (non erano anarchici, ma militanti di Autonomia Contropotere, ndr) erano entusiasti di SYRIZA, che fa cose grandi eccetera.. e questa mancanza di risultati dei movimenti che si spezzettano lascia spazio a scelte individuali, come la cospirazione dei nuclei di fuoco, questi e quegli altri, nella crisi del movimento che crescono, come in Italia dopo la forza del maggio ’68 si sono convertiti… alla lotta armata. Quando la società si disillude e si deprime, le teste calde prendono l’iniziativa… in modo autodistruttivo.

Anna: quindi neppure neanche da Exarchia può venire fuori una risposta…

Yiannis: Exarchia è molto marginale. Quello che dicevamo prime del ’73 eccetera, eccetera… eh, era un’altra cosa. Per prima cosa, non avevamo in mente di risolvere noi il problema . L’idea era di organizzare qualcosa da dare alla società, qualcosa di più grande. D’altra parte era in armonia con i desideri della gente. Questo gioca un ruolo importante in queste cose. E la cosa brutta oggi, che la speranza è riposta nelle elezioni, su SYRIZA eccetera, è che la gente non ha voglia di costruire qualcosa. Dice: io voto, vediamo che succede. Per una grande quantità di gente questo voto è per spaventare gli altri, senza crederci neppure tanto. Perché questi non hanno un programma, diciamo per sfidare questioni basilari del capitalismo, devi essere organizzato e sapere cosa stai andando a fare. Votarli perché ci salvino… non esiste.

Anna: scusa adesso torno molto indietro, ma prima volevo sapere un’altra cosa, che mi sono dimenticata di chiedere. Di Exarchia durante la dittatura, abbiamo detto tante cose, ma della guerra civile non mi hai detto. Cosa c’era qua durante la guerra civile?

Yiannis: Dentro ad Atene non abbiamo avuto scontri durante la guerra. Gli scontri ci sono stati soltanto durante la Dekembriana (1944), dopo la Dekembriana, nella guerra civile gli scontri ci sono stati solo …. Ad Atene c’era solo tantissima repressione, perseguitavano persone, arrestavano persone… non c’era però resistenza organizzata. C’erano persone in clandestinità ad Atene, c’era un movimento sotterraneo di opposizione, ma neanche a Exarchia che io sappia è successo qualcosa di particolare durante la guerra. E questa situazione era uguale ad Atene e in tutte le grandi città della Grecia. I combattimenti della guerriglia avvenivano fuori dalla città, almeno per quanto riguarda le grandi città. C’erano attacchi alle stazioni di polizia e alle caserme militari, e da un certo momento in poi l’esercito che ha attaccato i guerriglieri sulle montagne.

Anna: E dentro le città cosa succedeva?

472 Yiannis: C’era una repressione molto dura, e non c’era un movimento né politico, né sindacale… tutto questo era represso. E poi c’è stata la dittatura…

Anna: mentre prima, la Dekembriana è stata una rivolta cittadina, si è svolta a Exarchia, no?

Yiannis: Sì la Dekembriana a Exarchia c’è stata. C’erano scontri dappertutto. C’erano gruppi principalmente dell’ELAS. Era successo che il KKE i capi del ELAS avevano firmato un accordo con gli inglesi e con il governo Papandreou che era al Cairo, avevano deciso che non sarebbero entrati nelle città i soldati dell’esercito, che sarebbero rimasti fuori. Quindi quelli che combattevano dentro Atene erano quelli che c’erano anche durante l’Occupazione, che l’arma più importante che potevano avere era una pistola, un coltello… mentre gli inglesi avevano carri armati, cannoni…armi vere insomma. L‘esercito greco invece stava fuori da Atene. Immediatamente, quando arrivarono gli inglesi ridiedero le armi a quelli che sotto l’occupazione avevano collaborato coi tedeschi. Questi erano i primi gruppi armati, dal momento che non c’era l’esercito, i così chiamati “tagmatasfalites” (ordine di sicurezza, ndr). E quando c’è stato l’accordo di Varkiza e i guerriglieri hanno consegnato e armi, l’unica cosa che potevano fare era nascondersi perché i tagmatasfalites non li fottessero. E questo è successo in tutta la Grecia, perché dappertutto avevano consegnato le armi, e questo il motivo per cui in molti sono risaliti in montagna ed è cominciata la seconda guerra civile. Nel frattempo è arrivato il ’47 ed è cominciata la guerra fredda e Stalin e la leadership del KKE decisero che in Grecia, la guerra fredda poteva diventare calda. Questi guerriglieri avevano l’illusione che quelli che avevano partecipato all’ELAS e all’EAM sarebbero risaliti sulle montagne, ma una cosa del genere non era facile, perché a migliaia erano stati arrestati ed erano in prigione o in esilio, in migliaia era stati fucilati. Era molto più difficile, anche perché la polizia controllava i villaggi, e sai, è diverso combattere i tedeschi occupanti, che invece combattere col tuo vicino che è col governo greco e ha mezzo paese dalla sua parte, non è lo stesso che avere contro gli amici dei tedeschi che si potevano contare sulle dita di una mano. Perché finchè ci sono stati i tedeschi qua, anche quelli che non partecipavano all’EAM e e all’ELAS, rimanevano neutrali e in qualche misura aiutavano...

