l’attualità Welby, diario di un uomo in rivolta La ADRIANO SOFRI e PIERGIORGIO WELBY Domenica cultura Il cinema che raccontava la fabbrica DOMENICA 22 NOVEMBRE 2009 di Repubblica NOVELLI, OLMI, QUENEAU e SOLDATI

Cento gouaches Le per illustrare le storie di La Fontaine Poi il progetto fallì, i dipinti furono Fiabe messi all’asta e dispersi perdute Ora un libro li ha riuniti Chagalldi ILLUSTRAZIONE MARC CHAGALL

SIEGMUND GINZBERG immigrato, Picasso. Ma gli rimproverano di aver montato soprat- spettacoli tutto artisti «stranieri e semiti». Chagall gli ha già illustrato Le anime n immigrato si familiarizza con la lingua del paese di morte di Gogol, ma con incisioni, in bianco e nero. Gli illustrerà poi, E la chitarra inventò il rock adozione facendosi leggere e rileggere dalla moglie le sempre con incisioni, I profeti della Bibbia. Per il progetto La Fon- EDMONDO BERSELLI favole di La Fontaine. Talvolta la ferma al punto in cui taine si butta invece sul colore, inventando nuovi impasti, ricchi, il poeta fa la morale: «Questa puoi saltarla». Poi, quan- corposi, talvolta addirittura quasi violenti. Non sono più nemmeno do ormai le conosce a memoria, le dipinge con una i colori notturni, spenti, tristi della Russia della sua infanzia, che pu- i sapori fantasmagoria di colori gioiosi, brillanti e sgargianti, re lo avevano reso celebre. Sono colori solari, che scintillano di alle- Verdure ripiene, cenerentole a palazzo Uquasi pop, che accentuano, anzi fanno esplodere l’elemento ironico, gria, sono i colori del paesaggio francese e del Mediterraneo, che fiabesco, surreale. Lui è già un pittore famoso, non un esordiente. L’e- Chagall ha appena scoperto, sono i colori di Cézanne, di Matisse, dei LICIA GRANELLO e MASSIMO MONTANARI ditore che gli ha commissionato le tavole è uno dei più grandi colle- Fauves, non più quelli dello shtetl, del villaggio-ghetto. zionisti d’arte dei suoi tempi. Mal gliene incoglie però. Gli rinfaccia- Ecco qualche esempio. Un cuoco brillo scambia un cigno per le tendenze no di tradire il più elegante, «il più cartesiano e il più lucido» dei poeti un’oca e sta per sgozzarlo. Quello intona un lungo dolcissimo la- francesi del Seicento, una gloria della cultura occidentale, facendolo mento e salva il collo perché l’ubriaco lo riconosce. «Questo per di- I mille look dell’abito da giorno illustrare dalla «barbarie urlata ispirata al colore di un orientale». re che il saper parlare/ con voce dolce e con parole belle/ consente LAURA ASNAGHI L’immigrato è russo. E per giunta ebreo. Che sarebbe a dire, per a volte/ di salvare la pelle», la morale della favola. Noi, come Chagall, quei tempi, peggio che extracomunitario. Nella sua città natale, Vi- come probabilmente anche La Fontaine, sappiamo che talvolta è tebsk, ora Bielorussia, era stato registrato all’anagrafe come Mosh- così, talvolta no. Il cigno dell’illustrazione potrebbe benissimo rap- l’incontro va (Mosè) Shagal. A Parigi si sarebbe fatto chiamare Marc Chagall. presentare uno dei protagonisti delle bellissime Storie di uomini e L’editore per cui lavora si chiama Ambroise Vollard. Ha già fatto for- animali di Scholem Aleykhem. Zaha Hadid, spazi per sentirsi bene tuna lanciando Cézanne, Matisse, Gauguin, Van Gogh, e un altro (segue nelle pagine successive) CLOE PICCOLI

Repubblica Nazionale 34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22 NOVEMBRE 2009 la copertina Nel 1926 un editore parigino chiese al pittore di illustrare Le fiabe perdute cento racconti di La Fontaine. L’idea non andò mai in porto: “troppo russo e troppo ebreo” quell’artista nella Francia dell’antisemitismo e dell’affaire Dreyfus, e nell’Europa dei primi totalitarismi. Le tavole andarono disperse. Oggi Donzelli ne ha recuperate quarantatré e fa rivivere quel progetto geniale

IL MUGNAIO, SUO FIGLIO E L’ASINO LA PERNICE E I GALLI IL LUPO E LA CICOGNA L’ASINO CARICO DI SPUGNE Il viaggio di padre e figlio per vendere il somaro Una pernice poco rispettata da galli rissosi La cicogna salva il lupo ma senza ricompensa Affoga per imitare l’asino carico di sale Chagall e il colore delle favole

SIEGMUND GINZBERG volpe, per aver rubato/ più di una volta, e a vari pro- Nell’inaugurare a Monaco nel 1937 la grande coppia innamorata. Poi evitò il peggio perché riu- prietari». Non esattamente l’ideale della giustizia, mostra sull’“Arte degenerata”, Hitler aveva ironiz- scì ad ottenere un visto per New York. Morì ricco e (segue dalla copertina) da cui ci si aspetterebbe un «sì, sì», o un «no, no». zato sui dipinti «con cieli verdi e mari viola», e pro- onorato, nel suo castello, a novantasette anni, nel Tanto che nelle edizioni successive La Fontaine posto la sterilizzazione e il ricovero forzato nei ma- 1985. Ma l’ansia di assimilazione talvolta fa brutti a la differenza è che quelle, pur dovrà difendersi dalle critiche addossando la re- nicomi dei «disgraziati» che «dipingono così per- scherzi a chi s’è visto per tutta la vita additare co- essendo anche loro deliziose sponsabilità delle contraddizioni alla sua fonte, ad ché vedono le cose così». Tra le 730 opere forzosa- me “diverso”. S’è detto che Chagall è «il più ebreo favole per bambini, sono di una Esopo. Chagall nel dipingere la scena va oltre: iro- mente sequestrate e additate all’infamia c’erano dei pittori ebrei». Persino i suoi Cristi crocifissi so- tristezza struggente, fanno ve- nizza su tutti e tre, scimmiesco magistrato com- diversi Chagall. In Francia avevano ottenuto lo no innanzitutto ebrei. Eppure era laicissimo. A dif- nire i lacrimoni agli occhi. Men- preso. stesso effetto, senza nemmeno dover instaurare ferenza della Némirovsky e del suo amico Mari- tre Il Cigno e il cuoco così illu- Tra il 1926 e il 1927 Chagall aveva realizzato un un nuovo regime: di violenza gli bastava quella tain o della sua contemporanea Simone Weil, non Mstrato trasmette allegria. E forse più per i colori da centinaio di gouaches sulle Favole. Ma non se n’e- esercitata attraverso i giornali. risulta si sia mai convertito. Di cose di religione, a Costa Azzurra che per il lieto fine. ra poi fatto nulla. Il libro a colori non sarebbe mai In quel clima Vollard forse semplicemente non quanto pare, non si curava molto. Ma è sepolto in Tutti sappiamo come va a finire Il lupo e l’agnel- uscito. Non si hanno spiegazioni convincenti del aveva altra scelta. Erano gli anni in cui l’editore un cimitero cattolico, sotto una croce, perché co- lo. Esaurite le scuse, quello finisce divorato «sen- perché. Si disse che Vollard avrebbe rinunciato Grasset scopriva e pubblicava l’ebrea russa Irène sì volle l’ultima moglie, Valentine, “Vava” Brod- za neanche la farsa di un processo». Ma nell’illu- perché le prove di stampa a colore non erano riu- Némirovsky. Ma forse lo faceva anche perché gli sky, ebrea ma convertita. strazione ci si può per un attimo illudere che il lu- scite bene. Più tardi Chagall avrebbe ripiegato su ebrei dei suoi romanzi, a cominciare da quel David Le sue illustrazioni alle Favole erano un omag- po cattivo e il tenero agnellino stiano giocando. incisioni con gli stessi soggetti. Sarà anche andata Golder, il cui protagonista ricalca la figura del padre gio a La Fontaine, un inno alla cultura e ai colori Chagall non si limita a “illustrare” La Fontaine, co- così. Ma qualcosa non quadra. La Francia conti- banchiere dell’autrice, accomodavano certi cliché della Francia. Trasudano felicità. «Quelli sono sta- me altri avevano fatto, egregiamente, per secoli. nuava ad accogliere immigrati, era un polo d’at- antisemiti. Gli artisti immigrati cercavano dispera- ti i nostri anni più felici», avrebbe confessato. L’i- Lo interpreta, aggiunge qualcosa. trazione per gli intellettuali da ogni angolo d’Eu- tamente di integrarsi, farsi francesi. La Némirovsky ronia amara è però che queste tavole, concepite Quel che aggiunge in genere è una nota di otti- ropa. Ma in fatto di avversione agli stranieri tirava scriveva in francese, sua figlia era nata a Parigi, ma per esprimere la felicità di vivere in Francia, non mismo. Ma altre volte una nota di ulteriore ironia. già una brutta , anticipava, come spesso suc- nessuno della famiglia riuscì mai a ottenere la citta- furono pubblicate in Francia. Caduta l’idea del li- Ad esempio, ne Il lupo, la volpe e la sentenza della cede, il peggio a venire altrove. Avevano tradizioni dinanza francese. Si convertirono ostentatamente, bro d’arte, nel 1930 le tavole erano state esposte in scimmia, il poeta di corte del Re Sole chiaramente da vendere, erano stati già nei decenni preceden- forse addirittura con convinzione, al cattolicesimo. tre mostre, a Parigi, a Bruxelles e a Berlino, per es- parteggia per la scimmia, che è il giudice chiama- ti all’avanguardia in Europa in fatto di nazionali- Ma nemmeno questo bastò a salvarli dal treno per sere subito dopo vendute ad acquirenti privati. to a dirimere la querela del lupo contro la volpe. smo e antisemitismo. Avevano dato punti a tutti Auschwitz e dalla camera a gas. L’editore forse pensava così di recuperare le spe- Quel giudice condanna entrambi, querelante e col caso Dreyfus. Non è così sorprendente che ab- A Chagall invece la cittadinanza la concessero. se. Nessun museo si fece avanti per evitare la di- querelato, a rischio di contraddirsi: «È inutile che biano in qualche modo anticipato il linciaggio del- Sia pure parecchio dopo che l’aveva chiesta: nel spersione. Né nessuno da allora è riuscito a met- sprechiate tanto fiato,/ vi conosco fin troppo, ami- l’arte d’avanguardia “straniera” inscenato dai na- 1937, quando al governo c’era la sinistra, col Front tere insieme e recuperare tutte e cento le illustra- ci cari./ Pagherete l’ammenda, siete pari:/ tu, lu- zisti qualche anno dopo la loro ascesa al potere in populaire. Ringraziò colorando coi colori del tri- zioni. Solo a metà anni Novanta il Museo Chagall po, per avere simulato/ un furto mai subìto,/ e tu, Germania. colore l’ultima versione del tema ricorrente della di Nizza e il Musée d’Art Moderne di Céret sareb-

