COMUNITA’ MONTANA “ALTO ” LARGO TIRONE, 7 - AGNONE (IS) UFFICIO FORESTALE

COMUNE DI

PIANO D’ASSESTAMENTO FORESTALE (per il periodo 2009 – 2023)

STUDIO D’INCIDENZA D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357 : “Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”. - D.P.R. 12 marzo 2003 n. 120 “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 357/97. - D.G.R. n° 486 11/05/2009

CODICE SIC: IT7212134

NOME SIC: “Bosco di Collemeluccio – Selvapiana – Castiglione – La Cocozza”

REGIONE BIOGEOGRAFICA: Mediterranea

Agnone, li 20 gennaio 2010

I PROGETTISTI

Dr. Guido MILANESE ______

D.ssa Maria RICCI ______

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PREMESSA

Nel comprensorio del di Pietrabbondante ricadono i siti della rete Natura 2000 IT7212134 SIC Bosco di Collemeluccio – Selvapiana – Castiglione – La Cocozza e IT7211120 SIC Torrente Verrino. Questi siti appartengono alla regione biogeografica mediterranea. Mentre il secondo è limitato ad una fascia ristretta di territorio a ridosso del fiume “Verrino” e non comprende proprietà comunali, il primo include tutti e tre i complessi boschivi più importanti di proprietà comunale: Pontone-Monteluponi, Munti e Funti-Monte Lamberti-Monte Caraceno. Numerosi interventi previsti nel periodo di validità del Piano ricadono nel SIC IT7212134 “Bosco di Collemeluccio – Selvapiana – Castiglione – La Cocozza. Ai sensi del D.P.R. del 12/03/03 n. 120, art. 6, comma C3, che prevede per gli interventi ricadenti all’interno dei Siti d’Interesse Comunitario la presentazione di uno studio di Valutazione d’Incidenza, si è redatta la presente relazione con l’obiettivo di eseguire una verifica che valuti le interferenze negative che gli interventi previsti potrebbero avere sul sistema ambientale locale e indicare allo stesso tempo eventuali miglioramenti ambientali resi possibili in seguito alla realizzazione dell’intervento stesso.

Nella realizzazione del presente studio si è quindi proceduti: o all’inquadramento ambientale dell’area attraverso la descrizione dei fattori clima, suolo, vegetazione, flora e fauna; o alla descrizione dei siti SIC interessati; o alla descrizione degli interventi previsti; o alla valutazione d’incidenza che le azioni di progetto possono avere sulle componenti habitat, flora e fauna e alla proposta delle mitigazioni necessarie.

Il presente studio è stato redatto in conformità a quanto indicato dal FORMULARIO STANDARD di “Natura 2000”.

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Inquadramento oro-idrografico e amministrativo Il territorio del Comune di Pietrabbondante, che fa parte della Comunità Montana “Alto Molise” di Agnone, si estende per una superficie di 27,33 kmq. I confini amministrativi sono i seguenti: a Nord con il territorio dei comuni di e Agnone, a Nord-Est con , ad Est con , a Sud con e , ad Ovest ancora con Pescolanciano. La morfologia del territorio risultata abbastanza irregolare e ondulata, tipica di un paesaggio appenninico intermedio tra la collina e la montagna che non raggiunge quote molto elevate. Non ci sono ampie superfici pianeggianti idonee ad una attività agricola intensiva, ostacolata anche dalla frammentazione della proprietà fondiaria e dall’abbandono delle terre. L’altitudine di tutti i boschi varia entro limiti alquanto modesti: Pontone-Monteluponi è compreso fra le quote 850 e 1015 m, Munti fra 1.120 e 960, il complesso Monte Caraceno - Monte Lamberti – Funti fra i 1.060 e 1.215 m. Il territorio gravita tutto nel bacino idrografico del fiume Trigno e del suo affluente Verrino. La morfologia della zona è fondamentalmente segnata dal corso del Trigno, del Verrino e dai loro affluenti. Mentre questi due fiumi hanno un alveo fluviale abbastanza pronunciato con formazioni ripariali abbastanza estese, gli affluenti hanno spesso carattere torrentizio. I corsi d'acqua secondari hanno percorsi limitati, con alvei caratterizzati da forti pendenze, portate nulle nel periodo estivo e massime in autunno-inverno. Esistono fenomeni di trasporto ben evidenti durante i periodi di massima piena che determinano così delle erosioni di sponda. Lo scenario forestale si presenta con splendidi boschi di cerro, abete bianco e faggio cui si alternano prati e pascoli d’alta quota.

Inquadramento geo-pedologico L’aspetto morfologico del territorio comunale risulta rappresentato da diverse configurazioni direttamente influenzate dalle caratteristiche dei litotipi in affioramento e dalla tettonica recente. E’ rappresentato da arenarie micacee grigio-giallastre, a volte fogliettate, alternate ad argille siltose plumbee o subordinatamente a calcari marnosi chiari risalenti al Miocene il bosco Pontone- Monteluponi, mentre da calcari marnosi avana chiari, alternati a calciruditi e marne pulverulenti dell’Oligocene – Miocene il bosco Munti e parte di Monte Caraceno. Più articolato il substrato geologico del complesso Monte Caraceno – Monte Lamberti – Funti che oltre al substrato già descritto comprende anche calcari discontinui costituiti da calciruditi con clasti subarrotondati e da calcareniti grigio chiare ben stratificate dell’Oligocene – Miocene alternate con calcari marnosi, marne verdoline e calcari pseudocristallini dell’Eocene. Laddove l’erosione non si è manifestata enormemente, si sono originati terreni notevolmente profondi e dotati di buona fertilità. A causa della natura geologica del territorio, la permeabilità del suolo è sempre abbastanza bassa e il reticolo idrografico abbastanza complesso e articolato. Anche se i terreni argillosi sono naturalmente compatti e poco permeabili, le condizioni sfavorevoli di struttura sono notevolmente attenuate dall’apporto continuo di materiali organici.

Inquadramento climatico Essendo il comune compreso nella zona più interna e montuosa dell’Italia Centrale, sul territorio si riscontrano evidenti caratteri di continentalità. Le temperature, i cui minimi si abbassano con il crescere dell'altitudine, hanno un'escursione annua rilevante: la temperatura media annua oscilla intorno ai 13° con 320/330 giorni con temperature medie superiori a 0°. In gennaio la temperatura media è compresa tra 0° e 4°, ma spesso scende al di sotto dello zero. In luglio, che è il mese più caldo, la temperatura media oscilla tra i 22° e i 26°.

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Per quanto riguarda le precipitazioni si riscontrano valori medi annui di 850/900 mm, con 80-90 giorni piovosi. Il massimo di precipitazioni si ha in inverno (31 %) ed in autunno (30 %), in particolare a novembre e dicembre. Meno piovose la primavera (22 %) e l’estate (17 %). Nel periodo invernale le precipitazioni sono spesso a carattere nevoso. Le prime nevicate si verificano già nel mese di novembre e difficilmente la copertura nevosa permane oltre alcune settimane. Più spesso nevica nei mesi da dicembre a marzo con scarti molto marcati da un anno all'altro, sia nell'altezza che raggiunge il manto sia nella frequenza delle precipitazioni. Alle quote superiori ai 1.000 metri vi è una maggiore permanenza del manto nevoso (in base alle diverse esposizioni e pendenze). Sono evidenti i danni da gelo su alcune piante di cerro per la presenza del caratteristico “becco di luccio” lungo i tronchi. Manca un periodo di aridità estiva vero e proprio e il periodo più caldo spesso è limitato a poche settimane. Dal punto di vista fitoclimatico, la zona rientra nella Regione Temperata e più precisamente tutta l’area montana è compresa nel Termotipo montano-subalpino Ombrotipo umido, mentre la zona con altitudine più bassa rientra nel Termotipo collinare Ombrotipo subumido. L’altitudine e il clima fanno ricadere i boschi del Comune di Pietrabbondante nelle zone del “castanetum”, o come scrive il Di Tella del “cerretum”, e del “fagetum”. Le condizioni microclimatiche all’interno dei boschi possono variare rispetto ai dati termopluviometrici su descritti in funzione di altri fattori che, oltre all’ubicazione delle stazioni, sono la radiazione solare, la quota, il vento, l’umidità. Inoltre il microclima boschivo è più o meno modificato dallo schermo (densità e composizione) creato dalla copertura vegetale. I venti dominanti sono quelli del II e IV quadrante provenienti da N/NE. Gli effetti dei venti meridionali possono essere limitati a secondo delle barriere che incontrano mentre quelli da nord esercitano una maggiore influenza sui boschi per le raffiche numerose e violente creando a volte danni alle piante esili o stramature. Le barriere naturali limitano molto la loro azione.

