P R E F A Z IO NE

Questo libro, che non ha precedenti del genere, sarà, credo, letto con avidità curiosa. Tutti i Papi, da San Pietro a Pio XI, son qui fermati, passati in rassegna e mostrati ai lettori, attraverso quelli che 'furono i tratti caratteristici della vita di ciascuno di essi. I modi e le attitudini, i detti, gli aneddoti di ogni Pontefice son qui raccolti a segnare e fermare la particolare e ben distinta personalità di ciascuno di essi. Prospero Merimée ha giustamente detto che della storia egli non amava che l'aneddoto. E l'aneddoto, infatti, illumina tempi e avvenimenti, ravviva figure, fa risaltare caratteri, scolpisce persone. L'aneddoto è la realtà vivente nella storia : è l'istantanea delle persone. Ogni Pontefice è stato qui fissato attraverso la istantanea dell'aneddoto e la realtà vivente de' particolari suoi tratti caratteristici. È questo libro, per ciò, oltre che di gustosa e sana lettura istruttiva, libro anche di utile e valido ausilio alla storia. Ho detto della storia : della storia da Cristo in poi, perchè la figura di ogni Pontefice campeggia e grandeggia nel tempo che fu suo, da San Pietro a Pio XI, felicemente regnante. Questo libro è di continua e non passeggera o caduca attualità : curioso e interessante ed istruttivo oggi come lo sarà domani, perchè le grandi figure che richiama e illustra sono sempre presenti e scritte in ogni pagina della storia. La figura dei Pontefici dei primi tempi risulta necessariamente, per mancanza o incertezza di documenti, meno delineata e precisata di quella degli altri Papi seguenti, sui quali splende la piena luce della storia e dei documenti. Mi preme aggiungere ed avvertire che la scelta della materia è stata fatta sopra gli autori di più sicura fedeltà storica e che in essa sono sempre stato guidato e condotto dalla più sincera devozione alla Chiesa. Il volume che avrebbe potuto essere di maggior mole è stato volutamente contenuto nei limiti che gli consentono di essere libro di accessibile, utile e piacevole lettura. FRANCESCO ZANETTI.

SAN PIETRO APOSTOLO - PONT. I Di Betsaida in Galilea – Principe degli Apostoli (La Chiesa celebrò il XVIII centenario del giorno della morte di lui, ai 29 giugno 1867, sedette sulla Cattedra Romana anni 25, mesi 2, giorni 7) Tiberio, Claudio, Caligola,Nerone Imp.

Era nato in Betsaida. Sul lago di Genezaret, e aveva nome Simone; ma Gesù., chiamandolo, gli cambiò il nome dicendogli: “Tu sei Simone, figlio di Iona: sarai chiamato Cefa: che vuol dire pietra”. Subito tra i dodici apostoli ebbe una posizione preminente, e Gesù, circa un anno prima della sua crocifissione, gli affidava la cura di tutta la Chiesa dicendogli: “Tu sei Pietro e sopra questa pietra io edificherò la mia Chiesa; e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa. E io ti darò le chiavi del Regno dei Cieli, e tutto ciò che avrai legato in terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto in cielo”. Dopo l’Ascensione prende in mano l'autorità affidatagli dal Maestro, e dopo la Pentecoste annunzia per il primo la gloria di Cristo. Perseguitato e imprigionato per le conversioni che operava di migliaia di persone, nel 34 si reca ad Antiochia. La missione di S. Pietro a Roma fu compita nell’ultima parte della sua vita. Soffrì il martirio sotto Nerone, e per quanto dubbia la data della sua morte, si accosta maggiormente alla verità ponendola tra il luglio del 64 ed il principio del 68. Il luogo del martirio fu lo stesso di quello della sepoltura sulla quale venne dapprima eretta una « memoria », poi la Basilica Costantiniana, diventata Basilica Vaticana. Di Pietro come Principe degli Apostoli, e come Capo eletto di tutta la Chiesa, parlano ad una voce tutte le tradizioni storiche e monumentali, tutti i Padri dell'età apostolica, e dei primi secoli della cristianità. Clemente Romano (90-100), collaboratore di Pietro nella lettera ai Corinti, Ignazio Vescovo di Antiochia (117), nella lettera ai Romani, collocano S. Pietro al primo posto .per provare la di lui dignità prevalente sugli altri. San Giovanni Crisostomo lo chiama: Vaso Apostolico: bocca di tutti gli Aposti, testa e capo di quella S. Famiglia, prefetto di tutto il mondo, salda pietra della fede, fondamento della Chiesa. Il primo atto di autorità di S. Pietro, e potrebbe dirsi il primo atto di autorità pontificia, fu quello compiuto da lui dopo l'Ascensione, mentre gli Apostoli erano riuniti nel Cenacolo in attesa dello Spirito Snnto, col precedere a rimpiazzare Giuda nel collegio dei Dodici e col pronunziare la prima allocuzione Concistoriale con la nomina di un Apostolo. Il soggiorno e il martirio di S. Pietro a Roma, per antichi, scrittori ecclesiastici e per le recenti rivelazioni dell'archeologia, sono ormai fatti stabiliti e fuori di ogni contestazione. Al tempo della venuta di S. Pietro a Roma vi erano circa 60 mila ebrei e 9 sinagoghe conosciute. Verso la fine del Pontificato di S. Pietro, il 19 luglio 64, nella notte, dalla parte Pdi taPor Capena, scoppiò il famoso incendio che durò 9 giorni. Delle 14 regioni di Roma 4 scamparono all’incendio, 3 rimasero distrutte e le altre 7 furono un cumulo di rovine. Una delle cause, si dice, che avrebbero determinato Nerone a punire Pietro con la morte, sarebbe stata la vittoria di Pietro su Simon Mago, che, levatosi a volo per arte diabolica e per una sfida lanciata al Principe degli Apostoli, sarebbe caduto al suolo per le preghiere di Pietro, fracassandosi le gambe. Quando Simon Mago, ambizioso di compiere pur esso i miracoli che vedeva compiersi da S. Pietro, gli offerse dei denari, pensando che col denaro sì potesse acquistare tale virtù. S. Pietro gli rispose: “Che il tuo danaro sia teco in perdizione!” Cedendo S. Pietro alle preghiere dei fedeli risolvette di allontanarsi da Roma per sfuggire la persecuzione. Ma come fu fuori di una porta della città si incontrò con Gesù che veniva verso di lui. E Pietro gli domandò: “Signore, dove vai?” E il Signore rispose: “Vado a Roma, per essere crocifisso un'altra volta!”. E allora Cristo disparve, lasciando Pietro in lacrime; e comprendendo questi essere venuta l’ora del martirio, tornò a Roma e vi fu crocifisso. Fuggendo dal Carcere Mamertino, sulla Via Nova, davanti alle Terme Antoniane, perdette una fasciola che aveva a uno stinco, ferito dalle catene della prigione. La chiesa che sorse in quel luogo fu detta, perciò « in Fasciola ». Distaccandosi, prima del martirio, San Paolo gli disse: “Pace a Te, fondamento della Chiesa e pastore degli agnelli e delle pecore di Cristo”. “Va – rispose S. Pietro – va in pace, predicatore dei buoni, capo dei giusti e mediatore della salute”. Parecchi autori dicono che mentre San Pietro predicava in Antiochia, fosse tosato per dispregio e scherno e che avesse quindi di qui origine la chierica degli ecclesiastici: ma la notizia non regge alla critica. Dei 35 anni di pontificato tre li passò specialmente a Gerusalemme; sette tenendo la cattedra in Antiochia, e gli altri 25 a Roma. Le persecuzioni contro i cristiani, iniziate sotto Nerone, si possono ridurre a 13: la prima sotto Nerone; la seconda sotto Domiziano; la terza sotto Traiano; la quarta sotto Adriano; la quinta sotto Antonino; la sesta sotto Marco Aurelio; la settima sotto Settimio Severo; l'ottava sotto Massimino; la nona sotto Decio; la decima sotto Gallo e Volusiano; l'undicesima sotto Valeriano e Gallieno; la dodicesima sotto Aureliano; la tredicesima, la più feroce di tutte, sotto Diocleziano E Massimiano. L'obelisco che ora è sulla Piazza di S. Pietro vide il martirio di S. Pietro e di altri martiri dati da Nerone alle bestie e accesi nei suoi giardini come torcie. Oggi vede l'esaltazione di quei martiri, il sepolcro venerato di Pietro e la sede del suo Successore. L'èra volgare, ossia la maniera di contare gli anni d. Cr., risale al VI sec, e fu introdotta in Italia dal monaco scita Dionigi - detto il Piccolo, per la sua statura - poi prete della Chiesa Romana, ma non venne in Occidente generalmente seguita rate ai tempi di Carlo Magno. L'opinione dei dotti è che egli si sia nel computo ingannato di 4 anni, perché essa incomincerebbe l’anno 4004 del mondo, 754 di Roma, mentre la nascita di Gesù Cristo si pone all’anno 4000 del mondo, cioè 4 anni prima. Gesù Cristo sarebbe morto l’anno 29 dell’era volgare e 33 di età sua e S. Pietro l’anno 67 dell’era volgare, 71 dalla nascita di Cristo. Altri riducono invece la differenza ad un solo anno. « Era S. Pietro alto di statura, e giusto e dritto, ma gracile, di volto bianco e scolorito: i capelli e i peli della barba li aveva folti e ricci, e calvo nel mezzo del capo verso la fronte: gli occhi neri, ma rossi attorno e sanguigni, pel continuo piangere, le ciglia inarcate, il naso lungo e curvo, piuttosto fino e schiacciato ». Dopo il fallo della negazione del Maestro, cosi amaramente sempre pianse per tutta la vita il suo peccato, che gli rimasero due solchi, sulle gote. « Non mangiava che radici ed erbe di spiacevole sapore e lupini tranne in certe occasioni in cui si cibò di ciò che gli venne dato ». Circa l’età di S. Pietro lo Stenghelio dice che morì di 86 anni a detta di Santorio di 80, secondo Euschenio di 67. Il martirio avvenne 64 anni dopo la nascita di Cristo secondo l’Aubè, il Dufoureq, il Duchesne: nel 65 secondo Epifanio: nel 66 secondo Zefirino Papa e DionigiVescovo, nel 67 secondo Patrizi, Bartolini, Marucchi. Allava, nel 69 secondo Baronio, Sangallo, De Novaes. E’ quasi sempre rappresentato con in mano le chiavi: qualche volta nell'atto di entrare o uscire da una barca, oppure seduto in cattedra, simbolo della suprema dignità Pontificia.

SAN LINO - PONT. II di Volterra – Martire (67 – 78) Nerone, Galba, Vitellio, Ottone, Vespasiano Imp.

Nato a Volterra, trovandosi per gli studi a Roma, fu convertito da San Pietro del quale diventò zelante coadiutore e suo Vicario quando San Pietro si assentava da Roma. Pontificò 11 anni, 3 mesi e 12 giorni. Nei tempi difficili in cui si svolse il suo Pontificato, dimostrò le alte doti di mente e le grandi virtù delle quali era adorno. Morì martirizzato per ordine del Console Saturnino. Fu sepolto nel Vaticano, presso il corpo di San Pietro. Gentile di nascita, era figlio di Ercolano, della illustre famiglia de' Mauri. Il Guarnacci dice che dalla famiglia de' Mauri venne la Morosina di Venezia e la Morigia di Milano. Una tradizione viva nella sua città natale dice che a 22 anni lasciò Volterra andando a studiare a Roma, ospite di S. Fabio, amico del padre. A Roma si incontrò con S. Pietro e diventò amico di S. Paolo che lo nomina in una Epistola (1I Tim., IV, 21). Fu designato a succedere a S. Pietro perchè era magnus plebique gratus e gli successe all'indomani del martirio. Il Pontificato di S. Lino si svolse in tempi turbinosi e sotto cinque imperatori: Nerone, Galba, Ottone, Vitellio e Vespasiano. Fu testimone di due terribili esempi della vendetta divina: la morte di Nerone e la distruzione di Gerusalemme. Durante il suo Pontificato scoppiò un grande contagio per il quale morivano sino a 10 mila persone al giorno. Vide la fine della persecuzione che terminò con la morte di Nerone nel 68. L'anno seguente cominciò la dinastia dei Flavi che fu, fino a Domiziano nel 95, un'era di tranquillità per la Chiesa. È il primo Papa italiano. Nel Liber Pontificalis è detto che S. Lino mantenne gli ordini e le regole stabilite da S. Pietro e che, specialmente, proibì alle donne, come aveva fatto l'Apostolo, d'entrare in chiesa senza velo in testa. Si attribuisce a S. Lino l'istituzione del Pallio Pontificale. Scomunicò gli eretici Meandriani che difendevano i Nicolaiti i quali pretendevano che tutte le cose fra i cristiani dovessero essere in comune: compreso le donne. Fece due ordinazioni, nel mese di Dicembre, creando 15 Vescovi e 18 preti. L'ordine del suo martirio, avvenuto sotto Vespasiano, fu dato dal Console Saturnino la cui figlia S. Lino aveva liberato dalle vessazioni del demonio. Fu sepolto iuxta corpus Beati Petri. Quando si scavarono le fondamenta per il grande baldacchino di bronzo alla Confessione, si trovò una tomba con questa semplice iscrizione: Linus. Il De Rossi dice che essa non lascia dubbio, sulla personalità di Lino, successore di S. Pietro. Nella antica iconografia è spesso rappresentato mentre risuscita un morto. Nel Liber Pontificalis compilato sul principio del sec. VI, la nota: « sepultus est iuxta corpus beati Petri in Vaticano » vienne aggiunta ai nomi di Lino, Cleto, Anacleto, Evaristo, Sisto, Telesforo, Igino, Pio 1, Eleutero e Vittore, vale a dire a tutti i pontefici che hanno governato la chiesa sino al 197 dopo Cristo.

SAN CLETO - PONT. III Martire – figlio di Emiliano – romano del Vico Patricio – (78 – 90) Vespasiano, Tito, Domiziano Imp.

Cleto, cittadino romano e figliuolo di Euriliano è il terzo Papa, venendo subito dopo S. Lino, successore immediato di S. Pietro. Fu eletto Pontefice contro sua volontà, il 24 settembre dell'anno 80 e governò la Chiesa per dodici anni, durante i regni degli imperatori Vespasiano, Tito e Domiziano. Morì di martirio nella persecuzione di Domiziano e fu sepolto presso il Corpo, di San Pietro. E’ questione, tra i critici, se, S. Cleto, sia realmente esistito, ovvero si confonda con Sant'Anacleto: ma a detta del Moroni: “Si dilungano dalla verità perché i nomi, le patrie, i genitori e le opere di questi Papi sono diversi”. E di tale parere è la maggioranza degli storici. Durante il pontificato una peste fierissima e altri malanni colpirono Roma: e il Pontefice tutti sovvenne con la carità: convertì in chiesa la propria casa, aggiungendovi un ospedale per i pellegrini. Divise Roma in 25 parrocchie mettendo capo di esse altrettanti sacerdoti ed è questa l'origine dei titoli. Fu il primo Pontefice ad usare la formula: “Salute ed apostolica benedizione”. Istituì la visita alle chiese e soleva dire essere meglio visitare una volta San Pietro che digiunare due giorni. Nel tempo del suo Pontificato furono martirizzati Apostoli San Giuda, Filippo e Simone. Il Liber. Pontificalis loda la saggezza dei suoi Provvedimenti. Sotto il suo pontificato avvenne la famosa eruzione del Vesuvio e la distruzione di Ercolano e Pompei. I frati Crociferi, fin dalla primitiva Chiesa, pretendevano, di aver per fondatore il Pontefice S. Cleto. Durante il suo pontificato scoppiò un grave incendio in Roma che distrusse bagni, teatri, templi e la biblioteca d'Augusto. Gli scrittori ecclesiastici più accreditati assegnano a Cleto 12 anni di pontificato. E’ il primo papa romano. E' patrono di Ruvo di Puglia.

SAN CLEMENTE I- PONT. IV Romano - Martire (90 - 100) Domiziano, Nerva, Traiano Imp. (Sec. I)

Era nato a Roma, di nobile famiglia, figlio di un Faustino della Regione del Celio. Grande fu il zelo nel Ministero Applico, e nell'affermare la suprema giurisdizione del Vescovo di Roma su tutta la Chiesa. Sedette sulla Cattedra San Pietro, 9 anni, 2 mesi e 10 giorni. Secondo qualche autore la sua famiglia era imparentata coi Cesari. Il Liber Pontificalis lo dice figlio di Faustino, che abitava nell’aristocratico quartiere del Celio. Eucherio lo dice di: “vetusta prosapia di senatori e di stirpe cesarea”. Discepolo; di S. Pietro, era stato da lui, come afferma Teurtulliano, ordinato Sacerdote: e per il fatto di aver conosciuto personalmente e aver conversato con gli Apostoli Pietro e Paolo, di grande autorità. Fu nominato dopo 20 giorni dalla morte di S. Cleto. Godeva grande considerazione, anche per la tua nascita, nella Corte imperiale e Clemente si valse di questa sua influenza per convertire persone che attorniavano l'Imperatore Domiziano, e cioè Flavio Clemente, cugino dell'Imperatore e Flavia Domitilla sua moglie, Acilio Glabrione, Sisinnio con la moglie Teodora, Taurino ed altri. La figura di Papa Clemente ha una specialissima importanza storica perchè in una famosa lettera da lui diretta ai Corinti, fra i quali erano avvenuti dissensi di carattere religioso, egli, riportandosi al mandato ricevuto dall'Apostolo, afferma, per la prima volta solennemente, come successore di S. Pietro, la suprema potestà del Vescovo di Roma in tutta la Chiesa. Così consacrò per sempre il diritto che hanno Roma e i suoi Pontefici di fare atto di autorità in ogni questione che minaccia di dividere la cristianità. La sua lettera a Corinti può considerarsi la prima pagina del Bollario dei Papi. San Clemente, testimone di veduta, parla nella lettera ai Corinti del martirio di S. Pietro e di S. Paolo a Roma. Clemente d'Alessandria chiama S. Clemente: “l'uomo apostolico” . Ripartì da Roma in 7 regioni ecclesiastiche, ordinando che sette notai raccogliessero gli atti e le gesta dei confessori di Cristo. Prescrisse con leggi, le sacre vesti e i paramenti delle messe e diede ai Vescovi alcune insegne. Sua, si dice, l’introduzione nella messa di quel soave: Dominus vobiscum che è saluto fraterno, augurio di pace e promessa di salvezza. Si afferma da qualche autore che l'origine dei flabelli risalga a S. Clemente perchè, mentre egli celebrava la messa due diaconi ai lati dell'altare tenevano e agitavano due flabelli, costituiti da tenui membrane e da penne di pavone per impedire che le mosche cadessero nel calice. In seguito ad una sedizione popolare fu condotto davanti al prefetto di Roma ed esiliato in Crimea. Là trovò più di duemila cristiani, anch'essi condannati alle cave di marmo: il giorno Clemente lavorava con essi, e di sera li radunava confortandoli nella fede. Per punirlo del suo zelo fu portato in alto mare e con un’àncora al collo gettato nell’acqua. Il suo corpo raccolto dai fedeli fu più tardi portato a Roma e sepolto nella sua chiesa che sorge ove era stata la sua casa. La leggenda dice che Traiano, per vendicarsi di lui che aveva fatto scaturire una fonte per cui duemila cristiani non morirono di sete, ordinò che Clemente fosse gettato in mare con un'àncora al collo e che gli Angeli gli facessero come una tomba sulle onde e ne riportassero ai fedeli il corpo, a riva. Un’altra leggenda racconta che appena il corpo del Pontefice martire fu affondato nelle onde con l’àncora, i fedeli dalla riva pregarono il Signore perché mostrasse loro dove era caduto il corpo. Ed allora il mare si ritirò per tre miglia dalla riva ed essi poterono a piedi asciutti recarsi sino al luogo ove il corpo giaceva. E videro un tempietto di marmo con entro un’arca di marmo, che conteneva le sacre spoglie; e vicina era lucente l'àncora del martirio. Da quel tempo, ogni anno, nel giorno del martirio il mare si ritirava nello stesso modo per una settimana e permetteva ai fedeli di recarsi ad onorare il martire nel suo tempio miracoloso in fondo al mare. E’ rappresentato con un'àncora, in memoria del suo martirio ed è il patrono dei barcaioli di Bruges.

S. ANACLETO - PONT. V D'Atene – martire (100 - 112) Traiano Imp.

E’ detto d'Atene; e, venuto a Roma, fu convertito da San Pietro e da lui ordinato. Fu zelantissimo e prescrisse regole di culto. Morì di martirio e fu sepolto presso San Pietro. L’Hergenrother, il bollandista De Swedt ed altri credono che questo Papa sia la medesima persona di Cleto; ma il Breviario Romano, il Liber Pontificalis, il Catalogo Liberiano, il Carmen contra Marcionem e nel XVIII sec., il Cardinale Orsi, fanno succedere Cleto a Lino, ed Anacleto a Clemente I. Secondo il catalogo Liberiano Anacleto avrebbe Pontificato 12 anni e qualche mese, cioè dal 100 al 112. Malgrado la grande oscurità, nella quale trovasi la storia dei primi Vescovi di Roma, la fisonomia sua spirituale ci è conservata dalla tradizione che vanta la sua integrità, l'eccellenza del suo ingegno, la sapienza dei suoi ordinamenti. Proibì ai Vescovi e ai preti di portare i capelli lunghi. Prescrisse per la consacrazione dei Vescovi il concorso di tre prelati consacratori. Esigeva che tutti quelli che assistevano alla messa dovessero accostarsi alla Comunione, senza di che erano esclusi dai santi misteri. Ordinò che i martiri si seppellissero a parte nelle Catacombe. Fece erigere sulla tomba di S. Pietro una memoria : e così da Anacleto incomincia nella Chiesa il culto pubblico dei martiri. Questa memoria, che aveva attraversato due secoli di persecuzione senza essere distrutta, si vedeva ancora al tempo di Costantino, e fu rimpiazzata dalla grande basilica costantiniana. Vicino alla tomba dell'Apostolo, Anacleto fece anche preparare le tombe per la sepoltura dei suoi successori, e fu il primo ad esservi sepolto. Il Ghirlandaio figurò questo Pontefice nella Cappella Sistina in un affresco sulla parete destra.

S. EVARISTO - PONT. VI Di Betlemme – martire (112 - 121) Traiano, Adriano Imp.

Era greco, figlio di un ebreo di nome Guido di Betlemme nella Siria e diventò Papa durante il regno dell'imperatore Traiano. Curò il culto e la disciplina ecclesiastica con opportuni ordinamenti. Pontificò 9 anni, 7 mesi e 2 giorni e venne sepolto presso la tomba di S. Pietro. Di Sant'Evaristo. sesto Papa, restano importanti ordinamenti ecclesiastici.Divise amministrativamente i titoli della Chiesa di Roma e assegnò a ogni titolo un determinato prete per reggerlo. In questa organizzazione si è voluto vedere un primo delinearsi delle parrocchie con dei limiti precisi e una prima specie dei titoli cardinalizi. Secondo il Liber Pontificalis avrebbe ordinato che il Vescovo predicando dovesse essere assistito da 7 Diaconi e che ciò abbia fatto per difendere preventivamente i Vescovi contro le false allegazioni dei loro nemici, avendo vicino chi poteva testimoniare delle loro parole. Decretò anche che le nozze dovessero essere benedette dal Sacerdote. E’ ritenuto autore del rito della consacrazione delle chiese. Anche si vuole introducesse l'uso nei cristiani di tener l'acqua benedetta in casa. Durante il suo pontificato fu martirizzato col supplizio della croce, Simone Vescovo di Gerusalemme in età di 120 anni e Sant'lgnazio Vescovo di Antiochia sbranato dalle fiere nel Colosseo. Il libro Liber Pontificalis idi Anastasio dice che Evaristo “martirio, coronatus est” E’ rappresentato presso una cuna, perché essendo oriundo di Betlemme, lo si diceva nato presso la stalla della Natività.

S. ALESSANDRO I- PONT. VII Romano - martire (121 - 132) Adriano Imp.

Salito molto giovane alla suprema dignità della Chiesa si distinse per le sue virtù, perla sua bontà, per la sua erudizione. Era romano e di nobile famiglia. Consacrò 3 diaconi, 5 preti e 5 vescovi e stabilì importanti misure liturgiche. Morì nel 132 dopo aver governato la Chiesa 10 anni, 7 mesi e 8 giorni. Si vuole che Plinio il giovine e Plutarco siano stati gli educatori di questo Pontefice, nato di nobile famiglia romana della Regione: Caput Tauri, che era all'estremità dell'Esquilino: in extremis Esquiliis. In età giovane aveva senno di uomo maturo e però fu eletto giovanissimo al Pontificato: chi dice a 20 e chi a 30 anni. Il Platina, dicendo della sua elezione a Pontefice, avvenuta in giovane età, scrive che “Alessandro era giovine d'età, ma di costume vecchio”. Secondo il Duchesne, il Liber Pontificalis, avrebbe confuso il Papa Alessandro 1°, con il martire Alessandro, il quale con i suoi compagni Eventio e Teodolo furono sepolti a 7 miglia da Roma sulla Via Nomentana. Ma il Migne, 1'Audisio, il Platina e il Moroni non ravvisano questa confusione. Per quanto il Gregorovius lo dica sepolto sulla Via Nomentana, varie sono le opinioni e le tradizioni sul luogo della sepoltura: Parma, Tivoli e il Monastero di S. Dionigi in Francia ne vantano chi il corpo e chi le reliquie. Secondo il Ciaconio, Lucca ne ottenne il corpo dal Papa Alessandro II, il quale era stato Vescovo di quella città e gli eresse una chiesa ponendovi una iscrizione commemorativa di Alessandro I. La Porta Pia è dedicata, nella sua iscrizione, a S. Agnese e a Sant'Alessandro, perchè da quella porta si usciva per recarsi alle loro tombe. Gli atti di S. Alessandro dicono che compì grandi conversioni, specialmente nelle classi elevate e conquistò alla fede il Prefetto di Roma, Ermete, del quale aveva risuscitato la figlia. Ermete fu battezzato il giorno di Pasqua con sua moglie, sua sorella, i suoi figli e numerosi schiavi che gli appartenevano e che egli liberò. È al tempo di Papa S. Alessandro, che l'imperatore Traiano fece costruire il suo Foro e inalzò la famosa Colonna. Dal suo Pontificato datano importanti ordinanze liturgiche. Regolò il rito dell'acqua benedetta col miscuglio del sale e compose le formole liturgiche che ancora oggi si adoperano per questa benedizione. Ordinò di mescolare un poco di acqua nel vino del Santo Sacrifizio in memoria del sangue e dell'acqua che uscirono dal costato di Nostro Signore, con il colpo di lancia. Decretò che i Sacerdoti non celebrassero più di una messa al giorno. È protettore della città di Capo d'Istria.

SAN SISTO I - PONT. VIII Romano - martire (132 - 142) Adriano, Antonino Imp.

Romano della Regione di Via Lata successe nel 132 ad Alessandro, sulla Cattedra di S. Pietro. Si hanno poche notizie di lui, restando solo alcune disposizioni liturgiche. Unicamente preoccupato del bene del suo gregge coronò la vita col martirio nel 142, dopo aver governato la Chiesa 9 anni, 3 mesi e 21 giorni. Il padre di San Sisto, si chiamava Pastore, e però non è da escludersi che appartenesse alla gente di Giunio Pastore, nobilissima famiglia Romana. Di lui è detto che era di somma mansuetudine e di tale carità che soccorreva premurosamente i fedeli dei paesi più lontani. Ai cristiani della Gallia che chiedevano un capo, mandò il cittadino romano Pellegrino, il quale confermò quelle popolazioni nella fede e, ritornato a Roma, morì martirizzato sulla Via Appia, nel luogo detto ancora Quo Vadis? Durante il Pontificato di Sisto moriva l'imperatore Adriano (138) tra orribili dolori, lamentando che niuno né di ferro, nè di veleno s'inducesse a togliere la vita a lui che a tanti e sì prodi l'aveva tolta. Sisto I incontrò il martirio sotto Antonino Pio (142). Regolò con decreto il digiuno della quaresima, stabilito dagli Apostoli ad imitazione di quello di Gesù Cristo nel deserto. Il Liber Pontificalis gli attribuisce il decreto che vieta ai laici e specialmente alle donne di toccare i vasi sacri che servono alla Messa. E’ oggetto di discussione l'ordine che avrebbe emanato che nessun Vescovo chiamato a Roma potesse tornare alla sua sede senza presentare al popolo le lettere Apostoliche, chiamate Formatae, e ciò per evitare l'inganno degli eretici che si facevano credere in comunione con la Santa Sede. Fu prima sepolto presso S. Pietro e vi rimase fino al 1132. In quell'epoca Alife era infestata da una pestilenza e Rainulfo, conte di quel paese, domandò, per liberare la città dal flagello, il corpo di un Santo. E poichè in quel tempo nella Basilica Vaticana era caduto un trave che aveva guastato un altare, mettendo allo scoperto una cassetta che conteneva le ossa di S. Sisto I, il Papa Innocenzo II gliele concesse. La mula che trasportava le reliquie come fu giunta ad Alatri non volle più andare innanzi, sì che furono deposte in quella Cattedrale, a quelli d'Alife, dandosi un dito del Santo. Durante il Pontificato di Gregorio XIII nel 1584 dal Vescovo di Alatri Monsignor Ignazio Danti, fu accertato che il corpo di San Sisto I. è ad Alatri, mentre a Roma è il corpo di Papa S. Sisto II.

S. TELESFORO - PONT. IX Di Turio nella Magna Grecia - martire (142 - 154) Antonino Imp.

S. Telesforo è il nono Papa e il suo Pontificato si svolse sotto il regno dell'imperatore Antonino Pio. Poche notizie ci sono pervenute del suo Pontificato: si sa che fece quattro ordinazioni imponendo le mani a 13 Vescovi, 12 o 15 Preti e 8 Diaconi. Governò la Chiesa 11 anni, 2 mesi e 21 giorni, dando la vita per la fede. Fu sepolto nel Vaticano presso la tomba di San Pietro. Era di Turio in Calabria, e aveva passata gran parte della vita nel deserto con altri sacerdoti vivendo con regola austera. I carmelitani lo annoverano come uno dei loro, in grazia, appunto della sua origine eremitica o anacoretica. Il Liber Pontiitcalis, dice che fu questo Papa ad istituire il digiuno della quaresima, coordinando le antiche usanze al riguardo. Stabilì anche si celebrassero tre messe nella notte di Natale, e, secondo alcuni, avrebbe introdotto il Gloria in excelsis Deo nella messa. Erroneamente si fa autore di un libro di profezie che si conservava manoscritto a Venezia, perchè questo è opera di un altro Telesforo, romita, del 1386. Regolando il digiuno della quaresima stabilì che per gli ecclesiastici dovesse durare sette settimane. Durante il suo Pontificato il filosofo e martire S. Giustino, divulgò in Roma la sua prima apologia del Cristianesimo, ponendone in luce la dottrina e confutando le accuse ed i sofismi dei nemici. Fu sepolto in Vaticano vicino a S. Pietro. Il Martirologio Romano dice di lui: “Sub Antonino Pio, post multos labores, pro Christi confessione illustre martyrium duxit”. E’ raffigurato con un calice e tre ostie, appunto per la istituzione delle tre messe di Natale.

SANT' IGINO - PONT. X Greco - martire (154 - 158) Antonino Imp. Era greco: e appena eletto Pontefice si occupò del clero promovendone gli studi.

Riorganizzò la gerarchia stabilendone le precedenze. Creò 6 Vescovi, 15 Preti e 6 Diaconi. Morì nel 158 ed è generalmente detto martire. Si dice fosse Ateniese, che il padre fosse filosofo e che filosofo fosse egli stesso. Contro quelli che opinano la qualifica di filosofo essergli stata data erroneamente per omonomia con due autori latini, l'Audisio afferma che “fu filosofo vero, pastore, dottore, difensore massimo della greggia” e che “fortificò nel clero romano gli studi della cristiana sapienza già promossi da Clemente”. Tuttavia la personalità di questo Pontefice ci è poco nota. Sottopose più strettamente alla giurisdizione dei Vescovi i fabbricati delle chiese. Ordinò che nella cerimonia del battesimo assistessero il padrino e la madrina. Riorganizzò il clero gerarchicamente. Condannò le dottrine dell'eretico Cerdone, venuto nel tempo del suo Pontificato a Roma, il quale tra gli altri errori insegnava esservi due dei: uno buono ed autore di tutto il bene, l'altro cattivo e cagione di ogni male. Stabilì che gli oggetti che avessero una volta servito al culto, non potessero poi essere adoperati per usi profani. Il Duchesne, nella frase del Liber Pontìficalis: clerum compostili, distribuii gradus, vuol vedere l'istituzione degli Ordini minori dei quali ancora non s'era parlato. Ebbe un breve pontificato: 4 anni, 3 mesi e 4 giorni. Gli antichi storici, come Eusebio e S. Cipriano non lo fanno morire martire, perchè l'imperatore Antonino Pio, raffrenò la persecuzione contro i cristiani, in grazia specialmente delle orazioni apologetiche di Giustino.

SAN PIO I - PONT. XI Di aquileia - martire (158 - 167) Antonino, Marco Aurelio e Lucio Vero Imp.

Nato in Aquileia, successe nel 158 al Papa S. Igíno. Per quanto si abbiano poche notizie di lui, si sa che fu zelantissimo nel preservare i fedeli dal pericolo delle eresie che sorgevano, condannando gli eretici, Talentino, Cerdone e Marcione. Morì nel 167 e fu sepolto nel Vaticano. Era figlio di Rufino e si vuole fosse fratello di S. Ermete. Era di grande dolcezza e di grande semplicità. Alcuni lo annoverano fra i Canonici Regolari che in Roma, dice il Moroni: “vivevano uniti e si regolavano con leggi comuni”. Il Pontificato di S. Pio I, passò tutto intero sotto il regno di Antonino Pio, e fu un'epoca di tranquillità per il mondo. Sotto il suo Pontificato, mentre Roma era visitata dagli eretici, che egli condannava, venne il grande S. Giustino, detto il filosofo, il quale, insegnando le dottrine cattoliche, fu tra i primi a cooperare alla grande attività spiegata allora dalla Chiesa nel dimostrare la verità dei dogmi. Ad istanza di Santa Prassede, figlia del Senatore S. Pudente eresse nel palazzo dì lei, in cuì aveva soggiornato S. Pietro, un oratorio che porta il nome di Santa Pudenziana, sorella di S. Prassede. Un'antica pittura scoperta nel cimitero di Priscilla, ove coi loro genitori erano state deposte le sante vergini Prassede e Pudenziana, dà segno che l'una o l'altra o tutt'e due ricevessero il velo della verginità da S. Pio I. Confermò che in servizio solo delle chiese o dei poveri servissero le offerte e le possessioni consecrate dai fedeli e che si ricevessero e si battezzassero, ugualmente che i gentili, tutti coloro che venivano dalle sette giudaizzanti, le più avverse al Cristianesimo. Anche i più violenti detrattori confessano che Pio fu di vita santissima. Ebbe in gran pregio la purità e consacrò al Signore le vergini che ad esso si disposavano. Nel suo breve pontificato di 8 anni, 6 mesi e 3 giorni, consacrò 12 Vescovi, 18 preti. Mentre si sa che fu sepolto nel Vaticano presso la tomba di S. Pietro, nessun documento ci parla del genere della sua morte. Tuttavia la Chiesa lo considera come martire, e forse questo titolo lo ebbe per le aspre lotte da lui sostenute contro il fanatismo dei pagani. Anche Dante lo ritenne martire, facendo nel Paradiso (XXVII, 44-46) dire a S. Pietro: Ma per acquisto d'esto viver lieto E Sisto e Pio e Calisto ed Urbano, Sparser lo sangue dopo molto fleto. Giusto Fontanini scrisse la storia di questo Pontefice nella sua “Storia Letteraria di Aquileia”.

S. ANICETO - PONT. XII Di Emesa in Siria - Martire (... - 175) Marco Aurelio, Lucio Vero Imp. Incerta è la data della sua nascita. come quella della sua elezione.

Il fatto più importante del Pontificato di S. Aniceto fu la venuta a Roma di San Policarpo per la questione del giorno della celebrazione della Pasqua. Moriva di martirio nel 175. Al tempo di S. Aniceto erano in Roma gli eretici Valentino e Marcione, quest'ultimo chiamato da Tertulliano il vecchio lupo del Ponte e da S. Policarpo il primogenito di Satana. Eravi pure. venuto dall'Oriente, Egisippo, che può esser considerato il primo scrittore di Storia Ecclesiastica. Quando S. Policarpo Vescovo di Smirne venne a Roma, il Papa Aniceto gli fece accoglienze straordinarie e lo invitò a celebrare i Santi Misteri al suo posto, in sua presenza, nell'assemblea dei fedeli. Policarpo era infatti, l'unico sopravvivente dell'età Apostolica. Per quanto dopo aver discusso, S. Aniceto e S. Policarpo non si trovassero d'accordo circa il giorno della celebrazione della Pasqua, non riuscendo Aniceto a convincer Polìcarpo, partì in pace col Papa. La questione della Pasqua venne poi risolta da Papa S. Vittore I. Glì si attribuisce un decreto disciplinare che proibisce al clero di portare i capelli lunghi. Non si tratta qui della tonsura — che restò sino al VI secolo una insegna episcopale — ma della cura eccessiva della chioma. Non portava la barba, come pure non la portarono S. Calisto I. S. Stefano I e di poi quasi tutti i Pontefici fino a Giulio II. Dal suo epitaffio, contrariamente a quelli che dicono che fosse sepolto presso la tomba di S. Pietro, si deduce che il suo corpo fosse portato all'Arenaria di poi cimitero di S. Callisto. Presentemente il suo corpo sì venera nella Cappella del Palazzo Altemps, ora Collegio Spagnolo, ove venne trasferito nel 1604 a cura del Principe Giovanni Angelo, Duca Altemps, che l'ottenne da Clemente VIII. Quando Clemente VIII donò il corpo di Sant'Aniceto al Principe Gio. Angelo Duca Altemps, questi, in segno di gratitudine scrisse la vita del Santo in latino ed in italiano. L'urna nella quale è il corpo di S. Aniceto, aveva servito di sepolcro ad Alessandro Severo. S. Aniceto è quasi sempre figurato vicino a una ruota che la tradizione dice strumento del suo martirio. Ma nella Cappella Sistina, invece, è dipinto con glì abiti pontificali, il triregno e un libro in mano.

S. SOTERO - PONT. XIII Della Campania - Martire (... - 182) Marco Aurelio Imp.

Nativo di Fondi, nella Campania, era figlio di Concordio. Non è certo l'anno della sua esaltazione alla Cattedra di S. Pietro, che da alcuni viene fissata nel 174. Vegliò specialmente alla stretta osservanza della liturgia e fu largo di soccorsi alle chiese povere e ai cristiani condannati a lavorare nelle miniere. Durante il tempo nel quale governò la Chiesa impose le mani a i l Vescovi, 18 preti. Morì di martirio nel 182. San Sotero è il Papa della carità, tanto il suo cuore abbracciava tutti i fedeli. Sovvenne i cristiani di remotissimi luoghi, perseguitati ed esiliati ed a favore di questi e dei condannati a scavare metalli, faceva fare collette di questua. Anche í cristiani di Corinto sperimentarono la carità generosa del Papa Sotero, e il Vescovo di quella città S. Dionigi lo ringraziò con una lettera dalla quale appare che già nel 2° sec. le lettere dei Papi erano pubblicamente lette ai fedeli: « Noi abbiamo oggi celebrato -- scrive S. Dionigi al Papa — il santo giorno di Domenica e letta la tua lettera, e il medesimo faremo in appresso, e così di quella che ci fu scritta da Clemente: e in tal modo saremo abbondantemente provveduti dei migliori ammaestramenti. Il popolo di Roma molto amava Sotero per la sua grande affabilità. Predicando teneva avvinto l'uditorio, perchè era dotato di rara eloquenza. Accettando l'opinione del De Rossi che fissa il martirio di S. Cecilia nel 177, essa avvenne nel Pontificato di San Sotero. Stabilì che i sacerdoti dovessero celebrare la messa a digiuno, e non la interrompessero se non per grave necessità. Si parla di una proibizione da lui fatta ai monaci di toccare i lini sacri dell'altare e di offrire l'incenso in chiesa. Benchè la cosa sia molto dubbia, mostra, ad ogni modo, la grande distinzione che facevasi tra monaci e clero. I monaci che, da principio, non erano che laici solitari, sì dedicavano alla preghiera, nella solitudine e nella austerità per la propria santificazione. Invece il clero era esclusivamente destinato al servizio dell'altare. Più tardi, con S. Antonio, si unirono e costituirono la vita cenobitica, ma non avevano nulla a vedere con le attribuzioni del clero. È con S. Agostino che i monaci arrivarono al chiericato e furono ammessi a celebrare la messa e ad esercitare le diverse funzioni del ministero. E. Lacoste (Les Papes à travers les ages) dice che è durante il pontificato di S. Sotero che arrivò a Roma la strabiliante notizia che delle legioni, comandate dallo stesso imperatore erano state salvate, dalle preghiere dei soldati cristiani. La sostanza del fatto si riduce a questo: nella spedizione contro il popolo barbaro dei Quadi, per il caldo grandissimo le legioni si trovavano ormai vicine alla sconfitta, quando una pioggia caduta improvvisamente dal cielo ristorò le loro forze, mentre fulmini e grandine mettevano in fuga le orde dei barbari, così che i romani ebbero la vittoria. Tutti gli antichi — pagani e cristiani — attestano il fatto, ma mentre dai pagani è attribuito alle preghiere dell'imperatore a Mercurio aereo, i cristiani l'attribuirono alle preghiere della 12a legione detta di Melitene, composta di cristiani, detta Legio fulminatrix. Nella famosa colonna Antonina il bassorilievo che ricorda questo fatto, figura un Giove Pluvius che lascia cadere dai capelli, dalla barba, dalle braccia, da tutta la sua persona una pioggia salutare sui romani e sopra í barbari rovescia torrenti devastatori. Il Pontefice Sisto II, nel IX sec. trasportò dal Cimitero di S. Callisto, ov'era stato sepolto, il corpo di S. Sotero nella chiesa dei SS. Silvestro e Martino ai Monti. Da questa chiesa venne nuovamente trasferito in quella di San Sisto, sulla Via Appia. Nella Cappella Sistina vi è S. Sotero dipinto dal Botticelli.

SANT'ELEUTERIO - PONT. XIV Di Nicopoli nell'Epiro - Martire (... - 193) Commodo e Pertinace Imp.

Di origine greca, alcuni lo dicono di Nicopoli, nell'Albania, altri della Magna Grecia. Non è precisato l'anno della sua assunzione al Pontificato. Zelantissimo della propagazione della fede, mandò sacerdoti a portare la luce del Vangelo ai Bretoni. Morì nel 193 e fu sepolto presso il corpo di San Pietro. Ben poco la storia ci ha trasmesso di questo Papa. Ebbe il dolore di vedere la chiesa dilaniata da eresie, ma nel tempo stesso la gioia di vedere allargarsi la religione cristiana a Roma, ove molte persone illustri si convertirono. Potè goder la pace sotto Commodo. Il Pontificato di Eleuterio è celebre per una ambasciata che ricevette da un piccolo re dell'Inghilterra, Lucio. Questo Lucio scrisse al Papa di mandargli qualcuno per istruirlo insieme al popolo nella religione. Tale incarico fu dal Papa affidato a Fugazio e a Damiano che battezzarono il re e il suo popolo. Si può perciò considerare S. Lucio il primo re cristiano dell'Europa. Contro i giudaizzanti e i Manichei, i quali erano contrarii all'uso di mangiare la carne degli animali, Eleuterio emise un decreto col quale ordinava che nessun cristiano rifiutasse come illecito quel cibo. Gli si attribuisce un decreto con il quale si vietava di deporre chiunque dal suo ufficio senza che prima fosse convinto per reo: e ordinò anche che non si potesse pronunciare sentenza di condanna in assenza del reo stesso. Durante il suo pontificato infierì a Roma sì grande pestilenza che morirono sino a due mila persone al giorno. Al suo tempo — con Commodo imperatore, la cui malvagia vita fu un flagello della città di Roma -- il Campidoglio fu tocco dal fuoco celeste, ed arse tutto insieme con quella gran libreria, con tanta cura di quegli antichi raccolta. Un altro incendio poco appresso bruciò e pose a terra il tempio di Vesta e il Palazzo, con buona parte della città. Anche ad Eleuterio, benchè non si sappia se tale sia morto, si dà il titolo di martire, come a tutti i Papi dei tre primi secoli. Sotto il regno del filosofo Marco Aurelio fu versato più sangue cristiano che nelle tempeste violente, ma brevi di Nerone e Domiziano!

SAN VITTORE I - PONT. XV Africano - Martire (193 - 203) Didio Giuliano e Settimio Imp.

Africano, figlio di Felice, splendendo delle virtù più belle fu creduto degno di succedere ad Eleuterio. Sì oppose con vigore ed energia alle eresie scomunicandone gli autori; governò la chiesa 10 anni, morì di martirio e fu sepolto nel Vaticano presso il corpo di San Pietro. Con S. Vittore I si chiude il 2°secolo dell'era cristiana. Il suo pontificato vide la fine del regno di Commodo, l'elevazione e la rapida caduta di Pertinace e i primi anni del regno di Settimio Severo. A San Vittore I spetta il merito di aver decisa la questione del giorno della celebrazione della Pasqua. A tal uopo ordinò che fossero convocati dei concilii in tutte le diverse chiese, tenendo egli stesso, per primo nel 196 un Concilio, a Roma. Il Papa voleva scomunicare i Vescovi dell'Asia Minore che non avevano accettato la sua decisione, ma poi non mandò ad effetto la minaccia. Nel III secolo la celebrazione della Pasqua, secondo l'uso Romano, diventò universale nella chiesa. Tenne diversi Concilii a Roma nei quali scomunicò gli eretici Teodato, Casario, conciatore di pelli di Bisanzio, Ebione, Artemone, Valentino e Prassea. Dichiarò che ogni qualunque acqua naturale può servire al battesimo, quando lo richieda la necessità. Stabilì che nessun Vescovo possa esser giudicato dai suoi eguali nell'Episcopato, ma la causa debba essere deferita alla S. Sede, che sola ha il diritto di giudicare e di definire questi conflitti. Nicolò I disse di lui : « Veramente Vittore — vincitore — perchè martire per l'ecclesiastica tradizione ». San Gerolamo annovera Vittore tra i primi Padri della Chiesa Latina. Nei Philosophumena si legge che Marcia, sposa morganatica di Commodo e favorevole ai Cristiani, si fece dare dal Papa Vittore la lista dei fedeli condannati alle cave di Sardegna. Essa ottenne per quelli la grazia dall'Imperatore e mandò a cercarli il prete Giacinto. E Giacinto non solo ricondusse i confessori ufficialmente designati, ma anche Callisto, il futuro Papa, secondo successore di S. Vittore, il cui nome non era stato compreso nella lista. Il Ghirlandaio ha dipinto S. Vittore, in abiti pontificali, nella Cappella Sistina.

S. ZEFIRINO - PONT. XVi Romano - Martire (203 - 221) Severo, Caracolla e Geta, Macrino, Eliogabalo Imp.

Romano, figlio di Abondìo, per la sua virtù e prudenza meritò di succedere a Vittore I. Diligentissimo nel mantenere la purezza della fede e la disciplina del clero fu severo contro gli eretici e diede saggi ordinamenti al clero. Nel suo Pontificato infuriò la terribile persecuzione di Settimio Severo. Pontificò 17 anni. Prima della sua elevazione al Pontificato poco si sa di lui e pochissime sono le notizie personali su questo Pontefice. La persecuzione scatenata da Settimio Severo, fece, durante il suo pontificato, migliaia di martiri, ma la chiesa si cinse di gloria novella. Durante l'infuriare della persecuzione si tenne nascosto, e non sortì dal suo ritiro che per ricevere Origene che veniva pellegrino a Roma a rendere omaggio alla Sede di Pietro.Dice Tertulliano che nella persecuzione di Settimio Severo, i cristiani erano legati ai tronchi ed alle croci, i fianchi scarnificati dai ferri, decollati, gettati alle fiere, arsi dalle fiamme. Fu tale la veemenza della persecuzione che si credette imminente la fine del mondo. Zefirino vide venire a Roma in gran pompa un re cristiano, Abgar IX, re di Edessa, che arrivò con grande scorta a rendere omaggio a Settimio Severo. Il regno di Abgar era stato evangelizzato dai primi tempi e contava un certo numero di chiese. Questo re difendeva la Chiesa e i Cristiani. Il suo successore, Abgar X, fu, per reazione pagana di Caracalla, arrestato e i suoi figli condotti ostaggi a Roma. Ricevette molte offerte, ma caritatevole le dispensò generosamente per le necessità di Roma e di fuori e per l'abbellimento delle Catacombe delle quali aveva dato la cura e l'amministrazione al suo Diacono Callisto, poi Papa, che godeva tutta la sua fiducia. Proibì ai sacerdoti di usare calici di legno, che per povertà usavansi, perchè essendo di materia porosa non si potevano ben purificare del sangue consacrato. Ad essi si sostituirono quelli di vetro che più tardi, per la loro fragilità abbandonati, furono sostituiti da quelli di metallo prezioso. Determinò date fisse per le sacre ordinazioni. Si afferma da qualche autore che Zefirino si intitolò: “Pontifex Maximus, Episcopus episcoporum”. Così, ad ogni modo, lo chiama Tertulliano, già diventato eretico montanista. Aveva una grande devozione per la Eucarestia e ordinò la Comunione Pasquale a tutti i fedeli, a partire dall'età della pubertà. Per questa sua devozione, e per il decreto di proibizione dei calici di legno, è figurato con una pisside in mano. Ebbe il dolore di vedere Tertulliano, da difensore intrepido del cristianesimo, diventare eretico; ciò che spiega le invettive di Tertulliano contro Zefirino accusato d'ignoranza. Zefirino è il primo Papa sepolto nel cimitero di San Callisto. Un suo ritratto, della scuola del Botticelli, è dipinto nella Cappella Sistina. S. CALLISTO - PONT. XVII Romano - Martire (221 - 227) Eliogabalo, Alessandro Severo Imp

Successe a Papa S. Zefirino, del quale godeva la piena fiducia ed era primo Diacono. Virtuoso e prudente dedicò ogni cura al bene della Chiesa. Morì martire, gettato in un pozzo, dopo aver governato la Chiesa cinque anni, 2 mesi e 10 giorni, e consacrato 8 Vescovi, 16 Preti e 4 Diaconi. La vita di S. Callisto fu molto movimentata per le sue disavventure finanziarie. Nato di umile condizione, in Trastevere, fu, secondo il De Rossi, da principio servo di un cristiano chiamato Carpoforo, addetto alla casa imperiale. Carpoforo lo mise a capo di una banca da lui organizzata, ma gli affari andarono male, per una manovra, pare, degli ebrei che allora, come sempre, aspiravano al monopolio delle imprese finanziarie. Arrestato e denunciato dagli ebrei come cristiano fu condannato ai lavori forzati in Sardegna, insula nociva, famosa per le sue cave. Quando, per l'intromissione di Marcia, con altri cristiani, tornò a Roma, fu mandato ad Anzio e ciò, pare, per le prevenzioni che si avevano contro di lui, per le sue disavventure finanziarie. Ammaestrato dalle avversità e già pratico nella amministrazione degli affari, fu di grande aiuto a Zefiríno che lo mise a capo dell'amministrazione cimiteriale. In questa qualità egli dovette certamente, più di una volta, essere intermediario tra lo stato e la comunità cristiana e pare, anzi, che abbia fatto iscrivere questa associazione tra le altre corporazioni riconosciute, sopra i registri della Prefettura Urbana. Fu Papa, mentre Eliogabalo, imperatore si abbandonava alle più turpi vergogne. I soli autori del III secolo che parlano di S. Callisto, sono i suoi avversari Ippolito e Tertulliano. Callisto diede il proprio nome al cimitero della Via Appia che aveva amministrato sotto Papa Zefirino e che da allora sino al tempo della pace fu il cimitero dei Papi: egli però non fu accolto nella storica cripta. A Papa S. Callisto si deve la erezione della Chiesa di S. Maria in Trastevere, che si vuole la prima chiesa dedicata alla Beata Vergine. E fu detta ad Fontem olei, dalla fonte d'olio, che, secondo la tradizione, scaturì in quel luogo per un giorno intero, quando nacque Nostro Signore. Si dice che egli abbia di nuovo ordinato: che i sacerdoti contraessero con gli ordini sacri l'obbligo di continenza e dovessero vivere in celibato. Che il matrimonio non potesse essere celebrato fra parenti. Che si facesse il digiuno delle Quattro Tempora, ordinato dagli Apostoli, e caduto in disuso. La fine violenta di S. Callisto fu determinata da una sommossa popolare in odio al nome cristiano. Buttato da una finestra della sua casa in Trastevere in un pozzo, vi fu lapidato. Anche il De Rossi pensa che più che a una condanna regolare, il martirio si debba a una sollevazione anticristiana del popolo. Dall'essere stato Callisto nella banca di Carpoforo, se n'è tratto motivo per dire che un banchiere diventò Papa. Dalle Catacombe di S. Calepodio, sulla Via Aurelia, ove fu sepolto, più tardi il corpo fu portato nella Basilica di S. Maria in Trastevere. Viene rappresentato con una pietra al collo. Nella chiesa di S. Callisto si vede ancora il pozzo nel quale fu gettato. E’ dipinto da Fra Diamante nella Cappella Sistina.

S. URBANO I - PONT. XVIII Romano - Martire (227 - 233) Alessandro Severo Imp.

Nobile, romano, figlio di Ponziano, successe a Callisto I nel 227. Godendo la Chiesa relativa tranquillità aumentò il numero dei cristiani. Di lui si ricordano parecchi ordinamenti liturgici. Il suo Pontificato durò 6 anni, 7 mesi e 4 giorni. Molti confondono Urbano I, con il Vescovo Urbano che amministrò il battesimo a Valeriano, sposo di Santa Cecilia e che a quest'ultima diede sepoltura, ma dagli atti dei martiri è facile dedurre che S. Cecilia non viveva più al tempo del di lui Pontificato. Ai vasi sacri di vetro, invece di quelli di legno che aveva proibito S. Zefirino, Urbano ordinò sì sostituissero i calici e i vasi di argento, ed egli stesso offerse 25 patene d'argento ai diversi titoli - oggi si direbbero parrocchie -- di Roma. Queste patene, di grandi dimensioni, servivano per ricevere i pani che i fedeli portavano alla messa. Interrogato da S. Bonifacio, vescovo e martire, se fosse lecito consacrare con i vasi di legno, avrebbe risposto: « Anticamente, ì sacerdoti d'oro, adoperavano i calici di legno; oggi, al contrario, i sacerdoti di legno, usano i calici d'oro ». Ordinò che i battezzati ricevessero la Cresima dalla mano soltanto dei Vescovi, per cui alcuni eretici moderni scioccamente argomentarono avere istituito il Sacramento della Confermazione, essendo noto che questo è tanto più antico dì Urbano I, quanto lo sono più dì lui Gesù Cristo e gli Apostoli. Le Catacombe sulla Via Appia, come tutte le altre di Roma, non furono mai comuni ai pagani, come qualcuno erroneamente affermò: onde il Mabillon ha potuto scrivere con tutta verità: « il loro vicendevole orrore che non avrebbe tollerato la comunanza dei sepolcri, ne fà sicuri che cimiteri esclusivamente cristiani erano le Catacombe ». Il Pontificato di Urbano fu turbato dalla lotta dell'antipapa Ippolito. Una leggenda racconta che essendo Urbano condotto dinnanzi all'idolo perchè bruciasse l'incenso, domandò che lo lasciassero pregare un istante. E subito, mentre pregava, l'idolo cadde in frantumi e improvvisamente morirono i ventidue Sacerdoti che ministravano il sacrificio. Poco si sa della sua morte, per quanto abbia il titolo di martire. Ciò che è certo è che fu sepolto nel Cimitero di San Callisto nella cripta dei Papi.

S. PONZIANO - PONT. XIX Romano - Martire (233 - 238) Alessandro Severo, Massimino Imp.

Era Romano e figlio di Calpurnio. Poche notizie si hanno di lui, sapendosi che durante la persecuzione di Massimino fu esiliato in Sardegna ove morì di stenti e di patimenti. Aveva governato la Chiesa 5 anni, 2 mesi e 2 giorni. È il primo Papa che rinuncia al Pontificato. Il « Catalogo Liberiano » lo dice discintus, alludendo alla abdicazione che egli fece, durante la sua prigionia in Sardegna, della dignità Pontificia, dignità che venne assunta da Antero. Paul Alard nella Histoire des persecutions così spiega il motivo di questa risoluzione, strana specialmente in quei tempi, con la situazione sociale della Chiesa. “La Chiesa — dice — aveva adottato la forma corporativa come base dei suoi rapporti, con l'autorità civile. Essendo gli interessi materiali confidati al capo della comunità, grandemente aumentata, era necessario che lo stato avesse di fronte un amministratore responsabile, un capo che potesse parlare a nome dei suoi fratelli. E questa era una ragione per Ponziano, esule e prigioniero, di rinunziare”. Nella sua deportazione in Sardegna vi trovò l'antipapa Ippolito che, da lui persuaso, abiurò l'eresia e ricevette l'assoluzione, morendo tutti e due martiri. Il suo Pontificato, trascorse durante gli ultimi anni dell'impero di Alessandro Severo, quando i cristiani godettero un po' di pace, e l'impero di Massimino, durante il quale infierì un'altra crudele persecuzione. Il Papa Fabiano ne portò il corpo a Roma deponendolo nel cimitero di S. Callisto, nella cripta papale.

S. ANTERO - PONT. XX Della Magna Grecia - Martire (238 - 239) Massimino, I due Gordiani, Pupieno, Balbino, Gordiano III Imp. Fu nominato Pontefice in seguito alla rinuncia di Ponziano.

Nato in Policastro nella Calabria, viveva solitario in Sardegna quando fu fatto Papa. Il suo Pontificato fu brevissimo, e morì prima del Papa Ponziano che aveva rinunciato ed era tenuto prigioniero in Sardegna. Il Liber Pontificalis dice che fu messo a morte per aver fatto ricerche per stabilire la verità sul martirio dei fedeli che si dicevano morti per la fede. Ma questa pagina del Liber Pontificalis è molto oscura. Gli Atti dei Martiri riuniti da notari per ordine di Antero furono deposti negli Archivi della Chiesa; ma sembra che nella persecuzione di Diocleziano siano stati distrutti: difatti S. Gregorio Magno non riuscì a trovarne le traccie. Fece una sola ordinazione: quella del Vescovo di Fondi. Venne sepolto nel cimitero di S. Callisto. Fu poi trasferito nella Chiesa di S. Silvestro in Campomarzio ove, nel 1595, si rinvennero le sue ceneri in occasione della ricostruzione della Chiesa che minacciava rovina, fatta fare da Clemente VIII.

S. FABIANO - PONT. XXI Romano - Martire (239 - 253) Gordiano III, Idue Filippi, Decio, Treboniano, Hostiliano, Volusiano Imp.

Fabiano, era figlio di Fabio, romano, eletto Pontefice e zelantissimo per la fede, compiè grandi opere nei 13 anni del suo Pontificato: e stabilì saggie disposizioni per il clero e per i fedeli. L'elezione di S. Fabiano a Pontefice è la prima elezione papale circondata da circostanze meravigliose e fuori della regola ordinaria. Racconta Eusebio che alla morte di Antero il clero e il popolo si adunarono in un cimitero per la scelta del nuovo Papa. Fabiano, personaggio considerevole, patrizio e laico, forse della gens Fabía, tornava dalla campagna e, veduta quell'accolta di fedeli, entrò nell'assemblea. Mentre nessuno pensava a lui, ecco che una bianca colomba, volando per l'assemblea, andò a posarsi sul suo capo. Tutti videro in ciò la designazione dello Spirito Santo e Fabiano fu acclamato Pontefice. Sotto Fabiano, secondo dice Eusebio, l'imperatore Filippo e suo figlio, pure Filippo, si fecero cristiani e furono battezzati dallo stesso Pontefice. Altri sono di parere contrario; però non si può escludere che se Costantino fu il primo imperatore cristiano che manifestò pubblicamente la fede di Cristo, i due Filippo abbiano potuto essere i primi che la professarono occultamente. Nel suo Pontificato avvenne un fatto notevolissimo che mostra il primato della Chiesa di Roma. L'eretico Privato, vescovo di Lambesa in Numidia, scomunicato in un Concilio africano, si appellò alla Sede di Roma. Fabiano, ricevuto il ricorso ed esaminata la causa, confermò con un decreto la data sentenza e separò Privato dalla Chiesa. La persecuzione scatenata da Decio fu terribile e il Papa Fabiano ne fu una delle prime vittime. Una lettera circolare del clero di Roma comunicò a tutte le Chiese la fine gloriosa del Pontefice, dicendosi « de glorioso eius exitu ». La persecuzione fu così violenta che la Chiesa rimase per 18 mesi senza Pontefice. In questo tempo governò la Chiesa il clero dei singoli titoli che più tardi fu detto collegio dei Cardinali, ossia dei sacerdoti incardinati nelle chiese parrochiali di Roma, che però lasciava insolute le questioni di esclusiva pertinenza del Pontefice. San Cipriano dice che la persecuzione di Decio “venne a punire i cristiani del rilassamento introdottosi fra di essi, poiché: tutti erano intenti a fare incetta di averi... nei sacerdoti era morta la pietà della religione... non più disciplina nei costumi... gli uomini si pettinavano con eccessiva cura la barba... le donne si imbellettavano il viso... maritavansi con gli infedeli, prostituendo ai pagani le membra di G. Cristo”. Stabilì che non si ordinassero sacerdoti prima dei trenta anni : che i preti idioti non potessero celebrare la messa e che i fedeli si accostassero alla mensa eucaristica tre volte l'anno. Fu di tale carità che mai tenevasi adunanza religiosa senza la raccolta per sollievo de' poveri, degli infermi e dei carcerati per la fede e spesso ricoverava i poveri negli stessi oratorii per alimentarli. Sette diaconi vegliavano alle sette regioni per la cura degli infermi e de' bisognosi. Nel pontificato di S. Fabiano si ebbe lo storico avvenimento del millenario di Roma, celebrato con grande solennità di feste pagane. Ottenne l'autorizzazione imperiale per il trasporto dei corpi di S. Ponziano Papa e di Santo Ippolito, deportati e morti in Sardegna. Fabiano stesso solennemente circondato dal clero andò in Sardegna a cercare le sacre spoglie e le accompagnò sulla nave che le trasportò a Roma. Nella divisione della città in 7 diaconie per recare soccorso alle vedove, agli orfani e agli ammalati, l'Audisio vuole vedere la prima forma degli ospedali. Fece molti lavori, specialmente nelle Catacombe: « Multar fabricas per coemeteria fieri iussit », e il De Rossi gli attribuisce la sala sotterranea centrale nella seconda area di San Callisto. Il suo Pontificato durò 14 anni e fu uno dei più lunghi Pontificati dei tre primi secoli, e uno dei più gloriosi per l'aumento dei fedeli, il consolidamento della proprietà ecclesiastica e della amministrazione religiosa, per l'organizzazione parrocchiale, e per la costituzione, insomma, di una Roma cristiana. È quasi sempre figurato con una spada, in allusione al suo martirio che si vuole fosse la decapitazione e una colomba che gli vola sul capo, in ricordo del modo prodigioso della sua elezione.

S. CORNELIO - PONT. XXII Romano - Martire (253 - 255)Treboniano, Volusiano, Emiliano, Valeriano, Gallieno Imp.

Accettò la suprema dignità con riluttanza. Malgrado la persecuzione, la Chiesa sotto il suo governo fiorì grandemente. Fu esiliato dall'imperatore Gallo a Centocelle, ove dopo tre anni di Pontificato morì. Quando l'imperatore Decio partì per l'Oriente e la persecuzione si quetò un poco a Roma, fu possibile dare un successore a S. Fabiano. E fu scelto Cornelio, umile prete modesto, della gens Cornelia. San Cipriano, Vescovo di Cartagine, scrivendo ad Antoniano, Vescovo di Numidia, tratteggia il ritratto di S. Cornelio: “Bisogna conoscere questo Pontefice, nella sua vera luce, non come l'hanno descritto i suoi calunniatori, ma dalla testimonianza dei suoi confratelli nell'Episcopato”. Un tratto che mette in gran luce Cornelio, davanti Gesù Cristo e la sua Chiesa ed a tutti i suoi colleghi è che invece di arrivare subitamente all'episcopato, è passato per tutti gli ordini inferiori della gerarchia ecclesiastica e ha meritato i favori divini pel suo zelo nella amministrazione delle cose sante. Un altro punto notevole è che non solo non ha brigato per arrivare all'Episcopato, ma ha cercato di allontanare la scelta che si voleva fare della sua persona. Con S. Cornelio compare l'Antipapa Novaziano, fattosi consacrare con inganno da tre Vescovi chiamati di fuori a Roma e qui tenuti chiusi in casa perchè non avessero notizie del Papa e del suo dissidio con Novaziano. San Cipriano chiama questo antipapa: « disertore della Chiesa, maestro d'orgoglio, corrompitore della verità ». L'antipapa Novaziano morì in Roma al tempo di Sisto II (260-261) ma ebbe per quasi 200 anni, successori nello scisma fino a Celestino I (423-432). Secondo una statistica di S. Cipriano, Roma al tempo di S. Cornelio, contava 46 preti, 7 diaconi, 7 sottodiaconi, 42 accoliti, 52 esorcisti, lettori e ostiari: in tutto 154 ministri. A un Concilio radunato a Roma, nell'ottobre del 251, erano presenti 60 Vescovi. Ordinò che nessun cristiano potesse prestare giuramento se non raggiunti i 14 anni e che il giuramento si prestasse a digiuno. In lui fu lodata una purità veramente verginale, una modestia e una fermezza singolari. Aveva così grande pietà dei poveri che, oltre il clero, manteneva 1500 persone: vedove, orfani e abbandonati. Morì in esilio, fuori di Roma, e il suo corpo fu portato nel cimitero di S. Callisto con la iscrizione: Cornelius martyr E. P. Nel IX secolo le sue spoglie furono portate in S. Maria in Trastevere. È patrono di Compiègne ed è per lo più raffigurato in atto di battezzare.

S. LUCIO I - PONT. XXIII Romano - Martire (255 - 257) Valeriano, Gallieno Imp.

Romano, figlio di Porfirio; appena eletto fu mandato in esilio, ma poi potè ritornare a Roma. Zelantissimo promulgò alcuni decreti sui costumi del clero, dimostrò la carità del suo animo riconciliando i rei di apostasia. Nel suo breve pontificato di tre anni consacrò 7 Vescovi, 4 Preti e 4 Diaconi. Per quanto romano, è tuttavia chiamato: « natione tuscus, de civitate Luca, ex Patre Lucius ». Pare che sia stato eletto a Civitavecchia ove aveva seguito San Cornelio nell'esilio. Mandato in esilio, appena eletto, potè tornare a Roma, regnando Valeriano. Il suo ritorno fu quello di un trionfatore. Racconta San Cipriano che i fedeli accorsero al suo ritorno in folla, non potendo distaccarsi dal vederlo e dall'abbracciarlo e che tanta era la ressa che appena si poteva aprire un passaggio tra la folla plaudente. Perchè si potesse sempre rendere testimonianza della sua vita, voleva essere accompagnato da due preti e da tre diaconi, che avevano l'incarico di controllare tutti i suoi atti in pubblico e in privato. Comandò nuovamente che i sacerdoti dovessero vivere continenti e ordinò che niuno di essi potesse abitare con donne, delle quali non fosse parente in prossimo grado, che niuno dei medesimi entrasse solo in casa di donne, nè parlasse con esse da solo a solo, sotto pena di essere deposto dal grado, e la donna esclusa dall'ingresso della chiesa. Gli si attribuiscono lettere sui « lapsi » su quei cristiani, cioè, che nel tempo della persecuzione avevano, per paura, rinnegato la loro fede. Prima di morire affidò la podestà della Chiesa al suo arcidiacono Stefano, raccomandando ai fedeli di eleggerlo a suo successore.

S. STEFANO I - PONT. XXIV Romano - Martire (257 - 260) Valeriano, Gallieno Imp. Era romano, figlio di Giulio e fu eletto, dopo la morte di Papa Lucio, il 10 aprile 257.

Zelante custode della fede sostenne la controversia riguardo la validità del battesimo amministrato dagli eretici: caritatevole e generoso soccorse i fedeli di lontane regioni. Morì dopo un pontificato di tre anni. Durante i Pontificati di S. Cornelio e di S. Lucio, Stefano aveva goduto nella Chiesa grande autorità e pare che durante l'esilio di quei Pontefici, facesse loro da Vicario. Fu eletto, come si è detto, in seguito alla designazione fatta di lui dal predecessore S. Lucio. La Chiesa, al suo tempo, ebbe molto a soffrire dalla persecuzione di Valeriano che per la ottava volta tentava di distruggere il cristianesimo. Molti Cristiani furono sepolti vivi nelle catacombe. È del suo tempo il martirio del giovanetto Tarcisio. Proibì ai Sacerdoti di usare vesti liturgiche fuori della Chiesa. Fu di grande carità nell'orribile pestilenza che desolava l'impero e che giunse a fare fino cinquemila vittime in un giorno a Roma. Mandava soccorsi ai fratelli delle altre chiese nelle remote regioni dell'Arabia e della Siria. Erroneamente si confonde da molti il martirio di Stefano II, avvenuto nelle catacombe, ove gli fu troncata la testa sulla sedia episcopale, con quello di Stefano I, martirio di cui si hanno poche notizie. Usava un anello per sigillo col suo nome diviso da una croce: e però a questo Pontefice vogliono alcuni far risalire l'origine dell'anello Piscatorio.

SAN SISTO II - PONT. XXV Greco - Martire (260 - 261) Valeriano e Gallieno Imp. (Sec. III).

Greco di Atene e discepolo di quell'Accademia, divenne cristiano. Era stato arcidiacono della Chiesa sotto il suo predecessore Stefano I. Poche notizie si hanno di lui, sapendosi che fu indulgente e clemente verso i caduti. Il suo Pontificato fu brevissimo non essendo durato che undici mesi. Morì martire e fu sepolto nelle Catacombe di San Callisto. Quando fu assunto al soglio Pontificio era già avanzato in età. Nel Pontificato di S. Sisto II, avviene il trasporto del corpo di S. Pietro e di S. Paolo nelle Catacombe. Di fronte alle misure contro i luoghi di culto e delle adunanze, una delle prime precauzioni del Pontefice fu quella di mettere al sicuro i corpi di S. Pietro e di S. Paolo. I loro sepolcri erano da tutti conosciuti e monumenti esteriori sorgevano sulle loro tombe, in Vaticano per S. Pietro, sulla Via Ostiense per S. Paolo.Il Papa fece segretamente togliere le sante reliquie e le nascose in una cripta sulla via Appia, al luogo detto : Ad catacumbas, oggi S. Sebastiano, per sottrarle alle perquisizioni e alle profanazioni. Combattuta, o negata del tutto, questa tradizione, ha avuto dai recenti scavi e dalle scoperte fatte, piena conferma. Il Duchesne fissa al 29 giugno il giorno nel quale il Papa fece togliere le sacre reliquie per trasportarle sulla Via Appia. La persecuzione di Valeriano fu terribile: durò tre anni. Vescovi sacerdoti e diaconi erano uccisi: senatori, alti personaggi e cavalieri spogliati della dignità e dei beni. Mentre il poeta Prudenzio nel Peristephanon fa infliggere a Sisto II il supplizio della croce, S. Cipriano è ben preciso nel dire: «Sappiate che Sisto è stato decapitato nel Cimitero il 6 agosto», e aggiunge che ugual sorte subirono con luí 4 diaconi che lo assistevano. Il martirio di S. Sisto II — al quale è legato il soave ricordo di S. Lorenzo — può essere così, dalla tradizione e dagli atti ricostruito: San Sisto era andato al cimitero di Pretestato per celebrarvi: ma la polizia che vigilava per impedire le riunioni dei fedeli fece irruzione nel sotterraneo e sorprese Sisto che dalla sua cattedra parlava ai fedeli. Condotto davanti al prefetto, con i diaconi che lo assistevano, fu condannato ad aver troncata la testa là dove era stato colto in flagrante delitto contro il culto dello Stato. Durane il tragitto, Sisto fu raggiunto da Lorenzo, primo diacono e tra il Papa e S. Lorenzo si svolse il sublime dialogo raccontato da S. Ambrogio e consacrato dalla Chiesa nella Liturgia: — Ove vai tu, Padre, senza il figlio ? Ove vai tu, Prete senza il tuo Diacono? — Mio figlio, io non ti abbandono: ti attendono più aspre lotte: non piangere: mi verrai appresso fra tre giorni Fu sepolto nel cimitero di S. Callisto, nella Cripta dei Papi, ove trovasi la iscrizione: Sancte Syste, Syste sancte 1 Un'altra iscrizione nell'interno della cripta, di cui il De Rossi non raccolse che qualche frammento, e fu illustrata dal Marucchi, ricorda il martirio di S. Sisto II.

S. DIONISIO - PONT. XXVI DELLA MAGNA GRECIA (261 - 272) Gallieno, Claudio II, Quintillo e Aureliano Imp. (Sec. 111).

Dopo quasi un anno di vacanza nella sede Apostolica fu eletto il prete Dionisio, originario della Magna Grecia. Cessata, con l'editto di Gallieno, la persecuzione, si diede a riparare ai mali subiti, riorganizzando di nuovo le chiese. Combattè l'errore di Sabellio e riscattò i cristiani fatti schiavi. Governò la Chiesa 11 anni, 3 mesi e 14 giorni. Pochi mesi dopo l'elezione di Dionisio, l'imperatore promulgava un editto favorevole ai cristiani e la Chiesa, venendosi a ritrovare in una condizione legale, rientrava in possesso delle sue proprietà, dei suoi edifici, dei suoi cimiteri. Quattro fatti principali illustrano il suo pontificato : Il riconoscimento quasi legale della Gerarchia romana da parte dell'imperatore. La riorganizzazione delle parrocchie di Roma e dei Vescovadi vicini. Una generosa elargizione del Papa per la Chiesa di Cesarea in Cappadocia, ove inviò persone col danaro da distribuire. Un caso di ricorso a Roma per questione di dottrina. L'invio dei soccorsi da parte di San Dionisio alla abbattuta chiesa di Cesarea in Cappadocia, attesta come fin dai primi tempi, la pietà dei Pontefici si rivolgesse ai bisogni di tutta la cristianità. Fu sepolto nel cimitero di San Callisto. San Dionisio, Vescovo di Alessandria, chiama il Papa Dionisio: eruditissimo. Dai Carmelitani è ritenuto uno dei loro.

S. FELICE I - PONT. XXVII ROMANO (272 - 275) Aureliano, Tacito Imp. (Sec. III).

Romano, figlio di Costanzo, il suo Pontificato si svolse sotto la persecuzione di Aureliano: e fu tutto rivolto a incoraggiare i deboli, a battezzare i catecumeni e a fare nuove conversioni. Ebbe un breve pontificato di 2 anni, 10 mesi e 25 giorni. Il Liber Pontificalis dice ben poco dei tre immediati successori di S. Dionisio, e cioè di S. Felice, di S. Eutichiano e S. Caio. Si sa che egli determinò un ordinamento liturgico per il culto dei martiri nelle Catacombe: «Hic constituit supra memorias martyrum missas celebrare». Da ciò la prescrizione di deporre reliquie di martiri negli altari che si consacravano. Mentre il Líber Pontificalis Io dice: Martyrio coronatus, il Duchesne dubita assai che fosse martire perchè l'antica liturgia è muta al riguardo del suo martirio. Lo stesso Duchesne opina che per un errore di omonimia si creda esser la tomba di S. Felice I, sulla Via Aurelia, mentre fu sepolto nel Cimitero di S. Callisto.

S. EUTICHIANO -PONT. XXVIII DI LUNI - MARTIRE (275 - 283) Tacito, Floriano, Probo, Caro Imp. (Sec. III).

Figlio di Marino o Martino. Coltivò con grande zelo la memoria dei martiri. Governò la Chiesa 8 anni, 10 mesi e 3 giorni. Come per altri Papi dei primi tre secoli, mancano notizie della persona di Eutichiano. Mentre lo si dice di Luni città distrutta, presso Sarzana; alcuni scrittori lucchesi lo vogliono di Lucca. La tradizione che seppellisse con le sue mani 362 martiri in diversi luoghi è contrastata dal Duchesne che osserva che nessun documento prova che vi sia stata una persecuzione al tempo di questo Pontefice, e che i 362, o 365 martiri venerati nella Basilica di S. Silvestro sulla Via Salaria, non hanno alcun rapporto con questo Pontefice. Ordinò che nessun martire fosse sepolto senza la dalmatica o il «colobio» di porpora, mentre prima erano sepolti ravvolti in lini bianchi intrisi nel loro sangue. Durante il Pontificato di Eutichiano scoppiò un disastroso incendio a Roma che devastò la città, la Via Sacra, distrusse molti edifici, specialmente la Curia, la Basilica Giulia, e parecchi templi. In seguito all'incendio avvenuto a Roma, del quale si volle dar colpa ai cristiani, vi fu un principio di persecuzione presto arrestato dalla morte dell'imperatore. Stabilì che dei frutti della terra solo il frumento, il pane e l'uva, si benedicessero all'altare durante la messa e che le altre benedizioni si facessero fuori della messa. Ordinò che gli ubriachi, che bevevano vino fino ad essere fuori di sentimento, e perciò capaci di commettere delitti, peccati, escandescenze, incorressero nella scomunica, finchè non si fossero emendati. Le sue reliquie prima portate a Luni, allorchè questa città venne distrutta, furono collocate nella Cattedrale di Sarzana, succeduta a Luni nell'onore vescovile.

SAN CAIO - PONT. XXIX DI SALONA, IN DALMAZIA - MARTIRE (283 - 296) Carino, Numeriano Imp. L'Impero è per la prima volta diviso tra quattro Imperatori: due Augusti c due Cesari. Diocleziano e Massimino, Augusti Costanzo Cloro e Galerio, Cesari. (Sec. XIII).

Dalmata di Salona, fu eletto al Pontificato nel 283. Poco si sa della sua vita e delle sue opere. Stabilì che nessuno potesse arrivare all'episcopato senza passare per tutti i 7 diversi gradi degli Ordini. Morì martire dopo un pontificato di 12 anni, 4 mesi e 9 giorni. È il primo Pontefice del quale si dice che abbia accettato l'adorazione, perchè, eletto riunì l'assemblea dei fedeli e li ammise al bacio del piede. I dodici anni di questo Pontificato per quanto pieni di oscurità, lasciano capire da certi segni che fu glorioso. Secondo S. Optato, al tempo di Caio, Roma contava più di 40 chiese, e quando scoppiò la persecuzione di Diocleziano, le prime misure furono contro di esse. Col trasporto della Capitale da Roma a Nicomedia il Pontefice vide iniziarsi quell'ordine di cose che, completato poi da Costantino, doveva fare di Roma la sede esclusiva dei Papato. Oltre ad aver stabilito che i Vescovi dovessero avere avuto prima tutti i diversi gradi degli Ordini, comandò che nessun eretico o pagano potesse accusare un cristiano, e che nessun chierico potesse essere chiamato in giudizio da un secolare. La casa di S. Caio, trasformata in Santuario, diventò il titolo Cardinalizio: titulus Cui. Era in Via XX Settembre, e fu distrutta per fabbricare l'attuale Ministero della Guerra. Quando nel 1880 la chiesa fu distrutta, il Principe Barberini — che n'era il patrono — trasportò nella cappella privata del suo Palazzo le ossa di questo Pontefice, col marmo sepolcrale che gli aveva dedicato un altro Barberini: Urbano VIII. Anche la casa di Santa Susanna, nipote di Caio trovavasi a poca distanza, nell'attuale via XX Settembre, ove oggi è la omonima chiesa. È detto Pontefice «di rara prudenza, di virtù grande e di vita continentissima».

S. MARCELLINO - PONT. XXX ROMANO - MARTIRE (296 - 304) Imperatori e Cesari i precedenti (Sec. III - IV)

Romano, figlio di Proietto. Durante la persecuzione di Diocleziano seppe confortare e fortificare i cristiani nella fede. Pontificò 8 anni, 2 mesi e 25 giorni e morì di martirio. Nel Pontificato di San Marcellino scoppiò la persecuzione di Diocleziano, la più terribile fra tutte, che l’Audisio chiama: macello universale. I beni della Chiesa e le chiese furono confiscate: bruciati i libri sacri, gli archivi dispersi, e confiscati. San Marcellino, per evitarne la profanazione, fece riempire di terra le catacombe ove riposavano i Papi suoi predecessori e numerosi martiri. Una leggenda creata dai Donatisti dice che Marcellino, per paura del martirio, bruciasse due granellini di incenso agli idoli; che, ripreso dai fedeli e pentito, si dimettesse da Pontefice e che il popolo lo rieleggesse: che, arrestato una seconda volta, non avendo voluto sacrificare, fosse decapitato. La leggenda, originata dalle calunnie degli eretici è smentita e negata a cominciare da S. Agostino, e dagli storici e studiosi più dotti. La riforma stessa della lezione che lo riguardava nel breviario e lo accusava, fatta dalla autorità pontificia, sotto Leone XIII, sulla base di documenti inoppugnabili, dimostra l'inconsistenza della fiaba. Un'altra leggenda racconta che Marcellino prima di morire minacciasse di scomunica chi avesse voluto seppellire il suo corpo, e ciò per umiltà. Rimase così fuori di terra 40 giorni; ma S. Pietro, apparso a S. Marcello, successore di S. Marcellino, gli ordinò di far seppellire il corpo del Pontefice. La persecuzione di Diocleziano che durò per 10 anni. fece innumerevoli martiri: gli scrittori di cose ecclesiastiche, e il Novaes, ne contano 17 mila in un sol mese nelle varie provincie. Il decreto sterminatore di Diocleziano diceva : «Le chiese siano abbattute e i libri sacri bruciati, i cristiani privati di ogni onore e dignità e, senza distinzione, tormentati; ...i Vescovi siano per i primi condotti ai tormenti: chi rinneghi sia rimesso in libertà». È il primo Papa sepolto nel cimitero di Priscilla, e il suo sepolcro era oggetto di grande venerazione da parte dei fedeli. Il Marucchi dice che il di lui sepolcro «deve riconoscersi nel nobilissimo cubicolo maggiore dell'ipogeo degli Acilii, che fu uno dei mausolei più insigni e venerati del cimitero di Priscilla». È sotto il Pontificato di S. Marcellino e durante la persecuzione di Diocleziano che ebbe luogo il martirio di San Sebastiano.

S. MARCELLO I - PONT. XXXI ROMANO - MARTIRE (304 - 309) Diocleziano e Massimiano, Augusti — Costanzo Cloro e Galerio, Cesari sino al 305 — Costantino Augusto, anno 306 Massenzio e Licinio, Augusti o pretendenti (Sec. IV).

LA storia di questo Pontefice, successo a S. Marcellino è alquanto oscura. Romano della Regione in Via Lata era figlio di Benedetto. Dovette rialzare la Chiesa grondante sangue per la persecuzione di Diocleziano. Esiliato prima da Massenzio, fu poi obbligato a custodire le bestie in una stalla, come narra la liturgia ambrosiana e in quella condizione morì di patimenti, dopo 5 anni di Pontificato, e fu sepolto nel cimitero di Priscilla. Seguendo gli studi del Duchesne, l'elezione di Papa San Marcello I, non sarebbe avvenuta che 4 anni dopo la morte di S. Marcellino, tanto la Chiesa era stremata dalla persecuzione di Diocleziano. E come già era accaduto alla morte di S. Fabiano, la Chiesa, fu in questo periodo diretta da un consiglio presbiterale del clero romano. Riordinò l'amministrazione ecclesiastica, riorganizzò i titoli o parrocchie e vi stabilì dei preti titolari affinchè potessero battezzare coloro che, in quel periodo di pace, volessero abbracciare la fede cristiana. Esigette la penitenza di quelli che, durante la persecuzione erano caduti ed avevano sacrificato agli dei. Damaso celebra in un carme la costanza di Marcello nel tener vivo il rigore della penitenza verso i caduti nella idolatria per tema della persecuzione. Una leggenda dice che Marcello, fatto Papa, non volle far mettere il corpo del suo antecessore Marcellino nel cimitero dei cristiani, perchè era accusato di avere una volta sacrificato agli idoli. E perciò il corpo rimaneva insepolto. Dopo 35 giorni ecco appare S. Pietro a Marcello e gli dice: «Perchè non mi seppellisci tu?». E così Marcello seppellì il corpo di San Marcellino. Questa leggenda si annoda a quella che fu riferita di S. Marcellino, circa la sua pretesa caduta. La Leggenda aurea di lacopo da Varagine dice che «Marcello, essendo a Roma Sommo Pontefice, e riprendendo Massimiano imperatore la sua crudelezza contro i cristiani, dicendo messa in casa di una gran donna, ne la chiesa consacrata, l'imperatore adirato fece di quella casa una stalla di bestie e il detto Marcello condannò a guardare e a servire gli animali, nel quale servizio, dopo molti anni, si riposò in pace». La tradizione vuole che la casa della Matrona romana Lucina, ove Marcello, perseguitato da Massenzio, aveva trovato ospitalità, fosse nel luogo ove è oggi la chiesa di San Marcello. Fu probabilmente nel ix secolo che dal cimitero di Priscilla il corpo di S. Marcello fu portato nella sua chiesa nella Regione Via Lata. L'affinità dei nomi fece confondere in uno solo i due Pontefici Marcello e Marcellino. Ma il Baronio osserva che due ne distinguono le Tavole ecclesiastiche, Ottato, S. Agostino e lo stesso S. Damaso, autore dell'epitaffio di S. Marcello. Vogliono alcuni scrittori che Marcello fosse della famiglia dei Savelli, altri della Casa Colonna. È. il patrono dei palafrenieri ed è, alle volte, figurato in una stalla coi giumenti.

S. EUSEBIO - PONT. XXXII GRECO (309 - 311) Costantino, Massenzio, Galerio, Licinio, Massimino lmp. (Sec. IV). Greco, successe nel 309 a Marcello I.

Per la sua fermezza nel volere la penitenza dei Lapsi, prima di riammetterli nella Chiesa, nacquero discordie e discussioni. Esiliato da Massenzio in Sicilia vi morì dopo un breve pontificato di 2 anni. Era figlio di medico e sì vuole fosse medico egli stesso. Durante il suo Pontificato, S. Elena rinvenne la Santa Croce. Il Papa battezzò, dandogli il suo nome, Eusebio, che poi divenne il Santo ed illustre Vescovo di Vercelli. Prescrisse che i corporali fossero di lino e non di seta, e consacrati dal Vescovo. Riaffermò che la Cresima potesse solamente essere conferita dai Vescovi. Tenne una sola ordinazione nella quale consacrò 14 Vescovi, 13 preti e 3 diaconi. Gli si attribuisce un decreto nel quale, designata la semplicità della mensa episcopale, si aggiunge: «Siano presenti i pellegrini, i poveri e gli infermi, i quali, pasciuti della mensa sacerdotale, benedicano Gesù Cristo e siano da lui benedetti»- Anche se non fosse autentico, questo decreto mostra qual era, in quell'età di schiavitù e di ferocia legale, lo spirito della carità cristiana verso gli infelici. Il corpo, dalla Sicilia portato a Roma, fu sepolto nel cimitero di S. Callisto nella cappella di fronte a quella di San Caio. Una iscrizione di Papa S. Damaso, narra le vicende del breve Pontificato di Eusebio: Pertulit exilium Domino sub iudíce laetus. Litore Trinacrio mundum vitamque relíquit.

S. MELCHIADE - PONT. XXXIII AFRICANO (311 313) Costantino, Massenzio, Massimino, Licinio Imp. (Sec. IV). Africano, successe nel 311 a S. Eusebio.

Nel pontificato di Melchiade, Costantino, con l'editto di Milano, dava tranquillità, pace e libertà ai cristiani. In un concilio Melchiade condannò i Donatisti. Nel breve pontificato di tre anni, e in una sola ordinazione creò undici o dodici Vescovi, 14 preti e 5 diaconi. coni. Fu sepolto nel cimitero - di S. Callisto. Mentre dai più è ritenuto Africano, alcuni lo dicono spagnolo, nativo di Madrid, ma faceva parte del clero romano, e si crede fosse già sacerdote nel Pontificato di San Marcellino. Il suo Pontificato è memorando perchè l'Editto costantiniano metteva il cristianesimo fra i culti leciti diventando quindi la Chiesa da tollerata, riconosciuta e protetta dal diritto di Roma. Melchiade vide la battaglia tra Costantino e Massenzio «ad Saxa Rubra» e il trionfo della Croce nella insegna : «in hoc signo vinces». Assistette alla entrata in Roma di Costantino vincitore. Con la pace e la restituzione dei suoi beni alla Chiesa «sorgeva — dice l'Audisio la grande era della redenzione civile dei cristiani». Gli viene attribuita l'istituzione delle eulogie, ossia distribuzione del pane benedetto: e ordinò che i preti delle parrocchie di Roma pigliassero, in segno di comunione, il pane dal Pontefice, per quindi distribuirlo al popolo. Tutti i 32 Pontefici che lo precedettero hanno acquistata la gloria di martiri in difesa della fede e pei travagli che sostennero per la causa di Dio. Riconosciuta l'autorità del Pontefice, Costantino donava a Papa Melchiade e ai suoi accessori il suo palazzo del Laterano, provvedendo con rendite al decoro della Santa Sede. Per onore e difesa della persona del Pontefice, Costantino assegnava a Melchiade una squadra di 25 uomini armati: di qui si vuole l'origine dei «mazzieri del Papa». Con Melchiade ha luogo nel Laterano il primo Concilio presieduto da un Papa, col pieno accordo del potere civile. A quel primo Concilio tenuto il 3 ottobre 313 erano presenti 18 Vescovi d'Italia e della Gallia. S. Agostino lo dice «ottimo uomo, figlio della pace cristiana e padre del popolo cristiano».l'ultimo pontefice seppellito nelle catacombe di Callisto. Papa S. Damaso, nella sua famosa iscrizione di lui dice: «Qui è posto quel Sacerdote che visse in lunga pace».

S. SILVESTRO I –PONT. XXXIV ROMANO (314 - 337) Costantino e Licinio Imp. (Sec. IV).

Romano, di nobili natali, figlio di Rufino e S. Giusta. Era stato ordinato prete da S. Marcellino. Appena nominato Pontefice mandava i suoi legati al Concilio di Arles (314). Contro l'eresia di Ario convocò un Concilio Ecumenico a Ncea e vi mandò i suoi rappresentanti. Fu zelantissimo nel suo ministero e di grande pietà verso i poveri. Governò la chiesa 23 anni, 10 mesi e 27 giorni e fu sepolto nel cimitero di Priscilla sulla via Salaria. Il pontificato di Silvestro che durò dal 314 al 337, è stato singolarmente deformato dalla leggenda. È fuori dubbio che Costantino edificò per Silvestro la Basilica e il Battistero di San Giovanni Laterano. Mentre non tutti gli autori sono concordi nell'attribuire altre fondazioni di chiese a Costantino, riguardo a S. Pietro in Vaticano, il Grisar afferma: «che la prima costruzione della Basilica Vaticana, il monumento più insigne in onore di Pietro, provenga da Costantino è un fatto per ogni maniera accertato». Costantino fece a Silvestro e ai suoi successori la concessione delle insegne imperiali e si dice che donasse al Pontefice una corona d'oro ornata di pietre preziose onde se ne adornasse il capo. Silvestro è il primo Pontefice raffigurato con la tiara: ornata in seguito di due e poi di tre corone prese il nome di triregno. Compariva nelle cerimonie seguito da 25 uomini armati, assegnatigli da Costantino per sua custodia e come segno della dignità pontificia. E’ il primo Pontefice tra i pochi che abbia oltrepassato i venti anni di pontificato. Nel suo pontificato ebbe luogo a Nicea il primo Concilio generale per condannare l'eresia di Ario, intervenendovi l'Imperatore Costantino e 318 Vescovi oltre i Legati del Papa. Si dice che abbia introdotto nella Chiesa i Kirie eleyson. Da questo Pontefice cominciò l'uso di consacrarsi il Papa in giorno di domenica o pure di festa; questa cerimonia non fu mai compiuta in giorno feriale fuori che per Paolo III, Clemente VII e Leone X. Dice il Novaes che fra tutti i Pontefici è il solo che abbia avuto la festa di precetto per più di 5 secoli, ordinata da Gregorio IX. Essa fu soppressa da Pio VI nel maggio del 1798. Ordinò che i diaconi in chiesa usassero la tonicella ed il manipolo nel braccio sinistro. Riguardo questo manipolo è da osservare che nei primi secoli della chiesa usavano i sacerdoti un fazzoletto attaccato al braccio sinistro, col quale, mentre celebravano la messa, si asciugavano il sudore, le lacrime e la flussione del naso. Anche i Chierici servendo all'altare usavano questo fazzoletto. I chierici romani pretesero d'essere soli nell'usarlo e sorse controversia perciò tra essi e quelli di Ravenna e il Pontefice S. Gregorio concesse all’l'Arcivescovo di quella città, come particolare prerogativa, l'uso di detto fazzoletto ai suoi primi diaconi quando egli celebrasse. Questo uso del fazzoletto durò finchè non fu ad esso sostituito l'attuale Manipolo come sacro ornamento. Generoso e pio, pose avanti l'altare della Basilica di S. Lorenzo al Verano, ove collocò il corpo del Santo, una lanterna d'oro di 30 libre con 10 lumicini. Alla chiesa di San Silvestro martire, presso le terme di Traiano donò una patena d'argento del peso di 20 libre, la quale, mentre il sacerdote distribuiva l'Ostia consacrata al popolo, era sostenuta da due ministri. Pietoso verso i miseri, aveva in un libro scritto i nomi di tutti gli orfani, le vedove e i poveri e a tutti provvedeva nelle loro necessità. Confermò che una quarta parte delle rendite della Chiesa fosse adoperata a beneficio dei poveri e degli infermi. Fu il primo ad usare negli atti solenni, appeso al diploma, una bolla di piombo con la testa degli Apostoli e il nome del Pontefice. Nella leggenda del dragone che infestava Roma ed uccideva molta gente con il suo fiato e che Silvestro, per comandamento di S. Pietro, incatenò, si vuole vedere la vittoria del cristianesimo sulla idolatria. Appressandosi alla morte, di tre cose ammonì il suo clero: l'una che avessero sempre amore insieme; l'altra che governassero le chiese diligentemente; la terza che guardassero la greggia dal morso dei lupi. E ciò detto spirò in pace.E’ figurato nell'atto di battezzare, riferendosi al leggendario battesimo da lui amministrato a Costantino, o con un drago ai suoi piedi a significare la vittoria. sull'errore.

SAN MARCO - PONT. XXXV ROMANO (337 - 340) Costantino Imp. (Sec. IV). Romano, figlio di Prisco.

Edificò due chiese in Roma e a quelle edificate da Costantino fece doni. Non curante degli onori era per tutti insigne esempio di virtù. Pontificò 2 anni, 8 mesi e 21 giorni, avendo consacrato 7 Vescovi, 5 preti e 2 diaconi. Fu sepolto nel cimitero della Basilica di S. Balbina, nella Via Ardeatina. Poco è noto della sua vita; e il suo pontificato fu detto di transizione. Benchè Marco fosse un prenome e non già un nome o cognome de' Romani, egli l'aveva fatto nome. Da taluni è detto diacono o prete Cardinale, creato secondo qualche scrittore dal Papa S. Melchiade, o del successore S. Silvestro I, nel cui tempo era già in uso il nome di Cardinale. Secondo il Liber Porttíficalis conferì il Pallio al Vescovo di Ostia. L'istituzione di questo Pallio si fa risalire a S. Lino; comunque anche se attribuita a S. Marco, essa è antichissima. Si attribuisce a Marco — mentre altri l'attribuiscono a Damaso — l'ordine di recitare nella messa, dopo il Vangelo, il simbolo Niceno. Edificò due chiese: quella di S. Balbina, sulle omonime catacombe, tra la via Appia e la via Ardeatina e quella di S. Marco, nella Regione di vía Lata. Costantino donò a questo Pontefice delle terre e concesse privilegi a favore delle due Chiese da Marco edificate.

S. GIULIO I - PONT. XXXVI ROMANO (341 - 352) Costanzo e Costante Imp. (Sec. IV).

Alla morte del Pontefice Marco la Santa Sede rimase vacante quattro mesi dopo dei quali fu eletto Giulio, figlio di Rustico, romano. Combattè gli Ariani, difendendo S. Atanasio, Vescovo di Alessandria, il difensore della divinità del Verbo, da essi calunniato. Convocò due Concilii, uno a Roma nel 341 e un altro a Sardica nel 343. Nel suo pontificato il numero dei cristiani aumentò grandemente in Roma. Governò la Chiesa 11 anni e fu sepolto nel cimitero di Calepodio sulla via Aurelia. Il concilio indetto a Roma fu tenuto nella chiesa titolare del “presbyter Vitus” e vi assistettero 50 Vescovi, presieduti dallo stesso Pontefice. A quello di Sardica mandò due rappresentanti. Sardica è egualmente distante tra Oriente ed Occidente; ed è appunto dalla presidenza del Vescovo di Roma e dei suoi rappresentanti nei Concilii, ai quali conveniva sia l'Oriente che l'Occidente, che fulgidamente risulta la giurisdizione suprema della Chiesa di Roma, su tutte le chiese. Stabilì la festa del Natale il 25 dicembre e a lui si fa risalire l'istituzione della festa dell'Epifania. Ordinò che i notari raccogliessero tutto ciò che alla Santa Sede si apparteneva, e guardassero con diligenza gli atti di donazione, legati. ecc. In ciò si vuol vedere l'origine dei Protonotarii Apostolici. Una delle chiese edificate da Papa Giulio I, quella detta dal Liber Pontificalis essere la Basilicarn Juliam iuxta Forum, viene dal Duchesne identificata nella chiesa dei Ss. Apostoli, poi ripristinata da Pelagio I. e da Giovanni III. Tra le Chiese riedificate da Giulio I è Santa Maria in Trastevere. La più antica figurazione del Papa in sedia è quella che rappresenta Giulio I. seduto sopra un sedia ornatissima, in atto di benedire, Ma questa sedia del IV secolo è munita di quattro ruote, onde non si tratta ancora della vera e propria sedia gestatoria portatile a spalla. Il Bonanni dice che l'uso di portare in alto il Papa, vigeva già ai tempi di S. Damaso, dal 366 al 384, mentre Ennodio vorrebbe far risalire questo uso addirittura ai tempi di San Pietro. Questo pontefice è detto: “eminente per pietà, per fortezza di spirito, per grandezza di mente e per eloquenza virile ed apostolica”.

S. LIBERIO - PONT- XXXVII ROMANO (352 - 366) Costanzo. Giuliano. Gioviano. Valentiniano c Valente Imp. (Sec. IV).

Romano. di nobile famiglia. Il suo Pontificato si distingue per la fortezza con la quale resistette all'imperatore Costanzo, fautore degli Ariani. Per questa fortezza fu mandato in esilio. Tornato a Roma e nuovamente cacciato da Costanzo. si rifugiò nel cimitero di Novella, vicino a quello di Priscilla, morendovi dopo IO anni di Pontificato. Si vuole che fosse della nobile famiglia dei Savelli. E’ certo che accettò forzatamente il Papato ed egli stesso lo afferma in una sua lettera all'Imperatore Costanzo. Recatosi a Milano fu condotto davanti all'Imperatore e come questi lo minacciava di esilio se non si fosse arreso al suo volere, rispose: «Ho già salutato gli amici di Roma, e più mi preme la difesa della religione che il soggiorno in quella città». Prima di partire da Milano, Costanzo gli fece presentare 800 scudi romani, ma Liberio li rifiutò dicendo: «Tienli per le spese dei tuoi soldati e per contentare l'avidità dei tuoi ministri!». E così rifiutò altro denaro offertogli dall'imperatrice e da Eusebio, eunuco, uno dei primi ministri dell'Imperatore. La voce che Liberio) nell'esilio, in un momento di debolezza, acconsentisse a firmare la condanna di S. Anastasio e comunicasse con gli Ariani è stata dimostrata falsa, specialmente dall'Hergenriither, dal Grisar. dal Feis e da altri. Mentre era in esilio fu sottoposto alla sorveglianza di un Vescovo ariano. Durante uno spettacolo in onore di Costanzo al Circo Massimo, le matrone romane chiesero all'Imperatore il ritorno di Liberio. «Vi ho dato un altro Papa», rispose Costanzo, «non avete Felice?» Allora il popolo proruppe in un sol grido: «Un solo Dio, un solo Re, ed un solo Pastore!». Tornato a Roma per le istanze delle matrone romane presso Costanzo, vi entrò nel 539 al dire di S. Gerolamo — come un trionfatore. Avendo scomunicato Costanzo, fu di nuovo scacciato. Liberio riparò nel cimitero di Novella, ove, durante il periodo nel quale vi rimase. battezzò più di quattromila persone. Ordinò che nei giorni di digiuno non si trattassero liti e non si esigessero crediti. Nota è la pia leggenda della caduta della neve, la notte del 5 agosto sul colle Esquilino e il sogno fatto dal Papa Liberio. La basilica da lui fondata e consacrata sull'Esquilino. in nome della Vergine prese da lui, il nome di Basilica Liberiana. Di carattere mite. rifuggiva dal fasto ed era alieno dagli onori. Sant'Ambrogio chiama Liberio o uomo di beata memo ria a ed il Baronio gli dà il titolo di «Grande». Un epitaffio papale riferentesi a Liberio loda il defunto con enfasi speciale per la dura e travagliosa lotta da lui sostenuta in favore della fede sigillata in Nicea; vien detto: «maestro della legge divina con cuore sincero, potente confessore, colomba senza fiele». Il bassorilievo di Mino da Fiesole ce lo rappresenta, mentre con il clero e il popolo segna i limiti della nuova Basilica, sull'Esquilino.

S. FELICE II - PONT. XXXVIII ROMANO (363 - 365) Gioviano, Valentiniano e Valente Imp. (Sec. IV).

Romano, figlio di Anastasio. Durante l'esilio di Liberio, lo sostituì. Ritornato Liberio dall'esilio a Roma, Felice che aveva condannato quale Ariano l'imperatore Costanzo, venne da questo relegato a Ceri sulla Via Aurelia e qui decapitato. Pontificò per un anno, 3 mesi e 2 giorni. La legittimità di questo Papa. da alcuni ritenuto senz'altro Antipapa, è stata assai discussa, ma esso è annoverato nella lista dei Papi nella Serie Iconografica esistente in S. Paolo, e ha posto dopo Liberio, nell'Annuario Pontificio. Uno dei validi sostenitori della sua legittimità è il Bellarmino, di recente fatto Dottore della Chiesa. San Felice fu nominato nel tempo dell'assenza di Liberio da Roma, e morì un anno prima di lui. Le sue spoglie sepolte prima nelle terme di Traiano furono poi trasportate nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano ove nel 1582 furono ritrovate sotto l'altare a sinistra dell'entrata entro un sepolcro di marmo con la seguente iscrizione: Hic rcquiescit S. Felix Papa — Et rnartyr qui doninaoit - Constantiurn Hacreticurn. Quando nel 1582 disputavasi tra gli eruditi se il nome di Felice II dovesse rimanere ai 29 luglio nel Martirologio, Papa Gregorio XIII ordinò, dopo maturo esame, che vi fosse lasciato. Una pia leggenda dice che, appena morto, fu vista scendere una schiera di Angeli, recando verdi palme, delle quali cosparse la spoglia. Dopo la sua morte restò vacante la S. Sede per 20 mesi. S. DAMASO - PONT. XXX1X SPAGNUOLO (367 - 384) Valentiniano I, Gioviano. Valentiniano II Imp. d'Occidente (Sec. IV).

Di genitori spagnuoli, pare accertato sia nato a Roma. ove certamente fu educato. Ancora fanciullo fu annoverato fra i Notari della Chiesa. Ricevuti gli ordini sacri, era nominato Vicario della Chiesa Romana. Eletto Pontefice, una parte di fedeli gli oppose l'antipapa Ursicino, che dall'imperatore Valentiniano veniva poi confinato a Colonia. Tenne due concilii a Roma, ripristinò la disciplina ecclesiastica, ordinò un elenco completo dei libri santi. Insigne scrittore compose molte iscrizioni per il sepolcro dei martiri. Morì ottuagenario, dopo 17 anni di Pontificato. E’ il più grande gapa del IV secolo cd uno dei più insigni della Chiesa primitiva. Sotto di lui si riafferma la supremazia del Papato. E’ detto il Papa delle Catacombe per l'amore e le cure che ebbe per esse. Al tempo di Papa Damaso, vissero e svolsero la loro attività Basilio, Epifanio, Girolamo, Agostino, Ambrogio e tutti questi Padri della Chiesa ebbero amicizia e riverenza per Damaso. L'antipapa Ursicino che appena eletto si era asserragliato nella Basilica Liberiana, fu scacciato dai seguaci di Damaso e dalle autorità civili; ma la città fu messa a soqquadro e dentro la chiesa stessa avvenne una mischia sanguinosa. Damaso era di bello aspetto, buon parlatore amante del fasto esteriore. Fu perciò accusato, ma ingiustamente, perchè S. Gerolamo, ch'era intimo di Damaso. e S. Ambrogio, che gli era amicissimo, non l'avrebbero certo risparmiato, ove la sua condotta fosse stata riprovevole. Le cavalcate di Papa Damaso con il corteo del suo seguito facevano andare in visibilio il console Pretestato, sì da fargli desiderare la cattedra di Pietro: «Fatemi Vescovo di Roma — diceva — e io mi farò cristiano». Al tempo di Damaso si svolse il celebre episodio della statua della Vittoria che, con editto imperiale veniva tolta dall'aula della Curia. Invano il prefetto Simmaco, ch'era a capo della corrente dei pagani. tentò di far rimuovere l’imperatore dal suo ordine, perché S. Ambrogio che sostenne le ragioni dei cristiani, ebbe completa vittoria. A S. Gerolamo che aveva chiamato per suo segretario, diede l'incarico di fare l'elenco dei libri santi dell'Antico e del Nuovo Testamento c di tradurli in latino, ridotti «ad grecam fidem» cioè riveduti. Nella mortalità pestilenziale che al tempo di Damaso afflisse Roma i cristiani ne restavano immuni, o se colpiti, guarivano, segnandosi con la croce, onde molti gentili si convertirono. San Damaso può esser considerato il primo dei Pontefici artisti e letterati e mecenati, per il suo amore alle lettere e le cure dei monumenti anche pagani. E’ il Papa che conferma la nomina di S. Ambrogio a Vescovo di Milano. Insigne scrittore adornò di epigrammi e di carmi le tombe degli Apostoli e di molti santi, onde S. Gerolamo lo disse: «elegans in vorsibus componendis» Vietò ai monaci ed ai chierici di aggirarsi per le case delle vedove e delle pupille, e, da lui sollecitato, Valentiniano sancì per legge che da quelle niente potessero conseguire per donazione o per eredità. Si vuole che Damaso abbia istituita la pena del taglione, per la quale è castigato il calunniatore con la pena medesima che avrebbe subito l'accusato se non si fosse trovato innocente.Durante il suo pontificato ebbe luogo a Costantinopoli, ad istanza dell'imperatore Teodosio, il secondo Concilio generale intervenendovi 150 oppure 180 vescovi. San Gerolamo scrivendogli dice «Chiunque non raccoglie teco, disperde», e cioè chi non è con Cristo è con l'AntiCristo. Morì ottuagenario «vergine dottore della Chiesa Vergine», dice San Gerolamo «vero ornamento e gloria di Roma». Venne sepolto accanto alla madre e alle sue sorelle in una basilicula da lui edificata sulla via Ardeatina. Nel 1902 o 1903, Monsignor Wilpert scoperse le rovine di questo edificio e vi trovò pure l'epitaffio della madre di Damaso. morta a 89 anni, che si chiamava Laurentia. Le spoglie di Damaso vennero poi trasportate nella chiesa da lui eretta, presso il Teatro di Pompeo, a S. Lorenzo, che da lui prese il nome: ad Damasurn, ove era stata la sua casa. Ivi Damaso costruì i locali per gli archivi della Chiesa Romana, nei quali egli, come suo padre. aveva servito da giovane. E’ figurato presso la porta di una chiesa, come se dovesse prenderne possesso, o cori in mano un cartiglio sul quale si legge: Gloria Patri et Filio ecc., perchè si crede avere egli ordinato di finire i salmi col Gloria.

SAN SIRICIO - PONT. XL ROMANO (384 - 389) Valentiniano Il e Onorio. Imp. d'Occ. - Teodosio e Arcadia, Imp. d'Or. Valente, Teodosio il Grande, Imp. d'Oriente (Sec. IV).

Romano. figlio di Tiburzio. Sostenne l'autorità pontificia e la sua supremazia. In un Concilio tenuto a Roma condannava l'eretico milanese Gioviniano. Diede saggie disposizioni di disciplina ecclesiastica e concesse ai monaci di essere ammessi nel sacerdozio. Governò la Chiesa 15 anni morendo di 74 anni. Sepolto prima nella Basilica di S. Silvestro, nel cimitero di Priscilla sulla via Salaria. il corpo fu poi trasportato da Pasquale II a S. Prassede. Avvenuta la sua nomina a Pontefice, l'imperatore Valentiniano scrisse al prefetto Piniano dicendo che si rallegrava della scelta fatta di Siricio, chiamandolo «sacerdote ottimo e Vescovo di grande virtù». Anche S. Ambrogio lo disse «degno di essere ascoltato e seguito dalle pecore che componevano il gregge di Gesù Cristo». Per quanto il nome di Papa fosse prima dato solo a sacerdoti venerandi, e poi solamente ai patriarchi di Alessandria e di Costantinopoli, si afferma che Siricio è stato il primo Pontefice a chiamarsi Papa, mentre prima si diceva Vescovo di Roma, onde nel 998 Gregorio V fece poi doglianze per averlo usato il Vescovo di Milano. Essendovi penuria di sacerdoti permise ai monaci che potessero essere ordinati e potessero servire la Chiesa, mentre prima erano tenuti fuori dei cancelli della chiesa e non venivano ordinati. Ma nello stesso tempo prese misure per i costumi dei monaci che vagavano liberamente per Roma. Nel suo Pontificato si moltiplicarono gli edifici sacri e sotto di lui fu ricostruita, nelle proporzioni del presente, la Basilica di S. Paolo. Ivi sopra una grande colonna di cipollino, salvata dall'incendio del 1823, si leggono ancora in latino le parole: Da Siricio Vescovo, con pia devozione dedicata». Benchè il nome di Siricio fosse come Santo messo in parecchi Martirologi, tuttavia il Baronio non volle metterlo nel Martirologio Romano da lui corretto, adducendone anche le ragioni. Ma Benedetto XIV inserì ugualmente il nome di S. Siricio nel Martirologio.

S. ANASTASIO—I - PONT. XLI ROMANO (399 - 402) Arcadia, lmp. d'Oriente — Onorio, Imp. d'Occidente (Sec. IV V).

Romano, figlio di Massimo. Ebbe un breve pontificato, ma ricco di molte azioni, onde edificò la Chiesa, combattendo per mantenere inviolato il sacro deposito della fede. Condannò Origene e combattè saldamente il Donatismo. L'atto più importante del suo Pontificato è la riconciliazione della Chiesa di Antiochia con quella di Roma, dopo uno scisma durato 17 anni. Fu sepolto sull'Esquilino, nel cimitero ad Ursum pilcalum c più tardi trasportato a S. Martino ai Monti. Era amico di S. Paolino di Nola con il quale teneva corrispondenza epistolare. e di S. Gerolamo e di S. Agostino. S. Girolamo dice di lui che era «uomo di vita santa, di ricchissima povertà, di apostolica sollecitudine». E il suo successore Innocenzo I, disse che «governò la Chiesa nella purità di una vita esemplare, nell'abbondanza di una dottrina irreprensibile, e nella giusta fermezza dell'autorità apostolica». Eravi al tempo di S. Anastasio grande dissensione in Roma tra preti e diaconi, Questi, amministrando i beni della Chiesa, trattavano con disprezzo i preti i quali perciò negavano di alzarsi alla loro presenza, dicendo che stando essi a sedere. dovevano i diaconi stare in piedi. E tanto si accese questa discordia che quando i diaconi pubblicavano in piedi ai fedeli il Vangelo, i preti rifiutavano di sorgere dai loro scanni per maggiormente umiliare l'arroganza dei diaconi. A far cessare questo scandalo ordinò S. Anastasio che i preti al leggersi dai diaconi il Vangelo nella S. Messa dovessero anche essi stare in piedi e chinati. Vietò rigorosamente che fossero ordinati i deformi. guerci, zoppi, storpi, ma specialmente i gobbi. Eresse una Basilica sulla via Mamertina, i cui resti sono stati trovati sotto la via di Marforio. Roma che sotto Traiano era al milione di abitanti non ha, sotto Anastasio I, che 300 mila abitanti. Di lui fu detto che il Signore lo tolse di vita per dargli il premio delle sue virtù e risparmiargli il dolore di vedere il saccheggio di Roma fatto nel 410 da Alarico re dei Goti.

INNOCENZO I - PONT. XLII DI ALBANO (402 - 417) Arcadio e Teodosio Il. Imp. d'Oriente — Onorio, lmp. d'Occidente (Sec. V).

Alla morte di Anastasio unanimemente dal clero e dal popolo veniva eletto Innocenzo I. Ripristinò e restaurò le chiese devastate, consolando i fedeli delle sofferenze patite. Ottenne dall'imperatore Onorio un decreto contro i Manichei e i Priscilliani. Pastore universale volse le sue cure alle chiese dell'Oriente e d'Occidente. Pontificò 15 anni e fu sepolto nel cimitero di Ponziano, sulla via Portuense. Innocenzo salì sulla Cattedra di S. Pietro a quarantadue anni. Riguardo alla sua patria c'è chi sostiene non esser stato egli di Albano, presso Roma, ma di Alba in Piemonte. Era, come dice Teodoreto «di grande ingegno e di singolare prudenza». S. Prospero lo proclama «degnissimo della Sede di Pietro». La sua figura campeggia tra quelle dei più grandi Pontefici. Il famoso detto: «Roma locuta est, causa finita est» fu pronunziato da S. Agostino per Innocenzo I allorchè condannò solennemente Pelagio e i suoi seguaci. L'avvenimento più importante del Pontificato di Innocenzo I, è l'invasione di Alarico re dei Visigoti, durante la quale Roma fu presa e devastata due volte. Dopo il primo assedio i romani per placare Alarico gli diedero cinquemila libbre d'oro, trentamila d'argento, quattromila tonache di seta, tremila pelli tinte in scarlatto, tremila libbre di pepe, promettendo di procurare la pace tra Onorio cd Alarico. Recatosi Innocenzo I, per missione affidatagli dai romani, a trattare con l'imperatore a Ravenna, non potè nulla concludere, ed Alarico entrava il 24 agosto 410 in Roma, barbaramente saccheggiandola. Così gravi furono i danni arrecati alla città che S. Gerolamo scrisse che Roma fu «convertita in un sepolcro». Innocenzo regolò i rapporti tra i Cristiani, gli Ebrei ed i pagani. Confermò la tradizione per cui la Chiesa nel venerdì e Sabato santo si astiene dal sacrifizio della Messa e dalla Comunione. Difese S. Giovanni Crisostomo contro i suoi nemici, c condannò i Pelagiani. Con legato di una pia matrona. nella vallata del Quirinale, fabbricò cd eresse il titolo cardinalizio dei Ss. Vitale, Gervasio e Protasio. A proposito della tradizione che fa di Gervasio e Protasio due fratelli, M. Trivulzio della Somaglia. nel suo volume I Papi, e in una nota al capitolo riguardante Innocenzo I, avverte che ciò è erroneo come ritiene l'attuale Pontefice Pio XI. E aggiunge: «Trovandomi infatti, alcuni anni or sono con l'allora Monsignor Achille Ratti davanti ad affreschi provenienti dalla antica chiesa di San Maurizio di Monza, dove, fra altri santi è rappresentata S. Valeria con i gemelli Gervasio e Protasio. egli ebbe la bontà di spiegarmi che, contrariamente alla tradizione, questi due santi non erano mai stati fratelli».

S. ZOZIMO - PONT. XLIII GRECO (417-418) Teodosio II. Imp. d'Oriente -- Onorio, Imp. d'Occidente (Sec. V).

Oriundo della Magna Grecia. ascritto al clero romano da Innocenzo I, alla morte di questi, veniva eletto Pontefice. Il breve pontificato di un anno e mezzo fu distinto da un grande zelo da parte di Zozimo nel tutelare l'integrità della fede. Fu sepolto nella Basilica di San Lorenzo al Verano. sulla Via Tiburtina. il padre, che aveva nome Abiano. curò personalmente la educazione di Zozimo, sino a che questi abbracciò lo stato ecclesiastico. C'è chi dice esser stato monaco Basiliano. Mandò S. Agostino suo legato a Cesarca in Mauritania per compone i dissidi ivi insorti. Nella Gallia meridionale eresse Arles metropolitana per la Gallia intiera. Fu vigilantissimo contro gli eretici e sostenitore fortissimo delle prerogative della Chiesa Romana. Poibì ai sacerdoti d'entrare nelle osterie e di bere pubblicamente, senza necessità. Sopportò con edificante rassegnazione una lunga malattia.

S. BONIFACIO I-PONT. XLIV ROMANO (418 - 423) Teodosio Il, Imp. d'Oriente — Onorio. Imp. d'Occidente (Sec. V).

L'elezione di S. Bonifacio I, avvenuta nel 418. fu contrastata dalla contemporanea elezione dell'antipapa Eulalio. Il suo breve Pontificato di 4 anni e nove mesi fu tutto impegnato a combattére i Pelagiani. Pose termine al dissidio scoppiato tra Roma e Costantinopoli per la giurisdizione della Chiesa dell'Illiria. Fu sepolto sulla via Salaria. presso il corpo di S. Felicita. Era figliuolo del prete Giocondo; e fu fatto Cardinale prete da S. Damaso. Quando ascese il soglio pontificio era già avanzato negli anni e fu eletto Papa, vincendo la sua grande riluttanza. Mentre Bonifacio era eletto nella chiesa di S. Teodoro, della quale è incerta la ubicazione, la fazione avversa dei Pelagiani acclamava nella Basilica Lateranense l'arcidiacono Eulalio a Pontefice. Intanto Eulalio prendeva possesso di S. Pietro, mentre Bonifacio s'era ritirato a S. Paolo. Onorio, che, da principio, s'era schierato per Eulalio, lo dichiarò infine scaduto riconoscendo Bonifacio per legittimo Pontefice. Avendo dai Pelagiani ricevuto lettere calunniose contro S. Agostino, Bonifacio gliele mandò e S. Agostino per riconoscenza gli dedicò i 4 libri scritti contro i Pelagiani: «Per due lettere, quattro libri contro i Pelagiani». Poichè le «vigilie dei Santi» che al principio erano una pia istituzione, per la quale i fedeli passavano la notte presso il sepolcro dei Santi, s'erano mutate in bagordi e in festini, Bonifacio, senz'altro le abolì. Dispose che niuno fosse ordinato prima dei trent'anni e che nè servi nè indebitati potessero essere innalzati alla dignità sacerdotale. Ordinò che nè monaca, nè donna alcuna toccasse i vasi sacri dell'altare, nè ponesse l'incenso nel turibolo o potesse incensare. Durante il suo Pontificato morì nonagenario S. Gerolamo, lume della Chiesa, e questa morte molto afflisse Bonifacio. Bonifacio si scelse per luogo di sepoltura il cimitero presso il corpo di S. Felicita perchè, secondo il De Rossi, Bonifacio aveva molta riconoscenza verso questa santa che lo aveva tenuto nascosto durante i gravi disordini avvenuti a Roma per cpera dell'antipapa Eulalio.

S. CELESTINO I - PONT. XLV ROMANO (423 • 432) Teodosio II. 1mp. d'Oriente — Valentiniano III. Imp. d'Occidente (Sec. V).

Romano. figlio di Prìsco, continuò la lotta del suo antecessore Bonifacio 1, contro i Pelagiani. Osservantissimo della disciplina ecclesiastica, di vita zelante ed esemplare, governò la Chiesa 9 anni, 10 mesi e 9 giorni. Fu sepolto come attesta il Liber Pontificalis nel cimitero di Priscilla sulla Via Salaria. Era parente prossimo dell'imperatore Valentiniano, ed era stato fatto Cardinale diacono da Innocenzo I. Il fatto più saliente del suo Pontificato è il Concilio di Efeso. al quale intervennero duecento Vescovi, tre legati del Papa e fu presieduto da S. Cirillo in rappresentanza del Pontefice. In esso fu condannato solennemente Nestorio e di nuovo i Pelagiani. In questo Concilio Ecumenico — che fu il III — fu proclamato il primato del Vescovo di Roma sulla Chiesa universale in termini che saranno ripresi. 14 secoli più tardi. nel Concilio Vaticano. Bossuet fa rilevare la grande testimonianza resa dal Concilio di Efeso all'autorità del Papa. Si vuole che dopo il Concilio, all'Ave Maria fossero aggiunte le parole: «Sancta Maria. Mater Dei, ora pro nobis pcccatoribus». Ma il Mabillon che diffusamente tratta questo punto, dice che tale aggiunta non si trova prima del 1500 nè in libri stampati nè in manoscritti. Dopo queste parole i Frati Minori aggiunsero di poi: «nunc et in hora mortis nostrae» come si legge nel loro Breviario stampato nel 1515. La gloria più bella di S. Celestino sarà sempre quella di aver difesa ed esaltata la Madre di Dio, il cui trionfo si compì nel mondo quando nel 1854 Pio IX definiva il dogma del suo Immacolato Concepimento. Celestino ha il merito di aver mandato S. Patrizio a evangelizzare l'Irlanda. Durante il suo Pontificato S. Agostino scrisse il De Civitate Dei. Gli si attribuisce l'aggiunta già attribuita ad altri dell'Introito nella messa e secondo altri la prescrizione dei cinque salmi in preparazione della messa. Mentre già sotto Bonifacio I i Pelagiani erano — per decreto di Costanzo imperatore - obbligati a star cento miglia lontani da Roma, Celestino, dopo il Concilio di Efeso, volle che lo fossero da tutta l'Italia. Era così osservante dei decreti e delle usanze introdotte dai suoi antecessori, che non si sapeva indurre a revocare o a sottoporre a nuovo esame ciò che era stato prima da essi ordinato e deciso. Una leggenda dice che al tempo di Celestino I, «il diavolo trasformatosi nella persona di Mosè ingannasse molti giudei, dando loro ad intendere di doverli, da Candia ove essi erano, col piede asciutto, nel modo che nelle historie del Vecchio testamento si legge, condurre per mezzo del mare in terra di promissione: perciocchè molti che il falso Mosti seguirono. perirono». In un monumento dell'epoca, nella iscrizione dedicatoria nel mosaico di S. Sabina, è detto in qual considerazione fosse Celestino: «Culrnen Apostolicurn cum Coelestimzs haberet, primus in foto fulget episeopus orbe».

SAN SISTO III - PONT. XLVI ROMANO (432 - 440) Teodosio II. Imp. d'Oriente — Valentiniano III, Imp. d'Occidente (Sec. V).

Romano, figlio di Sisto. quando ascese al Pontificato. era già noto, avendo onorevolmente figurato nei Pontificati di S. Bonifacio I e di S. Celestino I. Difese e tutelò la supremazia del Pontefice: combattè energicamente i Pelagiani e cercò di estinguere lo scisma Nestoriano. Ampliò e rinnovò la basilica Liberiana e altre chiese forni di ricche suppellettili. Governò la Chiesa 8 anni e 14 giorni. Il primato del Papa è chiaramente dimostrato dalla lettera di S. Sisto III ai Vescovi di Oriente nella quale si dice che «il Sommo Pontefice è incaricato della cura di tutte le chiese del mondo: che non si può senza peccato staccarsi dalla fede della Chiesa apostolica romana nella quale San Pietro non cessa di insegnare per bocca dei suoi Successori quello che ebbe appreso da Gesù Cristo». Avendo Basso, di illustre famiglia romana, calunniato il Pontefice ed essendo stato da Valentiniano III condannato e dai Vescovi privato della Comunione, Sisto III, con ammirabile carità, non solo perdonò al suo nemico, ma lo visitò durante la malattia dalla quale fu colpito. lo provvide di tutto il bisognevole, perchè l'imperatore l'aveva privato dei beni, gli amministrò gli ultimi sacramenti e prese cura di farlo seppellire. In memoria del Concilio di Efeso ampliò e decorò di splendidi mosaici la Basilica Liberiana. e nell'arco trionfale da lui eretto in memoria di quel Concilio si leggono ancora, nelle lettere originali, le parole: Xistus Episcopus Plebi Dei, quasi a dire che aveva fatto quegli ornamenti perchè il popolo di Dio che visitava la chiesa li godesse. Coprì nella Basilica Liberiana l'altare di lamine d'argento del peso di 300 libbre; le die 5 vasi di argento di 5 libbre, calici per la messa di 3 libbre. boccali per l'acqua, corone, candelieri, incensieri e un cervo per gettar acqua nel battesimo, tutto d'argento. Nel 433 ordinò Vescovo di Ravenna S. Pier Crisologo essendo a ciò, miracolosamente, avvisato dall'apostolo San Pietro. S. Agostino, chiama Sisto III «acerrimo impugnatore dei Pelagiani» e S. Leone I, il suo grande successore: «magnifico restauratore di templi. ma più d'anime» del quale «non perirà la memoria in eterno». Per i lavori che fece alla Basilica Liberiana e in altre chiese, è spesso rappresentato tenendo in mano l'immagine della Madonna là venerata, e con un badile o altro attrezzo di lavoratore.

S. LEONE I IL GRANDE - PONT. XLVII DELLA TUSCIA (440- 461) Teodosio IL Marciano, Leone, Imp. d'Oriente Severo III. Imp. d'Occidente (Sec. V).

Apparteneva a distinta famiglia toscana. S. Zozimo lo creò cardinale diacono, e da questo tempo ebbe parte in tutti gli affari più importanti della Chiesa nei pontificati di San Bonifacio I, S. Celestino e di S. Sisto III. Per le sue virtù, la sua dottrina, le sue opere, meritò il nome di Grande. Combattè l'eresia nelle sue varie manifestazioni: tenne in Calcedonia il IV Concilio Ecumenico; salvò Roma da Attila, e mitigò il disastro del saccheggio dato a Roma da Genserico. Governò la Chiesa 21 anni. I mese e 18 giorni. Fu sepolto nell'atrio di S. Pietro. Mentre l'impero di Occidente si sgretolava e la Chiesa d'Oriente era dilaniata da controversie dogmatiche Leone I seppe reggere la Chiesa con illuminata saggezza e mano ferma. Fu eletto assente da Roma, mentre era nelle Gallio mandatovi dal Senato a riconciliare due romani; il generale Ezio e il primo magistrato Albino. Appena giunto a Roma, consacrato Vescovo, saliva sulla Cattedra di S. Pietro. Subito si attorniò delle persone più autorevoli e prudenti che avesse la Chiesa, tra le quali San Prospero d'Aquitania, detto «l'uomo più dotto del suo secolo». Due pericoli minacciavano la Chiesa: l'eresia e i barbari. Il Sinodo convocato da Teodosio II ad Efeso, durante quale avvennero scene violente e lo stesso S. Flaviano vi fu percosso, fu da S. Leone in una lettera scritta all'imperatrice Pulcheria. qualificato come assemblea di briganti «Latrocinium Ephesinum». Indisse il Conciilio di Calcedonia al quale intervennero 600 Vescovi e in esso vennero condannati l'eutichianesimo e il nestorianesimo. Quando Attila, flegellum Dei, sceso in Italia, minacciava Roma, Leone andò incontro al barbaro sovrano, e presso Mantova. abboccatosi con lui, riusciva a farlo retrocedere. Avendo i soldati, irritati al vedere il vincitore del mondo vinto da un prete, accusato Attila, questi disse che aveva agito per loro e suo bene, avendo visto alla destra del Papa un soldato con la spada sguainata che gli aveva detto: «Se tu non obbedisci. tu e tutti i tuoi perirete». Un illustre storico ha scritto che Leone I fermando Attila sul Mincio e comandandogli di risparmiare le mura di Roma. salvò l'Occidente da una barbarie forse definitiva. Raffaello nelle stanze del Vaticano rappresentò l'incontro di S. Leone I con Attila, col suo divino pennello: ed altrettanto fece con lo scalpello nella Basilica Vaticana il celebre Alessandro Algardi nell'alto rilievo di marmo che eresse a questo suo santo predecessore Innocenzo X. Se Leone non potè impedire il saccheggio di Roma ai Vandali di Censerico, ottenne la promessa che la città non sarebbe stata distrutta. «Solo i rappresentanti della religione — dice il Villari — sapevano dar prova di dignità umana e di grandezza eroica». Nel saccheggio dei Vandali andarono perduti i vasi d'oro e di argento che Tito aveva portato da Gerusalemme a Roma ed erano stati sino allora, con somma cura conservati. Con il saccheggio dei Vandali, l'antica Roma è caduta, la gloria del Campidoglio non esiste più: comincia quella del Laterano e del Vaticano. Leone I era un oratore maraviglioso, fecondo e travolgente; uno scrittore efficace e profondo. Si hanno di lui 26 sermoni, 150 lettere e un codice sugli antichi canoni. Il latino di S. Leone I, comporta un certo ritmo che sarà conservato nei documenti della Cancelleria Apostolica nel medioevo e prenderà il nome di cursus Leoninus. S. Leone I ebbe una grande corrispondenza trattando coi sovrani con apostolica libertà. Nel 450 ricevette a Roma l'imperatore Valentiniano III, con Eudossia sua madre che venivano da Ravenna per assistere alla festa di San Pietro e pregare sulla tomba degli Apostoli. Tra le innumerevoli determinazioni di S. Leone I si ha che dichiarò doversi allontanare dagli uffici ecclesiastici e dal nome sacerdotale quello che avesse sposato una vedova. Proibì l'usura ai chierici e ai laici; vietò la confessione pubblica; prescrisse che l'età richiesta per essere abbadessa fosse di 40 anni. Trasformò in feste cristiane certe feste pagane che ancora esistevano. Quando Leone depose presso le catene di S. Pietro in Vincoli, quelle donate da Eudossia, i due pezzi di catena si congiunsero indissolubilmente tra loro, formandone una sola di 38 anelli. Riparò le basiliche Vaticana e Ostiense e pose in esse dei suoi Cubicolari per custodire i corpi e le reliquie dei Principi degli Apostoli. Narra una pia leggenda: «Leone diceva messa la festa di Pasqua in S. Maria Maggiore e comunicando i cristiani per ordine, una grande donna sì li basciò la mano e per questo si levò contro di lui una forte tentazione di carne. Ed egli allora si tagliò al postutto di quel dì medesimo la mano scandalizzante e gettolla da sé. Ma mormorando il popolo perché il Papa non diceva più messa, come era suo costume. Leone si rivolse alla Vergine. Allora ella Li venne innanzi e con le sue santissime mani gli rendea la mano sua, comandandogli che andasse a dire la messa». A S. Leone si può attribuire l'introduzione prima dei Nunzi, come appare da una sua lettera a Marciano ove lo prega di considerare il Vescovo Giuliano con benevolenza e a figurarsi negli ossequi di questo l'immagine della presenza di Lui medesimo. Tritemio lo chiama «Il Tullio della facoltà ecclesiastica, l'Omero della sacra teologia, l'Aristotele delle ragioni della fede, il Pietro dell'autorità apostolica, il Paolo del pergamo cattolico». Con Leone I comincia un nuovo periodo per le tombe papali: a lui fu accordato l'onore di esser seppellito non lontano dal Principe degli Apostoli, non però come i Papi dei primi due secoli, in vicinanza della stessa memoria apostolica, ma fuori della basilica costantiniana. Nel 1607 Paolo V fece esumare i corpi dei quattro Papi dal nome di Leone - che nel XI secolo erano stati riuniti con quelli di Leone I - e li pose sotto l'altare dedicato alla Madonna della Colonna. Fu trovato in una cassa di legno di cipresso il corpo quasi tutto intero, di circa 8 palmi di altezza con le insegne pontificie ed il Pallio. Innocenzo X fece edificare una speciale cappella per riporvi il corpo di S. Leone I — cappella ornata dell'altarilievi dell'Algardi — ma la traslazione, per la morte di Innocenzo X, fu compiuta da Clemente XII nel 1715.

SANT'ILARO - PONT. XLVIII DI CAGLIARI (461 -468) Leone. Antemio (Sec. V)

Sardo di Cagliari, figlio di Crispino o Crispiniano. Aveva rappresentato il Papa ai Concilii di Efeso e di Calcedonia. Eletto Pontefice seguì le orme del suo prodigioso antecessore nel far osservare la disciplina e combattere l'errore. Tenne un Concilio nella Basilica Liberiana. Amante delle arti eresse varie chiese che arricchì di doni. Governò la Chiesa 6 anni, 3 mesi e 10 giorni: fu sepolto nel cimitero di S. Lorenzo sulla via Tiburtina. Il Concilio celebrato da Papa Ilaro nel 465 nella Basilica Liberiana è il primo i cui ricordi autentici ed originali ci siano stati trasmessi. In memoria degli scampati pericoli nello sciagurato Concilio di Efeso, durante il quale era stato imprigionato da Dioscuro, patriarca di Alessandria, eresse due cappelle nella Basilica Lateranense dedicate a San Giovanni Battista e a San Giovanni Evangelista. In quella del Battista pose l'epigrafe: «Hilarus Episcopus sanctae plebi Dei». Tra i vari decreti da lui stabiliti determinò che niuno potesse essere ordinato se non fosse in qualche modo fornito di lettere: e proibì ai Vescovi di eleggersi il proprio successore. Calunniato dai suoi nemici di colpe, giurò sulla tomba di S. Pietro di essere innocente. L'imperatore Antemio, vinto dalle esortazioni del Pontefice giurò sull'altare di S. Pietro di non permettere adunanze di eretici. Coll'intendimento di mantenere l'uniformità nella celebrazione della Pasqua, diede incarico al famoso matematico Vittorio d'Aquitania di comporre quel ciclo di 432 anni che fu poi illustrato da celebri scrittori ed è chiamato «Canone Pasquale». Fu così splendido nell'ornare di ricchi arredi le chiese che un antico scrittore di cose ecclesiastiche ha computato che il valore degli arredi, utensili ed ornamenti in metallo nobile indicati nel Liber Pontificalis come fondazioni di Ilaro, in soli quasi sette anni di governo oltrepassi la somma di 102.983 scudi, oltre a mezzo milione di franchi somma straordinariamente considerevole se si tien conto dcl valore che aveva allora il danaro. Ordinò di stabilire due biblioteche nella Basilica Lateranense per gli studiosi: e però sotto questo aspetto può essere considerato il fondatore della Biblioteca Pontificia. Presso la Basilica di S. Lorenzo al Verano eresse un convento e una abitazione, tanto ad uso di ospizio dei pellegrini, quanto di villa pontificia.

S. SIMPLICIO - PONT. XLIX DI TIVOLI (465 -483) Leone e Antemio. Olibrio, Glicerio, Zenone e Nipote. Augustolo, Odacre Fine dell'Impero di Occidente (Sec. V)

Nato a Tivoli e figlio di Castino, presto abbracciò la carriera ecclesiastica nella quale subito ascese sotto i Pontificati di S. Leone Magno e di S. Ilario. Dovette resistere alle pretese degli imperatori d'Oriente e combattere l'eresia nell'Occidente. Eresse varie chiese, e prese utili provvedimenti per la disciplina del clero. Pontificò 15 anni e 6 giorni. Il Pontificato di Papa S. Simplicio ha assistito alla estinzione dell'impero romano d'Occidente, con la deposizione fatta da Odoacre re degli Eruli dell'ultimo imperatore, l'imbelle Romolo Momillo Augustolo. Si acuì l'antagonismo tra Occidente e Oriente. Fu il primo che, scrivendo all'imperatore adoperò la forrnola: Diletto Figlio. Fu un grande amministratore e diè una organizzazione perfetta al servizio delle chiese titolari e delle Basiliche. Divise Roma in cinque regioni, secondo le Basiliche: di S. Pietro, di S. Paolo, di S. Lorenzo, di S. Giovanni in Laterano e di S. Maria Maggiore. Regolò severamente l'uso delle entrate ecclesiastiche dividendole in quattro parti: una per il Vescovo, la seconda per il clero, la terza per la fabbrica delle chiese, la quarta per i poveri e i pellegrini. Dichiarò Primate della Spagna l'arcivescovo di Siviglia. A Papa S. Simplicio si deve S. Stefano Rotondo, una Basilica a S. Andrea, presso S. Maria Maggiore, e una chiesa a S. Bibiana. Durante il suo pontificato, nel 472, il Goto Ricimero si impadronì di Roma, dopo un sanguinoso combattimento, la saccheggiò e vi uccise l'Imperatore Antemio.

SAN FELICE III - PONT. L ROMANO (453 - 492) Zenone. Anastasio I Imp. — Odoacre Re degli Eruli (Sec. V).

Romano e di nome Caio Felice, della gens Anicia. L'anno dopo la sua elezione condannò ed espulse dalla comunione cattolica il patriarca di Costantinopoli Acacio, autore del primo scisma tra la Chiesa Greca e la Latina. Tenne due Concilii a Roma prendendovi decisioni di disciplina ecclesiastica. Governò la Chiesa 8 anni, 1 mese e 18 giorni e fu sepolto nella Basilica Ostiense. San Felice III era della famiglia Anicia. la più illustre, nobile, potente e ricca che allora fosse in Roma. Questa famiglia aveva dato il primo senatore cristiano, i martiri Canzio, Canziano e Canzianilla al tempo di Diocleziano, le dame Proba, Giuliana e Demetriade, distinte per santità, e l'illustre console e confessore Manlio Severino Boezio. Dalla famiglia Anicia viene la illustre famiglia Conti — oggi estinta — che ha dato tanti Pontefici alla Chiesa. S. Felice, che prima di prender gli ordini maggiori aveva avuto moglie e figli, ebbe tra i suoi discendenti il Papa S. Gregorio Magno. Condannò Pietro Fullone o Gnaffeo, falso Vescovo di Antiochia come eretico e per aver aggiunte altre parole al Trisagio: «Sanctus Deus, Sanctus fortis, Sanctus immortalis, miserere nobis». Lo stesso S. Felice nella epistola al Fullone racconta l'origine di questo Trisagio. Quando fu assalita Costantinopoli (nel 445) da un forte terremoto trovandosi il popolo orante all'aperto. un fanciullo alla presenza di questo e del Vescovo Frodo fu rapito per un'ora in cielo ove imparò dagli angeli che cantavano il misterioso Trisagio, e ritornato in terra, l'insegnò al popolo il quale avendo con esso placata l'ira divina, tornò illeso in città. E d'allora fu usato con gran frutto dalla Chiesa. Come al suo antecessore S. Simplicio, anche a lui è attribuita la priorità di aver chiamato «Diletto Figlio», nelle sue lettere, l'imperatore. I cristiani dell'Africa, furono durante il Pontificato di Felice III. duramente perseguitati dal re dei Vandali, e in un anno più di 4 mila, sospinti nel deserto, morirono di fame e di sete. Avendo scritto lungamente all'imperatore Zenone, questi gli rispose di essere un'altra volta, meno prolisso. «Sarò più conciso — rispose Felice — ma dirò sempre la verità». Ebbe il coraggio di scrivere all'imperatore: «A te è conferita l'autorità suprema delle cose terrene, perchè lasci la direzione delle cose ecclesiastiche a coloro che da Dio ne sono deputati». Si fece deporre nella Basilica di San Paolo sulla Via Ostiense, dove si trovava il sepolcro della sua famiglia. Ma quasi tutti i Papi seguenti, sino alla fine del secolo VI, hanno trovato sepoltura nel portico Vaticano.

SAN GELASIO I - PONT. LI AFRICANO (492 - 496) Anastasio I Imp. — Teodorico Re dei Goti (Sec. V)

Dell'africa romana, salito al Pontificato, difese con trattati il primato della Chiesa Romana, combattè vigorosamente i Pelagiani, abolì le feste Lupercali e stabilì il tempo del conferimento degli ordini. Fu scrittore esimio e si hanno di lui ancora numerosi decreti, lettere e vani trattati. Pontificò 4 anni, 8 mesi e 18 giorni, e fu sepolto nel Vaticano. Gelasio poteva dire di sè stesso, benchè africano: «sicut romanus natus»; non altrimenti che S. Paolo, il quale essendo di Tarso nella Cilicia, affermò esser nato cittadino romano. Intelligente ed energico, salvò Roma dalla fame nella carestia che l'afflisse nel 493. «Nulla meglio conviene — scrisse in una sua lettera — alla funzione sacerdotale che la protezione dei poveri e dei deboli». Fece formare un libro delle entrate e dei censi e gli diede il nome di Patrimonio dei poveri. Essendosi dai pagani voluto ristabilire le feste Lupercali che erano dedicate al dio Pane, si attribuisce a Gelasio l'istituzione della festa della Purificazione. In un codice della Biblioteca Vaticana, scoperto dal Baronio è un trattato di Gelasio I contro le feste Lupercali. Raccolse e riordinò le preci e i riti della liturgia in un codice o Sacramentario, che contiene le Messe, le formule dei Sacramenti, con prefazi, inni, orazioni, dei quali credesi anche l'autore. «Sappi — scrisse all'imperatore — che il mondo è retto da due grandi potenze: quella dei Pontefici e quella dei Re; ma l'autorità dei Pontefici è tanto più grande, perche devono render conto a Dio, nel giorno del Giudizio, dell'anima dei Re». Per riconoscere in Roma i Manichei che abborrivano il vino, dicendolo: «fiele del principe delle tenebre e dal diavolo creato» ordinò che i fedeli si comunicassero sotto ambedue le specie. Si vuole che S. Gelasio sia stato l'istitutore dei «Canonici Regolari» del Laterano nel 495. A proposito di questa fondazione e della loro vantata priorità dagli Eremitani di S. Agostino nel secolo XV sorse così aspra discussione che Sisto IV impose silenzio sotto pena di scomunica non solo alle due parti, ma ancora a quelli che volessero scrivere in loro favore. Ma più tardi, sotto Innocenzo VIII, la polemica ricominciò. Parecchi autori s'accordano nel ritenere che abbia istituita una congregazione di religiose e che per loro compose la regola, e che sua sorella ne fu la prima superiora. Narra il Baronio che essendo stati uccisi due Vescovi dai cittadini di Squillace nella Calabria, Gelasio fece un decreto in cui dichiarò indegni di aver più il proprio Pastore que' popoli che avessero commesso il sacrilego attentato di ucciderlo, e ordinò che la diocesi fosse governata dal vescovo più vicino. Dionisio l'Esiguo. disse di questo Pontefice che «mori povero, dopo aver sovvenuto poveri senza numero».

S. ANASTASIO II - PONT. LII ROMANO (496 - 498) Anastasio I Imp. — Teodorico Re dei Goti (Sec. V).

Romano, figlio di Pietro, asceso al Pontificato si adoperò con tutte le forze per riconciliare la Chiesa di Oriente con quella di Roma. Ebbe un breve pontificato di un anno, Il mesi e 24 giorni, fu sepolto nel portico di S. Pietro. Secondo il Liber Pontificalis, il padre di Anastasio sarebbe stato prete, come «presbytero genitus». Nel suo Pontificato si verificò la conversione del Re di Francia Clodoveo il quale venne battezzato unitamente a tremila francesi. La lettera di congratulazione che il Papa avrebbe per questo avvenimento scritta a Clodoveo e che fu per molto tempo ritenuta autentica, dice il Grisar che fu inventata di sana pianta da Girolamo Vignier. nel XVII secolo. Clodoveo ricevette il battesimo la notte di Natale nel 496 da S. Remigio Vescovo di Reims: egli era allora il solo re cattolico, essendo gli altri ariani. La monarchia franca, fondata da Clodoveo, osserva Chantrel, fu dunque come la figlia unica della Chiesa Cattolica in quell'epoca, e la Francia ben meritava di essere chiamata la sua «figliola primogenita». Dicono molti francesi che per questo battesimo di Clodoveo abbia S. Remigio, ricevuto dal Cielo un'ampolla col crisma, portatagli da una colomba e che con questo esempio i successori di Clodoveo si siano unti re con la stessa ampolla, in cui non è mai mancato l'olio. Questo dice anche il Baronio all'anno 496. Contro di lui sorse la sciocca leggenda che ebbe qualche credito nel XIV secolo, che fosse stato propenso per l'eresia. data la sua amicizia con Fotino. Ma. a parte la confusione del nome di Anastasio Papa, con quello di Anastasio Imperatore, quando il diacono Fotino di Tessalonica, venne a Rema, già aveva riparato agli errori antecedenti. Per questa leggenda, Dante (Inferno, XI, 7) ha detto di lui: Ci raccostammo dietro ad un coperchio, D'un grande avello, ov’io vidi una scritta Che diceva: Anastasio Papa guardo, Lo qual trasse Ftin dalla via dritta. A proposito dei Papi giudicati da Dante nella Divina Commedia, il cardinale Tripepi ha scritto: «I sette Papi giudicati nella Divina Commedia e gli odierni studi di scienza critica».

S. SIMMACO - PONT. LIII SARDO (498 - 514) Anastasio I lmp. — Teodorico Re dei Goti (Sec. V - VI).

Della Sardegna, figlio di Fortunato. diventato arcidiacono, salì al soglio Pontificio il 22 novembre 498. Contemporaneamente alla sua elezione l'arcipresbitero Lorenzo era eletto come antipapa. Riconosciuto Simmaco per vero Pontefice, tenne Concilii a Roma per confermare la disciplina ecclesiastica e l'autorità Pontificia. Edificò varie chiese, e molto caritatevole. soccorse i Vescovi dell'Africa confinati in Sardegna, eresse in Roma ospedali per i poveri e un ricovero per i pellegrini. Morì dopo aver governato la Chiesa 15 anni, 7 mesi e 27 giorni, e fu sepolto nel Portico di S. Pietro. Il Pontificato di Simmaco fu gravemente turbato dalle violenze e dalle mene dell'antipapa Lorenzo. Simmaco ricevette con molto onore Teodorico il quale, benchè Ariano, si prostrò con grande reverenza davanti alla tomba di S. Pietro tenendo poscia un discorso al popolo e promettendo ai Romani di rispettare i loro diritti e i loro privilegi. Non a farsi giudicare, ma per purgarsi delle accuse che gli erano mosse dai seguaci dell'antipapa. Simmaco radunò un Concilio, assogettandosi al giudizio dei 125 Vescovi intervenuti. Il Concilio riconobbe la sua innocenza protestando solennemente: «che il Vescovo della romana sede non deve soggiacere all'esame dei Vescovi minori». E. S. Vito, Vescovo di Vienna, dichiarava in quella occasione che: «Non si può comprendere come un superiore, e a più forte ragione il Capo della Chiesa, possa essere giudicato dai suoi inferiori». Avendo il re dei Vandali, Trasimondo, esiliato in Sardegna molti Vescovi dell'Africa — che giunsero al numero di 25 — il Papa si incaricò di provvedere ai loro bisogni, mandando loro ogni anno vesti e denaro. E con suo denaro riscattò gli schiavi che dimoravano nelle provincie di Milano, nella Liguria, e in altre provincie. Nel Sinodo che celebrò a Roma nel 499 ordinò che vivente il Pontefice non si dovesse trattare della elezione del Successore. sotto pena di scomunica e della privazione di tutte le dignità. Proibì che i laici, anche se costituiti in dignità regia, avessero ingerenza nella elezione Pontificia. All'Imperatore Anastasio scrisse con dignità veramente pontificale: «lo non posso dissimulare le tue ingiurie, esse mi onorano, ma ti rendono troppo colpevole innanzi a Dio. Tu dici essermi fatto manicheo, ma tutta Roma è testimone della purità della mia fede; e i suoi archivi potrebbero risponderne al riguardo. Sia pure accusato e confuso s'io mi sono mai allontanato di un punto dalla dottrina cattolica che ho ricevuto dalla cattedra del Beato Pietro. Ma le ingiurie non sono prove e le calunnie non son ragioni. Ignoro su qual fondamento tu possa affermare non essere io stato canonicamente eletto. Dio ha già giudicato. Chi sei tu che resisti alla suprema sentenza?». Permise ai Vescovi di dare agli ecclesiastici, pel loro sostentamento e finchè vivessero, l'usufrutto di certi beni della Chiesa, e di qui ebbero origine, si afferma, i benefici ecclesiastici. Edificò chiese e altre fabbriche, e Roma, mercè Simmaco e Teodorico potè rilevarsi e di nuovo fiorire. Ai lati dell'atrio di S. Pietro costruì gli «episcopia» onde può essere riguardato come il fondatore dei palazzi Pontifici del Vaticano. Fece collocare la grande pigna di bronzo, che ora è nel giardino del Belvedere, a ornamento dell'atrio della Basilica Vaticana. Fu il fondatore delle fontane di Piazza S. Pietro, avendo fornita la piazza di un pozzo che servisse alle necessità del popolo. Sulle terme di Traiano edificò la chiesa di S. Martino ai Monti sopra l'esistente oratorio di S. Silvestro donandole un tabernacolo di argento massiccio di libbre 20 e 12 archi di argento pesanti ognuno 10 libbre e vi fece pure la confessione d'argento. Anastasio Bibliotecario dice che per le basiliche e le chiese di Roma, fu tanto munifico che impiegò 1469 libbre di argento, oltre le spese per le fatture, le molte gemme, e l'oro. In grandi pire, erette davanti le porte di S. Giovanni Laterano. bruciò le opere scritte in favore del Manicheismo.