IL TOPOLINO TRASFORMATO IN FANCIULLA IL LUPO, LA VOLPE E LA SCIMMIA L’UCCELLO FERITO DA UNA FRECCIA L’ASINO E IL CANE La ragazza, ratto in origine, sposerà un topo La scimmia magistrato emette una sentenza La tragedia di un uccello colpito dall’uomo La mancata solidarietà tra asino e cane

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IL LIBRO Da domani è in libreria Favole a colori, le fiabe di Jean de La Fontaine illustrate da Marc Chagall La traduzione è di Maria Vidale ed è completamente nuova rispetto a quella ottocentesca di Emilio De Marchi Il volume (180 pagine, 43 illustrazioni a colori, 24 euro) è edito da Donzelli

I DUE TORI E LA RANA Un toro in pena si vendica sulle rane

IL LEONE DIVENTATO VECCHIO I sudditi si ribellano al re della foresta

In copertina, un particolare da La rana che voleva diventare grossa come il bue

bero riusciti ad esporne una parte. Di una trenti- na i curatori erano riusciti a rintracciare almeno l’ubicazione, anche senza riuscire ad esporle. Di un’altra trentina, si sono invece perse del tutto le tracce. Si tratta per lo più dei dipinti venduti a Ber- lino. Solo tre anni prima della nomina di Hitler a cancelliere. Tra la favola e l’orrore talvolta i tempi sono stretti. Il catalogo pubblicato nel 1995 dalla Réunion des musées nationaux presentava quarantatré gouaches. Sono esattamente quelle che l’editore Donzelli ora pubblica e presenta per la prima vol- ta al pubblico italiano con il titolo Favole a colori, affiancando ciascuna alla rispettiva favola di La Fontaine in una nuova, sorprendentemente bril- lante traduzione in versi di Maria Vidale, che del- l’originale riproduce non solo il ritmo ma anche buona parte della verve ironica. «Si tratta di un tentativo e di una scommessa. A un certo punto ci eravamo accorti che l’unica traduzione ancora corrente, in quasi tutte le edizioni attualmente in commercio, era quella di Emilio De Marchi, che risale al 1867, e, con tutti i suoi meriti, è figlia del- l’epoca. Ma d’altra parte, un La Fontaine non in versi sarebbe un po’ come uno Chagall senza co- lori», spiega Carmine Donzelli. È comprensibil- mente soddisfatto. E a ragione, perché il risultato è effettivamente un gioiellino. Non necessaria- mente per bambini, come non lo erano le favole di la Fontaine, né le illustrazioni di Chagall.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Il leone diventato vecchio

Il leone è invecchiato. Lui, che era un tempo il re della foresta, ora è fiacco, intristito, malandato. Dell’antico valore non gli resta che la memoria. I sudditi in rivolta, senza rispetto per la sua maestà, si presentano a lui uno alla volta per infierire sulla sua tarda età. Il cavallo gli dà una zoccolata, lo azzanna il lupo, e persino il bue si avventa per mollargli una cornata. Il povero leone, indebolito, non ce la fa nemmeno più a ruggire e aspetta, rassegnato, di morire. Ma nel vedere l’asino accostarsi, «No, questo è troppo! — dice con orgoglio. — Passi il morire, ma non sentendo un raglio!»

© RIPRODUZIONE RISERVATA LA LEPRE E LE RANE IL CIGNO E IL CUOCO IL PRETE E IL MORTO La lepre scopre che le rane son più vili di lei Grazie al suo canto il cigno salva le piume Un carro funebre e un prete troppo avido

Repubblica Nazionale 36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22 NOVEMBRE 2009 l’attualità Tre anni fa moriva l’uomo che testimoniò fino all’ultimo Combattenti la sua battaglia contro l’accanimento terapeutico. Scelse di far staccare il respiratore che lo teneva in vita dopo anni di immobilità totale. Non gli vennero concessi i funerali religiosi. Mentre ancora l’Italia discute di testamento biologico, ecco le sue parole e i suoi disegni mai visti

LE ILLUSTRAZIONI I disegni che accompagnano il “diario” di Piergiorgio Welby Da sinistra, in senso orario, un autoritratto di Welby; una scena infernale con scheletri; una donna distesa; un volto deformato

Welby, diario ultimo di un uomo in rivolta

ADRIANO SOFRI sta morendo”, non è un “testamento”. È il diario di un uomo “Ho Chi Min dalla passione e dal talento esuberante. Opera incompiuta e uando muore un (vecchio) uomo, è co- diseguale, del cui montaggio si potrà discutere (il curatore, me se bruciasse un’intera biblioteca». e il Che mi fissano Francesco Lioce, ne dichiara i criteri), ma di una dirompente Quanti libri aveva letto Piergiorgio forza di cose, pensiero e linguaggio. Dura, anche maledetti- Welby, quante donne aveva amato e con disapprovazione sta, ma a ridosso di una vera maledizione. Si evoca il Céline sentito — «come il rumore di fondo del dalla parete... del Viaggio al termine della notte, si potrà evocare il Pasolini «Q mare» — e quanti buchi si era fatto. Tor- di Petrolio. Ma Welby ha una personalità e una sicurezza sua na il nome di Welby, e ci si chiede a che punto siamo con la vi- Ma che ne sapete di scrittore e di poeta, appena scalfita dalla rifinitura manca- ta che finisce: malissimo punto, perché la buona intenzione ta. Lo sapeva chi avesse letto i suoi scritti editi, e specialmen- di votare una legge civile sul cosiddetto testamento biologico voi della guerra te gli editoriali sul suo blog, Il Calibano, in cui si trovavano già ha finito per lastricare, con l’oltranzismo della maggioranza brani dello zibaldone di Ocean Terminal. Che restituisce a introvabile di centrodestra (e complici dal centrosinistra), che combatto Welby la sua tremenda e anelante vita, la sua lunghissima sta- l’usurpazione medica e la sopraffazione della nutrizione ar- gione all’inferno. tificiale obbligata. Perché questa bravata non si compia si può ogni giorno! Sia detto di proposito, perché ricordare di lui solo il fune- solo auspicare l’alleanza ragionevole fra chi, in qualunque punto dello schieramento politico, preferisce l’astensione da Delle ritirate, una legge ulteriore alla pessima e più invadente fra le leggi. Ma farebbe un gran torto al ritorno del nome di Welby pie- delle imboscate, garlo a un’occasione per ridiscutere dei diritti della vita che fi- nisce, di cui era diventato un alfiere, come Luca Coscioni, co- delle umilianti rese me la famiglia Englaro e ormai tanti altri. Questa riduzione del Welby morto a simbolo di una gran battaglia aveva già inve- Mi hanno fatto stito il Welby vivo, facendone un morente. Un imprigionato nel suo letto senza scampo come il condannato nella cella ul- prigioniero il giorno tima. Noi, come sentivano gli antichi prima che i loro dei fos- in cui sono nato sero eclissati, siamo i mortali, ma facciamo come se niente fos- se, tanto più ora, che si imbonisce il differimento sine die del- Io ancora l’esecuzione. Noi facciamo jogging, sorpassiamo quello in carrozzella, ci diciamo: «Come fa! Al suo posto mi sparerei su- non lo sapevo, bito!» — e riprendiamo l’ascolto in cuffia. Ci separiamo sem- pre più, salvo che tocchi a noi, dai morenti, dead men nem- ma i miei meno più walking, quelli per i quali la sentenza è stata pro- nunciata ad personam, e allegata anche una data di scadenza. cromosomi malati Ocean Terminal, il titolo del “romanzo” di Welby, è se non sbaglio l’insegna di un ipermercato. Terminale è la vita dei sì che lo sapevano!” malati irreparabili, e l’aggettivo recente ha l’effetto di tramu- tarla in non-vita. Non sono vivi: soltanto, non sono ancora morti — non del tutto. Il “romanzo” non è l’opera di uno “che

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IL LIBRO Si intitola Ocean Terminal e sarà in libreria dal 25 novembre il libro che raccoglie pensieri, riflessioni, storie e ricordi che Piergiorgio Welby scrisse fino a poco prima di morire Il volume, curato da Francesco Lioce, contiene anche i disegni che illustrano queste pagine. È edito da Castelvecchi (192 pagine, 16 euro)

