MEDIMEX 2020 - DIGITAL EDITION: 70 mila visualizzazioni per la prima music conference internazionale digitale

Il MEDIMEX è sempre stato una grande festa, piena di luci, gente, colori e tanta musica declinata nella sua più bella ed alta accezione, gli spettacoli dal vivo, ma anche tutto il mondo che ruota e fa capo alle produzioni musicali.

Giorni bellissimi, nei quali ci si poteva perdere tra suoni, mostre, workshop, confronti, presentazioni di libri, e poi gente, una folla festante che si spostava nelle varie location della città prescelta ad ospitare l’evento, perché il MEDIMEX è stato itinerante e, come la musica che abita in tutti i luoghi ma che non appartiene a nessuno, riempiva strade e piazze che quest’anno, a causa delle misure che comportano il distanziamento sociale, sono rimaste vuote e silenziose.

L’evento però, nonostante tutto, continua a vivere ed animare pubblico, addetti ai lavori, curiosi ed appassionati, che hanno dovuto incontrarsi on-line nella solitudine dei propri appartamenti, ma accomunati dal desiderio e dalla voglia di non lasciare che tutto questo muoia, che l’egregio lavoro fatto finora da Puglia Sounds non venga perduto, affrontando con lo stesso entusiasmo il MEDIMEX D, versione digitale, ma non per questo meno interessante, dell’omologo evento dal vivo; largo, quindi, a webinar, incontri, confronti, dibattiti e workshop, tutto rigorosamente in streaming.

MEDIMEX Digital Edition, come l’omologa versione live, anche quest’anno ha esplorato il mondo dell’industria musicale a 360 gradi, con le sue potenzialità ma anche criticità e trasformazioni ancora più marcate a causa del particolare periodo che stiamo vivendo e che ha messo in crisi l’intero comparto.

Mentre dai social si alzava il grido di aiuto per i tanti lavoratori rimasti a casa a causa del blocco dei concerti dal vivo con l’hashtag #iolavoroconlamusica, trend topic del momento, il MEDIMEX D si preoccupava di fornire strumenti necessari ad affrontare questo cambio di paradigma, dal modo di affrontare la comunicazione digitale ai mezzi per aumentare i follower, insieme ai classici workshop altamente professionalizzanti e rivolti agli operatori del settore.

Accanto alla formazione a numero chiuso, ci sono stati gli incontri e le interviste con musicisti ed addetti ai lavori, curati dal critico e giornalista musicale Ernesto Assante, che durante le varie dirette Facebook si è confrontato con ospiti del calibro di Tommaso Paradiso, Clemente Zard di Vivo Concerti, Ghemon, Chiara Santoro di Google Italia, Francesco Sarcina, Claudio Ferrante di Artist First, Diodato, Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari e Andrea Rosi di Sony.

Molti i temi trattati e da molteplici punti di vista, dalle etichette indipendenti alle major per cercare di trovare soluzioni e discutere su nuovi modi di fare musica ed intrattenere, analizzando le perdite del mercato dei concerti dal vivo e dell’indotto, che si stima arrivino fino al 90%, ma anche per interrogarsi su come si possa creare business sfruttando i nuovi canali on-line come streaming e social network, mantenendo costante quel rapporto instaurato con i fan durante il lockdown, senza sottovalutare il grande potenziale delle nuove tecnologie che permettono ai musicisti di lavorare a distanza.

Sensazioni, timori, speranze ed esperienze di vive di musica e per la musica, di cui ci piace ricordare soprattutto il racconto accorato di Diodato e del variegatissimo mondo dei musicisti pugliesi al quale Assante ha dedicato una interessante lezione.

Quelli stessi musicisti che l’organizzazione del MEDIMEX ha sempre cercato di valorizzare, fornendo una vetrina internazionale prestigiosa, e che rappresentano il fiore all’occhiello di una regione, la Puglia, che ha fondato anche sui grandi eventi musicali e sull’estro originale dei suoi artisti il fulcro di un’offerta turistica già ricca dal punto di vista naturalistico.

La prima Digital Edition del MEDIMEX 2020 chiude i battenti con all’attivo quasi 100 ore di attività in streaming, 1500 utenti che hanno partecipato a workshop e webinar online, 350 mila persone raggiunte sui social network, circa 70 mila visualizzazioni complessive, 130 mila interazioni su Facebook, 140 mila su Instagram e 50 mila su Twitter.

Numeri da capogiro, che dimostrano, laddove ce ne fosse la necessità, l’enorme potenziale derivante dall’utilizzo strategico degli strumenti on-line, in grado di catalizzare l’attenzione di migliaia di utenti ed aprire nuovi mondi e nuovi mercati anche per tutti quei settori altamente creativi come la musica.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione.

Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter

Il docufilm Fabrizio De André e PFM – Il concerto ritrovato, in tutti gli store dal 22 Maggio

Se non fosse scomparso prematuramente, Fabrizio De André oggi avrebbe ottant’anni.

Lui che non amava la tecnologia e non sopportava l’esposizione mediatica, a tal punto da non concedere l’autorizzazione per riprendere i suoi concerti, chissà cosa avrebbe da dire dell’Italia di oggi, in cui la popolarità si misura in “like”, le piazze virtuali hanno soppiantato quelle dove ci si incontrava, le dirette Facebook, sostituito i concerti dal vivo, la musica si ascolta in streaming casuali ed i concept album, nessuno li concepisce più, mentre, le contestazioni sono appannaggio di “leoni da tastiera”.

Così accadeva prima che la pandemia da Coronavirus ci avesse costretti in casa ed accade anche in questo tempo sospeso, in cui restare a casa significa salvarsi la vita e salvarla agli altri.

Eppure, ricordo un tempo recente che oggi appare lontanissimo, in cui la musica di De André, di una sconcertante modernità, riusciva ancora ad affascinare moltitudini di giovani, portandoli in piazza, per cantare, discutere ed incontrarsi.

È successo così, ogni anno in occasione delle “cantate anarchiche” ed è successo anche per la proiezione del film “Fabrizio De André e PFM – Il concerto ritrovato”, nelle sale cinematografiche soltanto per 3 giorni, dal 17 al 19 febbraio, in un momento normale e spensierato, di cinema e locali aperti, la quiete prima del lockdown italiano.

Soltanto 3 giorni, in cui il film ha incassato oltre un milione di euro, registrando più di 100.000 spettatori, tanto da spingere la Nexo Digital a replicarlo l’11 marzo (replica mai avvenuta, a causa dei provvedimenti governativi per fermare l’avanzata del COVID-19) e la Sony Music a commercializzarlo in un cofanetto, in vendita in tutti gli store dal 22 maggio.

Un docufilm, la cui regia è magistralmente curata da Walter Veltroni, che racconta un pezzo di storia della musica italiana, poco conosciuto dalle nuove generazioni e forse dimenticato dalle vecchie.

Dimenticato, come un nastro girato quarant’anni fa in occasione di un concerto, e ritrovato casualmente in un archivio di registrazioni inutili e destinate al macero, solo che, in questo caso, non si tratta della miriade di contributi video che ogni giorno tempestano il web, quella, è l’unica testimonianza di un evento epocale che sovvertì per sempre le sorti della musica italiana, forse per quell’idea rivoluzionaria di mischiare due generi diametralmente opposti o forse perché cambiò il modo di concepire la musica cantautorale.

Probabilmente un ventenne di oggi non ci troverà nulla di rivoluzionario, in fondo adesso convivono allegramente nello stesso brano, trap e canzone melodica e nessuno se ne scandalizza, ma per capire la potenza di questa rivoluzione musicale, bisogna fare un passo indietro lungo quarant’anni, fino al 1978. https://www.youtube.com/watch?v=2liqjrkrisw

Stanno per finire gli anni ’70, ancora non si sente quella spensieratezza che pervaderà gli anni ’80, gli anni di piombo pesano sull’Italia divisa in una serie sterminata di generi diversi, tra cantautori, interpreti, musica pop e musica rock, declinata poi in altri sottogeneri, ognuno con un pubblico diverso e ben definito, binari paralleli, percorsi musicali che non possono, e forse non devono, incontrarsi, in questo clima gli ibridi e le fusioni non sono contemplati.

Questo è lo scenario in cui Fabrizio decide di fare una cosa inusuale ed azzardata per il tempo, colpito dal sound della PFM, acronimo di Premiata Forneria Marconi, invita i componenti della band a casa sua e dopo una serata conviviale, nasce l’idea di realizzare un progetto insieme.

Il progetto in questione, come ogni rivoluzione che si rispetti, incontrerà l’opposizione di tutti, fan compresi, ma segnerà in modo indelebile la storia della musica.

In fondo l’idea è semplice, anche se ancora nessuno ci ha pensato, Fabrizio propone i suoi brani più famosi, arrangiati alla maniera della PFM, molto rock e con dei bellissimi intermezzi musicali, che li arricchiscono moltissimo, restituendo ancora più forza ai concetti e nuova musicalità alle parole, del resto, i musicisti della PFM erano all’epoca, la migliore espressione del panorama musicale italiano e, forse, anche di quello mondiale.

Ancora oggi, è straordinario ascoltarli in quel concerto di Genova, la Genova tanto amata da De André, quella Genova, coacervo di tante storie e culture diverse, che Fabrizio non smise mai di raccontare e, benché è facile accorgersi di trovarsi davanti ad un reperto storico, senza illuminazione adeguata, coreografie spettacolari o tutto quello a cui siamo ormai assuefatti quando ci apprestiamo ad assistere ad un concerto qualsiasi, se chiudiamo gli occhi, possiamo riconoscere la modernità del suono, gli arrangiamenti, la musica e i contenuti, ancora di una impressionante attualità.

Se la musica riesce a rompere il muro del tempo, mostrarsi attuale dopo quarant’anni, siamo di fronte a temi immortali, o la nostra creatività sta scivolando in un lento declino e non riesce a portare musica nuova, non riesce a raccontare ciò che stiamo vivendo, oppure, è la società in cui viviamo che non è affatto cambiata. Tutto il resto, è il viaggio di un treno tra passato e presente, che Walter Veltroni muove tra memorie ed esperienze dei protagonisti come Franz Di Cioccio, Patrick Djivas, Franco Mussida, Flavio Premoli, David Riondino, Pietro Frattari, Guido Harari, i ricordi ed i racconti dei fan e di colei che da sempre è la memoria storica del vissuto di De André, la compagna di vita, Dori Ghezzi.

Quel treno che ci restituisce una storia dimenticata, un racconto inedito, ma allo stesso tempo, ci permettere di viverlo, di esserne protagonisti, seppur indiretti e scostanti, mentre continuo a chiedermi, chissà cosa avrebbe ancora da raccontarci Fabrizio se fosse qui.

Lui, che da sempre è per me, padre, fratello ed amico; lui, che è sempre presente con i suoi grandi insegnamenti e le sue canzoni, quelle stesse canzoni che dopo quel fortunato, anche se controverso tour, non modificò più e ripropose sempre, o quasi, fedeli a quell’esperienza con la PFM.

Chissà quale valore diede alla memoria, quel giorno in cui acconsentì, diversamente dal solito, a che questo concerto potesse essere ripreso e chissà se mai immaginò, che la sua musica sarebbe sopravvissuta alle sue spoglie mortali o al cellulare seppellito in giardino per affermare concretamente davanti alla sua famiglia, la riluttanza nei confronti delle nuove tecnologie o che dopo quarant’anni, qualcuno che nel gennaio 1979, non era ancora nato, guardando il suo concerto di Genova, avrebbe pensato che, anche adesso, non ci sia niente di meglio da ascoltare, se non le sue canzoni, ed aspetta di ritornare in piazza per poterle cantare ancora.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione.

Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Ricominciamo!?: le 10 proposte di Assomusica per salvare la musica in Italia

“Ricominciamo” è un brano del 1979, interpretato da Adriano Pappalardo, che urla il desiderio di rinascita di un rapporto d’amore dopo una grande crisi ed esprime in modo palese la necessità di ricominciare.

Ma cosa c’entra un brano musicale di più di quarant’anni fa con la crisi dell’industria musicale al tempo dell’epidemia da Covid-19?

Apparentemente nulla, ma mi è venuto in mente perché non conosco amore più grande e duraturo di quello per la musica, non ricordo un giorno della mia vita senza musica, eppure questo idilliaco rapporto è andato in crisi nel momento in cui sono entrati in vigore i divieti per contrastare il contagio e la voglia di riavvolgere il nastro di questo periodo surreale cresce di giorno in giorno, in maniera esponenziale, così come il desiderio di ricominciare da dove ci si è fermati, proprio come quando non si riesce ad accettare che un amore sia finito. https://youtu.be/GBm4GqjQPKU

Con il decreto del 4 marzo 2020, come me, tantissimi operatori dell’industria musicale hanno dovuto interrompere le proprie attività, nessun pubblico, nessuna possibilità di organizzare e promuovere concerti dal vivo, manifestazioni, eventi e spettacoli di nessun tipo, con gravi conseguenze soprattutto dal punto di vista occupazionale.

Il fermo non riguarda soltanto musicisti e performer, ma investe tutti i campi del variegato e ramificato mondo di lavoratori dello spettacolo, dai titolari ed i dipendenti di esercizi commerciali che vendono prodotti musicali, a quelli che lavorano in tutti i locali in cui si fa musica live, passando per tecnici e fonici delle sale di registrazione, fino ad arrivare agli operai, macchinisti e scenografi degli spettacoli dal vivo.

Un esercito tra le 300.000 e le 380.000 persone che, al momento, non stanno lavorando e che per un bel po’ di tempo non lavoreranno, parallelamente alle perdite di fatturato dell’intero comparto.

Assomusica, l’associazione degli organizzatori e dei produttori di spettacoli di musica dal vivo, ha stimato che, fino alla fine della stagione estiva, le perdite per questo fermo forzato ammonteranno a circa 350 milioni di euro, solo settore del live mentre, se si considera anche l’indotto, le perdite potrebbero arrivare a circa 600 milioni di euro. Stime che si avvicinano parecchio alla realtà e che potrebbero peggiorare col protrarsi dell’emergenza sanitaria ed i conseguenti divieti di tutte le manifestazioni che prevedono la presenza di un pubblico, basti pensare che l’intero comparto musicale vale quasi cinque miliardi di euro, ed occupa oltre 169 mila persone (Fonte: Italia Creativa).

A questa situazione drammatica, bisogna poi aggiungere i danni connaturati alla mancata riscossione dei diritti d’autore, che SIAE stima intorno ai 200 milioni di euro ed il crollo delle vendite di CD e vinili diminuite, secondo FIMI, del 70% tra marzo ed aprile, così come gli incassi derivanti dal digitale, diminuiti a causa dell’impossibilità di presentare nuovi prodotti sul mercato, che potrebbe valere oltre 100 milioni di mancati ricavi nel 2020.

Numeri impressionanti che ben delineano la situazione catastrofica in cui versa il comparto, gravato anche da una grossa crisi di liquidità, che merita maggior attenzione da parte del Governo.

La necessità di tutelare lavoratori ed aziende, ha spinto le associazioni dell’intera filiera musicale, AFI, Anem, Assomusica, FEM, FIMI e PMI, a firmare un documento congiunto di proposte complete, per evitare la situazione di crisi profonda in cui versa la musica. https://www.youtube.com/watch?v=SYJCYr1I-Sk

Dieci punti per dieci proposte che affrontano da tutti i punti di vista il problema e suggeriscono azioni concrete, un mix di reintegrazioni in denaro per coprire in parte le perdite subite, tramite il “fondo emergenze” istituito dal Decreto Cura Italia e la sospensione dei tributi dovuti tramite un meccanismo di rateizzazione pluriennale, unito al ribasso dell’IVA a 4% ed all’estensione della tax credit per le opere musicali, insieme ad un ristoro economico anche per quei lavoratori con contratti atipici o precari, che non rientrano nel “reddito di emergenza”, ma anche proposte di rilancio del comparto come un bonus cultura per le famiglie, che incentivi la spesa, insieme all’apertura di un tavolo tecnico di confronto che definisca le modalità di ripresa delle attività live, ma soprattutto, tempi certi di ripresa delle attività, al fine di poter attuare un’adeguata programmazione.

È possibile visionare il documento completo sul sito di Assomusica nella sezione “News”.

Legittime richieste che andrebbero discusse e prese in considerazione dal Governo, non solo per il fatturato perso, ma anche per la mole di operatori ed attori coinvolti anche alla luce di quanto la musica sia stata importante in questo particolare periodo, come strumento di coesione ed incontro, seppur virtuale, grazie anche ai tanti musicisti che hanno cercato di rendere più leggero e solidale un momento così critico e di isolamento.

Scopri il nuovo numero > Reset Dopo aver parlato, a febbraio, dell’interconnessione in “Virale” ed esserci interrogati a marzo sulla situazione attuale in “Tutto andrò bene (?)”, oggi, con “Reset”, vogliamo parlare di soluzioni concrete. L’online ed il digitale saranno quantomai utili per offrire soluzioni e creare nuove opportunità.

Le libere iniziative di tutti i musicisti, oltre ad intrattenere e contribuire enormemente alla diffusione del messaggio che è necessario restare a casa, si sono fatti promotori di tantissime iniziative benefiche di raccolta fondi, non solo in Italia ma anche all’estero.

Basti pensare all’iniziativa #musicacheunisce che ha raccolto fondi in favore della Protezione Civile italiana o del “One world together at home”, una sorta di “Live Aid” da casa organizzato da Lady Gaga per sostenere l’Organizzazione Mondiale della Sanità e che ha raccolto quasi 129 milioni di dollari, dimostrando ancora una volta, il grande potenziale del mondo della musica che, anche a distanza, riesce a movimentare ingenti capitali.

L’imminente avvento della “Fase 2”, dovrebbe far riflettere sul modo di fare ma anche di fruire la musica dal vivo in futuro e le proposte, dalle più fantasiose alle più concrete, non mancano. https://www.youtube.com/watch?v=PHaHHb6eSks

Concerti da fruire chiusi in auto come al drive-in, oppure in teatro a posti distanziati, orchestre che non suonano gomito a gomito ma insieme con la dovuta distanza, applicazioni per suonare in simultanea, concerti in streaming, o forse, un mix di queste cose.

Una riflessione che, però, necessita di risposte concrete e nel più breve tempo possibile per non aggravare una situazione economica già duramente compromessa e che deve ridisegnare il comparto nella sua totalità, anche pensando al futuro, perché, dopo l’avvento del Covid-19, non è pensabile, né auspicabile, immaginare ad esempio, un concerto dal vivo con gente ammassata ed a stretto contatto.

Quel “Ricominciamo” che tutti aspettiamo di dire, prima possibile, deve essere supportato da protocolli concreti di distanziamento e sicurezza, tali da garantire la salute sia del pubblico, che dei lavoratori. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione.

Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter

Fratelli d’Italia: le radio, i balconi e le altre storie di un paese blindato

Non avrei mai creduto che l’Inno di Mameli mi avrebbe fatto mai emozionare sul serio, forse perché “io non mi sento italiano”, come diceva Giorgio Gaber, “ma per fortuna o purtroppo lo sono”, o forse perché musicalmente non è un granché, eppure qualcosa sta cambiando in me ed in quest’Italia fatta di Nord contrapposto al Sud, assurdi campanilismi ed anche un po’ di odio calcistico, che non guasta mai.

Ci voleva un virus, insidioso e letale, ad unire ciò che naturalmente si è sempre sentito diviso, bastava una minaccia alle nostre libertà, adesso considerate essenziali quando prima ritenute banali, doveva accadere qualcosa di assolutamente imprevedibile per capire che non esistono confini nel mondo globalizzato.

“Prima gli italiani”, il vessillo di estremismi insensati che ora risuona come una barzelletta da bar quando ad aver bisogno d’aiuto “a casa nostra” adesso siamo noi, le parti magicamente si ribaltano e gli indesiderati ora sono gli italiani, un contrappasso che mai ci saremmo immaginati.

In questo contesto, l’ottava potenza economica del mondo, la “povera patria” dell’“ognuno pensa per sé”, quella in cui senso civico e dovere non sono pervenuti, riscopre forza, unità e generosità che, forse, non credeva di avere. https://youtu.be/h18TywGFTkg

Il resto lo fanno i flash mob spontanei, l’appuntamento delle sei del pomeriggio per cantare insieme dai balconi allo slogan “distanti ma uniti”, i tricolori ed i cartelloni ai balconi con la scritta “andrà tutto bene”, i concerti da casa e le dirette social di musicisti e vip, le radio sincronizzate come se fossero un unico organismo, per ribadire questo senso di ritrovata unità.

Sono le 11:00 in punto di venerdì 20 marzo 2020, non si è rotto il nostro apparecchio e siamo impossibilitati a cambiare frequenza per sintonizzarci su un’altra stazione, sta succedendo davvero, tutte le radio italiane, nazionali e locali, stanno trasmettendo la stessa programmazione e questo non era mai accaduto nella storia del nostro paese.

Il palinsesto è annunciato da giorni, nell’ordine vengono mandati in onda, l’Inno nazionale, Azzurro, La Canzone del Sole e Nel Blu Dipinto di Blu, il simbolo dell’italianità nel mondo, canzoni che hanno fatto la storia della musica italiana, poi saranno le sirene delle 70 navi della Marina Militare, in 7 basi navali, che suoneranno contemporaneamente, per testimoniare la presenza e l’impegno dello Stato, per superare insieme questa difficile situazione.

“Michele Novaro incontra Mameli e insieme scrivono un pezzo tuttora in voga”, descrive così il “Canto degli italiani” ma che tutti conoscono come “Inno di Mameli”, Rino Gaetano nella sua “Sfiorivano le viole” ed in effetti, mai definizione fu più azzeccata, soprattutto in questo periodo. https://youtu.be/RD42gaumE3M

Forse non tutti sanno che il giovanissimo patriota risorgimentale Goffredo Mameli, è l’autore solo del testo del nostro Inno Nazionale, ma la musica è stata scritta dal maestro Michele Novaro nel 1847, ce lo ricorda anche Caparezza nella sua “Cose che non capisco”, quindi, “Perché non dirlo, il tema dell’inno non è di Mameli è di Novaro”.

Il maestro Novaro, fervente patriota, però, non si vide mai di fatto riconoscere la paternità dell’inno, morì povero e solo nel 1885 e mai seppe che la sua musica è quella che identifica l’Italia nel mondo e, dal 1946, è l’inno di quell’Italia repubblicana, per cui tanto si batté.

