“Non Abbiamo Fatto Che Il Nostro Dovere

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“Non Abbiamo Fatto Che Il Nostro Dovere present_present.qxd 05/05/17 14:20 Pagina 1 ISTITUTO STORICO SALESIANO – ROMA STUDI – 12 present_present.qxd 05/05/17 14:20 Pagina 2 A quanti hanno voluto non fuggire, esserci e per tutti present_present.qxd 05/05/17 14:20 Pagina 3 ISTITUTO STORICO SALESIANO – ROMA STUDI – 12 FRANCESCO MOTTO «NON ABBIAMO FATTO CHE IL NOSTRO DOVERE» Salesiani di Roma e del Lazio durante l’occupazione tedesca (1943-1944) LAS – ROMA present_present.qxd 05/05/17 14:20 Pagina 4 © 2000 by LAS - Libreria Ateneo Salesiano Piazza dell’Ateneo Salesiano, 1 - 00139 Roma ISBN 88-213-0450-7 Tipografia: PIO XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma - Finito di stampare: giugno 2000 present_present.qxd 05/05/17 14:20 Pagina 5 PRESENTAZIONE «Ora poi l’Ispettoria romana sta salendo il suo Calvario. Le case di Lanuvio, Genzano, Grottaferrata, Castelgandolfo, Frascati, Capocroce, sono in parte danneggiate, esposte a pericoli gravissimi e continui, e quasi abbandonate: così dicasi di Littoria e di Gaeta. Le stesse case di Roma vivono ore tragiche e la situazione si fa sempre più penosa anche per le altre ispettorie» (Rettor Maggiore, Don Pietro Ricaldone ai Salesiani, 24 febbraio 1944) «Sappiamo per esperienza che i Salesiani sono assai pronti a fare il bene a costo anche di gravi sacrifici, ma anche sono piuttosto ritrosi, e alle volte, del tutto refrattari, a stendere la relazione di ciò che fanno», scriveva a guerra finita, il 22 ottobre 1945, il vicario del rettor maggiore dei Salesiani, don Pietro Berruti. A 50 anni di distanza, in risposta agli interrogativi storiografici più re- centi, l’Istituto Storico Salesiano ha reso di pubblica ragione l’opera umani- taria dei Salesiani di Roma e di Frascati durante i nove mesi dell’occupazione tedesca di Roma e dintorni (1943-1944). La risposta dell’opinione pubblica e degli storici è stata favorevole. La stampa, la radio e televisione ne hanno parlato a più riprese; protagonisti e testimoni ne hanno confermato l’attendibilità; gli studiosi ne hanno sottoli- neato il valore documentario e la valenza ideale: basti qui citare i recentissimi volumi di Gabriele DE ROSA (ed.), Cattolici, Chiesa, Resistenza (Il Mulino, Bologna 1997), di Antonio GASPARI, Nascosti in convento (Ancora, Milano 1999), di Alessandro PORTELLI, L’ordine è stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria (Donzelli Editore, Roma 1999) e di Enzo FORCELLA, La Resistenza in convento (Einaudi editore, Torino 1999). Non è mancato un riflesso anche all’estero: Margherita MARCHIONE, Yours is a precious witness. Memoirs of Jews and Catholics in Wartime Italy (New York 1997; trad. in ita- liano: Pio XII e gli ebrei. Pantheon, Roma 1999). La città di Roma e soprattutto la comunità ebraica ivi residente, con i loro più alti esponenti, hanno dimostrato la propria riconoscenza ai Salesiani non solo con varie manifestazioni in città (al teatro Argentina il 4 giugno 1994, all’istituto salesiano Pio XI il 13 ottobre 1994, al centro ebraico il 16 ottobre 1994, al Campidoglio il 23 successivo) ma anche con il promuovere la pratica onde ottenere dall’apposito Dipartimento del governo israeliano l’alto riconoscimento di Giusti fra le nazioni ‘alla memoria’ di due salesiani present_present.qxd 05/05/17 14:20 Pagina 6 6 Presentazione protagonisti: Don Francesco Antonioli e don Armando Alessandrini. L’esito fu favorevole e così dal 6 maggio 1997 i loro nomi si possono leggere sul Righteuous Honor Wall di Gerusalemme accanto ai Righteous among the nations, che, rischiando la vita, hanno salvato ebrei dai campi di sterminio durante la seconda guerra mondiale. Le valutazioni storiografiche sul ruolo della Chiesa nel tragico e straor- dinariamente complesso biennio 1943-1945, vale a dire gli anni della “tri- plice” guerra (di liberazione, civile, sociale) caratterizzata altresì dal cosid- detto «attendismo» o «zona grigia» o «passività attiva» di molti, soprattutto cattolici, non sono univoche; il dibattito sull’8 settembre come «catastrofe as- soluta» o come «spartiacque che indicava la via della ripresa e della riscossa» è tuttora apertissimo; il mito della «Resistenza tradita» è duro a morire e la «Resistenza armata» come l’unica vera Resistenza è un assioma difficile da scalfire anche a fronte della sempre più accertata natura polisemica della me- desima. Ma non c’è dubbio alcuno che la Chiesa di Roma nelle sue molteplici sedi (collegi e seminari pontifici, conventi maschili e femminili, catacombe e ospedali gestiti da religiosi, case parrocchiali e case private di sacerdoti…) nei «nove mesi di passione» ha nascosto, difeso e protetto chiunque fosse in pericolo: generali e ministri di Badoglio, militari in fuga, prigionieri ameri- cani e inglesi, ebrei e dirigenti di partiti antifascisti, alti burocrati e giovani a rischio di cattura e arruolamento, industriali e banchieri, vecchi gerarchi e professori universitari… E non raramente – ironia della sorte – nemici dichia- rati sono stati raccolti sotto lo stesso tetto. Anche quello dei