Rivista internazionale d’arte, cultura e sport edizione italiana telematica NUMERO 294 - 12 luglio 2021 direttore Giors Oneto [email protected]

SPIRIDON/2

Tamberi e Tortu declassati nel pronostico, speranze nella marcia

L’euforia patriottica viaggia a livelli altissimi con gli dei 100 come il miglior risultato di carriera, che ha europei di calcio e l’ingresso in finale a scartato i 200 che avrebbero potuto prevedere Wimbledon di Berrettini. E perlomeno in quantità ben altro esito attuale. la spedizione azzurra per Tokyo rifletto un innato Dice bene Tilli quando ricorda che la senso di ottimismo. partecipazione agli assoluti e al Golden Gala Grazie alla qualificazione insperata del basket dovrebbero contemplare la partecipazione nuovo record di partecipazione, con diminuita obbligatoria dei big nostrani. forbice tra presenze maschili e omologhe Tortu ha seguito una linea di agonismo femminili. L’atletica è specchio di questo asimmetrica e poco redditizia, pur avendo a apparente benessere con la più nutrita selezione disposizione (vedi polemiche milanesi) la migliore di sempre. Qui la manica larga non è tanto e solo logistica possibile. Il suo andamento ci rimanda figlia delle scelte della Fidal ma parto del alla redditività dell’atletica fatta in casa, con uno complesso sistema di reclutamento per staff familistico e personale e ci fa pensare anche prestazioni e ranking. all’altro percorso spezzato della Iapichino, una che Va sottolineato che nei mesi della pandemia ci ha fatto gustare l’aperitivo del 6.91, illudendoci l’Italia delle piste e delle pedane ha corso, lanciato sull’appetibilità del piatto forte. Anche per lei e saltato un po’ di più del resto del mondo, riconversione paterna. Con la stranezza di un rimontando molto parzialmente il gap che ci infortunio dimenticato (al contrario acuito) separa dal vertice dagli anni ’80 e ’90, ben quando c’era da provare un ultimo salto per altrimenti competitivi. difendere il titolo assoluto dall’insidia della Strati. Ci attenderà in Giappone, senza pubblico e Cecconi forse le avrebbe consigliato di davanti a una molto contingentata soprassedere, chissà… rappresentanza di giornalisti, la doccia fredda di Ci sforziamo di considerare punta l’altista Tamberi una congrua serie di eliminazioni al primo turno che però con i propri alti e bassi di rendimento è con la qualità che farà i conti con una quantità un jolly outsider più che un sicuro candidato alla esagerata di competitor (76), più selezionati della medaglia. Francia. Insomma sembra tanto il varo generoso L’auto-ridimensionamento di Tortu svaluta anche di una squadra per gli europei, solo che qui c’è la carta della staffetta veloce, non più ambiziosa a ben altro consesso. questo punto dell’omologo quartetto femminile. Basti misurare il gap tra le prestazioni continentali Né stanno meglio i quartetti del miglio. Quello di alcune specialità con quelle del resto del maschile handicappato dallo stallo di Re, quello mondo. femminile che non può accontentarsi di frazioni Si possono spedire dei comprimari all’Olimpiade da 52” ai fini dell’eccellenza. per fare esperienza? La risposta indotta del Abbiamo fiducia in un settore fedele, che lavora in management federale è indubbiamente: “Si può, silenzio, senza divi, la sempiterna marcia. Ecco, anzi si deve”. senza essere facili aruspici confidiamo che Numeri gonfiati con cui faremo i conti alla fine- E l’exploit possa venire da quegli umili gregari, per dobbiamo ridimensionare anche le chance delle una volta protagonisti. presunte punte. L’Italia dell’atletica farà massa ma farà un’enorme Non è più tale Tortu che in capo a una stagione fatica a spingere un solo titolare sul podio. indecifrabile ora non vale di più dell’ipotetico Tra l’altro alcuni dei possibili finalisti come gli superamento del primo turno, staccato astisti Bruni e Stecchi si sono persi in una serie di idealmente di un paio di metri in linea ideale rebus che rendono impronosticabile il pronostico. dall’attuale Jacobs, candidato a prenderne il Ricordiamo infine che l’atletica azzurra ha posato in una finale di prestigio. regalato 60 medaglie al bottino olimpico forte di C’è da chiedersi che razza di programmazione 701 podi. abbia seguito l’ex virgulto che non migliora i Ce ne basterebbe una forse per un minimo di propri tempi ormai da tre anni, che rischia di appagamento. veder esaltato l’inserimento nella finale mondiale DANIELE POTO

SPIRIDON/3

fuori tema

11 giugno. Al Tufello, quartiere capitolino antropologicamente rosso e ricco di valori proletari, a fianco di una gigantografia di Gigi Proietti appare una didascalia: un comico ci ha distrutto, un comico ci salverà. Dal 12, in successione, morte di , e con lei un intero capitolo, dei migliori, della storia dell'atletica e dello sport italiano, di tre giornalisti, Livio Caputo, conosciuto fin dai tempi di Monaco '72, Rudy Galdi ed Elio Trifari, di Giampiero Boniperti, grande calciatore, dirigente nell'immutabile bianco-nero, scoperto nella sua fragilità internazionale in occasione di una fastidiosa trasferta a Düsseldorf, Coppa del mondo di atletica del 1977, da responsabile della Sisport. Tamberi, e non solo, annuncia l'assenza agli Assoluti: ennesimo segnale di un mal sottile in cui tra professionismi di Stato, tra diritti pretesi e doveri ignorati, interessi personali, gelosie d'appartenenza e cambi di casacca, nessuno, atleti, dirigenti, società militari, federazione, comitato olimpico, ministeri, fa bella figura. Sfilano per Tokyo inguardabili divise Armani. Giovanni Malagò affina la propria personale cultura con una confessione: se potessi partecipare ai Giochi olimpici sceglierei l'atletica e i quattrocento ostacoli, metafora della vita. Muore per tumore, ventiduenne, a Castelfranco Veneto, Giulia Marin, promessa degli ostacoli. Emergono dettagli sugli accaduti al carcere di Santa Maria Capua Vetere. Miglior titolo, gli accade spesso, del "manifesto": depestaggi! Sulla via dei Giochi, in controtendenza, implacabile la precisione chirurgica dei tempi comici di Xavier Iacobelli sulla prima pagina di uno sventurato Tuttosport, larva d'una preziosa memoria: azzurri, vincete per Schwazer. A Rovereto, fedele patria di Carlo Giordani, ventata fresca agli Assoluti, ma con tre note negative, due di sostanza e una di forma: il calo dei quattrocentisti rispetto al recentissimo passato, l'incidente di Larissa Iapichino in coincidenza del cambio di allenatore e la gravità di un cerimoniale che ha omesso di onorare nella sede più degna la memoria della grande Paola. Il primo luglio, con Karstern Warholm, torna nelle mani di un europeo un primato mondiale che fu di Salvatore Morale e di David Hemery. Sotto le finestre di palazzo Chigi, godimento per gli occhi o allegoria d'un disarmo sociale collettivo secondo varietà di genere e d'opinioni, nuda al comando, una ragazza s'immerge nell'acqua di piazza Colonna, la fontana più blindata dell'intero territorio nazionale. Mentre Enrico Letta ingaggia tra le teste pensanti del partito democratico Mauro Berruto, un tempo ct d'una vincente nazionale di pallavolo e firmatario di un disinvolto progetto 'destinazione sport' rimasto lettera morta, Vito Cozzoli, all'Istituto dell'Acquacetosa, dimissiona il responsabile Fabio Barchiesi, imposto a suo tempo da Malagò. Nel pomeriggio di Stoccolma Marcel Jacobs prenota sui 100 la prima finale italiana maschile nei Giochi. Nello stesso tempo, sul parquet di Belgrado, cuore e campo rendono onore ai meriti di Romeo Sacchetti mandando all'aria l'intempestivo progetto Petrucci-Messina. Muore Raffaella Carrà, mattatrice in decenni di storia televisiva e scatta, inesorabile, la vocazione funeraria in cui siamo maestri: il paese cade nel lutto. Riprende la maratona di Roma, con Virginia reduce dall'ennesima gaffe, con Cozzoli e senza Malagò. Meeting principesco di nome e di fatto, Montecarlo: per noi, allarme per Tamberi, Jacobs allarga le prospettive olimpiche, Tortu è rinviato a settembre. Bulimici, gli azzurri volano in un Giappone reso surreale dalla malattia del secolo mentre a Tallin, nell'accademia di Tonino Andreozzi, la leggerezza degli under 23 celebra momenti trionfali nelle stesse ore in cui tutto viene schiacciato dal più potente anestetico mediatico mai prodotto dal mercato farmaceutico mondiale, la paranoia calcistica. Sui quotidiani, più idiota che blasfemo, un titolo s'impone: Dio è italiano. Passando per la Wimbledon del magnifico Berrettini, sul pulvinare di Wembley, a misurare l'immutabilità del panem et circenses, anche un compassato presidente della Repubblica, lontano anni luce dalle esibizioni pertiniane, cede alla patologia della palla. [email protected]

