Volti. Il Cinema Di John Cassavetes
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volti il cinema di john cassavetes volti il cinema di john cassavetes Palazzo delle Esposizioni - Sala Cinema - Roma 13 febbraio > 14 marzo 2020 the last show of an opening night Sono trascorsi oltre trent’anni dalla morte fecero sentire con maggiore forza – e che di John Cassavetes, ma la distanza che si fece cacciare dal Champlain College separa il pubblico di oggi dal suo cinema per una serie di voti del tutto insufficienti. appare quasi siderale: la cirrosi epatica Un avvenimento che non lo turbò in che se lo portò via a neanche sessant’anni maniera particolare, visto che approfittò arrivò prima del crollo del Muro di Berlino, della “vacanza” obbligata per girovagare prima della caduta della fine della Guerra in Florida sfruttando l’autostop. No, il Fredda, prima delle proteste in piazza modello di vita che l’America borghese Tienanmen, prima della vittoria definitiva agognava dopo il termine del conflitto del “modello occidentale”, a sua volta figlio mondiale non si addiceva al giovane un po’ bastardo di quell’utopia borghese Cassavetes, semmai più prossimo a che era stata definita american way of life. sposare l’irrequieto moto continuo della Uno stile di vita che Cassavetes, figlio di generazione “beat”, tra serate alcoliche un immigrato greco e di una ellenico-a- a ritmo di bebop e poesie improvvisate, mericana, non sposò mai, lui che imparò scaturite direttamente dagli abissi dell’e- l’inglese solo a sette anni – pur essendo mozione personale. nato a New York, per garantirgli la citta- dinanza attraverso lo ius soli, trascorse i Per quanto sia scorretto, e del tutto primi anni in Grecia, per tornare negli Stati improvvido, parlare di Cassavetes come Uniti quando i venti di guerra in Europa si di un regista che si è mosso in direzione della poetica di Kerouac, Ginsberg, (come pretende l’indie contemporaneo), Corso e via discorrendo, non c’è dubbio ma al contrario nella volontà di rigettare che la sua esperienza sia così laterale, i dogmi hollywoodiani, a partire dalla orgogliosamente fuori dagli schemi struttura narrativa per arrivare alla messa preordinati dell’industria, da risultare a sua in discussione addirittura dell’estetica e volta battuta e beatificata. Un’esperienza della sua apparente perfezione. Uscire dal trentennale (l’esordio alla regia, Ombre, cono d’ombra dell’immagine, tesa com’è è del 1959, mentre l’ultimo film diretto, a un naturale gigantismo, per riscoprire Il grande imbroglio, è del 1986) che non la fragilità dell’umano, la sua intrinseca ha mai avuto tentennamenti, non ha mai imperfezione, la sua quotidianità. mostrato neanche il minimo cenno di cedimento nei confronti dell’immaginario Che senso hanno oggi termini come egemone. Indipendente è diventato un famigliare, scarno, improvvisazione? In termine abusato, almeno a partire dagli un’epoca in cui la mistificazione è a sua anni Novanta del secolo scorso, quando volta un momento del vero, come già l’indie a stelle e strisce travalicò il valore preconizzava inascoltato Guy Debord, il cinema si allontana ancora più dal reale ogni qual volta pretende di scontrarvisi con maggiore forza. Si fa a gara a restituire verità nel cinema d’autore, anche in quello statu- nitense, ma per farlo si ricorre sempre e comunque all’artificio, alla ricostruzione del vero. Il cinema di John Cassavetes è lì a ricordarci che la verità in scena non può essere frutto di una ricostruzione. strettamente politico – oltre che poetico Filmare non è per il regista statunitense un – del termine per divenire la seconda voce atto di riscrittura, ma serve a immortalare dell’industria, quella più avvezza al canone un momento, un istante. Nel cinema di del “bizzarro”; è per questo che rischia Cassavetes si possono contare i respiri di essere fraintesa la portata innovativa, degli interpreti, ci si può appoggiare rivoluzionaria, a suo modo inimitabile, del ai muri degli appartamenti perché quei cinema di Cassavetes. Proprio in un’epoca muri e quegli appartamenti sono veri, non come quella attuale ha dunque ancora ricostruiti in studio. Veri e dunque vissuti, più valore riscoprire questa filmografia e spesso vissuti dallo stesso Cassavetes e composta di appena dodici movimenti, dalla sua consorte/musa, la straordinaria dodici istanti di libertà incuneati nel corpo Gena Rowlands. Si può pensare che per solo all’apparenza molle dell’industria dei Cassavetes portare davanti alla macchina mogul, dei tycoon, del “bigger than life”. da presa la moglie, i migliori amici, Il cinema per Cassavetes non è mai stato persino la madre e la cognata – come più grande della vita, ma è stato – sic et accade in Minnie e Moskowitz – fosse simpliciter – la vita stessa. La sua capacità un vezzo, e nulla di più. Ma sarebbe un innovativa non sta nella ricerca perpetua errore. Il concetto di famiglia non è solo e ossessiva del bislacco e dell’eccentrico uno degli aspetti centrali della poetica cassavetesiana, ma è anche il