Sonata a Kreuzberg

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Sonata a Kreuzberg MASSIMO ZAMBONI ANGELA BARALDI | CRISTIANO ROVERSI SONATA A KREUZBERG Il nuovo album in uscita il 16 novembre “Così infine gli anni e i chilometri ci hanno portato a questo album che celebra il quartiere occidentale di Kreuzberg, luogo glorioso di residenza di migliaia di Hausbesetzer, gli occupanti di case che in quegli anni di Muro hanno dato un volto umano alla città. A lei, e a loro, va questa nostra Sonata”. Esce il 16 novembre, per la storica etichetta di Firenze Contempo Records, Sonata a Kreuzberg, il nuovo album di Massimo Zamboni insieme ad Angela Baraldi alla voce e Cristiano Roversi al pianoforte e alle ritmiche. Per l’occasione, il musicista, scrittore e fondatore dei CCCP fedeli alla linea e CSI, ha messo via la chitarra e imbracciato il basso. Colonna sonora dello spettacolo teatrale Nessuna voce dentro – Berlino millenovecentottantuno, tratto dall’omonimo romanzo pubblicato da Einaudi nel 2017, Sonata a Kreuzberg raccoglie e rielabora in una forma completamente nuova e senza derive nostalgiche grandi capolavori di quegli anni a ridosso (in senso lato) del 1981, quando Zamboni decise di trascorrere la sua estate a Berlino (come racconta nel romanzo), ai quali si aggiungono quattro brani inediti: due di Zamboni e due di Roversi. Perché le canzoni dell’album - riletture in bianco e nero, scarne come le ossa, ripulite dagli eccessi estetici di quegli anni per farne esplodere il carattere contemporaneo - non sono soltanto perle di una storia musicale, piuttosto sono i brani più significativi per la giovinezza di Massimo e per la sua esperienza berlinese. Da Bette Davis Eyes di Kim Carnes a Kebab Traume dei DAF, passando per Berlin di Lou Reed e In The Garden degli Einstürzende Neubauten, fino ad arrivare ad Afraid di Nico e a una chicca come Alabama Song di Bertolt Brecht e Kurt Weill, Sonata a Kreuzberg è la sua personale “guida sonora alla citta delle macerie”. “Non faccio mai fotografie. Ma mi trovo a Berlino, è il 1981, sto passando davanti al Muro nella zona dove tra vent'anni sorgerà l'inutile Sony Center di Potsdamer Platz e che per ora non è altro che un'area di macerie e sterpaglie dove viene ospitato il più grande mercato second hand di Berlino ovest, il Tempodrom, luogo di residenza fine settimanale per turchi, punk e sfaccendati di varie nature. E, a lato di questa folla – il vero Zoo di Berlino – passeggia un elefante in carne e ossa, lavoratore stagionale presso il locale circo equestre. Non faccio mai fotografie, ma questa la devo fare. Che poi l'elefante per contagio prenda la tinta tipica delle Trabant, il rosa confetto delle macchinette dell'est, è un attimo. Se osservo quella foto ora - compiuto il percorso CCCP e CSI, affermato il percorso singolare, sempre in buona compagnia - noto un paio di dettagli inosservati in precedenza: la Torre della Televisione di Berlino est sullo sfondo, e una scritta che definisce il Muro “grosstes Kunstwerk”. Il più grande capolavoro.” Massimo Zamboni. Quella città schiacciata dal ricordo della II guerra mondiale, paralizzata dall’incubo totalitario della DDR e della Guerra Fredda che tuttavia era diventata, al pari di Londra e New York, capitale della creatività più radicale, della controcultura e della musica più innovativa. Un luogo che non esiste più ma è vivo nella mente e nel cuore di una generazione e nell’immaginario di quelle successive. Sonata a Kreuzberg è quindi prima di tutto un atto d’amore verso la giovinezza, la propria giovinezza, tappa fra le più entusiasmanti di un vissuto, di una storia personale che incrocia la Grande Storia e per questo si trasforma in una scarica di emozioni per chiunque ascolti il disco. “Queste” dice Massimo Zamboni “non sono canzoni che si pronunciano, ma si vivono”. Scheda album Sonata a Kreuzberg si apre con l’elettronica percussiva, oscura e minimale ma pronta da aprirsi a melodie interstellari di Unterwegs, brano strumentale firmato da Cristiano Roversi e primo dei quattro inediti dell’album. Una perfetta introduzione a un album che gioca continuamente con le tre dimensioni del tempo, in un continuo andirivieni fra passato presente e futuro. Una traccia solo apparentemente in contrappunto con la successiva Alabama Song, che mantiene una certa aura da canzonetta da cabaret. Ma non quello della Germania degli anni ’30, semmai perfetta per essere suonata in un malfamato bar di un pianeta distante anni luce. Canzone nata da una poesia di Bertolt Brecht e musicata da Kurt Weill, rielaborata con il cuore rivolto più alla celebre versione dei Doors che alle altre infinite rivisitazioni (da Milva a David Bowie, passando per Nina Simone), il brano è arrangiato con un pianoforte che suona come una pianola da mercato ambulante e un basso che la segue. Compagni di bevuta ideali per un testo ubriaco con la Baraldi a condurre il brindisi. Suona come una ninna nanna di un film espressionista invece la seconda traccia inedita dell’album, questa volta firmata da Zamboni, Ein Dunkel Herr, mentre la sghemba quiete ipnotica