Per quello che dicevamo prima, invece, rispetto alla musica nel quartiere… io ero litografo, lavoravo in una grande fabbrica, come ti ho detto, e siccome ero sindacalista negli anni precedenti a quell’epoca dal ’74 fino all’80, e siccome ero molto attivo nel sindacato, più o meno ero conosciuto in tutte le fabbriche che c’erano in Attica, perché organizzavo scioperi, assemblee e cose così, tutti i padroni delle fabbriche mi conoscevano perché avevo fatto diverse cose col sindacato e non potevano proprio vedermi. Nelle fabbriche più grandi dove i lavoratori erano organizzati, i sindacati più influenti erano del PASOK o del KKE, quindi neppure quelli mi volevano vedere, visto che sono trotzkista e e un agitatore di scioperi (apergopios, ndr), proprio non mi volevano tra i piedi. Quindi verso l’80 non riuscivo a trovare lavoro da nessuna parte anche perchè ero nel coordinamento sindacale non potevo trovare lavoro da nessuna parte e per vivere facevo lavoretti: dipingevo le case, … diversi lavori così, un po’ random, e anche nel sindacato non potevo più fare nulla perché quelli del PASOK e del KKE dicevano che avevo un

473 lavoro, che ero imbianchino e che quindi non avevo ragione di parlare per gli operai, e quindi ho fatto per un po’ il dj in alcuni bar

Anna: Qua nel quartiere?

Yiannis: Sì sì qua a Exarchia. Diversi lavoretti di altro tipo, quello che trovavo per sopravvivere. E dopo gli eventi della Turchia con Evren, ho cominciato a prendermi cura di tutti i profughi che arrivavano dalla Turchia e mi sono ritrovato con un debito solo per la bolletta del telefono di circa 140 mila dracme di quell’epoca lì. Pensa che il salario di quell’epoca era … 8-10 mila dracme al mese.. e arrivavano qui tantissimi profughi che venivano a casa mia sia per viverci per un po’, molte volte… anche 15/20 persone, sia per telefonare. Telefonavano in Australia, in Canada, ai conoscenti in Turchia, in Bulgaria, in Russia per organizzarsi, parlare con le famiglie, una cosa e l’altra, quindi il telefono era in perenne utilizzo; io ero disoccupato e ho deciso di aprire un locale. Avevo qualche amico che aveva finito il politecnico, qualcuno che ancora studiava e che suonavano rebetika, che era molto di moda negli anni ’70. C’era tutta una scena di giovani che riproponeva nel presente l’antica rebetika. E quindi aprì questo locale di rebetika proprio qui all’angolo tra via Eressou e via Tositsa, all’inizio lo gestivo da solo. È rimasto rebetadiko due anni, ma poiché eravamo completamente anticommerciali, suonavano senza microfoni, con strumenti molto tradizionali e in modo molto tradizionale . perché non volevano che fosse… perché nel l’83 quando ho aperto il locale era molto di moda, e aprivano dappertutto. La chiamavano “rebetika” ed intendevano musica pop all’ultimo grido. Invece quello che suonavamo noi, il pezzo più recente che suonavamo era di Vanvakaris e lo suonavano come lo suonava all’inizio Vanvakaris a Syros nel 1934. Tutte le altre erano ancora più vecchie. Erano canzoni da Smirne, da Costantinopoli eccetera, eccetera… perché i ragazzi erano “malati” con questa cosa, avevano fatto ricerche molto accurate a Costantinopoli, a Venezia, a Parigi… e così avevano trovato partiture e cose così per capire come si suonava e come era, perché allora non circolavano partiture di quel tipo per sapere come suonare quelle musiche… e suonavano quindi in questo modo col flauto, con la sargjia, con il laùto, strumenti così, col clarinetto… così durante il secondo anno io sono arrivato ad un debito incredibile, fin sopra la testa! Già ero in debito per la storia dei turchi, mi sono poi ulteriormente indebitato con il locale, dovevo solo di elettricità 800 mila dracme, e così un carnevale, una sera… come ti ho detto, un paio di settimane prima avevamo deciso: “per carnevale chiudiamo”, e la domenica… il sabato di carnevale facciamo la chiusura e tra la domenica e il lunedì che è “kathari deutera”, come era il locale, ho radunato una quindicina di dischi di rock miei e di qualche altro amico, in tutto circa quindici sedici dischi, e da quelli ho scelto i pezzi che ballavano i giovani negli anni ’70 e ’80 e ho fatto un paio d’ore.. che un paio d’ore… sei ore! Dalle nove che ho aperto il locale fino alle tre, le quattro che ho chiuso… un programma che nessuno è stato seduto neppure un attimo, dal primo pezzo sino all’ultimo, posso dire, hanno ballato tutti!