Chissà se esiste al mondo un italiano che conosca a memoria tutte le sei strofe con ritornello composte da Mameli, forse bisognerebbe farlo imparare a memoria a scuola, onde evitare brutte figure quando si arriva a giocare in nazionale ma, forse, qualche calciatore azzurro non lo canta, parafrasando Gaber “Non sento un gran bisogno dell’inno nazionale di cui un po’ mi vergogno”. https://youtu.be/ckWLcTrKzaw

Azzurro, come ognuno dei nostri campioni sportivi, vanto e motore propulsivo di unificazione nazionale, Azzurro come la celeberrima canzone composta dal 1968 da Vito Pallavicini su musica di Paolo Conte e Michele Virano, per Adriano Celentano.

Definita da Paolo Conte, all’epoca giovanissimo, come una canzone quasi demodé, perché non si rifaceva agli stili ed ai ritmi dell’epoca, in effetti, è una canzone fondamentalmente estiva, che tratta il tema dell’estate da un punto diverso dalle solite canzoni di fine anni sessanta e che, per questo, ancora attuale e senza tempo. È di ispirazione estiva anche “La canzone del sole” composta dalla premiata coppia Battisti–Mogol nel 1971, una canzone musicalmente semplice ma proprio perché tale, d’impatto valore emotivo ed evocativo, in fondo, chi non ha avuto un amore estivo che avrebbe voluto rivedere a distanza di anni?

Diverso destino investì invece, la canzone “Nel blu dipinto di blu”, nata dal sodalizio del noto paroliere Franco Migliacci con Domenico Modugno, che da subito vinse numerosi riconoscimenti, primo fra tutti, il Festival di Sanremo del 1958, in cui si classificò al primo posto.

Ribattezzata a furor di popolo “Volare”, per via dell’orecchiabile ritornello, pare sia nata dall’incontro tra un incubo notturno del Migliacci con un’intuizione di Modugno, è sicuramente la più celebre canzone italiana, non esiste un cantante, italiano o straniero che sia, che dal ’58 ad oggi, non l’abbia interpretata almeno una volta nel suo percorso artistico. https://youtu.be/t4IjJav7xbg

Al di là delle canzoni scelte ufficialmente dalle radio per rappresentare il genio artistico italiano e dare una sorta di abbraccio a chi è in guerra contro un nemico invisibile, il Covid-19, ce ne sono altre che prepotentemente si sono imposte come inno di questo periodo sospeso, sono quelle che ogni pomeriggio, risuonano dai balconi di tutta Italia, sono quelle scelte dagli italiani per non sentirsi soli e qualcuno ha pensato di stilarne una classifica, costantemente aggiornata.

L’idea è del sito web del prestigiosissimo MEI (Meeting degli indipendenti), fondato da Giordano Sangiorgi, che ha coniato la “Balcony Music”, classifica dei brani più graditi dai balconi d’Italia, aggiornata ogni settimana.

Aumenta la musica condivisa dalle finestre, diminuisce lo streaming su Spotify, piattaforma svedese, leader mondiale dello streaming musicale, che perde colpi nonostante si siano moltiplicate le playlist a tema “Coronavirus” e “Quarantena”. Scopri il nuovo numero > Virale Malgrado questo, Spotify continua a conservare un ruolo importantissimo sulla condivisione e la creatività, di giorno in giorno, infatti, aumentano le canzoni caricate sulla piattaforma a tema Covid- 19 ed alcune, sono delle vere e proprie hit con milioni di ascolti benché di pessima qualità musicale.

In questa fitta jungla, spesso disseminata da spazzatura, si può trovare di tutto, ma sicuramente, sono i pezzi rap e trap a farla da padroni, forse per assecondare il trend del momento o forse perché sono di più facile realizzazione. https://youtu.be/BSWYSww-RlY

Fatto sta che il divieto forzato di uscire dalle proprie case, se non per ragioni di evidente necessità, sta sempre più condizionando anche la fruizione della musica, probabilmente, quasi azzerati sono gli streaming che gli utenti ascoltavano per recarsi al lavoro o per fare sport all’aria aperta, oppure, in questo periodo di difficoltà, gli utenti preferiscono ascoltare brani più datati e, per certi versi, più rassicuranti, senza contare le dirette social a tema musicale, dalle quali sono costantemente bombardati e che lasciano ben poco spazio per altro tipo di ascolti. È difficile pensare ad un mondo in cui la musica dal vivo da rito collettivo di massa, viene fruita nella solitudine della propria casa, eppure è quello che ci sta capitando.

Storie surreali di un’Italia blindata che, nonostante tutto, non rinuncia alla musica ed alla creatività, piccoli messaggi di speranza, distrazione e normalità, benché la situazione sia critica e ci abbia spinti a cambiare abitudini, rinunciare a libertà e normalità, storie di un’“Italia che resiste” e combatte contro un nemico invisibile e letale.

Eppure anche Mameli ci ammonisce a perseguire la via dell’unità, della solidarietà e a non perdere la speranza: “Uniamoci, amiamoci; l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Giuriamo far libero il suolo natio: Uniti, per Dio, chi vincer ci può?”

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione.

Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter

“In tempo di pestilenza bisogna parlare d’amore”: L’antidoto ai virus dell’anima di Vinicio Capossela

Quando in una città, problematica sotto tanti punti di vista, un teatro registra sold out per uno spettacolo musicale, le risposte sono due: o si sente l’urgenza di riappropriarsi della cultura e degli spazi cittadini, oppure, ci troviamo di fronte ad un grande musicista, che con la sua arte, riesce a toccare l’anima di molti o, forse, entrambe le cose.

È il 21 febbraio 2020, la città in questione è Taranto, il Teatro Orfeo è gremito di gente, neanche un posto libero, impossibile entrare senza biglietto, il concerto di Vinicio Capossela accompagnato dall’Orchestra della Magna Grecia, è sold out da settimane. Del famoso e letale Coronavirus neanche l’ombra, arriverà solo qualche giorno più tardi in Puglia, proprio in provincia di Taranto, lasciando deserti molti luoghi di ritrovo.

“In tempo di pestilenza bisogna parlare d’amore”, esordisce così Vinicio Capossela, solcando il proscenio ed aggiunge che la sua opera, “Bestiario d’amore”, si rifà ai bestiari medievali e come se fossimo in una fiaba boccaccesca, ci saremmo isolati per scampare alla peste dei nostri giorni.

L e f o t o d e l c o n c e r t o s o n o state realizzate da Maddalena D’Amicis.

I bestiari, raccolta di testi che descrivono gli animali, reali o inventati che siano, sono comuni nel Medioevo ed hanno una forte valenza simbolica, utilizzati spesso per decantare vizi o virtù umane, molte volte sono accompagnati da illustrazioni, così come l’ultima opera di Capossela, uscita negli store il 14 febbraio, composta da un EP accompagnato da un bellissimo libretto illustrato.

Il suo “Bestiario d’amore” si ispira all’omonimo componimento del poeta duecentesco Richard de Fournival, in cui gli animali sono utilizzati in maniera allegorica, per indagare tutti gli aspetti umani dell’amore e dell’innamoramento, ne deriva un viaggio introspettivo leggero ed originale, che tiene incollati alle poltrone del teatro tutti gli spettatori, nessuno escluso, per ben due ore, tra bestie comuni, rare o mitologiche, tra maschere e cappelli di scena, tra il desiderio di ascoltare il nuovo e lasciarsi scivolare nei ricordi delle vecchie e rassicuranti canzoni, che magari si conoscono a memoria, ma che adesso assumono un’altra veste, più completa, più intima.

È l’incanto dell’arrangiamento orchestrale, la magia che l’Orchestra della Magna Grecia riesce a ricreare, nei componimenti più romantici, senza perdere colpi in quelli più frenetici e ritmati, è l’impeccabile direzione del Maestro Stefano Nanni, reduce dal successo di Sanremo 2020, nel quale ha diretto le esibizioni di Raphael Gualazzi, è lo speciale legame e rapporto che si crea da subito col il pubblico in sala.

L e f o t o d e l c o n c e r t o s o n o state realizzate da Maddalena D’Amicis.

È semplicemente Vinicio, che riesce sempre a strappare un sorriso, a far riflettere, a far guardare le cose in modo diverso, a trasportare il suo pubblico tra le pieghe dei suoi mondi fiabeschi ed insondabili, tra le sue “Canzoni a Manovella”, le sue “Ballate per uomini e bestie, tra “Marinai, profeti e balene”.

È l’amore, in tutte le sue forme, che trasforma tutte le cose, lo stesso amore che “apre i cancelli allo zoo interiore che ci portiamo dentro. Attiva in noi il lupo, il coccodrillo e la sirena, ci rende parenti stretti del licantropo, del corvo e dell’asino selvaggio, ci rende credibili la fenice e l’unicorno. Insomma mette in moto e rivela un intero bestiario d’amore, perché l’innamorato è un mostro, sopraffatto dalla necessità di mostrarsi”, quello stesso amore che Vinicio ci esorta a mostrare, non solo per l’essere, oggetto del desiderio, ma anche per il luogo in cui viviamo, per le radici e la nostra storia.

Lo fa lui per primo, nel modo che non ci si aspetta, dice che è felice di vedere il teatro così pieno, racconta la sua Taranto, dice che le Sirene le ha sentite dopo l’ennesima Birra Raffo, ammiccando al marchio storico e patrimonio, nell’immaginario collettivo, della città, lo fa esortando l’orchestra, bestia anch’essa mitologica, mastodonte della musica, come lui stesso la definisce, a mettere una mano sul cuore quando a suonare il pianoforte è il Maestro Nanni, scherzosamente travestito da Giovanni Paisiello, con tanto di parrucca settecentesca.

L e f o t o d e l c o n c e r t o s o n o state realizzate da Maddalena D’Amicis.

Solo un artista con grande estro e grande sensibilità poteva mettere insieme la musica de “Nel cor più non mi sento”, celebre aria di Giovanni Paisiello, con le parole di Alessandro Leogrande sulla salvaguardia della città vecchia, parole con cui Leogrande cita Bassani, che racchiudono a mio avviso, l’essenza di tutta la serata, “la poesia non è il fiore sul vulcano. Brama il contesto, esige le strutture. È il riflesso della vita, la prova della vita. E, proprio come la vita, non è mai pura.”

Così, mentre la musica va ed io ancora mi chiedo come sia avvenuto quell’artificio scenico in grado di avvicinare musica e parole distanti secoli tra loro, per creare un concetto nuovo, capisco il “contesto”, capisco il perché di quella mano sul cuore, quell’orgoglio che manca, per la storia, per le proprie pietre, per la cultura, per le radici, l’amore per una città che fatica a riconoscere le proprie eccellenze e vocazioni.

“Il tempo non è gentile”, ci ricorda Vinicio, “il tempo è passato troppo in fretta”, penso tra me e me, troppe emozioni, troppe scosse al cuore, troppi pensieri per un concerto solo, sembra appena iniziato, eppure è già finito, sembra breve, eppure si esce con l’idea di aver affrontato un percorso, un vero e proprio viaggio, la metamorfosi di chi cambia per amore, o forse veramente, la musica ci ha cambiati. Mentre mi avvio all’uscita, scenari apocalittici misti a credenze medievali, reminiscenze di racconti e film di fantascienza, miste a fake news e comunicati ufficiali, mi affollano la mente.

Il Coronavirus è alle porte: È forse questo l’ultimo concerto al quale ho assistito?