Resto qui a contare i giorni e a fingere di essere vivo

PIERGIORGIO WELBY esiderio esaudito! In cambio di quello che la vita mi ha tolto, a parziale risarcimento, mi viene data una carrozzina ortopedica di un bel blu oltremare, in modo che il culo abbia l’impressio- Dne di riposare in un eterno semicupio marino, cromata come un’Harley appena uscita dalla fab- brica, aerodinamica quel tanto che basta per farmi provare l’illusione della velocità. Manca il casco, ma chissenefrega. Non dovrò più preoccuparmi delle cadute, dei cedimenti improvvisi delle ginocchia, dei gradini… e no, cazzo! Dei gradini devo preoccuparmi… e la storia ricomincia. Dove prima inciampavo adesso mi blocco. Due militari mi alzano di peso per farmi superare la scalinata che porta al seggio elettorale, un ascensore in panne mi lascia per ore nei sottoscala della Usl… l’unico percorso che non mi riservi imprevisti è quello che va dal letto alla tazza del cesso. Uscendo dall’ospedale ti assale l’assurda fantasia che nel mondo sia cambiato qualcosa, pensi che l’orrore che ti ha colpito debba in qualche modo riflettersi sui volti della gente, sui muri, nel volo dei pic- cioni; aspetti ansioso che da un momento all’altro il cielo si squarci e un triangolo al neon con un occhio al centro ti illumini e una voce tonante gridi: «Nessuno tocchi Caino!»… beh… non proprio nessuno tocchi Caino, basterebbe che dicesse: «Qualcuno dia una mano a Caino»… ma… Nessun grido, nessu- na complice partecipazione, nessuna amorevole pietà. Sei un ricatto vivente, uno scomodo MEMEN- TO MORI, sei la cattiva coscienza che agita i sonni, sei un ammonimento inquietante per un’umanità convinta di aver conquistato l’immortalità comprando una bustina di integratori, mangiando crusca e yogurt, lavandosi i denti tre volte al giorno, facendosi il check-up una volta all’anno, scopando con due preservativi infilati sull’uccello… insomma quella gente normale che ogni domenica indossata un’A- DIDAS corre nei parchi cittadini. Un giro in più e un’altra manciata di anni è assicurata! Poi arrivi tu. E mentre gli rotoli davanti, con le braccia penzoloni e la testa cadente… il loro cuore ac- celera e anche la loro andatura aumenta, ma la tua immagine gli resta nel cervello, imprigionata come una vespa in un bicchiere capovolto. Zzzzzzz… zzzzz… zzz… «e se capitasse a me cosa farei?». Zzzzz… zzzz… «come si può continuare a vivere in quelle condizioni?». Zzzz… zzz… «io non ci riuscirei mai…». Zzzzz… zzzz… «meglio un colpo di pistola!». E, rassicurati da questa scappatoia, alla prima curva, scat- tano e spariscono dietro una siepe di mortella. Io resto qui. E, senza tirarmi un colpo di pistola, continuo, insieme a tutti gli altri nelle mie stesse condizioni, a domandarmi perché sia dovuta capitare proprio a me, perché mentre le persone nor- mali contano i chili in più, io debba contare i giorni che mi restano. [...] Tac! Tac! Tac!… brevi scatti decisi delle sue dita sulla Wangler e il mio torace nudo aspetta il tepore sconosciuto delle labbra… «Come sei pallido!… e magro!». Dead man walking… si è accorta che sono morto… strano, ero riuscito a ingannare tutti! Ero già morto nell’oasi di nespoli e cedri del Libano, ero morto sulla spiaggia di meduse e colibrì… e la luna affogando nel vaso dei pesci rossi aveva singhiozza- to: «Sei morto… perché vuoi ostinarti a fingere?»… In lacrime avevo risposto che nessuno mi aveva in- segnato a morire e l’unica cosa che sapevo fare era guardarmi intorno e imitare gli altri, imitare la vita: respirare, mangiare, bere… senza averne bisogno… baciare il viso ruvido di mio padre la domenica mat- tina, il bacio slabbrato di rossetto di mia madre… tutto questo per me era come l’agitarsi convulso del- la coda amputata di una lucertola… le emozioni si esibivano in contorcimenti e vibrazioni che io igno- ravo… con il corpo ero già lontano e la mia coda era lì a esibirsi, a fare ciò che gli altri si aspettavano. Recitavo con tanto impegno che, alla fine, mi ero convinto anch’io: cazzo, sei vivo! Sei come gli altri… ma quel giorno che con l’omero spezzato entrai nel pronto soccorso del San Giovanni… il medico di guar- dia urlò: «Stronzi! Perché mi portate un cadavere?… lavatelo e mettetelo con gli altri, domani faremo l’au- topsia». Eravamo in tanti nella morgue, cadaveri gonfi di sogni e illusioni fermentate nella putrida e ri- stagnante assenza di vita. [...] Si alzarono e fissandomi con le orbite buie di catrame e follia mi sputarono parole taglienti di ghiaccio: «Vattene, tu non sei dei nostri… puzzi di vita e allontani i vermi, vattene e tor- na da dove sei venuto!»... Non ero abbastanza vivo per i vivi, non ero abbastanza morto per i morti… © Alberto Castelvecchi Editore Srl

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rale assente e la commozio- ne di un paese in uno dei suoi momenti mi- gliori sarebbe come dimenticare di Rimbaud la morte dispe- rata e l’amputazione e la corrispondenza ansiosa col distret- to militare e i traffici africani. Il “romanzo” di Welby non tra- disce il suo impegno civile, e lo perfeziona. Aveva scritto a Na- politano: «Sono consapevole, Signor Presidente, di averle parlato anche, attraverso il mio corpo malato, di politica». Nel libro: «Ho Chi Min e il Che mi fissano con disapprovazione dalla parete... Ma vaffanculo, che cazzo ne sapete voi della guerra che combatto ogni giorno! Delle ritirate, delle imbo- scate, delle umilianti rese incondizionate. Mi hanno fatto pri- GLI AMANTI gioniero il giorno stesso che sono nato. Io ancora non lo sa- Sopra, una coppia pevo, ma i miei cromosomi malati sì che lo sapevano! [...] Era di amanti facile fare gli eroi nella jungla cambogiana o contro i gover- A sinistra, una fotografia nativi in Bolivia… Io non finirò mai sulle T-shirt degli ipervi- di Piergiorgio Welby e, taminizzati cuccioli dell’Occidente o sugli striscioni dei cen- sotto, un altro disegno tri sociali o sulla parete di qualche sezione di Rifondazione. con un Cristo No! Io finirò in un centro di rianimazione con gli occhi fissi al deposto dalla croce soffitto bianco e il corpo pieno di tubi. Vorrei vederli al mio posto questi morti sul campo di battaglia con il sole negli oc- chi come i tori di Hemingway». Dal corpo dei malati al cuore della politica — è lo slogan che i radicali hanno fatto proprio, ed è molto più che uno slogan. Leggendo il libro postumo di Welby sarete colpiti e scanda- lizzati, commossi e offesi, e potrà tornarvi alla mente un altro slogan di quel Che (dal suo letto Welby lo manda affanculo, ma lo sa che non era facile fare l’eroe in Bolivia, e non si mori- va col sole negli occhi): «Bisogna indurirsi senza perdere la propria tenerezza». Ne fece di guai quel motto. Per una volta, lo si può riscattare, l’ha riscattato Welby, nella sua scrittura dura, in cui il nome di tenerezza non compare, ma basta sa- perlo leggere.

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Repubblica Nazionale 38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22 NOVEMBRE 2009

Tra gli anni Trenta e Settanta, le grandi industrie, dalla Fiat CULTURA alla Olivetti, commissionavano film destinati alla fruizione interna * o alla pubblicità. Con quei formidabili strumenti di politica aziendale si cimentarono registi come Alain Resnais ed Ermanno Olmi e uomini di lettere del calibro di Raymond Queneau, Italo Calvino e Mario Soldati. Ora una rassegna ripercorre tra Torino, Ivrea e Roma quel patrimonio di pellicole e parole

MASSIMO NOVELLI n un famoso film di Jean-Luc Go- dard, Pierrot le fou, il regista ame- ricano Samuel Fuller pronuncia una battuta leggendaria: «Il cine- ma è come una battaglia: amore, odio, azione, morte, violenza. In Iuna parola: emozione». Per le maggiori aziende manifatturiere italiane e stra- niere del Novecento, soprattutto tra gli anni Trenta e Settanta, se non proprio emozione i film commissionati per uso interno e pubblicitario furono comun- que un formidabile strumento di politica Cinema industriale così come di diffusione di Quando la fiction era operaia un’idea totalizzante di fabbrica. Cioè di un luogo di lavoro che, allo stesso tempo, produceva consenso, rispettabilità, so- cialità e risposte ai bisogni dei dipenden- ti: assistenza e tempo libero, colonie per di bambini, attività ricreativa e sportiva. Nessuna, in oltre mezzo secolo, mancò all’appello. Per restare in Italia, si va dalla Fiat alla Edison, dall’Ansaldo al- l’Italsider, alla Borsalino, all’Olivetti, al- l’Eni. Per girare i documentari, in taluni Fabbrica

casi anche opere di fiction con attori e at- manno Olmi si dedicò alle Costruzioni presa-Centro sperimentale di cinema- Senza dimenticare Le chant du styrènedi dell’Italsider di San Sicario, sulle monta- trici di fama, vennero chiamati registi Meccaniche Riva. Primo Levi, su invito tografia e dall’Archivio audiovisivo del Resnais e Queneau, del 1958. Oppure il gne della Via Lattea. importanti, scrittori e poeti celebri, raffi- della Montedison, ricordò in un filmato movimento operaio e democratico, con citato Sotto i tuoi occhi, del 1932, attri- Se questo è il catalogo della rassegna nati, a volte dichiaratamente di sinistra. Italo Calvino, con il quale aveva collabo- il contributo del Ministero dei beni cul- buito a Soldati. E, ancora, Andando ver- d’esordio, D’Autilia e Toffetti prometto- Alain Resnais, uno dei maestri del cine- rato alla traduzione italiana del poema turali, la manifestazione, curata da Ga- so il popolo (sui tubifici di Dalmine) di no sorprese a non finire nelle prossime ma francese, e Raymond Queneau, l’au- sulla plastica di Queneau. briele D’Autilia e da Sergio Toffetti, rap- Michele Gandin, già assistente di Vitto- edizioni. Qualche anticipazione? Toffet- tore de I fiori blu, non ebbero timore di Al patrimonio del cinema industriale, presenta il battesimo di un vero e pro- rio De Sica; un raro filmato sulla Borsali- ti: «Penso ai lavori di Alessandro Blasetti mettere in scena Il canto del polistirene, la cui ricchezza è venuta alla luce dai fon- prio festival cinematografico del lavoro no di Alessandria, forse del 1913, in cui si e di Steno sulla Fiat. O ai film aziendali di per il gruppo Pechiney, come se fosse un di aziendali soltanto in questi ultimi an- che dovrebbe tenersi annualmente. ammirano i manifesti disegnati da Mar- Michelangelo Antonioni per la Snia Vi- brano dell’Odissea. Mario Soldati im- ni, ma pure a quello del movimento sin- In questa prima edizione saranno cello Dudovich; e Incontro con la Olivet- scosa, e a quelli di Jean-Michel Folon e di mortalò lo stabilimento fordista del Lin- dacale e dei lavoratori è dedicata la ras- proiettate tante opere significative, ori- ti, del 1950, con la regia di Ferroni e il te- Kon Ichikawa, l’autore de L’arpa birma- gotto di Torino, che già aveva sedotto segna Memoria contesa/ Memoria con- ginali e preziose. Tra queste, Le officine sto di Fortini. Un viaggio in quel mondo na, commissionati dall’Olivetti. Fino a Piero Gobetti, utilizzando la bellezza in- divisa. Il lavoro nei documenti filmati di corso Dantedel fotografo e documen- che prosegue con L’avventura nella va- Ermanno Olmi, ingaggiato dalla Edison, trigante di Isa Pola. Mentre Giorgio Fer- dell’impresa e del movimento operaio, tarista Luca Comerio, che nel 1911 ripre- canza di Piero Nelli: il regista de La pat- e a Bernardo Bertolucci, Gillo Pontecor- roni, alla macchina da presa, e Franco che dal 30 novembre al 12 dicembre si se a Torino la fabbrica storica della Fiat; tuglia sperduta, probabilmente il più bel vo e i fratelli Taviani, che girarono per Fortini, nel testo, tesserono le lodi del- terrà tra Torino, Ivrea e Roma. Promos- e I nuovi stabilimenti Fiat, risalente al film sul nostro Risorgimento, lo realizzò conto dell’Eni». l’Olivetti e della “Città dell’Uomo”. Er- sa dall’Archivio nazionale cinema d’im- 1941, del critico e scrittore Mario Gromo. nel 1963 all’interno della colonia estiva © RIPRODUZIONE RISERVATA