Inquadramento faunistico La caratterizzazione vegetazionale del comprensorio, con i querceti misti a dominanza di cerro ed alcuni boschi di faggio, si riflette ovviamente sulla presenza di fauna tipica delle fasce submontana e montana. Mentre le faggete, a causa della prevalente omogeneità compositiva e strutturale, ospitano una fauna poco differenziata, le cerrete si contraddistinguono per una maggiore diversità biologica anche in conseguenza di una maggiore stratificazione verticale della vegetazione. Ciò nonostante, in considerazione della vicinanza e della interconnessione spaziale di queste categorie forestali principali, si può far riferimento ad un unico elenco di specie presenti. Gli invertebrati di maggiore importanza segnalati sono il capricorno maggiore (Cerambix cerdo), la Rosalia alpina, l’eremita odoroso (Osmoderma eremita), l’Eriogaster catax e la falena dell’edera (Euplagia quadripunctaria). L’erpetofauna è presente nei luoghi asciutti e più assolati con l’aspide (Vipera aspis) ed il Colubro viridiflavus, mentre nelle località più umide è possibile rinvenire l’orbettino (Anguis fragilis) ed in prossimità di pozze e sorgenti la salamandra pezzata (Salamandra salamandra) e la salamandrina dagli occhiali (Salamandra terdigitata). Per quanto riguarda l’avifauna le specie caratteristiche sono la ghiandaia (Garrulus glandarius), il merlo (Turdus merula), la tordela (Turdus viscivorus), il tordo (Turdus philomelos), il colombaccio (Columba palumbus), il rampichino (Certhia brachydactyla) e alcune specie di picidi tra cui segnala il picchio rosso mezzano (Dendrocopos medius). Tra i rapaci diurni si annoverano numerose specie di particolare valore naturalistico e conservazionistico quali ad esempio il falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), frequente durante i passi,

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che in ambito montano appare particolarmente diffuso lungo i versanti boscosi dei crinali e nidificante nelle aree boscate nei pressi degli affioramenti rocciosi. Altra specie caratteristica è il nibbio reale (Milvus milvus) tipico rapace delle aree di alta collina. Altri rapaci presenti sono il falco pellegrino (Falco peregrinus), probabilmente nidificante nelle località sopra citate dato l’avvistamento di giovani esemplari durante il periodo estivo, il gheppio (Falco tinnunculus), lo sparviero (Accipiter nisus) e il biancone (Circaetus gallicus) . Tra i rapaci notturni si rinvengono l’allocco (Strix aluco), la civetta (Athene noctua) ed il gufo comune (Asio otus), ritrovabile per lo più nei boschi di conifere e misti. Per quanto riguarda il gufo reale (Bubo bubo) è possibile la sua presenza in prossimità di zone rocciose a contatto con il bosco. Per quanto riguarda i mammiferi, sono presenti tra gli insettivori: − il toporagno nano (Sorex minutus), legato principalmente agli ambienti di foresta mista decidua e facilmente rinvenibile ai margini dei boschi; − il toporagno appenninico (Sorex samniticus), specie endemica della penisola italica sensu strictu e delle sub-penisole calabra e garganica che è particolarmente legata agli ambienti mesofili; − il riccio europeo (Erinaceus europaeus), frequente ai margini dei boschi. Tra i chirotteri sono segnalati il ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum) e il ferro di cavallo minore (Rhinolophus hipposideros). Tra i roditori si rinvengono il topo selvatico (Apodemus sylvaticus), comune ai margini dei boschi, e il moscardino (Muscardinus avellanarius) tipico abitante delle siepi e degli ambienti ecotonali, mentre il ghiro (Glis glis) e lo scoiattolo (Sciurus vulgaris meridionalis) sono più legati alle aree boscate a copertura chiusa. Infine la lepre comune (Lepus europaeus) che risulta essere fortemente condizionata dal prelievo venatorio e dalle operazioni di ripopolamento effettuate a più riprese nell’intero comprensorio. Tra i mammiferi di maggiori dimensioni si segnalano il cinghiale (Sus scrofa), il daino (Dama dama) e il capriolo (Capreolus capreolus). Quest'ultimo, il cui habitat ideale è rappresentato dalle folte boscaglie montane e le zone ecotonali, attualmente risulta essere in notevole incremento numerico ed espansione anche in seguito ad alcuni interventi di reintroduzione. Tra i carnivori si possono annoverare alcuni mustelidi molto comuni e diffusi come la donnola (Mustela nivalis), la faina (Martes foina) e il tasso (Meles meles). Molto più rara risulta invece la martora (Martes martes) che proprio per questo è una specie protetta. Molto frequente è la volpe (Vulpes vulpes), che è capace di utilizzare una grande varietà di habitat. Legate invece agli ambienti acquatici e alle formazioni ripariali troviamo altre specie di avifauna interessanti quali l’airone cinerino (Ardea cinerea), la garzetta (Egretta garzetta), l’albanella minore (Circus pygargus), l’albanella reale (Circus cyaneus), il nibbio bruno (Milvus migrans). In questi ambienti le specie acquatiche segnalate sono la trota (Salmo trutta), la rovella (Rutilus rubilio) e la rarissima lontra (Lutra lutra).

Inquadramento vegetazionale I terreni di proprietà del Comune hanno una estensione complessiva di ettari 503,45. Ettari 459,37, pari al 91,24 %, possono essere classificati come boschi. Il demanio forestale del Comune si scinde in diverse unità ma soprattutto tre e precisamente Pontone-Monteluponi, Munti e Funti-Monte Lamberti-Monte Caraceno rivestono, per la superficie e la qualità del soprassuolo, particolare interesse. Gli altri boschi hanno minore importanza perché di piccole dimensioni e per la scarsa qualità del soprassuolo. I terreni dei boschi più estesi sono particolarmente propizi al cerro, così come il clima che è quello della zona fitoclimatica del castanetum, sottozona fredda, o del cerretum nella classificazione del Di Tella. Si tratta di terreni, come detto, che derivano dalla decomposizione delle argille scagliose e simili del Miocene e dell’Eocene e adatti, comunque, alla coltura forestale e al cerro in particolare.

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Al cerro si associano il faggio, l’abete bianco, la roverella, i carpini bianco e nero, gli aceri montano e campestre, l’orniello, il frassino e il perastro. Il carpino bianco (Carpinus betulus L.) è molto diffuso nel piano dominato delle cerrete, su stazioni fresche e fertili. Altre specie che concorrono alla costituzione dello strato inferiore dei boschi comunali più fertili sono l’acero campestre (Acer campestre L.) soprattutto, il perastro, il sorbo, il nocciolo. Il Carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop) è sparso invece nei terreni meno profondi dove è più lenta è l’evoluzione del cerro. La specie, grazie alla maggiore facoltà pollonifera, dimostra un buon inserimento sotto copertura di cerro. L’orniello o frassino minore (Fraxinus ornus L.), specie termofila, lo si ritrova ovunque ma maggiormente nelle stazioni aride. Date le sue alte capacità di pionerismo tende a riconquistare gli spazi vuoti e degradati. L’acero montano (Acer pseudoplatanus L.) e il frassino maggiore (Fraxinus excelsior L.) sono presenti con individui sparsi in terreni freschi e a quote più elevate. In zone umide e in vicinanza di corsi d’acqua prevale la vegetazione ripariale di salici (Salix alba, viminalis, caprea) e pioppi (Populus alba, nigra). Il cerro cede il posto al faggio alle quote più elevate di Munti, Monte Caraceno e Monte Lamberti, al pino nero su Monte Caraceno ed altri rilievi minori. L’abete tende ultimamente ad espandersi naturalmente nel bosco Pontone-Monteluponi, originando una tipologia forestale definita cerreta mesofila variante abete bianco. La forma di governo dei tre complessi più importanti è la fustaia mista di tipo coetaneo, la densità è varia anche perché molte particelle sono stramature. A volte la fustaia assume i caratteri di un soprassuolo irregolare e la presenza frequente di un sottobosco sviluppato di carpino bianco ed acero campestre nelle particelle mature e stramature fanno assumere all’intero soprassuolo una struttura assimilabile ad un ceduo densamente matricinato da grossi esemplari di cerro e faggio. Nel sottobosco troviamo una grandissima varietà di specie fra cui si distinguono per diffusione il rovo, il biancospino, il Prunus spinosa, la Rosa canina. Meno abbondanti il nocciolo, l’agrifoglio, il corniolo. Sono presenti diverse graminacee. I tre complessi boschivi di maggiore importanza economica sono attraversati dalla S.P. “Chiauci-S.Andrea” (Pontone-Monteluponi), dalla strada comunale “Le Fratte-S.Andrea”, che s’innesta sulla S.P. “Trignina” (Munti) e dalla S.P. “Ponte S.Mauro-Pietrabbondante” (Funti- M.Lamberti-M.Caraceno); tutti i boschi, inoltre, sono serviti da un’adeguata rete di strade e piste, che rendono facile e poco oneroso lo smacchio e quindi remunerativi i prezzi di macchiatico. La pendenza dei terreni non è eccessiva; ovunque non si notano fenomeni franosi di una qualche importanza, forse proprio per la presenza del bosco. I boschi sono gravati di uso civico di legna secca e di pascolo da parte della popolazione; quest’ultima pratica è allo stato attuale molto limitata su tutto il territorio comunale. L’attuale copertura forestale è in costante aumento negli ultimi decenni, grazie all’imboschimento programmato e soprattutto alla ricrescita in aree seminaturali in seguito alla cessazione delle attività di coltivazione o di pascolo. Gli habitat forestali sono mutati soprattutto per l’uso di specie arboree esotiche e per l’introduzione o mantenimento di specie animali a fini venatori.