simbolo di per simili operazioni alla Lav Diaz”. Il una resistenza al pensiero comune, allo montaggio è un nemico perché costringe status quo, ai dettami dell’industria. Il l’immagine nel suo sviluppo improvvisato cinema è una macchina produttiva che si a procedere a un tempo definito, costruito basa sulle professionalità? Cassavetes si a posteriori: eppure così mirabile appaiono rinchiude negli affetti più intimi, e scardina quei tagli improvvisi, quelle chiose che il cuore pulsante di un simile pensiero. si considerano oramai impensabili, che Ogni messa in scena di Cassavetes (si caratterizzano il suo cinema e segneranno può escludere da questo novero il solo in profondità molti cineasti, a partire per Gli esclusi, per il quale venne esautorato esempio dal Woody Allen di Io e Annie. dal montaggio per volere di Stanley L’improvvisazione, come nel tanto amato Kramer, e in parte Blues di mezzanotte jazz, è l’attimo sublime in cui il singolo e Il grande imbroglio) è il viaggio dentro riesce a diventare parte del tutto, in un una porzione di sé, delle proprie abitudini, contrappunto mai velleitario. L’umano, dei propri pensieri e desideri: con lui, in centro nevralgico dell’agire artistico di viaggio, ci sono la Rowlands, e poi i vari Cassavetes, lo si può preservare solo Seymour Cassel, Val Alery, Peter Falk, tracciando coordinate armoniche, Ben Gazzara. I temi? La solitudine, la crisi melodiose nella capacità di organizzare nei rapporti interpersonali, l’alcolismo, il caos in una polifonia che non cerca lo la riflessione sulla caducità della vita. stridore dell’urlo, ma l’intimità in cui è Quasi sempre a ritmo di jazz, Cassavetes stato generato quell’urlo stesso. Prezioso e danza, accanto e con i suoi protagonisti: perduto, il cinema di Cassavetes ci mostra da Ombre in poi il suo cinema è un’arte ancora oggi come il fuoco d’artificio molto più coreutica che narrativa, molto sorprenda con un oh di meraviglia prima più verbale che agita, molto più viva di dissolversi nell’aria, dove anche solo un negli interstizi di tempo morto che nei primo piano sa mozzare il fiato, e lasciarlo supposti – e mai reali – colpi di scena. Il mozzo per lungo tempo. vero nemico di Cassavetes è il montaggio, Raffaele Meale e come giustamente fa notare Giampiero Raganelli in queste pagine parlando di Volti “Ancora una volta il cinema di Cassavetes è instabile, liquido, sformato. E il film passa attraverso vari montaggi, per approdare, da una versione di tre ore a quella definitiva, fissata, di 130’. Ma Cassavetes ne aveva anche concepita una da otto ore. I tempi forse erano prematuri ombre Opera prima di John Cassavetes, Ombre è il manifesto di un Ombre (Shadows) cinema indipendente e libero, costruito insieme agli attori USA, 1958-1959 regia: John Cassavetes con il “metodo”, crocevia di beatnik, esistenzialismo e musica sceneggiatura: John jazz nel contesto del fermento culturale dell’America sotto Cassavetes Eisenhower, in una società ancora pervasa di razzismo contro fotografia: Erich Kollmar gli afroamericani. musica: Charles Mingus montaggio: Maurice McEndree Hugh, Leila e Ben sono tre fratelli afroamericani, due dei interpreti: Ben quali di pelle chiara, che vivono insieme in una casa a New Carruthers (Ben), Lelia York. Hugh, il più grande, l’unico palesemente di colore, è un Goldoni (Lelia), Hugh Hurd (Hugh), Anthony cantante di nightclub in declino, Ben è un trombettista jazz Ray (Tony, Dennis Sallas che passa il tempo nei bar con due compagni di sbronze, (Dennis), Tom Reese Dennis e Tom. Leila, la più giovane, frequenta i circoli degli (Tom), David Pokitillow esistenzialisti e ambisce a diventare scrittrice. (David), Rupert Crosse (Rupert), David Jones (Davey) «The film you have just seen was an improvisation»: con produttore: Maurice questa scritta si chiude Ombre (Shadows), primo film da McEndree regista, per così dire, dell’attore di origine greca John produzione: Lion International Film Cassavetes, realizzato nell’ambito dell’Actor’s Workshop, distribuzione: Lion il laboratorio di recitazione da lui fondato, insieme a Burt International Film Lane, basato sulla loro interpretazione del cosiddetto durata: 78’ (prima “metodo”, alternativa a quella dell’Actors Studio di Lee versione in 16mm), 81’ (seconda versione Strasberg, che consideravano ormai sclerotizzato. Per in 35mm) Cassavetes non si trattava più di recitare ma semplice- mente di vivere, di superare la concezione meramente introspettiva del Metodo a favore di una collettiva, costruita sulle interazioni tra gli attori, rifiutando al contempo le inutili discussioni di gruppo. Liberarsi da ogni maschera era il credo di Cassavetes e Lane e in Ombre, concepito come manifesto, molto più che un semplice saggio o lavoro di workshop, compaiono anche le statue, nel giardino del MoMa insegne luminose e le loro vetrate sulla e nella scena successiva al rapporto strada, i locali di musica, tra alcol, juke sessuale di Leila: manufatti di pietra, box e risse, i salotti culturali, con il suo immobili, antichi.