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LE CHANT INCONTRO CON SABATO DOMENICA, BUON LAVORO SUD i titoli DU STYRÈNE (1958) LA OLIVETTI (1950) LUNEDÌ (1968) (1969) La canzone La plastica secondo Una giornata Un documentario L’apertura Resnais (regia) qualsiasi sulla condizione di una sede e Queneau nell’azienda di Ivrea della donna della Montedison del polistirene (commento) Regia di Giorgio lavoratrice in un centro al Sud Tradotto da Calvino Ferroni, testo Regista: Regia di Giovanni per la Montedison di Franco Fortini Ansano Giannarelli Cecchinato RAYMOND QUENEAU Tempo, ferma la forma! Canta il tuo carme, plastica! VORREI CHE VOLO LA FABBRICA Chi sei? Di te rivelami lari, penati, fasti! (1980) DEI TEDESCHI (2008) Di che sei fatta? Spiegami le rare tue virtù! La Torino del lavoro Mimmo Calopresti Dal prodotto finito risaliamo su su e dell’immigrazione sulla Thyssenkrupp con testimonianze di Torino, tra Ai primordi remoti, rivivendo in un lampo raccolte finzione e realtà Le tue gesta gloriose! In principio, lo stampo. da Ettore dopo la tragedia Vi sta racchiusa l'anima; del lor grembo in balìa Scola del dicembre 2007 Nascerà il recipiente, o altro oggetto che sia. Ma lo stampo a sua volta lo racchiude una pressa Da cui viene la pasta iniettata e compressa, Metodo che su ogn’altro ha il vantaggio innegabile Di produrre l'oggetto finito e commerciabile. Lo stampo costa caro; questo è un inconveniente, Ma lo si può affittare, anche da un concorrente. Altro sistema in uso permette di formare Oggetti sotto vuoto, per cui basta aspirare. Già prima il materiale, tiepido, pronto all'uso Viene compresso contro una filiera: "estruso", Ossia spinto all'ugello per forza di pistone; Lo scalderà il cilindro al punto di fusione. È lì che fa il suo ingresso nel bollente crogiolo Il rapido, il vivace, il bel polistirolo. Lo sciame granuloso sul setaccio si spinge, Formicola felice del color che lo tinge. Prima di farsi granulo, somigliava a un vibrante Spaghetto variopinto: chiaro, scuro, cangiante. Una filiera trae, dall'estruso finito, Gli spaghi che una vite senza fine aggomitola. E l'agglutinazione come si fa ad averla? Con perle variopinte: un colore ogni perla. Ma colorate come? Diventerà uno solo Il pigmento omogeneo dentro il polistirolo. Prima certo bisogna asciugarlo per bene il rotante prodotto, dico il polistirene, il nostro neonato, il giovane polimero Del semplice stirene, ma nient'affatto effimero. "Polimerizzazione" designa, già lo sai, il modo d'ottenere più elevati che mai Pesi molecolari; non hai che far girare Un reattore idoneo: mi sembra elementare Come perle in collana, legate l'una in cima All'altra, tu incateni le molecole... E prima? Lo stirene non era che un liquido incolore Coi suoi scatti esplosivi e un sensibile odore Osservatelo bene: non perdete le rare Occasioni che s'offrono di vedere e imparare. È dall'etilbenzene, se lo surriscaldate Che stirene otterrete, anche in più tonnellate. Lo si estraeva un tempo dal benzoino, strano Figlio dello storace, arbusto indonesiano. Così, di arte in arte, pian piano si risale Dai canali dell'arido deserto inospitale Verso i prodotti primi, la materia assoluta FOTOGRAMMI LE FOTOGRAFIE Che scorreva infinita, segreta, sconosciuta. Nella pagina Una foto Lavando e distillando quella materia prima, di sinistra, dell’americano tre fotogrammi Lewis Hine - Esercizi di stile meglio in prosa che in rima - da Sotto i tuoi Nei tondi L'etilbenzene scoppia per sua virtù esplosiva occhi, il corto a destra, Se la temperatura a un certo grado arriva. Fiat del 1931 Mario Soldati L'etilbenzene il quale, com'è noto, proviene attribuito ed Ermanno a Mario Soldati Olmi Dall'incontro d'un liquido che sarebbe il benzene Mischiato all'etilene che è un semplice vapore. Etilene e benzene hanno per genitore O carbone o petrolio oppure entrambi insieme. Per fare l'uno e l'altro, l'altro e l'uno van bene. Potremmo ripartire su questa nuova pista Cercando come e quando l'uno e l'altro esistano. Dimmi, petrolio, è vero che provieni dai pesci? È da buie foreste, carbone, che tu esci? Mario Soldati Ermanno Olmi È il plancton la matrice dei nostri idrocarburi? a coppia entra nello stabilimento di Fiat Lingotto. I i può dire che nella‘‘ produzione della Riva non c’è fa- Questioni controverse... Natali arcani e oscuri... ‘‘ due seguono tutte le parti della lavorazione dell’au- Comunque è sempre in fumo che la storia finisce. se, non c’è momento in cui non vi siano da risolvere Lto. Lo sguardo di lei è attento, sembra essere incan- Sproblemi singolari e decisamente fuori dal comune. Finché non viene il chimico, ci pensa su e capisce tata da quelle lavorazioni. La linea di montaggio e il Lin- Persino quello che per qualsiasi fabbrica si chiama recapi- Il metodo per rendere solide e malleabili gotto sono i veri protagonisti di queste sequenze. Voce fuo- to della merce a domicilio del cliente, per la Riva costitui- Le nubi e farne oggetti resistenti e lavabili. ri campo: «Questa linea a catena che non si ferma mai, ve- sce un’operazione irta di difficoltà tecniche. drai rapidamente lo chassis trasformarsi sotto i tuoi occhi In materiali nuovi quegli oscuri residui Per averne un’idea basta pensare alle dimensioni dei nella più moderna delle vetture». Mezzo primo piano di lei pezzi da trasportare sul luogo di montaggio e specialmen- Eccoli trasformati. Non v'è chi non li invidii con modellino di auto in mano. Voce fuori campo: «Que- te di alcuni di quei pezzi, quali ad esempio la ruota della Tra le ignote risorse che attendono un destino sto è il modello della prima vettura Fiat costruito nel 1898, turbina. È un viaggio avventuroso, compiuto a velocità ri- Di riciclaggio, impiego e prezzo di listino. quanta differenza con la nuova…». dottissima, accompagnato dagli sguardi curiosi della gen- La macchina è pronta per essere guidata. Lui è intenzio- te che osserva con un misto di stupore e di ammirazione nato a guidare ma lei lo blocca. Lei: «No, no voglio guidare quel carico dalle forme inconsuete. (Questo testo, conservato all’Archivio Edison, fu composto io!». I due provano l’auto sulla pista di Stupinigi. Primo pia- per il documentario “Le chant du styrène” di Alain Resnais, no di lei al volante. Lei: «La vettura che sognavo. Grazie!». (Tratto dal documentario Costruzioni Meccan quindi tradotto da Italo Calvino con la collaborazione che Riva, realizzato dall’Ufficio Propaganda di Primo Levi per l’edizione italiana del film (Da Sotto i tuoi occhi, cortometraggio Fiat del 1931 delle Costruzioni Meccaniche Riva S.p.a. che circolò solo all’interno di Montedison attribuito a Mario Soldati) con la Sezione Cinema Edisonvolta S.p.a.) Venne in seguito pubblicato dall’editore Vanni Scheiwiller) © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Più che uno strumento, è la componente essenziale di un rito consumato tra palco e platea. Il solo imbracciarla manda SPETTACOLI in visibilio oceani di fan che battono il ritmo di una coreografia che prevede sudore, capelli scompigliati e rumore. Per questo motivo, Ivano Fossati sostiene che dopo i cinquant’anni bisogna smettere di suonarla. Keith Richards è di tutt’altro avviso. Ora un libro racconta il simbolo di rivolta che ha cambiato la musica

B. B. KING GEORGE HARRISON EDDIE COCHRAN La sua “Lucille” La La meteora è una 360 prodotta americana ES 335 nel 1960 del rockabilly, con cassa era quella scomparsa semi-hollowbody imbracciata prematuramente prodotta dal chitarrista nel 1960, suonava nel 1958 dei Beatles una 6120