Descrizione generale della viabilità forestale esistente, delle tecniche di utilizzazione e esbosco attuate, delle possibilità di potenziamento delle infrastrutture di interesse forestale I boschi comunali sono in linea di massima serviti da una sufficiente viabilità, sia principale che secondaria permettendo una razionale gestione delle risorse silvopastorali. La rete viabile principale, evidenziata in rosso in cartografia, è formata da strade a fondo artificiale o migliorato.

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Tutti e tre i complessi principali sono attraversati o si trovano a breve distanza da strade provinciali, adatte alla circolazione di autotreni durante tutto l’anno. Lungo tali arterie vi è un numero sufficiente di piazzali che rendono agevoli le operazioni di carico. All’interno di tutti i boschi principali vi sono inoltre alcune piste camionabili, con piazzole di scambio, percorribili da autocarri per il trasporto di legna, oltre che da autovetture normali per il trasporto del personale, per cui altri piazzali di carico sono anche all’interno del bosco. Diramazioni di tali strade camionabili, a fondo naturale o grossolanamente migliorato, vengono percorse da mezzi pesanti solamente a fondo asciutto. Hanno funzione di raccolta e la loro manutenzione è episodica. Il resto della viabilità è attualmente costituito da piste principali per trattori, percorsi permanenti a fondo naturale, aperti con apripista, adatti alla circolazione di trattori a ruote impiegati nell’esbosco a strascico, a volte con rimorchi a ruote motrici, e piste secondarie per trattori, semplici varchi del soprassuolo, allestiti senza movimenti di terra. Tutta la superficie dei tre boschi principali è praticamente raggiungibile con mezzi, con discreta facilità. Per quanto riguarda i boschi secondari, il fattore positivo è la presenza, per quasi tutti, nelle immediate vicinanze, della viabilità principale. Manca del tutto, invece, la viabilità secondaria a causa del fatto che da oltre 50 anni tali boschi non sono stati utilizzati. E’ per questo motivo che in tali casi, nel Piano dei tagli, a fianco dell’intervento principale (taglio), è stato previsto, quale intervento accessorio, l’ampliamento della viabilità forestale. Questa coinciderà, ove possibile, con il tracciato di vecchie strade comunali. Alcune piste forestali utilizzate per l’esbosco durante le utilizzazioni passate, attualmente sono impraticabili. Le cause sono da ricercare nella forte erosione per ruscellamento. Esse saranno ripristinate nella loro funzionalità, prima dell’utilizzo del soprassuolo, per agevolare le operazioni di esbosco. La ripulitura e la sistemazione di tutte le piste è importante per eventuali interventi di difesa dagli incendi boschivi, fungendo anche da fasce parafuoco.

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DESCRIZIONE SITO (“Bosco di Collemeluccio – Selvapiana – Castiglione – La Cocozza”)

Caratteristiche generali del sito

Il SIC individuato, è costituito dal comprensorio “Bosco di Collemeluccio – Selvapiana – Castiglione – La Cocozza” e si estende per ha 6.239,36 con un’altitudine variabile tra i 650 –1200 m. s.l.m..

Tipi di habitat % copertura Other land (including Towns, Villages, Roads, Waste places, Mines, Industrial sites) 3% Inland water bodies (Standing water, Running water) 2% Dry grassland, Steppes 10% Humid grassland, Mesophile grassland 30% Broad-leaved decidous woodland 40% Mixed woodland 15% Copertura totale habitat 100%

Il clima si inserisce nel Termotipo montano inferiore, Ombrotipo umido inferiore, mentre dal punto di vista geologico è costituito da arenarie micacee alternate ad argille siltose o subordinatamente a calcari marnosi chiari. Il sito è caratterizzato da foreste pluristratificate dell’orizzonte submontano. In Molise tali boschi sono caratterizzati dalla presenza nello strato arboreo di Abies alba dominante o misto a Quercus cerris, mentre nello strato dominato compaiono Fagus sylvatica, Acer campestris, Carpinus betulus e Corylus avellana. Il contatto catenale di questi boschi si verifica sia con la Fagetalia sylvaticae, sia con la Quercetalia pubescentis-petrae che rifornisce il sottobosco di specie come Ligustrum vulgare, Crataegus monogina, Lonicera caprifolium e di specie nemorali termofile. La buona qualità del sito è confermata dalla presenza di numerose specie animali sia invertebrati (Rosalia alpina, Callimorpha quadripunctaria) che vertebrati (Canis lupus ed una ricca ornitofauna nidificante).

Tipologie di habitat

Gli habitat d’interesse comunitario presenti nel sito ed elencati nell’Allegato I della Direttiva 92/43 CEE (scheda 3.1 Rete Natura 2000), inizialmente sono stati identificati dai codice habitat 6210, 9510 e 9220. In seguito all’aggiornamento sono state proposte delle modifiche alla scheda di Natura 2000 con l’eliminazione del codice 9220 e l’identificazione di altri codici habitat indicati in neretto nella tabella seguente:

% Superficie Grado Valutazione Codice Tipo Rappresentatività Coperta Relativa Conservazione Globale Formazioni a Juniperus communis su 5130 lande o prati calcicoli 1 A C A A Formazioni erbose secche seminaturali e 6210 facies coperte da 1 B C B B cespugli su substrato calcareo (Festuca-

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Brometalia) (*stupenda fioritura di orchidee) * Faggeti degli Appennini 9210 con Taxus e Ilex 13 B C B B * Foreste sud - 9510 appeniniche di Abies 8 B C B B alba Foreste pannonico- balcaniche di cerro e 91M0 rovere 37 B C B B 91L0 Querceti di rovere illirici (Erythronio- Carpinion) L’asterisco (*) posto sul tipo di habitat, indica il tipo di habitat prioritario

Caratterizzazione ecologica e fisica della tipologia

Dalla tabella precedente si può riscontrare la conferma dei codici 6210 e 9510. Il primo è collegato alla presenza di ampie aree dedicate al pascolo e allo sfalcio e da un insieme di habitat individuati come praterie. Le praterie di questi siti sono in prevalenza riferibili alla classe Festuca- Bromotea e, talvolta, sono caratterizzati da una presenza significativa di orchidee. I siti sono fortemente concentrati nell’Appennino centrale e hanno una superficie variabile ma prevalentemente intorno ai 400 ha e una quota minima mediamente di 860 metri s.l.m.. La copertura forestale è mediamente pari a circa il 35% della superficie dei siti. Nel gruppo dei siti forestali individuati con il codice 9510 sono comprese, per affinità ecologica e di distribuzione, le faggete con Abies alba. Si tratta di formazione in cui la fisionomia, in genere, è determinata dalla presenza dell’abete accompagnata normalmente da Quercus cerris ma anche, laddove le condizioni microclimatiche sono favorevoli, da Fagus sylvatica. Tra le specie che caratterizzano questo sito possiamo citare: Acer lobelii, Adenostyles australis, Alnus cordata, Chardamine caledonia, Doronicum columnae, Geranium versicolor, Lilium croceum, Luzula sieberi, Potentilla micrantha, Ranunculus brutius. I siti con queste tipologie di habitat hanno una superficie di estensione molto variabile, prevalentemente intorno a 750 ha e quote minime intorno a 950 metri s.l.m.. La copertura forestale interessa mediamente circa il 90% della superficie dei siti. Per quanto riguarda le faggete, è stata proposta la sostituzione dell’habitat 9220 (* Faggeti degli Appennini con Abies alba e faggeti con Abies nebrodensis) con il 9210 (* Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex). Infatti le faggete presenti conterrebbero sia Ilex aquifolium sia Abies alba; ma la scarsità di quest’ultimo, nonché le analogie tra le faggete di questo SIC con quelle di altre aree dell’Alto Molise, fa propendere per l’attribuzione all’habitat 9210*. Inoltre e sempre in seguito all’aggiornamento, è stato inserito il codice habitat 5130, nel quale rientrano i cespuglieti presenti, dominati da Juniperus communis, Prunus spinosa L. subsp. spinosa, Ligustrum vulgare L. e Rosa sp.pl. In più vengono riconosciuti per questo sito anche gli habitat 91M0 (foreste pannonico-balcaniche di cerro e rovere) e 91L0 (Querceti di rovere illirici (Erythronio-Carpinion)), formazioni forestali proprie delle aree collinari sub-montane, caratteristiche dell’Alto Molise. Questi ultimi due tipi di habitat sono i più rappresentati all’interno del sito con una percentuale di copertura del 36,97%.

Indicatori

Per quanto riguarda le formazioni arbustive ed erbacee, va considerato come indice di un buono stato di conservazione la continuità della copertura vegetale. E’ inoltre indice di un buono

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stato di conservazione la presenza di un elevato numero di specie, che normalmente dà luogo ad una eccezionale eterogeneità di tipologie floristiche e vegetazionali. Tra gli indicatori di una buona qualità del sito in esame vanno citati inoltre, lo stato di salute, la diffusione e la copertura delle popolazioni di abete e agrifoglio; positiva è tra l’altro la compresenza nelle diverse comunità di varie classi di età delle specie citate. Tra le specie della fauna che testimoniano una buona conservazione dell’ambiente la presenza numerosa di Lepidoptera e di Picidi e tra i mammiferi la presenza della lepre (Lepus corsicanus). Buon indice è inoltre la presenza di grandi e medi carnivori come il lupo (Canis lupus), la faina (Martes Foina), la martora (Martes martes).

