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PEP MARCHEGIANI

NEW-PEP “Il quadro non è che un prodotto”

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NEW-PEP “Il quadro non è che un prodotto”

a cura di / curated by Giovanna Lacedra e Grace Zanotto

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IL QUADRO NON è CHE UN PRODOTTO. Giovanna Lacedra / Grace Zanotto

C’era una volta la Pop Art. Un’arte fatta per le masse. Nata per la gente. Prodotta per il popolo. Popular, appunto. Da ingurgitare e consumare, esattamente come qualsiasi altro prodotto. Erano gli anni ’50-’60. Andy Wharol, con la sua produzione seriale di ritratti serigrafati, dava inizio ad una sorta di catena di montaggio dell’arte. Trasponeva nella sua Factory la versione post- moderna della rinascimentale bottega d’artista, avvallando la teoria riguardante l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica già esposta da Walter Banjamin nel 1935, e secondo la quale un’immagine più volte vista – dunque riconoscibile perché entrata a far parte del bagaglio iconico collettivo –, avrebbe in sé il potenziale per diventare un eccezionale veicolo comunicativo. Un veicolo dall’idioma chiaro e fruibile e dall’impatto immediato, capace di propagare messaggi valicanti lo status decorativo dell’immagine. Negli anni del Pop artisti come Warhol, Oldenburg e Dine recuperavano i loro soggetti direttamente dagli scaffali di un supermercato o nei fast food, operando, in termini di scelta iconografica, una autentica decontestualizzazione duchampiana, capace di convertire un prodotto riconoscibile in opera d’arte. Quel prodotto, però, veniva ri-prodotto in chiave artistica, mediante tecniche grafiche, pittoriche o scultoree. Era, dunque, l’arte che imitava il prodotto da scaffale o l’icona holliwoodiana, per rendersi istantaneamente fruibile. Warhol riproduceva la stessa immagine su un supporto tradizionale: la tela. Le sue serigrafie moltiplicavano all’infinito lattine di Coca Cola o ritratti di Marilyn, alterandone i colori. Con questa tecnica, l’artista entrava in quello che Argan ha definito “circolo della pura aleatorietà”, un ambito in cui pare non esservi più distinzione tra quello che potrebbe dirsi “fenomeno estetico” e quello che invece non lo è. L’altra straordinaria trovata di Warhol fu quella di citare la cronaca a lui contemporanea prelevando l’immagine fotografica e documentativa, direttamente dalle testate giornalistiche o dalla TV – insomma, dai circuiti d’informazione di massa del suo tempo –, per poi restituirla allo spettatore quasi logora. L’effetto cui mirava era proprio quello di un’immagine corrosa. “È un’immagine che, in gergo giornalistico, ha fatto notizia: l’incidente d’automobile, la sedia elettrica su cui è morto il famoso assassino, il o la protagonista del fatto del giorno ( Marilyn Monroe, Jaqueline Kennedy, Che Guevara). Sono immagini divulgate dalla stampa quotidiana: la medesima immagine viene veduta molte volte (…) Siamo tutti testimoni, ma dove tutti sono testimoni, nessuno è giudice…”. In definitiva, Andy Warhol usò il medium artistico per verificare gli effetti della ripetizione di una data notizia, sulla massa.

La Pop Art fu ufficializzata in Italia con la Biennale d’Arte di Venezia del 1964. E subito venne identificata da Adorno, come pura e semplice operazione di ‘raddoppio’. In realtà, nell’indagine artistica di Wharol, Oldenburg, Dine o Rosenquist la scelta di raddoppiare, moltiplicare – dunque riprodurre –, immagini appartenenti alla memoria iconica di massa, aveva una funzione più precisa: quella di muovere una polemica alla stessa società dei consumi.

Quel riporto o raddoppio doveva provocare, nel riconoscimento immediato, una più profonda presa di coscienza, una più affilata riflessione.