SPIRIDON/4

Pochi mondi parlano ancora la lingua dei simboli come lo quello dello sport. Pochi sono i baluardi che reggono l’assalto del consumismo becero e della mercificazione globale, e fra questi merita una menzione d’onore quello dello sport. Certo che il danaro e la pubblicità lo popolano, certo che le scommesse e l’azzardo lo sostengono, ma è altro ad animarlo. Lo sport vive di simboli e riti. Conosce ancora, fra i pochi, una certa sacralità, riconosce una inviolabilità di codici e comportamenti che attingono all’antico universo dell’onore. Potremmo financo dire che è un residuato della Cavalleria. Per questo, ne sono convinta, in parte ha resistito ad mettersi in ginocchio davanti alla mercificazione dei gesti, a quel consumismo delle esperienze che sta imbarbarendo il globo. Sì imbarbarendo. Perché si vuol far passare per civiltà quella ‘cazzata’ del mettersi in ginocchio prima della partita ormai non si sa più nemmeno perché. Tanto per dire ‘ecco ho fatto anche io qualcosa per questo problema’, insomma mi sono fatto un selfie con l’attualità. E così ho bello che risolto. Un tubo ho risolto. Perché se davvero tieni a una causa, se davvero sei convinto che vale la pena, beh allora non faresti così, una inginocchiatina e via. Se una cosa è importante può meritare attenzione, riflessione, può essere anche dibattuta. Inginocchiarsi è un gesto che merita rispetto. Non deve cedere alla chiacchiera, perché oggi è questa e domani ce n’è un’altra, e così abbiamo bello che svuotato di significato anche il mettersi in ginocchio. Mi rifiuto di entrare nel merito perché il metodo è già sbagliato, e allora se la causa fosse giusta non farebbe che vanificarla, come diceva san Tommaso di chi difendeva la fede con argomenti ridicoli e finiva solo per far ridere tutti. Serena Tajé

Bravi ragazzi. Son bastate due “dritte” ed avete messo in piedi il magico trucco: siamo campioni! Abbiamo vinto contro l’Inghilterra vera, non quella da vetrina di Wimbledon, Oxford e Cambridge, quella che ha inventato il calcio non nelle strade e nelle piazze, ma sull’erba rasata dei college. L’abbiamo spuntata non sugli inglesi del “five o’clock tea” ma su quelli beceri e incupiti dal porridge e dalla birra amara, sugli inglesi patriottardi e maligni che si divertono a farti ripetere sei volte la domanda prima di darti un’informazione per strada, e a volte se ne vanno facendo finta di non capire. Abbiamo battuto quell’Inghilterra che ha dovuto mandare in galera per anni gli hooligans per domarli e avere come loro eredi i 60mila selvaggi dell’altro ieri a Wembley: gentaglia che fischiava il nostro inno, che ululava mentre attaccavamo, che uheggiava tutti i nostri rigori. Pensavano di meritare la Coppa per diritto divino, loro, anche se sanno solo giocare a ‘palla avanti e pedalare’. Si ritengono gli inventori dello spirito sportivo, lorsignori, e poi si s filano dal collo la medaglia d’argento appena ricevuta. Pensate cosa avrebbero detto se Berrettini a Wimbledon si fosse presentato al pubblico del Centrale a far le dichiarazioni post partita col piatto d’argento del secondo posto sotto l’ascella! Ma sono loro quelli che fa godere aver battuto. L’Inghilterra avida ed egoista di Johnson, che ha riempito Wembley (lasciando a noi solo il 10% dei posti) con un pigia pigia pazzesco snobbando i moniti europei per l’emergenza Delta. L’Inghilterra vera, nuda e livorosa che ha svuotato Wembley in fretta e furia piuttosto che applaudire i vincitori. Brexino, brexino pure, signori, lo spettacolo è finito. da [email protected]

SPIRIDON/5

LO SPORT TRA VANAGLORIA E GLORIA

di Ruggero Alcanterini

E' paradossale che non si metta in cantiere il tempio della gloria, il museo nazionale dello sport italiano, che questo tema venga sfiorato e poi ricacciato tra le questioni di minore importanza, quasi fosse una follia maniacale di qualche perditempo, mentre la Biblioteca Nazionale rischia la chiusura per asfissia nel Centro Giulio Onesti. Eppure, quando si era nel giusto momento per mettere insieme i pezzi pregiati di una collezione di livello, quando le cose erano ancora in gran parte disponibili, personaggi celebrati come i padri nobili dello sport italiano, da Mosso a Ferretti, da Zauli ad Onesti erano tutt'altro che alieni e insensibili all'argomento, consentendo presupposti di livello, che trovarono il modo di coinvolgere artisti ed architetti, ricercatori e collezionisti, sovraintendenze e organi di governo, investendo tra l'altro in una Biblioteca Nazionale Sportiva, unica per quantità e qualità di reperti. Con le Olimpiadi del 1960 e i Campionati del Mondo di Atletica, sempre a Roma del 1987, nonché altri appuntamenti prima e dopo, come la Mostra Nazionale del 1935 nel Palazzo dell'Arte a Milano o quella del 2003 al Colosseo, proprio sul tema della vittoria, la Nike tra gli agonisti del mondo antico, furono proposti, tra le tante opere eccezionali, capolavori come i Corridori da Ercolano e il Pugile delle Terme, il Discobolo di Mirone, il Diadumeno e il Doriforo di Policleto, ricreando quella solenne atmosfera dei Giochi, che ancora si respira dopo 1930 anni nello Stadio di Domiziano, che continua a proporsi cinque metri sotto Piazza Navona, come lo Stadio più antico del mondo. E' per questo che siamo nel paradossale con l'assenza museale sul tema dello sport, quando disponiamo di fatto del più imponente e straordinario museo dello sport in forma diffusa nel tempo e nello spazio, partendo dal carismatico Domiziano, già perfettamente organizzato, passando per i Circhi di Massenzio e Massimo, le Terme di Caracalla, Campo Marzio, il Circo di Nerone, che inventò il Certamen Quinquennale dedicato ai giovani e poi via via, appunto nel tempo e nello spazio, transitando per Testaccio, piuttosto che per le rive del Tevere, al Corea ricavato nel Mausoleo di Augusto, nel cortile del Belvedere in Vaticano, piuttosto che all'Audace, dove ancora fa bella mostra la "Sala Beniamino Gigli" o all'EUR o al Foro Mussolini poi Foro Italico... La mia idea è che del Museo Nazionale dello Sport, in una sede di assoluto prestigio, se ne faccia promotore il Ministero dei Beni Culturali e che il Governo se ne faccia debitamente carico, prima che la gran parte del patrimonio storico distribuito sul territorio nazionale e nelle società sportive centenarie si vada a fare benedire. Naturalmente, penso ad un progetto assolutamente serio, scientificamente garantito, affidato a manager d'esperienza e talento, come sta capitando per l'Egizio a Torino, la Reggia di Caserta o Pompei, confortato da risorse pubbliche e private, promosso, sostenuto e divulgato a livello mediatico, come elemento strategico per la didattica, l'educazione allo sport, il turismo di conoscenza e di cultura del bello, ovvero l'aspetto nobile e qualificante del turismo sportivo, che non conosce soste stagionali durante l'intero arco dell'anno