SANT'ORMISDA – PONT. LIV DI FROSINONE (514 - 523) Anastasio. Giustino Imp. — Teodorico Re dei Goti (Sec. VII)

Di ricca famiglia di Frosinone e figlio di Giusto. Era stato uno dei più forti sostenitori di Simmaco contro le mene dell'antipapa Lorenzo. Ormisda è esempio di fermezza e di modestia. Ricondusse alla Chiesa molti partigiani di Lorenzo. Scrisse gran numero di lettere: e governò la Chiesa 9 anni e I l giorni. Fu sepolto a S. Pietro. Con Ormisda si ha il fatto stranissimo di un Papa, padre di un altro Papa; perchè, avendo avuto moglie, prima di ricevere l'ordine del diaconato, il figlio suo Liberio fu poi eletto Pontefice nel 586. San Cesario, Vescovo di Arles, gli aveva predetto il Pontificato. Ricondusse la pace nella Chiesa di Oriente. redigendo un formulario che, accettato dal nuovo imperatore Giustino, mise fine allo scisma. Questo scritto è detto: «Formulario di S. Ormisda». Quello che di esso riguarda la Sede Apostolica fu inserito nel Concilio Vaticano, nel suo decreto sul primato della Sede Apostolica. È nel Pontificato di S. Ormisda, e cioè verso il 520, che S. Benedetto istituì il suo celebre e benemerito Ordine. L'Ordine Benedettino è quello che ha dato più Pontefici alla Chiesa di ogni altro: anzi vi fu un periodo in cui tanti furono i Pontefici dell'ordine Benedettino che sembrò allora essere diventata ereditaria in quest'Ordine la Sedia Pontificia. Pietro Bugiano conta 37 Pontefici Benedettini dei quali venticinque Santi. Vide convertiti alla fede dall'arianesimo i Borgognoni. dal paganesimo gli Etiopi, dalla superstizione giudaica gli Omeriti. Per ricambiare il dono di Clodoveo re di Francia, che gli aveva mandato a regalare una tiara preziosa, fece fare due porte di cipresso con la effigie di 5. Pietro e S. Paolo. e la pia leggenda dice che le pose nel Tevere raccomandandole a Dio, acciochè arrivassero bene in Francia, il che avvenne. Si recò da Teodorico a Ravenna, e il re lo ricevette con ogni segno di onore, donandogli per la chiesa di S. Pietro 1051 libbre di argento.

S. GIOVANNI I - PONT. LV TOSCANO (523 - 526) Giustino Imp. — Teodorico. Austeri«, Re (Sa. VI).

Toscano e di Siena, figlio di Costanzo ebbe un breve Pontificato procelloso. Recatosi a Costantinopoli vi fu ricevuto con grande onore dall'imperatore Giustino, ma appena tornato fu imprigionato, per ordine di Teodorico e chiuso in carcere a Ravenna, ove morì vittima del suo dovere, e però la Chiesa gli dà il titolo di martire. Sepolto da prima, fuori le mura di Ravenna, fu poi portato a Roma. a S. Pietro. A Costantinopoli, ove come è detto, si recò nel 525 per compiere una missione da parte del Re Teodorico presso l'imperatore Giustino, fu ricevuto con sommo onore. Dodici miglia prima delle porte della città fu incontrato da tutto il popolo con ceri e poi dall'imperatore che, prostrato sino a terra, gli rese quegli omaggi che prestato avrebbe a S. Pietro. In Costantinopoli, celebrando Giovanni I, il giorno di Pasqua, ornò l'imperatore con le insegne imperiali; e Giustino con gran solennità ornò il Pontefice delle vesti augustali e ne concesse l'uso a lui e ai suoi successori. Ebbe in regalo dall'imperatore una patena d'oro ornata di gemme preziose del peso di 20 libbre. cinque vasi d'argento e quindici pallii tessuti d'oro. Giovanni I è il primo Pontefice che si sia recato a Costantinopoli ed il primo che abbia ornato un imperatore delle insegne imperiali. Si narra che nel suo viaggio a Costantinopoli quando fu a Corinto, essendo rimasto senza cavallo per la prosecuzione del viaggio, ne ebbe uno in prestito da un gentiluomo della città. Era un bello e mansueto animale che veniva abitualmente cavalcato dalla moglie del gentiluomo. Arrivato al termine del viaggio, il Papa rimandò, con molti ringraziamenti, il cavallo al proprietario. Ma la bestia non sembrava più la stessa, indomabile e recalcitrante non permetteva più a nessuno di accostarsi e tanto meno di salirle in groppa. Il proprietario, dopo aver tentato invano di far nuovamente domare il suo cavallo, si decise a rimandarlo in dono al Papa. Presentato nuovamente al Pontefice il cavallo tornò ad essere mansueto e docile come prima. Da allora in poi il cavallo del Papa deve servire esclusivamente per la sua persona. Negli Archivi del Palazzo Apostolico si rileva che quando il cavallo del Papa veniva a morire se ne concedeva, secondo la consuetudine, il corpo per la scorticatura, alla Confraternita dei Cocchieri, ma la pelle si conservava nella scuderia Pontificia. Tornato Giovanni I in Italia e perchè il Papa non aveva ottenuto dall'imperatore quanto voleva, e perchè era adirato per la avvenuta incoronazione di Giustino. Teodorico lo fece imprigionare e in carcere morì «di puzzo, di fame e di sete». Tre mesi dopo la morte del Santo Pontefice, dice la leggenda, che essendo portato sulla mensa reale un grosso pesce, sembrò a Teodorico di vedere nella tagliata testa del pesce, il capo mozzo di Simmaco suo suocero, ch'egli aveva con Boezio, messo a morte. A quello sguardo terribile Teodorico fu preso dai brividi della febbre e postosi a letto, tra le immagini spaventose delle sue vittime, e prima fra esse, quella del Papa Giovanni I, passò di vita. Un frammento di tubo di piombo col nome di Giovanni I, trovato presso S. Lorenzo al Verano, fa credere che questo Pontefice facesse eseguire un lavoro di condutture nella basilica stessa. Il Marucchi chiamò questo cimelio. che ora è al Museo Lateranense: «Un raro campione e fino ad ora un unico esempio di iscrizione datata con il nome di un Papa sopra una conduttura di acqua in epoca assai anteriore alle prime origini de! dominio temporale della Sede Apostolica». La città di Siena, patria di S. Giovanni 1. ha dato alla Chiesa 9 Pontefici, oltre a questi, altri 5 si hanno oriundi di Siena e 4 aggregati alla nobiltà senese. Per la prigionia subita. Giovanni I è rappresentato incatenato.

SAN FELICE IV - PONT. LVI DEL SANNIO (536 - 530) Giustino e Giustiniano — Atalarico Re (Sec. VI).

Alla morte di Giovanni I, avvenuta nel 526, Teodorico imponeva per Pontefice, Felice, nativo del Sannio. Per evitare uno scisma e perchè Felice era uomo degno e di virtù, il clero e il popolo lo riconobbero Pontefice. Ottenne dal successore di Teodorico, Atalarico, un editto in favore dei cristiani. Zelante e munifico, fu larghissimo coi poveri. Morì dopo un governo di 4 anni, 2 mesi e 13 giorni. L'avvenimento più rimarchevole non solo del suo Pontificato, ma di tutto il Medioevo, è la fondazione fatta da S. Benedetto del Monastero di Montecassino. Trasformò nel tempio dei Santi Cosma e Damiano i due edifici pagani del Foro Romano del Templum Sacrae Urbis e dell'Heroon Romuli, che aveva avuto in dono nel regno di Amalassunta, regina dei Goti. Oggi ancora si ammirano gli splendidi mosaici dei quali questo Pontefice adornò la chiesa. Vietò che i laici fossero ordinati sacerdoti, senza prima aver dato prove sufficenti d'istruzione e di bontà di vita. Risplendette in santa semplicità c umiltà, alle quali virtù accoppiò una grande munificenza verso i poverelli. Prima di morire, quasi a dare una indicazione della sua successione, poichè temeva scisma, consegnò il proprio pallio all'arcidiacono Bonifacio. L'epigrafe messa sul suo sepolcro a S. Pietro ne celebrava le virtù, dicendo che: «Pauperibus largus rniseris solacia praestans, Sedis Apostolicae crescere jecit opcs».

BONIFACIO II - PONT. LVI ROMANO (530 – 532) Giustiniano Imp. Atalarico Re (Sec. VI).

Romano, figlio di Sigisbaldo era di origine goto. Designato al Pontificato dal suo antecessore S. Felice IV, fu subito riconosciuto per Papa, mentre una parte del clero gli opponeva l'antipapa Dioscoro. Zelante del bene della Chiesa, vide la fine del semipelagianismo. Ebbe un breve pontificato di due anni e 26 giorni Fu sepolto a S. Pietro. E’ il primo nell'elenco dei Papi, da S. Pietro che non abbia il titolo di Santo. Ed è anche il primo Pontefice ch avesse antenati germanici. Sebbene nel Martirologio non figuri il suo nome fu tuttavia dato a questo Pontefice il titolo di Santo, e lo stesso Atalarico in una lettera a Giovanni II suo successore. chiama «santissimo Papa». Malgrado il decreto di Papa S. Ilario e i Canoni Niceni in un Concilio tenuto nel 531 a Roma designò suo successore il Diacono Vigilio. Ma avvedutosi del mal operato. adunato di nuovo il Concilio, vi fece solenne ritrattazione, bruciando in pari tempo il decreto che aveva fatto: e confermò e comandò che il Papa non potesse eleggersi nè il successore nè il coadiutore. Queste proibizioni furono rinnovate da Pio IV nel 1565. La morte dell'antipapa Dioscuro opposto a Bonifacio, avvenuta dopo 27 giorni, pose fine allo scisma che minacciava di allargarsi. È favola che Bonifacio scomunicasse Dioscoro dopo morte, perchè risulta che fu scomunicato in vita, anche per simonia. Essendo Roma afflitta da una grande carestia, Papa Bonifacio sovvenne in ogni modo il popolo, alleviandone le sofferenze. Questa sua benemerenza è ricordata nel frammento del suo epitaffio nelle Grotte Vaticane, con queste parole: «Egit ne sterilis Romani consumerei annus - Nane orando fugans, mine miserando famem».

GIOVANNI II - PONT. LVIII ROMANO (532 - 535) Giustiliano Imp. Atalarico e Teodato (Sec. VI).

Romano. di nome Mercurio figlio di Proietto della contrada di Monte Celio, Cardinale prete di San Clemente, fu eletto Pontefice nel 532. Combattè vigorosamente la simonia, tenne due Concilii ad Orleans e a Cartagine e condannò la eresia degli Acemeti. Pontificò 2 anni, quattro mesi e 25 giorni. La storia non ha conservato gran che di questo pontificato che fu breve e tranquillo. Alcuni dicono questo Pontefice della famiglia Conti. Una iscrizione nella chiesa di S. Clemente lo chiama di nome Mercurio, mentre alcuni dicono che questo nome gli venisse dato per la sua eloquenza. Eletto nella Basilica di S. Pietro in Vincoli assunse il nome di Giovanni e pare perciò che sia stato il primo Pontefice a mutar nome nel Pontificato. Quando l'imperatore Giustiniano, dopo il Concilio di Cartagine, riconobbe i diritti e restituì i beni della Chiesa d'Africa, usurpati dai Vandali, e inviò al Papa la sua professione di Fede e ricchi doni per la Basilica Vaticana, chiamò il Papa «il primo di tutti i Sacerdoti». La nota caratteristica di questo Pontificato è la lotta contro la simonia che inquinava la Chiesa e specialmente la nomina dei Papi. Un ordine del Senato Romano contro la simonia, fu approvato dal Re Atalarico e questa approvazione fu ricordata in una lapide sotto il portico di S. Pietro. Il suo epitaffio gli tributa la lode dello zelo pastorale: «Servasti cuncturn. sub piotate gregem».

S. AGAPITO I - PONT. LIX ROMANO (535 - 536) Giustiniano Imp. — Teodato e Vitigc (Sec. VI).

Romano, figlio di Gordiano e di stirpe senatoria. Era arcidiacono della Chiesa quando fu eletto Papa. Curò le scienze e fondò una biblioteca nella sua casa. Morì a Costantinopoli, ove erasi recato, avendo Pontificato 10 mesi, e 19 giorni. Il corpo portato a Roma fu sepolto a S. Pietro. Si vuole che la sua casa al clivus Scauri, passata più tardi in proprietà di S. Gregorio Magno, diventasse il celebre monastero. Il Duchesne dice che il padre di S. Agapito I, Gordiano, era prete titolare della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo in Pammachio. Ma bisogna notare che se il celibato dei sacerdoti risale ai primi tempi del cristianesimo e in certo qual modo a quello degli Apostoli che abbandonarono le loro mogli quando furono assunti al sacerdozio, fu Pelagio II nel IV secolo ad estendere la legge del celibato al primo degli ordini maggiori, e cioè al suddiaconato. Resta rigorosa la legge per la quale il laico ammogliato. passando con il consenso della moglie al sacerdozio, si separa per sempre da essa, legandosi con voto solenne di perpetua castità. Il celebre Cassiodoro. per impulso del Papa, aveva deciso di fondare una scuola superiore di scienze cristiane, e ne tracciò un programma di studi che ispirò, poi, tutto il medioevo. Pregato dal Re dei Goti Teodato, si recò a Costantinopoli per persuadere l'imperatore Giustiniano a richiamare l'esercito che, sotto il comando di Belisario aveva mandato in Sicilia. Non avendo Agapito il denaro necessario per le spese del viaggio, diede in pegno agli ufficiali del regio tesoro, gli arredi preziosi di S. Pietro, per procurarselo. Volendo l'imperatore obbligarlo ad accostarsi ad Antimo ch'egli aveva scomunicato e deposto da Vescovo di Trebisonda e cercando di piegarlo con le minaccie, Agapito gli disse: «Io ho desiderato di venire a visitare e vedere Giustiniano, Cristianissimo Principe, ed invece ho trovato Diocleziano, nemico e persecutore dei cattolici». S. Gregorio Magno lo chiama: «vaso cattolico, tromba dell'evangelio e banditore di giustizia». ll celebre P. Sangallo fa di questo Pontefice un magnifico elogio e non dubitò di asserire che non vi fu Papa, il quale in sì breve spazio di tempo, abbia operato cose tanto utili a vantaggio della Chiesa.

SAN SILVERIO - PONT. LX DELLA CAMPANIA - MARTIRE (536 - 538) Giustiniano Imp. — Vitige Re (Sec. VI).

Di Frosinone, fu eletto a succedere a Papa Agapito I. morto a Costantiponoli, essendo suddiacono. Ebbe a lottare con Vigilio fattosi nominare Pontefice per le pressioni dell'imperatrice Teodora e di Belisario. Esiliato a Patara e tornato per intromissione dell'imperatore Gustiniano a Roma; ne fu nuovamente scacciato e relegato nell'isola Palmaria ove morì. Il suo Pontificato durò due anni e 12 giorni. Era figlio del Papa S. Ormisda che, come fu detto, l'aveva avuto da legittimo matrimonio, prima di entrare negli Ordini. È. l'unico caso nella storia della Chiesa che padre e figlio divenissero ambedue Pontefici e Santi. Anche i genitori di S. Bonifacio I, di S. Felice III, e di S. Agapito furono di poi sacerdoti ed ebbero, come San Ormisda, quei figli prima di entrare nello stato ecclesiastico, da matrimonio cristiano. Il suo competitore — c poi successore Vigilio — é quel diacono che già al tempo di Papa Bonifacio II era riuscito a farsi nominare suo successore con un decreto che era stato poi annullato e stracciato dello stesso Bonifacio. Per le mene di Vigilio, che erasi fatto nominare Pontefice, il Papa Silverio fu accusato di tradimento e di intesa col nemico. Quando fu al cospetto di Belisario nella Villa Pinciana — oggi Accademia di Francia — gli fu con violenza strappato dal collo il pallio, per significare che era stato deposto, e vestito da monaco, fu mandato in esilio a Patara città della Licia. Sul Pincio, nel palazzo Medici, in memoria della scena tra Belisario ed il Papa Silverio fu posta una lapide marmorea, riferita dal Piazza nel «Emerologio di Roma». All'imperatrice Teodora che voleva che Silverio restituisse il suo favorito Antimo, alla Sede di Costantinopoli, il Pontefice rispondeva: «Io non mi renderò mai colpevole di un tale delitto. Prevedo che il mio rifiuto mi potrà costare la vita, ma non sarà ch'io tradisca la mia coscienza ed accolga nella mia comunione un eretico dal mio predecessore giustamente condannato». Rimandato a Roma, per ordine dell'imperatore, ne fu nuovamente allontanato e inviato in esilio nell'isola Palmaria nel Tirreno. Di là scrisse: «Vengo alimentato col pane della tribolazione e con l'acqua dell'angustia, ma non perciò ho tralasciato di esercitare il mio ufficio». Liberato dice che il Papa morì in quell'isola «consumato dalla fame, dal freddo e dai maltrattamenti»: invece Procopio asserisce che fu trafitto con pugnale da certo Eugenio, servo di Antonina, moglie di Belisario.

VIGILIO - PONT. LXI ROMANO (538 - 555) Giustiniano Imp. — Vitige, Ildibaldo, Totila, Teia Re (Sec. VI).

Alla morte di Papa San Silverio, Vigilio fu legittimamente eletto, secondo alcuni, o confermato come vogliono altri, per desiderio di pace e per timore di scisma. La condotta di Vigilio, appena assunto legittimamente, fu degna di Pontefice e subito approvò e confermò quanto i suoi antecessori avevano approvato e deciso riguardo alla fede e alla disciplina ecclesiastica. Ebbe lunghe lotte con l'imperatore Giustiniano, per cui dignitosamente sofferse. In viaggio di ritorno da Costantinopoli, morì a Siracusa dopo 16 anni di Pontificato. Al tempo di Papa Vigilio, Roma non contava più di 50 mila persone e nell'interno della città erano campi seminati e pascoli: il Senato, glorioso e antico monumento nella sua costituzione politica scompariva, e dalla crudeltà dei Goti di Totila c di Teia era privo delle sue principali famiglie. La sua anteriore condiscendenza all'imperatore gli costò dolori e persecuzioni. Chiamato a Costantinopoli e non volendo aderire alle richieste dell'imperatore, fu tenuto prigioniero. Allora fece dire all'imperatore: «Benchè tu mi tenga schiavo, non puoi però tener schiavo S. Pietro» Essendo stato, mentre era a Costantinopoli, esecrabilmente percosso con pugni e vilipeso da un cittadino, non sentendosi sicuro, fuggì di notte in Calcedonia recandosi nella chiesa di S. Eufemia. Scoperto dai suoi nemici, mentre lo si voleva tirar fuori, sì strettamente si tenne alle colonnette dell'altare che le smosse per modo da rovesciar la mensa. Nel palazzo Apostolico Lateranense fabbricò un oratorio che prese il suo nome, decorato con bellissime pitture. Non sembra che i Romani amassero molto questo Pontefice, se è vero quanto narra il Platina nella vita di lui, dicendo: «Vogliono che il popolo di Roma, essendo sopra un legno portato giù per lo fiume Virgilio. li tirasse de' sassi e bestemmiandolo, queste parole dicesse: — Poi che tu ne hai così male i Romani trattati, ogni male sopra di te, ne venga». Morto a Siracusa, il suo corpo fu portato a Roma ed è l'ultimo Papa sepolto nel cimitero di Priscilla, sulla Via Salaria. Per quanto discordi siano le opinioni su questo Papa, in un punto si accordano; nel riconoscere che divenuto legittimo Papa rinunziava non solo ai suoi errori, ma diventava strenuo difensore della ortodossia.

PELAGIO I - PONT. LXII ROMANO (555 - 560) Giustiniano e Giustino, II Imp. — Alboino e Clefi Re (Sec. VI).

Romano, figlio di Giovanni. Sotto i Pontificati di Agapito, Liberia e Vigilio era stato apocrisario, o Nunzio pontificio, per comporre gli affari della Chiesa con l'imperatore. Eletto Pontefice, confermò il Concilio Ecumenico e fu rigido nel far osservare la dottrina e la disciplina della Chiesa. Di grande zelo e di grande attività morì dopo un Pontificato di 4 anni, 10 mesi e 18 giorni. Accusato dal popolo romano di fazione contro il predecessore Vigilio, celebrate le litanie, ascese al pulpito della Basilica di S. Pietro e tenendosi sul capo il Vangelo, si purgò con giuramento dalla ingiusta accusa fattagli, e per il fatto giuramento cessò subito il tumulto del popolo romano. Energico e attivo, riorganizzò l'amministrazione temporale del dominio Pontificio che al suo tempo possedeva il patrimonio Apulo e di Sicilia, vastissimo, che estendevasi sull’isola. Grande doveva essere la miseria in quel tempo a Roma, se Pelagio scrisse al Vescovo di Arles perchè inducesse il patrizio Placido a mandar danaro e vestimenta, perchè la gente mancava di abiti e di ogni cosa. A leggere quello che scrive Procopio sulla fame di quel tempo a Roma, c'è da inorridire. Un piccolo moggio di grano costava sette monete d'oro: la crusca come il grano. Di quel tempo di fame e di carestia, durante il pontificato di Pelagio I, è il racconto di quel padre che non sapendo, un giorno, come placare la fame dei suoi 5 figli se li trascina dietro sino al Tevere. Quivi giunto, si copre il capo con la toga e si butta nell'acqua. I bambini disperati lo imitano e annegano uno dopo l'altro nel fiume. Fa meraviglia pensare come in un tempo di così estreme angustie abbia potuto Pelagio iniziare una delle più belle basiliche romane: quella dei Santi Filippo e Giacomo, oggi dei XII SS. Apostoli. Ritenendo il popolo, che in un noce che sorgeva presso lo tomba di Nerone, sul declivio del Pincio, si annidasse il maligno spirito di lui. Pelagio con solenne processione e Litanie ne cacciò lo spirito che infestava il luogo e il sepolcro fu buttato nel Tevere. E sul luogo fu edificata S. Maria del Popolo. Dichiarò separati dalla comunione dei fedeli quei sacerdoti che nella messa non nominavano il Papa e pare che stabilisse per i sacerdoti l'obbligo della recita del Divino Ufficio. Procopio dice di lui che «era amico di Cesare (Giustiniano) e che soccorse del suo gli indigenti ed era stimatissimo da tutti gli Italiani». Le virtù di Pelagio I e le sue opere sono enumerate nel suo Epitaffio. Esso dice che: «Reggitore della fede apostolica egli proclamò dogmi venerabili, cui illustri padri avevano stabilito: colla sua parola guariva dall'errore quelli ch'erano travolti dallo scisma e faceva sì che i loro cuori commossi ritornassero alla vera fede. Molti ministri ei consacrò secondo la legge divina, ma la sua mano immacolata nulla mai fece per prezzo. Riscattò prigionieri, fu pronto nel soccorrere gli infelici, non mai ricusò di far parte del suo ai poveri. Partecipando alle altrui afflizioni, sparse a larga mano la felicità e reputò sue le lacrime degli altri».

GIOVANNI III - PONT. LXIII ROMANO (560 - 573) Giustiniano e Giustino II Imp. — Alboino e Clefi Re (Sec. VI).

Romano, figlio di Anastasio. Poco ci è noto del suo Pontificato; terminò e consacrò la Basilica dei SS. Apostoli nella Via Lata. Pontificò 12 anni. 11 mesi e 26 giorni. Si vuole che fosse chiamato Catilino ed appartenesse a famiglia nobile. L'avvenimento che distingue questo Ponteficato è l'invasione dei Longobardi in Italia. Dovette assistere ad avvenimenti sanguinosi, per cui si ritirò nel cimitero di Pretestato ponendovi la sua abitazione. Ordinò che gli usurpatori dei beni ecclesiastici fossero tenuti a restituirli in ragione del quadruplo. Si legge che l'invasione dei Longobardi fu significata da segni celesti: «fra le altre cose su nell'acre si videro eserciti armati di fuoco. E crebbe talmente il Tevere che ne sentì la città di Roma gran danno». Sulla sua tomba fu scolpito il seguente distico riferito dal Bollando: «Romanae suprcmus apcx Silverius aedis ossa sub hoc retine mortuus extraneo». Clemente IX per essere stato eletto il giorno di S. Silverio, per devozione al Santo, fece coniare due medaglie: in ambedue è espressa l'effigie di Clemente IX: e nel rovescio è la dicitura: «Constantia Silverii ad imitan. proposito».

BENEDETTO I - PONT. LXIV ROMANO (574 - 578) Giustino, Costantino Imp. — Clefi Re (Sec. VI).

Di origine Romano e figlio di Bonifacio. Durante l'invasione dei Longobardi e la carestia che afflisse Roma, molto si adoperò Benedetto I in opere di soccorso ai poveri. Confermò il V Concilio generale che crasi tenuto nel 553 in Costantinopoli. Dopo aver governato la Chiesa 4 anni, 11 mesi e 28 giorni passò da questa vita, Fu sepolto in S. Pietro. Alcuni dicono che prima del Pontificato si chiamasse Bonoso e che assumesse poi il nome di Benedetto in onore di S. Benedetto al cui ordine apparteneva. Invece il Baronio opina che Bonoso fosse il cognome. Questo Pontefice si distinse per una carità inesauribile nel soccorrere i poveri. Si dice che gli furono regalati i tesori di Narsete — che era morto di 95 anni a Roma — e che egli se ne servì per le chiese e per i poveri. Anche il re di Francia gli aveva mandati ricchi doni fra cui medaglie d'oro di 50 libbre l'una. Una leggenda dice che andando egli un giorno per le sale del palazzo vide una croce di marmo posta nel pavimento, e, tutto, devoto, perchè non si calpestasse la fece tirar via. Ma sotto di essa ve n'era un'altra, e un'altra ancora e poi un'altra, e toltele tutte vi trovò sotto gran copia d'oro e d'argento che dispensò ai poveri. Il Liber Pontificalis dice che «immerso in travagli e in amarezze, passò da questa vita».

PELAGIO II - PONT. LXV ROMANO (578-590) Tiberio Costantino Imp. -- Auteri Re (Sec. VI).

Romano, ma di origine gota e figlio di Vinigildo. Mandò suo Nunzio a Costantinopoli il diacono Gregorio, il futuro S. Gregorio Magno. Riedificò la chiesa di S. Lorenzo al Verano, adornò l'altare sulla tomba di S. Pietro; stabilì alcune misure di disciplina ecclesiastica. Scoppiata la peste a Roma, moriva di questo flagello, dopo un pontificato di 11 anni, 2 mesi e 10 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Avendo nel 589 il Duca Zotone di Benevento, con una banda di Longobardi assaltato il Monastero di Montecassino e devastatolo, il Papa Pelagio - che alcuni dicono fosse Benedettino — accolse quei monaci a Roma, permettendo loro di costruirsi un monastero presso S. Giovanni Laterano. ove risiedettero per 130 anni. Scrisse al Vescovo di Auxerre che i Francesi in quanto cattolici, avevano l'obbligo di difendere Roma e tutta l'Italia contro la funesta razza dei Longobardi. Vide nel suo Pontificato la estirpazione della eresia ariana in Ispagna. Proibì agli Arcivescovi e Patriarchi di usare il titolo di Universale; impose ai suddiaconi in Sicilia, il celibato, ordinando loro di lasciare le mogli, come già aveva stabilito S. Leone I: obbligò i preti a recitare ogni giorno l'Ufficio Divino. Fu il primo Papa che nei diplomi notò il tempo dell'indizione. E’ da notare -- riguardo all'obbligo del celibato fatto ai suddiaconi — che tale ordine non cominciò ad essere ordine sacro, se non dopo Papa Urbano II (1088-1099) e che fu Innocenzo III (1198-1216) che lo comprese tra gli ordini maggiori. Nel suo pontificato Roma soffrì di una grave inondazione del Tevere che distrusse tra gli altri edifici i granai della città. vi fu un terremoto, la carestia, e scoppiò una epidemia della quale egli fu la prima vittima. Si legge che il Tevere uscì in grande piena e «allotta per lo detto fiume venne moltitudine di serpenti, con uno grande drago e discese nel mare: ma affogati de l'onde e de la tempesta e arrivati a la riva, tutto l'acre corruppero col loro puzzo, e così ne nacque una piaga mortale che si chiama volgarmente anguinaia... La quale piaga percosse prima di tutti Papa Pelagio e ucciselo senza dimoro neuno». Raccoglieva i poveri ed i vecchi nel suo palazzo come se fosse il loro ospedale servendoli di persona e nutrendoli. L'iscrizione metrica del suo sepolcro dice di lui, tra l'altro: «riscattò prigionieri, fu pronto nel soccorrere gli infelici non mai si ricusò di far parte del suo ai poveri. Partecipando alle altrui afflizioni, sparse a larga mano la felicità e reputò sue le lacrime degli altri...».

S. GREGORIO I - PONT. LXVI DELLA GENTE ANICIA ROMANO (590 - 604) Maurizio e Foca — Agilulfo Re (Sec. VI - V11).

Nacque a Roma verso il 540, della nobile famiglia degli Anicii. Giunto, ancor giovane, a uffici pubblici importanti, quale quello di prefetto e di pretore di Roma, rinunciava al mondo dandosi alla vita contemplativa. Fece della sua casa un monastero, ove è oggi al Celio la chiesa di S. Gregorio. Legato del Papa a Costantinopoli fu da Pelagio ordinato Diacono: e morto Pelagio, chiamato a succedergli. La sua opera di Pontefice lo pone tra i più grandi Papi. Íl Papa Felice III era prozio di Gregorio: sua madre è Santa Silvia e sue zie sono Santa Tersilla e Santa Emiliana: un santo in una famiglia di santi. Mortogli il padre e ritiratasi la madre a vita monastica, fece della sua casa al Celio un monastero, altri sei ne fondava nei suoi immensi poderi di Sicilia, e distribuiva il resto ai poveri. Ordinato diacono da Pelagio Il fu da lui mandato suo legato alla Corte imperiale di Bisanzio, ove fu onorato di tale considerazione da tenere al fonte battesimale il figlio dell'imperatore Maurizio. La sua amicizia coll'imperatore non gli impedì, fatto Papa, di opporsi a lui, in una questione di carattere religioso. Essendo Roma travagliata da una grande pestilenza ed essendo per essa morto il Papa Pelagio. fu chiamato a succedergli. Per non essere eletto si nascose nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano, ma il popolo si accorse della sua presenza colà. vedendo una colomba, risplendente di raggi, volare sulla chiesa. Riuscito a sottrarsi. poichè le porte della città erano chiuse, potè fuggire travestito da ortolano. Raggiunto nella campagna dai cittadini, fu portato in trionfo a doma. Essendo tempo di epidemia molta gente a Roma moriva starnutando e il Papa Gregorio ordinò che a chi starnutava si dicesse: «Dio ti salvi»: e poichè molti anche morivano sbadigliando, comandò che col dito pollice si facesse il segno della croce sulla bocca: e nessuno più per quei due mali morì di poi. Per far cessare la peste, che mieteva migliaia di vittime a Roma ogni giorno, ordinò una processione di penitenza alla quale prese parte pur egli. Ma come la immagine della Vergine, che si venera a S. Maria Maggiore, fu giunta presso la Mole Adriana, si vide sulla sommità apparire un Angelo nell'atto di riporre nel fodero la spada. La peste cessò immediatamente. Sulla mole Adriana fu posta la statua di un angelo e il mausoleo fu, da allora, detto Castel Sant'Angelo. La Chiesa durante il pontificato di Gregorio possedeva già 23 pingui patrimonii: egli fece, tuttavia, piantare 50 oli- veti, per fornire l'olio alle lampade di S. Pietro : pro concinnatione luminum sancti Petri. Rimpiazzò alla corte pontificia rilassata, i laici che vi servivano come camerieri (domicelli) con monaci benedettini. Era di una carità senza fine. Aveva in un registro scritto il nome di tutti i bisogni e generosamente tutti soccorreva. Una volta, prima ancora d'esser Papa, non sapendo che dare a un povero che si era presentato alla porta, gli donò la scodella d'argento nella quale sua madre gli mandava ogni giorno le verdure di cui si nutriva. Teneva ogni giorno a pranzo dodici poveri e li serviva: una volta ne trovò uno di più e una visione gli rivelò che quel povero al quale aveva fatto carità era Gesù in sembianze di povero. Tanta era la sua generosità e tante le sue elemosine, che Giovanni diacono, dice che la Chiesa sembrava diventata conte un magazzino al quale accorreva tutto il mondo. Essendogli una volta riferito che era stato trovato per la via un povero, morto di fame, si mise a piangere e fece per parecchi giorni penitenza, ritenendosi responsabile di quella morte, per non aver avuto abbastanza sollecitudine nel cercare e aiutare quelli che soffrono. Era di tanta umiltà che non permise mai ad alcuno di lodarlo in sua presenza. E lasciò scritto nelle sue lettere: «Non lodare l'uomo mentre vive». Per opporsi all'alterigia del Patriarca di Costantinopoli che si denominava «Patriarca universale» cominciò nelle sue lettere a intitolarsi: Servus, servorum Dei, come ancor oggi si chiamano i Pontefici. La leggenda racconta che per le preghiere di San Gregorio l'anima dell'imperatore Traiano sarebbe stata liberata dall'Inferno e accolta in Paradiso. Un giorno Gregorio passava pel Foro Traiano: e, come dice Dante: Quivi era storiata l'alta gloria Del roman principato il cui valore Mosse Gregorio alla sua gran dottrina. Allora cominciò a lacrimare per la pietà e a pregare Dio che volesse usare la sua misericordia verso quell'ottimo principe. Così giunse al sepolcro di San Pietro, ove continuando a pregare si assopì. E nel sonno ebbe la rivelazione che la sua preghiera era stata esaudita. Ma perchè si guardasse da indi in poi di pregare per chi era morto senza battesimo, ebbe a soffrire castigo. E Gotofredo da Viterbo narra che in punizione della sua insistenza Gregorio fu tanto malamente percosso dall'angelo che gli convenne così andar zoppo per gran tempo. Essendo una volta San Gregorio, il giorno di Pasqua, nella chiesa di Santa Maria Maggiore e cantando la Messa, quando venne a dire: Pax Domini, sit semper cobiscum, l'angelo di Dio rispose con alta e dolcissima voce: Et cum spiritu tuo. E però in memoria di quel fatto, quando il Papa dice: Pax Domini, ecc., non gli è risposto: come se gli rispondesse l'angelo del Signore. Un'altra leggenda racconta che una volta S. Gregorio celebrava in S. Pietro una messa anniversaria di requie per uno che era morto 180 anni prima. Come il Papa fu sul punto di dire: Requiem oeternam, sentì una voce celeste che gli disse: «Non faciam: non gli darò riposo». E replicando la preghiera il Santo, per dubbio di qualche illusione, la stessa voce gli tornò a dire: Non faciam, perchè quell'anima è dannata. Gli fu poi rivelato che quell'uomo si era dannato perchè, avendo conservato inimicizia, nè avendo perdonato il nemico, era morto senza confessione e senza penitenza. Perchè le cerimonie della Chiesa si svolgessero con canti devoti, creò una scuola di fanciulli che apprendessero a bene cantare. E quel canto ancor oggi, da lui, si dice Gregoriano. Anche fu detto di lui che aveva vinto Antonio nella santità, Cipriano nell'eloquenza. S. Agostino nella sapienza. A lui si fa risalire la determinazione della festa di San Pietro al 29 giugno. Per tener sempre vivo il fervore dei suoi monaci e ferma la loro disciplina. si era fatto dipingere al naturale nel suo convento al Celio su di una parete al sommo di una scala. E’ grandemente benemerito della Corsica che dipendeva da Roma e Gregorio intervenne a favore dei fedeli di quell'isola, taglieggiati da un ingordo rappresentante dell'imperatore e fece ridurre le imposte. Vi fece fiorire ed espandere la gerarchia cattolica, creò il vescovato di S. Pietro di Accia e vi promosse per mezzo del suo delegato Orosio la fondazione di monasteri. Soffriva di gotta. Egli stesso scriveva in Sicilia al nobile Venanzio: «Sono già 11 mesi che, salvo alcune rare volte, non mi levo più dal letto. tanto son preso da dolore e da malessere, e tanto patisco per la podagra, che la vita mi è diventata la più gran penitenza dei miei peccati ed aspetto la morte come un medico che debba recarmi la salute». Mentre San Gregorio ammalato s'avvinicinava alla morte, il popolo di Roma credeva esser vicino la fine del mondo. e segni celesti sembravano annunziarla. L'estate era stata senza una goccia d'acqua, nell'inverno del 604 erano dal freddo, gelate le viti, e il ciclo era illuminato dal triste bagliore di una cometa. Appena morto Gregorio fu acclamato santo e sepolto nel portico di San Pietro. Per la cura e lo zelo ch'ebbe nella evangelizzazione dell'Inghilterra e della Spagna si può chiamare Papa Missionario. Gregorio Magno ebbe chiara la visione che ormai solo il Papato poteva salvare l'Occidente. Il suo nome basterebbe a dar da solo lustro senza pari al Papato. È il padre del Papato medievale. Di lui disse Bossuet che aveva illuminato della sua sapienza tutta la Chiesa. Dice di Gregorio il Gibbon: «Il successore di S. Pietro amministrava il suo patrimonio con la moderazione del padrone più vigilante... I prodotti dei suoi possedimenti erano trasferiti alla foce del Tevere a spesa e rischio del S. Padre, ed Egli ne disponeva da fedele economo della Chiesa e dei poveri per la conservazione della pace, e prosperità comune... Pagava un assegno trimestrale al clero, ai monasteri, alle case di carità, agli ospedali di Roma, al resto della diocesi. Il primo di ogni mese distribuiva ai poveri una porzione di grano, vino, cacio, legumi. olio, pesce, abiti, denaro, secondo le stagioni. Ogni giorno, ogni ora, la sua bontà accorreva in soccorso agli infermi, ai poveri, ai pellegrini, agli stranieri... la miseria di quei tempi aveva ridotto i nobili e le dame romane a ricevere i soccorsi della Chiesa senza arrossire. 3.000 fanciulle ricevevano l'alimento e l'educazione dalle mani del loro benefattore: parecchi Vescovi d'Italia si rifugiavano a Roma per salvarsi dai Barbari. Gregorio può giustamente chiamarsi il padre della sua patria». Si suole dipingere questo Pontefice con una colomba all'orecchio, perchè volendo il Santo scrivere di cose sacre, fu veduto dall'alto — dice Pietro Diacono suo famigliare — una colomba. fermarsi all'orecchio di S. Gregorio; ciò diede occasione alla costante opinione che ogni cosa dal medesimo Santo scritta, fosse creduta ispiratagli dallo Spirito Santo di cui è simbolo la colomba.

SABINIANO - PONT. LXVII DI BIEDA (604 - 606) Foca Imp. — Agilulfo Re (Sec. VII).

Nato a Bieda, di oscura famiglia. Dopo essere stato per 4 anni a Costantinopoli apocrisario di S. Gregorio Magno, gli successe alla sua morte nel 604. Il suo breve pontificato di due anni fu afflitto dalla carestia. Intorno al suo nome e alla sua memoria furono intessute molte calunnie. Fu sepolto in S. Pietro. Eletto mentre infieriva la carestia, fece aprire i granai della Chiesa e vendere il frumento al popolo per un prezzo molto basso. Ma il doverlo anche poco, pagare diede impopolarità a Sabiniano ricordandosi il popolo della generosità del suo predecessore S. Gregorio Magno. L'accusa di avarizia contro Sabiniano diede luogo a questa leggenda: «Dicendo Sabiniano che Gregorio era stato generoso per essere lodato, S. Gregorio tre volte gli apparve e con piane parole lo riprese della sua temerità e del suo mal dire. Ma quelli non si curò di ammendare di nulla. Onde elli apparia la quarta volta e ripreselo terribilmente e percossero nel capo mortalmente, per lo quale dolore angosciato in poco tempo finia la sua vita». Ma da questa accusa di avarizia, nella quale acconsente il Baronio, è difeso validamente da altri storici. Anche la storiella d'aver voluto far bruciare tutti i libri del suo predecessore è dimostrata del tutto insussistente. Faceva uso per le funzioni di un campanello portatile, e però alcuni pretesero attribuirgli l'invenzione delle campane nelle chiese, mentre, forse, ne prescrisse l'uso alle ore canoniche per eccitare la devozione dei fedeli. Un erudito — Mons. Angelo Rocca — nel suo trattato «Da Campanis» attribuisce l'introduzione delle campane a S. Girolamo, nel principio del IV secolo: ma altri dicono essere molto difficile sostenere detta opinione.

BONIFACIO III - PONT. LXVIII ROMANO (607 - 607) Foca Imp. — Agilulfo Re (Sec. VII).

Ebbe un pontificato di soli 8 mesi, durante i quali in un Concilio tenuto a Roma stabilì norme circa la elezione del Pontefice. L'imperatore Foca, riconobbe il primato del Vescovo di Roma. Fu sepolto in S. Pietro. San Gregorio Magno, lo aveva fatto diacono cardinale. L'atto più importante del suo breve pontificato fu un Concilio tenuto a Roma, coll'intervento di 72 Vescovi, nel quale ordinò sotto pena di scomunica che non si dovesse passare alla elezione del Papa che tre giorni dopo la morte del predecessore. Questa regola che non fu sempre osservata nelle elezioni di parecchi pontefici successivi fu, nel 1274, estesa da Gregario X, nel nuovo ordinamento circa il Conclave a dieci giorni, dopo cioè, la celebrazione dei novendiali. L'ordinamento di Gregorio X, che ebbe vigore fino alla ultima elezione, fu nel 1922, subito dopo l'elezione di Pio XI, mutata dal novello Pontefice, estendendosi il termine dalla morte del Papa al Conclave per la nomina del successore a 15 giorni. E ciò per dar modo ai Cardinali più lontani di giungere a tempo a dare il loro voto. Ottenne che l'imperatore Foca riconoscesse nel Pontefice Romàno il Capo di tutta la Chiesa: ut Sedis apostolica beati Petri Apostoli, caput esset omnium ecdesiarum e fosse proibito ai Vescovi costantinopolitani di chiamarsi, come facevano, ecumenici. S. Gregorio Magno, nel 603, mandandolo suo Apocrisario o Nunzio presso l'imperatore Foca, nelle sue credenziali lo chiamava: «Difensore delle chiese, della cui fedeltà e illibatezza per la lunga esperienza che ne aveva, poteva farne ampia testimonianza». È, dai contemporanei : «lodato ugualmente per la sua dottrina e per la santità della vita».

BONIFACIO IV - PONT. LXIX DI VALERIA NE' MARSI (608 - 615) Foca, Evaclio Imp. — Agilulfo Re (Sec. VII).

Già insigne per santità di vita fu eletto Pontefice dopo una vacanza della Santa Sede di 9 mesi dalla morte di Bonifacio III. Convocò un Concilio a Roma trattandovi, presente il Vescovo di Londra Melletus, gli affari della Chiesa d'Inghilterra che era da poco stabilita. Resse la chiesa 6 anni, 8 mesi e 12 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Era figlio di un celebre medico di Pescina nell'Abruzzo e pare fosse monaco benedettino nel monastero di S. Sebastiano a Roma. Il suo Pontificato è specialmente ricordato per la consacrazione che egli fece del Pantheon, concessogli da Foca, dedicandolo alla Vergine. Avendovi trasportate moltissime reliquie dei martiri — si disse 28 carri — prese dai cimiteri di Roma, la chiesa fu detta «Sancta Maria ad Martyres» o Rotonda dalla sua forma. Essendo sorta guerra da parte di gente più infiammata da rancore che da zelo, contro i monaci, affermandosi non avere essi la potestà di amministrare nè la penitenza nè il battesimo, Bonifacio nel 610 celebrò in Roma un Concilio per metter fine a questa guerra. Questo decreto di Bonifacio fu poi da Urbano II (1088-1099) confermato nel 10%, aggiungendo che a lui sembrava essere i monaci ben degni di esercitare quei Misteri. Si attribuisce a questo Pontefice l'istituzione della commemorazione di tutti i Fedeli Defunti, che però Pietro De Natalibus dice istituita dopo la festa di Tutti i Santi; per quanto Sigiberto nell'anno 998 la riferisca ad Odilone, abbate cluniacense, e Pietro Galesino, nelle note al Martirologio, ne faccia autore il Pontefice Giovanni XVI, per consiglio dello stesso abbate. Il Pontificato di Bonifacio IV fu funestato da carestia, da peste e da tali inondazioni che si dubitò fosse tornato il diluvio. Distrutto nella nuova fabbrica della basilica Vaticana l'altare che a lui aveva eretto Bonifacio VIII (1294-1303) Paolo V (1605-1621) avendone trovate le ceneri, le fece trasportare, riposte in una nuova arca, nel 1605, con solenne pompa, all'altare di S. Tommaso Apostolo. È figurato in atto di benedire una cupola, a ricordo della consacrazione del Pantheon.

SAN ADEODATO -- PONT. LXX (DEUSDEDIT) — ROMANO (615 - 619) Eraclio Imp. — Adaloaldo Re (Secolo VII).

ROMANO, figlio di Stefano che il Liber Pontificalis dice «suddiacono», fu insigne per pietà, per erudizione, per amore del prossimo. Durante il suo pontificato furono restaurate molte chiese. Governò la Chiesa 3 anni, 20 giorni e fu sepolto in S. Pietro. E’ detto anche Deusdedit. Il Novaes dice che S. Adeodato era figlio di Stefano, suddiacono, e non già egli stesso suddiacono, come vorrebbe il Baronio, pretendendo essere egli stato il primo assunto da questo grado al pontificato. Il Liber Pontificalis dice che «ricondusse i sacerdoti alle antiche loro situazioni» e certo molto fece per il clero impoverito dalla carestia e dai disordini politici. Infierendo in quel tempo a Roma la lebbra egli si recava a visitarne i malati assistendoli e confortandoli. Visitandone uno, lo baciò risanandolo istantaneamente. L'usanza di sigillare le Bolle con il piombo, attribuita da alcuni a Papa Adriano I, è dai più moderni storici attribuita invece a Deodato. Durante il pontificato di questo Papa morì nel celebre monastero di Bobbio il grande S. Colombano.

BONIFACIO V .PONT. LXXI DI NAPOLI (619 - 625) Eraclio Imp. - Adaloaldo, Arioldo, Arioaldo Re (Sec. VII).

NAPOLETANO, figliolo di Giovanni Fumrnini come vogliono alcuni. Affabile e clemente cercò con grande pietà di sradicare il male e di tener pura la fede nei cristiani. Ebbe gran sollecitudine per la Chiesa di Inghilterra. Di questo Pontefice restano alcuni ordinamenti di disciplina ecclesiastica. Pontificò 5 anni e otto mesi. Fu sepolto in S. Pietro Atteso il grande numero di preti che s'era venuto formando, ordinò che non se ne ordinasse più alcuno, se non alla morte di un altro. Permise soltanto ai diaconi e ai preti di toccare le reliquie dei Santi e ordinò che chiunque fuggendo si ricoverasse in una chiesa non potesse esserne scacciato. Era di «singolare pietà, affabilità e clemenza». Durante il pontificato di Bonifacio, Maometto -- nato verso il 569 -- cominciò a spargere le sue dottrine e a dar principio all'era mussulmana. Il Platina, alla Vita di questo Pontefice, dice che fu sepolto in S. Pietro «con molto. ed universale pianto». Un lungo epitaffio sul suo sepolcro celebrandone le virtù lo diceva: «Mitis in adoersis, positus rebusque secundis...».

ONORIO I - PONT. LXXII DELLA CAMPANIA (625 - 638) Eraclio Imp. — Arioaldo, Rotari Re (Sec. VII).

DELLA Campania e pare di Ceprano, era figlio di Petronio console. Succedette nel 625 a Bonifàcio V. Confermò nella fede il re Eduino, esortò i Vescovi irlandesi e celebrare la festa di Pasqua nel tempo che la celebra la Chiesa romana, fece grandi lavori in S. Pietro e in altre basiliche di Roma. Pontificò 12 anni, 11 mesi e 17 giorni e fu sepolto in S. Pietro. Della sua opera di Pontefice il Liber Pontificalis dice che «multa bona fecit». L'abbate Giovanni di Bobbio, suo contemporaneo, lo dice di animo sagace, di buon consiglio, chiaro per dottrina, esimio per dolcezza ed umiltà. Molto fece per l'abbellimento di Roma e moltissimo per le chiese, specialmente per quella di S. Pietro che coprì delle tegole dorate del tempio di Venere e Roma, ponendo due grandi candelabri d'argento davanti la tomba dell'Apostolo. Ornò di lamine d'argento la porta centrale della basilica, sì che prese poi il nome di Argentea. A S. Agnese adornò la tribuna di quei mosaici che ancora si vedono. Ripristinò la chiesa di S. Pancrazio sulla Aurelia, edificò la chiesa dei SS. Vincenzo ed Anastasio ad aquas salvias: le Tre Fontane. Costruì S. Lucia in Selci, e rinnovò i Santi Quattro Coronati. Circa la chiesa da lui fondata alle «Tre fontane» sul luogo ove S. Paolo soffrì il martirio è da ricordare che detta chiesa fu ristorata dopo l'incendio di Adriano, circa l'anno 772, rifatta dai fondamenti da Leone III (795-816) dotata di città, terre e castella da Carlo Magno e ristorata da Innocenzo II (1130-1143) che vi aggiunse il monastero con larga dote per i monaci che vi fece venire da Chiaravalle. Fino da questo Pontefice la Repubblica di Venezia godeva il titolo di «Cristianissima» come consta da una sua lettera a' Vescovi di Venezia e d'Istria. Il nome di Onorio I, è specialmente noto per l'accusa che gli fu mossa, riguardo l'eresia dei Monotelisti. Ma lo stesso Papa Giovanni IV, nel 640, lo purgava dalle calunnie, dichiarando che la sua dottrina era stata conforme alla retta fede. «Più si studia la causa di Onorio — dice l'Hengereither -- e più in chiara luce si mostra la pura fede di lui». Il suo epitaffio lo esalta: «glorioso, magnanimo, degno della apostolica sede, zelantissimo, meritevole del cielo» e lo paragona a S. Gregorio Magno. SEVERINO - PONT. LXXIII ROMANO (640 - 640) Eraclio Imp. — Arioaldo, Rotari Re (Sec. VII).

DOPO sette mesi dalla morte di Onorio I, era eletto Severino figlio, secondo il Platina, di Labieno. Si oppose alla eresia dei Monoteliti e perciò fu maltrattato sì da morire dopo due soli mesi di Pontificato. Fu sepolto in S. Pietro. L'imperatore Eraclio pretendeva per confermare la elezione di Severino, che questi firmasse la professione di fede Monotelita. Al fermo rifiuto del Pontefice, l'Imperatore fece saccheggiare dallo esarca di Ravenna, Isacco, il tesoro della Chiesa e il Palazzo Lateranense, non risparmiando maltrattamenti a Severino. Pio e munificentissimo molto avrebbe fatto se fosse vissuto, come dimostrano i lavori di risanamento dei mosaici Costantiniani nella Basilica Vaticana che minacciavano di cadere, da Severino fatti cominciare.

GIOVANNI IV - PONT. LXXIV DALMATA (640 - 642) Eraclio, Costantino, Costante II Imp. Rotari Re (Sec. VII).

DALMATA, figlio di Venanzio Scolare, eletto il 24 dicembre 640 succedendo a Severino. Condannò in un Concilio l'errore dei Monoteliti e richiamò i Vescovi della Scozia per la data della celebrazione della Pasqua. Portò a Roma, ponendole a S. Giovanni, reliquie di Martiri Dalmati. Morì all' l l ottobre del 642 e fu sepolto in S. Pietro. Al Pontificato di Severino durato due mesi, succede quello di Giovanni IV, pure esso assai breve, essendo durato un anno solo e nove mesi. E però poco è quello che in breve tempo ha compiuto questo Pontefice. «Uomo — come dice il Platina — di meravigliosa pietà» il suo Pontificato è esclusivamente religioso. Dichiarò che i monaci potevano amministrare le parrocchie che loro venissero commesse, mentre i preti lo negavano. Inviò nella sua patria e All'Istria libbate Martiìío a portare soccorsi e a liberare gli schiavi. Fece trasportare dalla Dalmazia il corpo di S. Venanzio con quelli di altri martiri a Roma deponendoli sotto l'altare maggiore di una cappella da lui fatta costruire vicino alla Basilica Lateranense.

TEODORO I - PONT. LXXV GRECO — ORIUNDO DI GERUSALEMME (642 - 649) Costantino detto Costante Imp. - Rotari Re (Sec. VII).

DI origine greco, ma nato a Gerusalemme. Fu tenace nella lotta contro il Monotelismo che solennemente condannò. Costrusse nuovi templi e governò la Chiesa 6 anni, cinque mesi, e 19 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. A questo Pontefice si attribuisce uno strano e terribile rito. In presenta dei Vescovi, condannando il Monotelismo e deponendo Pirro, Patriarca di Costantinopoli, per sottoscrivere la formula di condanna avrebbe intinta la penna nel calice consacrato, servendosi per lanciare l'anatema, di quel misterioso inchiostro, ch'era sangue di Dio. La notizia, contraddetta, è stata dimostrata falsa dal Mondelli il quale scrive che Teodoro I, di natura benigno e docile non praticò mai rito così strano. Costumò, bensì, la chiesa romana di porre sulla mensa degli altari le carte di scomunica, come praticarono i legati di S. Leone IX contro Michele Cerulario, ovvero contenenti cose di gran rilievo, ma non si vide mai praticato il costume di scomunicare gli eretici col sangue del Signore. Sotto il suo pontificato il mondo cristiano si stringe attorno al Papa per resistere all'imperatore. Accolse il poeta Aratore, che, portatosi a Roma a visitare la tomba di S. Pietro, gli offerse il suo poema sugli Atti degli Apostoli, poema che recitò sette volte per soddisfare il popolo numeroso, dopo aver fatto altrettanto davanti la tomba dell'Apostolo alla presenza del Papa e dei Cardinali. Fu un grande raccoglitore di reliquie e a lui si devono quelle del Presepio in Santa Maria Maggiore. Due chiese da lui edificate — quella di S. Valentino presso Ponte Milvio e quella di S. Eusolo, fuori della Porta Ostiense — non esistono più. Il Platina dice di lui che «nell'ufficio del Buon Pastore, e coi poveri specialmente, mostrò maravigliosa bontà».

S. MARTINO I - PONT. LXXVI DI TODI — MARTIRE (649 - 655) Costantino detto Costante lmp. — Rotari, Rodoaldo, Ariberto Re (Sec. VII).

Di nobile famiglia di Todi, figlio di Fabrizio. Assunto al Pontificato, l'imperatore Costante, adirato che Martino avesse tenuto un concilio nel quale erano state condannate le dottrine del monotelismo, lo fece arrestare e portare a Costantinopoli. Di qui fu mandato a Cherson in Crimea ove morì di stenti e di patimenti. Aveva governata la Chiesa 6 anni, 2 mesi, e 12 a Roma e sepolto a S. Martino ai Monti. Si asserisce che Martino I sia stato il primo Papa che alla sua elevazione fosse già rivestito del carattere episcopale. Dopo il Concilio Lateranense, al quale erano intervenuti 500 Vescovi, l'imperatore Costante mandò a Roma il cubiculario Olimpio con l'ordine di arrestare il Papa. Mentre a S. Maria Maggiore, detta allora della Neve, Martino I stava celebrando la messa delle Litanie Maggiori, Olimpio entrò nel tempio con l'intenzione di eseguire il sacrilego mandato. Ma appressandosi all'altare, scese sopra i suoi occhi un improvviso velo di tenebre, sì che non potè compiere il misfatto e dovette ritirarsi. Allora l'imperatore ordinò all'esarca di Ravenna Teodoro Calliopa, di imprigionare a tutti i costi il Papa. Invaso il Laterano, trovò il Pontefice infermo steso sopra un lettuccio, davanti all'altare della Basilica. Caricato sopra una barca sul Tevere, fu avviato verso il mare. Una serie di burrasche, ostacolò talmente il viaggio che furono impiegati tre mesi per arrivare a Costantinopolì. Tanta fu la fretta con la quale, imprigionato, fu caricato sulla barca nel Tevere che di tutte le sue robe egli non potè portare con sè che un bicchiere che aveva in mano un chierico del suo seguito. A Costantinopoli insultato, esposto al ludibrio del popolo, dopo un simulacro di processo, fu condannato e, strappategli di dosso le vesti e le insegne episcopali, gettato in prigione, fu poi relegato in Crimea dove morì. Una terribile carestia infieriva nella regione nella quale era stato relegato, onde egli scriveva: «Da tutte le bocche si sente nominare il pane, ma nessuno lo vede. Io manco di tutto e sono continuamente malato». Esempio mirabile di invitta fortezza, la Chiesa lo annovera tra i martiri, e molti miracoli gli sono attribuiti. Durante la sua assenza da Roma l'imperatore Costante «gli aveva fatto dare — dice il Moroni — un successore nella persona di S. Eugenio I», elezione che il Papa approvò. Per la prigionia sofferta è quasi sempre rappresentato carico di catene.

S. EUGENIO I - PONT. LXXVII ROMANO (655 - 657) Costantino detto Costante — Ariberto Re (Sec. VII).

ROMANO, figlio di Rufiniano, della prima Regione Aventina. Datosi fin da fanciullo alla vita ecclesiastica fu per la santità sua, eletto Pontefice, mentre viveva ancora Martino, per tema che l'imperatore eleggesse un monotelita. Prese decisa parte contro l'eresia e governò la Chiesa 1 anno, 7 mesi e 14 giorni con tanta carità e giustizia da meritare il titolo di Santo. Fu sepolto in S. Pietro. È il primo dei Pontefici di questo nome che ne ebbe 4. Da alcuni è detto della famiglia Savelli. Circa la sua elezione a Pontefice, mentre era ancora vivo Martino, il Baronio opina che Eugenio fosse soltanto Vicario di Martino e che assumesse il governo della Chiesa solo dopo la morte di quel Papa e col rinnovato consenso del clero. Dispose che i Vescovi avessero delle carceri onde potervi punire gli ecclesiastici rei di delitti. Di, lui fu detto che non solamente nel papato succedette a Martmo, ma sì ancora nella di lui santità.

SAN VITALIANO - PONT. LXXVIII DI SEGNI (657 - 672) Costantino detto Costante, Pogonato Imp.

Ariberto, Bertarido, Godoberto, Grismoaldo Re (Sec. VII). FIGLIO di Anastasio di Segni. Nulla si sa di lui prima della sua esaltazione. Eletto nel 657 fu zelantissimo per la fede e per il bene della Chiesa. Coltivò, questo Pontefice, l'amicizia con l'imperatore Costante II, sperando trarne buoni frutti per la chiesa. Ai legati del Papa che gli avevano significato la sua elezione, l'imperatore consegnò per la Basilica Vaticana un magnifico libro dei Vangeli coperto d'oro e tempestato di gemme. Quando l'imperatore venne a Roma, Vitaliano lo accolse con grandi onori recandosi col clero e col popolo romano ad incontrarlo sei miglia fuori della città. L'imperatore stette a Roma 12 giorni, pranzando col Papa al Laterano nell'oratorio erettovi da Papa Vigilio: fece ricchi doni alle chiese, ma partendosi da Roma si portò via, spogliando i monumenti antichi, ornamenti di bronzo, non risparmiando le tegole dorate che ricoprivano il Pantheon. Alcuni vogliono che abbia introdotto nella chiesa l'uso dell'organo pneumatico o da fiato e che mandasse in Francia Giovanni, cantore romano, per insegnarvi il canto romano al modo introdotto da S. Gregorio Magno. Per quanto riguarda l'introduzione dell'uso dell'organo nelle chiese dicono alcuni che fu inventato al tempo di Sant'Aldrico, Vescovo di Mans, morto nell'anno 856 e Che questi è uno dei primi che lo stabilirono nelle loro chiese; altri sostengono che questa invenzione era già di 400 anni prima, mentre Claudiano ne fa la descrizione. Certo è, peraltro, che prima di Papa Vitaliano, Venanzio Fortunato morto nel 606 nella «Vita di S. Germano, Vescovo di Parigi», dà a vedere che nella chiesa di quella città si trovavano gli organi ai tempi suoi. Cessate le divergenze che esistevano in Inghilterra sulla celebrazione della Pasqua ricevette — nel 665 — una solenne ambascieria di Oswrio re di Nortunmberland e di Egberto re di Kent, con molti vasi d'oro e d'argento per la basilica di S. Pietro. Per erudizione è degno di esser paragonato ai più illustri Pontefici.

ADEODATO II - PONT. LXXIX ROMANO (672 - 676) Costantino Pogonato Imp. Bertarido Re (Sec. VII).

FIGLIO di Pamonio Amone, nato a Palermo, monaco benedettino nel Monastero di Sant'Ermete di Palermo, fatto cardinale, ascese al soglio Pontificio nel 678. Tenne due Concilii a Roma, l'uno nel 678 a San Giovanni Laterano e in

ROMANO, figlio di Gioviniano e monaco benedettino di Sant' Erasmo sul Celio. Successo a S. Vitaliano curò la disciplina dei numerosi monaci che erano a Roma e cercò di soffocare l'eresia monotelita. Governò la Chiesa quattro anni, 2 mesi e 5 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Qualche autore vuole che avendo una volta adoperato in una sua lettera le parole Salutem a Deo et benedictionem nostram, ne sia poi venuto il saluto delle lettere Pontificie: Salutem et A postolicam Benedictionem. Fu il primo Pontefice a segnare le sue lettere e i suoi atti dagli anni del suo Pontificato. Durante il suo Pontificato i Saraceni depredarono la Sicilia, e vi furono in Italia altre calamità, come grandi pioggie non mai prima vedute, con terribili tuoni. Si disse che tutti questi mali erano stati predetti da una «cometa che era per tre mesi continui apparsa». Anche si legge che confermò ai Veneziani in perpetuo il diritto di eleggersi il Doge.

SAN DONO I - PONT. LXXX ROMANO (676 - 678) Costantino Pogonato Imp. — Bertarido Re (Sec. VII).

ROMANO. Pochissimo si sa di lui e del suo pontificato che fu molto breve e cioè di un anno e 5 mesi. Venne sepolto in S. Pietro. Alcuni lo chiamano Domno, altri Domnione, altri Cono o Cunone come si legge nel Baronio al 676. Il Moroni dice che l'Arcivescovo Reparato assoggettò a questo Pontefice la chiesa di Ravenna, la quale, sotto il suo antecessore Mauro, sostenuto dalla potenza degli esarthi, aveva ricusato l'obbedienza dovuta alla S. Sede. Lastricò tanto magnificamente di marmi l'atrio dinanzi alla Basilica di S. Pietro, che prese il nome di Paradiso. Sulla Via Ostiense restaurò la piccdla chiesa eretta ove S. Pietro e S. Paolo si separarono, prima del loro martirio. La morte di questo Pontefice, impedì ch'egli ricevesse la lettera scrittagli dall'imperatore Costaritino Pogonato con la quale l'esortava a pubblicare un Concilio per rendere la pace alle chiese.

S. AGATONE - PONT. LXXXI DI PALERMO (678 - 682) Costantino Pogonato Imp. — Bertarido Re (Sec. VII).

Esso reintegrò San Wilfrido nella sua sede di York, dalla quale era stato cacciato, l'altro pure a Roma nel 670 con la partecipazione di 12 Vescovi venuti da tutte le parti di Europa. Nel Pontificato di S. Agatone ebbe luogo il VI Concilio Ecumenico, tenuto a Costantinopoli sotto la presidenza onoraria dell'Imperatore e la effettiva del Papa, rappresentato dai suoi legati. Per i molti miracoli da lui operati fu detto taumaturgo. Morì di 107 anni dopo aver pontificato 3 anni, 6 mesi e 14 giorni e fu sepolto in S. Pietro. Molto si è disputato intorno alla patria di Agatone. Il Ciacconio lo vuole nato nella Valle Siculiana di Abruzzo, Gerolamo Marafioti, Tommaso Aceto e il padre Elia D'Amato lo fanno di Reggio Calabria, ma ch'ei fosse di Palermo lo asseriscono più scrittori ed è stato dimostrato. S. Agatone è il Pontefice che è salito alla cattedra di S. Pietro più vecchio di ogni altro, essendo stato eletto alla età di 103 anni, ed è anche il Pontefice che abbia raggiunto il maggior numero di anni di vita, essendo morto nella meravigliosa età di 107. Si vuole che entrasse nel Monastero benedettino di S. Ermete a Palermo dopo aver vissuto al secolo venti anni ammogliato e che il dolore della perdita della moglie lo persuadesse a rinunciare al mondo. Appena eletto, non volle inviare il solito tributo che i Pontefici alla loro elezione usavano mandare all'Imperatore. abolendo così di fatto questo atto di soggezione: e il gesto di Agatone va messo in relazione con altri in appresso compiuti dai Successori, per rendere sempre più libera dalla potestà imperiale la Sede Apostolica. Durante il Pontificato di S. Agatone, nel maggio del 680, dopo un eclissi del sole e della luna, cominciò una grande pestilenza che infuriò nel luglio, agosto e settembre così violenta che nella stessa bara si portavano a seppellire padre e figlio, fratello e sorella. Racconta il Rinaldi che, durante questa pestilenza, furono veduti girar per la città due angeli insieme; il buono ed il cattivo: il primo ordinava al secondo che percuotesse con la spada che portava in mano, le porte delle case, e secondo il numero dei colpi, tante persone morivano nel giorno seguente. Per una celeste rivelazione si venne a' sapere che la mortalità non sarebbe cessata finchè non si fosse eretto nella chiesa di S. Pietro in Vincoli un altare a S. Sebastiano martire. Quindi, portate in processione le reliquie del Santo e fabbricato l'altare, subito la peste cessò. Rileva il Moroni che da allora si introdusse dipingersi per voto nei varii luoghi afflitti da contagio l'effigie di S. Sebastiano, innalzandogli altari e chiese e celebrandosene le feste con benefici effetti per il suo patrocinio. Tanta era, al tempo di Agatone l'ignoranza di Roma ove non si trovavano più libri, che egli stesso confessava di aver dovuto mandare al Concilio Ecumenico di Costantinopoli, come suoi legati, della gente ignara della lingua. Il Concilio tenuto a Costantinopoli fu detto del Trullo o Trullano per essersi tenuto in una sala del palazzo imperiale, detta trullo dalla sua volta a cupola. Narra il Beda che Agatone inviò cantori della Scuola Gregoriana di Roma in Inghilterra, affinchè insegnassero il canto romano in quelle contrade. Contrariamente all'uso dei suoi predecessori Agatone custodiva egli stesso la cassa della Chiesa romana. Di carattere dolce e sorridente, era così giocondo che tutti si partivano da lui contenti. Durante la peste si prodigò in soccorso dei colpiti e uno ne guarì una volta, con un bacio sulle guancie. In un tempo di generale ignoranza, Agatone fu luce di sapere ed è considerato tra gli scrittori ecclesiastici. Di lui, infatti, si hanno due lettere dogmatiche. Una sua lettera indirizzata a Teodoro Vescovo di Ravenna, ed altre due lettere relative all'Inghilterra andarono perdute; altre quattro a lui attribuite sono apocrife. L'epitaffio che fu posto sulla sua tomba in S. Pietro diceva che dal vertice della Sede Apostolica, Agatone splendeva come un sole ed echeggiava come il tuono.

SAN LEONE II - PONT. LXXXII SICILIANO (682 - 683) Costantino Pogonato Imp. — Bertarido, Cuniberto Re (Sec. VII).

FIGLIO di Paolo, siciliano. Successo nel 682 a S. Agatone confermò il VI Concilio Ecumenico detto del Trullo tenuto a Costantinopoli nel 680 e ne tradusse gli atti dal greco in latino, promulgandoli nell'Occidente. Ottenne dall'imperatore Costantino IV Pogonato, che gli Arcivescovi di Ravenna, i quali volevano essere indipendenti, dovessero venire a Roma per essere consacrati. Ebbe un breve pontificato di 10 mesi e 17 giorni, morendo il 3 luglio 683. Fu sepolto in S. Pietro. Si vuole da alcuni che il padre, Paolo Menzo o Menzio fosse medico e che Leone nascesse in un paese della diocesi di Catania. Alla sua ascensione al soglio Pontificio, dice il Liber Pontificalis, fu consacrato «dai tre Vescovi Andrea di Ostia, Giovanni di Porto e Placentino di Velletri, supplente, questo ultimo, della chiesa di Albano, la quale sede era allora vacante». Dopo aver ricevuto gli atti del VI Concilio Ecumenico, scrisse all'Imperatore dicendogli: «Abbiamo letto attentamente le lettere sinodiche, il cui elevato linguaggio ha richiamato la nostra attenzione. Avendole scrupolosamente esaminate, le trovammo conformi a quelle che c'era stato riferito dai legati e ci apparve come il VI Concilio Ecumenico abbia religiosamente camminato sulle orme di quello tenuto a Roma, sotto la presidenza diretta del trono apostolico, su cui siamo noi ora assisi». Era eloquente e perito nella scienza delle divine lettere, nel che gli fu di gran lume ed aiuto la perfetta conoscenza le aveva della lingua greca e latina. Peritissimo nella musica potè con tutta agevolezza riformare il canto della liturgia e il concento degli inni sacri. Il Bergier dice che istituì il bacio della pace nella messa e l'aspersione dell'acqua benedetta sul popolo. Dal suo primitivo sepolcro in S. Pietro, Paolo V nel 1607 trasportò il suo corpo sotto l'altare della cappella della Madonna della Colonna. Un epitaffio fu dedicato alla di lui memoria, unitamente a quelle dí Leone I, di Leone III e di Leone IV. Poichè fu generoso coi poverelli è quasi sempre rappresentato nell'atto di abbracciare un mendicante. Altri, riferendosi alla sua valentia nella musica, lo rappresentano tenendo ín mano un libro con le note della musica.

SAN BENEDETTO II - PONT. LXXXIII ROMANO (684 - 685) Costantino Pogonato, Giustiniano II Imp. — Bertaride, Cuniberto Re (Sec. VIII)

ROMANO, salì sulla cattedra di S. Pietro quasi un anno dopo la morte del suo predecessore S. Leone II. Sino da giovane si dedicò al servizio della Chiesa, e ordinato sacerdote e fatto canonico in Laterano o secondo altri, entrato nell'Ordine Benedettino, fu molto accetto ai Pontefici San Agatone e Leone II, i quali si valsero dell'opera sua in varie circostanze. Pose ogni cura nel sopprimere il politeismo e favorì la causa di S. Wilfrido di York, come già aveva fatto il predecessore S. Agatone. Erudito, mansueto, era amatissimo dal clero; e largo e benefico fu chiamato padre dei poverelli. Ebbe un breve Pontificato di dieci mesi e 12 giorni. Venne Sepolto in S. Pietro. Il Pontificato che precede quello di S. Benedetto II e i due che lo seguono si distinguono tutti per una singolare brevità: sono quattro Pontefici che passano sulla cattedra di S. Pietro in breve spazio di tempo. Infatti S. Leone II pontificò mesi 10 e giorni 17 (682-683); S. Benedetto II, mesi 10 e giorni 12 (684-685); Giovanni V, un anno e giorni 9 (685-686); Conone, mesi undici (686-687). Si crede che appartenesse alla illustre famiglia dei Savelli. Fornito di ogni sorta di virtù si rese accetto a quanti lo avvicinavano. Era di grande mortificazione e castigava con penitenze e digiuni il suo corpo per tenerlo soggetto. Tanta era la stima che aveva di lui l'imperatore Costantino Pogonato, che lasciò al clero e al popolo la facoltà di eleggere i Sommi Pontefici, senza aspettare l'abusiro consenso dell'Imperatore per la incoronazione dei medesimi. Tale concessione non ebbe lunga durata perchè Giustiniano II, figlio e successore di Costantino, si comportò ben diversamente con il Papa Conone. Un altro attestato di stima e di venerazione diede Costantino al Papa Benedetto II , inviandogli le ciocche dei capelli dei suoi figli Giustiniano ed Eraclio: pratica che era una specie di adozione per cui quegli che riceveva i capelli di qualche giovane, n'era considerato qual padre. Benedetto II ricevette con molta solennità, alla presenza del clero, gli inviati dell'Imperatore che gli portavano la devota testimonianza. Sotto il suo Pontificato apparve tra il Natale e l'Epifania una cometa di straordinario splendore. Dal monte Somma (il Vesuvio), sopra Napoli, uscì tanto fuoco che bruciò tutti i luoghi circonvicini. Nelle parole: «iure patrum» del suo epitaffio il De Rossi vide una' allusione all'essere stato Benedetto figlio di uno dei suoi predecessori, cioè di Giovanni IV (640-642) visto che il nome di suo padre era Giovanni. Il Duchesne invece, crede che il «iure patrum» si riferica alla carriera ecclesiastica di Benedetto, il quale da piccolo e semplice chierico divenne Papa, passando per tutti i gradi gerarchici, mentre molti dei suoi predecessori v'erano pervenuti dai monasteri. Oltre a ciò Giovanni IV è detto Dalmata, mentre Benedetto è espressamente chiamato romano.

GIOVANNI V - PONT. LXXXIV ANTIOCHENO (685 - 686) Giustiniano II Imp. - Bertarido e Cuniberto Re (Sec. VII).

ERA di Antiochia. Fu Arcidiacono cardinale del Pontefice S. Agatone, il quale lo mandò al VI Concilio Ecumenico. Tornò da questa legazione nel 683, nel Pontificato di Leone II, portando le lettere imperiali con le quali Costantino liberava i patrimoni della Chiesa romana in Sicilia e in Calabria dai tributi, onde erano oppressi dalla avidità dei ministri imperiali. Fu eletto il 23 luglio 685, venendo consacrato dai vescovi di Ostia, Porto e Velletri. Governò la Chiesa solamente un anno e nove giorni. Fu sepolto in in San Pietro. Fu eletto Pontefice nella chiesa di S. Giovanni in Laterano e si vuole che sia stato il primo Pontefice consacrato senza aspettare l'abusiva conferma della corte imperiale di Costantinopoli. Gli si attribuisce, senza però che se ne abbia certezza, un'opera sulla dignità del Pallio: «De Pallii Dignitate». Quando fu eletto Pontefice era già avanzato negli anni e di così malferma salute che non potè resistere alle fatiche del ministero e dovette soccombere dopo un anno di Pontificato. E’ lodato per singolare bontà, fermezza e prudenza, dicendo di lui il suo epitaffio che fu Providus, humanus, firmus, verusque sacerdos. Sulle speranze che la Chiesa aveva in lui riposte e sul dolore di vederle si presto rapite ricordando quanto aveva fatto a Costantinopoli un poeta — il Ripandélli -- cantava: «E Giovanni colà grande si rese, tornò gigante di coraggio e zelo e Roma, oh! quanto dal triregno attese. Ma volò presto ah! dal corporeo velo, e dir si può che in Laterano ascese col pii}no passo e Col secondo in cielo».

CONONE - PONT. LXXXV DELLA TRACIA (686 - 687) Giustiniano II lmp. — Bertarido, Cuniberto Re (Sec. VII).

FIGLIO di Benedetto, ed oriundo do della Tracia, era nato in Tomis e fu educato nella Cilicia. Alla morte di Giovanni V i voti si trovarono divisi tra i due competitori Pietro e Teloro che.avévano l'uno l'appoggio del clero e l'altro quello dei magistrati e dell'esercito. Il Clero ed i Vescovi non potendo adunarsi nella chiesa di S. Giovanni in Laterano che era occupata e tenuta chiusa dall'esercito, dopo due mesi e più di incertezze e di opposizioni risolsero di far l'elezione nell'attiguo palazzo. La scelta cadde su Conone, che alieno alle fazioni, acquetò incontanente tutti i partiti. Il suo breve pontificato fu tosto amareggiato dalla intromissione imperiale nella sua elezione e dai gravi dispiaceri che ébbe per la sua poca pratica negli affari. Consacò Vescovo S. Killiano, venuto dalla Scozia, ed a lui ed ai suoi compagni diede incarico di predicare la fede in Franconia. Governò la Chiesa solamente 11 mesi. Morì il 21 settembre 687 e fu sepolto in S. Pietro. Dice il Platina che Conone per la veneranda sua canizie e la dignità dell'aspetto era da alcuni chiamato Angelico. La concessione ch’era stata fatta dall'imperatore Costantino Pogodato al clero ed al popolo di eleggere il Pontefice, senza alcuna intromissione imperiale, fu di fatto abolita da Giustiniano II, con la sua conferma a questa elezione: conferma che assoggettava nuovamente il clero all'esarca di Ravenna. Di animo candido e non pratico degli affari aveva concesso la sua benevolenza a un certo diacono Costantino, uomo subdolo e cattivo, ed ordinatolo vescovo di Antiochia, lo aveva anche nominato rettore della Chiesa Romana in Sicilia, senza prima informarsi col clero romano, secondo il costume di quei tempi, nelle provvisioni ecclesiastiche. Una sedizione insorse contro quel mandatario litigioso e violento ed il Governatore della provincia lo fece mettere in prigione. Grandissimo fu il dolore del Pontefice per questa vicenda, nella quale egli riconosceva gran parte di sua colpa, e però fiaccato anche dal male, in poco morì, chiudendo il breve Pontificato.

S. SERGIO I - PONT. LXXXVI DELLA PROV. ANTIOCHENA NATO IN PALERMO (687 - 701) Giustiniano II, Leonzio, Tiberio Absimero Imp. Bertarido, Cuniberto, Liutberto, Regimberto, Ariberto Re (Sec. VII - VIII).

DELLA provincia Antiochena, nacque da un Tiberio mercante a Palermo ove fu educato, venendo poi a Roma ove compì la sua educazione. Ascritto al clero romano presto si distinse per ingegno e studio e per una inclinazione al canto ecclesiastico. Passato per tutti i gradi della gerarchia ecclesiastica fu da S. Leone II nel 682 fatto Cardinale del titolo di S. Susanna. Il 15 dicembre 687 saliva alla cattedra di S. Pietro mentre contro di lui sorgevano gli antipapi Teodoro e Pasquale. A Sergio si debbono molte innovazioni e amplificazioni nella liturgia della Chiesa. Governò la Chiesa 13 anni, 8 mesi e 22 giorni, fu sepolto a San Pietro. Quando fu eletto, avvennero sommovimenti popolari in Roma eccitati da due antipapi Teodoro e Pasquale che si misero contro Sergio. Dice il Piazza nell'Emerologio di Roma che i due antipapi vedendo portare a gara al Laterano Sergio I, l'adorarono essi pure, ma quanto a Pasquale sarà stata simulazione, perchè morì impenitente. Era molto popolare e i romani lo amavano oltre che per la sua pietà, anche per una di quelle qualità esteriori che attraggono le folle. Egli aveva una bellissima voce, e una grande perizia nella musica, e tutte le volte che ricorrevano anniversari di martiri, le catacombe rigurgitavano di fedeli accorsi a vedervi officiare e a sentir cantare il Cardinale di Santa Susanna. Quando fu eletto, Sergio I, per liberare la città da sciagure, dovette saziare la prepotente avidità dell'avaro Giovanni dargli 100 libbre d'oro, impegnando tutto l'oro della confessione di S. Pietro. Più avanti nel suo Pontificato cercò di riparare al danno subìto dalla basilica elargendole splendi doni, tra i quali una statua d'oro del Princi e degli Apostoli, una sedia d'argento ed una grande patena d'oro ornata di pietre preziose. Ebbe grande cura della Chiesa di Inghilterra e si citano le sue lettere sottoscritte: «Sergius Episcopus, servus servorum Dei, Ethelredo, Alfredo, Adulpho regibus anglorum». Inviava il suo Vicario Britualdo a Primate dell'isola. Sotto il suo pontificato venne a Roma Caduallo re dei Sassoni occidentali. La mattina del sabato santo del 680 i Romani, videro il Papa, splendente negli abiti pontificali, accompagnare Caduallo, alla Conca di porfido di Costantino, nel Battistero e ivi di sua mano, battezzare il re, cambiandogli il suo barbaro nome in quello di Pietro. Volendo l'imperatore Giustiniano II, punire il Papa che s'era rifiutato di approvare e di permettere la pubblicazione degli atti del Concilio detto Quinsexsturn, perchè considerato come appendice del 5° e del 6° Concilio generale, mandò a Roma Zaccaria suo protonotario coll'ordine di arrestare il Papa. Ma abbandonato dalle sue stesse truppe, di fronte ai romani sollevatisi a favore del Papa dovette desistere dall'empio proposito. È questa la prima volta che gli italiani prendono le armi in difesa dei Papi. Zaccaria, per aver salva la vita, dovette nascondersi nelle stanze del Pontefice, sotto il suo letto e il Papa tranquillizzare e rimandare a casa la popolazione insorta, mostrandosi sulla porta del Palazzo. Triste sorte ebbe Giustiniano, persecutore di Sergio. perché, cacciato dal trono dallo zio Leonzio fu da questi relegato in Crimea, e poichè ebbe per punizione tagliato il naso e le orecchie, si ebbe il soprannome di rinotmete ossia snasato. Invitò il famoso Venerabile Beda a venire a Roma, ma questi preferì la vita raccolta del suo monastero inglese di larrow presso Durham. Ordinò che nelle messe, spezzata l'ostia consacrata si dicesse per tre volte: Agnus Dei qui tollis peccata mundi, miserere nobis. Comandò che nei giorni dell'Annunciazione, della Natività, dell'Assunzione e della Purificazione della B. Vergine, il popolo si portasse in processione da S. Adriano a S. Maria Maggiore. Dopo l'anno 1000, per le grandi avversità che sovrastavano alla Chiesa, come dice Innocenzo III, fu ordinato che in luogo del terzo «miserere nobis» si dicesse: «dona nobis pacem». Solo la basilica Lateranense restò col rito ordinato da Sergio perchè ella rappresenta la Chiesa celeste ove la pace è perfetta e perpetua e perciò in questa basilica ogni giorno al Mattutino, alla Messa ed ai Vespri si suonano sempre le campane a festa.

GIOVANNI VI - PONT. LXXXVII GRECO (701 - 705) Tiberio Absimero, Giustiniano II Imp. - Regimberto, Ariberto Re

GRECO, figlio di Petronio, salì sul soglio Pontificio il 28 ottobre 701. Poco dopo la sua assunzione l'imperatore Tiberio Apsimero spedì a Roma l'esarca Teofilatto con una missione per il Papa. I Romani sospettando che venisse con intenzioni ostili, insorsero armati contro l'esarca, che sarebbe stato ucciso senza l'intervento pacificatore del Pontefice. Fu caritatevole e pio e di esemplare condotta. Governò la Chiesa 3 anni, 2 mesi, 12 giorni e morì il 9 gennaio 705, dopo aver consacrati 15 Vescovi, 19 preti e 2 diaconi. Fu sepolto in San Pietro. Questo Pontefice potè risolvere la questione di S. Wilfrido, ingiustamente deposto. da un sinodo nazionale del 692: questione che si trascinava dal Pontificato di Agatone, Benedetto II e Sergio I. Wilfrido si appellò a Roma e venne a Roma, ove il Papa Giovanni VI aveva radunato un Concilio. Inginocchiatosi davanti al Papa, lesse alla presenza dei Vescovi del Concilio la sua difesa e, ricordando quanto avevano i Pontefici fatto per la sua causa, chiese di essere restituito alla sua sede. In seguito alla sentenza di completa assoluzione votata ad unanimità del Consiglioe, Wilfrido potè ritornare alla sua sede con lettera del Papa per il Etelredo. Questa assoluzione e il ritorno di Wilfrido alla sua diocesi, valsero più che ogni altra cosa ad affermare l'autorità della Santa Sede in Inghilterra. Il Vescovo Wilfrido, ch fu poi canonizzato, tiene uno dei primi posti tra i santi inglesi. La sua carità fu tanta che non badando a sacrifici riuscì a ricattare tutti gli schiavi fatti da Gisolfo, duca di Benevento nelle barbare scorrerie sulle terre romane. E’ benefattore munifico delle chiese di Roma perchè si sa, racconciò in Vaticano la chiesa di S. Andrea, riparò il tetto di quella di S. Marco e ornò di colonne l'altare di S. Pietro.

GIOVANNI VII - PONT. LXXXVIII DI ROSSANO (705 - 707) Giustiniano II Imp. - Ariberto Re (Sec. VIII).

NACQUE da Platone lanidego, greco secondo alcuni, o meglio nato in Rossano in Calabria, chiamata anticamente Magna Grecia. Fu eletto Pontefice il 1° marzo 705. Prima della sua elevazione era stato rettore del patrimonio papale della Via Appia. Da Ariberto II Re dei Longobardi ebbe la restituzione del dominio delle Alpi Cozie. Questo Pontefice è accusato di debolezza da Anastasio Bibliotecario, per non avere nè approvati, nè condannati i canoni del Concilio Quinsexturn che l'Imperatore gli aveva inviato per mezzo di due Vescovi, per essere da lui esaminati e approvati. Governò la Chiesa 2 anni, 7 mesi e 17 giorni e fu sepolto in San Pietro. C'è chi dice che Giovanni VII, benchè suo padre fosse di Rossano, sia nato a Roma sul Palatino essendovi il padre custode dei Palazzi Cesarei, per conto degli imperatori di Costantinopoli. Presso il Palatino, attiguo alla chiesa che S. Silvestro aveva dedicato ai Santi Pietro e Paolo e che Giovanni VII chiamò Santa Maria Nova, edificò un episcopio ove trascorse il breve tempo del suo Pontificato. La restituzione del dominio delle Alpi Cozie, regione che comprendeva Acqui, Bobbio, Tortona, Genova e Savona, gli fu fatta da Ariberto II re dei Longobardi, con un diploma scritto in caratteri d'oro e d'argento. Indusse il clero anglo-sassone dimorante a Roma ad abbandonare l'abito secolare ed invitò con sue lettere quello di Inghilterra a seguirne l'esempio. Fece restaurare e risorgere il monastero Benedettino di Subiaco che era stato incendiato e spogliato dai Longobardi nel 601 e i cui monaci si erano trasferiti a Roma sul Celio. nel Monastero di Sant'Erasmo. Edificò nella Basilica Vaticana una cappella in onore della Vergine, ornandola di Mosaici. Vi si trovavano due effigie della Madonna. Una di queste, quando nel 1639 venne atterrata la Cappella, fu portata a Santa Maria in Cosmedin e collocata nel muro della Sacrestia. L'altra, che era pure in mosaico, venne in quello stesso anno trasportata a Firenze nella Chiesa di S. Marco, nella Cappella de' Ricci. L'effigie di Giovanni VII, trovasi tuttora nelle Grotte Vaticane, dove in un prezioso avanzo di mosaico è rappresentato, portante in mano il disegno della Cappella ove aveva eretto un altare al Santo Sudario, ed ove collocò la reliquia del Volto detto di Santa Veronica; reliquia che era stata portata a Roma nei primi tempi del Cristianesimo. In S. Pietro trovasi ancora la iscrizione della sua tomba che dice: Iohannes Servi Sanctae Mariae.

SISINNIO - PONT. LXXXIX SIRO (708 - 709) Giustiniano II Imp. — Ariberto Re (Sec. VIII).

NATIVO della Siria, figlio di Giovanni ascese la cattedra di S. Pietro il 18 febbraio 708. Quando fu eletto era ammalato di gotta, ma tale era l'amore che egli aveva per Roma che già aveva concepito grandi disegni. Non pontificò che venti giorni, dal 18 gennaio al 6 febbraio 708 e morì improvvisamente. Nei brevi giorni del suo Pontificato fece una ordinazione, creando un Vescovo per la Corsica. Era così sofferente di podagra che non poteva quasi far uso nè delle mani, nè dei piedi. Malgrado i suoi incomodi, siccome era d'animo grande, per la difesa e l'abbellimento di Roma, aveva in mente grandi cose, restaurare le mura cadenti di Roma e rinnovare i templi che minacciavano rovina. La morte lo colse mentre già aveva fatto cuocere la calce e aveva radunato il materiale per le grandi opere che meditava.

COSTANTINO - PONT. XC SIRO (708 - 715) Giustiniano 11, Filippico, Anastasio Imp.

Ariberto, Ariberto II, Ausprando, Liutprando Re (Sec. VIII). ERA figlio di Giovanni, venuto dalla Siria. Successe a Sisinnio il 25 marzo 708. L'anno appresso, accolse Coenredo re dei Merciani ed Offra re dei Sassoni, venuti a Roma per dedicarsi alla vita monastica, ed egli stesso li consacrò a Dio nella loro nuova professione di vita. Chiamato a Costantinopoli dall'imperatore Giustiníano Il vi si recò accolto con i segni del massimo rispetto e con ogni onore. Ebbe a lottare con Filippo Bardane, che dopo aver ucciso Giustiniano, aveva usurpato l'impero d'Oriente. Il nuovo imperatore che proteggeva i monoteliti si trovò di fronte alla inflessibile volontà di Costantino. Al nuovo imperatore Anastasio II, successo a Filippico, inviò Michele suo legato per la definizione delle questioni religiose. Sollecito della amministrazione della Chiesa, governò 7 anni e 15 giorni : ordinò 64 Vescovi, 10 preti e 2 diaconi ; morì agli 8 di Aprile 715 e fu sepolto in S. Pietro. Papa Costantino fu, secondo alcuni, il settimo Papa di seguito venuto dalla Siria o dalla Grecia. Sembra, osserva il Moroni, che la persecuzione degli Arabi, e i rapidi progressi della potenza mussulmana cacciassero dall'Oriente i Siri ed i Greci e facesse loro cercare un asilo a Roma. Quando Costantino, invitato da Giustiniano II, si recò a Costantinopoli fu accolto dall’Imperatore che, con la corona in testa, gli baciò i piedi. Volle esser comunicato di mano del Papa e gli confermò tutti i privilegi concessi dai suoi maggiori alla Chiesa Romana, restituendo alla sua soggezione la Chiesa di Ravenna. Dall'atto compiuto dall'imperatore Giustiniano II, baciando con la corona in testa i piedi al pontefice, ha inizio quella reverenza che di poi usavano fare i re, imperatori e principi al Capo Supremo délla Chiesa. E così fecero tra gli altri, Liutprando re dei Longobardi a Gregorio Il, Rachis, re della stessa nazione a Zaccaria, Carlo Magno imperatore ad Adriano I, Lodovico Pio a Stefano IV, Sigismondo ad Eugenio IV, Federico Barbarossa ad Alessandro In, Stefano re d'Ungheria a Benedetto VII, Carlo VII, re di Francia ad Alessandro VI, Carlo V imperatore a Clemente VII, e a Paolo III, e Carlo, allora re di Napoli e poi re cattolico a Benedetto XIV. Durante il Pontificato di Costantino i Saraceni invasero la Spagna, sottomettendola quasi tutta. Intanto si formava in Italia la prima lega di città latine. Infatti Ravenna nel 710, insorta contro il giogo di Bisanzio, eleggeva a suo capo Giorgio, il figlio di Giovanniccio che era stato barbaramente ucciso a Costantinopoli, e sotto il di lui governo si unirono a Ravenna, con giuramento di alleanza, le città di Sarsina, Cervia, Cesena, Forlimpopoli, Forlì, Faenza, Imola e Bologna. Quando i romani insorsero contro l'imperatore Filippo e si rifiutarono di collocare la sua statua nella Cappella di San Cesario sul Palatino — identificata nel 1907 — il Papa intervenne a pacificare i romani. In questo intervento e nell'essersi il Papa occupato dì riorganizzare la polizia urbana di Roma, vogliono alcuni vedere i primi indizi della autorità temporale dei Pontefici. Benchè l'imperatore avesse restituito la Chiesa di Ravenna alla soggezione di Roma, il nuovo arcivescovo di quella città, Félice, non volle prestare ubbidienza al Papa. Adirato di questo rifiuto l'imperatore chiamò a Costantinopoli l'Arcivescovo e gli fece cavare gli occhi, confinandolo nel Ponto. Biasimò il Papa questa crudeltà ed essendosi Felice sottomesso, egli lo restituì, benché cieco, alla sede di Ravenna. Un'altra contesa sarta con l'Arcivescovo di Milano Benedetto, intorno al diritto di consecrare il Vescovo di Pavia. fu tosto appianata, perchè avendo Costantino deciso che la Chiesa di Pavia dovesse continuare ad essere direttamente soggetta al Papa, il Santo Vescovo Benedetto prontamente rinunziò ad ogni giurisdizione sopra di essa. Essendo scoppiata, durante il Pontificato di Costantino una grande carestia a Roma e cercando il Papa con ogni mezzo di sovvenire ai bisogni, i romani dicevano che Costantino era stato mandato dal cielo perchè essi non morissero dí fame.

S GREGORIO I - PONT. XCI ROMANO (715 - 731) Anastasio, Teodosio Leone Isauro, Costantino Copronimo Irnp. Liutprando Re (Sec. VIII).

ROMANO, figlio di Marcello e di Onesta. Non è conosciuta la data della sua nascita, ma si. sà che fin da fanciullo fu educato nel patriarchio del Laterano. Accompagnò Papa Costantino a Costantinopoli, facendovisi ammirare per la sua dottrina. Con grande concordia del Clero e del popolo di Roma fu eletto Pontefice il 19 maggio del 715. Salito prese cura della restaurazione delle mura di Roma, riedifico il monastero di Montecassino, ripristinò chiese e monasteri a Roma e sí fece restituire dal re Longobardo Liutprando il patrimonio della Santa Sede nelle Alpi Cozie. Combattè vigorosamente le mene iconoclastiche dell'imperatore Bizantino, Leone III l'Isaurico, e all'ordine da costui promulgato di distruggere le sacre immagini, dopo averlo inutilmente ammonito, rispondeva scomunicandolo — nel 730 — e sciogliendo dal giuramento di fedeltà e di pagare il tributo, i popoli d'Italia. Tutto l'Occidente seguì Roma Liutprando, dissuadendolo dall'entrare con il suo esercito nella città. Potè chiudere lo scisma di Inghilterra, riguardo alla celebrazione della Pasqua, che aveva durato 140 anni. Accolse in Roma, Ina, re dei Sassoni, fece rivivere la disciplina ecclesiastica e riformò i costumi. Fu largo di donativi con il clero e con le chiese: governò 15 anni, 8 mesi e 23 giorni, morendo al 10 febbraio 731. Fu sepolto in S. Pietro. Si vuole che fosse della famiglia dei Savelli. Dopo un periodo di 30 anni — da Benedetto II a Costantino — durante il quale si erano succednti sulla cattedra di S. Pietro sette Pontefici, la maggior parte dei quali governò la Chiesa per un periodo brevissimo, riappare negli annali del papato un romano e vi torna con un grande Papa. Fu detto che da Gregorio II comincia quella accorta, sottile, lungimirante arte diplomatica della curia romana, che da 13 secoli, con una straordinaria chiaroveggenza ed un equilibrio sovrano, domina la ragione politica di tutte le corti della terra. Essendo stato da Sergio I creato Sacellarius della Chiesa con la cura della Biblioteca della Curia Romana, è perciò dal Cenni annoverato per il primo tra i bibliotecari della Santa Sede. Nel Pontificato di S. Gregorio II ha origine il Danaro di San Pietro, perchè, essendo nel 725 venuto a Roma il re dei Sassoni Ina per farsi monaco, prima di rinunciare al regno volle renderlo tributario al romano Pontefice, obbligando se medesimo e i successori a contribuire ogni anno alla Chiesa di Roma un danaro d'argento, che doveva riscuotersi da ciascuna casa del regno. Tale denaro venne detto dagli inglesi Romescott (ora Peterpence), e dai romani: denaro di San Pietro. Quando l'imperatore Leone l'Isaurico iniziò la sua lotta contro le immagini, Gregorìo gli scrisse, opponendosi con tutte le forze contro il sacrilego editto. «Come i Vescovi — scrisse all'imperatore — conforme alla loro missione si astengono dai negozi dello Stato, e così devono gli imperatori astenersi dai negozii della Chiesa». Le immagini — diceva — sono l'alfabeto degli analfabeti. Avendo l'imperatore minacciato di fargli ciò che il suo predecessore Costante aveva fatto a Martino: «La tua tracotanza -- gli rispose il Papa — non mi turba. Se la tua minaccia si avvicinasse a me per davvero, io non avrei che da allontanarmi di poche miglia da Roma ed allora ti gioverebbe badare d'onde il vento spira». L'Imperatore — Leone Isaurico — fece ripetutamente attentare alla vita del Pontefice. Si può dire che la sovranità Pontificia abbia cominciato sotto questo Papa; perchè essendosi l'Italia ribellata all'imperatore Leone, molte città si eressero in signorie private, altre si diedero ai Longobardi e il Ducano romano, composto di Roma e di altre sedici città, con altre sette della Campania, si sottopone volontariamente al Papa San Gregorio II. Questo ducato romano abbracciava: Roma, Porto, Civitavecchia, Ceri, Bleda, Manturano, Sutri, Nepi, Gallese, Orte, Bomarzo, Amelia, Todi, Perugia, Narni ed Otricoli. Quelle della Campania erano: Segni, Anagni, Ferentino, Alatri, Patrica, Frosinone e Tivoli. A questo patrimonio della Chiesa molte altre città aggiunsero i re Pipino e Carlo Magno. Fu il primo Papa a battere moneta: e vi fece imprimere le chiavi, insegna della Chiesa Romana, non la sua effigie per umiltà. Da lui comincia la zecca pontificia. Quando Liutprando si accampò con l'esercito ai Prati di Nerone (Prati di Castello) vicino alla Basilica Vaticana, per entrare in città. Gregorio gli si presentò e non solo distolse il re dal suo disegno, ma, pentito, lo condusse in S. Pietro, ove sulla tomba dell'Apostolo depose le proprie armi, il manto, le maniglie, il cingolo, la spada, la corona d'oro e una croce d'argento. Fece rifiorire in tutta l'Italia la disciplina monastica e scomunicò chiunque avesse sposato una monaca. Durante il suo Pontificato il Tevere straripò talmente che entrò da Porta del Popolo e corse per la Via Lata all'altezza di un uomo e si navigò con barche non piccole, da Ponte Molle sino alle scale di S. Pietro. Cesare Balbo chiama Gregorio II: «un gran Papa e un gran Principe: il quale troppo trascurato dagli storici, non resterà tale per certo quando l'Italia indipendente cerchi o glorifichi tutti i periodi, tutti gli eroi di sue indipendenze...». Il Baronio lo stima non inferiore a S. Gregorio Magno, mentre il Muratori dice che se Gregorio avesse voluto, sarebbe stata finita per gli imperatori greci in Italia, ma a lui bastò difendere le ragioni della Chiesa.

SAN GREGORIO III - PONT. XCII SIRO (731 - 741) Leone Isauro, Costantino Copronimo Imp. — Liutprando, Ildebrando Re (Sec. VIII).

FIGLIO di Giovanni della Siria, fu monaco benedettino, indi divenne Cardinale prete di Santa Romana Chiesa. Era di tanta bontà, virtù e prudenza che alla morte di Gregorio II fu eletto per acclamazione dal clero e dal popolo. Cominciò il suo pontificato coll'opporsi all'imperatore iconoclasta Leone III l'Isàurico. Scomunicato dal Pontefice, l'imperatore mandò in Italia una flotta, ma questa andò sommersa nell'Adriatico. Allora egli si impadronì degli antichissimi patrimoni della chiesa Romana nella Sicilia e Calabria, istigando Liutprando a invadere gli stati della Chiesa. Gregorio III chiese allora aiuto a Carlo Martello, e Liutprando si ritirò a Pavia. Per opporsi agli iconoclasti collocò nella Basilica Vaticana le immagini del Salvatore e degli Apostoli da una parte, e dall'altra quelle della Madre di Dio e delle Sante Vergini. Confermò nel 730 i Vescovi istituiti in Germania da San Bonifacio. In un Concilio radunato a Roma Gregorio scomunicò l'imperatore e gli iconoclasti. Fu d'animo fermo e risoluto e largo e generoso coi poveri. Governò la Santa Chiesa 10 anni, 8 mesi e 20 giorni e morì il 27 novembre 741, venendo sepolto in S. Pietro. Fu eletto per acclamazione dal clero e dal popolo mentre si celebravano i funerali di Gregorio III ai quali assisteva. E’ l'ultimo Papa che abbia atteso per essere consacrato e incoronato la abusiva conferma del placet imperiale. La sua carità verso i poveri non aveva limiti, addossandosi i debiti altrui e mostrandosi padre dei puffilli e tutore delle vedove. Creò Carlo Martello patrizio di Roma, dignità che portava l'obbligo di sostenere i diritti della Chiesa e di difendere la città di Roma. Nella lettera che il Papa scrisse a Carlo Martello, appare per la prima volta il titolo di Cristianissimo, titolo che fu poi riconosciuto ereditario nei re di Francia. Nel Pontificato di S. Gregorio III è usato per la prima volta il titolo di Sacro Palazzo dato alla abitazione del Papa. Essendo cresciuti i diaconi cardinali regionari dal numeri di sette a quello di quattordici, egli ne aggiunse quattro col nome di Palatini, per assistere sempre il Papa mentre celebrava. Gregorio III fu tenuto uno dei più dotti del suo tempo ed era di tale memoria che sapeva a mente tutti i salmi. Consacrò in S. Pietro una cappella a tutti i Santi e d quel tempo se ne celebrò la festa in Roma. Nella cappella da lui fatta edificare in S. Pietro, aveva posto delle tavole di marmo con un regolamento per uso dei sacerdoti che vi celebravano. Alcuni frammenti di queste tavole trovati e ricopiati dagli archeologi permisero al De Rossi di ricomporre tutto il documento. Proseguì il restauro delle mura di Roma e rifece del tutto quelle di Civitavecchia, a difesa contro i Longobardi ed i pirati. L'Audisio dicendo delle sue doti e delle sue virtù nota che «si rese celebrato dopo un antecessore celebratissimo» Sulla sua tomba fu posto l'epitaffio: Tertius hic Papa Gregorius est tumulatus

S. ZACCARIA - PONT. XCIII GRECO (741 - 752) Costantino Copronimo, Leone IV lmp. Liutprando, Ildebrando, Rachis, Astolf o Re (Sec. VIII).

FIGLIO di Policromie della Magna Grecia, e più precisamente di Santa Severina. Non precisato l'anno della sua nascita, mentre si sa che eletto il 29 settembre del 741 era incoronato il 5 dicembre. Alla sua assunzione al pontificato, l'Italia era agitata dalle contese dei Longobardi, dei duchi di Spoleto e di Benevento e degli esarchi di Ravenna. Recatosi Zaccaria a Terni, ottenne da Liutprando la restituzione di Amelia, Orte, Bomarzo ed Olesa e quella parte della Sabina, di cui trent'anni prima era stata spogliata la Santa Sede. Un altro viaggio intraprese il Papa, recandosi a Pavia per abboccarsi con Liutprando, ottenendo la restituzione di Ravenna, Cesena e di tutte le città occupate. Anche dal successore di Liutprando, Rachi ottenne che togliesse l'assedio a Perugia e alla Pentapoli, cioè a Rimini, Pesaro, Fano, Osimo ed Ancona. Tocco dalla grazia divina Rachi ritiravasi dal mondo prendendo l'abito benedettino. Anche Carlomagno, successore a Carlo Martello, prendeva dalle mani di Zaccaria l'abito di S. Benedetto. Dedicò molte cure alle chiese di Roma verso le quali fu largo di doni. Restaurò il Palazzo Laterano, aggiungendo nuove costruzioni. Morì dopo aver governato la Chiesa 10 anni, 13 mesi 14 giorni e aver visto aumentare attorno alla Santa Sede la reverenza e l'amore dei popoli. Fu sepolto in S. Pietro. Zaccaria fu l'ultimo dei Papi orientali, se realmente, come si vuole, Alessandro V anzi che nell'isola di Candia quale lo dicono alcuni, è nato a Bologna. Con la rapida elezione e consacrazione di Zaccaria, terminò la riprovevole soggezione di aspettare la conferma prepotente dell'imperatore greco, o per lui dell'esarca, prima di consacrarsi. Non ricercando il clero di Roma in questa occasione la consueta conferma di detto esarca, scosse in tal modo il giogo che era stato imposto dagli imperatori d'Orient e la Chiesa riacquistò la sua libertà. Con l'approvazione concessa da Zaccaria a Pipino al suo avvento al trono di Francia, ha di fatto inizio la dinastia dei Carolingi. Restaurò il Patriarchio Lateranense in ogni sua parte lombra e sopra una torre, da lui innalzata, costruì un Triclinio per cenare e in esso fece dipingere tutte le parti del mondo per ricordare ai suoi successori che a tutte devesi avere il pensiero e la cura e ai pellegrini che vi si cibavano, che essi erano di continuo presenti alla mente del Pastore dei popoli. Faceva ogni giorno distribuire dai suoi sacerdoti elemosine a poveri e a pellegrini, mandandole anche a casa, ai poveri e ai malati per tutta la città. Per ovviare all'abbandono dell'agricoltura nella campagna romana, eresse tre villaggi o colonie che chiamò «Domus cultae o Domus culta»: iniziativa utile e previdente contro lo spopolamento e l'incoltura dell'agro, che fu seguìta poco dopo da Adriano I che fondò altre quattro «Domucultae». Ordinò che i sacerdoti non potessero celebrare appoggiati a bastoni, né col capo coperto, e che gli ecclesiastici non si facessero vedere per la città se non in abito lungo, detto volgarmente sottana. Assegnò 20 libbre d'oro annue per l'olio delle lampade nella Basilica Vàticana, alla quale donava anche i veli di seta da appendersi tra una colonna e l'altra, e tutti i codici per il canto degli uffici divini da lui, posseduti. Avendo condannato i libri dell'eretico francese Adelberto, il quale agli Angeli nominati nel «Coro degli Angeli» aveva aggiunto gli Angeli Uriele, Raguele, Tabaele, Inia, rubua, Satoc e Simiele, anzi che venir bruciati, ordinò che si conservassero nell'archivio della S. Sede «ad reprobatíozem et ad perpetuam conjusionem». La condanna che si dice fatta da Zaccaria di un tal prete Vigilio perchè sosteneva l'esistenza degli antipodi, non riguarda l'astronomia o la geografia, ma solamente la teoria che vi fossero uomini non discendenti da Adamo. Si narra che nel viaggio che fece S. Zaccaria a Pavia presso Luitprando e nel ritorno a Roma fosse prodigiosanente accompagnato da una nuvola che lo protesse dandogli ombra e riparandolo dalle molestie dell'eccessivo caldo. Nella serie dei busti dei Papi, nella cattedrale di Siena era la «Papessa Giovanna» ma, caduta la stolta favola, nel 1600 fu cambiata la testa della fantastica papessa e messa quella di S. Zaccaria. Era Zaccaria «mitissimo e soave» ornato di ogni bontà, tardo ad inquietarsi, non facendo mai male per male, ma pio e misericordioso. Era divenuto per la sua virtù e la sua saggezza il supremo arbitro negli affari pubblici, il fautore della pace e della sicurezza nella penisola italica. E’ per lo più, rappresentato nell'atto di dar l'abito monacale a Rachi, o di esortare Luitprando a cessare le violénze contro la Chiesa.

STEFANO II - PONT. XCIV (ROMANO (752 - 752) Costantino Copronimo, Leone IV Imp. - Astolfo Re (Sec. V110.

IL sacerdote romano Stefano era eletto il 23 marzo a succedere a Papa Zaccaria. Era molto amato dai romani e stimato dal Pontefice che lo aveva inviato in Francia a Pipino per chiedergli di difendere la causa di S. Pietro e la repubblica dei Romani. Moriva tre soli giorni dopo la sua elezione. Fu sepolto in S. Pietro. Quello di Stefano II è il Pontificato più breve, essendo durato tre soli giorni. Stefano non fu perciò nè consacrato, nè incoronato: e per tal fatto non è da taluni annoverato tra i Papi ed è causa delle divergenze e della confusione che esiste nella numerazione dei Pontefici che si chiamarono Stefano. E’ però annoverato nella serie Iconografica esistente in S. Paolo e nella Cronologia dell'Annuario Pontificio, da noi seguito. Morì di colpo apoplettico, mentre si dice, alzavasi da letto e si stava vestendo. Tale fu il giubilo dei romani alla notizia della sua elezione che, in una esplosione di entusiasmo proceribus et plebe fu portato sulle spalle fino al Laterano nel Patriarchio. Sulla sua tomba in S. Pietro fu posta questa epigrafe: Subiacet hic Stephanus romanus Papa secundus.

SAN STEFANO III - PONT. XCV ROMANO (752 - 757) Costantino Copronimo, Leone IV Imp. — Astolfo Re (Sec. VIII).

A Stefano II, Pontefice per tre giorni, succedeva Stefano III, di nobile famiglia romana, di Via Lata. Era stato educato nel Palazzo del Laterano e da semplice Diacono era eletto Pontefice nella Basilica Liberiana nell'aprile del 752. Contro i Longobardi che, dopo aver conquistato l'Esarcato di Ravenna, miravano a dominare tutta la penisola e a conquistare il ducato di Roma, Stefano III dovette subito impegnare resistenza. Riuscite vane le preghiere rivolte ad Astolfo, re dei Longobardi, perchè cessasse di minacciare Roma e le richieste di soccorso fatte all'imperatore Costantino, il Papa si recava in persona a chiedere aiuto a Pipino, re di Francia. Dopo aver avuto promessa di aiuto da Pipino e averlo incoronato ritornava a Roma ricevutovi come un salvatore. Ben presto Astolfo veniva meno alle promesse fatte perchè era sceso in Italia, assediando Roma per tre mesi. Ritornato Pipino in Italia obbligava Astolfo ad accettare le condizioni imposte. Condannò un conciliabolo tenuto da 338 Vescovi Orientali che, per aderire ai desideri dell'imperatore Costantino Copronimo, aveva lanciato l'anatema contro quelli che veneravano le sacre immagini. Benefico e soccorrevole, riaprì ospedali, fondandone uno nuovo. Nell'aprile del 757 moriva al palazzo Laterano dopo aver governato la Chiesa 5 anni e 29 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Si vuole che Stefano III fosse della nobile famiglia romana degli Orsini. Anche a lui — e forse più propriamente a lui che al suo antecessore Papa di tre giorni — si attribuisce il fatto di essere stato portato, pel giubilo della sua elezione, in trionfo dal popolo da Santa Maria Maggiore al Laterano. Fu il primo Papa che valicasse le Alpi, quando si recò a chiedere soccorso contro il Re Astolfo, da Pipino Re di Francia. E fu anche il primo che, nel lungo viaggio, si facesse precedere dalla S. Eucarestia portata decorosamente sotto un baldacchino, sopra un cavallo nobilmente bardato. Questo costume, poi seguito da tanti altri Pontefici nei loro viaggi terminò con Benedetto XIII (altro Orsini 1724 - 1730) che fu l'ultimo Papa che si facesse precedere dalla S. Eucarestia. Dopo aver passato un inverno nel Monastero di S. Denis, presso Parigi, ove ammalò al punto che disperavisi di salvarlo, incoronava Pipino, la di lui moglie Bertrada, e i due figli Carlo e Carlomanno, re dei Franchi dichiarandoli con i loro successori, Patrizi romani e protettori e difensori della Sede Apostolica. In memoria del suo soggiorno a S. Denis, prima di partire il Papa Stefano III regalava a quel monastero il suo pallio che ancora vi si conserva. Quando Astolfo pressava Roma e minacciava di passare i romani a fil di spada, Stefano ordinò processioni, in cui si portarono molte reliquie. Il Papa stesso camminando a piedi scalzi, come tutto il popolo, portò sulle spalle l'immagine Acheropita del SS. Salvatore. Nella lettera che il Papa inviò a Pipino per indurlo 'a combattere lo spergiuro Astolfo è citato S. Pietro che esorta il re dei Franchi a correre in aiuto di Roma, tale lettera, unica nel suo genere nella storia dei Papi, è detta la «Prosopopea» di S. Pietro. Per quanto dotto, era però di carattere debole e facile a farsi dominare. È falso che approvasse il battesimo dato col vino in mancanza di acqua. Amorevole coi poveri, le vedove, gli ammalati, ristabilì quattro antichi ospedali e un quinto ne fondò capace di ricoverare 100 poveri. Edificò presso l'atrio di S. Pietro un campanile che fu il primo che sorgesse a Roma e lo coprì di lamine d'oro e di argento. Il nome di Stefano III si trova in alcuni Martirologi col titolo di Santo.

SAN PAOLO I - PONT. XCVI ROMANO (757 - 767) Costantino Copronimo e Leone IV Imp. — Desiderio, Adalgiso Re (Sec. VIII).

ERA Paolo I, fratello del Pontefice Stefano III, a cui subito successe per unanime elezione del clero e del popolo il 29 maggio 757. Continuando la politica del fratello verso Pipino, scrisse a quel re, pregandolo di continuare la sua protezione ai romani e scongiurandolo ad obbligare Desiderio, re dei Longobardi, a rendere interamente alla Chiesa romana i patrimoni che le aveva usurpato. Fondò nella casa paterna il monastero e la chiesa di S. Silvestro in Capite. Fece da padrino alla figlia di re Pipino, col quale molto si adoperò per introdurre nel suo regno il canto romano. Inutilmente cercò di richiamare sulla buona via l'imperatore Costantino Copronimo, esortandolo a lasciar l'eresia degli iconoclasti, ma non solo esso ricusò i paterni consigli, ma trattò indegnamente i legati apostolici. Sommamente caritatevole coi poveri largamente li sovveniva. Morì il 28 giugno 767, dopo aver governato la Chiesa 10 anni e un mese. Il suo biografo Anastasio dice che di notte, con due o tre servitori visitava segretamente le prigioni, liberando da morte i meritevoli di grazia e riscattando i poveri che vi languivano per debiti. Si recava nelle case dei poveri infermi con le parole e con elemosine aiutandoli a recuperare la salute. Per la sua carità era detto «Padre dei poveri». Nel 761 ricevette da Pipino re di di Francia le fascie in cui era stata posta la di lui figlia Gislana, natagli da Bertrada, e con questo atto rimase il Papa vero compare, com'egli scrisse a Pipino. Mandò in regalo a Pipino molti libri: «Libros quantos reperire potuimus», e tra essi un Responsale, la Rettorica dí Aristotile e le Opere attribuite a Dionigi Areopagita, più alcuni trattati greci di ortografia, di grammatica e di geometria. Allo steso Pipino mandò in dono un orologio notturno a ruota. Per sottrarre alla depredazione delle orde barbariche che saccheggiavano le campagne romane, le reliquie dei martiri che si veneravano nelle Catacombe, ne trasferì un gran numero dentro la città, specialmente arricchendone la chiesa di S. Silvestro «in Capite». Dalla sua casa, contigua alla Chiesa di S. Silvestro in Capite, essendo nell'estate, per il caldo, passato ad abitare presso la Basilica di S. Paolo, vi morì. Per quanto avesse fatto del bene vi morì abbandonato, solo assistito da uno Stefano prete, che poi divenne suo successore. Sepolto nella Basilica di S. Paolo, tre mesi dopo veniva tolto e portato a S. Pietro nella Cappella che vi aveva fatto edificare in onore della Vergine. Sulla sua tomba fu posta l'iscrizione : «Hic requiescit Paulus Papa».

STEFANO IV PONT. XCVII SICILIANO (768 - 771) Costantino Copronimo e Leone IV Imp. -- Desiderio, Adalgiso Re (Sec. VIII).

DOPO la morte di Paolo I, la Santa Sede rimase vacante per più di un anno perchè il Governatore di Nepi, Totone, dopo aver occupato Roma aveva imposto per Papa suo fratello Costantino, obbligando con minaccia di morte i Vescovi di Palestrina, di Porto e di Alano, il primo ad ordinarlo diacono e gli altri a consacrarlo Papa. Ucciso Totone dal primicerio Cristoforo e da suo figlio Sergio, l'antipapa fu scacciato. Eletto di sorpresa e per un istante il monaco Filippo, questi si ritirava nel suo monastero, onde, ristabilita la calma, nel 768 legittimamente era eletto Staano IV. Era questi figlio di Olivio, della Sicilia e monaco benedettino del monastero di S. Grisogono. Per riparare ai danni prodotti dalla elezione dell'antipapa Costantino ed evitare il ripetersi di tali disordini convocò un Concilio, invitando il Re Pipino a inviarvi alcuni dei Vescovi più dotti. A questo Concilio Lateranense intervennero quaranta Vescovi italiani e dodici francesi. In esso dopo essere stati annullati tutti gli atti compiuti da Costantino, si dettarono norme e leggi sulle future elezioni dei Pontefici, e fu confermata la dottrina della Chiesa riguardo al culto delle immagini. Invano cercò di opporsi al matrimonio di Carlo figlio del re Pipino con Ermengarda, figlia del re dei Longobardi Desiderio. Ebbe un breve pontificato di 3 anni, 5 mesi e 27 giorni, morendo nel 771. Fu sepolto in S. Pietro. Narra la leggenda che il Vescovo di Palestrina Giorgio, che aveva ordinato il laico Costantino, imposto da Totone, fu subitamente punito da Dio. «Perchè dicono — scrive il Platina — che miracolosamente a questo Vescovo si seccarono le mani in modo che non le poteva nemmeno accostare alla bocca». Nel Concilio Lateranense tenuto da Stefano IV fu stabilito che nessun laico potesse essere eletto Pontefice. Venne, inoltre, soppresso il diritto ai laici di partecipare alla elezione del Papa, limitando là loro partecipazione alla sola acclamazione dell'eletto dal Clero. Nel suo libro su «I Papi» M. Trivulzio della Somaglia osserva che: «vari sono i pareri degli scrittori riguardo alla condotta del re Desiderio verso questo Papa, ma in generale la critica rappresenta quel sovrano longobardo cupidamente avverso a Stefano, seminatore di discordie tra costui e i re Franchi e colpevole dell'accecamento di Cristoforo e di Sergio sostenitori del Papato».

ADRIANO I – PONT. XCVIII ROMANO (771 - 795) Costantino Copronimo, Leone IV, Costantino Augusto Imp. Carlo Magno, Pipino Re (Sec. VIII).

ROMANO, figlio di Teodoro, di nobilissima famiglia. Essendo rimasto orfano, era stato educato dallo zio paterno Teodulo, Primicerio della Chiesa. Eletto il 19 febbraio 771, prese con vigore le redini del potere iniziando una politica ferma e risoluta. Non volle trattare con lo spergiuro re Desiderio e contro di lui chiamò in soccorso Carlo Magno, che fatto prigioniero il re, lo mandò in un monastero in Francia. Ricondusse all'obbedienza l'Arcivescovo di Ravenna, che aveva minacciato una formale ribellione. Convocò tre Concilii : a Costantinopoli nel 786, a Nicea nel 787 e a Francoforte nel 794, prendendo in essi importanti decisioni di ordine religioso e disciplinare. Venuto Carlo Magno per la seconda volta a Roma nel 781, Adriano ne battezzò il primo figlio Carlomanno col nome di Pipino e lo incoronò re d'Italia, e il secondo, Ludovico, incoronò re d'Aquitania. Nel 793 accolse in Roma con ogni carità Offa re di Mercia, venuto a compiere opere di penitenza. Adriano è grandemente benemerito di Roma per le molte opere compiute di ornamento e di utilità pubblica. Morì in Roma il giorno di Natale del 795, dopo un pontificato di 23 anni, 10 mesi e 17 giorni, pianto con amare lacrime da Carlo Magno. Fu sepolto in S. Pietro. Il Novaes e il Moroni vogliono che Adriano fosse della famiglia Colonna. Aveva statura e aspetto maestoso ed era di volto piacevole e di nobili maniere. Attenendosi alla antica disciplina che voleva salva la vita dei rei, affine di dar loro il tempo di far penitenza, richiamò in Roma alcuni personaggi, togliendo altri dall'esilio, altri dal carcere: onde apparisce, come riflettono l'Anastasio e Pietro de Marca che fino da questo tempo i Pontefici incominciassero ad esercitare in Roma la piena amministrazione delle cose civili, se pure qualche volta non ne venivano impediti dal furore delle rivolte. Tre volte Adriano ricevette in Roma Carlo Magno: la prima nel 773 al tempo dell'assedio di Pavia, venendovi a celebrare la Pasqua, la seconda nel 781, la terza nel 787, quando venne a fiaccare l'arroganza di Arigiso, duca di Benevento, che si era ribellato. La prima volta che Carlo Magno venne a Roma, Adriano gli diede le insegne del Patriziato romano e gli fece dono del codice dei Canoni della Chiesa Romana. In testa a questo Codice il Papa pose un elogio del re in versi metrici ed acrostici: infatti ogni verso principia con le lettere che formano le parole : Dominò Eccell. Fiio. Istituì di far orazione pel re di Francia nella messa che celebravano i Pontefici al principio della Quaresima: onde questo costume venne abbracciato dai regni cattolici nei quali fin da quel tempo pregano pubblicamente per la felicità del proprio sovrano. Nel portico di S. Pietro è la lapide funeraria con i distici che Carlo Magno fece porre sulla tomba del suo amico Papa Adriano I. È, un brano di poesia medievale che merita di essere conosciuto : «qui riposa il Padre della Chiesa, l'onor di Roma, l'illustre scrittore, il beato Pontefice Adriano --- Dio fu la sua vita, sua legge, la sua pietà, sua gloria Cristo; fu pastore apostolico, pronto a far tutto ciò che fosse bene. Fu nobile per discendenza di antica e grande stirpe, ma di gran lunga più nobile per le sue alte virtù con animo devoto desiderando il buon pastore di adornare sempre e in ogni luogo i templi consacrati al suo Dio, arricchì le chiese di doni e i popoli di santi precetti e a tutti aperse la via che conduce al cielo. Onore della città e del mondo egli con le sue dottrine ed i suoi tesori, con i suoi edifici aveva sollevate le tue torri, o inclita Roma I A lui nulla insegna la morte già vinta ed uccisa dalla morte di Cristo, anzi gli schiuse la porta di una vita migliore. «Questi versi scrissi io, Carlo, lacrimando per la morte de padre; tu fosti il mio dolce amore, te ora piango, o padre, — Ricordati di me; il mio pensiero ti seguirà sempre, ti goditi con Cristo il Regno del Cielo. — Il clero ed il popolo ti amarono con grande affetto, tu eri l'amore di tutti, o ottime pastore. Voglio o illustre uomo, che i nostri nomi ed i nos titoli siano qui congiunti: Adriano e Carlo: io re, tu padre Chiunque tu sia che leggi questi versi, di' con amore devote questa preghiera: — O Dio misericordioso, abbi pietà d ambedue — qui intanto riposino le tue membra, o mio dilettissimo amico, l'anima tua beata goda con i Santi di Dio. — Fin tanto che lo squillo dell'ultima tromba risuoni alle tue orecchie. — Allora assurgerai, assieme con Pietro, Principe degli Apostoli, per vedere Iddio — Tu udrai, ne son certo, la voce del Gran Giudice che ti dirà: — Vieni a godere la gioia del tuo Signore. — Allora o mio buon padre, ricordati ti prego del tuo figlio e di': — Venga insieme col padre anche questo mio figliolo. — Va, o beato padre, ai regni celesti di Cristo e di là soccorri il tuo gregge con le tue preghiere. — La tua gloria, o padre santo, durerà nel mondo fin tanto che il sole risplenderà nel cielo. «Adriano Papa di beata memoria regnò 23 anni, 10 mesi, 17 giorni, morì il settimo giorno innanzi alle Calende di Gennaio». Con la prigionia del Re Desiderio finiva il regno dei Longobardi in Italia, durato 206 anni. Era di animo grandemente incline alla religione e spesso saliva a piedi nudi la Scala Santa.Ogni giorno faceva distribuire alimenti a 100 poveri nell'atrio del Patriarchio Lateranense. Combattè lo spopolamento dell'Agro, e vi eresse parecchi villaggi, favorendo l'agricoltura. La più importante di queste Domuscultae fu quella di Capricornum, che si crede fosse nel territorio di Veio, a :15 chilometri da Roma. Coperse per comodo dei pellegrini il Ponte Elio di una tettoia di piombo. Restaurò i quattro condotti delle acque: Sabatina (Traiana), Claudia, Giobia e Vergine. Fece erigere sulla Piazza di S. Maria Maggiore in Trastevere una fontana, ristorata in appresso sotto vari Pontefici. Adriano compì la ricostruzione delle mura e delle porte di Roma che divenne città fortissima per quei tempi, la cinse di bastioni e di baluardi con 383 torri. Pose nel Presbiterio di S. Pietro un grande lampadario pensile in forma di croce, detto Farus, che portava 1370 candele e che non accendevasi che quattro volte all'anno, nei giorni di Natale, Pasqua, dei SS. Apostoli, e nell'anniversario del Papa. Oltre a ciò fece una generosa elargizione di oro alla Basilica Vaticana e a quella di S. Paolo, ove lastricò di nuovo l'atrio che era guasto. Nel suo pontificato avvenne una spaventosa inondazione del Tevere. La Porta Flaminia fu atterrata dalla furia delle acque, spezzato fu il ponte di Antonino Pio, tra il Gianicolo e l'Aventino. Adriano ebbe uno dei pontificati più lunghi, dopo quello di S. Pietro, perchè restò sul soglio 23 anni, 10 mesi e 17 giorni: e ancora non c'erano stati i 25 anni di Pontificato di Pio VI (1775-1890) e i 32 anni di Pio IX (1846-1878) e i 25 di Leone XIII (1878-1903). La leggenda che Adriano fosse sepolto a Nonantola, pressb Modena, non ha fondamento, essendosi dimostrato che non Adriano I, ma Adriano III fu colà sepolto.

FORMOSO - PONT. CXIV DI OSTIA (891 - 896) Guido, Lamberto Imp. Berengario Re (Sec. IX).

FIGLIO di Leone, è detto da alcuni romano, da altri originario della Corsica. Fatto Vescovo di Porto nell'864 veniva da Nicolò I mandato in Bulgaria a portarvi l'insegnamento cattolico. Più tardi venne inviato da Giovanni VIII in Francia, ma accusato al Papa di aver cospirato contro l'imperatore Carlo il Calvo e contro di lui, fu da Giovanni VIII scomunicato, deposto dalla sede, esiliato, facendogli fare giuramento che non sarebbe più tornato a Roma. -Riconciliato e riconosciuto innocente da Martino II, fu tenuto in grande considerazione dai Pontefici Adriano III e Stefano VI. Il suo Pontificato — al quale ascese alla morte di Stefano VI nell'891 — appartiene alla triste era delle discordie per la supremazia politica in Italia, dopo la dissoluzione dell'impero Carolingio. A Formoso toccò rispondere alle lettere inviate dai Vescovi d'Oriente al suo antecessore: e Formoso accogliendo il desiderio dei Vescovi, potè veder liquidata la questione di Fozio. Nell'892 Formoso incoronava a Ravenna, Lamberto, figlio di Guido di Spoleto: e nell’895 a Roma, Arnoldo. Morì in età d 80 anni, dopo aver governato la Chiesa 4 anni e 6 mesi. Una antica tradizione fà nascere Formoso in Corsica Vivario: altri invece opinano che venisse dai corsi rifugiati, nei suoi tempi, nel Trastevere e che poi colonizzarono Porto e Ostia. Secondo il Moroni il vero nome di Formoso sarebbe stato quello di Darnaso : il nome di Formoso gli sarebbe stato dato, a quanto scrive il Ciacconio per la esimia bellezza delle forme. Concordemente lodano gli storici la purità della sua vita. Morì vergine e portava il cilicio: era quello che oggi si dice un vegetariano, perchè non mangiava mai carne e non beveva vino. Insigne per dottrina e virtù, mentre è accusato di aver brigato per ottenere il papato, dicono gli storici che non volesse accettare la tiara e si rifugiasse a,Porto, dove gli elet: tori andarono a prenderlo, strappandolo a viva forza dall'altare al quale si era aggrappato e lo portassero a Roma. Afflitto dalla podagra moriva di 80 anni il 4 aprile del-l'896, giorno di Pasqua. Qualche scrittore emette il dubbio che possa essere morto di veleno il che potrebbe essere anche vero, dato i numerosi e irreducibili nemici che aveva: ma a in altri storici ed è più sicuro Papa Formoso fece fare grandi lavori in San Pietro, rinnovandovi tutte le pitture e facendovi dipingere la serie nei ritratti dei Papi. Al nome e alla memoria di Papa Formoso va unito il ricordo di una delle scene più barbare e ributtanti del medioevo. Stefano VII, per odio contro Formoso e forse spinto da Angeltrude, vedova di Guido, prendendo a pretesto che come già Vescovo non poteva essere trasferito alla Sede dl Roma, dopo 48 giorni da che era stato sepolto, ne fece dissotterrare il cadavere. Vestitolo degli abiti pontificali, lo fece porre sulla sedia e ordinò di fargli un processo. Lo stesso Stefano VII lo apostrofò dicendogli: « Essendo tu Vescovo, come, pieno di ambizione, hai avuto l'ardire di usurparti la Cattedra universale ? ». — Poi toltigli gli abiti sacri gli furono mozzate le tre dita con le quali era solito benedire. Quindi lo fece gettare nel Tevere. Assunto al soglio Pontificio il 17 settembre 837 Romano, abrogò quanto erasi fatto contro Formoso e Teodoro 11 che gli successe nell'898 fece ripescare il cadavere di Formoso, restituendolo alla Basilica Vaticana. Racconta il Novaes con l'autorità di altri storici che quando le misere spoglie di Formoso rientrarono nella Basilica Vaticana, le statue e i santi dalle nicchie si inchinarono in segno di reverenza devota. Essendo, quasi subito dopo la macabra scena del processo, — che ebbe nome di « Sinodo del Cadavere » preciipitata la Basilica di S. Giovanni in Laterano, il popolo neprec attribuì la causa al sacrilegio compiuto e sollevatosi contro il Papa lo trasse in carcere. Le travagliate ceneri di Formoso andarono disperse nei vari rimaneggiamenti della Basilica e di esse andò perduta ogni traccia per quanto figuri ufficialmente sepolto nella Basilica. Il pittore I.P. Laurens dipinse in una impressionante tela “Il giudizio di papa Formoso e il poeta Paolo Cadiou, cantò in un carme ispirato il tragico destino dai quel Papa. Nessun Pontefice assunse più tale nome. Si afferma che il Cardinale Pietro Barbo, eletto nel conclave del 1464, volesse chiamarsi Formoso II, ma che fu sconsigliato dai Cardinali che gli -ricordarono la miseranda fine toccata a quel Papa. Il Pastor conferma il fatto, ma varia nella motivazione che impedì al colto Cardinale veneto, di chiamarsi Formoso : e che cioè il Sacro Collegio fattogli presente come tal nome poteva sembrare una allusione alle di lui belle fattezze, subito dimise tale proposito, ed assunse il nome di Paolo II

STEFANO VII - PONT. CXV ROMANO (896 - 897) Lamberto, Arnolfo Imp. Berengario Re (Sec. IX).

ROMANO, figlio di Giovanni che poi fu prete. Fatto Vescovo di Anagni da Stefano VI fu eletto per intromissione di Adalberto II, marchese di Toscana il 22 maggio 896. Radunò un Concilio nel quale condannò il suo predecessore Formoso, con la macabra scena del suo disseppellimento e del suo giudizio e depose tutti i sacerdoti che erano stati da quel Pontefice ordinati, rinnovandone l'ordinazione. Finalmente Stefano VII — dice il Moroni — « dopo di aver avvilito il carattere di pena di sue violenze, perchè Dio capo della Chiesa, pagò la p permise che fosse presto punito ». Gli amici di Formoso, levato il popolo a sedizione, lo caricarono di ferri, cacciarono in una prigione ed ivi lo strangolarono, come narra il Baronio, dopo 13 mesi di pontificato. Fu nondimeno sepolto in Vaticano. Vi furono alcuni che credettero Stefano VII Antimipapa.per. « Certamente — scrive il Moroni — operò da tale, rocchè, ignorante delle sacre dottrine, nemico di Papa Formoso... depose i sacerdoti ordinati da lui... e con inaudito sacrilegio ne fece disseppellire il cadavere ». L'Audisio dice di questo Papa : « Pazzo o scellerato : è il primo Papa di simile posta : dopo nove secoli e 114 Papi ». L'odio spiegato contro la memoria di Formoso non trova altra spiegazione che nell'odio contro il partito ch'era stato con lui : odio di partito che si accanì poi anche contro Stefano e lo fece prigioniero e gli diede la morte. Dopo qualche anno Sergio III gli innalzò in S. Pietro un mausoleo con un epitaffio di lode. Nell'epitaffio è detto della sua fine : « captus et a sede pulsus in imo fuit. — Carceris interea vinculis constrictus in imo — strangolatus nervo exuerat hominem... ». Il breve Pontificato, le passioni e i torbidi, non fanno ricordare di questo Pontefice opera alcuna compiuta in Roma.

ROMANO - PONT. CXVI DI GALLESE (897 - 898) Lamberto, Arnolfo Imp. — Berengario Re (Sec. IX).

ERA figlio di Costantino e nativo di Gallese. Venne eletto Papa il 17 settembre dell'S97. Si afferma da alcuni scrittori che abolisse tutto quanto era stato fatto contro la memoria di Papa Formoso da Stefano VII, di lui immediato antecessore. Ebbe un breve pontificato di 4 mesi e 23 giorni. Non si hanno notizie della sua morte e solo si sa che fu sepolto in S. Pietro. Mentre i più si accordano nel ritenere Romano, nativo di Gallese c'è chi lo dice di Montefiascone e chi anche, come il Lardella, di Roma, e che sarebbe stato fatto Cardinale da Stefano VI. Era nipote del Papa Martino II, essendo figlio di un suo fratello, di nome Costantino. Nulla si afferma sul modo della sua morte, ma leggendosi di lui che « monachus factus est » frase che in quei tempi uivaleva e deposizione , parrebbe che sia significava ed eq stato deposto da qualche fazione. Per quello che riguarda la storia dei Papi in questo tempo noi siamo ristretti ai cataloghi e alle compilazioni dei tempi posteriori. A quella età appartengono i cattivi versi di Flodoardo di Reims. Circa la precisa durata di questo pontificato un codice di Montecassino parla di mesi 3 ; un codice vaticano di 4 precisi, e il « Catalogum Petri Diaconi » di mesi 3 e giorni 22. Il Moroni dice che « alcuni crederono erroneamente Anti. papi Formoso e Romano, come li chiama Donati, parlando delle loro Bolle, riposte nell'archivio della Chiesa di Cironne ». Il Pratina dice che « per la via solita ascese il Papato e ch e tostò annullò tutti i decreti e quanto Stefano aveva fatto ». Flodoardo, dice che fu adorno di tutte quelle virtù che al grado si addicevano.

TEODORO II - PONT. XCVII ROMANO (898 - 898) Lamberto, Arnolfo Imp. —'Berengario Re (Sec. IX).

ROMANO e figlio di Fozio, fu eletto Pontefice nel febbraio dell'898. Di lui si sa che restituì ai primitivi Ordini quelli che, essendo stati ordinati da Papa Formoso, con violenza ne erano stati deposti da Stefano VII, gli atti di lui giustamente annullando e cancellando. Fece ripescare dal Tevere, ove era stato buttato. il corpo di Formoso e. rinvenutolo, lo fece riporre con ogni onore nella Basilica Vaticana. Anche questo Ponti• ficato è brevissimo, non essendosi prolungato più di 20 giorni. In questo breve spazio governò con lode e virtù. Morì il 3 marzo e fu sepolto in S. Pietro. Alcuni, dal nome del padre ch'ebbe nome Fozio, credono che Papa Teodoro II fosse di origine greca, pur essendo nato a Roma. Parlando della brevità impressionante di questi Ponti cati di Stefano VII, di Romano, di Teodoro II, dice il Cre gorovius che « pareva che l'aere ammorbato del cadave profanato nel sinodo, pesasse sopra queste persone che passano rapide e fuggenti : pareva che lo spirito irato di Formoso si rizzasse su loro, e abbrancatele, tosto le cacciasse giù a capofitto nei loro avelli » L'aver Teodoro dato sepoltura a degna a Formoso e averne rivendicata la memoria, significa che il po in mano della fazione avversa Stefano VIItere era tornato. Si sa che l'Arcivescovo di Torino Arrolo si congratulò con Teodoro per aver reso giustizia alla memoria di Formoso. Flodoardo suo contemporaneo dice che fu casto e liberale coi bisognosi e che governò con lode, poichè fu amato tempi. dal clero e curò la conservazione della pace negli infelici suoi tempi.

GIOVANNI IX - PONT. CXVIII DI TIVOLI (898 - 900) Lamberto, ArnolFo Imp. — Berengario Re (Sec. IX).

Di Tivoli, figlio di Rampaldo, venne eletto alla morte di Teodoro II, mentre un'altra fazione eleggeva Sergio III; ma cacciato questi da Roma, rimaneva Pontefice Giovanni IX. Convocò tre Concilii: uno in Roma, nello stesso anno della sua elezione e in esso riabilitò pienamente la memoria di Papa Formoso, e dei Vescovi scomunicati da Stefano VII, l'altro in Ravenna, ove, tra l'altro, fu approvato un articolo inteso ad assicurare la elezione del Pontefice; del terzo, che pure si sa esser stato tenuto, non si hanno notizie precise. Giovanni IX pose ogni cura nel richiamare alla Chiesa quegli scismatici che ancora seguivano l'eretico patriarca di Costantinouoli Fozio, che era morto da pochi anni. Prudente e zelante non governò la Chiesa che 2 anni e 15 giorni, morendo nel gennaio del 900. Fu sepolto in S. Pietro. Pare che prima di essere assunto al Pontificato fosse mo. naco Benedettino e poi diacono Cardinale. Nel Concilio tenuto a Roma nel quale fu riabilitata la memoria di Papa Formoso, furono chiamati e scomunicati i cardinali Sergio, Benedetto, Martino, Giovanni, Pasquale ed altro Giovanni, come violatori del sepolcro e cadavere del medesimo Formoso. Proibì che nella morte dei Vescovi e dei Papi fossero messi a ruba e saccheggiati i loro palazzi, come avveniva. Per assicurare la libertà della elezione del Papa, emanò, nel Concilio, questo decreto: « Siccome la Santa Chiesa Romana che noi governiamo per la grazia di Gesù Cristo, si trova esposta ad ogni morte di Pontefice, alla violenza e alla corruzione dell'oro, perché manca l'assistenza de' commissaM imperiali, troppo necessarii a reprimere i tumulti e gli scandali delle elezioni, così noi vogliamo d'ora innanzi che il Pontefice, eletto dai Vescovi e da tutto il clero, dietro le domande del Senato e del popolo romano, venga consacrato in presenza dei commissarii imperiali e al cospetto di tutti i fedeli ». Nel Pontificato di Giovanni IX gli Ungari vennero in Italia, tutto saccheggiando e devastando al loro passaggio. La celebre Abbazia di Nonantola, presso Modena, fu incendiata e nel fuoco andarono perduti i preziosi manoscritti, dei quali era ricca, mentre i monaci venivano in gran parte uccisi. il Un'idea della condizione dei tempi si ha nel lamento che Papa fece nel Concilio tenuto a Ravenna. In esso dolevasi il Papa della desolazione senza fine che affliggeva le provincie, delle quali con i suoi stessi occhi aveva veduto le miserie nel corso del suo viaggio a Ravenna: deplorava la caduta della Basilica Lateranense; si lagnava che le sue genti spedite a procacciare travi necessarie alla riedificazione, ne fossero state impedite dai ribelli, pregava l'imperatore di soccorso, rimpiangeva che i redditi della Chiesa fossero esauriti, che non fosse rimasto pur tanto che bastasse a largire elemosine ai poveri.

BENEDETTO IV - PONT. CXIX ROMANO ,(900 - 903) Ludovico I1 (fino al 900) — Berengario R, Ludovico III (dal 901) lmp. — (Sec. X).

ROMANO, figlio di Mammolo. Da canonico Lateranense venne eletto Pontefice nel 900. Ebbe un breve Pontificato di tre anni, durante i quali coronò in S. Pietro, nel febbraio del 901 l'imperatore Ludovico, figlio di Bo sone e di Edmengarda. In un Concilio tenuto al Laterano, rimise sul suo seggiAo di Langr il Vescovo grino che n'era stato scacciato, mandandogli il pallio. Si conservano di lui due lettere: la prima diretta ai vescovi delle Gallie, re e signori e tutti fedeli, l'altra al clero e al popolo di Langres. Soccorse e accordò privilegi a vari monasteri, tra i qual, anche quello celebre di Fulda. Fu sepolto in S. Pietro e un epitaffio enumerava le sue virtù. Con questo Pontefice entra — dice il Baronio — il nuovo secolo x, il quale per la rozzezza e sterilità del bene vien a.e appellato ferreo, per l'abbondanza della malvagità sul chi marsi di piombo, e per l'inopia degli scrittori oscuro. Altri scrittori lo dicono infelice perchè grande fu oltre' modp la barbarie sua, e perchè i beni ecclesiastici, i vescovadi e gli altri benefici della Chiesa, ad ogni passo e: usurpati e spesse volte posseduti dai laici e dagli ammogliati. Flodoardo loda di questo Pontefice la affabilità e la cezza e dice che lo splendore delle sue virtù, vince quello della sua nascita. Si dice, infatti, che Benedetto IV fosse della famiglia Conti. Tanto più sono rimarchevoli le virtù di questo Pontefice che da alcuni del tempo fu anche chiamato Grande, perché — nota il Moroni — « la sede di S. Pietro era quasi in balia di alcuni principi e di alcune donne, la sfrenatezza delle quali, come rileva il Baronio, unita alle ricchezze e all'al qualità, le aveva rese arbitre del dominio di Roma ». - Il Balduzio desume che in quel tempo l'ignoranza generale del clero era tale che i Vescovi nell'ammettere i candidati al Sacerdozio dovevano interrogarli se sapevano leggere. Era così largo e pronto nel soccorrere i poveri che, morendo, lasciò ad essi il suo patrimonio. Il suo epitaffio dice, tra l'altro, che veramente meritò il nome di Benedetto: « Qui merito dignus Benedictus nomir dictus. - Cum fuerit largus omnibus atque bonus ».

LEONE V - PONT. CXX Dl ARDEA (903 - 903) Ludovico III Imp. Berengario Re (Sec. X).

ERA nato in una villa presso Ardea e però vien detto de Agro Ardeatino. Pare fosse prima monaco benedettino e al tempo di Giovanni IX già fregiato del titolo di Cardinale. Successe il 28 ottobre 903 a Benedetto IV, ebbe un brevissimo Pontificato che non durò che un mese e 26 giorni. Fu sepolto in S. Giovanni in Laterano. Leone V viene dai contemporanei detto « presbyter forensis » probabilmente perchè egli era stato ascritto ad una chiesa fuori della città, ma nei suoi pressi. Alcuni, senza ragione, lo dicono nato ad Arezzo. Di lui il Flodoardo dice « celsa subit Leo iura, onotamine quintus Emigrat ante suum quam Luna bis impleat rbem ». Il catalogo di Montecassino 353, compilato intorno all'anno 920 attribuisce a Leone un mese di regime. Le versioni sulla sua fine sono varie. Il Moroni dice che il Cardinale Cristoforo, ambizioso suo famigliare, abusando della troppa sua bontà, vedendolo incauto e poco abile al governo, lo fece subito rinunziare e ritornare alla vita monastica. Il Sigonio, invece, dice che Cristoforo lo cacciò in carcere, usurpando il soglio pontificio e che Leone V accorato di vedersi spogliato della suprema dignità, morì dopo un mese e nove giorni, da che vi era stato assunto. Altri dice che Cristoforo non attese che Leone morisse di morte naturale nel carcere, ma che ve lo facesse strangolare. I primi a parlare dell'imprigionamento e della rinunzia di Leone, furono, dopo due o tre secoli, Sigeberto e Vincenzo di Beauvais, i quali, per certo, non sono buoni critici. Il contemporaneo Flodoardo, nulla dice di ciò, e neppure ne parla il velenoso Liutprando. La prima tomba papale menzionata nel Laterano da Giovanni Diacono è quela di S. Leone V. Segue un mezzo secolo più tardi Agapito II (946-956).

CRISTOFORO - PONT. CXXI ROMANO (903 - 904) Ludovico 111 lmp. — Berengario Re (Sec. X).

ROMANO, figlio di Leone. Era Cardinale prete di San Lorenzo in Damaso quando, appena eletto Leone V, lo cacciò dal seggio; alcuni lo consideravano perciò come Antipapa, e invece il suo nome è fra quelli degli altri Pontefici legittimi nella serie iconografica di S. Paolo ed , è posto nella serie Cronologica dell'annuario Pontificio. Anche Cristoforo ebbe un breve pontificato perchè fu, a sua volta, cacciato dal trono Pontificio da Sergio III nel 904, che fu poi suo successore. Si dice che fosse di bassa origine. Il Catalogo di Montecassino 353 dell'anno 920, assegna a Cristoforo un pontificato di sei mesi. E il Flodoardo a proposito: « Christophorus mox sortitus moderamina sedis - Dimidio, alteriusque parum dispensat in anno ». Con Cristoforo, in soli otto anni, erano saliti al trono, e n'erano caduti, ben otto Papi: indizio manifesto — osserva qualche scrittore — degli orrori onde le fazioni funestavano Roma.

SERGIO III - PONT. CXXII SERGIO III ROMANO DEI a CONTI TUSCOLANI » (904 - 911) Berengario Re (Sec. X). Ludovico III Imp.

ROMANO, della nobile famiglia Conti, ebbe per padre Benedetto Conte Tuscolano. Era già Cardinale diacono nell'89B, e alla elezione di Giovanni IX, cacciato in esilio vi rimase durante i brevi Pontificati di Giovanni IX, Benedetto IV, Leone V e di Cristoforo. Cacciato dal soglio Pontificio Cristoforo, vi ascese Sergio III. Subito annullò tutti gli atti che, in favore di Formoso, erano stati fatti da Giovanni IX e da Teodoro II. Suo grande merito è di aver riedificato la chiesa di S. Giovanni caduta in totale rovina. Procurò di distruggere in Oriente l'eresia di Fozio che ancora resisteva. Restaurò varie chiese di Roma, e morì nel 911, dopo aver governato la Chiesa 7 anni e 3 mesi. Non è ben precisato se fu sepolto a S. Pietro o a S. Giovanni in Laterano. Se si voglia credere all'epitaffio sembrerebbe che dopo 7 anni di esilio fosse chiamato dal popolo, dicendosi che:”Exul erat patria, septum oolven tibus annis — Post mal « Exul erat populi urbe redit precibus ». Cosa confermata da Flodoardo, il quale afferma: “Hic populi remeans precibus sacratus honore Pridem adsignato ». È il primo Papa contro il quale si levi accusa di immoralità per il suo contegno verso Marozia. Il Baronio raccogliendo tali accuse lo dice: Sergius illenefandus e afferma che « ebbe nel Pontificato un cattivo ingresso, un peggiore progresso e un pessimo egresso ». Le accuse contro Sergio sono da molti autori provate false e si devono a Liutprando del quale il Muratori dice che « prestava fede a tutte le Pasquinate e a tutti i libelli infamatori ». Il Muratori dice poi che anche il Baronio « troppo facilmente » prestò fede alle accuse contro Sergio III. Di lui il Diacono Giovanni dice che era sommamente afflitto dalla desolazione della Basilica del Laterano tanto più che non aveva speranza di umano soccorso. Fidando nella Divina Provvidenza, pose mano a rialzarla dalle fondamenta e giunto al termine dell'opera l'arricchì di ornamenti d'oro e d'argento. Si hanno di Sergio parecchi documenti, tra i quali una Bolla del 906 con la quale egli donava alcuni fondi del suo patrimonio tuscolano al Vescovado di Selva Candida, ove i Saraceni avevano fatto sterminio di quasi tutti gli abitanti. Ad un Monastero al quale aveva dato dei terreni in dono, impose che ogni giorno si cantassero dalle Monache, a bene- ficio dell'anima sua, cento Kirie eleison e cento Christe eleison e fossero dette diverse messe per il Papa. Riedificando la Basilica di S. Giovanni, Sergio dichiarò nella sua iscrizione che la Chiesa teneva come « patrono suo » S. Giovanni, quale Costantino stesso aveva eletto: così il titolo del Salvatore cominciò a scomparire anche per questa chiesa massima : e per Roma la cosa è degna di nota.

ANASTASIO III-PONT. CXXIlI ROMANO (911 - 913) Ludovico 111 Imp. Berengario Re (Sec. X).