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La risposta italiana a questo tema, era già arrivata con la ricerca pittorica di Renato Guttuso e con le sue affermazioni circa l’arte intesa innanzitutto come “problema morale” e circa la pittura vissuta come mezzo specifico per avvicinarsi al mondo. Ma facendo un passo indietro, agli anni venti del Novecento, è nel Muralismo Messicano di Orozco, Rivera e Siqueiros che risulta riscontrabile un concreto impegno sociale da parte dell’arte. Affreschi enormi avevano il compito di educare la gente ai principi marxisti. Si trattava di una pittura rivoluzionaria e parimenti educativa. Didattica e didascalica. Una super-pittura donata al pubblico, pensata per la collettività, capace di parlare al popolo. I muralisti messicani privilegiano sempre la storicità del fatto, e non è dunque un caso che Del Guercio li annoverasse tra coloro che avevano cambiato il volto dell’arte, restituendole una nuova responsabilità storica di fronte agli uomini. La nostalgia per questo momento storico-artistico prendeva volume anche in considerazione del fatto che questi affreschi, realizzati all’esterno di edifici e dai chiari contenuti divulgativi, una volta terminati divenivano di proprietà comune. Erano un bene del popolo messicano, appartenevano alla società e non più all’artista che li aveva realizzati. Affrancandosi totalmente dal vincolo proprietario, si slacciavano dal “feticismo della merce”. Ad ogni modo, l’arte socialmente impegnata – che diventa strumento di denuncia, di polemica e riprovazione, e che rende l’artista portavoce di una determinata fetta della popolazione – era nata molto tempo prima, intorno agli anni ’40-’50 dell’ Ottocento, con il Realismo Francese di Courbet, Daumier e Millet. Lo scopo dei pittori Realisti era stato quello di rappresentare la vera condizione di vita delle classi lavoratrici, senza nessuna trasfigurazione che mascherasse i reali problemi sociali. L’arte era allora un prodotto pensato per il popolo, poiché erano le verità più scomode ad essere messe in luce mediante la pittura. Pensiamo a brani indimenticabili del Realismo, come Gli Spaccapietre di Gustave Courbet, o ancora Il vagone di terza classe di Honoré Daumier.

Negli ultimi decenni, invece, la situazione pare essere mutata. Questo rovesciamento è stato chiaramente espresso in un saggio di Vasquez, intitolato ‘Arte e Società’, in cui l’autore afferma: “l’artista è soggetto ai gusti, alle preferenze, alle idee e alle concezioni estetiche di coloro che influenzano il mercato. Dal momento che egli produce opere d’arte destinate ad un mercato che le assorbe, non può non tener conto delle esigenze di questo mercato: queste modificano sia il contenuto che la forma dell’opera d’arte, ponendo in tal modo dei limiti all’artista, soffocando il suo potenziale creativo e la sua individualità”.

L’arte è davvero così fortemente impigliata nella rete capitalistica? Siamo sicuri che un’opera sia ormai soltanto merce dagli esili contenuti? Esistono ancora artisti che, pur muovendosi in un tale sistema, riescono a muovere una critica urgente e intelligente, alla società contemporanea? Herbert Simon, psicologo cognitivista ed economista americano, sul n.23 di ‘Across the board’ (1986) scriveva: “le azioni sono considerate creative quando producono qualcosa che sia originale, interessante o abbia valore sociale. Un elemento originale, che sia interessante e che abbia valore sociale rappresenta il fondamento della creatività”.

Se uniamo il principio di riproducibilità tecnica dell’opera – teorizzata da Banjamin e applicata da Warhol –, con l’impegno sociale dimostrato dai muralisti messicani, e con la teoria sulla creatività formulata da Hebert Simon, otteniamo un prodotto artistico in grado estendere l’azione di denuncia ad una porzione di popolazione sempre più abbondante.

È il prodotto artistico di Pep Marchegiani.