Smetteremo di frequentare i luoghi pubblici? Ci terremo a distanza di sicurezza?

Smetteremo di abbracciarci? Saremo più simili alle bestie? Dimenticheremo la solidarietà? Domande che non hanno trovato ancora risposte, o forse, corsi e ricorsi storici, mediati dall’immaginario fiabesco al quale ho assistito.

Da lì a poco, sarà la paura ad arrivare, quella stessa paura che svaligia supermercati o farmacie e scatena l’odio contro chi, suo malgrado, ha solo la colpa di essersi ammalato.

Quando la paura avrà invaso prepotentemente i nostri pensieri più reconditi, allora, l’unico antidoto sarà l’amore, mentre musica, poesia ed arte, i medicamenti che ci guariranno, ricordandoci che siamo ancora umani, ecco perché, “in epoca di pestilenze sentiamo la necessità di cantare l’amor”, diceva il Boccaccio, a metà del 1300 e Vinicio Capossela, ce lo ribadisce oggi, nel 2020.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione.

Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter

Bugo lascia Morgan: la quarta serata del 70° Festival della Canzone Italiana La quarta serata della settantesima edizione del Festival della Canzone Italiana, sarà da tutti ricordata come quella in cui il sodalizio tra Bugo e Morgan, si sgretola sul palco dell’Ariston, ormai consunto.

La serata precedente, si era chiusa con le votazioni dei maestri dell’orchestra e la relativa classifica, i cui risultati, sono stati sommati alla classifica complessiva di tutte e tre le serate, ed è proprio con quest’ultima che si apre la quarta serata.

In testa, Francesco Gabbani, seguito da Le Vibrazioni, Piero Pelù e Tosca, vincitrice nella serata precedete con la cover di “Piazza Grande” di Lucio Dalla, ultimi Bugo e Morgan, dopo una serie di polemiche che avevano già infiammato il palco dell’Ariston, ma che non lasciavano prefigurare quello che sarebbe poi accaduto all’1:45, quasi sul finire della gara canora.

Intanto, parte anche la gara tra le nuove proposte, Tecla e Leo Gassmann sono in finale, ma il pubblico preferirà “Va bene così” del giovane figlio di Alessandro Gassmann, che vincerà con il 52,5% dei voti, e che, già si era fatto notare ad X Factor.

Il premio della critica “Mia Martini” per la sezione Nuove Proposte, andrà invece, agli Eugenio in via di Gioia con l’originale “Tsunami”. La quarta serata di questo Sanremo 2020, sarà quella in cui si appianano le polemiche con una sana ironia. Così Tiziano Ferro e Fiorello metteranno tutti a tacere con un bacio rappacificatore, dopo battutine al vetriolo, ed Amadeus sdrammatizzerà l’ingenua battuta “del passo indietro”, quando ad affiancarlo nella conduzione sarà Francesca Sofia Novello.

Insieme alla Novello e ad Amadeus, ci sarà anche una scoppiettante e nazionalpopolare Antonella Clerici, già conduttrice del Festival nel 2010. Tantissimi gli ospiti anche per questa quarta serata, a cominciare dal grande Tony Renis, che dirigerà l’orchestra dell’Ariston mentre Fiorello intonerà per il pubblico la sua intramontabile “Quando, quando, quando”. Sul palco dell’Ariston anche Ghali, Gianna Nannini insieme a Coez e la bellissima Dua Lipa.

Rivivi le prime 3 serate del Festival di Sanremo 2020:

■ Le donne vogliono essere musica: la prima serata del 70° Festival della canzone italiana ■ Sanremo è Paolo: la seconda serata del 70° Festival della Canzone Italiana ■ Sanremo70: la terza serata del 70° Festival della Canzone Italiana

Questo Sanremo 2020 sarà anche l’ultimo raccontato da Vincenzo Mollica, è Amadeus ad annunciarlo nel corso della serata, suscitando commozione tra il pubblico. I tanti momenti di spettacolo però, non riescono a distogliere l’attenzione dalla gara che si fa sempre più accesa ed agguerrita anche perché, a votare stasera, sono i giornalisti della sala stampa dell’Ariston.

Fiorello ed Amadeus ce la mettono tutta a cercare di creare un clima disteso, cercando di appianare le polemiche che a Sanremo non mancano mai e, quando ci sono quasi riusciti, ecco che si presenta sul palco del tempio sacro della musica italiana, l’imprevedibile.

Tutto filava liscio, e la serata era quasi in dirittura d’arrivo con le gli artisti delle 24 canzoni in gara che si alternano, come da scaletta, sul palco, quando tocca a Morgan e Bugo.

Morgan sale sul palco, inizia a cantare, e quando si volta Bugo non è al suo posto; è andato via e successivamente si rifiuta di rientrare mentre c’è sgomento tra Amadeus ed il pubblico tutto, collegato grazie a Raiplay, da ogni angolo del mondo.

Più tardi si dirà che Morgan ha modificato estemporaneamente il testo della loro canzone “Sincero”, per inveire contro il compagno di viaggio; e Bugo, stanco, forse, dei tanti capricci di Morgan, abbia abbandonato il palco per non farci più ritorno, decretando di fatto, la squalifica dalla gara canora, così come prevede il ferreo regolamento del Festival e con gran rammarico da parte del direttore artistico che aveva fortemente voluto questa canzone in gara.

Se fosse una trovata di qualche guru della comunicazione sarebbe geniale. In fondo è meglio abbandonare la gara squalificati con disonore e montando un enorme polverone mediatico che finirla, soffrendo, ultimi in classica, perché è questo quello che sarebbe accaduto senza il plateale litigio.

Diciamola tutta, il duo incriminato non si era fatto amare da subito, anche alla luce delle tante polemiche montate in continuazione, tanto da finire ogni sera inesorabilmente ultimi in classifica, nonostante la loro performance, fosse migliore di tante altre in gara.

Malgrado la squalifica di Bugo e Morgan, la gara continua per gli altri 23 artisti e giunge al termine, anche questa sera, con la consueta votazione.

La sala stampa preferisce, tra tutti, l’intensa “Fai rumore” di Diodato, seguito da Gabbani e da I Pinguini Tattici Nucleari, mentre non piacciono Alberto Urso, Riki e Nigiotti.

Occhi puntati stasera, per l’ultimo atto di questa gara che si profila sempre più avvincente.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter

Sanremo70: la terza serata del 70° Festival della Canzone Italiana

La terza serata della settantesima edizione del Festival della Canzone Italiana, è quella dedicata alle cover, i cantanti in gara, infatti, si sono esibiti portando sul palco dell’Ariston quelle canzoni che hanno reso grande il Festival di Sanremo nel mondo.

La gara si mostra da subito incalzante, del resto, c’erano ben 24 canzoni da ascoltare e giudicare.

L’inflessibile giuria, sarà composta dai maestri dell’orchestra e del coro di Sanremo, che non valuteranno il brano presentato, ma soltanto, il modo in cui sarà interpretato.

A tenere alto il ritmo, concorreranno le due co-conduttrici, Georgina Rodriguez e Alketa Vejsiu, che insieme ad un Amadeus, sempre più spontaneo e meno ingessato, accompagneranno lo spettatore nella ormai consueta maratona canora.

Georgina Rodriguez, compagna di Cristiano Ronaldo, presente in sala, si esibisce in un conturbante tango, o almeno, ci prova, è, infatti, la prima volta che la modella si cimenta in questo sensuale ballo.

Alketa Vejsiu, briosa conduttrice albanese, incanta tutti con la sua bellezza e la sua verve ed in un perfetto italiano, racconta di un paese in dittatura, il suo, in cui non si poteva guardare Sanremo ed i programmi considerati contro il regime e ringrazia l’Italia per l’accoglienza che ha sempre riservato al suo popolo, infine, duetta magistralmente con Bobby Solo, cantando “Una lacrima sul viso”, ricordandoci che la musica abbatte muri, confini e fa a meno dei passaporti.

La serata scorre talmente tanto veloce, e del resto, Amadeus l’aveva annunciato, che non si ha il tempo di sentire la mancanza di Fiorello ed anche Tiziano Ferro, ormai ospite fisso, si esibisce una sola volta.

C’è spazio anche per due ospiti internazionali, Lewis Capaldi e Mika, che omaggia la grande musica italiana cantando una canzone di De André, anche se il più atteso di tutti è sicuramente Roberto Benigni, che non calpesta il palco dell’Ariston da nove anni e rispetto ad allora, appare più posato.

Il premio Oscar racconta all’Italia quella che, secondo lui, è la canzone delle canzoni, la canzone d’amore più bella che sia mai stata scritta nella storia dell’uomo, il “Cantico dei Cantici” e ne legge alcuni stralci, regalandoci un momento di pura poesia. https://youtu.be/TDmCTVpxPu4

Lo spettacolo più grande, però, lo fanno i cantanti in gara reinterpretando quei pezzi che ormai appartengono alla storia e alla memoria collettiva, alcune volte stravolgendoli, altre invece, facendoli riacquistare nuova vita.

Volete rivivere le prime due serate del Festival di Saneremo 2020?

■ 1a serata ■ 2a serata

Anastasio con la PFM, attualizza “Spalle al muro” di Renato Zero, trasformandola in un incontro/scontro generazionale, mentre Diodato e Nina Zilli, reinterpretano con gran estro 24000 baci, mentre Gabbani svecchia “L’Italiano” di Toto Cutugno.

Rancore con Dardust e La Rappresentante di Lista, ci regalano una intensa “Luce” di Elisa, così come intense sono “E se domani”, interpretata da Raphael Gualazzi e Simona Molinari e la bellissima “Ti regalerò una rosa” di Simone Cristicchi, giunto a supportare .

Insolita l’interpretazione di “Si può dare di più”, con un trio femminile d’eccezione, Levante, e Maria Antonietta, così come insolita risulta “Gli uomini non cambiano”, interpretata da Achille Lauro con Annalisa.

Alla fine la giuria dei maestri preferirà Tosca accompagnata da Silvia Perez Cruz, nell’interpretazione di “Piazza Grande”, a metà tra flamenco e fado, la versione rock di “Cuore Matto” alla Pierò Pelù e “Settanta volte”, il simpatico riassunto medley dei Pinguini Tattici Nucleari, da “Papaveri e papere” a “Rolls Royce”.

Non piacerà, invece, l’interpretazione di “L’edera” di Riki e Ana Mena, la dance di “Non succederà più” di Elettra Lamborghini con Myss Keta e la bellissima “Canzone per te”, forse resa troppo leggera dalla rivisitazione di Bugo e Morgan.

Non ci resta che attendere stasera, quando questi risultati andranno a sommarsi alla classifica generale, la gara è ancora aperta.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione.

Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter

Sanremo è Paolo: la seconda serata del 70° Festival della Canzone Italiana

La seconda serata della settantesima edizione del Festival della Canzone Italiana, inizia con Fiorello travestito da Maria De Filippi e si evolve nel commovente ricordo di Fabrizio Frizzi.

Fiorello, brio in un contesto un po’ lento, canta, balla e fa divertire il pubblico dell’Ariston che non smette di regalare standing ovation ai tantissimi ospiti intervenuti nel corso della serata.

Il primo ospite a sorpresa è il campione Novak Doković, seguito da Massimo Ranieri che duetta con Tiziano Ferro nel celebre brano “Perdere l’amore”.