EDMONDO BERSELLI gnuno ha scoperto la sua chitarra rock a modo suo. Nel profondo nero degli anni Cinquanta con Bill Haley, B. B. King, Bo Diddley, Chuck Berry eO Muddy Waters, fra suoni che affonda- vano nella giungla urbana, e prima an- cora nel fango del Delta, ma erano an- Chitarra cora il frutto di meccaniche semplici, di microfoni rozzi, di suoni elementari. Quelle note elettriche Mentre viceversa la generazione degli anni Sessanta ha potuto ascoltare per la prima volta le chitarre nuove dotate di quell’attrezzo che allora veniva chia- che rifecero la storia mato “fuzz box”, ed era il primo distor- sore. Modernità assoluta e artificiale, quindi felicità. adulto entrare in scena imbracciando tarra rock è naturalmente di essere infi- Honkyrock Tonk Woman, un’altra vibrazio- della musica. Con il Per i piccoli mondani di allora, lo una chitarra elettrica. Sarà perché la nitamente versatile. Si può suonare, a ne che pervade il pezzo e lo anima di tranquillo e preciso shock sonoro originale fu portato natu- chitarra rock ha un vincolo pressoché esserne capaci, con la disinvoltura dia- continuo con una sensazione entusia- solismo di George ralmente dall’attacco di Satisfaction, indissolubile e metafisico con i capelli bolica del Rolling Stone Keith Richards, smante di precisione e di forza). Harrison, e anche con la con il riff introduttivo di Keith Richards, lunghissimi, in disordine chissà quanto aplombin apparenza svagato e sigaret- Ma potrebbe essere più che altro ritmica di John Lennon, le semplice, anzi semplicissimo, ma che calcolato, e con petti nudi e sudati, su ta fra le dita, spesso solo cinque corde al questione di stile: la chitarra elettrica chitarre del Quartetto di Liver- in ogni caso faceva ascoltare una musi- costole lucide e finanche oscene; ma al- capotasto (eliminato il mi basso), con può anche trasformarsi in uno stru- pool entrano infatti in una composizio- ca mai sentita prima. Che cos’era quel- lora, figurarsi, bastava uno sguardo a l’obiettivo di trovare il riff miracoloso, mento elegante, come nella tecnica ne e raffigurazione totale, cooperando la novità? Qualcuno si ingegnò subito a Jeff Beck che ancora in giacchetta e cra- la sequenza che dà il tono e il ritmo a un scenica dei Beatles, in cui il rock si inse- a operine d’arte insidiose e complete. cercare di capire che cosa fosse quel vatta suonava con gli Yardbirds e «face- intero brano, e che risolve integral- risce in un elemento visivo, iconografi- Che tutto ciò figuri ancora nella catego- suono prolungato praticamente a pia- va ginnastica» con il suo strumento sul- mente una canzone (pensiamo soltan- co, dove l’estetica del gesto si sposa in- ria del rock ormai è dubbio, e difatti al- cere, quella vibrazione che per i più im- l’assolo di Shapes of Things per restare to, per dire, all’energia elettrizzante di dissolubilmente alla creatività light cuni aficionados preferiscono gli al- maginosi ancora oggi sembra alludere felicemente sbalorditi (così come sa- bum e le canzoni precedenti, anche implicitamente alla radiazione fossile rebbe successo con Eric Clapton per il quelle dei primordi, così grezze ma for- dell’universo, fino a immaginare, allo- blues e con Jimmy Page per un rock se, chissà, anche più autentiche (difatti ra, che si trattasse di un sassofono, al- piuttosto hard, visto che dagli Yard- anche oggi i momenti migliori di Paul troché; poi la stampa giovanile di setto- birds sarebbero discesi per vie traverse McCartney, quando se ne ricorda, sono re risolse ogni dubbio tecnico. Chitarra. i Led Zeppelin, precursori dell’heavy legati a qualche supremo esempio di A distanza di più o meno quattro de- metal e cultori dopo le solite pentatoni- rock’n’roll classico, che riesce ancora a cenni, Ivano Fossati ha potuto dichia- che blues, anche di inaspettate sonorità fare da fuoriclasse). rare che dopo i cinquant’anni non si etniche e “tangerine”. Eppure nella chitarra rock è insito an- può, non sta bene, non è né elegante né La caratteristica principale della chi- che un richiamo tribale alla rivolta. Am- plificatori fracassati, come nella violen- za generazionale degli Who e dell’ever- sore Pete Townshend, e via con la se- quela di strumenti distrutti, annichiliti, bruciati come fece Jimi Hendrix per ascoltare il suono del fuoco. E un appel- lo erotico al manico e alla cassa, alle cor- de, per sentire mugolare di dolore o di piacere o di rabbia le Fender e le Gibson, per trattenerle contro i visceri con la for- za o allungarle in basso verso la coscia e i jeans laceri, con tutta la nonchalance necessaria. D’altronde, basta guardare i campio- ni degli ultimi vent’anni per constatare che non ci sono regole. Bruce Spring- steen si accompagna e accompagna la band pompando sulle sei corde con la forza di un meccanico del Midwest, co- me se si trattasse di un esercizio ginnico KEITH RICHARDS praticato davanti all’America e al mon- La Fender do. Mentre a suo tempo Kurt Cobain ri- Telecaster prendeva certe soluzioni ipnotiche, for- in commercio se derivanti da Hendrix, che immette- dal 1951 vano i suoni dentro spirali di esoterismo è la più amata sonoro. E Prince si concedeva con cal- dal chitarrista colato relax agli accordi semplicissimi e dei Rolling Stones tuttavia inconfondibili di Purple Rain. Quindi non c’è bisogno di figurare tra i heroes come Eddie Van Halen, con la sua velocità formidabile, e il tap-

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JIMI HENDRIX Il più grande chitarrista della storia (secondo Rolling Stone) fu tra i primi ad adottare la Gibson Flying V

AL DI MEOLA Il jazzista fusion italoamericano suona una Paul Reed Smith 513 prodotta nel 1986

IL LIBRO Chitarre rock - I grandi interpreti è il libro di Ernesto Assante in uscita dalla casa editrice White Star (350 pagine, 45 euro) Si tratta di un omaggio ai più grandi chitarristi della storia del rock: da B. B. King a Ben Harper, passando per Keith Richards, Jimi Hendrix, Carlos Santana ed Eric Clapton Il volume (con premessa di Joe Satriani e prefazione di Adrian Belew) è completato da un ricco apparato fotografico dedicato ai singoli musicisti

ping mutuato dal frenetico Heart- me Steve Vai o Joe Satriani: chiunque breaker di Jimmy Page (ma anche da abbia ascoltato con attenzione i temi Niccolò Paganini, dicono), e nemmeno musicali degli U2 deve riconoscere che occorre prendere come paradigma pri- oltre alla voce di Bono il contributo mario il potente rock mainstream degli maggiore è venuto dal modo in cui “The Aerosmith. Per qualche tempo abbia- Edge” ha reinventato il modo di suona- mo assistito alla rivolta “no future” dei re la chitarra, con le sue scansioni velo- punk, con i tre accordi dei Sex Pistols, i ci, ritmate e inconfondibili. power chords buttati in pasto al pubbli- In fondo il segreto della chitarra rock co per sottolineare e approfondire l’ur- è che non ha terminato il suo corso. lo della voce tossica. Ma è fuori dubbio Mentre diversi strumenti della musica che per gli appassionati rimangono in- “leggera” sono finiti in archivio, soprat- superate le opere stilizzatissime dei tutto sul piano degli arrangiamenti e Pink Floyd, in cui lo sviluppo melodico dell’orchestrazione, la chitarra elettrica si stagliava, e ancora si staglia, sulla ri- trova sempre un ruolo. Può bastare un conoscibile matrice blues, con effetti di palm muting, quell’effetto facilissimo semplice e bella ricercatezza, un sound che scandisce il ritmo smorzandolo, co- semplice e raffinato insieme, ancora me andava di moda ai tempi del beat, implicitamente moderno. Ed è fuori per evocare una suggestione, un non so dubbio che la chitarra rock non finisce che. Insomma, un suono di chitarra. mai di evolversi, e non soltanto per lo Ogni volta uguale, ogni volta diverso. sperimentalismo tecnico di virtuosi co- © RIPRODUZIONE RISERVATA

CARLOS SANTANA ERIC CLAPTON KURT COBAIN Il chitarrista La “Blackie” Il leader messicano del musicista dei Nirvana non si separa inglese suonava dalla sua solid è una Fender una Fender body con corpo Stratocaster Jazzmaster di legno pieno prodotta a partire prodotta Gibson SG dal 1954 dal 1958