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A distanza di più di mezzo secolo, un artista come Marchegiani ha deciso di ribaltare i principi di base della Pop Art, nonché le regole di mercato. Ha capito che, per essere comunicativamente incisiva, l’immagine riconoscibile – il marchio, il logo, il ritratto o la caricatura del personaggio noto - deve essere riprodotta su supporti accessibili al grande pubblico, ovvero a quella fetta piuttosto farcita di gente che nelle gallerie e nei musei non entra quasi mai. Come afferma l’artista: “Il messaggio è indubbiamente lo stesso, quello che cambia è la scelta del supporto sul quale produrlo. La differenza è nella tecnica”. È il prodotto stesso, dunque, a farsi arte. Non più il dipinto, la serigrafia o la scultura, già capaci di ritrarlo e riprodurlo quale totem per la memoria iconica di massa. Il prodotto è già messaggio. Ma nella produzione di Pep Marchegiani si fa opera d’arte riproducibile, facilmente acquistabile, e altamente comunicativa. E lo stile adottato per perseguire un tale obiettivo non poteva che essere palesemente popular: essenziale, illustrativo e pubblicitario. Contorni netti e campiture. Talvolta piatte, talaltra strutturate a costruire volumi per livelli di gradazioni tonali. È naturale captare che, se l’immagine viene riprodotta su felpe, t-shirt, borse, cover per iPhone o ruote di mountain bikes, la parte di pubblico predisposta a riconoscerla e fagocitarla sarà sicuramente più variegata. Lo stesso Pep trova che “... l’opera debba comunicare sui più disparati supporti e essere alla portata di tutti dal collezionista al collezionista”. Le sue opere-prodotto divulgano messaggi visivi audaci e impertinenti. Più precisamente agiscono una denuncia sociale, sfrontata e mai esiziale. Sono critiche formulate in chiave ironica e polemica. Accuse sottili (ma non troppo), edulcorate dalla nettezza del segno e del colore. Se con la Pop Art si assiste al semi-svuotamento dell’oggetto artistico, dell’opera d’arte, con la scelta Neo Pop di Marchegiani l’oggetto artistico diventa un prodotto di consumo che acquista valore, riempiendosi del messaggio di cui si fa portatore.

Nella produzione artistica di Pep Marchegiani, il quadro non è che un prodotto. Come la t-shirt non è che un prodotto. Come la cover di un cellulare non è che un prodotto. Ma il prodotto va osservato, ingurgitato, metabolizzato, compreso, digerito e infine consumato. Marx sosteneva che il prodotto si conferma nel consumo. Dissolvendo il prodotto, il consumo soltanto gli dà il tocco finale. L’opera di Pep Marchegiani è in ogni caso, un prodotto da consumare: sia esso una Maibaic con cui pedalare, sia esso una tela da osservare e studiare. Per Marchegiani, riportare la metodologia della riproducibilità dell’immagine elaborata nell’ambito della moda, e dell’oggetto d’uso comune, è stata una la chiave di volta in termini di azione comunicativa. La denuncia viene attuata all’interno del sistema stesso. Warhol partiva da immagini pubblicitarie di grandi marchi commerciali, e non faceva altro che moltiplicarle su vasta scala. Marchegiani, in epoca Neo Pop, fa qualcosa di più forte: le manipola. Riprende i marchi commerciali, i loghi delle più conosciute multinazionali, e li distorce allo scopo di rendere il pubblico consapevole di certe, inammissibili, manovre del potere. La manipolazione genera l’azione di denuncia.

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OBAMA T-SHIRT

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MAIBAIC

COVER PER IPHONE 4

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INTERVISTA A PEP MARCHEGIANI:Giovanna Lacedra / Grace Zanotto

Giò e Grace: Qual è il ruolo sociale dell’artista? Pep Marchegiani: L'artista produce emozioni, stimola e provoca

GG: Dove va Pep Marchegiani fin da piccolo? PM: A spasso tra i colori.

