Torino Gewandhausorchester Auditorium Riccardo Chailly direttore Giovanni Agnelli Lingotto Franke Mendelssohn Venerdì 07.IX.07 Brahms ore 21 Videoimpaginazione e stampa • la fotocomposizione - Torino Bernd Franke (1959)

CUT VIII per orchestra dedicato a

Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847)

Quarta Sinfonia in la maggiore op. 90 “Italiana” Allegro vivace Andante con moto Con moto moderato Saltarello. Presto

Johannes Brahms (1833-1897)

Quarta Sinfonia in mi minore op. 98 Allegro non troppo Andante moderato Allegro giocoso Allegro energico e passionato

Gewandhausorchester Leipzig Riccardo Chailly, direttore

Se desiderate commentare questo concerto, potete collegarvi al calendario presente sul sito www.mitosettembremusica.it dove è attivo uno spazio destinato ai commenti degli spettatori e composizioni di Bernd Franke appartengono già dagli anni Ottanta al repertorio Ldell’Orchestra della Gewandhaus e della sua formazione cameristica. Tre lavori orchestrali sono stati eseguiti in prima mondiale durante i concerti della Gewandhaus sotto la direzione di Kurt Masur. Al giorno d’oggi le sue musiche sono presenti nelle sale da concerto di tutto il mondo; si sono tenute rappresentazioni con rinomate for- mazioni in quasi trenta nazioni in Europa, Nord e Sud America, Asia e Australia. Franke ha studiato composizione dal 1975 al 1981 sotto la guida di e direzione d’orchestra sotto la guida di Wolf-Dieter Hauschild presso il Conservato- rio di Lipsia. È stato poi allievo dei corsi di perfezionamento presso l’Accademia d’Ar- te di Berlino. Dal 1981 insegna alla Facoltà di Musicologia dell’Università di Lipsia. Negli anni Ottanta la sua musica ha iniziato a risvegliare l’interesse internazionale. La composizione di lavori in serie acquista nella sua opera un significato sempre più forte. «Il lavoro a un ciclo» aggiunge egli «mi offre la possibilità di concentrarmi in un lasso di tempo più lungo sulla risoluzione di problemi compositivi e di collega- re e confrontare tra loro le diverse frasi risolutive». Uno di questi cicli è CUT. I primi tre pezzi sono del 2001, gli altri due del 2003/04. Il termine inglese “cut” ha molti significati: come sostantivo significa ad esempio taglio, colpo, ferita, ferita da punta, ma anche affilatura o riduzione; come verbo vuol dire prima di tutto tagliare via, accorciare, tagliare nel mezzo, tagliare a pezzi. In questo senso Franke utilizza la parola come concetto centrale per ciò che acca- de musicalmente in questo ciclo. «Materiali sonori vengono tagliati, smossi, presi separatamente e altri montati insieme; parti, appunto, ancora un tutto, appaiono improvvisamente come fram- menti che formano una nuova temporanea unità, da cui derivano altri frammenti, e così via. Sussistono mondi paralleli, inaspettati momenti simultanei, complesse stratificazioni, orizzontali concentrazioni, torri del tempo... Tutto è legato a tutto». I primi CUT, CUT I-III, furono composti da Franke per diverse formazioni. Tutti e tre i pezzi furono eseguiti in prima assoluta nel 2001 dall’Ensemble Modern in occasione delle Dresdner Tagen per la musica contemporanea, nella versione sin- gola e in quella simultanea. Anche CUT IV e CUT V per flauto o oboe ed ensemble possono essere eseguiti singolarmente o simultaneamente e ciò accade pure per CUT VI-VIII. «Che una tale uguaglianza di diversità, che plasma quotidianamente la nostra normale vita, anche nel contesto artistico, sia esteticamente e musical- mente del tutto possibile, si deve a un concetto speciale» aggiunge Franke. Ciò com- prende, naturalmente, che «il piano precedente, la strutturazione delle idee, della formale grande architettura» preveda già la possibilità della simultaneità, ancor prima che la prima nota venga scritta sulla carta. Nel processo di composizione sono «utilizzati elementi e materiali strutturali simili, che nell’esecuzione simulta- nea, come se si concatenassero da soli, formano produttivamente e in modo colle- gato un’unità, ed elementi e materiali che nell’esecuzione singola, come da soli, formano un tutto chiuso in se stesso». Bernd Franke ha composto CUT VI-VIII su commissione della Gewandhaus per l’Orchestra e per Riccardo Chailly. Come gli altri, anche CUT VI-VIII sono dedicati ad alcune personalità. In un’intervista Franke ha affermato: «Le dediche, nei miei titoli, sono importanti per me. O per rapporti personali con quelle persone, o per ammira- zione, o perché colui a cui dedico il pezzo ha esercitato un importante influsso sul mio pensiero, sul mio lavoro, e ciò voglio rendere chiaro per mezzo della dedica». CUT VIII è dedicato a Hans Werner Henze come “serenata di compleanno” per i suoi 80 anni nel luglio 2006. «Devo molto a Henze, così come al mio primo inse- gnante Siegfried Thiele: mi ha dato molto coraggio per nuovi punti di vista e nuovi metodi di lavoro, per il mio pensiero dalla metà degli anni Novanta». Il nome di Hans Werner Henze è riportato in modo cifrato nella composizione attraverso una citazione dalla sua opera per bambini Pollicino. [N.d.r.] Due “quarte sinfonie”