Possibili minacce

Tra le possibili minacce che potrebbero danneggiare le tipologie di habitat menzionate, possiamo citare: 1) fenomeni di compattazione in aree umide, dovuti a calpestio; 2) localizzati fenomeni di erosione; 3) pascolo non regolamentato (eccessivo carico di animali o abbandono totale del pascolo); 4) incendi; 5) intervanti selvicolturali volti a utilizzare principalmente conifere (con conseguente riduzione dell’habitat); 6) inquinamento genetico dovuto alla presenza di rimboschimenti con specie o razze affini; 7) raccolta di specie d’interesse comunitario; 8) raccolta incontrollata di funghi e tartufi.

Fauna

L’area in cui ricade il SIC è popolata da uccelli migratori ed in particolare da alcuni rapaci. E’ importante, infatti, la presenza del nibbio reale (Milvus milvus) e del falco pecchiaiolo (Pernis apivorus). Tra i nidificanti rapaci buona è la presenza del falco pellegrino (Falco peregrinus). Sono presenti, inoltre, alcuni uccelli migratori passeriformi tra i quali l’ortolano (Emberizia hortulana), la tottavilla (Pullula arborea) e l’averla piccola (Lanius colurio). Lungo i tratti del fiume Trigno e i suoi affluenti è presente una fauna vertebrata specializzata tra cui citiamo la salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigidata). Infine tra i coleotteri tipicamente legati alle essenze quercine citiamo il Cerambyx cerdo. Nelle tabelle seguenti vengono riportate schematicamente le specie di fauna più rappresentative del sito con l’aggiunta dei nomi e dei relativi codici delle nuove specie proposte in seguito all’aggiornamento che vengono indicati in neretto:

Uccelli migratori abituali elencati nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE (scheda 3.2. a Rete Natura 2000)

Codice Nome Popolazione Valutazione Sito Riprod. Migratoria Popolazione Conservazione Isolamento Globale Riprod Svern Stazion A072 Pernis apivorus 1P C A B A A073 Milvus migrans P A074 Milvus milvus 1P C A B A Circaetus A080 gallicus 1p C A C A Circus A081 aeruginosus P A103 Falco peregrinus 1p C A C A

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Ficedula A321 albicollis P A338 Lanius collurio P A246 Lullula arborea P Emberizia

A379 hortulana P

Mammiferi elencati nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE (scheda 3.2. c Rete Natura 2000)

Codice Nome Popolazione Valutazione Sito Riprod. Migratoria Popolazion Conservazione Isolamento Globale Riprod Svern. Stazion. 1352 Canis lupus P C B B A

Anfibi e rettili elencati nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE (scheda 3.2. d Rete Natura 2000)

Codice Nome Popolazione Valutazione Sito Riprod. Migratoria Popolazione Conservazione Isolamento Globale Riprod Svern Stazion. 1167 Triturus carnifex P D Salamandrina 1175 terdigitata P C B A B Elaphe 1279 quatuorlineata P D

Invertebrati elencati nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE (scheda 3.2. f Rete Natura 2000) * specie prioritarie

Codice Nome Popolazione Valutazione Sito Riprod. Migratoria Popolazione Conservazione Isolamento Globale Riprod Svern Stazion. 1088 Cerambyx cerdo P D 1087 Rosalia alpina* P D Callimorpha 1078 quadripunctaria* P D 1074 Eriogaster catax P D

Nella tabella seguente vengono indicate altre importanti specie vegetali e animali. In più e sempre in neretto, le nuove specie di animali individuate e inserite dopo l’aggiornamento del 2008.

Altre specie importanti di flora e fauna (scheda 3.3 Rete Natura 2000)

Nome scientifico Popolazione Motivazione ACER LOBELII TEN. P D CERASTIUM SYLVATICUM W. ET K. P D Felix silvestris P C Glis glis P C

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ILEX AQUIFOLIM L. P D INULA HELENIUM L. P D LILIUM BULBIFERUM L. P D LILIUM MARTAGON L. P D Martes foina P C Meles meles P C Mustela nivalis P C PARIS QUADRIFOLIA L. P D Parnassius mnemosyne P C RHINANTHUS WETTSTEINI P D Sciurus vulgaris P C Elaphae longissima P C Vipera aspis P C Salamandra salamandra P C Triturus italicus P C Rana italica P C Rana dalmatina P C

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DESCRIZIONE DEGLI INTERVENTI PREVISTI NEL S.I.C.

Gli interventi previsti all’interno del SIC IT7212134 “Bosco di Collemeluccio – Selvapiana – Castiglione – La Cocozza” nel periodo di validità del Piano possono così sintetizzarsi: SUPERFICIE ANNO COMPRESA BOSCO SEZIONE INTERVENTO (ettari) 2009 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 5 tagli successivi 7,20 2009 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 25 tagli successivi 7,37 2010 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 14 tagli successivi 4,25 2010 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 6 tagli successivi 4,18 2010 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 18 tagli successivi 3,06 2010 A- Fustaia di cerro e faggio Monticelli 35 tagli successivi 5,47 2011 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 11 tagli successivi 4,58 2011 A- Fustaia di cerro e faggio Funti 39 tagli successivi 13,47 2012 A- Fustaia di cerro e faggio Monte Lamberti 41A tagli successivi 18,20 2012 G – Incolto Erbaceo Strette 105 rimboschimento 0,51 2012 G – Incolto Erbaceo Strette 106 rimboschimento 0,84 2013 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 17 tagli successivi 10,59 2013 A- Fustaia di cerro e faggio Colle Rame 32A diradamento 3,13 2014 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 12 tagli successivi 5,91 2014 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 20 tagli successivi 5,81 2014 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 26 tagli successivi 2,5 2014 A- Fustaia di cerro e faggio Funti 37 diradamento 5,59 2015 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 13 tagli successivi 15,41 2015 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 16 tagli successivi 2,97 2016 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 19 diradamento 9,84 2016 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 31 diradamento 11,34 2017 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 8 tagli successivi 12,37 2017 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 24 tagli successivi 2,55 2018 A- Fustaia di cerro e faggio Funti 4 tagli successivi 19,87 2019 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 21 tagli successivi 6,94 2019 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 28 diradamento 17,24 2020 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 2 tagli successivi 16,93 2020 C – Fustaia di conifere Monte Caraceno 33 diradamento 9,85 2020 A- Fustaia di cerro e faggio Monte Caraceno 34A tagli successivi 15,73 2021 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 9 tagli successivi 11,02 2021 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 22 tagli successivi 2,81 2021 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 27 tagli successivi 9,18 2021 C – Fustaia di conifere Monte Caraceno 34B diradamento 3,67 2022 A- Fustaia di cerro e faggio Pontone-Monteluponi 23 tagli successivi 4,06 2022 C – Fustaia di conifere Monticelli 36 rimboschimento 6,17 2022 A- Fustaia di cerro e faggio Monte Lamberti 41B diradamento 23,56 Interventi già sottoposti a valutazione d’incidenza

Interventi parzialmente rientranti in area SIC

Interventi nella classe colturale A (fustaia di cerro e faggio)

Le prospettive di mercato delle specie principali, cerro e faggio, lasciano spazio a dei rischi nell’ipotesi che venisse a calare la loro richiesta come combustibile. Per questo motivo va ricercato il miglioramento tecnologico dei soprassuoli che va necessariamente a corrispondere al loro arricchimento floristico con specie di maggior pregio valorizzando e incrementando quelle naturalmente presenti come acero, rosacee e frassino e,

