Emil Cioran Nel Diario Di Mircea Eliade
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EMIL CIORAN NEL DIARIO DI MIRCEA ELIADE 29 AGOSTO 1970 Questa sera abbiamo invitato a cena fuori Sorana Ţopa (1), Sybille (2), Sorin (3), Cioran, Virgil Ierunca (4). Rivedo Sorana per la prima volta dopo tren- tasei anni. È grande amica di Sorin e soprattutto di Corina (5) con cui si vede due o tre volte la settimana. Cioran era terrorizzato al pensiero che Sorana avesse letto il suo testo della Festschrift con l'oscura allusione ai dissapori del 1933 (6). Ma poco dopo ha ritrovato la sua verve di sempre. Torniamo in Place Charles Dullin (7) e continuiamo la discussione sino all'una del mattino. Sono rattristato da quel che mi dice Sorin: che la loro ‘generazione’ non ha conosciuto la solidarietà di cui noi abbiamo dato prova; ognuno è cresciuto e si è sviluppato da solo, e unicamente per se stesso; gli intellettuali e i giovani scrittori sono egocentrici, invidiosi, eternamente in competizione l'uno con l'altro, e rifiutano di apprezzare i colleghi più dotati (lo ha detto dopo averci sentito parlare, Cioran e me, con tanto entusiasmo di Mircea Vuldinescu (8), di Sorin Pavel (9), di Dinu Noica (10) e altri). 23 GIUGNO 1972 Questo pomeriggio, Dinu Noica è venuto a trovarmi e siamo rimasti a parlare per tre ore. Che cosa potrei annotare d'acchito?... Tutto mi sembra straordinario, a partire dal fatto che ci ritroviamo dopo trent'anni e che lo trovo immutato, ossia sempre così ottimista e pieno di fiducia nella vita e nella storia, nonostante questa ‘Storia’ tanto stimata lo abbia compensato con dieci anni di prigione; e l'insistenza con cui ripete che quegli anni ‘sono stati i più felici della sua vita’, soprattutto quelli passati da solo in una cella, senza un libro, né un foglio di carta né una penna... ‘Tutto il tempo mi ap- parteneva!’, mi dice. ‘Potevo meditare a piacimento, senza farmi fretta; po- tevo ripensare a tutto quanto avevo letto sino ad allora. Così ho ripercorso mentalmente l'intera storia della filosofia occidentale, dai presocratici fino a Husserl...’ Anche lui mi ripete ciò che mi hanno confessato tutti quelli che sono passati dalla prigione, vale a dire che solo in carcere emergono le virtù di ciascun individuo, fin lì ignorate o sottovalutate. Si scopre che gli uomini sono mi- gliori, più coraggiosi, più ‘autentici’ di quel che si sarebbe creduto. La gran- de rivelazione è stata la qualità morale dei romeni che, quasi tutti noi, giudi- cavamo leggeri, superficiali e mediocri. (Mi ricordo che Cioran mi aveva confidato come si era sentito fiero d'essere romeno ascoltando i racconti di chi aveva patito anni e anni di carcere e conosciuto i campi di sterminio del canale Danubio-Mar Nero...) Tra le tante cose, andrebbe annotata la fede di Dinu nelle possibilità creatrici dell'attuale cultura romena. Tuttavia, mi chiedo se queste ‘possibilità’ riusciranno a dare i loro frutti in una società rigorosamente e sistematicamen- te politicizzata; se, ad esempio, una filosofia originale potrebbe essere enun- ciata apertamente in una cultura controllata dalla censura... 6 LUGLIO 1972 Lunghe discussioni con Sorin [Alexandrescu]. Ne riporto l'essenziale nell'agenda. In serata Eugène [Ionesco], Rodica (11), Marie-France (12), Cioran, Virgil [Ierunca] e Monica (13) vengono a trovarci. Risentono ancora tutti dell' emozione di avere rivisto Dinu. Tanti sono gli enigmi cui non arrivo a dare una spiegazione. Un'unica cosa è certa: Dinu è riuscito ad ‘assimilare’ l'esperienza del carcere, vale a dire a riconciliarsi con essa e a trovarle un senso; è uscito da questa tragica prova più maturo, più completo. E, soprattutto, disposto ad accettare le condizioni storiche della Romania attuale, e dunque a concentrare la propria attività creativa negli ambiti che sono tollerati. In una parola, Dinu, che ha inteso a fondo la fùosofia di Hegel, si piega alla «storia», ben sapendo che ogni altra decisione lo condurrebbe al silenzio, alla sterilità o alla nevrosi. 15 SETTEMBRE 1973 Ricevo la visita di Sergiu Al-Georg (14). Avevo inteso tanto parlare di lui, da Dinu Noica... Mi aveva anche scritto qualche volta, e da Calcutta, non temendo più la censura, mi aveva inviato una lunga lettera. Aperto, sincero, senza riserve né inibizioni, con una ‘presenza’ tale che ne sono subito conquistato. Siamo rimasti a parlare dalle quattro alle sette. Lo rivedrò dopodomani. Che cosa potrei annotare d'acchito? Sapevo già da Dinu, e dalle sue lettere, quale ammirazione egli nutrisse per me e quale profonda conoscenza avesse di tutto ciò che avevo scritto. Sapevo anche che considerava Fôret interdite la mia opera più importante e il miglior romanzo romeno. È per averlo letto in traduzione francese, nel 1956-1957, che venne condannato e dovette scontare cinque anni e mezzo di prigione. Ed è, d'altronde, per lo stesso motivo che Vladimir Streinu (15) (il quale aveva avuto il libro da Serban Cioculescu [16], che però non ebbe a patirne), Nicolae