Anna: Ma che bello!

474 Yiannis: E siccome a quell’epoca non ascoltavi mai solo rock, molti bar mettevano un po’ di rock, ma soprattutto era l’epoca della disco, e comunque si ballava solo nelle discoteche.. du du du du du du… sai, no? E come era fatto il locale di rebetika che aveva un po’ di spazio davanti al palco… non c’era più il palco quella sera perché l’avevo tolto, era come una pista e tutti ballavano. Ma un locale, che suonasse musica rock dall’inizio alla fine e reggae eccetera, musica per ballare, e che avesse uno spazio per ballare, non c’era… non solo qua nella “vallata”, ma neppure da altre parti. Non c’era questa cosa: o andavi in discoteca a ballare, o andavi a bere qualcosa, seduto sulla tua sedia e ascoltavi musica di diversi generi. E… e lì successe il casino! Neppure se ne sono accorti a Exarchia, dal primo giorno che ho poi aperto, il martedì sta volta come locale rock, semplicemente ho tolto Vanvakaris, Tsitsanis, Exkianase eccetera e ho messo Japlin, Morrison, Bob Marley… ahahah Mick Jagger e tutti gli altri e in pochi giorni, dal lunedì di carnevale fino a pasqua ho ripagato tutti i debiti e ho anche guadagnato 80 mila dracme per andare in vacanza!

Anna: E dove sei andato in vacanza, allora?

Yiannis: Ehm… sono andato in vacanza a Creta! E devi sapere che questo posto era diventato un ritrovo per tutte le persone delle insurrezioni. C’erano casi in cui vedevo, soprattutto nei finesettimana, venivano molti giovani studenti eccetera. E vedevo ognuno con il suo gruppetto ad un tavolo separato: alcuni erano di Peristeri, altri di Exarchia, altri di Pagkrati, e non si conoscevano tra loro. Ciascuno al proprio tavolo, ballavano… e poi c’erano anche situazioni simili nelle quali… erano studenti, soprattutto… e quando cominciavano le occupazioni più combattive, era bellissimo perché tutti questi si abbracciavano, scherzavano tra loro, ballavano e discutevano tantissimo, cantavano slogan, si organizzavano perché sempre il KKE in situazioni di questo genere faceva il suo coordinamento, mentre tutti gli altri ne costruivano un altro. “Cosa è successo tutto d’un tratto!? Come vi siete conosciuti!?” “Eh, siamo tutti nel coordinamento di occupazione!” Ed era molto interessante perché tutti questi che ascoltavano la stessa musica, che avevano lo stesso.. stile di vita, erano gli stessi che erano nelle occupazioni! E questo succedeva sempre quando c’erano occupazioni degli studenti, che erano molto frequenti… negli anni ’80 e ’90.

Anna: E poi che ne è stato del locale?

Yiannis: E poi ha chiuso dopo un tot di anni, perché ci ha mandato via il padrone dell’edificio. Era arrivato ad un affitto di 75 mila dracme, quando l’ho preso che era mezzo distrutto e l’ho rimesso a posto da solo… all’inizio non voleva neanche darmelo perché diceva che era pericoloso, che se si ammazzava qualcuno poi andava in prigione lui, e diverse cose così, comunque, io ho insistito e l’ho rimesso tutto a posto e c’eravamo messi d’accoro per un contratto di 40 mila dracme al mese, che dopo 9 anni era arrivato a 70 mila, ma poi mi ha chiesto 700 mila al mese… nel ‘89, ‘90.. nel ’90 mi ha chiesto 700 mila. E gli ho detto vaffanculo. Non esiste. Non ho accettato di pagare 700 mila dracme e ci ha sfrattati, con i MAT tra l’altro. Allora, adesso è tardi, io devo andare in una tipografia a ritirare un giornale…

Anna: Va bene, grazie mille.