Che l’odierno concerto ci offra l’occasione di ascoltare due “quarte sinfonie” è del tutto casuale, e sarebbe più produttivo cercare affinità (non facili a trovarsi) nella comune nascita nordica, protestante (l’origine ebraica del più antico tra i due non sarebbe un ostacolo, anzi!), amburghese e anseatica dei due musicisti. La Quarta di Brahms è veramente l’ultima, e se ne ha la sensazione autentica. La Quarta di Mendelssohn è tale grazie a una confusione cronologica prolunga- ta nel tempo (il catalogo delle composizioni mendelssohniane non ha ancora trovato, a tutt’oggi, un assetto definitivo!). Esaminiamo le due sinfonie per ciò che esse sono, ma non rinunciamo, a proposito di Mendelssohn, a render conto delle imprecisioni commesse nel passato. Felix Mendelssohn-Bartholdy (Amburgo, venerdì 3 febbraio 1809 - Lipsia, gio- vedì 4 novembre 1847) scrisse in apparenza un numero molto alto (“settecente- sco”) di sinfonie. È un’apparenza onomastica, o, meglio, nominalistica. Composte tra il 1821 e il settembre 1823, fra i lavori di un Mendelssohn tra i dodici e i quattordici anni figurano dodici “sinfonie”, che in realtà sono tali, approssimativamente, sotto l’aspetto formale, non per l’organico, che è propria- mente cameristico. Le prime otto e la n. 12 hanno un organico molto semplice costituito da 2 violini, viola e violoncello (o contrabbasso), mentre la n. 9, la n. 10 e la n. 11 raddoppiano la viola, e lo stesso avviene per un tempo isolato (Grave-Allegro, in do minore, ultimato il 29 dicembre 1823) di un’incompiuta “sinfonia” dello stesso tipo. Ma per una seconda versione (1822) della n. 8, il giovanissimo autore fissò un vero e proprio organico sinfonico, ancorché molto leggero (2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi), e nello Scherzo della n. 11 (la “danza dell’Emmenthal”) aggiunse 2 timpani, triangolo e piatti. Tutt’altra cosa sono le cinque sinfonie per grande orchestra che si iscrivono con altissimo prestigio nell’illustre tradizione austro-tedesca del genere sinfonico, accanto a quelle di Beethoven, Schubert, Schumann, Brahms, Bruckner, Mahler. La loro successione numerica ordinale corrisponde all’ordine secondo il numero d’opera, ma non all’ordine cronologico di composizione. La Prima op. 11 in do minore è del 1825, la Seconda op. 52 in si bemolle mag- giore (“Lobgesang”) è del 1840 (con successive importanti revisioni), la Terza op. 56 in la minore (“Schottische”) è del 1842, la Quarta op. 90 in la maggiore (“Italienische”) è del 1830 con successive revisioni, la Quinta op. 107 in re mino- re (“Reformation”) è del 1829-1832. Perciò, il reale ordine cronologico di nasci- ta allinea di seguito la Prima, la Quinta, la Quarta, la Seconda e la Terza. Riconosciamo nella musica di Mendelssohn due grandi immagini archetipiche, che nella concretezza delle sue partiture diventano vere e proprie categorie com- positive, concetti su cui si fonda il “far musica” del compositore. La prima è l’immagine musicale del fluire, riconoscibile come primaria in composizioni quali l’ouverture Die Fingalshöhle (detta anche Die Hebriden) evocatrice di sal- mastre distese marine e di un colore grigio nordico, oppure i due Concerti per pianoforte e orchestra op. 25 e op. 40. La seconda grande categoria immaginistica in cui s’iscrive l’opera sinfonica di Mendelssohn è il colore. Esso gioca un ruolo determinante, per esempio, nel- l’ouverture Ruy Blas, nelle musiche di scena per Athalie di Jean Racine, nelle grandi sinfonie con sottotitolo: “Scozzese”, “Italiana”, “Riforma”. Nella Quarta Sinfonia detta “Italiana” il colore è soprattutto gradazione di luminosità. Soltanto tre anni separano le esecuzioni della poco frequentata Prima Sinfonia (1827) dalla ideazione e dalla composizione della Quarta, scritta nel 1830, rivedu- ta nel 1833. La revisione fu ultimata il 13 marzo di quell’anno. Un’altra revisione avvenne nel 1837. Essa fu un lavoro su commissione, affidatogli dalla Philharmo- nic Society di Londra, nella cui sede londinese ebbe luogo infatti la prima esecu- zione lunedì 13 maggio 1833: egli stesso diresse l’orchestra. L’esito fu gratifican- te, ma un successo ancor maggiore lo ottenne Mendelssohn nella prima parte del programma, dopo aver diretto ed eseguito al pianoforte il Concerto in re minore KV 466 di Mozart. L’organico della Quarta, molto leggero e dagli effetti di trasparenza, comprende: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi. La Quarta è detta “Italiana”, sia perché composta in gran parte in Italia, sia per- ché molti suoi elementi armonici e ritmici alludono esplicitamente al folclore musicale italiano, in particolare a quello centro-meridionale. Un carattere pri- mario salta agli occhi, fin dall’incandescente attacco a luce bianca che inaugura la partitura: l’uso, non frequentissimo in Mendelssohn, di temi lunghi e dise- gnati con dovizia di ampi intervalli. Nel primo tempo (Allegro vivace), il tema d’apertura nella tonalità d’impianto di la maggiore ha una fisionomia che stra- namente è sfuggita agli studiosi. In ritmo vigorosamente binario, con l’inequi- vocabile motivo generatore costituito dalla tonica in levare che balza subito sulla mediante, il tutto ripetuto velocemente una seconda volta per poi raggiungere la dominante e discendere con allegria senza freno: questo tema d’avvio riproduce i contorni di una danza toscana, il trescone, appena mascherati dal ritmo in ter- zine con cui vengono ostinatamente ribattuti i bicordi dei fiati. Il secondo tempo (Andante con moto, in re minore) è costruito su un tema serio ma non malinconico, definito da alcuni “un elegiaco canto professionale”. Si deve alla penetrante intuizione di Eric Werner se esso è stato individuato come una deriva- zione da un Lied di Carl Friedrich Zelter, Es war ein König in Thule su testo di Johann Wolfgang von Goethe (dal Faust, la canzone di Gretchen che sta per scopri- re nella propria stanza lo scrigno con i gioielli). L’identificazione della fonte tema- tica sottolinea un amabile e luminoso legame a tre, un mirabile e raro triangolo di amicizia, di fedeltà e di ammirazione tra artisti: Zelter, maestro e mentore musi- cale di Mendelssohn adolescente (alleato del proprio geniale allievo nella gigante- sca impresa di costringere il pubblico tedesco ed europeo, nel 1829, a “riscoprire” la Matthäuspassion di Johann Sebastian Bach), fu anche una sorta di consulente musicale (talora un po’ gretto, ma onesto) di Goethe. In questa sua funzione, sti- molò la venerazione del sommo poeta per Mozart, ostacolò i rapporti tra Goethe da un lato e Beethoven e Schubert dall’altro, e con affetto e fervore presentò all’auto- re del Faust il precoce e incantevole Felix. Goethe amò profondamente il ragazzo Mendelssohn, concedendogli tutta l’intensità dell’amore che, anche per l’influenza ostile di Zelter, aveva negato ai due altissimi esponenti della civiltà musicale vien- nese. A questo punto, ogni credente nel culto di Beethoven e di Schubert si doman- da, perplesso: è possibile essere un genio com’era Goethe e non amare gli autori di Fidelio e dell’“Incompiuta”? La strumentazione che dà colore a quest’idea tematica è acre e spiritosa: oboi, fagotti e viole accompagnati dal pizzicato di violoncelli e contrabbassi. Ebbene, sia esso di Zelter oppure no, questo tema ha una fisionomia palesemente “tede- sca”: infatti, il secondo tempo della Quarta è il meno “italiano” nell’ambito di questa partitura. Decisamente mediterraneo, e di nuovo in la maggiore, è invece il terzo tempo (Con moto moderato), con carattere di minuetto. La parte centrale è un Trio con sembianze di fiabesca fanfara, il cui motivo, malgrado il fascino che esercita, è di una sorprendente semplicità: uno squillo di richiamo sulla sopratonica ribat- tuta e la ripetizione della mediante come nota di volta rispetto all’accordo di dominante. Il quarto e ultimo tempo (Saltarello. Presto), in la minore, allude al saltarello napo- letano nel ritmo, ma è nordico ed evocatore di un mondo poetico shakespeariano nello sviluppo melodico e nella strumentazione. È una di quelle pagine “elfiche” che abbondano in varie composizioni cameristiche di Mendelssohn, oltre che nelle musiche di scena per il Sogno di una notte di mezza estate. Ma non manca- no brevi e fuggevoli episodi in cui la danza degli Elfi diventa una danza di spettri notturni, diafani e persino graziosi, eppure perturbanti. Scrive Eric Werner: «Così la sinfonia, cominciata con un radioso la maggiore, termina in un vertiginoso ma nello stesso tempo lievemente macabro la minore».