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introducendo, in ambienti più favorevoli, nuove specie pregiate, molto richieste dall’industria del mobile. Gli interventi previsti sono particolarmente importanti e delicati ai fini del mantenimento o meno degli attuali popolamenti ad elevato grado di biodiversità specifica e strutturale. Il trattamento dovrà quindi favorire la rinnovazione delle specie che più necessitano di aperture nella copertura delle chiome e concorrere a favorire il massimo grado di diversità specifica e strutturale della generazione futura. Al momento l’abete bianco dimostra una capacità assai superiore rispetto alle latifoglie (anche al faggio) a rinnovarsi in questo tipo di struttura. Le specie maggiormente eliofile (cerro in particolare) sono in netto svantaggio in assenza di interventi specifici mirati. Il trattamento dovrà avere prioritario l’obiettivo della rinnovazione, indipendentemente da altre considerazioni di ordine economico (materiale ritraibile dal diradamento). La fase del trattamento preparatoria alla fase di rinnovazione e la tecnica di rinnovazione effettivamente applicata, possono infatti determinare una nuova generazione a netta prevalenza di abete nel caso non si intervenga in modo drastico sulla copertura in fase di rinnovazione. Avendo scelto di mantenere e favorire la struttura mista, il trattamento dovrà, nella fase precedente l’intervento per la rinnovazione, tendere all’allevamento di buoni fenotipi di cerro che possano fungere da positivi disseminatori. L’intervento di rinnovazione vero e proprio quindi potrà essere effettuato intorno alle portasemi di cerro con la creazione di buche attorno alle piante candidate a disseminare in modo da determinare una futura generazione a gruppi distinti di cerro, faggio e abete più o meno ampi in funzione delle particolari condizioni microstazionali. Nella fase di scelta gestionale puntuale (la martellata), si alterneranno zone ove favorire il cerro e il faggio rispetto ad altre ove l’abete si è già definito una spazio proprio ed è quindi in una dimensione ottimale per la sua rinnovazione. Nei casi più difficili per la rinnovazione si sostituirà ai tagli descritti quello a strisce, secondo i risultati delle sperimentazioni in atto che, per tale motivo, assumono una importanza fondamentale. Nei boschi di Pietrabbondante sono molte le specie arboree localmente rare che hanno una grande importanza ambientale e che, nei casi favorevoli (boschi Pontone-Monteluponi e Funti) e con una buona gestione, potrebbero acquisire anche una notevole importanza economica. La scelta di porre particolare attenzione alla produzione di tronchi di pregio è basata sull’osservazione che un albero vigoroso, con chioma grande e ben illuminata, capace di svolgere efficacemente la funzione produttiva, può svolgere altrettanto efficacemente le funzioni ambientali e sociali. In altri termini, le tecniche proposte per la produzione di legname di pregio possono essere efficacemente utilizzate anche per mantenere vigorosi alberi di specie sporadiche importanti ai soli fini ecologici, sociali e paesaggistici. Da ciascuno di essi, quando le caratteristiche ecologiche della stazione sono idonee, si possono ottenere un gran numero di benefici materiali e immateriali. Alcuni di tali vantaggi, come gli effetti sulla diversità biologica o sul paesaggio, sono garantiti dalla sola presenza di piante vigorose. La diversificazione della produzione nell’ambito di una proprietà o di una particella, l’incremento di valore del bosco (come patrimonio privato e pubblico) e del reddito, invece non dipendono solo dal vigore delle piante, ma anche dalle caratteristiche del fusto. Le piante di specie sporadiche si trovano spesso isolate (o in piccoli gruppi) e, per essere valorizzate, necessitano di cure colturali ad hoc, non di interventi uniformi praticati su intere particelle, poiché questi tendono a favorire le specie numericamente dominanti, omogeneizzando così la composizione specifica. Verrà applicata, in tali casi, la cosiddetta selvicoltura d’albero, così come concepita e descritta da vari autori, che distingue quattro fasi: 1. insediamento (o affermazione della rinnovazione) 2. qualificazione;

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3. dimensionamento; 4. maturazione. La scelta degli alberi obiettivo terrà conto di quattro aspetti: 1. l’accessibilità; le piante obiettivo saranno scelte in aree facilmente accessibili; 2. vigoria; si sceglieranno piante dominanti o superdominanti, con il fusto privo di rami che dovrà avere una lunghezza minima di 250 cm; 3. qualità del fusti; si sceglieranno fusti diritti privi di difetti o di grossi rami; 4. distribuzione; la disposizione delle piante scelte deve tenere conto della distanza che gli alberi dovranno avere alla fine del ciclo produttivo.

Interventi nella classe colturale C (fustaia di conifere)

Gli interventi di questa compresa ricadenti in area SIC si limitano a dei diradamenti e sottopiantagioni di latifoglie nei rimboschimenti esistenti. Essi sono tutti previsti nel periodo finale di validità del Piano d’Assestamento. I diradamenti dovranno favorire l’insediamento e lo sviluppo di altre specie forestali sotto copertura, evitando la formazione di un denso tappeto di graminacee che ne ostacolerebbe l’ingresso. La stabilità strutturale dei popolamenti esaminati si è dimostrata buona. I danni, pur se di scarsa entità, registrati in seguito a fenomeni climatici particolarmente avversi a pochi anni dai diradamenti, suggeriscono che in fase di intervento colturale è buona norma eliminare gli individui biforcati che si sono dimostrati i più vulnerabili. In presenza di un piano successionale ben sviluppato, si attuerà un progressivo alleggerimento della copertura del pino, rilasciando, almeno temporaneamente, un numero limitato di grossi pini a svettare sul piano di latifoglie; dove invece il piano successionale assume sviluppo limitato, si procederà all’apertura di buche finalizzate a creare condizioni favorevoli all’insediamento delle latifoglie e a volte anche di abete bianco; nei casi in cui la dinamica evolutiva sia rallentata oppure quando si voglia accelerare il processo evolutivo o favorire particolari composizioni specifiche (latifoglie di pregio) si ricorrerà a piantagioni. Nel caso di altre conifere esotiche è prevista la loro eliminazione graduale, favorendo negli interventi di diradamento le altre specie presenti, ma evitando di scoprire eccessivamente del suolo.

Interventi nella classe colturale G (incolto erbaceo)

Gli interventi di questa compresa in area SIC sono rimboschimenti di pascoli non più utilizzati e sono previsti nel 2012 (Strette) e nel 2013 (Colle Riccione). Si effettuerà una preparazione localizzata a buche. Per la piantagione sarà utilizzato postime poco sviluppato, perché l’attecchimento è più facile e sicuro, a radice nuda o, preferibilmente, con pane di terra. Le specie arboree impiegate saranno scelte in base alla stazione ma si tratterà in ogni caso di essenze autoctone: cerro, faggio e aceri in località Strette, roverella a Colle Coconi. Si costruiranno in entrambi i casi chiudende a protezione degli impianti.

VALUTAZIONE D’INCIDENZA E MITIGAZIONI NECESSARIE

Gli interventi nel SIC IT7212134 (“Bosco di Collemeluccio – Selvapiana – Castiglione – La Cocozza”) riguardanti Monteluponi ricadono nell’habitat 91M0 (Foreste pannonico-balcaniche di cerro e rovere). Gli interventi nell’habitat 91M0 essi avranno, come detto, l’obiettivo di conservare l’habitat esistente, selezionando gli individui di qualità di cerro e faggio, per la futura rinnovazione

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del popolamento, mantenendo e valorizzando la diversità specifica con produzione di un certo numero di fusti di specie di pregio, importanti a fini ecologici, sociali e paesaggistici. Stesso discorso vale per l’habitat 9210, nel quale ricadono gli interventi previsti nei boschi di Monte Caraceno, Monte Lamberti, Funti e Munti (Faggete degli Appennini con taxus e ilex). In quest’ultimo habitat si avrà particolare cura nella tutela dell’agrifoglio e del tasso, specie qui particolarmente ben rappresentata, sia in termini quantitativi che qualitativi. Gli interventi avranno, quindi, l’obiettivo, di valorizzare la funzione paesaggistica ed ambientale del bosco. Le aree oggetto di intervento ricadono in boschi popolati da una ricca avifauna caratterizzata per lo più da uccelli appartenenti all’ordine dei rapaci e dei passeriformi. Tra i rapaci diurni, a seguito di sopralluoghi effettuati, numerosi sono stati gli avvistamenti del nibbio reale (Milvus milvus), che però sovente frequenta l’aperta campagna; si segnala anche la presenza del falco pellegrino (Falco peregrinus), del falco pecchiaiolo ( Pernis apivorus), del biancone (Circetus gallicus), dell’astore (Accipiter gentilis) e di rapaci notturni quali il gufo reale (Bubo bubo) e l’allocco (Strix aluco). La loro presenza non è però limitata solo ed esclusivamente alla superficie boschiva interessata dagli interventi, ma è relativa a tutta l’area circostante. Per questo, ma anche perché la superficie di taglio è ridotta e in relazione agli habitat naturali circostanti, le interferenze che si potrebbero manifestare a grande scala sugli habitat sono basse, considerando anche che il territorio circostante all’intervento presenta un buon grado di naturalità. Queste considerazioni possono essere fatte, a maggior ragione, anche per i grandi mammiferi segnalati e in particolare il lupo, per il quale l’ampiezza del suo home range è molto grande. Si ricorda, poi, che alcuni tra i rapaci diurni, come ad esempio il falco pellegrino, hanno un territorio di caccia molto vasto e riconducibile anche ad ambienti antropizzati o seminaturali, dove la presenza dell’uomo permette il mantenimento degli equilibri ecologici. In ogni caso sarà prestata particolare attenzione durante le operazioni di esbosco e si eviterà di tagliare gli alberi sui quali è accertata la presenza di nidi. Per le specie notturne l’impatto del taglio boschivo non arrecherà alcun danno nelle fasi di cantiere e l’intervento, che verrà effettuato in ore diurne, non creerà alcuna frammentazione dell’habitat né causerà una diminuzione delle risorse trofiche a loro disposizione. Da sopralluoghi effettuati nelle sezioni boschive in esame non si è rinvenuta invece nè la presenza di passeriformi quali la balia dal collare (Ficedula albicollis) o l’averla piccola (Lanius collurio), che per nidificare in ogni caso prediligono cespugli o fitte siepi, né di picidi (Dendrocopos major e minor). Come già sottolineato si eviterà di tagliare alberi sui quali si evidenzia la presenza di tali uccelli. Si tratta poi, per la stragrande maggioranza dei casi, di uccelli migratori che nidificano in un periodo compreso tra marzo e giugno e che si spostano nelle zone a sud del Sahara nei mesi invernali. Le fasi di cantiere del taglio boschivo influenzeranno pertanto solo parzialmente il ciclo riproduttivo delle specie menzionate nella scheda di N2000 e rappresentative degli interi SIC in cui ricadono le aree di intervento. Tra i mammiferi, non è stata riscontrata la presenza del lupo (Canis lupus), una specie che ormai da tempo ha modificato le proprie abitudini adattandosi a predare anche animali domestici e che frequenta una ricca varietà di habitat. Ad ogni modo l’intervento previsto non andrà a frammentare il territorio di caccia di questo predatore qualora fosse presente nel sito. Più semplice è stato invece accertare la presenza di carnivori di piccola taglia quali la faina (Martes foina), la donnola (Mustela nivalis), il tasso (Meles meles) e la volpe (Vulpes vulpes), tutte specie esclusivamente notturne, alle quali il taglio boschivo non arrecherà alcun danno nelle fasi di cantiere, né creerà alcuna frammentazione dell’habitat. Tra gli anfibi non è stata mai avvistata la Salamandrina terdigitata che predilige ambienti umidi e che quindi è più facile incontrare solo nei pressi dei valloni.

