Chiesa Dei S.S. Severino E Sossio

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Chiesa Dei S.S. Severino E Sossio CHIESA DEI S.S. SEVERINO E SOSSIO via Bartolomeo Capasso n. 22, NAPOLI ALLEGATO alla scheda di catalogazione A-CEI SOMMARIO 1. Analisi storica e descrittiva 2. Archeologia 3. Geologia e Geotecnica 4. Strutture e sicurezza statica 5. Materiali e degrado 6. Impianti elettrici 7. Impianti termici 8. Illuminotecnica 9. Sicurezza 10. Microclima e inquinamento ambientale 11. Fruizione 12. Giudizio sintetico 1. ANALISI STORICA E DESCRITTIVA La fondazione monumentale dei SS. Severino e Sossio, che si articola in due chiese e quattro chiostri, è fortemente legata alla presenza a Napoli dei Frati Benedettini. Il complesso fu fondato nel IX secolo, quando le incursioni saracene spinsero i frati ad abbandonare il vecchio monastero, situato sulla collina di Pizzofalcone, e fondarne uno nuovo nell‟ 846 insieme ad una piccola chiesa nella quale, nel 902, furono trasportate le reliquie di san Severino; nel 904 vi trasferirono le reliquie di san Sossio, compagno di martirio di san Gennaro, rinvenute da alcuni monaci tra i ruderi del castello di Miseno, che era andato distrutto nell‟ 885. Da tale data in poi, la chiesa e il monastero presero la denominazione dei due santi. Distrutto una prima volta, fu ricostruito nella seconda metà del XII secolo: di questo intervento restano labili tracce nella chiesa inferiore, nuovamente rifatta nel XVI secolo. Scarne sono le notizie sulla fondazione e la costruzione della chiesa: tutti gli studi svolti hanno, infatti, attinto quasi sempre per le vicende e le date più importanti da fonti settecentesche dove si legge:“nell‟anno 1494 Alfonso II d‟Aragona donò al monastero 15.000 ducati per la fabbrica della nuova chiesa…. L‟architetto fu Giovan Francesco Mormando di Palma.” Anche se la fondazione è stata sempre posta in relazione con la donazione di Alfonso II d‟Aragona, alcune fonti considerano il 1490 e non 1494 l‟anno d‟inizio della costruzione.1 I lavori interrotti nei primissimi anni del „500, se non alla fine del „400, ricominciarono nel 1537. Le notizie pervenute non consentono di stabilire in che condizioni si trovasse la fabbrica nel momento dell‟interruzione dei lavori e prima che questi ricominciassero. Aver potuto usufruire di tale informazione sarebbe stato di notevole supporto per attribuire una paternità certa dell‟opera. Secondo la più accreditata tradizione, fu chiamato quale architetto della fabbrica l‟architetto organaro Giovanni Donadio. Quando iniziarono nuovamente i lavori interrotti in precedenza, Donadio era già morto da alcuni anni (probabilmente intorno al 1525) e Giovanni Francesco Di Palma, suo genero, conosciuto anche lui col nome di Mormando, fu chiamato, quale architetto della fabbrica, a completare i lavori iniziati dal suocero. Va comunque specificato, a ragion del vero, che tale interpretazione non trova riscontri certi e confermati dalla storiografia ufficiale e numerose sono le dissertazioni in merito.2 Nel 1560 si stipulava il contratto per il coro ligneo con Benvenuto Tortelli e Bartolomeo Chiarini, mentre l‟anno successivo l‟architetto fiorentino Sigismondo di Giovanni ebbe l‟incarico di costruire la cupola. Nel 1566 fu dato incarico a Paolo Schepers, detto il Fiammingo, di affrescarla.3 Documentazioni limitate sono poi pervenute per i lavori compiuti all‟interno della chiesa durante il XVI secolo. Quelli di maggiore impegno riguardano la decorazione della volta della navata e del transetto, che nel 1609 i benedettini affidarono a Belisario Corenzio, e la zona del presbiterio, in occasione dei quali Cosimo Fanzago disegnò il ricchissimo altare maggiore e la balaustra in marmi policromi, completata nel 1640. Nel 1658 fu completato il bel pavimento marmoreo del coro. L‟unica variazione di rilievo nell‟aspetto esteriore della fabbrica si attuò con la costruzione del nuovo campanile, iniziata nel 1642, posto sul lato destro verso il convento, ad opera dell‟architetto ingegnere Michelangelo Cartaro. Tale struttura, insieme all‟intero complesso, subì notevoli danni in seguito ai terremoti del 1688 e 1731. In particolare nel 1698 si dovette intervenire per rifare l‟arco di un finestrone che era lesionato4. Tale finestrone non è individuabile, ma con molta probabilità si riferisce a quello della facciata principale. Tutta la prima metà del secolo XVIII fu impiegata in lavori diversi che interessarono parti dell‟interno della chiesa, la volta della navata principale e la facciata. Giovan Battista Nauclerio, quale architetto dei monaci, si occupò dal 1715 al 1738, di controllare le opere all‟interno della chiesa; è possibile attribuirgli la ristrutturazione interna della vasta aula, nella quale di certo, fu rifatta, oltre alla volta, crollata in seguito al terremoto del 1731, tutta la parete 1 PESSOLANO M.R., Il convento napoletano dei SS. Severino e Sossio, Napoli 1978, p. 71 2 WEISE G., Chiese napoletane anteriori al Gesù del Vignola, in “Palladio” 1952, p. 148 3 PESSOLANO M.R., Il convento napoletano …., op. cit., p. 77 4 JEDIN H..,Riforma cattolica e Controriforma, in AA. VV. “ Storia della chiesa”, vol VI, Milano 1975, p. 602 superiore. Sempre nello stesso periodo