ROMANO, figlio di Luciano. Durante il suo Pontificato in Francia avvenne la conversione dei Normanni alla Fede cristiana. Si occupò attivamente della organizzazione ecclesiastica. Concesse vari privilegi al Vescovo di Pavia. Di Anastasio non rimase che una Bolla, con la quale conferiva a Regemberto, Vescovo di Vercelli, l'uso del Pallio. Pontificò per 2 anni e 2 mesi e fu sepolto in S. Pietro. Fittissima tenebra — dice il Gregorovius — ricopre il Pontificato di questo Papa che durò poco più di due anni L'epitaffio dice di lui : « Sedis Apostolicae blando mode• ramine rector - Sensit ut Christum veniae sibi munere blandum ». I privilegi concessi al Vescovo di Pavia per accondisce• dere alle preghiere di Berengario, erano di quelli riservati a Papa, e cioè l'uso dell'ombrello, del cavallo bianco, di portar la croce nei viaggi e di sedere a sinistra del Papa nei Concili' Il Baronio dice che un altro privilegio concesse al Vescovo di Pavia, quello che qualora chiamasse al Sinodo gli Arcivescovi di Milano e di Ravenna con i loro suffraganei, questi fossero obbligati d'andarvi. Benedetto XIV nel 1743 in vista di questi privilegi dichiarò i Vescovi di Pavia, in perpetuo Arcivescovi di Amosio. Anche i codici Cassinese e Vaticano assegnano due anni e pietoso ». e due mesi al suo pontificato il quale fu « Prudente, mite,

LANDONE O LANDO - PONT. CXXIV SABINO (913 - 914) Ludovico III Imp. — Berengario Re (Sec. X).

DELLA Sabina e fu eletto il 16 ottobre 913 succedendo ad Anastasio III col quale ebbe comune l'oscurità e la brevità del pontificato. Dalla chiesa di Bologna alla quale era stato eletto, trasferì Giovanni alla sede di Ravenna ad istanza — dice il Moroni di Teodora, madre della pur famosa Marozia. Questo Giovanni fu poi successore di Lando nel Pontificato. Interpose la sua autorità perchè Berengario e Rodolfo, figli del conte Guido non facessero guerra tra loro. Il Pontificato di Landone non durò che 6 mesi e 10 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Circa il luogo della sua nascita il Suarez lo dicedi Monterotondo, oltri lo dicono di Ereto, mentre lo Sperandio lo chiama figlio di Trano, nobile e preclarissimo personaggio di Foronovo Il Gregorovius lo dice figlio di un Raino, dovizioso conte Longobardo della Sabina. V'è qualche scrittore il quale crede che la brevità di questi due pontificati, di Landone e del suo antecessore Anastasio III si debba attribuire ad una loro tragica fine, per opera delle fazioni in contrasto. Dice il Ciacconio che la vita di questo Pontefice fu oscurissima, sì per la brevità del suo pontificato che per la scarsezza degli scrittori di quell'infelice secolo. Anzi avverte che vi sono taluni che non lo annoverano nella serie dei Papi. Però — nota il Moroni — « con diversi antichi scrittori, tutti i moderni critici annoverano Lando tra i legittimi Pontefici, benchè tutti comunemente ne disapprovino i costumi e la non regolata condotta ».

GIOVANNI X - PONT. CXXV DI RAVENNA (915 - 928) Ludovico III, — Berengario imp. — Rodolfo, Ugo Re (Sec. X).

Di Ravenna, o come vogliono altri del Castello di Tossignano, presso Imola, era di nobile casato e pare che anche il padre avesse nome Giovanni. Da Vescovo eletto di Bologna era passato, per la intromissione di Teodora, a Ravenna e da questa sede era stato assunto il 30 aprile 915 alla cattedra di S. Pietro. Nel 916 coronò in S. Pietro, Berengario, imperatore e questi dopo la funzione, confermava alla Chiesa Car Romana lo Magno le donazioni che le erano state fatte da Pipino, da Carlo Magno e dagli altri imperatori. I Saraceni che s'erano impadroniti di una fortezza sul Garigliano furono da lui, con l'aiuto di altri principi completamente sconfitti. Giovanni X tornò a Roma da trionfatore. Poco appresso Berengario veniva ucciso e Roma era continuamente turbata dalle fazioni di Marozia che aveva sposato Guido di Toscana, nemico giurato del Temendo una alleanza con Ugo di Provenza, Marozia Papa. fece assediare il Papa al Laterano, ed ucciso Pietro, fratello del Pontefice, fece mettere Giovanni X in prigione, ove finì, chi dice di dolore e chi strangolato. Aveva pontificato quattordici anni, due mesi e tre giorni e fu sepolto nella Basilica Lateranense. Nelle « Memorie storiche intorno la terra di Tossignano », si vuol provare, con l'autorità di molti scrittori, che Giovanni X era di Tossignano della famiglia Cinzi o Cenci, originaria di Roma, feudataria di quella terra. La nobilissima famiglia Cenci-Bolognetti, incomincia il suo albero genealogico con questo Giovanni X. Un anonimo poeta cortigiano, descritti gli onori con i quali fu ricevuto Berengario dai Romani, e i complimenti presentatigli da Pietro, fratello del Pontefice, e dal figlio di Teofilatto console, dice del ricevimento a S. Pietro. « Dall'alto della scala di S. Pietro il Papa stavasene attendendo il principe che veniva cavalcando un palafreno delle stalle pontificie. Giovanni sedeva sopra un cliothedrum ossia faldistorium che era una scranna con appoggiatoio pieghevole. L'affollamento della gente che faceva ressa intorno era così grande che a stento Berengario giungeva sino a lui. Come ebbe prestato giuramento di dare aiuto e fare giustizia alla Chiesa si aprirono le porte della Basilica, orarono innanzi all'altare della confesione, come era costume, indi il re fu condotto al palazzo Lateranense ». In Dicembre, e v'è chi dice la notte di Natale, il Papa coronava imperatore Berengario. Quando si mise a testa dell'armata per combattere i Saraceni e li vinse e li disperse fu detto che s'era « egualmente comportato da Papa e da generale ». Si legge che nel 926 concedendo con Bolla a Lene Ab-baie di Subiaco un privilegio, mise per condizione che quei monaci dopo il mattutino dovessero, nell'avvenire, per la redenzione dell'anima sua, recitare cento Kírie eleison e cento Christe eleison. Di Sergio III, già è stato detto che egual condizioni mettesse a un monastero di monache da lui beneficato. Al tempo di Giovanni X, per opera degli Ungheresi, Pavia fu distrutta, quarantadue chiese abbattute, e il suo Vescovo con quello di Vercelli, e la maggior parte dei cittadini vittime dell'incendio. Sotto questo Papa si vide, dice il Baronio, il primo mostro nella Chiesa, nella persona di Ugone figlio del conte di Vermondois, confermato Arcivescovo di Reims, mentre atto non aveva ancora cinque anni, momessa dimentica che questo si riduceva ad una semplice promessa condizionata, e che la Diocesi era in mano di Abbone, Vescovo di Soisson. Nella storia di Tossignano si legge che fu proprio Guido, a soffocare nella prigione, ov'era stato rinchiuso, il Papa con un guanciale, e che questa fu la continuazione implacabile di un vecchio odio di famiglia, poichè il padre di Guido, Alberto il Ricco, pare avesse già fatto trucidare il fratello di Giovanni, Pietro da Tossignano. Il Muratori chiama Giovanni X uomo di grande mente e di grande cuore, e il Platina dice che si mostrò quale i bisogni della Chiesa lo richiedevano. Anche il Cantù (Storia degli Italiani) rileva che il Baronio, pur religiosissimo, « Forse nel credere tante iniquità contro Giovanni X, si fidò soverchiamente in Liutprando, satirico ed enfatico ». Meglio sarebbe togliere il forse per essere più precisi. Non sospetto è il giudizio del Gregorovius che dopo aver notato che « è strana cosa che al principio e alla fine della sua vita di Pontefice incontrasse sulla via due figure di donna madre e figlia : Teodora, che gli diede la corona Papale Marozià, che gli tolse vita e corona », afferma : « Giovanni X. i cui errori sono denunciati soltanto dalle dicerie della fama, ma le cui grandi virtù splendono invece dai fatti, scritti nel libro della storia, si solleva fuori dalle ombre buie del sue tempo barbarico, ed è una delle persone più memorande massimamente tra i Papi ».

LEONE VI - PONT. CXXVI ROMANO (928 - 929) Berengario Imp. — Ugo Re (Sec. X).

ROMANO figlio del primicerio Cristoforo, fu eletto nel 928. Governò con operosità pieno di zelo di riformare la Chiesa, per quanto era possibile in quell'epoca deplorevole e sollecito di pacificare le turbolenze d'Italia. Si ha di questo Pontefice un rescritto diretto ai Vescovi della Dalmazia. Il suo Pontificato fu brevissimo di soli 7 mesi e 5 giorni. della famiglia Gemina, che poi fu detta Sanguigna. Questa antica famiglia che diede poi il nome alla Torre Sanguigna del suo palazzo, ed alla contrada presso la chiesa di S. Apollinare, si estinse in Pantasilea Sanguigni, maritata a un Ferdinando Torres, Cavaliere di S. Giacomo della Spagna. La durata dei due Pontificati di Leone VI e del suo successore Stefano VIII fu così breve che Liutprando loro contemporaneo, sebbene alquanto più giovane, li trascurò per modo tale che a Giovanni X, fa tosto susseguire Giovanni Xl. Alberto Kranzio, il Brunengo, lo Chantrel e altri si meravigliarono dei pochi mesi che vivevano i Pontefici di quei tempi, Era ove sospettano che il veleno fosse allora di grande uso. Si vuole che al suo tempo si stabilisse il Prefetto di Roma in compagnia di due consoli e dei tribuni della plebe. Nella sua « Vita dei Pontefici » Giovanni Stella ne fa il seguente elogio: « Uomo buono, si adoperò alla concordia dei cittadini, alla pace dell'Italia, a placare gli esterni, a cacciare i barbari dalle cervici della nazione ». Flodoardo (De romanis Pontific.) scrive: « Pro quo celsa Petri Sextus Leo regmina sumens — Mensibus haec septem servat, quinisque diebus ». Il Platina, poi, dice che quando morì « fu con gran dispiacere dei Romani, nella chiesa di San Pietro sepolto ».

STEFANO VIII - PONT. CXXVII ROMANO (929 - 931) Berengario Imp. — Ugo, Lotario Re (Sec. X).

ROMANO, figlio di Teudemondo, prima di essere eletto era prete del titolo di S. Anastasia. Ascese al trono pontificio nel febbraio del 929. I pochi scrittori che ne parlano dicono che resse il papato con religione e con mansuetudine per 2 anni, un mese e 12 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Quantunque tenesse il Pontificato per più di due anni, sino al febbraio tenesse o al marzo del 931, le opere di lui ci sono ignote e un silenzio profondo di cose e di scrittori regna intorno alla sua figura e a quella del predecessore Leone VI. I pochi autori che parlano di lui non accennano ad alcun fatto notevole e convien credere che nulla accadesse, come anche afferma il Novaes, di memorabile. Flodoardo, che lo chiama Stefano VII, dice che: « Septimus huic Stephanus binos praefulget in annos - A ucto mense super, bisseno hoc sole iugato - Disposita post quod spatium sibi Sede locatur ». Non restano di lui che i privilegi apostolici conferiti ai Monasteri di S. Vincenzo del Volturno e di S. Gerardo di Bragne. Tutto fa credere ch'egli sia stato un'altra vittima innocente del suo dovere e della crudele tirannia di Marozia che da Castel S. Angelo dominava Roma e teneva soggetta la Chiesa. Voltaire — senza una qualsiasi ragione storica — inventa che Stefano VIII abbia avuto il pontificato da Marozia. Giovanni Stella nelle sue « Vite dei Pontefici » dice di lui che « riempì i suoi giorni di religiosità e di mansuetudine ».

GIOVANNI XI - PONT. CXXVIII ROMANO (931 - 936) Ugo, Lotario Re (Sec. X).

ROMANO, eletto al Pontificato per gli intrighi di Marozia che signoreggiava Roma: e si afferma giungesse al supremo soglio, nella giovane età di 25 anni. Poiché la elezione era avvenuta senza violenza, fu tenuta legittima. Il nome e la storia di questo Papa si confondono con le agitazioni che in quel tempo funestavano Roma. Fatta Marozia prigioniera dal figlio e rinchiusa in Castel Sant'Angelo, ancheig il Papa fu fatto prigioniero e tenuto chiuso al Laterano. Moriva nel 936, venendo sepolto in S. Giovanni in Laterano. I pareri riguardo al padre di GiovanniX.nório--varii e discordi. Alcuni, ripetendo quanto aveva scritto la penna maldicente di Luitprando, lo dicono figlio di Sergio III e di Marozia e anche il Duchesne lo dice figlio illegittimo della famigerata Marozia. L'Audisio dice che è dimostrato figlio legittimo di Marozia e del marchese Alberico di Spoleto. Di questo dominio femminile su Roma e sul Pontificato, ancora si risentiva Benedetto da Soratte scrivendo « La po destà romana è soggiogata a una femmina, come leggiamo nel Profeta: le donne comandavano Gerusalemme ». Per gli intrighi di Alberico — detto fratello del Papa — fu concesso al Patriarca di Costantinop successori il Pallio, senza ricorrere ai sommi Pontefici, onde i Patriarchi di Costantinopoli lo accordarono a tutti i vescovi greci. La Chiesa tollerò questi abusi per otto secoli, finchè nel Concilio Lateranense concesse ai Patriarchi di Oriente che, dopo aver ricevuto il Pallio dal Papa, lo potessero dare ai loro suffraganei, previo il giuramento di ubbidienza e di fedeltà. Con l'essersi Alberico impossessato del potere e fattosi riconoscere Principe di tutti i Romani, cessa in quel tempo il potere temporale del Papa. I tribunali che prima si solevano tenere nel Laterano o nel Vaticano alla presenza del Papa, dell'imperatore o dei loro missi, ebbero luogo alla presenza di Alberico. Questo Pontefice fu vittima dell'ambizione della madre Marozia e della crudeltà del fratello Alberico. Nel tempo che fu eletto, si legge che sorse in Genova una fonte che abbondantemente emetteva sangue, e ciò fu presagio di una gran calamità che doveva succedere: infatti Genova fu presa e saccheggiata dai Saraceni. Luitprando dice che il Papa era tenuto chiuso da Alberico come un suo servo: « dominum apostolicum quasi servum proprium in conciavi teneret ». Giovanni XI moriva nel gennaio del 936 dopo che ristretto al solo ufficio spirituale era vissuto sei anni senza splendore. E a detta di Flodoardo : « Vi oacuus, splendore carens, modo sacra ministrans... ».

LEONE VII - PONT. CXXIX ROMANO (936 - 939) Ugo, Lotario Re (Sec. X).

ROMANO, figlio di Cristoforo, prete del titolo di S. Sisto, fu eletto al principio del 936. Il Mabillon stimò che Leone VII fosse prima stato monaco benedettino e che vivendo nella meditazione, tutto dedito alle cose celesti, accettò con riluttanza il Papato in momenti tanto difficili. Sua prima cura fu quella di riformare la disciplina monastica molto rilassata, e perciò fece venire a Roma Odone, abbate di Cluny affidandogli questo incarico. Per mezzo di questo Santo abbate riuscì a mettere pace tra Alberico ed Ugo di Provenza. Di lui restano tre lettere intese a sollevare la disciplina nella Chiesa di Francia e di Germania, Ebbe un breve Pontificato di tre anni, morendo nel luglio del 939. Fu sepolto in S. Pietro. Per il carattere remissivo di Leone VII non solo non sorsero attriti tra lui e Alberico, ma ebbe anzi su questi un grande ascendente. Chiamava Alberico col nome di « misericordioso Alberico, figliol suo spirituale prediletto, e glorioso principe dei Romani: « Misericors Albericus, noster spiritualis filius et gloriosus Princeps Romanorum ». Avendo Flodoardo cronista avute benevoli accoglienze a Roma da Leone VII, dedicò a quel Papa alcuni versi ispirati a gratitudine, dicendo che era uomo santo, tutto inteso alle divine cose e sprezzatore delle terrene. Il libro di Flodoardo sui Romani Pontefici, finisce con questo elogio di Leone VII : « Septimus ergit Leo, nec tamen ista voluntas — Nec curans, apicís mundi nec celsa requirens. — Sola Dei quae sunt, alacri sub pectore volvens — Culminaque evitans, oblata subire renutans. — Raptus et erigitur, dignusque nitore probatur — Regiminis eximii, Petrique in sede.locatur. — Sed minime assuetam linquit decoramine curam, — Deditus assiduis precibus, speculamine celsus, A f flatu laetus, sapiens, atque ore serenus ». A Odone, abbate di Cluny, Leone VII affidò il regime del convento di S. Paolo, di cui erano caduti gli edifici, e i cui monaci erano fuggiti o vivevano vita gaudente e mondana. Scrivendo ad Ugo, Duca di Francia e abbate di San Martino di Tours, proibì, sotto pena di scomunica, l'ingresso alle donne nel suddetto monastero. Ai Vescovi di Francia e di Germania scrisse dando chiarimenti e direttive sulle questioni che gli avevano proposto riguardo gli indovini e gli stregoni e il matrimonio dei preti e loro prole.

STEFANO IX - PONT. CXXX TEDESCO (939 - 942) Ugo, Lotario Re (Sec. X).

TEDESCO come vogliono molti o romano come credono altri. Era prete del titolo dei Santi Silvestro e Martino ai Monti, quando fu fatto Papa. Si dice fosse eletto col favore dell'imperatore Ottone suo parente e che perciò riuscisse avverso ai romani, ma altri lo negano. Mandò in Francia suo legato Damaso Vescovo con sue lettere a quei principi perchè riconoscessero loro legittimo re Luigi IV detto Trasmarino, minacciandoli della scomunica se non avessero obbedito. Essendosi rotta la pace tra Alberico e Ugo re di Roma, stabilita dall'abbate Oddone, Stefano IX nuovamente chiamò a Roma per pacificare i due Principi il Santo abbate, ma questi prima di giungervi morì in Tours. Restano due scritti del Papa Stefano IX e sono l'uno un privilegio in favore del Monastero Benedettino di Val di Tolla . nel Piacentino, l'altro un rescritto in favore di un'Abbazia della Lorena. Governò la Chiesa 3 anni, 4 mesi e 5 giorni, e fu sepolto in S. Pietro. Per quanto accettato dall'A nnuario Pontificio come tedesco, Stefano IX è ritenuto dal Duchesne, e dal Mann per romano, come pure tale già Io aveva ritenuto il Pandolfo. Il Ciacconio lo vuole educato in Germania e Martino Polono lo dice senz'altro tedesco. Dice il Moroni che « odiato dal prepotente Alberico II tiranno di Roma e da' suoi fautori, perchè godeva la benevolenza imperiale, fu da essi così brutttamente sfigurato e ferito nel viso con tagli malfatti e disuguali che non osò più farsi vedere in pubblico ». Platina riferisce la stessa cosa, come pure Martino Polono e il Baronio. Di queste ferite dubita il Muratori, e l'Audisio, affermando anche la romanità di Stefano IX, scrive : « Il Polono ci conta due favole: poichè Stefano si dimostra romano, e quell'insulto alla faccia di un Papa, non sarebbesi taciuto dai contemporanei ».

MARINO II - PONT. CXXXI DETTO MARTINO III — ROMANO (942 - 946) Ugo, Lotario Re (Sec. X).

ROMANO, fu eletto, succedendo a Stefano IX nel 942. Subito si diede a riformare la disciplina ecclesiastica, a ristorar chiese, a sollevare i poveri, a comporre dissidi tra i principi cristiani. Favorì in modo speciale il monachismo, e di lui restano privilegi concessi ai monasteri di Fulda, di Montecassino e di S. Vincenzo del Volturno. Tra le chiese restaurate son ricordate quelle di Benevento, di Amburgo e di Sabina. Cercò con opportuni provvedimenti di opporsi alla invadente ignoranza. Governò la Chiesa 3 anni, 6 mesi e 13 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Tutti gli atti del suo Regestum portano la firma di « Marinus episcopus servus servorurn Dei ». Il cronista Benedetto di Soratte dice che Martino obbediva ai comandi di Alberico II, « senza dei quali il dolce e pacifico uomo nulla usava operare ». Appena eletto, dice il Platina che « lasciando le guerre da parte, tutto alle cose della Religione si volse ». Scrisse al Vescovo di Capua rimproverandolo della sua ignoranza nei canoni, della sua imperizia nelle lettere, e di esser troppo famigliare coi secolari, aggiungendo che era un temerario trasgressore perchè aveva dato, contro le leggi divine e umane ad un suo diacono in beneficio la chiesa di S. Angelo, che il suo predecessore aveva concesso ai benedettini per fabbricare un monastero. Gli ordinava, pertanto, di restituire ai monaci la detta chiesa : che fosse fabbricato il monastero, il quale non sarebbe da lui ne' dai suoi successori inquietato, ma resterebbe perpetuamente soggetto al Monastero dei Benedettini che era in Capua ; che il suddetto diacono restasse separato da ogni comunicazione degli uffici ecclesiastici dal Vescovo al quale minacciò la sospensione dal grado sacerdotale e la scomunica se non obbedisse prontamente. Il nome e il Pontificato di Martino III, tornarono recentemente ad occupare gli archeologi e i numismatici. Nel 1883, ai piedi del Palatino, nell'atrio di Vesta fu rinvenuto un ripostiglio di danari d'argento anglo-sassoni, certamente venuti dall'Inghilterra a Roma come « denarius Sancti Petri ». Sono 835 monete che comprendono il periodo da Teofilo imperatore (829-842) ad Edmondo I e Aulaf di Nortumbia (941-947). Insieme alle monete si trovò la rara fibula di una cappa pluvialis, recante l'iscrizione : « Domno Marino Papa », fibula che denotava forse l'insegna di un arcarius o di un vestarius della Chiesa Romana.

AGAPITO II - PONT. CXXXII ROMANO (946 - 956) Ugo, Lotario, Berengario 11, Adalberto Re (Sec. X).

ROMANO, non si hanno notizie prima della sua ascensione al trono Pontificio, avvenuta quasi subito dopo la morte del suo antecessore. Agita-vasi al suo avvento al Pontificato una grave questione in Francia per la chiesa di Reims, alla quale contemporaneamente pretendevano Artoldo che ne aveva avuto il Pallio da Giovanni XI e Ugone figlio di Eribertò conte di Reims, eletto Arcivescovo di quella medesima chiesa in età di cinque anni e confermato da Giovanni X. Il Papa mandò in Francia un suo legato, il Vescovo Polimarziense Marino, e questi in un Concilio tenuto a Ingelhein, alla presenza di Ottone e Germana e di Luigi di Francia, confermò Artoldo nella Chiesa di Reims, scomunicando Ugone. Gli atti di questo Concilio furono l'anno seguente 949 approvati da un altro Concilio tenuto a Roma e presieduto dallo stesso Pontefice. Chiamò in Italia Ottone I, perchè liberasse la Chiesa dalle angherie di Berengario II re d'Italia, e di Alberico, ma non avendo questi forze sufficienti da opporre ad Alberico tornò in Germania. Agapito mandò a S. Brunone, fratello di Ottone I il Pallio, col particolare diritto di usarlo quanto volesse. Morì nel 956, dopo aver retto la Chiesa 10 anni e tre mesi. Fu sepolto in S. Giovanni in Laterano. Si vuole che fosse monaco : certo è che fu grande difensore dei monasteri contro l'intromissione dei principi. Oltre alla sua qualità di romano, null'altro si sa, ignorandosi il nome del padre e il cognome della famiglia. Il Pontificato di Agapito Il si svolse nel periodo più turbolento delle lotte tra le fazioni romane. Si riconosce che governò la Chiesa con somma innocenza e con sommo zelo della pace nella repubblica cristiana. Con Agapito Il il Papato cominciò a rivivere di vita nuova, per le sue riprese relazioni con i Paesi di fuori, relazioni che non si riscontrarono negli immediati suoi predecessori.

GIOVANNI XII-PONT. CXXXIII ROMANO (956 - 964) Ottone I Imp, Berengario Il, Adalberto, Ottone II Re (Sec. X).

ROMANO, di nome Ottaviano e figlio di Alberico 11, conte Tuscolano, della contrada di Via Lata, alla morte di Agapito II ascese al trono Pontificio, prendendo il nome di Giovanni XII. Nel 957 volendo ristabilire la potestà temporale della Santa Sede, molto diminuita, raccolse un esercito e marciò contro Paridolfo principe di Capua, ma questi obbligò il Papa a indietreggiare e a chiedere pace. Per sottrarsi alle imposizioni e alle molestie di Berengario II,P re d'Italiai , e ll del suo figlio Adalberto, chiamò in Roma il re di Germania Ottone I. uesti scese in Italia, e scacciato Berengario, venne a Roma ove fu dal Papa coronato imperatore il 2 febbraio 962. Accortosi Ottone I, dopo che fu partito da Roma, che il Papa veniva meno agli impegni presi, favorendo i Principi pretendenti al trono d'Italia, tornò a Roma per chiederne ragione a Giovanni Ma questo era fuggito, e Ottone, radunato un conciliabolo in S. Pietro, depose il Papa Giovanni XII, facendo eleggere il protoscrinario della Santa Sede Leone, Che fu l'antipapa Leone VIII. Ma appena partito l'imperat°re, egli venne cacciato dai Romani, che richiamarono Gio vanni XII. Radunato un Concilio nel Laterano, condannava l'antipapa e i Cardinali e i Vescovi che l'avevano favorito. Mentre l'imperatore che trovavasi a Camerino, s'apprestava a tornare a Roma, ricevette notizia della morte di Giovanni XII. Aveva governato la Chiesa 7 anni e 9 mesi. Era pronipote di Sergio III e di Giovanni Xl. Sulla sua età, all'epoca dell'ascesa al Pontificato vani sono i pareri chi dice a 16 anni, chi a 18, chi a 22: « il Duchesne opina che avesse 18 anni ». Abbandonando il nome di Ottaviano per quello di Giovanni XII egli iniziò l'uso, che poi divenne costante nei Pontefici di lasciare, assunti al soglio Pontificio, il nome battesimale, per prenderne un altro. Giovanni XII è il primo Pontefice che trasferì l'impero ai tedeschi. Mentre Ottone si preparava a ricevere l'incoronazione in S. Pietro, poco fidandosi dei romani, disse al suo scudiero : « Quando mi inginocchierò sulla tomba dell'Apostolo per ricevere la corona, bada a tenere bene alzata sempre la spada sulla mia testa: ben so quello che i miei predecessori ebbero a soffrire dalla malafede dei romani. Il savio scansa il male con la prudenza ». Essendo stato riferito dall'Imperatore che il Papa si dilettava di caccia, che le chiese cadevano in rovina e la pioggia bagnava gli altari, e faceva vita di mondano dissoluto, Ottone rispose « Il Pontefice è ancora un ragazzo, muterà vita quando avrà esempio da uomini generosi. « Puer, inquit, est, facile bonorum immutabitur exempio oirorum ». La storico A. Challamel dice che Giovanni era smanioso di caccia e di equitazione : che aveva un numero grandissimo di cavalli che nutriva a pistacchi, a nocciole, a datteri, e a zibibbo, bagnati nel vino squisito. Dall'imperatore Ottone fu accusato di non dire il Breviario : « matutinas et canonicas horas non recitasset ». Radunato il conciliabolo a S. Pietro, Ottone significò le accuse che si facevano a Giovanni XII. L'accusato rispose dal suo nascondiglio brevi parole, ma con linguaggio da Pontefice : « Giovanni, Vescovo, servo dei servi di Dio, ai Vescovi tutti. Udimmo dire che voi volete creare un altro Papa ; se ciò fati> ib vi scomunico per l'Onnipotente Iddio. Voi non potrete più ordinare chicchessia, nè celebrare messa ». Nel Concilio tenuto a S. Pietro, Giovanni XII condannava Ottone I e l'antipapa, i Vescovi che avevano ordinato Leone VIII e privava di ogni grado e onore gli ordinati dall'antipapa spogliandoli della veste. Vietò ai laici di entrare nel presbitero durante la celebrazione dei divini uffici. Esortò i monaci di Subiaco a pregare per lui e per i suoi successori. Circa la sua morte v'è chi dice che morisse di apoplessia, ed è cosa verosimile dacchè una tremenda concitazione doveva regnare nel suo spirito. La leggenda medioevale dice che il Giovanni finì in modo misterioso, perchè stando egli una volta fuor di città il diavolo gli avrebbe dato un tal colpo sulla tempia da farlo morire entro otto giorni. La storia si accorda nel dire che è stato il peggiore di tutti i Papi. Però nulla egli ha fatto contro i dogmi della Chiesa, e il suo Bollario è irreprensibile dal punto di vista della fede. Il Constant dice : « Se la privata condotta del giovane non deve essere scusata, gli atti del Papa non possono essere che lodati ». Si vuole sepolto al Laterano. Si legge che in quel tempo molti prodigi in Italia appaD. « Perciocchè vogliono che cadesse un grossissimo dal cielo in una gran tempesta d'acqua e di vento che si vide nelle vesti di molti il segno di una croce come di sangue ». Da un affresco, che una volta trovavasi nel Laterano e fu illustrato da Monsignor Mann, si dovrebbe concludere che il Pontefice non doveva esser tanto giovane quando salì alla cattedra Apostolica, essendo rappresentato di età matura. Da Giovanni XII (956) ad Alessandro III (1159) si contano 20 antipapi sopra 35 Papi, e anche tre ad un tempo: Benedetto IX, Silvestro 111 e Gregorio VII (1045) chiamati dal Platina: tria taeterrima monstra, che si contendevano a mano armata la cattedra Pontificia, uno a S. Pietro, uno a S. Giovanni, l'altro a Santa Maria Maggiore.

BENEDETTO V - PONT. CXXXIV ROMANO (964 - 965) Ottone I Imp. — Ottone II Re (Sec. X).

ERA, come si crede, romano. Alla morte di Giovanni XII fu eletto Pontefice, senza il consenso dell'imperatore Ottone I e vivendo l'Antipapa Leone VIII. Acceso d'ira Ottone fece ritorno a Roma e assediatala la prese per fame. Radunato un conciliabolo in S. Giovanni vi fu trascinato Benedetto V che dall'Antipapa Leone VIII veniva dichiarato deposto, strappandoglisi di do'sso le insegne pontificali. Benedetto V fu esiliato e consegnato ad Adaldago, Arcivescovo di Amburgo nella Sassonia, che lo trattò con molto onore. Morto intanto l'antipapa i Romani richiesero Benedetto e l'imperatore era determinato a rimandarlo, quando la morte pose termine alla sua cattività, dopo un anno, un mese e 15 giorni di Pontificato. Sepolto prima ad Amburgo fu, circa il 999, trasportato a Roma e qui sepolto ignorandosi però in quale Chiesa. Era Benedetto uno studioso che in mezzo alla barbarie di Roma s'era conquistato il raro titolo di « grammatico » e con questo nome era denotato. Benedetto di Soratte dice che « era uomo prudentissimo, dotto nelle scienze grammatiche, onde dal popolo romano era chiamato « Benedetto il grammatico ». Quando Benedetto V fu trascinato davanti al conciliabolo del Laterano, l'arcidiacono gli chiese con qual diritto si fosse arrogato di ornarsi delle insegne pontificali. Allora Leone VIII antipapa, gli stracciava il Pallio, gli strappava la ferula pastorale e la faceva in pezzi, gli comandava di sedersi sul nudo terreno, lo spogliava degli abiti pontificali e lo mostrava al popolo. Per l'ingiuria fatta da Ottone I, contro il Papa Benedetto, fu l'imperatore punito con una epidemia che decimò il suo esercito e nella quale morirono alcuni Vescovi che avevano deposto Benedetto. Si vuole della famiglia dei Conti e appartenente ai Carmelitani. Nella Cattedrale di Amburgo è il suo sepolcro che accolse per un po' di tempo le sue ossa, e reca questo epitaffio: « Benedictus Papa - qui de sede apostolica per violentiam remotus - obiit Hamburgi V Nonas lulii - Sepultus est hic ». Benedetto aveva profetato la sua morte, aggiungendo che il ferro straniero e le fiere avrebbero desolato quel Paese ove esso fosse sepolto, nè da esso si arriverebbe mai a goder della pace, finchè le sue ossa non riposassero in Roma. Ammaestrato da una triste esperienza della verità di tali predizioni, Ottone ordinò che il corpo di questo Pontefice fosse trasferito in Roma l'anno 999. In diversi martirologi è annoverato tra i martiri. GIOVANNI XIII - PONT. CXXXV ROMANO (965 - 972) Ottone I Imp. — Ottone Il Re (Sec. X).

ROMANO, educato nel Laterano, era Vescovo di Narni, quando fu eletto Pontefice, con il consenso imperiale il primo ottobre 965. Poco dopo la sua elezione essendo insorto contro di lui un tumulto, istigato dalla nobiltà di Roma, con a capo il Prefetto della città, fu tradotto a Caste] Sant'Angelo di dove potè rifugiarsi a Capua. Il Principe di Capua Pandolfo, lo trattò con ogni onore e il Papa fece metropoli quella città. Avendo i romani inteso che Ottone aveva valicato le Alpi e si avviava verso Roma, aprirono le porte al Pontefice che era tornato da Capua, ma non poterono evitare le severe punizioni che l'imperatore inflisse agli autori dei disordini. A Ravenna nel 967 ove il Papa e l'imperatore s'erano recati, fu tenuto un Concilio, e in quella occasione l'Esarcato fu restituito alla Santa Sede. Nel Natale del medesimo anno Giovanni dava in Roma la corona imperiale a Ottone II, figlio di Ottone I. Convertiti in questo tempo alla Chiesa i Polacchi, il Papa mandò ad essi, per confermarli, Egidio Vescovo Tuscolano, mentre si adoprava per la conversione degli Slavi e degli Ungheri. Dopo 6 anni, 11 mesi e 5 giorni di Pontificato morì in Roma, venendo sepolto in San Paolo. Nella sommossa, nella quale fu catturato e condotto in Castel Sant'Angelo, secondo narra Benedetto da Soratte, fu insultato e percosso. Barbara e insieme bizzarra, come l'indole del tempo, fu la punizione inflitta al maggior autore della sommossa Pietro prefetto della città. Dalle carceri del Laterano fu condotto sulla Piazza ed ivi appeso per i capelli alla statua equestre di Marco Aurelio. Tolto poi giù e denudato delle vesti fu cacciato a ridosso di un asino con la faccia rivolta verso la coda, e, questa, munita, di un campanello che, andando, suonava, gli fu posta in mano come fosse una briglia. In testa gli fu messo un otre piumato, due simili vasi gli si appesero alle gambe, e in tale assetto lo si trasse per tutte le vie.di Roma. Dopo ciò fu mandato in esilio oltr'Alpe. Nel novembre del 970 Giovanni dava la città di Preneste a titolo di enfiteusi a Stefania senatrice, per un censo annuo di dieci soldi d'oro. Preneste doveva appartenere a lei, ai figli, ai nepoti suoi, indi doveva tornare alla Chisa. Energico, erudito, riordinò la disciplina ecclesiastica. Si afferma che fu il primo a benedire le campane e benedisse quelle della Basilica Liberiana imponendo ad esse un nome : e una chiamò Giovanni, ma per averle benedette fu accusato di sacrilegio. Si narra che questo Santo Pontefice col tocco delle catene di S. Pietro, liberasse un gentiluomo della Corte di Ottone I invasato dal demonio. Tenne corrispondenza epistolare col re d'Inghilterra Edoardo, lodandolo della protezione che accordava alla Chiesa. Nel museo Epigrafico di S. Paolo può ancora vedersi l'epitaffio che adornava la sua tomba.

BENEDETTO VI - PONT. CXXXVI ROMANO (972 - 973) Ottone I, Ottone 11 Imp. (Sec. X).

ROMANO, figlio di Ildebrando, fu eletto nel 972 e coronato nel 973. Venuto a morte Ottone I imperatore, cui successe Ottone II che era già stato incoronato da Giovanni XIII, i romani pensarono di liberarsi della soggezione imperiale e sapendo Ottone II occupato negli affari della Germania, iniziarono la rivoluzione. A capo di essa si pose anche Cencio, fratello del defunto Giovanni XIII. Il Papa fu preso, fatto prigioniero e rinchiuso in Castel S. Angelo, ove fu strangolato per istigazione di Francone, Cardinale diacono romano, che usurpò la sede Pontificia, diventando l'antipapa Bonifacio VII. Si conserva una lettera di Benedetto VI diretta a Federico, Vescovo di Salisburgo e ai suoi provinciali, con la quale lo costituisce Vicario Apostolico nel Norico e in tutta Pannonia, vietando a tutti i Vescovi di quelle provincie di portare il Pallio. Governò la Chiesa un anno e 3 mesi e sconosciuto è il luogo della sua sepoltura. Benedetto VI era stato diacono della Regione Ottava: ed è da notare che non è più chiamata di « Forum Romanum » ma « sub Capitolio ». L'antipapa Bonifacio VII era figlio di Ferruccio, ma ne è ignota la stirpe : e poichè aveva per soprannome Franco, anche era detto Francone. I contemporanei descrivono l'antipapa Bonifacio VII come un mostro che s'era macchiato dal sangue del suo antecessore. Era anche chiamato anzi che Bonifacius, per oltraggio « Malifacius ».

DONO II - PONT. CXXXVII ROMANO (973 - 973) Ottone II lmp. (Sec. X).

ROMANO, successe a Benedetto VI nel 973, ma per la brevità del suo Pontificato che fu di soli tre mesi, morendo nel medesimo anno della sua elezione, molti non lo nominano neppure nella successione dei Pontefici. Gli viene anche attribuito il nome di Domnio o Donnione. Fu sepolto in Vaticano. Giovanni Stella nella Vita di questo Pontefice dice che « governò con somma piacevolezza ed integrità ». La cronologia dei Papi è, a proposito di Papa Dono diversamente interpretata. Il Novaes pone Giovanni XIII poi Dono II e poi Benedetto VI. Seguendo quella oggi più comunemente accettata, si ha che dopo Giovanni XIII, seguì non già Dono II, ma bensì Benedetto VI. Il numero e l'autorità degli antichi — dice l'Henrion con altri - che qual Capo della Chiesa lo hanno riconosciuto, non lasciano dubitare della validità del suo titolo, cui la sola oscurità del suo pontificato può aver fatto contrastare.

BENEDETTO VII - PONT. CXXXVIII ROMANO - DEI CONTI TUSCOLANI (975 - 984) Ottone II Imp. — Ottone III Re (Sec. X).

ROMANO, figlio di Davide dei Conti Tuscolani, ed era Cardinale Vescovo di Sutri, quando fu eletto a reggere la Chiesa. Per quanto abbia governato la Chiesa 9 anni e cinque mesi, poche notizie si hanno di lui. Scomunicò in un concilio l'Antipapa Bonifacio VII e in altro i simoniaci. Molto protesse e favorì il monachismo curando la riforma del celebre Monastero di Cluny. Consacrò la Chiesa di S. Scolastica a Subiaco, sull'Aventino restaurò il monastero dei Ss. Bonifacio e Alessio. Si ha di questo Pontefice una lettera scritta a Pellegrino, Arcivescovo di Lorch, con la quale gli manda il Pallio e conferma lo statuto fatto da Agapito II nel 948, intorno alla giurisdizione degli Arcivescovi di Salisburgo e di Lorch. Fu . sepolto in Santa Croce in Gerusalemme. L'antpapa Bonifacio VII che era stato cacciato da Roma, era riparato a Costantinopoli, trafugando il tesoro della Chiesa preso dal Vaticano. Nel chiostro dell'abbazia di Santa Scolastica a Subiaco, una pietra, segnata con rilievo di rozzi caratteri, serba tuttavia una iscrizione, la quale dice che questo Papa ai 4 dicembre del 981 consacrò la nuova chiesa del convento. Osserva il Gregorovius che Benedetto VII non potè sempre in buona pace attendere a cure di chiostri e a ornamento di chiese : e se possedessimo notizie chiare di quel tempo lo vedremmo cimentarsi in lotte contro il partito ostile, e forse Io vedremmo costretto a fuggire. A Santa Croce in Gerusalemme, a destra della porta maggiore, entrando in chiesa, trovasi ancora affissa la lapide sepolcrale di Benedetto. Questa iscrizione che fu modellata su quella di Stefano VI è una delle più importanti e delle meglio conservate del medioevo, e ha dato luogo a controversie tra il Baronio e il Muratori, e suscita tuttora discussioni e non ha autenticità accertata. Osserva M. Trivulzio della Somaglia, nella vita dí Benedetto VII, nel suo volume « I Papi » che oltre ad offese alla grammatica vi si incontrano errori cronologici. Il Colasanti ha scritto un interessante lavoro sull'« Epitaf fio di Benedetto VII », dicendo che dalle osservazioni paleografiche è lecito dubitare che esso sia veramente de] tempo a cui vorrebbe riportarlo l'ultima sua linea. Alcuni non escludono che essa sia stata eseguita 200 anni dopo la morte del Pontefice. La lapide ricorda la tragedia della lotta sanguinosa tra il Papa e l'Antipapa Bonifacio detto Francone. Dice il docu- mento che l'invasore della Sede Apostolica gettò il legittimo pastore in fondo ad una prigione carico di catene e lo stran- golò e poi s'impossessò dei tesori della Chiesa, ed infine ricorda che Benedetto VII affidò il luogo ai monaci provve- dendo al sostentamento delle vedove e dei poveri orfanelli questo anno 974.

GIOVANNI XIV - PONT. CX XXIX DI PAVIA (984 -985) Ottone III Re (Secolo X).

DI Pavia, Pietro Canevanova, diacono Cardinale, Vescovo di Pavia e arcicancelliere dell'imperatore Ottone II, era eletto nel luglio del 984, e prendeva il nome di Giovanni XIV. Poco appresso moriva in Roma Ottone II e l'Antipapa Bonifacio VII, tornato da Costantinopoli, con un colpo di mano si impadroniva del Papa e chiusolo in Castel S. Angelo ve lo faceva morire di fame o di veleno nel giugno del 985. Governò la Chiesa 8 mesi e 10 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Alla sua assunzione cambiò il nome di Pietro che aveva in quello di Giovanni e questo fece per rispetto al nome del primo Pontefice San Pietro. Nessun Pontefice prese mai il nome di Pietro. Con nome di un Petrus secundus, afferma, la così detta profezia di S. Malachia, dovrebbe chiudersi, alla venuta dell'Anticristo e alla fine del mondo, la serie dei Pontefici della Chiesa. Assistette l'imperatore Ottone Il che moriva nel palazzo imperiale presso S. Pietro il 7 dicembre 983 e fu sepolto nel lato orientale del Paradiso di S. Pietro in un magnifiso sarcofago antico. Per un perfido di sette secoli i pellegrini tedeschi poterono vedere quel sepolcro imperiale. Con i lavori di Paolo V nella Basilica, la tomba fu distrutta. Si estrasse il cadavere dell'imperatore e, presente un notaio, si riscontrò esser provato che corrispondeva all'esile corporatura di Ottone II. Le ceneri dell'imperatore deposte in una altra urna furono deposte nelle Grotte Vaticane, ove ancora stanno, presso Gregorio V, congiunto suo. La rivoluzione, alla quale era a capo l'antipapa Bonifacio VII, e che sbalzò Giovanni XIV, deve essere accaduta intorno alla Pasqua del 984, per conseguenza la morte di Giovanni XIV avveniva nell'estate di quello stesso anno. Poco dopo moriva di morte violenta l'antipapa Bonifacio. Il suo cadavere fu fatto segno ai più feroci oltraggi, trascinato per le vie e in fine gettato innanzi alla statua equestre di Marco Aurelio, sulla Piazza di S. Giovanni in Laterano. La morte di Bonifacio avvenne nel 985, dopo che in undici anni aveva sbalzato due Papi, e li aveva fatti morire in Castel Sant'Angelo.

GIOVANNI XV - PONT. CXL ROMANO (985 - 966) Ottone III Re (Sec. X.

ROMANO, figlio di Leone, per quanto dotto nelle scienze non era ben visto dai Ro- .4„ mani, onde, anche perchè molestato da Crescenzio No-mentano, fuggì in Toscana, invocando l'aiuto di Ottone III. Per timore del castigo imperiale, fu Giovanni XV richiamato a Roma. Gli anni del suo pontificato sono oscuri. Si sa che reintegrò nella sua sede di Reims, Arnolfo che ne era stato deposto. Fece far pace tra Etelredo, re di Inghilterra e Riccardo duca di Normandia, per mezzo del suo legato Leone, Vescovo di Treviri. Santificò S. Ulderico. Morì li 7 marzo, dopo un Pontificato di 10 anni, 4 mesi e 9 giorni e fu sepolto in S. Pietro. È detto « de Regione Gallinae albae » che era una località della Regione detta augustea che pare abbia corrisposto ad oriente di S. Agata dei Goti, presso l'attuale via dei Serpenti. Era perito nelle cose militari, di grande erudizione e di grande dottrina e gli viene attribuita anche qualche opera letteraria. Per l'amore che portava ai parenti e cercava di arricchirli, venne in odio al popolo. In questa sua debolezza verso i parenti vogliono alcuni — e tra essi il Moroni — vedere l'origine del nepotismo, che funestò, più tardi la Chiesa. Da un suo diploma del 992 col quale concedeva al Vescovo di Porto un tratto di terreno per ridurlo a vivaio di pesce, si desume che il porto di Traiano, s'era ridotto in lago paludoso, parlandosi di lacus Traianus. Con Giovanni XV si ha il primo decreto formale di canonizzazione, trovandosi che ai 30 gennaio del 993, Ulderico, Arcivescovo di Augusta fu proclamato santo per decisione di un sinodo Lateranense. È questo il primo esempio di canonizzazione operato dal Papa. Scrittori, venuti più tardi, registrano al 993 un grande incendio nella città: ma non sappiamo se siffatta tradizione si sorregga a fondamento storico. Apparve una cometa e Benevento e Capua furono ditte da un terremoto. Sulle cause della sua morte si dice che morì « d'Una febbre gagliarda ». Dice l'epitaffio di Giovanni XV: « Qui giace il venerando Giovanni che sapeva diffondere da lontano le acque della santa legge. Tutto quanto questo eccellente dottore insegnava colle parole, insegnava eziandio coll'esempio della vita e dei costumi. Nulla valse a stornarlo dalla severità delle regole canoniche, nè il timore, nè il danaro, nè il favore. Dio gli faccia grazia dell'eterna luce dei Cieli, dopo di averlo fatto nascere e morire a Roma ».

GREGORIO V - PONT. CXLI SASSONE (996 - 999) Ottone III Imp. e Re (Sec. X).

FIGLIO del Duca Ottone di Franconia, aveva nome Brunone ed era per parte di madre nipote dell'imperatore Ottone. Sino da fanciullo si applicò allo stato ecclesiastico e divenne cappellano di Ottone III e perchè virtuoso e molto erudito fu fatto Vescovo di Verdun. Designato Pontefice dall'imperatore, fu regolarmente eletto alla Sede Apostolica l'8 maggio 996 assumendo il nome di Gregorio V. P000 dopo incoronò imperatore in S. Pietro suo cugino Ottone III; ma appena tornato Ottone in Germania, Gregorio dovette, .per le mene di Crescenzio, lasciar Roma e rifugiarsi a Pavia, mentre Crescenzio gli opponeva l'Antipapa Giovanni Filogato, Arcivescovo di Piacenza, col nome di Giovanni XVII. Da Pavia Gregorio in un sinodo anatemizzò Crescenzio. Venuto Ottone in aiuto del Pontefice, l'Antipapa fuggì da Roma e Crescenzio fu decapitato in Castel Sant'Angelo. Nel 998 in un concilio tenuto a Roma, riprovò Roberto di Francia, per il di lui matrimonio con Berta, figlia di Corrado III, re di Borgogna suo parente, matrimonio che, contratto senza le debite dispense, veniva dal Papa annullato. Eresse in metropolitana Ravenna. Fu questo di Gregorio XV un pontificato breve, non essendo durato che 2 anni ed 8 mesi, ma pieno di meriti e di virtù. Fu sepolto in S. Pietro. Brunone, che cambiò il nome in quello di Gregorio V, per venerazione a S. Gregorio Magno, quando fu eletto Papa aveva di poco passato i 24 anni, e morì a 27 anni, improvvisamente, non senza sospetto di veleno. Gregorio V è il primo Papa di origine tedesca. Vittima della prepotenza di Crescenzio, fu costretto a fuggire da .Roma — nudus omnium rerum. Ottone III oltre aver fatto impiccare Crescenzio fece impiccare altre dodici persone del suo partito: accecare, mutilare del naso e della lingua l'antipapa, il quale messo a rovescio sopra un asino fu fatto girare per Roma, ripetendosi dal popolo a gran voce: « Di tal supplizio è degno — chi a' Pontefici vuol togliere il regno ». Una poesia del tempo - - in latino — nota il reggimento del mondo tenuto in comunanza da Gregorio V e da Ottone. Essa dice: « Sorga Roma all'impero sotto Ottone III. Salve, o Papa nostro, Salve, o Gregorio degnissimo, che sei stato elevato dal tuo Pietro con l'augusto Ottone. Voi due luminari per gli spazi della terra illustrate la Chiesa, fugate le tenebre. Comandi uno col ferro: comandi con la parola l'altro ». Soleva predicare in tre lingue: in volgare, in latino e in francese, educando così il popolo al triplice linguaggio. Ogni sabbato faceva grandi elemosine e vestiva dodici poveri. Fece metropoli Ravenna, vi dichiarò Arcivescovo Gerberto — che fu suo successore col nome di Silvestro II e gli diede il dominio temporale della città con la contea di Comacchio e il diritto di battere moneta. Per le sue molte virtù, per l'animo grande, per la sua sollecitudine nel governo della Chiesa e per la sua erudizione, meritò di essere chiamato : Gregorio il Minore. Fu sepolto accanto a Papa Pelagio, innanzi alla sacrestia della Basilica di S. Pietro. In un codice Barberiniano è memoria della traslazione del sepolcro dalla vecchia Basilica, alle Grotte Vaticane. L'epitaffio che è murato nelle Grotte Vaticane dice che era « bello di occhi e di volto ». Osserva il Tripepi, biografo secolo x fu detto « il secolo dei studi e critica hanno rivendicato Pontefici. dei Papi, che falsamente il cattivi Papi » perchè nuovi il nome di quasi tutti questi

SAN SILVESTRO II - PONT. CXLII FRANCESE DI AQUITANIA (999 - 1003) Ottone III Imp. e Re — Arduino Re (Sec. X • XI).

ERA nato ad Aurillac nell'Avergne da poveri genitori e gli fu imposto il nome di Gerberto. Rimasto orfano fu raccolto dai Monaci di San Geraldo di Aurillac, dove entrò nell'Ordine di San Be-detto. Perfezionando la propria istruzione, era stimato il più grande filosofo del suo tempo. Dopo esser stato abbate del celebre monastero di Bobbio fu fatto Arcivescovo di Reims passando poi a Ravenna. Eletto Papa, era coronato nell'aprile del 999 e assumeva il nome di Silvestro II. Fedele all'amicizia di Ottone III ne sostenne la politica, accompagnandolo nella sua fuga a Todi. Fu pio, zelante, umile, coraggioso : versato nella teologia, nella filosofia, nella matematica. Lasciò scritti di teologia di matematica, di astronomia. Governò la Chiesa con senno e virtù 4 anni, 1 mese, 9 giorni, morendo il 12 marzo 1003. Fu ,sepolto in S. Pietro. È il primo Papa francese. La casa in cui visse da fanciullo è ancora in piedi e la venerazione della gente la chiama col nome di « casa del Papa ». Gli abitanti di Aurillac posero il ritratto di Silvestro in una sala del comune, diedero il suo nome alla piazza dove era l'abbazia di S. Gerardo, nella quale fu educato e nel 1851 gli eressero una statua. Fu giudicato l'uomo più sapiente del suo secolo e per questa sua sapienza corse la leggenda che fosse mago e operasse per potere di spiriti. Gli si attribuisce l'invenzione dell'orologio a bilanciere che fu in uso sino al 1640, quando al bilanciere subentrò il pendolo. Introdusse in Europa i numeri arabi e per conseguenza il sistema decimale, base della nostra aritmetica. Si dice che da una delle torri del Laterano contemplasse le stelle e poi le studiasse, sopra una sfera celeste da lui stesso costruita. È l'unico Papa astronomo e matematico che abbia avuto la Chiesa. Per tutto il medioevo corse la leggenda della sua magìa, leggenda che si venne formando dopo la sua morte, perchè nessuno dei suoi contemporanei, con a capo Richerio suo grande amico e che dedicò al Papa quattro libri di storie, parlano di queste cose. Dice la leggenda che Gerberto, il quale era mago e aveva commercio con gli spiriti, aveva saputo da un suo demonio che egli non morrebbe sino a tanto che non celebrasse messa in Gerusalemme. Illuso dalla equivocazione del nome, pensando si dovesse intendere Gerusalemme di Palestina, andò a celebrare, il dì della Stazione, proprio in quella chiesa di Roma che appunto si chiama Gerusalemme, dove sentendosi venire addosso la morte, supplicò gli fossero tronche le mani e la lingua con le quali aveva disonorato Iddio. « Gli stessi protestanti — dice A. Graf — rinunziarono ad usare della leggenda come di un'arma contro la Chiesa di Roma e alcuni di essi risolutamente la confutarono ». Una tradizione attribuisce a questo Papa l'istituzione uni, versale, della Commemorazione di tutti i defunti. Oltre a ciò si vorrebbe che sia stato Silvestro II a celebrare il primo Giubileo dell'Anno Santo, in occasione del primo millenario della nascita del Redentore, concedendo indulgenze ai fedeli che fossero venuti a Roma a pregare sulla tomba di S. Pietro. Soleva ricordare il suo passaggio per la chiesa di Reims, di Ravenna e Roma ; donde il famoso verso: « Transit ab R. Gerbertus ad R. post Papa vigens R. — ». Anche soleva dire : La somma facoltà che ha Pietro, non può essere paragonata ad alcuna felicità. Avvisava i Vescovi per iscritto, riprendendoli severamente. Avendo il Vescovo di Laon mancato in molti modi al suo dovere, il Papa gli scrisse : « Silvestro, Vescovo servo dei servi di Dio: Non meravigliatevi se non trovate in testa alla nostra lettera nè il saluto, nè la benedizione Apostolica. Sotto il nome di Vescovo voi avete, a forza di delitti, cessato d'essere uomo. La fedeltà eleva un uomo sino a Dio, la perfidia lo abbassa al livello dei bruti ». Diceva che i ministri del Vangelo devono essere provveduti di grande moderazione, allorchè trattano della salute delle anime. E’ stato il primo Papa a lanciare l'idea delle crociate, eccitando principi e nazioni a una guerra alleata, per liberare dal giogo dei maomettani la Terra Santa e i cristiani d'Oriente. Diede molto impulso alla propaganda cristiana in Polonia e in Ungheria. Consacrò S. Stefano I re d'Ungheria, gli diede il titolo di Apostolico e concesse a lui e ai suoi successori di farsi precedere dalla croce allorchè uscivano in pubblico. Varie leggende corsero anche sulla tomba di Silvestro II al Laterano. Una dice che le ossa fanno rumore nel sepolcro, quando annunziano la imminente morte di un Papa. Un'altra, raccolta da un Diacono Giovanni che ai tempi di Alessandro III (1159-1181) compose un libro: De Ecclesia goccie d'acqua, cosa che era cagione di ammirazione. Un'altra leggenda più grottesca che diceva esser stato il cadavere di Silvestro divorato dai corvi, fu da Innocenzo smentita dall'X. apertura della tomba del Papa, ordinata Il cadavere apparve intero ed illeso, vestito degli abiti pontificali, con le braccia in croce e la tiara in capo. Ma appena sentì l'aria si sciolse in polvere. Dai giornali francesi è stato recentemente indicato come Patrono degli stenografi. Il Papa Silvestro Il, fu uno dei più rari stenografi del medioevo : di quelli cioè che conoscevano l'arte di scrivere rapidamente con segni particolari od abbreviati. Essendo ancora segretario dell'Arcivescovo di Reims, per dovere del suo ufficio, dovette imparare a scrivere con i segni abbreviati e, fatto Papa, nei suoi lavori usò molto la tachigrafia latina per poter rapidamente scrivere i suoi pensieri.

GIOVANNI XVI o XVII - PONT. CXLIII ROMANO (1003 - 1003) Arduino Re (Sec. XI).

ASCRITTO al Clero romano fu eletto pontefice nel giugno del 1003. Non governò la Chiesa che 5 mesi e 25 giorni. Quasi tutto è incerto, riguardo questo Pontefice che, per la brevità del suo governo, non lasciò traccia nella storia della Chiesa. Si sostiene che nascesse dalla illustre famiglia dei Secchi, discendente da Ricimero, c primes d'Italia. per Milano Controverso è anche il luogo della sua nascita. Chi lo vuole romano della contrada Biberatica. Chi — come il dotto Cardinale Stefano Borgia — lo sostiene di Rapagnano, per una pietra « palombina » colà trovata, che lo dice figlio di Siccone e di Colomba. La pietra palombina dice che nacque a Rapagnano, fu condotto fanciullo a Roma e ricevuto in casa di Petronio Con-Sole, si diede allo studio delle lettere, fu creato Pontefice nel 1003 con plauso di tutta l'Urbe, ma che resse per poco la Chiesa. Si vuole che questa iscrizione sia stata fatta incidere da Enea Silvio, Vescovo di Fermo. Era stato nominato cardinale da Gregorio V ed era uomo di molto merito, di scienza e di virtù. Incerto è anche il luogo della sua sepoltura. Giovanni Diacono, lo dice sepolto in S. Giovanni in Laterano: il Gregorovius non si pronunzia, mentre il Ciaconio, che non adduce alcun documento, lo vuole nella chiesa di S. Saba in Cella Nova.

GIOVANNI XVII o XVIII - PONT. CXLIV ROMANO (1003 - 1009) Arduino e Arrigo 11 Re (Sec. XI).

ROMANO, fu eletto e consacrato il 26 dicembre 1003. Confermò l'istituzione del Vescovado di Bamberga. Nel suo Pontificato si rinnovò la concordia fra la Chiesa romana e la costantinopolitana, disunita per le pretensioni dell'orgoglioso patriarca Michele Cerulario, onde il nome di Giovanni fu messo dal Patriarca Sergio nei sacri dittici della sua Chiesa. Diede il Pallio all'Arcivescovo di Cantorbery : inviò S. Brunone al quale pure aveva concesso il Pallio ad evangelizzare la Russia, ed ivi il santo trovò il martirio, assieme a 18 compagni. Quando venne a Roma l'Arcivescovo di Cantorbery per ricevere il Pallio, il Papa non solo questo gli diede, ma presente il Senato, si levò la propria stolà e gliela impose pubblicandolo degno di portarla. Si afferma da alcuni che verso la fine della sua vita, rinunziasse al Papato e si ritirasse nell'Abbazia di S. Paolo, fuori le mura, ove abbracciò la vita monastica. Nulla prova questa supposizione all'infuori di un epitafflo ohe lo testimonierebbe sepolto a S. Paolo ed è conservato all'abbazia e dice: « Doms. lohs. XVIII Papa ». Il Ciaconio, il Moroni, il Gregorovius lo dicono sepolto al Laterano e il P. Giacobbe invece a S. Pietro. Nel pontificato di Giovanni XVIII, e precisamente, nel .1004, secondo gli studi del basiliano P. A. Rocchi, avvenne la fondazione, della badia Criptoferratense. Fu grande protettore dei monaci.

SERGIO IV - PONT. CXLV ROMANO (1009 - 1012) Arduino e Arrigo II Re (Sec. XI).

DI nome Pietro: è romano, benchè alcuni lo vogliano di Sarzana. Entrò nell'ordine di S. Benedetto e quando fu fatto Papa era Cardinale e Vescovo di Albano. Salì al soglio Pontificio il 17 giugno 1009 e fu consacrato il giorno dopo. Fu di santa vita e prudente, governò la Chiesa con saggezza. Mandò un suo legato in Francia per comporre una vertenza tra i Vescovi di Amburgo e di Verdun. Fece l'epitaffio a Silvestro II nella Basilica Lateranense, che ancora esiste, e basta a confutare le calunnie gettate contro quel Papa dottissimo. Governò la Chiesa 2 anni, 8 mesi e 13 giorni, morendo nel 1012. Fu sepolto in S. Giovanni in Laterano, vicino all'ingresso dell'oratorio di S. Tornaso. Era di cognome « Bucca Porci » in documenti è detto : « ex patre Petro, mater Stephania, cognomento Bucca Porca ». Nel catalogo VI dicesi che Pietro Bocca di Porco fu « de regione alla pino (pigna) ex patre Perruncio sutore qui vocatur os porci ». Il Bucca si trova assai spesso nel composto di nomi romani del xi secolo e di quello mi : e cioè : Bucca di pecora, Buccalupo, Buccafuoco, Buccano, Bucamazza, Buccabella, ecc. Secondo il Baronio, sarebbe stato il primo Pontefice ad assumere nome diverso da quello del Battesimo : e Sergio l'avrebbe fatto, non perchè si chiamasse « Bocca di Porco », ma perchè essendo di nome Pietro, questo non volle da Pontefice usare per somma riverenza al Principe degli Apostoli. A proposito del nuovo nome preso dai Papi nella loro assunzione al pontificato, è da rilevare che sempre essi trovano hanno amato di prendere nomi greci o latini : e però non si mai quelli di Giuseppe, Francesco, Domenico, Vincenzo, ecc. Quelli che vogliono conciliare il suo carattere romano con la nascita a Luni Sarzana — dicono che per « la figliolanza del monastero » è romano. La cattedrale di Sarzana riconosce per suo Sergio II, avendo nella facciata esterna la sua statua e quella di S. Eutichiano e di Nicolò V, postevi nel 1464, dal Cardinale Calandrini, a vanto della Lunigiana che, così conta 3 Papi. 11 suo epitaffio dice che « egli fu il pane dei poveri, il ve stito dei nudi, il dottore del popolo, il pastore venerato di tutti ». Avvenne nel tempo del suo Pontificato la rovina del Santo Sepolcro a Gerusaleme per opera dei mussulmani eccitati, come credesi, dagli ebrei, e, addolorato per questo fatto, mostrò desiderio in una Bolla d'andare egli stesso coi cristiani che l'avessero voluto seguire, in Palestina. Impedì la persecuzione, che per questo fatto, erasi scatenata in tutta l'Europa contro gli ebrei.

BENEDETTO VIII - PONT. CXLVI ROMANO - DEI CONTI TUSCOLANI (1012 - 1024) Arrigo Il (dal 1014) Imp. — Arduino e Arrigo II (fino al 1014) Re (Sec XI).

ROMANO, di nome Giovanni, figlio di Gregorio conte Tu-scolano, era vescovo e Cardinale di Porto quando fu eletto nel giugno del 1012. Ebbe subito a soffrire dall'Antipapa Gregorio che lo obbligò a fuggire. Recatosi in Germania chiese aiuto ad Enrico e il Papa potè assidersi sulla cattedra di San Pietro. L'anno seguente '1013 coronava in S. Pietro Enrico II imperatore, con la moglie Cunegonda. Nel 1016 sconfisse i Saraceni che molestavano le coste dello Stato Pontificio, facendo poi un'alleanza coi Genovesi e coi Pisani. Radunò due Concilii, uno a Pavia nel 1020 e l'altro, nello stesso anno a Bamberga, e mentre studiava di convocare un Concilio di tutto l'Occidente, per ottenere la pace universale, moriva nel febbraio del 1024. Aveva governato la Chiesa 11 anni, I l rriesi e 21 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Benedetto VIII è fratello del prossimo successore Giovanni XVIII (o XIX, o XX) ai quali; nel !033 successe il loro nipote Benedetto IX. A Benedetto Vili si fà risalire l'uso del globo aureo tra le insegne dell'impero che presentò ad Enrico il nell'incoronazione. Era un pomo d'oro sormontato da una croce, nell'età ornato il di diamanti. Secondo il mistico intendimento di q globo significa il mondo, le pietre preziose, le virtù cardinali, la croce i doveri che aveva assunto verso io e verso il Papa. Esso era, chi dice pieno di terra raccoltaD dalle quattro parti del mondo e chi di cenere. Ottenne una splendida vittoria sui Saraceni. Quando l'Emiro gli mandò un sacco di castagne facendogli dire che l'anno appresso sarebbe venuto con altrettante migliaia di soldati, il Papa, di rimando, spedì all'Emiro un sacchetto di miglio, assicurandolo, che se non rinunciava alle sue rapine, avrebbe trovato un ugual numero di soldati. Secondo il Baronio, mentre il Mabillon l'attribuisce al suo successore, sarebbe stato Benedetto VIII a chiamare a Roma Guido d'Arezzo, monaco benedettino dell'Abbazia di Pomposa, per insegnare al clero romano le note musicali da lui inventate. Si racconta che rnaravigliato Enrico perchè in Roma si recitasse solo, ma rion si cantasse il « Credo » nella Messa, avesse per risposta che la Chiesa Romana non abbisognava di questa manifestazione della sua Fede come quella che non era giammai caduta in nessuna eresia. Raccontano alcuni che, dopo morte, comparisse a diversi ecclesiastici raccomandandosi alle loro ed altrui preghiere per essere liberato dal Purgatorio : e che ne fosse liberato per le preghiere di S. Adilone abate di Cluny. S. Pier Damiani racconta che Benedetto, dopo morto comparve, montato su di un cavallo nero, a Giovanni Ve scovo di Porto, cui palesò i tormenti che soffriva e dei qua poteva esser liberato per mezzo di limosine fatte per lui perciò gli impose di recarsi subito dal Papa Giovanni su fratello, per informamelo. Ciò fatto dal Vescovo, rinunz esso tosto al vescovato e si fece monaco, provvedendo così alla propria salute con l'altrui calamità.

GIOVANNI XVIII o XIXo XX - PONT.CXLVII ROMANO - DEI CONTI TUSCOLANI (1024 - 1033) Corrado (dal 1027) Imp. e Re — Corrado II (fino al 1027) Re

ROMANO, successe al fratello Benedetto VII, prendendo il nome di Giovanni. Nonostante i ricchi doni inviatigli non volle piegarsi alle preghiere dei Costantinopolitani che lo supplicavano di concedere che la loro Chiesa avesse per l'Oriente il titolo di universale. Il rifiuto riaccese tra le due Chiese, latina e greca, l'antico dissidio. Nella Basilica di San Pietro il 26 marzo coronava imperatore Corrado II di Germania detto Il Salico. In una questione di precedenza tra gli Arcivescovi di Milano e Ravenna diede, per quello che riguardava la dignità vescovile, la preferenza a quello di Milano. Consacrò la chiesa patriarcale di Aquileia. Dopo aver governato la Chiesa 9 anni e 9 giorni, morì nel 1033 e fu sepolto in San Pietro. Quando fu eletto era laico e « senatore dei romani ». Sembra che anche da Papa abbia conservato la dignità di senatore, così come prima l'aveva avuta. Alla incoronazione di Corrado II assistevano due re : Rodolfo III di Borgogna e Canuto d'Inghilterra e di Danimarca. La cerimonia dell’incoronazione fu turbata da violenti per l'ambizione puerile degli Arcivescovi di Milano di Ravenna, ciascuno dei quali pretendeva di avere la preminenza: la dissensione di quegli altri prelati si appiccò alle loro comitive e Roma fu messa a terrore da una mischia che fu combattuta per le vie tra Ravennati e Milanesi. L'altra, per una rissa che si accese per una pelle di bue tra un romano e un tedesco. Alle mischie presero parte genti dell'una e dell'altra parte e ne venne una carneficina in cui perirono « innumerevoli » persone. Poichè i numerosi fedeli che venivano a Roma in pellegrinaggio erano spesso assaltati e spogliati dai malviventi nei dintorni, il Papa fece perseguitare dalle milizie questi briganti e molti vi lasciarono la vita. Al tempo di questo Pontefice regnarono San Canuto re di Danimarca e di Inghilterra, S. Olao in Isvezia e S. Stefano in Ungheria. Mentre alcuni lo tacciarono di indolente e di avaro, gli storici sereni lo purgarono da queste accuse e l'Audisio, dice, che governò da Principe.

BENEDETTO IX - PONT. CXLVIII ROMANO - DEI CONTI TUSCOLANI (1033 cessò 1044) Corrado II Imp. e Re — Arrigo III (dal 1039) Re (Sec. XI).

ROMANO, della famiglia dei Conti Tuscolani e figlio di Alberico. Giunse al Papato giovanissimo, per gli intrighi e le imposizioni del padre. Sdegnati i romani della sua condotta si sollevarono e lo scacciarono, ma Benedetto, per mezzo di Corrado III, che andò ad incontrare a Cremona, fu ricondotto a Roma, e l'imperatore punì gli autori della ribellione. Morto Corrado III nel 1039 i romani tentarono di nuovo di cacciare il Pontefice e nel 1044 vi riuscirono, obbligandolo a fuggire. Sul trono Pontificio appare Giovanni di Sabina col nome di Silvestro III. Ma questi rimase solamente tre mesi, perchè Benedetto riacquistava il seggio Pontificio, al quale l'anno appresso rinunciava in favore di Giovanni Graziano che prese il nome di Gregorio VI. Ma questi come Silvestro III fu deposto nel Concilio di Sutri, eleggendosi il tedesco Svidgero col nome di Clemente II. Cercò ancora Benedetto, spalleggiato dai parenti, di far rivivere le sue pretese, ma cacciato Per la terza volta, salì sul trono Pontificio Damaso II. Riti ratosi riel monastero di Grottaferrata, vi passò in vita esemplare il restante dei suoi giorni. Della « aurea progenies dei Conti luscolani, era nipote dei Pontefici Benedetto VIII e Giovanni XVIII o XIX o XX La Chiesa e l'umanità passano in questo tempo attraverso le più gravi afflizioni. Mentre la Sede Apostolica era straziata dalle violenze e dagli scandali, l’Europa intera era devastata dalla peste e dalla farne. Fra quegli orrori ebbe origine la umana legge della pace di Dio, la tregua di Dio che fu primamente promulgata dai Vescovi della Francia Meridionale. Benedetto pervenne al Pontificato giovanissimo: chi dice di 18 chi di 20 anni: e S. Pier Damiani dice che anche prima del Papato aveva condotto una vita “immersa nelle più abbominevoli Laidezze” Vittore III lo giudica severamente, dicendo di dover raccapricciare nel parlare della sua vita. Uno storico, il Guibini, dice che la sua « scandalosa vita è una prova sempre maggiore della Divina Provvidenza nel reggere la sua Chiesa” Il Cardinale Hergenrother dice che mostrò spesso senso pratico e, meglio educato e abituato a frenare le sue passioni, sarebbe diventato un eccellente Papa. Benedetto IX ebbe salva la vita per… eclissi. Il Papa avrebbe dovuto essere ucciso il 29 giugno del 1003 nella basilica vaticana, mentre si celebrava la festa di San Pietro. La chiesa brulicava di fedeli e i prelati, tra canti solenni attorniavano l’altare. I sicari prezzolati dai Crescenzi, nemici del Papa, s’erano mescolati, indifferenti tra la folla, pronti ad un dato segnale a lanciare alte grida, provocare un panico tra la folla e avvicinarsi così, nel tumulto al Papa e ucciderlo. Mentre la sacra cerimonia Si svolge e i sicari attendono il momento propizio, ecco che la chiesa si oscura: il cielo, come se fosse rannuvolato, si fa livido e la luce gialla. Il terrore invade tutti: i canti cessano, una meraviglia paurosa ondeggia tra la folla e i sicari lasciano cadere le armi e fuggono spaventati dalla chiesa. Questo eclissi avvenne precisamente alle ore 17 del 29 giugno, del 1033 e la forza massima fu uguale a 9 decimi dal sole. Per esortazione del Santo Abbate di Grottaferrata, Bartolomeo, rinunciò definitivamente al Papato, trascorrendo esemplarmente il resto della vita. Fu sepolto in quel monastero e la sua tomba fu dal Card. Guadagni riconosciuta con nuova lapide nel 1750. La leggenda medioevale manda Benedetto IX all’inferno e poi lo libera. Un’altra leggenda dice che apparisse una volta con una faccia mostruosa. E domandato, perché, essendo egli stato Pontefice, così laido apparisse: “perché, rispose, ho senza ragione e senza legge vissuto e così vuol Dio e S. Pietro la cui sede ho di molte macchie contaminato”

GREGORIO VI - PONT. CXLIX ROMANO (1044 rinunciò 1046) Arrigo III Re (Sec. XI).

ROMANO, detto Giovanni o Graziano, della nobilissima famiglia dei Pierleoni. Era arciprete di S. Giovanni a Porta Latina, quando, per la rinuncia di Benedetto IX, salì ' al soglio Pontificio. Subito cercò di ristabilire l'ordine e la sicurezza in Roma e attorno a Roma, per i pellegrini che vi venivano. Andò a Piacenza ad incontrare Enrico III, raggiungendolo poi a Sutri ove aveva radunato un Concilio e ove rinunciò al Pontificato. Condotto da Enrico. III in Germania, finì i suoi giorni nel monastero di Cluny, avendo governato la Chiesa 2 anni, ed 8 mesi. È il primo dei grandi Papi della Riforma. Egli non va confuso nè con gli antipapi, nè con gli ambiziosi simoniaci. Il denaro che i suoi amici dettero a Benedetto IX per indurlo a rinunziare era solo destinato a rimuovere dalla Chiesa ori indegno che con la sua vita dava scandalo. Gregorio fu la prima espressione del piccolo nucleo dei riformatori e i pionieri, si sa, cadono sempre nel solco da essi, per primi tracciato. Nel Concilio di Sutri manovrarono indegne passioni. Gregorio preferì la rinuncia anzichè intaccare i principii da lui presi a base della riforma. Ma l'erede del suo spirito era là, al suo fianco: il giovane monaco di Cluny, Ildebrando. Ildebrando volle condividere con il suo Vescovo la sorte dell'esilio, ma nella terra straniera l'idea del Papa riformatore passò nella sua mente e nel, suo cuore. La grande lotta di emancipazione e di epurazione del Santuario che comincia con Leone IX e giunge a Callisto II non è che lo spirito con cui Gregorio VI apre, Gregorio VII porta al culmine e Callisto Il chiude uno dei più bei periodi del Papato. Quale fosse lo stato del clero per ignoranza e corruttela in questo tempo, è dimostrato da una lettera indirizzata da S. Pier Damiani al Papa per raccomandargli un arciprete al vescovato nella quale, informandolo dei suoi meriti, dice : « Egli veramente è dominato dall'avarizia e dalla vanità, ed è troppo bramoso di salire alla dignità di pastore : ma se tutto questo non farà ad esso ostacolo, conoscerà Vostra Santità ch'egli è alquanto migliore degli altri ». Trovò i beni della Chiesa così sperperati che appena gli restava da vivere onoratamente : onde volendo restaurare le chiese di Roma e specialmente 5. Pietro domandò aiuto alla cristianità. Le strade di Roma e attorno a Roma erano infestate da ladri che derubavano i pellegrini. Gregorio VI riorganizzò le truppe pontificie, dando loro ordine e divisa e curò la sicurezza delle strade. Poichè non bastavano le scomuniche ricorse alle armi temporali, e però dai Romani, ai quali spiaceva questa energia, fu detto « sanguinario ». Si legge che accusato nel Concilio di Sutri, dall'imperatore, di essere asceso con male arti al Pontificato, da per se stesso, presenti i Vescovi pronunciasse la sua sentenza di condanna : « lo Gregorio, servo dei servi di Dio, sentenzio, in causa del vergognoso mercato e della eresia di Simon Mago, che per astuzia dell'antico avversario si è insinuata nella mia elezione, dover io essere privato del romano pontificato. Piace questo a Voi ? ». Quello che a te piace, replicarono i Vescovi, noi confermiamo. E Gregorio rinunziò. Il monaco Ildebrando — poi Gregorio VII — in segno ci; devozione lo accompagnò in esilio. Morì nel monastero di Cluny; ma il Ciaconio dice che fu sepolto a Roma in S. Pietro. Avendo Gregorio ordinato di esser sepolto in S. Pietro fu invece sepolto davanti alla porta; ma questa ch'era chiusa, da per se stessa si aprì repentinamente per mostrare che il Signore lo voleva dentro nella chiesa. Un'altra versione del fatto dice che sentendosi il Pontefice morire, chiamò presso il suo letto i Cardinali e rimproveratili dei loro biasimi, li esortò a porre il suo cadavere fuori dalla chiesa con le porte ben chiuse: che se per divino volere si aprissero, gli dessero conveniente sepoltura, e ritenessero il suo operato approvato da Dio, altrimenti gettassero il corpo altrove. Morto Gregorio VI i cardinali l'ubbidirono e tosto seguì il prodigio dell'apertura delle porte e così lo tumularono in chiesa con opinione di santità. Del Concilio di Sutri l'Audisio dice : « La Chiesa versava nello scisma e il taglio più profondo fu stimato il più opportuno. Dopo la rinuncia di Benedetto e l'espulsione di Silvestro (l'Antipapa Silvestro III), Gregorio, volontariamente si offrì vittima al sacrificio: fu condannato e ora l'assolve la critica ».

CLEMENTE II - PONT. CL SASSONE (1046 - 1047) Arrigo III lmp. e Re (Sec. XI).

NATivo di Sassonia e nominato prima Svidgero, Vescovo di Bamberga. Fu eletto per le pressioni di Enrico III, dopo il concilio di Sutri nel quale Gregorio VI aveva rinunciato. Incoronato il giorno di Natale del 1046, incoronò a sua volta Enrico III e la sua consorte Agnese. Convocò nel 1047 un Concilio, prima per purgare la Chiesa dai simoniaci che la infestavano e poi per decidere la questione di preminenza sorta tra le sedi di Milano, Ravenna e Aquileia. Nello stesso anno visitò varii monasteri dell'Italia meridionale, accompagnò l'imperatore in Germania. Mentre tornava, si ammalò a Pesaro, morendovi dopo un breve pontificato, di nove mesi e 15 giorni. È il secondo Papa tedesco. Si dice sia stato il primo ad usare le armi gentilizie nel proprio stemma. Intraprese la visita e la riforma delle chiese dell'Umbria delle quali S. Pier Damiani gli aveva fatto noto gli scandali ed i disordini. Secondato da S. Pier Damiani e dai monaci di Cluny mosse aspra guerra alla simonia che era la piaga dorn nante e turbava profondamente la Chiesa. Nella terra di S. Pietro, presso Pesaro, ai 9 ottobre d 1047 morì — dice il Moroni « secondo la comune opi attossicato per opera di Benedetto IX ». Avendo nel testamento disposto di esser sepolto nella sua chiesa di Bamberga, della quale aveva conservato il governo anche da Papa, vi fu trasportato. Nel xvi secolo in quella cattedrale gli fu eretto un monumento. È l'unico Papa che sia sepolto in Germania.

DAMASO II - PONT. CLI TEDESCO (1048 - 1048) Arrigo III Imp. e Re (Sec. XI).

NATIVO della Baviera, di nome Poppo o Poppone, era Vescovo di Bressanone, quando alla morte di Clemente, fu per iniziativa dell'imperatore Enrico, eletto Pontefice prendendo il nome di Damaso. Appena incoronato il 17 luglio al Laterano, si ritirò in Palestrina, ove poco dopo morì. Non aveva seduto sulla cattedra di S. Pietro che 23 giorni. Anche Damaso, come il predecessore Clemente, usò lo stemma gentilizio. - Era di bassa nascita, ma di gran mente, e di carattere altero. Per fuggire i calori della estate di Roma — ad fugiendos urbanos aestus — si rifugiò in Palestrina, ove in breve morì. Fu detto anche che morisse di veleno, ma i più affermano morisse di febbre di malaria. Della febbre romana, che fu per molto tempo crudelmente mortifera, si diceva: Roma vorax hominum, domat ardua colla virorum, Roma ferax febrium, necis est uberrima frugum, Romanae febris stabili sunt iure fideles; Quem semel invadunt, vix a vivente recedunt. Oggi è un triste e lontano ricordo: e sforzo di uomini e sapienza di governi, hanno da Roma e da' suoi dint fugato il mortifero spettro. Era stimato l'uomo più dotto del suo tempo. Fu sepolto in S. Lorenzo fuori le mura, in un sarcofago degli antichi tempi cristiani, che ivi ancor si vede.

SAN LEONE IX - PONT. CLII TEDESCO - DEI CONTI DI DAGSBURG-EGISHEIM (1049 - 1054) Arrigo III Imp. e Re (Sec. XI).

BRUNONE, nato in Alsazia, di famiglia imparentata con l'Imperatore, era Vescovo di Toul, quando alla morte di Damaso II fu da Enrico III e da una assemblea raccolta a Worms, acclamato come l'unico che potesse ascendere alla sede Pontificia. Di santa vita, energico, dotto, aveva 47 anni, quando sebbene riluttante, accettava la indicazione imperiale. Venuto a Roma era concordemente acclamato dal clero e dal popolo Pontefice. Prese il nome di Leone e tosto si diede a restaurare la disciplina ecclesiastica e i corrotti costumi del Clero. Riunì subito un concilio al Laterano, quindi, avendo con sè per consigliere il monaco Ildebrando si recò a Pavia, ove presiedette un Sinodo. Dalla Germania si recava a Reims ove radunava un Concilio per porre fine ai mali che desolavano la Chiesa di Francia. Con attività febbrile nel W50 tornava a Magonza, vi presiedeva un Sinodo, quindi celebrato il Natale a Verona, faceva ritorno a Roma. Poco vi stette perchè, dopo aver tenuto un Concilio a Roma, tornava in Germania ove compose il dissidio tra l'imperatore e il re d'Ungheria. Dopo il suo ritorno a Roma, nella lotta che aveva iniziato, contro i Normanni, cadeva in mano dei nemici Dopo esser stato loro prigioniero per sette mesi, recuperata la libertà, rientrava in Roma, poco prima della Pasqua del 1054. Sentendo prossima la fine, dal Laterano si fece portare al Vaticano, ove morì pieno di meriti; dopo aver pontificato 5 anni, 3 mesi e .15 giorni. Entrò in Roma in abito di pellegrino, a piedi scalzi ed in preghiera, e a fianco aveva il monaco Ildebrando, il futuro Gregorio VII, che poi fu per tutto il Pontificato il suo consigliere fedele e sapiente. Si può anzi dire che fu il primo che presso il Papa esercitasse quell'ufficio, che oggi viene assunto dal Segretario di Stato. Trovò le casse pontificie vuote e però patì tale penuria di denaro da non sapere in che modo cibare la sua piccola corte e da pensare, financo, a vendere le sue vesti, e se non fosse stato un inaspettato donativo di danaro che gli venne da Benevento, quelli del suo seguito se ne sarebbero fugl iti in Germania. S. Pier Damiani scriveva che il mondo in quei giorni. non era che « Gola, avarizia, voluttà ». Leone radunò un Concilio a Roma condannandovi simonie e incontinenze, nozze incestuose e sacrileghe, e deponendo parecchi Vescovi indegni. Dicono gli scrittori contemporanei che Leone fu di bel] persona e di nobile aspetto e molto erudito nelle lettere. « C'estui Leon estoit molt bel et estoit rouz, et estoit d stature seignorable, et estoit de Tetre bon maistre a. Del programma riformatore egli accettò l'idea che il. Pontefice dovesse essere eletto dai soli dignitari della Chiesa detti Cardinali. L'idea di Leone IX fu poi presa come regola l( anni più tardi da Nicola II. A 50 anni si mise a studiare la lingua greca per potei confutare gli scritti dei greci scismatici. Tre volte la settimana si recava scalzo, di notte, accompagnato da tre chierici, dal Laterano a S. Pietro. Portava il cilicio: dormiva sopra un tavolato coperto di un tappeto e per cuscino aveva un macigno. Avendo una volta trovato alla porta del palazzo un laperta la iù visto il povero, onde si disse camera al mattino non fu p che era stato Gesù a prendere le sembianze di povero per provare la carità di Leone. Di Leone disse Vittore che egli era un « uomo interamente apostolico, nato di stirpe regia, fornito di sapienza cospicuo in religione e pienamente erudito in ogni scienza ». Avendo predetto il giorno della sua morte, la vigilia si fece portare dal Laterano a S. Pietro dove passò a pregare gran parte del giorno. Rimessosi in letto, ascoltò la messa, ricevette gli ultimi sacramenti e spirò presso l'altare della Confessione Alla sua morte, tutte le campane di Roma si misero a suonare da sole. Nella ricognizione che del sacro corpo fece Paolo V « si trovò ancora incorrotto e così lungo che giungeva all'altezza di nove palmi ». Sulla sua tomba leggevasi questo distico: « Victrix Roma dolet nono viduata Leone — Ex multis talem vix habitura patrem ».

VITTORE II - PONT. CLIII BAVARESE (1055 - 1057) Arrigo III Imp. e Re — Arrigo IV (dal 1056) Re (Sec. XI).

GEBAUDO, Vescovo di Eichstadt, era figlio del Conte Hartwuig, imparentato con l'imperatore. Alla morte di Leone IX, il monaco Ildebrando, andato alla corte imperiale a Magonza per intendersi sulla elezione del --, successore, condusse seco a Roma il designato Pontefice. Salito sul trono pontificio si dimostrò degno di Leone IX. Il monaco Ildebrando, andato alla corte imperiale a Magonza per intendersi sulla elezione del successore, condusse seco a Roma il designato Pontefice. Salito sul trono pontifico si dimostrò degno di leone IX proseguendo nella intrapresa riforma dei costumi del clero e della disciplinall ecclesiastica. Inviava in Francia suo legato Ildebrando che, per questo intento di riforma, radunava i Concilii di Lione e di Tours, deponendo alcuni Vescovi. A Firenze radunava un Concilio al quale, oltre l'imperatore Enrico III assistevano 120 Vescovi. In questo Concilio vennero deposti parecchi Vescovi, oltre quello di Firenze, altri minacciati di scomunica se sperperassero i beni della Chiesa. Recatosi in Germania assisteva alla morte di Enrico III che metteva sotto la sua protezione la moglie Agnese e il giovane figlio Enrico IV. Tornato a Roma nella Pasqua del 1057, celebrava un altro Sinodo, poi andato in Toscana, per comporvi una controversia tra i Vescovi di Siena e di Arezzo, si ammalava e moriva a Firenze. Le sue spoglie che dovevano esser portate in Germania, furono invece sepolte a Santa Reparata. Aveva governato la Chiesa 2 anni, 3 mesi e 15 giorni. Del suo carattere fu detto che alla umiltà di un santo, aggiungeva la fermezza di un apostolo. Molto ebbe a soffrire dalle ingiurie dei romani dalle fazioni, ma non se ne dolse. Essendo egli rigoroso nella osservanza della disciplina aveva molti nemici nel clero. Un Suddiacono cercò di avvelenarlo, mettendo il veleno nel vino del calice: ma quando il Papa fece per alzare il calice e bere il vino, il calice diventò improvvisamente così pesante che non potè farlo. E il chierico sacrilego fu invasato dal demonio. Aveva per motto: Ipse est pax nostra. In una sua Bolla chiama Roma « aurea ». STEFANO X - PONT. CLIV TEDESCO - DEI DUCHI DI LORENA (1057 - 1058) Arrigo IV Re (Sec. XI).

FEDERICO di Lorena, figlio di Gotelone, duca della Bassa Lorena, abbate di Montecassino e Cardinale del titolo di S. Gregorio, era eletto Pontefice alla morte di Vittore II. Continuò anche esso l'opera dei predecessori, specialmente attendendo a purgare i costumi del clero e a contrastare il matrimonio tra consanguinei. A Montecassino ripristinò la severità della regola che era andata affievolendosi. Mentre si circondava delle persone più illustri e virtuose del suo tempo, mandava Ildebrando prima a Milano per migliorarvi le condizioni della Chiesa Ambrosiana e poi in Germania presso l'imperatrice Agnese. Recatosi a Firenze, vi moriva tra le braccia di S. Ugone abbate di Cluny, dopo aver pontificato 7 mesi e 27 giorni. Fu sepolto in Santa Reparata. Con Stefano X si chiude la serie di cinque Papi tedeschi che dopo Clemente II erano ascesi alla cattedra di S. Pietro. Prese il nome pontificio di Stefano, dal Santo nel cui giorno fu eletto e così dopo di lui fecero Martino, Leone X e Clemente VI invece, prese il nome del Santo nel cui giorno era nato. Creò S. Pier Damiani Vescovo di Ostia e Cardinale nonostante le sue ripugnanze. Era stato eletto per acclamazione nella chiesa di S. Pietro in Vincoli. Rivolgeva nella mente grandi disegni : la mente principesca di Stefano si rivela chiara nella leggenda Felix Roma che è incisa sopra una delle sue Bolle di piombo. Si dice sia morto logorato da una febbre che la cronaca dice romana, cioè di malaria, ma alcuni dicono di veleno, e un codice Vaticano parla di un certo Giovanni Bracciuto, trasteverino che avrebbe nel suo viaggio a Firenze seguito ut per istrada il Papa e gli avrebbe propinato il veleno. Come il predecessore Vittore 11 morì, a Firenze, e come lui fu sepolto a Santa Reparata. Il Ciaconio riferisce l'epitaffio della sua tomba: epitaffio che comincia col noto verso: « Quod nunc est fuimus, et quod sumus ipse futurus ».

NICCOLO' II - PONT. CLV BORGOGNONE (1059- 1061) Arrigo IV Re (Sec. XI).

GERARDO di Borgogna era Vescovo di Firenze quando fu eletto Pontefice a Siena. Prese il nome di Niccolò II, e prima di andare a Roma in un Concilio tenuto a Sutri, depose l'Antipapa Benedetto X che era stato nominato dalla nobiltà. In un Concilio adunato in Laterano, per evitare il ripetersi di discordie nelle elezioni pontificie, stabilì che ai soli Cardinali, spettasse la elezione del Papa. Recatosi a Montecassino vi creava Cardinale quell'abbate Desiderio, che fu poi Vittore III. Concluse un'alleanza coi Normanni e tenne un Concilio a Melfi ricevendovi Riccardo e Roberto Guiscardo. Cercò di togliere le discordie nella Chiesa Ambrosiana. Recatosi a Firenze vi moriva nel luglio del 1051, dopo un pontificato di 2 anni, 6 mesi e 25 giorni. Fu sepolto a Firenze. L'azione più importante di Niccolò II fu il decreto col quale sottraeva l'elezione del Papa al popolo e al clero, affidandola ai soli Cardinali. Il decreto — riportato anche dal Moroni — è di questo tenore: « Spetterà il diritto di eleggere il Pontefice in primo luogo ai Cardinali Vescovi che godono le prerogative dei oi ai Cardinali preti e diaconi : indi il clero e il popolo ne daranno il consenso, in guisa che i Cardinali ne saranno i promotori, ed il clero e il popolo ne saranno i seguaci ». Questo decreto, che fu creazione della mente di Ildebrando, elevò il collegio dei Cardinali romani a vero senatod ecclesiastico, dal cui seno solamente, col procedere del tempo, dovevano uscire i Papi. Quando fu coronato in S. Pietro, gli fu imposta una tiara ornata di due corone. Giovanni Mincio, che fu dalla nobiltà opposto al Pontefice Niccolò II, prese il nome di Benedetto X. Questo antipapa, dicono i contemporanei, era così ignorante che non solo non sapeva spiegare un salmo, ma non sapeva neppure dire un periodo di qualunque omelia ed il vescovo che lo consacrò appena sapeva leggere. Anche S. Pier Damiani lo credeva tanto balordo ed ignorante che protestava di riconoscerlo per vero Pontefice, s'egli avesse spiegato una sola riga di qualche omelia. Nicolò vien detto dai contemporanei: « Uomo di sveglio ingegno, casto, dotto, pio, zelante, elemosiniero, di forte animo, universalmente gradito, degno dell'altissimo ufficio ». Non passò alcun giorno del suo pontificato che non lavasse i piedi a 12 poveri. Era di tanta purità che nel suo epitaffio si dice: « Intactis nituit membris castoque pudore ». È il terzo dei Papi che di seguito muoiono a Firenze e cioè Vittore II, Stefano X e Nicolò II.

ALESSANDRO II - PONT. CLVI MILANESE (1061 - 1073) Arrigo IV Re (Sec. XI).

ANSELMO da Baggio, presso Milano, era Vescovo di Lucca quando fu eletto Pontefice il primo ottobre 1061. Prese il nome di Alessandro II. Adirata l'imperatrice Agnese di Germania che la elezione fosse fatta senza il suo consenso, in un sinodo da lei radunato a Basilea, faceva eleggere Cadalo Vescovo di Parma che prese il nome di Onorio II II. Subito Alessandro diede a pacificare le varie sedi dell'Alta Italia in contrasto, Per i torbidi suscitatigli in Roma dall'antipapa Onorio II, s'era accampato presso la città Leonina, nei campi di Nerone, dovette rifugiarsi all'antico suo Vescovado di Lucca. Tornato a Roma, in un Concilio di più di 100 Vescovi, condannò i chierici incontinenti e simoniaci. A Mantova, nel 1064, in un altro Concilio, dopo essersi purgato dalle accuse di simonia, condannava e deponeva l'antipapa Onorio II. Fu grande protettore di Montecassino ove consacrò la chiesa erettavi dall'abbate Desiderio. Tenne altri Concilii, e mandò suoi legati in Spagna, per introdurvi la liturgia romana. Dopo un Pontificato di 11 anni, 6 mesi e 21 giorni morì a Roma e fu sepolto al Laterano. Appena eletto, mandò una lettera ai suoi Milanesi, per i quali mostrò sempre grande tenerezza, inviando due suoi legati. Al suo tempo i canonici regolari di S. Agostino, al cui Ordine apparteneva il Pontefice, avevano 4550 monasteri in tutta l'Europa, e 700 nella sola regione di Roma. Anche da Papa conservò il vescovado di Lucca concedendo per distinzione a quei Vescovi di usare nelle funzioni lo zucchetto rosso, come i Cardinali. I romani videro nel suo Pontificato, per le vie della città, quattro grandi cammelli che aveva nel 1063 avuto in dono dal Conte Ruggero, governatore della Sicilia. Ad esso mandò uno stendardo benedetto. Dopo che nel Sinodo di Mantova fu deposto l'antipapa Onorio II, tornato Alessandro a Roma fu nella Basilica Late:rana, a ricordo dei posteri, scritto: Regnat Alexander, Cadalus cadit et superatur. Era l'antipapa Onoro II Cadalo Pallavicini di Parma di così sozza lascivia e sregolatezza che per la sua usurpazione fecero gran festa tutti i simoniaci e concubinari di Lombardia, chiamandosi da lui Cadaloiti. Pubblicò una Costituzione sui gradi -di consanguineità. Contro l'insolente affermazione di Lutero, essere le indulgenze un ritrovato dei medesimi Pontefici per ispogliare i fedeli di danaro e di sostanze, sta un decreto di Alessandro III col quale concedeva l'Indulgenza plenaria ed assoluzione delle colpe delle quali avessero pentimento, a quelli che procurassero di liberare dalle mani degli infedeli, porzione della Sicilia. Concesse ad un laico — ad Urcetislao, duca di Boemia l'uso della mitra. Quest'esempio fu seguito da Lucio II il quale concesse a Ruggero re di Sicilia l'uso del bacolo, anello, dalmatica, mitra e sandali ; da Innocenzo III che concesse la mitra al re d'Aragona Pietro II. Nel '1726 Benedetto XIII conferì al re di Portogallo Giovanni V la dalmatica e l'uso di altri arredi sacri e sacerdotali.

SAN GREGORIO VII - PONT. CLVII DI SOANA (1073 - 1085) Arrigo IV Re, dal 1084 Imp. e Re (Sec. XI).

TOSCANO di Soana, figlio di Bonizo. Fu allevato a Roma ove visse nel tempo dei dieci Pontefici suoi predecessori. Educato dall'àbbate di Santa Maria sull'Aventino ebbe anche per maestro l'arciprete Giovanni Graziano, poi Gregorio VI. SuddiaCono e Cardinale da Leone IX, divenne poi il consigliere dei Pontefici Vittore II, Stefano IX, Nicolò II e Aldro II. Alla morte di questi fu eletto Pontefice. Ordinatoessan in maggio del 1073 veniva consacrato nel seguente giugno, prendendo il nome di Gregorio VII. Partecipata la sua elezione all'imperatore, mise mano a quel programma di rigenerazione cristiana della società, di disciplina ecclesiastica, e di libertà della Sede Apostolica, che lo fa uno dei Papi più illustri e santi. Cominciò la lotta contro i malcostumati Vescovi lombardi e scomunicati cinque ufficiali della corte imperiale, minacciava di scomunica Filippo, re di Francia e altri principi. Ad Enrico IV che, dopo aver protestata ubbidienza figliale al Papa, non obbediva al decreto sulle investiture, Gregorio manda legati per persuaderlo. Ma Enrico non solo non obbedisce, ma non rimane estraneo a una congiura ordita contro il Pontefice. Gregorio intima ad Enrico di presentarsi a Roma ed Enrico prima raduna un Sinodd a Worms nel quale si approva la proposta di deporre il Papa, e poi un concilio a Pavia, nel quale si intima al Pontefice di scendere dal trono. Gregorio, allora lancia la scomunica, sciogliendo i sudditi dal dovere della ubbidienza. Vistosi a mal partito e abbandonato da tutti, Enrico pensa a una riconciliazione e in abito di penitente va al Castello di Canossa. Assolto, non mutò Enrico sentimenti -e dopo aver cercato di attrarre in agguato il Papa, gli opponeva l'antipapa Clemente III. Poi fattosi incoronare re d'Italia mosse contro Roma. La resistenza dei Romani lo obbligò una- prima e seconda volta ad abbandonare l'idea di impadronirsi di Roma. In una terza volta riuscì a penetrare in città, mentre il Papa si chiudeva in Castel S. Angelo, come fece di nuovo quando per la quarta volta Enrico, accompagnato dall'Antipapa entrava in città. Fattosi incoronare imperatore in S. Pietro dall'Antipapa, cinse d'assedio Castel S. Angelo, per avere nelle mani Gregorio, ma avendo saputo che Roberto Guiscardo marciava in soccorso del Papa, si ritirò. Il Papa, liberato dalle armi- normanne, potè uscire dal Castello e recarsi .a S. Giovanni. Gregorio, nuovamente fulminò Enrico con la scomunica e in una enciclica diretta alla cristianità, proclamava la sovranità della Croce, sullo scettro e la corona. Non fidandosi dei romani che gli rimproveravano di aver chiamato il Normanno, si ritirò da prima a Montecassino e poi a Salerno ove morì dopo un Pontificato di 12 anni, l mese e 6 giorni. Le dure lotte che ebbe a sostenere non lo distolsero dalle cure pastorali e il suo Pontificato è uno dei più proficui per la Chiesa. Fu sepolto nella chiesa di S. Matteo in Salerno. Beatificato da Gregorio XIII nel 1584, fu canonizzato da Benedetto XIII nel 1728. Mentre alcuni dicono Ildebrando figlio di un falegname, altri e molti, lo vogliono della nobile famiglia Aldobrandschi di Siena. Essendo ancora novizio a Cluny, l'abbate Ugo, variando il versetto di S. Luca diceva di lui : Iste puer magnus erit corum Domino… Da 25 anni rifiutava il papato ad ogni elezione. Fu eletto nella chiesa di S. Pietro in Vincoli al grido unanime: ade. brando è l'eletto di S. Pietro! Scrivendo Gregorio della sua elezione all'Abbate Desiderio di Montecassino dice : « Tutti come presi da vertigine mi presero e mi portarono al trionfo Pontificio... Sono uscito in lamenti inutili, la mia gola è secca dal gridare. Lo spavento e il terrore mi invadono, le tenebre mi avvolgono da ogni parte ». Partecipò la sua elezione ad Enrico IV di Germania scongiurandolo a non approvarla, perchè egli non avrebbe lasciato impunito i suoi delitti. Era di statura piccolo e piuttosto grasso, ma di movimenti presti i< homuncio exilis staturae, ventre lato, crure curto ». E di tanta energia e fermezza, che S. Pier Damiani lo chiamava : Santo Satana! Lo stesso S. Pier Damiani volgendosi a lui esclamava: « Papam rito colo, sed te prostratus adoro — tu facis hunc dominum, te facit ipse Deum ». Gregorio diceva del Papa che è « cifra Deum, ultra hominem, minor Deo, maior nomine ». Per aumentare il prestigio e l'autorità papale sugli imperatori, fu detto che sul diadema di Nicolo II fece scrivere: « Corona regni de manu Dei, Diadema imperii de manu Petri ». Appena eletto scriveva : « Piuttosto che arrenderci alla malvagità dei principi e precipitar con loro nell'abisso, fino alla morte resisteremo... ». La notte di Natale del 1075 mentre il Papa diceva messa in Santa Maria Maggiore fu da Cencio, agente dell'impera tore e da altri congiurati, strappato all'altare e fatto grigio niero. Ma sollevatosi il popolo a rumore e liberato il Papa questi volle esser ricondotto a S. Maria Maggiore dicendo « Ho lasciato la messa interrotta, e devo finirla ». Risalito, infatti, l'altare, riprese la messa al punto in cui era stato forzato a lasciarla e la portò a termine come se niente fosse accaduto. A Cencio che aveva tentato di ucciderlo, impose per espiazione un pellegrinaggio di penitenza a Gerusalemme. Gregorio è il Papa di Canossa. Dopo tre giorni che Enrico IV, in abito di penitente e a piedi scalzi girava sotto le mura di Canossa, il Papa disse: — Basta così ! — E Io ricevette. Quando il Papa celebrò la messa, prima di comunicarsi giurò sull'ostia consacrata di esser puro da simonia, e invitando il Sovrano se si sentiva pentito, a venire all'altare a comunicarsi, Enrico, spaventato, se ne astenne. Notificando a Rodolfo di Svezia la deposizione di Enrico, si dice gli mandasse la corona con la celebre scritta: « Petra dedit Petro, Petrus diadema Rodulpho ». Ricevette Gregorio VII in donazione dalla Contessa Matilde, che n'era padrona, la Toscana e la Lombardia. Questa donazione fu di poi nel .1102 dalla Contessa confermata a Pasquale II. Decretò che il nome di Papa fosse unico al mondo e spettasse solamente al Sommo Pontefice e nessuno potesse assumerlo. Cacciò da S. Pietro 60 mansionari che dei diversi oratorii e all'altare maggiore, ritenevano, o con violenza si appropriavano, delle oblazioni dei fedeli. Quando Roberto Guiscardo, venne a liberarlo, scoppiò il rovinoso incendio che distrusse gran numero di case. Neppur questo grande Pontefice andò esente dalle calunnie del tempo. Il tedesco Bennone, fatto Cardinale da un Antipapa, racconta che Gregorio era mago e che scuotendo le maniche spargeva nell'aria un nugolo di faville. Allorchè Enrico venne la seconda volta a Roma, assediandola di nuovo, fece incendiare la Basilica Vaticana, Gregorio ordinò ai Romani di non muoversi, spegnendo da solo l'incendio — come dice la tradizione — con un segno di croce. Prima di morire mandò la sua mitria pastorale a 5. Aselmo, Vescovo di Lucca, con la quale quegli operò molti miracoli. Morendo a Salerno disse: .— Ho amato la giustiz odiato l'iniquità, e perciò muoio in esilio. Aveva per motto: Miserationes tuae, Domine, st omnia opera tua. Delle 370 lettere che di lui ci restano, i due terzi combattono la simonia, l'incontinenza e l'ambizione del clero. L'antico sepolcro a Salerno, andò distrutto e nulla si sa dell'epitaffio originale. I resti del Papa furono trovati nel 1575 e deposti in una cappella, decorata, nel duecento, con aff reschi per incarico di Giovanni da Procida. Fu detto che davanti alla sua tomba si provano sentimenti non dissimili a quelli che si provano davanti alla tomba di Napoleone I agli Invalidi : ambedue questi spiriti hanno scosso e trasformato il mondo, Napoleone I un giorno disse: « Se non fossi Napoleone vorrei essere Gregorio VII ».

B. VITTORE III - PONT. CLVIII DI BENEVENTO (1087 - 1987) Arrigo IV Imp. e Re (Sec. XI).

DI un ramo non regnante dei Duchi lombardi di Benevento, Desiderio aveva abbracciato la vita monastica, vincendo le grandi resistenze dei genitori. Passò per vani monasteri, e a Montecassino per le sue virtù e per il suo sapere era stato nominato abbate. Alla morte di Gregorio VII non senza difficoltà si riuscì a fargli accettare il Pontificato. Consacrato in S. Pietro, non sentendosi sicuro in Roma, per le mene dell'antipapa Clemente III, si ritirò a Montecassino, e non tornò a Roma che per le istanze della Contessa Matilde. A Benevento, in un Concilio promulgava vani canoni di disciplina ecclesiastica e rinnovava la 'scomunica contro l'Antipapa. Sentendosi morire, volle essere tra i suoi monaci, e recatosi a Montecassino, vi moriva il 16 settembre 1087. Dopo soli 4 mesi e 26 giorni di Pontificato. Fu condotto alla elezione, per vincere la sua umiltà, con violenza e con violenza gli fu dovuto metter addosso il manto papale. Fu eletto nella chiesa di S. Lucia al Settizonio. Deposti gli abiti pontificali, fuggì a Montecassino, a rinunziare e a riprendere la cocolla, ma lasciandosi poi vincere dalle preghiere dei Cardinali, accondiscese a riassumere le insegne papali. Si dice che fabbricasse presso S. Pietro, il Borgo che da lui prese il nome di « Vittorio». Il Trifemio dice che morì per dissenteria procuratagli dal veleno messogli dentro il calice per tradimento di Enrico IV. Temendo dopo la sua morte uno scisma, esortò mentre moriva i Cardinali ad eleggere Ottone, Vescovo di Ostia, dicendo: « Eleggetelo e ordinatelo Pontefice della Chiesa Romana, e per poterlo fare vi dò tutte le mie veci ». S. Pier Damiani lo chiamò: l'Arcangelo dei monaci. Fu un uomo dei più notevoli del suo tempo e fu annoverato fra i letterati del suo secolo. Era anche abilissimo nel canto sacro. Durante i quattro mesi del suo Pontificato, fu quasi sempre ammalato. Scrivono alcuni che in quei tempi si vedessero molti prodigi perchè gli uccelli domestici, come son le galline, le oche, i palombi, i pavoni se ne fuggirono alle montagne e diventarono selvaggi. I pesci dei fiumi e del mare, in gran parte morirono. Molte città furono talmente scosse da terremoti che la chiesa maggiore di Siracusa, celebrandosi vespro andò giù, ed ammazzò quanti dentro stavano, fuori che due soli, che restarono miracolosamente vivi, il Diacono e il Suddiacono.

B. URBANO II - PONT. CLIX DI REIMS (ORIC. DI CHATILLON) (1088 - 1099) Arrigo IV Imp. e Re — Corrado Il (dal 1093) Re (Sec. XI).

URBANO, chiamato prima Ottone, nato di nobile famiglia circa il 1042 nel castello di Chàtillon nella diocesi di Reims, si dedicò presto agli studi ecclesiastici, entrando poi nel monastero di Cluny. Gregorio VII che conosceva il suo ingegno e le sue virtù lo chiamò presso di sè. Fatto prigioniero da Enrico IV, quando si impossessò di Roma, soffrì duramente un anno. Appena libero, Gregorio lo inviò suo legato in Germania. Eletto nel 1088 nel conclave di Terracina prendeva il, nome di Urbano. Tosto significò al mondo che era quello di Gregorio VII. Per i primi tre anni del Pontificato non potè entrare in Roma, occupata dall'antipapa Clemente III. Con l'aiuto del romano Pierleoni, riuscì a giungere all'isola Tiberina, ma assediatovi dall'Antipapa fu obbligato a soffrire la fame e ogni privazione. Intanto Enrico IV scendeva in Roma. Italia e riponeva l'Antipapa, che n'era stato scacciato, a Riuscito a lasciare l'isola Tiberina Urbano tiene tre Concilii a Melfi, a Troia e a Benevento. Appena potè rie nel Laterano, nel 1094, si diede ad attuare il suo grande ideale, della liberazione della Terra Santa, indicendo la Crociata che andò egli stesso a predicare in Toscana, a Bologna, a Guastalla, a Piacenza, a Cremona, a- Clermont. Altri Sinodi convocò a Tours, a Nimes. Nel 10% essendo tornato a Roma potè convocare un Concilio nel Laterano, recandosi di poi a predicare la Crociata nell'Italia rneridionale, a Capua, Aversa, Benevento, Salerno, Bari. Un altro concilio radunava a Roma, mentre già sentivasi presso la fine. Morì il 29 luglio 1099, avendo governato la Chiesa 1 l anni, 4 mesi e 18 giorni e fu sepolto in S. Pietro. Due volte era stato indicato Pontefice, alla morte di Gregorio VII e alla morte del suo predecessore Vittore 111. Urbano si imponeva per la sua grande statura e per la sua voce straordinaria. È il Papa della prima Crociata : e il suo grido di Dio lo vuole risuonò per tutta l'Europa. Quando a Piacenza, nel marzo del 1095 presenziò il Sinodo, in cui predicò la Crociata, erano presenti 4 mila ecclesiastici e tremila laici, e si dovette, per lo straordinario numero degli intervenuti tenere in aperta campagna. Si narra che il Papa raccogliendo un pugno di arena e lanciandolo verso la cattedrale, dicesse: « Lascio a questa chiesa tante indulgenze in perpetuo, quanti sono i granelli di questa sabbia ». Nel Concilio di Clermont istituì l'Angelus Domini, perché i fedeli pregassero la Vergine Maria per il trionfo delle armate che combattevano contro il Turco. Nel suo viaggio in Francia, essendo a Tours, diede a Fulcone, conte d'Anges, la rosa d'oro ch'egli nella quarta domenica di quaresima aveva portato in mano. E questo è il più antico dono della Rosa d'oro fatto da Pontefici ad un personaggio. Era così fedele alla memoria di Gregorio VII, come gli era stato fedele da vivo, ch'era chiamato: il pedissequo di Gregorio « Gregorii pedissequum ». Ebbe a lottare lungamente e duramente con l'antipapa Clemente III. Mentre stava riparato nell'Isola Tiberina sostenutovi da ierleoni, una satira anonima apparve contro l'impotenza dell'uno e la forzata assenza dalla città dell'altro. E diceva dell'antipapa: « Sì, è vero hai nome Clemente, a clemente non puoi essere non avendo facoltà alcuna di -ssolvere. E tu, ti dici Urbano, mentre sei fuori della città: o ambia nome o sii urbano veramente, cioè vieni nella città ». Durante il suo Pontificato, vi fu una gran peste che fece ìolte vittime, specialmente in Germania. Quattordici giorni prima della sua morte Gerusalemme era stata liberata; ma il Papa non arrivò, per la morte, a conoscere la notizia. Morì nella casa dei Pierleoni, e cioè presso il Teatro di Marcello. Appena morto fu di lui detto : Vivo era luce della città; or morto, è l'eclissi. L'urbe, vivendo Urbano, stette, morendo cadde. Nelle figure dell'Oratorio di Callisto II al Vaticano è il ritratto di Urbano 11 con l'aureola: tuttavia non fu beatificato che nel 1881 da Leone XIII.

PASQUALE II - PONT. CLX DI BLEDA (1099 - 1118) Arrigo IV, Arrigo V (dal 1111) Imp. Corrado II, Arrigo V (fino al 11 II) Re (Sec. XI - XII).

RANIERO, di nobile famiglia nacque a Bleda presso Viterbo. Educato nel monastero di Cluny, era creato poi Cardinale col titolo di San Clemente, da Gregorio VII. Legato di Urbano II in Spagna, sebbene riluttante gli dovette succedere nel Pontificato. Ebbe a lottare contro tre Antipapi : Alberto, Teodorico e Silvestro III. Di grande attività tenne un Concilio a Melfi, quindi celebrato il Natale del 1106, adunava un Concilio a Troyes, nel quale si ristabiliva la libertà delle elezioni e si confermava la condanna delle investiture. Morto Enrico IV, il di lui figlio Enrico V, a capo di un numeroso esercito, venne a Roma per essere incoronato. Il Papa mise per condizione, per inconoronarlo, la rinunzia alle investiture. Persistendo il Papa nella sua richiesta, Enrico V fece prigioniero il Papa e il suo seguito, traducendoli nella Sabina. Dopo 55 giorni di prigionia, temendo il Papa uno scisma e per timore di nuovo spargimento di sangue venne ad un accordo con Enrico V, in seguito al quale, coronava nell'aprile del 1111 l'imperatore, in S. Pietro. Pentitosi il Papa della concessione che gli era stata strappata, voleva rinunciare alla tiara. In un Concilio radunato al Laterano, dichiarava nullo il privilegio strappatogli. Morta la contessa Matilde, Enrico V tornava a Roma, ne scacciava il Papa che si rifugiava prima ad Albano poi a Benevento, ove radunò un Concilio, nel quale condannò l'antipapa Gregorio VIII che aveva di nuovo coronato l'imperatore. Partito l'imperatore da Roma, vi tornava Pasquale, ma per poco, perchè moriva qualche tempo dopo, il 21 gennaio 1118. Aveva governato la Chiesa 18 anni, 5 mesi e 7 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Quando morto Urbano II, ch ensae lo va a lui aveva raccomandato per suo successore, seppe che si pensava a lui come pontefice, si nascose, e fuggì da Roma, ma ritrovato fu condotto in S. Clemente, ove si teneva il Conclave e proclamato al grido : « S. Pietro lo vuole suo successore ». Un monaco, morto Urbano, ebbe una visione sulla durata del Pontificato di Pasquale e disse che sarebbe durato : « Terni, ter quaterni, ternique » che danno appunto 18, quanti furono gli anni del suo Pontificato. La più antica descrizione che abbiamo delle cerimonie che cominciarono ad introdursi nell'elezione, consacraza che si ione, incoronazione e ritorno del Papa in Laterano è quella che si legge nella vita di questo Pontefice, scritta da Pandolfo Pisano suddiacono apostolico. Quando chiese all'imperatore che rinunciasse alle investiture e l'imperatore gli rispose che la Chiesa rinunciasse ai suoi beni temporali, Pasquale disse: — Meglio la Chiesa povera, ma libera, che ricca, ma schiava. Sotto il suo Pontificato nel 1110, fu creato l'Ordine militare dei Cavalieri Ospedalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, poi detti di Rodi e infine del Sacro Ordine di Malta. Soleva dire che quando si vuol rialzare un uomo che è in terra bisogna abbassare se stessi, ma senza perdere l'equilibrio. L'immagine di Pasquale II fu dipinta nell'Oratorio di S. Nicolò al Patriarcio Lateranense, con la corona rotonda intorno al capo, segno di santità e di culto ecclesiastico. E ciò prova quanto fossero ingiuste le voci dei nemici che lo accusarono di eresia per la concessione strappatagli da Enrico V e poi solennemente revocata. Essendo al tempo di Pasquale avvenuti fenomeni ed essendo apparsa una cometa, e dicendo il Vescovo di Firenze che da questi segni doveva credersi che era nato l'Anticristo, il Papa che sapeva queste cose, naturalmente avvenire, aspramente riprese quel Vescovo, condannandone la riprovevole leggerezza.

GELASIO II - PONT. CLXI DI GAETA (1118 - 1119) Arrigo V Imp. e Re (Sec. XII).

GIOVANNI figlio di Crescenzio, duca di Fondi era di Gaeta. Educato a Montecassino, si fece monaco benedettino. Urbano lo creava Cardinale Diacono di S. Maria in Cosmedin e poi Cancelliere della Chiesa, ufficio che esercitò sotto i Pontificati di Vittore III, Urbano II e Pasquale III. Quando fu assunto al trono Pontificio, era già molto avanzato in età ed accettò con riluttanza. Appena eletto, Cencio Frangipani, capo del partito imperiale, assalì il Pontefice e maltrattandolo e percuotendolo lo trascinò prigioniero, ma il popolo guidato da Pierleoni, insorse e 'liberò il Pontefice, che potè fare il suo ingresso al Laterano. Essendo inaspettatamente giunto l'imperatore Enrico V a Roma, Gelasio dovette allontanarsene e, imbarcatosi sul Tevere, sfuggendo all'inseguimento degli imperiali, giunse a Gaeta. Da Capua, intanto, Gelasio scomunicava Enrico V e l'antipapa Gregorio VIII. Tornato a Roma, vedendo nuovamente insidiata la sua vita dal Frangipani, decise di recarsi in Francia. Per Pisa e Genova giunse in Francia, ricevuto coi più grandi onori dal re Luigi VII il Grosso. Ammalato volle esser portato nel monastero di Cluny, ove fu so] pres Cl dalla morte il 20 gennaio 1119. Aveva governato la Chiesa ti anno e 4 giorni. Venne sepolto nel monastero di Cn Nel suo passaggio a Pisa, ove fu accolto con tutti gli (.1, elevava il vescovado a chiesa metropolitana e vi consacrava il celebre Duomo. Le cronache dicono che Gelasio finì « Pleuritico morì( consumptus ». Papa Gelasio è della stessa famiglia dalla quale più tardi Bonifacio VIII. E i due Pontefici di casa Gaetanià s'accostano nella storia, per le violenze e i maltrattamenti di cui furono vittime: l'uno, Gelasio, per le violenze di Cencio Frangipane, l'altro, Bonifacio VIII, per quelle di Nogaret e di Sciarra Colonna. Pochi Papi, come Gelasio, ebbero in così breve Pontifi. cato a soffrire tanto. Era così saggio e prudente che il Papa Pasquale I, antecessore, lo chiamava il bastone della sua vecchiaia. A Cluny, sentendosi morire, si levò le insegne pontificali e messosi il povero saio monacale, con quello volle morire disteso sulla terra.

CALLISTO II - PONT. CLXII DEI CONTI DELLA BORGOGNA (1119 - 1124) Arrigo V Imp. e Re (Sec. XII).

GUIDO, figlio del conte Guglielmo di Borgogna, entrato da giovane nei Benedettini, era nel 1083 promosso all'Arcivescovado di Vienna in Francia. Passando Gelasio 11 per Vienna nel recarsi a Cluny invitò Guido a seguirlo. Appena quel Pontefice fu giunto a Cluny passava di questa vita, e raccoltosi nel Monastero il conclave, il 1° febbraio 1119 fu eletto Guido, il quale ricusò di aderire alla elezione se non fosse stata ratificata dagli altri Cardinali in Roma. Vedendo l’adesione dei prelati di Germania e non dubitando di quella dei romani fu incoronato a Vienna in Francia, prendendo nome e Callisto II. In un Concilio subito tenuto, nel luglio del 1119 a Tolosa, condannava i Manichei : quindi in un grande Sinodo a Reims, al quale intervenne il re e gran numero di prelati, furono promulgati vani canoni riguardanti la simonia e le investiture, rinovandosi la scomunica contro Enrico V e l'antipapa Gregorio VIII. Ristabilita la pace tra il re di Francia e quello di Inghilterra, il 3 giugno .1120 entrava a Roma. Abbattuto l'Antipapa lo mandava in un convento a far penitenza. Nel settembre del 1122, con la Dieta di Worms ebbe termine la questione delle investiture, che aveva agitato la chiesa per 50 anni, mediante un accordo tra l'imperatore e il Papa. A Roma convocò un Concilio Laterano che fu il IX Concilio Ecumenico e il I Concilio Generale di Occidente, assistendovi più di 300 Vescovi ; di ritorno da Benevento, colpito da violento male moriva il 13 dicembre 1124, dopo aver governato la Chiesa 5 anni, 10 mesi e 12 giorni. Fu sepolto al Laterano. Francese, eletto e coronato in Francia. Era parente dell'imperatore di Germania, del re di Inghilterra, della maggior parte dei sovrani allora regnati' zio di Adelaide, regina di Francia. Quando Callisto II nel Concilio di Reims, scomunicò Enrico V e l'antipapa Gregorio VIII furono distribuite 427 candele per altrettanti prelati presenti. Allorchè il Papa pronunziò le parole dell'anatema, le candele furono spente e capovolte, mentre i prelati ripetevano le parole della scomunica. Allorchè dalla Francia venne a Roma, i cittadini romani e le soldatesche, andarono ad incontrarlo a tre giornate di strada. A Roma fu ricevuto sotto archi di trionfo. È la prima memoria di archi trionfali, eretti nei possessi dei Papi. Fece demolire le torri dei Frangipani e di altri tirannel i, sottomise ambiziosi e conti devastatori dei beni della Chiesa. Quando l'antipapa Gregorio fu preso a Sutri, ove si era rinchiuso, fu messo sopra un cammello al rovescio, con la coda tra le mani a modo di briglia e gli fu posta addosso una pelle di montone insanguinata, a rappresentare il Papa cl e cavalca in cappa di scarlatto. Tra la derisione, le sassate e gli improperii della gente fu condotto a Roma. Callisto gli salvò la vita e lo mandò a far penitenza in un convento. Ripristinò acquedotti, fece molti doni d'oro e d'argento alle chiese di Roma e comperò molti poderi che donò a S. Pietro. Avrebbe avuta questa iscrizione al Laterano: « Ecce Coi listus honor patriae, decus imperiale, Burdinum (cioè l'Ani, papa) nequam damnat, pacemque reformat ».

ONORIO II - PONT. CLXIII DI BOLOGNA (FAGNANI) (1124 - 1130) Arrigo V Imp. e Re — Lotario (dal 1125) Re (Sec. XII).

LAMBERTO, di modesta famiglia di Fagnano, presso Imola, dopo aver studiato a Pisa era stato chiamato a Roma da Pasquale II. Fatto prima Cardinale prete di S. Prassede e poi nel 1117 Cardinale Vescovo di Ostia, aveva assistito alle elezioni di Gelasio II e di Callisto II e aveva avuto gran parte nelle Diete di Worms nella pacificazione tra il Papa e l'imperatore. Alla sua elezione si ebbe la contemporanea elezione di Teobaldo E occapecora, ma avendo i due eletti rinunziato, subito fu eletto di nuovo Lamberto che prese il nome di Onorio II. 5. comunicò Ruggero II di Sicilia, depose i patriarchi di Aquileia e di Grado e molto si adoperò per la liberazione di Baldo-vino II, re di Gerusalemme, prigioniero dei Saraceni. Cooperò alla conversione della Pomerania. Riformò la disciplina ecclesiastica opponendosi alle prepotenze di taluni abbati. Pontificò 5 anni, 1 mese e 25 giorni. L'esser Onorio nato di modesta famiglia era macchia agli occhi di coloro che in Callisto avevano pregiato la stirpe principesca. « Io non so, diceva l'abbate di Montecassino ai messi del novello Papa, non so di chi Sua Santità sia figlio, questo solo so, che è nutrito di belle lettere dal capo alle piante ». Il Pontificato di Onorio II è molto occupato da affari politici. Prese la rocca di Fumone e vi fece rinchiudere l'antipapa Gregorio VIII (Bordino) che vi morì. Più tardi nel 12% nella stessa rocca morirà, dopo la sua rinuncia al Papato, S. Celestino V. Prima di morire si fece portare dal Laterano al Convento di S. Gregorio al Celio che era fortemente munito. Da una finestra, presso la quale aveva voluto essere adagiato prima di morire, vide i partiti già azzuffarsi per la sua successione. Poichè morto il Papa non avrebbe potuto essere eletto il successore se prima quegli non fosse sepolto, il cadavere di Onorio, ancor caldo, fu sepolto in una fossa provvisoria nel convento. Poi più tardi fu trasportato al Laterano. Di Onorio II non s'ha in Roma monumento alcuno.

INNOCENZO II - PONT. CLXIV ROMANO (PAPARESCHI) (1130 - 1143) Lotario (dal 1133) Imp. e Re — Lotario III (sino al 1133) Re, Corrado III Re (Sec. XII).

GREGORIO, romano della nobilissima famiglia Guidoni Papareschi, da cui vengono i Mattei, figlio di Giovanni, era ancor gioyane quando fatto Cardinale da Urbano II fu inviato suo legato in Germania e in Francia. Concorse alla elezione di Callisto II e di Onorio II alla cui morte veniva eletto a succedergli. Accettò riluttante il Papato assumendo il nome di Innocenzo II, mentre gli si opponeva Anacleto. Impadronitosi l'Antipapa della Basilica Vaticana e di Castel Sant'Angelo, Innocenzo si vide costretto a fuggire e per Pisa e Genova, recavasi in Francia ricevuto con grande onore da Luigi VI. Riconosciuto da S. Bernardo e dal sinodo di Ekampes. vero Pontefice anche l'Inghilterra e la Spagna, tale lo riconobbero. Si incontrava col re d'Inghilterra Enrico I e col re di Germania Lotario II e nell'ottobre del 1131 a Reims presenziava un Concilio, nel quale scomunicava l'antipapa Anacleto. Accompagnato da S. Bernardo nel .1132 rientrava in Italia; faceva la Pasqua ad Asti e a Piacenza teneva un terzo Concilio. A Pisa nel 1133 si incontrava con Lotario, col quale proseguì insieme per Roma. Al suo ritorno a Roma l'Antipapa si rifugiava in Castel S. Angelo. Il 4 luglio di quell'anno coronava Lotario imperatore e regolava la ere. dità dei beni lasciati dalla Contessa Matilde alla Chiesa, Presto Lotario lasciava Roma e Innocenzo era di nuovo obbligato dall'Antipapa ad abbandonar Roma, ricondottovi poi da Lotario, tornato in Italia. Morto nel 1138 l'Antipapa Anacleto II, i suoi seguaci elessero a successore Vittorio IV, il quale poi, poco dopo, si sottomise al legittimo Pontefice. Nel X Concilio Ecumenico che è il II Generale Laterano, venivano condannati Arnaldo da Brescia e Pietro Abelardo, A Montecassino, sconfitto da Ruggero di Sicilia fu fatto prigioniero, ma pentitosi Ruggero, fu dal Papa perdonato, ricevendo l'investitura del Regno di Sicilia. Essendosi opposto ai Romani che volevano distruggere Tivoli, sorse in Roma una ribellione per la quale addolorato, cessava di vivere il 24 settembre 1143, avendo governato la Chiesa 12 anni, 7 mesi e 9 giorni. Sepolto al Laterano, dopo 7 anni, fu portato a S. Maria in Trastevere. Fu costretto dai Cardinali ad accettare il Pontificato con la minaccia della scomunica. Durante le lotte contro l'antipapa Anacleto fu obbligato a rifugiarsi presso i Frangipane nel Colosseo, ch'era ridotto a fortezza. Dopo di lui un altro Pontefice, Alessandro III, troverà scampo e sicurezza nel Colosseo. Due figure storiche sono nel pontificato di Innocenzo I1, S. Bernardo, validissimo ausilio del Pontefice, e Arnaldo da Brescia, chiamato dal Baronio « il principe di tutti gli eretici politici ». Nel suo Pontificato ha principio il regno di Sicilia e di Puglia che poi prese nome dalla città di Napoli. Sotto il regno di re Ludovico VI il Grosso, si videro cinque Pontefici andare in Francia a cercarvi asilo e furono : Urbano II, Pasquale II, Gelasio II, Callisto II e Innocenzo II. Dopo la sua incoronazione. Lotario baciò i piedi al Papa e condusse la sua mula per alcuni passi; onde credono alcuni ch'egli sia stato il primo imperatore che abbia reso al Papa questo duplice ossequio. Abolì nel 1139 le Agapete. Erano esse donne che si dedicavano per pura carità al servizio degli ecclesiastici. Ma essendo esse col tempo degenerate, credette Innocenzo abolirle nel Concilio Lateranense del 1139. Le Agapete, sono le antenate delle moderne Perpetue. 11 convento delle Tre Fontane, ad aquas Salvias fu da lui fatto costruire e dato ai Cistercensi di S. Bernardo. Era Innocenzo, al dire dei contemporanei: « Immacolato, sobrio, semplice e decoroso nel portamento, provvido nel consiglio, nel conversare benigno, e di quella facondia a cui non fa difetto la parola, nè la prolissità reca fastidio ». L'avvenimento della coronazione di Lotario fu dipinto nelle stanze Lateranensi ove si vede l'imperatore ch'è in atto di ricevere la corona. Sotto una iscrizione: Rex venit ante fores, jurans prius Urbis honores Post homo fit Papae sumit quo dante coronam. Quando Federico Barbarosa venne a Roma per l'incoronazione, il 18 giugno 1155, si dolse di questa iscrizione e Papa Adriano IV gli promise di farla cancellare : il che però non fu fatto.

CELESTINO II - PONT. CLXV TOSCANO DI CITTÀ' DI CASTELLO (1143 - 1144) EX CASTRO TIBERIS » Corrado III Re (Sec. XII).

ERA detto Guido del Castello o anche, per essere considerato uomo di lettere, Maestro Guido dei Castelli. Creato prete Cardinale di S Marco da Onorio II, fu fatto Governatore di Benevento, da Innocenzo II, al quale successe nel 1143 col nome di Celestino Il. Pregato dal re Ludovico VII, tolse l'interdetto ch'era contro quel reame stato lanciato da Innocenzo suo un Pontificato di meno di sei mesi, e pree 13 giorni. Fu sepolto in Laterano. È il primo Pontefice, dice il Platina, che fu eletto senza il concorso del popolo. La scena della assoluzione della Francia dall'interdetto, è così narrata da una cronaca: « Alla presenza di parecchi nobili dei quali suol essere copia in Roma, benignamente si alzò, e con la mano facendo il segno della benedizione alla volta di quel regno, lo assolvette dalla sentenza dell'interdetto, in cui era stato per tre anni ». Da questo Papa cominciano le così dette « Profezie di S. Malachia » arcivescovo di Armagh in Irlanda. Di queste pretese profezie — che, per altro, a titolo di curiosità mettiamo ai Pontefici rispettivi — diciamo espressamente altrove. E’ a Celestino II che risale la più antica menzione della cosidetta « sedia stercoraria ».

LUCIO II - PONT. CLXVI BOLOGNESE (CACCIANIMICI) (1144 - 1145) « 1NIMICUS EXPULSUS » Corrado 111 Re (Secolo XII).

DI nobilissima famiglia bolognese, aveva nome Gherardo. Entrato giovanetto nella vita ecclesiastica fu da Onorio II fatto Cardinale di Santa Croce in Gerusalemme. Legato del Pontefice in Germania era Cancelliere della Chiesa allorchè, dopo morto Celestino II, fu eletto Pontefice assumendo il nome di Lucio II. Ebbe a lottare in Roma contro il partito di Arnaldo da Brescia che voleva che il Papa si spogliasse della sovranità e che desse, nel nipote dell'antipapa Anacleto, un patrizio, con autorità sulle cose di Roma. Avendo invano chiesto l'aiuto dell'imperatore Corrado, cercò egli stesso con la sua milizia, di scacciare dal Campidoglio i ribelli, ma ferito da una sassata e trasportato al Convento di S. Gregorio al Celio, vi moriva poco dopo, avendo governato la Chiesa 11 mesi e 14 giorni. Nel breve tempo aveva, tuttavia, compiuto opere di ministero, mandando legati Apostolici in Francia e in Inghilterra ed edificando parecchi monasteri. Fu sepolto al Laterano. Nelle lotte che dilaniarono il tempo del breve Pontificato cercò Lucio di attrarre a sè la nobiltà. Per ingraziarsela diede ai Frangipane la custodia del Circo Massimo: ed essi devano raccolsero quel monumento entro la rocca che possedevano sul palatino, così oltre al Circo, tennero in loro mano il Colosseo, il Septizonio, gli archi di Tito e di Costantino, ormai muniti di torrioni elevati: « custodiam Circi uobis committimus ». Innocenzo II aveva fatto il cardinale Gherardo Bibliotecario di S. R. Chiesa. Ma da questo cardinale, per quas due secoli, non trovasi più menzione di alcun bibliotecario in forse, come osserva il Tiraboschi, perchè essendo Roma, infelice lo stato di questa biblioteca, non si credeva nè utile nè necessario di affidarne l'amministrazione ed il governo ad alcun cardinale o ad altro ragguardevole prelato. Sembrerebbe che l'intenzione di Lucio, muovendo con le sue milizie contro il ampidoglio, non fosse quella di venir ad una vera e propria battaglia, ma solo, come dice l'Audisio « di disperdere colla mostra della forza e più colla voce i ribelli ». Secondo Goffredo di Viterbo, che scrisse intorno al 1180, il Papa sarebbe stato « lapidibus magnis percussus ». La a notizia che il Papa morisse poco appresso per una sass lanciatagli nel trambusto è generalmente accolta, altri invece parlano di morte naturale e avvenuta per subito morbo. Aveva per motto: « Ostende nobis Domine misericordiam tuam ».

B. EUGENIO III - PONT. CLXVII PISANO (I 145 - 1153) EX MAGNITUDINE MONTIS » Corrado III, Federigo I Re (Secolo XII).

PIETRO Bernardo era di Pisa, o come altri vogliono di Monternagno, e della nobile famiglia Paganelli. Dopo esser stato canonico a Pisa, entrato nell'ordine Cistercense fu abbate prima a Farfa e poi al Monastero delle Tre fontane presso Roma. Di qui fu tratto per esser eletto Pontefice. Per i tumulti suscitati dai fautori di Arnaldo da Brescia, il Papa dovette uscire dalla città e farsi incoronare a Farfa. Da Narni e Civita Castellana si portò a Viterbo ove soggiornò 8 mesi. Sedata la rivoluzione potè tornare a Roma e celebrarvi le feste del Natale. Ma essendo nell'anno seguente, scoppiati nuovi tumulti decise il Papa di recarsi in Francia. Accolto con onore dal re Ludovico VII, dopo essere passato da Parigi per varie città, celebrò un Concilio a Treveri, un altro tenendone nel marzo del 1448 a Reims. In quello stesso anno, tornato in Italia, si fermò a Viterbo e indi a Frascati, sino a che, stabilita la pace con gli Arnaldisti,' potè far ritorno a Roma. Altri tumulti l'obbligarono a lasciar di nuovo Roma, sino a che potè finalmente e con sicurezza rientrare nella città nell'ottobre del 1152. Pio e generoso, fece grandiosi restauri nella Basilica Liberiana. Eugenio governò la Chiesa, 8 anni, 4 mesi e 10 giorni, morendo a Tivoli nel luglio del 1153. Fu sepolto nel Vaticano. Fu tratto a viva forza dal suo convento delle Tre Fontane. E poichè era semplice, lo stesso S. Bernardo fu perplesso alla elezione del suo discepolo. Al Pontefice il Santo dice : « Dabit tibi Dominus intellectum ». E ai Cardinali : Che faceste ? Cavaste dalla sepoltura un uomo per metterlo tra gli uomini Il santo Abbate dedicò a lui il celebre tratto De Consideratione, opera chiamata il manuale dei Papi e dei Re. La prima volta che celebrò in S. Pietro lasciò tutti i paramenti e gli ornamenti adoperati nel sacrificio in dono alla Basilica : e ogni volta che vi celebrava, sempre donava qualche arredo prezioso. Nello stesso anno della sua elezione approvò definitivamente l'Ordine Militare di S. Giovanni di Gerusalemme, volgarmente detto di Malta. Lamentava le angustie che gli conveniva sopportare e con le parole di S. Bernardo deplorava che in Roma il Pastore fosse destinato a pascere non già le agnelle di S. Pietro, ma lupi, draghi e scorpioni. In quelle divisioni di parte persino la Basilica di S. Pietro era ridotta a fortezza : con propugnacoli e strumenti di guerra. Rifiutò di ammettere alla sua corte i giovani che troppo custodivano la chioma, portando i capelli arricciati. Essendo, al suo tempo, Ostia venuta a mancare di abitanti e cessando di essere città, unì quel Vescovado a quello di Velletri. Ad istanza di Graziano, monaco benedettino a Bologna, stabilì nelle accademie, i gradi di bacelliere, licenziato e dottorato nei decreti ecc., con diversi privilegi per animare la gioventù allo studio del diritto canonico. Portava sempre una tonaca di lana e sulla carne il e dormiva sulla terra. Fabbricò un palazzo vicino al Vaticano che si crede dice il Moroni — « il principio di quella vastissima macchia numerosa corte ». che oggi serve di abitazione a' Pontefici ed a tutta la lor A proposito del palazzo papale eretto presso il Vaticano rileva il Novaes che « Sebbene sin dai tempi remoti vi foss presso la basilica Vaticana decente abitazione, per i Papi, ristorata ed ampliata da Gregorio IV, doe ancora al di loro si dice facesse qualche volta dimora,v tuttavia non sicuno ha certa notizia se non di Eugenio III, il quale ordinasse per dov'esso soggiornava ». primo di por mano alla costruzione di un palazzo al Vaticano Convien credere che annessa alla basilica Ostiense di S. Paolo vi fosse un'altra confortevole abitazione per i Papi, perchè si sa che in essa morì Paolo I. Anche presso la basilica Liberiana vi era un'ampio palazzo Pontificio in cui abitarono Nicolò IV, Martino V, Nicolò V, Callisto III e Sistò IV. Vicino al Pantheon Anastasio IV fece edificare un palazzo in cui soleva riceven Onorio III e Onorio IV abitarono accanto alla chiesa di , Nicolò IV presso S. Prassede, Nicolò V vicino alla chiesa di S. Pudenziana, Martino V nel palazzo annesso alla basilica dei SS. XII Apostoli fatto da lui edificare e da altri Pontefici poi abitato. Eugenio IV presso S. Grisogono e nel palazzo annesso a S. Maria in Trastevere. Paolo II edificò il gran palazzo adiacente alla basilica di S. Marco dove anche soggiornarono parecchi suoi successori. Il palazzo uirinale incominciato, come si crede, da Paolo III, accresciutoQ da Gregorio XIII e perfezionato da Paolo V, è servito nei tempi postazione estiva. Anche affrontò per primo l'idea di una villeggiatura papale e fece costruire un palazzo a Segni e vi andarono poi a villeggiare anche i Pontefici Innocenzo III e Onorio III. A S. Maria Maggiore rifece il portico, ornandolo di mosaici, ora mutilati e chiusi dalle goffe arcate della loggia eretta per la benedizione papale, sotto Benedetto XIV nel 1743. Sul portico stesso leggevansi dei versi che oggi murati in una parete dell'andito presso la sacrestia. Nel suo ritorno trionfale a Roma per la prima volta si vede riferito l'uso introdotto dagli ebrei di presentare al Papa la legge Mosaica. Ugone, Vescovo di Ostia, chiama Eugenio « ornamento della Chiesa, padre della Giustizia, amatore e protettore della religione ». La tomba di questo Pontefice fu illustrata da mizacoli e Pio 1X nel 1872 approvava il culto con il quale i Pisani venerarono il loro grande concittadino.

ANASTASIO IV -PONT. CLXVIII ROMANO (1153 - 1154) « ABBAS SLIBURRANUS Federigo I Re (Secolo XII).

ROMANO , figlio di Benedetto aveva nome Corrado, era stato fatto Cardinale da Onorio II. Alla morte di Eugenio III fu eletto a succedergli essendo di santità e di prudenza. Era stato vicario in Italia del Papa Innocenzo III, quando questi aveva dovuto rifugiarsi in Francia. Visse tranquillo in Roma nel tempo del suo breve pontificato che durò I anno, quattro mesi, e 24 giorni. Fu sepolto nella Basilica Lateranense. Era detto « Corrado di Suburra » dalla regione di Roma ove abitava. Era nipote di Onorio II. Fu fatto Papa in età avanzata. Nello stesso anno della sua elezione moriva S. Bernardo di Chiaravalle. Colpita Roma da una grande carestia egli fu di Roma e l'apostolo della carità ». Concesse ai Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, di possedere quanto ad essi venisse dato per il mantenimento dei pellegrini. Fece fabbricare un nuovo palazzo presso il Pantheon. Anastasio si fece seppellire nel sarcofago di porfido, che tolto al mausoleo dell'imperatrice Elena presso la Via Lahicana, s'era fatto preparare nel Laterano. Pio VI tolto il sarcofago dal chiostro del Laterano lo fece restaurare e collocare nel Museo Vaticano ove oggi si ammira. Era venerando per la sua canutezza, versatissimo giure civile e canonico e di somma prudenza.

ADRIANO IV - PONT. CLXIX INGLESE (BREAKSPEAR) (1154 - 1159) DE RURE ALBO » Federigo I Imp. e Re (Sec. XII).

ERA nato di povera e bassa condizione in Langleyae, presso il convento di S. Albano e si chiamava Nicolò Breakspear. Passato in Francia per studiare, fu prima al servizio dei canonici regolari del monastero di San Rufo presso Avignone, poi religioso e infine generale di questo Ordine. Fatto Cardinale Vescovo di Albano da Eugenio III fu nominato, dallo stesso Pontefice legato in Danimarca, Svezia e Norvegia ed ebbe il merito di confermare nella fede quelle popolazioni. Fu eletto Pontefice all'unanimità, prendendo il nome di Adriano IV. Subito si adoperò per far cessare lo scandalo di Arnaldo da Brescia ed essendosi, per opera di questi sollevati i cittadini, ed avendo ferito nella sommossa il Cardinale Gherardo, il Papa sottopose Roma all'interdetto. L'anno appresso 1155 avvenne l'incontro con Federico Barbarossa, che si recava a Roma per farsi incoronare. A Sutri si incontrò Adriano coll'imperatore, col quale entrò in Roma, coronandolo il 18 giugno 1 155 nella Basilica Vaticana. Intanto Arnaldo da Brescia veniva imprigionato e consegnato. al Prefetto di Roma e dopo processo, condannato al rogo. Scomunicò il figlio di Ruggero re di Sicilie e Guglielmo che commetteva ostilità nel regno di Napoli. Essendo il Papa da lui assediato a Benevento, fu obbligato a concedergli diritti di investitura, che furono poi da Innocenzo III dichiarati nulli, perchè estorti per forza. Fatali dissensi nacquero tra l'imperatore e il Papa per la concessione fatta da questi del titolo di re delle due Sicilie a Guglielmo, figlio di Ruggero. Autorizzò Enrico II, re d'Inghilterra ad occupare l'Irlanda, per consolidarvi la fede. Morì in Anagni il .1° settembre, dopo aver pontificato 4 anni, 8 mesi e 20 giorni. Venne sepolto in S. Pietro. È il primo e solo Papa inglese, e è il Papa di Arnaldo da Brescia che sotto il suo Pontificatod fu arso e di Federico Barbarossa, che incoronò in S. Pietro. ll suo cognome Breakspar vuol dire « spezza lancia ». Infatti sottomise Barbarossa e imperatore e riprese Roma che Arnaldo da Brescia aveva resa ribelle. Quando ancora era monaco nel monastero di S. Ruf o presso Avignone, fu accusato al Papa Eugenio III. Questi, dopo aver sentito gli accusatori e l'accusato esclamò: Ora capisco dove il divolo tiene la coda: ubi sedes sit Sathanae. «V oi andate eda io mi terrò il vostro abbate ». E lo fece Cardinale. Fu il primo Papa che soggiornò ad Orvieto, ove eresse fabbriche e fece una convenzione con gli orvietani. Sottopose Roma all'interdetto: castigo non mai per l'ad-dietro provato dalla città; e perciò cessarono i divini uffici sino a che le autorità non gli fecero atto di sottomissione. A Sutri avvenne il famoso incidente, perchè avendogli l'imperatore negato di tenergli la staffa, il Papa gli negò il bacio della pace: ma infine, anche per consiglio dei suoi, il sovrano gli rese il dovuto omaggio. Circa l'ossequio di reverenza prima negato, poi compiuto da Federico ad Adriano di tenergli la staffa si può ricordare che questo ossequio resero il re Pipino a Stefano II in Francia nel 753, Ludovico II Augusto a Nicola I e per ben tre volte ad Adriano II nell'857. Corrado re dei Romani ad Urbano II in Cremona nel 1095, Guglielmo duca di Calabria e Puglia a Callisto II in Troia di Napoli nel 1120, Lotario imperatore ad Innocenzo II nel 1131, Federico imperatore nel 1162, Lu- dovico VII re di Francia nel 1163 ed Arrigo re d'Inghilterra nel 1177, tutti e tre ad Alessandro III, OttIIIone IV imperatore ad Innocenzo III allorchè fu da lui coronato nel 1209. Carlo II re di Napoli ed Andrea re d'Ungheria a Celestino V, procedendo tutti e due alle redini del giumento sopra cui cavalcava il Pontefice, entrando in Aquila per esservi coronato nel 1294. Filippo il Bello re di Francia con Carlo di Valois suo fratello, a Clemente V nell'entrare coronato a Lione nel 1305, Giovanni duca di Normandia e futuro erede del reame di Francia a Clemente VI ad Avignone nel 1342, Carlo IV imperatore ad Urbano V nel 1368, Carlo III re di Sicilia indossando il manto regale ad Urbano VI nel 1383, Sigismondo re dei Romani a Martino V nel 1418 e poi ad Eugenio IV, dopo che fu coronato imperatore, nel 1433. Fe dorico III re dei Romani a Nicolò V nel 1452, e finalmente Carlo V imperatore a Clemente VII in Bologna nel 1530. Diceva che nessuno .è più da compassionare del Pontefice romano: tutta la sua felicità è l'amarezza : la cattedra di San Pietro è circondata da pungoli ed il peso è tale che opprime gli omeri più robusti. Anche era solito dire: a In incudine et malleo semper dilatavit me Dominus ». Lamentavasi della avarizia e della cupidigia dei romani de' quali già diceasi : « Romae Deus non est trinus, sed quattrinus ». A Roma il dio non è trino, ma quattrino. Fu di esemplarissima vita, di sublime intendimento fermezza d'animo: tardo alla collera, veloce al perdono gran limosiniere. Nella prima camera dell'Archivio segreto in Vaticano un affresco, rappresenta Adriano che dona in feudo il regno di Ibernia ad Enricod II. con la iscrizione: « Hadrianus IV Pont. li ae Regi Hibernia Regnum sub Ce su conceda ». Morendo raccomandò sua madre vecchia e povera alle elemosine della chiesa di Cantorbery. E’ favola che morisse per aver inghiottito una mosca : infatti si sa che morì di angina. Fu sepolto in un'urna antica di granito rosso. Nel 1607 apertosi il sepolcro fu trovato incorrotto, vestito con paramenti neri. Nel 1924 la R. Società Norvegica delle Scienze fece apporre accanto al sarcofago una tavola di marmo con una Iscrizione commemorativa.

ALESSANDRO III PONT. CLXX SENESE (BANDINELL1) (1159 - 1181) « EX ANSERE CUSTODE » Federigo I Imp. e Re (Sec. XII).