GG: Nel ciclo ‘Multinational’ , come si spiega l’interazione tra logo e immagine del teschio? PM: Le multinazionali producono profitti sulla contaminazione e sullo sfruttamento sia fisico che culturale, se penso al contenuto di un Big Mac mi viene in mente di denunciarli per strage.

GG: Come accade la trasformazione di Umberto Bossi in ? PM: Umberto Bossi non può che essere un prodotto di una multinazionale, un essere umano pensa e comunica, il Bossy-Kitty esegue e si rompe, viene stampato su maglie ed è venduto grazie alla sua confezione con tanto di slogan sul cell'hoddùro. In sostanza Bossi è la risposta padana ad Hello Kitty, il Trota è l'anti My Melody e Maroni è Cinnamoroll.”

GG:Pensi che il tuo lavoro possa contribuire a salvare l’umanità da se stessa? PM: Magari disegnando un'astronave colorata che sia in grado di trasportare tutte le persone mentalmente simili al diversamente nano in un posto arido nella galassia di Vega. GG:Ti definiresti un artista Pop o un artista Neo Pop… o semplicemente Neo Pep? PM: Mi piace definirmi Pep.

GG:L’opera d’arte Pop, in qualità di prodotto, dove presenta la data di scadenza? PM: Non credo nelle scadenze, men che meno nella scadenza di un concetto creativo, credo che l'arte Pop debba adeguarsi usando strumenti attuali per produrre opere seriali.

GG:Perché scegli di esporre con delle curatrici che hanno deciso di appendere le tue t-shirt alle pareti, in luogo dei quadri, e le tue cover su eleganti piedistalli? PM: Penso che siano curatrici illuminate e che abbiano capito il concetto di rinnovamento della Pop.

GG:Le Botteghe d’artista, da Cimabue a Raffaello a Tiziano, erano fabbriche di immagini per i consumatori della loro epoca. In che maniera, il tuo prodotto – che si apre ad un collezionismo di massa – prosegue il cammino della storia dell’arte? PM: Credo che la differenza sia negli strumenti a disposizione e soprattutto nella committenza.L'Arte è libertà di interpretazione, a quei tempi c'erano molti, troppi vincoli. Mi interfaccio meglio con "artigianisti" come Gutenberg o Nièpce.

GG: Le tue immagini provocatorie, stampate sulle cover dei cellulari, in che modo sovvertono il sistema della comunicazione? PM: Dimostrano come un'opera debba comunicare sui più disparati supporti e debba essere alla portata di tutti dal collezionista al collezionista.

GG:Il valore del tuo messaggio è il medesimo, sia che una tua immagine sia esposta come quadro 8

in una galleria d’arte, sia che venga indossata come felpa da un qualunque cittadino che incroci per strada? PM: Il messaggio è indubbiamente lo stesso, quello che cambia è la scelta del supporto sul quale produrlo. La differenza è nella tecnica.

GG:Tornando al cammino della storia dell’arte, attraverso la pittura di contestazione politica e sociale di sinistra, dalle grandi tele di Guttuso ai murales di Rivera e Siquieros , e prima ancora di chi aveva già tentato di contestare il sistema capitalistico con l’uso della caricatura (pensiamo a Goya e Daumier), come si rapporta l’artista-moralista Pep Marchegiani ad Angela Merkel? PM: Non mi rapporto con una terrorista.

GG:Quali sponsor alimentari desideri per il catering del tuo vernissage in Galleria Famiglia Margini, del 27 aprile 2012? PM: Direi che lo sponsor è la Terra con la frutta e Bacco con il vino.

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GUARDARE PER SAPERE. Giovanna Lacedra / Grace Zanotto

Nel ciclo titolato Multinational, un marchio come l’Adidas diventa Adeathas, e l’immagine della morte, simboleggiata dal teschio, si iscrive nel noto logo del marchio sportivo. E ancora, il nome della più celebre catena di fast food, Mac Donald’s , viene tramutato in Merd Donald’s, attraverso lo stesso principio critico.

