Il Lauro Secco Analisi

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Il Lauro Secco Analisi Il lauro secco: analisi di un madrigale Analisi di un madrigale di Ruggero Giovannelli dalla raccolta Il Lauro secco – Libro primo de madrigali a cinque voci di diversi autori Nel foco d’un bel lauro, come unica fenice, arsi gran tempo e fu l’ardor felice. Hor ch’altri hanno ristauro da la medesma fiamma, in me a dramma a dramma manca l’ardore e in tutto spento sia perché amor non patisce compagnia. _______________________________ v.1 C A T Q B NEl v.2 Q cõe v.3 B tẽpo C B fù v.4 C A T Q B ristauro C A T hãno v.5 B non intona v.6 C A Q T B à drãma à drãma v.7 A manca l’ardore non intona C mãca Q spẽto v.8 T Q cõpagnia C T nõ A T pche Il testo musicale Criteri di edizione: 1) Le chiavi antiche di DO e di Fa sono state riportate in notazione quadrata all’inizio di ogni rigo e sono state trascritte rispettivamente in chiave di violino per il Canto, l’Alto, il Tenor e il Quintus e in chiave di Basso per la voce del Basso; 2) Il segno di C presente nella stampa originale è stato inteso come nel senso di tactus alla semibreve, che corrisponde a un solo movimento suddiviso in un battere (depositio) e in un levare (elevatio): ogni suddivisione ha la durata di una minima; la stanghetta di battuta ha solo una motivazione pratica e non comporta inserimenti di accenti che influiscono sul flusso ritmico della frase, determinata invece, dalla prosodia della poesia. 3) Le alterazioni presenti nella stampa originale sono state riportate ciascuna accanto alla nota interessata. Le alterazioni scritte sopra la nota sono un’aggiunta di chi scrive. Le alterazioni hanno valore per la singola nota. Il testo letterario Criteri di edizione: I criteri adottati per trascrivere il testo poetico sono stati i seguenti: 1) E’ stata corretta e/o aggiunta la punteggiatura per modificare la logica del testo; 2) Sono state normalizzate le lettere maiuscole ed eliminate all’inizio di ogni verso; 3) Sono stati tolti accenti secondo la grafia moderna (à = a; fù = fu); 4) Si è mantenuta la lettera h etimologica nella parola hor poiché non ha alcun influsso sulla pronuncia; 5) Sono state sciolte le abbreviazioni, come nel caso del titulus (˜) sulle vocali per indicare la lettera n (mãca = manca; hãno = hanno; nõ = non; cõpagnia = compagnia; tẽpo= tempo; cõe= come); 6) Si è distinta la u dalla v (vnica = unica). ANALISI TESTUALE E MUSICALE Il madrigale Nel foco d’un bel lauro posto in musica da Ruggero Giovannelli[1] fa parte de Il Lauro secco. Libro primo de madrigali a cinque voci di diversi autori, pubblicato a Ferrara nel 1582[2] da Vittorio Baldini[3]. La raccolta[4] è dedicata a Laura Peverara[5], dama di compagnia presso la corte estense della duchessa Margherita d’Este[6], già Gonzaga, in occasione delle sue nozze con il conte Annibale Turco. Figlia di Vincenzo Peverara, precettore della famiglia Gonzaga, Laura aveva ricevuto un’educazione perfettamente consona alla nuova vita di corte: aveva studiato musica con Jacques de Wert, cantava e suonava l’arpa. Arrivò a Ferrara nel 1580, l’anno successivo al matrimonio del duca d’Este, e subito cominciò ad esibirsi con Anna Guarini, suonatrice di liuto e figlia del più noto poeta Giovan Battista Guarini, e con la contessa Livia d’Arco, violista allieva di Luzzasco Luzzaschi. Il trio fu denominato Concerto delle dame Principalissime e raggiunse livelli eccellenti[7], le dame studiavano quotidianamente con Luzzasco Luzzaschi, organista e direttore di musica da camera di Alfonso II, con Ippolito Fiorini, liutista e maestro di cappella e con Jacques de Wert. La musica secreta, così era chiamata a corte la musica del Concerto delle dame, godeva, nei testi poetici, della collaborazione di alcuni dei più importanti poeti del tempo, tra cui anche il padre di Anna, Giovan Battista Guarini. Il Concerto delle dame, con i suoi libri e i suoi strumenti musicali[8], scomparve con la morte di Alfonso II: il suo successore testamentario, il cugino Cesare d’Este, non fu riconosciuto dal Papa Clemente VIII, che incorporò il ducato di Ferrara allo Stato Pontificio[9]. La raccolta madrigalistica de Il Lauro secco simboleggia la donna che non ama più, quindi “crudele” agli occhi del poeta e perciò oggetto di sdegno. La raccolta comprende ben trentuno madrigali posti in musica da ventinove autori[10]. Non conosciamo l’autore[11] né la data di composizione del testo del madrigale Nel foco d’un bel lauro che si presenta con un’alternanza irregolare di settenari ed endecasillabi. La prima terzina del testo (Nel foco d’un bel lauro, come unica fenice, arsi gran tempo e fu l’ardor felice) dipinge una situazione di agitazione interiore dell’animo del poeta di tipo benefico perché causata