ROLANDO Bandinelli di Siena Canonico a Pisa, professo all'università di Bologna, canonico a Pisa, professore all’università di Bologna, canonico della Chiesa Lateranense, da Eugenio III era creato Cancelliere della Chiesa e poi Cardinale dei SS. Cosma e Damiano, passando infine a S. Marco. Alla morte di Adriano IV veniva eletto a succedergli, mentre tosto gli si opponeva l'antipapa Vittore IV. Incoronato a Ninfa, subito diresse una lettera enciclica ai Vescovi delle Chiese principali, significando la sua elezione e dicendo della intrusione di Vittore. Avendo Federico Barbarossa, in un conciliabolo tenuto a Pavia, riconosciuto Vittore IV, il Papa lo fulminò di scomunica. Tornato a Roma, poco potè restarvi, onde imbarcatosi a Terracina si recò in Francia. A Parigi fu incontrato dal re Luigi VII con ogni segno di venerazione. Nel 1163 tenne un gran Sinodo a Tours nel quale fu condannata l'eresia degli Albigesi che invadeva Tolosa e la Guascogna. Da Sens nel 1165 tornava a Roma: ma appena giuntovi fu assediato da Federico Barbarossa. Riuscito a fuggire, si recò a Benevento e scomunicava di nuovo Barbarossa che aveva fatto incoronare sua moglie Beatrice dall'antipapa Pasquale III in S. Pietro. In quel tempo sorgeva la città di Alessandria e avveniva la battaglia di Legnano. Dopo la sconfitta di Legnano, Barbarossa cercò di pacificarsi col Papa e in un convegno a Venezia, il Papa perdonava all'imperatore e gli dava l'assoluzione. Tornato a Roma vi celebrava il 111 Concilio Latera nense (IX Generale) assistendovi 302 Vescovi. Costretto dalle fazioni ad uscir da Roma, moriva a Civita Castellana il 30 agosto 1181, avendo pontificato 21 armi, 11 mesi e 21 giorni. Fu sepolto in S. Giovanni in Laterano. S. Bernardo gli aveva predetto il Pontificato. Durante l'elezione avvenne nel conclave una scena comica. Perchè essendo stato eletto dalla maggioranza il Bandinelli, mentre gli mettevano addosso il mantello di porpora, il Cardinale Ottaviano l'antipapa Vittore IV — glielo strappava. Accorso un servo a por gella furia di metterselo ere un altro mantello, anche questo Ottaviano strappava e nella addosso, se lo metteva al rovescio, tra le risate e i clamori dei Cardinali. Ai messi dell'imperatore rispose: Io devo chiamare, e non esser chiamato: io devo giudicare e non esser giudicato. « Ego vocare debeo, non vocari, ego iudicare debeo, non indicari ». Intorno al famoso convegno di Venezia — 1° agosto 1177 — si racconta il noto aneddoto che, cioè, mentre l'imperatore prestava lo stabilito atto di omaggio, il Papa dicesse, ripetendo le parole del Salmista: « Super aspidem et basi-ripe ambulabis et conculcabis leonem et draconem ». Ed alla risposta dell'imperatore: « Non tibi, sed Petro il Papa, di rimando, avrebbe risposto : « Et mihi et Petro ». Questo racconto non è dai più accettato. Per quanto poi riguarda l'aspide, Cancellieri racconta che « nella Basilica Lateranense, nel mezzo della tribuna ov'è l'altare dei canonici, sia collocata una cattedra di marmo, sostrapposta a sei scalini, nell'ultimo dei quali erano intagliate le figure di un aspide, di un basilisco, di un leone e di un drago. Sopra tale sedia si leggevano i seguenti versi : Haec est papalis sedis et pontificalis — Presidet et Christi de iure vicarius isti — et quia iure datul — sedes romana vocatur nec debet vere nisi solus papc sedere — Et quia sublimis — aliis subduntur in imis ». Nel convegno di Venezia, Alessandro regalò al Doge un anello col quale egli e i suoi successori, nella festa dell'Ascensione sposassero l'Adriatico, come segno di dominio su quel mare : gli diede la Rosa d'oro e gli concesse di portare, nei giorni di festa, la spada nuda a sè davanti. Correndo pericolo la nobilissima famiglia Giustiniani di Venezia di estinguersi, poichè gli uomini erano morti in una spedizione contro i Saraceni, Alessandro, non volendo che questa restasse estinta, dispensò ne' voti e nella professione religiosa il Beato Nicolò Giustiniani, monaco sacerdote Benedettino, il quale avendo così sposata Anna Vitale, figlia del Doge Michele, dalla quale ebbe cinque figli — tra i quali Bernardo che fu padre di San Lorenzo Giustiniani — e tre figlie, non essendo più necessario nel mondo, mentre aveva così bene assicurata la sua discendenza, ritornò al suo monastero ove morì santamente. Ritornando dal convegno di Venezia, dopo la pace con Federico, gli anconetani presentarono due ombrelli : uno per il Papa e l'altro per l'imperatore. Allora il Papa disse: Un terzo se ne prepari per il Doge veneto, cui meritamente compete, perchè egli avendoci liberati dal fragor della guerra, ci pose nel refrigerio della pace: e vogliamo che i Dogi ne facciano uso nelle solennità. Quando Alessandro III fece il suo ingresso di ritorno, i primi Magistrati di Roma donarono al Papa alcune trombe d'argento e otto stendardi di varii colori. Ed il Papa li regalò al Doge di Venezia Ziani, acciocchè li portasse innanzi nelle feste solenni ed obbligando a questo tutti i Dogi susseguenti. La prima idea delle processioni solenni per il ritorno a Roma dei Pontefici si introdusse con Eugenio III. Si vede più chiaramente espressa nella vita di Alessandro III per la terza che fu una serie di travagli e di pericoli. Quando tornò volta in Roma da Anagni « il clero e il popolo e tutta Roma uscì a preparargli l'incontro. Gli archi, le tende, le pitture e i rami d'alloro e di ulivo erano le minime espressioni del loro amore e della loro allegrezza ». Nel suo itinerario, il famoso viaggiatore Rabbi Beniamino narra che il Papa Alessandro III aveva per suo Maestro di Casa un ebreo. Riservò, con un decreto, ai soli Cardinali la elezione del Papa : il quale per essere eletto doveva ottenere i due terzi dei voti. Riservò al Pontefice il diritto della canonizzazione. Punì con la sospensione di un anno intero, un sacerdote che si era servito di un indovino per scoprire un furto avvenuto nella sua chiesa. Quando si recò a Parigi donò a quel re, Luigi VII, la Rosa d'oro e pose la prima pietra di Notre-Darne che non venne terminata che 200 anni più tardi. Parlando il Novaes della approvazione fatta da Alessandro dell'Ordine dei Certosini, dice che quest'Ordine ha anche alcuni monasteri di monache. In uno di questi, quello di Premol, le monache, dopo 10 anni di professione, sono consacrate dal Vescovo di Grenoble che dà loro il Manipolo ed il diritto di cantare epistola nella Messa. Stabilì che se un Vescovo ordinava un diacono o un sacerdote, senza mezzi bastanti alla sua sussistenza, fosse tenuto il Vescovo a somministrarglieli. Durante il suo pontificato si concluse il Patto di Pontida e la conseguente vittoria di Legnano (29 maggio 1176) che Balbo chiama « la pù bella battaglia di nostra storia ». Al suo nome le città confederate della Lombardia, nel 1168 fabbricarono la città di Alessandria presso il Tanaro. Gli imperiali la chiamarono: della paglia, perchè essendo stata fabbricata in fretta, le case avevano i tetti di paglia. Uomo di virtù indomita, Alessandro trionfò dell'imperatore, di 4 Antipapi e delle fazioni di Roma. La scena della riconciliazione tra il Papa e l'imperatore è rappresentata dal Vasari nella Sala Regia al Vaticano e dallo Zuccari nel palazzo Ducale di Venezia. Alessandro III deve essere considerato una delle glorie d'Italia che salvò dal cesarismo tedesco ed a cui conservò le libertà comunali. Lo stesso Voltaire lo dice: « sostenitore delle ragioni dei popoli, vindice delle colpe dei re, benemerito del genere umano ».

CRONOLOGIA DEI PONTEFICI DA S. PIETRO AD ALESSANDRO 111 IN VERSI ANTICHI

Sembrami di saper fino a dì nostri I passati Pontefici, dirollo. Fu prima Pietro al gran Papato assunto; E con lui Lino, Cleto, e poi Clemente; Nè si sa, se fu Quarto o pur Secondo, Poi Anacleto, indi Evaristo e poi Alessandro, e a lui succede Sisto. Indi il greco Thelesforo vi ha loco, Segue poi Iginio, e Aniceto, e Pio, Sotero, e Eleuthero, e poi Vittore, E Theforino, e '1 martire Calisto. Vengono dopo questi Urbano e Marco, Ponziano, e A ntero, e Fabiano. E con Cornelio viene Lucio primo : Stefano è Papa poi, Sisto e Dionigio, Un romano Felice, e Eutichiano, E dopo loro un Caio, e Marcellino, Marcello, Eusebio, Milciade e Silvestro, E Marco, e Giulio, e Liberio, e Felice, e Damaso che fu del clero un specchio. Va' Liberio in esilio e gli succede Felice, che al martirio è tratto, e morto, Onde è Liberio rivocato, e a lui Il buon Damaso poi succede, come Gieronimo alla sua cronica scrive. Viene poi Siricio, e poi segue Anastasio. A cui succede poi Papa Innocenti°. Zosimo, Bonifacio, e Celestino, Sisto, e Leon così eloquente e dotto. Segue Hilario, Simplício e Felice. Pelagio, e Anastasio e dopo questi Simmacho, Ormisda, e 'I buon Giovanni Papa, Agapito, Silverio, e poi Vigilio, E dopo lui Pelagio, indi Giovanni, Benedetto, Pelagio e 'l buon Gregorio, Che fu lucerna della Chiesa Santa. Indi Sabiniano in Bleda nato, E un dopo l'altro poi due Bonifacii E Deodato, e Bonifacio Quinto; Honorio, Severino e quel Giovanni, Che è fra i beati; Theodoro, e Martiino Che, come leggo, hebbe contrari A questi aggiunge Eugenio, e Vitaliano, Deodato con Domno, e '1 Siciliano. Agathone, e Leon Papa Secondo. Benedetto, Giovan, Conone e Sergio, Giovanni Sesto, e del medesmo nome un altro, che fe' Roma, alma e gioconda. Sisimo di Giovan nato in Soria. Vien Costantino poi, vien Gregorio. A cui il terzo Gregorio e Zaccaria, Stefano e Paolo,Costantino segue. Un altro Stefano anco e Adriano; Un Leon terzo e poi Stefano quarto; Pascale, Eugenio e Valentino Papa. Gregorio quarto e Sergio e Leon quarto. Benedetto, Nicola e Adriano, Giovanni ottavo di sì gran dottrina. Martino ch'ebbe sì pochi anni il manto. Poi Adriano, e di Adrian figliuolo Stefano quinto e dopo di lui Formoso. Indi ebbe Bonifacio il manto greve. Stefano sesto poi, indi Romano, Cui Teodoro, e dopo, lui successe. Giovanni nono, Benedetto e Leo. E Cristoforo, e Sergio e Anastasio. Lando, Giovanni decimo e Leone. E Stefano, e Giovanni un altro Leo, Dopo il qual segue Stefano e Marino, Agapito, Giovanni e Benedetto Chiamato quinto, e un Leon con lui. Giovanni appresso, Benedetto e Donino E Bonifacio, e un altro Benedetto E dopo lor Giovanni quartodecimo. E del medesmo nome altri due tali. Gregorio quinto, e poi pure un Giovanni, Silvestro, e due Giovanni l'un dopo l'altro. A questi Sergio quarto, e Benedetto, E Giovanni vigesimo van dietro. E un altro Benedetto; e a quel Giovanni E di decimonono il nome diero. Silvestro segue con Gregorio poi E con Clemente, Damaso e Leone; A cui succede poi Vittor secondo, Stefano nono, e Benedetto decimo. Con questi va Nicola, ed Alessandro. E Gregorio, Vittore e '1 buon Urbano, E Pascale, Gelasio indi Calisto. Honorio poi che ornò il luogo di Pietro. E dopo lui Innoeenzio e Celestino. E Lucio, che perchè degno di lui Non era il mondo ci fu tosto tolto. Eugenio terzo, e poi il quarto A nastasio, e Alessandro, il quale Degno è, che in ogni età viva il suo nome. - Vi è anche una cronologia dei Pontefici in versi latini, vuta a Guglielmo di Burs che la pubblicò nel 1575. nella a: « Romanorum Pontificurn brevis notitiaNovaes agunse i versi riguardanti Innocenzo XI ed i Pontefici del xvin colo. La cronologia fu poi completata arrivando sino a Pio IX. Pio VII aveva appreso nella sua gioventù questi versi el Burs e qualche volta, anche da Papa, si compiaceva di recitarli. Una volta che li recitò, arrivato a Pio VI disse: « Dio non ci permette di sapere ciò che si dia di noi dopo di noi ! ».

LUCIO III - PONT. CLXXI DI LUCCA (ALLUCINGOLI) ( 1 181 - 1185) « LUX IN OSTIO » Federigo I Imp. e Re (Sec. XII).

UBALDO Allucingoli nato Lucca, aveva avuto importanti uffici da Innocenzo II, da Eugenio II e da Alessandro III, che lo aveva incaricato di ambasciate presso l'imperatore Federico Barbarossa. Quando fu eletto il primo settembre 1181 Velletri era già in età avanzata. A Velletri ricevette gli ambasciatori di Guglielmo, re di Scozia, al quale il Papa tolse la scomunica che aveva avuta da Alessandro III A Roma poco potè risiedere per le continue turbolenze delle fazioni. A Segni canonizzò S. Brunone, che era stato Vescovo di quella Diocesi. Tornato a Roma è di nuovo obbligato ad allontanarsene, andò a Bologna, ove consacrò quella cattedrale, quindi a Verona ove convocava un Concilio. Mentre si acuiva il suo dissidio con l'imperatore per il rifiuto opposto dal Papa, a incoronare il figlio Enrico, moriva il 25 novembre 1185, dopo 4 anni, 2 mesi e 18 giorni di Pontificato. Fu sepolto nel Duomo di Verona. Fu eletto dopo un giorno di sede vacante: e fu eletto senza dubbio secondo il nuovo canone del concilio Lateranense del 1179, in cui fu stabilito che per essere eletto, occorrevano i due terzi dei voti. L'avvenimento della elezione a Velletri è testimoniato da storici e da due tra i più attendibili cronisti contemporanei, o quasi, Giovanni da C eccano e un monaco Cassinese. Ve ri'è pubblico ricordo nella Cattedralenella iscrizione ricor- dante la visita fattavi da Pio IX nel 1870. Neppure la tradizione locale dice ove il Papa abitasse nella sua lunga residenza a Velletri: ma è lecito congetturare che residenza pontificia di Lucio III fosse la medesima, che egli aveva mentre era Vescovo, l'antico episcopio del quale non si ha alcun avanzo. La rabbia degli eretici, che egli condannò nel Concilio di Verona, lo paragonò in uno sciocco epigramma al pesce luccio, detto latinamente « lucius », per dire che essendo quel pesce il tiranno delle acque, il Papa gli rassomigliò nel nome e nel carattere. In una delle due promozioni che fece, avendo creato cardinale Simeone Paltinieri di Padova, questi, per gratitudine verso Lucio che lo aveva nominato, lasciato il cigno che aveva nel suo stemma vi mise invece un pesce lucio, onde la gente lo chiamava: « Il Cardinale del Pesce ». Sulla sua tomba a Verona fu posto questo strano epitaffio : « Luci, Luca tibi dedít ortum, Pontificatum, Ostia, — Papatum Roma — Verona mori -- Immo Verona dedit verum tibi vivere, Roma — Exiliurn, curas Ostia, Luca mor Diei— Obiit S. Pater D.D. Lucius Papa III — A. MCLXXXV XXV Novembris ». Nel xv secolo le sue spoglie furono trasportate nella nuova fabbrica della Cattedrale e gli fu posta sul sepolcro un'altra iscrizione.

URBANO III - PONT. CLXXII DI MILANO (CRIVELLI) (1185 - 1187) « SUS IN CRIBRO » Federico I Imp. e Re — Arrigo IV Re (Sec. XII).

UBERTO Crivelli di nobile famiglia milanese, aveva fatto gli studi a Bologna, era stato Arcivescovo di Bourges e poi nominato Cardinale da Alessandro III. A Verona ove era morto Papa Lucio III, venne eletto Pontefice ed accettando, ritenne l'Arcivescovado al quale prima di essere Papa era pervenuto. Risiedette a Verona. Ebbe molti contrasti con l'imperatore Federico Barbarossa per il rifiuto oppostoli di incoronare il di lui figlio Enrico e per altre ragioni di carattere politico ed ecclesiastico. Continuò la lotta per la indipendenza dini nella Terra Santa. Mentre si recava a Venezia per allestire una flotta da mandare in Siria, infermatosi a Ferrara vi moriva il 19 ottobre 1 187 dopo un anno, 10 mesi e 25 giorni di Pontificato. Fu sepolto a Ferrara. Urbano III è un Papa che non venne mai a Roma. zio del futuro Celestino IV. I cronisti del tempo dicono che era di « meste sembianze )›. Quando mandò il Cardinale Ottaviano Conti suo legato, a incoronare re d'Irlanda Giovanni « Senza terra », gli inviò in dono una elegante corona regale, formata di penne di pavone, intrecciate d'oro. Causa 'della morte si vuole sia stato il dolore acerbissimo provato alla notizia della caduta di Gerusalemme e dell'eccidio dei cristiani fatto dal terribile Saladino. I Ferraresi gli fecero solenni esequie per sette giorni con magnificenza singolare e con pompa di lumi. In Urbano‘III si rileva l'incontro storico con il suo predecessore Urbano II. Iniziata da Papa Urbano II la prima crociata, la Città Santa venne liberata dal dominio mussulmano. Dopo 100 anni soltanto quel regno finì sotto il pontificato di Urbano III. Di lui fu detto che anche nel breve Pontificato, « onorò la S. Sede, per la varietà del suo sapore, per la potenza della parola, per la vita irreprensibile ».

GREGORIO VIII - PONT. CLXXIII DI BENEVENTO (MORRA) (1187 - 1187) « ENSIS LAURENT!! » Federico I Imp. e Re — Arrigo IV Re (Sec. XII).

ALBERTO Morra, di nobile miglia di Benevento, morte di Urbano III era eh Pontefice a Ferrara. S'era da giovane disti] per virtù e sapere e da Adr no IV era stato fatto cardinal di S. Adriano e poi di S. Lo renzo in Lucina. Il suo Ponti ficato di I mese e 27 giorni è illustrato dalla Bolla con la quale esortava i principi e i popoli dell'Occidente a prendere le armi contro i Mussulmani per la liberazione Terra Santa e la difesa dell'Oriente cristiano, Mentre a Pisa cercava di pacificare le dissenzioni di quella repubblica con quella di Genova, moriva il '17 dicembre 1187. Fu sepolto t nel Duomo di Pisa. Nel conclave subito tenuto a Ferrara, appena avvenuta la morte del Papa Urbano, era eletto il B. Enrico di Castel Marsiaco, monaco di Chiaravalle e Vescovo di Albano: ma egli. ringraziando i Cardinali subitamente rinunziò, indicando il Cardinale Alberto Morra che fu eletto. Nella Bolla con la quale esortava i principi e i popoli alla liberazione della Terra Santa, prescriveva digiuni e penitenze e più severe ne ordinava, per dare l'esempio, alla Corte Pontificia. Ingiunse ai fedeli per cinque anni il digiuno del venerdì come in quaresima, l'astinenza dalle carni nel mercoledì e nel sabato, aggiungendo il lunedì per sè e per i cardinali. I quali, dal suo esempio infervorati, fecero voto di non ricevere doni, di non salire a cavallo, di darsi alla penitenza ed alla predicazione della crociata. Giorno e notte, dice di lui uno scrittore, Gregorio di sè esso dimentico, pensava solo a far rifiorire la Chiesa e a commuovere all'opera di Oriente tutta la cristianità. Sepolto nella Cattedrale di Pisa, nell'incendio di quella cattedrale, avvenuto il 15 ottobre 1595, le sue spoglie andarono distrutte e arso in gran parte il monumento.

CLEMENTE III - PONT. CLXXIV ROMANO (1187 - 1191) « DE SCHOLA EXIET Federico I Imp. e Re — Arrigo IV Re (Sec. XII).

ROMANO, si chiamava Paolo Scolari ed era del rione della Pigna. Quando fu eletto a Pisa, era cardinale Vescovo di Palestrina. Romano e bene accetto ai romani, si diè subito a comporre il dissidio che da tanti divideva il Pontefice e i romani e aveva obbligato il Papa molte volte à fuggire dalla città. Diede ogni cura e impulso a organizzare la terza crociata, cercando perciò di pacificare Pisa e Genova e stabilir la concordia tra i principi cristiani. Riparò monumenti e chiese e nuove fabbriche costrusse. Morì dopo un Pontificato di 8 anni, 3 mesi e 8 giorni. Fu sepolto nel Laterano. Mentre ancora era canonico di S. Maria Maggiore fece accanto alla Basilica fabbricare un palazzo, per abitazione di canonici. Nella pace che il Papa fece coi romani, assumeva l'obbligo di dare i soliti donativi di denaro ai senatori, agli ufficiali del Senato, ai giudici e ai notai. Nelle grandi solennità la metà dei Senatori desinava col Papa. Però egli era obbligato a dar donativi solamente a 56 Senatori, se erano in numero maggiore quello che faceva di più era mera liberalitas. Diede l'esempio di una riforma generale nelle spese della sua tavola, dei mobili, dei cortei, per poter meglio soccorrere i crociati. Vide Clemente III partire lo stesso Federico Barbarossa per l'Oriente e riportarvi, prima di lasciare la vita nel fiume Selef, in Seleucia, varie vittorie sui Turchi. Alla Santa guerra predicata da Clemente, presero parte l'imperatore Federico e suo figlio, Filippo Augusto re di Francia ed il valoroso Riccardo Cuor di Leone d'Inghilterra con i principali signori dei loro Stati. Chi non poteva andare di persona concorreva con la decima de' suoi beni che si chiamò « decima saladina » perchè appunto il principale nemico da combattere era Saladino. Sotto il suo pontificato sorse in Francia l'Ordine dei Trinitari per la redenzione degli schiavi. S'era preso per motto il verso leonino : « Corrige, parce, Ieri, -- Petre pande, memento mederi ». Nella cronaca di Bartolomeo della Pugliola è detto : « Clemente 111 di Roma fu fatto Papa, il quale fece il chiostro di S. Lorenzo fuori le mura di Roma e fece un palazzo molto alto in Laterano e molto ornato. Ancora fece un cavallo grandissimo di rame ». Dai contemporanei anche si sa che fece una fontana davanti alla Statua di Marco Aurelio, che allora era sulla Piazza di S. Giovanni in Laterano e che restaurò e fece ornare di pitture il Palazzo del Laterano.

CELESTINO III - PONT. CLXXV ROMANO (BOBONI) (1191 - 1198) «DE RURE BOVENSI Arrigo VI Imp. é Re (Sec. XII).

ROMANO, di nome Giacinto e della illustre famiglia degli Orsini. Legato apostolico in Germania, era stato fatto Cardinale da Celestino II. Asceso al Pontificato in tarda età, il giorno dopo la sua incoronazione, nel giorno dí Pasqua del 1191 incoronava in S. Pietro l'imperatore tedesco Enrico IV e la di lui consorte Costanza. Avuta dall'imperatore la città di Tuscolo il Papa la diede ai Romani che la distrussero. Scomunicò l'imperatore che riteneva ingiustamente prigioniero il re d'Inghilterra, Riccardo Cuor di Leone. Mise ogni zelo per la prosecuzione delle crociate, sperando alfine di togliere Gerusalemme agli infedeli. Prese misure ecclesiastiche e canonizzò San Pietro di Tarantasia, San Ubaldo vescovo di Gubbio e S. Giovanni Gualberto, fiorentino, fondatore dei Vallombrosani. Morì a 92 anni dopo un pontificato di 6 anni, 9 mesi e 9 giorni. Fu sepolto in S. Giovanni in Laterano. Quando fu eletto aveva 85 anni passati i: e non voleva accettare, ma fu obbligato dai Cardinal era cardinale da 47 anni. A denotare la sua energia e fortezza, nonostante l'età, il giorno dopo la fatica della lunga funzione per la sua coronazione, incoronò l'imperatore Enrico IV unitamente alla imratrice Costanza. Secondo alcuni cronisti in questa incoronazione avvenne un incidente, appositamente voluto dal Papa. « Sedeva il Papa — racconta Roggero Osvodeno — nella Cattedra Pontificale, ed aveva ai piedi la corona imperiale. Inchinatisi l'imperatore e l'imperatrice per riceverla, il Papa con un piede la percosse rovesciandola, quasi a significare essere stata in lui l'autorità come dargli, così di torgli la corona, ove Enrico lo avesse meritato. Ma i cardinali raccogliendo tosto la corona la posero in testa all'imperatore ». Il racconto accettato e creduto dal Baronio è smentito dal Muratori e dalla cronaca Reichespergense la quale dice che « Enrico fu dal medesimo Celestino III onorevolmente consacrato e coronato in Roma ». Dopo tanti anni Celestino III fu il solo che passasse tutto il suo Pontificato in Roma. Quando fu distrutta la città di Tuscolo gli abitanti dispersi popolarono la Molara, Rocca di Papa, Rocca Priora tstel S. Cesario. Il racconto che gli abitanti di Tuscolo fabbricassero delle capanne in un luogo vicino con delle frasche d'onde venne Frascati è una favoletta, perchè Frascati già esisteva nell'VIII secolo. Raccoglie il Moroni la notizia che « sentendosi presso alla voleva rinunciare al Papato, mostrando desiderio ai Cardinali di di avere per successore il Cardinale Giovanni di San Paolo della famiglia Colonna, detto di S. Prisca. Ma essi non vi consentirono, dicendo che era cosa inaudita avere il Papa a deporre se stesso ». Con la morte di Celestino III termina l'opera colossale Annali del Card. Baronio.

INNOCENZO III - PONT. CLXXVI DI ANAGNI (DEI CONTI DI SEGNI) (1198 - 1216) « COMES SIGNATUS (Da prima impero vacante: poi dal 1209 Ottone IV Imp.) (Sec. XII - XIII).

LOTARIO, figlio del conte Trasimondo di Segni, nacque in Agnani e fece i primi studi alla scuola del Laterano. Dalla università di Parigi, passò a quella di Bologna ove ebbe maestri e divenne uno dei più stimati giuristi del suo tempo. Entrato nella carriera ecclesiastica a Roma cominciò a prender parte agli affari della Chiesa con Lucio 111. Dopo importanti missioni compiute per conto di Urbano III, di Gregorio VIII veniva da Clemente III fatto cardinale di S. Giorgio al Velabro. Alla morte di Celestino III, l'otto gennaio 1198 nel Septizonio del Palatino a 37 anni veniva eletto Pontefice; e prendeva nome di Innocenzo III. Sua prima cura fu di ristabilire l'autorità e il potere papale su Roma e le città vicine. Protesse e favorì la Lega Lombarda e ricollegò alla Santa Sede il regno delle Due Sicilie. Scoppiata alla morte di Enrico 1V, dissensione tra Filippo di Svezia e Ottone IV per la successione all'impero, Innocenzo III si dichiarò favorevole a Ottone IV, che venuto a Roma fu coronato, con le solite formule di devozione alla Chiesa, dal Pontefice in S. Pietro. Più tardi dovette scomunicarlo e allora i principi tedeschi scelsero per sovrano il giovane re di Sicilia Federico II, che fu riconosciuto anche dal Papa. L'influenza di Innocenzo si estese in tutti i paesi. Incoraggiò la crociata contro i Saraceni vedendo abbattuta la potenza dei mori nella Spagna. Nel 1204 incoronò in S. Pancrazio Pedro II di Aragona, fece firmare una tregua tra il re d'Inghilterra Riccardo e Filippo Augusto re di Francia. Per la questione del riconoscimento dell'arcivescovo di Cantorbery colpiva l'Inghilterra di interdetto, deponendo poi il re e passando la sua corona al re di Francia. Si sottomise il re di Inghilterra al Papa arrendendosi al suo volere. Per sua opera nel 1202 ebbe inizio la quarta crociata. Promosse l'unione dqlla chiesa greca con la latina: svolse la sua attività contro gli Albigesi. Tenne nel 1215 al Laterano il XII Concilio Ecumenico e IV Lateranense, il più importante del Medioevo, nel quale si occupò della disciplina degli Albigesi. Nel suo Pontificato apparvero S. Domenico e S. Francesco. Di vastissima erudizione nelle sacre scritture e nel diritto canonico, ci sono pervenute parecchie opere che attestano della sua mirabile attività. Ornò e riparò S. Pietro; fondò l'Ospedale di S. Spirito, eresse sul tempio del Templum Telluris un'alta torre che prese da lui e serba il nome di Torre dei Conti. In viaggio per l'Italia per predicare la crociata, colto da febbre terzana moriva a Perugia il 16 luglio 1216, all'età di 56 anni dopo aver tenuto il governo della Chiesa 18 anni, 6 mesi e 9 giorni. Fu sepolto in quella Cattedrale. Le sue spoglie che nel 1615 venivano riunite in un sepolcro con quelle di Urbano IV e Martino IV, nel 1890 furono, dopo la loro ricognizione, fatte portare da Leone XIII nel monumento da lui fatto fare a San Giovanni in Laterano al Papa suo conterraneo. È uno dei più grandi Papi del Medioevo e della Chiesa. Di lui fu detto che Gregorio VII fu il Giulio, Innocenzo III fu l'Augusto dell'Impero Pontificio. Era nepote di Clemente Il suo pasto era semplicissimo e non voleva che fossero portati più di tre piatti e il servizio si faceva non già da gentiluomini, ma da alcuni ecclesiastici che avevano cura della sua casa. Alla fine del pranzo poveri giovanetti venivano a prenderne gli avanzi. Ogni sabato teneva a pranzo 12 poveri ai quali lavava e baciava i piedi, dando poi 12 monete d'argento per ciascuno. Essendo poi Roma afflitta da carestia ogni giorno, per sei mesi, fece distribuire gli alimenti a 8 mila poveri. La mattina teneva concistoro con i Cardinali per consiglio e per trattare gli affari : la sera riceveva coloro che avevano da fargli domande, e gli ambasciatori, e tre volte la settimana dava pubblica udienza. Non si spediva Breve o Bolla senza la sua partecipazione ed aveva tal memoria che ricordava a distanza di anni, se l'argomento era già stato trattato. Niuno poi poteva superarlo nella scienza dei documenti antichi. Data la sua versatilità d'ingegno e di cognizioni conosceva anche la medicina e si dice autore di una ricetta con la quale fece e la riacquistare la vista alt abbatte di San Paolo di Pisa. Essa è così descritta nel Codice Palatino 557 : « Questa è una confectione, cioè lactovario al viso; lo quale mandò Papa Innocentio (terzo) all’ abbate di S. Paolo di Pisa, lo quale era in Cani overo in quello torno, e aveva perduto quasi tutto il vedere e poi per questa confectione guerio. « Prendete seme di finocchio libre due; radice di celidonia libre una, silermontano libre una e chamadosso libre una, seme d'apio e anici, pretosemoli, di chatuno once tre, le quali chose sopradete polvericate insieme. Chonficile insieme cho' mele chotto e dispiumato: e poi si n'usa la sera e la mattina ». Quando sul Templum Telluris fece innalzare la torre che prende da lui il nome di Torre dei Conti a Piazza delle Carrette – ed era nel medioevo la più alta di Roma e citata come una maraviglia — vi fece murare a salvaguardia dei fulmini alcuni Agnus Dei. Due secoli dopo essi furono trovati dentro un vaso di terra dal Duca di Policastro in occasione di restauri. Essendosi recato a Ferentino, il vescovo della diocesi voleva, com'era dover suo, provvedere al mantenimento del Papa e della sua corte, ma Innocenzo gli disse: « Sò le strettezze della tua chiesa : se tu fossi obbligato a spesare i Vescovi che venissero con quella frequenza che io a Ferentino, l'entrate della tua chiesa non basterebbero a tanto. Non voglio dunque accettare nulla ». Nel Concilio Lateranense celebrato durante il suo pontificato, fu proibito agli ebrei di uscire per città nella settimana santa perchè essi si valevano della libertà che avevano per uscire meglio vestiti e passeggiare per città inseguendo i cristiani. Ordinò agli ebrei di portare un grande O di panno color giallo cucito sul petto. L'ordine agli ebrei di portare un contrassegno per essere distinti dai cristiani è molto antico e il Concilio che prescrisse tal marca, parla di essa come di cosa in molte contrade usata. Onorio 111 e Gregorio IX spedirono alcune Bolle per l'osservanza di questo decreto, come fecero poi altri Pontefici tra i quali Paolo IV e S. Pio V. Il segno di distinzione variò a seconda dei luoghi. A Roma nei secoli xlv e xv si richiedeva una mantello rosso: nel secolo xv1 si ordinò agli ebrei di portare un berrettino giallo. Al tempo di Innocenzo era invalso in certi conventi un abuso gravissimo pel quale le abbadesse si credevano autorizzate ad ascoltare i peccati delle loro monache. Il Papa ingiunse ai Vescovi di reprimere severamente questo abuso. Amava predicare spesso al popolo in lingua volgare e grandi folle accorrevano ad ascoltarlo. E’ il Papa di S. Domenico e di S. Francesco d'Assisi. L'intelletto alto e vigile del Pontefice intuì di quanto vantaggio sarebbe tata alla Chiesa la missione di quei due santi: « 11 potentissimo dei Papi », « con fraterna umiltate » accolse in Laterano i messi del Signore. « Con fraterna umiltate » e ne fa prova la leggenda sin d'allora in vigore « aveva Papa Innocenzo, per ben due volte, veduto in sogno i due frati mendicanti sostenere il Laterano ».

« L'un fu tutto serafico in ardore L'altro per sapienza in terra fue Di cherubica luce uno splendore. (DANTE, Paradiso, canto XI).

San Francesco Regalmente sua dura intenzione Ad Innocenzo aperse, e da lui ebbe Primo sigillo a sua religione. (DANTE, Paradiso, canto XI).

Nel Concilio tenuto da lnnocenzo, tra le molte decisioni in esso prese, vi fu pure l'approvazione dell'Ordine di Francesco: fu fatto obbligo ai medici che, essendo chiamati, avvisino di far prima chiamare i medici dell'anima: fu vietato agli ecclesiastici l'uso della chirurgia: proibizione che ebbe, peraltro, molte dispense dai Pontefici. Sotto il suo Pontificato gli eretici scomparvero dagli Stati Pontifici. Mosse con ogni forza contro gli Albigesi: Innocenzo ne intuì il pericolo e nel suo sdegno dicesi esclamasse: « Ah, questi eretici son peggiori dei Saraceni » e bandì contro di loro una vera crociata, affidandone il comando a Simone di Monforte. Gli Albigesi furono vinti, l'eresia domata e Raimondo di Tolosa venne ad umiliarsi ai piedi del Pontefice nel IV Concilio Vaticano. Un fatto maraviglioso avvenne nel Pontificato di Innocenzo III. La storia inverosimile di quei fanciulli e di quei giovanetti che nel 1212, partiti, da varie contrade d'Europa a schiere compatte e irresistibili, marciarono verso la Terra Santa, ha trovato sino a qualche secolo fa, parecchi increduli anche nel mondo erudito. Ma da allora nuove testimonianze si sono aggiunte a quelle già note; storici e cronisti, quali l'Alberi°, Goffredo il Monaco, Tommaso di Champrè e il Michaud, hanno confermato l'autenticità dell'avvenimento rischiarandolo con più precisi particolari. Alberto Stadense nella sua istoria racconta, che circa l'anno di Cristo 1211, una moltitudine di fanciulli da varie città, e ville, mossa senza guida o capitano, con grande impeto, quasi rapiti si incamminarono alla volta dei paesi oltremarini, e interrogati dove andassero, rispondevano: all'acquisto di Terra Santa. Per impedire questa risoluzione inconsiderata e irragionevole procuravano i padri loro di ritenerli a forza, chiudendoli in casa, ma indarno, perchè, rompevano le porte, facevano violenza alle serrature, e bucavano anco le pareti, per desiderio di proseguire quel loro stolto proponimento. Innocenzo III che allora era sommo Pontefice, udito questo strano accidente disse: Hi pueri nobis improperant, quod, ad recuperationem Terra Sancta eis currentibus, nos dormimus, adhuc. Questi fanciulli, con quello che fanno, ci rimproverano le negligenza nostra, e ci fanno conoscere il mancamento, e la tepidità nostra, che stiamo clormndo, e non sentiamo lo stimolo dello zelo dell'onor di Dio, che ci sollecita a così santa impresa. A questa moltitudine di fanciulli si aggiunsero anco degli uomini più d'età matura, che di prudenza e di consiglio e per vari paesi, come fanatici discorrendo arrivarono in Italia, e in parte a Roma, ma non già in Gerusalemme; la maggior parte dei quali capitò male, perchè alcuni furono ritenuti nei luoghi, per li quali passavano, e fatti schiavi, e altri arrivati al mare, sedotti dai marinai portati in paesi lontani, e al meesi modo venduti per schiavi, come riferisce Godefridod nelmo l'istoria, che scrisse all'anno 1212. Pierre de Corteil, che era stato maestro di Innocenzo alla Università di Parigi fu fatto vescovo di Sens. Un giorno avendo il Papa una discussione con l'antico suo maestro gli rinfacciò quanto aveva fatto per lui, dicendo : « Ego te episcopavi »: lo ti ho fatto Vescovo. fatto Pap E il maestro di rimando: « Et ego te papavi »: Ed io ti ho fatto Papa. Mandò a regalare al re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone 4 anelli con pietre di diverso colore: il verde dello smeraldo, per ciò che dobbiamo credere, il rosso del granato per ciò che si deve sperare, il rosso del granato per ciò che dobbiamo amare e lo splendore del topazio per le virtuose nostre operazioni. Si dice ordinasse ai canonici di S. Pietro di cavarsi il sangue sei volte all'anno in segno di continenza. Proibì agli ecclesiastici di giocare alle carte. Ad lnnocenzo III risale l'uso delle chiavi come emblema Papale. Al Concilio Lateranense da lui tenuto, davanti a 1500 Arcivescovi, Vescovi e prelati di ogni nazione, principi e legati di re e di repubbliche, fu tale la folla che l'Arcivescovo di Amalfi rimase soffocato nella ressa. Di lui fu detto che era « misericordioso con gli afflitti, severo con gli scellerati, affabile con i giusti, magnifico con i sovrani e intrepido coi nemici della Chiesa e dello Stato. La popolazione di Roma era ridotta a 30.000 persone, e lo stesso Pontefice scriveva che: « al suo tempo pochi romani arrivavano a 40 anni e pochissimi a 60 ». Dicono che s'affrettasse la morte mangiando molte arancie di cui era ghiotto. Era di mezzana, ma ben proporzionata statura e di grazioso aspetto : aveva l'occhio scintillante eedoato, dato, come era, ad una vita oltre ogni credere studiosa e operosa, soggiacque a molte e gravi malattie. Il suo biografo dice di lui : « Statura et mediocris et fdor ec tot et aspectu, medius inter prodigaIitatem stabilis, magnanimus et astutus, fidei defensor et haeresis expugnator, in iustitía rigidus sed in misericordia pius ; humilis in prosperis et patiens in adversis, naturae tamen aliquanfulum indignantis sed facile ignoscentis ». Il ritratto che trovasi nell'Hurter non è che una invenzione. Il Gregorovius afferma non esisterne alcuno. Quello di musa co, ch'era nella vecchia basilica Vaticana trovasi ora nella villa di Poli, già de' Conti, ora Torlonia. Racconta Tommaso Cantipratense che il Pontefice Innocenzo III dopo la sua morte comparve a S. Lutgarda circondato di fuoco per tre suoi peccati de' quali per intercessione della Vergine si era pentito ed aveva scansato le pene eterne. ma non quelle del purgatorio in cui Io vedeva, le quali dovrebbe soffrire fino al giorno del giudizio e per le quali veniva a domandar suffragi che la Santa subito gli procurò dalle sue sorelle. Ammessa da alcuni questa apparizione come probabile e verisimile, è dai Bollandisti e da altri ritenuta favolosa. Per la recognizione e il trasporto delle ossa di Innocenzo III al Laterano, Leone XIII nominò un'apposita commissione della quale facevano parte l'Arcivescovo di Perugia, atra Pontificio Comm. Lapponi, un chimico ed un archeologo. Scoperta l'urna che racchiudeva le ossa dei tre Pontefici morti a Perugia e per accertare meglio l'identità delle ossa di Innocenzo, tutto venne studiato e messo in opera : si tenne presente l'età ancor giovane del Papa, la sua statura mediana nel misurare le tibie e le altre ossa, i residui di stoffa dell'epoca ecc. L'Arcivescovo di Perugia recò a Roma in un cofanetto i pochi resti di Innocenzo che trovarono degna reposizione nel monumento fatto fare da Leone XIII.

ONORIO III - PONT. CLXXVII ROMANO (SAVELLI) (1216 - 1227) «CANONICUS DE LATERE » Ottone IV, Federigo II Imp. (Sec. XIII).

ROMANO e di nome Cencio della nobile famiglia dei Sa-velli. Fatto Cardinale da Celestino III, da Innocenzo III, fu nominato Cancelliere di Santa Romana Chiesa e arciprete di S. Maria Maggiore. È conosciuto sotto il nome di Cencio Camerario per il famoso libro dei Censi da lui scritto. A Perugia alla morte di Innocenzo III, fu eletto questo Savelli assumendo il nome di Onorio III. Ebbe per principli scopi : il recupero della Terra Santa e la riforma spiritualea della Chiesa. Subito si diè a promuovere un'altra crociata, pacificando intanto Pisa con Genova, Milano con Cremona, Bologna con Pistoia. Costretto per la ribellione di Roma ad assentarsi potè tornare a Roma per l'intromissione di Federico II, che poi, con la moglie Costanza d'Aragona il 20 novembre 1220, incoronava in S. Pietro. Nel 1226 il Papa aiutava l'imperatore a concludere la pace con le città dell'alta Italia che avevano rinnovato contro di lui la Lega Lombarda. Nel 1217 incoronò a S. Lorenzo fuori le Mura imperatore d'Oriente Pietro di Courtenay, conte di Auxerre. Molto si occupò Onorio per il progresso della fede nell'Europa settentrionale, come fanno fede le sue lettere e le sue cure per la Danimarca, la Norvegia, la Livonia, la Polonia e la Russia. Morì il 18 marzo 1227 dopo aver pontificato 10 anni ed 8 mesi. Fu sepolto in 5. Maria Maggiore. Appena morto Innocenzo III, i Perugini, perchè presto si eleggesse il successore tennero i Cardinali strettamente rinserrati nel luogo del conclave. Era stato per quattro anni maestro dell'imperatore Federico II Era così severo per l'osservanza delle cerimonie che punì severamente une sacerdote che aveva celebrato senza lume e lo privò del sacrdozio e del benefizio. Approvò l'Ordine dei Frati Predica tori ici stituito da S. Doso il cospicuo uffio di Maestro del menico e costituì per esso Sacro Palazzo. L'Ordine Domenicano approvato da Onorio ha dato alla Chiesa 4 Pontefici: Innocenzo V, Benedetto XI, S. Pio V e Benedetto XIII. Pubblicò pene severissime contro quelli che in qualunque modo offendessero oppure oltraggiassero i Cardinali della Chiesa Romana, dichiarandoli rei di lesa maestà, perpetuamente infami e banditi, restando soggetti alla scomunica dalla quale non potessero essere assolti che dal Pontefice. Ordinò a tutti i Vescovi che nel Venerdì Santo lavassero i piedi a' poveri e facessero loro elemosine. Ordinò Onorio che ricorrendo il Natale in venerdì e molto pnieùrseinnesa.bato, sia lecito mangiare carne, non vol dovendosi peraltro rimproverare quelli che per devozione volessero astenersene. Da Onorio ottenne S. Francesco -l'indulgenza della Porziuncola, e da Onorio fu approvata la regola di S. Francesco. E Dante ricorda :

Poi che la gente poverella crebbe Dietro costui, la cui mirabil vita Meglio in gloria del ciel si conterebbe,

Di seconda corona redimita Fu per Onorio dall'Eterno Spiro, La santa veglia d'esto Archimandrita. (DANTE, Paradiso, X1)

Era di così grande carità per i poveri che prima di m aveva distribuito loro tutto il suo.

GEGORIO IX-PONT. CLXXVIII Dl ANAGNI (DEI CONTI DI SEGNI) (1227 - 1241) AVIS OSTIENSIS Federigo II Imp. (Sec. XIII).

UGOLINO dei Conti di Segni era nato ad Anagni e dopo aver studiato a Parigi e a Bologna ed esser stato Legato a Napoli in Lombardia, in Francia, in Germania, in Francia, era da lnnocenzo 111 fatto Cardinale di San Eustachio: Eletto nel monastero di S. Gregorio, accettò con riluttanza, data anche la grave età, e assunse il nome di Gregorio 1X. Vedendo inutili le esortazioni per indurre l'imperatore Federico II a mantenere la promessa di partire per la crociata, lo scomunicò. Per tumulti del partito imperiale suscitati a Roma il Papa dovette rifugiarsi prima a Viterbo e poi a Perugia. Venuto Federico II a patti col Papa questi gli toglieva la scomunica, ma dimenticando le promesse fatte e perseguitando i seguaci del Papa. Gregorio Si vide costretto a nuovamente abbandonare Roma. Dopo aver soggiornato a Rieti tendo i seguaci del tornò a Roma e fatta far la pace tra Federico e le città lombarde soffocò, con la propria influenza, la ribellione di Enrico, figlio di Federico, contro il proprio padre. Riuscì a riunire nel 1239 gli Armeni alla Chiesa latina. Allorchè Federico ridiscese in Italia e mise in rotta i Mi, lanesi, minacciando la Toscana e Roma, il Papa di nuovo lo scomunicava. Per impedire il Concilio al quale il Papa aveva invitato i Vescovi, Federico fece occupare i valichi delle Alpi, e far prigionieri i prelati diretti a Roma: dai Pisani fece attaccare la flotta genovese che trasportava prelati e sacerdoti e fu messa in rotta alla Meloria. Mentre Federico, entrato a Tivoli nell'agosto del 1241, giungeva alle porte di Roma, il Papa, quasi centenario moriva il 21 agosto. Aveva governato la Chiesa 14 anni, 5 mesi e 2 giorni. Venne sepolto in S. Pietro. Quando fu eletto aveva 80 anni passati. Era nepote di Innocenzo III e fu zio di Alessandro IV. S. Francesco, ch'era suo grande amico, gli aveva predetto il Pontificato. Non voleva saperne di accettare il pontificato, tanto che i Cardinali — come si legge — gli fecero tale pressa da strappargli le vesti. Appena eletto ordinò l'abbattimento di tutte le torri che le famiglie nobili possedevano nei pressi del Laterano. Sollecitò i principi della Germania a distruggere la setta dei « condormienti » che avevano per pratica di coricarsi tutti confusamente e senza distinzione di sesso. Nel Concistoro che tenne ad Anagni nel 1227 fece sei Cardinali tre dei quali gli successero col nome di Celestino IV, Innocenzo IV ed Alessandro IV. Da Cardinale era stato grande protettore di S. Francesco e dei suoi frati. Si trovò ad Assisi al Capitolo celebrato da S. Francesco con 5 mila suoi Frati Minori. Edificò la sontuosa Basilica e il Monastero di Assisi e canonizzò S. Francesco, dicendo che « quasi stella nel firmamento, e quale sole lucente nel suo meriggio. così egli rifulse nelle case del Signore ». Canonizzò anche S. Domenico, del quale, da Cardinale aveva celebrato i funerali a Bologna nel 1221. Anche S. An tonio da Padova fu canonizzato da Gregorio. Poibì ai Vescovi, ai preti, ed ai diaconi di tenere cani uccelli di rapina per la caccia, comminando pene spirituali Fondò presso il Laterano un ospedale per gli inferm poveri. Quando dopo 11 anni di assenza tornò da Sutri fu ricevuto con tanto plauso come « se fosse stato un nuovo Pontefice ». Durante il pontificato di questo Papa si vede per la prima volta introdotto l'uso degli arazzi e dei tappeti. Minacciando l'imperatore Roma, Gregorio con una processione solenne, trasportò dal Laterano a S. Pietro la reliquia romani vogliono tradire ! ». A questo rimprovero molti romani presero le armi contro Federico che si ritirò nelle della S. Croce e le teste degli Apostoli sulle quali pose la tiara esclamando : « O voi, Santi, difendete Roma che i Puglie. Si vuole che morisse pel dolore provato alla notizia che i Vescovi della Spagna, dell'Inghilterra, della Francia da lui chiamati a Roma per un Concilio Ecumenico, erano stati dalla flotta di Federico parte buttati a mare e parte fatti prigionieri. Era di bella persona e di tale eloquenza che fu detto tulliano. Organizzò l'Università di Parigi con la Bolla Parens Seientiarum nella quale diceva che « bisognava combattere con la luce della vera scienza gli errori della falsa ». Per un forte terremoto, che nel 1231 afflisse Roma, dovette riparare a Rieti. Al suo tempo il Tevere allagò Roma e ne venne una terribile pestilenza.

CELESTINO IV - PONT. CLXXIX DI MILANO (CASTIGLIONI) (1241 - 1241) a LEO SABINUS Federigo II Imp. (Sec. XIII).

GOFFREDO Castiglioni figlio di Giovanni era nato a Milano. Canonico e Cancelliere di Milano era monaco nel monastero di Altacomba quando Gregorio IX nel 1227 lo fece Cardinale di San Marco e poscia Vescovo di Sabina. Andò legato in Toscana, in Lombardia e a Montecassino, ove si trovava Federico II, per indurlo a somministrare soccorsi per la crociata di Terra Santa. Alla morte di Gregorio IX era eletto Pontefice e assumeva il nome di Celestino IV. Era già molto vecchio e però non sedette sul trono Pontificio che soli 17 giorni. Il breve tempo non gli fece compiere atto alcuno che sia ricordato. È. sepolto in Vaticano. Era per parte di madre nepote di Urbano III. Da monaco nel Monastero di Altacomba aveva scritto una storia di quel monastero. Non fu neppur consacrato, perchè s'ammalò poco prima del giorno fissato per la cerimonia. Il Conclave dal quale uscì Celestino IV fu tutt'altro che tranquillo perchè fatto sotto la minaccia di Federico II. I Cardinali furono dal senatore di Roma e dai cittadini rinchiusi nel Settizonío. Di dieci che erano, uno morì durante il Conclave, uno fu fatto prigioniero dai Romani perché sospettato d'essere fautore dell'imperatore e l'altro che era prigioniero dell'imperatore, sebbene avesse ottenuto di recarsi all'elezione, ne tornò prima che fosse avvenuta. Dopo la morte di Celestino, la Santa Sede — secondo il Moroni — « restò vacante un anno, otto mesi e 17 giorni perchè i Cardinali, temendo la furia dell'imperatore che quasi tutti li aveva tenuti prigionieri in Amalfi, non sapevano risolversi ad eleggergli un successore ». Il Tripepi accoglie il sospetto che Celestino morisse per causa di veleno.

INNOCENZO IV - PONT. CLXXX DI GENOVA (FIESCHI) (1243 - 1254) a COMES LAURENTINUS » Federigo Il Imp. (Sec. XIII).

SINIBALDO Fieschi, figlio di Ugo conte sovrano di Lavagna era nato in Genova nel Palazzo paterno. Aveva insegnato diritto a Bologna : poi venuto a Roma aveva avuto missioni ed era stato fatto Cardinale da Gregorio IX. Dopo una lunga vacanza i Cardinali adunatisi in conclave ad Anagni vi elessero il Cardinale Sinibaldo Fieschi che assunse il nome di Innocenzo IV. ll Pontificato di Innocenzo è caratterizzato dalla lotta contro Federico II, dal Concilio di Lione e dalla proclamazione della VII Crociata. Poco potè Innocenzo IV restare tranquillo a Roma, perchè di fronte all'imperatore che marciava sull'Urbe, appena ebbe il tempo di imbarcarsi a Civitavecchia, su navi gena vesi, che lo condussero in patria. Da Genova passò a Lione ove in un Concilio scomunicò l'imperatore Federico IL dichiarandolo deposto. L'imperatore moriva poco dopo la sconfitta subita a Parma e Innocenzo poteva tornare a Roma. Venuto a Napoli vi moriva poco dopo il suo arrivo il 7 dicembre 1254, dopo aver governato la Chiesa 11 anni, 5 mesi e 14 giorni. Alla notizia della elezione a Papa del Fieschi « í genovesi, grandi, mediocri e piccoli — racconta Bartolomeo Sriba — si allietarono tanto che sembrava andassero alle stelle; il podestà Emanuele Maggi di Brescia mandò subito un nunzio con lettera gratulatoria ». Era stato canonico della Cattedrale di Parma. Da Innocenzo IV (1243) ad Onorio IV (1285) tutte le elezioni dei Pontefici sono fatte fuori di Roma e sono 10. Quando l'imperatore seppe della elezione di Innocenzo esclamò: « Ho perduto un buon amico, perchè nessun Papa può esser ghibellino ». L'Alighieri lo ricorda nella lettera IX ai Cardinali Italiani. Innocenzo IV fu uno dei più grandi giureconsulti del secolo XIII e legò, come tale il suo nome ad opere insigni, tra cui primeggiano i commenti alle Decretali di Gregorio IX (Apparatus in quinquos libros Decretalium), che ebbero molte edizioni e riscossero grandi lodi. Era detto « Monarca delle Divine e umane leggi ». Prendendo le misure contro Federico II, disse : « La scure sta già in alto per troncare le radici dalla pianta ». Nel Concilio di Lione quando il Papa lesse la terribile formula di scomunica i Cardinali e i Vescovi che tenevano in mano una candela accesa, la capovolsero e la spensero, in segno di approvazione all'anatema fulminato. Si racconta che udendo Federico la sua condanna esclamasse, mettendosi in testa l'aurea corona: « Ma questa il Papa non me la può togliere 1 ». Tre anni dopo all'assedio di Parma, Federico fu sconfitto ed inseguito : e fuggendo, con le altre cose perdette la famosa corona che fu comperata dalla città di Parma. Era Innocenzo, dopo la sua esaltazione appena venuto a Roma che tosto alcuni mercanti romani con indicibile temerità a lui si presentarono domandandogli 60.000 marche, date in prestito al suo antecessore Gregorio, riempiendo con numeroso popolo insolente, che seco condussero, la corte, il palazzo e le stanze che rimbombavano di popolare schiamazzo, onde angustiarono in tal modo il buon Pontefice che non potendo prendere cibo nel luogo solito, fu costretto a starsene nascosto nelle stanze più remote del suo palazzo Lateranense in cui abitava. Ottenuta i mercanti non piccola porzione del danaro suddetto, se ne partirono cessando così la sconcia scena. Un giorno il Papa stava nella sua camera intento a contare del danaro, quando entrò S. Tomaso d'Aquino. « Voi vedete, gli disse il Papa, che la Chiesa non può più dire : io non ho nè oro, nè argento ». « M a io vedo anche, lèrisposee S. Tomaso, ch'essa non può più dire agli storpi: vati camminai ». Mentre era a Lione fu scoperta una congiura di amici dell'imperatore per assassinare il Papa e Innocenzo per prudenza si astenne per qualche tempo di uscir dalle sue stanze che erano custodite giorno e notte da 50 guardie in sua difesa. Per sottrarre al deperimento i diplomi e documenti che garantivano i di itti sovraniela e autenticare. S. Sede, il Papa, nel Concilio di Lione, l fece riconoscere ed autenticare. Passando per Assisi andò a vedere Santa Chiara ch'era presso a morire e questa gli domandò la grazia di baciargli il piede: ma non potendo la moribonda alzarsi a baciarlo, il Papa montò su uno sgabello e accostò il piede alla di lei faccia. Nel 1245 concesse ai Cardinali l'insegna del cappello rosso, a significare ch'ei devono esser pronti a versare il sangue per la Chiesa. Paolo II concesse ai Cardinali la berretta e lo zucchetto di egual colore. Dichiarò il Colosseo esser diretto dominio della S. Sede. Proibì che gli ebrei potessero avere balie o servi cristiani. Fondò trenta cappellanie perpetue in S. Pietro in Vaticano e costituì stabilmente l'arcipresbiterato in un Cardinale

ALESSANDRO IV-PONT. CLXXXI ANAGNI (DEI CONTI DI SEGNI) (1254 - 1261) SIGNUM OSTIENSE » Impero vacante (Secolo XIII).

RAINALDO dei Conti di Segni era nato nel piccolo castello di lenne in diocesi di Anagni. Da canonico a Segni fu fatto Cardinale e nominato Protettore dei Frati Minori. Alla morte di Innocenzo IV nel conclave tenuto a Napoli, fu eletto il Cardinale Rainaldo che prese il nome di Alessandro IV. Bandì una crociata contro Ezzelino da Romano che come vicario di Federico II, tiranneggiava crudelmente Verona e Padova. Cercò la riunione della Chiesa greca alla latina e a questo scopo spedì il Vescovo di Orvieto Teodoro Lascaris, ma il desiderio del Papa non ebbe effetto. Per i tumulti suscitati a Roma da Brancaleone che Alessandro scomunicò dovette fuggire, riparando a Viterbo. Nel 1260 sottopose la città di Bologna all'interdetto. Dopo un Pontificato di 6 anni, 15 mesi e 13 giorni morì a Viterbo. Era parente di Innocenzo III e nepote di Gregorio IX. I contemporanei lo dicono « benigno, pio, timoroso di Dio, e d'animo debole » e anche è detto « simplex ». Proibì a qualunque persona laica, sotto pena di scomunica di disputare sulle eresie. Nel 1255 in Anagni canonizzò S. Chiara, e con diploma confermò il miracolo delle Stimmate di S. Francesco e concesse di celebrarne la festa. Approvò l'Ordine dei Servi di Maria fondato sul Monte Senario da sette Beati nobili Fiorentini. Nemico acerrimo degli eretici raccolse quanto più potè dei loro libri e, presente la Curia romana, li bruciò con le proprie mani. Ordinò gli anniversari da celebrarsi nei primi giorni di novembre pei Sommi Pontefici e pei Cardinali e l'elemosina da farsi, in quei giorni, ai poveri. I cronisti del tempo dicono che, mentre era in Viterbo inteso ad opera di pacificazione, « per affanno di cuore » morì. « Era proclive — dice l'Audisio — ai sibili degli adulatori e degli avari ». Durante il suo pontificato avvenne uno dei fenomeni più meravigliosi del medioevo. A centinaia, a migliaia, a decine di migliaia, persone in una sol volta si mettevano in processione flagellandosi a sangue. Monti e valli risonarono delle grida lamentose: Pace, pace. Signore fateci grazia! Molti storici di quel tempo discorrono meravigliati di quel fenomeno sorprendente. Dicono tutti che quell'uragano morale primamente si levò da Perugia e poi si estese alla città di Roma. N'era presa la gente di tutte le età e di tutti i ceti, monaci e preti — scrive il Gregorovius — prendevano le croci e predicavano penitenza, vecchi romiti uscivano dai loro nidi selvaggi, e per la prima volta in vita loro, inoltrandosi nelle vie della città, predicavano penitenza. Gli uomini si spogliavano delle vesti sino alla cintola, involgevano la testa in un cappuccio e pigliavano in mano uno staffile. Si univano insieme a truppe, a comitive, andavano a due a due, di notte recando torcie, camminando a piedi nudi sul ghiaccio.... Ora si gettavano bocconi a terra, ora alzavano le scarne braccia al cielo : chi li vedeva doveva essere di pietra se non faceva come essi... Allorquando cotali schiere spaventose di pellegrini movevano d'una in altra città, vi piombavano sopra come un turbine e così quella insania di flagellatori si propagava di terra in terra. Da Perugia sulla fine del 1260 vennero a Roma. I Pallavicini e Manfredi si opposero a quel pernicioso fenomeno morale, minacciando pene di morte. I Torre a Milano alzarono 600 patiboli per modo che i flagellatori si ritirarono. Il Papa temendo che ne sorgessero sette ereticali vietò le processioni che cessarono nel gennaio del 1261. Non si conosce il sito esatto della sua tomba e le ricerche e fatte recentemente sono riuscite infruttuose.

URBANO IV - PONT. CLXXXII D1 TROYES (PANTALEON) (1261 - 1264) « HIERUSALEM CAMPANIAE impero vacante (Secolo XIII).

IACOPO Pantaleon di Troyes d'umile condizione, abbracciata la vita ecclesiastica aveva studiato a Parigi divenendo canonico di Laon e poi arcidiacono di Liegi, Vescovo di Verdun nel 1253, poi patriarca di Gerusalemme. Alla morte di Alessandro 1V dai pochi Cardinali riuniti a Viterbo fu eletto Pontefice, assumendo il nome di Urbano IV. Per sfuggire alle minacce di Manfredi, che aveva scomunicato, dovette rifugiarsi a Orvieto ove stette due anni. Di molta dottrina fu benemerito delle scuole e dell'insegnamento: e protesse gli scienziati. Governò la Chiesa 3 anni, 1 mese e 4 giorni. Morì nel Convento dei Francescani a Deruta, il 2 ottobre 1264. Fu sepolto a Perugia. Gli otto Cardinali che allora erano a Viterbo per il Con• clave non riuscirono per più di un mese ad accordarsi. Alla fine elessero uno che non era Cardinale, il Patriarca di Ge• rusalemme lacopo Pantaleon, che era venuto in quei giorni a Viterbo. Era figlio di uno scarpaio di Troyes, il Panvinio, anzi dice, di un « rappezzatore di scarpe ». Degli umili suoi natali non ai vergognava e dove fu la piccola bottega del padre suo, fece edificare una chiesa in onore di S. Urbano, volendo dipinto nei vetri, l'immagine del padre che attendeva al suo mestiere. Passò il suo Pontificato tra Viterbo, Orvieto e Montefiascone e non venne mai a Roma, né pose piede in Lateralio. È il Papa del Corpus Domini : e fu Urbano IV che diè l'incarico a S. Tomaso e a S. Bonaventura di comporne l'ufficio. Per le molestie che gli dava Manfredi un giorno esclamò. ice Geremia che ogni male ne sarebbe venuto da Settenne, però io confesso che esso ci viene dalla Sicilia ». Quando nell'agosto del 1263 gli fu annunziata la nomina matore di Roma di Carlo, fratello di Luigi IX di Francia, endo di cadere dal giogo degli Svevi sotto quello dei renzali, disse: « Dum Scyllam evitare cupimus, in ribdys voraginem incidimus ». degli esordi del suo Pontificato avvenne la caduta del-pero latino di Bisanzio. Proibì che niuno senza licenza Pontificia potesse essere sepolto nella Basilica Vaticana. Pare che Urbano IV sia stato il primo Papa che espresse il numero del suo nome di Papa chiamandosi Urbano Papa Quarto E’ autore di una descrizione della Palestina intitolata: “Jacobi Pantaleonis Galli patriarchae hierosolomitani liber de 2 Sancta ». Curioso è l'epitaffio che, alla sua morte, gli fu posto sulla tomba:

“Archilevita fui, pastor que gregis patri Tunc Iacobus posui mihi nomen ab urbe mon Tunc civis exivi, tumuli post condor in Te sine fine frui tribuas mihi summe ger

Ove si vede ogni terminazione del verso in: arca.

CLEMENTE IV-PONT. CLXXXIII Dl SAINT GILLES (LE GROS) (1265 - 1268) « DRACO DEPRESSUS » Impero vacante (Secolo XIII).

GUIDO Le Gros, di Saint Gilles, apparteneva a nobile famiglia. Valente giurista, si era fatto sacerdote dopo la morte della moglie e veniva creato Cardinale da Urbano IV, essendo prima stato Vescovo di Puy e Arcivescovo di Narbonne. Eletto e incoronato a Viterbo prendeva il nome di Clemente IV. Assegnò il re• gno delle Due Sicilie a Carlo d'Angiò, fratello del Re Luigi IX di Francia. Carlo fu inca conato nella Basilica Vaticana, per delegazione del Papa, da due Cardinali. Biasimò Clemente l'atto di Carlo che do c2po aver vinto Corradino di Svezia a Tagliacozzo, lo faceva de pitare a Napoli. Per quanto fosse ministro d pace tra dalle ra i sovr IaT non potè mai" dar pace a Roma, sempre toi zioni. Morì a Viterbo, dopo aver Pontificato 3 anni e 9 mesi Passato dal mestiere delle armi ad esercitare l'avvocatura nella quale era eccellentissimo fu annoverato tra i consigli( del re S. Luigi IX di Francia, diventandone poi il suo segretario. Era, anche prima d'essere Pontefice, in molta amicizia con S. Tomaso d'Aquino e con S. Bonaventura. Eletto Pontefice non prese mai alcuna decisione d'impor.. tanza senza aver prima consultato i Cardinali. Da Perugia — poco dopo essere stato eletto — scriveva un Breve a suo nipote Pietro Gros, proibendo a lui e a qua- lunque altro suo parente di venire a Roma senza suo ordine espresso. Si vuole che questo Breve sia stato il primo sigillato con l'anello Pescatorio. Il suo disinteresse verso i parenti andò tanto oltre che a un nepote che aveva tre prebende, impose di rinunziarne due. A due sue nepoti che a lui ricorrevano per un aiuto per sposarsi rispose Clemente : I Papi non hanno parenti ; e nel caso non possono dare ciò che non è loro. Fatevi monache, perchè Dio non ha bisogno di dote. A due cavalieri che gli chiedevano la mano delle due figlie, Cecilia e Mabilia, avute prima del sacerdozio, rispose : Non è Cecilia o Mabilia che voi volete sposare, ma le figlie del Papa. E qui è il vostro errore, perchè esse non sono figlie del Papa, ma di Guido Le Gros che è un povero uomo. A Carlo che scongiurava il Pontefice ad aiutarlo, rispondeva : « Montagne e fiumi d'oro non ho, le mie forze sono esauste, i banchieri ristucchi. Perchè mi tormenti senza posar mai ? Miracoli non ne posso fare, nè posso cambiare le pietre in oro ». Si dice che consultato dagli Angioini, se si dovesse risparmiare la morte a Corradino, rispondesse : « La vita di Corradino è la morte di Carlo; la morte di Corradino è la vita di Carlo ». Ma appare evidente l'invenzione di questa risposta sibillina. Invece, secondo un codice Barberiniano, avrebbe dato questa nobile risposta a chi lo interrogava : « Mi meraviglio che un uomo prudente come te possa interrogare un sacerdote sull'uccisione di una persona ». Era così valente in legge da essere chiamato « Padre del Diritto » o anche « Lume della Legge ». Non portava pannilini, dormiva sopra un letto durissimo e per lungo tempo non mangiò carne. Clemente IV è un altro dei Pontefici che non venne mai a Roma, risiedendo abitualmente a Viterbo. Tra Clemente IV e il suo successore Gregorio X la sede restò vacante quasi tre anni. La tomba di Clemente IV che trovavasi a Viterbo nella chiesa di S. Maria in Grado fu trasportata nel maggio del 1885 nella chiesa di S. Francesco. In quell'occasione aperto il sarcofago, oltre le spoglie mortali del Pontefice, si rinvennero i paramenti sacri dei quali era rivestito: una placca con anello d'oro, una mitra di seta, calze e calzari tessuti di seta, pianeta con ricami d'oro, ecc.

B. GREGORIO X - PONT. CLXXXIV DI PIACENZA (VISCONTI) (1271 - 1276) « ANGUINEUS VIR » Impero vacante = dal 1273 Rodolfo Re dei Romani (Sec. XIII).

DAL laborioso e lunghissimo conclave di Viterbo usciva eletto il piacentino Teobaldo Visconti che non era Cardinale e non era presente. Venuto a Viterbo e accettata la elezione ed assunto il nome di Gregorio X, si recò a Roma, ove il 27 marzo 1272 era solennemente coronato. Con la nomina di Rodolfo d'Asburgo, poneva fine alla questione dei pretendenti all'impero. Recatosi in Francia, vi presiedeva il XIV Concilio Ecumenico, secondo di Lione, al quale erano presenti 15 Cardinali, 500 Vescovi, 70 abbati e circa mille ecclesiastici. Il Concilio durò tre mesi e in esso, riconoscendo i Greci il primato della Chiesa di Roma, venne conclusa l'unione della Chiesa Greca alla Latina. Diede anche il Papa norme e costituzioni per i Conclavi, regolando così la elezione dei Pontefici. Mentre ritornava a Roma fu preso ad Arezzo da grave male che lo condusse a morte dopo aver Pontificato 4 anni, 4 mesi e un giorno. Fu sepolto nella cattedrale di Arezzo. Da Urbano VIII veniva proclamato Beato. Il Papato di Gregorio X è il più glorioso e il più fecondo della seconda metà del XIII secolo. Era — dicono i contemporanei — d'aspetto maestoso, angelico, signorile, alto di statura e ben proporzionato, di carnagione bianca con color vivo e gentile, fronte spaziosa, occhi grandi, bocca piccola e naso dal mezzo in giù alquanto ripiegato. I Cardinali raccolti in Conclave a Viterbo erano 17: undici volevano un Papa italiano e gli altri un francese. Le loro adunanze si tennero mentre fuori del palazzo tumultuavano i viterbesi. I magistrati di Viterbo, dopo avere inutilmente ridotto il cibo ai Cardinali che erano rinserrati nel palazzo Episcopale, ne scoprirono il tetto per obbligarli alla elezione. Lo scoprimento del tetto è confermato da una lettera scritta dai Cardinali, che vi pongono questa data: Viterbíi, in palatio discooperto. Circa la sua elezione fu detto, alludendo alle dissenzioni tra i Cardinali, che « Invidia fratrum fit ille pater patrum ». E anche: « Papatus munus tulit arcidiaconus unus — quem patrem patrum, fecit discordia fratrum ». Partendo dall'Oriente ove lo aveva raggiunto la notizia della sua esaltazione, disse: O Gerusalemme I Dovrei dimenticare me stesso prima di dimenticare Te Giunto a Viterbo e chiestogli ove volesse essere incoronato se a Viterbo o a Roma: « In Roma, disse, dove Costantino cavatosi di capo il diadema imperiale l'offrì a S. Silvestro qual simbolo della regia dignità e del dominio temporale dei Pontefici ». Nel Concilio di Lione stabilì le norme che ancor oggi. fondamentalmente regolano, durante il Conclave, la elezione del Papa. L'abuso del « veto » fu abolito del tutto da Pio X. Il termine di nove giorni per iniziare il Conclave, fu da Pio XI protratto per dar modo ai Cardinali più lontani di poter partecipare col loro voto alla elezione del Pontefice. Si racconta che mentre teneva il Concilio di Lione deponesse l'indegno e reo Vescovo Enrico che aveva osato presentarglisi vestito prima da Marchese di Francimonte e poi da Conte di Mura. A suo dileggio il Papa gli avrebbe detto : « Qui fuit ante comes, dux, marchio, praesul et abbas. De thalamo Papae tantummodo presbyter exit ». Mentre il Papa per andare a Roma di ritorno da Lione, passò da Firenze, che era interdetta, pur non volendovi entrare, dovette attraversarla perchè l'Arno era gonfio dalle pioggie. Mentre era sul Ponte assolvette la città dalla censura, ciò che era inseparabile dal suo passaggio, ma appena ne fu fuori rinnovò lo stesso interdetto. Concesse nuove e amplissime rendite agli Ospedali Lateihranense e di S. Antonio e larghe elemosine distribuiva specialmente a famiglie onorate cadute in povertà, e ne aveva scritto il loro nome in un suo libro, Per questo ufficio teneva un laico di San Domenico, uomo di vita esemplare e suo fidato. Da questa carità e dal modo tenuto nell'eseguirla si vogliono derivati l'ufficio dell'Elemosiniere Segreto e della Elemosineria del Papa. Ogni giorno invitava 13 poveri a pranzo. Se qualcuno della sua corte si ammalava lo visitava, lo assisteva, gli fa- ceva compagnia sedendosi presso il letto, e lo sovveniva di ogni cosa necessaria. Il Balbo dice che fu uno di quei Papi che seppe far meglio insieme i due uffici di Pontefice e di Principe. Fu chiamato il « Tito » dei suoi tempi. Ad Arezzo morirono quattro Pontefici.

B. INNOCENZO V - PONT. CLXXXV DI TARANTASIA (1276 - 1276) «CONCIONATOR GALLUS.» Rodolfo Re dei Romani (Sec. XIII).

PIETRO di Tarantasia in Savoia era entrato fanciullo nell'Ordine di S. Domenico. Insigne teologo diventò Provinciale del suo Ordine in Francia e poi Arcivescovo di Lione. Rinunziata la sede, prese parte attiva al Concilio che vi tenne Gregorio X, che lo creò Cardinale Vescovo di Ostia e penitenziere maggiore. Obbligato a seguire il Pontefice nel suo ritorno, du- rante'il viaggio si adoperò a pacificare gli animi tra guelfi e ghibellini. Morto Gregorio X in Arezzo, vi veniva dai Car- dinali eletto Pontefice, prendendo il nome di Innocenzo V. Si portò subito a Roma ove fu coronato nella Basilica Vaticana. Pacificate tra loro Pisa e Lucca, si fece mediatore tra Rodolfo d'Asburgo e Carlo d'Angiò, avversari per il Vicariato di Toscana. Mentre era tutto infervorato in questo suo programma di pace mancava improvvisamente dopo soli cinque mesi di Pontificato. Fu sepolto in Laterano, ma le sue spoglie andarono nel secolo xvi disperse. È il primo Papa dell'Ordine di S. Domenico. I tre successori di Gregario X morirono tutti rapidamente .uno dopo l'altro; e cioè: Innocenzo V, che pontificò mesi cinque, Adriano V che Pontificò I mese e 8 giorni, Giovanni XXI che Pontificò 8 mesi e 5 giorni. Era così stimato nelle sacre scienze che succedette a San Tomaso d'Aquino nella cattedra di Teologia nell'Università di Parigi. Durante il Concilio di Lione, essendo morto S. Bonaventura, nelle solenni esequie che si celebrarono coll'intervento del Papa, di due imperatori, di tutto il Sacro Collegio, di due Patriarchi, di 500 Vescovi, di 60 abbati, degli oratori, dei Principi e di sopra mille sacerdoti, fu il Cardinale Pietro di Tarantasia che pronunziò l'orazione funebre che trasse le lacrime da tutta quella augusta adunanza. Fu predicatore di pace tra le genti; così esortò i principi cristiani alla concordia; si adoperò ad estinguere gli odii tra guelfi e ghibellini ; mandò legati perchè i Pisani ed i Lucchesi facessero la pace; volle che Rodolfo d'Asburgo facesse pace con Carlo d'Angiò; rimise concordia tra i fuorusciti e Otto-[Dono Fieschi a Genova e colpì di scomunica i ghibellini di Pavia e di Verona che suscitarono queste discordie. La storiella che morisse improvvisamente la sera nella quale stava per firmare l'ordine di soppressione dei Serviti non ha fondamento. Essendo frate non era molto ben visto dal clero secolare. Di lui restano parecchie opere teologiche.

ADRIANO V - PONT. CLXXXVI DI GENOVA PESCHI DEI CONTI Dl LAVAGNA (1276 - 1276) BONUS COMES Rodolfo Re dei Romani (Sec. XIII).

OTTOBONO Fieschi dei conti di Lavagna era arcidiacono di Cantorbery e di Reims, quando fu creato Cardinale di S. Adriano, nel 1253, poi legato in Inghilterra da Clemente nel 1265, indi in Ispa, gna e in Germania. Fu eletto nel 1276 nel conclave tenuto al Laterano. Recatosi a Viterbo per comporvi alcune discordie insorte tra la Chiesa e Rodolfo re dei Romani, morì in quella città il 18 agosto dello stesso anno, avendo Pontificato un mese e 9 giorni. Fu sepolto a Viterbo nella Chiesa dei Frati Minori. Era nipote di Innocenzo IV, essendo figlio di un fratello di quel Pontefice, e così è il secondo Pontefice della famiglia Fieschi. Poichè alla morte di Innocenzo V, Carlo trovavisi a Roma, l'ufficio senatorio gli -dava diritto di sorvegliare il Conclave. Non usò riguardi. Chiuse i Cardinali con durezza in Vaticano, e fece murar le finestre delle loro camere così strettamente che a mala pena vi sarebbe potuto entrare un uccello. Otto giorni stettero i Cardinali francesi disputando con gli italiani, indi ai contendenti non fu dato che pane, vino e acqua; però i partigiani di Carlo ebbero ogni ben di Dio e financo tennero corrispondenze illegali col re. Era stato arcidiacono di Parma e canonico di Piacenza. Il Pontificato gli era stato predetto da S. Filippo Benizi, servita, quando, avvenuta la morte di Clemente IV, Adriano, allora Cardinale, ebbe l'incombenza dal Sacro Collegio di offrire al Santo la suprema Sede della Chiesa. Il Santo gli rispose essere questa apparecchiata per lui, ma che la godrebbe per poco tempo. Ricordandosi di questa predizione, quando fu eletto, a quelli che con lui si congratulavano della ottenuta tiara rispose: Piacesse a Dio che voi foste venuti a rallegrarvi con un Cardinale sano e non con un Papa moribondo. Morì senza esser consacrato e coronato Papa. « Sine munere censecrationis et conationis obiit ». Dante, accusandolo di avarizia, lo pone nel Purgatorio (canto XIX):

Scias quod ego fui successor Petri Intra Siestri e Chiaveri s'adima Una fiumana bella e del suo nome Lo titol del mio sangue fa sua cima. Un mese e poco più prova' io come Pesa '1 gran manto a chi dal fango 'l guarda Che piuma sembran tutte l'altre some. La mia conversione omè l fu tarda

E più oltre:

Fino a quel punto misera e partita Da Dio anima fui, del tutto avara Or come vedi, qui ne son punita.

I1 mausoleo di questo Pontefice è il primo su cui sia stato scolpito lo stemma gentilizio della famiglia alla quale il defunto Papa aveva appartenuto: reca infatti nel mezzo l'impresa dei Fieschi. L'usanza venne ripresa quando fu eretta la tomba di Bonifacio VIII (Caetani) e poi fu continuata.

GIOVANNI XIX o XX o XXI - PONT. CLXXXVII DI LISBONA (1276 - 1277) « PISCATOR TUSCUS n Rodolfo Re dei Romani (Sec. XIII).

PIETRO Giuliano era nato a Lisbona e apparteneva a nobile famiglia. Studiò all'università di Parigi diventando celebre nella medicina. Entrato nella vita ecclesiastica fu arcidiacono della Chiesa di Braca, archiatra di Gregorio X che lo fece cardinale Vescovo di Frascati. Intervenne al Concilio di Lione. Tornato col Pontefice in Italia, alla morte di Adriano V era eletto nel Conclave tenuto a Viterbo, col nome di Giovanni XXI. Incoronato il 20 settembre, sospese la costituzione di Gregorio X sul Conclave per ordinarla in diversa maniera. Ricevette da Carlo, re di Sicilia, il giuramento per questo regno. feudo della Chiesa. Cercò di pacificare Filippo III con Alfonso X re di Castiglia, e procurò che il re del Portogallo Alfonso III desistesse di 'opprimere la Chiesa. Mandò legati a Michele, imperatore d'Oriente per ratificare l'unione della Chiesa Greca con la Latina fatta nel Concilio di Lione. e procurò di mantenere quella parte della Palestina che era ancora in potere dei cristiani. Morì dopo 8 mesi di Pontificato il 16 maggio 1277 in Viterbo, per le ferite riportate in seguito alla caduta del soffitto della camera ove dormiva. Fu sepolto nella Cattedrale di Viterbo. Se il Pontefice Innocenzo III fu autore di una ricetta con la quale guarì degli occhi l'abbate di S. Paolo, Pietro Giuliano per dare modo al volgo di ricorrere alle ricette più stimate o « più provate » come allora si diceva, compose il celebre « Tesoro dei Poveri » che fu per molti anni un vero trattato popolare di pronto soccorso nelle molteplici malattie. I poveri, che non potevano avere a portata di mano i trattati dei più rinomati maestri del periodo medioevale, accolsero con grande entusiasmo il trattatello di messer Pietro Giuliano. Il Codice palatino dice che il libro fu composto « a utilitade delli poveri non possenti comperare tutti i libri della medicina ». Or non è molto un articolo del prof. Diego d'Amico dell'Università di Roma, pieno di dottrina e rigorosamente scientifico, affermava che I'Hispano non fu soltanto medico e filosofo, come hanno sostenuto insigni studiosi italiani e stranieri, ma anche oculista. L'ipotesi è invero ardita, ma non infondata, in quanto di Pietro Hispano abbiamo un « Liber oculorum » che è una delle opere più notevoli del '300. Il « Trattato degli occhi » dell'Hispano, infatti oltre al valore scientifico intrinseco rispetto alle cognizioni di quel tempo, è soprattutto notevole perchè — scrive il D'Amico — ci dà un'idea chiara delle nozioni che si avevano in quel- li epoca. proposito delle ricette di Pietro Giuliano l'Hispano per gli occhi, si legge che quando Michelangelo affranto dal lavoro gigantesco della Sistina, soffrì gravi disturbi alla vista, anche egli ricorse all'autorità del medico lusitano. Le tre carte scritte di proprio pugno dal « terribile » artista, conservate ancor oggi alla Vaticana, contengono le ricette per i mali d'occhi che Michelangelo trasse dal Tesoro dei poveri e dalle quali ebbe sicuro giovamento. Tra le ricette del suo « Tesoro » ve ne sono di curiose. segna, infatti, che « lo piè del lupo legato al collo caccia le doglie coliche ; mangiare lo topo arrostito sana li maniaci ; peli di barba di porco, arsi e fattine impiastro, fanno scomparire le ghiandole; la tela del ragno bianco impiastrata alla testa ovvero alle tempia, val contro la febbre terzana », ma non biàogna pensare che l'arte o la scienza di Pietro Giuliano sia in questi esempio, perchè le nozioni interessanti ed utili sono numerosissime e resistono ancora. Si è molto discusso se quel Pietro Hispano, che Dante vide splendente nel cielo del Sole, sia da identificarsi con Papa Giovanni XXI. Ma di recente, con le incontrovertibili argomentazioni del prof. Bilancioni, si è stabilito come non possa esistere più alcun dubbio che il personaggio dantesco sia lo studioso che ascese il soglio Pontificio. Il Muratori afferma che fosse poco favorevole ai monaci: mentre è certo che fu amico di Fra Giovanni da Parma generale dei Francescani e fu protettore di quell'Ordine. Protesse gli studi e fu generoso coi ricchi e coi poveri: per la sua scienza fu detto « chierico universale » come colui che in tutte le scienze era molto stimato. Come altri Pontefici fu dal volgo, per la sua dottrina, stimato « mago ». Si distinse anche nella poesia. Altri Papi che si distinsero nella poesia sono : Pio II, Leone X, Urbano VIII, Clemente IX, Clemente X e Leone XIII. Il Platina dice : « Giovanni si riprometteva lunga vita e pubblicamente lo diceva ». La causa della morte è nota. Aveva fatto fare nel palazzo di Viterbo ove abitava una bella camera : e mentre in essa dormiva detta camera repentinamente crollò ed egli rimase oppresso e quasi schiacciato tra le travi e i sassi rovinati. Tratto dalle rovine, ferito al capo e in più parti del corpo, dopo sette giorni cessò di vivere. Fra Paolino minorita, detto Giordano, racconta che: « certo frate minore di Viterbo, essendo a letto dormente, improvvisamente esclamasse ed a' frati accorrenti dicesse : « Un uomo nero con una gran mazza batte sul palazzo del Papa. Pregate perchè non cada ». Dopo un poco esclamò: « Il palazzo cade l ». E nella stessa ora si vide poi ch'era caduto il tetto. Una cosa consimile racconta Giovanni Villani scrivendo che il mercante fiorentino Berto Forzetti mentre navigava in mare, vide, nel momento che avveniva la rovina, un nero gigante in atto di far crollare la camera del Papa a Viterbo.

NICOLO' III - PONT. CLXXXVIII ROMANO (ORSINI) (1277 - 1280) « ROSA COMPOSITA » Rodolfo Re dei Romani (Sec. XIII).

GIOVANNI Gaetano della nobilissima famiglia Orsini era figlio di Matteo Rossi Orsini e di Perna Caetani. Per tempo fu provvisto di benefici ecclesiastici in Francia, in Roma avendo l'amministrazione di S. Lorenzo in Da-maso e di S. Grisogono. Fatto da Innocenzo IV Cardinale, da Urbano IV ebbe il governo o legazione di Sabina e Campagna. Giovanni XXI lo fece arciprete di S. Pietro. Prese parte alla elezione di sette Pontefici. Eletto a Viterbo il 25 novembre 1277 prese il nome di Nicolò III. Ottenne un diploma dall'imperatore Rodolfo per la conferma delle concessioni dai suoi predecessori fatte alla Santa Sede sul dominio temporale : tolse il Vicariato di Toscana al re Carlo I e lo indusse a spogliarsi della dignità di Senatore di Roma, decretando che non più si conferisse a principe straniero. Si occupò della conferma dell'unione della Chiesa Greca alla Latina. Fabbricò un palazzo presso S. Pietro e terminò il Lateranense, rifabbricò la cappella di Sancta Sanctorum e grandi lavori fece nella Basilica Vaticana. Da Viterbo passato a Soriano vi morì di apolessia il 22 agosto 1280, dopo aver governato 2 anni, 8 mesi e 29 giorni. Fu portato a Roma e sepolto in San Pietro. Alla morte di Giovanni XXI il Sacro Collegio si formava di otto Cardinali, i quali dopo tre mesi elessero Nicolò III. Nicolò fu eletto da sette cardinali. Fino al secolo xi non si trova esempio che vi fossero più di 53 cardinali. Dopo questo secolo il loro numero comincia a calare: ma sotto Sisto IV tornò a riprendersi il numero di 53. Alessandro VI ancora lo mantenne; Paolo II lo accrebbe sino a 65. Lo stesso Leone X non lo aumentò, benché in una sola promozione ne facesse 31. Paolo IV fu il primo che ne fece sino a 70. Sisto V lo ridusse stabilmente a questo numero. S. Francesco d'Assisi, a cui il padre lo presentò fanciullo, i aveva predetto il Pontificato. Nel conferire il sacerdozio preferiva la santità alla dottrina, e dei preti diceva che la dottrina senza bontà era veleno senza medicina. Odiava i notai e i procuratori, come pestiferi che vivevano del sangue dei poveri e li espulse dalla Curia. Fissò la sua dimora in Vaticano abbellendolo e ingrandendolo e vi fece piantare un giardino che cinse di mura e di torri. Era di così grande devozione, che, celebrando la Messa si commoveva sino al pianto. Concesse privilegi ad Ancona che gli eresse una statua. Aveva concluso un patto con Viterbo per il soggiorno della Curia. Con questo patto il Comune oltre ad obbligarsi ad allestire in modo conveniente il Palazzo Papale e a dar libera dimora ai Cardinali e alla gente di Curia, s'era obbligato di cacciar via le meretrici e i mezzani. Era ben fatto di persona ed era adorno di così belle doti e virtù che era chiamato « il composto ». Il Platina dice che era « di così buona vita e costumi che n'era il composto ». Il Moroni dice che era adorno di belle virtù « le quali sarebbe a desiderare che egli non le avesse in qualche maniera adombrate con la soverchia brama di arricchire e ingrandire i proprii parenti ». E Dante raccogliendo quelle accuse lo pone all'Inferno e gli fa dire:

E veramente fui figliuol dell'orsa Cupido sì, per avanzar li orsatti Che su l'avere e qui me'misi in borsa. (Inferno, XIX).

In un codice Marciano, di Nicolò III, è detto che « non avrebbe avuto pari al mondo, se fose stato senza parenti ». Parecchi scrittori hanno cercato di difendere da queste accuse la memoria di Nicolò III. Il P. Fedele Savio, in uno studio pubblicato sulla Civiltà Cattolica (Nicolò III Orsini, Serie XV, X, IX, 8 gennaio 1894) combatte le accuse circa il nepotismo di Nicolò III per dignità ecclesiastiche e civili conferite ai suoi parenti, e le cessioni di feudi e domini dello Stato della Chiesa per fondare principati ai suoi nepoti.

MARTINO IV o II - PONT. CLXXXIX DE BRIE (1281 - 1285) « EX TELONIO LILIACEI-MARTINI » Rodolfo Re dei Romani (Sec. XIII).

SIMONE de Brie era di nobilissima famiglia di Monpazier. Per dottrina e virtù chiarissimo prima fu beneficiato della Chiesa di Rouen, poi canonico di S. Martino di Tours, indi guardasigilli di S. Luigi IX re di Francia. Urbano IV lo nominava Vescovo di Puy, ma egli non volle accettare e allora il Papa lo creò Cardinale di Santa Cecilia. Fu legato di Cle- mente IV in Francia a Carlo d'Angiò. Richiamato a Roma da Nicolò III, alla di lui morte gli succedeva il 21 febbraio 1281 col nome di Martino IV. Fu incoronato a Orvieto, essendo Viterbo sotto l'interdetto. Scomunicò l'imperatore Michele Paleologo per aver mancato alla promessa unione della Chiesa greca alla romana. In Sicilia avvenivano i VeRbri Siciliani e Martino ne scomunicava gli autori comprendendovi Pietro III re d'Aragona che depose dal Regno. Costretto ad uscire da Orvieto si rifugiò a Perugia ove il 25 di Marzo del 1285 giorno di Pasqua, dopo aver pranzato ammalò gravemente, morendo il 28. Governò la Chiesa 4 anni, un mese e 7 giorni. Fu sepolto nella cattedrale di Perugia. Quando fu eletto non voleva accettare onde per forza i Cardinali, strappategli di dosso le insegne cardinalizie, lo rivestirono delle papali. Prese il nome di Martino IV, terminando così con lui la confusione col nome di Martino. Fu coronato a Orvieto perchè in Viterbo eravi l'interdetto per causa dell'arresto avvenuto nel conclave, per istigazione di Riccardo Annibaldi che n'era il custode, dei due Cardinali Matteo e Giordano Orsini. Era così segreto nelle sue cose che soleva dire che se la sua camicia avesse potuto sapere ciò ch'egli pensava se la sarebbe stracciata di dosso. Era così lontano dalla affezione de' suoi che essendo venuto un suo fratello per chiedergli aiuto lo rimandò con modesto viatico dicendo che i beni erano della Chiesa ed egli non ne poteva disporre. Nel suo Pontificato avvennero i famosi Vespri Siciliani, al grido di : Muoiano i francesi : e tutti i francesi furono sterminati nell'Italia. I Vespri Siciliani ebbero il loro contraccolpo a Roma ove i romani preso d'assalto il Campidoglio, massacrarono il presidio francese e dichiarata decaduta la podestà senatoria dell'Angioino, nominarono a defensor o capitano della città « Iohannes Conthii Malabranca ». Intraprese la costruzione di due palazzi papali a Orvieto e a Montefiascone, ove da lui ebbe origine quella rocca. Chiamò a Roma Ugone Atrato, celebre, medico, per consultarlo sulle epidemie che allora facevano grandi stragi e nel 1281 lo fece Cardinale. Il Moroni, anche esso, raccoglie la voce che « morì per aver mangiato con eccesso le anguille che molto gli piacevano ». Questa storia delle anguille doveva esser molto radicata e avere un qualche fondamento se anche Dante, appunto perchè ghiotto di un tal cibo, lo pone al Purgatorio e dice: Ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia Del Torso fu, e purga per digiuno Le anguille di Bolsena e la vernaccia. (Purgatorio, XXIV). Dell'affare della vernaccia Benvenuto da Imola nel suo Commentario su Dante dice: « Nec minus bene bibebat cum quia anguilla vult natare in vino in ventre ». acopo della Lana, commentando questi versi dice : ( Fu molto vitioso della gola e fra l'altre ghiottonerie nel mangiare ch'elli usava, faceva torre le anguille del Lago di Bolsena e quelle faceva annegare e morire nel vino della vernaccia, poi fatte arrosto le mangiava : et era tanto sollecito a quel boccone che continuo ne voleva e faceale curare e annegare nella sua camera... ». Negli « A nnales Colmarienses » sempre a proposito di queste benedette anguille di Papa Martino è detto che: Institit anguillis, mortem gustavit in illis, A ssas et coctas, martyrizavit eas. Ed anche: Gaudent anguillae quia mortuus hic iacet ille Qui quasi morte reas excoriabat eas. Se tutte queste voci vanno prese col beneficio di inventario, assolutamente ingiusta appare subito l'accusa che gli muove il citato Benvenuto da Imola, dicendo : « Plus tamen habuit curam anguillarum, quam anima-rum » perchè, — osserva il Moroni — « i miracoli che Dio operò al suo sepolcro, e ne' quali fiorì di poi, per cui alcuni lo venerarono per santo, mostrano abbastanza di non aver egli ecceduti i termini della giustizia e della gola ». Proibì con la scomunica i giochi di asta e di spada in cui si spargeva molto sangue. Avendo Martino scomunicato Pietro III re di Aragona, scomunicando ancora chi gli ubbidisse e lo chiamasse Te, questi per ischerzo si fece intitolare: « Pietro d'Aragona ca• valiere, padre di due re e signore del mare ». Il giudizio nel quale si accordano i più è che non si intendeva delle cose italiane e di Roma e per quanto uomo santo non fu buon principe.

ONORIO IV - PONT. CXC ROMANO (SAVELLI) (1285 - 1287) a EX ROSA LEONINA » Rodolfo Re dei Romani (See. XIII).

IACOPO Savelli, romano, della nobilissima famiglia era figlio di Luca e di Vanna Aldobrandesca. Urbano IV nel 1261 lo creava Card. di S.Maria in Cosmedin. Adriano V Io mandò in Viterbo per comporre il dissidio tra Rodolfo re dei Romani e Carlo I re di Sicilia. Prese parte alle elezioni di Clemente IV, Gregorio X, Innocenzo V, Adriano V, Giovanni XX, Nicolò II e Martino IV. Fu eletto nel conclave di Perugia e perchè avanzato in età e ammalato di podagra accettò a malincuore. Appena eletto i romani gli conferivano la dignità senatoriale a vita ed egli confermava la carica di senatore al fratello Pandolfo. Si oppose al re d'Inghilterra che voleva imporre le decime sugli ecclesiastici, purgò le terre della Chiesa dai ladri e fu intrepido nel sostenere i diritti della Chiesa. Scomunicò Giacomo II d'Aragona per aver occupata la Sicilia e Alfonso III suo fratello perchè teneva prigioniero Carlo II re di Sicilia : e anche i Vescovi di Cefalù e di Nicastro che avevano coronato Giacomo. Protesse le arti e fu generoso coi poveri. Morì dopo aver governato la Chiesa 2 anni e un giorno. Sepolto prima in Vaticano fu da Paolo III fatto trasportare all'Aracoeli presso la madre Giovanna Aldobrandesca. La famiglia Savelli ha dato alla Chiesa 6 Pontefici: Liberto, Eugenio I, Benedetto II, Gregorio IV, Onorio III ed Onorio IV. In Roma la famiglia del Papa possedeva un palazzo e torri nella Regione Parione, ove ancora oggi è un « Vicolo Savelli », più tardi sui ruderi del Teatro di Marcello costruì quel palazzo, poi degli Orsini. Era così tormentato dalla gotta che era incapace a muoversi : e così rattrappito di mani e di piedi che non poteva star ritto ne' camminare, e quando celebrava la messa aveva bisogno di certi apparecchi speciali per poter muovere le mani e alzare l'ostia. Per questo suo male fu di lui detto che: Ponitur in Petri monstrum mirabile sede Mancus utraque manu, claudus utroque pede. Osserva il Platina che se aveva questo malanno « consilio tamen et prudentia tanto valuit ut non multum corporis vices in eo desiderarentur ». Il fratello di Onorio, Pandolfo che come Senatore governava Roma non era meno di lui tormentato dalla podagra, tanto che gli bisognava farsi portare sopra una scranna. Ma questi due fratelli ressero egregiamente e in tranquillità le sorti di Roma. Aveva edificato, o meglio ingrandito, un suo palazzo sull'Aventino, facendovi abituale residenza e solo nella stagione estiva dimorava a Tivoli, probabilmente per le cure dei bagni delle « acque albule ». Si disse di lui che da solo, vedesse più di tutti gli altri insieme a Roma. Condannò gli eretici « Fraticelli » che seguivano Gherardo Segarelli, parmigiano. Ordinò ai monaci Carmelitani che si mutassero l'abito in un altro più conveniente di quello che portavano, fatto a strisce larghe, bianche e grigie il quale, dicevano i monaci essere stato quello di Elia. Si legge che Onorio per farsi curare del suo male fece venire da Bologna Taddeo di Alderotto fiorentino e che poi guarito, « il rimandò con 10 mila scudi invece di 100 al giorno che aveva bassamente e con avidità domandato ». Aveva per motto : Pars mea Deus in saecula.

NICOLO' IV - PONT. CXCI MASCI DI ASCOLI (1288- 1292) « PICUS INTER ESCAS » Rodolfo Re dei Romani (Sec. XIII).

GEROLAMO Masci era nato di bassa famiglia presso Ascoli. Dopo aver studiato a Perugia si fece religioso conventuale e fu amico di San Francesco. Nominato generale del suo Ordine, ebbe incarichi e missioni delicate dai Pontefici. Nicolò III lo nominò Cardinale di S. Pudenziana nel 1278, passando poi all'Ordine dei Vescovi nel Vescovado di Palestrina. Dopo un lungo conclave fu eletto alla unanimità e assunto il nome di Nicolò 1V fu coronato a S. Pietro. Tolse l'interdetto al Portogallo: annullò il trattato che confermava a Giacomo d'Aragona il possesso della Sicilia, e nel 1289 a Rieti incoronava re di Sicilia il figlio di Carlo d'Angiò, Carlo II. Cercò di pacificare le Romagne e l'Umbria, e di accordare il re di Francia Filippo il Bello e il re d'Inghilterra Edoardo I. Fondò le università di Macerata, Montepulciano, Montpellier e concesse privilegi a quella di Lisbona. Fu accusato di parzialità per la casa Colonna. Approvò il terzo ordine di S. Francesco e mandò missionari a predicar la fede nella Cina. Pose la prima pietra del Duomo di Orvieto e abbellì di mosaici e restaurò S. Maria Maggiore. Governò la Chiesa 4 anni, un mese e 14 giorni : morì il 4 aprile 1292 e fu sepolto in Santa Maria Maggiore. 11 conclave che alla morte di Onorio IV s'era adunato a S. Sabina fu lungo, perchè mentre si teneva morirono 6 Cardinali di una febbre pestilenziale che desolava Roma: gli altri fuggirono. Non rimase a S. Sabina che il Cardinale Masci, che in mezzo al caldo dell'estate si faceva un gran fuoco intorno per purificare l'aria. Quando fu eletto, stette titubante sette giorni prima di accettare. Nicolò IV è il primo Papa francescano; dopo di lui furono francescani i Papi Alessandro V, Sisto IV, Giulio II, Sisto V e Clemente XIV. Era di tanta umiltà che soleva dire: « che stimerebbe di più essere cuoco tra i suoi Frati che Cardinale : ciò che egli avrebbe rifiutato se non avesse temuto di offendere il suo Ordine ». I Podestà d'Italia possono vantarsi di Nicolò IV che fu Podestà di Ascoli Piceno. Fabbricò un palazzo presso S. Maria Maggiore ove abitò. Secondo il ritratto di Benozzo Gozzoli a S. Francesco in Montefalco, Nicolò era grosso e paffuto. Diceva che suoi parenti erano soltanto quelli che la virtù e la dottrina rendevano cospicui. Uno storico ha detto di lui che « portava la dolcezza dell'animo, la maestà della persona, la dignità senza il fasto ». Fu oggetto di censura e di satira per l'asserita sua parzialità verso la Casa Colonna. Nel '1290 Roma era piena di caricature del Papa. Lo si rappresentava ficcato dentro di una colonna — stemma dei Colonna — in modo che di lui non ispuntava fuori che la testa mitrata, mentre due altre colonne — con le quali volessi simboleggiare i due Cardinali Colonna — s'innalzavano da un lato e dall'altro. Sisto V eresse a Nicolò IV in S. Maria Maggiore, al suo confratello, un monumento con architettura di Domenico Fontana e statue di Leonardo di Sarzana.

S. CELESTINO V -PONT. CXCII D'ISERNIA - PIETRO MORRONE (1294, rinunziò 1294, morì 1296) EX EREMO CELSUS n Rodolfo Re dei Romani (Sec. XIII).

ERA chiamato Pietro di Morrone, figlio di un povero agricoltore di Isernia nel Molise. Entrato giovane nell'ordine di S. Benedetto dal Convento di S. Maria della Faipola di Benevento si ritirava in solitudine sui monti della Maiella. Recatosi a Roma vi riceveva il sacerdozio, tornando di poi sulla montagna del Morrone, ove fondava il suo ordine dei Celestini, che fu approvato da Gregorio X. Mentre così viveva lontano dal mondo, i Cardinali dopo essersi invano riuniti in più luoghi, adunatisi a Perugia, vi elessero l'eremita del Morrone. Portatagli notizia della nomina dai Cardinali e dai notai apostolici, indotto ad accettare assunse il nome di Celestino V. Ad Aquila veniva consacrato e incoronato. Voleva recarsi a Roma, ma dal re Carlo II fu indotto a recarsi a Napoli. Il Sacro Collegio presto ebbe a lamentarsi di Celestino che non aveva riguardo nè a tradizioni nè al cerimoniale. A Napoli dopo esser stato titubante sulla sua capacità a dirigere la Chiesa, dopo aver ristabilito le norme di Gregorio X sul cònclave e con una costituzione determinato che era ai Papi permesso rinunciare alla loro dignità; radunato il concistoro, faceva formale atto di rinuncia. Papa Bonifacio VIII, che gli fu successore, lo relegò nella rocca di Fumone ove moriva il 19 maggio 12%. Aveva pontificato 5 mesi e 8 giorni. Fu santificato da Clemente V. Il suo corpo ch'era stato sepolto a Ferentino è ora nella Chiesa di S. Maria di Collemaggio ad Aquila ; dentro un ricco mausoleo. All'annunzio della sua elezione il Petrarca dice che Celestino tentasse fuggire : invece il suo biografo poeta lacopo Stefaneschi dice che fatta una breve orazione accettò: inquit : Papatus accepto gradum. E allora i legati gli baciarono i calzari che son detti villosi: perché probabilmente saranno stati della foggia usata dai ciociari odierni : sandali di pelle di capra. Volle, per umiltà entrare nella città di Aquila a cavallo di una giumenta: e due re ne reggevano le briglie. Non sapeva dire di no ad alcuno: spesso concedeva la stessa cosa a più persone e le sue azioni che erano quelle di un uomo allo stato di natura parvero biasimevoli. Si lasciò circondare dai laici e persino il suo segretario fu un uomo laico, onde non poco se ne dolevano i vecchi Cardinali. A Napoli, presto si infastidì della corte, e giunto l'Avvento, rimpiangendo la sua vita di solitudine si rinchiuse nel palazzo, e fattasi fare una cella di canne in essa si ritirò confidando il governo della Chiesa a 3 Cardinali. Fosse intimo convincimento e umiltà, fossero i consigli favorevoli di abdicazione che il Tosti ammette esser stati dati a Celestino dal Cardinale Gaetani — poi suo successore — fatto sta che il Pontefice decise irrevocabilmente di rinunziare. Nel concistoro del 13 dicembre 1294 tenuto a Napoli leggeva questa formula : « Io Celestino Papa V mosso da legittimi motivi, cioè per cause di umiltà, di miglior vita, di coscienza illesa, di debolezza di corpo, di difetto di scienza, di malignità del popolo, infermità della persona, e per recuperare la tranquillità della passata condizione di vita, spontaneamente e liberamente cedo il Pontificato, ed espressamente rinunzio al luogo, dignità, occupazione ed onore, dando libera e piena facoltà al Collegio dei Cardinali per eleggere canonicamente un Pastore della Chiesa Universale ». Ciò detto si spogliò del manto papale e di tutte le insegne pontificie e modestamente si pose a sedere ai piedi dei Cardinali. Celestino è il Papa del « gran rifiuto » e Dante -- nientemeno — lo pose per questo all'inferno :

Poscia ch'io ebbi alcun riconosciuto Vidi e conobbi l'ombra di colui Che fece per viltade il gran rifiuto. (Inferno III). E dice che per tale atto è :

A Dio spiacente ed a' nemici sui.

Questo atto di umiltà fu invece favorevolmente giudicato dal Petrarca, da S. Antonino e dal Bellarmino. Dopo la sua abdicazione fu detto : Fit monachus qui Papa fuit. Rinchiuso da Bonifacio VIII nella rocca di Fumone diceva : Perchè lagnarmi ? Una cella bramavo e una cella mi fu data. Per ordine di Bonifacio VIII il suo corpo venne trasferito con pompa solenne a Ferentino e sepolto prima nella Chiesa di S. Antonio, poi in quella di S. Agata nella stessa città e infine nel Monastero dei Celestini all'Aquila. Il suo cuore rimase a Ferentino e la sua mascella inferiore con un dente, conservatosi bianchissimo, inviata ai Celestini di Parigi. Diciasette anni dopo la sua morte Clemente V lo canonizzava in Avignone dicendo « Uomo di stupenda semplicità ed imperito dei negozii che toccavano il reggimento dell'universale Chiesa, rivolgendo in se stesso prudentemente l'occhio della interna sua attenzione liberamente ed al tutto cedette agli onori ed ai pregi del Papato, perchè nell'universa Chiesa non derivasse pericolo di sorta al suo reggimento ».

BONIFACIO VIII - PONT. CXCIII DI ANAGNI (CAETANI) (1294 - 1303) EX UNDARUM BENEDICTIONE » Adolfo, Alberto Re dei Romani (Sec. XIII - XIV)

BENEDETTO Caetani di nobile famiglia, era nato in Anagni. Studiò a Todi, poi a Parigi, avvocato concistoriale, Cardinale con Martino IV. Aveva gran fama di esperienza negli affari di Stato, ed era di vita integra. Appena Pontefice, eletto a Napoli, revocò le facili concessioni carpite a Celestino V, quindi re-cossi a Roma ove fu consacrato e coronato. Prese parte decisa per i Guelfi, venendo a contesa con i Colonna ai quali confiscò i beni radendo al suolo la loro fortezza di Palestrina. Ebbe subito un aspro conflitto con la Francia avendo proibito ai chierici, sotto pena di scomunica, di pagare le contribuzioni ai laici senza il permesso del Papa. Il conflitto scoppiò Più aspro quando Filippo il Bello imprigionò il Nunzio che il Papa gli aveva mandato e alla intimazione di presentarsi a Roma non aveva neppure risposto. Volendo Filippo il Bello vendicarsi di Bonifacio mandò in Italia il suo cancelliere Guglielmo Nogaret il quale insieme a Scíarra Colonna, e a un manipolo di satelliti assaltò il palazzo ove il Papa dimorava ad Anagni. Si introdussero nella sala, ove l'ottuagenario Pontefice si fece trovare in abiti Pontificali col triregno in testa, e dopo aver svilaneggiato il Pontefice lo dichiararono prigioniero. Ma tre giorni dopo era liberato dal popolo di Anagni. Bonifacio tornò a Roma, ma per le angustie patite poco dopo moriva. Il Pontificato di Bonifacio, è celebre per la istituzione dei giubilei, il primo dei quali fu celebrato nel 1300. Governò la Chiesa 8 anni, 9 mesi e 18 giorni. Fu sepolto in Vaticano. Per parte della madre era parente di Innocenzo III, di Gregorio IX e di Alessandro IV. La leggenda dice che Bonifacio per persuadere Celestino alla rinunzia mandasse di notte delle persone che, nascoste nella sua camera, come voce venuta dal cielo, gli dicevano che se voleva salvarsi doveva lasciare il Papato. Nell'inventario del Palazzo Apostolico, fatto nel '1297 per ordine di Bonifacio VIII, si vede: «Un Regno con molti balasci, rubini, smeraldi, zaffiri, perle e un rubino grosso nella sommità » che forse fu quello che si smarrì nella caduta di Clemente VI e poi fu ritrovato. La solenne cerimonia della coronazione di Bonifacio fu turbata da un furioso temporale scatenatosi con acqua e fulmini e da una rissa accaduta durante il corteo, nella quale furono uccise 40 persone. Nel 1298, mentre il Papa si trovava a Rieti con tutta la corte vi fu un grande ,terremoto. E il Papa temendo di essere oppresso dalla caduta delle case, in un ampio prato del monastero di S. Domenico, ove abitava, si fece costruire una casetta di tavole nella quale per alcun tempo stette benchè fosse crudo inverno. Indisse il Giubileo e famoso resta il primo da lui celebrato nel 1300. ll cronista di Asti numera a due milioni i pellegrini venuti quell'anno a Roma. Tanto era il denaro portato dai pellegrini che un cronista del tempo narra che due chierici stavano all'altare di San Pietro e due a-quello di S. Paolo tenendo nelle mani un ra• strello, per raccogliere il denaro offerto. Al Giubileo del 300 si riferisce Dante, vedendo la folla dei pellegrini passare sul Ponte S. Angelo:

Come i roman per l'esercito molto, L'anno del giubileo su per lo ponte Hanno a passar la gente modo colto, Che dall'un lato tutti hanno la fronte Verso '1 castello e vanno a Santo Pietro, Dall'altra sponda vanno verso 'I monte. (Inferno XVIII).

Per quelli che fanno la cura di Fiuggi è utile sapere che Papa Bonifacio dimorando in Anagni beveva ogni giorno l'acqua di Anticoli (Fiuggi) che per sicurezza mandava a prendere da tre cursori i quali non erano impiegati che nell'andare avanti e indietro per turno a provvederla. E sembra che ciò facesse anche quando era a Roma perchè a cagione dei rovinati acquedotti era penuria di acqua buona. Tra le accuse fatte a questo Pontefice, era quella di avere sempre portato con sè un amuleto prescrittogli da Arnaldo di Villanova contro il male della pietra. La verità è ch'egli era uricemico e faceva uso abbondante dell'acqua di Anticolí « quam vocant Fiuggi, ex eo nomen ducere videtur, quod levis unda fugit ». Alle minacce di scomunica, Filippo il Bello faceva rispondere da un suo messo al Papa : « Sancte Pater, gladius vester est verbalis, sed gladius domini mei est realis ». In Francia, ove il popolo parteggiava per il re contro il Papa anzi che Bonífacius lo chiamavano per beffa: « Malifacius ». Quando Nogaret e Sciarra Colonna, abbattendo le porte, furono davanti al Papa, questi che era vestito degli abiti pontificali e seduto sul trono : « Eccovi, disse, la testa: eccovi il collo ». Negano gli storici che Nogaret percuotesse il vecchio Pontefice ottantaseienne col suo guanto di ferro. Anche la bolla di Benedetto XI (suo successore) tace di maltrattamenti corporali. Il Villani, Benvenuto da Imola, Franco Pipino, espressamente lo negano. « Persona eius non tetigi, nec tangi permisi ». Così testa il Nogaret, che, per quanto fosse bugiardo, qui avrebbe potuto sfrontatamente mentire. Al triste episodio di Anagni si riferisce Dante nel dire: Veggo in Alagna entrar lo fiordaliso E nel Vicario suo, Cristo esser tatto, Veggiolo un'altra volta esser deriso Veggio rinnovellar l'aceto e il fiele E tra vivi ladroni essere anciso. (Purgatorio XX). Questi versi di Dante — giustamente osserva M. Trivulzio della Somaglia — non mitigano le accuse che egli formulò negli altri canti del suo Poema contro Bonifacio, che, per altro, per odio sì, ma con reverenza chiama « il gran prete ». Dice il Papini nel suo « Dante vivo » che « la trista fama di Bonifacio ne' secoli è dovuta in gran parte ai versi di lacopone da Todi e di Dante suoi nemici ». È grandemente benemerito dell'Università di Roma che sovvenne aumentando le cattedre. I Pisani elessero Bonifacio VIII a loro magistrato supremo ed egli non ricusò questa carica per il bene della pace: e Firenze, Bologna ed Orvieto gli innalzarono statue. Il Petrarca chiamò Bonifacio VIII « Maraviglia del mondo ». Si racconta che Papa Bonifacio regalasse alla città di Firenze un magnifico leone e che i Priori lo avessero posto alla catena nel cortile del loro palazzo. Un giorno un asino, carico di legna, entrò nel cortile e veduta la belva, o per paura o per casò l'assalì così furiosamente a calci che, nonostante l'accorrere di parecchie persone, fu miseramente uccisa. La più antica 'citazione italiana relativa ai Papi è il ritmo di lacopone da Todi, contro le stesso Bonifacio: « O Papa Bonifacio — Molto hai j5cato al mondo — Penso che jocondo - Non te potrai partire » ecc. Accreditate dalla avversione che il Papa nutriva contro i Ghibellini e contro i francesi gli sono attribuite queste storielle. All'Arcivescovo di Genova, che era ghibellino, dando Bonifacio, il giorno delle Ceneri, la cenere sulla fronte disse : Memento homo qui Ghibellinus es et cum ghibellinis in pulverem reverteris. E anche, che mentre era in lotta con Filippo il Bello dicesse voler essere piuttosto, cane o asino che « gallo ». Durante un'udienza avvenne una scena che mosse tutti alle risa. Essendosi presentato al Papa certo Giovanni d'Andrea assai deforme e piccolo di statura; venuto per commissione della città di Bologna, il Pontefice credendolo genuflesso, perchè la sua veste talare tutto lo ricopriva, più volte gli disse di alzarsi in piedi, onde un Cardinale, ch'era presente, vedendo che il d'Andrea per vergogna nulla rispondeva avvertì il Papa dell'errore; e questo fu per tutti gli astanti cagione di molte risa. Nel musaico della tribuna di S. Giovanni in Laterano sono nelle figure oltre al Salvatore, anche gli Apostoli e quelle in piccolo di Nicolò IV e dei Santi Francesco d'Assisi ed Antonio di Padova. Non piacque a Bonifacio VIII che questi due santi moderni vi fossero con gli Apostoli, onde ordinò che almeno fosse levata l'immagine di S. Antonio e sostituita con quella di S. Gregorio I. Salito dunque il muratore sul palco per eseguire il comando del Papa, al primo colpo che diede nel cappuccio del Santo per disfarlo, tanta forza sentì uscire da quella immagine ch'esso con tutti gli altri che stavano sul palco, caddero con violenza a terra e furono creduti morti. Il Papa appena lo seppe ordinò che non se ne facesse altro, e così restò l'immagine col segno del colpo sino ad Alessandro VII che fece restaurare la tribuna, come se ne vede l'indizio nel nuovo musaico impiegato diverso dall'antico. Durante il Pontificato di Bonifacio, la Santa Casa fu per mano degli angeli trasportata in Dilmazia, quindi dopo tre anni, nella Marca di Ancona in una selva chiamata Loreto, poscia 8 mesi dopo in un altro luogo più in là del monte e poco di poi, nel 1295, nel luogo dove oggi si venera. I cronisti tedeschi inventarono che Bonifacio morisse di dispetto per l'onta subita ad Anagni e che si stracciasse con le unghie le carni. „ Invece, quando nel 1605 fu aperto il suo sepolcro, il cadavere fu ritrovato intatto. Giacomo Grimaldi che ne descrive la esumazione dice che nell'anulare della mano destra portava un anello bellissimo adorno di un prezioso zaffiro, valutato allora dal Macanzio, 300 scudi. Il cadavere era vestito di nero e paonazzo. Il P. Tosti, dando un giudizio sintetico di Papa Bonifacio dice che « il Bello lo ferì colla forza del civile diritto, i Colonna con quello della Chiesa, Dante con quello della opinione, ma da tutti non fu nè oppresso, nè vinto ».

BENEDETTO X o XI - PONT. CXCIV DI TREVISO (BOCCASINI) (1303 - 1304) «CONCIONATOR PATARAEUS » (Sec. XIV).

NICOLÒ Boccasini di Treviso, recatosi a Venezia entrava nell' Ordine Domenicano, presto facendosi notare per virtù e sapere. Dopo esser stato predicatore e lettore a Bologna fu fatto generale del suo Ordine. Più volte se ne servì Bofacio VIII mandandolo Nunzio in varii paesi. Fatto Cardinale e poi Vescovo di Ostia, alla morte di Bonifacio era eletto nel conclave di Roma Pontefice, assumendo il nome di Benedetto XI. Cercò di restituire la pace, e reintegrò i Cardinali Giacomo e Pietro Colonna, liberò dalle censure Filippo il Bello: ma non tolse la scomunica al Nogaret e a Sciarra Colonna per il sacrilegio commesso. Cercò inutilmente di comporre in Toscana, le discordie tra Guelfi e Ghibellini. Mentre rivolgeva le sue cure alla recuperazione della Terra Santa, per le discordie che turba.. vano Roma dovette allontanarsene: recandosi prima a Montefiascone, poi a Viterbo e infine a Perugia. Poco dopo, non senza sospetto di veleno moriva in quella città avendo pontificato 8 mesi e 5 giorni. Fu sepolto nella chiesa di S. Domenico di Perugia e fu beatificato nel 1733 da Clemente XII. È il secondo Papa appartenente all'Ordine dei Damenicani. Dino Compagni nella sua Cronaca Fiorentina dice che fu: « Uomo di pochi parenti, di piccolo sangue, costante, ed onesto, discreto e santo ». Mentre anche il Villani suo contemporaneo lo dice di umile condizione, altri lo vogliono figlio di un notaio. Prese il nome di Benedetto, in omaggio al suo benefattore Bonifacio VIII che aveva per nome Benedetto. È iscritto nella cronologia col doppio numero di X o XI, perchè essendosi il Vescovo Giovanni Mincio di Velletri, nel 1058, tumultuaria- mente proclamato Benedetto X alla morte di Stefano IX « nessun Papa — dice l'Audisio - vorrà chiamarsi Benedetto X, per esecrarne la memoria ». Quando Nogaret e Sciarra Colonna entrarono da Bonifacio ad Anagni e tutti avevano abbandonato il vecchio Pontefice, il Cardinale Boccasini, era rimasto, assieme al Cardinale Pietro di Spagna, accanto al Papa. « Indegnissima Anagni -- esclamò Benedetto XI ricordando l'attentato sacrilego -- che lasciasti compiere tanto misfatto ! Su te non cada pioggia, nè rugiada, cadano su altri monti, ma su te non bagnino, poichè sotto gli occhi tuoi e quantunque tu potessi impedirlo. cadde l'eroe e fu vinto il forte ». Più tardi i cittadini di Anagni attribuirono a tal delitto la rovina della loro città e ancora nel 1536 ne implorarono solenne indulto dal Papa. Era così lontano dall'amore dei parenti che non volle mai far Cardinale un suo nipote. Essendoglisi a Perugia presentata sua madre, vestita di seta, finse di non riconoscerla, dicendo : Questa, certo, non è mia madre. perchè essendo ella povera non sa cosa sia vestir di seta. L'accolse poi amorevolmente, quando gli si presentò modestamente vestita. Scomunicò solennemente coloro che non avessero restituito tutto ciò che del tesoro di Bonifacio VIII, rubato in Anagni, fosse venuto nelle loro mani ; la quale sentenza ordinò fosse promulgata nelle chiese, tenendo i sacri Ministri le candele accese in mano e sonandosi le campane secondo il rito. Sulla sua fine una cronaca dice che « fu attossicato da un suo cameriere in un fico, perchè li haveva promesso di farlo Cardinale e non fece ». Invece si racconta autorevolmente che « stando a tavola nel convento dei Domenicani di Perugia, un giovanetto travestito da fantesca delle monache di S. Petronilla, gli presentò certi fichi fiori di cui il Papa era ghiotto. Questi frutti avvelenati dalla invidia dei suoi nemici, tolsero la vita al Pontefice ». Anche il Villani racconta l'avvelenamento a mezzo di fichi. Ricobaldo Ferrarese e Bernardino Conio, identificano nel diamante la sostanza venefica manipolata « imposito sdamante in ficu ». Portava un anello prezioso, recante nel mezzo un grande zaffiro, 4 balasci e un giro di perle tutto intorno. Di Benedetto XI non si seppe dire se era più dotto o più santo. Bernardo Guido e S. Antonino dicono che la virtù e la ontà divina cominciarono a dichiarare evidentemente i meriti suoi massimamente nel cacciare i demoni dagli invasati.

CLEMENTE V - PONT. CXCV BERTRANDO DE GOT DELLA GUASCOGNA (1305 - 1314) DE FASCIIS AQUITANICIS » Arrigo VII dal 1312 Imp. Alberto, Arrigo VII (fino al 1312) Re dei Romani (Sec. XIV).

APPARTENEVA a una nobilis; ma famiglia della Guascogr ed era nato nel 1264. Educato in un monastero a Deffends aveva studiato a Orleans e Bologna. Vescovo prima di Comminges, fu nel 1299 fatto Arcivescovo di Bordeaux Colla residenza in Avignone, si lasciò dominare dalla Col te francese. Governò la Chi< sa 8 anni, 10 mesi e 15 giorni Non venne mai a Roma. Fu eletto nel conclave di Perugia durato, per il dissidi dei Cardinali, quasi undici mesi ; fu eletto essendo semplic Arcivescovo di Bordeaux e non facendo parte del S. Collegio Appena eletto i Cardinali lo scongiurarono a venire Roma, scrivendogli : « Padre Santo 1 al Vaticano, nella sedi di Pietro diverrà più forte il vostro potere, più splendida l; vostra gloria, la tranquillità vostra più profonda : sarete pii venerando ai popoli e otterrete più facilmente la loro obbedienza e sommessione ». Insensibile a questa preghiera, fissò la sua sede in Francia prima a Bordeaux, poi a Poitiers e infine ad Avignone Prima che il nuovo Pontefice avesse manifestata la sua opinione di: « preferire, primo tra i Pontefici le rive selvaggie del Rodano ai lidi fortunati del Tevere », come dice il Petrarca, l'aveva ben indovinata il Decano del Sacro Collegio Rosso Orsini quando disse al cardinal de' Prato che tanto aveva influito sull'elezione di Clemente : « Voi avete ottenuto il vostro intento : noi vedremo presto il Rodano e se io conosco bene i Guasconi, per lungo tempo il Tevere non vedrà i Papi ». Con Clemente V ha inizio il periodo che fu detto la « Cattività di Avignone » o anche la « servitù di Babilonia » che durò 77 anni, 7 mesi ed 11 giorni, abbracciando i Pontificati di Giovanni XXII, Benedetto XII, Clemente VI, Inno cenzo VI, Urbano VI e Gregorio XI che riportò la sede a Roma. Chiamati i Cardinali e fattasi venire la tiara papale da Roma, si fece incoronare solennemente il 14 novembre 1305 dal Cardinale Napoleone Orsini, alla presenza del re Filippo il Bello, nella chiesa di S. Giusto a Lione. Durante la cerimonia della incoronazione che il Papa volle fosse fastosa, come quelle che si celebravano a Roma, avvennero gravi incidenti. Mentre il Papa cavalcava, con il triregno -in testa, per la gran calca, cadde un muro e nel crollo perirono 12 baroni tra i quali il Duca Giovanni II di Brettagna e un fratello dello stesso Papa. 11 Papa, nel subbuglio, fu dal cavallo sbalzato di sella e nello spavento e nel tumulto perdè un grosso rubino del triregno, valutato sei mila ducati. E’ qui da rilevarsi una strana combinazione : tanto nella sua presa di possesso Clemente XIV, quanto nella sua Clemente V, caddero entrambi da cavallo e tutti e due per aver soppresso due Ordini religiosi — i Gesuiti Clemente XIV, i Templari Clemente V. — Si dissero morti di veleno propinato dai religiosi che avevano soppressi. Prima di salire al Pontificato Bertrando de Got era arcivescovo di Bordeaux mentre arcivescovo di Bourges era il caì dinale Egidio Colonna. Essendo sorta controversia tra i due prelati per il primato delle loro chiese, il vescovo di Poitier, un religioso francescano di molta virtù certo Gautiero di Bruges, benchè suffraganeo della sede di Bordeaux, riconosceva il primato della sede di Bourges. L'arcivescovo di Bourges, sapendo che il vescovo di Poitiers parteggiava per lui lo incaricò di vietare in suo nome all'arcivescovo Bertrando il portare il titolo di Primate di Aquitania, sotto pena di scomunica in caso di disobbedienza. Il vescovo eseguì la commissione, ma appena Bertrando de Got divenne ClementeV, perseguitò Gautiero di Bruges, lo depose da vescovo e lo mandò a finire la vita tra i Frati minori di Poitiers. Il vescovo poco appresso morì con gran pietà, ma prima di morire, per zelo dell'episcopato offeso nella sua persona, fece appello al giudizio di Dio, ordinando di essere sepolto con il foglio sul quale aveva scritto tutti i cattivi trattamenti ricevuti dal Papa. Due mesi dopo la morte del vescovo, trovandosi il Papa a Poitiers, poichè tutti parlavano del giudizio di Dio al quale si era appellato il defunto vescovo, mosso da curiosità volle vedere se il defunto tenesse in mano l'appello del quale tanto si parlava. Di notte, accompagnato da uno dei suoi segretarii e dall'arcidiacono della città, il Papa andò nella chiesa dove era sepolto il vescovo e, fatta aprire la tomba, trovò il vescovo con la cedola in mano. L'arcidiacono si china per prenderla e farla leggere al Papa, ma sente resistenza. Allora il Papa fa ordinare dall'arcidiacono al morto, di cedere la carta, promettendo di rimetterla a posto appena letta. Il morto lascia allora che si prenda la domandata carta. L'arcidiacono prende l'atto e lo porge al Papa e fa per uscire dal sepolcro, ma una forza misteriosa lo trattiene e non può uscire che dopo aver rimesso il foglio nella mano del vescovo. Il fatto è raccontato dal Rohrbacher il quale aggiunge che il Papa ordinò che fosse decorata la tomba del venerando vescovo. Era di straordinaria statura, ma debole e infermiccio. Fu ammalato quasi tutto il suo Pontificato e pare che soffrisse di un'ulcera allo stomaco. Sotto la forza del male diventava taciturno e si isolava da tutti. Una volta, da agosto a dicembre non volle veder nessuno, fuori di alcuni parenti, con grande malcontento dei Cardinali. Di carattere indeciso, era propenso alle mezze misure. Per compiacere Filippo il Bello che voleva far incolpare di eresia la memoria di Bonifacio VIII lasciò incominciare il processo contro quel Pontefice: ma infine dichiarò Bonifacio innocente di tutte le accuse formulate contro di lui. Dietro le istanze del re, abolì il ricco e potente Ordine dei Templari, dopo un processo durato quattro anni. Dove il Papa si recava a soggiornare erano spese immense che la presenza del Papa e della Corte cagionavano: a tal punto che l'arcivescovo di Bourges, Egidio Colonna, smunto dalle spese di un ricevimento al Papa, fu ridotto a far gli uffici di semplice canonico nella sua cattedrale per ricevere come tale, gli emolumenti e le distribuzioni di cui aveva bi- sogno per vivere. Siamo con Clemente V al tempo che descrive Dante (Purgatorio VI, 112). “…Roma che piagne Vedova sola e dì e notte chiama Cesare mio, perchè non m'accompagne? ».

Dante che fu avverso a questo Pontefice, alludendo alla condotta del Papa, verso Enrico VII dice (Parad., XVII, 82):

« Ma Aria che il Guasco l'alto Arrigo inganni ».

Fu Clemente V a proclamare santo (1307) il Papa Cele•stino V, colui al dire di Dante:

<, Che fece per viltade il gran rifiuto ».

11 Muratori chiama Clemente V il « volpino Pontefice ‘). Uchnianosatira popolare Io dipingeva sotto forma di volpe, e così è rappresentato nel Vaticinium IV, dell'abbate Gioac- Nel primo anno del suo Pontificato rimise in grazia i Co. lonna, uno dei quali, essendo in udienza e chiedendo per_ dono, disse di sè e_dei suoi rivolto al Papa: « Manum tuam longe fac a me, et formido tua ne me terreat ». Nel suo pontificato, nel giugno del 1308 avvenne il disastroso incendio nel quale andò distrutta la basilica Lateranense non rimanendo illea se non la cappella pontificia di S. Lorenzo detta Sancta Sanctorum ove si conservavano le più insigni reliquie, l'immagine acheropita del Salvatore e le teste di S. Pietro e di S. Paolo. Il Papa fece riedificare t ripristinare la basilica « più bella e più ricca che non era prima » come dice Giovanni Villani. Fondò nel 1307 l'università di Perugia e in quella d Bologna istituì cattedra di ebraico, siriaco e arabo. Travagliato da dissenteria e da dolor de' fianchi morì a Roquemare al principio del 1314, mentre era in viaggio per Bordeaux. Dal suo testamento si apprese che aveva prestate 320.000 fiorini ai re di Francia e d'Inghilterra. Essendo il suo cadavere lasciato incustodito, da una torcia che gli cadde addosso, rimase abbrustolito e quasi consu mato dalle fiamme. Quando le fiamme già divampanti nel palazzo di Avi gnone fecero accorrere i ladri e l'incendio fu spento, il sacco era stato compiuto con tal diligenza che — dice il monaco Francesco Pipino nella sua Cronaca — si trovò soltanto un mantello logoro per coprire il corpo abbrustolito del più ricco Papa che avesse governato la Chiesa. Trasportato a Carpentras, rimase per negligenza dei pa renti, che pensavano piuttosto a dividersi le ricchezze chi aveva lasciate, alcun tempo insepolto. Nel 1356 il di lui nipote Gailardo de la Mothe gli edificò un bel monumento, che due secoli dopo veniva profanato dai calvinisti, mentre le ceneri del Pontefice venivano sparse al vento. In una lettera scritta dal cardinale Napoleone Orsini al re Filippo il Bello, dopo la morte di Clemente V, è detto: Questo Papa (cioè Clemente) ha trattato coll'ultimo dispregio noi Italiani che l'avevamo fatto Papa. Spesse volte dopo aver annullato, senza forma di diritto, certe elezioni unanimi di persone di merito, ci chiamava per farci dispetto... ».

GIOVANNI XX o XXI o XXII -PONT.CXCVI DI CAHORS (D'EUSE) (1316 - 1334) DE SUTORE OSSEO Impero vacante (Sec. XIV).

GIACOMO D'Euse era nato a Cahors ed aveva studiato pri-. ma nel locale convento dei Domenicani poi a Parigi. Prima Vescovo di Freius, cancelliere di Carlo I1 d'Angiò, poi Vescovo di Avignone era stato fatto Cardinale da Clemente V col titolo di S. Vitale. Dopo un conclave cominciato a Carpentras e ripreso a Lione fu eletto il Cardinale Giacomo d'Euse che prese il nome di Giovanni XXII. Incoronato a Lione fissò la sua dimora ad Avignone. Subito cercò di far sentire la sua autorità e la sua influenza in tutti gli affari religiosi e in tutti i paesi. Nel 1324 scomunicava Ludovico il Bavaro. perchè favorevole alla setta dei Fraticelli e perchè accusava il Pontefice di eresia e metteva in dubbio la validità della di lui elezione. Ludovico intanto si recava a Roma e fattosi incoronare dal rappresentante del popolo, nominava Papa Pietro di Corvara, che apparteneva alla setta dei Fraticelli e fu l'antipapa Nicolò V. Mandava Giovanni XX missionari nell'India. nella Nubia, creava nuovi Vescovadi ed elevava a metropolitane le sedi di Tolosa e di Saragozza. In vista di una nuova crociata, preparò una forte somma di denaro, raccolta con un vasto sistema fiscale da lui organizzato. Benemerito degli studi, fondò l'università di Cahors e ampliò quelle di Tolosa, Orleans, Oxford, Perugia, Roma e Bologna. Moriva ad Avignone il 4 dicembre 1334 dopo aver governato la Chiesa 18 anni, 3 mesi e 28 giorni. Fu sepolto nella cattedrale di Avignone. Alcuni, come S. Antonino, dicono che fosse di bassa origine, figlio di un calzolaio, altri come il Baluzìo di famiglia nobile, altri ancora, come il Mallot, di ricca famiglia borghese. Il conclave di Giovanni XXII è il primo conclave che, formalmente, si tenne in Francia. Mentre a Carpentras, ove era morto Clemente V, i Cardinali erano rinchiusi in conclave, i nepoti del defunto Pontefice Bertrando de Got e Raimondo, con una masnada di Guasconi, diedero l'assalto al conclave, ed appiccarono il fuoco al palazzo: e se i Cardinali italiani poterono sfuggire alla morte che era loro minacciata lo si deve ad una rapidissima fuga. Il conclave potè finalmente, dopo parecchi mesi riunirsi a Lione. Si legge che durante il Conclave dal quale uscì eletto, promettesse ai cardinali italiani per averne il voto, che egli non sarebbe mai montato a cavallo se non per andare a Roma : ed è vero che per i 18 anni del suo pontificato non uscisse mai dal suo palazzo che per recarsi a piedi all'attigua cattedrale. È una storiella raccolta da parecchi scrittori quella che Giovanni indicasse se stesso qual Papa. Narrano alcuni che mentre i Cardinali erano in conclave a Lione, per poter più prestamente intendersi sulla elezione, lo pregassero di indicare lui la persona del futuro Pontefice: e quella da lui scelta sarebbe stata eletta. Allora egli, tra lo stupore generale avrebbe esclamato. Ego sum Papa. E per tale sarebbe stato dal sacro Collegio riconosciuto. Di lui fu detto che era: « Scientia magnus, statura pusillus, conceptu magnanimus » ed aveva realmente quelle grandi qualità in piccol corpo gracile. La ricchezza accumulata da questo Pontefice fu il risultato di un vasto sistema fiscale da lui organizzato nella amministrazione ecclesiastica e il frutto delle sue qualità di abile amministratore. Contro questo Pontefice i protestanti inventarono la sciocca storiella che avesse messo un tasso sui peccati, stabilendo una tariffa a gradi, a secondo della gravità, per la loro remissione. Un cortigiano interrogò Giovanni XXII perchè non stabilisse in Chors la sede del Papato e dell'Impero. Al che il Pontefice rispose che in tal caso i Papi non sarebbero stati che vescovi di Chaors, gli Imperatori, prefetti di Guascogna, mentre il Vescovo di Roma sarebbe sempre stato Papa e il Prefetto di Roma Imperatore. Creò 24 Cardinali tutti francesi e tra essi, 4 suoi nepoti. Stabilì che tutti i nuovi Vescovi sarebbero promulgati in Concistoro. Era facile nell'ira, ma presto si quetava. Pallido, di voce esile, non era alto più di 5 piedi. Si legge che regalò 40 fiorini d'oro a certo Giovanni de Mesmer che gli aveva portato un pappagallo « pro quadatr ave papagayo... ». Tra i consigli che Giovanni dava al re di Francia Filippc erano quelli di usare il manto lungo come avevano fatto suoi maggiori, di non permettere che i tribunali fossero apert alla festa, di non permettere ai barbieri di lavorare nei giorn festivi e di leggere egli stesso le lettere del Papa, dei re e de principi strappandole poi subito o mettendole in luogo sicura perchè facendo così scanserebbe prudentemente molti pericoli. Lo esortò ad astenersi dal conversare nel tempo in cui assisteva ai divini uffici, per riverenza ai sacri riti e per non dare scandalo. Per l'amore che questo Pontefice portava agli Agostiniani riserbò ad uno di essi nella corte pontificia, l'ufficio palatino di sacrista, di bibliotecario e confessore pontificio. Ancora oggi l'ufficio del sacrista dei Sacri Palazzi è dato ad un Agostiniano insignito dell'ordine episcopale. Canonizzò S. Tomaso d'Aquino ed approvò l'Ordine dei monaci Olivetani. Di questo Pontefice, si narra un grazioso aneddoto che è prova del suo spirito. Passando una volta Giovanni da un certo convento, fu pregato dalla Abbadessa e dalle monache di dispensarle dal confessarsi da un sacerdote, e che invece concedesse loro di potersi confessare tra di esse. Non vi sarebbe nulla in contrario, rispose il Papa, ma la confessione esige il segreto e come fareste, voi donne ? Poi mostrando esser indeciso sulla domandata concessione, consegnò loro una scatola chiusa che avrebbe ripresa il giorno appresso, minacciandole di grave peccato se l'avessero aperta. Appena partito il Papa, le monache spinte da curiosità corsero a vedere che cosa il Papa aveva chiuso dentro la scatola. Ma appena l'ebbero aperta, un uccello che dentro v'era chiuso, fuggì. Il Papa tornato il giorno appresso mostrava di essere disposto a conceder la grazia chiesta, quando domandò la sua scatola. Ma l'uccello non v'era più. E allora il Papa le ammonì della loro petulanza dicendo come mai avrebbero po- tuto maniere il segreto della confessione, se non erano state capaci di mantenere il segreto di una scatola. Durante il suo Pontificato fu scoperta una congiura per uccidere il Papa con le arti magiche. S'erano formate tre piccole figure di cera somiglianti al Papa e quelle si mettevano dentro a cerchi o anelli e poi si passavano con coltelli, credendosi che il Papa ricevesse questi colpi nella sua persona. Facevano parte della congiura il medico, il barbiere del Papa e il Cardinale Giraud, Vescovo di Cahors. Essendo gli altri riusciti a fuggire il Cardinale fu preso, degradato, decapitato e poi bruciato. Questa congiura troverà riscontro, parecchi secoli dopo, in quella ordita contro Urbano VIII. Il Platina dice che morendo lasciò « tanta copia d'ora. quanta mai Pontefice avanti ne lasciasse ». Un altro scrittore stima ché lasciasse 25 milioni di fiorini d'oro. Ma siccome una tal cifra è pari a 800 milioni d: moneta nostra, si osserva che una tal quantità di oro non si è mai trovata in una mano sola, prima della scoperta dell'America. Pur tra tante ricchezze si mantenne sobrio e impedì i. traffico dei benefici. Morì più che nonagenario ed appena morto dovette esser< sepolto nella cattedrale senza che il cadavere potesse esser< esposto perchè appena spirato si disfece rapidamente. Il Catalogo Torinese delle chiese di Roma, compilate circa il 320 attesta che in quel tempo il numero dei « clerici a Roma ammontava a 1808, fra i quali « clerici saeculares 785, « religiosi » 317, « abbates et monachi » 134, « monia les » 470, « ospitalarii » 97. 11 numero delle chiese ammontava a 415, compresi 41 monasteri e 25 ospedali. Nel 1936 con una popolazione di un milione e 100 abitanti la città possedeva secondo l'officiale « Diario Re mano » 405 chiese, 207 cappelle, 70 oratorii. A proposito delle immense ricchezze lasciate da Pap, Giovanni XX narra il Villani : « Nel 1334, ai 4 dicembre dopo la morte di Giovanni XXII, si trovò nel tesoro delle chiesa in Avignone, in monetè d'oro coniato, il valore e coni puto di 18 milioni di fiorini d'oro, e più 2 in vasellame, croci corone e mitrie, altri goielli d'oro con pietre preziose. La stima di largo di valuta di 7 milioni di fiorini d'oro. Sì che in tutto il tesoro fu di valuta di più di 25 milioni di fiorini d'oro, che ogni milione è mille migliaia di fiorini d'oro la valuta. E noi ne possiamo fare piena fede e testimonianza vera che il nostro fratello carnale, uomo degno di fede, che allora era in Corte mercatante di Papa, che da tesorieri e da altri che furono deputati a contare, e pesare il detto tesoro, gli fu detto e accertato, e in somma recato per farne relazione al Collegio de' Cardinali, e mettere in inventario. E così trovarono ».

BENEDETTO XI o XII - PONT. CXCVII DI TOLOSA (FOURNIER) (1334 - 1342) FRIGIDUS ABBAS » Impero vacante (Sec. XIV).

GIACOMO Fournier era nato a Saverdun, nella diocesi di Tolosa, ed era di umile condizione. Giovanetto entrò nell'Ordine dei Cistercensi e studiò a Parigi. Vescovo di Pamiers, e poi di Mirepoix, fu fatto Cardinale da Giovanni XXII col titolo di Santa Prisca. Eletto Pontefice e conscio della rilassata disciplina monastica si dìè con grande cura a richiamarla non dimenticando i costumi del clero secolare. Compose le discordie tra i Colonna e gli Orsini e fece opera di pacificazione fra il re Filippo VI di Francia e il re Edoardo III d'Inghilterra. A Roma non venne mai ; aveva promesso di trasferire la sede a Bologna e invece, avendo i Bolognesi rifiutato di consegnargli le chiavi della città la sottopose ad interdetto, che poi tolse. Uomo ligio al dovere e duro nel pretendere l'osservanza della legge e l'ubbidienza, non era adatto ai compromessi e però non fu, dai più giudicato giustamente. Governò la Chiesa 7 anni, 4 mesi e 7 giorni. Morì ad Avignone e fu sepolto in quella Cattedrale. Era, per parte di madre, nepote di Giovanni XXI, e figlio di un mugnaio. Per il suo abito bianco di Cistercense che portava, era detto : il Cardinale bianco. Appena eletto, contro ogni sua aspettazione, non voleva accettare e, rivoltosi ai Cardinali disse loro : Ma che avete fatto ? Fratelli miei ! Avete eletto un ignorante ! Il giorno dopo la sua elezione diede ai Cardinali 100 mila fiorini d'oro per sovvenire ai loro bisogni e altri 50 mila per ristorare le chiese ed i palazzi rovinati di Roma. Essendo stato invitato dal re di Francia ad andare a Parigi, fu destinato un giovedì per farvi solenne ingresso e fu preparato un sontuoso banchetto. Ma non potendosi il Papa trovare in quella città se non il venerdì, il popolo per la presenza del Papa, approfittò di tutte le carni che erano state preparate nel giorno precedente, donde restò il proverbio : « La settimana dei due giovedì ». Procurò che al sacerdozio fossero elevati uomini degni dicendo che non voleva far splendere il fango. Era del tutto estraneo ai parenti e diceva che il Papa non deve avere nè padre, nè madre, nè parenti, nè genealogia. Essendogli stata chiesta in isposa l'unica nepote che aveva da un nobile cavaliere, la rifiutò dicendo non essere conveniente a un tal cavaliere avere quella sella. Il Petrarca fu da lui nominato canonico di Lomber : e benchè fosse amico del Papa, puré lo danneggiò assai con le sue satire. È sotto Benedetto XII che il Petrarca fu incoronato in Campidoglio l'8 aprile 1341. Il Petrarca gli scrisse: « Vidi alla porta del tuo palazzo una veneranda matrona che credeva di conoscere e non ardiva nominare. Mesta era nel volto, nelle vesti negletta : traluceva tuttavia dai suoi atti una maestà sublime : eran nobili i suoi lineamenti e conservava favellando, l'abitudine all'impero; la grandezza dell'animo suo traspariva dai veli della mestizia. Le chiesi del nome: Io colsi a volo tra i singhiozzi : era Roma! ». Ebbe a soffrire dure prove nella riforma degli Ordini religiosi e specialmente con i Domenicani, la lotta con i quali non terminò che con la sua morte. Questo Pontefice austero, ebbe la sorte di tutti i riformatori e perciò fu poco amato, accusato e calunniato. Specialmente era mal visto dai frati, ch'egli voleva condurre all'osservanza delle loro regole. Gli fu fatta la nomea di bevitore, e lo si chiamava la « Coupe p/eine » e si diceva, riferendosi a lui : « bibamus papaliter I ». Al suo tempo alcuni sacrileghi a Roma facendo da interpreti ai pellegrini che si volevano confessare e non intendevano il confessore, minacciavano poi di andar propalando i loro peccati se non pagavano con denaro il loro silenzio. Per mezzo del Vescovo di Anagni, suo vicario a Roma, Benedetto scomunicava questi sacrileghi e disponeva perchè nelle Basiliche vi fossero penitenzieri di diverse lingue. Cronisti del tempo dicono che morì : « A cagione dei rimedi che gli furono dati per impedire lo scolo dei tumori che aveva alle gambe da molti anni addietro... ». A suo titolo di onore va ricordato che sebbene non venisse mai a Roma fece rinnovare il tetto di S. Pietro e restaurò le principali chiese. Racconta il Petrarca (Ep. Sen.) che essendo state mandate a Benedetto XII delle magnifiche anguille del Lago di Bolsena, di rara grandezza e di squisitissimo sapore, il Papa le regalasse ai Cardinali tenendosene per sè una piccola parte. Essendo andati da lui, dopo alcuni giorni, dei Cardinali ed essendo caduto il discorso sulle anguille : Ah se avessi saputo, disse il Papa, ch'esse erano tanto squisite non ne sarei stato così largo distributore : ma non avrei mai pensato che alcun che di simile potesse venir dall'Italia! A queste parole, sdegnato, il Cardinale Giovanni Colonna disse maravigliarsi come un uomo così dotto, che aveva letto tante cose, fosse a tal punto ignorante delle cose d'Italia.

CLEMENTE VI - PONT. CXCVIII DI LIMOGES (ROGER) (1342 - 1352) « EX ROSA ARREBATENSI Impero vacante -- dal 1346 Carlo IV Re dei Romani (Sec. XIV).

PIETRO Roger nato di nobile famiglia, nel Castello di Maumsut era entrato giovane nell'Ordine di San Benedetto divenendo abbate di Fecamp, poi Vescovo di Arras, Arcivescovo di Rouen e Cardinale dei Santi Achille e Nereo. Alla morte di Benedetto XII gli successe col nome di Clemente VI. Teologo ed insigne predicatore ebbe l'accusa d'aver resa sempre più soggetta la Chiesa alla Francia. Appena eletto ricevette una deputazione di 18 romani che gli offriva il potere assoluto della città. Alla preghiera rivoltagli di tornare a Roma, rimase insensibile, mentre invece acconsentiva alla domanda di ridurre a 50 anni il giubileo stabilito da Bonifacio VIII. Fece concludere una tregua, poi subito violata, tra l'Inghilterra e la Francia: e scomunicò e depose Ludovico il Bavaro. Nel 1344 riceveva una seconda deputazione di romani tra i quali era Cola di Rienzo: che doveva poi tornare ad Avignone prigioniero per opera di Carlo IV. Terminò il palazzo Papale, fabbricò un ponte sul Rodano e comperava dalla regina Giovanna di Napoli, la città di Avignone. Protettore delle arti e delle scienze fu munifico coi letterati, soccorritore dei poveri, specialmente nella peste che per sette anni decimò Avignone. Morì il 6 dicembre 1352 dopo 10 anni, 6 mesi e 29 giorni di Pontificato. Clemente VI è zio di Gregorio Xl. Venendo da Parigi Pietro Roger fu spogliato dai ladri. Provveduto d'abito e di mezzi dal Priore del Monastero di Chaise- Dieu presso Avignone, domandò quando avrebbe potuto compeniarlo. Quando sarete Papa, rispose il priore. E Pietro Roger tenne la parola. Fu il Papa più largo di favori. Appena eletto dichiarò che avrebbe accordato gratuitamente per due mesi, tutte le grazie che gli venissero domandate. Sparsasi la notizia si videro in questi due mesi, in Avignone, quasi 100.000 ecclesiastici venuti da tutte le parti d'Europa e che domandavano al Papa l'investitura di benefici vacanti. Pare che Clemente trovasse modo di contentare tutti e in quel tempo non vi fu nella Chiesa, un solo beneficio che non avesse il suo titolare. Aveva due massime: nessuno deve partirsi malcontento dalla presenza del Principe. E l'altra : Un Papa deve fare la felicità dei suoi sudditi. Fastoso e munificentissimo, la sua corte e le sue scuderie sembravano quelle di un re e il suo palazzo apostolico fu sempre pieno di gentiluomini e di ufficiali che erano al suo soldo. Teneva a stipendio sei o sette medici a un tempo. Avvenne un giorno che mentre era infermo i suoi domestici andarono tranquilli, a pranzo lasciando un solo cameriere ad assisterlo. E fu così che morì quasi abbandonato in mezzo a una corte numerosa. Lamentando la grettezza di qualche Pontefice, diceva : « I miei predecessori non sapevano essere Papa ». Nel 1348 comperò per 80 mila fiorini d'oro dalla regina Giovanna di Napoli, la città di Avignone ove faceva resistenza e col contado Venassino formò un altro stato che la possedette sino agli ultimi tempi. Fece cardinale diacono Pietro, figlio di suo fratello, allora notaio alla sede Apostolica di appena 18 anni. Era però umile benigno, di buona indole, ingegnoso e sottile. Questo cardinale succedette poi ad Urbano V e fu Gregorio Xl. Ricompensò il Petrarca de' suoi versi dandogli il Priorato di S. Nicolò de Milíarino, vicino a Pisa. Allo stesso Petrarca diede l'incarico di raccogliere le opere di Cicerone per la Biblioteca Vaticana. E il Petrarca lo disse Clemente di nome e di fatto. Fu il primo Pontefice a mettere nei diplomi lo stemma ntilizio della propria famiglia. A proposito dei parecchi medici che teneva contemporaneamente alla sua corte in una malattia del Papa nel 1352 il Petrarca in una lettera lo avvertì che si ricordasse di quell'iscrizione di cui parla Plinio: « Turba medicorum perii » ed anche delle ultime parole di Adriano: « Turba medicorum regem occidit ». Ma il Papa seguitò a tenersi i suoi medici intorno. Aveva una memoria prodigiosa. E il Petrarca scrisse che era di sì forte memoria che ciò che aveva letto una volta, anche se voleva non poteva scordare più. E si diceva che questa memoria gli si era sviluppata in seguito a una ferita riportata al capo. Clemente è il Papa che trattò con Cola di Rienzo. Clemente — dice l'Audisio — si dilettava della facondia di Cola e questi proseguiva infiammandolo di sdegno contro i perversi patrizi per le cui violenze e rapine la patria giaceva spopolata e vicina a perire. Fu detto da alcuni per la dolcezza del suo eloquio: « Il trovatore in tiara ». Durante il suo Pontificato, accondiscendendo ad analoga domanda rivoltagli dai Romani, si celebrò in Roma, nel :1350, l'anno Santo, avendo il Papa da 100, ridotti a 50 gli anni del Giubileo. La folla accorsa a Roma fu immensa e se ne hanno descrizioni nelle cronache del tempo. Il Villani dice che non vi fu giorno che non fossero a Roma meno di 200 mila pellegrini. Di Clemente VI anche si racconta questa graziosa storia : Un chierico che era ricorso a lui per ottenere una grazia, tradusse in modo assai ingegnoso il suo dispetto di non vedersi esaudito, con questa breve laude che si prestava ad una duplice interpretazione. Letto il testo per il suo verso, sembra quasi svolgere i più grandi elogi, ma se si prende ogni distico al rovescio, l'elogio si cambia nella più viva diatriba. Ecco il testo :

« Laus tua non tua fraus, virtus non copia rerum Scandere te fecit hoc decus eximium Pauperibus tua das nunquam stat ianua clausa : Fundere res queris, nec tua multiplicas Conditio tua sit stabilis non tempore pareo Vivere te faciat hic Deus omnipotens ».

Ciò, che letto per il verso normale, significa: « 11 tuo me• rito e non la frode, la virtù e non la ricchezza ti hanno fatta salire al colmo degli onori. Tu dai i tuoi beni ai poveri, mai la tua porta è a loro chiusa. Tu cerchi di profondere i tuoi benefici e non di aumentare la tua opulenza. Possa la tua sorte rimaner stabile ! Possa non esser corto lo spazio di vita che ti accorderà Dio onnipossente ». Se invece si legge risalendo ogni distico, si trova: « La ricchezza e non la virtù, la frode e non il merito t hanno fatto salire al colmo degli onori. Tu aumenti la tuz opulenza invece di cercare di profondere i tuoi benefici. Lz tua porta è chiusa ai poveri e tu non fai loro mai part‹ dei tuoi beni. Possa esser breve lo spazio di vita che ti accor derà Dio Onnipossente, possa la tua sorte non avere alcuna stabilità I ». Il chierico ne ebbe per premio la degradazione e... la scomunica!

INNOCENZO VI - PONT. CXCIX DI LIMOGES (AUBERT) (1352 - 1362) « DE MONTIBUS PAMMACHII » Carlo IV (dal 1355) Imp. — Carlo IV (fino al 1355) Re dei Romani (Sec. XIV).