L’immagine elaborata da Marchegiani è notizia nella notizia. È una notizia oltre la notizia. Il marchio da lui manipolato contiene la verità, quella che non si può dire, quella celata dal potere. E il fatto che un messaggio visivo tanto forte e sferzante, possa essere propagato mediante supporti non convenzionali, utilizzabili e indossabili, fa la sostanziale differenza. È la misura del salto in lungo verso lo spettatore-compratore. Warhol ripeteva spesso che i prodotti di massa rappresentano la democrazia sociale, dal momento che chiunque ha la possibilità di bere una Coca Cola, il divo di Holliwood come l’homeless. Marchegiani veste il prodotto con le immagini da lui create, per stimolare la gente a ‘vedere’. Con la stessa celerità di un rotocalco o di una pagina web, l’artista coglie la notizia, la mastica e la trasforma graficamente in un messaggio visivo da stampare e vendere al dettaglio. È così che nascono cicli in cui le immagini denunciano apertamente il principio di ‘sfruttamento’ – umano, fisico e culturale – sul quale si fonda il profitto stesso delle imprese. “Se penso al contenuto di un Big Mac – asserisce Pep – mi viene in mente di denunciarli per strage”.

Lo stesso principio viene applicato alla ritrattistica. Il ritratto da lui caricaturato non è che l’atto di smascherare un uomo, sia esso un esponente della politica che della ecclesia. La caricatura rivela quello che la parvenza cela: palesa ciò che si occulta dietro le quinte del potere. E non esiste scampo. Guardare per sapere. “La caricatura artistica convince quando anche l’essere è già caricatura – altrimenti di che dovrebbe convincere?”. Erano le parole di George Simmel in un capitolo de ‘Il volto e il ritratto’. Nei ritratti di personaggi politici, ecclesiastici o dello star sistem, realizzati da Pep Marchegiani, risulta ‘caricato’ non solo l’aspetto fisico, ma soprattutto quello relativo al ruolo svolto e ai peccati commessi e taciuti. Proprio su questo punto si attiva la denuncia. In un interessante saggio di Irvin Lavin, intitolato ‘Passato e presente della storia dell’arte’, l’autore definisce la caricatura come “ un’esagerazione comica dei difetti naturali dei tratti del modello. L’elemento di deformità – scrive Lavin – riflette l’origine della parola dal verbo ‘caricare’: lo stesso che si usa per un fucile, un pennello, o un carro.” La caricatura finalizzata alla satira sociale nasce già nel Seicento con Gian Lorenzo Bernini. Nel Settecento diventa uno strumento pubblico di riforma sociale, mentre nell’Ottocento il Luigi Filippo di Honoré Daumier più volte ritratto con il volto a forma di pera, porta l’intento derisorio al suo acme. E ci fa pensare in un attimo al volto di Umberto Bossi, trasformato da Pep Marchegiani, 10

in una sconcertante Hello Kitty! Hello Bossy. Perché secondo Pep, uno come lui non può che essere il prodotto di una multinazionale: “Un essere umano – spiega l’artista – pensa e comunica, il Bossy-Kitty esegue e si rompe, viene stampato su maglie ed è venduto grazie alla sua confezione con tanto di slogan sul ‘cell'hoddùro’… In sostanza Bossi è la risposta padana ad Hello Kitty …”. Ecco allora personaggi politici mutare ridicolmente in icone o eroi dei fumetti e dei cartoons. Sono personaggi manipolati. Sono Pep-sonaggi. La manipolazione smaschera. Sveglia le coscienze. Come afferma Lavin , la caricatura è “irreversibilmente legata a una particolare persona, situazione o contesto, e pertanto anche a un determinato momento nel tempo: legata, cioè alla storia.” Caricare vuol dire investire un ritratto di simboli, che sappiano ricostruire il volto autentico di quel tale personaggio. Caricare, come si carica un’arma da fuoco. Un fucile, dice Lavin.