475

Yiannis: stammi bene, ragazzina mia!

476 Intervista n° 10, Fotini Giannopoulou

31 gennaio 2014, ore 13.00

Kostas Vasiropoulos mi ha suggerito di andare a parlare con la sua amica farmacista della piazza di Exarchia, che pensava potesse dirmi molte cose rispetto alle dinamiche di un luogo così importante per la situazione socio urbana del quartiere. Prima delle vacanze di natale sono passata in farmacia da lei e ci siamo accordate per un appuntamento a gennaio. Fotini è una donna bionda, minuta e affascinante dal piglio deciso. Abbiamo conversato nel magazzino della farmacia, al piano interrato della stessa, mentre lei sistemava delle confezioni di medicinali.

Fotini: vivo qui da 25 anni, e giro per il quartiere da quando ero una studentessa universitaria, da quando sono arrivata la zona ha sempre avuto problemi, all'epoca ha cominciato il movimento anarchico, erano cominciati i grandi casini, con gli incendi, che ad un certo punto si sono fermati.

Anna: quando più o meno?

Fotini: Non mi ricordo esattamente.

Anna: dieci anni fa o venti. per dire?

Fotini: anche prima può darsi, per questo ti dico che dovrebbe esserci insieme anche qualcun altro il vicesindaco che è un abitante e che conosce molto bene gli equilibri della piazza, io l'unica cosa che ti posso dire è che la zona da quando sono qui ha sempre avuto problemi, sempre, sempre... prima c'era questo problema, poi con i ritrovi per lo spaccio, le situazioni tornavano e finivano, tornavano e finivano, tornavano e finivano... adesso non si vedono più questi scambi di droga e i problemi sono passati alle gang. A Stournara c'è contrabbando delle sigarette, c'è un'apparente calma ma in profondità ci sono i problemi, come posso dire.. è come una catena, lo stato utilizza la scusa di non poter venire all'interno del quartiere...

Anna: In modo evidente... perchè è presente, in realtà...

Fotini: In modo evidente certo, certo che è presente! Ma dice di non poter venire, anche se non è vero perchè potrebbe venire ottenendo anche un risultato, come avviene in tutto il mondo, senza provocare, senza utilizzare la propria autorità in modo sbagliato, no? E invece non è presente come dovrebbe e da quindi la possibilità che si formino gruppi di albanesi e mafia che gestiscono le droghe.

Anna: quindi la mafia più influente qui...?

Fotini: Sono albanesi, sì.

Anna: Quindi è più questo che non nel giro dei bar, per dire...

477 Fotini: Sono sicura che alle persone che lavorano la notte con questa situazione conviene molto... nel senso, non avvengono controlli, neppure per vedere se sono a norma gli spazi delle sedie e dei tavoli. Questo per farti capire come qui a Exarchia ci sia un ciclo continui di questi eventi. Non so chi ha il controllo di tutto ciò, Capisci?

Anna: Certo, capisco bene.

Fotini: Quindi c'è una zona che non segue la legge. Non segue la legge ma è lo stato stesso che crea questa situazione, se volesse attuerebbe le leggi in un minuto, questo ovviamente, invece serve ai locali notturni, ai gruppi della mafia albanese che trattano le droghe, ovviamente tutto ciò non si vede, e serve a quelli che non sono antiautoritari in senso politico, ma sono casinisti: ragazzini e sicuramente alcuni tra loro stranieri, albanesi, i quali nel momento in cui ci sono delle agitazioni (Anabouboula, ndr) dicono che sono anarchici. Non lo sono, non esiste un serio movimento anarchico che rappresenta il "vai e spacca la macchina di quella persona" . Tutto è dentro il clima della agitazione e del casino.

Anna: ho saputo però che un serio gruppo di anarchici ha fatto iniziative contro questa situazione negli anni.

Fotini: sì, i seri gruppi non vogliono rovinare il proprio nome e dire siamo contro il potere mentre dei ragazzini mettono dei cappucci e picchiano chiunque. Possono essere contro il potere ma non sono a favore della violenza incontrollata, altrimenti dovrebbero uscire tutti per strada, sia tu che io, non è quindi questo quello che si chiede, è quindi uno strano clima al quale non riesco a dare un nome, come se ci fosse un accordo ma credo che in primo luogo sia lo stato a servirsi di ciò.

Anna: negli ultimi anni hai visto cambiamenti in questa cosa, in meglio o in peggio?