Johannes Brahms (Amburgo, martedì 7 maggio 1833 - Vienna, sabato 3 aprile 1897) cominciò tardi a comporre sinfonie, e la Prima in particolare ebbe una lunga e tormentata gestazione. D’altra parte, finì di comporne molto presto, dodici anni prima della sua morte già di per sé prematura. I primi due tempi della Quarta Sinfonia in mi minore op. 98 furono scritti nel 1884, gli ultimi due nel 1885. Per la prima esecuzione, con una scelta raffinata ma anche dispettosa o quanto meno capricciosa, Brahms scelse la Corte di Mei- ningen, piccola città capitale del minuscolo ducato di Sassonia-Meiningen. Il Teatro di Corte possedeva una piccola ma eccellente orchestra di una quaranti- na di elementi, più o meno: molti la consideravano per qualità la miglior com- pagine orchestrale della Germania. Nel 1885, direttore principale della Meininger Kapelle era Hans von Bülow; secondo direttore, il ventunenne Richard Strauss. La Quarta di Brahms fu presentata al mondo nel Teatro di Meiningen domenica 25 ottobre 1885 sotto la direzione dell’autore. Come narra Richard Strauss nelle sue Erinnerungen an Hans von Bülow del 1909, Bülow volle economizzare e sfruttare al massimo l’esiguo organico dell’orchestra, e lasciando la bacchetta direttoriale a Brahms si adattò a suonare i piatti. Il giovane Strauss suonò i tim- pani. Nel citato scritto memoriale, Strauss scrive di avere suonato “die grosse Trommel”, ossia la grancassa, ma è un palese errore di memoria, non esistendo la grancassa nella partitura dell’ultima sinfonia brahmsiana. L’organico della sinfonia comprende: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, triangolo, archi. Nessuno dei due era assuefatto a contare le battute durante le lunghissime pause delle loro parti. Durante la prima prova, Strauss era già fuori tempo alla quarta battuta. Bülow, la cui parte era costituita quasi interamente da pause, domanda- va continuamente alla prima tromba che gli stava vicino: «A quale lettera siamo?», ricominciando ogni volta a contare, chino sulla partitura: «Uno, due, tre, quattro». Nel primo tempo (Allegro non troppo) in mi minore, i violini espongono il primo tema, semplicissimo e raffinatissimo, costituito da un motivo di due suoni (un intervallo di terza, ora discendente, ora ascendente, alternato ogni volta a un inter- vallo di sesta) che viene reiterato e trasposto in varie posizioni sul pentagramma e suscita un senso di acuta e autunnale tristezza. Altre idee, brevi motivi di fanfara cupa e barbarica, fremiti di archi, si alternano a quel tema principale. Il secondo tempo (Andante moderato) in mi maggiore, si apre con l’immediata esposizione di una melodia di flauti e oboi che ci giunge ovattata, diafana e lie- vemente spettrale, rendendo la sensazione di una fiaba o di una leggenda ari- stocratica e malinconica. La cantilena sembra eterna, immutabile, al di fuori del tempo cosiddetto reale, ma quando non lo prevediamo è interrotta da una nobi- le melodia dei violoncelli, quasi un inno. La natura delle due idee musicali è simile a quella del motivo di due suoni che apre il primo tempo: non si saprebbero immaginare invenzioni più semplici e, nello stesso tempo, più auree e adaman- tine. Il terzo tempo (Allegro giocoso) in do maggiore ci accoglie con un amabile gioco di fanfare e danze, ma anche di misteriosi tremoli d’archi. È l’unica volta, in tutte le sinfonie di Brahms, in cui un terzo tempo possa essere paragonato a uno Scherzo, non per la forma, che è quella di Rondò, bensì per il suo “tono” e per i suoi colori. Il quarto e ultimo tempo (Allegro energico e passionato), che è anche l’ultimo tempo sinfonico scritto da Brahms, si ispira al modello pre-classico e propria- mente bachiano della chaconne, il quale dà modo al compositore di erigere il più prodigioso edificio di variazioni esistente in tutto il suo lascito sinfonico. I fiati intonano un tema di otto misure, in forma di corale: con lievi modifiche, esso è preso a prestito dalla Cantata Nach dir, Herr BWV 150 di Johann Sebastian Bach. Trentacinque variazioni di questo tema si snodano secondo un disegno di sovru- mana sapienza. Quanto più la loro struttura si fa ardua e si configura come sfida alle difficoltà, tanto più cresce l’intensità emotiva e si accende un colore tragico che obbliga, dopo la cadenza perfetta che chiude la sinfonia, al silenzio e alla meditazione.