E fucile in inglese si scrive ‘gun’.

Da un’iconcina della politica, quale può essere il Bossy-Kitty, passiamo ad una super-icona del potere temporale, quale è invece il Pontefice. Il Pontefice e la sua Santa Sede. L’artista si domanda : “ …che cos’è la fede oggi, se non un’arma puntata sulla gente?” Nell’opera ‘Vatigun’ , eseguita in due versioni – un dipinto su tela e una pitto-scultura lignea, entrambe appartenenti a collezioni private – Pep Marchegiani affronta senza esitazione, questo tema, ritraendo il Papa con un revolver tra le mani. È un papa terrorista, di nero vestito, che scimmiotta se stesso fissando il fruitore. Ha un sorriso sornione, e dall’indistruttibile luogo del suo potere assoluto, prende la mira. Tu, spettatore, uomo comune, sei entrato nel mirino. È sul tuo viso che viene puntata quella pistola. Sei tu, quell’ipotetico fedele che si trastulla nella sua predica come in una dolce ninna nanna. Te ne resti a guardarlo, ammirato e impassibile. Immobile nel suo mirino. Lui è l’uomo che rappresenta Dio in Terra: qualunque cosa faccia e qualunque cosa dica dal suo alto, è sempre cosa buona e giusta. Ti sta puntando un’arma in viso, e tu non la vedi. Perché quell’arma si chiama fede, non ha l’aspetto di una reale arma da fuoco. Ma l’arte figurativa che per narrare, svelare, denunciare si avvale dell’uso di simboli, può trasformare l’arma astratta della fede, nell’emblema-pistola. Tutto al servizio di un scopo: dire, con la potenza chiarificatrice dell’immagine, verità nascoste. To gun: Uccidere. Ecco che la manipolazione dell’immagine è viva già nel titolo. Il gioco di parole, la creazione di questo neologismo la dice lunga : Vatigun, la fede è una pistola puntata sui fedeli. Sul gregge. Sulla gente. Quella pistola non è che il bastone del pastore. Di un pastore che non ti condurrà all’ovile, ma al macello. È questo il grande inganno del potere temporale. Un potere usato in maniera abusiva e mendace. Ormai sporcamente mescolato al potere finanziario. In ‘Marketing Divino’ è proprio questo aspetto ad essere messo in evidenza dall’artista. Su uno sfondo nero avorio si staglia la figura sorridente di Papa Benedetto XVI , che con un’espressione serafica, ancora una volta rivolge il suo sguardo allo spettatore. Osservando le sue mani giunte salta subito all’occhio il pregevole anello d’oro. La sua artificiosa benevolenza è tradita, invece, da quanto risulta leggibile sulla mantella celeste-cielo che gli ricopre le spalle: una serie di loghi riconoscibili all'istante, per chiunque. Sono tutti spondor della Santa Sede! Marchi che fanno capo a scandali in cui il Vaticano stesso è coinvolto. Marchegiani dipinge il Pontefice come una sorta di pilota di formula Uno, il cui abito sponsorizza la stessa Chiesa Vaticana. E a coronamento di tutto questo, sulla tiara rossa, troneggia un immacolato 8x1000. Restiamo in ambito religioso. Questa volta il soggetto caricaturato è l’uomo che si cela sotto 11