Fotini: guarda, in apparenza la zona è migliorata, non ci sono punti di ritrovo visibili per le droghe, non vedi tossici camminare per strada. In passato era una situazione disperata, c'erano duecento, trecento tossici in piazza... Adesso non si vede questo, ma il problema è più profondo e sostanziale secondo me perché i fili vengono mossi dall'alto, non in alto il governo, ma in alto nella gestione della situazione. Non puoi prendere la mafia albanese quando ha le armi.

Anna: no non puoi e come?

Fotini: da qualche parte viene protetta, qualcuno la protegge, non la proteggo io o lo stesso ministro, ci sono persone di sotto che si muovono. Altra questione, cos'altro vuoi sapere?

Anna: tu come mai sei venuta qui a Exarchia?

Fotini: la zona è molto viva, c'è gente, c'è una profonda rete sociale, persone di valore, vicini, persone di passaggio, studenti, uffici, la sua immagine è bella. Molti sono andati via

478 perché non sopportano che non venga attuata la legge, ma è un quartiere vivo e si vede.

Anna: di dove sei tu? Non sei di Exarchia.

Fotini: no, no ma ho frequentato il frontistirio di via Iraklitou, ho studiato farmacia qui, non mi sono mai allontanata dal centro di Atene e di conseguenza lo amo. Se portassi un ragazzo ormai grande a Ekali qui gli sembrerà strano, adesso come un tempo. Io non sono mai stata una persona così. Venivo qui nel quartiere e avevo la mia amica di infanzia con la quale andavo al frontistirio qui, a lezione di francese, facevamo tutto qui, era la nostra casa. Avevamo anche un'opinione sulla situazione, non eravamo ingenue, qualcosa in più lo sapevamo. Qualsiasi informazione in più che credi ti serva, conosco persone che possono darti queste informazioni, ma sono sicura che non vogliano dirti certe cose perché loro le conoscono molto meglio di me, per esempio io non sto a guardare le cose intorno a me, evito, ho visto uomini incappucciarsi all'ultimo momento e che prendono il piede di porco tirandolo fuori da dietro la schiena, l'ho visto ed erano ragazzini, non so chi gli faccia fare tutto questo.

Anna: ma tu dici che non è spontanea tutta questa situazione?

Fotini: sicuramente non puoi di punto in bianco mettere cinque cappucci e uscire per strada, qualcuno deve proteggerti da dietro e deve farti muovere. Non parlo di grossi casini in cui entrano stranieri, neri, gialli, rossi, tifosi dell'Olimpiaco e AEK, hooligans. Credo che qualcuno li muova e li organizzi.

Anna: tu non parli dei cortei, quindi, ma di casini giornalieri...

Fotini: giornalmente non capita niente ma di sicuro alcuni in certi periodi appaiono e bruciano delle macchine, questa non è una casualità, se c’è un attacco alla klouva (corriera della polizia antisommossa, ndr), che sta là del PASOK, vuol dire che questo qualcuno lo organizza, me lo dice la logica, c'è la possibilità che un ragazzo di vent'anni da solo decida di radunarsi con cinque amici? Avrebbe paura in primo luogo. Può un ragazzo dire ad altri cinque di incappucciarsi per andare ad attaccare la klouva? Io tremerei, perché penserebbero a se li prendessero, vuol dire che non hanno paura che li prendano e qualcuno si organizza in modo che non vengano presi, come posso dire...

Anna: ma questo che rapporto credi che abbia con il tema delle droghe?

Fotini: può essere tutto una catena sai, l'illegalità , questa vita, quando in una comunità c'è una gang che si occupa di qualcosa come le droghe sicuramente trovano terreno fertile anche altri, se so che qui non può entrare la polizia potrei avere un laboratorio in cui costruisco bombe, per esempio. Sapendo che nel Politecnico non può entrare la polizia potrei andare lì a fare una molotov senza essere uno studente ne' nient'altro. Capisci cosa intendo? Dove non si applica la legge ci sono molte immagini di questo genere... a vedersi però è una meraviglia la piazza di Exarchia per quelli che non capiscono. Tutti capiscono, non può essere che una strada centrale come Stournara sia stata così

479 sottovalutata che si vendono sigarette in nero. Non può essere, lo sanno tutti, abbiamo chiamato cento volte, che cento volte, un milione di volte! Una strada che ha un'importanza storica, li lasciano lì. Questo per me vuol dire qualcosa. Non vogliono? Non possono? Ne approfittano? Ci ricavano qualcosa? Non lo so, io non so queste cose, qualcosa del genere credo. Ci sono stati molti tentativi.

Anna: stavo pensando che per quanto riguarda la polizia che teoricamente non può entrare nel quartiere...