STEFANO Aubert era nato di mediocre condizione nel villaggio Des Monts presso Pompadour, nella parrocchia di Brissac. Diventava dottore e professore famoso nel di.. ritto legale, aveva insegnato nella Università di Tolosa, diventando poi Vescovo di Noyon e di Clermont. Da Clemente VI era stato fatto Cardinale dei SS. Giovanni e Paolo, poi Vescovo di Ostia e Velletri e Penitenziere Maggiore. Succedeva a Clemente VI prendendo il nome di Innocenzo VI. Iniziò subito una grande riforma nella vita e nella disciplina ecclesiastica, specialmente degli Ordini religiosi. Per mezzo del Cardinale Egidio Albornoz restaurò la Signoria Papale a Roma e in Italia, in modo che l'Umbria, la Sabina e la Toscana, tornarono al Papa: anche Fermo, Ancona, Ravenna, Faenza e Cesena furono ridotte all'obbedienza. Dopo la battaglia di Poiters tra Francia ed Inghilterra, Innocenzo VI si offerse mediatore per la pace di Brétigny. Riprese l'opera per la riunione della Chiesa greca alla latina. Vecchio e ammalato moriva il 12 settembre 1362 dopo aver governato la Chiesa 9 anni, 8 mesi e 25 giorni. Fu sepolto Prima nella certosa di Villeneuve les Avignon, e poi nella Cappella dell'Hospice di Villeneuve. Dopo coronato non volle, come i predecessori, la solenne cavalcata di possesso, dispensandosene per umiltà. Il lusso e la prodigalità sparvero dalla corte di Avignone avendo il Papa preso per amministratore il generale dei Certosini. Ridusse il numero e le spese degli addetti alla corte Papale, ordinando che altrettanto facessero i Cardinali. Specialmente severo ed inflessibile fu nella riforma dei Domenicani e dei Francescani e per i rigorosi provvedimenti presi per questi ultimi incorse in un severo giudizio di Santa Brigida. Diceva che le dignità ecclesiastiche non erano premio della nascita, ma bensì delle virtù. Stabilì anche che i Cardinali in sede vacante non potessero far leggi per restringere l'autorità del Papa e abolì quelle che erano state fatte. Innocenzo VI terminò il famoso palazzo papale di Avignone che fu iniziato da Benedetto XII ed era stato attivamente continuato da Clemente VI. Fu innalzato in 25 anni per opera di tre Pontefici che ne fecero, dice Froissart « la più bella e forte casa del mondo e la più facile a conservare Avrebbe voluto per suo segretario il Petrarca. Innocenzo VI, come si ha da due miniature esistenti nell'archivio Vaticano, portava la barba e fu l'unico dei Papi del XIV e del XV secolo che la portasse. Giulio II fu il primo ad imitarlo e a rinnovare l'usanza. Istituì salari fissi per gli uditori di palazzo perchè non si lasciassero corrompere. Perchè, diceva, chi ha fame non si astiene dal cibo altrui, se gli si da facoltà di adoperare i denti. Minacciò di scomunica i Vescovi se non tornassero alle loro diocesi, dicendo che il gregge si doveva pascere e guardare dal proprio pastore e non dal mercenario. Nel 1861 infierì la peste ad Avignone e il Papa per isolare la cia-e difenderla dal contagio la fece cingere di mura. Ma nonostante le misure prese morirono 9 cardinali, 70 prelati e 17 mila persone.

B. URBANO V - PONT. CC DI MENDE (GRIMOARD) (1362 - 1370) GALLUS VICECOMES » Carlo IV Imp. (Sec. XIV).

GUGLIELMO Grimoard, nato a Grisac nella diocesi di Mende da nobile famiglia, nel 1310 studiò da prima a Montpellier e poi a Tolosa. Entrato nell'Ordine Benedettino e ordinato sacerdote si perfezionò negli studi giuridici a Montepellier e a Parigi. Era abbate di S. Vittore di Marsiglia quando alla morte di Innocenzo VI veniva ad Avignone eletto prendendo il nome di Urbano V. Consacrato e coronato Pontefice subito diè mano a togliere l'abuso della pluralità dei benefici, e volle che fosse eseguita la legge sulla residenza. Ordinò che si tr celebrassero i sinodi provinciali e fu sollecito della disciplina del clero. Cercò di pacificare la Francia e l'Italia e di disperdere gli eserciti mercenari. Colpì di scomunica Barnabò Visconti per le sue tirannie. Sollecitato dai Romani e incoraggiato dall'imperatore Carlo IV, tornò a Roma, e il 31 ottobre 1367 celebrava la messa a S. Pietro. Cercò in ogni modo di migliorare le misere condizioni della città; ma le discordie che agitavano l'Italia, l'insistenza dei Cardinali francesi e il desiderio di pacificare la Francia e l'Inghilterra, lo resero sordo a preghiere e ad esortazioni e nel settembre del 1370 ripartiva per Avignone. Poco appresso, nel dicembre, moriva avendo 61 anni, dopo aver governata la Chiesa 8 anni, 1 mese e 22 giorni. Fu sepolto prima nella Cattedrale d Avignone, poi in omaggio al suo desiderio, nella chiesa del Monastero di S. Vittore a Marsiglia ove era stato abbate. Volle prendere il nome di Urbano dicendo che tutti i Papi che avevano avuto quel nome erano stati santi. Il Conclave di Urbano V è il quarto tenuto in Francia. Nel giorno della coronazione non volle comparire nella solenne cavalcata, reputando la dignità Pontificia essere ad Avignone in esilio. La sua giornata era estremamente laboriosa: molto delicato di coscienza si confessava ogni giorno prima di dire messa, restando, poi, lungamente sull'inginocchiatoio della confessione a pregare. Dormiva vestito sopra un giaciglio, e mai anche da Papa, volle lasciar il suo abito monacale. Frugalissimo : nell'avvento e nella quaresima digiunava ogni giorno e nel corso dell'anno due volte la settimana. Al suo gusto francese non si confacevano i vini italiani e si ha che nel 1368, quando venne in Italia, scrisse una lettera — proprio da Montefiascone, famosa per i suoi vini — datata il 29 luglio per far venire di Francia « LX buttas vini de Belua Beanne et de Grurejo et totidem vini de Nemauso vel de Lunello... pro uso hospitii ». Si rileva da un Codice una strana spesa ch'era solita a farsi ogni anno per l'anniversario della coronazione del Papa regnante. 11 tesoriere di Urbano V pagò nel 1367 fiorini 30 di Camera, « pro gallinis » da darsi secondo l'uso ai 101 scrittori apostolici. Non era facile a dimenticare le ingiurie ricevute, ma non se ne vendicava. Ebbe una volta quando era ancora monaco: una questione con l'arcivescovo di Sens, che imponendogli la sua volontà e offendendolo gli disse: « Ve ne vendicherete quando sarete Papa I ». Quando lo fu chiamò l'arcivescovo e gli disse : « Io non intendo vendicarmi dell'oltraggio di cui non vi sarete dimenticato: voglio all'opposto elevarvi in dignità. Voi non avete che una semplice croce, ne avrete fin d'ora due perchè vi faccio Patriarca di Gerusalemme ». Gli conservò per giunta le ricche entrate che, altrimenti, avrebbe perduto. Così lontano era dal favorire i parenti che ordinò a suo padre di rinunziare alla pensione di 600 lire che il re di Francia gli aveva assegnato in riguardo al Papa. Anche il nepote accasò modestamente con la figlia di un mercante di Montpellier, non permettendo che l'esser nepote del Papa gli procurasse più vantaggioso matrimonio. Il Cardinale Albornoz aveva ristabilito in Italia l'autorità Pontificia. I suoi nemici riuscirono tuttavia ad accusarlo al Papa che gli comandò di venire a render conto della sua amministrazione. Allora il Cardinale Albornoz fece caricare sopra un carro le chiavi di tutte le città e castelli che aveva presi e sottomessi alla Santa Sede e avendolo fatto condurre fino al palazzo del Papa da buoi coronati di lauro, si presentò al Papa dicendosi pronto a render conto di quanto aveva fatto. Urbano lo abbracciò pubblicamente dicendo che a lui si doveva il ristabilimento del potere della S. Sede. Il sentimento di gratitudine di Urbano verso l'Albornoz fu manifesto quando, essendo questi morto e avendo lasciato detto d'esser portato in Spagna, il Papa concesse l'indulgenza dell'anno Santo 1350 a tutti quelli che per un tratto di strada avessero portato sulle spalle la lettiga che chiudeva il cadavere. Pregando l'imperatore d'Oriente Giovanni Paleologo di unirsi alla Chiesa Cattolica, gli mandò in dono tre Agnus Dei in cera benedetta accompagnandoli con dei versi che diconsi fatti da Andrea Frusio, nei quali sono celebrate tutte le loro virtù: « Balsamus et munda cera cum chrismatis unda Conficiunt A gnum quod munus dò tibi magnum -- Fonte velut natum per ~fica santificatum — Fulgura deorsum depellit et omne malignum, — Peccatum frangit, ceu Christi sanguis et augit — Praegnans servatur, simul et partus liberatur — Munera fert dignis virtutem destruit ignis, — Portatus munde de fluctibus eripit undae ». Di tutte queste virtù fa testimonianza Sisto V nel Breve con cui accompagnò nel 1586 gli A gnus Dei da lui benedetti inviati a Pasquale Cicogni doge di Venezia. Mentre ancora era ad Avignone ebbe Urbano cura della Chiesa di Roma. All'architetto Senese Giovanni Stefani diede l'incarico di rifabbricare la Basilica Lateranense distrutta nel 1360 ne abbellì l'altar maggiore con il tabernacolo che ancora si vede, e in busti d'argento rinchiuse le teste di S. Pietro e di S. Paolo che erano custodite nel Sancta Sanctorum. Si racconta che quelli di Perugia, mentre il Papa era ad Avignone, mandarono tre ambasciatori per chiedergli una grazia. Quando giunsero ad Avignone il Papa era ammalato, tuttavia acconsentì a riceverli purchè si fossero sbrigati presto ed avessero parlato poco. Uno degli ambasciatori che aveva imparato un lungo discorso lo recitò. Quando ebbe finito, il Papa, seccato, chiese che cosa volessero. Beatissimo Padre, risposero gli altri due, ve lo ha detto il nostro collega: ma se voi non lo avete inteso, vi ripeteremo tutti e due il digscorso. Rise il Papa di questa facezia, e, rimandando gli ambasciatori, concesse loro quel che volevano. Quando era ad Avignone soleva dire che se il Papa futuro tornasse alla sua residenza naturale Roma, egli sarebbe stato contento di morire il giorno dopo. Petrarca chiamò il Papa Urbano « innovatore della Curia, restauratore della giustizia » ed esortandolo a tornare a Roma gli chiedeva: « Come puoi dormire tranquillo sotto i tetti dorati in riva al Rodano, mentre il Laterano cade in rovina ? »• Mentre stava a Marsiglia per tornare a Roma i Cardinali per trattenerlo in Francia, minacciarono di abbandonarlo e di non seguirlo. Egli allora fece Cardinale Guglielmo d'Aigrefuille, dicendo che dal suo cappuccio potevano sortire altri Cardinali. Anche il re di Francia tentò di distoglierlo dalla partenza e gli chiese: Domina, quo vadis ? — Romam, — rispose il Papa, e il re dí rimando : — Iterum crucifigi. — E infatti dopo una permanenza di tre anni a Roma, sfiduciato, Urbano tornava ad Avignone. Come fu tornato a Roma, il Petrarca gli scrisse: « Se alcuno di tua corte ricorda o sospira le rive del Rodano, additagli i luoghi venerandi ove i due Apostoli trionfarono: uno per la croce, uno per la spada, ove uno ascese da eroe sul trono del suo martirio e della sua gloria, e l'altro porse il collo alla mannaia per amore di Cristo ». Santa Caterina da Siena aveva cercato di persuadere il Papa a restare a Roma e a vincere le difficoltà, e aveva ag- giunto che se fosse partito, sarebbe morto appena arrivato ad Avignone. E fu vero: perché appena un mese dopo il suo ritorno fu preso da male che in breve lo condusse a morte. Come sentì di esser vicino a morire si fece trasportare fuori del Palazzo Papale, nella casa di un suo fratello, si fece stendere sopra un giaciglio, vestito dell'abito del suo Ordine, comandando che si aprisserò tutte le porte, perché i fedeli vedessero « come moriva un Papa ». Gran protettore delle scienze: manteneva nelle diverse iversità mille studenti.

GREGORIO XI - PONT. CCI DI LIMOGES (ROGER) (1370 - 1378) NOVUS DE VIRGINE FORTI » Carlo IV Imp. (Sec. XIV).

PIETRO Roger di Beaufor aveva 41 anni quando nel conclave di Avignone alla morte di Urbano V, ascendeva al soglio Pontificio prendendo il nome di Gregorio XI. Vane furono le sue fatiche, subito iniziate, per pacificare la Francia e l'Inghilterra e promuovere un'altra Crociata. L'Italia era in ribollimento : lo stato Pontificio che era stato ricostituito dall'Albornoz s'era nuovamente disgregato. Allo scomunicato Barnabò Visconti si univa Firenze : il Papa lanciava l'interdetto su Firenze, che mandava mediatrice al Papa S. Caterina da Siena. Il ricordo del suo predecessore che era andato a Roma, e più le esortazioni della Santa vinsero l'animo del Pontefice che stabilì partire di Francia e riportare la sede a Roma. Partito il Papa il 13 settembre 1376 da Avignone entrava in Roma 'il .17 gennaio del 1377 accolto dalla popolazione festante. Poco godeva della sede romana perchè moriva il'27 marzo 1378 avendo governato la Chiesa 7 anni, 2 mesi e 28 giorni. Fu sepolto in Santa Maria Nova che era stato suo titolo cardinalizio. Era stato fatto Cardinale a 18 anni da suo zio Clemente VI. Fu eletto mentre aveva ancora vivente il padre. t l'ultimo Pa )a. francese. Con Innocenzo VI e Clemente VI è il terzo Papa uscito, nel corso di pochi anni dalla terra di Limoges che aveva dato, in pari tempo, più di 20 Cardinali alla Chiesa. Il Cancelliere Fiorentino Coluccio Salutati, loda di lui la pietà. l'aspetto modesto, la bontà, la prudenza, lo dice di carattere schietto e leale e perseverante nei suoi giudizi. Santa Caterina fu quella che vinse le ultime sue resistenze al ritorno a Roma. « Venite che io vi dico che li lupi feroci vi metteranno il capo in grembo come agnelli mansueti e dimanderanno misericordia a voi, padre ». Riprendendo un giorno un Vescovo che stava lontano a sua chiesa, sua sposa, si sentì rispondere : --- E voi )ra, padre Santo, perchè non andate alla Vostra Sposa, illustre della mia, e non me ne date l'esempio ? Uno degli ostacoli alla partenza del Papa fu anche la mancanza di denaro : cercò di farne esigendo tasse straordinarie e impegnando le cose sue preziose, ma dovette, con tutto ciò, farsi prestare 30 mila fiorini dal Duca D'Aujou e 60 mila dal re di Navarra. Si faceva precedere nei viaggi dalla SS. Eucaristia e al cavallo bianco 'o alla mula che la portava si poneva al collo un campanello d'argento dorato. Tali campanelli si chiamavano : tintinnabula papalia. Al suo ritorno a Roma — dice il Platina — le meraviglie della città e le chiese e tutti gli altri edifici privati e preziosi minacciavano rovina ». Roma non contava più di 20 mila abitanti. Pel suo ingresso la Basilica Vaticana fu illuminata da 8 mila lampade, che il Cancellieri, invece, dice fossero 18.000. Quando Gregorio XI tornò a Roma, la città era caduta in tanta povertà che la borghesia era del tutto scomparsa. Volpi e lupi spesso scendevano in città. Rimane tradizione di un lupo ucciso in uno dei principali quartieri della città cioè in via Rasella, dove era una lapide relativa' del fatto, tolta via non molto tempo fa pei restauri di alcune case. Se la morte non fosse sopraggiunta, Gregorio IX avrebbe come il suo predecessore, fatto ritorno in Francia: « essendo convinto — dice un suo storico — di non convenirgli di restare più a lungo in una nazione che, sola, disprezzava i suoi supremi comandi, nel tempo stesso che erano invece ricevuti con rispetto da tutti i potentati del mondo cristiano ». La stessa notte in cui Gregorio XI moriva — 28 marzo 1378 — il palazzo di Avignone fu quasi distrutto da un incendio. Morto in Vaticano, ha il monumento funebre — opera di Pier Paolo Olivieri — in Santa Maria Nova: e nella parete centrale di essa è rappresentato l'ingresso del Pontefice in Roma. Il sepolcro di Gregorio XI in Santa Maria Nova fu da prima un semplice sarcofago: ma nel 1589 il senato romano in memoria del grande avvenimento, decretò gli fosse eretto un monumento più sontuoso: « Il Senato e il Popolo Romano non dimentico di sì gran pietà e beneficio, coll'approvazione di Gregorio XIII, Pontefice Ottimo Massimo, l'anno della salute 1584 pose ».

URBANO VI - PONT. CCII NAPOLETANO (PRIGNANO) (1378 - 1389) DE INFERNO PRIGN ANI » Venceslao Re dei Romani (Sec. XIV).

BARTOLOMEO Prignano di nobile famiglia napoletana era-si da giovane recato alla Corte di Avignone ove aveva stretto amicizie. Era Arcivescovo di Bari, quando alla morte di Gregorio XI fu eletto Pontefice, assumendo il nome di Urbano VI. Il conclave tenuto al Vaticano era stato piuttosto turbolento, essendosi i romani recati a gridare sotto di esso che volevano il nuovo Papa romano o almen italiano. Di animo chiuso e impetuoso s'alienò la simpatia dei Cardinali, specialmente francesi, che col pretesto che l'elezione di Urbano fosse invalida perchè avvenuta sotto le minacce dei romani, elessero in Fondi un nuovo Papa, che essi dissero il vero, nella persona del Cardinale Roberto di Ginevra, che fu l'antipapa Clemente VII. Bandì una crociata contro l'antipapa e con l'aiuto di Alberico da Barbiano, cacciò da Castel S. Angelo i Bretoni difensori dell'Antipapa. Scomunicò la regina Giovanna di Napoli, che aveva accolto e favorito l'Antipapa. Assediato Urbano in Nocera dal re di Napoli, a stento, con l'aiuto dei genovesi potè riparare a Genova, rimanendovi due anni. Tornato a Roma, morì il 15 ottobre 1389, in età di 72 anni, avendo governato la Chiesa per 11 anni, 6 mesi e 6 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Questo è il primo Conclave tenuto al Vaticano. Alla morte di Urbano V, quando i Cardinali furono chiusi in Conclave al Vaticano, i romani si radunarono sotto le finestre gridando: « Romano lo volemo lo Papa, o almanco italiano », temendosi che se fosse stato francese avrebbe riportato la sede via da Roma. Per tutta la notte gridarono di modo che i Cardinali non poterono prender sonno. Alcuni caporioni, fatti più arditi, arrivarono alla porta del conclave dicendo : « Dateci un Cardinale romano, altrimenti faremo le vostre teste più rosse dei vostri cappelli » L'entrata dei cardinali in Conclave per l'elezione di Urbano VI fu dovuta ritardare per un fulmine caduto sulla camera del cardinale Luna e da questa passato per quella del cardinale di Ginevra — ambedue poi antipapi — percuotendo le chiavi nell'unione che formano come insegna della Chiesa e traforando lo stemma di Gregorio Xl. Tutto ciò fu preso ad infelice presagio: che i fatti di poi confermarono. Urbano VI fu l'ultimo Pontefice eletto senza esser Cardinale. Di carattere chiuso, impetuoso, fu ripreso anche da Santa Caterina che gli diceva che i romani « si traggono e si legano più con dolcezza che con altra forza e asprezza di parole ». E l'ammoniva che « giustizia senza misericordia sarebbe piuttosto ingiustizia che giustizia » Non aveva riguardo nel trattare sia con Cardinali che con Vescovi. Intervenendo un giorno ad una funzione nella Cappella maggiore del Vaticano, sgridò pubblicamente alcuni Vescovi. Discutendo Urbano con un Cardinale, nè potendo tirarlo al suo ragionamento, seccato gli disse: Avete una cattiva testa! Lo stesso dice di voi la gente, Padre Santo i rispose il Cardinale. Quando nel 1382 si eccitò in Roma una fiera sedizione contro Urbano ed i Cardinali e il popolo corse al palazzo del Papa, Urbano, vestito degli abiti pontificali, colla croce in mano, andò contro i sollevati nell'atrio del palazzo, con volto sì grave, che vedendolo si placarono e lo pregarono del perdono che ottennero. Uscendo di Perugia per recarsi a Napoli e non volendo cedere alle preghiere di quelli che lo esortavano ad andare a Roma, appena fuori di Perugia 10 miglia, la mula su cui cavalcava inciampò e cadde a terra, lasciando il Papa malconcio in diverse parti del corpo. Portato a Tivoli, invece che a Roma, volle andare a Ferentino ma un romita andatogli incontro gli disse che: « O volesse, o non volesse sarebbe tornato a Roma dove morirebbe ». Recatosi nel 1383 a Napoli ed abitando nell'episcopio, fu chiamato dal re a corte: e poichè i messi del re gli misero con violenza le mani addosso, li scomunicò: e quelli che lo conducevano — si legge — per giudizio divino furono puniti restando con la mano e col lato destro inariditi. Quando, essendo in Nocera, fu mandato a chiamare dal re, dicendoglisi di recarsi a Napoli, rispose che « i re erano soliti a portarsi ai piedi dei Papi, non già questi dai re ». Assediato nel 1385 nel Castello di Nocera, quattro volte al giorno da una finestra del castello, a suono di campane, con una torcia in mano lanciava anatemi contro i suoi nemici. Al che l'armata regia che assediava il castello rispondeva pubblicando a suon di tromba una taglia di 10 mila fiorini a chi consegnasse vivo o morto il Papa. L'antipapa Clemente VII, opposto a Urbano VI è chiamato « Anticristo » da Santa Caterina da Siena. Lo scisma durò 40 anni. Inghilterra, gran parte della Germania, Ungheria, Polonia, Danimarca, Svezia e Norvegia, l'Alta Italia e la centrale rimasero fedeli a Urbano VI. La Francia, la Scozia, la Spagna e il regno di Napoli si dichiararono per Clemente VII. Stabilì che si celebrasse il Giubileo, da Clemente VI già ridotto da 100 a 50 anni, ad ogni 33 anni in memoria dell'età di Gesù Cristo. Era di piccola statura, grasso e di color bruno. Santa Caterina da Siena lo aveva avvisato di guardarsi dal veleno: e pare, secondo alcuni scrittori, che di veleno sia morto. Altri invece dicono che causa della morte sia stata una caduta dal focoso destriero, su cui, incurante dell'avanzata età, osava ancora montare. Nel 1386 a Lucca introdusse il rito della benedizione e dono del « Berrettone » e dello « Stocco » e li donò alla repubblica. Si narra che venendo da Ferentino verso Roma, con meraviglia fu veduto scortato in aria dall'immagine di S. Pietro, simile a quella statua che era nel Portico Vaticano, e che lo precedeva quasi mostrandogli la via verso Roma: visione che per rigoroso comando del Papa tenuta occulta, fu dopo la sua morte pubblicata in un sermone del Cardinale Palosio Vescovo di Todi, suo confessore. « Pochi furono — scrisse uno storico — quei che la sua morte piansero, così si era fatto, vivendo, censorell rustico... ». Anche il Pastor dice che morì « da nessuno rimpianto ».

BONIFACIO IX - PONT. CCIII NAPOLETANO (TOMACELLI) (1389 - 1404) « CUBUS DE MIXTIONE » Venceslao. Roberto Re de' Romani (Sec. XIV - XV).

PIETRO Tomacelli, di nobile, ma povera famiglia di Napoli, nominato da Urbano VI protonotario Apostolico era dallo stesso Pontefice creato Cardinale di San Giorgio al Velabro. Ricondusse Napoli all'obbedienza, facendo incoronare Ladislao per mezzo di un suo legato. Si oppose con ogni energia al nuovo antipapa Benedetto XIII, nominato alla morte dell'altro anClemente VII. Dovette per una insurrezione dei Romani, abbandonare la città, ma tornatovi impose la nomina del Senatore e delle altre magistrature. Altre insurrezioni dei Romani egli seppe domare, rinforzando il suo dominio su Roma, onde fu detto il vero fondatore degli Stati Pontifici, Proibì che i beni della Chiesa si potessero affittare o dare in enfiteusi per più di tre anni e che le loro rendite si potessero riunire prima del tempo annuale. Morì il 1° ottobre :1404 dopo aver governato la Chiesa 14 anni e 1 l mesi e 1 giorno. Fu sepolto in S. Pietro. Era di alta statura, di aspetto maestoso, e per quanto non molto erudito, aveva non comune talento, imponendosi per virtù e fermezza. Era dotto nel canto e nella musica. Tenne alla sua corte medici e chirurgi ebrei. Fu indomabile contro l'antipapa Benedetto XIII, il Cardinale spagnolo Pietro di Luna, che vien detto « il grande serpente ». Riponeva la massima fiducia nel Cardinale Migliorati tanto da farlo partecipare nelle cose più gravi, additandolo alla successione come poi di fatto avvenne. Erra, evidentemente di molto il Cantù quando scrive che Bonifacio IX « non sapeva scrivere... non capiva di che si trattasse e sentenziava senza conoscenza ». (CANTu' : Storia degli Italiani). Eppure Bonifacio era stato Protonotario Apostolico e scrisse, di poi, decreti e bolle ! I tempi nei quali si trovò Bonifacio furono così burrascosi e pieni di contrasti che il Baronio, scrivendo al suo amico lacopo Sirmondo, diceva che nulla più gli rincresceva che di arrivare a questi tempi, ne' quali non sapeva che cosa dovesse liberamente stabilire nello scrivere la sua Storia. Avendo fatto in un Concistoro arcivescovo di Ravenna, Pileo di Prato, questi fu detto « Tre cappelli » perchè altrettanti ne aveva ricevuti : uno da Urbano, l'altro da Clemente antipapa ed il terzo da Bonifacio. Era così nuovo allo stile della Curia Romana e facile ad ascoltare le sollecitazioni ch'egli segnava con grande facilità le suppliche e promoveva ciecamente sul rapporto dei suoi ministri. Fu il primo a ridurre a vera fortezza Castel S. Angelo. memore di quanto gli era stato detto: « Se vuoi esser padrone di Roma, acconcia Castello ». Anche fortificò il Campidoglio e le parti più indifese del Vaticano. Tomacelli, si chiamavano certi fegatelli di porco tritati moltissimo e fasciati nel grasso di quell'animale. Quando Bonifacio andò a Perugia era seguito dai fratelli e dai parenti. All'entrata del Papa i curiosi chiedevano il nome di quelli del seguito : Questi è Andrea Tomacelli, questi Giovanni To maceli e spesso la parola « Tomacelli » era ripetuta. « Oh, disse un uomo, doveva esser ben grande quel fegato di porco dal quale son venuti tanti e così grossi tomacelli ! ». Narra il Moroni che era di così illibata vita che « essendo assalito da grave morbo per cui gli venne suggerito di perdere la più cara di tutte le sue virtù: sacrificò a questa, ben volentieri i suoi giorni ». Viene imputata a Bonifacio la troppa bramosia di denaro, ma bisogna riflettere che le sue spese necessarie per difendersi dalle ostilità del possente Antipapa e del suo numeroso partito non si potevano sostenere con le solite ordinarie entrate. E allora vien fatto di credere quanto si racconta circa la sua morte. Interrogato come si sentisse « Bene, se avessi del denaro » rispose. Alla sua morte nei suoi scrigni, mentre lo si accusava di avarizia, non fu trovato che un sol fiorino. I figli dei tre fratelli suoi, ch'egli aveva ingranditi di feudi e di ricchezze, caddero, dopo la morte dello zio, nella più estrema povertà « affinchè col loro esempio, dice S. Antonino, imparino gli altri a non volersi arricchire col patrimonio del Crocifisso ».

INNOCENZO VII - PONT. CCIV COSIMO MIGLIORATI DI SULMONA (1404 - 1406) « DE MELIORE SIDERE Roberto Re dei Romani (Sec. XV).

APPARTENEVA a una famiglia di Sulmona, ove era nato circa il 1337. Studiò a Perugia, a Padova e a Bologna. Arcivescovo di Bologna, di Ravenna, poi tesoriere e Vice-Cancelliere della S. Romana Chiesa fu da Bonifacio IX fatto Cardinale di Santa Croce in Gerusalemme. Eletto Pontefice nel 1404, mentre la Chiesa era travagliata dallo scisma cercò inutilmente di porvi fine. Lotte politiche e torbidi interni travagliarono questo breve Pontificato, tanto che il Papa fu costretto a fuggire a Viterbo. Avendo governato la Chiesa due anni morì di 67 anni. E’ il periodo travagliato dello scisma di Occidente, sedendo ad Avignone l'antipapa Benedetto XIII Pietro De Luna, Spagnuolo (1394-1424). Nel conclave dal quale riuscì eletto s'era obbligato, come gli altri Cardinali che vi parteciparono, a rinunziare al Papato, qualora ciò fosse stato necessario per dar fine allo scisma che affliggeva la Chiesa. Era di costumi tanto illibati e puri che niuno mai, neppure dei suoi nemici, osò formulare accuse o sollevare sospetti sulla sua moralità. Di bella statura e di giusta complessione, nè magro, nè grasso, di maniere dolci e affabili, pieno di pietà verso gli afflitti. 11 suo predecessore immediato, Bonifacio IX (Tomacelli) aveva tanta stima del Cardinale Migliorati che prima di morire lo nominò presidente del Concistoro con autorità illimitata provvisoria nel governo della Chiesa. Voleva conoscere la verità delle cose per rendere giustizia e però usava dare udienza a chiunque lo richiedesse. Cercava di favorire i romani in ogni modo, •accordando loro quanto domandavano. Una volta tormentato da nuove richieste urgenti, disse ai rappresentanti romani che erano andati a sollecitarle: « Ma volete tormi dalle spalle anche il mantello che ho indosso ? ». Dopo il noto eccidio del 5 agosto 1405, nel quale dal nipote del Papa furono fatti passare a fil di spada nel palazzo di Santo Spirito, undici dei più influenti cittadini romani, dubitando Innocenzo VII della fedeltà del Castellano di Castel S. Angelo, fuggì precipitosamente, per porsi in salvo, a Viterbo. Durante la fuga, per il gran caldo, corse pericolo di morire di sete, come infatti morirono alcune persone del suo seguito. Alla fuga del Papa da Roma, i Palazzi Pontifici furono devastati e saccheggiati: « et messono li palazzi del Papa a saccomanno ». Contro coloro che vorrebbero vedere una certa complicità del Papa nel delitto del nipote, un documento recentemente scoperto nell'Archivio Vaticano, accenna invece a « una gravissima pena canonica » inflitta dal Papa al nipote e precisamente per il massacro del S. Spirito. Il Papa stette a Viterbo sette mesi. Quando i legati romani andarono a Viterbo per pregarlo di tornare e gli recarono il sigillo e le chiavi della città, il Papa disse loro: « Giammai non ho inteso a codeste cose temporali, però io son pronto ad assumere il peso della Signoria che fu diritto pontificio ed ora è spontaneo ed onorevole dono dei romani ». Entrò, tornando, solennemente da Porta Portese « et li romani li fecero molto honore et gran festa et gironee li iocatori de Roma colle fiacole in mano dicendo: Viva il Papa! et giva per Trastevere et gio a Palazzo di S. Pietro sotto pallio ». Amantissimo delle arti e delle scienze e mecenate protesse Vergerio, che fu suo intimo consigliere e l'umanista Leonardo Bruno. Per accrescere e dotare l'Università di Roma di nuove cattedre, aveva pubblicato una Bolla che per la repentina morte, non ebbe effetto. Degli undici Cardinali da lui creati nel suo Pontificato tre diventarono Papi: Angelo Correr, che fu Gregorio XII, Pietro Filargo che diventò Alessandro V e Ottone Colonna che fu poi Martino V. Papa Innocenzo VII si vuole antenato di Benedetto XV che ebbe per madre una Migliorati, discendente della famiglia di Papa Innocenzo. Giudicando il Pontificato di Innocenzo VII l'Audisio dice : « Quei due anni di Pontificato e di sventure dopo le più fondate speranze fanno intendere che bontà naturale con fiacca volontà, non giova ai regnanti ». Mentre la « Cronica di Bologna » raccolse la voce di un veleno fattogli preparare « entro un grano d'uva » si ha invece che soggiacque dopo ripetuti colpi apopletici.

GREGORIO XII - PONT. CCV VENETO (CORRER) (1406 cessò 1409 m. 1417) « NAUTA DE PONTE NIGRO » Roberto Re dei Romani (Sec. XV).

ANGELO Correr di famiglia patrizia veneta, dottore in teologia, dopo esser stato Vescovo di Castello e Patriarca di Costantinopoli, ascendeva al soglio Pontificio eletto alla unanimità il 30 novembre 1406, prendendo il nome di Gregorio XII. Prima del conclave ciascun Cardinale giurò che se fosse eletto, rinuncierebbe al Pontificato a condizione che l'antipapa facesse lo stesso. Appena eletto rinnovò il giuramento significando a Benedetto XIII la sua elezione e il desiderio di deporre la tiara s'egli avesse fatto lo stesso. Benedetto, per prender tempo invitava il Papa a un colloquio e intanto Gregorio proibiva a' suoi Cardinali riuniti a Lucca di lasciare la città sotto qualsiasi pretesto. Invece a Pisa nel marzo del 1405 si radunavano Cardinali delle due parti e dichiarando deposti tanto Gregorio XII che Benedetto XIII, elessero a Papa Pietro Filargo, detto il Cardinale di Milano che prese il nome di Alessandro V. A Cividale nel Friuli, in un Concilio, Gregorio XII dichiarava antipapi Benedetto XIII e Alessandro. Minacciato dai veneziani passati ad Alessandro, dopo essersi recato a Fondi e a Gaeta ripa rava dai Malatesta a Rimini. Essendo nel frattempo morto Alessandro, i Cardinali lo sostituirono col Baldassarre Cossa che prese il nome di Giovanni XXIII. Mentre si allargava lo scisma, l'imperatore Sigismondo convocava un Concilio a Costanza che decise la rinunzia dei tre Papi contendenti, Gregorio XII, Benedetto XIII e Giovanni XXIII. Gregorio mandava la sua rinunzia, dopo aver riconosciuto valido il Concilio. Accettata la rinunzia, Gregorio era nominato legato a latere nella Marca d'Ancona. Ma poco godeva di quella dignità venendo a morte il 18 ottobre 1417. Avendo governato la Chiesa 2 anni, 6 mesi e 4 giorni. Fu sepolto nella cattedrale di Recanati. Una sorella di Gregorio XII, Beriola Correr fu madre di Eugenio IV e zia di Paolo II. In un codice manoscritto del Museo Correr di Venezia si legge « Anzolo Correr era Veschovo di Castello et una volta uno servo di Dio gli dixe che lui haveva veduto il suo nome scripto de tre colori : negro, rosso et oro: per lo negro significa ch'el jero veschovo, per lo rosso ch'el sarave gardinal et per l'oro ch'el saria papa. Udendo questo li rispose et dixe: Se Missier Domeneddio permetterà che questo sia, mi forzerò de far che l'union se faxa, io manderò e se '1 bisognerà rinuntierò al papato. Et cussì el fexe ». Mantenne fede al giuramento fatto, entrando nel conclave, perché appena eletto disse : « Io voglio andare in traccia della unione della Chiesa per mare e per terra, fosse pure su di una barchetta di pescatore o camminando col bordone di pellegrino ». Nessuna meraviglia che in quel tempo di odii e di passioni Teodorico da Niem e qualche altro scrittore lo chiamino per dileggio anzi che « Gregorius », col nomignolo di « Errorius ». Roma era ridotta al suo tempo allo stremo di ogni cosa: un rubio di grano vendevasi 18 fiorini: la coltura dei terreni era abbandonata, rubato il bestiame, i contadini fuggiti dai campi. Cinque grandi lupi erano stati uccisi nel gennaio, nel Vaticano. Fu in quel tempo che l'antipapa Giovanni XXIII si trincerò in Vaticano e mercé un corridoio fortificato di mura congiunse quel palazzo col Castel S. Angelo. « D. Papa fecit incípere murare et fieri lacere murum et andare in eum de palati() apostolico usque ad castrum ». E il corridoio stesso l'attuale Passetto — fu appellato « lo andare ». Fu sventurato in vita ed in morte: in vita per gli avversari, la viltà dei tempi, l'incostanza degli uomini; in morte per la maldicenza degli scrittori. Apertasi la tomba di Gregorio nella cattedrale di Recanati nel 1623, si vide il di lui corpo incorrotto ed ornato ancora degli abiti pontificali pur essi intatti. Per la costanza da lui dimostrata nelle avversità, Sant'Antonino lo paragona a Santo Stefano Martire. Di Gregorio XII dopo che si fu dimesso a Costanza, fu detto ch'era diventato di Papa Vescovo.

ALESSANDRO V - PONT. CCVI DELL'ISOLA Dl CANDIA (FILARGO) (1409 - 1410) FLAGELLUM SOLIS Roberto Re dei Romani (Sec. XV).

PIETRO Filargo, nato di genitori ignoti, nell'isola di Candia era entrato giovane nell'Ordine Francescano studiando ad Oxford. Recatosi in Lombardia, protetto da Giovanni Galeazzo Visconti, diventò professore di Pavia e fu messo del Visconti all'imperatore Venceslao. Vescovo di Piacenza, poi di Novara, nel 1402 era Arcivescovo di Milano. Innocenzo VII lo Creò Cardinale del titolo dei SS. Apostoli, e fu legato del Papa in parecchi luoghi. 11 26 maggio dopo la 19° sessione del Concilio di Pisa, nel quale s'eran deposti Gregorio XII e Benedetto XIII, veniva eletto l'Arcivescovo Pietro Filargo che prese il nome di Alessandro V e fu incoronato nella cattedrale di Pisa. A Pistoia ove erasi recati da Pisa, pubblicò una Bolla contro gli errori di Wicleff propagati da Giovanni Huss. Incerti sono gli storici sulle sue andate a Roma. Il 12 gennaio 1410 era a Bologna. Durante la sua dimora a Bologna ricevette una deputazione di Romani che gli portava le chiavi della città, i sigilli e lo stendardo del popolo di Roma. A sua volta il Papa nominava al governo della città il Cardinale Pietro di Santa Prassede, dandogli la facoltà di sciogliere i cittadini dal giuramento fatto a Gregorio XII e al re Ladislao. Poco dopo, avendo governato la Chiesa solamente IO mesi e 8 giorni, moriva a Bologna. Fu sepolto a Bologna nel coro della chiesa di S. Francesco. Nel 1409 gli venne dedicato un bellissimo monumento andato poi distrutto nel 1807 con la chiusura della chiesa. Nel 1889, restituendosi al culto la chiesa, fu restaurato e ricostituito il monumento. La legittimità di questo Papa è stata contestata, ma il trovare la sua effigie e il suo nome inclusi nella serie Iconografica dei Papi a S. Paolo, e l'esser incluso anche nell'ultimo Annuario Pontificio del 1937. ci impone di ritenerlo legittimo e di parlarne come tale. Fu eletto da parte dei Cardinali del Papa di Roma (Gregorio XII) e da parte dei Cardinali di Benedetto XIII (il Papa di Avignone). Confessò di non aver mai conosciuto parenti per cui trovavasi esente dalle tentazioni di ingrandirli e favorirli, e però aveva preso i poveri per suoi congiunti. Aveva una passione : quella di far grazie di concedere cariche a corte, onde fu criticato per aver favorito gente non sempre meritevole. Di vita integra e mortificata, sotto le vesti papali portò sempre l'abito dei Minori in cui aveva professato. Per la sua scienza filosofica e teologica fu chiamato da dotti del suo tempo « dottore refulgido ». Soleva dire: da Vescovo ero ricco, da Cardinale povero ed ora da Papa son mendìco. Da questo Pontefice, rileva il Moroni, ebbero principio le opzioni dei Cardinali, o passaggio da un Vescovado o titolo Cardinalizio a un altro. Sant'Antonino nella sua Cronaca dice che fu fatto morire con l'applicazione di un rimedio avvelénato. Prima di morire salutando gli astanti fece voti per la pace della Chiesa dicendo: « Pacem meam do vobis, pacem meam relinquo vobis ».

GIOVANNI XXII o XXIII o XXIV - PONT. CCVII NAPOLETANO (COSSA) (1410, cessò dal pontificare 29 maggio 1415, morì nel 1419) CERVUS SIRENA E » Sigismondo Re dei Romani (Sec. XV).

BALDASSARRE Cossa, figlio di Giovanni, era di nobile famiglia napoletana. Prima di abbracciare la carriera ecclesiastica aveva cominciato con quella militare che presto abbandonò. Studiò a Bologna entrando a servizio della Curia Romana. Arcidiacono di Bologna fu da Bonifacio 1X creato cardinale di S. Eustachio. Dopo la morte di Alessandro V nel conclave di Bologna, eletto, assumeva il nome di Giovanni XXIII. Ordinato sacerdote, era poi consacrato e incoronato nella Basilica di S. Petronio. Dopo un anno di soggiorno a Bologna, accompagnato dal re Ludovico d'Angiò entrava nel 1411, a Roma, la vigilia di Pasqua. Venuto a patti con Ladislao, che aveva abbandonato Gregorio XII, gli tolse la scomunica e gli riconsegnò in feudo il regno di Napoli, dandogli anche aiuti finanziari. Indisse nel 1412 un Concilio a S. Pietro, ma ben pochi vi intervennero. Nel 1413 Ladislao, rompendo ogni trattato assalì Roma saccheggiandola. Il Papa dovette fuggire e tornato a Bologna, si interessò con l'imperatore Sigismondo, per la convocazione del Concilio di Costanza, promettendo di intervenirvi. Quando si accorse che il Concilio da lui inaugurato gli era ostile, temendo che si potesse procedere contro di lui si dichiarò pronto a rinunciare se altrettanto avessero fatto Gregorio XII e l'antipapa Benedetto XIII. Non sentendosi sicuro fuggì da Costanza ; ma il Concilio che aveva iniziato processo contro di lui, solennemente lo depose. Internato a Radolzell, si assoggettò alla condanna inflittagli. Riuscito a fuggire, dopo tre anni di prigionia nel Castello di Hansen, si recò a Firenze a gettarsi ai piedi del nuovo Papa Martino V. Ridonatagli dal Papa la porpora con il Vescovato di Frascati, poco dopo moriva in Firenze, il 22 dicembre 1419. Fu sepolto nel Battistero di Firenze. Mentre G. Villani lo dice figlio di un ciabattino, altri di un oste, altri ancora lo fanno figlio di Giovanni conte di Troia, signore di Procida, famiglia di Benevento. Dopo aver studiato a Bologna ed esser diventato dottore, interrogato dagli amici, mentre ne partiva per Roma dove andasse: « Al Papato », rispose. E fu vero. Il Pontefice Gregorio XII aveva privato del cardinalato il Cossa anche perchè aveva alienato la pecunia e i materiali apparecchiati per la fabbrica di S. Petronio. Da Alessandro V era stato reintegrato nel cardinalato. Sentendosi adulare disse: So bene che queste parole non sono vere, tuttavia mi piaciono. Nel Concilio di Costanza si portarono contro Cossa 55 capi d'accusa, tra i quali che non diceva l'ufficio « Horas canonicas dicere sprevit ». Il Concilio di Costanza — al quale Giovanni XXIII s'era presentato con un seguito di 600 persone — elesse Martino V e allora Giovanni XXIII, dopo esser stato tenuto in prigione nel Castello di Hansen, dal quale riuscì a fuggire, si presentò al nuovo Papa a Firenze, che lo riabilitò. Essendo prigioniero nel Castello di Hansen si diede, per passare il tempo a compor versi al modo dei Tristi d'Ovidio. Diceva il prigioniero :

Qui modo summus eram gaudens et nomine Praesul Tristis et abiectus nunc mea fata gemo. Ammonendo malinconicamente: Cedant in exemplum cunctis quos gloria tollit. Vertice de summo mox ego Papa cado.

Si legge che fece canonico di S. Giovanni, G. B. Millini, di nobile famiglia romana, mentre aveva solo 7 anni. Dice il Novaes che con la deposizione di Giovanni fatta il 29 maggio 1415 a Costanza dal Concilio, si vide per la prima volta dopo lo stabilimento del cristianesimo, un Papa deposto da quegli stessi che lo riconoscevano per Papa. Per la elezione di Papa Giovanni XXIII si ha la più antica menzione di fuochi e di illuminazioni fatte per la città. Morì lasciando un vero tesoro calcolato in 18 milioni di fiorini d'oro e il valore di altri 7 in vasi, croci, corone mitre e gioielli. Era sobrio nel vivere e poco dispendioso anche per sè e fu detto amministratore abilissimo. Piccolo di statura, di colore pallido era di grande vivacità di spirito, impetuoso e pronto nella risposta. L sepolto nel Battistero di Firenze, dove Cosimo de Medici gli fece erigere un monumento, opera del Donatello e del Michelozzo : del primo è la statua giacente del Papa, del secondo la statua rappresentante la fede. L'epitaffio dice: loanes quondam Papa. S. Antonino lo dice: « grande nelle cose temporali, ma da nulla affatto nelle cose spirituali ». Ed anche Silvio Piccolomini, poi Pio II « meno valente in pietà che in diplomazia o nelle armi ».

MAR TINO V o III - PONT. CCVIII ROMANO (COLONNA) (1417 - 1431) « CORONA VELI AUREI » Sigismondo Re dei Romani (Sec. XV).

ODDONE Colonna, del ramo dei principi e dei duchi di Paliano era nato a Roma nel 1368. Aveva studiato a Perugia divenendo valente nel diritto canonico. Innocenzo VII l'aveva creato Cardinale e con Giovanni XXIII era stato legato pontificio a Spoleto e nell'Umbria. Fu eletto a Costanza, alla sua elezione prendendo parte oltre ai 23 cardinali presenti 30 prelati e dottori, cioè 6 per ogni nazione. Assunto il nome di Martino V, dopo esser stato consacrato e incoronato nella cattedrale di Costanza e aver chiuso il Concilio, partì per l'Italia. 11 12 ottobre :1418 era a Milano e passando per Brescia, Mantova, Ferrara, entrava a Firenze il 26 febbraio 1419. Accordatosi con la regina Giovanna II di Napoli e con Braccio da Montone, lasciava Firenze, facendo il suo ingresso a Roma il 28 settembre 1420. Nominata una speciale commissione diè ad essa l'incarico di restaurare le Basiliche e i monumenti, chiamando artisti a Roma. Restaurò Castel S. Angelo, rafforzò il Campidoglio, riparò i ponti sul Tevere, e presso i Santi Apostoli, costruì il palazzo della sua famiglia, ove andò ad abitare. Pur essendo, tutto intento alle cure temporali, con grande zelo attendeva alle spirituali, procurando la riforma del clero e degli Ordini religiosi: difese e protesse S. Bernardino da Siena e incoraggiò Santa Francesca Romana. Celebrò nel 1423 il 5° anno Santo e nel medesimo anno convocava un Concilio a Pavia, ma trasportato a Siena per la peste, fu differito ad altro tempo a Basilea. Morto l'antipapa Benedetto XIII (Pietro de Luna) i due Cardinali rimasti di lui, elessero antipapa Clemente VIII, Egidio Munoz, canonico di Valenza, che poi si sottomise. Martino V moriva il 20 febbraio 1431, improvvisamente. Aveva governato la Chiesa 13 anni, 3 mesi e 10 giorni. Fu sepolto in S. Giovanni in Laterano. Dopo questo conclave tenuto a Costanza, tutti gli altri — eccettuato quello di Pio VII a Venezia — si sono poi tenuti a Roma. Durante il suo soggiorno a Firenze, fece inutilmente lagnanze alla Signoria perchè dal sepolcro di Giovanni XXIII nel Battistero fosse tolta la frase : « quondam Papa ». Braccio da Montone soleva dire che avrebbe costretto Papa Martino a dir messa per un baiocco come un frate mendicante. Non potendo il Papa recarsi subito a Roma per la ostilità del condottiero Braccio da Montone, la gente cantava per le vie di Firenze: Brachius invictus omnem debellat gentem Martinus Papa non valet quadrantem. « Papa Martino non vale un quattrino ». Vespasiano da Bisticci, nella vita di Messer Lionardo da Arezzo racconta questa storiella: « Cominciossi a cantare per la città (di Firenze) una canzona che diceva: « Papa Martino non vale un lupino ». E andavanla cantando per tutta la terra i fanciulli e a Santa Maria Novella e in ogni luogo. Ed era venuta tanta cecità in tutti i cittadini che quando i fanciulli la cantavano tutti ne ridevano. Intendendo messer Leonardo questa indegna- zione del Papa, e conoscendo la natura sua, subito andò dalla Santità sua per vedere di placarlo. « Giunto al Papa lo trovò... dicendo: Martinus quadrantem non valet ? Di poi soggiungeva e diceva: t mi pare ogni dì mille d'andare a Roma ». Il Campano dice che Martino per questo affronto ebbe sempre di poi avversione contro i Fiorentini. Quando entrò in Roma il 29 settembre 1420, la città, dice il Platina, non aveva « nè aspetto nè indizio di città », tanto era squallida e abbandonata. Dalla sua casa ai Santi Apostoli fece gettare alla folla dalle finestre polli e galline. Soleva dire che il Papa deve stare a Roma, perchè non deve il nocchiero andar da poppa a prora girando con danno dei naviganti. Papa Martino apre un'era nuova di ordine e ristabilimento della Chiesa e della città di Roma. Santa Giovanna d'Arco compie le sue gesta durante il Pontificato di Martino. Rinnovò la copertura di piombo del Pantheon. Ricostruì la giustizia ripulendo Roma e la campagna dai ladri, sì che al tempo suo — dice l'Infessura — si poteva andare con l'oro in mano da ogni parte. Avendo preso agli stipendi un capitano Angelus de Triv aco, con 70 uomini per sua guardia personale, alcuni vedono in questo la prima origine della Guardia Svizzera. Al nome di Martino V è legato quello di S. Francesca Romana e quello di S. Bernardino da Siena che veniva a predicare a Roma e fece ardere le vanità sul Campidoglio. Si vuole da qualcuno che Giacomo Pecci, quel ricco cavaliere senese che prestò a Papa Martino V 25.000 fiorini d'oro, nel suo viaggio diretto a Roma, fosse un antenato dei Pecci da cui venne Leone XIII, famiglia, che, appunto, si reputa oriunda del Senese. Fece fare da Lorenzo Ghiberti una tiara d'oro di 15 libbre oltre a parecchie libbre di perle per il valore di 30 mila scudi; e rose d'oro con gemme, destinate a principi, a dame, a città. Mentre era così splendido nello spendere e tener artisti e letterati e dava a Gentile da Fabriano una ricca pensione annua, s'aggirava la sera per i corridoi del Vaticano a spegnere le luci superflue. Gli si è rimproverato il troppo affetto verso i parenti, ma era tuttavia di animo così forte che inteso nel 1423 che il fratello Lorenzo era stato bruciato in una torre ove dormiva e che un altro, Giordano, era morto di peste a Marino, non diede alcun indizio di turbamento. Poggio Fiorentino racconta che « un inviato del Senato di Milano chiedeva non so che cosa al Papa che questo non voleva concedere. E l'oratore insistendo con molta importunità seguì il Pontefice fino alla sua camera da letto. Allora egli per togliersi la molestia portò le mani alle guancie : Ho, disse, un gran dolore di denti, e lasciato l'ambasciatore entrò nella camera ». Da Martino V comincia l'uso dei Cardinali « riservati in petto ». Aveva per medico maestro Elia, ebreo del ghetto di Roma. Essendosi scoperta una congiura per avvelenarlo, usava molta cautela nei cibi. Margherita da Foix gli aveva mandato « un corno serpentino ( !) foggiato a mo' di manico di coltello » che si reputava specifico sicuro contro le insidie venefiche. Della sua morte così dice Io scribasenato Infessura nel suo Diario della città di Roma: « Febbraio 1431. - Del predetto anno et mese a dì 19 cade la jotta (goccia) a Papa Martino nella lengua e fu da lunedì et lo martedì seguente morse febbraio et tutta Roma ne fu addolorata della sua morte. Martino V fu chiamato dai Romani Pater Patriae et temporum suorum felicitas ». È sepolto davanti l'altare maggiore a S. Giovanni in Laterano sotto il bronzo di Simone Chini, allievo del Donatello.

EUGENIO IV - PONT. CCIX VENETO (CONDULMER) (1431 - 1447) c LUPA COELESTINA » Sigismondo (dal 1438) Imp. Sigismondo (fino al 1438), Alberto II, Federigo III Re dei Romani (Sec. XV).

GABRIELE Condulmer di famiglia patrizia veneziana nacque circa il 1388. Rimasto orfano di padre, distribuiva il proprio patrimonio ai poveri, fondando con un cugino, la Congregazione Celestina di S. Gregorio in Alga. Abbate di S. Giustina a Padova era chiamato dallo zio Gregorio XII a Roma e fatto tesoriere della Chiesa. Vescovo di Siena per un anno, tornava a Roma e fatto Cardinale era mandato governatore della Marca di Ancona. Nel Conclave tenuto alla morte di Martino V nella sacrestia della Minerva, era eletto Papa prendendo il nome di Eugenio IV. Portò sul trono Pontificio abitudini severe, mantenendosi lontano dal fasto. Intrapresa la lotta contro i Colonna li obbligò a cedere i loro castelli e a pagare una grossa somma. Scioglieva il Concilio di Basilea, adunato da Martino V per riconvocarlo poi a Bologna; ma parecchi membri rifiutarono di sciogliersi. Nel maggio del 1431 coronava della corona imperiale Sigismondo. Mentre Fortebraccio circondava Roma, essendosi il popolo sollevato, Eugenio travestito dovette fuggire sul Tevere, da Ostia recandosi a Firenze ove dimorò lungamente. A Firenze consacrò il Duomo appena terminato dal Brunelleschi. A Ferrara si adunava un Concilio al quale assisteva l'imperatore Giovanni Paleologo per la unione della Chiesa Greca : l'unione veniva nel 1439 proclamata a Firenze ove il Concilio era stato trasferito. Intanto i dissidenti di Basilea, dichiaravano deposto Eugenio e nominavano Amedeo VIII Duca di Savoia che divenne l'antipapa Felice V. Esortava i popoli d'Europa ad opporsi alla avanzata dei Turchi : consolidava l'autorità spirituale della Chiesa su tutte le nazioni, concludeva un trattato con la Germania. Moriva il 23 febbraio 1447 dopo aver governato la Chiesa 15 anni, 11 mesi e 20 giorni. Fu sepolto in S. Pietro, poi trasportato in S. Salvatore in Lauro. Vespasiano da Bisticci dice di lui : « In prima egli era grande della persona, bellissimo l'aspetto, macilento e grave, e di grandissima reverenza a vederlo in modo che non era ignuno che per la grande autorità che aveva in sè lo potesse guatare », poi « Rimase storpiato da un lato si che non poteva alzare lo braccio ritto ». Ed anche dice che ispirava tanta riverenza che « la gente vedendolo piangeva ». Ebbe Eugenio per madre Beriola Correr che vide 3 Pontefici suoi stretti parenti cioè: Gregorio XII, suo fratello, Eugenio IV, suo figliolo e Paolo Il, suo nepote per parte di Polissena sua figlia. Oltre ad essere sorella, madre ed avola di tre Sommi Pontefici, fu ella ancora avola, zia e bisavola di nove Cardinali di sei Patriarchi e di undici Vescovi. Morto il padre aveva distribuito 20.000 ducati del suo patrimonio ai poveri. Si fece canonico della Congregazione Celestina di S. Giorgio in Alga, nella quale, facendo da portinaio, un romito gli aveva detto che sarebbe divenuto Cardinale, poi Papa per 16 anni nei quali patirebbe molte avversità poi morirebbe. Lo stesso pontificato gli era stato predetto da un altro romita il quale, navigando Eugenio verso l'Egitto con Francesco Foscari a questo disse che sarebbe stato padre della patria e all'altro, che lo sarebbe di tutto il mondo cattolico. L'antipapa Felice V eletto contro di lui, è l'ultimo della serie degli antipapi. Quando nel maggio del 1434, essendo Roma in tumulto dovette fuggire, montò su una barca nel Tevere, travestito da frate. Ma accortisi i Romani della sua fuga cercarono di raggiungere la barca gettando sassi dalla riva. Tra S. Paolo ed Ostia una grossa barca cercò di tagliare la fuga al Papa, ma invano, perchè ad Ostia potè imbarcarsi su di una nave e raggiungere Pisa. Appena fatto Papa fu interrogato Tomaso Parentucelli — che poi fu Nicolò V — qual uomo fosse Eugenio. Considerate — disse — le qualità dei servi che ha intorno e così verrete a cognizione delle sue medesime. Non volle presso di sè per camerieri che monaci e chierici: ma volle che fossero dotti per poterli interrogare ed essere avvertito di ingiustizia. Quando cenava, chiamava come testimone del suo modesto pasto qualche prelato, al quale domandava che si dicesse dalla gente del suo Papato per potersi correggere. Fu talmente alieno dal vino che fu detto astemio. Tentò di sospendere per due anni il Concilio che aveva stabilito a Basilea, concilio dal quale potevasi ben poco sperare e del quale uno scrittore dice : « Inter Episcopos, coeterosque Patres conscriptos vidimus in Basilea coquos et stabularios orbis negotia iudicantes ». Adunando un giorno in Vaticano un Concistoro, tanta folla vi accorse che, venendo meno i travi del luogo dove si faceva, in quel tumulto e fuga morì calpestato nella calca il Vescovo di Senigallia, che era romano dei Mellini. Il Vaticano non aveva ancora quella forma che ora ha. Non si moveva ad ira, nè per ingiurie fattegli nè per mal dire di altri. Di lui fu detto che ebbe per difetto di prendere per regola non quello che poteva, ma quello che voleva. « Per levare l'occasione del gran male che là dentro si faceva » diede il Colosseo ai Frati di S. Maria Nova, i quali tirarono due muri che lo rinchiudevano nel loro convento. Ma i romani a furor di popolo buttarono giù i muri. Aveva fatto rinchiudere in Castel Sant'Angelo il Patriarca Giovanni Vitelleschi. Essendo stato pregato a rilasciarlo rispose: Uccelli di quella qualità non si mettono in gabbia per essere rilasciati. Ebbe un nepote Papa col nome di Paolo Il come poi Calisto III il nepote Alessandro VI; Pio II, il nepote Pio III; Sisto IV, il nepote Giulio I1; e Leone X suo cugino Clemente VII. Nel rimunerare gli eruditi diceva che non solo si doveva amare la loro erudizione, ma ancora si doveva temere la loro indignazione. Ripeteva con Platone esser meglio avere nemico un esercito 'armato che un poeta o un oratore indignato. Con Eugenio IV comincia l'ascensione alla fortuna della Casa Farnese, perchè, avendo Ranuccio, cittadino romano, prestato al Papa Eugenio 4.000 fiorini d'oro di Camera, ebbe il governo temporaneo del castello di Marta, insino al rendersi dei 4.000 fiorini. Questo Pontefice ebbe in tale estimazione il Farnese che gli donò la « Rosa d'oro », e lo creò generale delle truppe papali l'anno 1434. E in uno dei dipinti del palazzo di Caprarola vedesi Ranuccio genuflesso innanzi al Pontefice in atto di ricevere il bastone del comando. Un giorno ad Eugenio, mentre faceva una funzione cadde la mitra andando sulla testa del Cardinale Parentucelli che l'assisteva: e fu Nicolò V. Anche a Gregorio XIII nel ricevere l'obbedienza del Cardinale Facchinetti cadde la mitra andando sulla testa del Facchinetti, che fu poi Innocenzo Xl. Tornato da Firenze a Roma mentre entrava da Piazza del Popolo, i romani si misero a tumultuare per una gabella che era stata messa sul vino. Il Papa fece fare silenzio e annunziò che la toglieva come ingiusta. E il popolo allora scoppiò in un grande applauso. A proposito della fuga di Eugenio IV da Roma, il Pastor dice che i Papi costretti a fuggire dalla città sono 27. Fu l'ultimo Papa che sia stato cacciato dai Romani : perchè non si può di Pio IX parlare di cacciata, essendo stati gli avvenimenti politici a consigliare la partenza di questo Pontefice da Roma. Fece confermare dal Concilio di Basilea -- prima che divenisse conciliabolo — le leggi sui Cardinali fatte in quello di Costanza, per le quali i nepoti del Papa e dei Cardinali viventi non potevano mai essere fatti Cardinali. A Firenze non esitò ad impegnare per 40 mila scudi il prezioso triregno del Ghiberti per poter compensare con tal somma i viaggi dei Greci da lui invitati al Concilio, per la unione della Chiesa Greca. Di questo triregno dice il Vasari che vi erano : « 6 perle come nocciole avellane, il tutto di superbo e mai veduto disegno... della qual opera, l'artefice oltre il pagamento, ricevè grazie e favori dal Pontefice ». Da giovane era stato guarito da una mortale infermità dagli Apostoli Pietro e Paolo che gli avevano predetto il Pontificato ed anche glielo aveva predetto S. Giovanni da Capi-strano. Nella Bolla di scomunica chiamò i Colonna « Improba domus sive progenies de Culumna ». Fece cardinale quell'Angelotto diventato famoso nelle Facezie » di Poggio Fiorentino. Chiamò i Cardinali : « I perni sopra i quali si aggira il governo della Chiesa universale ». Fece fare dal Filarete la porta di bronzo di S. Pietro. In questa porta si legge il suo elogio : « Ut Graeci, Armeni, A etiopes hic aspice, ut ipsam — Romanam amplexa est gens lacobina fidem, — Sunt haec Eugenii monumenta illustria Quarti — Excelsi haec animi sunt monumento sui ». Caduto malato contrastò per molti giorni con la morte, perlocchè, Alfonso d'Aragona, disse : « Che maraviglia se egli ancora combatte con la morte, e difficilmente soccombe avendo guerreggiato con tanti re e con tanti uomini ! ». La sua epigrafe a San Salvatore in Lauro — in latino -- dice: Venezia gli diede i natali, Roma il dominio della città e del mondo, Dio gli conceda ai suoi voti il regno celeste. Sulla tomba di Eugenio in S. Pietro, andata distrutta, si leggeva, -tra l'altro: « Due Cesari l'uno dall'oriente, l'altro dall'occidente si prostrano innanzi ai piedi di lui : l'uno per ricevere gli insegnamenti della fede latina, l'altro per aver cinto il capo dell'aurea corona.

NICCOLO' V - PONT. CCX. DI SARZANA (PARENTUCELLI) (1447 - 1455) « DE MODICITATE LUME » Federico 111 (dal 1452) Imp. — Federico III (fino al 1452) Re dei Romani (Sec. XV).

ERA nato a Sarzana il 15 novembre 1397 dal medico Bartolomeo Parentucelli e Andreola Putti ed ebbe nel battesimo il nome di Tomaso. Avendo in mezzo a mille ristrettezze studiato a Bologna, dovette per vivere fare da maestro nelle case degli Strozzi e degli Albizi a Firenze. Laureatosi più tardi a Bologna e ricevuto gli Ordini sacri diventò segretario del pio Arcivescovo di quella città Niccolò Albergati, col quale stette per venti anni. Alla morte dell'Albergati Eugenio IV gli affidava la diocesi: ma per i tumulti in che era Bologna otendo prenderne possesso, fu inviato Nunzio in Germania Fatto Cardinale da Eugenio IV, alla di lui morte entrava in Conclave nel Convento della Minerva ed era eletto, assumendo il nome di Niccolò V. Inaugurò una politica di pace e di conciliazione: col concordato di Vienna oltre ad assicurare in Germania il riconoscimento dei diritti Pontifici sui vescovati e i benefici, pose fine al Concilio di Basilea. Accettò la rinunzia dell'antipapa Felice V che fece Cardinale e Legato e Vicario per la Savoia. Nel 1450 celebrò il giubileo. Mandava Cardinali legati in Francia, in Germania, in Inghilterra, per assestarvi le cose religiose. Incoronava nel 1452 l'imperatore Federico III d'Asburgo benedicendone il matrimonio con Eleonora di Portogallo. Scoperta la congiura di Stefano Porcari, questi, già due volte perdonato dal Papa, fu condannato a morte e giustiziato. Esortò i principi cristiani a una nuova crociata, ma nel 1433 Costantinopoli cadeva in mano ai Turchi. Cercò di riunire i principi italiani in una lega. Letterato e protettore di letterati e di artisti Niccolò ha come tale lasciato un'orma luminosa nella storia. Sua gloria è la fondazione della Biblioteca Vaticana, che iniziò con 5 mila libri greci e latini. Grande fu anche la sua attività edilizia e fece fare progetti per S. Pietro e per il Palazzo Vaticano. È uno dei più grandi Papi del Rinascimento. Morì il 24 marzo 1455 dopo aver Pontificato ri anni e 19 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. Interrogato subito dopo l'elezione di Niccolò V il Cardinale portoghese 'Martin de Chaves se i Cardinali avevano eletto il Papa : Non i Cardinali — rispose — ma Dio ha eletto il Papa. Magro, pallido, malaticcio, con le labbra smisuratamente grandi, quando era a Firenze a copiare manoscritti andava così dimesso che il suo compagno di lavoro, il libraio Vespasiano da Bisticci dice che « sembrava un prete da sonare campane ». Anche, allora, soleva dire: « che due cose farebbe s'egli potesse mai spendere, ch'era in libri e murare: e l'una e l'altra cosa fece nel suo pontificato ». crocNeo.n assunse, fatto Pontefice, stemma alcuno e sempre usò per insegna le chiavi apostoliche di San Pietro poste in croce. Perchè soffriva di gotta lo si accusò di passione per i vini squisiti. Invece Vespasiano da Bistici dice che: « Aveva, secondo la sua consuetudine, in tavola due guastadette che tenevano due bicchieri per una: l'una piena di vermiglio, l'altra di bianco et inacquato molto bene e a pena che le finisse di bere. Questa parte ho io posta per alcuni malevoli et invidi che l'han voluto calunniare nel bere, non lo conoscendo, perchè nel suo pontificato faceva venire alcun vino che fosse buono, nè lo faceva per sè, ma per certi Prelati e Signori di Francia e della Lamagna ed Inghilterra, dove egli era stato et avevano grandissima cognizione et quando venivano a Roma gli faceva presentare ». Chiamò a Roma il Beato Angelico e quando dipingeva in Vaticano amava intrattenersi con lui e lo voleva spesso suo commensale. Una volta, per quanto ne lo pregasse il Papa, rifiutò la carne imbandita alla tavola papale perchè il Priore della Minerva, non lo aveva, quel giorno, per dimenticanza, dispensato dalla regola. L'incoronazione che fece nel 1452 di Enrico III d'Asburgo è l'ultima incoronazione di un imperatore compiuta a Roma. L'anno del giubileo del 1450 fu disastroso per Roma : per la peste che scoppiò, mentre più numerosi affluivano i pellegrini, per una inondazione del Tevere, e per un grave disastro avvenuto per la ressa dei pellegrini sul Ponte S. Angelo con l'annegamento e la morte di moltissime persone. Amantissimo delle lettere fece tradurre dai dotti del suo tempo molte opere greche. E quando per la peste si rifugiò a Fabriano portò con sè i suoi traduttori e copisti, affinchè non morissero e continuassero il lavoro. Trattava i dotti e i letterati come parenti. Oltre la Biblioteca istituì nel Vaticano una stamperia alla quale pose a capo Paolo Manuzio. Aveva promesso 5.000 ducati a chi gli recasse il Vangelo di S. Matteo in ebraico. Non soffriva di trattare con persone poco intelligenti e però facilmente s'inquietava e spazientiva quando non era subito capito ed obbedito. Presiedette nel 1450 al Capitolo Generale dei Frati Minori e degli Osservanti, adunati in numero di quasi 4.000 in Roma. Tre Santi erano presenti a questo Capitolo : S. Giovanni da Capistrano, S. lacopo della Marca e S. Diego, laico spagnolo. Fu benemerito delle acque di Roma. E poichè dopo di lui, altrettanto lo furono Sisto V e Paolo V, fu detto che Tre Quinti (Nicolò, Sisto e Paolo) dissetarono Roma. Un religioso lo richiese una volta se avesse potuto venire a Roma pel Giubileo, anche senza il permesso dei Superiori. Il Papa gli rispose : « Melior est obedientia, quam indulgentia ». Venuta la madre a Roma, non volle vederla se non quando, dimesse le vesti ricche che le erano state fatte mettere, assunse quelle modeste, proprie del suo stato. Per ordine di Nicolò V l'architetto Rosellini aveva ideato di fare del Vaticano una città appartata. « Voleva Nicolò che il Palazzo Papale fosse il più bello e maggiore edificio della cristianità, perchè doveva essere non solo alla persona del Sommo Pontefice e al Sacro Collegio dei Cardinali, ma per ricevere imperatori, re, duchi e altri principi. E voleva farvi un anfiteatro per le coronazioni, giardini, logge, acquedotti, cappelle e librerie e un Conclave bellissimo... ». Mentre prima della congiura di Stefano Porcari aveva col-. rnaito i Romani di favori, si mostrò poi più cauto: raramente usciva e difficile era esser ammesso alla sua presenza, forse anche per la podagra che lo affliggeva. Ebbe pochi famigliari, ma tutte persone dotte della cui opera servivasi nei negozi gravi. Lo storico protestante Macaulay dice che Niccolò V « fu il più grande restauratore delle lettere, l'uomo che ogni amico alto seggioscienza deve nominare con venerazione, degno del più seggio in Europa ». L'epitaffio che per la sua tomba fece Enea Silvio Piccolomini è l'ultima iscrizione papale in versi. Essa in italiano dice: « Qui son riposte le ossa del Pontefice Nicolò V che, a te, Roma, ridonò il secol d’oro Illustre per senno, più illustre per ogni virtù onorò i dotti essendo egli più dotto di ogni altro. Tolse via l'errore di cui lo scisma aveva avvelenato il mondo, ristabilì i costumi, le mura, i templi, le case. Istituì altari in onore di Bernardino da Siena, mentre celebrava il tempo del Santo Giubileo. Cinse della corona il capo di Federico e della sposa di lui e ordinò gli Stati d'Italia, stringendoli in lega. Fe' volgere in lingua latina molte opere greche: spargete incenso su questa sacra tomba ».

CALLISTO III - PONT. CCXI DI VALENZA (BORGIA) (1455 - 1458) « BOS PASCENS » Federico III Imp. (Sec. XV).

ALFONSO Borgia dí illustre famiglia spagnola di Valenza, da giovane s'era dato agli studi giuridici: ottenne una cattedra all'Università di Le-rida e un canonicato dall'antipapa Benedetto XIII. Diventato consigliere e segretario di Alfonso V fu da Martino V fatto Vescovo di Valenza e da Eugenio IV Cardinale. Alla morte di Nicolò V diventava Callisto III e saliva ai soglio Pontificio avendo 77 anni. Il pensiero dominatore di tutto il suo Pontificato fu la lotta contro i turchi. Rinnova la proclamazione della crociata, allestisce una flotta e per sopperire alle spese vende oggetti del tesoro Papale e anche beni ecclesiastici. Grande fu il giubilo del mondo cristiano per la vittoria sui Turchi presso Belgrado. Per non aver voluto riconoscere sul trono di Napoli il figlio illegittimo di Alfonso V d'Aragona, Ferdinando, venne in discussione con quella potente casa. Combattè ogni forma di eresia, protesse i Francescani, e fece riesaminare il processo di Giovanna D'Arco, concludendosi che era morta martire per la religione e per la patria. Moriva a 80 anni il 6 agosto 1458 avendo governato la Chiesa 3 anni, 3 mesi e 29 giorni. Fu sepolto in S. Pietro : più tardi le sue ossa furono portate nella Chiesa spagnuola di Monserrato. Ancora fanciullo e chierico nella chiesa di S. Nicola di Valenza, soleva ripetere : Io sarò Papa, io sarò Papa: e lo fu. Dalla sua storia meravigliosa trae origine un proverbio valenzano che dice : Se vuoi essere Papa, mettitelo in testa. Avea avuto la profezia da S. Vincenzo Ferreri che sarebbe stato Papa, e fin da quando era Cardinale, dice S. Antonino, si esprimeva come se fosse stato Papa, scrivendo: « Io Callisto, Pontefice del Dio Onnipotente prometto alla Santa ed indivisibile Trinità di perseguitare colla guerra ed in tutti i modi che mi saranno possibili, i Turchi nemici del nome cristiano ». Si disse che alla morte di Nicolò V, sarebbe stato eletto Papa il Cardinale Bessarione, se la lunga barba che portava e coltivava non lo avesse dimostrato troppo greco: perciò si disse che Callisto era Papa... per una barba. S'era Callisto, da Cardinale, dimostrato di una grande gitistizia ed equità, perchè non volle mai possedere commenda o beneficio, protestando di essere contento con una sola sposa: che era la sua chiesa di Valenza. Racconta Enea Silvio — che poi fu Papa Pio II --- ne' suoi « Commentarli » che nel tornare dal Conclave, dopo eletto Calisto III, incontrando il cardinale Capranica un uomo che gli domandò l'elemosina, per essere scappato dalle mani de' Catalani, disse al povero il Cardinale: « Anzi voi la dovete fare a noi che siamo caduti nelle loro mani ». Dopo la morte del Pontefice, molti degli stessi Catalani che nel suo governo avevano abusato della sua bontà, furono arrestati, spogliati ed alcuni uccisi, fuggendo a Civitavecchia lo stesso nepote di Calisto di nome Pietro. Allorchè il 21 aprile 1455 andò a prendere possesso in Laterano, quando fu a Monte Giordano e i Giudei, secondo il costume gli offrirono il libro della Legge riccamente dorato, la plebaglia tentò di impadronirsene e ne nacque tale subbuglio che il Papa stesso si trovò in pericolo di vita, mentre riuscì ad impadronirsi del baldacchino Papale. Benchè vecchio, e nonostante le cure del Pontificato, impiegava il tempo libero nella lettura, o nel farsi leggere i libri. Ottuagenario citava i testi con mirabile prontezza. Può esser considerato come il fondatore della Marina pontificia. Il giovane cardinale Rodrigo Borgia — poi Alessandro VI - suo nepote, ricevette da Callisto le più importanti cariche di corte. Per questa sua protezione ai nepoti, Pasquino « Ai poveri su' Apostoli, la Chiesa — avea lasciato Cristo. — Preda de' ricchi suoi nepoti è resa — oggi dal buon Callisto ». Sollecitato a concedere il permesso di matrimonio tra re Alfonso e la famosa Lucrezia Alagno, fu inflessibile nel diniego, rispondendo che « non intendeva di andare con essi due all'inferno ». Al re di Aragona che credeva consigliarlo come se fosse ancora alle sue dipendenze fece dire : « Governi egli i suoi Stati, io governerò la mia Chiesa ». Lamentava e biasimava la liberalità del suo predecessore Niccolò V, il quale in manoscritti e fabbriche aveva usato la moneta che solo avrebbe dovuto servire per la guerra contro i Turchi. Quando Callisto III morì gli si trovarono 150 mila scudi destinati per questa guerra. Callisto III per far la guerra ai turchi e liberare Costantinopoli dalla schiavitù vendè le gioie ed alienò vari castelli, come Frascati per 8 mila fiorini. Avendo riempita la Corte di Spagnoli, la sua morte fu il segnale della Cacciata dei Catalani come venivano essi chiamati. Per ottenere la protezione della Vergine nell'impresa contro i Turchi ordinò il suono dell'A oe Maria, a mezzogiorno. Durante il suo Pontificato comparve nel cielo una grande cometa — quella di Halley che ricomparve nel 1910. Si disse che il Papa Callisto l'avesse scomunicata. La storiella non ha fondamento. La cometa apparsa era grande e spaventosa : la coda a forma di spada turca andava come ún fascio di luce da un punto all'altro dell'orizzonte. Tutti vedevano nella cometa il messaggero sinistro di grandi calamità. Il Papa Callisto a calmare i timori indisse preghiere perchè se qualche grave calamità incombesse sugli uomini, essa si riversasse unicamente sui Turchi. Da queste preghiere e dal suono dell'A ve Maria ordinato a mezzogiorno venne la storiella che Callisto avesse scomunicato la cometa. La storiella della scomunica della cometa in molti trattati di astronomia dà luogo a facezie di dubbio spirito. Il Wite nella sua Storia del conflitto tra la Scienza e la Teologia aggiunse — falsamente — che per l'occasione nelle litanie dei Santi si era inscritto il versetto: « A T urcis et a Cometa - Libera nos Domina ».

PIO II - PONT. CCXII SENESE (PICCOLOMINI) (1458 - 1464) «DE CAPRA ET ALBERGO » Federico III Imp. (Sec. XV).

ENEA Silvio Piccolomini di Corsignano presso Siena, era figlio di Silvio e di Vittoria Forteguerri. Malgrado la nobiltà della famiglia, essendo caduto in basso stato, fu da giovane obbligato ad aiutare il padre nella coltivazione della tenuta. Mentre studiava a Siena, avendo sentito predicare S. Bernardino, lo voleva seguire, ma dissuaso, si reca a Firenze e poi torna a Siena dedicandosi allo studio della giurisprudenza. Segretario del Cardinale Capranica va al Concilio di Basilea, diventa segretario di Felice V, poi passa a Federico III. Riavvicinatosi ad Eugenio IV, entra nella carriera ecclesiastica. Vescovo di Trieste e poi di Siena, accompagna Federico a Roma per ricevere la corona imperiale. Dopo essere stato inviato da Nicolò in Boemia, Austria, Ungheria, viene .nel 1456 fatto Cardinale da Callisto III, al quale succede sul trono Pontificio nel 1458. Lo stesso pensiero che aveva Callisto di liberare l'Europa dalla dominazione Turca è pur quello che guida tutto il Pontificato di Pio II. E a Mantova per questo scopo indice un Concilio e vi si reca ; ma gli effetti ne sono nulli. Firma un trattato di pace con Napoli, riduce alla sottomissione Sigismondo Malatesta. Per una peste scoppiata a Roma, va a Viterbo, Bolsena e a Corsignano cui cambia nome dandogli quello di Pienza. Canonizzò Santa Caterina da Siena. Vedendo i progressi dei Turchi che già s'erano impadroniti della Bosnia, si mette personalmente a capo della crociata e si reca ad Ancona per imbarcarsi. Mentre assiste all'arrivo delle galere veneziane muore il 14 agosto 1464. Poeta e letterato, uomini più eruditi del suo tempo. Abbellì Roma e Siena e si circondò di artisti. Pontificò 5 anni, 11 mesi e 26 giorni. Cinque volte gli era stato predetto il Pontificato. Sua madre la notte innanzi che nascesse sognò di dare alla luce un figlio con la tiara in testa. Fanciullo di sette anni, giocando con dei coetanei, fu da essi per burla, fatto Papa, coronato di foglie a modo di mitra e adorato col bacio del piede. Incontratosi con Alfonso II a Napoli, questi presentan dolo alla sua Corte disse: « Eccovi il Pontefice Romano ». Trovandosi il Piccolomini con Federico III sull'alto del Cimino e guardando il sovrano la sottostante pianura del Lazio, volgendosi al Piccolomini disse: « Su questi luoghi regnerai, Enea, e noi che ora ti comandiamo saremo da te comandati ». Appena eletto i conclavisti e gli altri prelati misero a sacco la sua cella asportandone argenteria, libri e persino le vesti. In città la plebe non solo saccheggiò il suo palazzo. ma anche lo danneggiò. Nella solenne funzione del possesso corse grave pericolo funto al Laterano, appena sceso da cavallo, nacque perchè g tumulto nel popolo per appropriarsene. Era di aspetto e di costituzione cadente, sempre estenuato dalla tosse e da' calcoli. Si alzava prestissimo; diceva messa. dava udienza, poi passeggiava in Belvedere ; quindi pranzava, non ordinando mai i cibi. Mangiava per quanto poteva, sempre all'aria aperta, ed era contrario ai cibi delicati e troppo conditi. Beveva poco e solo vino allungato con acqua. Usava mal volentieri le vesti di seta ; amava più i libri degli zaffiri e degli smeraldi, dicendo di trovare gran copia di queste gemme ne' suoi libri. Del suo aspetto fisico, dice il Cardinale di Pavia, ch'era di piccola statura, di capelli, prima del tempo canuti, di faccia bianca, e dimostrante maggiore età, di occhi spiranti insieme severità e piacevolezza, di corpo robusto, ma stenuato dalle fatiche e dai lunghi e frequenti viaggi, dalle vigilie e dai continui incomodi della tosse, di calcolo e di podagra che spesso lo riducevano ad uno stato pericoloso. Facile a dare udienza ancorchè ammalato, parco nelle parole, ma giocoso e faceto nella conversazione, nemico giurato de' falsari e de' zelatori e sempre ameno con gli amici, alcuni de' quali voleva sempre a tavola... Facile ad inquietarsi, ma più facile a rimettersi in calma e a perdonare le ingiurie ond'è che non riprese mai chi di lui sparlasse... ». In un consulto dato a Pio II nella primavera del 1460, Bartolo Tura raccomanda al Papa la stabile permanenza in ambienti riscaldati, la buona masticazione dei cibi, da cui sono da escludersi le bevande spiritose, e le frutta fresche. Tra l'altro consigliavagli il pane di frumento e spelta, le carni di vitello, di coniglio, e di testuggine: purganti primaverili e diuretici in autunno : mirabile unguento della mustela cotta in olio rancido o del corvo sepolto nel concime equino, ferma restando l'efficacia indiscutibile della « calamita » incastrata in aureo anello: « Itern magnes portatus in anulo, ita quod tangat carnem, preservat et sanat ». Aveva una parsimoniosa semplicità alla mensa papale ed un rigido orario alle occupazioni quotidiane, un freno inibitorio alla spontanea ira ed una coercizione letteraria alla emozione estetica, fino a rinserrare l'espressione esterna del dolore fisico, entro la lieve smorfia di un morso labiale « obtorto leviter ore ac submorso paululum labro deprehensum ». Amante della natura, tenne a Siena un Concistoro all'ombra dei castagni e dei faggi e ricevette i Legati stranieri sopra un'altura da cui si godeva una vista meravigliosa. Quando era libero si faceva venire certo Fiorentino, che era chiamato il Greco, il quale con facilità straordinaria imitava il parlare e rappresentava le maniere di qualunque voleva, con gran risa dei circostanti. I Cardinali dai quali fu, nel Conclave, eletto, erano 18 dei quali 10 stranieri. Quando corse il suo nome come possibile Papa fu detto scherzando : Un poeta sul soglio Pontificio, in questi tempi ! E per giunta un debole e ammalato! Appena eletto disse, piangendo : « Adesso tocca a me fare quello che ho preteso, fino ad oggi, dagli altri ». In una Bolla ritrattò e condannò gli errori della sua f gio l ventù dicendo : « Lasciate Enea e prendete Pio; quello u i nome gentile datomi, nascendo; questo abbiamo preso per l'apostolato cristiano ». Onde f u detto che molte cose da Enea approvate furon poi da Pio condannate. Mal corrisposto dai suoi concittadini di Siena, soleva, tuttavia, dire : « Si faccia sempre bene a' Senesi, quando anche non lo vogliano ». A uno che si lamentaavandraid, 'udraiessereanche mol stato offti ceso he d i rispome se : « Se in Campo di Fiore diranno male ». E però raramente punì i suoi detrattori dicendo che in e una città libera, come Roma, ognuno poteva liberamne parlare. I suoi ammiratori gli applicarono, da Virgilio: « Sum Pius Aeneas fama super aetera notus ». Fu, si può dire, il fondatore dell'Ufficio delle Belle Arti, perchè emanò disposizioni per la tutela e la conservazione dei monumenti di Roma e della campagna. Questo suo amore per l'antichità dimostrò in modo simpatico quando nella guerra contro il re di Napoli amnistiò gli Arpinati, perchè... compatrioti di Cicerone e C. Mario. Recandosi a Mantova per adunarvi i potentati cristiani (1458) ad una crociata contro i Turchi era, nel viaggio preceduto dal Santissimo chiuso in un'Arca d'oro, portata su un cavallo bianco, circondata da lumi e riparata da un grande ombrello serico. A Bologna (1459) fu accolto con sì solenne pompa che la sedia gestatoria sulla quale stava venne portata dai principali signori della città. Per fuggire l'epidemia che infestò Roma si recò da prima in Viterbo, poi a Bolsena, ed infine alla sua patria Corsignano che mutò in Pienza beneficandola, trasformandola e ornandola di magnifici edifici. Quando il 18 giugno 1464 partì da Roma, dopo una solenne funzione celebrata in S. Pietro, per recarsi ad Ancona e mettersi a capo della crociata disse : Addio Roma, non mi vedrai più vivo. Ammalatosi ad Ancona, mostrò di fronte alla morte tanta serenità di spirito che mentre stava per ricevere l'Estrema frizione disputò col Vescovo di Ferrara, ch'era dottissimo teologo, se fosse lecito ricevere quel Sacramento due volte, avendolo già avuto quando s'era ammalato di peste durante il Concilio di Basilea : poi ordinò che gli si desse di nuovo. Prima di morire biasimò i medici che, in caso di pericolo nulla sanno fare e disse esser triste destino dei principi di avere sempre attorno persone consenzienti, persino i medici in punto di morte. Moribondo si fece portare a una finestra per veder giungere le navi di Venezia, e come le vide esclamò: Fino ad oggi mi mancavano le navi ; ora mi manca la vita ! Nel momento della sua morte fu veduta da un Santo monaco di Camaldoli in Toscana = lontano da Ancona 4 giornate — la sua anima portata in cielo dagli Angeli. L'elogio funebre di Pid Il fu detto dal Doge di Venezia, Cristoforo Moro, ch'era venuto ad Ancona con le 12 galere dei Veneziani. Di Pio II è rimasto famoso il detto rivolto ai numerosi senesi venuti a Roma, appena fu eletto. Poichè tutti gli si dichiaravano parenti, il Papa disse: Quand'era Enea, nessun mi conoscea. Ed ora che son Pio, tutti mi chiaman zio. Ed anche: quand'era Enea, nessuno mi volea : ora che son Pio, non voglio io.

PAOLO II - PONT. CCXIII VENETO (BARBO) (1464 - 1471) « DE CERVO ET LEONE Federico III Imp. (Sec. XV).

Di nobile famiglia veneziana Pietro Barbo era nato nel 1418 da Nicolò e da Polissena Condulmer. Fatti i primi studi a Venezia, dallo zio Eugenio IV era chiamato a Roma e a 22 anni fu fatto Cardinale, prima di Santa Maria Nova, poi di S. Marco, e Patriarca di Venezia. Alla morte di Pio II era eletto, salendo al soglio Pontificio col nome di Pio II in età di 46 anni. Fu coronato davanti a S. Pietro. Cercò invano di riattivare la crociata, ma presto si convinse che i suoi sforzi erano inutili. Combattè le varie eresie in Francia, in Boemia, in Germania. Combattè l'Accademia di Pomponio Leto perchè imbevuta di paganesimo al punto che alcuni di essa rinunciavano al nome di battesimo, per assumere quello di qualche personaggio antico. Scoperta poi una congiura ne fece arrestare alcuni capi. Accusato d'essere nemico delle scienze e delle lettere, curò invece la conservazione dei monumenti e favorì l'introduzione della stampa a Roma. Si occupò dell'Università di Roma e fece opere importanti in S. Pietro, in altre chiese di Roma e nel Vaticano. Suo vanto fu il palazzo di Venezia da lui cominciato a fabbricare collezioni di gemme e da Cardinale. Aveva raccolto preziose collezioni di medaglie antiche. Accolse splendidamente in Roma nel 1468 Federico 111, e nel 1471 Borso d'Este-. Curante del bene del popolo rivide gli Statuti municipali di Roma e provvide a sovvenire col lavoro i disoccupati organizzando anche la carità pubblica. Morì il 26 luglio, dopo aver governato la Chiesa 6 anni,10 mesi e 26 giorni. Fu sepolto in S. Pietro. I frammenti che restano del suo monumento funebre sono nel Museo Petriano. Era nepote, per parte di madre, di Eugenio IV. Essendo stato Patriarca di Venezia era detto il Cardinale di Venezia. Si dice che appena eletto, volesse assumere il nome di Formoso, ma essendogli stato fatto osservare che tal nome in lui, di belle forme e di viso grazioso, poteva sembrare vanità, assunse quello di Paolo II. C'è chi ha voluto dimostrare che la famiglia di Paolo II proviene niente di meno che da quella romana degli Enobarbi, e perciò da Nerone! Questa famiglia fu in una colonia trapiantata in Parma, donde poi, tra le lotte delle fazioni cacciata, passò a Venezia. I suoi membri cominciarono ad essere annoverati tra i senatori ed a servire la repubblica nei magistrati della Toga e della Spada, sicchè l'imperatore di Costantinopoli, per le loro prodezze, diè loro per arma un leone in piedi con una sbarra d'oro attraverso. Il Canesio, suo contemporaneo lo descrive : « Di statura grandissimo, quasi due palmi sopra l'ordinario ». Il Filelfo lo dice: « Statura quadam eroica » di figura elegantissimo ed avvenente, di color bianco, fronte spaziosa, ciglia arcatee, occhi biondi, naso un poco adunco, cervice grossa, caplli rari e neri, corporatura pingue e tutto proporzionato. Era naturalmente portato al fasto. Aveva fatto fare un triregno preziosissimo, vero monte di gioielli. Per questo triregno fece ricercare le gemme più belle in tutto il mondo. Il Cardinale Egidio di Viterbo dice che quando si presentava con questo triregno feriva gli occhi di ognuno con i raggi e i bagliori. Si dice che costasse 300 mila scudi. questo il famoso triregno impegnato poi da Giulio 11 presso il banchiere Agostino Chigi per 40 mila scudi : somma rilevantissima per allora. Ma poichè tale triregno era pel suo peso difficile a portarsi, ne fece Paolo II fare un altro più leggero, del costo dí 180 mila scudi. Collezionista appassionato di gemme e di medaglie, offerse alla città di Tolosa la costruzione di un ponte in cambio di un cammeo che desiderava possedere. Quando morì furono trovate nel suo palazzo di S. Marco tante perle per il valore di 300 mila ducati e tantè da riempire 54 bacili d'argento: poi per un eguale valore delle pietre preziose e dell'oro: infine una grande quantità di cammei, medaglie, vasi, finissimi lavori di oreficeria, oltrepassanti i 500 mila ducati. Si dice che fosse facile al pianto e che procurasse di ottenere con le lacrime ciò che non riusciva con la ragione, onde Pio II, scherzando, lo chiamava: La Maria Pietosa. Un Papa — diceva Paolo II — deve essere un angelo quando fa i Vescovi e quasi un Dio quando fa i. cardinali. Ma nelle altre azioni della vita si deve perdonargli di essere uomo. Contrario alla pena di morte non permise per tutto il suo 'ontificato che fosse applicata. Proibì rigorosamente che i suoi Legati, goVernatori o giudici delle provincie potessero ricevere qualsivoglia donativo che non fosse da mangiare o da bere in tal quantità da consumarsi in due. giorni, ciò perchè sciolti da questi legami di obbligazioni potessero meglio rappresentarlo e amministrare la provincia e la giustizia. Rifiutando gli ambasciatori del re di Napoli di dare una somma per la lotta contro i Turchi e minacciando ancora che il re offeso, si sarebbe unito ai Turchi, rispose il Papa « Andate e riferite al re ciò che abbiamo detto : e se egli si risolverà ad unirsi al Turco noi già abbiamo provveduto come cacciare dal regno il re e dagli stati cattolici il Turco ». Essendo invalso l'abuso negli arcivescovi di Benevento di ornarsi il capo nelle funzioni solenni di mitra ici a , forma di tiara, ornata di tre corone, come quella dei Pontef Paolo II mendo l'orgoglio di quei prelati. severamente lo proibì, repri giocando a palla aolo » e aveva detto: « Così potessi mandar per aria Papa P pensandosi che ordinasse di arrestarlo, accolse invece la cosa con una grande risata. Fu mite e generoso : se si scorrono i libri dei conti del suo governo, si trova, quasi ad ogni pagina, la prova documentata del suo cuore caritatevole, veramente grandioso. Aveva, per Roma, sopratutto a cuore ce « il abondantia et a formento e le altreminore cose necessarie al vitto si vendessehro in pretio che prima ». Tanta era l'abbondanza dell'annona al suo tempoavorare a Roma che — si legge — i contadini disdegnavano di l campi. Non dava udienza e non lavorava che nelle ore notturne. Per la sua abitudine di riposare il giorno e vegliare la notte, Filippo Bonaccorsi gli aveva affibbiato il soprannome di « lucciola ». Gli piaceva p che i Cardinali erano tutti a pranzo nel palazzo del Cardinale di S. Eusebio, egli zitto e cheto vi si portò all'improvviso giulivo e faceto come gli altri prendendo l'ultimo luogo della tavola e comandando che nessuno più si movesse dal suo posto. Il suo storico dice che era un g rande mangiatore di mac cheroni: « macharones, vulgo ita appellatos, omni tempore non tamen ad saturitatem comedit ». Per riprendere il suo lusso e la poca scienza di che era accusato, girava per Roma, allorchè fece il triregno prezioso, questa satira : Di Paolo il capo è vuoto: è giusto che sia quindi di gemme e d'oro onusto. Assisteva dalle finestre del suo palazzo di Venezia alle feste del Carnevale e « supremo gusto e piacere di queste feste prendea ». Aumentò le prerogative dei Cardinali e fece dare cento scudi d'oro al mese a quelli che non avevano una rendita ecclesiastica di 4 mila scudi annui. E questo fu detto: Il piatto del Cardinale povero. Prese misure d'igiene pubblica ordinando, con la minaccia di pene severe, di nettare le vie, di riattare le fogne e rimettere gli acquedotti. Stabilì il Giubileo ogni 25 anni. Fece trasportare la grande urna di porfido --- ora nel Museo Vaticano — da Santa Costanza, nella quale aveva divisato di essere sepolto. Beveva molto, ma vino assai leggero e con acqua. Si dilettava di mangiare meloni, granchi, pasticci, pesce e carne salata. Morì di apoplessia durante la notte e il Filippo dice che ne furono causa i meloni che mangiò e i pesci piccoli del Tevere che gli produssero indigestione, e anche perchè aveva mangiato la sera in giardino a capo scoperto. Alla indigestione di meloni il Platina malignamente associa il peso esorbitante della maestosa tiara, quale coefficente della morte del Papa « Il quale tanto si dilettò di questi ornamenti femminili che, avendo con gran prezzo comperato gemme in ogni luogo et spogliato quasi lo erario della Chiesa Romana, ogni volta che andava in pubblico pareva una certa Cibele Frigia et turrita non mitrata » dal che l'inviperito bibliotecario riteneva: « essere nata quella apoplessia dalla quale oppresso subito morì, parte dal sudore del corpo che era grasso et parte dal peso delle gemme ». Il Valesio assegna altre cause alla morte improvvisa di Paolo II, tra le quali sembra più probabile « la copia di catarro che l'oppresse, cresciuto coll'aver mangiato in giardino a capo scoperto e dai cibi allora presi a ciò più confacenti come frutti, pesci, cacio del che l'aveva avvisato di astenersi Valerio di Viterbo, medico insigne, come contrari alla sua pinguedine senza moto nè esercizio e però più soggetto ad una micidiale affluenza di catarro ». Altri Pontefici che, come Paolo II morirono di apoplessia, sono secondo L. Gualino « Storia medica dei R. Pontefici »: Innocenzo III, Martino IV, Silvestro II, Eugenio IV, Bonifacio VIII, Nicolò III, Sisto IV, Innocenzo VIII, Stefano II, Innocenzo VII, Martino V, Marcello II e Paolo V. Il cronista Nicola della•Tuccia dice di lui : « Papa Paolo fu un uomo giusto, santo e pacifico. Per le sue terre gli uomini vivevano sotto buon governo ». Faceva venire da Venezia specialità di medicinali e ne teneva in quantità per farne poi distribuire agli infermi poveri.

SISTO IV - PONT. CCXIV DI SAVONA (DELLA ROVERE) (1471 - 1484) « PISCATOR MINORIT A » Federico III Imp. (Sec. XV).

FRANCESCO della Rovere era nato ad Albissola presso Savona e giovanissimo era entrato nell'Ordine dei Minori. Presto divenne famoso maestra di teologia e di filosofia, insegnando nelle Università di Padova, di Bologna, di Pavia, di Siena e di Firenze. Dopo esser stato Provinciale del suo Ordine in Liguria ne divenne generale nel 1464: nel 1467 da Paolo II era creato Cardinale di San Pietro in Vincoli. Nel Conclave che seguiva la morte di Paolo II, era assunto al Soglio Pontificio e prendeva il nome di Sisto IV. Sua prima cura fu di mandare alcuni Cardinali suoi Legati, perchè fosse ripresa la crociata e, preparata una flotta con Napoli e Venezia, egli stesso la benediceva. Mentre il Papa si occupava della politica italiana, a Milano nella Chiesa di Santo Stefano era assassinato Galeazzo Sforza ; e a Firenze, per la congiura de' Pazzi, cadeva morto Giuliano De Medici, a stento sfuggendo Lorenzo. Avendo i fiorentini messo a morte l'arcivescovo Salviati e imprigionato il Cardinale Raffaele Sansoni Riario, il Papa scomunicava Lorenzo e la Signoria e colpiva di interdetto Firenze. In seguito ad una ambasciata inviata dai Fiorentini il Papa firmava la pace e assolveva Firenze dalle censure ecclesiastiche. Otranto ch'era caduta in mano ai Turchi, poteva, dopo pochi mesi dalla morte di Maometto II, essere ricuperata. Presso Viterbo le milizie Pontificie comandate da Roberto Malatesta sconfiggevano l'esercito Napoletano comandato dal Duca di Calabria. Roma era in continua convulsione per le lotte tra i Colona e gli Orsini. La figura di Sisto IV grandeggia nella storia delle arti e delle scienze. Può esser detto il secondo fondatore della Biblioteca Vaticana. A lui si devono quella meraviglia che è la Cappella Sistina, Ponte Sisto e la ricostruzione dell'Ospedale di Santo Spirito. Moriva il 13 agosto 1484, avendo pontificato 13 anni e 4 giorni. Sepolto in S. Pietro : il monumento di bronzo del Pollaiuolo ch'era sulla sua tomba fu portato al Museo Petriano. Mentre la tradizione indica Sisto IV come nato di umile condizione, figlio di un pescatore di Albissoia, v'ha chi lo dice nato di famiglia nobile e vuole che non Albissola, ma la Villa Pecorile, presso Celle — in diocesi di Savona — sia stato il luogo della sua nascita. Anche l'annalista Minorita Luca Waldig conferma che non fu di nobile famiglia dicendo di lui : « Non aurum, non nobilitas sed vivida virtus Xiste, tibi imperium pontificale dedit ».

Quando era ancora Cardinale la sua vita era così regolare ed edificante -- leggesi nel Muratori -- che il suo palazzo meglio somigliava ad un monastero che alla -casa di un principe della Chiesa. Il carattere virtuoso e religioso di Sisto IV è subito rilevato appena eletto al soglio pontificio da Nicodemo da Volterra che annunziando la nomina del Papa a Galeazzo Maria Sforza dice che : « Essendo stato conosciuto religioso et santissimo homo etiam in minori gradu, è anche opinione di ognuno che debbia essere ». La figura religiosa e morale di Sisto IV, è stato ignobilmente falsata nel dramma sedicente storico di « Caterina Sforza » di Sem Benelli. Quando fu incoronato volle su la testa la tiara che si diceva portata da S. Gregorio Magno. Piccolo, grasso, dai lineamenti comuni, dal grande naso aquilino, camminava con difficoltà impigliandosi continuamente nella sottana di seta. Mantenne per la sua persona la semplicità francescana anche sul trono Pontificio : sobrio nel bere e nel mangiare voleva, tuttavia, che ogni giorno alla sua tavola assistesse il suo medico Cristoforo Piacentini da Verona. Vedendo il poco vantaggio dell'Agro Romano derivare dalla negletta coltivazione, lasciò facoltà a chiunque di seminare nella terza parte delle tenute dell'Agro stesso, anche contro la volontà dei padroni che dovevano essere compensati giusta la stima fattane dai periti. Celebrandosi una volta nella Basilica di S. Pietro la festa del Corpus Domini, le cortigiane più in voga vi si erano recate coperte di gioielli e di splendide vesti. Il Papa si accorse dello scandalo e ordinò che tutte quelle donne fossero spogliate dei loro ornamenti e fossero confiscati a favore del tesoro Poritificio. Soleva dire che pel Papa per far denari bastava soltanto prender la penna in mano. Dopo di lui, infatti, Sisto V spese più di 30 milioni di lire in opere pubbliche e somme lasciò nel famoso tesoro di Castel S. Angelo — nelle casse che oggi si possono ammirare vuote — per 5 milioni di scudi e una quantità d'oro e d'argento. La maggior parte delle ricchezze accumulate dai Papi non sono più commerciabili e sono là fra S. Pietro e il Vaticano e nelle Chiese e Basiliche di Roma, alla ammirazione del mondo. E quelli che le hanno fornite si chiamano Raffaello, Michelangelo, Bramante, Cellini... Nel pontificato di Sisto IV per la prima volta si legge che Castel S. Angelo abbia « cominciato a dichiarare qualche straordinaria allegrezza ». Fece in Roma abbattere per tutto mignani e porticali, allargando così le vie della città e impedendo barricate, secondo il consiglio che gli era stato dato dal re Ferrante di Sicilia. Essendo nel 1476 per una inondazione del Tevere scoppiata una grande pestilenza ordinò pubbliche preghiere, ritirandosi con la corte e sei cardinali prima a Viterbo, poi a Campagnano, ad Amelia ed in altri luoghi. Era molto generoso e dava tanto generosamente come, si diceva, se tutti gli fossero nepoti. Era « in dando hitarior » e gettava il denaro « come da ragazzo aveva lanciato sassi sulla spiaggia di Savona ». E di questa generosità diede prova quando nel 1481, incoraggiò una spedizione contro Maometto II e per concorrervi generosamente più di quanto sul momento non potesse, vendette le sue argenterie. Siccome a quelli che chiedevano diceva sempre di sì, avvenne che parecchie volte concedesse la stessa cosa a più persone. Nel suo Pontificato ebbe origine la Guardia Svizzera che tutt'ora presta servizio al Papa. Proibì che le strade si lastricassero di selci, perchè era idea che le pietre portassero umidità, e ordinò che si selciassero di mattoni. Questa idea è ripresa e confermata più te tardi da Pio IV nel 1565 che con una Bolla espressamente vietava che le strade si lastricassero di selci, e ordinava che solamente fossero lastricate di mattoni. Con pena di scomunica proibì che si togliessero i marmi di qualunque sorta dalle chiese. Fu Sisto ripreso di troppa arrendevolezza verso i parenti, cinque dei quali fece Cardinali : e da lui aumentò quella piaga che fu il nepotismo. Era devotissimo della Vergine e di S. Francesco d'Assisi del quale era figlio. Anche non tralasciava mai di celebrare la messa. Per quanto lo tormentassero i dolori della gotta, pure non si lasciò distorre dal celebrare la Messa solenne di Pasqua, stando seduto. « Con una perseveranza che commuove questo vecchio infermiccio va tuttavia pellegrinando alla chiesa di S. Maria del Popolo e della Pace che aveva costruito ad onore della S. Vergine ». Sotto il famoso affresco del Melozzo in Vaticano son dette le benemerenze di Sisto verso la Biblioteca Vaticana della quale può essere chiamato con Nicolò V, il fondatore. Non solamente le volle dar degna sede, ma l'arricchì di libri, :ome ricorda l'Ariosto : Dei libri antiqui anco mi puoi proporre Il numer grande che per pubblico uso Sisto da tutto il mondo fe' raccorre. (Satire, VI).

Il nome di Sisto IV è legato a Roma come quello di Cosimo a Firenze. Tra le opere che ne tramanderanno il nome è prima di tutte la Cappella Sistina, unica al mondo, per la quale lavorarono i migliori artisti del suo tempo. Per lui nel 1471 si coniarono monete col motto: « Urbe estituta ». E i poeti cantarono che Roma per dono di Sisto poteva dirsi Sistina e che meno è fondare una città che farla ammirabile d'opere e di monumenti. In un epigramma il Campano, rivolgendosi al Cardinale Riario, nepote e collaboratore del Papa dice : La Roma di Augusto fu per secoli di mattoni, ora i tempi di Sisto, la fanno marmorea. Coctilis Augusto fuit per saecula Roma Nunc Xisti faciunt, tempora marmoream.

Morì, pare, di apoplessia, e abbandonato dai famigliari che durante l'agonia non ebbero altro pensiero che d'impadronirsi degli oggetti preziosi esistenti nel palazzo. Fu sepolto con l'abito di S. Francesco come scrive il Burcardo, maestro delle cerimonie pontificie, e in questo, dice, di avere errato permettendolo poichè il Pontefice si deve seppellire vestito degli abiti pontificali rossi, con mitra, anello, pallio ed altri ornamenti soliti a praticarsi da questi nelle solennità. Provvide con ogni generosità e cura a togliere la piaga della mendicità, fondando l'Ospedale dei poveri mendicanti, e Ospizi nei quali ricevevano cibo. Un distico celebrò queste provvidenze, dicendo : « Quaeris, cur toto non sit mendicus in Urbe? Tecta parat Xistus, suppeditatque cibos ».

INNOCENZO VIII - PONT. CCXV GENOVESE (CYBO) (1484 - 1492) PRAECURSOR SICILIAE Federico III Imp. (Sec. XV).

GIOVANNI Battista Cybo di nobile famiglia genovese aveva studiato all'Università di Padova. Prima di entrare negli Ordini Sacri, aveva avuto due figli illegittimi; Franceschetto e Teodorina. Nominato nel 1467 Vescovo di Savona, poi di Molfetta nel 1473, Sisto IV lo elevava alla porpora col titolo di Santa Balbina. Legato, nella assenza di Sisto IV da Roma, poi Governatore di Siena, alla morte del Papa gli succedeva nel Pontificato. Amante della pace conciliò per un poco i Colonna e gli Orsini, ma avendo preso la parte dei baroni napoletani contro il re Ferdinando, il figlio di costui, Alfonso di Calabria entrò nelle terre Pontificie. Costretto alla pace questa era sottoscritta in Vaticano il 10 agosto 1486, mentre cercava di unire l'Europa contro il Turco. Gli veniva consegnato il principe Diem fratello del Sultano, che rifugiatosi a Rodi, era stato preso dal Gran Maestro dei Cavalieri di Rodi. Infervorato nell'idea della Crociata il Papa invitava a questo scopo a Roma i rappresentanti delle potenze, ma per quanto si decidesse di formare tre eserciti non si venne ad alcun risultato pratico. Roma era in piena anarchia nel reggimento temporale e piena di scandali e di brutture: e il Papa cercò di por fine alle violenze e richiamare la disciplina. Nel maggio del 1492 riceveva in donò dal Sultano Bajazet la Sacra Lancia che deponeva in S. Pietro. Si occupò dell'abbellimento di Roma e restaurò parecchie chiese. In fondo al Vaticano faceva erigere il Belvedere e alla Manziana umores di caccia per il Papa. Protesse le arti e le scienze el 25 luglio 1492 avendo Pontificato 7 anni, 10 mesi e 26 giorni. Fu tale la calca accorsa alla incoronazione di Innocenzo che non si potè spargere il solito denaro. Due volte corse pericolo nella presa di possesso perchè a S. Clemente, appena disceso da cavallo, avvenne una mischia per impadronirsi del cavallo e poi disceso dalla sedia gestatoria questa venne contesa e spezzata dai soldati. Due grandi avvenimenti caratterizzano il Pontificato di Innocenzo: la scoperta dell'America e la caduta di Granata. Definitiva della potenza dei Mori nella Spagna con la presa Fu un giorno presentato a Papa Innocenzo un libro sugli « Abusi del Clero ». Il Papa dopo averlo letto disse: Questo libro dice cose vere : bisogna riformare noi stessi per far bugiardo l'autore. Fece dipingere dal Mantegna il Belvedere, ma « non li dando il Papa per essere intricato nella guerra... quello e quanto haveria desiderato, entrando un giorno in quelle stanze, aveva fatto il Mantegna un modello di figura, il quale teneva coperto e dimandandogli il Papa che figura fosse quella, egli ben presto discoprendola, disse : Padre Santo, questa è la discrezione. Al che ridendo il Papa gli rispose: Fategli appresso un'altra figura che significhi la pazienza ». E poi lo regalò e colmò di denari. Roma era in preda all'anarchia. L'Infessura dice che va i era « piena di banditi et malfattori : ogni dì l'aurora scopri delitti commessi la notte : la luce rivelava i cadaveri della gente che giaceva pugnalata per le vie. « A pochi passi fuor dalle porte della città, si svaligiavano i pellegrini e fino gli ambasciatori ». Quando gli fu consegnato il Principe Diem il Papa lo ricevette in pieno Concistoro. Diem vi fu fatto entrare con tutte le solennità che si usavano per i principi cristiani, ma nel vedere il Papa e i Cardinali non dimenticò di essere confessore del profeta e figlio di Maometto. Sdegnò gli ammonimenti del maestro delle cerimonie che lo invitava a genuflettersi davanti al Papa : tenendo il turbante in testa s'avanzò sino a Innocenzo e gli sfiorò con un bacio la spalla destra. Il suo interprete pronunciò qualche parola di saluto, indi si degnò di abbracciare i Cardinali. Il Mantegna descrivendo questo principe dice che « aveva il passo come quello di un elefante, e il movimento grazioso, pari a un barile veneziano ». Per difendere il dominio della Chiesa, non essendo sufficiente l'Erario Pontificio impegnò a diversi mercanti di Roma il triregno e molti vasi d'oro e d'argento per 100.000 ducati d'oro. Fu molto severo contro le male femmine che erano numerosissime a Roma — l'Infessura dice che raggiungessero il numero di 6.000 — e prese gravi misure contro di esse. Generoso con tutti, era larghissimo coi poveri e tanto affabile nel tratto che, o concedesse, o negasse, niuno da lui si partiva malcontento. Amantissimo della pace: onde di lui così cantò Giano Vitali: « Non minus Innocens fuit hic, quam nomine factis. Virtus cuius erat maxima Pacis amor ». Non era ben visto dal popolo onde un giorno Pasquino gli disse: « Il nome di Innocenzo che prendesti. — Non ti si affà per niente — È meglio che pei posteri tu resti — Col nome di Nocente... ». Nell'anno in cui Innocenzo moriva (1492), Cristoforo Colombo scopriva l'America. Due anni prima della morte il Papa si ammalò e credendosi a una fine prossima i Cardinali vigilavano il Papa infermo e compilarono un inventario degli scrigni. Quando il Papa venne risanando e seppe la cosa grandemente se ne sdegnò e « Ancora spero, esclamò, di sopravvivere a questi signori Cardinali e di metterli tutti in sepoltura ». Era affetto da grave cachessia per carcinoma gastrico e negli ultimi mesi non poteva nutrirsi che di latte. Si afferma che si tentasse sopra di lui il primo esperimento, che si ricordi, della trasfusione del sangue, ma invano. Morì domandando perdono ai Cardinali delle sue debolezze. La sua statua nel monumento del Pollaiuolo essendo imberbe e levigata fu definita scioccamente dal popolo per la Papessa Giovanna. Il figlio Franceschetto, che aveva avuto da laico, fu sepolto sotto la tomba del padre. Alerano Cybo i o, principe con di Massa, nella lapide che vi fece porre nel 1573 lncava una circonlocuzione: nepos del padre di Innocenzo VIII. Chiamando Franceschetto nepote di Alerano che fu padre di lnnocenzo VIII si evita con una sottigliezza di dovergli dare il falso appellativo di nepote del Papa, o di chiamarlo addirittura figlio.

ALESSANDRO VI - PONT. CCXVI DI VALENZA (LANZOL - BORGIA) (1492 - 1503) BOS ALBANUS IN PORTU Federico III Imp. — Massimiliano I Re dei Romani (Sec. XV - XVI).

Alessandro VI, nato Roderic Llançol de Borja, italianizzato Rodrigo Borgia (Xàtiva, 1º gennaio 1431 – Roma, 18 agosto 1503), fu il 214º papa della Chiesa cattolica dal 1492 alla morte. Alessandro VI papa (da Pinturicchio). Rodrigo, trasferitosi dalla nativa Gandia (in provincia di Valencia - Spagna) in Italia ancora giovanissimo, fu allievo di Gaspare da Verona e studiò poi giurisprudenza a Bologna[1]. Nipote di Papa Callisto III (al secolo Alonso de Borja), fratello della madre Isabella, fu da questi elevato alla porpora a soli 25 anni e volle italianizzare il suo nome in Borgia, così come aveva fatto in precedenza lo zio Papa. Successivamente ricoprì anche l'incarico di Vicecancelliere della Chiesa romana. Rodrigo Borgia era un uomo dissoluto e un libertino impenitente e come tale si comportò per tutta la vita: da laico, da cardinale e da papa, dopo un iniziale ravvedimento, ancora di più, senza minimamente preoccuparsi di celare agli altri questa sua scandalosa condotta di vita. Il suo percorso terreno fu disseminato di numerosi figli, ovviamente tutti illegittimi. Da una relazione con Giovanna Cattanei, detta Vannozza, nacquero quattro figli ed altri tre nacquero da una donna sconosciuta. Nel corso del suo pontificato gli nacquero altri due figli; la sua amante ufficiale fu Giulia Farnese, moglie di Orsino Orsini, amante segreta di lui dai tempi in cui era cardinale e con la quale continuò ad avere relazioni intime dopo l'elezione al soglio Pontificio. Questa notizia divenne più o meno di pubblico dominio, era così risaputa che chi voleva favori da Papa Alessandro VI si rivolgeva a lei[2]. Ebbe forse, ma questa paternità è incerta, una figlia da Giulia Farnese: Inoltre ebbe altri tre figli da madre ignota: Dei sette figli certi avuti nel corso degli anni, due in particolare conquistarono il suo cuore e le sue attenzioni, e su di essi riversò per tutta la vita un grande affetto, oltre che un fiume di ricchezze: Cesare e Lucrezia. Il 25 luglio 1492 moriva papa Innocenzo VIII, uomo mondano (padre di numerosi figli, dei quali era orgoglioso) e venale che aveva praticato il nepotismo e la simonia, mal amministrando le già dissestate finanze della Chiesa.[4] Tre mesi prima era scomparso anche Lorenzo il Magnifico, privando così l'Italia di un'importante personalità politica continentale e di un fondamentale punto di riferimento dell'equilibrio fra gli Stati italiani all'indomani della pace di Lodi. Il contesto storico è completato dalla Reconquista della penisola iberica per mano dei sovrani Ferdinando II d'Aragona e Isabella di Castiglia, mentre la scoperta dell'America (12 ottobre) sarebbe avvenuta solo tre mesi dopo l'elezione di Alessandro VI, anche se è singolare e per certi versi criptico che sulla tomba del suo predecessore vi sia un epitaffio che ricorda che la scoperta del nuovo mondo sia avvenuta sotto il pontificato di Innocenzo VIII.[5] I tempi non erano ancora maturi però, per aspettarsi un pontificato molto diverso dal precedente. L'inizio del suo pontificato fu a dire il vero promettente, riportò ordine a Roma e cercò di unificare le forze cristiane contro il pericolo turco, ma ben presto si macchiò anche lui di nepotismo. Nel 1492 alla morte di papa Innocenzo VIII furono 23 i cardinali che il 6 agosto 1492 si riunirono in conclave nella Cappella fatta costruire da papa Sisto IV pochi anni prima e che già mostrava i capolavori pittorici di Botticelli, Perugino e del Ghirlandaio. Nella notte tra il 10 agosto e l'11 agosto, il Sacro Collegio volle elevare al Soglio pontificio il cardinal Rodrigo Borja y Borja, valenzano. Fu incoronato in San Pietro il 26 agosto successivo con il nome di Alessandro VI. Aveva 61 anni. Se l'elezione del Cybo, suo predecessore, fu certamente macchiata da trattative simoniache gestite dal cardinal Giuliano Della Rovere e dallo stesso cardinal Borgia, altrettanto lo fu l'elezione del Borgia, tant'è che, non appena eletto, questi si affrettò a provvedere immediatamente a onorare gli impegni contratti nel corso del Conclave. Il suo principale sostenitore, il cardinale Ascanio Sforza, fu gratificato con la nomina di Vicecancelliere e con la cessione del palazzo padronale della famiglia Borgia. Ai Colonna furono ceduti la città di Subiaco e i vicini castelli. Il cardinale Orsini ottenne i possedimenti di Soriano nel Cimino e Ponticelli, mentre al cardinale Savelli fu ceduta Civita Castellana. Agli inizi del suo pontificato il Borgia attuò importanti mutamenti nella disordinata Roma del tempo. Ristabilì, infatti, l'ordine nella città eterna, caduta nel caos più totale nel corso della sede vacante e adottò importanti provvedimenti di politica economica per il risanamento della finanza pubblica. Sembrava quindi avviato a un pontificato decisamente dignitoso e forse anche animato da una ravvivata spiritualità, tramite un promettente abbandono di quella condotta libertina che ne aveva caratterizzato l'esistenza fino a quel momento. Presto, però, sarebbe ricaduto nei vizi di un tempo. Il primo atto politico che Alessandro VI dovette affrontare, fu un confronto con Carlo VIII di Valois, Re di Francia, nel 1493, allorquando questi, mediante una serie di trattati stipulati con Enrico VII d'Inghilterra, Ferdinando e Isabella di Spagna e Massimiliano I d'Asburgo, si era assicurato un solido appoggio per la riconquista del Regno di Napoli, quale eredità angioina ma che era nelle mani degli aragonesi. Le mire di Carlo VIII sul Regno di Napoli non erano condivise da papa Alessandro, soprattutto perché anche Ludovico il Moro, Duca di Milano si era alleato con il re francese dimostrando oltre a scarsa lungimiranza politica una forte stupidità. Ciò stava a significare che se la riconquista di Napoli da parte di Carlo VIII fosse andata a buon fine, lo Stato Pontificio si sarebbe trovato nella morsa dei francesi e ne avrebbe dovuto subire inevitabilmente il predominio. Al fine di scongiurare questa infausta eventualità, papa Alessandro si affrettò a concludere con gli aragonesi di Napoli un'alleanza sancita anche dal matrimonio di suo figlio Jofré con Sancha, figlia di Alfonso II di Napoli e, successivamente, procedette all'incoronazione di Alfonso II d'Aragona a Re di Napoli. Carlo VIII, giudicando un affronto queste iniziative del Papa, scese in Italia alla testa del suo esercito. Re Alfonso, intravvedendo una situazione di pericolo per la sua persona, cedette la corona di Napoli al figlio Ferdinando II e riparò in Sicilia. Lo stesso Papa si trovò in enorme difficoltà all'interno del suo Stato a causa della ribellione scatenata dai Colonna e da numerose famiglie nobili romane, cui non sembrava estranea la mano del cardinal Della Rovere. Quando il 31 dicembre 1494 Carlo VIII entrò in Roma, non trovò alcuna resistenza, e il Papa era asserragliato in Castel Sant'Angelo. Avendo compreso che la posizione del Valois era vincente, Alessandro VI decise di scendere a patti con il sovrano francese, offrendo libero passaggio all'esercito francese sul suolo pontificio e mettendo a disposizione anche il figlio Cesare come guida fino ai confini con il Regno di Napoli, in cambio del giuramento di obbedienza del Re verso il Papa Quando il 31 dicembre 1494 Carlo VIII entrò in Roma, non trovò alcuna resistenza, e il Papa era asserragliato in Castel Sant'Angelo. Avendo compreso che la posizione del Valois era vincente, Alessandro VI decise di scendere a patti con il sovrano francese, offrendo libero passaggio all'esercito francese sul suolo pontificio e mettendo a disposizione anche il figlio Cesare come guida fino ai confini con il Regno di Napoli, in cambio del giuramento di obbedienza del Re verso il Papa. La qual cosa avvenne in un pubblico concistoro. Dopo di che il Re francese entrava a Napoli, senza colpo ferire. Era il 22 febbraio del 1495. Ma la facilità con cui Carlo VIII era riuscito a conquistare Napoli cominciò a spaventare tutti gli altri regnanti d'Europa, i quali formarono una nuova coalizione antifrancese, la Lega Santa, comprendente il Papa, la Spagna, Massimiliano d'Asburgo, la stessa Milano e Venezia. E quando gli spagnoli sbarcarono in Calabria, Carlo VIII capì subito che il vento cominciava a spirare contro di lui, per cui si affrettò a riprendere la via del ritorno risalendo la penisola. Fu però raggiunto dall'esercito della coalizione al comando di Francesco II Gonzaga, che, in una sanguinosissima battaglia, combattuta a Fornovo, nel parmense, il 6 luglio 1495, ebbe la meglio sull'esercito francese. Carlo VIII, benché sconfitto, riuscì ugualmente ad attraversare le Alpi e riparare in Francia. Ferdinando II d'Aragona poté così ritornare sul trono di Napoli. Il 28 marzo del 1499 Alessandro VI proclamò solennemente il Giubileo del nuovo secolo. Per l'occasione, il Borgia fece ristrutturare e ampliare gli accessi alla basilica di san Pietro: l'antica Via Recta che conduceva i pellegrini dal ponte sant'Angelo alla basilica fu ampliata e denominata via Alessandrina, sicché il Borgo vecchio circostante divenne (mantenendo questo nome fino alla demolizione degli anni '30) Borgo Nuovo. Il cerimoniale redatto in quell'occasione è a grandi linee quello ancora osservato, compresa l'apertura delle 4 porte sante nelle 4 basiliche papali, che fu l'innovazione di quel giubileo[6]. Nel 1498, scomparso senza eredi Carlo VIII, salì sul trono di Francia Luigi XII d'Orleans. Uno dei primi atti del nuovo Re fu quello di scacciare Ludovico il Moro da Milano, ritenendosi l'erede legittimo del Ducato, in forza del ben noto testamento dei Visconti che assegnava agli eredi di Valentina Visconti il Ducato, in caso di estinzione della dinastia. Poiché la dinastia Visconti si era estinta, Luigi XII avanzava pretese di eredità essendo egli discendente diretto di Valentina. Il Papa, però, intravide in questo atto grandi possibilità per il figlio Cesare, per cui si affrettò a concludere un'alleanza con il nuovo sovrano francese. Re Luigi, però, interpretò questa alleanza in una chiave del tutto diversa, cioè intravide un lasciapassare per la Francia verso la riconquista del Regno di Napoli, quale eredità dei suoi antenati angioini. Orbene, per cementare i buoni rapporti ritrovati tra la Francia e il Papa, Luigi XII diede in moglie a Cesare Borgia, la principessa Charlotte d'Albret, sorella del Re di Navarra; gli assegnò anche il Ducato di Valentinois, gradito a Cesare anche perché gli consentiva di recuperare il soprannome di Valentino, con cui era già noto quando era Arcivescovo di Valencia, e gli promise di sostenerlo nella conquista di parte della Romagna, cui il rampante Cesare ambiva. Questa alleanza produsse i suoi effetti pressoché immediatamente. Luigi XII aprì la campagna d'Italia e conquistò subito Milano con l'aiuto anche dei mercenari svizzeri che allora possedevano l'esercito più equipaggiato e meglio organizzato d'Europa. Tant'è che, in cambio dell'aiuto dato ai francesi, soprattutto nella vittoriosa battaglia di Novara del 1500, mediante il trattato di Arona del 1503 ottennero Bellinzona e l'intero Canton Ticino. Papa Borgia fu anche moralmente corresponsabile della morte del frate domenicano Girolamo Savonarola, condannato al rogo per eresia nel 1498 con condanna eseguita nel maggio dello stesso anno in Piazza della Signoria a Firenze. Le sue ceneri vennero poi sparse in Arno assieme ad altri suoi seguaci. Ironia della sorte, Alessandro fu corresponsabile della morte di uno dei pochi uomini che seguisse con interesse e stimasse; infatti la scomunica (falsa) contro il Savonarola non fu mai impartita dal Papa, bensì dal cardinale arcivescovo di Perugia Juan López su istigazione di Cesare Borgia, che assoldò un falsario per creare una finta scomunica e distruggere il frate. Alessandro protestò vivamente contro il cardinale e minacciò Firenze di Interdetto affinché gli fosse consegnato il frate, così che potesse salvarlo e farlo discolpare, ma era talmente succube del figlio Cesare che non agì con tutto il potere che aveva. Alessandro lasciò morire un uomo che riteneva santo, salvo poi lamentarsi col Generale dei Domenicani d'essere stato ingannato, e assolverlo post mortem dicendo nel suo VII concistoro (4 settembre 1498) che lo avrebbe volentieri ascritto all'albo dei santi[7]. Certo è che Savonarola fu vittima delle sue stesse prediche e di circostanze politiche più grandi di un uomo che per "amor di Dio" fu protagonista estremamente discusso e non sempre positivo della vita fiorentina[8]. Negli anni 1500-1503, Cesare Borgia, che ormai veniva da tutti chiamato "il Valentino" in quanto Duca di Valentinois, scatenò le sue soldataglie in Romagna alla conquista di quei territori a cui egli aspirava e in forza della promessa fattagli dal Re di Francia in occasione delle sue nozze con la principessa Carlotta. Se, però, re Luigi gli assicurava l'appoggio politico, il Valentino aveva necessità di reperire molto danaro per sostenere il suo esercito. Gli venne in aiuto il padre mediante un'ennesima operazione di simonia. Papa Alessandro vendette, infatti, ben dodici titoli di cardinale. Il prezzo pagato fu molto alto e sufficiente per dare avvio all'impresa militare del figlio. Con notevole audacia e sfrontatezza il giovane Borgia conquistò, in successione, prima Pesaro, Cesena e Rimini e poi anche Faenza, Urbino e Senigallia. Il 12 gennaio 1500 si arrese Forlì: il capoluogo romagnolo, governato fin dal 1488 da Caterina Sforza, madre di Giovanni dalle Bande Nere capitolò cedendo la Rocca di Ravaldino. Dopo di che, fu investito dal "Papa padre" del titolo di Duca di Romagna. Da quel momento lo Stato della Chiesa perdeva una parte cospicua del suo territorio che passava nelle avide mani della famiglia Borgia. L'obiettivo ultimo dei Borgia era quello di trasformare lo Stato Pontificio in uno stato a guida laica sotto la loro influenza, sottraendolo al potere clericale e dando inizio ad una dinastia; in altri termini i Borgia intendevano secolarizzare lo Stato della Chiesa. Per raggiungere quest'obiettivo era necessario eliminare tutti gli ostacoli rappresentati dalle potenti famiglie che costituivano la nobiltà romana; furono quindi confiscati i possedimenti ai Savelli, ai Caetani e ai Colonna e furono ridistribuiti tra i membri della famiglia Borgia: Giovanni, figlio di appena due anni dello stesso Papa, diventò Duca di Nepi; mentre Roderico, figlio di due anni di Lucrezia, divenne Duca di Sermoneta. Cesare stesso conquistò il Ducato di Urbino. Infine venne attaccata la famiglia Orsini, con l'eliminazione fisica del cardinale Giovan Battista e il bando decretato contro tutti gli altri componenti della famiglia. I Borgia mirarono allora alla conquista della Toscana, per cui fu loro necessario ottenere nuove risorse che furono ricavate da Alessandro VI tramite la vendita di alte cariche curiali e nomine cardinalizie. Queste azioni spregiudicate portarono all'insorgere di un clima di terrore nello Stato Pontificio. Si è sempre discusso molto, e se ne discute ancora, sulle circostanze e sulle modalità della morte di Papa Alessandro VI. Forse fu la malaria a porre fine alla vita del Borgia.[9] C'è, però, un'altra versione che vuole che la morte del Papa sia avvenuta per avvelenamento, ma per errore. Alcune fonti indicano infatti che il cadavere del Papa fosse molto gonfio e la lingua fosse di color violaceo, sintomi di un forte avvelenamento. Si dice che, nel corso di una riunione conviviale presso la dimora del cardinale Adriano Castellesi di Corneto, fosse stato posto del veleno nel vino destinato al Cardinale, ma che per errore il vino fosse stato bevuto dal Papa, e annacquato da Cesare, che pure si ammalò gravemente, ma non morì. Altre cronache dell'epoca riferiscono, però, che al momento della dipartita del Papa anche il cardinal Castellesi e altre persone della servitù fossero stati colpiti dallo stesso male, avvalorando la tesi di un'intossicazione, magari involontaria, dei cibi.[10] Lo studioso John Kelly, per molti anni decano di St Edmund Hall, a Oxford, afferma che ci sono buoni motivi per pensare ad un omicidio avvenuto per errore, essendo probabilmente il veleno destinato ad un altro commensale.[9] La morte di Papa Alessandro produsse il crollo di tutti i piani di conquista del Valentino, che per il venir meno di tutte le fonti di finanziamento non fu più in grado di mantenere il suo esercito. Il figlio prediletto di Papa Borgia si avviava così ad un triste declino. La sua disgrazia definitiva fu segnata dall'ascesa al soglio pontificio di Giulio della Rovere, acerrimo nemico dei Borgia, divenuto papa col nome di Giulio II. Egli privò immediatamente il Duca Valentino del governo della Romagna, quindi ne ordinò l'arresto e la reclusione in Castel Sant'Angelo. A Cesare Borgia fu inutile, una volta evaso, cercare di rifugiarsi a Napoli per organizzare da lì la riconquista dei suoi domini: il Papa lo fece deportare in Spagna, consegnandolo a Ferdinando II d'Aragona, che lo fece rinchiudere prima nel castello di Chinchilla e poi nel forte di La Mota di Medina del Campo. Di lì, il Cesare Borgia riuscì a evadere nel 1506 con una rocambolesca fuga, quindi si rifugiò nel regno di Navarra, presso suo cognato Giovanni III d'Albret, combattendo per il quale morì nel 1507 nel corso dell'assedio di Viana. Al momento della sua morte, aveva circa 32 anni. Il cadavere di Alessandro VI subì vicende travagliate. Fu prima deposto, senza alcuna celebrazione funebre, in San Pietro, quasi furtivamente, a causa dei disordini scoppiati all'indomani della sua morte. Fu successivamente traslato nei sotterranei del Vaticano. Molto tempo dopo la sua mummia fu nuovamente rimossa e sepolta nella chiesa di Santa Maria di Monserrato, la chiesa degli Spagnoli in Roma, dove stette praticamente dimenticata per secoli fino alla sua definitiva sistemazione sul finire del XIX secolo.

Pio III, nato Francesco Todeschini Piccolomini (in latino: Pius III; Sarteano, 29 maggio 1439 – Roma, 18 ottobre 1503), fu il 215º papa della Chiesa cattolica dal 22 settembre al 18 ottobre del 1503.

Francesco Tedeschini-Piccolomini nacque a Sarteano Siena il 29 maggio 1439, figlio quartogenito di Nanni (Giovanni) Tedeschini e di Laudomia Piccolomini, sorella di papa Pio II. Dopo gli studi di legge presso l'Università di Perugia, divenne pronotario apostolico ed all'età di soli 22 anni il 6 febbraio 1460 venne nominato amministratore della neonata sede arcivescovile di Siena dallo zio Pio II, che gli permise anche di fregiarsi del nome e del rango dei Piccolomini (era infatti figlio di Laudomia, una sorella di Pio II). Il 23 aprile 1459 aveva già ottenuto le insegne arcivescovili ma non aveva ricevuto la consacrazione episcopale che gli venne conferita solo con la sua elezione a pontefice molto tempo dopo. Per molti anni fu protettore dei regni d'Inghilterra e Germania. Francesco Piccolomini creato cardinale dallo zio Pio II a Siena, olio su tavola di Francesco di Giorgio Martini, 1460. Creato cardinale diacono nel concistorio celebrato a Siena il 5 marzo 1460, Francesco giunse però in città solo il 21 marzo 1460 ed in quello stesso giorno, nella cattedrale locale, ricevette la berretta cardinalizia. Il 26 marzo 1460 ricevette il titolo diaconale di Sant'Eustachio e venne nominato legato a latere per le Marche, lasciando siena il 30 aprile 1460 e giungendo poi a Pesaro. Dopo una breve permanenza a Roma dal 1º febbraio 1461, tornò nella sua legazione dal giugno successivo e fu ancora a Roma dall'8 novembre 1461. Si recò quindi a Narni coi cardinali Johannes Bessarion e Alessandro Oliva nell'aprile del 1462 per portare a Roma il teschio di Sant'Andrea apostolo. Arcidiacono di Brabante nella cattedrale di Cambrai dal 1462 al 1503, il 9 novembre 1463 si trasferì a Pienza nel palazzo di famiglia a causa della peste che imperversava in tutta Italia. Quando Pio II si recò ad Ancona il 18 giugno 1464, egli nominò il cardinale suo nipote quale suo legato personale a Roma e nello Stato Pontificio per la durata della sua assenza. Prese parte quindi al conclave del 1464 che elesse papa Paolo II. Il 24 dicembre 1468 venne incaricato di ricevere l'imperatore Federico III d'Asburgo alle porte di Roma. Il 15 maggio 1469 diede le dimissioni dalla commenda del monastero cistercense di San Salvatore Montisarmati di Siena e ricevette invece quella del monastero benedettino di Quarto, nella medesima arcidiocesi. Per la sua ampia conoscenza della lingua tedesca, il 18 febbraio 1471 venne nominato legato in Germania, giungendo a Ratisbona il 18 marzo successivo e prendendo parte alla dieta locale raggiungendo pochi successi. Il 27 dicembre di quell'anno fece ritorno a Roma e venne ricevuto nel concistorio pubblico indetto da papa Sisto IV, papa neoeletto al cui conclave egli non aveva potuto partecipare proprio perché impegnato in Germania. Nell'agosto del 1471 il nuovo romano pontefice lo nominò protodiacono. Il 19 marzo 1483 rinunciò alla commenda del monastero benedettino di Santa Maria inter montes di Geneva. Prese parte al conclave del 1484 che elesse papa Innocenzo VIII e come cardinale protodiacono ebbe il compito di annunciare l'elezione del nuovo pontefice e di incoronarlo l'11 settembre di quello stesso anno. Nominato amministratore della sede di Fermo dal 21 febbraio 1485, il 26 maggio 1494 rinunciò a tale incarico in favore di Agostino Piccolomini. Alla morte di quest'ultimo venne rinominato alla sede di Fermo nel 1496 mantenendo l'incarico sino alla sua elevazione al soglio di Pietro. Il 5 novembre 1488 venne nominato legato a latere a Perugia, rinunciandovi l'11 novembre di quello stesso anno: durante questo periodo egli si preoccupò di pacificare la città e regolare i confini tra le città di Foligno e Spello che da anni erano in conflitto per questioni territoriali. Tornò definitivamente a Roma il 15 novembre 1489. Prese parte quindi al conclave del 1492 che elesse papa Alessandro VI e lo incoronò il 20 agosto di quell'anno, sui gradini della basilica di San Pietro. Il nuovo papa lo nominò legato a latere presso re Carlo VIII di Francia dal 1º ottobre 1493; il re giunse in Toscana (precisamente a Lucca) l'8 novembre di quello stesso anno ma il monarca non ricevette il cardinale che preferì invece far ritorno a Roma dal 5 marzo 1495. Il 27 maggio di quello stesso anno si recò ad Orvieto col pontefice lasciando Roma alle truppe francesi. Nominato amministratore delle sedi di Pienza e Montalcino dal 31 ottobre 1495, occupò tale incarico sino al marzo del 1498 e venne quindi succeduto da Girolamo Piccolomini. Nell'agosto del 1497, venne nominato membro di una commissione di sei cardinali incaricati di redigere una bolla di riforme per la chiesa poi sottoscritta dal papa. Il 30 agosto 1497 dimise la commenda del monastero di Santa Maria di Caramagna nell'arcidiocesi di Torino ed il 30 aprile 1498 rinunciò a quella del monastero camaldolese di Rocca, nella diocesi di Arezzo. L'8 febbraio 1501 venne nominato membro di una commissione di tre cardinali incaricati di finanziare una nuova crociata poi mai tenutasi. Prese parte al primo conclave del 1503 ove venne eletto pontefice. Già in precedenza Francesco Piccolomini si era opposto con coraggio alla politica di Alessandro VI e, in mezzo ai torbidi conseguenti alla morte di quest'ultimo, fu infine eletto papa, anche grazie all'interessamento del cardinale della Rovere (che in seguito diventerà papa Giulio II) ricevendo l'incoronazione l'8 ottobre 1503. Accordò successivamente a Cesare Borgia il permesso di rientrare a Roma, ma contemporaneamente mise mano con sollecitudine alla riforma della curia. Tra le prime svolte che egli diede, il 30 settembre 1503 si fece ordinare sacerdote ed il 1º ottobre 1503 venne consacrato vescovo di Roma per mano del cardinale Giuliano della Rovere, vescovo di Ostia e Velletri, decano del Sacro Collegio dei Cardinali, assistito da Adello Piccolomini, vescovo di Soana, e da Francesco Erulli, vescovo di Spoleto. L'8 ottobre 1503 venne incoronato pontefice sugli scalini della basilica di San Pietro in Vaticano dal cardinale Raffaello Sansoni Riario, protodiacono di San Giorgio al Velabro. Durante il suo periodo da pontefice, in memoria dello zio Pio II, fondò la Biblioteca Piccolomini presso la cattedrale di Siena, dando incarico al Pinturicchio di decorarne gli ambienti. Il suo pontificato fu brevissimo: morì il 18 ottobre 1503 presso il palazzo apostolico di Roma, dopo aver celebrato un concistorio nel quale non creò alcun cardinale. Il Piccolomini sopravvisse sul soglio di Pietro solo ventisei giorni, decedendo per un'ulcera alla gamba, o, come sostenuto da alcuni, a causa di un veleno somministratogli su istigazione di Pandolfo Petrucci, governatore di Siena. Il suo successore fu papa Giulio II. Sepolto nella cappella di Sant'Andrea nella basilica di San Pietro in Vaticano, a fianco alla tomba di suo zio Pio II, il suo monumento funebre venne commissionato dai suoi fratelli Giacomo e Andrea. Durante i lavori per la ricostruzione della basilica, il monumento venne trasferito nelle grotte vaticane mentre i resti dei due papi vennero trasferiti nella chiesa di Sant'Andrea della Valle a Roma, presso il palazzo della famiglia; nel 1614 i corpi dei due pontefici vennero posti in un mausoleo eretto dal cardinale Alessandro Damasceni Peretti che per l'occasione compose un epitaffio da apporre sulla tomba. Giuliano nacque ad Albisola[2]. Sotto la speciale custodia dello zio paterno, venne educato tra i Francescani e successivamente andò in convento a La Pérouse, con lo scopo prefissato di approfondire la conoscenza delle scienze. Entrò nell'Ordine dei Frati Minori Conventuali e nel 1471 venne eletto vescovo di Carpentras, in Francia, poco dopo la nomina dello zio a pontefice col nome di Sisto IV. Nello stesso anno venne promosso cardinale, prendendo lo stesso titolo che era stato retto in precedenza dallo zio: cardinale di San Pietro in Vincoli. Con lo zio ottenne grande influenza e, in aggiunta all'arcivescovato di Avignone, resse non meno di altri otto vescovati, tra cui quello di Catania tra il 1473 e il 1474 nella qualità di amministratore apostolico. In qualità di legato pontificio venne inviato nel 1480 in Francia, dove rimase per quattro anni, acquistando presto una grande influenza nel Collegio dei Cardinali, influenza che aumentò, piuttosto che diminuire, durante il pontificato di Innocenzo VIII. Nel 1483 Lucrezia Normanni, moglie del maggiordomo di casa Della Rovere Bernardino De Cupis, gli diede una figlia illegittima, Felice della Rovere.[3] Una rivalità comunque si era sviluppata tra lui e Rodrigo Borgia, e alla morte di Innocenzo VIII, nel 1492, il Borgia, per mezzo di un accordo segreto con Ascanio Sforza, riuscì a venire eletto, spuntandola sul della Rovere con una larga maggioranza, e assumendo il nome di Alessandro VI. Della Rovere si decise a cercare rifugio a Ostia, di lì raggiunse Genova e dopo pochi mesi si spostò a Parigi, dove incitò Carlo VIII ad intraprendere la conquista di Napoli. Accompagnando il giovane Re nella sua campagna (era vescovo di Velletri) entrò a Roma con lui, e si impegnò a istigare la convocazione di un concilio che indagasse la condotta del Papa, in vista di una sua deposizione, ma Alessandro, essendosi fatto amico un ministro di Carlo, Briçonnet, con l'offerta del cardinalato, riuscì a contrastare le macchinazioni del rivale. Alla morte di Alessandro nel 1503, della Rovere appoggiò la candidatura del cardinale Piccolomini di Siena, che venne consacrato con il nome di Pio III, ma che già soffriva per una malattia incurabile, della quale morì dopo ventisei giorni. Il cardinale della Rovere dovette fronteggiare questo inaspettato evento e riuscì, con un'abile azione diplomatica, ad ottenere l'appoggio di Cesare Borgia (che così sperava di creare un debito di gratitudine nell'antico avversario di suo padre), e venne eletto Papa con il voto unanime dei cardinali. Fin dall'inizio del pontificato Giulio II si predispose con un coraggio e una determinazione raramente uguagliate, per disfarsi dei vari poteri che sopraffacevano la sua autorità temporale. Infatti, così come Alessandro VI scelse il proprio nome in omaggio ad Alessandro Magno, Giulio II scelse il proprio in omaggio a Giulio Cesare. Per mezzo di una serie di complicati stratagemmi riuscì innanzitutto a rendere impossibile ai Borgia di restare negli Stati Pontifici. Usò quindi la sua influenza per riconciliare le due potenti famiglie degli Orsini e dei Colonna, e, con decreti fatti nel loro interesse, riuscì a legare a sé il resto della nobiltà romana. Interventi a Bologna, Forlì e Perugia[modifica | modifica sorgente] Ormai sicuro a Roma e nel territorio circostante, Giulio II si mosse per estromettere i Veneziani da Faenza, Rimini, e dalle altre città e fortezze d'Italia che avevano occupato alla morte di Alessandro VI. Trovando impossibile spuntarla sul Doge con le rimostranze, nel 1504 favorì un'unione degli interessi contrastanti di Francia e Germania, e sacrificò l'indipendenza d'Italia, allo scopo di concludere con loro un'alleanza offensiva e difensiva contro Venezia. Questa fu comunque, inizialmente poco più che nominale, e non fu immediatamente efficace, spingendo i veneziani a cedere solo pochi e non molto importanti luoghi della Romagna; ma con una brillante campagna Giulio nel 1506 riuscì a invadere Perugia e Bologna abbattendo le libere signorie; ad imporre, a Forlì, la pace tra i partiti guelfo e ghibellino; a portarsi a un tale livello di influenza, da rendere la sua amicizia di primaria importanza sia per il Re di Francia sia per l'Imperatore. Durante la visita a Forlì, volle assistere alla collocazione della pala di Marco Palmezzano La comunione degli apostoli sull'altare principale della Cattedrale cittadina (1506)[5]. Anche gli eventi giocarono a suo favore, tanto che nel 1508 fu in grado di costituire con Luigi XII di Francia, l'Imperatore Massimiliano I e Ferdinando II d'Aragona, la famosa Lega di Cambrai contro la Repubblica veneziana. Nella primavera dell'anno seguente la Repubblica venne posta sotto interdetto. I risultati ottenuti dalla Lega andarono oltre le intenzioni di Giulio. Con la sola battaglia di Agnadello tutti i domini di Venezia in Italia vennero praticamente persi; ma poiché né il Re di Francia, né l'imperatore erano soddisfatti dal semplice aiutare gli scopi del Papa, quest'ultimo trovò necessario entrare in contatto con i Veneziani per difendersi da quelli che fino a poco prima erano stati i suoi alleati. I Veneziani, con un atto di umile sottomissione, vennero assolti all'inizio del 1510 e poco dopo la Francia venne posta sotto il bando papale. I tentativi di portare a una rottura tra Francia e Inghilterra si rivelarono senza successo; d'altra parte, ad un sinodo convocato da Luigi a Tours nel settembre 1510, i vescovi francesi si ritirarono dall'obbedienza papale, e si risolsero, con la cooperazione di Massimiliano, a cercare la deposizione di Giulio. Nel novembre 1511 un Concilio si riunì a tale scopo a Pisa. Durante il Concilio convocato per deporlo, Giulio II venne definito "sodomita" e accusato di aver infettato la Chiesa con la sua corruzione. A questo punto Giulio entra nella Lega Santa, con Ferdinando II d'Aragona e i Veneziani, contro la Francia. Alla Lega si aggiunsero successivamente anche Enrico VIII d'Inghilterra e l'Imperatore Massimiliano I. Giulio riunì anche un Concilio generale (in seguito divenuto noto come Concilio Lateranense V) che si tenne a Roma nel 1512, che in base al giuramento fatto al momento dell'elezione egli aveva promesso di convocare, ma che era stato ritardato, come affermò, a causa dell'occupazione dell'Italia da parte dei suoi nemici. Nel 1512 i francesi vennero scacciati oltre le Alpi, ma al prezzo dell'occupazione da parte delle altre potenze, e Giulio, benché si fosse assicurato stabilmente l'autorità papale negli Stati immediatamente attorno a Roma, si trovava più lontano che mai dalla realizzazione del suo sogno di un regno italiano indipendente. Fu a questo punto che morì, a causa della febbre nel febbraio del 1513. Non fu mai sepolto nella tomba di Michelangelo a San Pietro in Vincoli, ma nella Basilica di San Pietro senza alcun monumento funebre. Gli successe papa Leone X. Le capacità e le ambizioni di Giulio erano regali e militari piuttosto che ecclesiastiche. Fu più preoccupato per la sua fama personale, come membro della famiglia Della Rovere, che per l'avanzamento dell'influenza e dell'autorità della Chiesa. Il suo spirito audace, la sua maestria nello stratagemma politico, e la sua indifferenza morale nella scelta dei mezzi, lo resero la principale figura politica del suo tempo. Mentre, ad ogni modo, le sue conquiste politiche e militari lo candiderebbero da sole a figurare tra i più notevoli occupanti della cattedra di San Pietro, il suo principale titolo d'onore è da ricercarsi nel patrocinio delle arti e della letteratura. Durante il suo pontificato, a Roma, riuscì ad inserire nel tracciato urbano due importanti vie: Via Giulia (al centro della quale fu edificato il progetto di Bramante, il palazzo della Giunta) e Via della Lungara. La fama di Giulio II è indissolubilmente legata a progetti artistici che portò avanti, facendosi mecenate di alcuni dei più grandi artisti di sempre e offrendo loro la possibilità di creare opere che sono entrate nei capolavori dell'arte occidentale. Dietro i suoi slanci da mecenate è però sempre presente un saldo intreccio di politica e arte, legato ai progetti di Renovatio dell'Urbe, sia sul piano monumentale che politico, nell'obiettivo di restituire a Roma e all'autorità papale la grandezza del passato imperiale. Il suo intuito fu infallibile nella scelta degli artisti che meglio potessero attuare la vastità e l'audacia dei suoi propositi[6]. Fin da quando era cardinale, Giuliano Della Rovere si era dimostrato un committente intelligente e la sua esperienza diretta come legato ad Avignone gli aveva fatto scoprire come la residenza papale in terra di Francia fosse ben più splendida e grandiosa di quella romana[6]. Nel 1503 Giulio II nominò Bramante sovrintendente generale delle fabbriche papali, affidandogli innanzitutto il collegamento tra il palazzo Apostolico e la residenza estiva del Belvedere, che l'architetto interpretò con due ali laterali che creavano un vasto cortile a terrazze, con scalinate scenografiche e una grande esedra al culmine, di chiara ispirazione antica (il santuario di Palestrina)[7]. Inoltre, sotto la sua supervisione, venne stabilito un nuovo assetto viario in città, con l'apertura di via Giulia e con la sistemazione della via della Lungara, che dai Borghi portava alla porta Settimiana e che nei progetti avrebbe dovuto innestarsi sulla via Portuense[8]. Nei primi mesi del 1506 il pontefice prese l'audace decisione di abbattere e ricostruire interamente la basilica vaticana, risalente all'epoca di Costantino. Bramante elaborò un progetto a croce greca, con un'enorme cupola emisferica centrale e quattro cupole minori alle estremità dei bracci, alternate a quattro torri angolari. Dal 1506 al 1514 Bramante seguì i lavori alla basilica e sebbene il suo progetto sia stato poi abbandonato dai suoi successori in favore di una basilica a croce latina, immutati sono rimasti il diametro della cupola (40 metri, quasi quanto quella del Pantheon) e le dimensioni della crociera[7]. Burrascosi furono i rapporti tra Michelangelo e il papa, avendo entrambi personalità molto forti e poco avvezze ai compromessi. Nel 1505 Giulio II lo convocò a Roma, per affidargli il compito di una monumentale sepoltura per sé, da collocarsi nella tribuna della nuova basilica di San Pietro[9]. Il primo progetto prevedeva una colossale struttura architettonica isolata nello spazio, composta da tre ordini con una quarantina di statue, dimensionate in scala superiore al naturale[9]. Mentre Michelangelo sceglieva però i marmi a Carrara il papa venne distolto dall'idea, di cattivo augurio, di occuparsi della propria tomba mentre era ancora in vita[10]. Fu così che nella primavera del 1506 Michelangelo, mentre tornava carico di marmi e di aspettative dopo estenuanti mesi di lavoro, fece l'amara scoperta che il suo progetto mastodontico non era più al centro degli interessi del pontefice, accantonato in favore dell'impresa della basilica e di nuovi piani bellici contro Perugia e Bologna[11]. Fuggito in tutta fretta a Firenze, Michelangelo ebbe bisogno delle ripetute e minacciose richieste del papa perché prendesse infine in considerazione l'ipotesi della riconciliazione[11]. L'occasione venne data dalla presenza del papa a Bologna nel 1507: qui l'artista fuse per il papa una statua in bronzo e pochi anni dopo, a Roma, ottenne la commissione "riparatrice" per la decorazione della volta della Cappella Sistina[11]. Dopo alcune esitazioni dell'artista venne elaborato un primo progetto, con figure di apostoli sui peducci e quadrature architettoniche, arricchito presto con le Storie della Genesi nei riquadri centrali, figure di Veggenti sui peducci, episodi biblici e Antenati di Cristo sulle vele, nonché la decorazione delle lunette sopra la serie quattrocentesca dei papi. A ciò si aggiungono altre figure di riempimento, quali gli Ignudi, i medaglioni con altre scene bibliche e le figurette dei Nudi bronzei[12]. Nel luglio del 1508 il ponteggio, occupante circa metà della cappella (in modo da non pregiudicare le attività liturgiche), era pronto e Michelangelo avviò la stesura ad affresco. Nell'agosto del 1510 l'opera era quasi a metà ed era ora di smontare il ponteggio per ricostruirlo dall'altra parte[13]. In tale occasione l'artista poté finalmente vedere il proprio lavoro dal basso e prese la decisione di aumentare la scala delle figure, con scene meno affollate ma di maggiore effetto dal basso, ambientazioni più spoglie, gesti più eloquenti, meno piani di profondità. L'energia e la "terribilità" delle figure viene estremamente accentuata, dalla poderosa grandiosità della Creazione di Adamo, ai moti turbinosi delle prime tre scene della Creazione, in cui Dio Padre appare come unico protagonista. Anche le figure dei Profeti e delle Sibille crescono gradualmente in proporzioni e in pathos psicologico all'avvicinarsi all'altare, fino al furor divinatorio dell'enorme Giona[14]. L'altra grande impresa pittorica del pontificato di Giulio II è la decorazione di un nuovo appartamento ufficiale, le cosiddette Stanze Vaticane. Rifiutandosi di utilizzare l'Appartamento Borgia, il papa scelse alcuni ambienti al piano superiore, risalenti all'epoca di Niccolò V e in cui esistevano già decorazioni quattrocentesche. Per prima cosa fece dipingere i soffitti a un gruppo composito di pittori, tra cui il Perugino, il Sodoma, Baldassarre Peruzzi, il Bramantino e Lorenzo Lotto, oltre allo specialista di grottesche Johannes Ruysch. Sul finire del 1508 si aggiunse Raffaello, fatto chiamare su consiglio di Bramante, suo concittadino[15]. Le prime prove nella volta e nei lunettoni della Stanza della Segnatura convinsero il pontefice a tal punto che affidò al Sanzio la decorazione di tutta la stanza e quindi dell'intero complesso, senza esitare a far distruggere le opere più antiche[15]. La Stanza della Segnatura venne decorata con scene legate alle categorie del sapere, forse in relazione a un ipotetico uso come biblioteca. La Disputa del Sacramento era una celebrazione della teologia, la Scuola di Atene della filosofia, il Parnaso della poesia e le Virtù e la Legge della giurisprudenza, a ciascuna delle quali corrispondevano anche figure simboliche sul soffitto[15]. Nell'estate 1511, quando ancora non erano terminati i lavori alla Stanza della Segnatura, Raffaello stava già elaborando i disegni per un nuovo ambiente, la stanza poi detta di Eliodoro, usata come camera dell'Udienza[16]. Il pontefice aveva fatto ritorno a Roma in giugno, dopo le pesanti sconfitte nella campagna militare contro i francesi, che avevano significato la perdita di Bologna e la continua minaccia degli eserciti stranieri. I nuovi affreschi rispecchiarono il momento di incertezza politica, sottolineando l'ideologia del papa e il suo sogno di renovatio. Le scene di Eliodoro cacciato dal tempio e l'Incontro di Leone Magno con Attila mostrano infatti interventi miracolosi a favore della Chiesa contro nemici interni ed esterni, mentre la Messa di Bolsena tributa la devozione speciale del papa verso l'Eucarestia e la Liberazione di san Pietro dal carcere ricorda il trionfo del primo papa al culmine delle tribolazioni[16]. Da diversi contemporanei di papa Giulio II sono stati sottolineati i suoi aspetti più ambigui e contraddittori: Erasmo da Rotterdam dedicò a Giulio II dopo la sua morte un feroce scritto satirico Iulius Exclusus e Coelis, in cui il Papa si vede negato l'accesso in Paradiso da San Pietro. L'unica visita di Martin Lutero a Roma ebbe luogo nel 1510, durante il pontificato di Giulio. Agli occhi di Lutero, Giuliano divenne il tipico esponente di una chiesa che ha abbandonato la propria missione spirituale per seguire potere e ricchezza. Francesco Guicciardini nella sua Storia d'Italia sottolinea da una parte l'ambizione e l'energia di papa Giulio II, e dall'altra il suo carattere sospettoso e manipolatorio. La partecipazione diretta di Giuliano all'assedio di Mirandola è vista dallo scrittore come un evento eccezionale e straordinario, che sembra confermare le critiche rivolte dai contemporanei alla condotta del suo pontificato. Giulio II, commenta Guicciardini, «...non riteneva [manteneva] di pontefice altro che l'abito e il nome.»[17]. Ne Il principe di Machiavelli, Giulio II è il modello di principe fortunato, perché la sua "virtù" (la specifica qualità della sua leadership: nel caso di Giuliano, l'impetuosità) si accorda al contesto strategico in cui si trova ad agire, producendo sempre conseguenze felici a fronte di una medesima ripetuta strategia. Il contesto è inteso da Machiavelli come l'insieme dei rapporti di potere e delle situazioni contingenti, il quale determina il successo o l'insuccesso di un'azione politica. Machiavelli rileva inoltre come la breve durata del pontificato di Giuliano sia stata la causa delle sue fortune «...perché, se fussino sopravvenuti tempi che fussi bisognato procedere con rispetti, ne seguiva la sua rovina»[18]. Varie furono le accuse di omosessualità e pedofilia rivolte a Giulio II: ne scrivono Girolamo Priuli, diarista veneziano (Conduzeva cum lui li suoi ganimedi, id est alcuni bellissimi giovani [...]); Marin Sanudo il giovane (Ritorna o padre santo al tuo San Pietro | e stringi el freno al tuo caldo desire [...]) e altri. Ebbe per anni come favorito il suo stesso nipote, Francesco Alidosi, cui assegnò in seguito la carica di vescovo di Bologna.[19]

Papa Leone X, in latino: Leo X, nato Giovanni di Lorenzo de' Medici (Firenze, 11 dicembre 1475 – Roma, 1º dicembre 1521), fu il 217º papa della Chiesa cattolica dal 1513 alla sua morte.