l’abito talare di una qualsiasi rappresentante del clero. In ‘Self Portrait in Vatigun’ un vescovo, finalmente al riparo da occhi indiscreti, nel rifugio della sua privacy, si diverte a scattarsi foto allo specchio tramite iPhone. È il gioco degli autoscatti da social network. Un passatempo tipicamente adolescenziale – e non solo. Può essere divertente immaginare di spiarlo dal foro di una serratura mentre si scatta le foto. Un’immagine del genere infragilirebbe il concetto di secolarizzazione della Chiesa. Osservate l’espressione compiaciuta di questo vescovo dalla pelle cadente e in mutande griffate. Pare quasi che si stia facendo la caricatura da solo! Ma del resto, come biasimarlo? Non è anche lui un comune mortale, al di là del ruolo che pubblicamente riveste? Anche lui ha i suoi vizi, il suo piccolo ego, le sue manie di protagonismo. E con quell’iPhone diventa un uomo come un altro, con tutte le sue debolezze. E anche un po’ vanitoso. Anche le pie hanno diritto a cinque minuti di pausa dalla loro eccezionalità. Immaginate se Madre Teresa, dopo aver compiuto una delle sue straordinarie azioni compassionevoli, decidesse di rilassarsi un attimo, e si allontanasse dalla folla di missionari e bisognosi, per fumarsi una sigaretta in un vicolo appartato di Calcutta. Che male ci sarebbe? La sua aura verrebbe forse oscurata dal fumo? Non pensate che rimarrebbe, invece, la stessa straordinaria creatura che qualche minuto prima ha dato da bere agli assetati e ha offerto del cibo agli affamati? In ‘Ectasi di Santa Teresa’ è ritratta una donna in pausa-sigaretta. Teresa è una donna, prima ancora di essere una suora missionaria. È un essere umano. Capace, nella sua straordinarietà semidivina, anche di stancarsi, o di avere qualche piccolo vizio. Non è forse ciò che accade a tutti i mortali? Si è meno santi o meno straordinari con una Marlboro tra le dita? Una donna così prodiga nell’aiutare il prossimo, così generosa nell’offrire l’intera sua vita ai bisognosi, avrà pure il diritto di desiderare un momento di requie e solitudine. In questo caso, però, Pep ribalta lo stato delle cose: è la multinazionale ad approfittare della situazione. È il marchio Marlboro impresso a chiare lettere sullo sfondo rosso, che strumentalizza la prodigiosa figura della santa. Una sorta di pubblicità occulta. E subliminare. Mentre Teresa vive i suoi cinque minuti di estasi, la sua purezza viene strumentalizzata da una multinazionale che si autoreclamizza.

Ma se una madre sapesse di aver messo al mondo una creatura pericolosa per il resto dell’umanità, se ne avesse una chiara premonizione, come pensate che reagirebbe? La lascerebbe crescere? O la fermerebbe? Bang! Un colpo di pistola e la storia cambia corso. Immaginate la madre del piccolo Adolf. Ha messo al mondo un baby-dittatore. Un mostro che da grande sognerà di sterminare la razza ebrea. Probabilmente quella madre riesce ad intuirne anche la grande creatività. Hitler era un abile pittore vedutista, con l’ambizione di diventare un grande artista; una velleità freddata dall’amara sentenza dell’Accademia di Belle Arti di Vienna, che nel 1907 lo respinse a causa di una prova di disegno insufficiente. Ecco allora che la creatività repressa o inespressa, si tramuta in rabbia e violenza, e viene scagliata contro il resto dell’umanità. Negli anni della dittatura Nazista, Hitler ha certamente dimostrato di essere un oratore creativo: creava il discorso mentre parlava in pubblico. Anche in questo risiedeva la sua pericolosità. Ogni madre conosce i propri figli, per cui immaginiamo che la madre del piccolo Adolf riconosca in lui il mostro che diventerà. Se quella madre potesse presagire la storia, e con un solo gesto modificarne il corso, cosa pensate che farebbe? Il revolver cha ha sparato un colpo in fronte al baby- Führer, era tra le mani di chi lo ha generato. Il grilletto è stato premuto dalla stessa madre. Lo ha ucciso per modificare la storia. Adolf Hitler non diventerà mai un uomo, un artista represso, un dittatore rabbioso e mitomane; non fonderà mai il Nazismo, non perseguiterà mai ebrei, rom, zingari e omosessuali. Adolf Hitler non esisterà.