SPIRIDON/6

(… ignorata dalla Fidal agli Assoluti…) di Pino Clemente

Giovanni Malagò, Presidente del Coni, ha deciso: che lo Stadio della Farnesina, etimo del territorio della famiglia Farnese, tra cui fu celebre il Pontefice Paolo III, vada titolato a Paola dell’Atletica, mancata, presente Sergio Mattarella, durante una cerimonia svoltasi nella tenuta presidenziale di Castel Porziano, vano il tentativo di rianimarla attuato da Peppe Gibilisco. Nelle ore della scomparsa, che altra attenzione avrebbe meritato dagli organi di informazione (e dalla stessa Federazione, imperdonabile, in occasione dei Campionati di Rovereto!), dell'allieva e della moglie di Bruno Cacchi è stato ricordato come lei avesse primeggiato dal Miglio alla Maratona. Enrico Arcelli, studioso di razza, con acume da studioso trovò che la corsa di Paola era dispendiosa. Nativo a Forlimpopoli, tornato alla Catania degli avi, coach della Libertas Catania retta da Marco Mannisi ingemmata di mezzofondisti e fondisti e rivale nell'isola delle Assicurazioni Generali di Vittorio Orlando formata da tanti atleti non isolani, Bruno Cacchi condivise le metodologie della lunga lena suggerite dall'uomo di Varese. Come i più esperti allenatori italiani, Cacchi era stato illuminato dalla relazione tenuta al Congresso di Duisburg del 1964 dal neozelandese Arthur Lydiard, preparatore di una schiera di atleti resi famosi da abbattimenti di primati mondiali e da affermazioni olimpiche, e cito Peter Snell, Murray Halberg, Barry Magee, John Davies, Bill Baillie, tutti resi forti dalla quantità e dalla qualità dei chilometri percorsi, le salite sulla collina, le integrazioni alimentari, i preparati con base di ferro per contrastare la sideropenia da lunghe corse. Paola Pigni, sovente anemica, era attentamente controllata da Rodolfo Margaria, massima scienza in fisiologia dell'epoca. Momento determinante, vissuto con Bruno Cacchi, l’avventura e la proposta nel Congresso degli Allenatori Europei organizzato nel gennaio del 1975: <>. Il concetto venne espresso nella mattinata inaugurale del 5 gennaio dal segretario esecutivo della Federazione Internazionale. <>. Al nostro rientro a Roma, ci attendeva Paola, che mostrò intatta la sua voglia di tornare in pista dopo un infortunio. Bruno la informò della proposta, e Paola, solitamente vocata a comunicare senza ritrosie, ascoltò il nostro racconto e mi gratificò di un abbraccio affettuoso. E nella stessa stagione, la sfida Pigni-Dorio, la capitana e l'astro nascente, infiammò gli Assoluti di Firenze. Dopo un giro di approccio, Paola condusse in testa, Gabriella riuscì nel sorpasso, ma nel finale l'allieva di Bruno Cacchi volò i millecinque in 4:11.2, la vicentina nella scia, e subito dopo e Silvana Cruciata con tempi prossimi a quelli delle nazioni più evolute. Dopo il traguardo, Gabriella allungò la mano ma Paola non accettò, la stampa aveva esagerato le polemiche e acuito i contrasti. Stupore e fischi. Poi Paola rincorse Gabriella e quell'abbraccio fu la migliore conclusione di una serata storica.

SPIRIDON/7

la grande atletica comincia qui

“L’atletica comincia dalla categoria allievi”. Ed il primo appuntamento di rilievo con il mondo dei grandi – aggiungiamo al sempre valido motto degli addetti ai lavori – non può che essere quello con i campionati italiani, un vero e proprio evento che ha coinvolto anche quest’anno, nella bella cornice dello stadio Guidobaldi di Rieti, ben 1300 giovani atleti provenienti da 356 società. I migliori 2004 e 2005 d’Italia si sono dati battaglia dal 9 all’11 luglio alla conquista di 42 titoli da assegnare e le promesse dell’atletica tricolore hanno naturalmente offerto il meglio di loro, qualcuno pagando lo scotto della prima volta, altri andando a coronare il sogno cullato fino dalla vigilia.

I risultati hanno confermato, come anche le recenti manifestazioni internazionali, che l’atletica azzurra sta crescendo per la grande soddisfazione del consiglio federale da poco insediato con a capo il presidente Stefano Mei, presente naturalmente alla tre giorni di Rieti.

Ma, ci venga permesso, l’atletica italiana potrebbe crescere ulteriormente, se venissero eliminati alcuni limiti che dal punto di vista organizzativo continuano ad esistere.

Per esempio, partiamo dalle piccole cose, che però possono essere di grande effetto per un debuttante nel mondo dell’atletica che conta: il programma orario delle gare. Siamo davvero sicuri che la gestione dei concorsi (lanci e salti) non potesse prevedere orari di inizio gara un po’ più consoni alla categoria? In tanti, infatti, prima di Rieti non avevano mai gareggiato al mattino e le prestazioni non possono essere certo delle migliori, considerato anche che logisticamente l’impianto laziale non permette le soluzioni migliori. Mi spiego meglio. A Rieti, durante

gli Italiani, non si trova un alloggio nemmeno a pagarlo oro. Gli atleti e coloro che li accompagnano devono ripiegare sul Terminillo, nella migliore delle ipotesi, o addirittura su qualche albergo posto in provincia di Terni. Vicino ma non certo vicinissimo: sveglia alle 6 di mattina, colazione alle 6.30 e poi minimo 40 minuti di trasferimento per poter raggiungere il Guidobaldi in tempo per un giusto riscaldamento. Una volta arrivati allo stadio, qualche problemuccio lo si trova anche al suo interno. E’ luglio, fa caldo e allora perché non far trovare a questi ragazzi un po’ d’acqua per rifocillarsi?

SPIRIDON/8

Nessuno ce ne voglia. Mettiamola così, sono solo consigli. E quindi ai colleghi di atletica.tv, seguitissima dagli appassionati ma soprattutto da parenti, amici, ecc. dei 1300 partecipanti, chiediamo: perché non dedicare più spazio ai concorsi durante lo streaming? Detto questo, resta il fascino dei campionati italiani, di poter dire “a Rieti c’ero anch’io”, di poter conoscere coetanei provenienti dai posti più lontani della nostra Italia, di poter vivere l’emozione di una gara che non è come le altre, la prima vera e importante della propria carriera sportiva. E poi ci sono i risultati, i titoli italiani, le vittorie e le delusioni. Restando in Toscana, che è la Regione che ci riguarda da vicino, sono stati solo quattro i podi. Ed un solo successo, l’ennesimo nella marcia 5 km per Giada Traina dell’Atletica Livorno. Nella stessa gara si registra anche il terzo posto di Sofia Fiorini, altra livornese ma di sponda Libertas Unicusano.