Giovanni era il quartogenito (il secondo figlio maschio) di Lorenzo de' Medici e Clarice Orsini e portò alla corte pontificia lo splendore e i fasti tipici della cultura delle corti rinascimentali. Fu l'ultimo Papa a essere semplice diacono al momento dell'elezione.[2] Venne destinato fin dall'inizio alla carriera ecclesiastica; ricevette la tonsura a sette anni con la nomina a protonotario apostolico, ad otto reggeva dei benefici quale abate di Montecassino e di Morimondo e prima dei tredici erano in corso negoziati per la sua elevazione a cardinale. Innocenzo VIII, il Papa regnante, era legato a Lorenzo de' Medici da ottime relazioni e da una comunanza di interessi e politiche; nel concistoro dell'8 marzo 1489 Giovanni venne nominato cardinale del titolo di Santa Maria in Domnica con la proibizione di vestire le insegne cardinalizie per tre anni, in ragione della giovane età. In questo intervallo di tempo tra il 1489 e il 1491 venne inviato a Pisa a studiare teologia e diritto canonico, e qui era anche Cesare Borgia. Gli impegni di studio di tipo ecclesiastico sembrano che siano stati meno congeniali al giovane principe della chiesa, rispetto all'elegante letteratura per la quale aveva ereditato il gusto del padre, e nella quale aveva fatto grandi progressi sotto la tutela di Poliziano e Bibbiena. Il 9 marzo 1492 vestì le insegne cardinalizie presso la Badia di Fiesole e il 22 marzo entrò in Roma, mentre il giorno dopo fu accolto in udienza dal papa. In tale circostanza ricevette dal padre una lettera di consigli[3], che a tutt'oggi figura tra le più sagge e di valore nelle composizioni del suo genere.[senza fonte] Dopo poco più di un mese dovette tornare a Firenze perché suo padre morì e dopo poche settimane fu di nuovo a Roma perché in luglio entrava in conclave dopo la morte di papa Innocenzo VIII. Nel giro di pochi mesi quindi le sue prospettive vennero completamente sovvertite, un doppio lutto che anche per l'Italia chiudeva un'era di pace, che la politica prudente di Lorenzo aveva procurato, e si inaugurava un periodo di invasioni straniere e lotte interne. Nel breve conclave dell'agosto 1492 fu eletto Rodrigo Borgia al quale egli non era molto legato, e decise di tornare a Firenze. Una delle prime conseguenze della fine dei delicati equilibri politici fu l'irruzione francese in Italia, che ebbe come conseguenza l'espulsione della famiglia Medici da Firenze nel novembre 1494. La caduta dei Medici a Firenze fu favorita anche dal predicatore domenicano Girolamo Savonarola, che approssimandosi a Firenze Carlo VIII, tuonò energicamente contro la remissività mostrata da Piero de' Medici il suo fratello primogenito; sembra che il cardinale Medici avesse dovuto lasciare la città in incognito vestito da frate minore.[senza fonte] A Firenze si instaurò una repubblica, mentre il cardinale, con suo fratello maggiore e il loro cugino Giulio, futuro Papa Clemente VII, trovarono ospitalità presso la corte di Urbino. Poi il cardinale si rifugiò a Bologna e vedendosi, ormai privato, almeno per il momento, d'importanza politica, oltre ad essere malvisto dal successore di Innocenzo VIII, Alessandro VI, decise d'intraprendere un viaggio con alcuni fidati amici in Germania, Paesi Bassi e Francia; conobbe molti uomini illustri ed ebbe anche problemi, come quando a Rouen fu arrestato ed espulso.[senza fonte] Tornò in Italia nel 1500 e decise di rimanere a Roma, nel suo palazzo: l'attuale e famoso Palazzo Madama, sottraendosi per quanto possibile all'attenzione, disarmando le gelosie di papa Alessandro VI con la sua completa devozione per gli studi letterari e quindi raccogliendo intorno a se molti letterati e poeti. Nel 1503 moriva il fratello maggiore Piero dei Medici e quindi egli diveniva capostipite della prestigiosa famiglia; contemporaneamente essendo morto Alessandro VI, e dopo il breve pontificato del 1503 di papa Pio III, fu eletto papa Giulio II, uomo dalle grandi doti politico-militari. Anche i rapporti con questo pontefice, sebbene non fossero contrastati, non furono neanche particolarmente amichevoli. Quando nell'agosto 1511 Giulio II si ammalò gravemente, Giovanni fu visto muoversi più di tutti gli altri cardinali in vista del possibile conclave.[senza fonte] Quando poi Giulio II si riprese, egli fu inviato come legato pontificio della Provincia Romandiolæ (con sede a Bologna) nell'ottobre 1511. Tale incarico fu svolto senza particolare impegno, almeno a giudizio di Giulio II.[senza fonte] Nel frattempo gli eserciti preparavano lo scontro. Giulio II, per contrastare i francesi di Luigi XII in Italia, costituì la Lega Santa alla quale nel 1511 aderirono l'Inghilterra, il Sacro Romano Impero, il Regno di Spagna e la repubblica di Venezia. Lo scontro avvenne l'11 aprile 1512 nella sanguinosa battaglia di Ravenna dove Giovanni de' Medici, che assisteva allo scontro, fu fatto prigioniero; i francesi, nonostante le numerose perdite, ebbero la meglio e si diressero verso Milano, ma sapendo che un esercito imperiale stava scendendo dalla Svizzera, furono costretti ad abbandonare la Lombardia; i francesi decisero di portare il cardinale de' Medici in Francia come ostaggio, ma il cardinale durante l'attraversamento del fiume Po, riuscì a fuggire, riparando a Ravenna. Giulio II si rese conto che per ostacolare i francesi in Italia doveva ostacolare uno dei loro principali alleati, cioè la repubblica di Firenze, e quindi favorire l'ascesa dei Medici, che erano stati costretti a fuggire dalla città dopo la morte di Lorenzo il Magnifico. Da qui la consegna di alcune truppe al comando del Cardona al cardinale de' Medici. Entrarono in Toscana ed assediarono la città di Prato. Alla sua capitolazione seguì una tragica devastazione durata 21 giorni (episodio tragicamente noto come: "Il sacco di Prato"). Temendo che al sacco di Prato potesse seguire il sacco di Firenze il governo fiorentino passo' senza spargimento di sangue alla fazione medicea e così i Medici poterono rientrare in Firenze riprendendone il controllo 14 settembre 1512, pur mantenendone le istituzioni repubblicane. Giovanni e il fratello Giuliano si prodigarono per sedare le tensioni e gli odi e tentare di rappacificare le fazioni. Ma in città lo spirito repubblicano era ancora molto forte e fu scoperto un complotto contro i Medici proprio nel momento in cui giungeva la notizia da Roma della morte di papa Giulio II, avvenuta il 23 febbraio 1513. Il cardinale, che non aveva grandi rivali, si portò subito a Roma per il conclave che iniziò il 9 marzo. Grazie all'abile segretario Bernardo Dovizi da Bibbiena, che riuscì a convincere molti cardinali elettori sulla opportunità di un papa mediceo dallo spirito conciliante e che probabilmente non avendo buona salute sarebbe durato poco,[1] il 9 marzo veniva eletto papa. Non essendo che diacono, fu prima ordinato sacerdote e vescovo il 13 marzo 1513 e poi incoronato in modo solenne come mai s'era visto a Roma[senza fonte] il 19 marzo.[1] Questo papa, raffinato e colto umanista in un'Europa che si stava avviando al fanatismo religioso e alle guerre di religione, provocate dalla Riforma protestante e dalla Controriforma, è stato spesso criticato per le caratteristiche mondane del suo pontificato e per la mancanza di zelo riformista. Erasmo da Rotterdam gli dedicò la sua edizione critica del Nuovo Testamento greco. In Deputazione toscana di storia patria (1859) si dice che il filosofo Marsilio Ficino (1433-1499), che praticava l'astrologia, gli abbia predetto il Papato quando lui era solo un giovinetto. Di lui gli avversari raccontano che quando divenne papa, a soli trentasette anni, l'11 marzo 1513, abbia detto a suo cugino Giulio: «Poiché Dio ci ha dato il Papato, godiamocelo».[5] Si racconta viaggiasse attraverso Roma alla testa di una stravagante parata, in cui sarebbero apparsi pantere, giullari ed un elefante bianco. Avrebbe fatto servire cene con sessantacinque portate.[senza fonte] Divulgò la bolla Inter Sollicitudines, durante il concilio Lateranense V, che proibiva di stampare libri non approvati dal clero. La pena per chi avesse pubblicato libri non autorizzati era la scomunica, il rogo pubblico dei libri stampati, una multa di cento ducati e il divieto di stampare per un anno. Qualora si reiterasse nella stampa libri non autorizzati, erano previste pene più severe[6][7]. Fondamentalmente i suoi obiettivi che emersero già all'inizio del suo pontificato erano tre: raggiungere la pace con gli Stati stranieri evitando guerre, modernizzare lo Stato Pontificio, difendere gli interessi della sua famiglia medicea a Firenze. Tra i primi atti vi fu la riapertura del V concilio lateranense (27 aprile 1513, apertura della sesta sessione), già iniziato dal suo predecessore, risanando i contrasti che avrebbero portato ad uno scisma. Inoltre richiese con un libello la liturgia in volgare e la traduzione della Bibbia (confutato poi dal Concilio di Trento che riconfermò il latino). La difesa degli interessi fiorentini nella politica internazionale fu al centro della sua azione fin dall'inizio del pontificato; nel settembre del 1513, ad esempio, risolse in favore della sua patria un arbitrato con il quale assegnò proprio a Firenze il dominio su Pietrasanta, città fino a quel momento parte della Repubblica di Lucca.[senza fonte] Il 18 settembre 1520 eresse la diocesi di Sansepolcro, scorporandone il territorio, per la maggior parte, da quella di Città di Castello, dal momento che questa si trovava fuori dello stato fiorentino. Nell'aprile del 1513 aveva rinnovato la Lega Santa antifrancese, stipulata da Giulio II e nel giugno 1513 a Novara gli Svizzeri, guidati da Massimiliano Sforza, inflissero una pesante sconfitta ai francesi, conquistando il ducato di Milano. Questo favorì il ritorno di molti cardinali filofrancesi all'obbedienza pontificia. I cardinali Carvajal e Sanseverino fecero atto di sottomissione e dopo di loro quasi tutti i cardinali dissidenti. La sua tendenza alla conciliazione emerse subito appena eletto. Concesse il perdono ai cardinali che avevano aderito al "conciliabolo di Pisa" dove si era tentato di eleggere un antipapa; perdonò Pompeo Colonna che aveva tentato di provocare un'insurrezione popolare per stabilire una repubblica a Roma; perdonò i congiurati Boscoli e Capponi che avevano complottato contro di lui a Firenze, salvando la vita a Niccolò Machiavelli. In campo politico non ebbe una posizione ferma poiché in base all'opportunità si schierò dapprima contro la Francia, divenendone successivamente alleato, per poi passare apertamente contro l'Impero. All'interno riprese le abitudini nepotiste, creò Cardinale il cugino Giuliano che in futuro sarà Papa Clemente VII ed il nipote Innocenzo Cybo. Nel gennaio del 1515 moriva il re francese Luigi XII, al quale successe Francesco I, uomo molto ambizioso, che avendo antenati tra la nobile famiglia dei Visconti, avanzava ancora più energicamente pretese di possesso del ducato milanese. Già a febbraio il papa si attivò per stipulare un'altra Lega Santa anti-francese che comprendeva: l'Imperatore, Milano, Genova e gli Svizzeri, mentre Venezia era alleata con la Francia. Tale patto però non fu ratificato perché non tutti erano d'accordo sul fatto che Parma e Piacenza dovessero passare allo Stato Pontificio. Francesco I marciò verso Milano nel settembre del 1515 e non trovò grande resistenza. Il 13 e 14 settembre, nella battaglia di Marignano i francesi vinsero definitivamente le difese della Lega. Finita malamente la battaglia di Marignano, Leone X decise di punire il mancato appoggio promesso dalla città di Urbino governata da Francesco Maria I Della Rovere, il quale aveva ospitato la sua famiglia alla cacciata da Firenze. Questo non attenuò la decisione di spodestare Della Rovere da Urbino e mettervi un membro della famiglia Medici, cioè Lorenzo suo nipote, già Signore di Firenze. Leone X, nonostante che i suoi alleati fossero contrari, intraprese, subito dopo la battaglia di Marignano, trattative con i francesi, che ebbero luogo a Bologna nel dicembre dello stesso anno. Qui, il 18 agosto 1516, egli firmò con il rappresentante del re di Francia, Antonio Duprat, futuro vescovo e cardinale, il Concordato di Bologna, con il quale rinunciava ai territori di Parma e Piacenza, ma otteneva la revoca ufficiale, da parte del Sovrano francese, della Prammatica Sanzione di Bourges. Il Concordato fu ratificato successivamente dal Concilio Lateranense V.[8] Il compromesso insito nel concordato portò al riconoscimento della Chiesa gallicana nella Chiesa cattolica, anche se attenuato rispetto a quanto era stato deciso con la Prammatica Sanzione di Bourges, conferendo tuttavia ai Re di Francia un potere sulla Chiesa francese, del quale nessun altro Sovrano Cattolico disponeva nel proprio regno, ed aprendo, fra l'altro, le porte all'introduzione nel regno di Francia del deprecato regime delle commende. Il concordato di Bologna rimarrà in vigore praticamente fino alla soppressione dell'autorità della Chiesa in Francia operata dalla Rivoluzione Francese. Il Cardinale Alfonso Petrucci, fratello di quel Borghese Petrucci che era stato estromesso nel 1516 dal potere in Siena da parte del cugino Raffaele Petrucci, Vescovo di Grosseto, ordì una congiura per assassinare Papa Leone X mediante avvelenamento. Per ottenere questo scopo corruppe il medico personale del Papa, Battista da Vercelli, ma la congiura fu scoperta grazie all'intercettamento di una lettera di Alfonso al suo segretario Antonio de Nini. Il Cardinale, arrestato e tradotto a Roma, fu giustiziato in Castel Sant'Angelo per strangolamento il 16 luglio 1517, mentre il suo Segretario e il Medico del Papa furono condannati a morte per squartamento.[9] Altri quattro cardinali risultarono coinvolti nella congiura, Raffaele Riario, Bandinello Sauli, e Adriano Castellesi, che se la cavarono con il pagamento di una multa. A corto di fondi per le guerre contro la Francia e i grandi lavori edilizi in corso a Roma, Leone fece un accordo con l'arcivescovo Alberto di Hohenzollern in Germania, che avrebbe aiutato a proseguire l'opera di completamento della basilica di San Pietro a Roma. Egli accettò da Alberto la somma di 10.000 ducati in cambio dell'arcivescovado di Magonza. Affinché Alberto potesse restituire la somma alla casa finanziaria di Jakob Fugger, da cui aveva ottenuto il prestito, il 31 marzo 1515 il papa con la bolla Sacrosancti Salvatoris et Redemptoris gli diede il privilegio di dispensare un'indulgenza nei suoi territori per un periodo di sei anni. Metà del denaro ricevuto sarebbe stato versato al Papa per il finanziamento della fabbrica di San Pietro allora in costruzione, e l'altra metà a Fugger come restituzione del prestito.[senza fonte] Il 18 settembre 1520 - reiterando un provvedimento già emanato il 23 settembre 1515 ma rimasto lettera morta - eresse la diocesi di Sansepolcro, sottraendo così alla diocesi di Città di Castello i territori del dominio fiorentino, ormai egemonizzato dalla famiglia Medici. Martin Lutero criticò Leone X per la vendita di indulgenze e la predicazione grossolana del frate domenicano Johann Tetzel, sottocommissario per la predicazione delle indulgenze dell'arcidiocesi di Magonza. Il 31 ottobre 1517 Lutero affisse le sue 95 tesi sulle indulgenze sul portone della chiesa di Wittenberg e la riforma protestante, con il suo furore religioso, fu il peggior colpo allo splendore umanistico della Corte papale del Rinascimento, di cui Leone fu uno dei maggiori esponenti. Il 15 giugno 1520 Leone X pubblicò la bolla Exsurge Domine con la quale vennero condannate alcune delle tesi di Lutero e con la quale minacciò di scomunica Lutero se non avesse ritrattato entro 60 giorni le sue posizioni. Lutero ignorò la bolla e successivamente la bruciò nella piazza di Wittenberg. Il 3 gennaio 1521 papa Leone X scomunicò Martin Lutero con la bolla Decet Romanum Pontificem. Il 1º dicembre dello stesso anno in cui aveva scomunicato Lutero, Leone moriva e fu seppellito nella basilica di Santa Maria sopra Minerva. Il suo decesso, avvenuto quando aveva soli 46 anni di età, diede luogo a numerose dicerie e sospetti di avvelenamento, tanto che fu persino arrestato per breve tempo il suo coppiere, ma non si venne a capo di nulla in proposito.[10]

Adriano VI, nato Adriaan Florenszoon (in originale: Floriszoon) Boeyens d'Edel (Utrecht, 2 marzo 1459 – Roma, 14 settembre 1523), fu il 218º papa della Chiesa cattolica e il 126° sovrano dello Stato Pontificio dal 1522 alla morte.

Nacque a Utrecht[1], figlio di Florens, un ebanista, e Gertrude, e studiò presso i Fratelli della vita comune, a Zwolle o a Deventer. Il doppio cognome di Adriaan, Boyens d'Edel o Boyens Dedel, deriva dal nome proprio del nonno paterno, Boyens d'Edel, che divenne cognome patronimico del padre, Florens Boyenszoon, e dal cognome del bisnonno, Jan Edel, che divenne de Edel quando passò al figlio Boyens d'Edel, poi Dedel quando passò al nipote Florens Boyenszoon Dedel, diventando il doppio cognome Boyens Dedel di Adriaan e degli altri discendenti. A Lovanio studiò filosofia, teologia e diritto canonico, diventando dottore in teologia nel 1491, diacono di San Pietro e vice-cancelliere dell'università. Fu vicinissimo alla Devotio moderna. Nel 1507 venne nominato tutore del futuro imperatore Carlo V, che all'epoca aveva solo sette anni. Venne inviato in Spagna nel 1515 in missione diplomatica; Carlo gli assicurò la successione alla sede di Tortosa, e il 14 novembre 1516 lo nominò inquisitore generale d'Aragona. Mentre Carlo era minorenne, Adriano venne associato con il cardinale Jimenes nel governare la Spagna. Dopo la morte di quest'ultimo, Adriano venne nominato, il 14 marzo 1518, Generale delle inquisizioni riunite di Castiglia e Aragona, ruolo nel quale agì fino alla partenza da Tarragona alla volta di Roma, il 4 agosto 1522: egli fu, comunque, troppo debole e confidente per gestire gli abusi che Jimenes era invece stato in grado di controllare. Quando Carlo partì per i Paesi Bassi, nel 1520, rese Adriano reggente di Spagna: e come tale dovette affrontare una grave rivolta. Nel 1517 papa Leone X lo aveva nominato cardinale presbitero del titolo di Santi Giovanni e Paolo. Il 9 gennaio 1522 fu eletto papa praticamente all'unanimità. Incoronato a San Pietro il 31 agosto, all'età di sessantatré anni, si avviò sul cammino solitario del riformatore. Il suo programma era quello di attaccare uno alla volta tutti i più noti abusi; ma nel suo tentativo di migliorare il sistema di concessione delle indulgenze, venne ostacolato dai suoi cardinali; e ridurre il numero delle dispense matrimoniali era impossibile, perché le entrate erano state incamerate con anni di anticipo da Leone X. Gli italiani videro in lui un pedante professore straniero, cieco di fronte alla bellezza dell'antichità classica, che riduceva molto gli stipendi dei grandi artisti. Musicisti come Carpentras, il compositore e cantore da Avignone che era maestro di cappella sotto Leone X, lasciarono Roma in quel periodo, a causa dell'indifferenza di Adriano, se non all'aperta ostilità, nei confronti dell'arte. Gli standard musicali al Vaticano declinarono significativamente durante il suo pontificato. Perfino la volta della Cappella Sistina dipinta da Michelangelo Buonarroti rischiò di andare distrutta per la sua ostilità nei confronti dell'arte. Anche come uomo di pace tra i principi cristiani, che sperava di unire in una guerra protettiva contro l'Impero Ottomano, fu un fallimento: nell'agosto 1523 fu apertamente costretto ad allearsi con Sacro Romano Impero, Inghilterra, Repubblica di Venezia, ecc., contro la Francia; nel frattempo, nel dicembre del 1522, il sultano Solimano il Magnifico aveva conquistato Rodi. Nella gestione delle prime fasi della rivolta protestante in Germania, Adriano non riconobbe completamente la gravità della situazione. Durante una dieta che si tenne nel dicembre 1522 a Norimberga, venne rappresentato dal Chieregati, le cui istruzioni contenevano la franca ammissione che il disordine della Chiesa scaturiva dalla Curia stessa, e che proprio da lì la riforma doveva iniziare. Comunque, l'ex professore ed inquisitore generale, era fermamente opposto a cambiamenti nella dottrina, e richiese che Martin Lutero venisse punito per eresia. Dichiarò, in una delle sue opere, che il papa sia fallibile, anche in materia di fede; opera che fu ristampata, con la sua autorizzazione, dopo la sua elezione al soglio pontificio. Contiene anche l'affermazione che diversi papi abbracciarono e insegnarono dottrine eretiche[2]. Quest'opera ha attratto delle attenzioni: i cattolici sostengono che si tratta solo di un'opinione personale, non di un'affermazione ex cathedra, e quindi non è in conflitto con il dogma dell'infallibilità papale; altri sostengono che il concetto di "ex cathedra" venne inventato solo nel XIX secolo. Adriano morì il 14 settembre 1523, alla fine di un pontificato troppo breve per essere efficace. Adriano VI fu l'ultimo papa non italiano fino all'elezione di papa Giovanni Paolo II nel 1978 e fu l'ultimo papa proveniente dal Sacro Romano Impero, nonché unico papa di origine olandese. Gran parte dei documenti ufficiali di Adriano VI scomparvero poco dopo la sua morte. Adriano pubblicò Quaestiones in quartum sententiarum praesertim circa sacramenta (Parigi, 1512, 1516, 1518, 1537; Roma, 1522), e Quaestiones quodlibeticae XII. (I ed., Lovanio, 1515).

Clemente VII, nato Giulio Zanobi di Giuliano de' Medici (Firenze, 26 maggio 1478 – Roma, 25 settembre 1534), esponente della famiglia fiorentina dei Medici, fu il 219º papa della Chiesa cattolica e il 127° sovrano dello Stato Pontificio dal 1523 alla morte.

Giulio era figlio naturale, poi legittimato di Giuliano de' Medici, ucciso nella Congiura dei Pazzi un mese prima della sua nascita, e di una certa Fioretta, forse figlia di Antonio Gorini. Da giovane fu affidato, dallo zio Lorenzo il Magnifico, alle cure di Antonio da Sangallo. Dopo poco tempo, però, lo zio lo prese direttamente sotto la sua protezione. Nel 1488 riuscì a convincere Ferdinando I d'Aragona a concedergli il priorato di Capua dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, beneficio prestigioso e molto remunerativo. Nel 1495, a causa delle sollevazioni popolari contro il cugino Piero, scappò da Firenze per rifugiarsi prima a Bologna, poi a Pitigliano, Città di Castello e Roma, dove visse per molto tempo ospite del cugino cardinale Giovanni, il futuro papa Leone X. Il 9 maggio 1513 fu eletto arcivescovo di Firenze dal cugino papa Leone X, che aveva ripreso la città sconfiggendo le truppe francesi alleate dei repubblicani fiorentini, e il 14 agosto dello stesso anno Giulio fece il suo ingresso a Firenze. Alla morte del cugino Lorenzo duca di Urbino divenne anche signore della città. Sia come arcivescovo che come governatore si dimostrò un abile uomo di governo. Pur ricevendo spesso incarichi e missioni diplomatiche per conto del Papa non trascurò mai la sua arcidiocesi e con la collaborazione del suo vicario generale Pietro Andrea Gammaro volle conoscere, attraverso i singoli inventari, la situazione di tutte le chiese sotto la sua giurisdizione. Nel 1517 tenne un sinodo di tutto il clero. Da cardinale diacono nel frattempo fu dichiarato cardinale prete con il titolo di San Clemente (26 giugno 1513) e poi di San Lorenzo in Damaso. Sventò una congiura tramata contro di lui e fu inflessibile contro i suoi nemici (1522). Nel 1513, con l’elezione di Leone X, Giulio ebbe la concessione dell’arcidiocesi di Firenze e, il 29 settembre dello stesso anno, dopo una serie di procedure e dispense per superare lo scoglio della sua nascita illegittima, fu creato cardinale. Dopo questa nomina iniziò la sua ascesa, caratterizzata da una grande ricchezza di benefici ecclesiastici e da un ruolo molto delicato all'interno della politica pontificia. Tra le sue azioni è da ricordare il tentativo di costituire un’alleanza con l'Inghilterra per aiutare Leone X a contrastare le mire egemoniche di Francia e Spagna; per questo motivo fu nominato cardinale protettore d'Inghilterra. La caratteristica principale della politica di questo periodo fu la ricerca di un equilibrio tra i principi cristiani e l’indizione del Concilio Lateranense V (1512-1517), durante il quale Giulio si interessò di lotta contro le eresie. Il 9 marzo 1517 fu nominato Vicecancelliere di Santa Romana Chiesa, incarico che gli diede modo di mettere alla prova le sue qualità diplomatiche, mostrando un contegno serio e apparentemente illibato in confronto a quello mondano e dissoluto del cugino. Mentre cercava di organizzare una crociata contro i turchi, che Leone X reputava assolutamente necessaria, dovette risolvere due problemi: la protesta luterana, e la successione dell'Impero che, dopo Massimiliano I, toccò al nipote Carlo, già re di Napoli. Nel corso del 1521 la situazione di Firenze (di cui era Governatore cittadino) lo fece allontanare abbastanza spesso da Roma, ma l'improvvisa morte del papa, avvenuta nello stesso anno, lo costrinse a tornare a Roma per partecipare al conclave. Fu eletto Adriano VI, di cui aveva sostenuto la candidatura per ottenere l’appoggio di Carlo V. L’anno successivo fu vittima di una congiura, senza conseguenze, ordita dai repubblicani. Il 3 agosto 1523 l’opera diplomatica di Giulio giunse alla sua conclusione: venne ratificata l'alleanza tra il papato e Carlo V. Poco dopo, nel settembre 1523 morì Adriano VI e Giulio, con l’appoggio dell’imperatore, dopo un conclave lungo (50 giorni) e difficoltoso, fu eletto al soglio di Pietro. Il 19 novembre Giulio de' Medici assunse il nome di Clemente VII. L’elezione del nuovo pontefice venne salutata con entusiasmo, anche se certe aspettative si dimostrarono mal riposte: Giulio de' Medici risultò incapace di risolvere con decisione i problemi che dovette affrontare. Cercò di mantenere una politica di neutralità nella contesa tra Carlo V e Francesco I di Valois per il predominio sull'Italia e sull'Europa; Carlo V era intenzionato a restaurare l'Impero ammodernando le sue strutture amministrative e perseguendo una politica espansionistica che lo portava in rotta di collisione con il re di Francia. Nell’ottobre 1524, quando Francesco I conquistò Milano, il delicato apparato diplomatico messo in piedi da Clemente VII andò in crisi. Il papa, mentre l'arcivescovo di Capua, Niccolò Schomberg, lo spingeva a intraprendere una politica filoimperiale, mandò a trattare il datario apostolico, il filofrancese Gian Matteo Giberti, che dovette tornare indietro all’arrivo delle truppe imperiali in Lombardia. In quel periodo anche la Riforma si andava espandendo sempre più in Germania. Nella seconda dieta di Norimberga, del febbraio 1524, gli stati tedeschi ratificarono l'editto di Worms come legge dell'Impero, promettendo, però, al legato pontificio, cardinale Lorenzo Campeggio, di mandarlo in esecuzione soltanto “nei limiti del possibile” e chiedendo un concilio nazionale che avrebbe dovuto aver luogo a Spira nello stesso anno. Sia il papa che l'imperatore negarono tale eventualità. Il 24 febbraio 1525 le truppe imperiali sconfissero quelle francesi a Pavia, catturando lo stesso Francesco I e deportandolo a Madrid. Francesco venne umiliato, dovette perdonare Carlo di Borbone e reinsediarlo nelle sue terre, fu costretto a lasciare in ostaggio i suoi due figli e fu invitato a sposare la sorella di Carlo V, Eleonora. Nel 1526 fu costretto ad accettare la pace di Madrid, secondo la quale doveva rinunciare a Milano, a Napoli e alla Borgogna; dopo aver firmato la pace, il 18 marzo, Francesco I fu rilasciato. Francesco I, dopo essere tornato in Francia, lamentando di essere stato costretto con la violenza ad accettare i patti, si rifiutò di ratificare il trattato di Madrid. Il 22 maggio 1526 a Cognac sur la Charente, stipulò con Clemente VII, Firenze, Venezia e Francesco Maria Sforza, una lega per scacciare gli imperiali dall’Italia. I confederati si obbligavano a mettere insieme 2.500 cavalieri, 3.000 cavalli e 30.000 fanti; Francesco I avrebbe dovuto mandare un esercito in Lombardia e un altro in Spagna, mentre i veneziani e il pontefice avrebbero dovuto assalire il regno di Napoli con una flotta di ventotto navi. Cacciati gli spagnoli, il papa avrebbe dovuto mettere sul trono napoletano un principe italiano, che avrebbe dovuto pagare al re di Francia un canone annuo di 75.000 fiorini. Francesco I non tenne mai fede ai patti e, per tutto il 1526 non partecipò alle operazioni, preferendo trattare con Carlo V il riscatto dei figli. Queste notizie si abbatterono come fulmini su Carlo V che definì pubblicamente Francesco I uno spergiuro e considerò imperdonabile il voltafaccia del Papato, il quale nei suoi confronti aveva un debito enorme (infatti Carlo V aveva condannato Lutero durante il processo per favorire il papa, anche se si era guadagnato l'antipatia di molti sudditi). Il fatto più grave che occorse al papa fu il tradimento del cardinale Pompeo Colonna. Questi, incoraggiato da Carlo V con promesse e ricompense, nella notte tra il 19 ed il 20 settembre 1526, occupò con un esercito di 8000 uomini la porta di San Giovanni in Laterano e Trastevere, spingendosi lungo il Borgo Vecchio fino al Vaticano. Clemente VII si rifugiò a Castel Sant'Angelo lasciando che il Vaticano venisse saccheggiato dalle truppe del cardinale. Il papa, vedendo che gli alleati non onoravano i patti, concluse una tregua di otto mesi con l’imperatore, ma Carlo di Asburgo non accettò l'armistizio. Il 31 marzo l'imperatore passò il Reno nei pressi di Bologna e si diresse verso la Toscana. Le truppe della Lega comandate da Francesco Maria I della Rovere e dal marchese di Saluzzo si accamparono vicino a Firenze per proteggerla dall'esercito invasore, ma questo attraverso il territorio di Arezzo e quindi di Siena si diresse verso Roma. Lungo il tragitto Carlo di Borbone devastò Acquapendente e San Lorenzo alle Grotte, occupò Viterbo e Ronciglione. Il 5 maggio gli invasori giunsero sotto le mura di Roma, che era difesa da una milizia piuttosto raffazzonata comandata da Renzo da Ceri (Lorenzo Orsini). L’assalto alle mura del Borgo iniziò la mattina del 6 maggio 1527 e si concentrò tra il Gianicolo e il Vaticano. Per essere di esempio ai suoi, Carlo di Borbone, fu tra i primi ad attaccare, ma mentre saliva su una scala fu colpito a morte da una palla d'archibugio, che sembra sia stata tirata da Benvenuto Cellini. La sua morte accrebbe l'impeto degli assalitori, che, a prezzo di gravi perdite, riuscirono ad entrare in città. Durante l'assalto Clemente VII pregava nella sua cappella privata e, quando capì che la città era perduta, si rifugiò a Castel Sant'Angelo insieme ai cardinali e gli altri prelati. Nel frattempo gli invasori trucidavano i soldati pontifici. L’esercito imperiale era composto di circa 40.000 uomini, così suddivisi: 6.000 spagnoli agli ordini di Carlo di Asburgo, a cui si erano aggiunte le fanterie italiane di Fabrizio Maramaldo, di Sciarra Colonna e di Luigi Gonzaga "Rodomonte"; molti cavalieri si erano posti sotto il comando di Ferrante I Gonzaga e del principe d'Orange Filiberto di Chalons, che era succeduto al Borbone; inoltre si erano accodati anche molti disertori della lega, i soldati licenziati dal papa e numerosi banditi attratti dalla speranza di rapine. A questi si aggiunsero i 14.000 lanzichenecchi comandati da Georg von Frundsberg, mercenari bavaresi, svevi e tirolesi, tutti luterani esasperati dalla fame e dal ritardo nei pagamenti, che consideravano il papa come l'anticristo e Roma come la Babilonia corruttrice, attratti dalla possibilità di arricchirsi saccheggiando la città. Furono profanate tutte le chiese, furono rubati i tesori e furono distrutti gli arredi sacri. Le monache furono violentate, così come le donne che venivano strappate dalle loro case. Furono devastati tutti i palazzi dei prelati e dei nobili, ad eccezione di quelli fedeli all'imperatore. La popolazione fu sottoposta ad ogni tipo di violenza e di angheria. Le strade erano disseminate di cadaveri e percorse da bande di soldati ubriachi che si trascinavano dietro donne di ogni condizione, e da saccheggiatori che trasportavano oggetti rapinati. L’8 maggio il cardinale Pompeo Colonna entrò a Roma seguito da molti contadini dei suoi feudi, che si vendicarono dei saccheggi subiti per ordine del papa saccheggiando tutte le case in cui ancora rimaneva qualcosa da rubare o da distruggere. Tre giorni dopo il principe d'Orange ordinò che si cessasse il saccheggio; ma i lanzichenecchi non ubbidirono e Roma continuò ad essere violata finché vi rimase qualcosa di cui impossessarsi. Il giorno stesso in cui cedettero le difese di Roma, il capitano pontificio Guido II Rangoni, si spinse fino al Ponte Salario con una schiera di cavalli e di archibugieri, ma, vista la situazione, si ritirò ad Otricoli. Francesco Maria della Rovere, che si era riunito alle truppe del marchese di Saluzzo, si accampò a Monterosi in attesa di novità. Il 6 giugno Clemente VII capitolò, obbligandosi a versare al principe d’Orange 400.000 ducati, di cui 100.000 immediatamente e il resto entro tre mesi; era inoltre pattuita la consegna di Parma, Piacenza e Modena. Clemente VII, per evitare di ottemperare alle condizioni imposte dall'imperatore, abbandonò Roma e, il 16 dicembre 1527, si ritirò ad Orvieto. Carlo inviò un'ambasciata presso il papa per fare ammenda dell'episodio. E Clemente alla fine, non ritenendolo responsabile, lo perdonò. Dopo questi accordi, intorno alla fine del 1529, fu stipulata la Pace di Barcellona, secondo i termini della quale, il papa, il 24 febbraio 1530, incoronò Carlo V imperatore, come segno di riconciliazione tra papato e impero. Carlo si impegnò anche ad aiutare il papa a restaurare i Medici a Firenze abbattendo la repubblica fiorentina e a concedere la Borgogna a Francesco I, che si impegnava a disinteressarsi degli affari italiani. Firenze fu consegnata ad Alessandro de' Medici (figlio illegittimo di Lorenzo), che sposò Margherita, figlia naturale di Carlo V. Facendo una parentesi su Alessandro de' Medici, molti storici sostengono ormai che la genealogia da Lorenzo Duca di Urbino fosse una semplice copertura del fatto che egli fosse in realtà figlio del papa stesso, nato nel 1511 quando egli era ancora cardinale, da una relazione con una serva di sua zia Alfonsina Orsini, chiamata Simonetta da Collevecchio e probabilmente di colore. Con i problemi della riforma che infuocavano la Germania, l'imperatore si allontanò da Roma e, con i turchi che imperversavano persino sul litorale laziale, il papa si riavvicinò alla Francia. Carlo V allora, con l’intenzione di rompere la nuova amicizia, propose al papa una lega di tutti gli stati italiani contro i turchi e gli propose di convocare un concilio generale per pacificare la Germania. Clemente VII accolse di buon animo la proposta della lega, ma non accettò la proposta del concilio, temendo di procurare un'arma per i suoi avversari. L’unica cosa che fu disposto a concedere fu un accordo segreto, consacrato con la bolla del 24 febbraio 1533, in cui il papa si impegnava a convocare il concilio a data da destinarsi. Nel 1532 si impadronì, con un'abile manovra di copertura, della repubblica di Ancona: la costruzione a spese pontificie di una fortezza, in posizione dominante sulla città e sul porto, servì come cavallo di Troia per impadronirsi del potere nottetempo e soffocare sul nascere i tentativi di riprendere la libertà perduta. I denari pagati al papa dal cardinale che sarebbe stato il legato pontificio della città servirono a rimpinguare le casse papali depauperate dal sacco di Roma[1]. Nell’autunno del 1533, il papa celebrò le nozze tra la nipote Caterina de' Medici, figlia di Lorenzo II de' Medici, ed Enrico di Valois, secondogenito di Francesco I di Francia, . Clemente VII fu talmente attento alla politica italiana ed europea che trascurò e sottovalutò il movimento protestante, in special modo quello inglese. Enrico VIII non aveva un erede maschio e di questo incolpava la moglie Caterina d'Aragona, la cui unica figlia era la principessa Maria. Dopo numerose relazioni con altrettante dame di corte, si innamorò di Anna Bolena, una delle più belle signore del tempo, ma protestante. Dal 1527 Enrico iniziò a cercare un modo per far annullare il suo matrimonio con Caterina, prendendo come scusa che il matrimonio con la vedova del fratello non poteva essere valido. Per perorare la sua causa Enrico mandò a Roma Thomas More, grande umanista e abile giurista. Nonostante le motivazioni addotte, il papa riteneva impossibile l'annullamento del matrimonio, soprattutto perché l’imperatore Carlo V era nipote di Caterina ed il papa non voleva renderselo nemico. Allora Enrico cominciò ad esercitare pressioni sul papa, arrivando, nel 1529 alla soppressione dell'indipendenza degli ecclesiastici inglesi e ad arrogarsi il diritto di nominare i vescovi. Nel gennaio del 1533 Enrico VIII sposò Anna Bolena e, nel maggio dello stesso anno, il precedente matrimonio con Caterina d'Aragona fu dichiarato ufficialmente nullo dall’Arcivescovo di Canterbury. Dopo alcuni mesi, il 7 settembre 1533 nacque la futura regina Elisabetta, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena. Enrico venne scomunicato ed il papa continuava a ritenere legittimo il solo matrimonio con Caterina. Il re rispose allora con l'Atto di Supremazia, votato dal Parlamento il 3 novembre 1534, che lo dichiarava Re supremo e unico Capo della Chiesa d'Inghilterra, attribuendosi quel potere spirituale che fino a quella data era stato appannaggio esclusivo del pontefice. Chi (come lo stesso Thomas More) rifiutò di accettare con giuramento il provvedimento e di riconoscere il nuovo matrimonio del re con il relativo ordine di successione al trono, fu considerato reo di alto tradimento e punito con morte. Lo scisma era ormai compiuto. Tutti i pagamenti che prima erano versati al papa ora venivano versati alla corona; il Parlamento escluse la principessa Maria dalla successione al trono in favore della figlia di Anna Bolena, nella speranza di un futuro erede maschio. La Bibbia venne tradotta in inglese, ai preti fu permesso sposarsi e le reliquie dei santi vennero distrutte. Tuttavia la religione di Enrico rimase quella cattolica. Nei periodi in cui non dovette dedicarsi alla politica, Clemente VII fu un grande mecenate, con un occhio particolare alla ricerca di uomini particolarmente arguti che lo distraessero durante i pasti. Il 17 dicembre 1524, con la bolla Inter sollicitudines et coram nobis, indisse il IX giubileo. Il papa aprì personalmente la Porta Santa. Ma l'affluenza dei pellegrini fu scarsa a causa delle guerre, del timore dell'avanzata turca e della rivolta dei contadini in Germania. Inoltre, nell'agosto del 1525 si ebbe una nuova epidemia di peste. Il 25 gennaio 1525, concesse un indulto ai Domenicani del Convento di Forlì per celebrare la messa del Beato Giacomo Salomoni ogni volta che, durante l'anno, la loro devozione li spingesse a farlo. Questo indulto è considerato importante nella storia delle celebrazioni ecclesiastiche, tanto da risultare come il più antico citato da Benedetto XIV nel documento De canonizatione[1]. Tornato a Roma dopo la permanenza ad Orvieto, Clemente VII proseguì la sua opera di mecenate: sviluppò la Biblioteca Vaticana, continuò la costruzione della Basilica di S.Pietro, portò a termine i lavori del Cortile di San Damaso e di Villa Madama. Incaricò, inoltre, Michelangelo di affrescare la Cappella Sistina con il Giudizio Universale, seguendone personalmente i lavori. Commentò e fece pubblicare tutte le opere di Ippocrate. Nel 1528 approvò l'Ordine dei Cappuccini e, nel 1530, approvò i Chierici Regolari di San Paolo (detti Barnabiti). Di ritorno dal matrimonio della nipote (1533), Clemente VII si riammalò della malattia che lo aveva colpito nel 1529 e che spesso tornava a visitarlo. Il papa morì a Roma il 25 settembre 1534, a soli 56 anni, dopo aver mangiato l'amanita phalloides (un fungo mortale). Secondo un'altra teoria, suggerita dal divulgatore scientifico canadese Joe Schwarcz, Clemente VII potrebbe essere stato assassinato mettendo dell'arsenico in una candela che il papa avrebbe portato in una processione, inalandone i fumi altamente tossici.[2] Alla sua morte sotto la statua di Pasquino, venne posto un ritratto dell'Archiatra Pontificio Matteo Curti, con l'ironica scritta: «Ecce aqnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi», segno che fu un Papa poco amato dal popolo romano. Era stato un pontificato intensissimo e controverso, segnato dall'onta del Sacco di Roma, durato undici anni. Clemente VII venne sepolto in Santa Maria sopra Minerva. Il suo mausoleo si trova di fronte a quello del cugino Leone X e fu disegnato da Antonio da Sangallo il Giovane.

Paolo III, nato Alessandro Farnese (Canino, 29 febbraio 1468 – Roma, 10 novembre 1549), fu il 220º papa della Chiesa cattolica e il 128° sovrano dello Stato Pontificio dal 1534 alla sua morte. Convocò il Concilio di Trento nel 1545.

Nato come Alessandro Farnese, a Canino, nell'Alta Tuscia Laziale (oggi provincia di Viterbo), era figlio di Pier Luigi Seniore e Giovannella Caetani, discendente dalla famiglia di Gelasio II e Bonifacio VIII. Alessandro era d'intelligenza e modi vivaci, per questo motivo provocò diversi guai alla famiglia. Tuttavia i genitori decisero di avviarlo alla carriera ecclesiastica, pertanto stabilirono che dovesse avere la migliore educazione possibile e già nel 1482 gli procacciarono un posto di Scrittore Apostolico. I suoi precettori furono: l'umanista Pomponio Leto per le lettere antiche, la storia e la cultura classica; lo scienziato Alberto Piglio per le discipline matematiche e scientifiche. Nonostante l'impegno nello studio, la sua vita era fatta di stravizi e bagordi (era amante soprattutto delle donne e del vino) per cui la madre, preoccupata per la carriera futura del figlio, decise di chiudere i cordoni della borsa. Alessandro giurò, allora, vendetta alla madre. Non è dato sapere con precisione cosa avvenne, ma la cosa certa è che finì nelle segrete di Castel Sant'Angelo. Forse Alessandro fece rinchiudere la madre sull'Isola Bisentina per convincerla a fornirgli il denaro di cui necessitava, in ogni caso ella riuscì a far pervenire un messaggio a Papa Innocenzo VIII, che fece arrestare e mettere in prigione il figlio. Alessandro rimase in carcere per un periodo di tempo piuttosto lungo, ma uno zio, dopo aver corrotto una guardia, lo fece evadere. Il Papa non fu entusiasta dell'accaduto, ma decretò solamente che il ragazzo dovesse stare lontano da Roma per un certo periodo di tempo. Per salvare la faccia della famiglia questo allontanamento non doveva sembrare un esilio, così venne colta l'occasione per mandare il giovane a proseguire gli studi presso la corte di Lorenzo il Magnifico, dove poté assistere alle lezioni di Marsilio Ficino, conobbe Pico della Mirandola e incontrò il fior fiore dei rampolli della nobiltà italiana, futuri papi, re, duchi, cardinali, artisti, letterati e poeti. Nel 1489, giudicando la sua cultura completa, Alessandro tornò a Roma con una lettera del Magnifico che gli permise di diventare, nel 1491, Protonotaro apostolico della cancelleria pontificia. La sua nuova posizione e la passione del cardinale Rodrigo Borgia, vice cancelliere pontificio, per sua sorella Giulia, gli aprirono le porte della corte pontificia. L'anno successivo Innocenzo VIII morì e gli succedette Rodrigo Borgia con il nome di Alessandro VI. Nel settembre del 1493 il nuovo Papa elevò alla porpora cardinalizia, come cardinale diacono, Alessandro. Nel 1494, nel castello di Capodimonte morì di malattia suo fratello Angelo e sia lui che Giulia contrassero lo stesso morbo, ma si salvarono grazie a un medico mandato da Alessandro VI. La discesa improvvisa di Carlo VIII in Italia accelerò la caduta dei Medici a Firenze, cosicché, in concistoro segreto, Alessandro ereditò la carica di Legato di Viterbo dal decaduto Giovanni de' Medici, futuro Leone X. Ma il cardinale non bastò a fermare i francesi: la stessa Giulia, in viaggio da Capodimonte a Roma con la suocera, fu presa in ostaggio dalle truppe di Carlo. La cosa peggiore fu, comunque, il voltafaccia degli Orsini, che passarono al soldo dei francesi, cedendo loro la fortezza di Bracciano e quindi l'accesso a Roma. Questa manovra non aveva nulla a che fare col giovane Farnese, ma resta il fatto che la sua famiglia aveva più volte stretto alleanze anche matrimoniali con quella degli Orsini. Però, dopo che il Valois ebbe giurato fedeltà a Papa Borgia, questi volle ricondurre all'obbedienza i feudatari che gli erano stati infedeli. I primi a subire la vendetta del Papa furono proprio gli Orsini, che furono condannati alla confisca dei beni. Il 16 luglio 1496 Alessandro VI rimandò il cardinale a Viterbo, ma dopo soli due mesi nominò il figlio, il Duca di Gandia, console della città. Ormai la stella di Alessandro Farnese sembrava tramontata e così il cardinale decise di rimanere per qualche tempo confinato nelle sue terre. Tuttavia, nel 1499, Alessandro era nuovamente a Roma, giusto in tempo per vedere il pontefice scagliarsi contro la famiglia Caetani, la famiglia di sua madre. I beni dei Caetani vennero incamerati e rivenduti a Lucrezia Borgia per la somma, mai riscossa, di 80.000 ducati. La costanza del Farnese fu ripagata nel 1502, quando venne nominato Legato della Marca anconitana. Lo stesso anno Alessandro conobbe la donna sconosciuta, probabilmente Silvia Ruffini, che gli dette i quattro eredi, due dei quali legittimati dal pontefice Giulio II, Pier Luigi e Paolo, e due mai legittimati, Costanza e Ranuccio. Alla morte di Alessandro VI (1503), il Farnese tornò a Roma per partecipare al conclave da cui uscì papa papa Pio III Piccolomini, ma non passò molto che si dovette procedere all'elezione di un nuovo pontefice: Giulio II Della Rovere. Costui reintegrò nei propri feudi i Caetani e riammise al favore papale gli Orsini e i Colonna. Un altro passo importante fu il matrimonio tra il nipote del Papa, Nicola Della Rovere, e la figlia di Giulia Farnese, Laura Orsini. Tale matrimonio rafforzò i legami di amicizia tra Alessandro e Giulio II, che presto si trasformarono in concessioni sempre più importanti per la famiglia. Il cardinale lasciò la legazione delle Marche nel 1509. Al suo ritorno a Roma lo aspettavano la diaconia di Sant'Eustachio, una delle più ricche parrocchie di Roma, e la nomina a vescovo di Parma. L'acquisto del castello di Vico risale proprio a questo periodo. Nel 1510 Alessandro fu colpito dal primo lutto: moriva il secondogenito Paolo. L'11 marzo 1513 salì al soglio di Pietro Giovanni Medici, che assunse il nome di Leone X. Fu proprio il Farnese che, in qualità di decano dell'ordine dei cardinali diaconi, annunciò alla folla l'elezione del Medici, vecchio amico dei tempi di Firenze, e che il giorno dell'incoronazione gli posò la tiara sulla testa. Il 15 marzo, a 46 anni, lo stesso Alessandro fu ordinato prete e il 6 marzo del 1514 fu consacrato arcivescovo di Benevento[1]. Il nuovo pontefice trasformò in vicariato perpetuo i privilegi accordati dai suoi predecessori del secolo precedente sui feudi di Marta, Capodimonte, Canino e Gradoli. In questo anno iniziò anche la costruzione di Palazzo Farnese a Roma. Gli anni successivi passarono tra la corte di papa Medici e i possedimenti farnesiani con lo scopo di rendere sempre più potente la famiglia. Nel 1519 il primogenito, Pier Luigi, sposò Gerolama Orsini, figlia del Conte di Pitigliano; da questa unione, nel 1520, nacque un altro Alessandro, destinato a diventare cardinale e a proseguire i fasti della famiglia nella Città Eterna. Il 1º dicembre 1521 moriva Leone X, così Alessandro Farnese, grazie all'accordo col cugino del defunto Papa, il cardinale Giulio de' Medici, tentava la scalata alla tiara pontificia. L'ostinazione del cardinale Pompeo Colonna, acerrimo nemico dei Medici e degli Orsini, parenti del Farnese, portò all'elezione di un Papa straniero: il vescovo di Tortosa Adriano VI, un olandese già precettore di Carlo V, ma che i romani chiamavano barbaro. Adriano VI morì pochi mesi dopo la sua elezione, il 14 settembre 1523. Gli elettori si trovavano di nuovo in un'impasse che Alessandro pensava di poter sfruttare dato che il Colonna stavolta non gli si sarebbe opposto. Ma, con suo grande disappunto, il Medici propose un Orsini, e il Colonna, pur di non permettere che un suo nemico fosse eletto papa, si accordò col Medici e lo appoggiò per la sua elezione. Giulio de' Medici, già vescovo di Bitonto (cosa che lo accomuna proprio al futuro Paolo III, vescovo della città pugliese dal 1530 al 1532), venne eletto il 19 novembre con il nome di Clemente VII. La primavera successiva morivano i cardinali vice decano e decano del Sacro Collegio, aprendogli così la strada per quell'ambita carica. Il nuovo Papa, per consolare Alessandro della delusione, consolidò la sua antica amicizia con lui e lo consultava in ogni occasione dovesse trattare affari di stato. Nel 1524 moriva Giulia la Bella, artefice delle prime fortune di Alessandro. I figli del cardinale, che sembravano destinati a una vita di agi e di ozio, furono mandati al servizio della Serenissima Repubblica di Venezia per poter effettuare il loro apprendistato militare. Ma, mentre Ranuccio restava fedele al papa, Pier Luigi passò alle dipendenze di Carlo V e fu tra i primi a entrare in Roma alla testa delle truppe imperiali. Pose il suo quartier generale a Palazzo Farnese, che fu così risparmiato dal saccheggio e dalle devastazioni. Dopo il ritiro dei lanzichenecchi, Pier Luigi non seguì gli imperiali, ma rimase nelle campagne romane al comando di una banda di tagliagole, depredando e taglieggiando chiunque gli capitasse a tiro. A causa del suo comportamento Papa Clemente lo scomunicò, ma suo padre lo convinse a fare ammenda dei propri torti e a tornare a offrire la sua spada all'Imperatore. Nel 1529, alla morte di Ranuccio in Puglia, Clemente VII tolse l'anatema che aveva pronunciato su di lui. Dopo questi fatti Pier Luigi si ritirò nei domini di famiglia. Il Papa vedeva nel Farnese il solo uomo in grado di proseguire il suo lavoro, pertanto, sentendo la salute vacillare, cercava di prepararsi la successione. Quando Clemente VII morì, il conclave durò solo 24 ore. Era il 13 ottobre 1534. Un nuovo Concilio ecumenico fu convocato dapprima a Mantova, poi a Vicenza e infine a Trento - città scelta dal pontefice perché si trovava a metà strada tra Roma e la Germania e sede di un principato vescovile appartenente all'Impero germanico - con la bolla Laetare Jerusalem per il 2 novembre 1542, ma per lo scarsissimo concorso di prelati fu sospeso il 6 luglio del 1543; venne riconvocato l'anno dopo, il 19 novembre 1544. Gli stati protestanti tedeschi respinsero aspramente l'invito; Lutero sfogò nuovamente il suo astio verso il papato nello scritto "Contro il papato di Roma, fondato dal diavolo". Nonostante la tanto attesa convocazione del Concilio, probabilmente a causa del rifiuto protestante di parteciparvi, Carlo V si risolse all'uso delle armi. Come alleati egli aveva guadagnato, oltre suo fratello, re Ferdinando, il duca Guglielmo IV di Baviera, alcuni principi protestanti (tra cui il duca Maurizio di Sassonia), e lo stesso pontefice Paolo III, il quale, in cambio, era riuscito a ottenere l'apertura del Concilio. Il momento sembrò opportuno al Pontefice anche per acquisire per suo figlio Pier Luigi i ducati di Parma e Piacenza. Anche se questi appartenevano agli Stati Pontifici, Papa Paolo pensò di avere la meglio sulla riluttanza dei cardinali scambiando i ducati coi meno preziosi domini di Camerino e Nepi. L'imperatore accettò a causa della prospettata ricompensa di 12.000 unità di fanteria, 500 cavalieri e una considerevole quantità di denaro. Il 17 agosto 1545 Paolo III erigeva il Ducato di Parma e Piacenza in favore del figlio Pier Luigi, del nipote Ottavio e dei loro discendenti maschi e legittimi per ordine di primogenitura. I soldati promessi da Paolo III furono inviati all'imperatore sotto il comando di Ottavio Farnese. La “guerra smalcaldica” ebbe uno sviluppo molto celere, l'imperatore sconfisse e sciolse definitivamente la Lega nell'aprile del 1547: con questa vittoria l'astro Carlo V fu più rilucente che mai. Ma in realtà il Protestantesimo era vinto solo come organizzazione politico-militare, non come potenza religiosa. L'apertura del Concilio (durato complessivamente 18 anni, con due prolungate interruzioni) era stata fissata per la primavera del 1545, ma a causa di nuove difficoltà essa poté celebrarsi solo nella terza domenica d'avvento (13 dicembre) nel duomo della città. Esso non ebbe particolare influsso sullo sviluppo del protestantesimo come tale e non ebbe nessuna azione conciliativa con la nuova confessione, ma si pose in chiara azione anti-protestante. I protestanti, che avevano rifiutato l'invito alla partecipazione, convocarono, nella primavera del 1545 un proprio Concilio a Worms, dove rivendicarono la propria autonomia religiosa dalla Chiesa di Roma, e, per quanto riguardava la dottrina e la disciplina, dichiaravano piena libertà di decisione. Ma il luogo del Concilio non era gradito a Roma. In curia si era accettata controvoglia la scelta di una città dell'impero germanico; più volte si tentò anche di trasferire il concilio in una città più vicina a Roma, ma si dovette rinunciare all'idea per l'opposizione dell'imperatore. L'occasione giunse nel febbraio 1547 quando un preoccupante morbo epidemico (febbre petecchiale), scoppiato a Trento, mise in grave situazione i Legati papali per la partenza di molti prelati italiani, principali sostenitori del papa. Prima che il guaio fosse irreparabile i Legati decisero, con la maggioranza di due terzi del Concilio, di trasferire l'assise a Bologna; il papa confermò il trasferimento. Ma quattordici prelati di tendenze imperiali si fermarono a Trento, e lo stesso Carlo V fu estremamente indignato della traslazione, perché una comparsa dei protestanti tedeschi, ch'egli proprio allora aveva assoggettato alla sua forza in una città dello Stato Pontificio, non era proprio pensabile. Perciò egli insistette con ogni energia perché il Concilio fosse riportato a Trento. Ma, mentre a nord delle Alpi l'imperatore era stato strumentale al recupero della Germania al Cattolicesimo romano, il Papa si distaccò da lui poiché l'imperatore stesso si era tenuto distante nella questione del riconoscimento di Parma e Piacenza a Pier Luigi, e la situazione giunse a una rottura totale quando il vice-reggente imperiale, Ferrante I Gonzaga, procedette all'espulsione forzata del figlio del Papa. Il duca venne assassinato a Piacenza e Paolo III credette che ciò non potesse essere accaduto all'insaputa dell'imperatore. La situazione si era, comunque, ancora più inasprita per una violentissima protesta dell'imperatore (gennaio 1548) e per il suo agire arbitrario presso la Dieta di Augusta, dove aveva fatto emanare un provvedimento provvisorio, il cosiddetto Interim del 30 giugno 1548. Questo documento, tanto dal lato dottrinale come da quello disciplinare, era sostanzialmente cattolico, però concedeva ai protestanti il matrimonio dei preti e il calice ai laici fino a una decisione definitiva del concilio. Della restituzione dei beni ecclesiastici sequestrati non si faceva parola. Il papa ne fu scontentissimo perché vi vedeva un'ingerenza indebita dell'imperatore nella sfera dei diritti ecclesiastici. Per questo agire arbitrario di Carlo V, a cui si aggiungeva la morte di Francesco I che privava il pontefice di un forte alleato, e per l'ostinazione di Ottavio che si era ripreso il Ducato di Parma e Piacenza, il 13 settembre 1549 (due mesi prima della sua morte), Paolo III sospese il concilio. Dopo quindici anni di densissimo pontificato che l'avevano visto protagonista delle vicende europee non solo religiose, in conseguenza di un violento alterco a questo riguardo con il cardinal Farnese, il Papa, a ottantun anni d'età, ne venne così agitato da cadere in una malattia per la quale morì. Paolo III si spense a Roma il 10 novembre 1549. Fu sepolto nella basilica di San Pietro. Il 18 febbraio 1546 era morto anche Martin Lutero. Paolo III, forse unico fra i papi del suo tempo ad aver seriamente compreso la portata e le conseguenza di tale Riforma, è ancora oggi considerato un grande pontefice. Paolo III fu uno dei più grandi mecenati del Rinascimento italiano. Accordò protezioni a dotti e letterati, fece costruire e restaurare cappelle, chiese e grandi monumenti romani, promosse un grandioso sviluppo edilizio di Roma, abbellendola con nuove vie e fontane, spendendo cifre astronomiche per migliorarne la viabilità. La moneta detta giulio, dopo di lui, prese a chiamarsi paolo. Prima ancora dell'elezione al soglio pontificio riuscì ad accumulare quella che oggi è conosciuta come collezione Farnese. Fu amante dell’astrologia ed ebbe maghi e veggenti tra i cortigiani, che consultava di sovente per ogni piccola cosa, ad esempio per decidere l’ora di una partenza o la data di un Concistoro[2]. Tra i protagonisti di questa stagione, il più grande fu Michelangelo, ritornato a Roma nel 1534 e fermatovisi fino alla morte avvenuta trent'anni dopo. All'artista nel 1534 Paolo III commissionò il Giudizio Universale. In séguito gli affidò molti altri incarichi, tra cui quello di sovrintendente a vita ai lavori della Basilica Vaticana e la realizzazione di Piazza del Campidoglio.

Giulio III, nato Giovanni Maria Ciocchi del Monte (Monte San Savino, 10 settembre 1487 – Roma, 23 marzo 1555), fu il 221º papa della Chiesa cattolica e il 129º sovrano dello Stato Pontificio dal 1550 alla morte.

Come Papa, Giulio III è ricordato più dagli storici dell'architettura e dagli amanti dell'arte, che dai teologi. Nominò Marcello Cervini, futuro papa Marcello II, bibliotecario vaticano, Michelangelo Buonarroti, capo degli architetti della fabbrica di San Pietro ed il compositore Giovanni Pierluigi da Palestrina, maestro di cappella della basilica vaticana. Inoltre potenziò la Biblioteca Vaticana e l'Università La Sapienza di Roma. Ultimo dei pontefici dell'alto Rinascimento, era il secondogenito di un famoso giurista, Vincenzo Ciocchi del Monte, e di Cristofora Saracini. Fu educato, secondo i dettami dello zio cardinale Antonio Maria Ciocchi del Monte, in un prestigioso oratorio presso il Laterano, dove ebbe come tutore il noto umanista Raffaele Lippo. Seguendo le orme del padre, in seguito, studiò giurisprudenza nelle Università di Perugia e di Siena. Quando, dopo la laurea, fu avviato alla carriera ecclesiastica, studiò teologia sotto il domenicano Ambrosius Catharinus e, nel 1513 succedette a suo zio come arcivescovo di Siponto (Manfredonia) in Puglia. Nel 1521 aggiunse anche la diocesi di Pavia. Durante il Sacco di Roma del 1527, fu uno degli ostaggi dati da Clemente VII alle forze dell'imperatore, e avrebbe potuto restare ucciso assieme agli altri a Campo de' Fiori, se non fosse stato liberato in segreto dal cardinale Pompeo Colonna. Fu creato cardinale prete nel concistoro del 22 dicembre 1536 da Paolo III, il giorno successivo ricevette la berretta rossa ed il 15 gennaio 1537 ricevette il titolo di San Vitale. Nel 1545 fu inviato, insieme a Reginald Pole e a Marcello Cervini (il futuro papa Marcello II), come Legato Pontificio al Concilio di Trento, di cui aprì la prima sessione. Il loro compito era quello di scegliere gli argomenti di discussione e di sorvegliare i dibattiti. Al concilio fu il capo del partito pontificio in contrasto con quello imperiale. Nel 1547 fu l'artefice della decisione di trasferire il concilio a Bologna. Gian Maria Ciocchi del Monte fu eletto Papa con il nome di Giulio III il 7 febbraio 1550 e fu incoronato nella basilica patriarcale vaticana il 22 febbraio dal cardinale Innocenzo Cybo, protodiacono di Santa Maria in Domnica. Numerose furono le voci sfavorevoli all'elezione di Giulio III, perché sospettato di essere omosessuale; in tal senso fu preso di mira da numerose pasquinate. Girolamo Muzio scrive nel 1550 in una lettera a Ferrante Gonzaga: « Hor di questo nuovo papa universalmente se ne dice molto male; che egli è vitioso, superbo, rotto et di sua testa[1] » dove rotto significherebbe "omosessuale". Quando Giulio III nominò cardinale il diciassettenne Innocenzo Del Monte (1532-1577), la voce che il papa avesse nominato cardinale il suo presunto amante suscitò un certo pettegolezzo tra i cardinali romani e nelle corti europee[2]. Il poeta francese Joachim du Bellay scrisse un componimento sul fatto, che recita: « Ma vedere uno staffiere, un bambino, una bestia, un furfante, un poltrone diventare cardinale, e per aver saputo accudire bene a una scimmia, un Ganimede avere il rosso [cappello cardinalizio] in testa questi miracoli, Morel, accadono solo a Roma[3] » Come ringraziamento per l'appoggio dei Farnese, Ottavio, nipote di Paolo III, venne immediatamente confermato come duca di Parma e suo fratello Orazio venne confermato nel Ducato di Castro. Entrambi conservarono le loro cariche, rispettivamente, di Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa e di prefetto di Roma. Il 24 febbraio 1550 inaugurò, con l'apertura della Porta Santa della basilica di San Pietro, il X Giubileo, indetto da Paolo III, con la Bolla Si pastores ovium, e che si concluse il giorno dell'epifania del 1551. Per favorire i pellegrini, riportò in vigore le disposizioni sul blocco dei fitti e sulla regolazione del mercato alimentare. L'afflusso dei pellegrini fu seguito da San Filippo Neri e dalla Confraternita della Santa Trinità. Nel concistoro del 28 febbraio 1550, stabilì delle regole per combattere il nepotismo e gli abusi della Chiesa. In questo concistoro negò la berretta a Pietro Aretino, che si aspettava una nomina data per sicura e tramontata con la morte di Paolo III. Ma solo quattro mesi dopo si ebbe uno dei fenomeni nepotistici più scandalosi: la nomina a cardinale del nipote adottivo, l'allora sedicenne Innocenzo del Monte (1532 - 1577), che nominò anche segretario di Stato. Innocenzo del Monte dopo l'ordinazione a cardinale commise un omicidio plurimo. Assassinò due protettori con i quali ebbe un diverbio; era solito frequentare meretrici; venne arrestato perché si trovarono due di esse nella sua carrozza e fu appurato che avevano passato con lui, in casa sua, sia la quaresima che la settimana santa. Circolò anche voce a Roma che ebbe tutti questi privilegi da Papa Giulio III, fino a diventare uno dei cardinali più ricchi di Roma, perché fosse suo amante; così testimoniano l'ambasciatore veneto Matteo Dandolo e Onofrio Panvinio[4][5]. Contro tale nomina protestarono i cardinali più sensibili alla necessità di riforma dei costumi della Chiesa. Per i protestanti, comunque, non c'erano dubbi sulle motivazioni della nomina. In ogni caso, Innocenzo si rivelò uno dei peggiori cardinali che la Chiesa abbia mai avuto: rimasto senza guida alla morte del pontefice, fu coinvolto in una serie di fattacci e fu esiliato da molti dei pontefici successivi. Il 21 luglio 1550, inoltre, Giulio III diede una seconda definitiva approvazione alla fondazione della Compagnia di Gesù (i Gesuiti) nella bolla pontificia Exposcit debitum e, nel 1552, li incitò a fondare il Collegio Romano e il Collegio Germanico, destinato all'educazione dei giovani prelati tedeschi nella riforma della Chiesa in Germania. Nel 1550 concesse alla sorella Giacoma (moglie del perugino Francia Della Corgna) il feudo di Castiglione del Lago e del Chiugi, convertito nel 1563 in marchesato per i nipoti Ascanio della Corgna e il cardinale Fulvio Giulio della Corgna: il palazzo castiglionese, progettato da Galeazzo Alessi su disegni del Vignola, fu prestigiosa sede di cenacoli letterari, frequentati da artisti e dotti, tra cui il poeta Cesare Caporali e lo scrittore politico Scipione Tolomei. Nel periodo dal 1551 al 1553, Giulio III fece costruire sulla via Flaminia Villa Giulia, opera a cui lavorarono l'Ammannati, il Vignola e il Vasari Il complesso della villa, in cui il Papa poteva dar sfoggio di lusso e sfarzo tali da sconvolgere le idee riguardanti la decenza ecclesiastica, si articola su due cortili separati da un ninfeo, che originariamente era un vero e proprio teatro d'acque. Internamente la villa è riccamente decorata con affreschi, stucchi, marmi policromi e statue. Tra le altre opere, sul soffitto di un portico è affrescato un pergolato ricoperto da viti, dove dei putti giocano con i rispettivi genitali. Joachim du Bellay il poeta francese al seguito del cardinale du Bellay, espresse la sua opinione scandalizzata in due sonetti della serie Les regrets (pubblicati dopo la scomparsa del Papa, nel 1558). Dopo la morte del Papa, la villa fu ereditata dal fratello Baldovino, ma, alla sua morte avvenuta nel 1557, fu confiscata da Paolo IV. Su richiesta dell'imperatore Carlo V, fece riaprire il Concilio di Trento sospeso da Paolo III nel 1548. La bolla di convocazione fu emanata il 14 novembre 1550 ed il concilio fu aperto ufficialmente il 1º maggio 1551. Per rendere più comodo il viaggio dei prelati verso Trento, per la prima volta furono usate carrozze dotate di cinghie di cuoio con funzione di ammortizzatore. In questo periodo Giulio III si imbarcò anche nella Guerra di Parma, decisione per cui i prelati francesi non intervennero al concilio. Tuttavia erano presenti, per la Germania, gli arcivescovi elettori di Magonza, Treviri e Colonia. Vennero ripresi i lavori da dove erano stati abbandonati nel 1548 e vennero pubblicati i decreti sull'Eucaristia, sulla Penitenza, sull'Estrema Unzione e quelli riguardanti l'esercizio dell'autorità vescovile, i costumi del clero e la collazione dei benefici. Grazie all'intervento dell'Imperatore, dall'ottobre 1551 al marzo 1552, si presentarono anche alcuni inviati dei protestanti tedeschi: del principe elettore Gioacchino II di Brandeburgo, del duca Cristoforo del Württemberg, di sei importanti città imperiali della Germania Superiore e del principe elettore Maurizio di Sassonia. Tuttavia le trattative con loro non approdarono a nulla, perché furono poste condizioni inaccettabili, quali la sospensione e la ridiscussione di tutti i decreti già emanati, il rinnovamento dei decreti di Costanza e Basilea sulla superiorità del concilio sul Papa, e lo scioglimento dei membri del concilio dal giuramento di obbedienza al Papa. Il 28 aprile 1552, però, il concilio venne sospeso a causa dell'inasprirsi del conflitto tra Carlo V e Enrico II di Francia, che minacciava di trasformarsi in una guerra generale. Verrà riaperto dieci anni dopo. Poco prima dell'apertura dei lavori conciliari, Giulio III si fece trascinare dall'Imperatore in una guerra contro i Farnese, che, nonostante fossero sempre stati leali servitori dei pontefici, vedendo il territorio di Parma invaso dalle truppe di don Ferrante I Gonzaga, si erano alleati con la Francia. Il risultato fu che casa Farnese uscì dall'orbita imperiale e papale per entrare in quella francese. Don Ferrante I Gonzaga, governatore di Milano per conto dell'imperatore, occupò Brescello, zona d'influenza del cardinale Ippolito II d'Este, filofrancese, e si preparò ad assediare Parma. Orazio Farnese, aiutato anche dalle truppe francesi, fu battuto nei pressi di Mirandola, per cui Enrico II ordinò al generale Brissac di invadere il Piemonte. Questa manovra costrinse il Gonzaga ad alleggerire la pressione sul Ducato di Parma (settembre 1551) e fece sentire al pontefice il peso maggiore della guerra. Nel 1551 Giulio III inviò il nipote Gian Battista Del Monte ad assediare Mirandola, tenuta da un piccolo nucleo di francesi, comandati da Piero Strozzi ma l'assedio terminò il venerdì santo del 1552, con la morte del nipote.[6]. Giulio III cercò allora di riavvicinarsi alla Francia, ma le trattative furono rotte dalle eccessive pretese di Enrico II. Tuttavia, quando il Papa si accorse che l'imperatore era in gravissime difficoltà, i negoziati furono ripresi e, il 29 aprile 1552, si arrivò ad un accordo. Tale accordo stabiliva una tregua di 2 anni, trascorsi i quali Ottavio Farnese poteva accordarsi col Papa come meglio credeva, e la restituzione del Ducato di Castro ai 2 cardinali Farnese. All'imperatore vennero concessi 11 giorni per accettare l'accordo. Carlo V ratificò l'accordo il 10 maggio Nel 1555 Giulio III accettò la richiesta di Maria la Cattolica, a cui mandò come legato il cardinale Reginaldo Pole, di abrogare l'Atto di Supremazia inglese. In questo modo l'Inghilterra riabbracciò la fede cattolica, ma fu solo una tregua. Con l'ascesa al trono di Elisabetta I, infatti, il distacco della Chiesa inglese da Roma divenne definitivo. Giulio III, che soffriva di gotta da molto tempo, morì a Roma il 23 marzo 1555. La sua tomba si trova nelle Grotte Vaticane.

Papa Marcello II Marcello II, nato Marcello Cervini degli Spannocchi (in latino: Marcellus II; Montefano, 6 maggio 1501 – Roma, 1º maggio 1555), fu il 222º papa della Chiesa cattolica e 130° sovrano dello Stato Pontificio.

Venne eletto Papa per acclamazione dopo un conclave brevissimo il 9 aprile 1555 e consacrato il giorno seguente: morì dopo nemmeno un mese di pontificato. Al giorno d'oggi, è l'ultimo papa ad avere usato come nome papale il suo nome di battesimo. Papa Marcello II nacque a Montefano, sebbene la sua famiglia fosse originaria di Montepulciano. Sua sorella, Cinzia Cervini, fu la madre di san Roberto Bellarmino, cardinale e Dottore della Chiesa. Godeva di un'alta reputazione per la sua integrità morale e per le sue grandi doti spirituali. Nel 1539 fu nominato vescovo di Nicastro, ma si dimise poco meno di un anno dopo. Il 24 settembre 1540 fu eletto vescovo di Reggio Emilia. Nel 1544 fu eletto vescovo di Gubbio. Durante il Concilio di Trento si mise in luce per il suo acume e le sue spiccate capacità intellettuali, tanto da essere elevato alla porpora cardinalizia. Fu chiamato anche alla Segreteria di Stato e alla Presidenza del Concilio. Quando si trattò di scegliere il nome che avrebbe assunto da Pontefice, il cardinal Cervini confermò il suo nome di battesimo a voler significare che il prestigio della carica cui era stato chiamato dal Sacro Collegio non avrebbe minimamente influito sulla sua persona e sui suoi comportamenti futuri i quali sarebbero comunque stati improntati ad alta moralità e spiritualità. Papa Marcello volle, infatti, che anche la cerimonia dell'incoronazione avesse un tono dimesso e umile e privo di festeggiamenti, devolvendo ai poveri il danaro stanziato dalla Curia per i riti previsti dal protocollo dell'elezione papale. Generò grandi aspettative tra coloro che auspicavano l'elezione di un papa che riportasse un poco di moralità nella corte pontificia dopo le tristi esperienze dei suoi più immediati predecessori. Era talmente antinepotista da vietare ai parenti di andare a Roma ed era intenzionato a non farsi coinvolgere dalla politica, intendendo il suo ministero tutto proteso ad avvicinare i popoli, ritenendosi il pastore delle genti. La sua elezione, insomma, apriva il cuore dei cattolici a grandi speranze di riforma. Ma queste aspettative andarono immediatamente deluse, poiché papa Marcello, poco più di venti giorni dopo la sua elezione, morì. Forse per un colpo apoplettico o forse per una piaga segreta a una gamba di natura maligna. Fece appena in tempo ad impartire ordini per un'impostazione severa e morigerata della vita di corte. Fu sepolto nelle grotte vaticane in un semplice sarcofago paleocristiano, così come egli desiderava. Giovanni Pierluigi da Palestrina, uno dei massimi musicisti dell'epoca, compose per lui una delle pagine più alte della musica polifonica, un vero capolavoro, la cosiddetta "Missa Papae Marcelli". Il suo successore fu Paolo IV.

Paolo IV, al secolo Gian Pietro Carafa (in latino: Paulus IV; Capriglia Irpina, 28 giugno 1476 – Roma, 18 agosto 1559), fu il 223º papa della Chiesa cattolica e il 131º sovrano dello Stato Pontificio dal 1555 alla morte.

Nacque a Capriglia Irpina (ora in provincia di Avellino) da Giovanni Antonio dei conti Carafa della Stadera, una delle più nobili famiglie del Regno di Napoli, e da Vittoria Camponeschi, figlia di Pietro Lalle, ultimo conte di Montorio; suo mentore fu un parente, il potente cardinale Oliviero Carafa, che lo introdusse nella Curia romana quale cameriere pontificio alla corte di Alessandro VI nel 1500, per poi divenire, sotto Giulio II, protonotario apostolico nel 1503 ed essere eletto vescovo di Chieti nel 1505. Sotto il pontificato di Leone X fu ambasciatore in Inghilterra e in Spagna, e nel 1518 venne trasferito alla sede arcivescovile di Brindisi. Nel 1524, Clemente VII permise a Carafa di rinunciare ai suoi benefici e di entrare nell'Oratorio del Divino Amore, a Roma: qui conobbe Gaetano di Thiene, con cui decise di fondare l'ordine dei Chierici Regolari Teatini (dal nome latino della città di Chieti, Teate). Dopo il sacco di Roma del 1527, l'ordine si trasferì a Venezia. Carafa però venne richiamato a Roma da Paolo III per sedere nel comitato di riforma della Corte papale, che nel 1537 produsse un importante ed inattuato documento, il Consilium de Emendanda Ecclesia. Nel dicembre 1536 venne creato cardinale e nel 1537 gli venne nuovamente affidato il governo della Chiesa di Chieti, che nel frattempo era stata elevata a sede metropolitana: nel 1549 venne trasferito alla sede di Napoli. Affidò il governo delle sue diocesi ad ausiliari e rimase prevalentemente presso la Curia romana, dove si distinse per la sua intransigenza sia nei confronti delle idee protestanti che delle istanze delle correnti riformiste interne alla Chiesa. Si dedicò a riorganizzare i tribunali dell'Inquisizione che erano allora gestiti dalle singole diocesi, essendo stato nominato prefetto della Congregazione del Sant'Uffizio, con il compito di coordinarne l'azione; fu anche promotore dell'Indice dei libri proibiti, promulgato il 30 dicembre 1558, e pubblicato all'inizio del 1559. Nel 1553 divenne decano del Sacro Collegio. Il 30 aprile 1555, dopo soli ventuno giorni di pontificato, morì a Roma Marcello II; il 15 maggio successivo, i cinquantasei cardinali del Sacro Collegio si riunirono nuovamente per eleggere il successore; e nel conclave egli fu eletto papa e scelse il nome di Paolo IV. Di carattere rigido, severo e inflessibile, acerrimo nemico dell'imperatore Carlo V, Paolo IV espropriò i Colonna e fece guerra al regno di Napoli, alleandosi con Enrico II di Francia, che inviò un corpo di spedizione in Italia comandato dal duca di Guisa. La guerra (settembre 1556-settembre 1557), parallela al conflitto tra Francesi e Spagnoli nelle Fiandre conclusosi con la disfatta francese nella battaglia di San Quintino, ebbe esito disastroso, al punto che le truppe del duca d'Alba, viceré di Napoli, giunsero alle porte di Roma e si temette un nuovo sacco della città come nel 1527, e si concluse con la pace di Cave, che inaugurò una svolta nella politica pontificia favorevole a Filippo II di Spagna. Come altri pontefici rinascimentali e come era divenuto usanza, Paolo IV non mostrò ritrosia nel promuovere familiari a cariche onorifiche, in particolare i nipoti: Carlo Carafa fu nominato cardinal nepote e Giovanni Carafa capitano generale della Chiesa e duca di Paliano; altri parenti ebbero favori e tenute, spesso sottratte a chi sosteneva gli spagnoli. Ad ogni modo, verso la fine del pontificato, il Papa svergognò in pubblico i nipoti e li bandì dalla Corte. Il pontificato di Paolo IV ebbe un'importanza fondamentale nello sviluppo dell'Inquisizione Romana, fondata da Paolo III nel 1542, proprio con l'allora cardinal Carafa come commissario generale. Già da tempo il cardinal Carafa si era distinto nella lotta all'eresia protestante, sia per quel che riguarda la politica riformatrice (vedasi il già citato documento Consilium de Emendanda Ecclesia) sia soprattutto per la sua opera di repressione della diffusione dell'eresia. Durante i pontificati di Paolo III e Giulio III la sua forte personalità si impose su quelle degli altri cardinali membri della Congregazione del Sant'Uffizio, dando un importante e decisivo contributo alla sua strutturazione durante gli anni '40 e '50. Quando nel 1555 Marcello II morì, si presentò l'occasione per Carafa di prendere personalmente in mano la guida della Chiesa per poter continuare e dare ancora più forza alla sua politica antiprotestante: il rafforzamento dell'Inquisizione continuò e la fermezza di Paolo IV implicò che pochi potessero ritenersi al sicuro, in virtù della sua spinta a riformare la Chiesa e combattere l'eresia; i cardinali che gli erano invisi potevano anche venire imprigionati. Già nel periodo in cui presiedeva la Congregazione del Sant'Uffizio, il cardinale Carafa aveva promosso e in parte anche condotto processi per eresia che coinvolsero grandi personalità della Chiesa di allora. Particolare attenzione fu rivolta al circolo dei cosiddetti Spirituali, presenti all'interno della Chiesa, che sostenevano tesi vicine a quelle dei protestanti; tra questi erano Giovanni Morone e Vittore Soranzo. Si erano raccolti corposi, per così dire, dossier anche su diversi cardinali che invece non furono mai processati, come Reginald Pole, per la contrarietà di Giulio III ad una politica così repressiva verso i vertici della Chiesa. Una volta diventato papa nulla più impediva il suo progetto di "pulizia" tra le alte personalità della cattolicità, che riprese riaprendo vecchi processi e inaugurandone di nuovi. Uno dei vescovi che si trovò a dover affrontare un secondo processo fu il vescovo di Bergamo Vittore Soranzo[1], già condannato una prima volta e che aveva da anni perso ogni potere nella sua diocesi, sostituito da un vicario nominato dal Sant'Uffizio. Non sono ben chiari i contorni di questo secondo processo del 1556-1557, per via della carenza di fonti, ma sappiamo che Soranzo, richiamato più volte a Roma non si poté presentare perché gravemente ammalato. Morirà infatti il 13 maggio 1558, pochi giorni dopo la conclusione del processo, che lo aveva condannato alla privazione del vescovado. Il processo a Vittore Soranzo fu probabilmente il preludio a un processo molto più importante, quello contro Giovanni Morone[2], che già da anni era nei progetti di Carafa e che ora poteva finalmente attuare. Morone fu arrestato nel 1557 e fu ripetutamente interrogato dai cardinali del Sant'Uffizio (fra cui figurava anche il cardinal Michele Ghislieri, futuro papa Pio V) durante i suoi due anni di prigionia a Castel Sant'Angelo. Nonostante Paolo IV premesse per una condanna rapida del cardinale "riformato", egli non riuscì a vedere la fine del processo, che si concluse nel 1560 con la liberazione di Morone da parte di Pio IV in seguito a forti pressioni da parte di Filippo II di Spagna. Non furono solo queste importanti personalità, protagoniste della corrente "moderata" e "riformata" del cattolicesimo cinquecentesco ad essere processate durante il pontificato di Paolo IV: la sua fu infatti un'operazione molto più estesa e capillare. Solo per citare alcuni altri vescovi inquisiti: Alberto Duimio, vescovo di Veglia, Andrea Centanni, vescovo di Limassol, Pietro Antonio Di Capua, arcivescovo di Otranto ed Egidio Foscarari, vescovo di Modena. Il 12 luglio 1555 emise la bolla Cum nimis absurdum, la quale, oltre a una nuova serie di vincoli e limitazioni, istituiva a Roma il ghetto già presente in altre città europee; gli ebrei vennero quindi costretti a vivere reclusi in una specifica zona del rione Sant'Angelo. Anche in altre città dello stato pontificio gli ebrei furono rinchiusi in ghetti e obbligati a portare un copricapo giallo, per essere immediatamente individuati.[3] Inoltre Paolo IV inviò ad Ancona due commissari straordinari, Giovanni Vincenzo Falangonio e Cesare della Nave con l'ordine di arrestare e processare tutti gli ebrei apostati. I marrani imprigionati furono sottoposti ad un processo dal tribunale dell'Inquisizione e alcuni furono condannati al rogo (altri furono condannati sui remi delle galee a vita): dopo essere stati torturati, venticinque marrani furono bruciati ad Ancona tra marzo e giugno del 1556[4]. Nel 1559 la Congregazione del Sant'Uffizio emanò il primo Indice dei libri proibiti valido per tutta la cristianità (anche se in effetti non fu considerato valido nei territori sottoposti all'Inquisizione Spagnola, che già da tempo aveva i propri Indici). Le proibizioni erano divise in tre classi: la prima comprendeva una serie di autori la cui produzione era proibita in toto, la seconda una serie di titoli, la terza tutti i volumi che non recassero indicazioni tipografiche, che non avessero ricevuto il permesso ecclesiastico e tutti i libri di astrologia e magia. In tutto, considerando anche errori e sviste, l'Indice comprendeva 904 titoli, e condannava in toto anche Erasmo da Rotterdam, nonostante fosse un autore cattolico. All'indice era allegata una lista di 45 edizioni di Bibbie e Nuovi Testamenti proibiti, nonché di editori messi al bando. Questo primo indice promulgato sotto Paolo IV (detto quindi paolino) è estremamente più severo dei suoi successori, a partire da quello promosso da papa Pio IV (detto invece tridentino, poiché discusso durante il Concilio di Trento). Alla sua morte fu sepolto nella Basilica di San Pietro in Vaticano; le sue spoglie furono in seguito traslate a Santa Maria sopra Minerva. L'aver sviluppato l'Inquisizione gli portò il rancore del popolo romano, che all'indomani della sua morte, ne decapitò la statua in Campidoglio e gli dedicò questa pasquinata:[5] Carafa in odio al diavolo e al cielo è qui sepolto col putrido cadavere; lo spirto Erebo ha accolto. Odiò la pace in terra, la prece ci contese, ruinò la chiesa e il popolo, uomini e cielo offese; infido amico, supplice ver l'oste a lui nefasta. Di più vuoi tu saperne? Fu papa e tanto basta.

Pio IV, nato Giovanni Angelo Medici di Marignano (in latino: Pius IV; Milano, 31 marzo 1499 – Roma, 9 dicembre 1565), fu il 224º papa della Chiesa cattolica e 132º sovrano dello Stato Pontificio dal 1559 alla morte. Era fratello della madre di san Carlo Borromeo, Margherita Medici di Marignano.

Nacque da una famiglia non imparentata con i Medici di Firenze, ma di origine lombarda. La famiglia Medici lombarda era di umili condizioni e l'orgogliosa famiglia Medici fiorentina dichiarava che nessuna parentela vi era tra le due famiglie, almeno fino a quando Giovanni Angelo Medici non divenne papa Pio IV, e allora la parentela fu rivendicata. Suo padre Bernardino era nato a Milano e si guadagnava la vita con la riscossione delle tasse e di piccole usure. Bernardino ebbe, fra gli altri, due figli molto intraprendenti: il maggiore Gian Giacomo Medici detto il Medeghino divenne un valente soldato di ventura e, dopo una brillante carriera militare e il comando delle truppe imperiali che conquistarono la città di Siena, fu nominato Cavalier del Toson d'Oro. In maniera rocambolesca, molti anni prima, era riuscito a diventare, da bandito, castellano e poi Marchese di Musso, senza però ottenere il necessario (e promesso) riconoscimento imperiale; quando, in séguito alla seconda guerra di Musso, fu sconfitto, ottenne nelle trattative di pace il titolo di Marchese di Marignano con tutti i privilegi connessi per sé e per i propri discendenti. Giovanni Angelo, figlio minore, studiò legge a Pavia e a Bologna, interessandosi molto anche di filosofia e di medicina. Divenne un quotato esperto giurista, e a 28 anni decise di entrare al servizio della Chiesa andando a Roma. Giunse a Roma il 26 dicembre 1527. Da lì tornò nel 1528 in Lombardia, dove fu arciprete di Mazzo di Valtellina fino al 1529, quando papa Clemente VII lo richiamò a Roma e lo nominò protonotario apostolico; le sue qualità di instancabile lavoratore e l'abilità nel gestire gli affari, lo portarono a riscuotere la profonda stima del successore di papa Clemente, ovvero papa Paolo III, che lo nominò governatore di diverse città importanti, fra cui Ascoli Piceno e Fano; fu nominato arcivescovo di Ragusa, e infine cardinale nel 1549 con il titolo di Santa Pudenziana. Contemporaneamente suo fratello Gian Giacomo aveva sposato una donna della famiglia Orsini, sempre con il beneplacito di Paolo III. Lo stesso anno, la morte di Paolo III portò all'elezione di papa Giulio III che, continuando a stimarlo, lo inviò come legato pontificio in Romagna e lo pose a capo delle truppe pontificie, conferendogli inoltre alcuni incarichi da svolgere in Germania e in Ungheria. Al contrario non incontrò il favore di papa Paolo IV, con la cui politica si trovò in disaccordo, ritirandosi di conseguenza a Milano. Fu vescovo di Foligno dal 25 giugno 1556 al 7 maggio 1557. Nel lungo e contrastato conclave che seguì alla morte di Paolo IV, le antipatie di questi nei suoi confronti gli si tramutarono in vantaggio, poiché il 25 dicembre 1559 fu eletto papa come risultato di un compromesso fra i partiti favorevoli rispettivamente alla Spagna e alla Francia. Fu incoronato il 6 gennaio 1560. Pio IV aveva abitudini e temperamento completamente opposti a quelli del predecessore, essendo affabile, vivace e cordiale e, nello stesso tempo, astuto, diplomatico ed esperto nel condurre gli affari di stato. Egli diede libero corso al movimento riformatore, cercando al contempo di porre rimedio ad alcune ingiustizie compiute da Paolo IV (ad esempio liberando e reinsediando in carica il cardinale Giovanni Gerolamo Morone che era stato imprigionato con l'accusa di eresia) e mitigando alcuni dei suoi decreti più estremi. Tuttavia nei confronti dei nipoti di Paolo non dimostrò alcuna misericordia: accusati di vari crimini e condannati in base a testimonianze di dubbia attendibilità, furono giustiziati per strangolamento o decapitazione il 4 marzo 1561 nel Castel Sant'Angelo. Tra di essi il cardinale Carlo Carafa e suo fratello Giovanni al quale Paolo IV aveva dato il ducato di Paliano. Il Colonnesi, che era stato uno dei principali accusatori, ottenne l'assoluzione. Tuttavia, sotto il pontificato di Pio V il giudizio fu ribaltato, e la memoria del Carafa e dei suoi parenti riabilitata e i beni restituiti alla famiglia. Assoluta severità San Pio V dimostrò anche nei confronti di Pompeo Colonna (parente di Marcantonio e del celebre Pompeo Colonna) che aveva ucciso la matrigna, e per il quale non fece assoluzioni. Come era consuetudine del tempo, Pio IV non fu immune dall'esercizio del nepotismo, ma, a onor del vero, il conferimento del cardinalato e della carica di arcivescovo di Milano al nipote Carlo Borromeo, uomo integerrimo e di elevata spiritualità, conferirono onore e lustro alla chiesa ed al suo pontificato. Con l'Inghilterra uscita dall'influenza del papato, la Germania in gran parte protestante e la Francia sull'orlo della guerra civile, Pio si rese conto di quanto la politica anti- spagnola del suo predecessore fosse senza prospettive. Si affrettò quindi a riconoscere Ferdinando come imperatore e si riconciliò con Filippo II con la concessione di grandi privilegi ecclesiastici. In seguito, tuttavia, scontratosi con l'arroganza di Filippo, si rivolse verso la Francia, fornendo truppe e denaro per la guerra contro gli Ugonotti. Decretò con la bolla In Sacrosancta che i laureandi dovessero dichiarare di essere cattolici, altrimenti sarebbe stata nulla. Erano pertanto esclusi dalla laurea, di qualsiasi facoltà, gli scomunicati, gli atei e chi professasse qualsiasi religione al di fuori del Cattolicesimo[1][2]. A Roma centrale, estese verso nord il Borgo, costruendo tre nuove strade (Borgo Pio, Borgo Vittorio e Borgo Angelico), e dotandolo di nuove mura. La nuova zona venne chiamata in suo onore la Civitas Pia. Organizzò una spedizione antiturca a Gerba[3]. Approvò anche lo statuto dell'Ordine di Santo Stefano papa e martire nel 1561. Morì il 9 dicembre 1565 a 66 anni.

San Pio V, nato Antonio (in religione Michele) Ghislieri (Bosco Marengo, 17 gennaio 1504 – Roma, 1º maggio 1572), fu il 225º papa della Chiesa cattolica e 133º sovrano dello Stato Pontificio (1566 - 1572). Apparteneva all'Ordine dei Frati Predicatori (domenicani). Venne canonizzato da Clemente XI il 22 maggio 1712. La sua memoria liturgica è il 30 aprile.

Nacque a Bosco (oggi Bosco Marengo, in provincia di Alessandria), appartenente all'epoca alla diocesi di Tortona e quindi al ducato di Milano, dalla nobile ma decaduta famiglia Ghislieri (anche se è lecito dubitare che la famiglia Ghislieri di Bosco Marengo fosse realmente imparentata a quella di Bologna; inoltre anche quella bolognese fu scacciata dalla città ben prima della serrata aristocratica, quando cioè l'aristocrazia urbana era a tutti gli effetti borghesia). All'età di quattordici anni entrò nell'Ordine dei Frati Predicatori a Voghera. Nel 1519 professò i voti solenni a Vigevano, poi completò gli studi presso l'Università di Bologna. Negli anni di preparazione al sacerdozio, insieme a una solida formazione teologica, facilitata da un'intelligenza vivida, manifestò quell'austerità di vita che gli avrebbe meritato tanta stima negli anni successivi. Nel 1528 ricevette l'ordinazione presbiterale a Genova e presto diede prova delle opinioni che avrebbero trovato realizzazione pratica nel corso del suo pontificato, sostenendo a Parma trenta proposte a supporto del seggio pontificio contro le eresie. Come rettore di vari conventi domenicani si caratterizzò per una rigida disciplina e, in seguito a suo espresso desiderio, ricevette la nomina di inquisitore della città di Como. Tornato a Roma nel 1550, dove proseguì l'attività di inquisitore, fu eletto commissario generale dell'Inquisizione romana. Sotto papa Paolo IV fu consacrato vescovo di Sutri e Nepi nel 1556 e fu successivamente creato cardinale prete con titolo di Santa Maria sopra Minerva nel concistoro del 15 marzo 1557, fu infine nominato Grande Inquisitore nel 1558. Sotto Pio IV divenne vescovo di Mondovì (1560). Alla morte di Pio IV, il 7 gennaio 1566, fu inaspettatamente eletto Papa grazie a un accordo tra i cardinali Borromeo e Farnese e consacrato il giorno del suo 62º compleanno, dieci giorni dopo. La sua elezione fece tremare la curia romana, niente festeggiamenti e sontuosi banchetti per solennizzare l'evento, infatti Pio V era di carattere rigido e intransigente. Il giorno dell’incoronazione, anziché far gettare monete al popolo come consuetudine, in novello Pio V preferì soccorrere a domicilio molti bisognosi della città di Roma. Anche da papa continuò a vestire il bianco saio domenicano, a riposare sopra un pagliericcio, a cibarsi di legumi e frutta, dedicando l’intera sua giornata al lavoro e alla preghiera. Pio V godette subito dell’ammirazione e del rispetto di tutti per la pietà, l’austerità e l’amore per la giustizia. Colpì inoltre senza pietà gli abusi della corte pontificia, dimezzando le inutili bocche da sfamare e nominando un’apposita commissione per vigilare sulla cultura ed i costumi del clero, che a quel tempo lasciavano molto a desiderare. Ai sacerdoti vennero interdetti la simonia, gli spettacoli, i giochi, i banchetti pubblici e l’accesso alle taverne. Ai vescovi fu imposto un previo esame di accertamento circa la loro idoneità, la residenza, pena la privazione del loro titolo, la fondazione dei seminari, il rispetto del cerimoniale e l’erezione delle cosiddette Confraternite di catechismo. Il papa era compiaciuto di poter partecipare alle manifestazioni pubbliche della fede nonostante le torture della calcolosi, di far visita agli ospedali, di curare egli stesso i malati e di esortarli alla rassegnazione. Nella curia Pio V organizzò la Penitenzieria, creò la Congregazione dell’Indice per l’esame dei libri contrari alla fede, intervenne personalmente alle sessioni del Tribunale dell’Inquisizione e talvolta concesse udienza al popolo per ben dieci ore consecutive. Le sue maggiori attenzioni erano rivolte ai poveri che ascoltava pazientemente e confortava anche con aiuti pecuniari. Cercò con ogni mezzo di migliorare i costumi della gente emettendo bolle, punendo l'accattonaggio, vietando il dissoluto carnevale, cacciando da Roma le prostitute[1], condannando i fornicatori e i profanatori dei giorni festivi. Per i bestemmiatori erano previste pene pecuniarie e corporali. Difese strenuamente il vincolo matrimoniale, infliggendo pene severe agli adulteri, vietò il combattimento di tori ed i festeggiamenti carnevaleschi, espulse da Roma parecchie cortigiane. Egli curò, inoltre, la pubblicazione del catechismo romano, del breviario romano riformato e del messale romano. Rafforzò gli strumenti della Controriforma per combattere l'eresia ed il protestantesimo e diede nuovo impulso all'Inquisizione Romana (condanna a morte per eresia di Pietro Carnesecchi e Aonio Paleario). Fu rigido oppositore del nepotismo. Ai numerosi parenti accorsi a Roma con la speranza di qualche privilegio, Pio V disse che un parente del papa può considerarsi sufficientemente ricco se non conosce l'indigenza. Siccome i cardinali ritenevano opportuna la presenza di un nipote del papa nel Collegio dei Principi della Chiesa, Pio V si lasciò indurre a dare la porpora a Michele Bonelli, nipote di una sua sorella e domenicano pure lui, purché lo aiutasse nel disbrigo degli affari.[2] A Paolo Ghislieri, figlio di suo fratello, permise invece di entrare nella milizia pontificia, ma lo cacciò persino dallo Stato, appena seppe che coltivava illeciti amori.[2] Nel 1566 promosse la costruzione del convento domenicano di Santa Croce e Ognissanti a Bosco Marengo, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto costituire il centro di una città di nuova fondazione, nonché suo luogo di sepoltura. Nel 1567 fondò a Pavia un'istituzione caritatevole per studenti meritevoli, il Collegio Ghislieri, che tuttora, tramite concorso pubblico, accoglie alcuni tra i migliori studenti dell'Università di Pavia. L'11 aprile 1567 concesse il titolo di dottore della Chiesa a san Tommaso d'Aquino. Nel 1568 lo stesso titolo fu concesso anche a quattro padri della Chiesa d'Oriente: Sant'Atanasio, San Basilio Magno, San Giovanni Crisostomo e San Gregorio Nazianzeno. Tra le sue Bolle papali, l'In coena Domini (1568) ricoprì un ruolo primario; tra le altre, quelle che più contribuirono a definire la linea di condotta del suo pontificato - ispirato a ferrea e intransigente difesa della Chiesa cattolica contro qualsiasi nemico - furono quelle che decretarono: il divieto di questua (febbraio 1567 e gennaio 1570); la condanna di Michele Baio, professore di Lovanio le cui teorie precorrevano il giansenismo (1567); la denuncia del dirum nefas (agosto 1568); la conferma dei privilegi della Società dei Crociati per la protezione dell'Inquisizione (ottobre 1570); il divieto di discussione sul miracolo dell'Immacolata Concezione (novembre 1570); la soppressione dei Fratres Humiliati, accusati di depravazione (febbraio 1571); l'approvazione del nuovo ufficio della Vergine Maria (marzo 1571). Suggerì ai Fatebenefratelli di aprire un nuovo ospizio a Roma. Durante la carestia del 1566 e le epidemie che seguirono, fece distribuire ai bisognosi somme considerevoli ed organizzare i servizi sanitari. Al fine di reperire le ingenti somme necessarie, provvedette a sopprimere qualsiasi spesa superflua, addirittura facendo adattare alla sua statura gli abiti dei suoi predecessori. Con una simile austerità di vita il papa riuscì nonostante tutto ad imporsi sugli avversari e ad indurre gli altri prelati e dignitari della curia romana ad un maggiore spirito di devozione e penitenza. Per l’uniformità dell’insegnamento, secondo le indicazioni del Concilio Tridentino, che aveva richiesto fosse redatto un testo chiaro e completo della dottrina cristiana, Pio V ne affidò la redazione a tre domenicani e lo pubblicò nel 1566. L’anno seguente proclamò San Tommaso d’Aquino “Dottore della Chiesa”, obbligando le Università allo studio della Somma Teologica e facendo stampare nel 1570 un’edizione completa e accurata di tutte le opere teologiche del santo. In campo liturgico si deve alla lungimiranza di questo pontefice la pubblicazione del nuovo Breviario e del nuovo Messale, cioè il celebre rito della Messa ancor oggi conosciuto proprio con il nome di San Pio V. In ambito musicale inoltre nominò il Palestrina maestro della cappella pontificia. Suo merito fu anche quello di promuovere l’attività missionaria con l’invio di religiosi nelle “Indie orientali e occidentali” ed un pressante invito agli spagnoli a non scandalizzare gli indigeni nelle loro colonie. Per sottrarre i cattolici alle usure degli ebrei,[3] favorì i cosiddetti Monti di Pietà, relegando gli ebrei in appositi quartieri della città mediante la bolla Hebraeorum gens (1569), salvandoli di fatto dalla furia popolare[4]. Contemporaneamente al lavoro di pubblica amministrazione, Pio V agiva con grande energia sul fronte della difesa della purezza della fede: sotto il suo pontificio infatti Antonio Paleario e Pietro Carnesecchi, già protonotari apostolici, subirono l’estremo supplizio per aver aderito al protestantesimo e gli Umiliati furono soppressi, poiché a Milano avversavano le riforme operate dal Borromeo. Inoltre scomunicò e “depose” la regina Elisabetta I d’Inghilterra, rea della morte della cugina Maria Stuart e di aver così aggravato l’oppressione dei cattolici inglesi. Inviò in Germania come legato pontificio Gian Francesco Commendone, tentando di impedire che l’imperatore Massimiliano II potesse sottrarsi alla giurisdizione della Santa Sede. Inviò in Francia proprie milizie contro gli Ugonotti tollerati dalla regina Caterina de’ Medici. Il re spagnolo Filippo II fu esortato da Pio V a reprimere il fanatismo anabattista nei Paesi Bassi. Michele Baio, professore all’Università di Lovanio e precursore del giansenismo, meritò la condanna delle proprie tesi eretiche. San Pietro Canisio, su incarico papale, confutò le Centurie di Magdeburgo, prima tendenziosa storia ecclesiastica redatta dai protestanti. L'intransigenza, inflessibilità e zelo di cui il Pontefice diede prova anche nelle relazioni con i potenti dell'Europa del tempo, gli procurarono non pochi avversari. Ma l’episodio più celebre della vita di questo grande pontefice, unico piemontese ad essere stato elevato al soglio di Pietro in duemila anni di cristianesimo, è sicuramente il suo intervento in favore della battaglia di Lepanto. Per stornare infatti la perpetua minaccia che i Turchi costituivano contro il mondo cristiano, il santo papa s’impegnò tenacemente per organizzare un lega di principi, in particolare dopo la presa di Famagosta eroicamente difesa dal veneziano Marcantonio Bragadin nel 1571 che, dopo la resa, fu scuoiato vivo. Alle flotte pontificie si unirono quelle spagnole e veneziane, sotto il supremo comando di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale dell’imperatore Carlo V. Il fatale scontro con i Turchi, allora all’apogeo della loro potenza, avvenne il 7 ottobre 1571 nel golfo di Lepanto, durò da mezzodì sino alle cinque pomeridiane e terminò con la vittoria dei cristiani. Alla stessa ora Pio V, preso da altri impegni, improvvisamente si affacciò alla finestra, rimase alcuni istanti in estasi con lo sguardo rivolto ad oriente ed ebbe la visione della vittoria nella battaglia di Lepanto ed esclamò «...sono le 12, suonate le campane, abbiamo vinto a Lepanto.» e da quel giorno le campane suonano ogni giorno alle 12. Poi infine aggiunse: “Non occupiamoci più di affari. Andiamo a ringraziare Dio perché la flotta veneziana ha riportato vittoria”. L'anno successivo, nel 1572, il 7 ottobre venne celebrato il primo anniversario della vittoria di Lepanto con l'istituzione della "Festa di Santa Maria della Vittoria", a ricordo del felice avvenimento che cambiò il corso della storia, che poi cambiò nella festa liturgica del Santo Rosario, al 7 ottobre, preghiera alla quale sarebbe stata attribuita dal papa la vittoria. Il senato veneto infatti fece dipingere la scena della battaglia nella sala delle adunanze con la scritta: “Non la forza, non le armi, non i comandanti, ma il Rosario di Maria ci ha resi vittoriosi!”. Pio V, spossato da una grave ipertrofia prostatica di cui, per pudicizia, non volle essere neanche visitato[5], si spense la sera del 1º maggio 1572, all'età di 68 anni, dopo aver detto ai cardinali radunati attorno al suo letto: «Vi raccomando la santa Chiesa che ho tanto amato! Cercate di eleggermi un successore zelante, che cerchi soltanto la gloria del Signore, che non abbia altri interessi quaggiù che l'onore della Sede Apostolica e il bene della cristianità». Spesso è riportato erroneamente che egli sia il primo Papa a vestire di bianco, volendo indossare l'abito dei Domenicani anche dopo l'elezione a Sommo Pontefice; in realtà i Papi indossavano già da secoli la talare bianca e papa Pio V si limitò ad indossare il saio bianco del suo Ordine sotto le vesti papali. Mediante la bolla Hebraeorum gens (1569), perseguitò di fatto gli Ebrei, con la chiusura di tutti i ghetti dello Stato Pontificio (tranne che a Roma e ad Ancona) e dei domini ecclesiastici transalpini (con la sola eccezione di Avignone). Si distinse anche per la lotta ai cristiani eterodossi e «...perseguitò con furore ancor più sfrenato i protestanti veri e propri...[6]» L'intransigenza, inflessibilità e zelo di cui il Pontefice diede prova anche nelle relazioni con i potenti dell'Europa del tempo, gli procurarono non pochi avversari[7]. Una pasquinata prese in giro il gesto di Pio V di mettere un'epigrafe affissa a una latrina:

Sisto V, nato Felice Peretti (Grottammare, 13 dicembre 1520[1] o 1521 – Roma, 27 agosto 1590), fu il 227º papa della Chiesa cattolica e 135° sovrano dello Stato Pontificio (dal 1585 alla morte); apparteneva all'ordine dei frati minori conventuali.

Nato a Grottammare nel Piceno[2] il 12 dicembre 1521, visse un'infanzia disagiata dalle ristrettezze economiche. Il padre Francesco Piergentile detto Peretto, originario di Montalto della Marca, si rifugiò a Le Grotte per scampare alle angherie del Duca d’Urbino, trovò lavoro come giardiniere. La mamma, Mariana, proveniva da Frontillo di Sopra di Pieve Bovigliana (circoscrizione di Camerino) e si trovava già a Le Grotte, come serva nella casa del possidente Ludovico De Vecchis (nobile famiglia di Fermo). La sua famiglia non viveva nel lusso; si racconta che Felice, da piccolo, avesse lavorato anche badando ai maiali. All'età di 9 anni entrò nell'Ordine dei Frati Minori Conventuali a Montalto delle Marche, a cui restò legato per tutta la vita. A 12 anni iniziò il noviziato a San Francesco delle Fratte dove, come frate, era anche suo zio Salvatore. Compì i suoi studi a Ferrara, Bologna e Siena; qui fu ordinato sacerdote nel 1547. Diede presto prova di una rara abilità sia come predicatore che nella dialettica. Nel 1552 si trovò a Roma dove fece le prediche quaresimali nella Basilica dei Santi XII Apostoli riscuotendo molta impressione e guadagnandosi la stima di due futuri grandi e famosi personaggi: san Filippo Neri e sant'Ignazio di Loyola; acquisì inoltre le simpatie di molti prelati influenti, tra cui il cardinal Rodolfo Pio di Carpi (1500- 1564), protettore del suo ordine, il cardinale Michele Ghislieri, futuro papa Pio V, e il cardinale Giovan Pietro Carafa, anch'egli futuro papa Paolo IV; da quel momento la sua carriera ecclesiastica ebbe una svolta decisiva. Fu inviato l'anno successivo a Venezia come consultore dell'Inquisizione, ma fu così severo e zelante nel compito affidatogli che il Governo veneziano chiese che fosse richiamato a Roma; e questo avvenne effettivamente nel 1560. Tornato a Roma, continuò l'incarico di consulente del Sant'Uffizio, e gli fu dato l'incarico di professore all'Università La Sapienza, e di procuratore generale e vicario apostolico dei francescani conventuali cioè del suo ordine religioso. Successivamente nel 1565 venne associato alla legazione del cardinale Ugo Boncompagni, futuro papa Gregorio XIII, che venne inviata in Spagna per investigare sull'accusa di eresia nei confronti dell'arcivescovo di Toledo, Carranza. La forte antipatia che sviluppò per il cardinale Buoncompagni esercitò una marcata influenza sugli eventi degli anni successivi. Si affrettò a rientrare a Roma all'ascesa di Pio V, che lo nominò vicario apostolico del suo ordine, e successivamente, nel 1570 cardinale con il titolo di San Girolamo degli Schiavoni. Durante il pontificato di Gregorio XIII, il cardinal Montalto, come veniva generalmente chiamato il Peretti, visse in ritiro, immergendosi nei libri ed occupandosi della villa eretta da Domenico Fontana sull'Esquilino, che sovrastava le Terme di Diocleziano. La prima parte di questa villa venne ampliata tra il 1575-1580 e successivamente, quando divenne Papa, poté far demolire altri edifici circostanti nel 1585-1586 per aprire quattro nuove strade; questo, suscitando le ire dei romani espropriati. La villa conteneva due residenze, il Palazzo Sistino o "di Termini" (delle Terme) e il casino, chiamato Palazzetto Montalto e Felice. Quasi tre secoli dopo (nel 1869), la decisione di costruire la pontificia stazione ferroviaria centrale sull'area in cui sorgeva la villa, segnò l'inizio della sua distruzione. Uno dei segretari del Cardinale fu il serissimo e affidabile perugino Scipione Tolomei, raccomandatogli da Fulvio Giulio della Corgna, che svolse impeccabilmente il servizio, prima di dedicarsi alla cancelleria del Marchesato di Castiglione del Lago. L'altro grande interesse del cardinal Montalto era per i suoi studi; uno dei suoi lavori fu un'edizione delle opere di Sant'Ambrogio che completò durante il suo pontificato con l'ausilio del cardinale Bellarmino. La sua fama di rigorista e sapiente, associata alla sua discrezione, contribuì non poco alla sua elezione al papato il 24 aprile 1585. Una dei fattori che raccomandarono la sua candidatura fu anzi il suo vigore fisico, che sembrava promettere un lungo pontificato, sebbene esista la versione secondo cui finse di essere malato e debole al conclave, allo scopo di ottenere dei voti. Fu un papa severo e autoritario; e cercò subito appena eletto di eliminare il malcostume, la corruzione e il brigantaggio che avevano raggiunto limiti non più tollerabili nella Roma di fine cinquecento, anche per non favorire le critiche della riforma protestante che vedeva in una chiesa eccessivamente tollerante dei vizi e del malcostume un ulteriore motivo di vantarsi della riforma appena intrapresa. Nello stesso tempo decise di modernizzare Roma e intraprese grandi lavori urbanistici. Egli non aveva particolare devozione per le opere dell'antichità classica[senza fonte]: le colonne di Traiano e Marco Aurelio vennero usate come piedistalli per le statue di San Pietro e San Paolo; la Minerva del Campidoglio venne convertita in "Roma Cristiana"; il Septizonio di Settimio Severo venne demolito per i suoi materiali da costruzione. Al contempo decretò il completamento della cupola di San Pietro, affidando i lavori a Giacomo Della Porta e Domenico Fontana. Le condizioni terribili in cui Gregorio XIII aveva lasciato gli stati ecclesiastici richiedevano misure pronte e decise. Contro la prevalente assenza di legge, Sisto procedette con una severità quasi feroce, che solo le necessità estreme potevano giustificare. Migliaia di briganti vennero portati davanti alla giustizia e molti condannati a morte e giustiziati: nel giro di un breve periodo la nazione era di nuovo tranquilla e sicura. Vietò di portare indosso armi di media e grossa taglia. Relegò in ristrette zone la prostituzione di strada e vietò in modo deciso che le madri potessero far prostituire le figlie giovani. Fu una scossa brutale per il lassismo morale e il malcostume che stavano ampiamente diffondendosi in tutti gli strati sociali e che gli portò però l'ostilità di molti cittadini. Il passo successivo di Sisto fu quello di aggiustare le finanze, anche garantendosi nuove ostilità. Con la vendita di uffici, la fondazione di nuovi "Monti", e l'imposizione di nuove tasse, egli accumulò un ampio surplus, che venne accantonato per essere usato in determinate emergenze. Il successivo sistema amministrativo della Chiesa dovette molto a Sisto. Con la costituzione apostolica Postquam vetus ille del dicembre 1586 il numero dei cardinali, prima oscillante, venne portato a settanta: 6 vescovi suburbicari, 50 preti, 14 diaconi; la maggiore internazionalizzazione del collegio cardinalizio venne parzialmente avviata. Con la costituzione Immensa Aeterni Dei del 22 gennaio 1588 raddoppiò il numero delle congregazioni nella Curia romana. Considerava i Gesuiti con sfavore e sospetto; meditò cambiamenti radicali nella loro costituzione, ma la morte impedì l'esecuzione delle sue intenzioni.[senza fonte] Nel 1589 iniziò una revisione della Vulgata, la cosiddetta Editio Sixtina. Nelle sue ampie relazioni politiche, comunque, Sisto si mostrò visionario e vacillante. Nutriva ambizioni fantastiche, come l'annientamento dei turchi, e il trasporto del Santo Sepolcro in Italia.[senza fonte] La situazione in cui si venne a trovare fu imbarazzante: non poteva approvare i progetti dei principi eretici, eppure non diede fiducia a Filippo II di Spagna, e vide con apprensione qualsiasi ampliamento del suo potere. Così, mentre scomunicò Enrico di Navarra, e contribuì alla Lega Cattolica e all'Armada spagnola, si scottò con l'alleanza forzata con Filippo, cercando una via d'uscita. Le vittorie di Enrico e la prospettiva di una sua conversione al Cattolicesimo suscitarono le speranze di Sisto, e nella stessa misura determinarono Filippo II a stringere la presa sul suo ondeggiante alleato. I negoziati del Papa con i rappresentanti di Enrico evocarono un'amara e minacciosa protesta ed una richiesta categorica per il mantenimento delle promesse fatte. Sisto cercò scampo nella fuga e temporeggiò fin quando la morte lo sollevò dalla necessità di prendere una decisione (27 agosto 1590). Nel 1589, con la bolla Cum pro nostri temporali munere, papa Sisto V riorganizzò il coro di S. Pietro allo scopo di ammettere castrati nelle sue fila, e nel 1599 Pietro Paolo Folignato e Girolamo Rosini vennero ammessi nel Collegio dei Cantori Pontifici, la cappella privata del papa; sembra tuttavia che uno dei primi cantori evirati ammessi nel coro pontificio fosse lo spagnolo Francisco Soto de Langa nel 1562. Somme immense furono utilizzate in opere pubbliche e ciò che Sisto V ottenne nel suo breve pontificato, con il fondamentale supporto tecnico del suo architetto Domenico Fontana - e facendo saccheggiare a man salva, alla ricerca di marmi preziosi e lavorati, i monumenti antichi - ha dell'incredibile: il completamento della cupola di San Pietro; la loggia di Sisto o delle benedizioni a San Giovanni in Laterano; la cappella del SS. Sacramento (anche detta Cappella Sistina o del Presepe) a Santa Maria Maggiore; le aggiunte e le riparazioni al Palazzo del Quirinale, al Laterano e al Vaticano; l'erezione di quattro obelischi, compreso quello in Piazza San Pietro; l'apertura di sei strade; il restauro dell'acquedotto di Settimio Severo ("Acqua Felice") con la mostra finale della fontana del Mosè; oltre a numerose vie e ponti, un tentativo di prosciugare le paludi pontine, e l'incentivazione dell'agricoltura e della manifattura. Inoltre integrò Borgo (sino a quel tempo autonomo) come quattordicesimo rione nella città di Roma. Si deve a Sisto V il primo progetto di sistemazione urbanistica della città di Roma moderna: il Papa fece tracciare la nuova via che, attraversando le tre colline del Rione Monti, collegava Trinità dei Monti con San Giovanni in Laterano e Santa Croce in Gerusalemme: la via Sistina il cui percorso (che attraversa le Quattro Fontane al Quirinale, il Viminale, S. Maria Maggiore all'Esquilino, fino al palazzo del Laterano) è contrassegnato da grandi obelischi egizi, eretti dall'architetto papale Domenico Fontana Sisto morì tra le esecrazioni dei suoi sudditi[senza fonte]; ma i posteri lo riconoscono come uno dei più grandi Papi. Era impulsivo, ostinato, severo e autoritario, ma la sua mente era aperta e di larghe vedute. Si dedicò alle sue imprese con una energia ed una determinazione che lo portarono spesso al successo. Poche persone possono vantare imprese o conseguimenti più grandi. Sisto V nella tradizione romana[modifica | modifica sorgente] Va menzionata una leggenda secondo la quale Sisto V venne a sapere che c'era un crocefisso che sanguinava; lui allora, recatosi sul posto, prese una scure e spaccò il crocefisso, dicendo "come Cristo ti adoro, come legno ti spacco". Ed in effetti sembra che si trovassero all'interno spugne intrise di sangue. Questa leggenda ispirò al Belli il sonetto romanesco "Papa Sisto":[3] « Fra ttutti quelli c'hanno avuto er posto De vicarj de Dio, nun z'è mai visto Un papa rugantino, un papa tosto, Un papa matto uguale a Ppapa Sisto. E nun zolo è da dì che dassi er pisto A chiunqu'omo che j'annava accosto, Ma nu la perdunò neppur'a Cristo, E nemmanco lo roppe d'anniscosto. Aringrazziam'Iddio c'adesso er guasto Nun po' ssuccede ppiù che vienghi un fusto D'arimette la Chiesa in quel'incrasto. Perché nun ce po' èsse tanto presto Un altro papa che je piji er gusto De mèttese pe nome Sisto Sesto. » E comunque dal papa "rugantino" e "tosto" gli ebrei romani, contro i quali si era particolarmente accanito il domenicano già inquisitore Pio V Ghislieri, a causa della sistematica usura che praticavano nei confronti dei cittadini dello Stato Pontificio[4], ottennero grazie alla bolla Christiana pietas, infelicem Hebreorum statum commiserans, grandi alleggerimenti del regime punitivo a cui erano sottoposti ormai da decenni[5]. Un'altra curiosità che lega Sisto V alla "vulgata" romana: con la sua riforma delle tasse, non fidandosi dei funzionari locali, il papa reclutò suoi fidati compaesani marchigiani per esercitare il mestiere di esattori. Nacque per tale motivo il famoso detto, ancora oggi presente nella memoria dei romani: « mejo 'n morto dentro casa cchè 'n marchisciano fori daa porta. »

Urbano VII, nato Giovanni Battista Castagna (Roma, 4 agosto 1521 – Roma, 27 settembre 1590), fu il 228º papa della Chiesa cattolica e 136º sovrano dello Stato Pontificio per tredici giorni nel settembre 1590. Il suo è ricordato soprattutto per essere stato il pontificato più breve della storia.

Giambattista Castagna era di origine genovesi, anche se nato a Roma. Il padre, Cosimo, era un nobile genovese e la madre Costanza Ricci Giacobazzi, romana. Per parte di madre egli era pronipote del cardinale Domenico Giacobazzi ed era quindi anche imparentato col cardinale Cristoforo Giacobazzi. Intrapresi gli studi ecclesiastici, studiò in diverse università italiane per poi laurearsi a Bologna in diritto canonico e civile. Divenuto chierico della curia romana, fu avvocato concistoriale e referendario dei tribunali della Signatura Apostolica di Grazia e Giustizia sotto il pontificato di Giulio III. Nominato prelato domestico di Sua Santità, divenne datario del cardinale Girolamo Veralli durante la sua legazione in Francia. Governatorati e diplomazia[modifica | modifica sorgente] Prestò servizio dunque come governatore di Bologna e come arcivescovo di Rossano (1º marzo 1553); il 30 marzo 1553, a Roma, ricevette gli ordini minori e maggiori da Filippo Archinto, vescovo di Saluzzo e vicario di Roma. Il 4 aprile 1553 venne consacrato dal cardinale Veralli nel suo palazzo personale, assistito da Girolamo Maccabei, vescovo di Castro e maestro della cappella pontificia, e da Pietro Affatato, vescovo di Accia. Fu nominato governatore di Fano nel 1555 da papa Giulio III. Nel 1559 divenne commissario apostolico di Città di Castello e quindi governatore di Perugia e dell'Umbria intera dal 6 marzo 1559 sino all'aprile del 1560. Prese parte al Concilio di Trento dal 1562 al 1563 e fu presidente di diverse sue congregazioni. Uditore del cardinale Ugo Boncompagni (futuro Gregorio XIII) durante la sua legazione in Spagna nel settembre del 1565, rinunciò al governo della propria sede archiepiscopale il 23 gennaio 1573 mantenendone però la denominazione. Governatore di Bologna dal 29 dicembre 1576 sino al 29 novembre 1577, fu quindi nunzio apostolico in Spagna dal settembre 1565 al 3 luglio 1572. Nunzio apostolico a Venezia dal 15 giugno 1573 sino al 1º luglio 1577. Legato nelle Fiandre ed a Colonia tra il 1578 ed il 1580, rappresentò papa Gregorio XIII alla conferenza di pace tra Filippo II di Spagna e le Province Unite. Tornato a Roma, divenne consultore del Sant'Uffizio e della Sacra Consulta. Come ricompensa per gli ottimi servigi prestati alla Chiesa Cattolica, venne nominato cardinale presbitero nel concistorio del 12 dicembre 1583 ricevendo poi, il 9 gennaio 1584, la berretta cardinalizia ed il titolo di San Marcello. Legato a Bologna nuovamente dall'8 ottobre 1584 al maggio del 1585, prese parte al conclave che in quello stesso anno elesse a papa Sisto V per poi venire nominato dal 19 novembre dell'anno successivo a inquisitore generale del Sant'Uffizio. Il brevissimo pontificato[modifica | modifica sorgente] Nel 1590 il cardinale Castagna prese parte al conclave che lo elesse poi pontefice, ma è certo che la sua elezione al papato venne ampiamente supportata dalla fazione spagnola, proseguendo una tradizione che ormai tendeva nel voler preferire per l'elezione al soglio di Pietro rappresentanti della nobiltà di curia piuttosto che membri di potenti famiglie romane. Venne scelto come successore di Sisto V, il 15 settembre 1590, proponendosi fin dall'inizio come fedele esecutore dei decreti tridentini e continuatore della politica restauratrice inaugurata dal suo predecessore. Il 18 settembre si ammalò di malaria che lo portò poi alla morte poco prima della mezzanotte del 27 settembre dello stesso anno della sua elezione, prima ancora di essere stato solennemente incoronato. Data la sua improvvisa morte, gli venne ricavata una tomba nella basilica di San Pietro in Vaticano, con un'orazione funebre tenuta da Pompeo Ugonio. Il 21 settembre 1606 le sue spoglie vennero trasferite nella chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva ove aveva sede la Confraternita dell'Annunziata alla quale lo stesso Urbano VII, nelle sue disposizioni testamentarie, aveva lasciato 30 000 scudi del proprio patrimonio personale. Alla morte del papa il Sacro Collegio dei Cardinali era formato da 67 membri, ma 13 cardinali non parteciparono al conclave, pertanto il nuovo papa fu eletto da 54 cardinali. Il conclave si svolse fra il 7 ed il 15 settembre.

Gregorio XIV, nato Niccolò Sfondrati (Somma Lombardo, 11 febbraio 1535 – Roma, 16 ottobre 1591), fu il 229º papa della Chiesa cattolica e 137º sovrano dello Stato Pontificio dall'8 dicembre 1590 alla morte.

Niccolò Sfondrati nacque a Somma Lombardo, in provincia di Varese, feudo della sua famiglia che possedeva un castello ancora oggi presente. Suo padre Francesco, era senatore presso la corte di Francesco II Sforza, mentre sua madre Anna Visconti apparteneva direttamente alla nobile famiglia ducale; suo padre dopo la precoce morte della moglie (20 novembre 1538), abbracciò la carriera ecclesiastica e nel 1544 fu creato cardinale da papa Paolo III. Il giovane Niccolò studiò legge a Perugia e Padova e si laureò a Pavia; quindi decise di entrare nella vita ecclesiastica. Nel 1551 ricevette l'ordinazione sacerdotale e divenne abate di Civate. Il 20 giugno 1552, re Filippo II di Spagna in qualità di duca di Milano, lo elesse quale membro del senato della capitale lombarda. Contemporaneamente egli entrò a far parte del clero milanese ove fece conoscenza dell'allora arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Borromeo, la cui figura morale ebbe grande influenza su di lui. Il 13 marzo 1560 fu eletto vescovo di Cremona, incarico che tenne fino al pontificato, ma rimase titolare della sede per quattro anni prima della sua consacrazione in quanto venne obbligato a rimanere lontano dalla sua sede episcopale a causa del Concilio di Trento a cui prese parte. Durante il concilio, il vescovo Sfondrati ebbe un ruolo importante prendendo parte a tutte le sessioni dal 1561 alla conclusione nel 1563 ed in particolare fu tenace assertore circa l'obbligo dei vescovi di risiedere nella propria diocesi, argomento che fu accettato solo dopo molti contrasti. Fu contestualmente membro della commissione pro indice librorum dal 17 febbraio 1562 e dal 21 giugno 1563 della commissione ad conficiendos canones de matrimonio. Tornato a Milano, il nell'aprile o nel maggio del 1564 venne consacrato vescovo nella cattedrale cittadina per mano dell'arcivescovo Carlo Borromeo e fece il suo ingresso solenne a Cremona dedicandosi attivamente all'amministrazione della propria diocesi. Il 12 dicembre 1583 venne nominato cardinale da papa Gregorio XIII ed il 14 gennaio 1585 ottenne il titolo di Santa Cecilia. Prese parte al conclave del 1585 che elesse papa Sisto V e poi ai due conclavi del 1590 che elessero rispettivamente dapprima Urbano VII e poi lui stesso. Viene descritto come uomo molto pio e religioso, dai costumi molti rigorosi, ma di salute alquanto cagionevole fin dalla giovane età. Durante la sua permanenza presso la curia romana come cardinale divenne molto amico di San Filippo Neri e sostenne la sua idea di oratorio. Pontificato[modifica | modifica sorgente] Alla morte di papa Urbano VII il 27 settembre 1590, il re di Spagna Filippo II inviò una lista di sette cardinali papabili secondo il suo parere, tra i quali figurava anche il cardinale Sfondrati. Il collegio lo elesse papa il 5 dicembre 1590. Il giorno 8 dicembre fu solennemente incoronato e consacrato con il nome di Gregorio XIV. Come ecclesiastico era stato rinomato per l'integrità e la sobrietà della sua vita; era un uomo più spirituale che pragmatico, e la sua elezione poteva essere spiegata come un tentativo di conciliare i contrasti nella curia e di attendere eventuali tempi migliori. Nel compito di direzione della curia, nominò cardinale e Segretario di Stato suo nipote Paolo Emilio Sfondrati affinché trovasse valido supporto nelle difficili scelte. Il suo breve pontificato non venne segnato da eventi clamorosi, ad eccezione del fatto che, consigliato dal Re di Spagna e dal Duca di Mayenne, scomunicò Enrico IV di Francia, dichiarandolo un eretico e un persecutore della Chiesa, e quindi tale da essere privato dei propri dominii; fece quindi radunare un esercito mercenario per attaccare la Francia. Questo venne considerato come un cambio della politica pontificia rispetto ai suoi predecessori, che avevano comunque cercato di mantenere un maggiore equilibrio tra le due potenze di Francia e Spagna. Egli invece si schierò fermamente dalla parte degli interessi spagnoli, essendo comunque la Spagna decisamente cattolica. Sovvenzionò con 15 000 scudi la Lega Cattolica in Francia, utilizzando i fondi accumulati durante il pontificato di Sisto V. Grande ammirazione ebbe per San Camillo de Lellis che con i suoi seguaci, si prodigò senza riserve durante la tremenda carestia del 1590, divenendone personale protettore, ed elevando la congregazione ad Ordine dei ministri degli infermi. Chiese spesso consigli a San Filippo Neri. Era amico di San Luigi Gonzaga. Ostacolò la castrazione che veniva praticata per ottenere voci bianche; e cercò di lottare il banditismo che imperversava intorno Roma. Diede avvio alla revisione della "Vulgata della Sacra Scrittura" di Sisto V che conteneva diversi errori. Il futuro cardinale Bellarmino rientrato in Roma dopo la morte di Sisto V, che lo aveva allontanato, consigliò Gregorio XIV di non proibire la Bibbia in volgare, ma di farla correggere; si allestì infatti un gruppo di studiosi che sulle colline della Sabina si misero all'opera per eliminare i numerosi errori della traduzione biblica precedente. I biografi menzionano un curioso tratto personale di Gregorio XIV, una tendenza nervosa al riso, che talvolta diventava irresistibile e che si manifestò anche durante la sua incoronazione. Si narra inoltre che prima della sua morte, sentendosi venir meno, si fece portare al Palazzetto Venezia che aveva uno steccato intorno che ostacolava i rumori, e quindi risultava posto più tranquillo per potersi riprendere, ma ivi si spense il 16 ottobre 1591 a causa di un grosso calcolo renale del peso di 70 grammi. Il conclave si svolse dall'8 ottobre al 5 dicembre 1590. Alla morte del papa il Sacro Collegio dei Cardinali era formato da 65 membri, due in meno rispetto al precedente. Oltre a Urbano VII, era mancato il cardinale Federico Cornaro. 12 cardinali non parteciparono al conclave, pertanto il nuovo papa fu eletto da 53 cardinali.

Innocenzo IX, nato Giovanni Antonio Facchinetti de Nuce (Bologna, 20 luglio 1519 – Roma, 30 dicembre 1591), fu il 230º papa della Chiesa cattolica e 138º sovrano dello Stato Pontificio dal 3 novembre 1591 alla morte, avvenuta solo due mesi dopo.

Giovanni Antonio Facchinetti, di famiglia della Val d'Ossola originaria di Cravegna, nel comune di Crodo (VB) dove vi è tuttora la casa natale, nacque a Bologna il 20 luglio 1519, figlio di Antonio Facchinetti e di sua moglie, Francesca Cini. Il cognome della sua famiglia pare fosse in realtà Nocetti o de Nuce ma che di fatti egli fosse chiamato Facchinetti dall'umile lavoro svolto da suo padre che per l'appunto faceva il facchino. Di famiglia piuttosto umile, Giovanni Antonio ebbe modo di studiare e laurearsi in legge nel 1544 presso l'Università di Bologna e l'11 marzo di quello stesso anno venne ordinato sacerdote e destinato in qualità di canonico alla chiesa dei Santi Gervasio e Protasio di Domodossola dal 1547. Divenne quindi segretario del cardinale Niccolò Ardinghelli ed alla morte di questi poco dopo, entrò al servizio del cardinale Alessandro Farnese, fratello del Duca di Parma e nipote di papa Paolo III, uno dei grandi patroni d'arte dell'epoca. Il cardinale Farnese, che era arcivescovo di Avignone, inviò il Facchinetti nella città francese come suo rappresentante ecclesiastico e successivamente lo richiamò per gestire i propri affari a Parma, dove agì come governatore della città (1556-1558). Tornato a Roma venne nominato abbreviatore delle lettere apostoliche e dal 1559 fu Referendario dei Tribunali della Signatura Apostolica di Grazia e Giustizia. Nel 1560 Facchinetti venne nominato vescovo di Nicastro (Lamezia Terme) in Calabria dove si distinse per essere effettivamente il primo vescovo a risiedere nella diocesi dopo trent'anni di sedivacanza, e nel 1562 presenziò al Concilio di Trento. Papa Pio V lo inviò come nunzio pontificio a Venezia nel 1566 per portare avanti l'alleanza con Spagna e Venezia contro i turchi, che alla fine produsse la vittoria di Lepanto. Rimase in servizio a Venezia sino al 1572. Nel 1576 divenne priore commendatario di Sant'Andrea di Carmignano di Brenta presso Padova ove rimase in carica sino l 1587 quando cedette il beneficio a suo nipote Antonio. Tornato a Roma, il 23 settembre 1575 diede le proprie dimissioni dal governo della propria diocesi per ragioni di salute ed in quello stesso anno venne nominato dapprima consultore del Sant'Uffizio e poi vescovo del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Il 12 dicembre 1583 venne elevato al cardinalato e nel 1586 divenne inquisitore, ottenendo in commenda anche le abbazie benedettine di Sant'Elia e Filarete, diocesi di Mileto, e di Santa Maria di Merola, diocesi di Reggio Calabria. Il 9 gennaio 1584 ricevette il titolo cardinalizio dei Santi Quattro Coronati e prese parte l'anno successivo al conclave che elesse a pontefice Sisto V. Nominato tra gli inquisitori generali del Sant'Uffizio dal 19 dicembre 1586, venne incluso tra i cinque cardinali che decisero la punizione da comminare a re Enrico III di Francia per l'uccisione del cardinale Louis de Lorraine de Guise, ma il successivo assassinio del re di Francia da parte di un fanatico rese il lavoro della commissione del tutto superfluo. Prese parte al conclave del 1590 da cui uscì eletto papa Urbano VII dopo il cui breve pontificato venne eletto papa Gregorio XIV. Durante il regno dell'infermo Gregorio XIV, che soffriva di attacchi di malaria, il peso dell'amministrazione pontificia ricadde sulle sue spalle. Ancor prima che Gregorio esalasse l'ultimo respiro, la fazione spagnola e quella anti-spagnola stavano facendo campagna per il Papa successivo. La pesante interferenza di Filippo II di Spagna nel conclave precedente non era stata dimenticata: egli aveva posto un veto su tutti i cardinali meno sette. Questa volta il partito spagnolo all'interno del Collegio dei Cardinali, non andò così lontano, ma esso controllava ancora la maggioranza, e dopo un rapido conclave elesse Facchinetti, che assunse il nome di Innocenzo IX il 29 ottobre 1591. Il 3 novembre di quello stesso anno Innocenzo IX venne solennemente incoronato sulla loggia della Basilica di San Pietro a Roma dal cardinale Andrea d'Austria, protodiacono di Santa Maria Nuova. Appena eletto papa, ricambiò il favore alla Spagna mostrandosi favorevole alla sua politica antifrancese. Ma non poté fare molto, perché gravemente ammalato, trascorse il suo pontificato a letto; per questo fu detto "pontifex clinicus". Innocenzo IX morì il 30 dicembre 1591, dopo appena due mesi di pontificato, ed in occasione del suo funerale la sua orazione venne scritta dal gesuita Benedetto Giustiniani. La sua salma venne sepolta in un sarcofago romano secondo le mode artistiche dell'epoca e riposta poi nelle Grotte Vaticane ove ancora oggi riposa. Il conclave è durato dal 27 al 29 ottobre 1591. Alla morte di Gregorio XIV, il Sacro Collegio dei Cardinali era formato da 65 membri poiché, rispetto al precedente conclave, oltre a Gregorio XIV, erano mancati i cardinali Antonio Carafa, Giovanni Antonio Serbelloni, Gian Girolamo Albani e Ippolito De Rossi. Dei 65, 9 cardinali non parteciparono al conclave, pertanto il nuovo papa fu eletto da 56 cardinali.

Clemente VIII, nato Ippolito Aldobrandini (Fano, 24 febbraio 1536 – Roma, 3 marzo 1605), fu il 231º papa della Chiesa cattolica e 139º sovrano dello Stato Pontificio dal 1592 alla sua morte.

Ippolito Aldobrandini nacque a Fano il 24 febbraio 1536, stando al registro dei battesimi della cattedrale di Fano, fu battezzato il 4 marzo 1536. La data di battesimo è importante perché alcune fonti sostengono che sia nato nel 1535, ma sembrerebbe difficile che all'epoca si fosse aspettato più di un anno per battezzare un bambino. Era figlio di Silvestro Aldobrandini, avvocato fiorentino, governatore di Fano, allontanato da Firenze per dissapori con i Medici e di Lisa Deti. Il cardinale Giovanni Aldobrandini era suo fratello. Compì gli studi nelle Università di Padova, Perugia e Bologna, dove si laureò in giurisprudenza seguendo gli insegnamenti del futuro cardinale Gabriele Paleotti. Avendo dimostrato buone doti di giurista, fu nominato avvocato concistoriale e uditore di Rota. Fu ordinato sacerdote solo nel 1580, forse spinto dal suo consigliere spirituale Filippo Neri, il futuro santo. Fu creato cardinale-prete nel concistoro del 18 dicembre 1585, ricevendo il titolo di San Pancrazio. Nel 1588 fu inviato come legato in Polonia per regolare la disputa tra il re Sigismondo III Vasa e la casa d'Asburgo. Il 30 dicembre 1591 morì papa Innocenzo IX e il 10 gennaio 1592 iniziò il conclave per eleggere il suo successore. Nell'arco di circa un anno vi erano stati tre conclavi e i cardinali erano seriamente intenzionati a eleggere un papa che potesse dare garanzie di longevità. Alla morte di papa Innocenzo IX il Sacro Collegio dei Cardinali era formato da 65 membri, ma il cardinale Juan Hurtado de Mendoza morì durante il periodo di sede apostolica vacante e 10 cardinali non parteciparono al conclave, pertanto il nuovo papa fu eletto da 54 cardinali. Il 30 gennaio 1592, dopo 20 giorni di conclave, il cardinale Aldobrandini fu eletto pontefice, grazie ai voti dei cardinali oppositori della Spagna, con il nome di Clemente VIII. Il 2 febbraio 1592 venne consacrato vescovo di Roma dal decano del Sacro Collegio e il 9 febbraio fu incoronato dal cardinale Francesco Sforza di Santa Fiora, protodiacono di Santa Maria in Via Lata. Fin dal momento della sua elevazione si impegnò con tutte le sue energie nel tentativo di attuare una riforma del cattolicesimo in tutti i paesi. Nel 1592, secondo l'esempio barnabita, fece introdurre in tutte le diocesi la pratica delle Quarantore, istituita a Milano nel 1527. Nel 1594 avocò a se la diatriba sorta tra Gesuiti e Domenicani, nata a causa del De concordia del Molina, un trattato sulla grazia e sul libero arbitrio, che era arrivata fino al foro della Sede Apostolica. Per risolverla istituì una commissione, la Congregatio de auxiliis gratia, che se ne occupò per nove anni. Durante il suo pontificato, Clemente ordinò anche la pubblicazione di una nuova edizione della Vulgata, che sarà poi chiamata "Clementina", fece pubblicare la revisione del Breviario romano, del Messale romano e una nuova edizione dell'Index librorum prohibitorum. Cercò anche di riunire la Chiesa latina con quelle orientali; i legati del patriarca Gabriele di Alessandria fecero professione di fede cattolica in Roma e dichiararono la loro obbedienza, ma il successivo patriarca tornò indietro. Nel sinodo di Brėst del 1595, i vescovi ruteni, presieduti dal metropolita di Kiev, decisero per la riunione alla Chiesa latina secondo il decreto fiorentino del 1439. L'unione fu proclamata e attuata nel sinodo di Brėst del 1596. Tentò anche di ristabilire il cattolicesimo in Inghilterra, ma Giacomo I Stuart deluse le sue speranze. Il 15 agosto 1592 con la bolla Pro commissa nobis istituì, per controllare più da vicino le amministrazioni dei comuni pontifici, la Congregazione del Buon Governo. Il 19 maggio 1599, con la bolla "Annus Domini placabilis", Clemente VIII annunciò il XII Giubileo. Due giorni dopo, con la bolla "Cum sancti jubilaei", sospese le altre indulgenze e il 30 ottobre inviò a tutti i vescovi il breve apostolico "Tempus acceptabile", con il quale li esortava a prepararsi al Giubileo organizzando pellegrinaggi a Roma. La Porta Santa fu aperta il 31 dicembre, in contemporanea nelle quattro basiliche patriarcali. Tutte le campane di Roma suonarono a festa accompagnate dal rombo dei cannoni di Castel Sant'Angelo. Osti, albergatori, bottegai e negozianti vennero diffidati dal rincarare i prezzi. Furono presi severi provvedimenti per la repressione del brigantaggio e del malcostume, furono vietati i festeggiamenti carnevaleschi e venne costruita una casa per ospitare vescovi e sacerdoti poveri d'oltralpe. Per quest'ultima opera la comunità ebraica di Roma offrì 500 pagliericci e coperte. Giunsero a Roma, che contava circa 100 000 abitanti, tre milioni di pellegrini. Nel solo giorno di Pasqua ne arrivarono 200 000. Ogni pellegrino poteva lucrare l'indulgenza plenaria a patto di visitare 15 volte se straniero o 30 volte se romano le basiliche. Lo stesso Clemente VIII fu di continuo buon esempio servendo personalmente a tavola i pellegrini, ascoltandone le confessioni, salendo in ginocchio la Scala Santa, mangiando ogni giorno con dodici poveri, visitando per 60 volte le Basiliche e recandosi di persona nei luoghi di penitenza per verificarne le condizioni e il funzionamento. Anche i cardinali, in segno di penitenza, rinunciarono a indossare la porpora. A causa di un attacco di gotta, che ne aveva anche ritardato l'apertura, Clemente VIII chiuse la Porta Santa il 13 gennaio 1601, anziché il 31 dicembre 1600. Clemente VIII fu un abile governante e un saggio statista. Lo scopo generale delle sue politiche fu quello di liberare il Papato dalla sua dipendenza dalla Spagna. L'evento più importante del suo regno fu, comunque, la riconciliazione con la Francia, resa possibile dal cambio di rotta politica rispetto ai suoi predecessori. Il 25 luglio 1595 riconobbe come legittimo il re di Francia Enrico IV, che nel 1593 si era convertito al cattolicesimo, e annullò la bolla con la quale Sisto V lo aveva dichiarato eretico recidivo. Dopo lunghe trattative in cui mediarono importanti delegati della Repubblica di Venezia e il futuro cardinale Arnaud d'Ossat, con l'editto di Nantes del 30 aprile 1598, il cattolicesimo tornò centrale nella politica religiosa francese. Pochi giorni dopo, il 2 maggio, il Papa riuscì a far firmare la Pace di Vervins ai sovrani di Francia e Spagna. Con questo trattato i due stati tornarono entro i confini stabiliti nel 1559 dalla Pace di Cateau-Cambrésis. Nel 1597, grazie all'appoggio di Enrico IV, Clemente mise le mani sulla città di Ferrara. In questo anno il potere estense, durato tre secoli terminò. Ormai lo Stato della Chiesa aveva raggiunto il territorio della città e il duca Alfonso II d'Este, signore di Ferrara, Modena e Reggio, fu costretto a sottoscrivere un atto nel quale si diceva che se fosse morto senza eredi il suo ducato sarebbe passato direttamente sotto il controllo pontificio. Nonostante tre matrimoni, Alfonso non generò eredi, pertanto, per salvaguardare la sua famiglia, lasciò, per via testamentaria, tutti i suoi possedimenti al cugino Cesare, ma il papa, rifacendosi all'accordo sottoscritto annesse al papato il territorio ferrarese. In quegli anni Clemente VIII iniziò a mediare la disputa tra Enrico IV di Francia e il duca Carlo Emanuele I di Savoia. Questa fu una impresa più ardua perché nessuno dei due contendenti voleva cedere: il re di Francia voleva a tutti i costi il marchesato di Saluzzo, mentre il duca non aveva alcuna intenzione di cederlo. Approfittando delle nozze di Enrico IV con Maria de' Medici, il Papa inviò in Francia, il nipote, cardinale Pietro Aldobrandini, per benedire gli sposi e iniziare i negoziati di pace. Il 17 gennaio 1601, con la firma del trattato di Lione, la disputa fu ricomposta. Carlo Emanuele cedette al Re di Francia la Bresse, il Bugey, il Valromey, Casteldelfino e altri centri minori sulla riva del Rodano; Enrico IV cedette al duca di Savoia il marchesato di Saluzzo, le piazzeforti di Centallo, Demonte, Roccasparviera e il ponte di Gresin; come ultima clausola, il Re e il Duca si restituirono le fortezze e i territori occupati durante la precedente guerra e si obbligarono a mantenere rapporti di amicizia e di buon vicinato. Il progetto di occupare Costantinopoli servendosi del capo dell'esercito turco, Scipione Cicala, un genovese che, rapito dai turchi all'età di quattordici anni, aveva dovuto rinnegare la fede cristiana non gli riuscì. Come tanti suoi predecessori, anche Clemente VIII si circondò di personaggi illustri. Fu grande amico di San Filippo Neri, dei cardinali Roberto Bellarmino e Cesare Baronio, di personaggi come l'Antoniano, Guido Bentivoglio e Andrea Cesalpino, ma si lasciò pure tentare dal nepotismo: creò cardinali due nipoti, Cinzio e Pietro Aldobrandini. Fu grande mecenate del letterato più famoso del tempo, Torquato Tasso, poeta della corte papale e per il quale il pontefice aveva preparato l'incoronazione in Campidoglio, non avvenuta per la morte stessa del poeta. Grazie a lui furono costruite, in Vaticano, la Sala del Concistoro e la Sala Clementina, e a Frascati la Villa Aldobrandini, residenza estiva del pontefice progettata da Giacomo della Porta e completata da Carlo Maderno con i giochi d'acqua ideati da Giovanni Fontana. Come il Sangallo era stato l'architetto di Paolo III, il Maderno fu l'artefice delle opere di Clemente VIII. Furono costruite la Manica Lunga, alloggio delle Guardie svizzere, la Cappella Paolina, l'Appartamento dei Principi, la Sala Regia, il Salone degli Svizzeri e la Cappella dell'Annunciazione, affrescata da Guido Reni. Sotto il suo pontificato, inoltre, fu finalmente completata la cupola della basilica di San Pietro e furono cristianizzati tutti gli obelischi di Roma, ad alcuni dei quali fu anche associata una peculiare indulgenza. Sotto il pontificato di Clemente VIII ebbero luogo a Roma due processi destinati, per motivi diversi, a passare alla storia: quello per eresia contro il filosofo Giordano Bruno, arso sul rogo, e quello contro la nobildonna romana Beatrice Cenci, decapitata per aver fatto uccidere il padre che l'aveva fatta oggetto di abusi e violenze. Il processo di Menocchio si svolse invece a Concordia, nel Friuli. Tutti e tre i casi videro l'intervento diretto del papa: nel caso di Giordano Bruno egli partecipò alla fase finale del processo invitando i giudici a procedere con la sentenza, cioè di fatto a condannare a morte l'imputato. Stessa cosa fece il Papa con Menocchio (che in realtà si chiamava Domenico Scandella). Anche in questo caso, tramite il cardinale Giulio Antonio Santori, il Papa intervenne per far eseguire prontamente la condanna a morte per eresia. Nel caso di Beatrice Cenci, preoccupato per i numerosi episodi di violenza verificatisi in quel periodo, Clemente VIII optò per una condanna esemplare respingendo le richieste di grazia rivoltegli da più parti. Clemente VIII si spense il 3 marzo 1605 alle 5 del mattino. Fu seppellito nella Cappella Paolina della basilica patriarcale di Santa Maria Maggiore a Roma. Lasciò un buon ricordo per la sua prudenza, munificenza e capacità negli affari. Il suo pontificato fu caratterizzato inoltre dal numero e dalla bellezza delle medaglie che furono coniate. Gli appassionati del caffè sostengono che la diffusione e la popolarità della bevanda, agli inizi del XVII secolo, si deve all'influenza di Clemente. Pur con le pressioni dei suoi consiglieri che volevano che dichiarasse il caffè una bevanda del diavolo, a causa della sua popolarità tra i musulmani del Medio Oriente, egli dichiarò che, "Questa bevanda del diavolo è così buona... che dovremmo cercare di ingannarlo e battezzarlo." Non è chiaro se la storiella sia vera o meno. È documentato, peraltro, che il suo medico personale Andrea Cesalpino, il quale era anche botanico, fu il primo occidentale a descrivere nelle sue opere la pianta del caffè. Tuttavia le ombre sul suo pontificato fecero sì che alla sua morte alcuni suoi oppositori tirassero un sospiro di sollievo. Più tardi Ludovico Antonio Muratori scrisse di lui: "Morì Papa Clemente, sono morti i cinque nipoti che avevano altri due cardinali fra loro; mancarono tutti i maschi di quella casa e mancò finalmente con essi ogni successione ed insieme ogni grandezza del sangue lor proprio."