Fotini: può entrare benissimo nel modo giusto, tutte le persone logiche vogliono la polizia, per questo si vive in una società organizzata, altrimenti si direbbe ” io non voglio uno stato” e me ne vado altrove, tutti vogliono la polizia in modo giusto e credo che la polizia faccia il proprio lavoro quando ha le istruzioni giuste.

Anna: che adesso non ha.

Fotini: credo che adesso non abbia queste istruzioni, se le avesse farebbe il suo lavoro, entrerebbe alle sette del mattino quando siamo solo noi e dieci persone e chiederebbe “Chi siete, chi siete, ragazzi!?”. “Chi siete e dormite qui fuori, siete senzatetto? Andate con i senzatetto, ragazzi che non abitano più a casa? Se siete minorenni andate a casa, se siete maggiorenni andate via”. Nessuno dice di mandarli in prigione. Non bisogna picchiarli, non è quella la richiesta, la richiesta è di fare il proprio lavoro come in tutto il mondo, se vai a dormire in piazza a Parigi non credo che ti lascino suonare musica GRAN GRAN e bere la birra tutta notte. Vero? Crediamo mica che i francesi abbiano una società gestita dalla polizia e noi siamo più democratici perché qui non entra la polizia, è ridicolo. Ma adesso alcuni fanno finta di non vedere queste cose, ad alcuni pensieri politici piace pensare così.

Anna: per che motivo, credi?

Fotini: perché vogliono raccogliere voti da gruppi di persone che la pensano a questo modo. Del tipo che non vogliono la polizia, non vogliono lo stato, siamo superiori allo stato e da un lato usano lo stato per poter essere dentro questo giro, che senso ha tutto ciò? sono ruoli precisi questi e leggendo di qua e di là li troveresti da sola. Questa è la mia opinione personale. Cos'altro vuoi sapere?

Anna: dimmi la tua opinione.

Fotini: la mia opinione è che prima di tutto vengono serviti alcuni gruppi e in secondo luogo lo stato non vuole imporre quello che deve o meglio non lo vuole applicare, una semplice attuazione, come a me lo stato dice non puoi avere una ricetta per più di cinque giorni, devi utilizzarla e io lo faccio perché è così, anche se non mi piacesse dovrei farlo per fare questo lavoro. Così dice lo stato, chi fuma droghe o chi accende un fuoco in una piazza in cui abita della gente intorno, disturba, quindi non deve farlo che lo voglia o no. É così semplice però non si attua.

Anna: e per questo motivo non è pericoloso avere una farmacia nel bel mezzo della piazza?

480

Fotini: no, devi tenere certi equilibri, essere neutrale, io non prendo mai le parti di qualcuno, voglio che si faccia ciò che è giusto, io non ho una posizione politica all'interno della farmacia, ho l'opinione del giusto, e per giusto intendo, “disturbo con il fuoco, allora spengo il fuoco”,”disturba il signor ricco che parcheggia sul marciapiede? Allora deve andare via” non mi interessa chi sia, mi interessa che avvenga il giusto. La cosa giusta è una, quindi sanno tutti che non mi sono mai immischiata e non ho mai fatto niente che possa portare a pensieri ambigui. Non dimenticare che il quartiere è molto vivo. C'è gente, e molta che va, viene e abita non può essere un ghetto di minoranze africane e pakistane, ci sono altri, però, che sfruttano questo luogo. Per esempio le ragazze qui (in farmacia, ndr) sono straniere, (a bassissima voce:) se ci fai caso non parlano bene greco, (poi di nuovo ad alta voce, indicandomi la ragazza che è scesa nel magazzino a prendere delle cose:) Aliki per esempio viene dall'Uzbekistan, io non ho la fissazione che siamo la razza pura ma non accetto che ognuno sfrutti il luogo in cui io lavoro per fare la mafia sia che sia pakistano, albanese, greco, svedese, svizzero o chiunque egli sia che vada a casa sua. Questo è il mio principio, sei svedese? Vai in Svezia. Non è per forza così, non vuol dire che perché è straniero farà qualcosa di male, ma se fa qualcosa di male, che sia straniero o greco deve essere fermato, in questo modo proseguo. Non ho mai creato gazzarre nella zona, e quando c'erano i drogati qui fuori uscivo e gli dicevo di andare via perché disturbavano, perchè lo credo, perché è credo che sia così.

Anna: e loro? Se ne andavano semplicemente?

Fotini: ci sono stati vari tentativi, anche gli abitanti sono scesi in strada e hanno provato a mandarli via, ma sai, non è come sturare una narice, non è che senza sturare la narice possano cambiare le cose, con certi interessi. Io non ho mai detto chi vende le droghe, non mi interessa, io non le voglio le droghe, chi le vende va punito. Non sono d'accordo con quelli che dicono “la polizia vende l'eroina”, non mi interessa chi la vende. Lo stato, ha il compito di trovare chi la vende, che paghiamo con le tasse.