Tra gli ospiti attesi ci sono anche Zucchero, che infiamma il pubblico dell’Ariston con un medley eseguito insieme alla sua storica band e Gigi D’Alessio, che festeggia i vent’anni del suo brano “Non dirgli mai”, in gara al Festival di Sanremo del 2000.

Il momento che tutti attendono da anni però, è quello in cui a salire sul palco saranno i Ricchi e Poveri. La reunion di questo gruppo rappresenta sicuramente un momento storico che ricorderemo nelle prossime edizioni del Festival. La formazione originale a quattro voci, due femminili e due maschili, è esistita dal 1967 al 1981 per poi continuare tra svariate vicissitudini, a tre voci ed infine a due voci. All’interpretazione dei Ricchi e Poveri si devono brani meravigliosi della storia della canzone italiana che tutti noi abbiamo ben scolpiti nella mente, come “Mamma Maria”, “Sarà perché ti amo”, “Che sarà”, eseguiti per l’occasione anche sul palco dell’Ariston.

A coadiuvare Amadeus, ci sono tre bellissime donne, così come era capitato per la prima serata, l’icona pop degli anni ’80, Sabrina Salerno accompagnata dalle signore del TG 1, Emma D’Aquino e Laura Chimenti, che porteranno all’attenzione del pubblico, la libertà di stampa e l’esperienza di essere una mamma lavoratrice.

La seconda serata, che sembra lasciare molto spazio agli ospiti e poco alla gara canora, vede sul palco anche l’esibizione di Paolo Palumbo, giovane cantautore affetto dalla SLA, insieme al rapper Kumalibre.

Il suo brano, “Io sono Paolo”, delicato e di una grandissima potenza evocativa, è un bellissimo inno alla vita che racconta come la sua condizione di malato non gli abbia impedito di realizzare i suoi sogni.

Paolo, imprigionato in un corpo che non riesce a comandare più, parla utilizzando un comunicatore vocale che guida con gli occhi, ma nonostante questo non hai mai smesso di sognare, di sperare e di amare la vita. Il suo insegnamento di ringraziare ed apprezzare anche le piccole cose, è prezioso in un mondo di eterni insoddisfatti.

Il Festival guidato da Amadeus si prefigura sempre di più, come momento per riflettere oltre che intrattenere, guadagnandosi a pieno titolo l’appellativo di “Festival dell’inclusione”.

Escluse invece dalla kermesse canora, sono altre due giovani proposte che non passano il turno, Gabriella Martinelli&Lula e Matteo Faustini.

Rivivi la prima puntata: Le donne vogliono essere musica: la prima serata del 70° Festival della canzone italiana

Peccato per l’esclusione di Gabriella Martinelli&Lula, il loro “Il gigante d’acciaio” avrebbe meritato sicuramente una chance, soprattutto per la tematica affrontata, ma forse, il riscatto di una terra martoriata, è un argomento troppo poco sanremese.

Accedono invece alle semifinali, Fasma e Marco Sentieri, che ritorneranno venerdì insieme a Tecla e Leo Gassmann.

La seconda serata è anche quella degli altri 12 big in gara e della relativa classifica parziale. Ultimo Junior Cally, a monito del fatto che le polemiche quest’anno non pagano, preceduto da Rancore ed Elettra Lamborghini, mentre sul podio della serata troviamo Gabbani, seguito da Piero Pelù ed I Pinguini Tattici Nucleari.

Intanto la classifica generale, quella delle 24 canzoni in gara, vede trionfare Gabbani, Le Vibrazioni e Piero Pelù; ultimi, Junior Cally insieme a Bugo e Morgan.

Stasera, la giuria demoscopica lascerà il posto alle votazioni della grande orchestra del Teatro Ariston ed i cantanti in gara si esibiranno in duetti con ospiti speciali reinterpretando le canzoni che hanno fatto la storia e reso grande il Festival di Sanremo.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione.

Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter

Le donne vogliono essere musica: la prima serata del 70° Festival della canzone italiana

Fiorello apre la settantesima edizione del Festival della Canzone Italiana nel modo più anticonvenzionale che ci saremmo mai potuti immaginare. Del resto Amadeus l’aveva più volte annunciato: il suo sarebbe stato un Festival diverso da tutti gli altri ed a giudicare dalla prima serata, sembra esserci riuscito.

Il presentatore della porta accanto riesce a mischiare bene la tradizionale sobrietà, che da sempre è cifra stilistica dell’Ariston, con l’informalità di una conduzione semplice e che lascia trasparire le emozioni della prima tanto attesa.

Mai invadente, Amadeus, lascia spazio alla bellezza ed alla bravura delle prime due co- conduttrici, Diletta Leotta e Rula Jebreal, abbandonando più volte il palco dell’Ariston persino trasferendosi fuori dal teatro, in piazza Colombo, dove è presente un altro palco, allestito ad hoc, che ospita alcune performance dei tanti ospiti presenti.

A quanto pare, è la prima volta che un conduttore abbandona l’Ariston, così come per la prima volta, , super ospite della serata, lascia il palco uscendo dal foyer per esibirsi su un palco esterno.

Emma, che ha debuttato come attrice ne “Gli anni più belli”, il nuovo film di Gabriele Muccino, è presente a Sanremo insieme agli altri protagonisti del cast, Claudio Santamaria, Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti, per poi regalare al pubblico, un medley dei suoi successi sanremesi.

Altro super ospite attesissimo, che come Fiorello accompagnerà Amadeus per tutte e cinque le serate, è Tiziano Ferro che omaggia le canzoni che hanno fatto la storia ed il successo del Festival come “Nel blu dipinto di blu” ed “Almeno tu nell’universo”, e si commuove nel ricordare Mia Martini.

L’emozione poi, diventa tangibile quando Diletta Leotta e Rula Jebreal, portano in scena due monologhi legati alle loro personali vicende familiari; parole e racconti di donne gioiose e sofferenti, ma sempre forti.

Toccante il racconto di Rula, mischiato ai testi di alcune tra le più belle canzoni della musica italiana dedicate alle donne e che recita sul finale “Noi donne vogliamo essere musica”: un auspicio che non si può non condividere.

Forse qualcuno avrà trovato fuori luogo parlare di argomenti forti come la violenza sulle donne, declinata in più racconti, come quello di Rula Jebreal o come la canzone di Antonio Maggio e Gessica Notaro, fuori concorso anche se fortemente voluta da Amadeus, ma forse all’Italia serve anche questo, serve una gara canora per ribadire che la violenza e la discriminazione sulle donne non è mai accettabile.

Del resto sicuramente questo Festival sarà ricordato per la solidarietà. Il settantesimo infatti è il Festival in cui la RAI ha dedicato un canale agli utenti con diverse abilità assicurando l’audio- descrizione in diretta e l’interpretazione in LIS dell’intera manifestazione, comprese le canzoni in gara.

Sul palco dell’Ariston anche Al Bano e Romina Power, come sempre, garanzia di spettacolo e successo di pubblico.

La serata scorre senza intoppi, lasciando ampio spazio per gustarsi le prime 12 canzoni dei big in gara, tra cui spicca l’outfit di Achille Lauro e qualche canzone interessante come quella di Diodato.

L’inflessibile giuria demoscopica però, decreta al primo posto Le Vibrazioni, al secondo posto Elodie, seguita da Diodato e Irene Grandi, mentre lascia agli ultimi posti il duetto Bugo/Morgan, Riki e Rita Pavone.

Tra i giovani passano in semifinale Tecla e Leo Gassmann, mentre c’è trepidante attesa per le altre 12 canzoni in gara che potrebbero cambiare questa prima classifica parziale.

Attesa anche per la reunion dei Ricchi e Poveri e del duetto di Tiziano Ferro con Massimo Ranieri

Lo spettacolo e la gara sono appena cominciati.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione.

Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter

Anch’io guardo Sanremo: pensieri sparsi aspettando il 70° Festival della Canzone Italiana

“Non credo di esser superiore anche io guardo Sanremo”, per dirla alla The Zen Circus e come la migliore tra “i qualunquisti”, ad occhio e croce, ho memoria di una trentina di Festival.

Ogni anno, è più o meno la stessa storia, declinata, nella caccia al conduttore perfetto, al totobig dei cantanti in gara, alla ricerca spasmodica di notizie sulle nuove promesse canore, all’annuncio di roboanti novità ed ospiti strepitosi.

Insomma, il solito baraccone di sempre, che man mano che si avvicina al fatidico giorno d’inizio, è sempre più arricchito di particolari più o meno succulenti, immancabili polemiche ed outfit non azzeccati.

Non bisogna dimenticare poi, il Dopofestival, microsistema di quella macro, attrazione nell’attrazione, che tira fino a notte fonda, fornendo spunti ancora più accattivanti, meno formali e più spontanei e che, di solito, è l’unica cosa divertente di tutta la manifestazione.

Il Dopofestival, anzi, dovrei dire, “L’altro Festival”, quest’anno sarà visibile solo su Raiplay, richiedendo un atto volontario del “gentile telespettatore” che dovrà spostarsi sulla piattaforma on- line e non potrà seguirlo per inerzia su Rai Uno.

Non ho citato, invece, la musica, le canzoni, il bel canto, perché di musica vera, mi verrebbe da dire, che negli ultimi anni ne ho ascoltata ben poca.

Se dovessi spiegarlo con le mie parole, direi che il Festival detto “della canzone italiana”, non è altro che una enorme operazione di product placement che dura ininterrottamente cinque serate, pubblicità a parte.

La musica e la gara, sono solo il pretesto per mostrare, piazzare il disco sul mercato, aumentare le quotazioni, e così, intonato o stonato, originalità o arrangiamenti scontati, esecuzione impeccabile o meno, sono quasi ridotti a discorsi da bar, che magari si rincorrono sui social, approdo finale di tutti i commenti più o meno sensati sul Festival, forse poi spazzati via dall’ultimo scoop. Scopri il nuovo numero > Il futuro è aperto Consapevole di dissacrare il tempio sacro della musica italiana, quello che vide esibirsi Domenico Modugno, Pierangelo Bertoli e Rino Gaetano, solo per citarne alcuni, sono altresì consapevole che se spesso ci si lamenta del crollo qualitativo che ha subito la nostra musica negli ultimi tempi, complice è anche il ruolo di un festival che, invece di educare alla bellezza fornendo prodotti musicali di qualità, ha preferito adagiarsi ai gusti del mercato, assecondandolo.

Eppure mi piace pensare che, nonostante il contesto ed il contorno, la musica riesca ancora a trasmettere la sua essenza migliore, riesca ancora ad emozionare e, magari, a far riflettere su una società diventata profondamente sfaccettata e dai risvolti imprevedibili.

Intanto quest’anno, siamo arrivati alle soglie della settantesima edizione, un’edizione che si preannuncia sobria, elegante, aperta e democratica e che sarà capitanata da Amadeus, coadiuvato e circondato da affascinanti donne; non soubrette, vuote bambole da mostrare, ma donne intelligenti, espressione della femminilità in tutti i suoi aspetti, bellezza, forza ma anche fragilità ed empatia, sperando che, come spesso accade in questi casi, non si scada nell’ovvio, nella banalità o nel luogo comune.

Per adesso, a proposito di luoghi comuni, sono le donne a far cadere il “conduttore della porta accanto” in gaffe, polemiche ed odio di genere per alcuni concetti, forse infelici, forse mal espressi, ma sicuramente detti con estremo candore, nel corso della tradizionale conferenza stampa di metà gennaio.