Leone XI, nato Alessandro di Ottaviano de' Medici (in latino: Leo XI; Firenze, 2 giugno 1535 – Roma, 27 aprile 1605), fu il 232º papa della Chiesa cattolica e 140º sovrano dello Stato Pontificio dal 1º aprile 1605 alla sua morte.

Alessandro de' Medici nacque nella potente famiglia Medici di Firenze. Il padre era Ottaviano de' Medici appartenente ad un ramo collaterale della prestigiosa e potente famiglia fiorentina, mentre sua madre Francesca Salviati, anch'essa medicea, era nipote di papa Leone X. Non si sa granché della sua infanzia e giovinezza, giacché la fonte principale, un manoscritto della Biblioteca Casanatense a Roma, la Vita del cardinal di Firenze è danneggiato e solo in parte decifrabile. Orfano di padre e cresciuto tra le molte donne della famiglia, sembra fosse affascinato dalla predicazione del domenicano Vincenzo Ercolani della vicina chiesa di San Marco.[1] La madre Francesca si rivolse quindi al nipote il duca Cosimo I de' Medici perché facesse pressione sul giovane al fine di distoglierlo dall'idea di entrare nella religione, ma Cosimo pur facendo entrare Alessandro nella propria corte, non volle prendere posizione. Nel 1560 accompagnò il duca in un viaggio a Roma, soggiornando presso il cugino Giovanni Battista Salviati e avendo occasione di incontrare san Filippo Neri. Nel 1566 la morte della madre lo lasciò libero di scegliere la propria vita e, con il consenso di Cosimo, del cugino il cardinale Francesco Salviati e dell'arcivescovo di Firenze Antonio Altoviti, prese gli ordini. Si dedicò a vari studi ecclesiastici, senza però brillarvi perché di temperamento più pratico che speculativo.[2] Il 22 luglio 1567 Altoviti lo ordinò sacerdote e poco dopo Cosimo I lo fece cavaliere dell'Ordine di Santo Stefano; iniziò la sua vita ecclesiastica come Pievano di Santo Stefano a Campi. Il 20 giugno 1569 veniva nominato protonotario apostolico e il 10 luglio il duca lo nominò proprio ambasciatore a Roma, affinché potesse anche controllare il figlio cardinale Ferdinando. Non essendo pratico dell'ambiente politico e religioso di Roma, il principe ereditario Francesco lo raccomandò a Guglielmo Sirleto,[3] mentre il cardinale Francesco Pacheco lo presentò a papa Pio V, cui fece buona impressione.[1] Il suo primo rapporto fu inerente alla guerra religiosa in corso in Francia: riferì il 3 agosto 1569 infatti al cugino che il papa era estremamente insoddisfatto del re di Francia, che dopo la battaglia di Jarnac non aveva completamente schiacciato gli ugonotti. Ben presto si mostrò anche estremamente scaltro nel navigare tra gli intrighi delle corti, quella pontificia e quella fiorentina. Dapprima mise in giro la voce che il proprio segretario era insoddisfatto del trattamento riservatogli e ben presto gli oppositori di Cosimo lo contattarono per metterlo a conoscenza dei loro intrighi contro il duca. Poco dopo poi, presso Vitorchiano l'arresto di un soldato sbandato di Arezzo stava per essere causa di un grave conflitto diplomatico, che Alessandro smorzò. L'uomo dichiarò di essere stato inviato da Cosimo per assassinare il cardinale Alessandro Farnese: interrogato e torturato a Viterbo dal Farnese, quegli confessò cose impossibili ad essere vere[4] tantoché Alessandro fu in grado di convincere sia il papa che il cardinale di trovarsi davanti ad una montatura tesa a screditare Cosimo I. Si adoperò in favore della politica filofrancese propugnata da Cosimo, guadagnandosi quindi l'inimicizia spagnola. Il l2 agosto 1581 perorò presso papa Pio V, su consiglio e accompagnato dal cugino Antonio Maria Salviati, l'idea di un annullamento delle nozze tra Enrico III di Navarra e Margherita di Valois, figlia di Enrico II di Francia e di Caterina de' Medici, ma dopo svariati incontri il papa non cambiò idea, annunciando che prima era necessaria la conversione del re di Navarra e dell'ammiraglio Gaspar de Coligny, leader degli ugonotti. Alessandro era dell'idea che uno dei principali ostacoli alle nozze fosse il nunzio pontificio a Parigi, Flavio Mirto Frangipani, e assieme all'ambasciatore mediceo presso la corte francese, Giovanni Maria Petrucci, decise di minarne la posizione. A Parigi uno diffuse la voce che era al soldo dei Guisa e di Filippo II di Spagna, a Roma l'altro che era più legato alla politica della regina Caterina che a quella del papa, e che aveva in odio Firenze perché pagato dai duchi di Ferrara. La manovra però si risolse in un fallimento con la vittoria di Lepanto, dopo la quale il partito spagnolo a Roma divenne ancora più potente e ascoltato: il 19 ottobre Alessandro confessò a Cosimo che la posizione del Frangipane era solida e Antonio Maria Salviati dovette rimandare l'idea di subentrare all'uomo nella carica di ambasciatore presso i Valois.[5] In questi anni Alessandro diventò intimo del giovane nipote il cardinale Ferdinando de' Medici, e soprattutto con Filippo Neri, fino ad essere abituale ospite dell'Oratorio, benché il santo fosse filofrancese e rivalutasse la figura di Girolamo Savonarola. La consuetudine tra i due era tale che il Medici ebbe l'onore di posare la prima pietra della Chiesa Nuova nel 1575, che avrebbe poi consacrato nel 1599. Successivamente con il cardinale Federico Borromeo fece riesumare le spoglie del Neri per traslarle in un sarcofago più degno di quello cui era stato sepolto nella tomba comune della sua congregazione e, durante una seconda riesumazione nel 1599, infilò alla mano del cadavere un anello con zaffiro. Secondo quanto scritto negli Annali di Cesare Baronio, il santo avrebbe anche predetto per l'ecclesiastico fiorentino la tiara.[6] Alla morte di Pio V Cosimo I volle inviare a Roma, per influenzare i cardinali, il proprio segretario Bartolomeo Concini e Belisario Vinta, non avendo abbastanza fiducia in Alessandro, che come il duca sperava nell'elevazione al soglio di Ugo Boncompagni e per questo si diede da fare per boicottare Alessandro Farnese. Dopo l'elezione del Boncompagni al soglio con il nome di Gregorio XIII, Ferdinando e Concini si attribuirono grandi meriti sperando nella futura riconoscenza del pontefice, mentre invece Alessandro, più dubbioso di questa strategia, utilizzò la propria amicizia con un uomo della curia, Diomede Leoni, per arrivare al nuovo datario, Matteo Contarelli. In questo modo arrivò prima del cugino Ferdinando alla frequentazione del nuovo papa, e ciò gli giovò quando la diocesi di Pistoia divenne vacante. Ferdinando cercò di dissuaderlo sostenendo che era un incarico troppo poco importante, ma Alessandro invece ci vide un'occasione per allontanarsi dalla carica di ambasciatore e dalle relative pressioni di Cosimo e di Ferdinando.[7] Il 9 marzo 1573 il papa lo nominò vescovo di Pistoia. Nell'occasione Giorgio Vasari scrisse a Vincenzo Borghini che Alessandro e [sic] omo che Dio lo farà salir più alto.[8] Pur rimanendo a Roma, tramite il cugino Bastiano de' Medici, fu molto attivo nel riordino della diocesi pistoiese: fece applicare i decreti tridentini (soprattutto quello inerente all'obbligo di residenza per i parroci) e diminuì le tensioni con l'allora prepositura di Prato. Il 27 dicembre 1573 Ferdinando de' Medici comunicava a Papa Gregorio XIII che l'arcivescovo di Firenze Altoviti era gravemente malato: morto l'uomo due giorni dopo, scrisse che Cosimo I avrebbe gradito la nominato di Alessandro a quella carica, e a stretto giro di posta, il 4 gennaio 1574, il cardinal Tolomeo Galli comunicò alla corte che il Papa era favorevole. Di questa nomina l'unico che non si rallegrava era invece proprio Ferdinando, che si ritrovava il cugino non solo come controllore, postogli dal padre, ma anche come rivale nella carriera ecclesiastica.[9] Il 15 gennaio 1574 fu incaricato arcivescovo della sede metropolitana di Firenze, che governò da lontano, sempre tramite Bastiano de' Medici e monsignor Alfonso Binnarino vescovo di Camerino. Nonostante questa sua assenza fisica, egli seguiva continuamente da Roma la sua arcidiocesi: nominò curati, fece riorganizzare gli archivi, prescrisse il vestito per il clero e fece restaurare il Palazzo Arcivescovile, gravemente danneggiato da un incendio del 1533; sul palazzo ancora oggi campeggia il suo stemma, in un angolo con via de' Cerretani. Si occupò della riforma del clero regolare e secolare, promosse nel 1575 una visita pastorale (condotta dal cancelliere pistoiese Paolo Ceccarelli), si scontrò contro i canonici del Duomo e i loro privilegi, e si trovò contro i sostenitori dell'ideale religioso di Savonarola, che ai suoi occhi erano rei soprattutto di minare l'autorità religiosa e civile. Le tensioni perdurarono fino a quando il Generale dell'Ordine domenicano Frà Sisto Fabbri non visitò personalmente nel 1585 Firenze e il locale convento di San Marco.[9] Intanto, morto Cosimo I, era asceso al trono granducale suo figlio Francesco I de' Medici, allora nel pieno della relazione con l'amante Bianca Cappello, che avrebbe di lì a poco sposato. Alessandro non urtò il nipote né fece opposizioni di carattere morale sulla sua vita, come invece andava facendo il cardinale Ferdinando, che in questo atteggiamento dello zio vide una strategia per accaparrarsi un cappello cardinalizio. Ciò lo spinse a sostenere i canonici del Duomo contro l'arcivescovo con tanta foga che alla fine Gregorio XIII ne prese le difese e successivamente, il 12 dicembre 1583, lo creò cardinale Uno dei cardini del Concilio di Trento era l'assunto che il vescovo dovesse risiedere nella propria diocesi, e Alessandro, che tanto difendeva i precetti conciliari, proprio in questo difettava, come gli disse esplicitamente Carlo Borromeo nel 1582; egli però non poteva entrare in Firenze senza un preciso consenso granducale, che giunse solamente nel 1584. Il 12 giugno, dopo anni di assenza, rientrò nella città natia e si diede a un'intensa attività pastorale, esaminando una sessantina di monasteri nei primi mesi dal suo ingresso e ribadendo l'importanza dell'Index. Nel 1589 indisse un sinodo e una terza visita pastorale, indirizzata soprattutto a pievi, confraternite di ospedali e parrocchie di campagna, anche questa gestita dal Ceccarelli; un'altra seguì nel 1593. Oltre a ciò organizzò una serrata ricognizione delle reliquie possedute nelle varie chiese e spinse per l'introduzione della pratica delle Quarantore. Dopo aver fatto rinnovare il palazzo episcopale fin dal 1574, finanziò un restauro del duomo nel 1582. Rimase ugualmente legato anche alla Curia romana, tessendo un fitto epistolario con Guglielmo Sirleto sulla traduzione in lingua volgare del Martiriologio, e al contempo strinse i legami con il cardinal Alessandro Damasceni Peretti, che lo candidò papabile ai conclavi del 1590 che elessero Urbano VII e Gregorio XIV e a quello del 1591 che elesse Innocenzo IX. In questa occasione la fazione spagnola gli oppose il cardinale Giovanni Antonio Facchinetti, che Alessandro stesso votò e appoggiò, causando le ire del nipote Ferdinando I che sperava di avere un nuovo papa in famiglia. Alessandro gli fece sapere di non essere il suo schiavo.[10] Nel 1590 tornò a vivere a Roma dove il nuovo pontefice Clemente VIII lo ricoprì di incarichi e onori: entrò a far parte della Congregazione dei Riti e delle Strade, divenne protettore della Confraternita della Vita Cristiana e partecipò a tutte le cose di fabbriche e di palazzo e di suore come scrisse a Ferdinando I.[11] Vista la sua posizione, riprese ad essere tramite tra il pontefice e spinse sul granduca perché appoggiasse la riforma dei monasteri, femminili specialmente, e in cambiò provò a persuadere Clemente VIII a ridurre la manomorta ecclesiastica, non riuscendoci.[12] In quegli anni intanto volgeva al termine la guerra di religione in Francia: Enrico IV si era per l'ultima volta convertito al Cattolicesimo il 25 luglio 1593 durante una solenna cerimonia a Saint-Denis e Alessandro, spinto in questo da Ferdinando I e da Filippo Neri, cercò di indurre il papa a ritirare scomunica e censure sul sovrano. Clemente VIII era favorevole alla cosa, ma temeva la reazione spagnola: Alessandro lo persuase mentre nel contempo suggeriva una cauta linea d'azione al cardinal Jacques Davy du Perron, che perorava la causa del re. Il 17 settembre 1595, con una cerimonia fastosa commemorata anche da una colonna eretta in memoriam presso la Chiesa di Sant'Antonio Abate all'Esquilino (e oggi dietro Santa Maria Maggiore), Clemente VIII assolse Enrico IV incurante delle proteste spagnole e di quelle dei Gesuiti, cui il re non aveva concesso di rimettere piede nel regno. Alessandro si impegnò perché l'Ordine esprimesse le proprie rimostranze in maniera contenuta.[13] Con questi pregressi, Alessandro era l'uomo più adatto, sia per Clemente VIII che per Enrico IV, ad accompagnare come legato il nunzio apostolico Francesco Gonzaga in un'importante missione diplomatica e religiosa: il papa voleva portare alla pace Spagna e Francia, cosicché potessero assieme combattere i Turchi, e regolarizzare la situazione dell'episcopato francese dopo anni di guerre religiose e sedi episcopali vacanti. Se il primo obiettivo era arduo, il secondo, che prevedeva la ratifica da parte di Enrico IV dell'atto di abiura e dei decreti tridentini (oltre al rientro dei Gesuiti) non si presentava più semplice. Questi due risultati stavano molto a cuore al papa, che spesso accantonava il nipote cardinale Alessandro Aldobrandini e rispondeva personalmente alle lettere del Medici.[14] Il 3 aprile 1596 venne ufficialmente nominato legato a latere il 10 maggio ricevette il breve d'istruzione e la croce: partito l'indomani arrivò a Firenze il 17 maggio e presso la corte di Carlo Emanuele I di Savoia il 10 giugno. Il 19 giugno un ulteriore breve che gli concedeva la facoltà di assolvere gli eretici convertiti. Dopo un breve viaggio giunse a Montlhery dove incontrò Enrico IV e il 21 luglio fece il suo ingresso a Parigi dove venne accolto con freddezza. Il parlamento infatti si rifiutò di accogliere le sue credenziali fintantoché avessero fatto riferimento ai concili tridentini: Alessandro fece sapere che non avrebbe accettato nessuna riserva ma nei fatti fu quello che invece avvenne.[13] Enrico IV continuò a mostrare di apprezzare il legato a latere e il 19 agosto 1596 firmò solennemente il documento con cui si riconciliava con la chiesa cattolica. Alessandro seguì il re e la sua corte negli spostamenti da una residenza regia all'altra e fino al febbraio del 1597 fu a Rouen, che lasciò per dirigersi in Piccardia, dove soggiornò fino al giugno dell'anno seguente, prima a San Quintino e infine a Vervins, dove si sarebbe tenuta la conferenza di pace. Intanto il papa gli aveva inviato come aiuto il generale dei minori osservati fra Bonaventura Secusi da Caltragirone, che svolse l'importante compito di tenere i contatti fra i vari contendenti: Enrico IV, Filippo II di Spagna e l'arciduca Alberto d'Austria, governatore dei Paesi Bassi del Sud. Dopo aver risolto gli inevitabili inconvenienti legati all'etichetta di corte e alle precedenze, Alessandro poté presiedere senza dare cenni di stanchezza[15] alla conferenza di pace, che durò dal 9 febbraio al 2 maggio 1598 e che si concluse con un grande risultato: Filippo II riconobbe l'ex protestante Enrico di Borbone quale legittimo re di Francia e ritirò le proprie truppe dal suolo francese. Firmata la pace, Vervins fu abbandonata dai vari amabasciatori e Alessandro ritornò a giugno a Parigi, dove venne accolto dal popolo e dal sovrano in maniera trionfante: già all'indomani della fine della conferenza Enrico IV aveva decantato con l'ambasciatore fiorentino le qualità del Medici e si era detto totalmente soddisfatto di quanto raggiunto. Proprio questo però mutava la scena politica francese: Erico IV aveva raggiunto i suoi obiettivi, ragion per cui Alessandro non gli era più utile ma anzi risultava d'impedimento, poiché aveva ripreso a chiedere l'applicazione dei decreti tridentini e il ritorno dei gesuiti in Francia. A ciò si aggiungeva che la favorita del re e madre dei suoi figli, Gabrielle d'Estrées, non ne gradiva la presenza, intuendo che egli avrebbe cercato di indurre Enrico IV a divorziare dalla sterile moglie Margherita per sposare la ricca Maria de' Medici, figlia del defunto granduca Francesco I. Alessandro vide come la situazione si stesse facendo difficile per lui e a settembre disse all'ambasciatore veneziano Francesco Contarini che voleva semplicemente tornarsene a Roma. Ad agosto fu il re stesso a consigliargli di tornare alla corte papale e il 1º settembre lo congedava dalla Francia, seppur mostrandogli ancora la propria benevolenza. Giunto il 9 settembre a Digione, ai primi di ottobre varò il passo del Sempione per arrivare, passando dal Lago Maggiore e Piacenza, a Ferrara, dove il 9 novembre 1598 si incontrò con Clemente VIII, che ne tessé le lodi e lo designò prefetto della Congregazione dei Vescovi. Tenuto conto della sua passata attività, Alessandro fu in prima linea nel continuare a tessere la trama diplomatica per le nuove nozze di Enrico IV con Maria de' Medici: questa dedizione, già mostrata durante il periodo francese, gli aveva procurato le critiche del nunzio Gonzaga, che aveva scritto a Pietro Aldobrandini che il fiorentino si dedicava più ai maneggi matrimoniali che a far approvare i decreti tridentini.[15] Per primo si impegnò nel far annullare le nozze di Enrico con Margherita di Valois e il 10 novembre 1599 presiedette la congregazione che trattò il caso: poco prima era morta l'amante del sovrano, Gabriella d'Estrées e quindi non sussistevano più legami sentimentali che impedissero le future nuove nozze. Tanto impegno venne poi ripagato nel 1602 quando Enrico e Maria, infine sposatisi, chiesero ad Alessandro di battezzare il loro primogenito Luigi, onore che rifiutò per non mettersi troppo in cattiva luce con i congiunti del papa regnante Clemente VIII, tutti filospagnoli. Infatti Alessandro stava facendo una notevole carriera nella curia romana, fino ad essere considerato uno dei papabili. Il 30 agosto 1600 era stato creato Cardinale vescovo di Albano, nel 1602 di Palestrina e, pur filofrancese, aveva stabilito dei solidi rapporti con il cardinal nipote Pietro Aldobrandini e con il cardinal Felice Peretti. Inoltre in suo favore veniva anche l'oggettiva e continua cura pastorale verso l'arcidiocesi di Firenze, che non trascurava nonostante non vi risiedesse: si interessò della riforma dei monasteri, nel 1601 organizzò una visita pastorale e nel 1603 un sinodo. Infine, come membro della curia romana, non trascurò alcuni gravi problemi amministrativi dello stato pontificio, quale il fenomeno del banditismo.[16] Con l'aggravarsi dello stato di salute di Clemente VIII, iniziarono i giochi politici delle grandi potenze in vista del prossimo conclave. Il 28 ottobre 1604 Enrico IV disse ai cardinali francesi di stare pronti a sostenere Alessandro de' Medici oppure Cesare Baronio[17] e nel marzo seguente palesò al cardinale Francesco Joeyeuse l'intenzione di comprare l'appoggio di Pietro Aldobrandini.[18] Il 14 marzo 1605, undici giorni dopo la morte di Clemente VIII, sessanta cardinali entrarono in conclave nella Cappella Paolina in Vaticano. Erano divisi in vari gruppi: i nove nominati da Sisto V si fronteggiavano ai trentotto di Clemente VIII, seguivano i sette di Pio IV e di Gregorio XIII e i cinque di Gregorio XIV.[15] Gran parte del Sacro Collegio percepiva pensioni e prebende dalla Corona Spagnola, cosicché Clemente VIII per controbilanciare tale influenza negli anni aveva creato molti cardinali, di cui però solo trentotto gli sopravvissero; forza comunque sufficiente per contrastare gli spagnoli se l'Aldobrandini, a capo proprio della fazione italiana, fosse stato in grado di gestire al meglio le manovre politiche durante l'elezione. La fazione spagnola aveva venticinque cardinali (guidati dall'arcivescovo d'Avila), cui si opponevano altre minori, come quella francese con solo cinque cardinali capeggiati da François de Joyeuse. Benché durante le votazioni vennero fatti i nomi di ben ventuno candidati, solo due avevano una possibilità reale, Alessandro de' Medici e Baronio, ambedue favoriti dalla Francia e profondamente avversati dalla Spagna, che sostenevano l'anziano Tolomeo Galli. Il secondo recentemente aveva scritto un libro che esponeva gli abusi dei governanti spagnoli in Sicilia sia nelle sfere secolari che in quelle ecclesiastiche. La fazione spagnola si sarebbe opposta con forza ad un nemico personale del re Filippo III e lo fece con tanta foga, proponendo anche cardinali con età molto giovane, ventenni, purché vicini al partito spagnolo, da fare fece gridare allo scandalo il coscienzioso cardinale Roberto Bellarmino, anch'egli papabile ma che personalmente preferiva il cardinale Cesare Baronio. Il partito italiano, guidato dal cardinale Aldobrandini, che pure era aperto anche a far convergere i voti su Francesco Blandrata o Paolo Emilio Zacchia[19] finì con l'unirsi al partito filo-francese. Alessandro de' Medici si impegnò a difendere Baronio dagli attacchi degli spagnoli, ma allo stesso tempo si avvicinò al Cardinal Peretti, che alla fine fece convogliare su di lui un numero tale di voti da fargli superare il quorum dei due terzi nella notte tra il 1º e il 2 aprile.[19] Il nuovo papa, che prese il nome di Leone in ossequio al primo pontefice della famiglia, scelse dei fiorentini come propri collaboratori: segretario di stato il pronipote Roberto Ubaldini, tesoriere l'abate Luigi Capponi, Segretario dei Brevi ai Principi Pietro Strozzi, a capo della Consulta Pietro Aldobrandini, penitenziere Cinzio Aldobrandini e datario apostolico il cardinal Pompeo Arrigoni. Tanti favori verso i concittadini, ma nessuno verso i parenti, cui vietò di presenziare alla sua presa di possesso del Laterano il 17 aprile. Già il 2 aprile preparò una lettera da mandare tramite il cardinale Ludovico Madruzzo con cui esponeva l'intenzione di appoggiare gli Imperiali in Ungheria contro i Turchi, benché le casse pontificie fossero sguarnite: una congregazione di cardinali istituita per gli affari ungheresi nove giorni dopo rese ufficiale tale dichiarazione. Il 10 aprile abolì l'imposta che gravava sui cittadini romani per il mantenimento delle truppe pontificie ed emise un'ordinanza per istituire una Congregazione che seguisse le vicende della fabbrica di San Pietro. Nonostante i voti ricevuti in conclave, Leone XI non volle dimostrarsi legato alla Francia: all'ambasciatore spagnolo disse che il suo re poteva contare su di lui come su un vero amico e convocò una Congregazione per riformare il conclave, al fine di sostituire l'elezione per ispirazione con quella a voto segreto. Questa riforma, se compiuta, avrebbe tolto potere all'Aldobrandini, lasciando una maggiore libertà di voto ai molti cardinali che facevano riferimento e lui, e rimesso in gioco la fazione spagnola. Il 17 aprile da San Pietro si diresse al Laterano, scortato, tra gli altri, da sessanta nobili romani e quaranta fiorentini: al capo di Ponte Sant'Angelo, nei pressi di San Giovanni dei Fiorentini lo aspettava un arco di trionfo posticcio, progettato e decorato da Pietro Strozzi. Purtroppo durante la cerimonia prese freddo e cadde ammalato.[20] Sul letto di morte gli venne così insistentemente richiesta la porpora per il nipote Ottaviano de' Medici che sostituì il proprio confessore, che caldeggiava la scelta nepotista, con un carmelitano spagnolo: il rifiuto era dovuto al desiderio di non macchiare la propria fama.[21] L'elogio funebre fu tenuto da Pompeo Ugonio: il corpo, sepolto a San Pietro nella navata sinistra, è racchiuso in un suntuoso mausoleo pagato dal pronipote Roberto Ubaldini (una volta divenuto cardinale sotto papa Paolo V) ed eseguito da Alessandro Algardi. Alla notizia della sua morte si diffuse un sincero cordoglio a Roma, Firenze e in Francia improntata al ricordo della sua modestia e della sua correttezza.[21]

Paolo V, nato Camillo Borghese (Roma, 17 settembre 1552 – Roma, 28 gennaio 1621), fu il 233º papa della Chiesa cattolica e 141º sovrano dello Stato Pontificio dal 1605 alla sua morte.

Nacque a Roma dalla nobile famiglia Borghese originaria di Siena, che era da poco tempo approdata nell'Urbe, figlio dell'avvocato concistoriale Marc'Antonio, patrizio senese, e della nobile romana Flaminia Astalli: ROMANUS appare in molte delle sue iscrizioni. Studiò diritto canonico a Perugia e Padova e poi svolse l'attività di avvocato canonista, finché non scelse la carriera ecclesiastica, che intraprese con rapido successo. Nel 1588 fu vice-legato a Bologna. Nel giugno 1596 venne creato cardinale da papa Clemente VIII per il quale era stato diplomatico nel 1593 presso la corte spagnola di Filippo II. Nel 1602 Clemente VIII lo nominò segretario del Sant'Uffizio, carica che mantenne fino all'elezione; divenne Vicario di Roma nel 1603. Non ebbe mai legami con alcuna parte politica o internazionale, dedicandosi molto allo studio del diritto. Si spense il 28 gennaio 1621 per un colpo apoplettico durante una cerimonia di ringraziamento alla Madonna per la vittoria dei cattolici nella battaglia della Montagna Bianca e la sua tomba si trova nella cappella Paolina della Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma. A Paolo V successe Gregorio XV. Alla morte di Leone XI dopo solo 26 giorni di pontificato il 27 aprile 1605, si aprì un conclave che, come spesso avveniva, era tormentato da diversi interessi delle nazioni cattoliche cioè Francia, Austria e Spagna. Dopo otto giorni e il veto di Filippo III di Spagna nei confronti dei cardinali Cesare Baronio e Roberto Bellarmino, considerati intransigenti e a lui avversi, l'accordo venne il 16 maggio sul cardinal Borghese. La sua neutralità e la distanza dalle varie fazioni lo resero un ideale candidato di compromesso. Il suo carattere era abbastanza severo e poco incline ai compromessi; avvocato più che diplomatico, fortemente convinto dell'esigenza di riaffermare il potere della Chiesa romana, ne difese i diritti con tutte le sue forze. In questa chiave fece riordinare i fondi archivistici della Biblioteca Apostolica Vaticana (cioè le fonti giuridiche dell'attività della Curia romana), costituendo il primo nucleo dell'Archivio Segreto Vaticano. Il suo primo atto fu quello di rispedire nelle loro diocesi i vescovi che soggiornavano a Roma, poiché il Concilio di Trento aveva ribadito che ogni vescovo doveva risiedere nella propria diocesi. Non per questo, tuttavia, si sottrasse al costume nepotistico dei papi, grazie al quale suo nipote, il cardinale Scipione Borghese, acquistò enorme potere, consolidando l'ascesa e il patrimonio della famiglia. La sua profonda cultura giuridica e la sua visione poco transigente comportarono subito contrasti con alcuni principati italiani e con la Francia. Difatti impose a Enrico IV l'accettazione delle norme del Concilio di Trento, censurò i duchi di Parma e di Savoia, obbligò inoltre la Repubblica di Genova e di Lucca ad abrogare dei provvedimenti per nulla eterodossi, ma spettanti solamente alla suprema autorità pontificia. Il contenzioso con Venezia[modifica | modifica sorgente] Quindi incominciò a fare la voce grossa nei confronti della Repubblica di Venezia, intimò il Patriarca Francesco Vendramin di presentarsi a Roma per farsi esaminare, inoltre protestò, come fece il suo predecessore Clemente VIII, verso una legge della Serenissima che obbligava tutti i navigli pontifici di passare per Venezia. L'attrito trovò modo di esplicitarsi quando Venezia condannò due canonici, Scipione Saraceni e il conte Marcantonio Brandolini (abate di Nervesa), il primo accusato per normali reati comuni, il secondo di omicidi, stupri e altre violenze. Il Papa chiese che i due fossero estradati a Roma, in quanto religiosi, per essere sottoposti al tribunale ecclesiastico, inoltre chiedeva l'abrogazione di due leggi con le quali il Senato aveva vietato l'erezione di luoghi di culto senza esplicita autorizzazione del potere civile e aveva subordinato al proprio consenso l'alienazione di beni immobili alla Chiesa (lo fece per non rischiare di vedere la formazione di una massa troppo imponente di beni religiosi all'interno dei suoi territori). Venezia, attraverso l'ambasciatore Agostino Nani, si rifiutò affermando che i Veneziani non erano tenuti a rendere conto delle loro operazioni se non a Dio, che per il Senato Veneziano era l'unico superiore al Doge nelle cose temporali, quindi la minaccia di scomunica con cui aveva battuto le rimostranze di molti altri stati europei non aveva funzionato con Venezia. A dicembre inviò a Venezia due brevi apostolici che dichiaravano nulli quei due provvedimenti e pretese la loro abrogazione, sperando di sortire un effetto intimidatorio in quella parte del Senato Veneziano, i cosiddetti "giovani", che gli erano ostili. La posizione veneziana venne difesa da un abile teologo, Paolo Sarpi religioso servita, che venne nominato il 28 gennaio come consultore in iure, ossia teologo e canonista della Repubblica, che estese la questione ai principi generali, definendo sfere separate per potere secolare e potere ecclesiastico. Dopo l'elezione del nuovo doge Leonardo Donà, schierato con i "giovani", Papa Paolo inviò un altro breve che esigeva la revoca di un'altra legge, quella che aboliva il diritto di prelazione degli ecclesiastici sui beni enfiteutici, quindi il 17 aprile del 1606 diede lettura in concistoro di un monitorio, un vero e proprio ultimatum, con il quale minacciò di scomunicare il Senato Veneziano e di interdire tutto il territorio della Serenissima se i due prigionieri non fossero stati consegnati e le tre leggi abrogate. Ma la Repubblica, che aveva già ricevuto molte scomuniche durante la sua storia, rispose ponendo sui portali della Basilica di San Pietro a Roma il famoso «Protesto», un documento nel quale l'ultimatum papale veniva dichiarato nullo e privo di valore perché contrario alle Scritture, ai sacri canoni e ai Padri della Chiesa e si pregava Dio che ispirasse Papa Paolo a riconoscerne l'inutilità e il male operato contro la Repubblica, mentre più dure furono le parole del doge Donà al nunzio apostolico di Venezia, al quale disse che la "vostra scomunica non la stimiamo per nulla, come cosa senza valore". Il Protesto fu diramato a tutte le autorità ecclesiastiche dello Stato veneziano. Con esso si decretava che, stante l'invalidità dell'interdetto, la vita religiosa dovesse proseguire normalmente. Nel Protesto i teologi veneziani sostenevano che il potere spirituale e quello temporale (entrambi istituiti da Dio) dovevano esser considerati indipendenti: il primo era stato affidato agli apostoli e ai loro successori (di qui il potere papale), mentre il secondo era stato consegnato ai prìncipi, ai quali anche gli ecclesiastici dovevano obbedienza in quanto sudditi: ogni intromissione papale era perciò inammissibile. Il papa e i suoi teologi invece si rifacevano alle dottrine medievali sull'origine divina di ogni potere e sulla supremazia assoluta del potere spirituale su quello temporale, delegabile ma quindi anche revocabile dal papa; inoltre consideravano ingiusta e illecita ogni ingerenza del potere politico negli affari ecclesiastici. Il giudizio sugli atti del Papa spettava solamente a Dio. Tutti i cittadini della Repubblica continuarono ad andare regolarmente a messa, visto che fu dato l'ordine al clero veneziano di non fare menzione della scomunica; tutto il clero si schierò con il Senato e il governo della città, a eccezione dei Gesuiti, dei Teatini e dei Cappuccini, con il risultato che i primi furono espulsi a forza dal Senato in quanto volevano obbedire alle disposizione del Papa pur restando nei territori di Venezia (si dovette anche metterli sotto scorta armata per difenderli dalla violenza del popolo), i secondi e i terzi se ne andarono di loro spontanea scelta. Le messe continuarono a venire celebrate, e la festa del Corpus Domini venne svolta con un'impressionante pompa e magnificenza, per dare mortificazione al Papa. Nel giro di un anno (marzo 1607) il disaccordo venne mediato da Francia e Spagna poiché si stava rischiando di raggiungere una guerra europea, con Francia, Inghilterra e Turchi che si sarebbero schierati con Venezia in caso di un attacco spagnolo e austriaco contro i domini del Golfo, che era di certo ben visto dal papa. Il primo a muoversi fu Filippo III di Spagna che inviò a Venezia un ambasciatore straordinario che trovò favorevole lo stesso doge, ma la cui mediazione fu mandata in fumo dall'intransigente opposizione di una parte del Senato. Quindi si fece avanti Enrico IV di Francia, che attraverso il cardinale di Joyeuse negoziò un compromesso, al quale intervento la Spagna non si oppose. Il 21 aprile del 1607 la Serenissima consegnò i due canonici all'ambasciatore di Francia (con esplicita dichiarazione che lo si faceva per un atto di riguardo verso Enrico IV e senza alcun pregiudizio del diritto della Repubblica di giudicare anche gli ecclesiastici), il quale li rimise al cardinale François de Joyeuse che a sua volta li consegnò alle autorità pontificie, dopodiché si presentò in Collegio (magistratura Veneziana) e comunicò che l'interdetto era stato revocato e tutte le censure ecclesiastiche erano state levate; il doge, a sua volta, comunicò la revoca del Protesto, ma non abrogò le tre leggi contestate che furono solo sospese temporaneamente. La Repubblica quindi riammise i Teatini e i Cappuccini, ma non i Gesuiti - comminando anzi severe pene a chi avesse fatto educare i figli da loro fuori dello Stato. Rifiutò inoltre di assegnare la pingue abbazia della Vangadizza nel Polesine al cardinale e nipote del papa Scipione Borghese, e condannò a morte un ecclesiastico patrizio, l'abate Marcantonio Corner, colpevole del ratto a mano armata della moglie di un mercante. Difficoltà di intesa a livello internazionale Paolo V le suscitò anche con l'Inghilterra. L'ascesa al trono di Scozia e Inghilterra del figlio della cattolica Maria Stuarda, Giacomo I Stuart, nel 1603, incoraggiò Paolo V a intervenire attivamente nella politica religiosa inglese. Il Papa scrisse quindi una lettera di felicitazioni al nuovo re, il 9 luglio 1606, pregandolo, con l'occasione, di non far soffrire i cattolici innocenti, per il crimine di pochi, in riferimento alla Congiura delle Polveri che era stata ordita dai cattolici contro la vita del monarca e di tutti i membri del Parlamento nel novembre precedente, e promettendo di esortare tutti i cattolici del reame a sottomettersi al loro sovrano, in tutte le questioni che non si opponevano all'onore di Dio (l'effigie di Paolo V viene ancora oggi bruciata tutti gli anni a Lewes durante le celebrazioni per il Guy Fawkes Day - vedi Lewes Bonfire in en.wikipedia). Era chiaro il tentativo di influire sulla politica religiosa del nuovo re, volgendola in favore dei cattolici, e fu presto chiaro che Giacomo, occupato invece a consolidare il proprio trono perseguendo una politica di equilibrio tra protestanti e cattolici, non aveva alcuna intenzione di schierarsi in tal senso. Anzi, poco dopo il re inglese pretese un giuramento di fedeltà da tutti i suoi sudditi, nel quale si anteponeva l'interesse del re a qualsiasi altro dovere. Paolo V condannò solennemente questa posizione in una nota pubblicata poche settimane dopo (22 settembre 1606, ed estesa il 23 agosto 1607). Questa condanna accentuò la divisione dei cattolici inglesi in lealisti e papisti. Altro elemento di disturbo nelle relazioni con l'Inghilterra fu la lettera del Cardinale Roberto Bellarmino all'arciprete inglese Blackwell, che lo rimproverava per aver prestato il giuramento di fedeltà in apparente spregio dei suoi doveri nei confronti del Papa. La lettera ricevette sufficiente diffusione da venire citata in uno dei saggi teologici di Giacomo I (1608), e Bellarmino si trovò a duellare in uno scambio di pamphlet con il Re d'Inghilterra. La politica culturale[modifica | modifica sorgente] Paolo V si incontrò con Galileo Galilei nel 1616, dopo che il Cardinale Bellarmino aveva, su suo ordine, avvertito Galileo di non sostenere o difendere le idee eliocentriste di Copernico fino all'avvenuta dimostrazione certa e di poterla esporla come ipotesi matematica. Che ci fosse stato o meno anche un ordine di non insegnare tali idee, è stato oggetto di discussione. Incoraggiò sempre il pittore Guido Reni, e dichiarava la sua profonda ammirazione anche per le opere di Caravaggio. Canonizzò Carlo Borromeo (1º novembre 1610) e beatificò diverse personalità, tra cui Ignazio di Loyola, San Filippo Neri, Teresa d'Avila, e Francesco Xavier. Gli interventi in campo architettonico e urbanistico di Paolo V a Roma, nonostante la lunghezza del suo pontificato non ebbero carattere strategico come era stato per Sisto V, ma puntarono piuttosto ad estendere la potenza della famiglia Borghese e a magnificarne il nome. In questa logica affidò a Carlo Maderno la radicale modifica del progetto michelangiolesco della Basilica di San Pietro, modificandone la pianta e iscrivendo nel timpano, al centro del nuovo amplissimo frontone, un gigantesco «PAVLVS V BVRGHESIVS» (il testo completo dell'iscrizione recita «IN HONOREM PRINCIPIS APOST(olorum) PAVLVS V BVRGHESIVS ROMANVS PONT(ifex) MAX(imus) AN(no) MDCXII PONT(ificati) VII»). Affidò inoltre a Flaminio Ponzio l'ampliamento del Palazzo del Quirinale e la ristrutturazione della piazza, facendo del colle Quirinale, con il palazzo che il cardinal nepote Scipione Borghese si fece costruire nello stesso periodo (oggi Palazzo Pallavicini Rospigliosi), una sorta di belvedere su Roma, e come una "corte" delle residenze della famiglia Borghese. A Paolo V si deve anche il restauro dell'acquedotto che portava a Roma l'Aqua Traiana da Bracciano, per alimentare la zona di San Pietro, e la costruzione delle due mostre, il Fontanone del Gianicolo e la fontana detta dei Cento Preti - oggi posta a Piazza Trilussa, ma originariamente eretta all'inizio di via Giulia presso ponte Sisto, dall'altra parte del Tevere. Per prelevare i materiali necessari alla costruzione della fontana dell'Acqua Paola, inoltre, diede ordine di smantellare il tempio di Minerva nel foro di Nerva, fino ad allora molto ben conservato. Sull'Esquilino, di fronte alla Basilica di Santa Maria Maggiore dove si era fatto costruire da Flaminio Ponzio una cappella affrontata e simmetrica a quella di Sisto V, Paolo V fece erigere dal Maderno una colonna prelevata dalla Basilica di Massenzio, ponendola al centro di una fontana, ugualmente simmetrica all'obelisco eretto da Sisto V di fronte all'abside della basilica.

Gregorio XV, nato Alessandro Ludovisi (Bologna, 9 gennaio 1554 – Roma, 8 luglio 1623), fu il 234º papa della Chiesa cattolica dal 1621 alla morte.

Era figlio del conte Pompeo Ludovisi e di Camilla Bianchini. Studiò filosofia e teologia al Collegio Romano. Il 4 luglio 1575 si laureò in utroque iure all'Università di Bologna. Tornò a Roma il 23 luglio 1575 e papa Gregorio XIII lo nominò giudice del Campidoglio. Nel 1593 papa Clemente VIII lo nominò referendario del Tribunale della Segnatura Apostolica. Nel 1596 divenne luogotenente del cardinale vicario Girolamo Rusticucci, quindi fu dal 1597 al 1598 Vicegerente della diocesi di Roma e auditore della Sacra Romana Rota dal 1599. Il 12 marzo 1612 fu nominato arcivescovo di Bologna e fu consacrato il 1º maggio dello stesso anno nella chiesa di Sant'Andrea al Quirinale dal cardinale Scipione Caffarelli Borghese, co-consacranti Fabio Biondi, patriarca titolare di Gerusalemme e Volpiano Volpi, arcivescovo di Chieti. Il 13 agosto 1616 fu nominato nunzio straordinario in Savoia per dirimere la controversia sul Monferrato che opponeva il duca di Savoia Carlo Emanuele al re di Spagna Filippo III. Nel concistoro del 19 settembre 1616 papa Paolo V lo nominò cardinale e il 3 dicembre 1618 ricevette il titolo di Santa Maria in Traspontina. Dopo la morte di papa Paolo V il 28 gennaio 1621, i cardinali entrarono in conclave l'8 febbraio. La Spagna presentò il veto contro l'elezione del cardinale Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria e il 9 febbraio Alessandro Ludovisi fu eletto papa. Alessandro Ludovisi, scelto il nome di Gregorio XV, fu incoronato nella basilica di San Pietro in Vaticano il 14 febbraio e prese possesso dell'arcibasilica del Laterano il 14 maggio. Il pontificato[modifica | modifica sorgente] Fu al fianco dell'imperatore tedesco contro i Protestanti, e del Re di Polonia contro i Turchi, ma in generale interferì poco nella politica europea. Molto erudito, manifestò uno spirito riformatore; il suo pontificato fu segnato dalla canonizzazione di Santa Teresa d'Avila, Francesco Saverio, Ignazio di Loyola e Filippo Neri. Con la bolla Inscrutabili divinae providentiae (1622), fondò la Congregazione della Propagazione della Fede, incaricata della diffusione della fede. Elevò Parigi ad arcidiocesi e promosse cardinale Armand-Jean du Plessis de Richelieu. Nel corso del suo pontificato, papa Ludovisi cercò di porre un argine alle ingerenze degli Stati cattolici nell'elezione pontificia. La Spagna, la Francia e l'Austria, infatti, ad ogni elezione papale esercitavano la loro decisiva influenza tramite i rispettivi porporati presenti in conclave, infrangendo il principio di fede secondo il quale l'elezione del nuovo pontefice avviene per opera e virtù dello Spirito Santo. A tal fine emanò nel 1621 la bolla Aeterni Patris, seguita, l'anno successivo, dalla bolla Decet Romanorum Pontificem, mediante le quali veniva riaffermata la necessità della clausura per il Conclave, nonché l'obbligo dell'elezione mediante una maggioranza dei due terzi del Sacro Collegio, oltre a tutta una serie di atti formali a garanzia degli obblighi testé citati. Morì due anni e cinque mesi dopo la sua elezione, in una torrida giornata estiva, l'8 luglio del 1623, nel Palazzo del Quirinale. Fu sepolto nella chiesa di Sant'Ignazio. Aveva sessantanove anni.

Urbano VIII, nato Maffeo Vincenzo Barberini (Firenze, 5 aprile 1568 – Roma, 29 luglio 1644), fu il 235º papa della Chiesa cattolica dal 1623 alla morte.

Maffeo Barberini era il quinto dei sei figli di un ricco mercante fiorentino della famiglia Barberini. Era nato in una casa in piazza Santa Croce. Come molti rampolli di famiglie doviziose, studiò presso la Compagnia dei gesuiti prima, poi presso il Collegio Romano[1]. Trasferitosi a Pisa, conseguì la laurea in giurisprudenza, che era grande desiderio della famiglia. A soli venti anni entrò, come avvocato, nell'amministrazione dello Stato Pontificio ove svolse una lunga e prestigiosa carriera, coronata anche dall'incarico di Nunzio apostolico a Parigi. Dal 1604 al 1608 fu arcivescovo di Nazareth, Canne e Monteverde, con sede a Barletta in Puglia.[2] In questo periodo, all'età di 38 anni (ovvero nel 1606), ricevette la berretta cardinalizia da papa Paolo V, che gli fu imposta dalle mani di Enrico IV, re di Francia.[3] Due anni più tardi, lasciò la sede nazarena e divenne vescovo di Spoleto. Morto lo zio che, da giovane, lo aveva ospitato a Roma, ne ereditò il cospicuo patrimonio, con il quale acquistò un prestigioso palazzo, arredandolo in maniera estremamente sfarzosa, sullo stile rinascimentale, lussuoso a tal punto da diventare il personaggio più in vista e importante della città. Il suo atteggiamento neutrale gli fu di aiuto per la sua elezione. Dopo la morte di papa Gregorio XV (al secolo Alessandro Ludovisi), il collegio cardinalizio, proseguendo l'operato del defunto pontefice, aveva tentato di arginare le ingerenze degli stati cattolici nell'elezione pontificia. Spagna, Francia e Austria, infatti, ad ogni elezione, esercitavano la loro decisiva influenza tramite i rispettivi cardinali presenti in conclave. Contro queste interferenze, Gregorio XV aveva emanato nel 1621 la bolla Aeterni Patris, seguita, l'anno successivo, dalla bolla Decet Romanorum Pontificem, in cui veniva riaffermata: la necessità della clausura durante il conclave; l'obbligo dell'elezione a maggioranza dei due terzi del Sacro Collegio, e tutta una serie di atti formali a garanzia degli obblighi citati. Ma le aspettative di riportare l'elezione papale nell'esclusivo ambito ecclesiastico, per effetto degli atti emanati da papa Gregorio, andarono deluse quando giunse il momento di eleggere il suo successore. Il Sacro Collegio si riunì in Conclave il 19 luglio del 1623 e subito cominciarono le schermaglie tra le due fazioni presenti, quella filofrancese e quella filospagnola, disattendendo totalmente quanto papa Ludovisi aveva stabilito mediante le due Bolle emanate qualche anno prima. I lavori del Conclave erano condizionati, tra l'altro, anche dalle vicende del grande conflitto in corso nell'Europa Centrale che aveva avuto inizio nel 1618 e che è noto come "guerra dei trent'anni", ovvero un grande conflitto di religione che avrebbe causato un'autentica decimazione di genti e di città. Il Sacro Collegio era composto di 67 cardinali, ma soltanto 55 presero parte al Conclave Il Conclave era nelle mani della Spagna che lo gestiva da giorni e giorni attraverso un autentico gioco ad eliminazione, fin quando la grande calura estiva, unita ad un'epidemia di malaria che aveva cominciato a decimare i porporati non indusse il Sacro Collegio a far convergere i voti necessari sul nome del cardinal Maffeo Barberini, fiorentino. Aveva 55 anni. Il pontificato del Barberini si aprì quando la Guerra dei trent'anni era in pieno svolgimento. Le operazioni belliche erano, infatti, già iniziate da ben cinque anni e si stava per concludere il cosiddetto "periodo boemo - palatino" con la sconfitta dei protestanti, la vittoria degli imperiali e l'esilio di Federico V, principe elettore del Palatinato. Stava anche per iniziare il "periodo danese" che vedeva uno schieramento di alleanze alquanto diverso da quello che aveva caratterizzato il precedente arco di tempo. La Francia, infatti, non era più nelle mani della reggente Maria de' Medici, ma in quelle del potente cardinale Richelieu, primo ministro di Luigi XIII. Il Richelieu, pur cattolico, non intendeva più appoggiare il cattolicissimo Impero asburgico, onde evitare un nuovo accerchiamento come ai tempi dell'Imperatore Carlo V. Facendo quindi prevalere la ragion di stato, si schierò dalla parte dell'alleanza tra l'Inghilterra, l'Olanda e la Danimarca, in funzione antiasburgica. La qual cosa significava l'appoggio della Francia ai prìncipi luterani, con la conseguenza della fine di ogni possibilità di restaurazione cattolica in Europa. Urbano VIII, ritenendo che la guerra in Europa si combattesse ancora per fini di religione, si era schierato con la Francia, ancor prima che il Richelieu decidesse di schierarsi contro l'Impero. Questo errore di valutazione politica e strategica ebbe come conseguenza la perdita di credibilità della figura del Papa come arbitro delle controversie internazionali. L'errore fondamentale del Barberini stava nel fatto che, invece di proporsi come arbitro delle controversie religiose, egli tentò di proporsi come arbitro delle controversie politiche tra gli Stati in lotta, autoproclamandosi, in tal modo, egli stesso come uno Stato al di sopra degli Stati. Non si era reso conto che lo Stato Pontificio, con lo scoppio della guerra dei trent'anni, ormai contava ben poco. Nel 1627 con la costituzione apostolica Debitum istituì la Congregazione dei Confini per provvedere alla difesa dello Stato Ecclesiastico, impedendo ogni cessione illegale, risolvendo ogni vertenza giurisdizionale interna o con gli stati esteri limitrofi e cercando di riacquisire i territori perduti. Una vicenda alquanto sensazionale lo vide impegnato nella impresa della riconquista del ducato di Castro e Ronciglione, che in quel momento era nelle mani di Odoardo I Farnese. Il Ducato di Castro, ubicato alle porte di Roma, era stato assegnato da papa Paolo III (Alessandro Farnese) ai nipoti, unitamente a notevoli privilegi fiscali. Ma Urbano VIII veniva da una famiglia rivale della famiglia Farnese, e nello stesso tempo intendeva riportare il ducato sotto il governo dello Stato della Chiesa. Approfittando del fatto che i Farnese in quel momento erano fortemente indebitati presso alcuni banchieri romani, il Papa confiscò tutti i loro beni e dichiarò loro guerra. Il Ducato di Castro fu occupato nel mese di ottobre del 1641; successivamente Odoardo Farnese fu scomunicato e il Pontefice lo dichiarò decaduto da tutti i diritti di proprietà e sovranità, minacciandolo di privarlo anche del ducato di Parma e Piacenza. Fallito ogni tentativo di giungere ad un accordo, il Papa dichiarò che il Ducato di Castro era possedimento della Chiesa e la famiglia Farnese ne aveva usurpato il titolo. L'atteggiamento del Papa su questa vicenda, però, indusse gli altri principi italiani a guardare con sospetto la posizione del Pontefice. Costui, infatti, se fosse venuto in possesso anche del Ducato di Parma e Piacenza, avrebbe costituito una potenziale minaccia all'integrità territoriale degli Stati dell'Italia del Nord, soprattutto perché Urbano VIII era appoggiato dalle armi francesi. Odoardo Farnese, presa coscienza di avere l'appoggio di tutte le signorie dell'Italia del Nord, e ottenuta l'alleanza di Firenze e Venezia, allestì un piccolo esercito, alla testa del quale marciò verso Roma, dando inizio ad una vera e propria guerra (Guerra di Castro) che andò avanti, con alterna fortuna, per ben quattro anni. Le operazioni militari ebbero termine soltanto a causa dell'esaurimento delle finanze da parte di tutti i belligeranti. Nel 1644 si raggiunse un accordo di pace che vide non solo la revoca della scomunica da parte del Papa, ma anche la restituzione del Ducato di Castro al Farnese. Si era consumato, in tal modo, un altro fallimento della politica di Urbano VIII. Sul piano dei rapporti internazionali, come detto, il papato di Urbano VIII si svolse tutto in contemporanea alle vicende legate alla Guerra dei trent'anni, di cui il Pontefice non riuscì a vedere la conclusione. Affondò ulteriormente la frattura tra cattolici e protestanti schierandosi contro l'Impero, così che l'Imperatore Ferdinando II d'Asburgo, dopo aver firmato il ben noto "Editto di restituzione" mediante il quale restituiva alla Chiesa cattolica le sedi ecclesiastiche sottratte ai protestanti, iniziò a nominarne i vescovi, nonostante il netto rifiuto papale ad autorizzarlo in una tale pratica, del quale l'Imperatore non tenne alcun conto. L'autorità papale ne uscì umiliata e il Barberini non si oppose a questa decisione. Anche re Gustavo II Adolfo di Svezia, sebbene alleato del Papa contro l'Imperatore, si ribellò alle richieste papali rifiutandosi di consegnare al Pontefice i vescovadi sottratti ai protestanti nella Germania del Nord durante la guerra. Papa Urbano VIII si oppose blandamente al giansenismo proibendo ogni disquisizione sul tema della grazia e su quello del libero arbitrio, rinviando i contenuti a quanto aveva stabilito al riguardo il Concilio di Trento, ma non applicò mai condanne. Durante il suo pontificato, il Barberini attinse a mani basse nelle casse dello Stato, sia per favorire i suoi familiari cui concesse cospicue donazioni consentendo arricchimenti scandalosi e illeciti e sia per realizzare i numerosi interventi edilizi, civili e militari, che caratterizzarono il suo ventennio sulla cattedra di Pietro. Ciò comportò un dissanguamento delle finanze dello Stato che impose il ricorso a numerose ed elevate tassazioni esclusivamente verso il popolo, facendo salvi i privilegi della classe nobiliare e del clero. Il malcontento popolare crebbe a tal punto che il Papa dovette far ricorso ad interventi alternativi per accontentare i suoi sudditi, riesumando vecchie abitudini festaiole cadute in disuso da anni per effetto della Controriforma e dell'Inquisizione. Ripresero le pubbliche feste, la caccia e le rappresentazioni teatrali, con l'effetto di peggiorare la finanza dello Stato. Concesse persino al clero, al livello delle più alte cariche ecclesiastiche, di abbandonarsi ad atteggiamenti dissoluti e prodighi, pur di accattivarsene le simpatie. Urbano VIII fu del resto sospettato di aver un'amante e al tempo lo si accusò di esser cedevole alla lussuria, notizia poi non provata: nel 1634 fece allontanare da Roma un funzionario pontificio che pare avesse sorpreso il papa in comportamenti intimi con un bambino. Malgrado la rigida censura, fioccarono su di lui numerosissime Pasquinate. Durante il suo pontificato convocò otto concistori, nel corso dei quali procedette alla nomina di ben 74 cardinali. Tra essi figuravano Francesco Barberini e Antonio Barberini, rispettivamente nipote e fratello del Papa; Giovanni Battista Pamphili, Patriarca titolare di Antiochia che venne poi eletto Papa il 5 settembre 1644 col nome di Innocenzo X; Antonio Barberini, altro nipote del Papa; Lorenzo Magalotti, cognato del Papa; Ascanio Filomarino, Arcivescovo di Napoli; Marco Antonio Bragadin, Vescovo di Vicenza. Elevò agli onori degli altari molti santi, tra i quali ricordiamo Francesco Saverio, Filippo Neri, Luigi Gonzaga e Ignazio di Loyola; beatificò Maria Maddalena de' Pazzi. Indisse e celebrò il Giubileo del 1625, che vide la partecipazione di circa mezzo milione di pellegrini, celebrando per l'occasione la canonizzazione di Andrea Avellino e le beatificazioni di Giacomo della Marca (il francescano che aveva inventato i Monti di Pietà), di Francesco Borgia (gesuita nipote di Alessandro VI), di Elisabetta regina del Portogallo, del cappuccino Felice da Cantalice. Rese più comode le visite alle sette chiese, sostituendo a quelle fuori le mura (San Sebastiano, San Paolo e San Lorenzo) visite cittadine a Santa Maria del Popolo, Santa Maria in Trastevere e San Lorenzo in Lucina. Sempre nella prospettiva di ridurre lo scomodo dei fedeli senza ridurne le offerte per le indulgenze, con questo giubileo venne introdotta la novità, divenuta poi usanza comune, di lucrare l'indulgenza del Giubileo ogni volta che si ripetessero a Roma le opere prescritte[4]. Il commento di Pasquino al finanziamento delle spese giubilari fu: «Urbano VIII dalla barba bella, finito il giubileo, impone la gabella». Fin da giovane si era dilettato a comporre versi, in latino e in volgare. Anche da papa continuò in questa sua attività, tant'è che nel 1629 (Bologna, Clemente Ferroni) diede alle stampe una raccolta di sue composizioni sottoscrivendosi, però, semplicemente come Maphei Cardinalis Barberini; ma si impegnò, invece, a divulgarla facendo ricorso al suo potere di capo della Chiesa. L'edizione è curata dall'Accademia della Notte di Bologna. Si circondò di poeti con cui era entrato in rapporti di amicizia - come ad esempio Gabriello Chiabrera (uno dei principali lirici del Seicento), Giovanni Ciampoli o Francesco Bracciolini - intelligente sperimentatore di forme poetiche e inventore, assieme ad Alessandro Tassoni, del poema eroicomico. Il Bracciolini celebrò l'ascesa del Pontefice al soglio con il poema "L'Elettione di Urbano Papa VIII" (1628), in 23 canti. Ebbe rapporti particolarmente stretti con due gesuiti stranieri, Giacomo Balde, alsaziano e Casimiro Sarbiewski, polacco, la cui collaborazione nel rifacimento degli inni del suo Breviario romano, produsse soltanto un perfezionamento formale con un notevole impoverimento dei contenuti. Urbano VIII non fu l'unico Papa-poeta. Era stato preceduto, anni addietro, da Leone X. Come il Medici, anche il Barberini amava circondarsi di poeti e menestrelli che allietavano le giornate del Pontefice soprattutto nel periodo estivo, allorquando la corte si trasferiva nel palazzo apostolico di Castel Gandolfo. Chiamò a Roma e diede loro asilo e protezione anche altri artisti, come Athanasius Kircher, erudito di multiforme ingegno, Giovanni Girolamo Kapsberger, musicista e virtuoso della tiorba, e i pittori Claude Lorrain, lorenese e Nicolas Poussin, francese. Probabilmente il merito maggiore di Urbano VIII è ascrivibile agli interventi edilizi che caratterizzarono tutto il suo pontificato e che furono affidati agli artisti più eccelsi della sua epoca, anche se le opere volute dal Papa furono realizzate a danno di altre monumentali opere che erano pervenute a lui pressoché intatte, sfidando per secoli l'incuria degli uomini e l'inclemenza del tempo. Il baldacchino in bronzo sull'altare maggiore al centro della crociera della Basilica di San Pietro, opera del Bernini, è, forse, la più alta espressione della scultura barocca.[5] Nei bassorilievi che ornano la scultura (otto stemmi della famiglia Barberini), l'artista volle rappresentare la Mater Ecclesia con un doppio volto, la sofferenza della partoriente e la gioia del bimbo che si affaccia alla vita, la progressione del quale viene riportata in modo eccezionalmente naturalistico, a partire dalla figura dell'angolo di sud-est, via-via fino al felice epilogo della gioiosa figura dell'angioletto nell'angolo di nord-est.[6] Nel 1621, dopo ben 170 anni di lavori, Gregorio XV ebbe a consacrare la nuova Basilica di San Pietro, ancorché incompleta nei suoi ornamenti interni, così come era stata configurata da Michelangelo. Oltre a Gian Lorenzo Bernini, Urbano VIII affidò la realizzazione di numerose opere anche ad altri prestigiosi artisti, quali Andrea Sacchi, Pietro da Cortona, Gasparo Mola e Carlo Maderno, al quale ultimo si deve la sistemazione del palazzo apostolico di Castel Gandolfo, come lo vediamo ancora oggi. Fu costruita la Biblioteca Barberini nella quale furono raccolti numerosi e preziosissimi manoscritti; il Palazzo Barberini ai piedi del Quirinale, il Palazzo cosiddetto di Propaganda Fide, la fontana del Tritone e numerose chiese. In campo militare procedette al potenziamento di Castel Sant'Angelo, fece fortificare l'intera città di Castelfranco e trasformò il porto di Civitavecchia in un vero e proprio porto militare. Come detto, queste opere furono, però, realizzate attingendo i materiali da altre opere che erano pervenute al Barberini sfidando i secoli. Tutti i bronzi del Pantheon ad esempio, sia quelli delle travi dell'atrio che il rivestimento interno della cupola, furono rimossi, nuovamente fusi e riutilizzati per i cannoni di Castel Sant'Angelo e per il Baldacchino in San Pietro. Inoltre, tutti i marmi del Colosseo furono riutilizzati per abbellire i palazzi romani, e le pietre furono utilizzate addirittura per costruire nuovi palazzi. In altri termini, il Colosseo fu utilizzato come cava di materiali da costruzione. Questo scempio fece esclamare a Pasquino: Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini ("Ciò che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini"). Il pontificato di Urbano VIII vide compiersi il processo a Galileo Galilei, quale sostenitore della teoria copernicana sul moto dei corpi celesti, in opposizione alla teoria aristotelica-tolemaica sostenuta dalla Chiesa. La vicenda era nata sotto il pontificato di Camillo Borghese, Papa Paolo V (1605-1621). Nel 1616, precisamente il 24 febbraio, il Sant'Uffizio ebbe a condannare la teoria copernicana con una duplice motivazione. La prima condannava l'affermazione che il Sole era localmente immobile al centro del sistema planetario ad esso circostante, in quanto contrastante con l'interpretazione letterale delle Sacre Scritture. La seconda condannava l'affermazione che la Terra non è centro del Mondo, ma si muove intorno al Sole, in quanto contrastante con i principi della Fede. Dopo di che la Congregazione dell'Indice passò alla condanna del De revolutionibus orbium celestium di Niccolò Copernico e di tutti i testi ad esso collegati. Galilei, sul finire dello stesso mese, si recò dal capo del Sant'Uffizio, il cardinale Roberto Bellarmino, dal quale ottenne una lettera di attestazione nella quale il prelato affermava che lo scienziato non aveva mai ricevuto alcuna condanna e non aveva mai abiurato alcunché, ma, al contempo, veniva avvertito che la dottrina copernicana era contraria alle Sacre Scritture e, per ciò stesso, non andava né difesa, né divulgata. La lettera, ancorché concordata nel mese di febbraio, fu stilata il 26 maggio 1616. Maffeo Barberini, quando era cardinale, aveva preso le difese di Galilei allorquando si erano accese, in Firenze, le dispute sulle varie ipotesi dei fenomeni di galleggiamento. Per cui, quando egli fu eletto Papa, Galileo fu indotto a sperare in un benevolo atteggiamento del nuovo pontefice verso la sua persona e i suoi studi nonché verso la moderna scienza. Sul finire del 1623 Galilei diede alle stampe un volume intitolato Il Saggiatore, con dedica al nuovo Pontefice. In quest'opera lo scienziato, trattando del moto delle comete e di altri corpi celesti, confermava indirettamente la validità della teoria copernicana. Inoltre sosteneva che la conoscenza progredisce sempre, senza mai assestarsi su posizioni dogmatiche. In altri termini l'uomo ha il diritto-dovere di ampliare la conoscenza senza mai aver la pretesa di pervenire alla verità assoluta. Questa posizione, secondo lo scienziato, non era per nulla in contrasto con la Fede. L'opera di Galilei fu valutata positivamente da Urbano VIII. Il Papa ricevette ufficialmente lo scienziato a Roma nel mese di aprile del 1624 e lo incoraggiò a riprendere i suoi studi sul confronto tra i massimi sistemi, purché il confronto avvenisse soltanto su basi matematiche. La qual cosa era da intendersi nel senso che una certezza matematica, ovvero astratta, nulla aveva a che vedere con le certezze del mondo reale. Seppur con questa limitazione, la Chiesa di Roma sembrava aver ammorbidito la sua posizione circa la nuova teoria. Il 21 febbraio del 1632, fresco di stampa, la comunità scientifica e non, ebbe tra le mani l'ultima opera di Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, nella quale veniva definitivamente dimostrata la validità del sistema eliocentrico. Le reazioni ostili non si fecero attendere. Nell'estate dello stesso anno Urbano VIII esternò tutto il suo risentimento in quanto una sua tesi era stata trattata, secondo lui, maldestramente ed esposta al ridicolo. Inoltre, nel testo, vi era più di un riferimento al pontefice quale difensore delle posizioni più arretrate. Infine, l'opera si chiudeva con l'affermazione che era possibile dissertare sulla costituzione del mondo, a patto di non ricercare mai la verità. Questa conclusione non era altro che un espediente diplomatico escogitato pur di andare in stampa. La qual cosa aveva fatto infuriare il Pontefice. I nemici di Galilei intravidero nel Dialogo un attacco frontale al binomio teologia-filosofia che si riteneva fosse l'unica strada percorribile per l'accertamento della verità, considerando la scienza una via del tutto subordinata, asservita, cioè, alle discipline teoriche. Forse, però, l'aspetto che i censori ritenevano più pericoloso del trattato, era rappresentato dal fatto che il testo era stato scritto in italiano e non in latino, lingua tradizionale per le opere destinate agli studiosi. In altri termini, adoperando la lingua italiana, ovvero volgare, come si diceva a quei tempi, lo scienziato aveva palesemente dimostrato l'intenzione di dare la massima diffusione al contenuto della sua opera, anche e soprattutto al di fuori del mondo accademico. Nel mese di luglio del 1632, l'Inquisizione di Firenze diede ordine di ritirare tutte le copie in commercio del Dialogo. Urbano VIII, spinto dai gesuiti, nemici acerrimi dello scienziato, diede ordine di inviare copia del Dialogo al Sant'Uffizio per gli opportuni esami e di convocare Galilei a Roma presso l'Inquisizione. L'accusa mossa a Galilei era che egli non si era limitato a trattare la teoria copernicana in termini puramente matematici, bensì l'aveva fatta propria, completamente. Il 12 aprile del 1633 Galilei si presentò a Roma e fu arrestato. Comprendendo che il tribunale dell'Inquisizione era intenzionato a reprimere, con ogni mezzo, la divulgazione delle idee esposte nel Dialogo, si offrì di apportare delle correzioni che tenessero in conto le esigenze della Dottrina di Santa Romana Chiesa. Ciò non fu bastevole. Il Papa, benché fosse sempre stato informato, per suo desiderio, degli interrogatori, si era guardato bene dall'intervenire. Ciò aveva fatto sperare in un suo intervento a favore del pisano. La qual cosa non avvenne. Allo scienziato fu imposto un pubblico atto di abiura. Diversamente avrebbe dovuto subire tutte le pene riservate agli eretici. Galilei dovette piegarsi. Con l'atto di abiura si impegnava, altresì, a non divulgare più, in avvenire, le idee copernicane e a denunciare al Sant'Uffizio chiunque, in futuro, ne avesse tentato di riprendere la divulgazione. Ciò accadeva nell'estate del 1633. Galilei fu trasferito prima a Siena, presso l'Arcivescovo Ascanio Piccolomini, e poi nella sua casa di Arcetri, ove gli fu concesso di espiare il carcere tra le mura domestiche in considerazione della sua anzianità. Aveva già 70 anni. Negli anni a venire sopraggiunse anche la cecità che non gli impedì di dare alle stampe in Leida (Olanda) nel 1638 un'altra opera fondamentale del suo ingegno, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (si trattava della fisica del moto e della resistenza dei materiali). Galileo si spense ad Arcetri nel gennaio del 1642, l'anno stesso della nascita in Inghilterra, a Woolsthorpe nel Lincolnshire, di Isacco Newton. Il pontefice si spense il 29 luglio 1644. La basilica di San Pietro raccoglie le spoglie mortali di Urbano VIII in un monumento funebre realizzato da Gian Lorenzo Bernini in bronzo e marmo, commissionatogli dallo stesso papa. Urbano VIII nella letteratura[modifica | modifica sorgente] Urbano è protagonista del romanzo "La Strega Innamorata" (1985), di Pasquale Festa Campanile, in cui l'eroina, la strega Isidora, si innamora, ricambiata, del pontefice e hanno un'intensa storia d'amore platonica. Viene citato nei Promessi Sposi e indicato come Pontefice regnante durante i fatti narrati.

Innocenzo X, nato Giovanni Battista Pamphilj (Roma, 6 maggio 1574 – Roma, 7 gennaio 1655), fu il 236º papa della Chiesa cattolica dal 1644 al 1655.

Appartenente alla nobile ed eminente famiglia Pamphilj (i Pamphilj erano una famiglia originaria di Gubbio stabilitasi a Roma alla fine del XV secolo), era figlio di Camillo Pamphilj e Maria Flaminia Cancellieri del Bufalo. Il padre, Camillo, era figlio di Giovanni Battista Pamphilj e di Giustina Mattei, a sua volta figlia di Ciriaco Mattei e di Lucrezia Borgia, quest'ultima figlia di Giovanni Borgia, il celebre Infante Romano, nato da una relazione adulterina della celeberrima Lucrezia con Pedro Calderòn, detto Perotto, cosicché Innocenzo X risulta curiosamente discendere in linea diretta da un altro Papa: Alessandro VI. Fu creato cardinale nel 1629 ed ascese al soglio di Pietro il 15 settembre 1644. Educato come avvocato, dal punto di vista politico, fu uno dei pontefici più abili della sua epoca. Giovanni Battista studiò sotto la supervisione dello zio, il cardinale Girolamo Pamphilj, presso il Collegio Romano, dove si laureò in giurisprudenza nel 1594. Questo dottorato fu il suo trampolino di lancio per entrare in Curia, dove ricoprì, tra il 1604 ed il 1629 vari incarichi prestigiosi. Il 25 gennaio 1627, nella Cappella Sistina, fu consacrato vescovo dal cardinale Ludovico Zacchia, vescovo di Montefiascone, assistito da Alfonso Manzanedo, patriarca latino titolare di Gerusalemme, e da Fabio Lagonissa, arcivescovo di Conza. Nel concistoro del 30 agosto 1627 fu creato cardinale in pectore da Urbano VIII. La sua nomina fu pubblicata nel concistoro del 19 novembre 1629. Il 12 agosto 1630 ricevette la berretta rossa ed il titolo di Sant'Eusebio. Papa Urbano VIII morì il 29 luglio 1644. Dei 61 cardinali del Sacro Collegio ne entrarono in conclave 55. Durante il conclave due dovettero andarsene perché malati ed uno morì. I cardinali discussero per 37 giorni e nella votazione finale espressero una preferenza in 53. Il cardinale Gil Carrillo de Albornoz oppose il veto spagnolo all'elezione di Giulio Cesare Sacchetti, mentre il cardinale Giulio Mazzarino giunse troppo tardi per opporre il veto francese all'elezione di Giovanni Battista Pamphilj, che nel frattempo era già stato proclamato. Così, all'età di 70 anni, il Pamphilj, con 45 voti, ascendeva al soglio pontificio ed assumeva il nome di Innocenzo X, in ossequio ad Innocenzo VIII. In occasione della sua incoronazione, avvenuta il 4 ottobre dalle mani del cardinale Carlo de' Medici, protodiacono di San Nicola alle Carceri, per la prima volta venne illuminata la cupola della basilica di San Pietro. Subito dopo la sua elezione, Innocenzo X intraprese un'azione legale contro la famiglia Barberini per malversazione di denaro pubblico. Taddeo Barberini aveva ricevuto dalla Camera Apostolica 5.000 scudi, altri 8.000 se ne era procurati sotto i benefici vacanti, 5.000 sui titoli delle conquiste e 2.000 dalla rendita degli uffici, senza contare palazzi, opere d'arte ed oggetti preziosi. Il papa, naturalmente, voleva rientrare in possesso di questa fortuna. I Barberini, che erano mal visti anche dal popolo romano, per non essere presi, fuggirono a Parigi, dove trovarono un potente protettore nel cardinale Mazarino. Innocenzo X confiscò le loro proprietà, e il 19 febbraio 1646 emise una bolla con la quale stabiliva che tutti i cardinali che avessero lasciato gli Stati Pontifici per sei mesi senza l'espressa autorizzazione del papa, dovevano essere privati dei loro benefici ed eventualmente del cardinalato. Il parlamento francese dichiarò l'ordinanza papale nulla in Francia, ma Innocenzo X non cedette fino a quando Mazarino non si preparò a inviare truppe in Italia. Da questo momento, la politica papale nei confronti della Francia divenne più amichevole, e in seguito anche i Barberini vennero riabilitati. Nel periodo che va dal 1645 al 1646, Innocenzo X cercò anche di regolarizzare i riti cinesi e di incentivare le missioni in Africa e in Oriente. Nel 1647, nonostante si fosse in più occasioni mostrato benevolo verso la Spagna, condannò il malgoverno di Napoli. L'avvenimento più importante accaduto durante il pontificato di Innocenzo X è la fine della Guerra dei Trent'anni, che si concluse con le firme dei trattati di Münster, tra Francia e Impero, e di Osnabrück tra Svezia e i protestanti da una parte e i cattolici e l'imperatore dall'altra (24 ottobre 1648). I due trattati sono conosciuti come Pace di Vestfalia. Le clausole in essa contenute regolarono la legislazione religiosa europea: ogni confessione avrebbe avuto libertà di culto; cattolici e protestanti furono parificati di fronte alla legge; ogni principe avrebbe potuto scegliere la sua religione, mentre i suoi sudditi lo avrebbero dovuto seguire (principio del “cuius regio eius et religio”); i domini ecclesiastici sarebbero stati secolarizzati. Innocenzo X obiettò immediatamente contro le clausole dei trattati, perché l'immediata conseguenza per la Chiesa cattolica era la perdita di tutti i vescovadi della Germania settentrionale e centrale, e di molti conventi e monasteri. Al tavolo delle trattative, delegato dal Papa, sedette il nunzio Fabio Chigi, che protestò energicamente, ma inutilmente. Il Papa, allora, scrisse il breve "Zelo domus Dei" (26 novembre 1648). Tuttavia, la protesta della Santa Sede venne completamente ignorata e non ebbe alcun effetto. Nel 1649 scoppiò la seconda guerra di Castro, provocata dall'omicidio di monsignor Cristoforo Giarda, vescovo di Castro, che ebbe, forse, per mandante il duca Ranuccio II Farnese. L'esercito pontificio invase il ducato e, dopo un breve assedio, rase al suolo la città. Dopo aver seminato sale sulle rovine, fu innalzata una colonna con l'epigrafe: "Qui fu Castro". Con la bolla "Appropinquat dilectissimi filii" del 4 maggio 1649, Innocenzo X proclamò il XIV Giubileo. La vigilia di Natale dello stesso anno, il papa in persona aprì la Porta Santa. Come già avevano fatto i suoi predecessori, provvide al blocco degli sfratti e degli affitti e a sospendere tutte le indulgenze eccetto quella della Porziuncola. Con questo Giubileo, per la prima volta, l'indulgenza giubilare fu estesa alle province belghe e alle Indie occidentali. Roma fu visitata da circa 700.000 pellegrini, e, per l'occasione, si convertì al cattolicesimo anche un certo numero di protestanti. A causa della massiccia presenza di pellegrini, il Papa ridusse il numero delle visite alle basiliche, e concesse l'indulgenza anche a chi aveva assistito alla chiusura di una delle Porte Sante alla vigilia di Natale del 1650 o avesse presenziato alla benedizione papale impartita dalla Loggia della Basilica Vaticana nel giorno di Natale. Durante lo svolgimento del Giubileo, Spagna e Francia fecero quasi a gara nel dimostrare la propria ricchezza nelle cerimonie. Nel mese di gennaio, Filippo IV mandò due ambasciatori in Vaticano con un seguito di 460 carrozze. Inoltre, non badò a spese perché le cerimonie organizzate nelle chiese e dalle confraternite spagnole superassero tutte le altre per magnificenza e splendore. Nei ricordi popolari del XIV Giubileo sono rimasti due avvenimenti: l'incidente avvenuto all'apertura della Porta Santa di Santa Maria Maggiore e l'incidente della processione del Crocifisso di San Marcello. All'apertura della Porta Santa di Santa Maria Maggiore, il diciassettenne Francesco Maidalchini, nipote di Donna Olimpia Maidalchini, s'incaricò della funzione al posto del cardinale arciprete. Quando, all'apertura, il giovane vide una cassetta di oggetti preziosi ivi murata alla fine del giubileo precedente, tentò di portarsela via, ma gli fu impedito dai canonici di Santa Maria Maggiore. Il Crocifisso miracoloso di San Marcello venne portato a San Pietro dalla Compagnia del Crocifisso la notte del Giovedì Santo. Lungo il percorso, mentre cinque cardinali, l'ambasciatore di Spagna, oltre cento flagellanti, cori musicali e la gente incedevano con lumi accesi, alcuni cavalli s'imbizzarrirono e terrorizzarono i presenti a tal punto che tutti fuggirono. Fuori dalle quattro basiliche, spesso avvenivano anche scontri tra le varie confraternite per questioni di precedenza. La cerimonia più importante dell'anno fu la messa celebrata in Piazza Navona dal Papa stesso. Durante questo anno giubilare Alessandro Algardi scolpì l'altorilievo raffigurante il papa Leone Magno mentre ferma Attila e la statua di Innocenzo X in Campidoglio; il Bernini scolpì la Transverberazione di santa Teresa d'Avila, e il Borromini restaurò la Basilica di San Giovanni in Laterano. Inoltre, si diede inizio ai lavori per la costruzione del palazzo di Montecitorio. Tra i pellegrini che visitarono Roma, ci fu anche la regina Cristina di Svezia. La più importante delle sue decisioni dottrinarie fu la condanna dell'opera di Giansenio, l'Augustinus. Spinto da 88 vescovi francesi e da San Vincenzo de Paoli, istituì una commissione che doveva sviscerare le cinque proposizioni tratte da quel libro e ricavate dal dottore della Sorbona Niccolò Cornet. Tali proposizioni affermavano: 1. Alcuni precetti di Dio sono impossibili da osservare, neppure dai giusti, per la mancanza della grazia necessaria; 2. Alla grazia interiore, nello stato di natura decaduta, l'uomo non può resistere; 3. Per acquistare merito o demerito non si richiede la libertà dalla necessità interna, ma soltanto la libertà dalla costrizione esterna; 4. I semipelagiani errarono insegnando che la volontà umana può resistere alla grazia o assecondarla; 5. È un errore semipelagiano affermare che Cristo è morto per tutti. Il 31 maggio 1653, con la bolla Cum occasione, le tesi giansenitiche vennero condannate come eretiche. I giansenisti rispettarono la sentenza papale riconoscendo come eretiche le proposizioni censurate, ma, seguendo le tesi di Antoine Arnauld e di Blaise Pascal, negarono che le proposizioni riflettessero la vera dottrina di Giansenio. La Compagnia di Gesù fece una lotta spietata a quest'eresia. Gli agostiniani si trovarono in gravi difficoltà, perché venivano accusati di approvare le dottrine di Michele Baio e di Giansenio, entrambi lettori di Sant'Agostino. Innocenzo X subì fortemente l'influenza di Olimpia Maidalchini, moglie del fratello scomparso e soprannominata Pimpaccia. La donna, nata a Viterbo nel 1592, era bella, intelligente e furba. Dopo essere rimasta vedova, riuscì a sposare Pamphilio Pamphilj, più vecchio di trent'anni e fratello del futuro papa, la cui ascesa la cognata supportò (e poi sfruttò) energicamente. Rimasta nuovamente vedova ed entrata nelle grazie di Innocenzo, divenne la sua principale consigliera. A Roma era risaputo che qualsiasi decisione importante veniva presa solo dopo una consultazione con Donna Olimpia. Per questo nel giro di pochi anni divenne la donna più temuta, e più odiata di Roma. Chiunque avesse voluto avere un qualsiasi tipo di contatto con il papa doveva passare tramite lei; spesso il suo appoggio veniva concesso solo dietro compenso. A corte si diceva che i due erano molto più che cognati, ma questa diceria non è suffragata da alcuna prova. Il soprannome di Pimpaccia derivò da una pasquinata: "Olim pia, nunc impia", che tradotto dal latino suona 'una volta religiosa, adesso empia'. Ovviamente Donna Olimpia sistemò anche il figlio Camillo, che fu prima nominato capo della flotta e delle forze dell'Ordine della Chiesa, e poi fatto cardinale. Rinunciò alla porpora per sposare Olimpia Aldobrandini, giovane vedova del Principe Paolo Borghese. I contrasti tra le 2 Olimpie diventarono l'argomento centrale dei pettegolezzi delle famiglie nobili di Roma. Negli ultimi anni di vita del pontefice, Olimpia vendette benefici ecclesiastici per l'importo di 500.000 scudi. Il successore di Innocenzo X la esiliò ed alla sua morte, nel 1657, lasciò in eredità 2.000.000 di scudi. Capolavoro artistico di Innocenzo X fu la sistemazione di Piazza Navona, iniziata nel 1647 con il posizionamento dell'obelisco ritrovato nel Circo di Massenzio sulla Via Appia. Nel 1650 il papa bandì una gara d'appalto per la costruzione della Fontana dei Quattro Fiumi. Il progetto fu inizialmente affidato al Borromini, ma il Bernini, con uno stratagemma, riuscì ad aggiudicarsi il lavoro. Fece recapitare a Donna Olimpia un modellino d'argento della fontana con grotte, leoni, palme e sopra l'obelisco. Il Pontefice, vedendo "per caso" il modellino, ne rimase entusiasta e gli affidò i lavori. La Fontana fu inaugurata nel 1651 e fu pagata con i proventi delle tasse sul pane, sul vino e su altri generi di consumo, che attirarono sul Papa la malvolenza popolare. Nel 1653 il Bernini modificò la fontana progettata nel 1575 da Giacomo della Porta, aggiungendo un delfino che reggeva, sulla coda alzata, una lumaca, ma la figura non piacque e quindi fu sostituita dal busto di un africano che accarezza un delfino. Per questo motivo la fontana si chiama oggi Fontana del Moro. La terza fontana non fu toccata. Innocenzo X morì il 7 gennaio 1655. Donna Olimpia fece sparire dai suoi appartamenti tutto ciò che trovò e non volle dare nulla per la sepoltura. Per l'avarizia dei parenti, il cadavere del Pontefice rimase per un giorno in una stanza e, solo grazie alla generosità del maggiordomo Scotti, che fece costruire una povera cassa, e del canonico Segni, che spese cinque scudi per la sepoltura, Innocenzo poté essere inumato nella basilica patriarcale del Vaticano. In seguito, i suoi resti vennero traslati nella tomba fatta costruire dal nipote Camillo e dal pronipote Giovanni Battista nella chiesa di Sant'Agnese in Agone. Il suo monumento è posizionato sopra l'ingresso, mentre la sepoltura vera e propria è collocata nella cripta di famiglia annessa alla medesima chiesa.

Papa Alessandro VII, nato Fabio Chigi (Siena, 13 febbraio 1599 – Roma, 22 maggio 1667), fu il 237º papa della Chiesa cattolica dal 7 aprile 1655 alla sua morte.

Nato a Siena col nome di Fabio Chigi, membro dei Chigi nota famiglia di banchieri toscani, discendente di Agostino Chigi e bisnipote di Papa Paolo V, venne educato in privato da un tutore e ricevette la laurea in filosofia, diritto canonico e teologia all'Università di Siena. Fin da giovane mostrò spiccate doti religiose e letterarie, essendo descritto come austero e zelante nella fede. Nel 1629 fu nominato vice-legato pontificio di Ferrara, incarico che conservò fino al 1634, quando giunse a Malta in qualità di Inquisitore. L'8 gennaio 1635 fu eletto vescovo di Nardò; ricevette la consacrazione episcopale il 1º luglio dello stesso anno. Rimase nella sua diocesi fino al 1639, anno della nomina a nunzio pontificio di Colonia (1639-1651). In tale ufficio ci si attese che prendesse parte ai negoziati che portarono nel 1648 alla Pace di Vestfalia, ma egli si rifiutò di trattare con gli eretici, ed espresse apertamente le proprie opinioni contrarie alle modalità del trattato, che poneva fine alla Guerra dei trent'anni e stabiliva un equilibrio tra le potenze europee che sostanzialmente perdurò fino alle guerre della Rivoluzione Francese. Fu creato cardinale da papa Innocenzo X nel concistoro del 19 febbraio 1652 e il 12 marzo dello stesso anno gli fu conferito il titolo di Santa Maria del Popolo. Il 13 maggio 1653 fu eletto vescovo di Imola. Papa Innocenzo X lo richiamò poi a Roma, nominandolo cardinale segretario di stato. Alla morte di Innocenzo X, il cardinale Fabio Chigi, candidato sostenuto dalla corona di Spagna, venne eletto Papa dopo ottanta giorni di conclave, il 7 aprile 1655. Il conclave riteneva che egli si opponesse duramente al nepotismo, all'epoca prevalente. In realtà, nel primo anno di regno, Alessandro VII visse in maniera molto semplice e vietò ai parenti persino di fargli visita a Roma; ma nel concistoro del 24 aprile 1656, annunciò che il fratello e i nipoti lo avrebbero raggiunto a Roma per assisterlo. L'amministrazione venne messa ampiamente nelle mani dei suoi parenti e il nepotismo divenne ammantato di lusso, come non mai nel periodo dei papati barocchi: egli diede loro gli incarichi civili ed ecclesiastici più remunerativi nonché palazzi e proprietà principesche, adatte ai Chigi di Siena. Alessandro non apprezzava gli affari di Stato, preferendo la letteratura e la filosofia;[1] una raccolta dei suoi poemi in latino apparve a Parigi nel 1656 con il titolo di Philomathi Labores Juveniles. Egli incoraggiò inoltre l'architettura e le arti in genere, divenendo uno dei pontefici più attivi nel compiere il rinnovamento della città di Roma, e a lui si devono molte delle opere in stile barocco della città eterna; in tal senso fu grande patrono ed estimatore di Gian Lorenzo Bernini. Ordinò le decorazioni della chiesa di Santa Maria del Popolo, delle chiese titolari di diversi dei Cardinali della famiglia Chigi, la Scala Regia, l'altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro, ed in particolare patrocinò la costruzione del magnifico e famoso colonnato del Bernini nella piazza della basilica vaticana. Nel 1661, quando Ariccia passò dal dominio dei Savelli a quello dei Chigi, Alessandro si impegnò in un importante intervento di restauro del borgo, avvalendosi del prezioso operato dello stesso Bernini e del suo giovane assistente Carlo Fontana. Di particolare interesse sono il progetto di restauro del palazzo e la creazione della Collegiata di Santa Maria dell'Assunta. Durante il pontificato di Alessandro VII avvenne la conversione della Regina Cristina di Svezia, che dopo la sua abdicazione, venne a vivere a Roma; qui il giorno di Natale del 1655, il suo battesimo venne confermato dal Papa in persona. Nella politica estera mantenne un profilo prudente e accorto continuando la politica pontificia del suo tempo, vicina alla corona spagnola e più avversa a quella francese. In tal senso frequenti furono gli attriti con il potente cardinale Mazarino, consigliere del giovane Luigi XIV di Francia, che gli si era opposto durante i negoziati che portarono alla Pace di Vestfalia, e che difese ostinatamente le prerogative della Chiesa gallicana. Durante il conclave, il cardinale Mazarino si era dimostrato apertamente ostile all'elezione di Chigi, ma fu alla fine costretto ad accettarlo come compromesso, ed evitare candidati più apertamente anti-francesi. Mazarino impedì a Luigi XIV di inviare l'usuale ambasciata di obbedienza ad Alessandro VII e, finché fu in vita, impedì la nomina di un ambasciatore francese a Roma, facendo gestire gli affari diplomatici dai cardinali protettori, in genere nemici personali del Papa. Nel 1662 venne nominato ambasciatore l'altrettanto ostile Duca di Crequi. A causa dell'abuso dei diritti di asilo tradizionalmente concessi ai distretti ambasciatoriali di Roma, egli fece precipitare una discussione tra la Francia e il Papato, che risultò nella perdita temporanea di Avignone e nell'accettazione forzata dell'umiliante Trattato di Pisa, nel 1664. Alessandro VII, più vicino alla monarchia iberica, appoggiò le richieste degli spagnoli nei confronti dei portoghesi, che avevano ristabilito la loro tradizionale indipendenza del 1640. Favorì inoltre i Gesuiti nelle loro imprese. Quando i Veneziani chiesero aiuto a Creta contro gli Ottomani, Alessandro strappò loro in cambio la promessa che i Gesuiti avrebbero potuto fare ritorno nel territorio veneziano, dal quale erano stati espulsi nel 1606. Continuò inoltre a prendere le parti dei Gesuiti nel loro conflitto con i giansenisti, la cui condanna aveva vigorosamente appoggiato come consigliere di Innocenzo X. I giansenisti francesi professavano che le proposizioni condannate nel 1653 non si trovavano in realtà nell'Augustinus scritto da Cornelius Jansen (Giansenio). Alessandro VII confermò che invece erano presenti, con la bolla Ad Sanctam Beati Petri Sedem (16 ottobre 1656), dichiarando che le cinque proposizioni di Giansenio, concernenti principalmente la grazia e la natura dell'uomo, erano eretiche, compresa la posizione "che Cristo morì, o versò il suo sangue per tutti gli uomini". Egli inoltre inviò in Francia il suo famoso formulario, che doveva essere firmato da tutto il clero, come mezzo per individuare ed estirpare il giansenismo, e che infiammò l'opinione pubblica. Con altre decisioni proibì nel 1661 la traduzione del messale romano in lingua francese. Nel 1665 canonizzò Francesco di Sales. Tre anni prima dell'apertura al pubblico della 'sua' Biblioteca Alessandrina nel Palazzo della Sapienza, il pontefice morì nel maggio del 1667 e gli successe Clemente IX. Il suggestivo monumento sepolcrale a lui dedicato, che si trova all'interno della Basilica di San Pietro, fu realizzato proprio dal suo artista prediletto, Gian Lorenzo Bernini.

Papa Clemente IX, nato Giulio Rospigliosi (Pistoia, 28 gennaio 1600 – Roma, 9 dicembre 1669), fu il 238º papa della Chiesa cattolica dal 1667 alla sua morte.

Data la brevità del suo pontificato, Clemente IX non poté incidere nella politica pontificia, tuttavia, il suo periodo presso la Curia romana fu un periodo molto fecondo. Giulio Rospigliosi viene ricordato anche per la sua opera di librettista e per il suo contributo nella determinazione dei gusti e degli orientamenti del melodramma romano del Seicento. Giulio Rospigliosi, secondo la maggior parte dei documenti, nacque a Pistoia il 28 gennaio 1600 (secondo Kelly, The Oxford Dictionary of Popes, p. 284, nacque il 27 gennaio) da Giacomo e Caterina Rospigliosi. Iniziò a studiare nella natìa città di Pistoia, dove, non ancora quattordicenne, ricevette la tonsura e gli ordini minori dal vescovo Alessandro del Caccia. Il 14 marzo 1614 si trasferì a Roma per studiare al Collegio Romano, dove ebbe come precettori personaggi del calibro di Tarquinio Galluzzi, Famiano Strada, Bernardino Castelli e Bernardino Stefonio. Terminata la fase degli studi presso questo prestigioso collegio, nel 1618, si trasferì all'Università di Pisa, dove, nel 1623, ottenne i dottorati in teologia, in filosofia e in utroque iure e venne accolto nell'Accademia degli Svegliati. Nel 1624 tornò a Roma ed entrò al servizio del cardinale Antonio Barberini seniore (1569 – 1646), fratello di Urbano VIII. Una volta entrato al servizio del nobile cardinale, i suoi rapporti con questa famiglia compresero il Papa, i cardinali Antonio Barberini iuniore e Francesco Barberini ed il prefetto di Roma, Taddeo Barberini. Da questi personaggi, il futuro papa imparò tutti i segreti della vita di corte ed imparò a conoscere i problemi della politica europea. In questo periodo Giulio Rospigliosi scrisse anche alcuni dei melodrammi per i quali è famoso: Sant'Alessio 1631; Erminia sul Giordano 1633; I Santi Didimo e Teodora 1635; Egisto 1637; San Bonifazio 1638; Genoinda 1641; Il palazzo incantato 1642; Sant'Eustachio 1643. Divenuto Referendario dei Tribunali della Segnatura Apostolica di Giustizia e Grazia nel 1632, fu Segretario della Sacra Congregazione dei Riti e giudice a latere per la legazione di Avignone. Il 24 dicembre 1636 venne nominato canonico della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma e ricevette la cittadinanza onoraria di Roma. Nel 1634 divenne inoltre Segretario dei Brevi ai Principi, incarico che mantenne sino alla sua consacrazione episcopale. Grazie, anche, alla vicinanza con il pontefice, il 14 marzo 1644, il Rospigliosi fu eletto arcivescovo titolare di Tarso e fu consacrato il 29 marzo, martedì santo, nella cappella vaticana di Pio V, da Antonio Barberini, assistito da Celso Zani, già vescovo di Città della Pieve e da Giovanni Battista Scanaroli, vescovo di Sidone. Nello stesso anno fu anche nominato nunzio in Spagna. Il suo soggiorno in Spagna fu quasi una benedizione perché Innocenzo X, succeduto a Urbano VIII, cercò di punire i Barberini per le loro malversazioni. Giulio Rospigliosi, proprio per la sua vicinanza al vecchio Papa, non fu mai visto di buon occhio dal nuovo. La famiglia Barberini, per sfuggirgli si rifugiò in Francia presso il cardinale Giulio Mazzarino. Durante il suo soggiorno spagnolo, durato quasi 10 anni, Giulio venne in contatto con l'operistica locale e, al ritorno in Italia, avviò una nuova fase della sua vena artistica. Tornato a Roma nel 1653, iniziò a pensare di ritirarsi nella sua Pistoia, ma nel 1655 l'elezione di Alessandro VII determinò una svolta nella sua carriera. Divenne Segretario di Stato e, nel concistoro del 9 aprile 1657, venne creato cardinale prete. Ricevette la berretta rossa ed il titolo di San Sisto il 23 aprile 1657. Nel suo nuovo incarico si guadagnò la stima e la benevolenza sia della Curia sia della Francia (la stima spagnola se l'era guadagnata nel periodo di nunziatura). Con il ritorno a Roma dei Barberini, che nel frattempo erano stati perdonati, Rospigliosi tornò ad occuparsi di librettistica e fece debuttare nuove opere: Dal male il bene (1654); La vita umana (1655); Le armi e gli amori (1656). Questa fu l'ultima opera, perché gli impegni curiali si fecero sempre più gravosi e la salute sempre più malferma. Conclave dal 2 al 20 giugno 1667[modifica | modifica sorgente] Papa Alessandro VII morì il 22 maggio 1667. Il 2 giugno si riunì il conclave in cui entrarono 61 cardinali, raggiunti, in seguito, da ulteriori 3. Dal conclave uscì papa Giulio Rospigliosi, che fu incoronato il 26 giugno 1667, nella basilica patriarcale Vaticana, dal cardinale Rinaldo d'Este, protodiacono di San Nicola alle Carceri. Il motto del nuovo pontefice fu "aliis non sibi clemens", "clemente con gli altri, ma non con se stesso". Il suo fu un pontificato di breve durata e di prosecuzione della politica del suo predecessore. Con la bolla Romanus Pontifex del 6 dicembre 1668 soppresse la Congregazione dei Canonici di San Giorgio in Alga, degli Eremiti di San Girolamo di Fiesole e quella maschile dei Gesuati di Pistoia; rilevandone il languore ed il torpore. I Gesuati venivano chiamati i frati dell'acquavite in senso spregiativo, mentre essi somministravano il distillato ai malati nell'ospedale del Ceppo a Pistoia, per mitigarne gli spasmi prima delle operazioni chirurgiche. La congregazione maschile dei Gesuati, fondata dal beato Giovanni Colombini, lasciando attiva la Congregazione femminile, venne sacrificata per non confondersi con il nascente ordine dei Gesuiti di sant'Ignazio di Loyola. In politica estera, la questione su cui dovette combattere fu la difesa dell'isola di Creta, l'ultimo baluardo veneziano nel Mediterraneo orientale assediato dagli ottomani del Gran Visir Coprili. Quest'ultimo aveva già conquistato la Moravia e la Slesia, deportando e rivendendo come schiavi almeno 80.000 cristiani. Il Papa inviò ai veneziani aiuti in denaro, uomini e navi. Inoltre, cercò di comporre i dissidi tra Spagna e Francia in modo da creare un fronte cristiano compatto. La Francia mandò una piccola flotta ed un esercito, mentre la Spagna nicchiò decisamente. Le due spedizioni militari del 1668 e del 1669, guidate dal nipote del Papa, Vincenzo Rospigliosi, non approdarono a nulla e Candia cadde il 6 settembre 1669. Nella controversia giansenista il papa riuscì a ricomporre la frazione con il clero francese, anche se costoro seguivano, comunque, le tesi di Antoine Arnauld, che salvavano la forma, ma mantenevano il dissenso. La conciliazione formalizzata nel breve apostolico del 2 febbraio 1669, detta pace clementina, contribuì alla conciliazione delle parti e alla pacificazione generale. Tuttavia, il giansenismo continuò a diffondersi e il comportamento del Papa fu visto come un segno di debolezza. In politica interna emanò provvedimenti economici e fiscali in favore dei consumi, del commercio e delle manifatture. Abolì la tassa sul macinato, incentivò l'industria lanaria e la libera circolazione delle granaglie. Scrisse anche dei regolamenti sul comportamento del clero. Infine, nel 1669 istituì una Congregazione per la regolamentazione delle indulgenze. Venne obbligato[da chi?] a far pagare 800 scudi agli Ebrei del ghetto al Ponte dei Quattro capi, lungo il Tevere[1]. Uomo di profonda devozione, visse la sua missione pontificale con il massimo zelo. Fece porre un confessionale in San Pietro e ogni giorno scendeva in basilica per amministrare il sacramento. Quotidianamente ospitava al suo desco 13 poveri, che spesso serviva personalmente. Faceva spesso visita agli ammalati dell'Ospedale di San Giovanni. Anche lui, come i suoi predecessori, fu un fautore della politica nepotista. Creò cardinale il nipote Giacomo Rospigliosi e nominò generale dell'esercito il fratello Camillo Rospigliosi, assegnando loro, tuttavia, delle rendite modeste. Clemente IX fu colto da un colpo apoplettico nella notte tra il 25 ed il 26 ottobre 1669. L'attacco si ripeté nella notte tra il 28 ed il 29 novembre 1669. La morte sopravvenne il 9 dicembre. Erano passati appena due anni e mezzo dall'elezione. Chiamò a Roma l'amico di infanzia nonché parente, Federigo Manni, nobile pistoiese, per progettare ed eseguire il suo mausoleo sepolcrale. Nel paese di primitiva origine della sua famiglia fece erigere la Villa Rospigliosi di Lamporecchio.

Papa Clemente X, nato Emilio Bonaventura Altieri (Roma, 13 luglio 1590 – Roma, 22 luglio 1676), fu il 239º papa della Chiesa cattolica dal 1670 alla morte.

Emilio Altieri proveniva da un'antica famiglia nobile romana, gli Altieri, figlio di Lorenzo Altieri e Vittoria Dolfin, nobildonna veneziana. La famiglia del futuro pontefice apparteneva da tempo al rango dei nobili e aveva detenuto le più alte reputazioni nell'Urbe per numerosi secoli. Infatti, la famiglia aveva occasionalmente intrattenuto alleanze con i Colonna e con gli Orsini. Durante i precedenti papati, la famiglia Altieri aveva avuto molti incarichi importanti e in essa era stata riposta grande fiducia, attraverso l'assegnazione di missioni delicate. La vita ecclesiastica prima dell'elezione[modifica | modifica sorgente] Dopo aver terminato i suoi studi, nel 1611 ottenne a Roma il titolo di dottore utroque iure e in seguito lavorò quale avvocato; nel 1623 fu poi nominato auditor (revisore dei conti) di Gian Battista Lancellotti, presso la nunziatura della Polonia. Influenzato da Ludovico Ludovisi, intraprese (dopo l'ordinazione sacerdotale) nel 1624 una carriera nella curia romana. In seguito, nel 1627 fu nominato vescovo di Camerino, quindi governatore di Loreto e di tutta l'Umbria. Papa Urbano VIII (1623-1644) gli diede l'incarico di sovrintendere ai lavori di protezione del territorio di Ravenna dalle piene del fiume Po. In seguito, papa Innocenzo X (1644-1655), nel 1667 lo inviò come nunzio pontificio a Napoli, dove sarebbe rimasto per otto anni. In questo periodo, gli è stato accreditato il ristabilimento della quiete dopo le giornate turbolente della rivolta di Masaniello. Successivamente, papa Alessandro VII (1655-1667) gli affidò una nuova missione in Polonia. Papa Clemente IX (1667-1669) lo nominò, poi, sovrintendente del Ministero delle finanze papali, per diventare, nel 1667 il suo maestro di camera, e segretario della congregazione dei vescovi e dei membri del clero regolare. Il 3 dicembre 1669 Clemente IX, pochi giorni prima della propria morte, lo fece cardinale. Emilio Altieri allora aveva 79 anni; e Clemente IX, quando lo nominò membro del Collegio cardinalizio, gli disse: «Sarai il nostro successore». Dopo le esequie di papa Clemente IX, i sessantadue cardinali elettori, il 20 dicembre 1669, iniziarono un conclave che si sarebbe rivelato lungo e difficile: furono necessari ben quarantadue votazioni e vi fu anche un periodo di quattro mesi di forti discussioni. Il 29 aprile 1670, la carica a nuovo papa gli venne offerta dai 59 cardinali presenti all'elezione: solo due erano contrari alla sua nomina. Altieri però accennò inizialmente ad un rifiuto, vista la sua età ormai avanzata e esclamò: «Sono troppo vecchio per affrontare una responsabilità così grande». Additando il cardinal Brancacci, egli disse che era lui l'uomo che avrebbero dovuto portare al soglio pontificio. Altieri continuò a rifiutare, affermando, a motivazione della sua decisione, che non aveva più forza o memoria; ma, nonostante il suo dissenso, fu nominato papa l'11 maggio. Fu trascinato dal suo letto mentre gridava «Non voglio essere il Papa!», infine, in lacrime, accettò e come atto di ringraziamento al suo benefattore, assunse il nome di Clemente X. Con grande sorpresa dei cardinali Clemente X si sarebbe tuttavia rivelato un pontefice relativamente attivo per la propria età. Il Papa si avvalse tuttavia di suo parente acquisito, il cardinale Paluzzi degli Albertoni, per occuparsi dei compiti che non era in grado di svolgere a causa dell'età. Già molto vecchio, l'anno prima di morire, indisse e celebrò il Giubileo del 1675, cui parteciparono un milione e mezzo di pellegrini[1]. Clemente X diede supporto finanziario a re Giovanni III Sobieski di Polonia nella sua lotta contro i Turchi. Continuò le tensioni con la Francia sulle questioni ecclesiastiche.

Papa Innocenzo XI (in latino: Innocentius PP. XI, nato Benedetto Odescalchi; Como, 19 maggio 1611 – Roma, 12 agosto 1689) fu il 240º papa della Chiesa cattolica dal 1676 alla sua morte; è stato proclamato beato da Pio XII nel 1956.

Benedetto Odescalchi nacque a Como nel 1611, il 19 maggio secondo il Kirchenlexicon, il 16 maggio secondo la Catholic Encyclopedia.[1] In realtà l'atto di battesimo conservato presso la chiesa di S. Fedele in Como riporta la notte inoltrata del 18 maggio e il suo compleanno venne sempre festeggiato il 19. Figlio di Livio Odescalchi, nobile comasco, e di Paola Castelli Giovanelli da Gandino, rimase orfano del padre nel 1626 e venne educato nelle scienze umanistiche presso il locale collegio dei gesuiti, per poi trasferirsi a Genova, dove i suoi familiari avevano una banca. Nel 1630 sopravvisse alla peste[2] della quale invece fu vittima la madre. Fin dall'inizio del Quattrocento personaggi appartenenti a questo lignaggio sono segnalati nella città lariana, e qui si può, ancor oggi, visitare il palazzo dove egli nacque nel maggio 1611. La famiglia Odescalchi non fu tuttavia una delle molte famiglie nobili legate alla terra ed estranee a quell'attività commerciale ormai in decadenza, che era stata il fulcro dei secoli d'oro dell'Italia medievale.[senza fonte] Gli Odescalchi erano infatti aristocratici cittadini dediti sia alla mercatura internazionale, sia, soprattutto, all'attività bancaria e commerciale d'intermediazione (in particolare cambiavalute), tanto da essere una delle famiglie più ricche della Lombardia spagnola. Questo fatto permise ad Innocenzo XI, ormai pontefice, di disporre di notevoli capitali personali devoluti alla Chiesa e ai suoi progetti di crociata, tanto da mandare in rovina il banco di famiglia. Quando, soltanto quindicenne, dopo avere compiuto gli studi di grammatica e lettere umane presso i gesuiti della sua città natale ed essere poi rimasto orfano del padre, il giovane Benedetto si trasferì a Genova per fare pratica nell'azienda familiare come semplice apprendista, il banco si trovava in piena prosperità. Esso intesseva lucrose relazioni economiche finanziarie con numerosi operatori residenti nei principali centri italiani ed europei: Norimberga, Cracovia, Venezia, Milano, Roma e Napoli. In un momento imprecisato, fra il 1632 e il 1636, (le fonti al riguardo non sono univoche[senza fonte]) Benedetto Odescalchi interruppe la spola fra Como e Genova: decise infatti di spostarsi a Roma, per frequentare i corsi di diritto civile e canonico alla Sapienza, studi completati poi a Napoli, dove si laureò il 21 novembre 1639 in utroque iure. Furono quelli gli anni decisivi per il destino di Benedetto Odescalchi, segnati dalla vocazione allo stato religioso: già pochi mesi dopo aver terminato gli studi ricevette infatti, a Napoli, la tonsura ed ebbe la fortuna di riuscire, per merito del fratello Carlo, ad entrare nelle grazie sia di Giovanni Battista Pamphili, il futuro papa Innocenzo X, sia del cardinale Barberini, personaggio onnipotente sotto il pontificato di suo zio papa Urbano VIII. Resse successivamente gli incarichi di protonotaio, presidente della camera apostolica, commissario della Marca di Roma, e governatore di Macerata. Non fu soltanto grazie ai preziosi appoggi, che fu nominato commissario straordinario delle tasse nelle Marche ma soprattutto al fatto di avere notevole preparazione in campo economico e fiscale, in un momento nel quale le casse dello Stato della Chiesa erano ormai vuote. Benedetto Odescalchi seppe assolvere questo compito – ingrato già allora – non soltanto con indubbia competenza, ma pure con umanità inusuale. Questi ottimi risultati gli assicurarono appunto, nel 1644, la carica di governatore di Macerata e, nel 1648, di Ferrara. Qui, ancora una volta le sue inusuali, per l'epoca e per il clero, competenze economiche si sarebbero rivelate preziose. La sua accorta politica economica, la lotta alle frodi, la distribuzione di viveri e denaro ai poveri e il calmiere dei prezzi, ridiedero vita all'economia ferrarese afflitta da una prolungata carestia, tanto che sui muri della città emiliana si scrisse «Viva il cardinale Odescalchi, padre dei poveri».[senza fonte] Il 24 aprile 1645 papa Innocenzo X lo nominò cardinale ed egli divenne legato pontificio a Ferrara e quindi vescovo di Novara. In tutti questi ruoli, la semplicità e la purezza del suo carattere, che mostrò congiuntamente ad una benevolenza aperta e priva di egoismo, gli assicurarono un posto di rilievo nell'affetto e nella stima popolare. Breve fu tuttavia l'attività pastorale di Benedetto Odescalchi a Novara. Già nel 1654, recatosi a Roma per la periodica visita ad limina, il Papa lo trattenne presso di sé come consigliere, cosa che avrebbe fatto anche il suo successore papa Alessandro VII. Costretto a stare lontano da Novara, nel 1656, Odescalchi chiese al papa di essere esonerato dal compito di vescovo residenziale, così da rispettare i principi del Concilio di Trento, i quali esigevano che i vescovi risiedessero presso le proprie diocesi, norma per il cui puntuale rispetto Benedetto Odescalchi avrebbe combattuto duramente anche da papa. Negli anni seguenti Benedetto Odescalchi rimase quindi a Roma al servizio di quella Chiesa di cui divenne uno degli esponenti più in vista, tanto che egli fu tra i favoriti già durante il conclave del 1670, nel quale fu invece eletto, all'età di ottanta anni il cardinale Emilio Altieri, divenuto Clemente X. Il 21 settembre 1676, dopo un estenuante conclave di ben 50 giorni vissuti dai cardinali - bloccati dall'ostilità fra le famiglie Chigi e Altieri - nell'infuocata estate romana, due mesi dopo la morte di papa Clemente X (22 luglio 1676) egli venne, nonostante l'opposizione francese, scelto come suo successore. Innocenzo non perse tempo nel dichiarare e manifestare nella pratica il suo zelo di riformatore dei costumi e correttore degli abusi amministrativi. La forte statura morale di papa Odescalchi fu evidente fin dai primi giorni di pontificato. La cerimonia d'incoronazione, avvenuta il 4 ottobre 1676, fu infatti singolarmente semplice e modesta, perché il nuovo papa volle che il denaro che si sarebbe potuto risparmiare in tale occasione fosse distribuito alle chiese e ai poveri di Roma. Egli cercò di abolire le sinecure e cercò di innalzare anche i laici ad un più alto standard di vita morale. Egli chiuse i teatri di Roma permettendo l'esecuzione esclusivamente di musica sacra, pertanto meritò il soprannome di "papa minga" (papa "niente, nulla" dal lombardo minga) in relazione al forte accento e all'ostilità per le rappresentazioni sceniche. Nel 1679 condannò pubblicamente sessantacinque proposizioni, prese principalmente dagli scritti di Escobar, Francisco Suárez, e simili, come propositiones laxorum moralistarum e vietò a chiunque di insegnarle, pena la scomunica. Presagio della volontà di ferro di papa Odescalchi era già stata, peraltro, la sua decisione di fare sottoscrivere ai cardinali una capitolazione elettorale come condicio sine qua non per la sua accettazione del pontificato: Benedetto Odescalchi voleva avere la mano libera nell'affrontare la riforma della Chiesa e dei costumi. Quest'ultima, come già abbiamo accennato, si concretizzò nella lotta al nepotismo e nelle battaglie per il risanamento finanziario, ma papa Innocenzo XI condannò pure l'usura e perfino cercò (in anticipo sui tempi) di giungere all'abolizione totale del commercio degli schiavi, sul quale era assai informato, in quanto riceveva personalmente i missionari, al fine di essere tenuto al corrente sulle situazioni locali. Per modernità si segnala pure l'atteggiamento di papa Odescalchi nei confronti delle altre confessioni cristiane. In un'epoca nella quale era indiscutibile il principio secondo il quale il dissenso religioso non andava assolutamente tollerato, egli deplorò esplicitamente l'uso della forza da parte di Luigi XIV contro gli ugonotti, «pubblicando – come riferiva da Roma l'ambasciatore veneto – non fosse proprio far missione di apostoli armati e che questo metodo non fosse il migliore, giacché Cristo non se ne era servito per convertire il mondo»[senza fonte]. Esprimette compiacimento, in un breve indirizzato a Luigi XIV, per la revoca dell'editto di Nantes, emanato, oltre ottant’anni prima, per porre fine alle guerre contro gli ugonotti. Per l’occasione venne organizzata anche una festa a Roma[3][4][5]. Più conforme alle visioni e all'ideologia dell'epoca, fu invece il sogno di papa Innocenzo XI – nato forse anche quale reazione alla grave minaccia al mondo cristiano rappresentata dal fallito assedio di Vienna ad opera dei Turchi nel 1683 - di riprendere la lotta contro gli Ottomani, promuovendo una nuova crociata che avrebbe dovuto unire Impero, Polonia, la Francia di Luigi XIV, la Spagna e il Portogallo con l'aggiunta dei paesi asiatici ostili alla Sublime Porta (la Persia in primis). Progetto che vide la luce con la creazione della prima Lega Santa nel 1684 (dopo la conclusione della famosa Dieta di Grodno nel 1679) e della seconda lega santa del 1686 con Austria (e non l'Impero), Polonia e con l'aggiunta della Serenissima Repubblica di Venezia, che si poi concluse con la presa di Buda e la definitiva ascesa della casata asburgica sullo scacchiere politico dell'Europa sud-orientale. Personalmente non avverso a Miguel de Molinos, egli cionondimeno mantenne l'enorme pressione su quest'ultimo per confermare nel 1687 il giudizio degli inquisitori con il quale le sessantotto proposizioni moliniste vennero condannate come blasfeme ed eretiche. Il suo pontificato venne segnato dalla prolungata lotta con Luigi XIV di Francia sulla questione delle cosiddette "libertà gallicane", e anche riguardo a certe immunità pretese dagli ambasciatori alla corte papale. Innocenzo morì dopo un lungo periodo di salute malferma, il 12 agosto 1689. La causa per la sua canonizzazione venne aperta nel 1714 da Clemente XI, ma l'influenza della Francia costrinse alla sua sospensione nel 1744, sotto Benedetto XIV. Nel XX secolo la causa venne reintrodotta e papa Pio XII annunciò la sua beatificazione il 7 ottobre 1956. La sua salma è tumulata nella Basilica di San Pietro in Vaticano. La sua memoria viene celebrata il 12 agosto. Nel 2009 è stato istituito il comitato promotore per le celebrazioni della nascita di Papa Innocenzo XI, su impulso della curia arcivescovile di Strigonio-Budapest, del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, dell'Università degli Studi di Cassino, dell'Università degli Studi del Molise e della famiglia Odescalchi.[6]. L'8 aprile 2011, il corpo del beato Innocenzo XI è stato traslato dalla cappella di San Sebastiano a quella della Trasfigurazione: in questo modo nella cappella rimasta vuota è stato collocato il feretro di papa Giovanni Paolo II dopo la sua beatificazione del 1º maggio dello stesso anno. L'opera di Robert Browning, The Ring and the Book, presenta Innocenzo come personaggio importante, che fornisce il monologo teologico che costituisce il decimo libro del poema. Nel romanzo storico Imprimatur, di Rita Monaldi e Francesco Sorti, emerge come il pontefice e la sua famiglia finanziarono la guerra del principe protestante olandese Guglielmo III d'Orange, protagonista di quella che passò alla storia con il nome di Glorious Revolution, che lo portò nel 1688 ad assumere, su invito del Parlamento, la corona inglese al posto dello spodestato re Giacomo II, cattolico, e a riportare in quel regno il predominio della religione riformata inglese. Nel romanzo storico Oddsfish! di Robert Hugh Benson è presente anche la figura di papa Innocenzo XI descritto come strenuo difensore dell'ortodossia cattolica.

Papa Alessandro VIII, nato Pietro Vito Ottoboni (in latino: Alexander PP. VIII; Venezia, 22 aprile 1610 – Roma, 1º febbraio 1691), fu il 241º papa della Chiesa cattolica dal 1689 alla sua morte.

Pietro Ottoboni nacque nel 1610 da una nobile famiglia veneziana, iscritta al patriziato nel 1646. Era figlio di Marco Ottoboni, cancelliere della Serenissima e trascorse la propria infanzia presso la villa di famiglia a Rustignè, una frazione di Oderzo. Si laureò brillantemente all'Università di Padova nel 1627, ottenendo la laurea in utroque iure. Una volta adulto prese gli ordini e fu creato cardinale il 19 febbraio 1652, ricevendo il titolo di San Salvatore in Lauro. Giunse a Roma durante il pontificato di Urbano VIII (1623-44) e qui divenne Governatore di Terni, Rieti e di Città di Castello. Per quattordici anni fu giudice del tribunale della Rota. Su richiesta della Serenissima, Ottoboni fu eletto cardinale da papa Innocenzo X (1644-55); il 7 dicembre 1654 divenne vescovo di Brescia e fu ordinato vescovo il 27 dicembre dello stesso anno a Roma dal cardinale Marcantonio Bragadin. Il 15 novembre 1660 optò per il titolo cardinalizio di San Marco, e successivamente cambiò titolo altre volte: il 13 settembre 1677 ottenne il titolo cardinalizio di Santa Maria in Trastevere; l'8 gennaio 1680 ottenne il titolo cardinalizio di Santa Prassede; il 1º dicembre 1681 optò per l'ordine dei vescovi ed ebbe sede suburbicaria di Sabina; il 15 febbraio 1683 ottenne la sede suburbicaria di Frascati; il 10 novembre 1687 ottenne la sede suburbicaria di Porto-Santa Rufina. Il pontificato[modifica | modifica sorgente] Dopo il pontificato di Innocenzo XI che si era trovato in perenne conflitto con il re di Francia Luigi XIV, in quanto si era opposto al gallicanesimo, tanto che, per reazione, Luigi XIV aveva occupato la città pontificia di Avignone e trasformato la propria residenza a Roma in una fortezza, l'ambasciatore di Luigi XIV di Francia riuscì a procurare il 6 ottobre 1689 l'elezione di Ottoboni, considerato più vicino al sovrano francese, come successore di papa Innocenzo XI. Nonostante ciò, dopo mesi di negoziati, Alessandro alla fine condannò le dichiarazioni fatte nel 1682 dal clero francese, riguardanti le libertà della Chiesa gallicana. Alessandro comprò libri e manoscritti della Regina Cristina di Svezia, per la Biblioteca Apostolica Vaticana. Reintrodusse gli uffici della sinecura che erano stati soppressi da Innocenzo XI. Nel 1690 condannò le dottrine del cosiddetto peccato filosofico, insegnato nelle scuole dei Gesuiti. Lo stesso anno canonizzò Juan Ciudad, noto con il nome di San Giovanni di Dio. Alessandro VIII morì il 1º febbraio 1691. La sua tomba è ospitata nella Basilica di San Pietro ed è stata progettata da Arrigo di San Martino e realizzata da Angelo de' Rossi e Giuseppe Bertosi 1691-1725. Le carità su vasta scala e il nepotismo (fra le varie nomine, il nipote Pietro di 22 anni divenne cardinale mentre l'altro nipote Marco assunse il titolo di Duca di Fiano Romano,[1]) fecero esaurire le casse del Regno. Infatti decise di invertire le politiche economiche del predecessore riducendo la pressione fiscale al fine di aiutare le classi più disagiate ma questo e altre spese aggravarono la situazione finanziaria dello Stato della Chiesa: tra tali spese bisogna considerare le generose sovvenzioni concesse alla Venezia impegnata nella Guerra di Morea consistenti in viveri per riempire sette cambuse e in duemila fanti per la campagna in Albania.

Papa Innocenzo XII (in latino: Innocentius PP. XII, nato Antonio Pignatelli di Spinazzola; Spinazzola, 13 marzo 1615 – Roma, 27 settembre 1700) fu il 242º papa della Chiesa cattolica dal 1691 alla sua morte.

Successore di Alessandro VIII, nacque a Spinazzola da Francesco, 4º marchese di Spinazzola, e da Porzia Carafa, principessa di Minervino Murge. La testimonianza di questa illustre nascita, alla data del 21 gennaio 1626, è conservata, secondo alcuni, nel registro della chiesa di San Giovanni Battista di Regina di Lattarico. Venne educato nel collegio dei gesuiti di Roma. A vent'anni divenne un funzionario della corte di papa Urbano VIII. Sotto i papi successivi servì come vicelegato di Urbino e poi come governatore di Perugia. Divenne - quindi - inquisitore nell'isola di Malta nel 1646. Due anni dopo fu governatore di Viterbo; nel 1652 nunzio apostolico a Firenze; nel 1660 in Polonia e successivamente, nel 1668, nella prestigiosa città di Vienna. Nel 1671 ebbe l'incarico di guidare la diocesi di Lecce ma il suo episcopato durò soli due anni, in quanto fu incaricato del segretariato della Congregazione dei vescovi e dei regolari. Il 1º settembre 1681 fu nominato cardinale; l'anno dopo arcivescovo di Faenza e legato di Bologna; nel 1687 arcivescovo di Napoli. Alla morte di Alessandro VIII, avvenuta il 1º febbraio 1691, il conclave si protrasse per cinque mesi, ed egli fu eletto il 12 luglio, come candidato di compromesso tra i cardinali francesi e quelli del Sacro Romano Impero. Immediatamente dopo la sua elezione, prese posizione contro il nepotismo, che troppo e troppo a lungo era stato uno dei grandi scandali della Chiesa; la bolla Romanum decet Pontificem, emanata nel 1692, proibiva ai Papi in qualsiasi momento, di concedere proprietà, incarichi o rendite a qualsiasi parente; inoltre, nessun parente poteva essere innalzato al cardinalato. In tutto il suo pontificato rimase fedele a questo principio; nessun suo familiare ebbe incarichi in Vaticano e negò perfino la porpora del cardinalato all'arcivescovo di Taranto, perché era suo parente. Nominò invece assistente al soglio pontificio il vescovo di Spoleto, Pietro Gaddi da Forlì. Nello stesso tempo cercò di contrastare la compravendita di cariche presso la Camera Apostolica, e a questo scopo introdusse alla sua corte uno stile di vita più semplice e più economico. Egli stesso disse "i poveri sono i miei nipoti", paragonando il nepotismo di molti tra i suoi predecessori con la sua politica di beneficenza pubblica. Nel 1694 istituì la Congregazione per la disciplina e la riforma degli Ordini Regolari, con l'intento di riformare verso una maggiore spiritualità la Chiesa. Innocenzo fece diverse riforme necessarie e molto utili negli Stati della Chiesa, e - per la migliore amministrazione della giustizia - fece erigere il Forum Innocentianum. Nel 1693 spinse i vescovi francesi a ritirare le quattro proposizioni legate alle "Libertà gallicane", che erano state formulate dall'assemblea del 1682. Nel 1699, si schierò dalla parte di Jacques- Bénigne Bossuet, nella controversia tra tale prelato e Fénelon, circa l'Explication des Maximes des Saints sur la Vie Intérieure scritta da quest'ultimo. Sul piano del recupero della città di Roma e dei suoi dintorni varò un piano di recupero del porto di Anzio che serviva a sud la capitale. In politica estera, il suo pontificato contrastò con quello di una serie di suoi predecessori, per la sua inclinazione verso la Francia invece che la Germania. Questo papa benevolo, pieno di abnegazione e pio, morì il 27 settembre 1700. Dopo la sua morte il suo amico e conterraneo, il cardinale don Vincenzo Petra dei duchi di Vastogirardi, fece erigere a proprie spese un monumento funebre in suo onore a San Pietro, in Vaticano, commissionandolo a Ferdinando Fuga; il monumento è abbellito da due statue che rappresentano la Giustizia e la Carità dello scultore Filippo Valle. Egli fu l'ultimo pontefice a portare barba e baffi abitualmente[1]. Gli successe Clemente XI. Papa Clemente XI (in latino: Clemens PP. XI, nato Giovanni Francesco Albani; Urbino, 23 luglio 1649 – Roma, 19 marzo 1721) fu il 243º papa della Chiesa cattolica dal 1700 alla sua morte.

Da parte del padre, Carlo Albani (1623-1684), discendeva da una nobile famiglia di antiche origini albanesi (capostipite degli Albani, in Italia, fu Filippo de' Laçi detto "l'albanese", che era un capitano delle truppe di Giorgio Castriota Scanderbeg e si trasferì a Urbino dopo la morte dell'eroe, nel 1468), mentre la madre Elena apparteneva alla famiglia dei marchesi Mosca di Pesaro, d'antiche origini lombarde (più precisamente, bergamasche). Giovanni Francesco Albani aveva quindi questa lontana ascendenza albanese, come lui stesso soleva sostenere apertamente. Del resto, si interessò molto dell'Albania, occupata ormai dai turchi, soprattutto per la salvaguardia della lingua albanese e della religione cattolica, promuovendo molte iniziative e favorendo la stampa di molti libri in lingua albanese. Sotto il suo auspicio si tenne, nel 1700 a Merçine di Alessio (Lezhe) in Albania, il convegno storico di Arber dove furono prese diverse risoluzioni in favore della lingua albanese e della religione cattolica, per non permettere la loro estinzione sotto la dominazione ottomana. Giovanni Francesco nacque ad Urbino il 23 luglio 1649. Ad 11 anni entrò nel Collegio Romano diretto dai gesuiti. Ebbe modo grazie al cardinale marchigiano Decio Azzolini juniore di frequentare il salotto della regina Cristina di Svezia che era promotrice delle arti letterarie. A 18 anni sembra che infatti fosse molto bravo nelle lettere ed avesse buone capacità di tradurre dal greco in un ottimo latino. Questo ambiente letterario colto era frequentato da letterati, poeti, pittori, musicisti tra i più famosi del tempo. In seguito ai suoi studi brillanti venne notato dalla regina Cristina di Svezia. A 28 anni fu nominato per volere di Papa Innocenzo XI amministratore della diocesi di Rieti, dove rispose anche delle diocesi di Sabina e di Orvieto. Chiamato a Roma, venne nominato vicario della Basilica di San Pietro di Roma, poi Secretario della corrispondenza pontificale. Nel 1690, ricevette da Papa Alessandro VIII il capello di cardinale e fu ordinato diacono. Nel 1690, dopo la morte della Regina Cristina, gli artisti e intellettuali che gravitavano intorno al suo salotto letterario costituirono la famosa Accademia dell'Arcadia, a cui aderì anche il Cardinale Albani. Svolse la sua opera anche all'interno dello Stato Pontificio, collaborando con il suo predecessore Papa Innocenzo XII alla riforma delle strutture dello Stato, la qual cosa offriva una certa garanzia all'intero collegio cardinalizio, in ordine alla sua competenza e alla sua conoscenza dei meccanismi di governo della Chiesa. Era accreditato, inoltre, come uomo integerrimo e fermamente scevro da corruttele e nepotismo. Innocenzo XII lo ricompensò dei suoi servigi nel marzo 1700 dandogli il titolo cardinalizio di San Silvestro in Capite, e consacrandolo al sarcedozio nel settembre successivo, pochi giorni prima di morire. In meno di un anno, Albani avrebbe scalato tutti i gradini della carriera ecclesiastica. Albani accolse l'elezione con riluttanza, manifestando con chiarezza e con ostinazione la sua intenzione di rifiutare la tiara adducendo come pretesto di non aver mai ricevuto tutti gli ordini ecclesiastici, essendo ancora solo prete. In verità le motivazioni erano ben altre, ed erano strettamente legate alla situazione politica internazionale. Albani sapeva bene che cosa si stava preparando in Europa, a seguito della contrastata successione sul trono di Spagna. I conflitti che, inevitabilmente, sarebbero scoppiati avrebbero coinvolto certamente anche la Santa Sede e in questo coinvolgimento il Pontefice non avrebbe potuto fare a meno di operare una scelta di campo. La qual cosa Egli, da abile uomo d'equilibrio, non intendeva assolutamente fare, ritenendosi non in grado di affrontare l'arduo compito. Il Collegio Cardinalizio fu però irremovibile nel sollecitare il neo eletto ad accettare la nomina. Il Cardinale Albani fu consacrato Vescovo il 30 novembre e fu incoronato Papa il giorno 8 dicembre 1700 con il nome di Clemente XI. Aveva 51 anni. Situazione storica pre conclave[modifica | modifica sorgente] Nell'anno giubilare 1700 moriva Papa Innocenzo XII, al secolo Antonio Pignatelli, nobile napoletano. Elevato al soglio pontificio nove anni prima dopo ben cinque mesi di sede vacante, morì infatti il 27 settembre all'età di 85 anni. Uno degli ultimi atti del pontificato di Innocenzo XII fu quello legato alla successione del trono di Spagna. Infatti, su richiesta del morente Re Carlo II, ultimo Asburgo sul trono che fu di Ferdinando ed Isabella, non essendovi più discendenti diretti, ebbe a consigliare la disposizione testamentaria con la quale l'Asburgo assegnava la successione a Filippo d'Angiò, nipote del Re di Francia Luigi XIV di Borbone, in virtù del legame di parentela tra i due sovrani, avendo il Re di Francia sposato la sorellastra del Re di Spagna, Maria Teresa, figlia di primo letto di Filippo IV. Questa disposizione testamentaria poneva seri disequilibri tra le nazioni europee che porteranno alla guerra di successione spagnola. Il 1º novembre moriva Carlo II e il giorno 6 successivo Filippo d'Angiò veniva proclamato nuovo Re di Spagna con il nome di Filippo V. Calava il sipario su due secoli di dinastia asburgica e iniziava la dinastia borbonica. La successione non fu gradita dagli Asburgo d'Austria. L'Imperatore Leopoldo I, infatti, da Vienna comunicò subito che non avrebbe accettato la disposizione testamentaria di Carlo II, facendo intendere che era sua intenzione ricorrere anche alle armi pur di assicurare la continuità asburgica sulla Spagna e i suoi possedimenti. Si profilava, quindi, un conflitto su scala europea che vedeva coinvolte le tre maggiori monarchie del continente, la Francia e la Spagna tra loro alleate, contro gli Asburgo, con il coinvolgimento di Inghilterra e Paesi Bassi, che temevano la potenza franco-spagnola. Tutto questo avveniva in piena sede vacante. La Santa Sede, consapevole dell'incombente conflitto, si rese anche conto che i contrasti tra le fazioni filofrancese e filoimperiale all'interno del Sacro Collegio avrebbero potuto paralizzare a lungo i lavori del Conclave, con conseguenze disastrose all'interno della Chiesa in generale e dello Stato Pontificio in particolare. Occorreva quindi una scelta rapida. Il Conclave si aprì il 9 novembre e il giorno 23 successivo, pochi giorni dopo la proclamazione di Filippo d'Angiò a Re di Spagna, fu eletto come successore di Innocenzo XII il Cardinale Giovanni Francesco Albani, marchigiano, la cui scelta fu certamente il frutto di un compromesso tra i due schieramenti filo-francese e filo-imperiale. Dei 66 porporati che componevano il Sacro Collegio, soltanto 57 parteciparono ai lavori del Conclave. I primi atti del nuovo Pontefice confermarono le aspettative del Sacro Collegio. Respinse tutti i tentativi della famiglia di approfittare della carica del loro congiunto per accaparrarsi cariche politiche o religiose, o titoli nobiliari ed uffici pubblici. Contemporaneamente tentò di scongiurare i conflitti armati ormai imminenti, inviando ambascerie di pace presso le corti coinvolte direttamente nella vicenda della successione spagnola. I suoi tentativi come pacificatore rimasero, però, del tutto inascoltati. Con la chiusura del Giubileo, la vigilia di Natale del 1700, si aprì dinanzi al Papa una strada tortuosa e accidentata che avrebbe reso il suo cammino molto travagliato. La guerra che avrebbe coinvolto tutta l'Europa continentale, nonché l'Inghilterra, era imminente e avrebbe travolto il Papa e lo Stato Pontificio. Con il Trattato dell'Aia del 7 settembre 1701, l'Inghilterra e le Province Unite olandesi si allearono con l'Imperatore Leopoldo I d'Asburgo per sostenere i diritti di quest'ultimo al trono di Spagna e, contemporaneamente, difendere i propri diritti sulle rotte commerciali marittime, seriamente minacciate dalla nuova alleanza franco-ispanica. Sul fronte opposto la Francia e la Spagna erano riuscite ad ottenere l'alleanza del Duca Vittorio Amedeo II di Savoia e dei Principi elettori di Baviera e di Colonia. La guerra di successione spagnola ebbe inizio nel mese di maggio del 1702. All'inizio il Papa cercò di assumere una posizione neutrale, ma la sua neutralità appariva poco credibile, soprattutto in considerazione del fatto che Egli aveva fatto pervenire a Filippo V, nuovo Sovrano di Spagna, notevoli sostentamenti, tutti provenienti dai beni della Chiesa. Il Papa cercò di mantenere la sua neutralità anche successivamente, quando il conflitto si era ormai esteso a tutta l'Europa e sui mari, ma la sua ostentata neutralità divenne sempre meno credibile, tant'è che il nuovo Imperatore, Giuseppe I d'Asburgo, succeduto a Leopoldo I nel 1705, ruppe gli indugi e, per favorire gli spostamenti dei suoi eserciti che in quel momento stavano fronteggiando le truppe francesi, invase lo Stato Pontificio. Era il 1708. Gli imperiali occuparono il mantovano, Parma, Piacenza e Comacchio e, nonostante il Papa ne sollecitasse l'intervento, i francesi si guardarono bene dall'intervenire in Italia. Clemente XI, vistosi il territorio occupato per buona parte e sotto la minaccia di una occupazione asburgica della stessa città di Roma, fu costretto, nel mese di gennaio del 1709, a sottoscrivere un trattato con il quale riconosceva nell'Arciduca Carlo, fratello dell'Imperatore, il nuovo Re di Spagna. Questo riconoscimento, non solo indignò il Re di Francia, ma pose in evidenza la notevole incapacità del Papa di gestire degnamente la politica estera della Santa Sede: più volte manifestò la sua intenzione di deporre la tiara pontificia e di ritirarsi. Ciò causò una notevole caduta di stima nei confronti della persona del Pontefice che ebbe come conseguenza la mancata restituzione, da parte degli Asburgo, dei territori romagnoli occupati qualche anno prima. Nel 1711 si scontro col Regno di Sicilia provocando la Controversia liparitana che a lungo incrinerà i rapporti fra quel regno e il papato. Ma la sconfitta più cocente il Papa dovette subirla con la firma dei Trattati di Utrecht del 2 aprile 1713 e di Rastatt del 6 marzo 1714, che mettevano fine alla guerra per la successione al trono di Spagna. Il primo concluso tra la Francia e l'Inghilterra e il secondo tra la Francia e il nuovo Imperatore Carlo VI d'Asburgo, succeduto a Giuseppe I nel 1711. Clemente XI fu completamente estromesso da qualunque trattativa, nonostante la sua ferma protesta, e dovette subire la perdita definitiva di Mantova e del Ducato di Parma e Piacenza che, da circa due secoli, era nelle mani dei Farnese, dinastia ormai in via di estinzione, ma comunque tradizionali alleati del Papa. Per la seconda volta nella storia (la prima fu in occasione della pace di Vestfalia), in un consesso tanto importante che avrebbe decretato l'assetto dell'Europa e dell'Italia per i successivi 150 anni, il Papa fu tenuto alla porta. O meglio, l'esito della scadente capacità diplomatica del Papa urbinate, avrebbe inciso in modo inequivocabile sulle dinamiche del risorgimento italiano, in cui i popoli del Lombardo Veneto rappresentarono un potente fattore destabilizzante per il dominio austriaco.[1] La guerra di successione spagnola, conclusasi in tal modo, ebbe come conseguenza la totale perdita di autorità della figura del Pontefice anche nei rapporti tra gli Stati Italiani e all'interno stesso dello Stato della Chiesa, dando inizio ad un processo di laicizzazione che non si sarebbe mai più arrestato. Sul piano dottrinale interno dovette affrontare anche il giansenismo e per tale motivo emanò la Bolla Unigenitus Dei Filius, emanata proprio nel 1713, con la quale si condannava punto per punto la dottrina giansenista. La condanna del giansenismo, però, in Francia non fu accettata totalmente. La Chiesa francese si divise tra coloro che accettavano l'ordine papale, i cosiddetti “accettanti” e coloro che nel respingere la bolla papale si appellavano ad un concilio universale, i cosiddetti “appellanti”. Si profilava chiaramente uno scisma tra la Chiesa di Roma e quella francese. Il Papa corse ai ripari e promulgò una nuova Bolla, la Pastoralis officii, con la quale scomunicò tutti gli appellanti francesi. Ma questi si appellarono nuovamente e dichiararono nulla la scomunica. La Bolla Pastoralis officii fu promulgata il 28 agosto del 1718, ma ci vollero ancora due anni e l'intervento risolutore del governo di Parigi per riportare tutti gli appellanti nel solco della Chiesa di Roma. La qual cosa fu possibile soltanto con la trasformazione della Bolla papale in una legge dello Stato. Papa Clemente XI si occupò anche costantemente del problema delle Missioni di Cina e dei cosiddetti riti cinesi: nel 1704 promulgò il Decreto del Sant'Uffizio "Cum Deus Optimus" in cui venivano proibite determinate pratiche religiose ai cinesi convertiti al Cristianesimo, e nel 1715 emanò la Bolla "Ex Illa Die" che, chiedendo anche un giuramento di fedeltà ai missionari, intendeva porre la parola fine alla diatriba, che però durò ancora diversi anni dopo la fine del suo pontificato. Nel frattempo Clemente XI aveva inviato in Cina due suoi Legati Apostolici. Il primo Ambasciatore della storia del Papato in Cina fu il Patriarca Carlo Tommaso Maillard de Tournon, che arrivò a Pechino alla fine del 1705, per pubblicare il decreto del 1704. Quindi nel 1720 Monsignor Carlo Ambrogio Mezzabarba, aveva l'incarico di pubblicare la Bolla del 1715. Entrambe le Legazioni tuttavia non ebbero i risultati sperati, principalmente per l'opposizione subita da parte dei missionari gesuiti. Clemente XI morì quindi senza veder risolta la diatriba tra gli stessi missionari di Cina. Dopo i problemi politici internazionali, sia nei rapporti con gli altri Stati Italiani e sia nei rapporti con il resto dell'Europa, Clemente XI si rinserrò all'interno dello Stato della Chiesa e si dedicò esclusivamente ai rapporti con il suo popolo. Distribuì generosamente gran parte del patrimonio della Chiesa e ne furono beneficiati tutti i suoi sudditi, sia con opere pie che con danaro sonante. Il suo scopo era quello di recuperare il rapporto con la sua gente che si era andato deteriorando nel corso degli anni a causa dei continui rovesci in campo internazionale. Cercava, cioè, di riscattare la sua immagine, ormai definitivamente impallidita, di Capo di Stato incapace di governare i rapporti all'interno e all'esterno del suo stato e di Pastore delle genti. Nel corso del suo pontificato, convocò 15 Concistori, nel corso dei quali nominò ben 70 nuovi Cardinali. Se in campo internazionale non poté svolgere un ruolo primario, qualcosa di più e con risultati molto più lusinghieri ottenne all'interno dello Stato pontificio, attraverso la realizzazione di molte opere, tuttora visibili. Istituì un'accademia di pittura e scultura, sottoponendo a tutela tutte le opere d'arte presenti in Roma. Promosse lo sviluppo dell'archeologia su basi scientifiche avviando i primi scavi sistematici nelle catacombe e arricchì la Biblioteca Vaticana. Eresse l'obelisco nella piazza del Pantheon e costruì il porto di Ripetta sul Tevere, che sarebbe stato demolito alla fine dell'Ottocento per consentire la costruzione del ponte Cavour. Costruì un viadotto a Civita Castellana ed un acquedotto a Civitavecchia. Tra le tante opere fatte costruire dall'Albani, va ricordata la famosa fontana, realizzata dagli scultori Filippo Bai e Francesco Moratti, situata sotto il portico della Chiesa di Santa Maria in Cosmedin, meglio conosciuta come Bocca della Verità. La città di Urbino ebbe in modo particolare le attenzioni del Pontefice, essendo la sua Città natale. Furono, innanzitutto, cancellati tutti i debiti accumulati dal Comune; furono eseguiti lavori di abbellimento nella Cattedrale ed imponenti lavori di restauro del palazzo ducale e di quello arcivescovile; si diede avvio alla fondazione di una biblioteca pubblica. Fu costruito un istituto educativo per la gioventù e furono concessi cospicui privilegi all'Università. Non fu certamente un Papa nepotista nel senso tradizionale del termine, ma gli eccessivi privilegi concessi alla sua città natale ed ai territori limitrofi del già Ducato d'Urbino, vanno considerati comunque come una forma di nepotismo, ancorché collettivo. Morte[modifica | modifica sorgente] Le cronache e la storia non ci dicono molto sulla morte del Papa. È certo, però, che le vicende legate alla guerra di successione spagnola, protrattesi per oltre un decennio, e quelle legate alla disputa dottrinaria con i giansenisti francesi, durate ben oltre quindici anni, dovettero logorare molto la fibra del Papa che spirò il 19 marzo del 1721. Non aveva ancora compiuto i settantadue anni di età ed aveva retto le sorti della Chiesa di Roma per poco più di vent'anni. Aveva sempre desiderato di essere sepolto in maniera semplice ed umile. E così fu. Le sue spoglie mortali furono deposte sotto il pavimento della Cappella del coro dei Canonici della Basilica di San Pietro, dove tuttora riposano, ricoperte da una semplice lastra di marmo di porfido. Il Reverendo Capitolo di San Pietro ne officia ancora la memoria con particolare solennità, ogni anno il 19 marzo. Santa Veronica Giuliani riferì che il pontefice le apparve dopo la morte, dicendole che era in Purgatorio e che voleva essere liberato. La santa pregò molto tempo per lui, finché qualche anno dopo le apparve di nuovo dicendole che era pronto per il Paradiso. La santa morì sei anni dopo Clemente XI.

Papa Innocenzo XIII (in latino: Innocentius PP. XIII, nato Michelangelo Conti; Poli, 13 maggio 1655 – Roma, 7 marzo 1724) è stato il 244º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1721 alla sua morte.