Repubblica Nazionale 42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22 NOVEMBRE 2009 i sapori Nella cucina di casa queste ricette ottenevano un doppio Farciture risultato: riciclare gli avanzi e valorizzare un cibo, le zucchine, le melanzane, i pomodori, le cipolle, considerato “povero”. Adesso sono entrate a testa alta Melanzane Sbollentate negli atelier della cucina d’autore: basta scorrere i menù o passate nel forno dei nostri cuochi più bravi e innovativi per convincersene tagliate a metà e svuotate, vengono farcite con la loro polpa, spadellate LICIA GRANELLO con carne tritata e verdure a dadini i chiamano puparuoli im- Cottura in forno bottonati e a Napoli sono o antiaderente venerati come piccole di- vinità gourmand. Pieni, carnosi, sugosi, irresistibi- li. Del resto, nella Campa- Snia Felix, i peperoni imbottiti rappre- sentano solo uno dei tasselli del trion- fale puzzle delle verdure, trasformate di volta in volta in ciotole, cucchiai e cucchiaini riempiti con ogni bendidio e tutti da mordere. Per molto tempo, le verdure farcite hanno abitato i ricettari in modo bina- Patata rio: nobilitazione di sapori altrimenti Cottura in acqua, vagamente sciapi — soprattutto al vapore, alla quando si cucina in detrazione di gras- si — e ottimizzazione degli avanzi (il fa- brace per l’ideale moso fondo d’arrosto). Un’usanza im- contenitore di perante in tutte le famiglie, pur con ri- farciture importanti, sultati diversi: per esempio in Olanda dal caviale al tartufo, e in Inghilterra, dove gli sformati di car- ma anche semplici ne sono supportati dalle carote, gli esi- come rossi d’uovo, ti sono spesso scoraggianti, mentre nelle nostre contrade, zucchine, pepe- ricotta, fonduta, roni e pomodori (maturi) possono ral- pancetta, burro legrare più di un palato. Certo, c’è ripieno e ripieno, nella so- stanza, ma anche nel concetto. Se è ve- ro che non esiste cucina dove a carne e pesce avanzati sia risparmiato il pas- saggio in tritacarne o robot tagliatut- to, l’immagine stessa di polpette e pol- pettoni suscita diffidenza, tanto che il loro consumo al ristorante è figlio esclusivo di rapporti basati su fiducia Pomodoro assoluta tra cuoco e clienti. Le verdu- Nella versione estiva, re, invece, confortano di più e inquie- tano meno, anche grazie a una stermi- farcitura nata varietà di farciture possibili. Il po- a base di insalata modoro ripieno in versione antipasto, di riso, insalata russa, per esempio: riso e verdurine tagliate tonno minuscole e spadellate, o insalata rus- e capperi sa, o ancora tonno, maionese e cappe- Nella ricetta “calda”, ri, tutto virato in rosa, grazie alla polpa con cui si diluisce l’impasto. Magari impasto di riso arricchito col rosso d’uovo sodo. Sem- o pangrattato plice, efficace, goloso, adorato dalle con riso e carne mamme in ansia per i loro bimbi re- frattari agli ortaggi. Oppure la cipolla bassa, larga e dol- ce (su tutte, la sicula Giarratana): mez- zo kg di bulbo da scavare, riempire con fave di Modica e spezie, secondo ri- cetta tradizionale, o carne, mollica ed erbette, poi gratinata in forno, per un piatto unico perfino più buono il gior- no dopo la preparazione. E ancora, i teneri, colorati fiori di zucca, pronti a lasciarsi farcire con tutto quanto pas- Verza si nella testa del cuciniere, che siano Le foglie – crude acciuga e ricotta o prosciutto e moz- o sbollentate – zarella, poi pastellati o solo infarinati, si avvolgono intorno al vapore o dorati in forno, con un cuc- a diversi ripieni: chiaio di pomodoro o accompagnati salsiccia, funghi da una fonduta impalpabile. parmigiano, patate Dopo aver attraversato l’intera sto- ria della gastronomia italiana, dai pri- schiacciate e ricotta mi ricettari ai più recenti, dalla cucina Cottura al forno di casa a quella nobiliare, dalle prepa- in bianco o salsa razioni ipertradizionali alle invenzio- di pomodoro ni senz’altra voglia che quella di stupi- re, le verdure ripiene sono entrare a te- sta alta anche negli atelier di cucina d’autore, svincolate dal ruolo di cene- rentole del menù. Basta scorrere le li- ste dei nostri cuochi più bravi e inno- vativi per trovarle lì, tronfie e colorate, protagoniste di piatti di indiscutibile allure gastronomica. Assaggiare per credere, magari cominciando con un gambo di sedano farcito con crema di gorgonzola e gheriglio di noce. Bollici- ne a cotè, naturalmente. © RIPRODUZIONE RISERVATA Ve r d u r e Cenerentole amate dagli chef ripiene

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Cavallino (Ve) Foligno (Pg) Ischia (Na) Appoggiato Città dell’olio L’isola famosa nel mondo itinerari sulla penisola che separa dall’affascinante cuore per le sorgenti termali, laguna veneta medievale, vanta una conosciute Laureata in filosofia e Adriatico, al di là del Sile grande tradizione fin dall’ottavo secolo a.C., convertita alla cucina e del comune di Iesolo, agroalimentare esibisce bellissimi orti vanta una gastronomia La chef Maria Luisa Nino di Costanzo (con un debole succulenta, a base Scolastra serve i fiori serve il maiale nero per le verdure), Adele di pesce e verdure. Lo chef Martino Scarpa di zucca ripieni con Chianina, fagiolini e insalata casertano al tè nero, con sigari di pane Mazzoni gestisce imbottisce i fiori di zucca col baccalà calda di lenticchie ai peperoni imbottiti il ristorante “Da DOVE DORMIRE DOVE DORMIRE DOVE DORMIRE Evangelista” nel cuore AGRITURISMO DOLCEACQUA VILLA DEI PLATANI HOTEL ANNABELLE Via Baracca 102, località Ca’ di Valle Viale Mezzetti 29 Via Federico Variopinto 6, Porto di Roma. Deliziosi Tel. 041-968129 Tel. 0742-35583 Tel. 081-991890 i suoi involtini Camera doppia da 100 euro, colazione inclusa Camera doppia da 120 euro, colazione inclusa Mezza pensione da 40 euro a persona di melanzane DOVE MANGIARE DOVE MANGIARE DOVE MANGIARE con provola DA ACHILLE VILLA RONCALLI (con camere) MOSAICO DELL’HOTEL TERME MANZI e baccalà Piazza Santa Maria Elisabetta 16 via Roma 25 Piazza Bagni 4, Casamicciola Terme Tel. 041-968005 Tel. 0742-391091 Tel. 081-994722 Chiuso lunedì, menù da 40 euro Chiuso a pranzo (tranne festivi), menù da 35 euro Chiuso martedì a pranzo, menù da 60 euro

DOVE COMPRARE DOVE COMPRARE DOVE COMPRARE COOPERATIVA ORTI DELLA LAGUNA AZIENDA BIOAGRICOLA L’OASI (con camere) AGRISCHIA Via Giacomo Faitema 5 Frazione Forcatura Via Funno 10 Tel. 041-537128 Tel. 0742-681351 Tel. 081-997066

Carciofo ripieno di manzo al carbone Guancia in cottura lenta con cipolla ripiena Ciccio Sultano (“Il Duomo”, Ragusa Ibla) farcisce il carciofo scavato I fratelli Costardi (ristorante-hotel “Cinzia”, Vercelli) cuociono e bollito con dadini di carne spadellata, formaggio Ragusano, la cipolla rossa di Tropea nel sale, e la imbottiscono con purè mollica e prezzemolo. Cottura in carta da forno di patate e guancia di vitella cotta a bassa temperatura A cotè, salsa di acciughe e di canestrato Rifinitura in forno con burro e Parmigiano

Lattughini ripieni alla ligure Branzino grigliato con salsa e peperoni ripieni Luigi Taglienti (“Le Antiche Contrade”, Cuneo) rivisita Stefano Ciotti (“Vicolo Santa Lucia” dell’hotel Carducci 76, una ricetta tradizionale, farcendo le foglie scottate al vapore Cattolica) serve il branzino con una salsa a base di tuorlo e fumetto con una tartare di acciughe, erbette e limone. Nel piatto, brodo di pesce. A cotè, peperone imbottito con una panzanella di pane di castagne al finocchietto alle acciughe e capperi Quando uno più uno fa molto più di due

MASSIMO MONTANARI

ossiamo metterla in due modi, anzi tre. Primo: farcire la verdura è un mo- po stesso gustativa e dietetica. do per riutilizzare gli avanzi. Carne tritata, formaggio, uova, pangrattato, Ma a dire il vero l’interesse per le verdure non è mai mancato (nonostante le Pgli ingredienti tipici per farcire peperoni o pomodori, cavoli o melanzane, apparenze) neppure sulle tavole aristocratiche. In Italia almeno. Ne sono spec- cipolle o zucchini, sono grosso modo gli stessi di una polpetta o di un polpetto- chio i ricettari di corte, dal Medioevo in poi. Quello di Bartolomeo Scappi, mas- ne. Il classico, quasi inevitabile abbinamento di zucchini ripieni e polpette rive- simo esponente della cucina rinascimentale, include ricette «per empire zucche la l’affinità sostanziale, la stretta parentela fra le due preparazioni. Oppure: far- Fruttero & Lucentini nostrali», «per cuocere molignane [melanzane] ripiene», «per cuocere cavoli mi- cire una verdura è un modo per nobilitarla. L’aggiunta di carne, formaggio, uo- lanesi ripieni». Non si tratta di ricette “povere” nel senso tecnico del termine: gli va arricchisce la “povera” verdura al punto da renderla autosufficiente, non più I quattro carrelli a due ingredienti sono numerosi e pregiati, l’uso abbondante di spezie segnala lo sta- “contorno” ma protagonista del piatto. Oppure, le due cose insieme. Farcire la ‘‘ tus privilegiato dei commensali. Inoltre si tratta di ricette «per i giorni quaresi- verdura è un modo intelligente per mettere a frutto le risorse domestiche, tra- piani non cessavano mali», quando mangiar carne è proibito. Tuttavia si capisce che il confine tra sformando due cose povere (i resti di un pranzo, un tegame di verdure) in un di riversare il loro carico mondo contadino e corti signorili è più sottile di quanto siamo soliti pensare. piatto succulento. Con l’andar dei secoli, la nuova cultura borghese sceglierà il meglio di questa Come spesso accade, non solo in cucina ma nella vita, uno più uno fa molto di peperoni al forno, tinche tradizione e su di essa costruirà l’ossatura delle cucine “regionali”, una tipica in- più di due. Certo che, con i prezzi che corrono, parlare delle verdure come di in- in carpione, tomini, acciughe venzione della modernità. In un modo o nell’altro, le verdure ripiene continue- gredienti “poveri” sta diventando sempre più difficile. Par quasi il rovescia- ranno a costituire un punto fermo della cucina italiana, consacrata da Pellegri- mento di una situazione secolare, che per lungo tempo vide i prodotti dell’orto in salsa rossa e verde, no Artusi nel 1891. Zucchini ripieni (nelle due varianti “di grasso” e “di magro”: connotati da un’immagine contadina, mentre le tavole nobiliari si concentra- zucchini e pomodori ripieni la cucina dei ripieni si è ormai emancipata dal suo statuto quaresimale), “car- vano sui grandi arrosti di selvaggina, sui bolliti di manzo, sugli spettacolari pa- ciofi ripieni”, “cavolo ripieno” e altre simili squisitezze saranno ormai acquisite sticci in crosta. La contemporaneità gastronomica ha ribaltato i valori, confe- al patrimonio gastronomico nazionale.