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Riguardo la fauna invertebrata di interesse comunitario non si è evidenziata la presenza del coleottero Rosalia alpina che vive nella faggeta, e del cerambice della quercia (Cerambix cerdo). Le larve della Rosalia alpina si sviluppano di norma nel legno morto di grossi faggi deperienti ed eccezionalmente si trovano in altre latifoglie. Gli adulti emergono in estate e sono attivi durante il giorno. Essi frequentano i tronchi di piante deperienti o stroncate e i tronchi di piante abbattute di recente. Al contrario di molte altre specie di Cerambicidi, non si rinvengono sulle infiorescenze di piante erbacee o arboree. Anche le larve del Cerambix cerdo crescono alimentandosi di alberi malati già in pericolo di vita o in evidente stato di deperimento, costituendo una minaccia soprattutto per vecchi alberi esposti al sole. Questi invertebrati pur essendo poco appariscenti nell’ecosistema bosco, ne costituiscono una componente essenziale sotto l’aspetto funzionale. Essi dipendono molto dalla necromassa di grosse dimensioni e molti di essi utilizzano il legno come cibo, per ibernare, come riparo dagli estremi termici e come sito di riproduzione. Tra i gruppi più legati al legno morto troviamo i lepidotteri, i ditteri e i cerambicidi. E’ da essi infatti che dipende, assieme ai funghi, la decomposizione e la rimessa in circolo degli elementi nutritivi immobilizzati nei fusti legnosi. Sarà importante, pertanto, prestare molta attenzione durante le operazioni di taglio e, dove necessario, favorire il rinnovamento delle specie che contraddistinguono gli habitat. In particolare per salvaguardare le specie animali di interesse comunitario esistenti è necessario: - realizzare l’utilizzazione di tronchi di grosse dimensioni secondo i metodi tradizionali e quindi legno scortecciato con rilascio di ramaglie fini in bosco; - lasciare una quantità adeguata di legno morto (necromassa) in piedi e a terra come substrato necessario alle funzioni biologiche svolte dagli invertebrati (Cerambyx cerdo e Rosalia alpina); - possibilmente non tagliare piante sulle quali è stata accertata la presenza di ripari o di nidi dell’avifauna caratteristica del bosco; L’intervento selvicolturale previsto interferisce con il sistema suolo per tre motivi: la regolazione dell’ingresso della luce sotto copertura, la gestione della necromassa, l’aumento e il mantenimento della mescolanza di specie del popolamento principale. Dopo il taglio, nel bosco rimangono delle porzioni di alberi senza valore commerciale come ceppaie, legno cariato della base dei fusti, rami, cimali e cortecce. Di norma si lasciano a terra questi residui forestali in base a considerazioni di ordine economico ed ecologico. Essi si decompongono naturalmente e rimangono così nel ciclo degli elementi nutritivi. Nell’utilizzazione forestale e nelle cure colturali esistono però anche degli argomenti sia in favore dell’accatastamento e dell’abbruciatura del legname non commerciabile o attaccato da insetti e funghi indesiderati, che della raccolta e dell’esbosco dei residui al fine di utilizzarli come combustibile oppure per la cippatura. Simili resti legnosi vengono definiti come residui delle utilizzazioni, mentre il loro sgombero viene chiamato “pulizia della tagliata”. Ancora troppo spesso la pulizia della tagliata viene realizzata solo in base alla tradizione o per motivi di ordine estetico, in quanto la presenza di ramaglia a terra viene recepita come disordine e sperpero. Una raccolta completa dei residui delle utilizzazioni al fine di ottenere legna da ardere è, nella maggior parte dei casi, troppo onerosa ed allontana dal popolamento forestale del legno morto, ecologicamente importante. Anche dal punto di vista della salute del bosco spesso l’eliminazione dei residui legnosi non è assolutamente necessaria se non addirittura controproducente. Per questa ragione, sempre che non sussistano fondati motivi contrari, si rinuncerà alla pulizia della tagliata. Accanto a ragioni economiche ed ecologiche anche la tutela della qualità dell’aria si contrappone a questa genere di provvedimento. Se la ramaglia disturba i lavori forestali sarà accatastata in mucchi. Questi cumuli costituiscono un luogo di rifugio per un elevato numero di animali come insetti, uccelli, micromammiferi, rettili o anfibi.

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La maggior parte degli insetti e dei funghi che si sviluppa nei rami morti contribuisce ampiamente alla loro decomposizione e non costituisce una minaccia per gli alberi vivi. Se per contro il provvedimento ha come scopo la lotta a nocivi o malattie, in questo caso rami e cortecce saranno bruciati freschi. In tal caso sarà necessario fare attenzione che venga bruciato solo il materiale effettivamente attaccato. L’agente del danno deve trovarsi in uno stadio evolutivo nel quale sussiste il pericolo di moltiplicazione e diffusione dello stesso. Nella maggior parte dei casi si tratta di covate di scolitidi allo stadio larvale, deposte su conifere. Nei pressi degli agglomerati urbani il fumo dei falò forestali può infastidire. In questi casi è necessario prendere in considerazione altre alternative, più onerose, quali la cippatura ed il compostaggio della ramaglia e della corteccia, oppure il loro allontanamento (esbosco). La pulizia del bosco, pertanto, sarà realizzata solo quando essa non è indispensabile per raggiungere gli obiettivi selvicolturali prefissati, oppure quando sussistono argomenti per una pulizia della tagliata, quali i seguenti: - durante la raccolta del legname, ed in seguito nella ricostituzione e nella cura del giovane bosco, devono essere garantite la sicurezza sul lavoro e la percorribilità dell’area di taglio. - grosse quantità di residui legnosi forestali secchi possono innalzare il rischio di incendi boschivi o intasare i letti dei torrenti. - in situazioni dove il bosco adempie ad altre funzioni, come ad esempio quella ricreativa; - i residui delle utilizzazioni possono fornire, sotto forma di cippato o di fascine, un pregevole contributo quale fonte di energia rinnovabile. - l’allontanamento tempestivo, lo scortecciamento oppure la cippatura delle parti di albero attaccate può ridurre il rischio di una diffusione degli agenti di danno o delle malattie presenti , come in caso di minaccia molto elevata di attacchi di scolitidi. Per i lavori di rimboschimento e/o delle successive cure i residui legnosi verranno riuniti in mucchi o andane. Dopo le utilizzazioni forzate i residui delle utilizzazioni ed altro materiale vegetale sono spesso attaccati da agenti di danno e malattie. Dato che in bosco si rinuncia all’uso di fitofarmaci, spesso il loro tempestivo abbruciamento costituisce l’unico metodo di lotta efficiente. Se grosse masse di residui rendono notevolmente più difficoltosa l’ulteriore gestione del bosco oppure, se in seguito alle operazioni di taglio esse ricoprono superfici agricole e a pascolo, possono essere eliminate con il fuoco più tardi, quando secche. Durante la decomposizione i resti delle utilizzazioni giacenti a terra fungono da ambiente vitale per un elevato numero di specie animali e vegetali. Alberi abbattuti non completamente esboscati contribuiscono alla molteplicità specifica. Le sostanze nutritive di un albero sono contenute principalmente nella corteccia così come negli aghi e nelle foglie. Se questo materiale marcisce sparso nel popolamento, gli elementi nutritivi rimangono ben distribuiti nel ciclo naturale delle sostanze. I rami giacenti al suolo possono proteggere i semenzali dal disseccamento, dalle gelate e dalla brucatura della selvaggina. Inoltre dai resti di maggiori dimensioni si forma in seguito un substrato di legno marcio favorevole all’insediamento della rinnovazione. Una pulizia meccanizzata andante compatta il terreno forestale, rendendo difficoltoso l’attecchimento delle giovani piantine. In stazioni secche e durante lunghi periodi di siccità possono essere innescati degli incendi boschivi. In simili condizioni è necessario rinunciare all’abbruciamento dei residui delle utilizzazioni. La combustione dei residui forestali freschi porta a considerevoli immissioni. Dopo i tagli regolari, prima che sia possibile la loro eliminazione bruciandoli, i residui delle utilizzazioni devono preventivamente seccare.