da un amore corrisposto: l’uso della similitudine (come unica fenice) contribuisce a creare un’oasi di tranquillità dal momento che il poeta si descrive dapprima come l’unico oggetto di desiderio da parte della donna amata. La presenza di parole che si riferiscono a un concetto di agitazione (“foco”,“arsi”,“ardore”) hanno lo scopo di immergerci nello stato d’animo del poeta. La forma ritmica che il compositore sceglie, una scala di crome ascendenti sulla parola foco (batt.1-2 e 3-4), sembra richiamare la traiettoria ascendente e lo scintillio delle fiamme; e anche il basso dopo aver declamato la frase con valori più lenti, quasi a volerla fare intendere più chiaramente, poi si accoda alle voci superiori rincorrendole con la scala ascendente di crome (batt.6). Le voci intermedie dell’altus e del tenor sono le uniche due voci che non utilizzano la scala di crome ascendenti sulle parole Nel foco d’un bel lauro ma un gruppo di quattro note (sol, la, si ,do per l’altus e sol, fa, mi, re per il tenor), basate su valori più larghi di minime e semiminime e figurazioni puntate di semiminime con la croma. A questa sezione (batt.1-11), impostata nel modo misolidio ne segue una completamente opposta nella scrittura musicale che contribuisce a creare un’idea di staticità. Il testo “come unica fenice” (batt.11-16) è trattato in modo omoritmico in contrasto col seguente “arsi gran tempo” (batt.11- 16), agitato dal rincorrersi continuo fra le voci di note ascendenti di crome descrittive della parola “arsi”, mentre la parola “tempo” è sempre rappresentata con valori più lunghi (figure bianche = minime) Ritorna, dunque, il gioco imitativo sull’idea dell’ardere del fuoco, con piccoli incisi veloci sulle parole arsi gran tempo (batt.17-26), per poi chiudere il terzo verso del testo (e fu l’ardor felice) con un gioco di minime (in realtà nel testo originale sono semibrevi che nell’edizione moderna diventano minime con effetto di sincope) legate a due a due (ritmo spondaico) con legature di valore a cavallo tra due battute, in modo che il suono lungo che si avverte è quello della durata di una semibreve, per sottolineare l’importanza dell’ ardore. E’ strano notare come la felicità indicata dal testo sia qui espressa innanzitutto con l’uso di un modo con terza minore e poi con un allargamento generale dei valori ritmici che determina rispetto agli altri motivi-parola un momento di stasi mesta e riflessiva! La proporzione tra il numero degli episodi a carattere imitativo e quelli a carattere omoritmico non è perfettamente uguale in tutta la composizione: il compositore, infatti, sembra propendere per un trattamento contrappuntistico-imitativo. Questa prima parte testuale sembra chiudersi alla batt.33 con la cadenza alla dominante: allontanandosi dall’area del modo di impianto, sembra determinare una chiara cesura del discorso musicale. Chiaro è anche il concetto poetico fin qui espresso che manifesta lo stare bene del poeta fino a quando è corrisposto di un amore unico dalla donna amata; ma quando anche altri ardono d’amore per la stessa fiamma, quando l’attenzione della donna, musa ispiratrice del poeta, si rivolge anche ad altri, allora comincia lo sdegno e l’allontanamento oltre che la sofferenza del poeta. Nella seconda parte del testo, possiamo notare due motivi musicali: il primo che gira e si muove sulla ripetizione di due/tre note (re, mi, fa) con valori larghi nella parte del cantus (batt.34-37: inizio in modo misolidio, batt 33-36, poi a batt.37, tramite l’introduzione del Fa#, torna al modo d’impianto) per introdurre la frase Hor ch’altri hanno ristauro, e il secondo motivo di carattere discendente (batt.43-44) portato avanti omoritmicamente da tutte le voci (in me à drama à drama) e ripetuto 2 volte (batt.46-47) la prima volta alle voci gravi e la seconda con le voci acute. La prima volta (batt.42-45) quando utilizza le voci gravi cadenza alla finalis – sol – del modo tetrardus, la seconda volta (batt.46-48) cadenza alla prepercussio – re- del tetrardus ma con una terza piccarda[12] che per il suo carattere maggiore crea nell'ascoltatore come un bagliore di luce o di speranza sull'ultimo accordo che, essendo maggiore, è in contrasto con la sonorità triste e malinconica propria del modo minore. Un movimento discendente di un tetracordo che continua anche nella parte successiva della frase (batt.51-52 e seg.) vuole sottolineare lo spegnimento, la fine dell’ardore (e in tutto spento fia) su cui il compositore gioca ancora con l’elaborazione contrappuntistica. L’idea dello spegnersi è ulteriormente descritta con l’assottigliarsi improvviso del numero delle voci che restano solo due nella batt.57 e diventano una pausa nella batt.58.
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