Competano il quadro la medaglia d’argento di Matilde Carboncini (Toscana Atletica Empoli Nissan) nell’eptathlon e quella di bronzo della staffetta 4x400 allievi della Toscana Atletica Futura composta da Bresci, Faralli, Capriani e Giari.

Il tutto purtroppo (o per fortuna, nel primo caso) offuscato dal punto di vista mediatico dai gran risultati ottenuti dagli azzurri nei campionati europei Under 23 di Tallinn e soprattutto da tennis e calcio, sugli scudi come, rispettivamente, mai e quasi mai prima, a Wimbledon ed Europei.

A proposito, di assembramenti alla POPOROPOPOPOO del dopo Wembley, nessuna traccia a Rieti. E menomale… Max Martini.

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Il cielo è plumbeo e le nuvole sono oscurate dal grigio ma il sole che sta sopra di loro le fa comunque esaltare è un po’ come leggere e toccare con l’animo e la sensibilità del cuore le anime che noi incontriamo nel nostro cammino. In particolare mi va di ricordare in questo istante un papà e una mamma uniti per un’intera vita. I loro nomi Francesco e Marina, dal loro frutto d’amore sono venuti alla luce Mauro, Oriano, Marzia e Oriella. Le loro vite hanno un grande valore perché dagli insegnamenti dei loro genitori hanno appreso che essere rispettosi e uniti nelle loro diversità è fondamentale per vivere una vita serena. Francesco nei suoi anni ultimi, veniva spinto sulla carrozzina dal figlio Mauro sulla strada che da Camigliano porta a Tavernelle, il primo incontro ancora vivo in me. Marina negli ultimi tempi della sua esistenza viveva in una casa accogliente nel paese, quando qualche volta passando di li nei brevi colloqui e saluti parlava sempre dei figli e delle figlie a cui raccomandava sempre di ess ere serene e rispettose verso tutta la comunità ricordando il suo grande impegno a lavoro presso una famiglia che venuta dalla Lombardia si era stabilita a Montalcino e del suo grande impegno di vita . In questo momento cerco di ricordare i momenti speciali che ho vissuto, che vivo e che andrò a vivere in questa collina delle viti. Nell’ascoltare un messaggio vocale di un giovane ho ritrovato la mia età da fanciullo. Sono sicuro e sempre più convinto che noi siamo quello che riusciamo a lasciare nel cuore dell’altro non quello che possiamo dare con i beni materiali. La luce del sole ha illuminato la coltre delle nuvole, la forma che osservo è un piccolo cuore e una piccola nave, queste due forme mi danno la possibilità di esprimere e di donare questo pensiero speciale ai figli di Francesco e Marina. Le anime delle persone che ci hanno donato la vita fanno sempre parte di Noi. A questi genitori che non sono stati dei letterati, ma persone umili e semplici che con il loro lavoro hanno costruito la loro famiglia su fondamenta vere il poeta vuole indirizzare questo pensiero per dare atto che ancora oggi sono presenti nei momenti della comunità con i ricordi che la gente ha di loro e nel cuore dei loro figli che sempre ne osservano gli insegnamenti ricevuti. A loro che profondamente seguivano i loro posso far giungere la frase che segue “siete nei cuori dei vostri figli, vivete ancora con loro con affetto.

Antonio Cozzitorto

SPIRIDON/9 Riprese estive:

Frank Sinatra al Foro Mussolini di Augusto Frasca Nella notte fra il 3 e il 4 giugno 1944 le truppe della quinta armata statunitense entrarono a Roma. Le strutture sportive vennero requisite. Il liceo Mamiani fu trasformato in un ospedale. Il Virgilio, l'Augusto, il Mazzini, il Nazario Sauro e altri istituiti scolastici, occupati. Controllato dalla a alla zeta, il Corriere di Roma divenne organo ufficiale in lingua italiana dello Psycological Warfare Branch, l'organismo creato dal governo militare statunitense volto al controllo dei mezzi di comunicazione, radio e carta stampata. Nella tipografia del Messaggero, bloccato nelle uscite quotidiane dall'inflessibile censura del PWB, fu dato ampio spazio alla stampa di Stars and Stripes, il quotidiano ufficiale delle forze armate statunitensi. L’intera zona del Foro fu blindata. Appena in tempo: cariche di tritolo confezionate da solerti progenitori di Laura Boldrini erano da tempo pronte per lo smantellamento del monolito e dell’area circostante. Il 7 giugno, con la ripresa dell’antica testata giornalistica, dalla sede di Largo dei Lombardi 4, gerente responsabile Umberto Guadagno, direttore Pietro Petroselli, il Corriere dello Sport tornava in edicola salutando i liberatori: «Le vittoriose truppe alleate hanno fatto domenica sera il loro ingresso in Roma, accolte in modo trionfale dalla popolazione riversatasi nelle strade alla prima notizia. L’immediata fraternità tra soldati e cittadini ha confermato che la vecchia amicizia non si era allentata e che è esplosa con sincerità: spirito immutabile di popoli liberi». Il 13 giugno, figlio degli emigrati italiani Dino e Carolina Gervasini, già governatore dello Stato di New York, per conto del Governo militare alleato l’avvocato e tenente colonnello Charles Poletti assumeva la responsabilità della zona di Roma. In vista dei Giochi delle forze armate alleate distaccate nel Mediterraneo, programmati per il 15 e il 16 luglio, via libera, il 20 giugno, allo Stadio dei Marmi, alla selezione di venticinque rappresentanti del gruppo romano delle forze alleate. Tra gli elementi di punta dei trecento partecipanti, il soldato semplice Zemer Cox, detentore di un pregevole 9”8 sulle 100 yard, vincitore sulle 100 yard, sulle 200 con ostacoli bassi e trascinatore della sua squadra nella staffetta veloce, e Willie Steele, 7,81 di primato personale nel salto lungo. Il giorno successivo, nello stesso impianto, spettacolo di varietà aperto a tutti. Tra i duecento militari statunitensi impegnati in chiave dilettantistica alla serata, caporale assegnato a servizi speciali ed ex acrobata, Burt Lancaster, pronto a scalare i vertici internazionali della cinematografia. Ospite di riguardo, figlio di Antonino Martino Sinatra, siciliano di Lercara Friddi, e di Maria Vittoria Garaventa, genovese di Lumarzo, Frank Sinatra. Sordo ad un orecchio dalla nascita, salito alla ribalta prima con il complesso di Henry James e definitivamente con l’orchestra di Tommy Dorsey, gratificato dall’incremento della circolazione discografica, quando salì sul palco allestito attorno alle statue dello Stadio dei Marmi il ventinovenne Frank era già “The Voice”. Il 21 giugno, il suo show aprì le due settimane di Italian Tour in . Della sua esibizione in quella sera romana, curiosamente, le biografie ufficiali del cantante non fanno cenno. Sulla sua prestazione, per nulla accomodante la recensione di Stars and Stripes, che pubblicò un paio di foto del cantante, una, ripreso di spalle, dinanzi ai microfoni, la seconda mentre usciva dallo stadio scortato da due militari: «[…] nessuno svenne quando la Voce attaccò, ma tuttavia nessuno lanciò pomodori […]». Per le ragazze italiane Frank sembrò un cantante come tanti altri, e ancor meno entusiasmo provocarono Eunice Fay McKenzie, ventiseienne attrice e cantante, la ballerina Betty Yeaton e Phil Silvers, il comico destinato più avanti a conquistare due Tony Award e a lasciare le impronte delle proprie mani sul cemento fresco della Walk of Fame al numero 6370 di Hollywood Boulevard, a pochi passi dallo spazio assegnato ad Anna Magnani. Il giorno successivo, 22 giugno, su sollecitazione di Pietro Nenni, capo riconosciuto del Partito socialista, e con il preciso dettato di limitarsi all’ordinaria amministrazione, una nota firmata dal prefetto Ferdinando Flores, vice capo gabinetto alla presidenza del Consiglio, assegnava la reggenza del Comitato olimpico italiano al trentaduenne avvocato Giulio Onesti, entrato in orbace nella clandestinità extra territoriale del Laterano ed uscitone

