Archivio Piossasco De Rossi Di None*
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Archivio Piossasco de Rossi di None* Le carte dell'archivio Piossasco de Rossi di None giunsero all'istituto San Vincenzo de' Paoli di Virle, fondato dal conte Giuseppe Luigi Benedetto Piossasco di None e da sua moglie Luisa Carola Birago di Vische, nel 1863 alla morte della contessa. A quella data la linea principale dei conti Piossasco de Rossi di None si era estinta. Le carte rimasero custodite nell'istituto di Virle fino al 1996, quando la Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d'Aosta, che aveva notificato la rilevanza storica dell'archivio, stipulò con l'istituto una convenzione che prevedeva il deposito dei documenti presso l'Archivio di Stato di Torino. In quell'occasione fu compilato un elenco di consistenza dell'archivio, che comprendeva per ogni cartella la segnatura originale, le serie archivistiche, gli estremi cronologici dei documenti, il numero dei fascicoli e l'eventuale presenza di carte sciolte. Le cartelle versate nella sede dell'Archivio di Stato di via Piave erano 181; la maggior parte era originale e recava sul dorso l'indicazione dei feudi, delle serie cronologiche e un numero romano, che iniziava a ogni nuova serie da uno, per segnalare se la sequenza di documenti era conservata in uno o più mazzi. Al loro interno i documenti erano in buona parte condizionati in camicie sulle quali una mano ottocentesca aveva annotato il feudo, la serie documentaria – entrambi corrispondevano alle segnature riportate sui mazzi -, la data, un regesto e un numero di fascicolo che ricominciava da uno a ogni serie. Erano però presenti anche molte carte sciolte, prive di segnature: si trattava sia di documenti scivolati fuori dai mazzi e dalle camicie sia di documenti mai inventariati. Il fondo era privo di un vero strumento di corredo; il riordino era ancora in atto al momento del versamento all'istituto di Virle, come dimostrano le prime bozze per la stesura di un inventario1. Si tratta di quinterni di fogli, su ognuno dei quali sono indicati un feudo e una o più serie archivistiche e la descrizione di alcuni fascicoli. Inoltre sono presenti in un mazzo le camicie vuote, sulle quali durante i lavori di schedatura * Si ringrazia Tomaso Ricardi di Netro per le notizie genealogiche. 1 Archivio Piossasco di None, mazzo 141. I dell'archivio erano stati annotati regesti e date2. Inoltre le numerose camicie vuote, inserite nelle diverse serie archivistiche, e sulle quali l'archivista aveva annotato che il documento era stato collocato in una serie diversa, confermano l'ipotesi che il riordino non fosse mai stato terminato. Dalle annotazioni presenti su alcune camicie si ha anche notizia della distruzione di alcuni documenti, avvenuta in occasione dell'occupazione napoleonica del Piemonte. L'archivista aveva infatti segnalato che i documenti erano stati consegnati alle comunità per essere bruciati. L'archivio era organizzato per feudi, None, Piossasco, Volvera, Castagnole, Airasca; i documenti relativi a ogni feudo erano strutturati in serie diverse: investiture e concessioni, consegnamenti, disegni e planimetrie, contratti di enfiteusi, atti di lite. Le carte di famiglia – una parte davvero esigua del fondo - erano invece divise in cariche militari, ecclesiastiche e civili e corrispondenza. La sproporzione tra le carte relative ai beni feudali e patrimoniali rispetto a quelle familiari suggerisce che la famiglia non avesse versato all'istituto di Virle le carte di natura personale. Il riordino Il riordino attuale ha tenuto conto di quello precedente: gli atti sono stati organizzati nelle stesse serie documentarie annotate sulle camicie ottocentesche e sono state rilevate le lacune presenti nella numerazione. Le lacune sono state ampiamente colmate: alcuni documenti erano stati inseriti in un mazzo diverso da quello di appartenenza; altre lacune sono invece state colmate – virtualmente – dai documenti che nel 1991 e nel 2000 la Soprintendenza Archivistica acquistò sul mercato antiquario. I documenti acquistati erano senza ombra di dubbio stati sottratti all'archivio conservato a Virle: non solo le camicie ottocentesche erano le stesse, ma anche le serie documentarie e la mano dell'archivista corrispondevano. Inoltre la numerazione di corda dei fascicoli permetteva di integrare senza possibilità di errore o di dubbio tali carte nel fondo Piossasco. A sostegno ulteriore dell'appartenenza delle carte all'archivio Piossasco, l'ordine cronologico dei documenti all'interno della serie era perfettamente rispettato. Si è 2 Archivio Piossasco di None, mazzo 142. II pertanto deciso di inserire nella base dati dell'archivio Piossasco di None anche i documenti acquistati nel 1991 e nel 2000, mantenendo però la collocazione delle carte acquistate nei loro mazzi di origine. Una nota nell'inventario rimanda all'esatta collocazione. Se le serie documentarie originali sono state rispettate, si è invece deciso di attribuire loro una struttura, non prevista dall'archivista ottocentesco. Si è pertanto deciso di creare 4 subfondi: famiglia, feudalità, patrimonio e archivi aggregati. Questi ultimi comprendono le carte