Testimonianze Per Meditare
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Shoah: testimonianze per meditare. (a cura di Nanette Hayon, Alessandra Borgese) Emanuele Artom Diari di un partigiano ebreo. Gennaio 1940-febbraio 1944 a cura di G. Schwarz, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 55-56 Appena arrivato a Torino andai da *** fresco, fresco, senza ricordare che la settimana cruciale era cominciata. Ed ecco *** mi disse: “I tedeschi hanno occupato Genova, Bologna, Alessandrine altre città. Inoltre Hitler ha costituito un governo nominale italiano con Farinacei presidente”. La radio tedesca annunzia che verranno a vendicare Mussolini. Così bisogna arruolarsi nelle forze dei partiti e io mi sono già iscritto. Prima di andare, da buon figlio, sono tornato a casa a raccontarlo a papà…. Riempii la scheda di arruolamento appoggiandomi sulle spalle di un tale, e poi tornai a moribondo tutto fiero. Mi ero strappati i calzoni, e così quando arrivai dissi alla mamma: “Lui ne ha fatto due grosse. Ha rotto i calzoni” e la mamma cominciò una gran sgridata - ma la interruppi subito “E si è iscritto volontario”. Allora mia mamma ha detto: “Preferivo due buchi nei calzoni”; ma ha riconosciuto che ho fatto bene. Marta Ascoli, Auschwitz è di tutti Trieste, Edizioni Lint, 1998, p. 7 È mio intendimento dichiarare, per chiunque avesse dei dubbi su queste testimonianze, che tutto quanto da me descritto corrisponde a verità: anzi, molti fatti sono stati deliberatamente omessi, per non rendere opprimente la lettura. Devo anche aggiungere che solo dopo lunga maturazione sono riuscita ad affrontare questo argomento, su cui per molti anni aveva pesato il silenzio. Nell'accingermi a scrivere queste memorie sapevo che rievocare episodi così dolorosi avrebbe fatto riaffiorare dal profondo ricordi graffianti, umiliazioni cocenti, subiti nell'età più bella in cui tutto si spera dalla vita. Testimonianze per meditare Ho rimandato per tanti anni, forse troppi; ma oggi, prima che il velo dell'oblio faccia dimenticare - con la scomparsa degli ultimi sopravvissuti - ciò che sono stati i lager nazisti e il genocidio del popolo ebreo, sento il dovere di dare anch'io la mia testimonianza, rivolta soprattutto a coloro che non credono. Dedico questo mio diario alla memoria di mio padre, eliminato al nostro arrivo ad Auschwitz, ed a tutti coloro che non hanno fatto ritorno. Maria Bacchi, Cercando Luisa. Storie di bambini in guerra 1938-1945, Milano, Sansoni, 2000, p. 24 Si usciva per la ricreazione sempre come degli appestati e lì fuori in cortile c'era una rete che ci divideva dagli altri e loro ci facevano le orecchie, che non so il significato, le orecchie del maiale, dicono che noi adoriamo il maiale e invece non è vero, che ignoranza! [Sulle scuole per bambini ebrei istituite nel 1938- 1943. Italo Bassani, Tanzbah’. Ricordi di un ragazzo ebreo, Mantova, Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Mantovano, 1989, p. 60 Lassù il freddo ci torturava: a quell'altezza il sole era lieve, leggero, ci scaldava assai poco. La notte accendevamo il camino per qualche ora, lasciando che le braci si consumassero ardendo. Nonostante ciò, io non pativo, anzi, ero molto contento. Mio cugino ogni giorno tornava con sacchetti pieni di castagne e di funghi. Tutta quella roba era in sovrappiù: non sapevamo a chi darla, perché intorno a noi non c'era anima viva. Io e i miei cugini scendevamo molte volte nelle valli sottostanti ricche di castagneti. Dopo aver raccolto le castagne ci riposavamo nei prati verdi sotto un cielo meraviglioso. La montagna è veramente bella e riposante. Ogni tanto un animale saltava fuori da qualche macchia e scappava. Erano in genere lepri di montagna o scoiattoli. Gli uccelli cinguettavano intonando i loro canti di gioia sugli alberi. Ogni tanto ci si fermava presso un ruscello e si beveva la sua acqua pura e limpida. Così allora passavo i giorni. Questa era la vita! Se devo pensare a quel posto, penso all'Eden, il biblico giardino terrestre. Lì c'era la felicità. Non sentivamo nostalgia del passato: ci divertivamo, Fondazione CDEC correvamo e poi rientravamo a casa facendo delle grandi dormite sui materassi distesi per terra. Per noi però le cose dovevano cambiare. Una notte udimmo dei passi vicino alla nostra baita: due uomini erano arrivati. Mio padre andò fuori a parlare con loro ed andò incontro ad un nuovo sopravvenuto. Tornò dopo un po' e ci disse di vestirci in fretta perché dovevamo al più presto lasciare quel posto. Dove saremmo andati? Gli zii volevano sapere cosa stava succedendo. Mio padre continuava a gridare: - Fate presto! – In un batter d'occhio tutti eravamo pronti. Due uomini ci aspettavano fuori. Erano due partigiani:uno aveva un mitra, l'altro un fucile a tracolla. Li seguimmo. Ci dissero di camminare svelti perché i fascisti stavano arrivando. Con la valigetta dei soldi e qualche altra cosa qua e là raccattata, partimmo verso l'ignoto. Quella casa, quella baita, non l'avremmo più