SPIRIDON/10 in camicia rossa, primo passo verso la conquista di un invidiabile primato di longevità alla testa dello sport nazionale. Il 16 luglio, sempre dalla fonte puntuale The Stars and Stripes, apparve la novità toponomastica: Selected by Italian Officials in This City – si presume quindi su iniziativa del Sindaco o del Capo del Governo – il Foro Mussolini, “proprietà del popolo italiano” in ragione dei versamenti effettuati dagli iscritti all’Opera nazionale Balilla, mutò momentanea denominazione in Foro d’Italia. Protagonista l’atletica, il 15 e il 16 s’effettuarono al futuro Stadio Olimpico le gare tra atleti delle forze alleate. Sotto gli occhi del Sindaco di Roma, il principe Filippo Andrea Doria Pamphili, e di Ivanoe Bonomi, da un mese salito al vertice del Governo, la cronaca retroattiva impone segnalare che Willie Steele si affermò sia nel salto in alto sia nel salto in lungo, specialità, la seconda, di cui quattro anni dopo, aggiungendo un centimetro al personale, sarebbe divenuto campione olimpico ai Giochi di Londra. Poche ore, e il Foro d’Italia, con il monolite mussoliniano incolume ai varchi d’ingresso, con il cuspide dorato dono di Ungheria e Romania in riconoscenza degli aiuti ricevuti dal governo fascista in occasione di un terremoto, avrebbe assunto la titolazione definitiva in Foro Italico. Il quale Foro Italico, nei suoi immensi scantinati, continuò ancora per molto ad essere impiegato in due operazioni prioritarie, un imponente servizio di lavanderia per gli indumenti delle forze alleate e la ricomposizione delle salme dei caduti prima del loro rientro in patria. Una volta abbandonati, l’1 agosto 1948, dalle truppe alleate, i locali destinati ad ospitare nell’anteguerra l’Accademia nazionale di Educazione fisica si sarebbero aperti al Coni e a Giulio Onesti solo il 29 febbraio 1951, concluso il ciclo giubilare e lo smantellamento di quell’Albergo Felix che per tutto il 1950 fu destinato ad accogliere migliaia e migliaia di pellegrini convenuti per l’Anno Santo.

di Silvana Biasutti Diciamolo francamente: quando ti fermano per strada e tu stavi guidando, il primo sentimento è di timore e la domanda che viene spontanea è (quasi) sempre la stessa: “oddio che cosa ho fatto!”. Nei piccoli paesi, dove tutti, più o meno, ci si conosce può anche essere un po’ diverso. I Carabinieri sono quelli che tengono in ordine il territorio; e in questo caso, la parola “territorio” è intesa nel senso comunemente usato, ma spesso anche – in modo più anglosassone e più specifico – come il luogo in cui ci si misura e in cui accadono cose.

Per quanto mi riguarda, la loro vista mi suscita uno sfrizzolo un po’ polemico – sedimenti di una gioventù molto cittadina e molto studentesca, quando le divise marcavano una (vera o supposta) contrapposizione -: perciò, ora che sono vecchia e consapevole che ogni età della vita ha i suoi ‘plus’, io cerco di sfruttare il capello bianco a mio vantaggio insieme al senso del dovere connaturato all’Arma. Ma quello che mi colpisce da sempre è la contrapposizione dei due colori della loro divisa – quel blu e quel tocco di rosso – che credo ci comunichi la l loro presenza più di qualsiasi altro elemento.

La divisa prevale; tu parli a ciò che lei rappresenta, prima (o invece) di parlare all’uomo che essa riveste: questo è un effetto voluto e ben ottenuto; però può anche capitare di incontrare un poeta che si è – legittimamente – vestito da Carabiniere: parla da Carabiniere, ma si sente che è anche portatore di istanze diverse. Allora sono curiosa di leggere quelle poesie e capire come un Carabiniere possa diventare un Poeta…

SPIRIDON/11

Kim Gevaert, atleta olimpionica: «La scuola “Don Bosco” ha sempre creduto nel talento di ciascuno»

Giochi Olimpici di Pechino. 21-22 agosto 2008. Staffetta femminile 4x100 metri. In batteria le ragazze della Giamaica stabiliscono la miglior prestazione mondiale dell’anno (42”24). In finale il quartetto giamaicano è ovviamente favorito ma, al secondo cambio, Kerron Stewart parte troppo veloce e non riesce a ricevere il testimone dalla compagna. Il “regalo” premia la Russia. Secondo il Belgio, trascinato al record nazionale da Kim Gevaert (42”54). Otto anni dopo il Comitato Olimpico Internazionale squalifica la russa Cermosanskaja per accertata positività a sostanze proibite. Così l’oro della staffetta passa al Belgio, argento alla Nigeria e bronzo al Brasile. Kim Gevaert dal 2002 al 2008 è ai vertici assoluti dell’Atletica; qualche anno prima risulta una delle migliori allieve della scuola “Don Bosco” di Haacht, in Belgio: risultati eccellenti, brava studentessa e grande lavoratrice. Oggi, a 42 anni d’età, dopo 25 anni ha fatto ritorno al suo vecchio Istituto. «L’empatia e il “credere nelle persone” erano fortemente presenti in questa scuola salesiana – racconta Kim –. C’era attenzione allo sviluppo completo del bambino. Si cercava di far emergere i talenti degli studenti e potevi affinare ciò che più ti interessava. L’ho percepito chiaramente. Ricordo ancora quando ero l’anello debole della squadra di pallavolo. O almeno, io mi sentivo così. Eppure, alla fine sono diventata uno delle atlete più forti della Nazionale di staffetta. Tuttavia, ero molto empatica con le persone quando commettevano un errore o non erano al meglio della forma. Non ho mai puntato il dito contro, perché capivo come si sentiva quella persona. Beh, questa empatia e quest’umiltà

sono cose che ho acquisito qui». Prosegue l’exallieva: «Apprezzavo anche i momenti di riflessione. Al sesto anno abbiamo fatto un fine settimana di ritiro silenzioso con le suore. Poi dovevamo stare in silenzio e andare a Messa con loro alle quattro del mattino: momenti come questo ti allargano gli orizzonti. Quelle persone scelgono una vita del genere, e io l’ho ben compreso. Come genitore, penso sia importante controbilanciare tutta la miseria che i bambini vedono. Attraverso la fede dài loro qualcosa a cui afferrarsi. Saranno poi loro a scegliere cosa farne. Forse niente, ma forse hanno bisogno di quel qualcosa a cui aggrapparsi per imparare a riflettere o per trovare serenità. Sto crescendo i miei figli come cattolici, ma con una visione ampia del mondo. “Che cos’è la fede?” “Che cosa ha a che fare con me?”. Questa visione più ampia della fede e del mondo è il nostro punto di partenza». Kim da qualche tempo si dedica anche ai giovani svantaggiati del Congo. «Io e mio marito volevamo fare qualcosa per i bambini del suo Paese natale, il Congo – racconta –. Siamo ben consapevoli di essere cresciuti in famiglie accoglienti, con molte opportunità. Man mano che cresci ti rendi sempre più conto di quanto sei stata fortunata. Per molti bambini non è così. Ecco perché ho voluto restituire qualcosa alla società dedicandomi ai giovani del Congo». Kim Gevaert ha vinto in carriera quattro medaglie ai Campionati europei, di cui due d'oro e due d'argento. Nel 2002 a Monaco di Baviera due argenti: nei 100 metri, alle spalle della greca Aikaterinī Thanou e nei 200 metri dietro la francese Muriel Hurtis. Nel 2006, a Göteborg, arriva con i migliori tempi e si impone con una clamorosa doppietta 100-200 metri. Tra le sue gare individuali outdoor vanno ricordate la finale dei 200 metri ai Giochi Olimpici di Atene e due finali mondiali, rispettivamente nei 200 metri ad Helsinki nel 2005 e nei 100 metri ad Osaka nel 2007. Con la staffetta 4×100 metri conquista la medaglia di bronzo ai Mondiali di Osaka e quella d'argento ai Giochi Olimpici di Pechino 2008, divenuta poi d'oro con la squalifica per doping della Russia. Da ricordare tre titoli consecutivi (2002 - 2005 - 2007) sui 60 metri agli Europei indoor. Il 5 settembre 2008 ha sancito il suo ritiro vincendo i 100 metri in 11”25 davanti al proprio pubblico, durante l'ultima tappa della IAAF Golden League a Bruxelles.