Nella produzione di Pep Marchegiani, sardonici ritratti e irriverenti caricature immortalano i grandi inganni della storia moderna e della società contemporanea. Il messaggio visivo, polemico e 12

sovversivo, può essere veicolato da una felpa o da una cover allo stesso modo in cui potrebbe essere veicolato da una tela, con una possibilità di propagazione forse maggiore, dal momento che più vasto è il pubblico dei potenziali acquirenti. Le sue felpe potrebbero vivere appese alle pareti come fossero quadri, e le sue cover per iPhone potrebbero essere esposte su piedistalli. Il valore del prodotto risiede, in ogni caso, nella sua funzione metalinguistica.

La produzione artistica di Marchegiani, più tradizionalmente legata alle arti visive, contempla dipinti su tela di grande formato, stampe digitali integrate da interventi manuali, pitto- sculture lignee e multipli in formato polaroid. La forza mediatica del suo lavoro è testimoniata dai 20.000 visitatori che cliccano ogni giorno sulla sua pagina Facebook. Mentre il suo brand è prodotto in licenza da grandi aziende, e risulta presente in circa 200 boutique di alto livello. Una forza espressiva pari a quella che le sue tele hanno in galleria. Perché ora il collezionista non è il più soltanto il colto amatore d’arte, ma è anche – e soprattutto – l’anonimo cittadino che indossa una sua t-shirt. In questo senso, la produzione e riproduzione di Marchegiani sembra andare ben oltre il concetto di Neo Pop. Si potrebbe parlare piuttosto di tendenza New Pep. Quando il quadro non è che un prodotto, e la vera opera d’arte diventa la t-shirt.

L’opera non è più un pezzo unico da museo, ma è un oggetto riproducibile. Indossabile e godibile. Oggetto d’arte e oggetto d’uso. In ogni caso è un prodotto.

Nasce una nuova forma di collezionismo di massa. Il messaggio visivo è immediatamente vendibile a chiunque. L’arte esce delle gallerie per entrare nel guardaroba della gente. Un modo decisamente esclusivo per fornire a compratori provenienti da qualsiasi status sociale – e di qualsiasi livello culturale –, una nuova chiave di lettura della realtà.

Per dirla con le parole che Janet Wolff usa in Sociologia delle Arti, il ruolo potenzialmente trasformativo dell’arte è quello di far mutare le coscienze: “Io sostengo, infatti, che molte altre persone siano coinvolte nella produzione dell’opera, che fattori sociali ed ideologici determinino ed influenzino il lavoro dello scrittore/pittore e che il pubblico e il lettori esercitino un ruolo attivo e partecipativo nella creazione del prodotto finito.”

In buona sostanza, siamo noi tutti ad essere coinvolti. Siamo la parte più attiva: i consumatori dalle coscienze mutevoli.

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OPERE / WORKS

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“ADEADATHAS”

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“HELLO BOSSY”

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“VATIGUNS”

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“MARKETING DIVINO”

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“SELF PORTRAIT IN VATIGUN”

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“ECTASI DI SANTA TERESA”

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“BANG!”

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PEP MARCHEGIANI Esposizioni 2012

27 Aprile/ 26 Maggio – NEW PEP: “Il quadro non è che un prodotto”. Mostra personale presso Galleria Famiglia Margini, via Simone D’Orsenigo 6, Milano www. famigliamargini.com

9 Giugno – Mostra personale presso galleria Sliding Etra, Sant’Agata de’Goti (Benevento)

30 Giugno – Mostra personale all’interno dei 7 cortili della Farm Cultural Park di favara (Agrigento)

17 Novembre – Mostra personale presso Galleria Spazio Bevaqua Panigai, Treviso

27 Settembre - Mostra personale presso Spazio Espositivo Otto Agency, Prato

13 Ottobre – Mostra personale presso Galleria Pow Gallery, piazza Castello, Torino

1 Dicembre – Mostra personale presso Spazio Pep Marchegiani , via Montanara 13, Pescara

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