dell’originale Der Räuber und der Prinz dei D.A.F si trasforma radicalmente in un arrangiamento techno-punk: i carillon del gruppo tedesco vengono assaliti ritmicamente, la dissonanza si trasforma in armonia e il cantato gelido muta in un dialogo quasi sussurrato ma autorevole fra la voce della Baraldi e quella di Zamboni. Più fedele all’originale degli Einstürzende Neubauten è invece In The Garden che degli anni ’80 è soltanto evocativa, essendo un brano del 1996. Una licenza poetica nella scelta, fedeltà e rispetto nell’esecuzione fra basso distorto con harmoniser, ritmica che sembra un contagocce e arrangiamento per archi. Nella traccia numero sei, Afraid, il primo piano va ad Angela Baraldi: incantante più che cantante, accompagnata dal basso di Zamboni e dal pianoforte di Roversi, più dolci del solito, ad omaggiare la cantante, attrice e modella Nico, una delle essenze di Berlino, cui è facile abbinare aggettivi come decadente, affascinante, perduta. La successiva Paul ist tot stravolge totalmente l’originale dei Fehlfarben, uno dei gruppi eroi della Berlino dell'81. Accorciata nella durata, tagliata nel testo, scompaiono chitarre basso tastiere e batteria dell'origine, escono un pianoforte accorato e una voce nuda. La voce, quella della Baraldi, diventa dolce (e fa tornare alla mente l’attacco di Because the night di Patti Smith) in Bette Davis eyes, grandissimo successo inizi '80, a Berlino come in tutto l’Occidente: un pianoforte che parte in minore riduce all’essenza l'hit di Kim Carnes che in quegli anni si ascoltava ovunque, dai locali più retrò alle case occupate d'Europa. Tutto il contrario di ciò che accade nella successiva Hundsgemein degli Ideal, dove il canto di Angela, in un tedesco all’ultimo stadio, diventa a dir poco sguaiato e rabbioso per questo inno punkettone con venature dance. Kebab Träume, la canzone di Berlino dal gruppo di Berlino, i D.A.F. rimbomba in una versione potenziata dalla ritmica elettronica, da un basso prepotente e dalle tastiere turche. Se fosse un video, sarebbe un’animazione di Zanardi e Rank Xerox che ballano insieme, forsennato uno, robotico l’altro. Ma Berlino è soprattutto Berlin di Lou Reed, tanto che vien da pensare se sia stata la città a dare il nome alla canzone, o il contrario. Reed canta le delizie del Muro, dei locali di malaffare e di incanto. Zamboni, Baraldi e Roversi accettano l’invito trasportandoci “by the Wall” in un mondo al bianco e nero. Ma è più il nero, a prevalere. Subito dopo, si decolla a bordo di un’astronave dal design vagamente arabeggiante nel terzo brano inedito, Superfly di Cristiano Roversi, per atterrare rapidi, dopo 2 minuti o poco più nel tango claustrofobico di Allarme, fra i pezzi più amati dei CCCP – Fedeli Alla Linea. La Baraldi interpreta in modo ortodosso, paradossalmente è Zamboni a stravolgere tutto cantando la sua parte in tedesco, aumentando a dismisura l’inquietudine dell’originale. Sonata a Kreuzberg si chiude in modo solenne con La città imperiale di Massimo Zamboni, quarto inedito. Un testo letterario, poetico, recitato dalla Baraldi al suono di un pianoforte chopiniano che fotografa quel mondo diviso in due dal Muro, dove libertà e giustizia non sempre coincidevano, dove chi era libero sognava giustizia e chi era uguale sognava libertà. Un Muro che sembrava scomparso e che invece oggi si è moltiplicato a dismisura. Biografie Massimo Zamboni Zamboni - nato nella provincia più rossa della rossa Emilia - è sempre stato affascinato artisticamente dall’immaginario e mito sovietico, da quando nel 1982 ideò assieme Giovanni Lindo Ferretti i CCCP - Fedeli alla Linea, un gruppo punk con grande seguito di pubblico e oggi celebrato in tutti i libri di storia della musica. Una band che si definì “filosovietica”, parente stretta di Mishima e Majakovskij e del dadaismo russo, che produceva “musica melodica emiliana” e guardava all’Est per ragioni etiche ed estetiche, in contrapposizione al richiamo americano imperante in quegli anni di benessere e rampantismo. Proprio a Mosca e a Leningrado nella primavera del 1989 i CCCP tennero, dopo due piani quinquennali, il loro tour conclusivo. Crollato il Muro e scioltasi nel 1991 l’Unione Sovietica, messi in soffitta i veementi proclami i CCCP posero fine al loro progetto artistico. Le loro ceneri generarono alcuni anni dopo i CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti) che, con questo acronimo che strizzava l'occhio alla neocostituita Confederazione degli Stati Indipendenti, hanno solcato i palchi italiani per tutti gli anni Novanta, arrivando nel '97 al primo posto in classifica dell'Hit Parade italiana. Conclusa quell'esperienza, Zamboni ha poi intrapreso una carriera solista con nuovi album (Sorella sconfitta, 2004; L'inerme è l'imbattibile, 2008; L'estinzione di un colloquio amoroso, 2010; Una infinita compressione procede lo scoppio, 2013), musiche per il cinema (tra le quali Benzina, 2001; Velocità massima, 2002; L'orizzonte degli eventi, 2005; Terapia d'urto, 2006, Il mio paese, 2006; God Save The Green, 2012, Il nemico.
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