Amadeus paventa un Sanremo “di tutti”, in cui la musica rompe gli argini dell’Ariston e incontra la gente nella piazza. Il compunto conduttore, si auspica di rappresentare un punto di rottura con tutto il resto, con le edizioni precedenti, proponendo un Festival che guarda al futuro e, forse, in un certo qual modo, rinnegando il passato.

Eppure, in occasione di un anniversario così importante, settant’anni, ci si aspetterebbe, una commemorazione degna di questa istituzione che si è arricchita ed è cresciuta ogni anno, un passo alla volta, diventando a volte vetrina, a volte specchio di un’Italia che negli anni ha affrontato profondi cambiamenti.

Non credo che si possa apprezzare la nuova edizione, senza conoscere, almeno un po’, le precedenti, e del resto, come si può apprezzare la musica contemporanea senza aver ascoltato quella del passato?

Il passato poi, acquista sempre un alone malinconico che lo riveste di bellezza, man mano che ci si allontana nel tempo ed è facile pensare che le canzoni delle scorse edizioni siano meglio di quelle che ci apprestiamo ad ascoltare.

Elucubrazioni che mi accompagnano sempre nel mese di gennaio quando comincia a salire l’aspettativa per il festival, che da lì a poco verrà messo in scena e che diventano dolore, da un po’ di anni a questa parte, per l’assenza di grandi come Fabrizio De Andrè e Pino Daniele.

Entrambi, non prenderanno mai direttamente parte alla gara canora, anche se Pino Daniele, nella scorsa edizione, ha ricevuto il premio alla carriera, un riconoscimento postumo che sicuramente non rende giustizia ad un musicista così completo.

Così, in attesa di ascoltare le nuove canzoni, mi soffermo sempre a pensare alle canzoni delle precedenti edizioni, quelle che ho amato da subito e che mi accompagnano sempre, altre, che seppur amate, via via hanno perso importanza, oppure quelle che in un primo momento non ho notato e che invece strada facendo, sono diventate colonna sonora di un periodo e un’emozione, anche se la maggior parte, risultate indigeste, sono rimaste tali.

Eppure, nonostante non sia mai riuscita a farmi piacere il contesto, sempre troppo incentrato sullo spettacolo e poco sulla musica, aspetto anche quest’anno la kermesse, aspetto di ascoltare le canzoni, aspetto di tifare per le nuove giovani promesse della musica, aspetto di supportare il cantante del cuore, così come la maggior parte degli italiani.

Strano popolo il nostro, che si appassiona, si indigna e si scatena in proteste sul web per una competizione canora, mentre si lascia scivolare nella più profonda indifferenza per tutto il resto lo riguardi dentro e fuori il Parlamento.

Non credo di essere superiore, anch’io continuo a guardare Sanremo e come ogni anno, cerco di capire e raccontare una gara dal meccanismo di voto degno della più complessa legge elettorale, cerco di dare il mio sguardo, sempre un po’ disincantato ma onesto, ma soprattutto, cerco di trovare buona musica dove non ci si aspetterebbe di trovarla.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione.

Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter

La musica rende liberi

“A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.” Queste parole, che ancora oggi fanno riflettere su rigurgiti razzisti, sono quelle contenute nell’opera di Primo Levi “Se questo è un uomo”, deportato nel campo Auschwitz-Monowitz e salvato dalle truppe dell’Armata Rossa che il 27 gennaio 1945 arrivarono ad Auschwitz scoprendo, per la prima volta e con incredulità, le atrocità perpetrate dal regime nazista in quel luogo di tortura e di morte.

I pochi sopravvissuti, come Levi, ripeteranno fino alla fine dei loro giorni quello che accadeva in quel campo ed in tutti i campi di sterminio nazista, spesso impauriti e con la voce rotta dalla commozione.

Uomini, donne e bambini privati di ogni umanità, non persone e nomi, ma soltanto numeri, come quelli che gli venivano tatuati sul braccio, numeri mandati a morire nei modi più assurdi ed atroci. https://www.youtube.com/watch?v=frVkJCXZBLA

“Numeri da scaricare”, gli stessi, forse, della cupa canzone composta da Francesco De Gregori nel 2005, che esorta a non piegarsi alla logica dell’indifferenza.

Shoah, olocausto, sterminio, genocidio, sono parole che riecheggiano e si ripetono ogni 27 gennaio, il “giorno detto della memoria”, istituito dalle Nazioni Unite affinché non ci si dimentichi dell’orrore di quei campi e delle testimonianze di quelli uomini, scampati per miracolo ad una fine tragica.

Racconti reali, ma così assurdi e grotteschi, da sembrare il frutto del più distopico dei romanzi di fantascienza o dell’ultima accattivante serie TV, come qualcuno, di tanto in tanto, insinua.

È il caso dell’“Orchestra delle ragazze di Auschwitz” (Mädchenorchester von Auschwitz), creata dalle SS nel 1943, che assolveva gli stessi compiti dell’orchestra maschile del campo, suonare per le detenute costrette ai lavori forzati o intrattenere i loro aguzzini.

Era pratica usuale, infatti, creare orchestre utilizzando i musicisti detenuti nei campi cercando di dare parvenza di un clima disteso, che in realtà non esisteva, oppure semplicemente, per offrire svago alle truppe, ma solo nel campo di Auschwitz-Birkenau, era presente un’orchestra femminile.

Sperando di scampare alla morte, le prigioniere, tra cui erano presenti nomi illustri come Fania Fénelon e Alma Maria Rosé, la prima, cantante e pianista francese, la seconda, violinista austriaca e nipote di Gustav Mahler, erano costrette a suonare per tantissime ore al giorno, malnutrite e vessate dei loro sorveglianti ma, nonostante questo, non smisero mai di portare conforto con la loro arte, alle altre detenute. https://www.youtube.com/watch?v=MV9ivuoljGo

Dev’essere questa storia e questo messaggio di speranza ad aver ispirato il brano del cantautore pugliese Camillo Pace, “Birkenau”.

“Birkenau” non è soltanto il racconto di un viaggio in Polonia, tragica meta turistica, ma il filo spinato dietro il quale spesso rinchiudiamo insicurezze e paure che non riusciamo a superare, la gabbia dentro la quale non c’è nessun soldato nazista ad imprigionarci, se non noi stessi e dal quale, riusciamo ad uscire soltanto grazie alla musica ed al suo potere liberatorio e terapeutico.

Quella stessa musica, asservita al potere nazista, spogliata della sua forma più pura, violentata anch’essa, in un posto dove non c’è più niente di umano, un luogo dove persino i bambini in un delirio di onnipotenza e disumanità, vengono mandati a morire nelle camere a gas e le loro polveri finiscono nell’oblio, trasportate dal vento. https://www.youtube.com/watch?v=krsp726YPAk

Così “Auschwitz” (La canzone del bambino nel vento), la più celebre canzone sull’olocausto composta da Francesco Guccini nel 1966, racconta lo sterminio di milioni di ebrei, ammonendo su tutte le guerre che ancora devastano il mondo.

Quel delirio razzista, non risparmiò neanche gli ebrei convertiti al cattolicesimo, come la santa Edith Stein, deportata dal convento carmelitano di Echt, nei Paesi Bassi, ad Auschwitz-Birkenau, dove morì incenerita. https://www.youtube.com/watch?v=aV_jMq4wass

A lei, nel 1991, Juri Camisasca dedica “Il Carmelo di Echt”, brano dalla forte potenza evocativa e mistica, successivamente interpretato anche da Franco Battiato.

Nel corso degli anni, molti autori hanno sentito il bisogno di raccontare l’olocausto, pur non avendolo direttamente vissuto e molti se ne potrebbero citare e ognuno a suo modo, con la sua musica, ci spinge a non abbassare la guardia, a non dimenticare, a non cadere vittima dell’indifferenza perché, come recita la definizione scritta per lo Zingarelli 2020, da Liliana Segre:

“Quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori.” MEDIMEX 2019: 80mila presenze per l’International Festival & Music Conference

C’era una volta il MEDIMEX, il salone dell’innovazione musicale, nato a Bari nel 2011, come salone espositivo, e da subito delineatosi come una fra le più importanti fiere italiane nel campo della musica.

Nel corso degli anni, il MEDIMEX ha cambiato volto, spostandosi dai padiglioni della Fiera del Levante per riempire di senso e musica il centro cittadino, dapprima quello barese e, nelle ultime due edizioni, quello tarantino.

F o t o u f f i c i a l i M E D I M E X 2019, su gentile concessione dell’ufficio stampa.

Ma MEDIMEX non è solo concerti live, incontri, presentazioni di mostre e libri o film, è una manifestazione a tutto tondo che dedica ad artisti, operatori e imprese della filiera musicale spazio per conoscersi, confrontarsi e formarsi grazie a workshop mirati all’accrescimento professionale ed al miglioramento di competenze specifiche e sempre più richieste sul mercato.

Il progetto targato Puglia Sounds, il programma della Regione Puglia per lo sviluppo del sistema musicale regionale, non ha deluso le aspettative neanche in quest’ultima edizione, ricca come sempre di eventi che hanno reso Taranto capitale della musica, aperta e cosmopolita così come si vede soltanto in pochissime altre occasioni.

Le location più belle e suggestive della città sono state lo scenario ideale della manifestazione, che quest’anno ha accolto artisti internazionali del calibro di Editors, Liam Gallagher e Patti Smith. F o t o u f f i c i a l i M E D I M E X 2019, su gentile concessione dell’ufficio stampa.

Ampio spazio è stato dedicato ai cinquant’anni di Woodstock con la proiezione, nel Teatro Fusco, di tre pellicole dedicate a questo storico avvenimento; tre punti di vista, tre narrazioni e tre visioni differenti che raccontano i tre i giorni di pace, amore e musica che cambiarono profondamente l’America, e, di riflesso, il mondo intero.

L’urlo di Joe Cocker, la preghiera laica di Joan Baez, l’indimenticabile esibizione di Jimi Hendrix, la chitarra ed il ritmo travolgente di Richie Havens, icone del rock raccontate attraverso gli occhi del regista Michael Wadleigh e del suo rockumentary “Woodstock – Tre giorni di pace, amore e musica”; ma anche il salto generazionale di “My Generation – Woodstock 1969, 1994, 1999”, film del 2000 di Barbara Kople, che racconta anche le due successive edizioni del festival mettendo a confronto generazioni diverse tra idealismo e disincanto; per finire con “Woodstock – Three days that defined a generation” di Barack Goodman, in anteprima per il MEDIMEX, che si sofferma più sugli aspetti emozionali di quel pubblico, unito dall’amore per il rock e dai profondi cambiamenti politici e di costume che la fine degli anni ’60 stava portando. F o t o u f f i c i a l i M E D I M E X 2019, su gentile concessione dell’ufficio stampa.

Il MEDIMEX non ha voluto celebrare Woodstock soltanto attraverso la cinepresa ma l’ha fatto anche utilizzando la fotografia e l’occhio di due grandissimi fotoreporter, Baron Wolman e Donald Silverstein, dedicando loro “Woodstock & Hendrix: THE REVOLUTION”, una mostra fotografica dislocata in due location, il polo universitario di Taranto e il MarTa (Museo Nazionale Archeologico di Taranto).

