L'italia Allo Specchio: Quaranta Anni Di Cinema Civile. by Marco Natoli B.A., Università Di Palermo, 1995 M.A., Brown Univers
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L’Italia allo Specchio: Quaranta Anni di Cinema Civile. By Marco Natoli B.A., Università di Palermo, 1995 M.A., Brown University, 2001 Dissertation submitted in partial fulfillment of the requirements for the Degree of Doctor of Philosophy in the Department of Italian Studies at Brown University PROVIDENCE, RHODE ISLAND MAY 2011 © Copyright 2011 by Marco Natoli This dissertation by Marco Natoli is accepted in its present form by the Department of Italian Studies as satisfying the dissertation requirements for the degree of Doctor of Philosophy. Date ___________________ ___________________________ Massimo Riva, Advisor Recommended to the Graduate Council Date ___________________ ___________________________ Anthony Oldcorn, Reader Date ___________________ ___________________________ Suzanne Stewart-Steinberg, Reader Recommended to the Graduate Council Date ___________________ ___________________________ Peter M. Weber, Dean of the Graduate School iii VITA Marco Natoli was born (1970) and raised in Palermo, Italy. He received his undergraduate degree in Law at the University of Palermo in 1995 and subsequently began working in the fields of film and media, publishing around one-hundred single- authored articles. After working as a journalist and covering film festivals throughout Italy for several publications, he moved to Providence, RI where he earned an M.A. in Italian Studies at Brown University (2001). While in graduate school, along with teaching at Brown, he taught at the Rhode Island School of Design and at The Wheeler School. During the academic year 2003-2004 he spent a year in Lyon, France teaching Italian at all levels and perfecting his French. His primary interests are cinema and politics, the subjects of the following dissertation, entitled L’Italia allo Specchio: Quaranta Anni di Cinema Civile. iv ACKNOWLEDGEMENTS My appreciation and gratitude goes to Massimo Riva. I thank him in particular for his generosity, his rigor, and his patience as an advisor. Tony Oldcorn has provided me with valuable guidance throughout the years and has been a true friend. I thank him for his keen insights and extraordinary personality. I would also like to thank Suzanne Stewart- Steinberg for her support, and Caroline Castiglione for her enthusiasm for my project and friendly words of encouragement. Dedda De Angelis has been instrumental in fostering my love of teaching and I thank her immensely for her sense of professionalism and for being such a dedicated mentor. I would also like to thank Mona Delgado for her invaluable help. She has been an indefatigable problem-solver throughout the years and a continued source of assistance and friendship, making the Italian Department at Brown a second home for me. My family has been a solid pillar of safety and love. In particular I wish to thank my parents Leo and Lea and my sisters Antonella and Roberta for their unfaltering affection and sustenance. Finally, this dissertation would not have been possible without the infinite patience, unwavering support, and intellectual commitment of my wife Claudia, who has believed in me for all these years, and has provided me with inspiration, comfort and strength. This work is entirely dedicated to her. v TABLE OF CONTENTS INTRODUZIONE 1 CAPITOLO 1 13 Gli Anni Sessanta. Francesco Rosi e la Nascita del Cinema Civile. CAPITOLO 2 55 Dopo il Sessantotto. Gli Anni della Divisione. CAPITOLO 3 92 Gli Anni Settanta. Visioni d’Autore. CAPITOLO 4 134 L’Onda Lunga del Disimpegno. Il Cinema Civile Durante e Dopo il Riflusso. EPILOGO 170 FILMOGRAFIA 177 BIBILIOGRAFIA 187 vi INTRODUZIONE Di “cinema politico italiano”, altrimenti noto come “cinema civile”, “cinema di denuncia”, o “cinema di consumo impegnato”, si è estensivamente discusso nell’ambito della storiografia e della saggistica dedicate alla cinematografia nazionale. Tali denominazioni sono abitualmente utilizzate in una duplice accezione: in alcuni casi, per mettere in evidenza la cifra ideologica dell’opera di alcuni cineasti apertamente politicizzati, se non militanti; in altre occasioni, per definire quel tipo di cinema che, sull’onda della “contestazione generale” provocata dalla situazione politica internazionale e dall’immobilismo conservatore dell’establishment governativo, si affermò dopo la metà degli anni Sessanta come una delle tendenze più significative della produzione cinematografica nazionale proprio a partire da quel decennio. Questa tradizionale chiave interpretativa può dunque essere alternativamente intesa in un senso più ampio (in cui rientrerebbero i film di dichiarata matrice politica, e tutti quelli in cui lo sfondo sociale riveste una particolare importanza) o più ristretto (comprendente in via esclusiva i film realizzati nella stagione “calda” della contestazione). Pur non avendo l’intenzione di trascendere le letture critiche appena evocate, la presente ricerca si propone un fine ulteriore, cercando di analizzare il fenomeno del cinema civile italiano nell’integralità della sua evoluzione storica, a partire dalla sua genesi fino ad arrivare al suo lento declino e ai suoi recentissimi sviluppi, cercando al contempo di individuare le prerogative culturali, produttive ed estetiche che hanno creato i presupposti per la sua quarantennale persistenza come una delle tendenze più originali, 1 proficue e trasversali del cinema italiano del dopoguerra. E proprio la longevità del cinema civile, insieme alla sua capacità di “contagio” nei confronti di altri generi, è la caratteristica che lo rende un’espressione artistica esclusivamente tipica del cinema italiano, e un fenomeno unico nel panorama delle cinematografie mondiali. Anche se è certamente possibile riscontrare degli esempi di cinema civile nell’ambito di altri contesti nazionali, non si può non notare come si tratti perlopiù di episodi circoscritti, che difettano sia di una rilevante continuità cronologica, sia di un reale consolidamento di strategie produttive unitarie e modelli narrativi prevalenti, sia di una diffusa e consapevole ricezione da parte di un pubblico vasto: tutti elementi che invece hanno fatto sì che in Italia il cinema civile si cristallizzasse in un autentico modello culturale. Gli esempi occasionalmente verificabili in altre cinematografie nazionali possono piuttosto essere rubricati come fenomeni sporadici (come nel cinema hollywoodiano o francese), tematiche ricorrenti nell’opera di determinati cineasti (Costa-Gavras, Barbara Kopple, il “secondo” Godard, certo Kurosawa), o veri e propri movimenti programmatici di matrice ideologica esauritisi però nell’arco di pochi anni (come le esperienze terzomondiste del Cinema Novo in Brasile o del Terzo Cinema di Solanas e Getino in Cile). I fattori che hanno contribuito a consolidare questa fase engagé del cinema italiano sono molteplici, e spaziano dalla trasformazione delle dinamiche produttive locali, rinvigorite da una generale impennata dei consumi e dalla crescente popolarità del prodotto nazionale presso il pubblico pagante; alla convergenza di personalità autoriali forti (Francesco Rosi, Elio Petri, Damiano Damani, Florestano Vancini, e molti altri) verso tematiche civili di interesse e dimensioni pubblici; alla peculiarità del quadro socio- politico nazionale, sconvolto sin dai primi anni del dopoguerra dagli squilibri di una 2 democrazia imperfetta -- o “paese mancato”, secondo la felice definizione di Guido Crainz--, e trovatosi durante la Guerra Fredda al centro di un vortice di interessi geopolitici internazionali le cui tragiche conseguenze (tra stragi impunite, golpe falliti, omicidi eccellenti, segreti di Stato e indagini insabbiate) hanno innescato una catena di interrogativi e di misteri ancora oggi non del tutto chiariti. La “data di nascita” ufficiale del cinema civile si fa tradizionalmente risalire all’inizio degli anni Sessanta, con l’uscita di Salvatore Giuliano (Francesco Rosi 1962) e Le Mani sulla Città (Francesco Rosi 1963), veri e propri capostipiti del genere. Anche nella produzione degli anni precedenti, tuttavia, il tema della denuncia delle ingiustizie sociali e della corruzione del potere politico non costituisce certo un elemento insolito nel panorama del cinema italiano. Al contrario, il risveglio della coscienza civile, accompagnato dalla denuncia evidente o velata di problemi sociali irrisolti, era stato uno dei presupposti etici più insistiti di molti film della stagione del neorealismo (da Ladri di Biciclette -- Vittorio De Sica, 1947 a Umberto D -- Vittorio De Sica, 1950), così come più o meno nello stesso periodo il cinema italiano si era preoccupato di affrontare anche il fenomeno del banditismo (da Il Bandito -- Alberto Lattuada, 1946 a Il Brigante di Tacca del Lupo -- Pietro Germi, 1951) e persino, anche se un po’ sottovoce, i rapporti tra mafia e potere (In Nome della Legge -- Pietro Germi, 1948). Certamente, a partire dagli anni Sessanta si va costituendo il nucleo fondante del cinema civile italiano, e Salvatore Giuliano e Le Mani sulla Città si possono a pieno titolo intendere come i prototipi di un modello che negli anni successivi verrà in principio imitato e riprodotto, e infine reinterpretato e travisato fino ad essere svuotato del suo significato originario. In entrambi i film l’elemento centrale è quello della denuncia, 3 dell’orazione civile indirizzata in un caso contro la corruzione nell’amministrazione della cosa pubblica, nell’altro verso l’allusione all’esistenza di “grandi trame occulte” nella politica nazionale e internazionale. Nel quadro della produzione cinematografica italiana, questi due temi