rendo ai prodotti e alla cucina “povera” un inedito statuto di eccellenza, al tem- Da “LA DONNA DELLA DOMENICA” © RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale 44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22 NOVEMBRE 2009 le tendenze Con l’indiretta complicità di primedonne come Carla Donne allo specchio Bruni e Michelle Obama, fotografate in tubini e vestiti colorati, le signore scelgono in questa stagione di mostrare (chi più chi meno) le gambe Basta indossare giacca e pantalone d’ordinanza per andare in ufficio. Osate, avete il placet degli stilisti! Abiti LAURA ASNAGHI ai più senza abito. O meglio sarebbe par- lare al plurale, visto che di abiti, in questa stagione se ne use- ranno parecchi. In unM periodo economicamente trabal- lante come questo, gli stilisti hanno puntato le loro carte migliori sugli abiti, uno dei pezzi forti del guardaroba femminile che negli ultimi anni lati- tava. Il motivo? Era consi- derato troppo frivolo e bon ton poco pratico. E invece, con la complicità di prime donne come Carla Bruni Sarkozy e Michelle Obama, ma anche Senza bluff e senza paura delle giovani teenager “affamate” di moda, ecco che l’abito è tornato in cima alla classifica dei capi più amati dalle donne. Dal tubino bon ton di taglio sar- toriale alle versioni più accessoriate e è la rivincita del femminile fantasiose per i cocktail, da quello giu- sto per essere indossato al mattino marchi storici come Louis Vuitton e corto con tagli grafici, e Antonio Marras preferisce esaltare l’effetto cocooning. quando si va in ufficio ai modelli più Dior, che veste madame Sarkozy, fino a punta su pizzi e volant che sembrano «Così — dice — si unisce la voglia di te- estremi per una serata in discoteca, pas- quelli supersexy alla Dolce e Gabbana rubati dai bauli di una nonna monda- nerezza al desiderio di apparire belle in sando per quelli più concettuali o con che, per dare un tocco di ironia alle nuo- nissima. Blumarine, invece, li drappeg- abiti confortevoli». Dunque, via libera stampe artistiche. L’abito piace e perfi- ve mise, si sono inventati le maniche gia e li copre con cascate di collane luc- agli abiti in tutte le varianti, purché sia- no un grande teorico del pantalone, co- tonde come le orecchie di Mickey Mou- cicanti, Rocco Barocco crea mise con no ben costruiti, come quelli di Max Ma- me Giorgio Armani, si è convertito a se. «L’abito è un segno di forte femmini- l’effetto diva del cinema, mentre Botte- ra di gusto sartoriale, o quelli sofisticati questa nouvelle vague che esalta la fem- lità — ammette Donatella Versace — e ga Veneta sforna le versioni più sofisti- firmati Ferragamo. E per le giovani ma- minilità. E scopre le gambe delle donne. oggi la donna è matura per indossarlo cate da “signora upper class”. dri a caccia di “pezzi speciali”, i Frankie «Certo, il corpo è più esibito — ammet- senza timore di essere sottovalutata so- E per le fan del dark, ci sono le propo- Morello sfruttano le stampe equitazio- te Alberta Ferretti, la “regina dello lo perché non indossa la giacca d’ordi- ste di Ferrè, Fendi, Roberto Cavalli e Co- ne abbinate ai legging, Kristina Ti sce- chiffon” — ma le donne non sono più le nanza». L’abito torna e proprio per cele- stume national. Prada sceglie il rosso, il glie mini tuniche, Veronica Etro usa i bamboline di un tempo. Con l’abito ac- brarlo con la massima creatività Mo- colore preferito di Valentino, per sotto- classici tessuti con disegni cachemire, quistano anche una autorevolezza nuo- schino, uno dei marchi preferiti da Mi- lineare la passionalità dei suoi abiti ispi- mentre Missoni sfrutta la leggerezza va». chelle Obama, li reinventa con dettagli rati alle ricche borghesi, un po’ perver- della maglia come passe-partout. L’onda lunga dell’abito contagia divertenti; Krizia resta una paladina del se. Laura Biagiotti usa un altro registro e © RIPRODUZIONE RISERVATA

VERSACE FERRÈ VALENTINO FERRAGAMO ANTONIO MARRAS Cintura stretta in vita Ispirazione dark per l’abito Il classico tubino rosso È in nappa morbidissima Rosso passione, pizzi per l’abito da cocktail Ferrè, firmato dai due Valentino riproposto l’abito da sera Salvatore e drappeggi per l’abito firmato da Donatella stilisti Aquilano-Rimondi in un modello dalle linee Ferragamo da indossare di Antonio Marras Versace. I colori sono Le maniche imbottite morbide. A firmarlo è il duo con maglie ultra sottili da portare con veletta, accesi e i tessuti preziosi e tempestate di borchie Chiuri-Piccioli, i nuovi che simulano l’effetto guanti in pelle e stivaletti D’obbligo i tacchi alti danno sprint al vestito stilisti del marchio dei tatuaggi sulle braccia da cui esce il calzino corto

Repubblica Nazionale DOMENICA 22 NOVEMBRE 2009 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45

2005 l’intervista BORSA FLORA “Mi sono ispirata al foulard Flora, Frida stilista di Gucci creato nel ’66. Mia nonna lo portava sempre. Così, rieditando quel tessuto per Gucci, “Ci si veste per piacere le ho reso omaggio” soprattutto a se stesse”

rida Giannini, lei che è la stilista di Come l’orlo sopra il ginocchio, le spalle e Gucci, come spiega questo ritorno la schiena ben disegnate. Ma in alternati- Fall’abito? va alle forme anatomiche si possono sce- «È lo specchio dei tempi. E riflette la gliere quelle più eteree e impalpabili, sco- nuova condizione della donna. Perché, state dal corpo. E poi è importante osare dopo il dominio assoluto del tailleur (ne- tessuti nuovi, come la pelle traforata o le gli anni Ottanta-Novanta, ndr), che veni- stampe artistiche». va usato come una sorta di corazza per Come stilista donna, che valore ag- proteggersi, ora si torna a esibire la giunto dà a un abito? femminilità con serenità». «L’ottanta per cento delle cose che 2008 Quindi il ritorno dell’abito se- porto in passerella sono tutte da mettere. gna una svolta nella storia delle Certo chi veste Gucci ha esigenze parti- STIVALE donne, che non hanno più biso- colari ma i ritocchi che io apporto alla mia Le idee “Amo da sempre gno di “travestirsi” da ma- collezione prima della vendita sono po- l’equitazione schi? chi». e questo stivale «Spesso si pensa alla moda Quanti abiti ha nel suo armadio? con fibbie come a qualcosa di futile e di «Sono una fanatica dei tubini e ne ho di Frida fa parte di una estremamente effimero. In- quaranta. Oltre a quelli che disegno io, ho ricca collezione vece l’abito, se lo si guarda parecchi pezzi vintage. Un Givenchy de- che si rifà alla con occhi attenti, è come una gli anni Cinquanta e un “little black storia di Gucci” istantanea sulla società». dress” firmato da Alaia. Ho tentato anche E lei, in questa foto, cosa ci di aggiudicarmi a un’asta il tubino indos- vede? sato da Audrey Hepburn in Colazione da «Vedo una donna che vuole Tiffany ma non ce l’ho fatta. Troppo ca- piacersi e che, come dicono ro». gli americani, è body con- Quand’era bambina disegnava abiti? scious. Cioè, ha più consape- «Sì mi piacevano quelli lunghi da prin- volezza del suo corpo, vuole cipessa. Ho iniziato quando avevo cin- essere più femminile e libera que anni e non ho più smesso». di mostrare le gambe. Senza Ma nella sua famiglia chi le ha tra- per questo dare l’idea di esse- smesso la passione per la moda? re vestita così solo per fare col- «Forse mia nonna Luciana che aveva po sui maschi. La verità è che, una boutique a Roma. Il negozio si chia- oggi, la donna si veste per pia- mava “Elle”. Dopo la scuola, andavo nel cere, innanzitutto a se stessa, retrobottega a fare i compiti e lì ho inizia- e, poi, per sedurre». to a respirare il profumo della moda». L’abito è stato “sdoganato” Lei ha una collezione di ottomila di- ma qual è il segreto per por- schi e la musica è una delle sue fonti di tarlo in modo contempora- ispirazione. Se dovesse scegliere una neo? canzone per celebrare il ritorno dell’abi- 2009 «Per evitare l’effetto “bel- to, quale userebbe? NEW BAMBOO la signora anni Cinquanta”, «Non avrei dubbi: Slave to lovedi Bryan “Con la New Bamboo va accessoriato con gusto. Sì alle balleri- Ferry, accompagnata dall’immagine di si celebra l’eleganza ne ma anche ai tacchi a spillo, tutto di- una donna body conscious come Grace di una donna pende se una donna deve andare in uffi- Jones. Il tutto ambientato a Parigi, con lei, di indiscussa bellezza cio oppure ha una serata importante. la nostra donna di oggi, con i capelli lisci come Grace Kelly Stessa logica se lo si porta con una pellic- sulle spalle, un bel tubino e sandali alti cia oppure un giubbino da biker in pelle». quanto serve per una camminata grinto- Parliamo di orli e dettagli. Quando un sa». abito può essere considerato “giusto”? (l. a.)