Steinhardt (17) e Dinu Pillat (18) furono messi sotto accusa e condannati nel processo di Constantin Noica. Non scriverò nient'altro su questo processo, che rimarrà negli annali della cultura romena come uno dei capitoli più bui e tristi della nostra storia. Spero solo che almeno qualcuno di questi accusati abbia messo su carta que- sti dolorosi ricordi, e che tali documenti possano salvarsi. Mi confessa, ama- reggiato, come lui, Steinhardt e Dinu Pillat fossero rimasti delusi nel consta- tare che né io né Cioran avevamo scritto un solo articolo nella stampa straniera su questo processo mostruoso nel quale erano stati implicati e condannati per la semplice colpa di aver letto i nostri libri. Gliene spiego la ragione: essendo considerati ‘fascisti’, le nostre proteste, mie, come di Cioran, non avrebbero potuto che danneggiarli perché sarebbero state interpretate come una conferma indiretta del loro spirito reazionario. 14 MARZO 1975 Aneddoto da riferire a Cioran. A Massalia, l'antica città greca sulle cui rovine è stata edificata Marsiglia, chi voleva suicidarsi doveva chiedere l'autorizzazione al Senato, esponendo le ragioni che lo costringevano a ricorrere a un tale gesto. Se queste erano ri- tenute valide, gli veniva data gratuitamente la quantità di cicuta necessaria. 20 GIUGNO 1975 Siamo invitati da Eugène [Ionesco] e Rodica al ristorante del cinquantanovesimo piano (?) del grattacielo di Montparnasse (affinché non ci scordiamo di Chicago, precisa Marie-France). Poi con Cioran andiamo da loro. Eugène pare sempre più interessato a certi scritti mistici. Avrei creduto che Cioran si sarebbe lasciato trascinare e avrebbe menzionato alcune sue letture giovanili relative ai santi e alle sante che conosceva così bene. Ma, come mi confessava giorni addietro, basta la lettura dei giornali e dei settimanali a mantenerlo nell'orizzonte della tragedia greca e dell'apocalisse. I soli problemi veramente attuali, precisa. 6 LUGLIO 1975 Cena da Mariana e François Parlier (19), assieme a Cioran e ai Lupasco (20). Mi sono ricordato, senza che ne abbia fatto parola, di quella notte d'autunno del 1943 quando, giustappunto assieme a Lupasco e Cioran, oltre che a Lica Cracanera (21), cenai da B. Fondane (22). Fu la prima e ultima volta che in- contrai Fondane. Viveva nascosto in casa, con sua sorella, e non frequentava che pochissimi amici. Gli confessai quanto avesse significato per me, e non solo per me, il suo libro Immagini e libri di Francia. Lo misi a parte della leggenda che circolava sul suo conto, intorno al 1926-1928, tra i più giovani, vale a dire che era stato chiamato a Parigi per assumere la direzione della Typographie Gourmontienne e si attendeva da lui un' edizione aggiornata dell' opera di Rémy de Gourmont... Parlammo tra l'altro, della fortuna o sfortuna nella storia; non pensavo affatto alla realtà storica (ad esempio, alle traversie cui vanno inçontro i popoli minori per via della loro situazione geografica, nel caso in cui il loro Paese si trovi al confine degli imperi militari o sul tragitto delle grandi invasioni), ma piuttosto alla presenza o all' assenza dei documenti storici. Sostenevo che se Erodoto non avesse inteso parlare, dai greci di Ellesponto, del mito di Zalmoxis, oggi di questa divinità geto-dacia non ci sarebbe noto niente tranne il nome. Fondane non era del tutto d'accordo. Neppure il mito di Zalmoxis, diceva, almeno quale ce lo ha trasmesso Erodoto, ci insegna granché. Bisogna che gli studiosi, i poeti e i filosofi romeni lo decifrino, lo interpretino e addirittura lo ‘elaborino’. Soltanto a questa condizione Zalmoxis potrà divenire una figura, o un simbolo, paragonabile agli dèi greci, e contribuire così all' arricchimento della cultura europea. Secondo Fondane, la ‘sfortuna’ di ordine storico è da imputarsi anzitutto alla mancanza di immaginazione creativa dei rappresentanti della cultura in causa. Ma non penso che avesse ragione. LUGLIO 1977 Un caldo eccezionale. E nondimeno ho lavorato benissimo: ho scritto quasi una dozzina di pagine. Per giunta, ho trovato questa citazione che pare fatta per E. Cioran: “La vita è breve, eppure ci si annoia” (Jules Renard, Journal, 24 maggio 1902). 20 DICEMBRE 1977 Stanotte ho terminato di leggere, non senza emozione, Monsieur Proust di Céleste Albaret. È stato Cioran a segnalarmi questo libro, un pomeriggio di ottobre, al caffè La Martiniquaise. Ci eravamo jncontrati un' ora prima, Cioran, Eugène Ionesco e io, alle Edizioni Belfond, dove ci attendeva il fotografo. Poi, tutti assieme, in piace Furstenberg, perché, come avevo detto a Claude Bonnefoy, è lì che nel settembre del 1945, poco dopo il mio arrivo da Lisbona, noi tre ci eravamo rivisti per la prima volta dopo tanto tempo. Il fotografo aveva fatto del suo meglio per coglierci in svariate pose, mentre parlavamo tra di noi, io che guardavo ora l'uno ora l'altro, Eugène che rideva, concionando e alzando le braccia al cielo, Cioran, con un'aria rassegnata, gentile e melanconica.