Anna: sì, in teoria.

Fotini: Non sono io la poliziotta e nemmeno la CSI Miami che fanno vedere in televisione, vedo ma non sono obbligata a sapere, vedo però, vedo lo spacciatore che apre chiude e tira fuori. Non sono cieca, non è necessario che sappia, ma vedo. Chi la vende deve essere preso, chi è non lo so, adesso non si vede chi la vende, sono diventati più rigidi.

Anna: da cosa lo deduci?

Fotini: intendo dire che adesso la mafia che vende le droghe non è più così vicina come in passato che si fermavano le moto e li vedevamo.

Anna: ah così apertamente?

Fotini: sì sì, adesso è la mafia che traffica e gli albanesi, sono sicura e lo sa tutto il quartiere, hanno ucciso uno qui all'angolo per regolare i conti, è la mafia, la mafia lavora così.

481

Anna: e anche nel parco è successo tempo fa.

Fotini: sì sì, queste persone non hanno un dio, quando hai un lavoro del genere hai un'attività del genere non stai a cercare a computer la vita dell'altra persona, ti disturba e lo uccidi. Ma questo non deve avvenire in una zona abitata, non può succedere in una zona in cui le persone vivono, lavorano e hanno bambini. Perché non li portano a Ekali tutte queste cose? Perchè lì vivono loro. Perchè se no avrebbero potuto aprire l'attività in una bella piazza li a Ekali dove c'è anche l'aria pulita. Qui gli fa comodo, e fa comodo anche a quelli che prendono soldi per proteggerli, questo è ovvio, lo dice il cinema, può sembrare uno scherzo, ma è una cosa che raccontano anche le trame, se vedi un film vedi le mischie dalle quali passano i soldi.

Anna: cosa intendi?

Fotini: intendo dire che ho visto ieri il film “L'apparenza inganna” e ho visto come si muovono questi soldi, qualcuno protegge, qualcuno vende, qualcuno prende i soldi e qui dato che non può venire la polizia fa comodo anche a chi decide tutto questo. Qualcuno dirà dove andare, nel momento in cui il responsabile dice che risolverà la situazione essa si risolverà in cinque minuti, in modo tranquillo, senza spargimenti di sangue, seriamente e in modo sistematico come in tutto il mondo. Non credo che siamo noi l'eccezione, la piazza di Exarchia sia l'eccezione rispetto l'Italia, la Francia, non intendo dal Marocco in giù, ma di questi paesi. Non mi dirai che non esistono altre zone contro l'autorità e di immigrati illegali? Ma non si muovono in città e in mezzo alla piazza, nel museo, nel teatro a fare affari e addirittura ad uccidere. Non è vero? A me sembra così, tutte le volte che ho viaggiato non ho mai visto una cosa del genere. Qui c'è il Museo Archeologico, il miglior museo del paese, abbiamo teatri, Ministero della Cultura e improvvisamente c'è un serio tasso di criminalità, non è contraddittorio?

Anna: è contraddittorio.

Fotini: questo dice tutto. Hai capito? Non è possibile che una città, nella quale riponi aspettative, hai gente, ne arriva, racchiuda anche il nocciolo della grande illegalità; di quella visibile per lo meno, perché la grande mafia illegale è quella di cui si parla in televisione che ruba i soldi. L'altra è una cosa che non si vede da nessuna parte ma noi lo sappiamo.

Anna: e questi dici che girano a Exarchia ma in qualche modo sono di Exarchia?

Fotini: non sono assolutamente di Exarchia.

Anna: non hanno niente a che fare con il quartiere, semplicemente lo sfruttano?

Fotini: esattamente, non c'entrano per niente con il quartiere, nei tanti anni in cui sono qua gli abitanti, i visitatori, gli uffici, i giudici sono persone di classe superiore. Le persone qui sono serie, istruite, non hanno niente a che fare con quelli che sfruttano la piazza.

482 Non parlo dei giovani che vengono a bere due birre e a sedersi sulla panchina, questo anche io lo facevo quando ero piccola, mi sedevo fuori dalla facoltà di chimica e bevevo il mio caffè. Mi riferisco a quelli che sfruttano un certo aspetto non sono di Exarchia.

Anna: Ma, per dire, il carattere del quartiere è antiautoritario, per certi versi.