Quirino Principe La Gewandhausorchester Leipzig è la più antica orchestra cittadina del mondo. Il suo germe fu la società chiamata “Großes Concert”, fondata nel 1743 da 16 commercianti. Con il trasferimento nel palazzo delle fiere destinato al commercio delle stoffe, l’orchestra ottenne nel 1781 il nome di Gewandhausorchester (orche- stra degli abiti). La nuova sala da concerti ottenuta nel 1884 per mezzo della ven- dita delle quote dell’associazione fu distrutta da un bombardamento aereo nel 1944. Nel 1981 fu inaugurata la nuova Gewandhaus in Augustusplatz. Poche altre orchestre sono state così partecipi dello sviluppo della tradizione musi- cale sinfonica: ad esempio, la Gewandhaus suonò tutte le Sinfonie di Beethoven ancora ai tempi in cui visse il compositore; ad essa si deve la prima esecuzione mondiale del ciclo sinfonico di Bruckner e di Sˇostakovicˇ negli anni Settanta del ventesimo secolo. L’orchestra della Gewandhaus si è distinta grazie a un vasto repertorio e alla grande gamma dei suoi impegni: orchestra da concerto, orchestra del Teatro dell’Opera di Lipsia e orchestra da camera, che esegue insieme al Thomaner Chor, famoso in tutto il mondo, le cantate di Bach nella chiesa di S. Tommaso. Con oltre 200 esibizioni avvenute in questi tre ambiti e in tournée, l’orchestra della Gewandhaus è il centro musicale della città di Lipsia e il suo più importante “ambasciatore” musicale. Alcuni dei più celebri maestri di cappella sono stati Felix Mendelssohn- Bartholdy, Arthur Nikisch, Wilhelm Furtwängler, Bruno Walter; Kurt Masur (fino al 1996) e Herbert Blomstedt (1998-2005) sono oggi i direttori onorari della Gewandhausorchester.