Pierluigi Lazzarini Exallievo e Storico di Don Bosco

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«Un vero e proprio studio statistico dello sport non può davvero limitarsi ai conti, alle cifre; ma ha da consistere nell'applicazione del metodo statistico – con le sue più recenti e squisite forme – a tali fatti, che saranno esaminati, interpretati con tali metodi, allo scopo di mettere in luce le leggi da cui i fatti stessi sono governati (Alfredo Niceforo in Sport – Soc. Ed. Foro Italiano – Roma 1937) ». Ma anche un lavoretto, come il presente, che si limiti a contare e a dare i semplici numeri dello sport, non è certo privo di utilità, rappresentando la materia grezza senza la quale, è evidente, non si possono costruire le successive elaborazioni. Ecco perché siamo venuti nella determinazione di pubblicare questa sistemazione, in elenchi e tabelle, dei dati che sono frutto delle nostre ricerche. Ma anche un motivo egoistico ci ha spinto a questo: la speranza cioè di poter completare o correggere i dati mancanti od errati, attraverso le segnalazioni che il lettore attento e cortese non mancherà certo di rilevare e di inviarci. Se la nostra iniziativa avrà successo, pubblicheremo in seguito due studi: uno sulle curve di rendimento degli atleti nelle diverse specialità atletiche ed un secondo sulla correlazione esistente tra i dati antropometrici dell'atleta e la specialità nella quale ha eccelso. Il tutto sarà completato da grafici atti a maggiormente descrivere il movimento atletico che, purtroppo, oggi è sottovalutato sia dalle masse che dalle autorità scolastiche e politiche. Da Cifre e dati dell'atletica mondiale e italiana, Fascicolo I, compilatore Bruno Bonomelli (1910-1993), S.T.E. Giulio Vannini – Brescia – 1949.

Io personalmente, e cito le mie esperienze perché sono tangibili e non impressioni fallaci, ho potuto fare la prova del disinteresse che esiste nel nostro mondo per tutto ciò che è «carta stampata». Ho pubblicato a mie spese un volumetto dal titolo «Atletica, regina dei Giochi» di 176 pagine, oltre a 12 pagine fuori testo. Messo in vendita al prezzo di L. 1.000, mi è stato richiesto solo da una, dico una, persona. Tra gli atleti solo Ghiselli si è interessato alla mia modesta pubblicazione. Dall'intervento di Salvatore Massara (1932-2004) nel I Convegno Nazionale di Storia e Statistica dell'Atletica Leggera, Verona, 11 aprile 1965.

Quando lessi che Aristotele era stato incaricato dagli Elladi di revisionare le liste dei vincitori di Olimpia e che il grande filosofo aveva accettato con entusiasmo il gravoso incarico, trovai un'ampia giustificazione dei miei lavoretti di compilatore di statistiche retrospettive. D'altra parte, e questo va detto ai dirigenti, se noi attribuiamo l'importanza alle competizioni attuali non si capisce la ragione perché alcuni di essi affermino che l'essere (cioè il presente) è il contrario dell'essere stato (cioè il passato). Questi dirigenti o considerano trascurabile la materia su cui oggi lavorano o accettano il principio che tutto avviene così a caso e che il più delle volte le cose, diciamo, spiacevoli, non sono che incidenti. Lascio allora la parola allo storico inglese Edward Hallet Carr: «Definire "incidente" un fatto è uno dei modi migliori per sottrarsi al fastidioso compito di indagare la causa del fatto stesso: così, quando qualcuno mi viene a dire che la storia è un susseguirsi di eventi accidentali, sono in cline ad attribuirgli una certa pigrizia o una scarsa energia intellettuale». Qualcuno storce il naso e mi rivolge un'osservazione a bruciapelo: «Cosa c'entra la Storia, con quella S maiuscola, con la cronaca spicciola della corsa campestre italiana? ». Mah! Forse ho agito arbitrariamente nello stabilire l'accostamento fra questo modesto lavoro con Aristotele e con E.H. Carr. Ma è evidente che mi piace stare in compagnia di questi maestri. D'altra parte vorrei sapere per quale ragione lo sport italiano o una parte di esso pretenda di camminare sotto il segno dell'idea di progresso ignorando il proprio passato. O peggio inventandolo; o peggio ancora falsificandolo. Come è avvenuto. Prefazione di Bruno Bonomelli (1910-1993) a Corsa campestre, Scuola di campioni, a cura di Enrico Arcelli e Bruno Bonomelli. Linotipografia Squassina, Brescia 1974.

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Mai visto un bottino così ricco! A Tallinn, in Estonia, gli azzurri hanno concluso i Campionati Europei U 23 al primo posto con 13 medaglie, di cui 6 ori, 5 argenti e 2 bronzi dando la birra a squadre quali la Germania e la Spagna, tanto per dire. Non era mai successo nei tredici campionati precedenti. Addirittura sette di queste medaglie sono arrivate nella giornata finale della rassegna continentale, che ha portato in dote ben quattro ori. Prima di Tallinn 2021, il migliore piazzamento azzurro nel medagliere della rassegna continentale under 23 era stato il quarto posto di Turku 1997, edizione inaugurale della manifestazione, quando gli azzurri avevano anche raccolto il record di quattro ori, imbattuto fino ad oggi. Un dominio che ci conforta, ci conferma l’attuale impianto tecnico e ci fa ben guardare al futuro. Un vero capolavoro tattico è stata la vittoria di Alessandro Sibilio nei 400 ostacoli con un favoloso 48.42 che lo fa diventare seconda miglior prestazione italiana di sempre. Un risultato che in Italia non si vedeva dal 2002 e che rappresenta la migliore prestazione nazionale under 23. Fenomenale anche la prestazione di Dalia Kaddari nei 200 metri, con un gran tempo, 22.64 (-0.4), a soli otto centesimi dal record italiano assoluto di Libania Grenot (22.56). La sprinter delle Fiamme Gialle con la sua classica corsa elegante, si migliora inoltre di oltre due decimi (aveva 22.86) e mette in fila tutte le rivali europee, anche di due anni più grandi, come la tedesca Sophia Junk (22.87)

La corsa all'oro per gli italiani è completata nel corso dell’ultima giornata cominciando nella sessione mattutina innanzi nell'ultima giornata è iniziata nella sessione mattutina con Andrea Dallavalle che ha realizzato l'unico salto di oltre 17 metri della finale di salto triplo. Dallavalle ha navigato fino a 17,05 m nel terzo round per superare il secondo round migliore stabilito dal francese Enzo Hodebar che è atterrato a 16,99 m, aiutato da un vento di 1,9 m/s.