Nato a Poli, vicino a Roma, Michelangelo Conti discendeva dalla nobile famiglia dei Conti di Segni alla quale era apparteneuto un altro pontefice, Innocenzo III ed altri (Gregorio IX, Alessandro IV) gliene venivano attribuiti. Suo padre era Carlo IV, duca di Poli e Guadagnolo, e sua madre era donna Isabella Muti. Studiò al Collegio Romano. Fu introdotto nella curia romana da papa Alessandro VIII, che nel 1690 gli commissionò la consegna al doge di Venezia, Francesco Morosini, del berrettone e dello stocco. Nel 1695 fu fatto vescovo di Tarso e nunzio a Lucerna. Nel 1698 fu inviato da papa Innocenzo XII come nunzio apostolico a Lisbona, dove rimase fino al 1710; e sembra che qui si sia formato il suo giudizio critico nei confronti dell'ordine dei gesuiti, che ebbe tanta importanza successivamente. Il 17 maggio 1706 fu creato cardinale prete del titolo dei Santi Quirico e Giulitta da papa Clemente XI. Nel 1709 gli fu assegnata la diocesi di Osimo e nel 1712 quella di Viterbo; ma nel 1719 a causa di problemi di salute dovette dare le dimissioni. Alla morte di Clemente XI avvenuta il 19 marzo 1721, si aprì un conclave alquanto tormentato che si protrasse per cinque settimane, poiché le tre maggiori potenze, l'Austria da una parte e dall'altra Francia e Spagna, tentavano di influenzare il Sacro Collegio. Il candidato più forte appariva il cardinale Fabrizio Paolucci, Segretario di Stato di Clemente XI, considerato però vicino agli interessi della Francia e sul quale cadde il veto dell'Imperatore Carlo VI d'Asburgo. L'8 maggio 1721 la maggioranza dei voti confluì sul cardinale Conti, per le sue doti umane e spirituali; inoltre non era apertamente schierato con nessuno dei due gruppi filofrancese o filoimperiale; ottenne infatti alla fine il voto unanime di tutto il Sacro Collegio. In onore di papa Innocenzo III a cui lo accomunava il lignaggio, scelse il nome di Innocenzo XIII. Eletto papa, confermò l'incarico del cardinale Paolucci alla Segreteria di Stato. Tra i suoi primi atti vi fu inoltre il reinserimento graduale nella curia del cardinale Giulio Alberoni che era stato esautorato da Clemente XI a causa di problemi diplomatici insorti nelle corti europee; gli atti del processo su Alberoni furono portati a Castel Sant'Angelo, mentre lui stesso fu tenuto per breve tempo in prigione come chiesto esplicitamente dalla Spagna, ma poi rilasciato. Poco dopo nel 1722 diede l'investitura di re di Sicilia all'imperatore Carlo VI d'Asburgo, ratificando quanto stipulato nel trattato di Utrecht del 1713 e poi in quello dell'Aja del 1720, mentre l'imperatore gli inviava il suo giuramento di fedeltà ed alleanza. Comunque i territori di Comacchio, che erano stati in precedenza presi dall'impero al Papa, non furono affatto restituiti; ed inoltre l'imperatore impose che il ducato di Parma e Piacenza, da diversi secoli nella sfera dello stato pontificio e governato dalla famiglia Farnese, fosse considerato feudo imperiale, con l'obbligo di tenervi una guarnigione austriaca tra l'altro a spese dei Farnese. Il Papa invitò Francesco Farnese a rifiutarsi di pagare tale tributo, ma fu inutile. Come il suo predecessore, stabilì una rendita annuale di ottomila scudi per il pretendente inglese Giacomo Edoardo Stuart, figlio dell'ultimo re cattolico Giacomo II d'Inghilterra, permettendogli così di mantenere una pur piccola corte a Roma, nel palazzo Muti Papazzurri (il cugino del Papa, Francesco Maria Conti di Siena, fu creato gentiluomo di camera dal pretendente giacobita). Innocenzo si spinse ad assicurare allo Stuart un aiuto di circa centomila ducati per armarsi e riconquistare il regno. Aiutò inoltre i veneziani e soprattutto l'isola di Malta nelle loro lotte contro i turchi. Durante il suo pontificato continuò la controversia dei riti cinesi. Il generale dei gesuiti, padre Michelangelo Tamburini, ricevette il 13 settembre 1723 dal segretario della Congregazione di Propaganda Fide, Pier Luigi Carafa Junior (1677- 1755), un precetto formale con il quale si vietava l'ulteriore ammissione nella Compagnia di Gesù di novizi e l'invio di missionari nelle Indie Orientali finché non fosse stata dimostrata l'obbedienza dei gesuiti alle proibizioni dei riti cinesi pubblicate dal predecessore Clemente XI, in particolare con la Bolla Ex illa die del 19 marzo 1715. Innocenzo XIII si convinse della bontà del resoconto del Legato Pontificio Carlo Ambrogio Mezzabarba secondo il quale i gesuiti residenti presso la corte imperiale di Pechino avrebbero istigato l'imperatore Kangxi a far imprigionare i missionari inviati dalla Congregazione di Propaganda Fide. Innocenzo XIII concesse ai gesuiti di replicare con un memoriale di difesa, la cui presentazione fu resa impossibile dalla sopraggiunta morte del Pontefice. Lo storico Ludwig von Pastor ritenne che la crisi del 1723 anticipò in qualche modo la soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773. L'ostilità dimostrata nei confronti dei gesuiti forse incoraggiò sette vescovi francesi a contattarlo con una petizione affinché fosse ritirata la bolla "Unigenitus" di Clemente XI che era una Costituzione apostolica con la quale venivano confutati e condannati i punti fondamentali del Giansenismo; la richiesta comunque, venne prontamente negata. Anzi il Papa non si limitò a condannare tale petizione ma richiese in modo incondizionale la sottomisione a questa Costituzione pontificia. L'autorità del Papa però in quel momento era alquanto ridotta tanto che ad esempio non poté impedire che il reggente al trono di Francia, Filippo d'Orléans, gli imponesse di conferire il cardinalato al primo ministro francese Guillaume Dubois, uomo dai costumi libertini. Il Papa, costretto a procedere alla nomina, impose tuttavia che nella cerimonia di consegna della berretta, si procedesse alla pubblica lettura di una bolla in cui elencava le dissolutezze del Dubois, esortando il ministro a cambiare stile di vita. In una bolla del marzo 1723 egli regolò alcuni abusi che si perpetuavano in Spagna e il re Filippo V di Spagna si prestò per aiutare a metterla in pratica. All'inizio del suo pontificato si temette il fenomeno del nepotismo, ma in realtà questo non si verificò. Egli elevò effettivamente suo fratello Bernardo Maria al cardinalato, ma impedì in tutti i modi che potesse percepire oltre 12000 scudi, come era stato già stabilito da Innocenzo XII. Il 7 marzo 1724 morì e fu sepolto nelle Grotte Vaticane sotto la Basilica di San Pietro. Volle che il suo cuore fosse conservato nel Santuario della Mentorella presso Guadagnolo nelle terre della sua famiglia; santuario di cui egli fu Abate Commendatario fino alla sua morte. In occasione del trecentocinquantesimo anniversario della nascita (1655-2005), si è a lungo parlato dell'eventualità di presentare alla Santa Sede una richiesta formale per l'introduzione della causa di beatificazione di Innocenzo XIII. Gli successe papa Benedetto XIII.

Papa Benedetto XIII, in latino Benedictus PP. XIII, al secolo Pietro Francesco (in religione Vincenzo Maria) Orsini (Gravina in Puglia, 2 febbraio 1650 – Roma, 21 febbraio 1730), è stato il 245º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1724 alla sua morte; apparteneva all'ordine dei domenicani e nel 1931 è stato proclamato Servo di Dio.

Figlio di Ferdinando III Orsini duca di Gravina in Puglia e di Giovanna Frangipane della Tolfa di Toritto, apparteneva quindi alla nobile famiglia dei duchi Orsini (ramo di Gravina). Il padre morì nel 1658, quando egli aveva otto anni, e - quindi - ereditò subito da lui il titolo di feudatario di Solofra. Fu educato da Niccolò Tura, domenicano di Solofra, e da sua madre Giovanna, donna religiosa e caritatevole. Iniziò gli studi nella città irpina e, a 16 anni, fondò l'Accademia dei Famelici. A 17 anni chiese di entrare nel noviziato dell'ordine che egli più amava, quello dei domenicani, durante un viaggio a Venezia, nonostante alcuni suoi parenti non fossero d'accordo per il fatto che egli era primogenito. Si appellò a papa Clemente IX, che non solo accettò l'ingresso ma, viste le doti del ragazzo, lo dispensò dagli studi propedeutici. Poco dopo, nel 1668, egli rifiutò l'eredità del titolo di duca, che passò al fratello, e fece la sua prima professione: cambiò il nome in fra' Vincenzo Maria Orsini. Fu ordinato sacerdote il 24 febbraio 1671 dal cardinale Emilio Altieri, futuro papa Clemente X. Cardinale e vescovo[modifica | modifica sorgente] A soli ventitré anni, contro la sua volontà, divenne il 22 febbraio 1672, cardinale del titolo di San Sisto e prefetto della Congregazione del Concilio; accettò solo dopo che il Generale dell'Ordine dei Frati Predicatori, chiamato dal papa Clemente X, lo obbligò. Si recò, quindi, a Roma. Nel 1675 gli furono proposte le sedi vescovili di Salerno e di Manfredonia: la sua scelta fu per quest'ultima, che era meno prestigiosa e meno ricca, ma vicina al suo luogo natìo; fu, quindi, nominato il 28 gennaio 1675 arcivescovo di Manfredonia e consacrato il 3 febbraio dello stesso anno dal cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni. Qui dimostrò le sue doti di vicinanza al popolo di Dio, anche se il suo carattere zelante lo portò ad avere contrasti con alcuni importanti funzionari del vice-regno e con i legati spagnoli. Papa Innocenzo XI e il cardinale Paluzzi Altieri, suo protettore e uomo vicino alla sua famiglia, fecero in modo che il 22 gennaio 1680 accettasse il trasferimento alla sede vescovile di Cesena, con il titolo personale di arcivescovo. In tale città, però, ebbe problemi di salute e vi poté soggiornare solo due anni (su un totale di sei anni), poiché dovette andare ad Ischia e a Napoli per curarsi; oltre a questo, ebbe problemi con le autorità laiche, in quanto il suo zelo lo portava a contrastare qualsiasi abuso. Il suo fervore religioso e la sua condotta di vita virtuosa influenzarono con il tempo anche sua madre, sua sorella e due sue nipoti che entrarono nel terz'ordine delle suore domenicane. Alla morte di Clemente X, aveva fatto parte nel conclave del 1676 del grande gruppo dei cardinali cosiddetti "zelanti", cioè non schierati con nessuna potenza europea. Il 18 marzo 1686 gli fu proposta la sede arcivescovile di Benevento, ritenendola più consona al suo stato di salute; qui risiedette per trentotto anni. Entrò in città il 30 maggio 1686 a dorso di un cavallo bianco e restò vescovo anche quando divenne papa, in via eccezionale. Di grande rilievo fu la sua sollecitudine pastorale; ogni anno, infatti, visitava in media una settantina di parrocchie completando il giro ogni due anni[1]. Tenne due sinodi provinciali, il primo nel 1693, al quale parteciparono diciotto vescovi ed il secondo nel 1698, con il contributo di venti vescovi; entrambi gli atti furono approvati a Roma. Costruì ospedali e alleviò le sofferenze dei poveri. Diede un forte impulso alla fondazione dei monti frumentari in tutta la diocesi, precorrendo i tempi, per prestare ai contadini indigenti i fondi per acquistare le sementi, da restituire all'epoca del raccolto [2]. Durante il suo episcopato, la città fu colpita per due volte dal terremoto: l'8 giugno 1688 e il 14 marzo 1702. In entrambi le circostanze egli si prodigò per gli abitanti e fece di tutto per ricostruire la città danneggiata, tanto che fu nominato "secondo fondatore" di Benevento. In questi anni l'unico aspetto negativo fu la sua semplicità e l'ingenuità di fronte a situazioni e persone scaltre e senza scrupoli, che abusarono della sua confidenza. Il 3 gennaio 1701 optò per l'ordine dei vescovi e la sede suburbicaria di Frascati, conservando l'amministrazione di Benevento. Il 18 marzo 1715 scelse la sede suburbicaria di Porto-Santa Rufina, e ottenne sempre di conservare l'amministrazione di Benevento. Ogni città dell'allora vasta provincia ecclesiastica di Benevento serba tracce incancellabili del suo episcopato, ed il suo nome, come il suo blasone sono scolpiti su centinaia di pietre, e dipinti in innumerevoli quadri. Papa[modifica | modifica sorgente] Il 7 marzo 1724 moriva Innocenzo XIII e si indiceva il quarto conclave al quale partecipava. Il consesso si aprì il 20 marzo, ma il 25 maggio ancora non si era raggiunto l'accordo. Rattristato, decise di fare una novena al santo a lui particolarmente legato (san Filippo Neri), affinché non tardasse l'elezione del nuovo papa. Prima che la novena fosse finita, vide con terrore che la persona sulla quale si convogliavano i voti maggiori era proprio lui. Tentò in tutti i modi di non farsi eleggere, ma non ci riuscì, e il 29 maggio 1724 fu eletto papa. Anche allora tentò di rifiutare, ma accettò quando si rese conto che un altro conclave avrebbe portato grossi problemi alla Chiesa cattolica. A malincuore obbedì e scelse in onore di Benedetto XI (papa domenicano), il nome di Benedetto XIV, che - però - in breve tempo corresse con Benedetto XIII, poiché Pietro de Luna che aveva già utilizzato tale nome tra il 1394 e il 1423 era scismatico, cioè antipapa. Tra i suoi primi atti vi fu il rafforzamento della disciplina ecclesiastica. Impose una veste meno lussuosa e meno mondana ai cardinali. Durante il Giubileo del 1725 si dimise dalla carica di Gran Penitenziere e affermò che aveva seriamente pensato di ripristinare l'uso di penitenze pubbliche per alcune colpe gravi. Per favorire lo sviluppo di seminari diocesani, istituì una commissione speciale, la Congregazione dei seminari. Sempre nel 1725 nominò cardinale (e diede anche altre cariche) Niccolò Coscia, che fu, pochi anni dopo la nomina, arrestato per ordine di papa Clemente XII e condannato a dieci anni di reclusione per furto e produzione di documenti falsi[3][4]. Durante il Concilio lateranense del 1725[5], richiese un'incondizionata accettazione della bolla pontificia Unigenitus, nella quale si erano confutati tutti i principali fondamenti dell'eresia giansenista francese; e, sebbene con notevoli sforzi, riuscì a fare approvare tale deliberazione al cardinal de Noailles arcivescovo di Parigi nel 1728. Durante il pontificato visitò due volte la città di Benevento, della quale continuò - in via eccezionale - a reggere l'arcidiocesi, mediante un vicario generale, negli anni 1727 e 1729. Sempre nell'anno giubilare, inaugurò la scalinata di Piazza di Spagna a Roma, per congiungere la chiesa della Trinità dei Monti con la parte sottostante. Nel 1727 si impegnò per l'istituzione dell'Università di Camerino. Ebbe contrasti con il re del Portogallo, Giovanni V, che voleva nominare un cardinale di corona. Nel 1726 canonizzò Pellegrino Laziosi, dell'ordine dei Servi di Maria. Uomo di grande cultura, fu un papa riformatore e si impegnò a porre un freno allo stile di vita decadente del clero italiano e dei cardinali. Fu l'ultimo membro della nobile famiglia Orsini a divenire papa. Tutt'oggi la sua salma è conservata presso la Basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma. Il comune di Gravina in Puglia ricorda il suo cittadino più illustre con una statua bronzea, posta nella piazza che porta il suo nome. Anche Benevento ricorda il suo secondo fondatore con una statua nella piazza intitolata a lui medesimo, antistante il Duomo. Causa di beatificazione[modifica | modifica sorgente] Il 21 febbraio 1931 papa Pio XI ha dato inizio alla causa di beatificazione, proclamandolo servo di Dio. Il 24 febbraio 2012 papa Benedetto XVI ha aperto il processo di beatificazione e canonizzazione.

Papa Clemente XII (in latino: Clemens PP. XII, nato Lorenzo Corsini; Firenze, 7 aprile 1652 – Roma, 6 febbraio 1740) è stato il 246º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1730 alla sua morte.

Aristocratico fiorentino, figlio di Bartolomeo ed Elisabetta Strozzi, era stato avvocato e gestore delle finanze sotto i pontefici precedenti. È famoso per aver fatto costruire la nuova facciata di San Giovanni in Laterano, la Fontana di Trevi ed aver acquistato la collezione di antichità del cardinale Albani, per la Galleria Pontificia. Sotto papa Benedetto XIII, le finanze degli Stati Pontifici erano state consegnate nelle mani del cardinale Coscia e di altri membri della Curia, che le avevano lasciate in cattiva condizione. Dopo quattro mesi di deliberazioni, il Collegio dei Cardinali scelse come papa il cardinale Lorenzo Corsini, un settantottenne con la vista in declino, che aveva retto tutti gli incarichi più importanti della Curia romana. In quanto Corsini, e con una Strozzi come madre, il nuovo papa rappresentava una famiglia di altissimo livello della società fiorentina, rappresentata da un cardinale per ogni generazione nel secolo precedente. Corsini era un avvocato, con una laurea all'Università di Pisa, che aveva esercitato la professione sotto l'abile guida dello zio, il cardinale Neri Corsini. Dopo la morte di questi e del padre, nel 1685, Lorenzo, all'epoca trentatreenne, sarebbe diventato il capo della famiglia Corsini. Egli invece rinunciò al suo diritto di primogenitura e acquistò da papa Innocenzo XI per 30.000 scudi, secondo le consuetudini dell'epoca, una posizione da prelato, dedicando il suo patrimonio e il suo piacere all'allargamento della biblioteca ereditata dallo zio. Nel 1696 Lorenzo Corsini venne nominato tesoriere-generale e governatore di Castel Sant'Angelo. La sua fortuna aumentò durante il pontificato di papa Clemente XI, che impiegò il suo talento a corte e lo ricompensò con la berretta cardinalizia (17 maggio 1706), mantenendo i suoi servigi come tesoriere pontificio. Fece ulteriore carriera sotto papa Benedetto XIII, che lo nominò prefetto del tribunale giudiziario noto come Segnatura di Giustizia. Divenne successivamente cardinale- presbitero del titolo di San Pietro in Vincoli e cardinale-vescovo di Frascati. Benché ormai cieco e costretto nel suo letto, dal quale dava udienza e conduceva gli affari dello Stato, seppe circondarsi di funzionari capaci, molti dei quali suoi parenti, ma fece poco per la famiglia, ad eccezione dell'acquisto di un grosso palazzo costruito a Trastevere per i Riarii, ed ora noto come Palazzo Corsini alla Lungara (sede dell'Accademia dei Lincei). Nel 1754 suo nipote, il cardinale Neri Corsini, vi fondò la famosa Biblioteca Corsini. Le sue prime mosse come papa furono indirizzate a ripristinare le finanze dello stato.[1] Clemente XII richiese la restituzione di alcune somme da parte dei ministri che avevano abusato della confidenza del suo predecessore. Il principale colpevole, il cardinale Coscia, venne multato pesantemente e condannato a dieci anni di prigione. Le finanze pontificie vennero migliorate anche attraverso il ripristino del lotto nel 1732, che era stato soppresso dalla severa moralità di Benedetto XIII. A chi gli rimproverò la scelta, obiettò che gli introiti sarebbero serviti per opere pubbliche e opere di carità. Ben presto riuscì a versare nelle casse del tesoro una somma annua che ammontava a quasi mezzo milione di scudi, che gli permise di intraprendere il vasto programma di costruzioni per il quale viene principalmente ricordato, ma che non fu mai in grado di vedere. Una competizione per la maestosa facciata di San Giovanni in Laterano, forse più signorile che ecclesiastica, venne vinta dall'architetto Alessandro Galilei (completata nel 1735), e Clemente fece erigere in quell'antica basilica una magnifica cappella dedicata ad un suo parente del XIII secolo, Sant'Andrea Corsini. Fece restaurare l'Arco di Costantino e costruire il palazzo governativo della "Consulta" sul colle Quirinale. Acquistò dal cardinale Albani, per 60.000 scudi, una famosa collezione di statue, iscrizioni ed altro, e la aggiunse alla Galleria del Campidoglio. Pavimentò le vie di Roma e le strade che portavano in città, oltre ad ampliare il Corso. Diede il via ai lavori per la Fontana di Trevi, uno dei più noti monumenti di Roma, con il suo trionfale barocco. Durante il suo pontificato venne ampliato il porto di Ancona, che venne dichiarato porto franco. Clemente XII chiamò Luigi Vanvitelli a progettarne e seguirne i lavori, cosa che il celebre architetto fece con grande efficacia, prolungando il molo costruito dall'imperatore Traiano e realizzando una grande isola artificiale pentagonale sulla quale costruì il Lazzaretto, vera e propria struttura polifunzionale, in quanto era anche opera militare e funzionava da frangiflutti. In seguito a questi lavori lo Stato della Chiesa ebbe a disposizione un ottimo scalo sull'Adriatico; Clemente XII, come già l'imperatore Traiano quasi sedici secoli prima, aveva nuovamente dato a Roma uno sbocco marittimo verso l'Oriente. Il porto di Ancona venne poi collegato alla capitale con una strada detta via Clementina. Verso il Mediterraneo occidentale utilizzò come porto di Roma lo scalo di Civitavecchia. Con l'ampliamento dei due porti, Roma si proponeva nuovamente, come nell'antichità classica, quale centro del Mediterraneo. Fece anche prosciugare le paludi malariche della Chiana, vicino al Lago Trasimeno. Dal punto di vista politico però, questo non fu un periodo di successi per l'autorità pontificia tra i poteri secolari d'Europa. Quando fallì il tentativo da parte delle forze pontificie di catturare l'antica e indipendente Repubblica di San Marino, Clemente XII disconobbe l'azione arbitraria del suo legato, il cardinale Alberoni, ripristinando l'indipendenza di quello stato. Egli, inoltre, ritirò le pretese pontificie sui ducati di Parma e di Piacenza. Nelle questioni ecclesiastiche Clemente XII emanò il primo decreto pontificio contro la massoneria, scomunicandone gli aderenti con la bolla In eminenti apostolatus specula (1738). Canonizzò San Vincenzo de' Paoli e procedette con vigore contro i giansenisti francesi. Lavorò per la riunione della Chiesa cattolica con quella ortodossa, ricevette il patriarca della Chiesa copta e persuase il patriarca armeno a rimuovere l'anatema contro il Concilio di Calcedonia e papa Leone I. Inviò Giuseppe Simone Assemani in Oriente, con il duplice scopo di continuare la sua ricerca di manoscritti e di presiedere come legato il concilio dei Maroniti. Morì il 6 febbraio 1740 quasi novantenne. La sua maestosa tomba si trova a San Giovanni in Laterano, mentre un cenotafio si trova nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini.

Papa Benedetto XIV (in latino: Benedictus PP. XIV, nato Prospero Lorenzo Lambertini; Bologna, 31 marzo 1675 – Roma, 3 maggio 1758) è stato il 247º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 17 agosto 1740 (giorno dell'elezione al 255º scrutinio)[1] alla sua morte.

Prospero Lorenzo Lambertini, figlio di Marcello Lambertini e Lucrezia Bulgarini, apparteneva al ramo cadetto[2][3] di un'antica famiglia senatoria di Bologna, fino all'unità d'Italia la seconda città per importanza dello Stato Pontificio. Rimase presto orfano del padre (deceduto a 42 anni)[4] mentre la madre passò a seconde nozze con il conte Luigi Bentivoglio. A tredici anni Prospero Lambertini, dopo aver appreso i primi rudimenti dai maestri Paolo Pasi e Sante Stancari, fu mandato a Roma nel Collegio Clementino diretto dai Padri Somaschi, ove si segnalò per vivacità d'ingegno fra i condiscepoli. Un discorso latino da lui tenuto nel 1691 richiamò sulle sue attitudini l'attenzione del cardinal Benedetto Pamphilj che lo raccomandò a papa Innocenzo XII, il quale gli assegnò un piccolo beneficio che rendeva cento scudi d'oro[5]. Nel 1694 si laureò in teologia e diritto nell'Università di Roma, avviandosi presto e con molti apprezzamenti alla carriera curiale[6][7], che percorse in tutti i suoi gradi ed uffici, fino a diventare Segretario della Congregazione del Concilio nel 1718[8]. Episcopato[modifica | modifica sorgente] Il Lambertini fu ordinato presbitero il 2 luglio 1724, all'età di quasi cinquant'anni, quando era già all'apice della carriera curiale[9]. Grazie a Benedetto XIII, che lo teneva in alta considerazione, salì rapidamente i gradi della gerarchia ecclesiastica, diventando vescovo il 16 luglio dello stesso anno[10] e arcivescovo titolare di Teodosia nel 1725. Soltanto dopo essersi servito dei suoi illuminati consigli nel Concilio straordinario romano del 1725, sulla disciplina ecclesiastica, il Pontefice Benedetto XIII lo creò cardinale e quindi vescovo di Ancona[11]. Fu Clemente XII, nel maggio 1731, a nominarlo – non a caso - arcivescovo di Bologna[12], sua città natale. Le capacità diplomatiche già dimostrate dal Lambertini in occasione del Concordato con le monarchie sicula e sarda, infatti, lo rendevano il candidato più adatto ad affrontare con successo i difficili rapporti con il Senato cittadino, che caratterizzavano la forma diarchica di governo di quella città[13]. In quest'ambito il Lambertini, oltre alle sue indiscusse capacità di mediatore[14], dimostrò di avere anche una mente particolarmente aperta per l'epoca, accogliendo spesso le richieste del Senato per una partecipazione degli ecclesiastici alle necessità della città, tanto da attirare verso di sé le critiche di quella parte del clero ancora arroccato nella difesa intransigente dei propri privilegi[15] A Bologna il Lambertini dimostrò di essere non soltanto un giurista esperto di affari amministrativi e uno studioso, ma anche un pastore attento e attivo, spinto da una vocazione sincera e profonda[16]. Egli perseguiva la sua missione, innanzitutto, attraverso le visite pastorali, che gli assicuravano un contatto continuo con la diocesi, e che gli permettevano sia di rendersi conto personalmente delle reali situazioni locali del clero e del popolo dei fedeli, sia di intervenire nel modo più opportuno, non soltanto per consigliare o aiutare fattivamente nei singoli casi concreti, ma anche per dare indicazioni e disposizioni di carattere generale[17] e all'occorrenza per riprendere e sanzionare un clero spesso indisciplinato o semplicemente ignorante[18]. Eminente canonista, prudente uomo politico, difese rigorosamente la dottrina della Chiesa, ma fu moderato ed equanime nei confronti del giansenismo. Fondamentale il suo appoggio al sapere scientifico, che difese e spesso incoraggiò con provvedimenti, finanziamenti e donazioni. Venne eletto al soglio pontificio il 17 agosto 1740, dopo un conclave durato ben sei mesi, il cui esito fu inaspettato per lo stesso Lambertini, che non ambiva a quella carica[19]. La sua elezione al soglio pontificio avvenne in un periodo di grandi tribolazioni, causate principalmente dalle dispute tra le nazioni cattoliche e il Papato. Papa Lambertini riuscì a rifiutare la maggior parte delle richieste degli Stati nazionali di nominare i vescovi, serbandone il diritto di nomina alla Chiesa. Per esempio fu in grado di appianare le dispute della Santa Sede con il Regno di Napoli, il Regno di Sardegna, la Spagna, Venezia e l'Austria. Per questo egli divenne noto anche come il Papa dei concordati[20], che riuscì a concludere grazie alla sua concezione piuttosto moderna del rapporto tra potestà laicale e potere temporale della Chiesa[21], secondo la quale era necessario osservare in modo nuovo le esigenze degli Stati, cercando di superare con animo conciliante le eventuali divergenze, per il bene supremo delle anime[22]. Benedetto XIV riteneva infatti "di vivere in un'epoca che richiedeva assolutamente accondiscendenza verso i prìncipi temporali sul terreno civile per ottenere in cambio mano libera in quello spirituale, da non confondersi, quest'ultimo, con la difesa dei privilegi del clero"[23]. Al suo arrivo a Roma, il Lambertini trovò una situazione economica disastrosa. Cercò quindi di riorganizzare le finanze e di tutelare la sicurezza pubblica, ordinando anche la ridefinizione dei confini dei rioni nei quali era suddivisa la città di Roma, e affidando all'architetto Giovanni Battista Nolli da Como l'incarico di disegnare una pianta accurata della città. Questo lavoro divenne il prototipo della cartografia romana moderna. Secondo il Lambertini, la causa principale del dissesto finanziario dello Stato era nella cattiva amministrazione di una curia cosmopolita a cui non interessava nulla dello Stato. Intese favorire quindi, attraverso la nazionalizzazione delle cariche civili, le famiglie romane che conoscevano i problemi dello Stato e che avevano interesse a garantirne lo sviluppo e la buona amministrazione[24] Per questo, con la bolla Urbem Romam, promulgata il 4 gennaio 1746 istituì un Albo del ceto nobile romano, in cui vennero inserite 180 famiglie romane. Tra queste famiglie vennero scelti 60 capifamiglia, i cosiddetti "LX Patrizi Coscritti", il cui insieme costituì il patriziato romano (che derivava in gran parte dalla nobiltà senatoria dell'Impero Romano)[25]. Avviò immediatamente anche un'opera di riforma del clero, a cominciare dai dignitari ecclesiastici a tutti i livelli, a Corte, in Curia, nel governo delle diocesi e delle province, cercando di controllare e correggere gli ecclesiastici indegni ed incapaci, spinti dall'ambizione di carriera e di potere. Cercò inoltre di migliorare l'efficienza della Curia romana, istituendo nuovi dicasteri, e ampliando o precisando la giurisdizione e le competenze, nonché ampliando gli organici di alcuni di quelli esistenti. Il successo di questa sua opera riformatrice non mostrò immediatamente i suoi frutti, ma fu basilare per il miglioramento della qualità del clero nelle epoche successive[26]. Papa Lambertini fu famoso anche per il suo mecenatismo. A lui si deve, ad esempio, la conservazione di non poche antichità romane, come il Colosseo (che sottrasse al saccheggio edilizio, dichiarandolo luogo sacro per il martirio dei primi cristiani, nonostante le fonti in proposito fossero piuttosto incerte), i restauri di San Pietro, di Santa Maria Maggiore, di Castel Sant'Angelo, della Scala Santa e della chiesa di Santa Croce in Gerusalemme. Sovvenzionò la riedificazione della collegiata di San Biagio di Cento e della cattedrale di San Pietro in Bologna, donando inoltre a quest'ultimo, e al tempio bolognese di San Petronio, preziose suppellettili sacre. Fece ultimare la fontana di Trevi ed altri vari monumenti, arricchendo le collezioni dei Musei capitolini. Convinto che “il miglior servizio che si potesse fare alla Santa Sede fosse di portare a Roma «uomini dotti e onesti»”, riformò l'Accademia dei Lincei, s'interessò dell'Università di Bologna, donandole la sua biblioteca privata, promosse scuole d'arte ed accademie scientifiche, incentivando gli studi e la ricerca, compreso lo studio dell'anatomia attraverso la dissezione dei cadaveri. Dedicò una cura particolare alle biblioteche, incrementando la dotazione di quella Vaticana, per la quale acquistò il fondo ottoboniano, creando anche il Museo di antichità cristiane; rese accessibile la Biblioteca Corsiniana e diede impulso a molte biblioteche di ordini religiosi o conventuali.[27] Uomo di grande erudizione, mantenne contatti epistolari con i personaggi più illuminati del suo tempo, da sovrani come Francesco I, Maria Teresa d'Austria, Luigi XV, Federico II, Giovanni V di Portogallo, a uomini di cultura come Voltaire (che gli dedicò il suo Mahomet), Scipione Maffei, Antonio Genovesi, Girolamo Baruffaldi, Ludovico Antonio Muratori, Pierluigi Moreau de Maupertuis e molti altri[28] Il discredito delle due Congregazioni del Sant'Offizio e dell'Indice, che si occupavano della censura preventiva e della proibizione dei libri, indussero Benedetto XIV a rivedere attentamente tutta la delicata materia e a riformarne la legislazione, disciplinando attentamente e con rigore tutta la procedura nell'esame delle opere sospette, al fine di evitare arbitrii e abusi, fino ad arrivare ad una completa riforma dell'Indice[29]. Secondo il Lambertini, infatti, il doveroso rispetto della legge e della tradizione dovevano andare di pari passo con quello altrettanto doveroso verso tutto ciò che era ricerca ancora in atto al livello degli eruditi[30]. Ebbe un papato molto attivo, riformò l'educazione dei sacerdoti, il calendario liturgico e molte istituzioni ecclesiastiche. Nel 1741 emise la bolla Immensa Pastorum principis contro lo schiavismo nelle Americhe. Forse l'atto più importante del suo pontificato fu la promulgazione delle sue due famose bolle sulle missioni: Ex quo singulari e Omnium solicitudinum. In queste bolle denunciò il costume di aggiustare parole e usi cristiani per esprimere realtà non cristiane e pratiche delle culture indigene, che era stato estensivamente utilizzato dai gesuiti nelle loro missioni in Cina. Per esempio lo "status" degli antenati - l'onore tributato agli antenati - doveva essere considerato «adorazione degli antenati» o qualcosa di simile alla venerazione cattolica dei santi. Poteva un cattolico «venerare» legittimamente un antenato che notoriamente non era cristiano? La scelta di una traduzione cinese per il «nome di Dio» venne anch'essa dibattuta fin dall'inizio del XVII secolo. D'altra parte una conseguenza delle bolle di Benedetto fu la perdita di molti dei convertiti. Si narra che papa Benedetto XIV, quando era ancora arcivescovo a Bologna, avesse un carattere allegro e gioviale, pur attendendo agli affari della Chiesa bolognese con l'autorevolezza e talvolta la severità richieste dalla carica. Il commediografo Alfredo Testoni ne dà un simpatico ritratto nella sua commedia Il cardinale Lambertini (citando anche, in forma eufemistica, come "Cavolo!", alcune espressioni non proprio cardinalizie che sfuggivano al futuro pontefice), portata con successo in teatro e sul grande schermo da Ermete Zacconi e successivamente da Gino Cervi. Sembra che Lambertini abbia detto ai cardinali: «Se desiderate eleggere un santo, scegliete Gotti; se volete eleggere uno statista, Aldrovandi; se invece volete un asino, eleggete me» (il futuro papa era avvezzo ad usare abitualmente questo linguaggio un po' gaudente, che gli era prontamente perdonato per la sua grandezza[33]). « Dopo Marcello II, troppo presto tolto alla cristianità, nessun papa era salito al seggio di Roma che per ingegno e per prudenza fosse con Lambertini da paragonarsi. Trovò modo che per mantenere le ragioni, il miglior mezzo è il non irritare gli avversari. Egli fu papa quale il secolo voleva. Le controversie con Roma non furono più ostilità, ma discussioni, e l'incredulità che pur troppo andava serpeggiando tra le generazioni, in cospetto di un papa amabile e spiritoso s'arrestava. » Benedetto XIV fu rinomato ancor in vita per la sua modestia, la sua bonomia e il suo senso dell'umorismo. Era solito passeggiare per Roma con il suo bastone, e fermarsi a scherzare con la gente che incontrava. Si divertiva facendosi portare le caricature che lo rappresentavano. Un giorno gli riferirono la satira che un cattivo poeta aveva composto contro di lui: il papa gliela fece riconsegnare dopo averne corretto gli errori di versificazione.[34] Il’uminante è una lettera scritta dal Lambertini al Muratori, in cui dichiara: "L'opere degli uomini grandi non si proibiscono ancorché in esse si trovino cose che dispiacciono e che meriterebbero, se fossero scritte da altri, proibizione". V. in Salvatore Baviera, Aspetti della pastorale a Bologna nel settecento, cit., p. 242

Papa Clemente XIII (in latino: Clemens PP. XIII, nato Carlo della Torre di Rezzonico; Venezia, 7 marzo 1693 – Roma, 2 febbraio 1769) è stato il 248º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica (1758-1769).

Nato da una famiglia veneziana di recente nobiltà originaria del borgo di Rezzonico (Italia), sul Lago di Como, da cui il cognome, (il padre apparteneva al ramo collaterale di una famiglia di ricchi commercianti, i Della Torre, che la leggenda vuole discendenti di Carlo Magno), da Giovanni Battista e Vittoria Barbarigo, fu educato dai gesuiti a Bologna e divenne cardinale nel 1737. In precedenza aveva ricoperto diversi e importanti incarichi nella Curia. Abate commendatario nell'Abbazia di Summaga, vescovo di Padova a partire dal 1743, divenne papa il 6 luglio 1758: nello stesso anno la famiglia Rezzonico celebrava il matrimonio di Ludovico Rezzonico con una rappresentante della potente famiglia Savorgnan. Figlio dell'uomo che acquistò l'incompleto palazzo sul Canal Grande (oggi Ca' Rezzonico) e ne completò la costruzione, Clemente XIII fu famoso per il suo nepotismo rampante. Nonostante la mitezza e affabilità del suo carattere retto e moderato, fu pudico fino all'eccesso, tanto da essere soprannominato papa braghettone. Ordinò di coprire, sia in statue sia in dipinti, le parti intime dei soggetti raffigurati in Vaticano. Furono quindi evirate le statue e furono coperte da pittura le parti intime negli affreschi della Cappella Sistina[1][2]. Fu generoso con il suo vasto patrimonio privato, il suo pontificato venne disturbato da contese perpetue circa la richiesta di soppressione dei gesuiti che provenivano dai circoli dell'Illuminismo francese. Clemente mise l'Encyclopédie di D'Alembert e Diderot nell'Indice dei libri proibiti, un atto che avrebbe avuto più effetto nei secoli precedenti. Altra e inaspettata resistenza giunse dalle corti meno progressiste di Spagna, Portogallo e del Regno delle due Sicilie. Nel 1758 il ministro riformatore di Giuseppe I del Portogallo, il marchese di Pombal, espulse i gesuiti dal Portogallo, e li spedì in massa a Civitavecchia, come "dono per il Papa". Nel 1760 il Pombal rispedì a casa il nunzio pontificio e richiamò l'ambasciatore portoghese. Il libello intitolato Breve relazione rappresentava i gesuiti come creatori di un regno virtualmente indipendente in Sudamerica, sotto la loro sovranità, nel quale tiranneggiavano gli indios, il tutto nell'interesse della loro insaziabile ambizione e avarizia. Le tesi erano false, ma la causa dei gesuiti ne uscì danneggiata. In Francia il Parlamento di Parigi, con il suo retroterra fortemente alto-borghese e le simpatie gianseniste, diede il via alla pressione per ottenere l'espulsione dei gesuiti nella primavera del 1761 e pubblicò estratti dagli scritti gesuiti, gli Extraits des assertions che, mutilati e presi fuori del loro contesto, certamente fornirono munizioni per gli avversari dei gesuiti. Anche se una congregazione di vescovi riuniti a Parigi nel dicembre 1761 raccomandò di non intraprendere azioni, Luigi XV promulgò un ordine reale che permetteva alla Società di restare nel regno, a patto che certi cambiamenti essenzialmente liberalizzanti all'interno dell'istituzione soddisfacessero il Parlamento, con un vicario generale dei gesuiti francesi che doveva essere indipendente dal Generale a Roma. All'arrêt del 2 agosto 1762, con il quale il Parlamento soppresse i gesuiti in Francia, imponendo condizioni inaccettabili, Clemente replicò con una protesta contro l'invasione dei diritti della Chiesa, e annullò l'arrêt. I ministri di Luigi XV non potevano permettere una tale abrogazione della legge francese, e Luigi infine espulse i gesuiti nel novembre 1764. Clemente appoggiò caldamente l'ordine con la bolla Apostolicum pascendi del 7 gennaio 1765, che respingeva le critiche ai gesuiti come calunnie e lodava l'utilità dell'ordine. Questa venne ignorata ampiamente: entro il 1768 i gesuiti erano stati espulsi dalla Francia, dalle Due Sicilie e dal ducato di Parma. In Spagna sembrarono essere al sicuro, ma Carlo III, conscio delle logoranti contese della Francia borbonica, decise per la prevenzione. La notte tra il 2 e il 3 aprile 1767, tutte le case dei gesuiti in Spagna vennero circondate, gli occupanti arrestati e imbarcati con i vestiti che avevano addosso, su navi dirette a Civitavecchia. La lettera del Re a Clemente XIII prometteva che la sua indennità di 100 piastre pro capite all'anno sarebbe stata ritirata a tutto l'Ordine, se chiunque di loro avesse osato scrivere qualcosa a propria difesa o criticando i motivi dell'espulsione, motivi che egli si rifiutò di discutere, sia al momento sia in futuro. Più o meno lo stesso destino li attendeva nei territori borbonici del duca di Parma e Piacenza, consigliato dal ministro liberale Guillaume du Tillot. Nel 1768 Clemente emise una forte protesta (Monitorium) contro la politica del governo parmense. La questione dell'investitura di Parma arrivò ad aggravare i problemi di Clemente. I re borbonici presero le parti dei loro parenti, occupando Avignone, Benevento e Pontecorvo, e unendosi in una richiesta perentoria per la soppressione totale dei gesuiti (gennaio 1769). Portato agli estremi, Clemente acconsentì a convocare un concistoro per considerare la decisione, ma alla vigilia del giorno stabilito per l'incontro morì (2 febbraio 1769), non senza sospetti di avvelenamento (del quale, comunque, non esistono prove).

Papa Clemente XIV, in latino Clemens PP. XIV, al secolo Gian Vincenzo Antonio (e in religione Lorenzo) Ganganelli (Santarcangelo di Romagna, 31 ottobre 1705 – Roma, 22 settembre 1774), è stato il 249º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica (1769-1774); apparteneva all'Ordine dei Frati minori conventuali.

Era figlio di un medico nato a Borgo Pace, nell'ex Ducato di Urbino, ma il padre lo lasciò orfano quando era ancora in giovane età. Compì gli studi a Rimini e Urbino, dove a diciott'anni entrò a far parte dell'ordine dei francescani conventuali. Divenne insegnante di filosofia e teologia. Il suo operato in qualità di reggente del collegio di San Bonaventura gli procurò la stima di papa Benedetto XIV, che lo nominò consigliere dell'Inquisizione. In seguito Papa Clemente XIII gli concesse la porpora cardinalizia, ma il suo dissenso nei confronti della linea politica del papa lo fece cadere in disgrazia e gli fece perdere ogni influenza a Corte. Il conclave del 1769 che seguì alla morte di Clemente XIII, iniziato il 15 febbraio, fu il più contrastato in almeno due secoli di storia. La questione di fondo era l'Ordine dei Gesuiti, il cui destino sembrava in bilico. Le potenze cattoliche erano compatte nell'esigere che non venisse eletto un amico della Compagnia di Gesù. I principi della famiglia dei Borboni pretendevano addirittura che i candidati si impegnassero in maniera vincolante a sopprimerne l'ordine. Dopo ben tre mesi e 179 votazioni, il 19 maggio 1769, la scelta cadde su Ganganelli, non tanto perché nemico dichiarato dei gesuiti, quanto perché era il meno inviso alle varie fazioni contrapposte. L'accusa di simonia che gli fu rivolta era sicuramente stata diffusa dai gesuiti, che nutrivano nei suoi confronti una grande avversione, sebbene non esistesse alcuna prova che Ganganelli avesse realmente intenzione di sopprimere la Compagnia. Egli infatti si era rifiutato di impegnarsi per iscritto sulla questione. Papa Clemente XIV pubblicò l'enciclica Decet Quam Maxime, che conteneva informazioni sulla corruzione dei chierici, alcune sue disposizioni per rimediarvi ed altre riguardanti l'amministrazione delle parrocchie. Il regno di Clemente si trovò subito a dover fronteggiare una situazione molto difficile: in Portogallo molti auspicavano l'avvento del patriarcato; la Francia manteneva un rigido controllo della città pontificia di Avignone mentre il Regno di Napoli faceva la stessa cosa con quelle di Pontecorvo e Benevento; la Spagna mostrava un atteggiamento ostile, Parma di aperta sfida, Venezia era apertamente aggressiva; la Polonia prendeva in considerazione la possibilità di imporre limitazioni ai diritti tradizionalmente accordati al nunzio apostolico. Per evitare che i contrasti si acuissero Clemente si rese subito conto dell'assoluta necessità di assumere un atteggiamento più conciliante verso queste potenze. Per prima cosa decise di sospendere la pubblicazione della bolla In Coena Domini, in cui si confutava la legittimità delle decisioni delle autorità civili su quelle religiose; ristabilì poi le relazioni diplomatiche con il Portogallo, concedendo la porpora cardinalizia a Paulo de Carvalho de Mendoça, fratello del primo ministro il marchese di Pombal (anche se questi premorì alla creazione; il pontefice allora designò alla porpora cardinalizia João Cosme da Cunha, arcivescovo di Évora, indicato dal primo ministro stesso, in segno d'amicizia e di considerazione); abolì la commissione di vigilanza a suo tempo istituita contro Parma. Ma le grandi potenze erano più che mai decise a distruggere la Compagnia di Gesù, e sapevano che il Papa le doveva assecondare, volente o nolente, in questa loro determinazione. Invano Clemente cercò l'appoggio di altre potenze all'estero. Persino Maria Teresa, una sua “grande elettrice”, soppresse l'ordine in Austria. Invano Clemente temporeggiò, facendo anche parziali concessioni. Alla fine dovette suo malgrado convincersi che, per il bene della Chiesa, era necessario compiere questo sacrificio, e così, il 21 luglio 1773 promulgò il breve Dominus ac Redemptor con cui veniva decretato lo scioglimento della Compagnia di Gesù. La soppressione della Compagnia fu festeggiata dalle classi dominanti come una vittoria della ragione. In realtà fu una vittoria dell'Illuminismo e dell'Assolutismo sul papato. I gesuiti accettarono la decisione del pontefice senza opposizione alcuna. Su pressione delle Corti borboniche, il generale dei gesuiti, Lorenzo Ricci, fu arrestato e tenuto prigioniero in Castel Sant'Angelo fino alla sua morte (1775). Le grandi potenze dimostrarono immediatamente la loro soddisfazione, facendo sostanziali concessioni: Benevento, Pontecorvo e Avignone furono restituite alla Santa Sede. Austria e Germania incamerarono tutti i beni della Compagnia. In Prussia e Russia, invece, l'ordine non fu sciolto, anzi ne venne proibita la soppressione per non rendere precario il sistema scolastico cattolico. Nel corso dell'anno successivo allo scioglimento dell'ordine si verificò un repentino peggioramento della salute del Papa che lo condusse in poco tempo alla morte, avvenuta il 22 settembre 1774. Ma che il decesso fosse dovuto solo all'età e a cause naturali lo confermarono sia il medico personale sia il confessore, che dissiparono le voci di una morte per avvelenamento. Venne sepolto in San Pietro, ma nel 1802 i suoi resti mortali furono traslati nella chiesa francescana di Santi Apostoli, dove il Canova gli eresse un monumento funebre. La soppressione della Compagnia di Gesù ha profondamente caratterizzato il pontificato di Clemente XIV, tanto da mettere in secondo piano i suoi meritori tentativi di ridurre il carico fiscale dei sudditi e di riformare la pubblica amministrazione dello Stato Pontificio, nonché il suo atteggiamento favorevole allo sviluppo delle arti liberali e alla diffusione della cultura, di cui il museo Pio-Clementino rimane a perenne testimonianza. L'ultimo suo atto ufficiale fu la promulgazione dell'Anno Santo per il 1775, che sarà celebrato da Pio VI. I suoi concittadini di Santarcangelo di Romagna eressero in suo onore un suggestivo arco, iniziato nell'anno della sua elezione e terminato nel 1777. È interessante notare che nessun papa successivo scelse il nome pontificale di Clemente; nella sua prima udienza generale del 16 marzo 2013 concessa agli operatori dei mezzi di comunicazione sociale, Papa Francesco, gesuita, scherzando, rivelò che uno dei cardinali gli consigliò di scegliere il nome Clemente XV "per vendicarsi di Clemente XIV, che aveva sciolto la Compagnia di Gesù".[1]

Papa Pio VI (in latino: Pius PP. VI, nato Giovanni Angelico o Giannangelo Braschi; Cesena, 25 dicembre 1717 – Valence- sur-Rhône, 29 agosto 1799) è stato il 250º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 15 febbraio 1775 alla morte.

Angelo Onofrio Melchiorre Natale Giovanni Antonio Braschi nacque a Cesena il 25 dicembre 1717, figlio primogenito del conte Marco Aurelio Tommaso Braschi e della contessa Anna Teresa Bandi. Suoi fratelli e sorelle furono Felice Silvestro, Giulia Francesca, Cornelio Francesco, Maria Olimpia (poi monaca), Anna Maria Costanza, Giuseppe Luigi e Maria Lucia Margherita. Egli venne battezzato il giorno stesso della sua nascita da padre Tommaso Mustioli, vice parroco della cattedrale di Cesena, e suoi padrini furono il conte Fabio Locatelli e la contessa Bianchini Fantaguzzi. Avviato alla carriera ecclesiastica, dal 1727 entrò nel collegio dei gesuiti di Cesena e, dopo aver conseguito il dottorato utroque iure presso l'Università di Cesena il 20 aprile 1735, entrò a far parte del Collegio dei venti giuristi della città. Si trasferì quindi all'Università di Ferrara ove completò i suoi studi giuridici sotto la guida dello zio, il cardinale Giovanni Carlo Bandi. Fu durante questo periodo che egli divenne segretario personale del cardinale Ruffo, divenendone anche conclavista nel 1740 e venendo chiamato a rappresentarlo come uditore nei suoi vescovati di Ostia e Velletri sino al 1753, prendendo residenza in quest'ultima città. Per la sua organizzazione della difesa della città di Velletri durante la battaglia che qui ebbe luogo l'11 agosto 1744 tra forze austriache e napoletane nell'ambito della Guerra di Successione austriaca, il re Carlo VII di Napoli (quindici anni dopo divenne re di Spagna col nome di Carlo III di Spagna), intrattenne con lui ottime relazioni che serviranno al giovane Braschi una volta eletto al soglio pontificio. Nel 1746 il pontefice Benedetto XIV lo inviò a Napoli per risolvere dei conflitti giurisdizionale sorti tra Roma e il regno del sud per i tribunali vescovili: la missione ebbe successo ed egli riuscì ad ottenere le dimissioni dell'arcivescovo di Napoli, il cardinale Giuseppe Spinelli, venendo nominato come ricompensa al rango di monsignore col titolo di cappellano privato di Sua Santità, entrando così a far parte della prelatura romana. Dopo la morte del cardinale Ruffo il 16 febbraio 1753 il papa Benedetto XIV, stimandolo moltissimo, lo nominò suo segretario e canonico di San Pietro dal 17 gennaio 1755. Fu solo nel 1758 che Braschi venne ordinato sacerdote ed in quello stesso anno papa Clemente XIII lo nominò prelato domestico di sua santità nonché Referendario dei Tribunali della Signatura Apostolica di Grazia e Giustizia dal 14 settembre. Nel settembre del 1759 venne nominato uditore civile e segretario del cardinale camerlengo Carlo Rezzonico, nipote di papa Clemente XIII, venendo introdotto dal 1762 come consultore del Sacro Collegio dell'Indice. Uditore generale e decano del sacro collegio dei cardinali per la diocesi di Velletri dal 1765, il 22 settembre 1766 venne nominato tesoriere della Camera apostolica, ottenendo nell'ottobre dell'anno successivo il titolo di Abate commendatario di Santa Maria di Valdiponte presso Perugia. Avendo il Braschi acquisito una notevole fortuna e molti contatti importanti, molti si sentirono danneggiati dalle avvedute economie da lui realizzate, tanto da indurre Clemente XIV a promuoverlo cardinale del titolo di Sant'Onofrio il 26 aprile 1773, riuscendo a renderlo temporaneamente inoffensivo. Tale nomina fu anche fortemente voluta dai Borbone di Napoli che tenevano in grande considerazione il prelato. Nel conclave di ben quattro mesi che seguì alla morte di Clemente XIV, Spagna, Francia e Portogallo tolsero una dopo l’altra il proprio veto all'elezione del cardinale Braschi, che, pur essendo amico dei Gesuiti, aveva preso le distanze da tutte le controversie politico-religiose. La sede vacante fu così finalmente occupata il 15 febbraio 1775 dal nuovo pontefice, che prese il nome di Pio VI. Pio VI venne eletto pontefice quando ancora non era stato nominato vescovo e pertanto si rese necessaria, prima della sua definitiva presa di possesso della Santa Sede, la sua consacrazione a vescovo. Il 22 febbraio 1775 Pio VI, ancora col nome di Giannangelo Braschi, venne consacrato cardinale vescovo di Porto e Santa Rufina, nonché vice-decano del Sacro Collegio dei Cardinali, alla presenza anche del cardinale Enrico Benedetto Stuart, duca di York e vescovo di Frascati, e di Carlo Rezzonico, vescovo di Sabina. Il cardinale Braschi rinunciò ai titoli appena ottenuti il giorno stesso come mera formalità e quindi il 22 febbraio 1775 venne incoronato pontefice dal cardinale protodiacono, Alessandro Albani. La domenica successiva egli aprì ufficialmente la Porta Santa della basilica di San Pietro, dando inizio all'anno giubilare 1775. La cerimonia del "possesso" (cioè la cerimonia in cui il papa veniva ufficialmente intronizzato) ebbe luogo il 30 novembre 1775 e fu quella l'ultima volta in cui questa ebbe luogo, tra sfarzi e solennità. Le riforme economiche[modifica | modifica sorgente] I suoi primi provvedimenti fecero ben sperare in un governo liberale capace di riformare la carente amministrazione dello Stato della Chiesa. Dimostrò subito notevole acume nel modo di avvalersi dei propri collaboratori. Censurò il governatore di Roma per non essere riuscito a reprimere i moti popolari che avevano funestato i 4 mesi di vacanza della sede papale, nominò un consiglio cardinalizio per porre rimedio allo stato delle finanze e ridurre il peso dell'imposizione fiscale, incaricò Nicolò Bischi di soprintendere alle spese necessarie all'acquisto di grano, ridusse le uscite annuali sopprimendo l'erogazione di molte pensioni vitalizie e adottò il metodo degli incentivi per incoraggiare lo sviluppo dell'agricoltura. Le circostanze con cui era stato eletto tuttavia furono per lui causa di difficoltà fin dall'inizio del pontificato. Egli infatti aveva ricevuto l'appoggio dei ministri della Corona e del partito anti-Gesuiti con il tacito accordo che avrebbe proseguito l'azione del predecessore Clemente XIV il cui editto Dominus ac Redemptor del 1773 aveva decretato lo scioglimento della Compagnia di Gesù. I rappresentanti dell'ala più conservatrice, che lo ritenevano invece favorevole ai Gesuiti, si aspettavano da lui misure in riparazione dei presunti torti ricevuti nel corso del precedente pontificato. Il risultato di queste complicazioni fu una serie di mezze misure che finirono per scontentare entrambi gli schieramenti, e questo nonostante fosse proprio per merito di Pio VI che l'ordine riuscì ad evitare il disastro nella Russia Bianca e in Slesia. Ad un certo punto sembrò addirittura che egli pensasse seriamente di ripristinarlo in tutto il mondo, in funzione di baluardo contro le idee rivoluzionarie che si stavano diffondendo. La Chiesa alle soglie della rivoluzione era vittima di un ostile isolamento promosso dai sovrani europei allo scopo di limitarne le prerogative. Per la verità Febronio, il principale esponente tedesco delle vecchie tesi gallicane fu costretto, non senza provocare scandalo, a ritrattare, tuttavia le sue posizioni furono fatte proprie dall'Impero austriaco. In questo paese le riforme in campo sociale e religioso intraprese da Giuseppe II e dal ministro Kaunitz mettevano in discussione la supremazia di Roma. La risposta di Pio VI fu diplomatica: il Papa prese la straordinaria decisione di visitare personalmente Vienna. Egli partì da Roma il 27 febbraio 1782 ma, sebbene fosse ricevuto con tutti gli onori dall'imperatore, alla fine la sua missione si risolse in un nulla di fatto. Nonostante ciò, qualche anno più tardi, al congresso di Ems riuscì ad arginare il desiderio di autonomia espresso da alcuni arcivescovi tedeschi. Nel Regno di Napoli il ministro degli Affari esteri Bernardo Tanucci sollevò delle obiezioni circa i diritti feudali e nel 1776 tentò di abolire l'omaggio della chinea, proposito che fu poi conseguito dal primo ministro Domenico Caracciolo nel 1788. Inoltre, all'epoca Napoli era il centro diffusore della massoneria in Italia. Il Papa, temendo il peggio, concluse un trattato difensivo con re Ferdinando IV. Nel Granducato di Toscana sorsero problemi con il granduca Pietro Lepoldo e con Scipione de' Ricci, vescovo di Pistoia e Prato, filofrancese, sulla questione della riforma in Toscana. Pio VI in entrambi i casi mostrò prudenza. Infine, Pio VI aspettò che passassero 8 anni prima di condannare le deliberazioni uscite dal Sinodo di Pistoia del 1786. Allo scoppio della Rivoluzione francese, Pio VI vide la soppressione dell'antico rito gallicano e la confisca di tutti i possedimenti ecclesiastici in Francia, e dovette subire l'onta di vedere il proprio stesso ritratto dato alle fiamme dalla folla nel Palazzo Reale. Pio VI cercò di prendere di petto la questione: il 10 marzo 1791 condannò con il breve Quod aliquantum la Costituzione civile del clero, approvata dall'Assemblea nazionale francese nel luglio del 1790. I rivoluzionari, per rappresaglia, invasero Avignone, ove, nell'ambito della lotta fra chi sosteneva l'annessione alla Francia e i sudditi fedeli al pontefice, una sessantina di questi ultimi furono condannati sommariamente a morte e barbaramente uccisi in una delle torri del palazzo dei Papi. Tale tragico evento è ricordato come i «massacri della ghiacciaia» (Massacres de la Glacière). Pio VI condannò anche la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, provocando in Francia una spaccatura[senza fonte]. Anche il clero si divise, fra sacerdoti costituzionalisti (capeggiati dal famoso abbé Grégoire) e fedeli al Papa (i cosiddetti “preti refrattari”). L'assassinio del rappresentante repubblicano francese Ugo di Basseville, avvenuto nelle strade di Roma nel gennaio 1793, peggiorò ulteriormente la situazione: la corte papale fu accusata di complicità dalla Convenzione Nazionale. Nel 1796 Napoleone invase l'Italia e puntò le armi contro lo Stato Pontificio, costringendo il papa all’armistizio di Bologna: Pio VI dovette cedere Bologna, Ferrara e Ancona, versare 21 milioni di scudi e consegnare numerose opere d’arte. L'esercito pontificio fu sconfitto (10 febbraio 1797) e il 18 febbraio i francesi saccheggiavano il Santuario di Loreto. Il Pontefice fu perciò costretto a siglare il Trattato di Tolentino (febbraio 1797), che allo Stato Pontificio costò altri 25 milioni di scudi e numerosi oggetti d’arte. La situazione, già di per sé grave, subì un ulteriore peggioramento il 28 dicembre dello stesso anno, quando, nel corso di un tumulto provocato da alcuni rivoluzionari italiani e francesi, il generale Léonard Duphot fu ucciso, e ciò fornì il pretesto per l'occupazione di Roma. Il generale Berthier marciò sulla città, occupandola senza incontrare resistenza[senza fonte] e dandosi poi al saccheggio dei tesori d’arte del Vaticano, tra cui la requisizione di quasi l'intero Museo Profano, dedicato alle pietre preziose antiche. Il 15 febbraio 1798, deposto il Papa come principe temporale, vi proclamò la repubblica. Pio VI fu fatto subito prigioniero e, il 20 febbraio venne scortato da uomini armati dal Vaticano a Siena, dove rimase tre mesi, e quindi alla Certosa di Firenze (il Granducato era uno Stato neutrale), dove fu segregato nel convento. Nel marzo del 1799 venne deciso di trasferirlo nuovamente, in seguito alla dichiarazione di guerra della Francia contro la Toscana. Si decise di portarlo a Bologna, credendola città anticlericale. Ma, quando i francesi lo esposero al popolo, Pio VI, invece di essere ingiuriato, venne acclamato.[1] Fu allora decretata la sua carcerazione in Francia. Il Papa, quasi ottantaduenne, venne internato prima a Grenoble, poi il 19 luglio fu rinchiuso nella fortezza di Valence, capoluogo della Drôme. Logorato dai patimenti fisici e morali Pio VI si spense in prigione il 29 agosto dello stesso anno, pronunciando queste ultime parole: «Signore, perdonali», unico papa esiliato e morto in cattività nell'età moderna. Il pontificato di Pio VI fu il più lungo ed il più tormentato del XVIII secolo. Il suo corpo rimase insepolto fino al 29 gennaio del 1800 quando venne sepolto nel cimitero locale di Valence, deposto in una cassa semplice, di quelle riservate ai poveri, su cui fu scritto: «Cittadino Gianangelo Braschi - in arte Papa». Dal municipio di Valence fu notificata al Direttorio la morte del pontefice, cui si aggiungeva la laica profezia che si era sepolto l'ultimo papa della storia. La salma venne successivamente riportata a Roma il 24 dicembre 1801 ove ottenne le esequie ufficiali il 10 febbraio 1802, cerimonia presieduta dal successore, papa Pio VII. Per decreto di papa Pio XII nel 1949, i resti di Pio VI vennero spostati dalla Cappella della Madonna di San Pietro nelle Grotte Pontificie, posti in un antico sarcofago romano di marmo ritrovato durante gli scavi. Sopra la sua tomba, appesa al muro, venne posta una lapide con la seguente iscrizione: (LA) (IT) « MORTALES PII VI EXVVIAS QVEM INIVSTVM « I resti mortali di Pio VI, consumati in un ingiusto esilio, CONSVMPSIT EXILIVM PIVS XII PONT. MAX. HEIC per ordine di Pio XII vennero deposti in una degna e DIGNE COLLOCARI AC MARMOREO ORNAMENTO decorosa collocazione, illustre per arte e storia, nel 1949 » ARTE HISTORIAQVE PRAESTANTISSIMO DECORARI IVSSIT A. MCMXXXXIX » (Lapide di Pio VI) Il nome di Pio VI è legato ai molti costosissimi tentativi di far rivivere i fasti e lo splendore del regno di Leone X, nella promozione delle arti e delle opere pubbliche, ma anche nello sfarzo e nel nepotismo. Ingenti somme di denaro furono così impiegate per abbellire Roma: Pio VI fece costruire la sacrestia di San Pietro ed erigere gli obelischi che si trovano davanti al palazzo del Quirinale, davanti a Trinità de’ Monti e in piazza Montecitorio, ampliò il Museo Pio-Clementino, che era stato iniziato dal suo predecessore Papa Clemente XIV, mentre fuori dell'Urbe la passione di Pio VI furono le bonifiche (benché in Roma la malaria arrivasse fino alle mura): fece un nuovo tentativo, problematico quanto costoso, di bonificare le paludi dell’Agro Pontino[2], e altri lavori di prosciugamento fece effettuare in Umbria. Seguendo il proprio ideale neorinascimentale, il papa Braschi fece anche dell'Anno Santo 1775 - che coincideva con il suo insediamento - un evento assai più festaiolo che penitenziale, dalle luminarie sul Campidoglio alle feste tradizionali, inclusa la caratteristica corsa di cavalli lungo la via Lata (oggi via del Corso). Più avanti, scoppiata la rivoluzione francese, "accolse e mantenne un sei mila emigrati francesi colla spesa di un 600 mila scudi annui"[3]. Nello stesso modello rientravano i benefici familiari: così quando il nipote Luigi Braschi Onesti si sposò con una ricchissima Falconieri, il Papa fece iniziare la costruzione, per lui, di un intero palazzo tra Piazza Navona e Corso Vittorio Emanuele II, oggi noto come Palazzo Braschi, opera dell’architetto imolese Cosimo Morelli e attualmente sede del Museo di Roma a palazzo Braschi. Intanto, tra il 1787 ed il 1795, il nipote del Papa faceva costruire a Terracina un maestoso edificio in stile neoclassico, anch'esso noto come Palazzo Braschi, come residenza privata del papa in visita ai lavori di bonifica. È fuori dubbio comunque che i 24 anni di regno del papa Braschi lasciarono le finanze vaticane completamente stremate, come doveva ammettere perfino la Civiltà Cattolica nel 1906[4].

Papa Pio VII, in latino: Pius PP. VII, al secolo Barnaba Niccolò Maria Luigi (in religione Gregorio) Chiaramonti (Cesena, 14 agosto 1742 – Roma, 20 agosto 1823), è stato il 251º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica (1800-1823); apparteneva all'ordine benedettino.

Nacque a Cesena, penultimo figlio del conte Scipione Chiaramonti e di Giovanna Coronata Ghini dei marchesi Ghini, nobile casato di Romagna, Conti, Patrizi di Cesena e di San Marino Cavalieri di S.Giovanni e Frieri dell'Ospedale di Santo Spirito[1]. La madre, donna di profonda religiosità, entrerà in seguito tra le monache Carmelitane a Fano. Attraverso la famiglia della madre, inoltre, Barnaba era imparentato anche con Angelo Braschi, futuro pontefice con il nome di Pio VI.[2] Al contrario dei suoi fratelli, non completò gli studi nel Collegio dei nobili di Ravenna ma, all'età di 14 anni, entrò nel monastero benedettino di Santa Maria del Monte nella sua città natale, prendendo il nome di Gregorio. I suoi superiori, resisi conto delle capacità del giovane, lo inviarono prima a Padova e successivamente a Roma al collegio di Sant'Anselmo, nell'abbazia di San Paolo fuori le mura, perché si perfezionasse nello studio della teologia. Divenuto professore di teologia, cominciò a insegnare nei collegi dell'ordine a Parma e a Roma. Nel febbraio 1775, con l'elezione a papa del concittadino Angelo Braschi, fu nominato priore dell'Abbazia benedettina di San Paolo a Roma. Il 16 dicembre 1782, Pio VI lo nominò vescovo di Tivoli. Il 14 febbraio 1785, per l'eccellente condotta tenuta in questa carica, ricevette la porpora cardinalizia e la cattedra vescovile di Imola. Qui venne ricordato soprattutto per il suo carisma personale e per il suo amore per la cultura. Chiaramonti non faceva mistero di possedere nella sua biblioteca perfino l'Enciclopedia di d'Alembert. Del resto erano note le sue aperture alle idee moderne: nel 1797 suscitò scalpore una sua omelia, pronunciata nella cattedrale di Imola, in cui sosteneva la conciliabilità del Vangelo con la democrazia: “Siate cristiani tutti d'un pezzo e sarete anche dei buoni democratici”. Alla morte di Pio VI, il Sacro Collegio, convocato dal decano cardinal Giuseppe Albani, si riunì in conclave a Venezia sotto ospitalità austriaca, poiché in quel periodo Roma era occupata dalle truppe francesi. Prima ancora che iniziasse il conclave, la situazione politica a Roma era mutata. Il 19 settembre 1799 i francesi avevano abbandonato l'Urbe; il 30 settembre la città era stata occupata dai napoletani, che avevano posto fine alla Repubblica Romana. I cardinali, appena 35, quasi tutti italiani, si riunirono il 30 novembre 1799 nel monastero di San Giorgio. Ben presto i voti si concentrarono su due candidati: il card. Alessandro Mattei, arcivescovo di Ferrara, antifrancese, e il card. Carlo Bellisomi, vescovo di Cesena, la cui posizione era più conciliante. Passarono tre mesi interi senza che si delineasse una soluzione. Per uscire dall'impasse, monsignor Ercole Consalvi, il segretario del conclave, propose un terzo candidato: il vescovo di Imola, Barnaba Chiaramonti. In poco tempo i voti si convogliarono su di lui. Anche il cardinale e arcivescovo francese Jean-Siffrein Maury ebbe un ruolo decisivo nella sua elezione. Il 14 marzo 1800 Chiaramonti fu eletto papa all'unanimità. Risultò scontata quindi la scelta del nome pontificale Pio VII in onore del predecessore Pio VI suo concittadino e grande amico a cui doveva la nomina a vescovo di Imola e la porpora cardinalizia. L'imperatore d'Austria chiese al nuovo pontefice la cessione delle Legazioni di Bologna, Ferrara, Imola e Ravenna. Pio VII rispose negativamente alle pretese imperiali; decise peraltro di conservare il titolo di vescovo di Imola[3]. Francesco II, contrariato, vietò l'incoronazione del papa nella basilica di San Marco. Pio VII fu incoronato nella basilica di San Giorgio Maggiore. Il nuovo pontefice si trattenne nel Veneto per alcuni mesi, durante i quali visitò quasi tutte le chiese e ricevette l'omaggio di tutte le congregazioni religiose[4]; durante tale periodo effettuò una visita a Padova, dove era stato da giovane a Santa Giustina. Nonostante la contrarietà dell'imperatore d'Austria, si impose a questi nel suo desiderio di indipendenza e di andare a Roma. Fatta rotta da Venezia a Pesaro sulla fregata austriaca "Bellona", raggiunse la Città Eterna seguendo il percorso della via Flaminia. A Fano rese omaggio alle spoglie di sua madre nel Carmelo. In luglio il Pontefice fece finalmente il suo ingresso a Roma, accolto dalla nobiltà romana e dal popolo in tripudio. Trovò le casse dello stato vuote: il poco che i francesi avevano lasciato venne sperperato dai napoletani. In agosto nominò Consalvi, cui in gran parte doveva la tiara, cardinale diacono e Segretario di Stato, per poi iniziare ad occuparsi alacremente delle riforme amministrative, divenute ormai improrogabili. Nella scelta del nuovo segretario, Pio VII non si fece influenzare dalle potenze straniere, specialmente dall'Impero austriaco, che voleva fosse nominato un prelato di suo gradimento. La sua attenzione si concentrò subito sullo stato di anarchia in cui versava la Chiesa francese la quale, oltre ad essere travagliata dal vasto scisma causato dalla costituzione civile del clero, aveva a tal punto trascurato la disciplina che gran parte delle chiese era stata chiusa, alcune diocesi erano prive di vescovo, mentre altre ne avevano addirittura più di uno, mentre il giansenismo e la pratica del matrimonio degli ecclesiastici si stavano diffondendo e fra i fedeli serpeggiavano l'indifferenza se non, addirittura, l'ostilità. Incoraggiato dal desiderio del Bonaparte di ristabilire il prestigio della Chiesa cattolica in Francia, Pio VII negoziò il famoso Concordato del 1801, sottoscritto a Parigi il 15 luglio e successivamente ratificato il 14 agosto dello stesso anno. L'importanza di questo accordo fu tuttavia notevolmente stemperata dai cosiddetti articoli organici aggiunti dal governo francese l'8 aprile 1803. La Francia ritrovò la libertà di culto che la rivoluzione aveva soppresso. Nel 1804 Napoleone iniziò a trattare con il Papa la propria formale e diretta investitura come imperatore. Dopo alcune esitazioni Pio VII si lasciò convincere a celebrare la cerimonia nella cattedrale di Notre-Dame e a prolungare la sua visita a Parigi per altri quattro mesi ma, contrariamente alle sue aspettative, ne ricevette in cambio solo pochissime concessioni, e di secondaria importanza. Ciò nonostante, le acclamazioni entusiastiche del popolo francese verso il Papa, ovunque egli passasse, erano tante e tali che non solo Napoleone se ne infastidì moltissimo (e divenne più scontroso con il Pontefice), ma Pio VII capì che la fede, in Francia, stava rinascendo davvero. Rientrato a Roma il 16 maggio 1805, fornì al collegio cardinalizio, convocato allo scopo, una versione ottimistica della sua visita. A proposito di questo episodio, riferendosi alla morte in cattività di Pio VI, Pasquino commentò: per mantener la fede un Pio perdé la Sede, per mantener la Sede un Pio perdé la fede. Nonostante ciò, lo scetticismo prese presto il sopravvento quando Napoleone cominciò a non rispettare il concordato del 1801, arrivando al punto di pronunciare d'autorità lui stesso l'annullamento del matrimonio del fratello Girolamo con la moglie, un'americana di Baltimora. L'attrito fra la Francia ed il papa montò così rapidamente che il 2 febbraio 1808 Roma fu occupata dal generale Miollis e, un mese più tardi, le province di Ancona, Macerata, Pesaro e Urbino furono annesse al Regno d'Italia. Rotte le relazioni diplomatiche fra Napoleone e Roma, con un decreto emesso a Schönbrunn l'11 maggio 1809 l'imperatore annetteva definitivamente tutti i territori dello Stato Pontificio. Il Papa prigioniero[modifica | modifica sorgente] Per ritorsione, Pio VII, pur senza nominare l'imperatore, emise una bolla di scomunica contro gli invasori; nel timore di un'insurrezione popolare il generale Miollis, di propria iniziativa (come sostenne Napoleone in seguito) o, più probabilmente, per ordine del generale Radet, prese in custodia il Papa stesso. Nella notte del 5 luglio il Palazzo del Quirinale fu aperto con la forza e, in seguito all'ostinato rifiuto di annullare la bolla di scomunica e di rinunciare al potere temporale, il Pontefice fu arrestato e tradotto prima a Grenoble e successivamente, passando per il colle di Tenda, Cuneo e Mondovì, a Savona. Qui egli si rifiutò con fermezza di convalidare l'investitura dei vescovi nominati da Napoleone e, quando i francesi scoprirono che il Papa intratteneva segreti scambi epistolari, gli fu addirittura proibito di leggere e scrivere. Insieme col Papa, furono espulsi da Roma molti alti prelati, come ad esempio il Maestro generale dei Domenicani Pio Giuseppe Gaddi. Dopo oltre due anni ininterrotti di prigionia, fu estorta al pontefice la promessa verbale di riconoscere l'investitura dei vescovi francesi. Nel maggio del 1812 Napoleone, con il pretesto che gli inglesi avrebbero potuto liberare il Papa se questi fosse rimasto a Savona, obbligò il vecchio e infermo (per la febbre che non lo lasciava) pontefice a trasferirsi a Fontainebleau, vicino a Parigi; il viaggio lo provò al punto tale che, al passo del Moncenisio, gli fu impartita l'estrema unzione. Superato il pericolo e giunto in salvo a Fontainebleau, fu alloggiato con tutti i riguardi nel castello per aspettarvi il ritorno dell'imperatore da Mosca. Appena rientrato, Napoleone intavolò immediatamente una serrata trattativa con il Papa che, il 25 gennaio 1813, accettò un concordato a condizioni tanto umilianti che non riuscì a darsi pace. Ma, essendogli stato concesso di consultarsi coi cardinali, tra cui Bartolomeo Pacca ed Ercole Consalvi, lo rigettò tre giorni dopo. Comunicò la sua decisione prima per iscritto all'Imperatore (che la tenne segreta), poi, pubblicamente il 24 marzo dello stesso anno. Nel mese di maggio, infine, osò sfidare apertamente il potere dell'imperatore dichiarando nulli tutti gli atti ufficiali compiuti dai vescovi francesi. Il 19 ottobre 1813 Napoleone fu sconfitto a Lipsia. Di fronte alla penetrazione degli eserciti della Sesta coalizione in territorio francese, Napoleone decise di far ricondurre il suo prigioniero a Savona. Pio VII partì da Fontainebleu il 23 gennaio 1814 (domenica) in forma privata, vestito da vescovo. Fu condotto a Nizza attraverso un percorso tortuoso per aggirare la valle del Rodano, dove il fermento antibonapartista era al culmine. Il lungo percorso del prigioniero si tramutò in un trionfo: folle esultanti si accalcarono al passaggio dell'anziano pontefice attraverso il sud della Francia.[5] Il 16 febbraio Pio VII giunse a Savona. Fu qui, forse, che gli fu data la notizia che Roma era stata liberata dal dominio francese. Il precipitare degli eventi e l'abdicazione del 17 marzo indussero Napoleone a liberarlo definitivamente. Il generale ordinò che il Papa fosse condotto a Bologna. La sua prigionia era durata quasi cinque anni. Pio VII fece il suo ingresso a Bologna il 31 marzo. Celebrò la Pasqua ad Imola, sua antica città episcopale, poi si fermò a Cesena, sua città natale, dal 20 aprile al 7 maggio. Il 15 maggio si recò al santuario di Loreto a rendere grazie per l'avvenuta liberazione.[5] Il 24 maggio fece il suo ingresso a Roma accolto dalla folla esultante. Il 7 agosto 1814 con la bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum il Papa ricostituì la Compagnia di Gesù, mentre il Segretario di Stato Consalvi, al Congresso di Vienna, si assicurava la restituzione di quasi tutti i territori sottratti allo Stato della Chiesa. Successivamente veniva soppressa nello Stato pontificio la legislazione introdotta dalla Francia e venivano reintrodotte le istituzioni dell'Indice e dell'Inquisizione. Ma la battaglia più importante vinta da Pio VII fu di aver ottenuto dal Congresso di Vienna l'abolizione della schiavitù. Nel 1815 Gioacchino Murat, durante i Cento giorni di Napoleone, attaccò lo Stato Pontificio. Tra il 22 marzo e l'inizio di giugno Pio VII si rifugiò fuori dell'Urbe. Prima si trasferì a Genova, poi sostò a Torino (19 maggio), ospite di Vittorio Emanuele I, e quindi raggiunse Piacenza e, di qui, seguì la via Emilia fino ad entrare nei suoi territori. Il 7 giugno rientrò a Roma. Uno dei suoi primi atti fu la riconferma del card. Consalvi come segretario di stato (5 luglio). Nei mesi successivi accolse come rifugiati politici alcuni parenti di Napoleone. Pio VII incaricò il Consalvi di realizzare le riforme contenute nel Motu Proprio Quando per ammirabile disposizione, emanato il 6 luglio 1816. Il provvedimento avviava la riforma dell'amministrazione dello Stato Pontificio. Le novità più rilevanti riguardavano il sistema catastale e la nuova ripartizione territoriale dello Stato, suddiviso in tredici delegazioni e quattro legazioni (Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna), oltre al Distretto di Roma ribattezzato Comarca. Nonostante ciò, le casse dello stato erano in condizioni disastrose, mentre il malcontento si aggregava principalmente intorno alla "Società Segreta", di ispirazione liberale, dei Carbonari, proibita dal Papa nel 1821. Il capolavoro diplomatico del Consalvi fu una serie di concordati stipulati a condizioni particolarmente vantaggiose con tutti gli Stati di religione cattolica, ad eccezione dell'Impero austriaco. Negli ultimi anni del pontificato di Pio VII la città di Roma fu molto ospitale verso tutte le famiglie regnanti, i cui rappresentanti vi si recarono spesso; il pontefice fu particolarmente benigno verso i sovrani in esilio, dimostrando una notevole e singolare magnanimità anche nei confronti della famiglia di Napoleone. Notevole fu anche l'accoglienza riservata ai maggiori artisti dell'epoca, fra cui molti scultori. Un anno prima della morte, eresse sul Pincio l'obelisco, rinvenuto nel XVI secolo e mai innalzato, che l'imperatore romano Adriano aveva fatto scolpire per l'amato e idolatrato Antinoo, annegato a vent'anni ed in seguito divinizzato. Lo scultore protestante Thorvaldsen fu colui che costruì lo splendido mausoleo in cui furono deposte le spoglie del pontefice: tale mausoleo rimane a tutt'oggi la sola opera d'arte della Basilica di San Pietro fatta da un artista di fede dichiaratamente non cattolica. Il pontefice spirò il 20 agosto 1823, pochi giorni dopo aver compiuto ottantun'anni, per le fatiche del suo Pontificato. I costi furono sostenuti dal cardinal Consalvi e l'iscrizione ricorda l'affetto del porporato per il "suo" Papa: PIO.VII.CLARAMONTIO.CAESENATI.PONTIFICI.MAXIMO. HERCULES.CARD.CONSALVI ROMANUS.AB.EO.CREATUS. La traduzione è: "A PIO VII, CHIARAMONTI DI CESENA, PONTEFICE MASSIMO, ERCOLE CARDINALE CONSALVI, ROMANO, DA LUI STESSO CREATO".

Papa Leone XII (in latino: Leo PP. XII, al secolo Annibale Francesco Clemente Melchiorre Girolamo Nicola Sermattei della Genga; Genga, 22 agosto 1760 – Roma, 10 febbraio 1829) è stato il 252º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica (1823-1829).

Nato dal conte Flavio della Genga, appartenente alla famiglia dei feudatari (Conti della Genga) di questa cittadina marchigiana (all'epoca in provincia di Macerata, poi dal 1860 ricompresa nella provincia di Ancona), e dalla contessa Maria Luisa Pariberti di Fabriano, Annibale era il sesto di dieci figli. Tra i suoi antenati c'era il famoso artista Girolamo Genga. Educato presso l'Accademia dei Nobili Ecclesiastici di Roma, fu ordinato sacerdote nel 1783. Nel 1790 si fece notare per un brillante sermone da lui pronunciato in commemorazione dell'imperatore Giuseppe II. Nel 1792 Pio VI lo nominò suo segretario particolare e successivamente, nel 1794, lo promosse arcivescovo titolare di Tiro, inviandolo a Lucerna in qualità di nunzio apostolico. Ordinato vescovo nella cattedrale di Frascati dal cardinale Enrico Benedetto Stuart, fu quindi trasferito alla nunziatura di Colonia; in seguito allo scoppio della guerra, spostò la sua residenza ad Augusta. Nei 12 anni trascorsi in Germania fu incaricato di svolgere delicate ed importanti missioni diplomatiche presso le corti di Dresda, Vienna, Monaco e Württemberg, nonché presso Napoleone Bonaparte. In questo periodo andò incontro a ristrettezze economiche. In seguito allo scioglimento dello Stato della Chiesa, egli fu considerato dai francesi alla stregua di un prigioniero di stato, e trascorse alcuni anni nell'abbazia di Monticelli. Nel 1814 fu inviato da Pio VII alla Conferenza di pace di Parigi quando Ercole Consalvi era ancora in esilio; nel concistoro dell'8 marzo 1816 fu nominato cardinale presbitero di Santa Maria in Trastevere e reso titolare della diocesi di Senigallia, carica da cui si dimise nel 1819 per poi ricevere, nel 1820 da Pio VII, l'ambita funzione di cardinale vicario. Nel conclave del 1823 l'appoggio dalla fazione degli zelanti gli consentì di essere eletto (28 settembre) nonostante la decisa opposizione della Francia. Pare che la sua elezione sia stata facilitata dal fatto che si pensava avesse ormai poco da vivere; tuttavia, nonostante l'età e le precarie condizioni di salute, il suo pontificato durò 6 anni. Politica estera ed economica[modifica | modifica sorgente] Leone XII delegò la condotta della politica estera al Della Somaglia e successivamente al più accorto Tommaso Bernetti, i quali riuscirono a stipulare diversi accordi e trattati particolarmente favorevoli allo Stato della Chiesa e al papato stesso. Leone era una persona fondamentalmente frugale e questa sua indole si rifletté nella sua amministrazione, che riuscì a fare economie nella gestione della giustizia, a ridurre le imposte ed anche a reperire le risorse per l'esecuzione di alcuni importanti lavori pubblici. Si impegnò alla riforma dell'amministrazione vaticana, portando a termine la riforma tributaria. Stabilì che tutti i parroci dovessero percepire la stessa congrua. Nonostante l'importanza e l'originalità delle suddette iniziative, è indubbio che l'avvenimento più conosciuto ed arduo del suo pontificato fu il grande Giubileo del 1825. Il Giubileo riscosse un notevole successo e registrò una imprevista partecipazione. Nonostante tutto ciò alla fine del suo pontificato la situazione delle finanze risultò essere peggiore rispetto a quella iniziale e il Giubileo stesso non contribuì certo a migliorare le cose. Leone XII si distinse per la durezza con cui affrontò la società segreta della Carboneria. Durante il giubileo del 1825 furono ghigliottinati pubblicamente, in Piazza del Popolo a Roma, i due carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari. Il cardinale legato Agostino Rivarola, investito di poteri straordinari, venne mandato a Ravenna per reprimere i carbonari. Proibì le società bibliche, di stampo protestante e finanziate spesso dalla massoneria e, fortemente influenzato dai gesuiti, riorganizzò tutto il sistema scolastico. Pubblicò il codice Reformatio Tribunalium. Riordinò le Università del suo Stato con la bolla Quod divina sapientia, dell'agosto 1824, suddividendole in due classi: alla prima assegnò quelle di Roma e Bologna, con trentotto cattedre; alla seconda quelle di Ferrara, Perugia, Camerino, Macerata e Fermo, con diciassette cattedre. Istituì, nello stesso tempo, la Congregazione degli Studi, allo scopo di controllare l'operato delle Università stesse. Volle rivedere anche il cosiddetto "indice dei libri proibiti" e tra questi fece togliere alcune opere di Galileo Galilei. Definì anche un progetto di riforma delle parrocchie romane, sopprimendone 17 e creandone 9. Vari autori attribuiscono a Leone XII il divieto di vaccinazione contro il vaiolo. La notizia e la citazione si trovano solo in una lettera inviata dall'ambasciatore austriaco dell'epoca ai suoi superiori, mentre nessun documento ufficiale la riporta[1]. Da altre fonti risulta che Papa Leone si limitò a togliere l'obbligatorietà della vaccinazione (invisa a larghi strati della popolazione per la sua supposta pericolosità, sebbene fosse stata resa obbligatoria nello Stato Pontificio pochi anni prima dal conte Monaldo Leopardi, gonfaloniere e padre di Giacomo Leopardi) pur mantenendone il carattere gratuito:[2] « Rimane obbligo a Medici e Chirurgi condotti di eseguirla gratuitamente (la vaccinazione antivaiolosa, NdR) a quanti vogliano prevalersene, essendo questa la cura ed il preservativo di una malattia alla quale, come a tutte le altre, essi hanno l'obbligo di riparare. » (Leone XII, Circolare legatizia 15 settembre 1824) È importante notare che "l'antivaiolosa" all'epoca non era obbligatoria in molti stati europei, compreso il Regno di Sardegna (poi Regno d'Italia), in cui divenne obbligatoria solo nel 1859.

Pio VIII (in latino: Pius PP. VIII, nato Francesco Saverio Maria Felice Castiglioni; Cingoli, 20 novembre 1761 – Roma, 1º dicembre 1830) è stato il 253º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 31 marzo 1829 alla morte.

Discendente da un nobile casato di Cingoli, presso Macerata, nacque il 20 novembre 1761. Dopo avere studiato presso i gesuiti, compì gli studi superiori in utroque iure a Bologna e poi a Roma. Conclusi gli studi con una particolare attenzione al diritto canonico, è ordinato sacerdote il 17 dicembre 1785. Divenne poi vicario generale prima ad Anagni e successivamente a Fano, e il 18 agosto 1800 fu nominato vescovo di Montalto e abate commendatario dell'abbazia di Santa Maria di Montesanto.[1] A causa del suo rifiuto di prestare il giuramento di fedeltà a Napoleone re d'Italia, fu condotto prigioniero in Francia, ma nel 1816, dopo la caduta di Napoleone, la sua risolutezza fu ricompensata da Pio VII con la nomina a cardinale di Santa Maria in Transpontina. In questo stesso anno, fu trasferito dalla sede di Montalto a quella di Cesena. Nel 1821 fu nominato da Pio VII cardinale vescovo di Frascati e gran penitenziere e, in seguito, prefetto della Congregazione dell'Indice. Nel conclave che seguì alla morte di papa Leone XII, Castiglioni, appoggiato dalla Francia, fu eletto papa il 31 marzo 1829, anche perché la sua salute a dir poco cagionevole lasciava presagire - come infatti avvenne - un pontificato di transizione. Il Belli, impietoso, così lo descrive in un feroce sonetto all'indomani della fumata bianca (1º aprile): « (...) Ha un erpeto pe ttutto, nun tiè ddenti, è gguercio, je strascineno le gamme, spènnola da una parte, e bbuggiaramme si arriva a ffà la pacchia a li parenti.

Guarda llí cche ffigura da vienicce a ffà da Crist'in terra! Cazzo matto imbottito de carne de sarcicce!

Disse bbene la serva de l'Orefisce quanno lo vedde in chiesa: «Uhm! cianno fatto un gran brutto strucchione de Pontefisce».(...) » (Giuseppe Gioachino Belli, Pio Ottavo) Nel corso del suo pontificato si preoccupò di abolire il nepotismo, abbandonando anche la pratica dello spionaggio attuata dai predecessori, ed emanò una lettera, la Litteris Altero, di condanna delle Società bibliche, che si occupavano di tradurre i testi biblici secondo gli studi moderni, e delle associazioni segrete. Papa Castiglioni, formato alla scuola del cardinal segretario di stato Ercole Consalvi, di idee relativamente aperte e liberali, si batté per promuovere la libertà di culto dei cattolici in Inghilterra, riconobbe dopo la rivoluzione del 1830 il nuovo re di Francia Luigi Filippo I e dimostrò moderazione nell'affrontare il problema dei matrimoni misti in Germania. Anche nella politica interna dello Stato della Chiesa il suo breve pontificato lanciò alcuni segnali di apertura sia concedendo subito dopo l'elezione un'amnistia sia con l'adozione di alcune valide misure economiche. Durante il suo breve pontificato, Pio VIII scrisse una sola enciclica, la Traditi humilitati nostrae (il 24 maggio 1829). Debilitato dall'intenso lavoro e malato da tempo di gotta, morì il mattino del 1º dicembre 1830. Teoria dell'avvelenamento[modifica | modifica sorgente] Fin dalla sua elezione Pio VIII ebbe salute cagionevole. Nonostante ciò, le circostanze della sua morte dettero adito alla supposizione che fosse stato vittima di un avvelenamento. Il principe Chigi, contemporaneo del papa e dignitario accreditato presso la corte pontificia, annotò nel suo diario del giorno 2 dicembre 1830: « Nella sezione del cadavere del Pontefice che seguì ieri sera per quanto si dice, furono trovate le viscere sanissime e solo si è rinvenuta qualche debolezza nel polmone, altri dicono qualche sfiancamento nel cuore; resterebbe perciò a sapersi di qual male sia morto. » Queste parole furono da alcuni interpretate come indizio dell'esistenza di un complotto.[senza fonte]

Papa Gregorio XVI, in latino: Gregorius PP. XVI, al secolo Bartolomeo Alberto (in religione Mauro) Cappellari (Belluno, 18 settembre 1765 – Roma, 1º giugno 1846), è stato il 254º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 2 febbraio 1831 alla morte; apparteneva alla congregazione camaldolese dell'Ordine di San Benedetto.

Bartolomeo Alberto Cappellari nacque il 18 settembre 1765 a Mussoi, oggi sobborgo di Belluno, nella casa di campagna di famiglia. Il giorno successivo venne battezzato nella vicina parrocchia di Bolzano Bellunese dallo zio, don Antonio Cappellari. Era l'ultimo dei cinque figli di Giovanni Battista Cappellari e di Giulia Cesa, entrambi figli di notai e membri della piccola nobiltà bellunese.[1][2] Iniziò gli studi con Giovanni Carrera, un canonico di Belluno, e pare che la sua vocazione fosse nata intorno ai quindici anni, quando vide la sorella Caterina entrare in un convento di monache cistercensi. Il 23 agosto 1783 Bartolomeo entrò a far parte della congregazione dei camaldolesi del monastero di San Michele in Isola, presso Murano. Assunto il nome religioso di Mauro si distinse rapidamente per i suoi conseguimenti teologici e linguistici.[2] A partire dal 1790 insegnò filosofia e scienze presso lo stesso monastero. Il suo primo contatto con il pubblico avvenne nel 1799 quando pubblicò un lavoro contro i giansenisti italiani, intitolato Il trionfo della Santa Sede e della Chiesa: contro gli assalti dei novatori combattuti e respinti colle stesse loro armi, il quale, oltre ad essere pubblicato in diverse edizioni in Italia, venne tradotto in diverse lingue europee. Nel 1800 divenne membro dell'Accademia della Religione Cattolica, fondata dal papa Pio VII, alla quale contribuì con diverse memorie su questioni teologiche e filosofiche, mentre, nel 1805, venne nominato abate di San Gregorio al Celio. Quando, a seguito dell'occupazione napoleonica, Pio VII venne portato via da Roma, nel 1809, Cappellari si ritirò a Murano, vicino Venezia, e, nel 1814, con alcuni membri del suo ordine si mosse verso Padova. Caduto Napoleone, poco dopo la restaurazione del Papa venne richiamato a Roma, dove ricevette le nomine a vicario generale dei camaldolesi, consigliere dell'Inquisizione, prefetto della congregazione Propaganda Fide ed esaminatore dei vescovi. Il 21 marzo 1825 fu creato cardinale dal papa Leone XII, e, poco dopo, gli venne affidata l'importante missione di regolare un concordato riguardante gli interessi dei cattolici del Belgio e dei protestanti dei Paesi Bassi, dove lavorò alacremente e con successo. Il 2 febbraio 1831, dopo cinquantuno giorni di conclave (e sessantaquattro di sede vacante dalla morte di Pio VIII), Cappellari fu inaspettatamente eletto papa. Quell'anno anche lo Stato Pontificio fu attraversato dai moti che si erano diffusi in tutta la penisola. A Bologna fu proclamata la nascita Province Unite Italiane. Gli insorti dichiararono la secessione delle Legazioni di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna. Per sedare le rivolte e riportare l'ordine sociale la Santa Sede dovette chiedere l'intervento dell'esercito austriaco. Negli anni seguenti il governo rimandò continuamente le promesse di riforma, riuscendo a far infuriare persino Metternich[senza fonte]; la sostituzione di Tommaso Bernetti con Luigi Lambruschini nel 1836 non migliorò le cose, in quanto il nuovo cardinale segretario di Stato fece ampio ricorso all'uso delle spie e della prigione. A Gregorio XVI viene erroneamente attribuita la frase Chemin de fer, chemin d'enfer ("La ferrovia è la strada per l'inferno").[3] Tuttavia, papa Cappellari non era contrario alle ferrovie, ma semplicemente non ne autorizzò la costruzione.[4] Una commissione per studiare l'eventuale realizzazione della ferrovia nello Stato Pontificio venne infatti istituita proprio da Gregorio XVI nel 1840,[5] ma i progetti presentati risultarono svantaggiosi. Lo Stato, infatti, non aveva il ferro e il carbone, materiale che si sarebbe dovuto reperire all'estero, né disponeva della tecnologia necessaria.[6] La commissione concluse che i costi sarebbero stati altissimi, specialmente per le magre finanze romane.[7] Gregorio XVI, tuttavia, disse che sicuramente il suo successore avrebbe dovuto mettere mano alla faccenda. Pio IX, anni dopo, realizzò all'interno dello Stato Pontificio una delle prime reti ferroviarie italiane. Le pessime condizioni finanziarie in cui Gregorio lasciò gli Stati della Chiesa furono in parte dovute a ingenti spese in opere architettoniche e di ingegneria e al suo munifico patronaggio dell'educazione nelle mani di Angelo Mai, Giuseppe Mezzofanti, Gaetano Moroni e altri. Gli anni del suo pontificato furono segnati dal rapido svilupparsi e diffondersi di quelle idee ultramontane, che vennero infine formulate, sotto la presidenza del suo successore, Pio IX, dal Concilio Vaticano I. Circa le beatificazioni e le canonizzazioni, si ricorda che, il 7 aprile 1843, Gregorio XVI approvò il culto di Camilla Battista da Varano. Sotto il suo pontificato venne affrontato con convinzione il tema della schiavitù, ancora fortemente presente soprattutto nelle Americhe. Il 3 dicembre 1839, con l'enciclica In Supremo Apostolatus, Gregorio XVI condannò la schiavitù come "delitto", ribadendo il magistero dei suoi predecessori. Morì il 1º giugno 1846.

Papa Pio IX (in latino: Pius PP. IX, nato Giovanni Maria Mastai Ferretti; Senigallia, 13 maggio 1792 – Roma, 7 febbraio 1878) è stato il 255º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica e 163º ed ultimo sovrano dello Stato Pontificio (1846- 1870). Il suo pontificato, di 31 anni, 7 mesi e 23 giorni, rimane il più lungo della storia della Chiesa cattolica dopo quello di san Pietro[1]. Fu terziario francescano ed è stato proclamato beato nel 2000.

Nato il 13 maggio 1792 a Senigallia con il nome di Giovanni Maria Battista Pellegrino Isidoro Mastai Ferretti, fu il nono figlio di Girolamo (membro della nobile famiglia dei conti Mastai Ferretti) e Caterina Solazzi. Venne battezzato lo stesso giorno di nascita nel Duomo della città dallo zio canonico Angelo Mastai Ferretti. Ricevette la cresima il 9 giugno 1799 dal cardinal Honorati, vescovo di Senigallia, e la prima comunione il 2 febbraio 1803. Compì gli studi classici nel celebre collegio dei Nobili di Volterra, diretto dai padri scolopi, dal 1803 al 1808; gli studi furono comunque sospesi per improvvisi e ripetuti attacchi epilettici, causati da un pregresso trauma cranico riportato in un gravissimo incidente in cui incorse cadendo in un torrente nell'ottobre 1797. In quegli anni, fu spesso ospite a Mondolfo della sorella, andata in sposa ad un rampollo della nobile famiglia Giraldi della Rovere, dilettandosi con buoni risultati nel gioco del pallone col bracciale assieme ad altri ragazzi del luogo. Nel 1812, la malattia gli ottenne l’esonero dalla chiamata di leva nelle Guardie d’onore del Regno. Dal 1814 fu ospite a Roma dello zio Paolino Mastai Ferretti, canonico di San Pietro, e qui proseguì gli studi di filosofia e di teologia nel Collegio Romano. Nel 1815 chiese e ottenne di far parte della Guardia Nobile Pontificia ma, a causa del suo male, ne fu presto dimesso. Profondamente amareggiato, in quell'occasione conobbe un giovane Vincenzo Pallotti che lo consolò e gli vaticinò il pontificato[2]. Lo stesso anno si recò in pellegrinaggio a Loreto dove incontrò Papa Pio VII il quale voleva ringraziare la Madonna per la propria liberazione da Napoleone. Quando il giovane Mastai Ferretti gli confidò la malattia che da anni lo assediava, il pontefice gli disse: "Crediamo che questo crudele male non vi tormenterà mai più"; in effetti, dopo tale visita col Papa, non ebbe più attacchi epilettici e attribuì la guarigione alla grazia ricevuta dalla Vergine di Loreto[3]. Dopo la caduta di Napoleone Bonaparte, tornò a Roma al seguito di Pio VII e frequentò l'Università romana. In questo periodo fu seminarista e si prodigò presso il "Tata Giovanni" un ospizio per i ragazzi abbandonati che ricevevano un'educazione, un'istruzione ed imparavano un mestiere. Fu tra questi futuri falegnami, sarti, calzolai che iniziò il suo apostolato per i poveri che lo segnerà sempre nella sua vita. Essendo guarito dalla malattia, poté continuare i suoi studi. Il 5 gennaio 1817 prese gli ordini minori, il 20 dicembre 1818 venne ordinato suddiacono e il 6 marzo 1819 diacono. Il 10 aprile 1819 fu ordinato sacerdote dal cardinale Fabrizio Sceberras Testaferrata vescovo di Senigallia. Celebrò la prima messa il giorno dopo, giorno della Pasqua, nella chiesa del "Tata Giovanni", sant'Anna dei Falegnami, tra i suoi poveri. Si dedicò all'apostolato nella sua città natale e contemporaneamente fu direttore del "Tata Giovanni", a Roma. Dichiarò di non volere cariche ecclesiastiche e professò nel terzo ordine francescano, nella chiesa romana di San Bonaventura al Palatino dove si ritirava a pregare. All'interno una lapide in marmo ricorda la professione del futuro Pontefice. Dal luglio 1823 al giugno 1825 fece parte, per volere di Pio VII, del corpo diplomatico del Cile, guidato dal delegato monsignor Giovanni Muzi. Qui però la delegazione si trovò di fronte ad un duro governo anticlericale e fu costretta a tornare a Roma. Durante il soggiorno in Cile si prodigò per gli ammalati e per amministrare i sacramenti. Diede conforto e aiuto ad un ufficiale inglese protestante, gravemente malato. Nel 1825 fu richiamato in Italia, e si fermò per alcuni mesi a Senigallia. Poi papa Leone XII gli conferì l'incarico di dirigere l'ospizio di San Michele a Ripa, dove si accudivano anziani, ex-meretrici, e giovani abbandonati. Nonostante il suo proposito di non volere cariche, fu comunque nominato dal papa nel 1827, a soli 35 anni di età, arcivescovo di Spoleto. Fu consacrato il 25 maggio dal cardinal Castiglioni, futuro papa Pio VIII nella chiesa romana di San Pietro in Vincoli. A Spoleto applicò l'esperienza del "Tata Giovanni" fondando anche in questa città un istituto analogo. Mostrò rigore per la disciplina religiosa e molta carità per i poveri, arrivando ad impegnare i propri mobili per aiutare i più bisognosi. Durante l'insurrezione del 1831 fu nominato delegato straordinario di Spoleto e Rieti, e con un'abile mediazione salvò la città da un inutile spargimento di sangue. Convinse i generali pontifici a non aprire il fuoco e ai rivoltosi concesse, alla deposizione delle armi, soldi e passaporti. Tale atteggiamento di moderazione contribuì, al momento della sua elezione a papa, a far pensare ai patrioti italiani che fosse uomo di idee liberali e aperto alla causa nazionale. In tale periodo salvò la vita a Napoleone III che stava per essere fatto prigioniero dagli austriaci proprio a Spoleto. Il 13 gennaio 1832 la città di Spoleto subì un grave terremoto. Essendo vescovo diresse subito gli aiuti, organizzando un piano specifico e andando di persona sui luoghi del disastro. Da allora si impegnò per la ricostruzione nel più breve tempo possibile, prima del sopraggiungere dell'inverno, ottenendo fondi dal papa Gregorio XVI. Vescovo di Imola e cardinale[modifica | modifica sorgente] In considerazione dei successi in Umbria nel 1832, papa Gregorio XVI lo inviò nella sanguigna e rivoltosa Romagna, nominandolo vescovo di Imola. Il futuro pontefice si dedicò a questo nuovo magistero con particolare impegno tanto che la sua opera fu premiata alcuni anni più tardi, quando all'età di soli quarantotto anni, fu creato cardinale - sempre da papa Gregorio XVI - nel concistoro del 14 dicembre 1840. Il conclave del 1846, che seguì la morte di papa Gregorio XVI, si svolse in un periodo molto turbolento per la storia della penisola italiana. Per questo motivo molti cardinali stranieri decisero di non partecipare al conclave. Soltanto 46 dei 62 cardinali erano infatti presenti. Il cardinal Mastai-Ferretti era considerato un liberale, in specie per avere sostenuto vari cambiamenti amministrativi negli anni passati alla guida delle diocesi di Spoleto e di Imola. I cardinali si separarono subito nella fazione conservatrice, che supportava il cardinale Luigi Lambruschini (segretario di Stato del precedente pontefice), e in quella progressista, che supportava due candidati: il cardinale Tommaso Pasquale Gizzi e il cinquantaquattrenne cardinale Ferretti. Al primo scrutinio i voti si divisero egualmente fra i diversi candidati, ma a quel punto i favoriti Lambruschini e Gizzi sembravano fuori gioco. Il 16 giugno, secondo giorno di conclave, Mastai- Ferretti fu eletto al soglio pontificio assumendo il nome di Pio IX: scelse questo nome in onore a papa Pio VII che aveva incoraggiato la sua vocazione al sacerdozio. In ogni caso il nuovo papa era assai inesperto in questioni diplomatiche. Per questo motivo l'Impero austriaco aveva mandato a Roma l'arcivescovo di Milano, il cardinal Gaisruck, per porre il veto all'elezione di Mastai-Ferretti. Ma Gaisruck arrivò troppo tardi: Ferretti era già stato acclamato papa. Pio IX fu incoronato il 21 giugno e scelse subito il cardinale Tommaso Pasquale Gizzi, nativo di Ceccano, come Segretario di Stato. L'Europa liberale applaudì alla sua elezione. Il primissimo provvedimento che prese, appena un mese dopo la sua elezione (16 luglio 1846), fu la concessione dell'amnistia per i reati politici[4]. Il provvedimento concedeva a 400 carcerati di uscire di prigione e a 400 esiliati politici di tornare in Patria. Nei primi anni di pontificato governò lo Stato Pontificio con una progressiva apertura alle richieste liberali della popolazione. Fu l'epoca delle grandi riforme dello Stato Pontificio: la Consulta di Stato (istituita il 19 aprile 1847)[5], la libertà agli Ebrei, la libertà di circolazione dei giornali, unita a una moderazione della censura preventiva[6], l'inizio delle ferrovie e la costituzione del Municipio di Roma[7]. Promosse inoltre la costituzione di una Lega doganale tra gli Stati italiani preunitari, che rappresentò il più importante tentativo politico-diplomatico dell'epoca volto a realizzare l'unità d'Italia per vie federali. L'istituzione della Guardia civica, il 5 luglio, provocò le dimissioni del Segretario di Stato, Tommaso Pasquale Gizzi, che si era dimostrato contrario al provvedimento.[8] Il 14 marzo 1848, a seguito dei moti rivoluzionari che avevano investito fin dall'inizio dell'anno tutta l'Europa[9], Papa Pio IX concesse la costituzione (Statuto Fondamentale pel Governo Temporale degli Stati della Chiesa), seguendo l'esempio del sovrano delle Due Sicilie[10]. Lo Statuto istituiva due Camere legislative ed apriva le istituzioni (sia legislative sia esecutive) ai laici[11]. Alla fine dello stesso mese, in occasione delle Cinque giornate di Milano giunsero al pontefice forti pressioni per seguire l'esempio del Granduca di Toscana e del Re di Napoli, che avevano inviato proprie truppe al fronte. Pio IX permise soltanto la costituzione di un esercito di volontari, con la sola missione di proteggere i confini dello Stato con il Regno Lombardo-Veneto (Austria). Furono formati due corpi: uno, di soldati regolari, comandato dal generale Giovanni Durando (1804-1869) fratello del generale Giacomo Durando, l'altro di volontari, comandato dal generale Andrea Ferrari. Lo Stato Pontificio si trovò di fatto impegnato in una guerra contro l'Austria, potenza cattolica, per l'indipendenza italiana. Ma il 13 aprile una speciale commissione cardinalizia impose lo sganciamento del Papa dalla coalizione[senza fonte]. Il 29 aprile 1848 Pio IX, con l'Allocuzione papale al Concistoro dei cardinali mise in evidenza la particolare posizione del Papa che, come capo della Chiesa universale ed allo stesso tempo capo di uno Stato italiano, non poteva mettersi in guerra contro un regno cattolico: "Fedeli agli obblighi del nostro supremo apostolato, Noi abbracciamo tutti i Paesi, tutte le genti e Nazioni in un istintivo sentimento di paterno affetto". Le prime avvisaglie di un tentativo di rovesciamento politico avvennero il 15 novembre 1848 quando fu ucciso il capo del governo, Pellegrino Rossi. Successivamente i rivoluzionari, guidati da Angelo Brunetti (detto Ciceruacchio) pretesero di dettare condizioni per la formazione del nuovo governo. Pio IX, non volendo scendere a patti con essi, ma avendo capito che un'azione repressiva avrebbe potuto innescare una guerra civile, decise di lasciare Roma. Il 24 novembre 1848 il pontefice partì nottetempo, vestito da semplice sacerdote, con destinazione Gaeta, nel territorio del Regno delle Due Sicilie[12]. Invitato da Luigi Napoleone, a quel tempo presidente della Francia, a trasferirsi nella sua nazione, preferì rimanere in territorio italiano. Rese note le sue ragioni con una Lettera aperta ai sudditi e a tutti gli uomini di buona volontà, in cui affermò: « Le violenze usate contro di Noi negli scorsi giorni, e la manifestante volontà di prorompere in altre [...], Ci hanno costretto a separarci temporaneamente dai Nostri sudditi e figli, che abbiamo sempre amati e amiamo. Fra le cause che Ci hanno indotto a questo passo (Dio sa quanto doloroso è al Nostro cuore) una di grandissima importanza è quella di avere la piena libertà nell'esercizio della suprema potestà della Santa Sede, quale esercizio potrebbe dubitare l'Orbe cattolico che nelle attuali circostanze ci venisse impedito. [...] Intanto avendo a cuore di non lasciare acefalo in Roma il governo del Nostro Stato, nominiamo una Commissione Governativa [...] [e] nell'affidare alla detta Commissione Governativa la direzione temporanea degli affari pubblici, raccomandiamo a tutti i Nostri sudditi e figli la calma e la conservazione dell'Ordine. » Durante la permanenza nel Regno delle Due Sicilie, il Papa sperimentò per la prima volta un viaggio in treno sulla linea Napoli-Nocera (8 settembre 1849) e visitò le officine ferroviarie di Pietrarsa il 23 settembre 1849. La Repubblica Romana, diretta dal triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini, pur nella sua breve vita riuscì ad emanare una tra le più avanzate costituzioni del mondo[senza fonte], la quale riservava comunque ampie guarentigie al Pontefice. Pio IX si appellò alle potenze straniere affinché gli fosse restituito il potere temporale. Rispose la Francia repubblicana del Bonaparte: fu inviato un corpo di spedizione di 7.000 soldati al comando del generale Oudinot. Il 30 aprile 1849 i francesi furono sconfitti da Garibaldi nella battaglia di Porta Cavalleggeri, ma grazie ai copiosi rinforzi che nel frattempo avevano ricevuto, i francesi, nonostante la resistenza che incontrarono, riuscirono a far breccia nelle mura del Gianicolo e a conquistare Roma 30 giugno 1849 dove fecero ingresso il 3 luglio. Il papa programmò un lento rientro a Roma. Soggiornò a Portici dal 7 settembre fino al 4 aprile 1850. Poi si mise in viaggio, toccando varie località dello Stato per otto giorni. Fece il suo ingresso nell'Urbe il 12 aprile 1850. Acclamato dalla folla, si diresse in Vaticano, scelto come sua nuova residenza in luogo del Quirinale. Gli anni che seguirono al suo ritorno a Roma furono anni in cui continuò la politica riformista già attuata nei primi due anni di pontificato: il 14 agosto 1850 con una legge unica nell'Europa dell'epoca[senza fonte] stabilì disposizioni per tutto lo Stato Pontificio per la tutela e formazione dei sordomuti, mentre il 12 settembre 1850 con un motu proprio riordinò il Consiglio di Stato (che nello Statuto compariva come organo meramente tecnico), istituì una nuova Consulta delle Finanze (dopo la Consulta di Stato creata nel 1847) ed elargì una nuova e più ampia amnistia. L'8 dicembre 1854 proclamò il dogma dell'Immacolata concezione con la bolla Ineffabilis Deus, tradotta in 400 lingue e dialetti. Per quanto riguarda le opere pubbliche, il 9 dicembre 1854 consacrò la Basilica di San Paolo fuori le mura, ricostruita dopo l'incendio del 15 luglio 1823 e il 3 aprile 1856 approvò il piano delle ferrovie nello Stato Pontificio, la cui prima linea, la Roma-Frascati (20 km), venne aperta al pubblico il 14 luglio 1856, seguita dalla più importante Roma-Civitavecchia (80 km) che verrà aperta al pubblico il 16 aprile 1859. Nello stesso periodo fu notevole il suo impegno contro il processo di secolarizzazione in corso nella società del suo tempo. Pio IX firmò trattati bilaterali (concordati) con numerosi stati europei: Russia[13](1847), Regno di Spagna (1851), Granducato di Baden (1853), Impero austriaco (Concordato del 1855), Regno del Portogallo (1857), Regno di Württemberg (1857). Pio IX si trovò a gestire il momento storico della nascita anche in Italia di un moderno stato nazionale unitario. Entro i confini dello Stato della Chiesa le prime città a manifestare l'insofferenza al dominio papale furono in particolare quelle delle antiche Legazioni di Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna. In Romagna, Pio IX compì l'ultima visita di un Papa-Re nel 1857[14]: in tale occasione, anzi, Pio IX donò alla Cattedrale di Forlì un nuovo altare, tuttora in uso. Numerose negli anni furono le insurrezioni, sempre represse anche grazie agli austriaci, sino al 1859, anno dell'annessione della Romagna al Regno di Sardegna. Stimolata dall'esempio, insorse anche Perugia che il 14 giugno 1859 instaurò un governo provvisorio. Il legato pontificio se ne tornò a Roma e lo Stato della Chiesa reagì in maniera dura, ordinando la repressione dei moti ed inviando duemila mercenari svizzeri comandati dal colonnello Schmidt. Il segretario di stato di Pio IX, il cardinale Antonelli, autorizzò al saccheggio[senza fonte] della città le truppe svizzere inviate per riportare entro i confini del dominio della Chiesa la città perugina: il 20 giugno 1859 questi entrarono in città e fecero strage dei rivoltosi, senza risparmiare donne o bambini. L'evento passò alla storia come le "stragi di Perugia". I viaggiatori stranieri presenti in città, rapinati, provvidero ad avvertire del grave accaduto la stampa internazionale, avvalorando ancor più agli occhi dei cittadini europei e statunitensi la causa dell'unità italiana[15]. In seguito alla riconquista di Perugia, papa Pio IX, in considerazione del successo, promosse il colonnello Schmidt a generale di brigata. Il 18 settembre 1860, in seguito alla battaglia di Castelfidardo, le truppe piemontesi sconfissero le truppe svizzere conquistando le Marche e l'Umbria, che poi sancirono la loro annessione al Regno di Sardegna tramite un plebiscito. Il territorio posseduto dalla Chiesa fu ridotto al solo Lazio. Vittorio Emanuele II si era impegnato con l'imperatore francese a non attaccare Roma, che non fu coinvolta nella campagna del 1860. Il 17 marzo 1861 venne proclamato a Torino il Regno d'Italia. Il giorno seguente, Pio IX espresse in un'Allocuzione ufficiale una tempestiva risposta a Vittorio Emanuele: ”Da lungo tempo si chiede al Sommo Pontefice che si riconcilii con il progresso e con la moderna civiltà. Ma come mai potrà avvenire un simile accordo, quando questa moderna civiltà è madre e propagatrice di infiniti errori e di massime opposte alla fede cattolica?” Nasceva la Questione romana. Nel 1864 Pio IX fece arrestare il brigante Carmine Crocco, allorché egli, dopo essere stato sconfitto dalle truppe sabaude, era fuggito a Roma per incontrarlo, confidando erroneamente in un sostegno della Santa Sede, in virtù del suo legittimismo borbonico, in chiave antisabauda[16]. L'8 dicembre 1864 papa Pio IX pubblicò l'enciclica Quanta cura e il Sillabo, una raccolta di ottanta proposizioni considerate dal Papa stesso, divise in dieci rubriche. Il 2 maggio 1868 approvò la Società della Gioventù Cattolica italiana, fondata da Mario Fani e Giovanni Acquaderni il 29 giugno 1867. L'11 aprile 1869 furono organizzate solenni celebrazioni in tutto il mondo cattolico per il suo giubileo sacerdotale e il 7 dicembre 1869 aprì il Concilio Vaticano I. Mentre il potere temporale era in crisi, a pochi mesi dalla breccia di Porta Pia, Pio IX si preoccupò di rinvigorire il potere spirituale. Il Concilio Vaticano I portò alla formulazione del dogma dell'infallibilità del Pontefice, chiaramente espresso nella costituzione dogmatica Pastor Aeternus[17]. Questo portò allo scisma tra la Chiesa cattolica e i vetero-cattolici. Il tedesco Joseph Hubert Reinkens si fece eleggere primo "vescovo cattolico dei vetero-cattolici". Il Concilio proseguì fino al 18 luglio 1870 quando venne sospeso a causa della guerra franco- prussiana. Lo scontro con il neo costituito Regno d'Italia giunse all'apice quando nel 1870, alla caduta di Napoleone III, le truppe dei Savoia entrarono a Roma attraverso la breccia di Porta Pia, ponendo fine alla sovranità temporale dei "papi re". Il re Vittorio Emanuele II, dopo la battaglia di Sedan che aveva segnato la sconfitta di Napoleone III imperatore dei francesi e protettore del potere temporale papale, inviò il 7 settembre 1870 una lettera a tutte le potenze europee nella quale si esponevano i motivi della futura presa di Roma, ribadendo però le garanzie e le tutele alla persona del Sommo Pontefice. Inviò tra l'altro il conte Ponza di San Martino, che giunse a Roma il 9 settembre, a sondare gli animi: costui prima parlò con il cardinale Antonelli, Segretario di Stato e poi con Pio IX. Entrambi ribadirono la posizione di non accettazione dell'inclusione dei territori della Santa Sede nel neonato Regno d'Italia. Alle profferte dell'emissario del re il pontefice rispose: « Maestà, Il conte Ponza di San Martino mi ha consegnato una lettera, che a V.M. piacque dirigermi; ma essa non è degna di un figlio affettuoso che si vanta di professare la fede cattolica, e si gloria di regia lealtà. Io non entrerò nei particolari della lettera, per non rinnovellare il dolore che una prima scorsa mi ha cagionato. Io benedico Iddio, il quale ha sofferto che V.M. empia di amarezza l'ultimo periodo della mia vita. Quanto al resto, io non posso ammettere le domande espresse nella sua lettera, né aderire ai principii che contiene. Faccio di nuovo ricorso a Dio, e pongo nelle mani di Lui la mia causa, che è interamente la Sua. Lo prego a concedere abbondanti grazie a V.M. per liberarla da ogni pericolo, renderla partecipe delle misericordie onde Ella ha bisogno. » (11 settembre 1870) A metà settembre del 1870 due divisioni dell'esercito italiano, al comando di Raffaele Cadorna, entrarono nel Lazio ed il 18 settembre giunsero sotto le mura Aureliane. Vista la disparità delle forze in campo e considerata l'inutilità di uno scontro armato, il pontefice ordinò agli zuavi pontifici un'opposizione solo formale allo scopo di evitare spargimenti di sangue e di rendere comunque evidente la violenza subìta, con il proposito «di aprire trattative per la resa ai primi colpi di cannone»[18]. Il 20 settembre Roma fu attaccata e occupata. Alla fine degli scontri si contarono 49 caduti tra l'esercito sabaudo e 19 tra i pontifici. Il Papa si ritirò nel Vaticano rifiutando di riconoscere il nuovo Stato e dichiarandosi prigioniero politico. Questa situazione, indicata come Questione romana, perdurò fino ai Patti Lateranensi del 1929 sottoscritti in accordo col governo fascista. Conseguentemente Pio IX, in data 10 settembre 1874, promulgò il famoso non expedit con il quale veniva palesemente sconsigliata la partecipazione di ecclesiastici e cattolici alla vita politica del neo Stato italiano, nato da un violento atto contro lo Stato della Chiesa. Il 13 maggio 1871 fu promulgata la Legge delle Guarentigie, con la quale lo Stato italiano stabiliva unilateralmente i diritti ed i doveri dell'autorità papale. Il 21 agosto 1871 Pio IX scrisse a re Vittorio Emanuele II esprimendo le ragioni per cui non poteva accettare la legge. Fino alla sua morte il Papa continuò a definirsi «prigioniero dello Stato italiano». Papa Pio IX morì a Roma il 7 febbraio 1878 dopo aver ripetuto più volte Parti o anima cristiana baciando il crocifisso e l'immagine della Madonna. Fu sepolto in Vaticano. Nel proprio testamento, il pontefice aveva designato come luogo definitivo di sepoltura la basilica di San Lorenzo al Verano.[19] Nel luglio del 1881 avvenne la traslazione della salma. Fu organizzata una cerimonia pubblica, che iniziò alla mezzanotte tra il 12 e il 13 luglio, secondo l'uso dell'epoca.[20] Ad accompagnare la salma del pontefice lungo le strade si accalcarono migliaia di cittadini. Numerosi elementi anticlericali prepararono manifestazioni di protesta. Nonostante fossero prevedibili scontri, non fu organizzato un visibile dispiegamento di polizia. Il governo italiano era restio ad organizzare un servizio di sicurezza adeguato per, così si argomentava, non creare l'impressione di un omaggio ad una figura che aveva ritardato l'Unità d'Italia. D'altro canto gli ambienti ecclesiastici non vollero utilizzare le forze di sicurezza vaticane perché sarebbe stato un implicito riconoscimento della legge delle Guarentigie che le aveva istituite. La cerimonia fu interrotta da un gruppo di anticlericali che tentarono di impossessarsi del feretro, al grido di «al fiume il papa porco», attaccando il corteo funebre con sassi e bastoni nell'evidente intento di gettare la salma di Pio IX nel Tevere. I fedeli, tranne pochi animosi, rimasero sostanzialmente passivi.[21] Solo la pronta reazione della polizia evitò gravi incidenti; furono richiamati rinforzi provenienti dall'esercito (ai militari, infatti, era stato imposto di restare consegnati in caserma in via precauzionale). Solo dopo alcune ore il corteo funebre poté riprendere la processione sino a San Lorenzo in una situazione di relativa tranquillità. L'episodio ebbe risonanza internazionale: l'Italia apparve come un paese in cui era possibile attaccare una persona anche oltraggiandone le spoglie mortali.[21] Vi furono conseguenze politiche: il prefetto di Roma venne rimosso dall'incarico e il governo Depretis dovette rispondere a numerose interrogazioni parlamentari sulla vicenda. Il ministero degli Esteri inviò una lettera circolare alle monarchie europee per spiegare l'origine degli scontri. Pio IX, nonostante fosse il Pontefice, amava definirsi un "parroco di campagna". La sua vita privata infatti si svolgeva come quella di un semplice sacerdote. Si alzava alle sei del mattino, per un'ora rimaneva nella sua camera in preghiera su un inginocchiatoio di fronte ad un crocifisso[22]. Celebrava la Messa e poi assisteva ad un'altra di ringraziamento, durante la quale recitava le ore canoniche e le preghiere di pietà con un libretto appartenuto alla madre. Dai tempi del Collegio degli Scolopi amava pregare la "corona delle Dodici Stelle" una preghiera composta da san Giuseppe Calasanzio in cui ci si rivolge a Maria preservata dal peccato originale. Dopo le preghiere si dedicava alle udienze concesse sia agli uomini importanti sia ai semplici fedeli. Ogni giovedì riceveva, inoltre, petizioni da chiunque e ogni 14 del mese riceveva tutti in pubblica udienza. Alle due terminava le udienze e si recava a pranzo. Non voleva che si consumassero più di uno scudo romano al giorno per i suoi pasti[22]. Dopo pranzo amava fare passeggiate o andare in carrozza per la città[22]. Tornato in Quirinale scriveva e poi recitava il Vespro. Dopo la cena riceveva il suo confessore e si ritirava nella cappella privata a pregare dinanzi al tabernacolo[22]. Ricordava spesso l'importanza di pregare Gesù Eucaristico, al quale si poteva confidare tutto. Al marchese Cavalletti che intendeva offrirgli una sedia pontificale dorata e gli proponeva il titolo di papa Pio Magno, il Papa l'8 agosto 1871 rispose di impiegare il denaro per la cattedra per il riscatto dei seminaristi dal servizio militare e declinò con umiltà il titolo onorifico, perché tutti gli onori fossero riservati al Signore[23]. Si narra che avesse una devozione per la medaglia miracolosa e che usasse tenerla sempre con sé[senza fonte]. Papa Paolo VI, ripercorrendo il magistero del suo predecessore, evidenziò alcuni punti ritenuti da lui importanti su Pio IX: Fu anzitutto uomo di Dio e di preghiera. Egli stesso fra i suoi propositi di sacerdote appena consacrato mise: «Pregare Iddio moltissimo onde insegni la scienza delle sue strade per adempiere alla sua volontà». Amava stare tra la gente ed elargì numerose elemosine, promosse iniziative benefiche, come la fondazione di asili, di ricoveri per anziani, poveri e indigenti. Uomo di pietà, che elesse patrono della Chiesa universale, l'8 dicembre 1867, san Giuseppe, visto come il capo della rinnovata Sacra Famiglia formata da tutti i figli e tutte le figlie della Chiesa. Fu anche un Papa che si prodigò moltissimo per la riforma del clero con una capillare azione pastorale. Con l'aiuto dei vescovi diocesani, fece molto e con successo per ristabilire la gerarchia cattolica e seppe suscitare una nascita senza precedenti di società e associazioni sacerdotali per aiutare e sostenere la vita spirituale e lo zelo pastorale. Sentì anche l'urgenza di rinnovare la vita religiosa, con la ripresa degli Ordini e delle Congregazioni religiose, che con lui conoscono uno sviluppo senza precedenti. Fondò numerosi istituti maschili e femminili dedicati soprattutto all'apostolato presso i poveri, all'insegnamento e le missioni. Dai Salesiani di don Bosco ai Missionari di Scheut del padre Verbist, dai padri Bianchi alle suore Bianche del cardinale Lavigerie, dai padri di Mill Hill del cardinale Vaughan ai comboniani di Verona. Pio IX affermò: «Nelle Corporazioni Religiose la Chiesa trova aiuto, appoggio e sostegno in ogni maniera. In esse la Chiesa trova missionari da spingere nei più lontani e selvaggi punti del globo, predicatori per annunziare la divina parola, amministratori dei sacramenti». Incoraggiò una fecondissima stagione missionaria con un'azione evangelizzatrice della Chiesa veramente senza precedenti. Missionari si recarono in ogni parte del mondo dall'America all'Asia, dall'Africa all'Australia. Dal 1846 al 1878 furono erette 206 nuove diocesi e vicariati apostolici. Incoraggiò l'unità dei cristiani, erigendo nel 1862 una Congregazione per i cattolici orientali e lanciando i suoi appelli alle Chiese di oriente[24] e di occidente separate da Roma. Fu un movimento ecumenico ante litteram, che preparò la Chiesa al moderno dialogo ecumenico. Svolse un ruolo fondamentale nella storia della Chiesa e della teologia: la promulgazione del dogma dell'Immacolata Concezione ed il Concilio Vaticano I sono eventi di enorme portata per la storia della Chiesa. Paolo VI afferma sui pronunciamenti del Concilio Vaticano I: «...sono come fari luminosi nel secolare sviluppo della teologia, e come altrettanti punti fermi nel turbine dei movimenti ideologici che caratterizzarono la storia del pensiero moderno, e posero i presupposti di un dinamismo di studi e opere, di pensiero e di azione, che doveva culminare, nella nostra epoca, nel Vaticano II che espressamente si è richiamato al Vaticano I». La costituzione Pastor Aeternus e il dogma dell'infallibilità pontificia sono considerati, da papa Paolo VI e da molti teologi novecenteschi, l'architrave della moderna costruzione ecclesiologica e i precursori della costituzione apostolica Lumen Gentium, la «magna charta» del Concilio Vaticano II. In realtà tra i due documenti c'è una dicotomia sostanziale. La costituzione "Pastor Aeternus", fissa dei principi per una costituzione monarchica ed infallibile del Magistero Papale, mentre la costituzione "Lumen Gentium" estende questo Magistero all'episcopato con il termine di collegialità. Fu necessaria una nota dello stesso Paolo VI per cercare di chiarire molti dubbi del documento stesso: la famosa "Nota explicativa praevia". Il suo atteggiamento verso le conquiste della tecnica fu più benevolo rispetto a quello del precedente pontificato, caratterizzato dalle condanne del segretario di Stato cardinale Lambruschini, tanto che nel 1865 papa Pio IX approvò formule di benedizione per il telegrafo e le ferrovie[25]. Governo della chiesa universale[modifica | modifica sorgente] Durante il suo pontificato, Pio IX eresse 206 nuove diocesi e vicariati apostolici. Ricostituì il Patriarcato Latino di Gerusalemme con giurisdizione sopra la diocesi unita di Palestina, Giordania e Cipro (23 luglio 1847). Il pontefice restaurò la gerarchia cattolica in Inghilterra (1850, Bolla Universalis Ecclesiae). Nominò Nicholas Wiseman arcivescovo di Westminster. Il pontefice ristabilì la normale gerarchia anche in Olanda (1853). Numerosi furono le beatificazioni (222) e canonizzazioni (52) sotto il pontificato di Pio IX. Un primo elenco include San Paolo della Croce (beatificato nel 1853 e canonizzato nel 1867) e lo spagnolo Pietro d'Arbués. Pio IX inoltre canonizzò i ventisei cristiani giapponesi martirizzati nel 1597. Pio IX inoltre proclamò San Giuseppe «patrono della Chiesa universale» e conferì il titolo di dottore della Chiesa a Sant'Ilario di Poitiers, a San Francesco di Sales e a Sant'Alfonso Maria de' Liguori. L'8 febbraio 1878, ad appena 24 ore dalla morte del Papa, il Terz'Ordine francescano di Vienna, espresse l'augurio, al di fuori dell'ufficialità, che «il Padre di tutta la cristianità potesse esser beatificato senz'alcun indugio». Fu Pio X (1903-1914) il primo pontefice a promuovere le inchieste preliminari sulla sua fama di santità, nel 1904[26]. Formalmente, la causa di beatificazione ebbe inizio solo l'11 febbraio 1907. Il processo fu condotto nell'arco di quindici anni, dal 1907 al 1922, interrogando i testimoni a Senigallia, a Spoleto, a Imola e, infine, a Roma, Napoli e Gaeta. Si raccolsero in tutto 243 testimonianze; l'enorme materiale raccolto confluì quindi in una ponderosa miscellanea di ben 12 grossissimi volumi, e nel 1952 se ne estrasse il Summarium di 1159 pagine che, esaminate in ogni loro particolare, portarono il 7 dicembre 1954 al decreto per l'introduzione della causa, cioè per la fase apostolica del processo. Dopo che quattro cardinali (Pietro Parente, Sergio Guerri, Umberto Mozzoni e Pietro Palazzini) il 6 novembre 1973 inoltrarono una supplica a papa Paolo VI perché disponesse la ripresa della causa, si conobbero le 13 obiezioni emerse durante le sedute preparatorie. La postulazione nominò allora un nuovo Patrono che, il 7 ottobre 1984, presentò una risposta ad ognuna delle 13 obiezioni, che fu giudicata, dalla commissione per la causa di beatificazione, esauriente ed ineccepibile, anche sul piano metodologico, e il 6 luglio 1985 Pio IX fu nominato venerabile. Venne nominato beato il 3 settembre 2000 dopo che la Chiesa cattolica riconobbe l'autenticità del miracolo ottenuto da suor Marie-Thérèse de St-Paul e l'intercessione di papa Pio IX. La suora di 37 anni soffriva di una sintomatologia dolorosa durata 11 anni a causa della frattura di una rotula con notevole diastasi dei frammenti ab initio con pseudoartrosi. La consulta medica nominata dalla Congregazione delle Cause dei Santi, che era stata nominata per verificare la compatibilità dell'evento con l'attestazione miracolistica, dichiarò in merito alle "modalità di guarigione": «Scomparsa dei dolori e miglioramento della funzionalità dell'arto verificatisi improvvisamente dopo circa undici anni di persistenza della sintomatologia dolorifico-funzionale. Guarigione rapida, completa e duratura, non spiegabile secondo le attuali conoscenze mediche»[27]. Gli storici critici accusarono Pio IX di machiavellismo, ambiguità e cinismo ricordando le seguenti vicende: Durante il pontificato di Pio IX vennero eseguite numerose condanne a morte di 'rivoluzionari' che si opponevano al potere temporale della Chiesa. Tra i casi più noti, quello di Girolamo Simoncelli, esponente di rilievo della Repubblica romana, e di Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, autori quest'ultimi di un attentato a Roma nel quale perirono 31 persone[28]. In generale, è criticata la macabra ritualità con cui il boia di Roma Mastro Titta, al secolo Giovan Battista Bugatti, che concluse il suo mandato sotto Pio IX, eseguiva le sentenze capitali. Il caso Edgardo Mortara, il bambino ebreo sottratto con la forza alla sua famiglia poiché, a causa di un presunto battesimo impartito all'insaputa dei genitori, doveva, secondo la legge pontificia, essere educato secondo la religione cattolica. Il caso destò riprovazione e scandalo sulla stampa e fra l'opinione pubblica internazionale; spesso infatti Pio IX è stato accusato di antisemitismo e di convertire forzatamente giovani ebrei al cattolicesimo[29]. Tuttavia lo stesso Mortara fu sempre grato al pontefice e divenne sacerdote assumendo il nome di Pio Maria, proprio in onore di Pio IX[30]. Il caso Mortara non si sarebbe mai verificato se i genitori del bambino, ebrei bolognesi, avessero seguito ferreamente gli obblighi discriminatori di legge che vietavano agli ebrei di tenere in casa domestiche cattoliche (il bimbo, ritenuto dalla fantesca a servizio dei Mortara in stato di pericolo di vita, fu infatti da questa asperso d'acqua benedetta, a far ciò indotta dal proprio parroco dopo essersi ingenuamente consultata con esso). Nel 1860, dopo il passaggio di Bologna dallo Stato Pontificio al Regno d'Italia, l'Inquisitore bolognese, il p.domenicano Feletti, venne arrestato con l'accusa di rapimento: dopo alcuni mesi fu comunque prosciolto dall'accusa, in quanto aveva agito in accordo con le leggi vigenti al momento del fatto, e rimesso in libertà[31]. Nel 1852 le autorità austriache, al fine di poter eseguire la condanna a morte, richiesero la sconsacrazione di don Enrico Tazzoli che venne negata dal vescovo di Mantova. Sconfessando la decisione del proprio vescovo, Pio IX ordinò la sconsacrazione del sacerdote, così permettendone l'impiccagione e sollevando il disprezzo dei patrioti italiani[32]. Secondo il giurista e storico Arturo Carlo Jemolo, il giudizio di Vincenzo Gioberti e Luigi Carlo Farini, della gran parte dei liberali e persino dei repubblicani fu favorevole rispetto al Papa come uomo e come sacerdote, pur detestandolo come monarca. Arturo Carlo Jemolo, non potendo essere presente ad un convegno di studio sulla figura di Pio IX, del 1973 scrisse in una lettera: «Il periodo di Pio IX fu pure quello dell'anticlericalismo più virulento; peraltro pure quelli che inveivano contro il papa del Sillabo, contro il tenace difensore dei potere temporale... non poterono mai colpire l'uomo né il sacerdote. Gioberti e Farini riconobbero in Pio IX il sacerdote pio, il credente senza ombra di dubbio, l'uomo superiore ad ogni sospetto. Non papa politico... C'era in lui l'idea del dovere, dei giuramenti prestati, la distinzione tra il compito dell'uomo che in date posizioni deve agire in un determinato modo e la parte di Dio, che può confondere ogni previsione umana e far sì che anche i più santi desideri non siano esauditi. Giudicò tutto dal punto di vista religioso. La popolarità di Pio IX nel mondo cattolico fu immensa. Ben si disse che iniziò con Pio IX il "culto personale" verso il pontefice. Pur pastore di tutta la cattolicità, nel fondo del cuore si sentiva anzitutto italiano che non avrebbe mai potuto vivere in un esilio transalpino. In lui era l'umanità dell'uomo, quel suo riconosciuto candore, quella sua bonarietà che impediva anche alla più gran parte dei liberali, agli stessi repubblicani di odiarlo veramente; potevano detestare la funzione, l'abito, ma avvertivano il calore umano, la profonda bontà dell'uomo; essi, per lo più non credenti, avvertivano con uno stupore non scevro di rispetto, il prodigio di quegli che accetta, nonché senza rancore, senza neppure una profonda tristezza, la volontà di Dio, se pure suoni sconfitta delle tesi che egli ha sempre sostenuto, seppure ad occhi umani possa apparire una propria umiliazione». Le Stragi di Perugia del 20 giugno 1859, dove le truppe papali repressero nel sangue i moti nazionali risorgimentali umbri con l'ordine, firmato dal commissario sostituto del ministro alle armi Cavalier Mazio, di «decapitare i rivoltati che si trovassero nelle case»[33]. Nel novembre del 1864 emise l'enciclica Quanta cura sui mali della modernità, seguita l'8 dicembre 1864 dal Sillabo con una lista di errori del liberalismo e delle altre ideologie nascenti (socialismo e comunismo). Si dichiarò nemico del secolarismo, del razionalismo e del modernismo in tutte le sue forme. Il Concilio Vaticano I, che come principale risultato enunciò il principio dell'infallibilità del Papa. Il dogma a quel tempo fu contestato sia in ambienti laici che religiosi (diede anche luogo ad uno scisma) e riceve ancora oggi le critiche di teologi affermati come Hans Küng. Nel 1874 istituì il non expedit, locuzione latina con la quale espresse l'invito ai cattolici di disertare le elezioni politiche del Regno d'Italia: non expedit significa appunto "non conviene". Tale mossa fu concepita allo scopo di delegittimare gli uomini al potere nella neo-nata Italia liberale[34]. Il caso della canonizzazione dell'inquisitore spagnolo Pietro d'Arbués, noto per la persecuzione contro gli ebrei conversos[35]. Fu ucciso nella cattedrale di Saragozza, il suo assassinio fu attribuito agli stessi conversos ed è considerato martire.

Papa Leone XIII (in latino: Leo PP. XIII, nato Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci; Carpineto Romano, 2 marzo 1810 – Roma, 20 luglio 1903) è stato il 256º papa della Chiesa cattolica (dal 1878 alla morte).

È ricordato nella storia dei papi dell'epoca moderna come pontefice che ritenne che fra i compiti della Chiesa rientrasse anche l'attività pastorale in campo socio-politico. Se con lui non si ebbe la promulgazione di ulteriori dogmi dopo quello dell'infallibilità papale solennemente proclamato dal Concilio Vaticano I, egli viene tuttavia ricordato quale papa delle encicliche: ne scrisse ben 86, con lo scopo di superare l'isolamento nel quale la Santa Sede si era ritrovata dopo la perdita del potere temporale con l'unità d'Italia. La sua più famosa enciclica fu la Rerum Novarum con la quale si realizzò una svolta nella Chiesa cattolica, ormai pronta ad affrontare le sfide della modernità come guida spirituale internazionale. In questo senso correttamente gli fu attribuito il nome di "Papa dei lavoratori" e di "Papa sociale", infatti scrisse la prima enciclica esplicitamente sociale nella storia della Chiesa cattolica e formulò quindi i fondamenti della moderna dottrina sociale della Chiesa. Nelle sue opere a favore della chiesa venne aiutato dal fratello Giuseppe, elevato al grado di Cardinale dallo stesso Leone XIII nel 1879. Leone XIII è noto anche per essere stato il primo Papa, dopo mille anni di Storia, a non esercitare il potere temporale, perché impedito dalla recente occupazione italiana, destinata a perdurare per un sessantennio. Vincenzo Gioacchino Pecci nacque il 2 marzo 1810 a Carpineto Romano (che a quei tempi faceva parte del Primo Impero francese) da Ludovico Pecci e Anna Prosperi Buzzi. Tra i fratelli vi fu il cardinale Giuseppe Pecci e il conte Giovanni Battista Pecci, che proprio a Carpineto Romano nel 1865 fece da padrino all'ordinazione sacerdotale di sant'Antonino Fantosati. La famiglia apparteneva alla piccola nobiltà rurale. Il padre era commissario di guerra e colonnello. Già in gioventù Vincenzo Gioacchino Pecci si segnalò quale ragazzo dotato con una particolare predilezione per lo studio della lingua latina. Egli fu allievo del collegio dei gesuiti di Viterbo e, dal 1824 al 1832, studiò teologia presso il Collegium Romanum. La formazione per il servizio diplomatico e amministrativo pontificio presso l'Accademia dei Nobili a Roma occupò Vincenzo Gioacchino Pecci dal 1832 al 1837, anno in cui egli fu ordinato sacerdote. Già nel 1838 fu inviato quale delegato papale a Benevento, città appartenente allo Stato Pontificio. In seguito, con la stessa funzione fu mandato a Perugia. Nel 1843 papa Gregorio XVI lo nominò arcivescovo titolare di Damiata; la cerimonia si svolse in San Lorenzo in Panisperna. Dopo essere stato inviato nel 1843 quale nunzio in Belgio – esperienza giovanile che gli lasciò una particolare predilezione per il mondo francofono, la cui stampa egli leggeva regolarmente[2]. Tuttavia il suo sostegno all'episcopato belga, che si trovava in conflitto col governo in merito all'istruzione giovanile, gli causò la richiesta alla Santa Sede di allontanamento da parte di re Leopoldo I, che naturalmente dovette essere accettata[3]. Il 19 gennaio 1846 fu nominato arcivescovo ad personam di Perugia. Nella città umbra Pecci restò dal 1846 al 1877, ossia per più di trent'anni, nonostante in quel periodo fosse stato nominato cardinale, si dice perché fosse considerato un ribelle dal potente Cardinal Segretario di Stato Giacomo Antonelli[4]. In questi anni, nonostante i difficili rapporti col nuovo stato italiano, realizzò nel territorio diocesano oltre cinquanta chiese (dette chiese Leonine) ed altri edifici. Fu nominato cardinale nel concistoro del 19 dicembre 1853 e successivamente camerlengo della Chiesa cattolica, dopo la morte del cardinal segretario di Stato Antonelli. Il 20 febbraio 1878 fu eletto papa, all'età di 68 anni, come successore di papa Pio IX dopo un conclave di soli due giorni, il primo dopo la fine del millenario potere temporale dei papi. L'incoronazione di Leone XIII ebbe luogo nella Cappella Sistina il 3 marzo 1878. La sua salute cagionevole lasciava presagire un pontificato di transizione. Esso si sarebbe rivelato invece addirittura il terzo per durata all'epoca[5] (considerando anche san Pietro) e, solo nel 2004, è stato superato da quello di papa Giovanni Paolo II[6]. La scelta del nome Leone (in omaggio a papa Leone XII che ammirò molto in gioventù) costituì un primo segno che il nuovo Papa intendeva perseguire un mutamento nell'impostazione del papato rispetto al proprio predecessore. Il pontificato di Leone XIII s'inserì in un'epoca di progressiva laicizzazione della società. Tale circostanza comportò una serie di tensioni fra il Vaticano e vari governi. Papa Leone XIII seppe fare opera di mediazione tra le istanze legate alla modernità e la posizione intransigente presa dal suo predecessore papa Pio IX. In Italia egli proseguì tuttavia la ferma opposizione al Regno d'Italia, mantenendo il Non expedit e impedendo dunque la partecipazione dei cattolici italiani alle elezioni e, in generale, alla vita politica dello Stato. In seguito alla proposta di un Comitato internazionale composto da grandi personalità[7], rappresentative degli ambienti culturali e politici europei, si pianificò l’iniziativa della erezione di un monumento a Giordano Bruno in Roma. In reazione alla netta opposizione della Santa Sede, nel gennaio del 1888 si organizzarono manifestazioni a favore del monumento da parte degli studenti romani, represse dalla polizia con scontri e arresti, sino ad arrivare alla chiusura dell’Università di Roma. In seguito alle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Roma del giugno 1888, i liberali ottennero la maggioranza grazie al sostegno nei confronti dell’iniziativa, e nel dicembre il nuovo Consiglio concesse lo spazio di Campo de' Fiori per l’erezione del monumento, ottenendo anche l’approvazione del capo del governo Francesco Crispi[8]. Leone XIII, rinunciando a lasciare Roma, come in realtà aveva minacciato, rimase tutto il giorno in digiuno e in raccoglimento davanti alla statua di S. Pietro. Quindi il 30 giugno 1889 pronunciò una solenne allocuzione di condanna e di protesta per l’oltraggio che affermava di avere subito, denunciando la "lotta a oltranza contro la religione cattolica" da parte di un mondo moderno ostile alla Chiesa e a Dio. Quanto a Bruno, l’allocuzione papale confermava in pieno la legittimità della condanna e del rogo: "non possedeva un sapere scientifico rilevante" mentre aveva avuto "stravaganze di debolezza e corruzione"[8]. La celebrazione del 9 giugno 1889 apparve un evento di portata europea: i sentimenti a favore della libertà scientifica e contro l'oscurantismo religioso vennero espressi in una imponente manifestazione. L'oratore ufficiale, Giovanni Bovio, disse che il papa soffriva di più le celebrazioni di quella giornata che la perdita dello Stato della Chiesa[9]. In Germania, con una serie di concessioni a Bismarck Leone XIII seppe - opponendosi anche al Partito cattolico tedesco, la Zentrumspartei – porre termine alla Kulturkampf. Pure in Francia – suscitando anche lì il malcontento dei settori cattolici più conservatori – invitò i cattolici al rappacificamento con la Terza Repubblica, malgrado quest'ultima, governata da maggioranze vieppiù radicali e anticlericali, avviasse un programma di progressiva secolarizzazione delle istituzioni, a iniziare dal settore scolastico. Tale evoluzione sfociò, nel 1905, dopo la morte di Leone XIII, nella separazione fra Stato e Chiesa. Maggior successo ebbe la politica del Pontefice nelle controversie aperte con la Svizzera e con i Paesi dell'America Latina. Vi furono i primi contatti con gli Stati Uniti d'America e con la Russia e pure le relazioni con il Regno Unito e la Spagna migliorarono. La statura internazionale del Papa – pur non raggiungendo il livello di coinvolgimento politico e di influenza a cui Leone XIII mirava - si accrebbe anche grazie alla mediazione che egli svolse sia nel conflitto delle Isole Caroline sia per la guerra ispano-americana del 1898. Nella sua enciclica Immortale Dei del 1885 affrontò il problema del ruolo dei cattolici negli stati moderni, negando il conflitto tra scienza e religione nell'Aeterni Patris del 1879. La sua enciclica Rerum Novarum, pubblicata nel 1891, è considerata il testo fondativo della moderna dottrina sociale cristiana. La Rerum Novarum affronta il problema dei diritti e dei doveri del capitale e del lavoro, cercando di mediare tra le posizioni di orientamento socialista e rivoluzionario e quelle proprie del liberismo economico di impronta capitalista, inaugurando una riflessione sui problemi del lavoro nel mondo moderno successivamente ripresa e approfondita nel 1931 dalla Quadragesimo Anno di papa Pio XI, dalla Mater et Magistra di papa Giovanni XXIII del 1961, dalla Populorum progressio di papa Paolo VI del 1967 e, più di recente, (1991), dalla Centesimus Annus di papa Giovanni Paolo II. Fu particolarmente attivo dal punto di vista dell'insegnamento, fondando istituti di filosofia e università cattoliche in diverse città (Lovanio, Washington), ed aprì agli studiosi parte degli archivi segreti del Vaticano. Importante anche l'incentivo ad alcune cause di beatificazione e canonizzazione; ad esempio fu lui a canonizzare Chiara da Montefalco e ad ordinare, il 19 dicembre 1878, la riapertura del processo di canonizzazione di Camilla da Varano, ossia la beata Battista, processo che peraltro giungerà a felice conclusione solo nell'ottobre 2010 ad opera di Benedetto XVI. Anche quando era sulla novantina il Pontefice continuava ancora assiduamente lo studio della lingua latina, nella quale fu pensatore profondo e poeta elegante, come dimostra il sapore di classicismo e il non comune pregio letterario delle sue encicliche. Il suo metodo di vita era molto semplice: dormiva pochissimo, parco di cibi ed amante delle passeggiate in giardino. Non fumava[10]. Oltre alle passeggiate, nel mite autunno romano si dilettava uccellando al rocolo fatto piantare appositamente nei giardini del Vaticano ma, quando riusciva a prendere gli uccelli che cadevano nelle reti, li accarezzava e quindi li rimetteva in libertà. Altrettanto faceva con le tortore, che gli venivano offerte come simbolo nelle funzioni di beatificazione e di canonizzazione. Il suo regime nutritivo era modestissimo: qualche tazzina di brodo ristretto, molti tuorli d'uovo con un po' di marsala, un'ala di pollo al mattino, appena un mezzo petto alla sera. In tutto il giorno due dita di vino di Bordeaux, del più vecchio e del più generoso fornitogli dai conventi locali. Fu grande amante del vino Mariani, del quale vantava i prodigiosi effetti. La sua memoria era molto sviluppata: non solo ricordava tutti i più piccoli incidenti della sua vita giovanile e dell'adolescenza, ma anche le letture fatte sia di recente che nel più lontano passato. Fu un dantista appassionato e un lettore assiduo di giornali. Sua grande letizia era dialogare con persone più anziane di lui, dalle quali si informava con vivo interesse delle abitudini di vita. La sua tarda età lo costringeva a servirsi, nel passeggio, di un bastone, sul quale appoggiava il corpo sul lato destro, ma quando scorgeva da lontano una persona estranea alla famiglia pontificia faceva ogni sforzo per camminare senza l'aiuto del bastone, facendolo passare con disinvoltura da una mano all'altra. Fu il primo pontefice ad essere ripreso da una cinepresa. In quell'occasione il Papa si apprestò a dare la sua prima benedizione mediatica[11]. Nelle insonnie della sua tarda età a volte formava nella mente un distico latino. Egli allora scendeva dal letto[12], si accostava al tavolo, senza rumore per non svegliare il suo fidato cameriere Pio Centra che dormiva in anticamera, e al fioco lume della lampada da notte scriveva i versi che aveva pensato. E talvolta indugiava ad aggiungerne altri che gli sgorgavano dalla lucida mente. Lo coglievano talvolta dei raffreddori che poi, al divenire di dominio pubblico, erano scambiati per reali malattie. Non voleva saperne di stufe e caloriferi, voleva soltanto il braciere ciociaro in mezzo alla camera. Solo negli ultimi tempi, grazie al dottor Lapponi, si lasciò persuadere ad adottare un adeguato sistema di riscaldamento[13]. Dopo una lunghissima agonia, Leone XIII morì il 20 luglio 1903 alle ore 16. La Domenica del Corriere del 26 luglio del 1903 scrisse: « La storia ricorderà a lungo la lotta che il pontefice sostenne con la morte, quantunque tutti prevedessero che in causa della tarda, eccezionale età egli non potesse giacere a lungo malato. Dal 5 luglio i fedeli s'attendevano ogni mattina l'annuncio del decesso. I romani accorrevano in piazza San Pietro per osservare la finestra della camera da letto e trarre oroscopi dalla durata del tempo che rimaneva aperta per il cambio d'aria, ma ognuno apprendeva tosto con lieto stupore che l'illustre infermo aveva ricevuto i suoi cardinali, s'era occupato delle faccende relative al governo della chiesa, era passato dal letto su la poltrona e persino aveva all'indomani dell'estrema unzione corretto le bozze della sua ultima poesia in latino. Con l'ostinazione dei fanciulli e dei vecchi vigorosi, Leone XIII si è spesso ribellato alle ingiunzioni dei suoi medici, a dir la verità senza immediato suo danno. » Pochi mesi prima di morire, il 5 febbraio 1903, l'ultranovantenne pontefice incise su di un disco (Bettini Phonogramme-B mx 1-D) l' "Ave Maria", declamata in latino, e l'apostolica benedizione: grazie all'invenzione del fonografo, la parola del papa poté arrivare ai cattolici di ogni parte del mondo. Il suo pontificato durò 25 anni, anche se, al momento della sua elezione, a molti appariva vecchio, stanco, malaticcio; gli tremava la mano per un salasso mal fatto. Il papa si era confidato: «Dovrete far presto un nuovo conclave». Invece, si arrivò a dire che tra i suoi collaboratori circolasse una battuta: «Credevamo di eleggere un Santo Padre, abbiamo eletto un Padre Eterno»[14]. Leone XIII fu sepolto nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Il conclave successivo alla sua morte fu più breve di quanto comunemente previsto: iniziò la sera del 31 luglio 1903 e terminò il 4 agosto. Fra i 62 cardinali convenuti, le tendenze erano due: continuare la politica del Pontefice scomparso (con colui che era stato accanto al Papa come segretario di Stato, Mariano Rampolla del Tindaro), o cambiare rotta. Ed a sorpresa (anche per influenze esterne) venne eletto il cardinale Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia, che prenderà il nome di Pio X. Papa Leone XIII scrisse moltissime encicliche nel suo lungo pontificato. Il sito ufficiale del Vaticano ne censisce ben 86.

PERIODICAMENTE CONTINUERÒ GLI INSERIMENTI FINO AL COMPLETAMENTO.