rivista! Ancora una volta il nostro destino di ebrei erranti ci portava a fuggire da un posto per cercare rifugio in un altro. Camminammo a lungo. Ogni tanto si scorgeva qualche piccola baita e branchi di mucche che vagavano libere sui prati. Salivamo sempre più in alto. Dai partigiani apprendemmo che, in seguito ad una spiata, i fascisti erano venuti a sapere che nella baita stavano nascosti degli ebrei. Per nostra fortuna i partigiani del luogo erano organizzati e bene informati. Vennero a prenderci prima che fossimo catturati, e noi, col loro aiuto, riuscimmo ancora una volta a metterci in salvo. Camminando, pensavamo al nostro futuro pieno di incognite. Dove avremmo dormito la prossima notte? Ci fermammo in una baita. I partigiani ci diedero da mangiare un po' di formaggio e del pane vecchio. Poi riprendemmo il cammino finché arrivammo in un'altra baita dove passammo la notte dormendo per terra. Alla mattina un raggio di sole ci svegliò: I partigiani stavano ancora lì; ci avevano ben protetto. 3 Testimonianze per meditare Più avanti sapemmo che, non avendoci trovati, i fascisti erano ridiscesi a valle pensando che ci fossimo diretti da quella parte. Noi invece andavamo dalla parte opposta, sempre più in alto. Per alcuni giorni, sempre in compagnia dei due partigiani, ci spostammo da una baita all'altra. Alcuni pastori ci diedero del latte e qualcosa da mangiare. Ma non si poteva continuare in quel modo; finalmente mio padre prese la decisione di farci rifugiare a Roma. I n quella città potevamo avere una protezione in quanto il babbo, che era vedovo, poteva contare sull'amicizia della signorina Anita Duranti, che doveva diventare sua moglie. Essa abitava a Roma. Camminammo ancora; la notte ci riposammo in qualche baita. Una mattina incominciammo a scendere al piano, prendendo una strada diversa da quella percorsa nel salire. Facemmo ciò per non cadere nelle mani dei fascisti. Anche questa volta la nonna Rosina avrà sicuramente pregato l'Eterno per me. C'è chi afferma che in Italia i partigiani non sono mai esistiti. Se non fossero esistiti, io non potrei oggi scrivere questo libro. Proprio loro ci hanno salvato, protetto e beneficato. Sconosciuti, fantomatici fantasmi, apparivano e scomparivano sotto sembianze di persone che ci informavano, di persone che ci davano qualche cosa da mangiare, sotto sembianze di benefattori. Essi, come potevano, in quell'epoca, ci proteggevano. Essi sono esistiti dove si sono potuti riunire, dove l'antifascismo era vivo. In altre zone, dove il fascismo aveva avvelenato di parole un'intera popolazione, i partigiani non c'erano o si erano trasferiti altrove. I partigiani in Italia combatterono per la libertà della Nazione e per la sopravvivenza di tanti poveri esseri come noi che, deboli e indifesi, cercavamo di non cadere nelle mani dei nostri persecutori. Lidia Beccaria Rolfi, Bruno Maida, Il futuro spezzato. I nazisti contro i bambini, Firenze, Giuntina, 1997, p. 179 Anche se mia mamma aveva tentato di nascondermi la verità, avevo sentito Fondazione CDEC parlare le altre deportate e avevo intuito da sola il significato delle selezioni. Vedevo nella mia fila bambine più in salute, ancora ben messe, e nell'altra bambine magre come scheletri, affette da foruncolosi, con delle piaghe. Approfittai della confusione che si creava di solito in quelle situazioni, afferrai Lea per un braccio e la tirai sotto la mia coperta, mentre la Kapo aveva già dato ordine di uscire alla mia fila. Una volta tanto ci andò bene, lo capimmo subito. La nostra fila ritornava verso la baracca. Le altre non le vedemmo più Giorgina Bellak, Giovanni Melodia (a cura di), Donne e bambini nei lager nazisti. Testimonianze dirette, Milano, ANED, 1960, p. 50 Tutto era silenzioso come in un acquario, e come in certe scene di sogni. Ci saremmo attesi qualcosa di più apocalittico: sembravano (i soldati SS) semplici agenti d'ordine. Era sconcertante e disarmante. Qualcuno osò chiedere dei bagagli: risposero: " bagagli dopo"; qual- che altro non voleva lasciare la moglie: dissero "dopo di nuovo insieme"; molte madri non volevano separarsi dai figli: dissero "bene bene, stare con figlio". Sempre con la pacata sicurezza di chi non fa che il suo ufficio di ogni giorno; ma Renzo indugiò un istante di troppo a salutare Francesca, che era la sua fidanzata, e allora con un solo colpo in pieno viso lo stesero a terra; era il loro ufficio di ogni giorno. In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in un gruppo. Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire né allora né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente. Oggi però sappiamo che in quella scelta rapida e sommaria, di ognuno di noi era stato giudicato se potesse o no lavorare utilmente per il Reich; sappiamo che nei campi rispettivamente di Monowitz- Buna e Birkenau, non entrarono, del nostro convoglio, che novantasei uomini e ventinove donne, e che di tutti gli altri, in numero di più di cinquecento, non uno era vivo due giorni più tardi.