Salesiani, alla Procura, alle catacombe di S. Callisto e altrove. Coglierà il senso della loro ospitalità Amilcare Rossi, un clandestino del- l’ultima ora, allorché scriverà: «Durante l’occupazione tedesca, don Virginio Battezzati aveva dato ospitalità a diecine e diecine di perseguitati politici e di militari ricercati in forza dei bandi della Repubblica Sociale. Trovava altrettanto giusto continuare ora quella buona norma, accogliendo con lo stesso spirito cri- stiano chi facesse appello a lui per sfuggire alla nuova persecuzione, non meno ingiusta e inumana, che si rivestiva di forme legali. Egli ne traeva anzi occa- sione per condurre o ricondurre a Dio, come esattamente intendeva e si espri- meva, quelle persone del secolo che la Provvidenza portava sulla sua strada». Più che di «doppio, triplo, quadruplo, quintuplo gioco che il Vaticano, a Roma, intrecciava con i tedeschi, i fascisti, gli antifascisti, la popolazione», come è stato affermato, era invece una precisa scelta di campo: porsi sempre dalla parte di chi sta nel maggior bisogno, attuare il comandamento della ca- rità cristiana anche a rischio della propria vita, amare e mettersi a servizio del fratello al di là della fede e del credo politico. Ne rende ragione il breve resoconto dell’attività salesiana che il Rettor present_present.qxd 05/05/17 14:20 Pagina 7 Presentazione 7 Maggiore tracciava per i lettori del “Bollettino Salesiano” nel marzo 1945: «Oltre alla missione educativa ed all’ordinario sacro ministero, le esigenze di guerra hanno impegnato, in questi anni, collegi e confratelli in tante forme di apostolato straordinario, che, se aumenta i sacrifici, dà il conforto di far un po’ di bene a chi ne ha bisogno. Un bel numero di Cappellani continua tuttora a prodigare l’assistenza spirituale sui fronti di combattimento e sui fronti del lavoro, fra gli internati e fra i prigionieri. Altri sacerdoti, col benevolo con- senso delle autorità, prestano tutte le cure possibili nelle carceri, fra gli ostaggi e fra i rastrellati, alleviandone i disagi e facilitando la chiarificazione di tante situazioni. Altri ancora si espongono anche a gravi pericoli per lo scambio dei prigionieri, degli ostaggi, dei feriti, degli ammalati. Vari collegi, più o meno sinistrati, hanno smistato i locali con profughi e sfollati. Altri si sono sobbarcati a vari sacrifici per ospitare giovani orfani ed abbandonati. Più d’una chiesa è stata trasformata persino in dormitorio». Nella stessa pagina sotto il titolo L’ora della carità leggiamo «Nel mondo, se togli quelli che fan del male, e quelli che lo subiscono, chi ci resta?, s’è chiesto uno dei più riflessivi autori contemporanei in una sua recente pubbli- cazione. Ci resta, a noi pare, chi, pur soffrendo dei mali comuni, trova nella Fede la forza non solo di sopportare le proprie sofferenze, ma di mettersi anche a servigio di quelle degli altri, per alleviarle e confortarle. È il miracolo del Cristianesimo che genera l’eroismo della carità». «Non abbiamo fatto che il nostro dovere», fu la semplice risposta di Don Armando Alessandrini al rabbino francese Zaoui, che al momento della liberazione di Roma si meravigliava della sollecitudine paterna accordata dai Salesiani dell’Istituto Pio XI a decine di ragazzi ebrei durante l’occupazione tedesca. «Io ho fatto soltanto il mio dovere di sacerdote – ripeteva fra gli applausi Don Carlo Torello mentre nel corso di una pubblica manifestazione in Comune a Littoria (Latina) gli veniva conferita la medaglia d’oro – ma se questa medaglia viene a me offerta quale umile servo di Don Bosco, l’accetto». Per un cristiano, per un sacerdote e un religioso, l’«ora della carità» è sempre l’ora presente; ma lo è ancor di più nei confronti di chi vive in pe - ricolosa clandestinità o in grave emergenza. E la vita della maggior parte dei romani nei nove mesi presi in considerazione fu decisamente in emergenza: emergenza fisica ed emergenza abitativa, emergenza psicologica ed emer- genza morale, emergenza religiosa ed emergenza spirituale. L’«ombrello pa- pale» attraverso la rete ecclesiastica romana rispose a molte di tali emergenze. Se oggi da ogni parte cresce l’appello alla storia, è però auspicabile che cresca pure l’appello a storici che ragionino con serenità sugli eventi, che li ri- costruiscono e valutino con l’animo sgombro da pregiudizi, e non si trasfor- present_present.qxd 05/05/17 14:20 Pagina 8 8 Presentazione mino in pubblici ministeri intenti solo ad accumulare prove a carico, a soste- nere a priori una causa che deve essere confermata da una ricostruzione del passato funzionale al risultato voluto. La vicenda di Roma, con la terribile razzia di ebrei nel ghetto e l’efferata strage delle Fosse Ardeatine, cui si ac- cenna anche in queste pagine, potrebbe essere presa a paradigma di dramma- tiche contrapposizioni interpretative, non ancora totalmente libere da granitiche certezze di natura ideologica e dai toni acuti della concitazione apologetica. Può essere salutare un’eventuale «purificazione della Memoria»; lo è ancor di più una conoscenza ampia e precisa della Memoria.
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