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Il legno morto ed i mucchi di rami sono popolati da un elevato numero di esseri viventi. Bruciando i residui in modo negligente è possibile coinvolgere alberi sani situati nelle vicinanze. Se sarà necessario bruciare, si adotteranno i seguenti accorgimenti: • non si deve bruciare in condizioni di inversione termica, tempo umido, vento forte, oppure in caso di pericolo di incendi boschivi; • per l’accensione deve essere utilizzata della legna secca; • sono vietati inneschi con combustibili quali benzina, olio esausto oppure vecchi pneumatici. • lasciare bruciare il falò in bosco il più velocemente possibile ad alte temperature; • prima di bruciarli, lasciare seccare sparpagliati i residui delle utilizzazioni non colpiti da agenti nocivi; • evitare di bruciare i mucchi di rami marcescenti con elevato sviluppo di fumi in quanto, con una simile combustione, vengono liberate molte più sostanze nocive; • non utilizzare il fuoco per eliminare rifiuti di ogni tipo; • mantenere una adeguata distanza dagli alberi circostanti; • evitare il fuoco su pendenze elevate a causa del rischio di rotolamento di materiale in combustione; • non bruciare mai mucchi di rami già presenti, in quanto insieme a questi viene distrutto l’ambiente vitale dei loro abitanti. Negli altri casi la decomposizione dei residui legnosi sarà spesso lasciata completamente alla natura. Il concentramento così come l’allontanamento preventivo oppure l’eliminazione dei residui di un taglio si giustifica solo nel caso di un’elevata minaccia di attacco da parte di insetti o funghi indesiderati, in grado di mettere in pericolo anche alberi viventi. In tali condizioni e in particolari circostanze, è addirittura consigliabile rinviare il taglio del bosco oppure le cure al giovane popolamento. L’accatastamento dei residui legnosi in mucchi oppure in andane facilita le ulteriori operazioni o interventi nel bosco, anche se di norma, non contribuisce alla lotta degli agenti di danno e delle malattie. Il materiale derivante dai diradamenti ammucchiato secca addirittura più lentamente di quello distribuito sul terreno ed in particolar modo quello di conifere ha sugli scolitidi un effetto attrattivo simile a quello di mucchi esca. Durante l’utilizzazione le piante secche o deperienti, saranno le prime a dover essere allontanate dal bosco. Ciò è perfettamente in linea con alcuni criteri basilari della selvicoltura: 1) Il criterio fitosanitario, che prevede l'asportazione di alberi in cattivo stato sanitario, per mantenere una condizione generale di buona salute del popolamento; 2) Il criterio economico di prelievo di alberi destinati naturalmente a morire per selezione naturale, prima che inizi il processo di degradazione del legno; 3) Il criterio, rapportabile soprattutto ad una gestione disetanea, del mantenimento dell'accrescimento del bosco su livelli elevati, allontanando gli alberi a scarsa efficienza fotosintetica. Vi sono tuttavia ulteriori considerazioni che concorrono a condizionare la presenza di necromassa legnosa in bosco. Nelle zone dove possono partire gli incendi, come lungo le strade, è necessità prioritaria l’asportazione dal suolo di materiale potenzialmente combustibile. Dove invece l'importanza turistica e ricreativa della foresta è elevata, dovrà garantirsi il mantenimento della sicurezza del transito sui percorsi più frequentati, eliminando le piante in piedi che possono costituire pericolo, in primis proprio le piante secche o deperienti. Tutte queste motivazioni, seppur legittime e condivisibili, portano tuttavia ad una progressiva e talvolta completa eliminazione dalle foreste coltivate di una componente strutturale e funzionale fondamentale degli ecosistemi forestali naturali, e cioè della necromassa legnosa grossolana e di tutti gli organismi e le funzioni ad essa collegate.

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Sarà fatta, pertanto, un’attenta valutazione del significato della necromassa legnosa. Il problema che si pone è la quantificazione e la qualificazione del materiale legnoso che è opportuno o possibile lasciare in bosco in modo da contemperare le esigenze citate con gli obiettivi di conservazione e incremento della biodiversità e della naturalità dei boschi. Il legno morto in decomposizione, purché di dimensioni sufficienti, può costituire spesso un substrato di germinazione indispensabile per le plantule delle nuove generazioni, che attorno trovano condizioni inadeguate per la presenza di tappeti di megaforbie o di felci con elevata concorrenza per l'acqua da parte del tappeto stolonifero di tale specie. Ciò risulta vero anche in esposizioni particolarmente aride e assolate, laddove il legno morto in decomposizione, per la sua caratteristica di assorbire e trattenere l’umidità necessaria alla germinazione del seme, può costituire il substrato più adatto alla rinnovazione. Gli organismi che dipendono in maniera diretta o indiretta dalla presenza di legno morto, in piedi o a terra, nel bosco sono numerosi. Essi trovano nella necromassa legnosa un substrato per la germinazione e lo sviluppo, la usano per l'alimentazione, per la nidificazione o come riparo. Le funzioni svolte e gli organismi ospitati possono dipendere sia dallo stadio raggiunto nel processo di degradazione del legno, sia dalla struttura del popolamento circostante. Le piante morte in piedi vengono generalmente utilizzate dall’avifauna, che vi possono trovare cavità adatte alla nidificazione e possono talvolta scavarle loro stessi. Ciò risulta tanto più agevole quanto più il processo di degradazione del legno è andato avanti. La durata di tale processo, e quindi del tempo di permanenza dei tronchi in piedi, è spesso direttamente correlata al loro diametro. Dalle dimensioni degli alberi secchi in piedi inoltre dipendono evidentemente anche le dimensioni degli organismi che in essi possono trovare rifugio. Roditori, anfibi, rettili trovano spesso riparo sotto tronchi a terra in avanzato stato di decomposizione. La categoria animale più dipendente dalla presenza di necromassa di grosse dimensioni è tuttavia quella degli invertebrati terrestri, molti dei quali usano il legno come cibo, per ibernare, come riparo dagli estremi termici e come sito di riproduzione. I gruppi più frequentemente legati al legno morto sono gli scolitidi, i bupestridi, i cerambicidi, gli isopodi, gli imenotteri e i ditteri, meno i lepidotteri. La colonizzazione degli alberi morti procede per stadi successivi. I primi stadi sono caratterizzati dalla colonizzazione di organismi abbastanza specializzati sulla pianta ospite, come scolitidi o cerambicidi. Negli stadi successivi la specializzazione vien meno con riferimento alla specie ospite e dipende soprattutto dal grado di decomposizione raggiunto dal substrato legnoso. Inizialmente troviamo coleotteri che scavano sotto corteccia e sulla superficie del legno, spesso associati con funghi; seguono coleotteri e larve diversi a seconda dello stadio di degradazione del legno e, per finire, specie che vivono al riparo di tronchi in decomposizione, tra cui oltre agli insetti, anche molluschi e chilopodi. Il primo stadio ha una durata di due-tre anni, il secondo stadio di otto- dieci anni e i due ultimi stadi di alcune decadi. E’ importante ricordare che solamente i primi due anni dopo la morte dell'albero sono utili per la colonizzazione di insetti potenzialmente dannosi per la loro capacità di pullulare su piante vive in quanto ciò può avere delle evidenti ripercussioni pratiche per l'adozione di eventuali misure di carattere fitosanitario. Pur essendo così poco appariscenti nell’ecosistema bosco, gli invertebrati ne costituiscono una componente essenziale sotto l'aspetto funzionale. E’ da essi infatti che dipende, assieme ai funghi, la decomposizione e la rimessa in circolo degli elementi nutritivi immobilizzati nei fusti legnosi. I funghi, in particolare i basidiomiceti, divengono particolarmente importanti in tale processo alle quote più elevate, o alle alte latitudini, dove gli estremi climatici riducono la presenza degli invertebrati. Per quanto riguarda invece il regno vegetale i gruppi più legati alla presenza di necromassa sono senz’altro i licheni, i muschi e le epatiche. Per tali organismi le dimensioni dei tronchi possono