Riccardo Chailly è il direttore musicale generale del Teatro dell’Opera di Lipsia e il 19° maestro di cappella della Gewandhaus. Con la sua entrata in carica nel 2005, dopo più di 40 anni le due cariche sono state riunite in un’unica persona. Chailly è una personalità artistica che impersona temperamento e disciplina, avventura e passione, tradizione e innovazione. Le sue esibizioni sono esecuzioni emozionanti, sensuali e intrise di una sopraffina perfezione musicale. Nei sedici anni di collaborazione con l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam Chailly, come suo primo direttore, ha eseguito accanto al repertorio standard so- prattutto musiche del ventesimo secolo. Numerose sono state le tournée in Asia e America, Europa e Giappone. Dal 1999 al 2005 è stato direttore dell’Orchestra Sinfonica “Giuseppe Verdi” della città di Milano, che sotto la sua direzione è diven- tata una rinomata formazione orchestrale internazionale. Chailly ha diretto in tutti i teatri e i festival più importanti del mondo, come Scala di Milano, Wiener Staatsoper, Metropolitan di New York, Covent Garden di Londra, Festival di Salisburgo e Settimane Internazionali di Musica di Lucerna. Ha lavora- to, tra gli altri, con i Berliner Philharmoniker, i Wiener Philharmoniker, i Mün- chener Philharmoniker, la London Symphony Orchestra e le Orchestre di Cleve- land, Philadelphia e Chicago. Dal 1983 al 1986 è stato direttore ospite della London Philharmonic Orchestra, fino al 1989 primo direttore dell’Orchestra Sinfonica della Radio di Berlino, dal 1986 al 1993 direttore musicale del Teatro Comunale di Bologna. È un progetto di

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