Baron Wolman, fotoreporter della rivista Rolling Stone, fissa quelle istantanee della piana di Bethel che resteranno per sempre nell’immaginario collettivo, e lo fa spostando la visuale dagli artisti al pubblico, fotografando facce, espressioni ed intenzioni; Donald Silverstein invece, si sofferma sulla figura di Jimi Hendrix, fotografandolo in studio e contribuendo all’immagine iconografica del chitarrista che rivoluzionò il rock. La mostra riesce a combinare bene queste due differenti visuali, per raccontare quell’epoca in cui la musica cambiò la storia. F o t o u f f i c i a l i M E D I M E X 2019, su gentile concessione dell’ufficio stampa.

Anche la sezione book stories del MEDIMEX è interamente dedicata a libri che raccontano di Woodstock, nei suoi vari aspetti.

Il critico musicale Ernesto Assante con “Woodstock ’69 – rock devolution”, racconta Woodstock attraverso le sue interviste ai personaggi che fecero la storia del concerto, mentre Riccardo Bertoncelli, nel suo “1969. Storia di un favoloso anno rock da Abbey Road a Woodstock”, offre una visione più ampia del 1969, anno ricco di avvenimenti che cambiarono profondamente il modo di fare musica.

Singolare nel suo genere è, invece, il libro presentato da Barbara Tomasino che in “Groupie, ragazze a perdere”, indaga sul ruolo trascurato delle groupie, ragazze al seguito della band di cui sono fan appassionate e che si donano totalmente ai loro beniamini, diventando simbolo della rivoluzione sessuale che attraversò gli anni a cavallo di Woodstock. F o t o u f f i c i a l i M E D I M E X 2019, su gentile concessione dell’ufficio stampa.

Il MEDIMEX non è solo film, mostre, libri e formazione, ma è soprattutto incontro con gli autori e musica live.

Da Mezzosangue a Frankie H-RNG, da Piero Pelù a Motta, ognuno con la propria storia da raccontare, un’esperienza che vale la pena ascoltare, quel dialogo tra pubblico ed autori che spesso manca e mette distanza tra chi fa musica e chi la ascolta.

Esperienza ed ascolto che il MEDIMEX riesce a catalizzare portando in Puglia performance di respiro internazionale che danno vita ad eventi live epocali. F o t o u f f i c i a l i M E D I M E X 2019, su gentile concessione dell’ufficio stampa.

Saranno ricordate la performance degli Editors, preceduti dai Cigarettes After Sex e l’esibizione di Liam Gallagher, ma resterà nella storia Patti Smith, che con il suo temperamento e la sua energia ha stregato il pubblico prima nella gremita aula magna dell’Università e poi sul palco della Rotonda del Lungomare.

Non parla una parola d’italiano e ne è visibilmente dispiaciuta, tanto da scusarsene, ma non smette mai di dialogare con il pubblico, un continuo omaggio alla città di Taranto ed alla sua gente, tanto da indossare una maglia del Taranto F.C., un’energia unica e prorompente che pervade la città ed esce dai confini della performance fine a se stessa. F o t o u f f i c i a l i M E D I M E X 2019, su gentile concessione dell’ufficio stampa.

Si chiude così, con il saluto della sacerdotessa del rock, l’edizione 2019 del MEDIMEX, ma non è un addio, è solo un arrivederci al 2020.

80mila presenze, oltre 500 gli operatoti, gli artisti e i rappresentanti di imprese musicali pugliesi che hanno partecipato alle attività formative di Puglia Sounds, oltre 2milioni e mezzo di interazioni sui Social, sold out per biglietti staccati e strutture ricettive.

Un risultato che supera ogni rosea aspettativa, ma anche la dimostrazione che basta veramente poco per valorizzare un territorio dalle enormi potenzialità che aspetta solo di essere scoperto e mostrarsi al meglio.

Una delle tante dimostrazioni di efficace valorizzazione dei territori depressi utilizzando strumenti culturali come musica, teatro, cinema, di cui ormai l’establishment della Regione Puglia è ben consapevole. F o t o u f f i c i a l i M E D I M E X 2019, su gentile concessione dell’ufficio stampa.

Al margine di pompose presentazioni di sterili, seppur sorprendenti, indicatori economici, il sentimento di riscatto di una città troppe volte bistrattata ed emarginata, troppe volte dimenticata, che almeno per qualche giorno si è sentita alla pari delle altre, non più problema ambientale, bensì bellezza da vivere ed ammirare e pura e semplice normalità.

Sperando che quest’onda positiva venga sfruttata al meglio e non diventi solo un episodio sporadico, l’appuntamento è per l’anno prossimo, ancora una volta a Taranto, con il MEDIMEX – International Festival & Music Conference del 2020, che vedrà anche una Spring Edition a Brindisi.

Curve nella memoria: gli anniversari del 2019 da ricordare a suon di musica

“La mia memoria trae fuori i ricordi da un cappello senza che io sappia perché questo e non quello”, recitava Franco Battiato nel testo di una sua celebre canzone, infatti pare che ricordare, andare indietro con la memoria fin dove la mente riesca a spingersi, sembra essere uno dei modi in cui riusciamo a mantenere la nostra identità, anche se i ricordi sono casuali, ma ci sono fatti ed avvenimenti che fanno parte dell’identità collettiva e della storia di ognuno di noi, nonostante non li abbiamo vissuti direttamente.

Questa riflessione è ancor più valida, se è la musica ad ispirare un ricordo, un’emozione o un avvenimento storico; basta poco, una vecchia canzone che passa in radio, per accendere ricordi casuali, ma ancora vivi dentro di noi.

Così proprio mentre il nostro giornale compie 5 anni di frenetica attività, abbiamo pensato di aprire i cassetti della memoria per ricordare insieme pezzi di storia e di vita che ci hanno condotto fin qui, momenti che magari sono stati epocali per qualcuno, ma che qualcun’altro forse non ricorda neanche.

1 9 5 9 : “ T h e D a y t h e M usic Died” (Il giorno in cui la musica morì).

Ad esempio, il 1959, un anno che qualcuno avrebbe ricordato per l’interpretazione di Marilyn Monroe, protagonista del film “A qualcuno piace caldo” di Billy Wilder, ma anche per la prima edizione del concorso canoro, il più ambito negli U.S.A., i Grammy Awards, invece sarà ricordato per “The Day the Music Died” (Il giorno in cui la musica morì).

Il 3 febbraio 1959, infatti, persero la vita in un tragico e fortuito incidente aereo nel Iowa, tre giovanissime icone del rock: Buddy Holly, The Big Bopper e Ritchie Valens.

Questo nefasto evento, però, non ha impedito a capolavori come “Words Of Love”, “Chantilly Lace” e “La Bamba”, di varcare la soglia del tempo e giungere fino a noi.

Dieci anni più tardi, nella calda estate del 1969, Neil Armstrong è il primo uomo a toccare il suolo lunare, un evento vivo nell’immaginario collettivo di chi ha vissuto in diretta televisiva mondiale quel momento, ma anche nell’immaginario di tutti coloro i quali non erano ancora nati, così come è ancora vivido il ricordo irripetibile del Festival di Woodstock. 1 9 6 9 : F e s t i v a l d i W oodstock.

“3 Days of Peace & Rock Music”, tre giorni di pace e musica rock, un messaggio talmente forte e travolgente, da rompere la quiete della tranquilla cittadina di provincia per cui era stata pensata “la Fiera della Musica e delle Arti di Woodstock”, tanto da attirare oltre 400.000 persone, in gran parte giovani.

Leggi anche:

■ Generazione nostalgia e le tecniche del Vintage Marketing ■ Ritorno al vinile: moda, business o riscoperta? Ne parliamo con Dj Ringo, Art Director di Virgin Radio

Il 1979, invece, sarà l’anno ricordato per l’ascesa di due donne alle più alte cariche dello Stato. Margaret Thatcher diventa la prima donna a essere nominata Primo Ministro nel Regno Unito quasi contemporaneamente, in Italia, Nilde Iotti viene nominata anch’essa per la prima volta, Presidente della Camera dei Deputati, ma questo è anche l’anno in cui la musica diventa fruibile in qualsiasi posto, grazie ad un piccolo apparecchio portatile, inventato dalla Sony. 1 9 7 9 : I l W a l k m a n d e l l a S o ny.

Il Walkman, lettore portatile di musicassette rivoluzionerà per sempre il modo di fruire della musica che, da questo momento in poi, scandirà ed accompagnerà la vita di tutti, così come “The Wall”, il concept album dei Pink Floyd, resterà per sempre una pietra miliare del rock.

Il successo planetario della band britannica, culminò nel 1989 con un concerto a Venezia, unico nella storia e “Another brick in the wall” proprio in quell’anno, verrà associata ad un altro evento epocale, la caduta del muro di Berlino, nonostante nella canzone non se ne faccia mai riferimento esplicito.

Soltanto dieci anni dopo la caduta del muro e la fine della guerra fredda, il 1° gennaio 1999, gli europei assistono alla nascita della moneta unica, l’Euro, che cambierà radicalmente la politica economica dei singoli Stati e gli scambi commerciali con il mondo, mentre l’Italia, perdeva uno dei più grandi poeti e musicisti del suo paese, Fabrizio De Andrè, stroncato da un tumore l’11 gennaio.

Una perdita talmente tanto dolorosa, da non essere ancora superata; De Andrè, il cantautore degli ultimi, è vivo nei cuori degli italiani che ogni anno, il giorno dell’anniversario, si radunano spontaneamente nelle piazze per ricordarlo cantando le sue canzoni. 1 9 9 9 : N a c i t a d e l l ’ EURO.

Il 2009 consacrerà il primo Presidente afroamericano della storia, Barack Obama, mentre l’Italia piangerà le vittime del terremoto dell’Aquila, un avvenimento che segnerà profondamente il nostro paese.

La reazione al terremoto, sarà un collettivo di “Artisti Uniti per l’Abruzzo” che inciderà un singolo “Domani 21.04.2009”, cover di un brano di Mauro Pagani, che devolverà in beneficenza circa un milione di euro per la ricostruzione e la salvaguardia delle opere d’arte.

2 0 0 9 : A r t i s t i U n i t i per l’Abruzzo. Intanto, ascoltando canzoni e ricordi, siamo arrivati al 2019, l’anno in cui i lavori per la ricostruzione del terremoto dell’Aquila non sono ancora stati terminati e urgono più che mai; l’anno in cui, “commemorare” deve significare anche “ricostruire”, rimettere insieme quei pezzi di storia sparpagliati, ridare un senso agli avvenimenti, nuova vita alle cose, non dimenticare le vittime.

Chissà se quest’anno ci regalerà pezzi di canzoni intramontabili “angoli del presente che fortunatamente diventeranno curve nella memoria, quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente, ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria”, come questo capolavoro di Francesco De Gregori del 1992.

Isola di fuoco: Il concerto per visioni di Colapesce

Certe emozioni non si possono raccontare con l’immediatezza dettata dai tempi giornalistici, per comprendere ed assaporarle, è necessario lasciarle sedimentare negli strati più profondi della coscienza per ristabilire un collegamento con quanto più di ancestrale ci appartiene.

È il caso di “Isola di fuoco”, progetto ideato dal cantautore Colapesce che prende vita dall’omonimo documentario, girato in Sicilia alla metà degli anni ’50, dal maestro Vittorio De Seta.