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risultare essenziali al fine di garantire la dispersione e quindi la permanenza negli ecosistemi forestali. Specie con durame molto esteso (querce) presentano una decomposizione più lenta. Il contatto con il terreno inoltre accresce la velocità di decomposizione consentendo ad organismi del suolo di partecipare all'azione di degradazione del legno. La decomposizione della necromassa legnosa di grosse dimensioni segue sostanzialmente gli stessi principi della decomposizione della lettiera fogliare. La frammentazione da parte di insetti lignivori velocizza molto tale processo rispetto a quando esso è dovuto prevalentemente ad attività fungina. I sempre più frequenti e spesso allarmati appelli lanciati per contrastare l'abbandono colturale dei boschi e per sollecitarne la pulizia dimostrano come venga ancora sottovalutato il fatto che una efficace coltivazione del bosco non si ottiene asportando le piante morte, ormai prive di influenza sui meccanismi di competizione, bensì quelle vive. D’altro canto nelle stesse aree destinate alla protezione della natura si assiste talvolta a situazioni paradossali. Da un lato vengono interrotti i tagli sulle piante ancora vive, spesso in soprassuoli largamente alterati nel passato nella loro composizione e struttura, ottenendo come risultato dei popolamenti estremamente densi, instabili, privi di sottobosco e di vita; dall’altro lato viene mantenuto come unico intervento la raccolta di tutte le piante secche o schiantate, cioè proprio di quella componente che costituisce l'habitat di innumerevoli specie animali e vegetali e che invece è spesso carente. In ogni caso va abbandonato quella sorta di riflesso condizionato che porta a considerare il legno morto come buono solo per essere tagliato ed asportato, mentre andrà valutato di volta in volta, sulla base di considerazioni sia ecologiche che economiche nonché sociali, quale sia l'equilibrio migliore per ogni singolo popolamento e per ogni singola situazione. La gestione del legno morto in foresta deriverà quindi da un compromesso tra il rilascio di accumuli tollerabili di legno morto in bosco onde evitare le pullulazioni di insetti nocivi o il pericolo di incendi boschivi, la rinuncia economicamente accettabile ad utilizzazioni di biomassa e le quantità auspicabili di legno morto per il mantenimento o l’accrescimento del valore biologico e naturalistico delle foreste. La gestione della necromassa, effettuata con l’obiettivo di un suo graduale aumento nelle diverse componenti dimensionali, favorisce anch’essa i processi pedogenetici sia nella componente chimica che fisica. Con l’aumento e il mantenimento della mescolanza di specie, inoltre, si può favorire una migliore esplorazione del suolo da parte degli apparati radicali, ciascuno con diverse caratteristiche proprie di ogni specie. Di conseguenza si ottiene l’ossigenzione di tutti gli strati esplorati con un miglioramento anche dell’infiltrazione delle acque meteoriche. L’interruzione della copertura delle chiome dovuta al taglio, ridurrà solo temporaneamente l’intercettazione delle acque piovane. Infatti già dalla stagione vegetativa successiva le piante, liberate dalla concorrenza laterale, aumenteranno la dimensione della chioma e quindi non si avrà un incidenza negativa sul ciclo delle acque o perlomeno sarà limitata al breve periodo. Durante la fase di utilizzazione non sono previsti movimenti di terra che possano causare una modificazione morfologica dell’area; pertanto l’incidenza risulta essere limitata o del tutto assente. La realizzazione dell’intervento non determinerà nessun ostacolo alle linee di drenaggio superficiale, pertanto l’incidenza è nulla. Durante le fase di cantiere le modifiche dei flussi di traffico, causate dal movimento degli operai e da idonei mezzi di trasporto del legname, determineranno un aumento dei rumori che, essendo comunque limitati al breve periodo, non causeranno particolari criticità a carico della flora e della fauna.

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L’occupazione del suolo con il deposito temporaneo di materiale ed attrezzi da lavoro non avranno ripercussioni particolari sull’ambiente. Con la dovuta attenzione e la corretta esecuzione dei lavori l’incidenza sarà limitata. Per i nuovi ingombri fisici possiamo fare riferimento al precedente fattore. Inoltre considerando la esigua superficie che sarà occupata volta per volta durante la fase di cantiere non ci sarà alcuna incidenza negativa. Le immissioni in atmosfera di scarichi emessi, in questo caso, soprattutto dalle motoseghe e dai mezzi meccanici utilizzati per eseguire e completare, nella maniera più appropriata, il taglio boschivo. Data la breve durata dei lavori ed anche le dimensioni contenute del cantiere anche in questo caso possiamo affermare che l’incidenza non sarà significativa. Non sono previsti ingombri fisici durante la fase di esercizio e non si determinerà alcuna frammentazione di habitat né interruzioni di corridoi di spostamento della fauna. Con una accorta sorveglianza si eviterà il rilascio di rifiuti in bosco. L’intervento, comportando la parziale ripulitura del sottobosco e l’eliminazione di parte del piano dominato, determinerà condizioni meno favorevoli alla propagazione di eventuali incendi e il bosco sarà reso più transitabile alle squadre antincendio. Si determinerà, in tal senso, a seguito alla realizzazione dell’intervento, un miglioramento ambientale. Per quanto riguarda l’esbosco, questo avverrà secondo quelle che sono le Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale e con l’ausilio di mezzi meccanici. Inoltre il trasporto del legname tagliato avverrà tramite tracciati esistenti e interni al bosco. Non saranno realizzate altre piste di esbosco perché non necessarie. Per quello che riguarda i danni da abbattimento occorrerà introdurre e diffondere l'uso di tecniche e di attrezzature complementari che consentano una forte riduzione delle stroncature e delle rotture parziali delle chiome delle piante che, in base alla martellata, devono rimanere in piedi. Per l'allestimento del legname e della legna saranno adottati tutti gli accorgimenti tecnici per migliorare, in caso ricorra l'opportunità, l'assortimentazione dei prodotti delle specie di valore. Durante le utilizzazioni e ancora di più durante gli interventi colturali, si eviterà di tagliare completamente la componente arbustiva soprattutto quando si tratti di specie come il tasso e l'agrifoglio. L'eliminazione sarà limitata esclusivamente alla messa in sicurezza degli operatori durante le attività previste. Nonostante il bosco in esame sia in buono stato di conservazione, devono inoltre essere attuate alcune necessarie azioni di gestione forestale ed in modo principale: - per evitare la compattazione del suolo, in particolare per le zone a rischio, occorre regolare opportunamente il traffico veicolare e non procedere, perché vietato, all’utilizzazione (taglio, allestimento ed esbosco) subito dopo abbondanti precipitazioni, al fine di non danneggiare la viabilità interna alla compresa; - per ciò che riguarda gli avanzi dell’ utilizzazione, in particolare ramaglia e cimali, devono essere ammucchiati depezzati in aree ove non risulti di ostacolo alla rinnovazione o asportato. Inoltre l’utilizzatore è tenuto a tenere sgombri da tronchi e ramaglie sentieri e mulattiere, nonché corsi d’acqua sia in alveo che per una fascia di rispetto su ogni sponda; - evitare il transito in eventuali boschi tagliati di recente e in rinnovazione; - procedere, se necessario, con lavori di manutenzione e consolidamento delle strade forestali presenti; - procedere nel più breve tempo possibile ed in modo da non danneggiare il soprassuolo, in particolare il novellame, all’allestimento dei prodotti del taglio e allo sgombero del bosco dai prodotto stessi.

CONCLUSIONI L’incidenza sulle componenti biotiche ed abiotiche degli interventi previsti in aree SIC si può riassumere nella seguente tabella:

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Componente Componente acque Componente suolo e Componente rumore Componente flora, atmosfera superficiali sottosuolo e vibrazioni fauna e vegetazione Nessun rilascio di Nessun disturbo Assenza di disturbi Assenza di disturbi Limitata incidenza sostanze nell’aria da: fisico dell’ambiente fisici dell’ambiente sulla salute umana per le specie vegetali polveri ed aerosol; idrico da: geologico da: dovuti a: interessate; sorgenti puntiformi; prelievo o aggiunta addizione/sottrazione danni uditivi e/o nessuna sorgenti fisse. di acqua; di terreno; extrauditivi; frammentazione di smaltimento di stoccaggio di rifiuti limitata criticità per habitat e/o effluenti nell’acqua dentro o sul terreno flora e fauna. interruzione di corridoi ecologici. Considerando quanto esposto nel presente studio d’incidenza degli interventi previsti sugli habitat e le specie presenti nell’area, dall’analisi degli impatti e dalla tipologia degli interventi da realizzare, non si ravvisano pericoli circa la riduzione nella densità delle specie, né variazioni degli indicatori chiave del valore di conservazione. L’ assidua, stretta sorveglianza, assicurata dal personale dell’ufficio forestale della Comunità Montana Alto Molise e dal personale forestale della Stazione di Agnone, contribuirà in modo notevole a scongiurare l’insorgenza di pericoli. In conclusione possiamo affermare che l’incidenza a carico della flora e della fauna è da considerarsi per nulla significativa sull’integrità del sito. Va da sé che si obbligheranno gli addetti ai lavori a prestare particolare attenzione nell’utilizzo delle macchine operatrici e degli utensili di cantiere per evitare di danneggiare la parte di territorio che non deve essere intaccata dall’intervento; di effettuare il taglio a regola d’arte con strumenti ben taglienti, di ripulire la tagliata dallo spiname, frascame e dagli altri residui di lavorazione quando necessario e di non abbandonare durante il taglio nessun tipo di rifiuto. L’ area interessata dall’intervento assumerà un migliore aspetto paesaggistico e una maggiore valenza naturalistica e ambientale. Si allega: 1. Carta degli interventi; 2. Carta degli Habitat del SIC IT7212134; 3. Carta di Copertura del Suolo del SIC IT7212134.

I PROGETTISTI

Dr. Guido MILANESE ______

D.ssa Maria RICCI ______

GM/MR Piani d’Assestamento Pietrabbondante STUDIOD’INCIDENZA

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