«Ci sono alcune regole fondamentali. © RIPRODUZIONE RISERVATA

DIOR CHANEL PRADA GUCCI FENDI D&G È tagliato proprio come Il tubino in versione Coco Si ispira alle donne Sono mini gli abiti Gucci È una donna che sa il fatto Abito con gonna i tradizionali abiti cinesi Chanel con il maxi borghesi, ma dall’animo realizzati con tessuti suo quella che sceglie a palloncino realizzata questo modello proposto cappello tricottato. Il collo trasgressivo, l’abito rosso dalle stampe geometriche Fendi. Per le gambe con un tessuto che crea da Dior, la storica e i bordi delle maniche proposto da Miuccia dai colori vibranti un tocco feticista l’effetto arazzo. È una griffe parigina, che veste in maglia bianca sono Prada. Lo scollo a V Si portano con i leggings con scaldamuscoli in raso creazione D&G, la linea Carla Bruni Sarkozy trattenuti da fiocchetti è molto profondo e i sandali con i tacchi alti e sandali “trampoli” giovane Dolce e Gabbana

Repubblica Nazionale 46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 22 NOVEMBRE 2009 l’incontro Archistar È tra le poche donne entrate nel gotha dell’architettura. Nata a Bagdad, si divide tra Londra, dove vive, e il resto del mondo, che continua ad accogliere con favore i suoi progetti Zaha Hadid L’ultimo realizzato è il MAXXI di Roma, paragonato dal “New York Times” a un’opera di Bernini. Ma per lei corrisponde solo a quelle che sono le sue idee. “Lo spazio - dice - deve essere un luogo in cui le persone si sentano bene. Questo è il vero lusso”

CLOE PICCOLI studio, i fotografi, l’intero staff di comu- dieci minuti a piedi. E, nei rari momen- dimensioni la compresenza di piani e li- della stagione internazionale ma, si sa, nicazione, e la pierre londinese Erika ti in cui non lavora, nuota. «L’acqua è il nee che si intersecano. Ho ritagliato Hadid non segue strade battute e, in ge- ROMA Bolton, osserva immobile, come una mio elemento, mi rilassa». Il suo studio aperture asimmetriche che fanno en- nere, vede lontano. Di musei ne ha visti sfinge, che tutto proceda per il verso è un laboratorio sperimentale dove lei, trare nell’architettura squarci e visioni a tutte le latitudini terrestri, fra i suoi fa- giusto e intanto si racconta. che ha messo in crisi il concetto di spa- del paesaggio con un taglio, a volte, ad- voriti il Guggenheim di Frank Lloyd l’architetto donna più fa- «Sono venuta per la prima volta nel zio come entità assoluta, scardinato la dirittura inaudito». Wright a New York per il suo dinami- moso al mondo, vincitrice 1998, qui c’erano ancora le caserme, ho prospettiva unica in favore della molte- Zaha Hadid parla rapidamente in in- smo. del Pritzker Prize nel 2004, visto il posto, e l’ho rivisto. Nei i primi tre plicità dei punti di vista, cerca la solu- glese, focalizza un tema, e poi parte in I preparativi al MAXXI continuano, l’equivalente del Nobel per anni ho continuato a venire almeno zione per un’architettura contempora- una serie di declinazioni seguendo un fotografi e operatori riprendono fino ai Èl’architettura, ma lei non ne fa una que- una volta al mese. E anche quando ero nea in cui vivere bene. pensiero netto ma che si dirama in va- dettagli questi spazi inondati di luce, stione personale. «Il merito non è mio, altrove pensavo al progetto, l’avevo «Lo spazio architettonico deve esse- rie direzioni, a volte si ferma un attimo Sasha Waltz e la sua compagnia studia- è dello studio. Davvero. La formula vin- sempre in mente. Succede così quando re un luogo in cui le persone si sentano a riflettere, osserva un dettaglio dell’ar- no la coreografia che interpreteranno cente è il team. E il lavoro duro». Ele- cerco un’idea. Faccio disegni su dise- bene, come quando si trovano in un chitettura del MAXXI, che qui dal piano nel MAXXI ancora vuoto. Qualcuno gante e rigorosa nella camicia di Yama- gni, a mano. Contemporaneamente paesaggio naturale. È questo il vero lus- terra si apre su una piazza che fa parte dello staff si avvicina a Zaha Hadid. «It’s moto blu scuro dal taglio asimmetrico anche lo studio sviluppa il pensiero con so, indipendentemente dal costo: uno dell’edificio, e riprende il discorso. over?», domanda lei. La lista di appun- come la sua architettura, occhi castani altri disegni, dipinti, modelli, fino a che, spazio che trasmetta emozioni, che svi- «Per la Fire Station avevo fatto vera- tamenti è fitta, sono solo le tre del po- e determinati, resi ancor più decisi dal- a un certo punto, il concetto si staglia ni- luppi visioni». E la sua è un’architettura mente molti disegni, e persino dipinti. meriggio, questa sera ci sarà un’altra l’eyeliner, Zaha Hadid, è a Roma per l’a- tido. Da quel momento parte un lavoro di visioni, a iniziare dai primi progetti No, non mi considero una pittrice, ma a apertura e dopodomani l’architetto ri- pertura del suo progetto più ambizioso, intensissimo al computer per renderlo come la piccola stazione dei pompieri un certo punto, negli anni Ottanta e No- prenderà l’aereo. «Viaggio moltissimo, il MAXXI, Museo Nazionale delle Arti perfetto, dall’architettura, ai dettagli nella sede della fabbrica Vitra a Weil am vanta, non c’era disegno tecnico, o un non ho un giorno uguale all’altro. Pen- del XXI secolo. Il New York Timesl’ha già più piccoli». Rhein in Germania, al confine con la altro mezzo che mi desse la stessa pos- so e non smetto mai di pensare. Anche paragonato per la sua portata innovati- Nata a Bagdad nel 1950, laureata a Svizzera. «Nella Fire Station, ho avuto la sibilità della pittura di realizzare le vi- quando dormo», dice, mentre osserva va all’architettura del Bernini. Beirut in matematica, e poi a Londra al- possibilità di sperimentare liberamen- sioni che avevo in mente». L’architetto soddisfatta la sua opera finita. E, in effetti, il MAXXI è un potente l’Architectural Association School (Aa), te, e di realizzare visioni che avevo dise- ama l’arte. Il punto di non ritorno per la «Cos’è fondamentale oggi nell’archi- simbolo del contemporaneo, che lan- la scuola dell’avanguardia dove studia gnato sulla carta. Qui ho tradotto in tre sua architettura è il Suprematismo, e in tettura? Saper leggere la città nella sua cia piani inclinati e apre gigantesche ve- con Rem Koolhaas, Zaha Hadid parla di particolare Malevic, che ama moltissi- nuova, complessa, identità, e interve- trate sulla città, creando un magico cor- cultura mediorientale. «Ho lasciato mo. È a lui che deve l’intuizione di libe- nire con un’idea globale, potente, con tocircuito fra architettura e paesaggio. Bagdad a sedici anni, è una città che Oggi è fondamentale rarsi dalla forza di gravità. In senso me- masterplanche sappiano affrontare so- In questo Zaha Hadid è maestra. Lei, amo. Sono le mie radici, la mia cultura taforico ovviamente. «Il Suprematismo vrapposizioni e stratificazioni storiche che ha il talento di scandire gli edifici in d’origine. È trent’anni che non ci torno. saper leggere la città è l’inizio della sperimentazione fuori e culturali». Ora sta lavorando al ma- linee fluide e campi magnetici, e di col- Non ho più famiglia lì. Ma prima o poi ci nella sua nuova, dalle linee tracciate. È la possibilità di sterplan di un’ampia zona di Singapo- legarli idealmente all’urbanistica e alla andrò, è fra i miei desideri. Ho il ricordo un dipinto nero su nero, della fram- re: il progetto copre un’estensione di natura, dalle stratificazioni storiche al- di uno stile di vita e di una cultura eccel- complessa identità mentazione, della levità, di suggestioni 194 ettari, ma il concetto di un’architet- la morfologia geologica. lenti». Ma Hadid non è il tipo da perder- visionarie mai immaginate prima. E tura per vivere bene Zaha Hadid lo de- In questo brillante pomeriggio d’au- si in nostalgie, e passa subito al periodo e intervenire che prima di me hanno influenzato l’ar- clina in diversi ordini di grandezza, dal- tunno è seduta a un tavolo di fortuna in- londinese. chitettura modernista da Mies van der l’urbanistica al design. La collezione Z- stallato al piano terreno fra ponti aerei, «Nel 1972 arrivo a Londra da Beirut. con un’invenzione Rohe in poi». Scape progettata per Sawaya & Moroni, pareti curve e soffitti altissimi. Intorno Avevo già molti amici perché da alcuni Hadid tocca così tanti argomenti che riprende in oggetti, tavoli, sedute, la tutto si muove, centinaia di persone la- anni vi passavo le estati. Londra negli che tenga conto è affascinante seguirla, cita un termine, stessa forma dinamica dei suoli che si vorano all’inaugurazione, mentre lei anni Settanta era il fulcro della speri- un nome, e si aprono una serie di link, sollevano, e si trasformano in superfici che è a Roma con il suo socio Patrick mentazione e del pensiero, lì succede- di stratificazioni riferimenti, storie e geografie. Quando frammentate della sua architettura.

Schumacher, diversi progettisti dello va tutto. Era il posto giusto per me. An- parla di Suprematismo non si può non © RIPRODUZIONE RISERVATA che se, devo dire, allora non c’erano storiche e culturali pensare al suo memorabile allestimen- molti stranieri, soprattutto se varcavi il to al MoMA di New York per la mostra

confine della metropoli. Se eri stranie- The Great Utopiasull’Avanguardia rus- ra, eri considerata con un pizzico d’eso- sa. «L’affollamento e la densità del no- tismo, ma al tempo stesso con un’espe- stro allestimento fecero scalpore. Pote- rienza diversa da spendere». vi guardare la mostra da diversi punti di E quest’esperienza Hadid la spende vista, scegliere un sentiero personale, subito nella stessa Aa. «Mi sono laureata andare avanti e tornare indietro, non un giorno e il giorno dopo ho iniziato a mi è mai venuto in mente di indicare un ‘‘ insegnare. È un mestiere che mi piace percorso. D’altra parte le opere dei su- perché posso sperimentare e condivide- prematisti non erano state pensate per re. Tu sei quello che pone i problemi da essere isolate in un cubo bianco ma per risolvere. Ed è curioso vedere come ri- stare all’interno di un “cosmo”». sponde una classe di venticinque perso- Il concetto di museo di Zaha Hadid è ne. Hai venticinque risposte». È lo stesso l’opposto del white cube minimalista. periodo in cui, dopo un breve passaggio Persino quando sceglie una mostra all’Oma, Office for Metropolitan Archi- predilige installazioni e luoghi partico- tecture, di Rem Koolhaas e Elia Zenghe- lari, come una delle ultime che ha visi- lis, fonda il suo studio: è il 1979. tato di recente, quella con i dipinti blu di Oggi nello studio Zaha Hadid Archi- Damien Hirst nella ex dimora ottocen- tects, un’ex scuola del Diciannovesimo tesca di Sir Wallace a Bloomsbury. «Tro- secolo a Clerkenwell, in centro a Lon- vo interessante la scelta di Hirst di que- dra, lavorano duecentocinquanta ar- sto posto, e anche di imparare a dipin- chitetti di ogni nazionalità. Lei vive a gere». Pare sia la mostra più criticata FOTO MAGNUM / CONTRASTO ‘‘ Repubblica Nazionale