furono: aperte le 14 grandi finestre e realizzate, al di sopra dei grandi pilastri marmorei, le lesene a volute tra i vani luminosi5; affrescate da Francesco de Mura e decorate di stucchi da Giuseppe Scarola le volte della navata; rivestite tutte le pareti interne di marmi policromi, rendendo la chiesa dei SS. Severino e Sossio un esempio unico nella città di Napoli, poiché generalmente le superfici delle chiese venivano semplicemente dipinte ad imitazione del marmo stesso. Fra il 1744 e il 1748 furono realizzati i gonfi cartigli al di sopra degli archi delle cappelle e le aggettanti cornici dei finestroni. Intorno al 1751 la direzione per la parte dei lavori che trasformarono il transetto fu assunta, senza alcun dubbio, dall‟ingegnere Giovanni Del Gaizo. L‟ultimo intervento impegnativo, intrapreso verso la fine del settecento, fu il rifacimento dell‟altare maggiore, concluso nel 1783, ad opera del maestro marmoraro Giacomo Mazzotti. Da questo periodo in poi, non si hanno altre notizie d‟interventi sostanziali sulla chiesa se non quelli che interessarono parti del complesso dei SS. Severino e Sossio, in occasione dei restauri eseguiti tra il 1849 al 1853 e, saltuariamente, fino al 1863 su progetto dell‟arch. Ercole Lauria e in seguito, quelli che interessarono parte del suo contesto urbano, in occasione dei lavori del Piano di Risanamento, dopo il 18846. Le violente scosse del terremoto del 1980 e del 1981, non risparmiarono le strutture della chiesa, che venne chiusa per il pericolo di crollo. Le zone maggiormente colpite furono il coro e la cupola centrale, lasciando pressoché intatte le altre parti. A conferma di ciò è il fatto che i lavori di restauro e consolidamento delle parti danneggiate, terminati tra il 2003 e 2004, non hanno impedito il normale svolgimento dell‟attività di culto all‟interno della navata centrale della chiesa. I lavori post- terremoto si sono sostanziati in: consolidamento dei pilastri e degli archi della cupola tramite l‟inserimento di barre di acciaio e iniezioni di malta; messa in sicurezza dei rivestimenti degli archi su cui imposta il tamburo della cupola tramite cerchiaggio con brache in acciaio; restauro della facciata; impermeabilizzazione della cupola e dell‟ala su vico SS. Severino e Sossio; ripristino delle pluviali; rifacimento impianto elettrico e sistema antintrusione. Oggi la chiesa, pur se situata all‟interno di un fitto tessuto edilizio, si presenta esternamente con la sua imponente mole, apprezzabile per la buona visuale prospettica. Nella facciata ritroviamo il lessico mormandeo nell‟imponenza del basamento grigio con cornici superiori e nella linearità del disegno delle modanature degli oculi e delle nicchie. Un ordine di lisce lesene composite s‟imposta su un alto basamento con cornice di base e risalto superiore e suddivide lo spazio in cinque riquadri: quello mediano è occupato dal portale affiancato da due paraste. Un ritmo identico si ha nel secondo ordine con lesene binate in corrispondenza dell‟esterno della navata principale e singole all‟interno. Mentre al primo livello i tondi sono aperture, e le nicchie semplici incavi al muro, al secondo le nicchie, più grandi delle sottostanti, risultano finestre e i tondi sono delle semplici cornici di piperno aggettanti sull‟intonaco. Oltre la seconda trabeazione troviamo il timpano con al centro l‟occhio circolare aperto. Lo sbilanciamento della composizione si ha nella modulazione dell‟ordine superiore di altezza notevolmente maggiore di quello inferiore. Il motivo della scansione delle paraste corinzie lo ritroviamo nel prospetto su vico SS. Severino e Sossio, le quali riquadrano lo spazio dove sono inserite nicchie lunettate alternate a rettangoli, tutte sormontate da tondi. Al di sopra della bella cornice a fasce con cornicione aggettante, la navata centrale è svolta mediante una successione di arcate, la cui cadenza è ottenuta da una serie di contrafforti in corrispondenza delle lesene del primo ordine dove tra gli archi si aprono le finestre settecentesche. Il carattere particolarmente curato di tale prospetto si può spiegare con la volontà di anticipare la grandiosità della chiesa, per entrare nella quale bisognava costeggiare tutto il fianco 5 ALISIO G.C.,Il Gesù vecchio a Napoli, in “Napoli Nobilissima”, 1966, p. 213. 6 MINISTERO per i BBAACC, SOPRINTENDENZA per i BBAA e AA di Napoli e Provincia, ARCHIVIO di Stato di Napoli, Il grande Archivio,I luoghi del patrimonio: il Monastero napoletano dei SS Severino e Sossio sede dell’Archivio di Stato, Napoli 1998, p. 13. dell‟edificio. Particolarmente interessante risulta essere la parte corrispondente al transetto laterale in quanto qui si è cercato di ricomporre una finta facciata a due ordini sovrapposti. L‟impianto planimetrico si sviluppa a croce latina con navata unica, su cui si aprono sette cappelle per lato, transetto appena sporgente dal perimetro della chiesa e profondo coro rettangolare. La vasta aula, costituente la navata, appare cadenzata dal succedersi delle paraste composite nettamente riquadranti gli archi a tutto sesto, la tensione verticale è interrotta dalla netta indicazione orizzontale della pesante trabeazione.
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