Fotini: è un quartiere che ha una connotazione politica, questo non vuol dire che sono contro la polizia o lo Stato o la legge. Esistono gruppi di persone antiautoritarie va benissimo, perchè anche queste si muovono bene, non verrà mai da te uno di loro a dirti perché indossi un certo orecchino e che devi indossarne un altro. Anche a me non mi ha mai fermato nessun anarchico a chiedermi “Signora, perché lei è a favore delle autorità?”. Li conosco, mi conoscono, buongiorno e buonasera. Non sono loro che creano i problemi. Quelli che creano i problemi sono persone che utilizzano questo profilo superficialmente, per mettere un cappuccio, e venire magari a farti casino se sei un po' ben vestita e pettinata... assurdo, è fascista dire che sì tu mi piaci, se indossi qualcosa di blu puoi essere Nea Dimokratia, ti prendo a botte. Questa non è democrazia e quindi non parliamo di questo.

Anna: la situazione è più seria nella piazza.

Fotini: credo che la piazza abbia due lati, quella del giorno e quella della notte, quella della notte non la conosco. La situazione è più seria nella piazza perché è uno spazio aperto e si possono radunare. Devi provare ad andare di notte nella piazza per sentire che lingue parlano, cosa dicono, il tuo look ci sta bene, non è come se entrasse una signora con una borsa nella piazza. Anche io potrei farlo e lì credo che comandino queste persone, a parte i ragazzi che ignari vengono a bere la loro birra trovano terreno fertile tutti i delinquenti e l'illegalità. Tre cose esistono, i ragazzi come te che bevono una birra, benissimo, i ragazzi laidi, che fanno casino e, in più, la mafia.

Anna: e questi primi due gruppi che opinione pensi che abbiano della mafia?

Fotini: gli fa comodo, così credo, non li disturba, non capiscono il grande pericolo a fianco a loro, che questa cosa può girarsi contro di te che sei in delinquentello che va in giro che se in quel momento non piaci all'altro ti può cacciare. Sono pericolosi hanno le armi. E non è possibile che trovino terreno fertile persone che rompono le insegne e le rubano, questo da qualche parte viene mosso. Non so dirti da dove però. Da chi viene protetto e da dove può sorgere. Devi studiare un po'. Vieni per quattro cinque giorni, parla con i proprietari se accettano, sono tutti un po' strani. (poi a bassissima voce:) sai, sono tutti illegali...

Anna: si? Per i tavoli?

Fotini: eh si, credi che paghino l'IKA le persone lì dentro?

Anna: Ah!

483 Fotini; Non penso... Ti parlo di cose semplici, sono a norma queste persone? Non lo so, potrebbero esserlo, non lo so e non posso dirlo con certezza, ma... Non dico che facciano “altre” cose ma è molto probabile che attraverso queste infrazioni piccole... piccole ma con tante piccole ne viene fuori una grande.

Anna: ho capito.

Fotini: Questo posso dirti, ragazza mia! Sistemalo adesso bene come sai tu, e usala come pensi ti vada meglio per il lavoro che devi fare...

Anna: Ti ringrazio davvero moltissimo!

Fotini: Stammi bene!

484 Bibliografia

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498 Ringraziamenti

Ringrazio sentitamente il mio relatore, il professor Gianluca Ligi per l’attenzione con cui ha letto le mie pagine e la puntualità e l’interesse delle sue correzioni e precisazioni, e la professoressa Valentina Bonifacio per i consigli preziosi. Grazie agli amici Yiannis Kallianos, Antonis Vradis e Dimitris Dalakoglou per i preziosi consigli e gli stimolanti scambi di opinioni. Un grazie particolare a Elli Botonaki, Alexandros Aristopoulos, Thodoris Zeis, Kostas Aggelidakis, Kostas Vasiropouos, Despina Kalogeropoulou, Marios Zervas e Nikos e Vassilis di Rizari per l’aiuto e l’amicizia che mi hanno dimostrato in questi lunghi mesi sul campo. Infine, ma senza fine, grazie a Margarita, Vangelis, Ilias, Vasiliki, Lia e Charis che mi hanno fatta sentire amata e compresa anche in una lingua diversa dalla mia; a Federica, Giulia, Laura, Nicola, Beatrice, Vanni, Antonino, Michela, Irene e Margherita, con i quali è cominciato tutto; a Teo, per i consigli, l’aiuto e gli scambi importanti; a Tia, Mitjia, Agathe, Otto, Skid e Arianna a Berlino; a Paola e Barbara, le mie sorelle, e a Marina, Michela, Fabrizio, Chiara e Peppe a Bologna.

All’Aula C Autogestita di Bologna e all’Ospizio Occupato di Venezia.

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