Le altre due medaglie d’oro sono state conquistate da vincitrice d’un combattutissimo 5000 e da Simone Barontini primo negli 800 in1.46.20. Nella serata finale che sulla carta era la favorita non ha tradito le attese imponendosi nella finale dei 1500 con una carica mozzafiato (ultimo giro in 59.83) per vincere il titolo in 4:13.98 seguita dalla compagna di squadra , argento 4:14.50,

Sin qui i vertici delle graduatorie senza tutta via dimenticare gli altri medaglisti a cominciare dall’argento di una combattiva Eloisa Coiro (Fiamme Azzurre) che scende a 2:02.07 negli 800 metri, superata soltanto dalla britannica Isabelle Boffey (2:01.80), e quella di Anna Arnaudo. Ed il bronzo nei 400 di Edoardo Scotti (Carabinieri), terzo con 45.68 in una gara decisamente veloce alle spalle dello svizzero Ricky Petrucciani (45.02 per il record dei campionati) e del belga Jonathan Sacoor (45.17). Degne di nota pure le prestazionidi Andrea Cosi, Anna Arnando e di Dario Dester che nell’ultima giornata dei campionati europei di Tallin, pur mancando s’un soffio il podio ha realizzato la migliore prestazione italiana under 23 togliendola a William Frullani (7871 ad Amsterdam nel 2001). L’ azzurro chiude le sue 10 fatiche con il punteggio di 7936 piazzandosi al quarto posto a soli 31 punti dal bronzo . Insomma il tanto per esser soddisfatti.

Mägi Jelena

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Ricky Pertucciani campione europeo U23

Dopo aver dato ottime impressioni sia in eliminatoria che in semifinale, Ricky Petrucciani ha compiuto l’impresa grazie ad un ottimo finale di gara che gli ha consentito di superare sul filo di lana il belga Sacoor facendo segnare al cronometro uno straordinario 45″02: record personale e ticinese demoliti, record nazionale U23, record dei campionati e a soli 3 centesimi dal primato svizzero assoluto! Una prestazione roboante, che conferisce a Ricky il meritatissimo titolo di campione europeo U23 e una grande iniezione di fiducia a poche settimane dai Giochi Olimpici di Tokyo. Dal canto suo Filippo Moggi, che aveva corso le batterie dei 400 metri in 48″02 mancando l’accesso alla semifinale, ha poi contribuito alla finale raggiunta dalla staffetta 4×400 metri. In finale, proprio Moggi (terzo frazionista e in prima posizione in quel momento) è stato atterrato da un atleta della nazionale britannica, spinto a sua volta da un rappresentante della nazionale olandese Una grandissima sfortuna per la staffetta rossocrociata, che aveva chiare e legittime ambizioni di medaglia.

Benissimo i ticinesi agli assoluti nazionali

La bella manifestazione nazionale ha portato al Ticino cinque preziose medaglie. Chi vince e convince è ancora una volta Ricky Petrucciani , che domina i 400 metri e conquista il suo terzo titolo nazionale consecutivo all’aperto migliorando il suo record personale e record ticinese assoluto di ben 21 centesimi, portandolo a 45’’69. Un’altra eccellente prova che conferma l’ottimo stato di forma dell’atleta ticinese, che sta esprimendosi al massimo della forma. Prova superlativa anche per Ajla Del Ponte (US Ascona), che si è dovuta inchinare solo alla primatista nazionale Mujinga Kambundji, ma che dopo un inizio di stagione poco convincente ha saputo rifarsi e nell’atto finale dei 100 metri ha centrato in 11’’07 la sua miglior prestazione di sempre, nonché tempo ampiamente al di sotto dello standard olimpico richiesto. Kambundji ha dal canto suo terminato “solo” in 11’’05, ma commettendo un errore nella fase di partenza che ha rischiato di costarle il titolo nazionale. L’oro di Petrucciani e l’argento di Del Ponte sono stati La bella manifestazione nazionale ha portato al Ticino cinque preziose medaglie. Chi vince e convince è ancora una volta Ricky Petrucciani , che domina i 400 metri e conquista il suo terzo titolo nazionale consecutivo all’aperto migliorando il suo record personale e record ticinese assoluto di ben 21 centesimi, portandolo a 45’’69. Un’altra eccellente prova che conferma l’ottimo stato di forma dell’a tleta ticinese, che sta esprimendosi al massimo della forma. Paccompagnati da altre tre preziose medaglie di bronzo conquistate nella giornata di domenica. Dal settore lanci brillano le prestazioni di Gian Vetterli (US Ascona) e Giada Battaini (US Capriaschese) rispettivamente nel lancio del disco e nel getto del peso. Vetterli, beffato proprio nell’ultima prova ha sferrato l’attrezzo fino a 51.31 m mentre Battaini ha firmato un’eccezionale prova con la misura di 12.95 m, valsale anche il record ticinese U20 e la seconda miglior prestazione ticinese assoluta di sempre. Miglior risultato stagionale anche per Emma Piffaretti (US Ascona), che sulla pedana bernese è riuscita a mettere a segno un balzo di 6.13 m fatto segnare al primo tentativo e valsole la medaglia di bronzo. Buona anche la prova di Mattia Tajana (GA Bellinzona) che, alle spalle di un ritrovato Kariem Hussein, conclude la finale al quinto rango in 51’’65, migliorando il 51’’82 corso nelle qualifiche il giorno precedente. Per Hussein miglior tempo stagionale con 48’’84 e soprattutto standard per i Giochi Olimpici. Settimo rango per Roberto Delorenzi (US Capriaschese) che si migliora nuovamente sui 5000 metri terminando con il tempo di 14’43’’87. Sulla stessa distanza in progresso anche Tommaso Marani (SA Lugano) che rimane appena al di sopra del muro dei 15’ con 15’02’’91. Tra gli altri ticinesi al via, ottima prova anche per Desirée Regazzoni (FG Malcantone) che si migliora nei 200m con il record personale di 24’’73, purtroppo non sufficiente per l’accesso alla finale. Record personale anche per Emma Lucchina (VIGOR Ligornetto) che conclude la prova dei 1500m in 4’31’’14 rimanendo la prima esclusa dall’atto conclusivo.

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Intervista di Noël Tamini a Tapio Pekola, creatore di “Juoksija”, prima rivista europea dedicata alla corsa a piedi un anno prima di Spiridon

Sino all’inizio del secolo passato in Finlandia la corsa non era considerata uno sport. Mio padre mi disse che un vicino, un uomo ricco, bravo a correre, non sarebbe mai potuto essere bravo perché la gente lo avrebbe preso per uno scemo. È così che a volte lascia che i bambini vengano a rubare le mele del suo giardino: per avere una scusa per rincorrerli...