delle famiglie Orsini di Rivalta, Asinari di Virle e Camerano, Asinari di Banna e Bellezia3. Ogni serie è ordinata cronologicamente; nel caso di documenti in copia è stato rispettato l’ordinamento ottocentesco: sono stati quindi inseriti tenendo conto della data dell’atto originale. Nel caso in cui fossero presenti soltanto le camicie vuote, per non perdere informazioni preziose, si è scelto di riportare comunque il regesto e la data, indicando in nota l'assenza del documento. La schedatura è stata realizzata con una base dati access appositamente creata. Di ogni mazzo sono stati riportati il numero, il titolo originale ed è stato indicato in nota l'eventuale elenco dei fascicoli mancanti in origine. Per ogni fascicolo sono indicati: numero di mazzo definitivo; numero di corda all'interno del mazzo; data cronica; regesto e descrizione del contenuto; eventuali note; misure delle pergamene; descrizione dei sigilli. In caso di fascicoli privi di numerazione originale, si è assegnata una nuova numerazione, segnalando in nota che si tratta di numerazione attribuita. Di ogni fascicolo sono stati descritti gli estremi cronologici e il regesto. Per le pergamene sono state riportate anche le misure - espresse in millimetri - ed è stata segnalata la presenza di sigilli di cera pendenti con filo serico o impressi sotto carta. Si è inoltre segnalato se il documento è originale o se si tratta di copia; in questo caso si è indicato se coeva o di altro secolo. I documenti a stampa sono stati segnalati con un'annotazione nel regesto. Per i documenti privi di data è stato attribuito, con la maggior precisione possibile, il secolo indicando, quando possibile, se prima o seconda metà. Per gli atti di lite si è sempre cercato di specificare quale fosse il Tribunale giudicante. I documenti privi di regesto e di camicie sono stati condizionati e regestati. 3 Si rinvia all'introduzione storica per l'acquisizione di tali carte. III Introduzione storica Antonio Manno nel «Patriziato subalpino4» iniziava la voce «Piossasco» insistendo sulle difficoltà che gli studiosi dovevano affrontare per la ricostruzione storica e genealogica di questa famiglia a causa della molteplicità dei rami del consortile, e concludeva, prima della stesura degli alberi genealogici, con una nota polemica contro le «scuole nuove che molto studiano e ricercano le origini», ma che «poco si occupano degli attacchi e dei prosaici fili genealogici». L'attacco era verosimilmente rivolto a Francesco Guasco di Bisio, che nel 1912 aveva pubblicato sul Bollettino Storico Bibliografico Subalpino un articolo intitolato «Carte Piossasco dell'archivio del castello di Bardassano»5. Guasco di Bisio infatti aveva scritto il suo articolo servendosi delle carte del ramo Piossasco Folgore di Scalenghe che, a metà del secolo XVII in seguito a una successione ereditaria si era stabilito in Bardassano. La posizione di un genealogista rigoroso quale Antonio Manno a riguardo dei legami che univano i diversi lignaggi del consortile era ferma e alquanto scettica: scriveva infatti che alcuni alberi genealogici «per le ultime generazioni sono incertissimi, ed alcuni gradi io, addirittura, li tralascio». Al di là della querelle tra i due studiosi, la ricostruzione non solo dei legami di parentela, ma anche della storia delle diverse famiglie del consortile, non è semplice: la pluralità di rami e di rami cadetti, i casi di omonimia tra cugini e la dispersione documentaria non semplificano le ricerche. Le difficoltà di riconoscere tra tutte le famiglie che dichiaravano di appartenere al contado di Piossasco quelle che godevano davvero della dignità comitale erano già emerse nel 1736: il re Carlo Emanuele III, dopo una lunga vertenza dell'avvocato patrimoniale contro il consortile, aveva infine ordinato alla Camera dei conti di Piemonte di riconoscere a tutti i consignori di Piossasco il titolo di conte6. I documenti più antichi conservati nell'archivio relativi al consortile risalgono alla metà del secolo XIII. Si tratta delle prime investiture, di consegnamenti e contratti enfiteutici nei territori di Piossasco, Virle, Parpaglia Rivalta7. Ma alcuni membri del 4 Antonio Manno, Patriziato subalpino 5 Francesco Guasco di Bisio, Carte Piossasco dell'archivio del castello di Bardassano, in Bollettino Storico Bibliografico Subalpino, LXIX (1912). 6 Nell'archivio Piossasco di None sono conservati i documenti, mazzo 73, fascicolo 16. 7 IV consortile Piossasco sono attestati già nel secolo XII come «usurpatori» ai danni dell'autorità di San Giusto di Susa8. È evidente che la costruzione di una signoria fondiaria era già in atto; l'espansione del consortile da Piossasco volgeva sia verso la valle di Susa, Coazze, Trana, Cumiana e Rivoli, sia verso il Pinerolese, Rivalta, Scalenghe, Piobesi, Castagnole, None, Airasca e Volvera. La pluralità di feudi dei quali la famiglia era investita permise ai vari rami del consortile - già ben distinti nel corso del secolo XIII dagli appellativi de Federicis, de Rubeo, de Feys e de Folgore - di distinguersi aggiungendo al patronimico anche l'indicazione del feudo nel quale avevano il diritto di esercitare l'amministrazione della giustizia in primo grado.