Sono passati poco più di cento anni da quando la corsa come sport è stata ammessa nel sistema sportivo nazionale. C'erano state, naturalmente, delle gare prima; ma come sport nel vero senso della parola, le corse risalgono all'inizio del XX secolo. I nostri primissimi campionati nazionali furono organizzati nel 1907, e nello stesso anno c'era una sorta di entusiasmo per la maratona, con in Finlandia sette gare durante quell'anno (la prima maratona si era svolta un anno prima, vinta da Kaarlo Nieminen in 3 :01). Hannes Kolehmainen ei suoi fratelli Viljami e Tatu sono stati tra noi i pionieri della maratona. In effetti, come molti corridori finlandesi, hanno cominciato a correre con lo sci di fondo. Il padre aveva partecipato a gare di sci di fondo, allora popolari. Tatu sarà il primo a imitarlo, seguito da Viljami e Hannes. Hannes aveva sedici anni quando nel 1906 vinse la sua prima gara di sci (nella categoria 18 anni). I fratelli Kolehmainen avrebbero forgiato le loro straordinarie qualità fisiche e mentali attraverso lunghe discese sugli sci, a volte anche oltre i 100 km. Secondo Ossi Viita, che ha scritto una biografia di Hannes, “Queste tirate ultra lunghe erano l'eccezione. Di solito si allenavano sugli sci su un percorso di 10 km vicino a Kuopio, la loro città natale". Nel 1909, Viljami fu il primo a partecipare a una gara di sci all'estero, in Svezia. Lo sci era così importante per loro che hanno iniziato a correre come preparazione. Saranno così i primi corridori di Kuopio. La reazione della gente era caratteristica di quel tempo: la loro corsa si chiamava stupidità. I tre giovani, infatti, dovettero scappare fuori città, per evitare che le signore rispettabili li vedessero evolvere in abbigliamento sportivo. I fratelli Kolehmainen leggono con passione una guida di allenamento per atleti scritta nel 1908 dal giovane Lauri Pihkala e su cui si insiste sull'utilità per i giovani atleti di praticare sport diversi. E così sia Viljami che Tatu e Hannes correvan, sciavano, praticavano lotta e nuoto, oltre a esercizi ginnici. Dopo aver completato la scuola elementare, Hannes ha iniziato a lavorare come apprendista muratore. I suoi due fratelli maggiori erano impiegati nello stesso posto, a 40 km dal loro paese. Secondo una nota leggenda, i tre andavano tutti i giorni al lavoro di ... corsa. Su questo, Ossi Viita è un po' scettico: "Una bella storia diventa migliore quando viene raccontata così: i tre fratelli Kolehmainen rimasero scioccati un giorno il loro datore di lavoro Saastamoinen è venuto a vedere il lavoro nella sua fabbrica. Aveva fatto il viaggio

SPIRIDON/16 su una slitta trainata da cavalli. Tuttavia, nelle salite e nei tratti duri del percorso, i corridori, che lo accompagnavano, hanno dovuto aspettarlo. E alla fine lasciarono il cavallo molto indietro. Il boss era così orgoglioso dei suoi corridori che ha fatto loro un regalo speciale". Va aggiunto che una tale impresa era alla portata di cavalieri ben addestrati. Nel 1907, nonostante lo sci prevalesse, Hannes e Tatu parteciparono a una maratona. Tatu è arrivato secondo in 3 h 04 min 15 s e suo fratello terzo in 3 h 06 min 19 s. I fratelli Kolehmainen provenivano dalla classe operaia. Il padre morì prematuramente, fu sulla madre che gravò il peso di tutta la famiglia che non era da poco, vale a dire cinque figli, Tatu, Viljami, Hannes, Maija e Kalle. Occupavano una stanza singola nella cittadina di Kuopio, ma si può dire che a quel tempo abitassero in campagna. Hannes ha lasciato la scuola all'età di 14 anni. Senza essere stato uno studente brillante: si è dovuto accontentare di una media di 6,3 (su una scala da 4 a 10). Ma era anche meglio di Ville Ritola che a scuola ci andava il meno possibile. Tra i migliori corridori dell'inizio di quel secolo, Paavo Nurmi sarà sotto questo profilo un caso a parte, con un punteggio di 9.3. Lo sviluppo mentale di Hannes, invece, era stato frenato da una disabilità: aveva imparato a parlare solo all'età di quattro anni. Tuttavia, dopo aver sposato un’ americana, Hannes parlava molto bene l'inglese. Al contrario, Ville Ritola, che pur essendo rimasto più a lungo negli Stati Uniti, non è mai riuscito a parlare così bene l'inglese. È stato senza dubbio il matrimonio a fare la differenza. Ovvero, due teste su un cuscino, come si suol dire. In diversi modi, i fratelli K hanno aperto nuove strade. È così che hanno fondato il loro straordinario club sportivo, il “ Reipas”, molto presto. E Viljami era ovviamente bravo. Dopo essersi trasferito in America nel 1910 come corridore professionista (e muratore), inviò consigli di allenamento in Finlandia. Oggi, insieme a Lauri Pihkala, si può dire che Viljami Kolehmainen sia il padre della corsa a lunga distanza in Finlandia. Riguardo ai consigli di allenamento di suo fratello, Hannes ebbe a dire a Pihkala: "Era preoccupato di correre troppo o troppo veloce: dovevo imparare a correre a mio agio quando correvo. Tendeva ad allenarsi duramente. Così anche io ho iniziato a camminare per non esagerare. Viljam ha ricevuto i suoi principi di allenatore da Lawson Robertson, che ha allenato l'”Irish-American Athletic Club”. A testimonianza di ciò Viljami è diventato uno dei migliori corridori professionisti del mondo. Hannes dirà in seguito che i consigli di Viljami lo hanno fatto migliorare in due mesi. Era l'estate del 1911. A quel tempo Hannes si allenava spesso due volte al giorno. Nel settembre di quell'anno corse i 3000 metri in 8.48.5, un nuovo record mondiale. Vale la pena menzionare la dieta di Hannes: ha detto che mangiava solo pesce e digiunava prima delle gare. Nell'estate del 1909, Viljami aveva lasciato Kuopio per Helsinki e aveva portato con sé Hannes. Mentre Hannes correva al chiuso nelle fredde giornate invernali, egli correva più spesso su terreni ghiacciati fuori Helsinki. A quei tempi, la gente aveva paura di correre fuori quando faceva freddo. Le qualità innovative dei fratelli K si esprimevano anche nel fatto di essere stati i primi corridori ad andare in lungo e in largo per gareggiare. È così che a volte Hannes correva a Stoccolma o Göteborg (1909), e di nuovo a Berlino (1910). Nel 1911 vinse il titolo nazionale in Inghilterra e quell'autunno conquistò il record del mondo nei 3000 m. Quando si parla di dilettantismo, in Finlandia i fratelli K avevano quello che chiameremmo un atteggiamento liberale, perché in tutte le gare di sci gli atleti guadagnavano. Ecco perché Hannes avrà difficoltà a considerarsi un dilettante quando vivrà in America dopo i Giochi di Stoccolma. Negli Stati Uniti condusse praticamente una vita da asceta. Si alzava ogni mattina alle sei e subito si metteva in cammino per una passeggiata di 5-7 miglia. Dopodiché si accontentò di uova e pane tostato, più tè. Di nuovo a piedi, poi un po' di riposo. Poi è partito per correre 5 miglia in pista. Niente pranzo per lui, e per cena uova, pane tostato, tè e gelato. Questa dieta monotona a volte includeva piselli lessi. Poiché Viljami era politicamente di estrema sinistra, ha dovuto affrontare alcune difficoltà. Ma dopotutto è stato Viljami a insistere affinché Hannes partecipasse ai Giochi del 1920 nonostante le dure pressioni del suo partito. Va ricordato che nel 1918 la Finlandia aveva vissuto una guerra civile molto crudele, quindi tutti gli atleti della classe operaia erano considerati traditori se andavano ai Giochi. In America, i funzionari avevano cercato di costringere Hannes a unirsi alla lotta contro i ribelli messicani di Pancho Villa. Lo avevano tanto irritato che avrebbe deciso di rinunciare per sempre alla naturalizzazione americana.

Il risultato più memorabile di Hannes Kolehmainen è stata senza dubbio la sua vittoria sul filo nei 5.000 ai Giochi Olimpici di Stoccolma (in 14:36:06), sul francese Jean Bouin (14:36:07). Otto anni dopo, nel 1920, un'altra vittoria olimpica, ad Anversa, Hannes percorre la distanza della maratona (allora 42 km 750) in 2 h 32 min 35 s.

(continua)

Hannes Kolehmainen, 9 dicembre 1889 - 1966. Miglior performances : 4 min 08 sec 7 (3000 m), 8 min 36 sec 9 (3000 m), 14 min 36 sec 6 (5000 m), 31 min 20 sec 8 (10.000 m), 1 ora 25 min 19 sec 9 ( 25.000 m), 18 km 548 m (1 ora), 2 h 32 min 35 s 8 (maratona).