De Seta, uno dei più grandi documentaristi che l’Italia abbia mai conosciuto, nel 1954 gira sull’isola di Stromboli, il suo capolavoro, premiato l’anno successivo al Festival del Cinema di Cannes, raccontando un mondo prevalentemente rurale, in cui sudore, fatica, fame e sacrifici, sono spezzati da momenti conviviali e feste tradizionali religiose.

Uomini e donne, con i volti segnati dal rovente sole siciliano, vivono in un costante rapporto simbiotico con il mare, la terra ed il vulcano, dove sussistenza ed opulenza si mischiano e fervore religioso e credenze popolari si confondono. C o l a p e s c e e M a r i o C o n t e

Immagini semplici, che riprendono una quotidianità aspra e che forse non siamo abituati ad immaginare, ma che fissano un’istantanea precisa e fedele di un tempo non troppo lontano dal nostro, poco più di sessant’anni, eppure concettualmente alieno rispetto alla società in cui ci siamo assuefatti a vivere.

Immagini, alcune volte cruente e crudeli, altre volte dense di poesia, ma sempre pregne di una grande potenza evocativa e che lasciano ad intendere nostalgia per una maniera di vivere ormai scomparsa ma, soprattutto, in cui traspare un grande amore per la propria terra e le proprie tradizioni.

Un amore smisurato che De Seta non ha mai celato e che Colapesce, al secolo Lorenzo Urciullo, anch’egli siciliano, continua a dichiarare apertamente, regalandoci performance dedicate al paese natio, come “Isola di fuoco”, che difficilmente è possibile dimenticare.

Concerto per visioni, così definisce il suo progetto Colapesce, che anche lo scorso 15 marzo, ha emozionato il pubblico del Teatro Rossini di Gioia del Colle (BA), accompagnato dal musicista Mario Conte.

Inesplicabile lo spettro delle sensazioni che colpiscono l’anima del variegato uditorio presente nel caratteristico Teatro Rossini; certo è che il complesso di suoni, rumori, musica e canzoni, nel senso più ampio del termine, non lascia indifferente nessuno ed al tempo stesso lascia senza parole.

La meraviglia, lo stupore, l’incredulità diventa ancora più palpabile quando la magistrale fotografia, colpisce l’attenzione degli spettatori e la musica si fonde con le immagini, alcune volte feroci e spietate, come nel caso della cattura del pesce spada, altre volte trasognate, e incantate, come durante una tranquilla notte di pesca avvolti dalla nebbia.

Urciullo e Conte, combinano suoni, li fondono alla visione, in un unicum rigorosamente improvvisato, si lasciano guidare e guidano lo spettatore nel percorso visivo, immergendo e lasciandosi immergere in un’atmosfera onirica e surreale, che diventa poetica quando Colapesce presta la sua voce al filmato, così “Pantalica”, materializza e rende concreto il paesaggio e le sue pietre “fra il fico d’india e le stelle”.

Le immagini poi, cedono il posto ad alcuni brani cantati, lasciando un ulteriore spazio alla riflessione ed all’emozione, per poi concludersi con un piccolo, ma sentito omaggio a Fabrizio De Andrè ed alla sua “Canzone dell’amore perduto”.

Un amore forse più simbolico e metafisico rispetto a quello cantato da De Andrè, che invece di perdere la donna amata, si rifiuta di smarrire le proprie origini e la propria storia millenaria, a favore del mondo globalizzato.

Sorge spontanea, infatti, un’ulteriore riflessione più profonda, che vede contrapposto l’antico mondo, isolano e rurale, in cui tutti vivono in simbiosi e rispetto nei confronti della natura, madre solitamente benevola, ma che talune volte, si trasforma in maligna e portatrice di calamità, nondimeno sempre bisognosa di cure, sudore e uomini, donne e bambini da sacrificare al duro lavoro, al moderno mondo globalizzato, dove quel che conta, non è il boccone per sfamarsi, ma il profitto.

Profitto inseguito ad ogni prezzo, dove l’importante è produrre senza curarsi del depauperamento delle risorse, sfruttando e distruggendo, dove le macchine si sono sostituite alla fatica delle braccia, dove non esiste rispetto per l’habitat naturale, ormai assoggettato al volere umano e slegato dalla normale ciclicità delle stagioni.

I l c a n t a u t o r e C o l a p e s c e

Una natura di cui non ci curiamo più e che magari, preferiamo solo ammirare attraverso lo schermo di uno smartphone.

Il cantautore siciliano, invece, attraverso una dimensione quasi onirica ci spinge a riflettere, ci riporta indietro alle origini di quel mondo ormai perso, che non possiamo e non dobbiamo dimenticare, cercando di ristabilire il contatto con la madre terra.

L’immersione in questo mondo antico, non sarebbe stata possibile senza i sacrifici dell’Associazione “Ombre”, che si è sforzata di selezionare per il pubblico del Festival INDIEsposizioni, un cartellone così variegato e ricercato, tale da sdoganare il complesso mondo dell’Indie e le sue molteplici sfaccettature, anche a spettatori diversi, per età ed estrazione sociale. Buon compleanno Faber!

Il 18 febbraio del 1940, nasceva a Genova Fabrizio Cristiano De Andrè, secondogenito di una famiglia borghese di origini piemontesi.

Nonostante ci abbia lasciato prematuramente a causa di un carcinoma polmonare, resta immensa la sua produzione letteraria e musicale, ben 14 album e diversi singoli, senza contare, la miriade di scritti ed appunti ancora gelosamente custoditi dalla sua famiglia.

Era infatti, appena iniziato il 1999, quando Fabrizio De Andrè, terminò il percorso della sua vita terrena per diventare immortale con la sua musica e la sua poesia, lasciando però, orfano, il panorama musicale italiano che perdeva un grande cantautore.

Oggi, a molti anni dalla sua morte, ci si interroga sull’immensa eredità che Faber ci ha lasciato e come questa abbia influenzato quello che i critici musicali definiscono, il nuovo cantautorato italiano.

Innegabile è che questo grande intellettuale, perché chiamarlo solo cantautore, sarebbe davvero riduttivo, abbia lasciato un’impronta indelebile nella storia del nostro paese, modificandone per sempre il modo di fare musica e di utilizzarla come metodo di narrazione.

Mi viene difficile raccontare sua la poetica, se non con le canzoni ed i personaggi a lui tanto cari, come la musica di Georges Brassens, che ispirò il giovane Fabrizio a tal punto che egli stesso lo definì “il mio maestro” e volle eseguire alcune delle traduzioni delle sue bellissime ballate.

Ma il cantautore genovese è ricordato soprattutto per i suoi personaggi, alcune volte irriverenti, altre volte malinconici, e per le tematiche trattate, dall’immigrazione alla prostituzione, dal transgenderismo agli amori impossibili, improbabili o perduti, dalla religione alla politica e dalle condizioni delle carceri alle lotte sociali.

Temi scomodi e di scottante attualità ancora oggi, che negli anni di piombo, convinsero la Polizia a schedare il giovane universitario Fabrizio, come “persona potenzialmente pericolosa”, del resto, mai nessuno nel panorama musicale, ha colpito così tanto l’immaginario collettivo, a tal punto, da confondere persino ligi agenti al servizio dello Stato.

Se si chiedesse di descrivere a dei passanti chi sia stato De Andrè, ognuno darebbe la sua personale definizione, dal rigattiere alla massaia, dal critico musicale al colto; è stato definito cantautore, filosofo, poeta, intellettuale ed anarchico, e probabilmente, era ognuna di queste cose.

Personalmente, non credo che esista un unico modo di raccontare la musica di De Andrè, riuscire a spiegare a chi non l’ha conosciuto, chi fosse e quale patrimonio culturale ci abbia lasciato, non credo neanche che lo si possa spiegare, perché ognuno ha il suo particolare percorso di ascolto e comprensione.

Tutti abbiamo ascoltato, almeno una volta, capolavori come “Bocca di Rosa”, “Don Raffaè”, “Il Pescatore”, “La canzone di Marinella”, “Le Passanti”, “Canzone del Maggio” o “Via del Campo”, solo per citarne alcuni, ma per comprenderne fino in fondo il suo messaggio, non basta ascoltare distrattamente, bisogna aprire l’anima, lasciare posto alle riflessioni autentiche e scevre dai giudizi politici, religiosi o ideologici, per comprendere le canzoni di De Andrè, bisogna viverle, ci si deve appassionare ai personaggi, alle storie, ai luoghi.

Quello che so, è che ascolto le sue canzoni da quando ero bambina, ma solo con la maturità, credo di avene compreso il senso ed aver percepito il grande vuoto ideologico, culturale e politico in cui ci abbia gettato in quel freddo gennaio del 1999. Avevo vent’anni nel ‘99, e ricordo ancora lo sgomento della mia generazione all’apprensione della sua morte, ci sentimmo privati di un padre, di un amico, di un fratello, ma soprattutto di una guida, forse è per questo che ancora oggi, a distanza di tanti anni, la sua musica è così attuale e viva, perché manca ancora un modello a cui ispirarsi.

Lo dimostrano i follower sul canale Spotify, circa 386.000 con circa 672.000 ascoltatori solo nell’ultimo mese, numeri che fanno impallidire cantautori contemporanei a De Andrè e che sono ancora in attività, lo dimostrano le migliaia di giovani e meno giovani che spontaneamente, la sera dell’11 gennaio hanno affollato le principali piazze italiane e cantato tutti insieme quelle stesse canzoni di Faber e che ormai, sono patrimonio di tutti.

Sentimento nostalgico? Evento alla moda amplificato dai social? Non credo!

In fondo, le storie raccontate da De Andrè, sono ben lontane dal modello comune attuale che ci vuole vincenti e forti, dove non c’è tempo per sbagliare, sono storie di umili, di vinti, di ingiustizie, di fragili, di smarriti.

Probabilmente, le cosiddette “cantate anarchiche” e spontanee, altro non sono che un abbraccio collettivo, un autentico tributo a chi con la sua musica, continua ad emozionare milioni di persone.

In un modo di relazioni virtuali, a dispetto di chi trae vantaggio dalle divisioni, sono desiderio effettivo di condividere, di incontrarsi, di sentire, di riflettere, “come una svista, come un’anomalia, come una distrazione, come un dovere”. SANREMO 2019: La quarta serata del 69° Festival della Canzone Italiana.

La penultima serata della competizione canora diretta da Claudio Baglioni, vede sul palco, oltre ai 24 artisti in gara, anche 32 ospiti che ne accompagneranno le esibizioni. Non solo cantanti, ma anche musicisti, ballerini ed artisti a supporto delle performance. Questa è la sera in cui si palesa anche la Giuria di qualità, capeggiata da Mauro Pagani, mentre finisce il suo lavoro, la Giuria demoscopica, per dare più peso al televoto. Sono Federica Carta e Shade ad aprire la gara, accompagnati dall’idolo della Y generation, Cristina D’Avena, seguiti Motta che sceglie Nada per dare forza ad un pezzo profondo, ma dalle sonorità monotone, mentre è Noemi ad accompagnare il pezzo di Irama.

L’intensità della canzone di Patty Pravo con Briga, viene esaltata da Giovanni Caccamo, successivamente, la tromba di Roy Paci insieme alla voce di danno nuovo smalto, laddove ce ne fosse stato bisogno, al pezzo dei Negrita. Il Volo sceglie di farsi supportare dal violinista Alessandro Quarta, per un’esibizione decisamente più sprint; accosta la sua particolare voce a quella dell’idolo degli Spandau Ballet, Tony Hadley ed alle coreografie dei Kataklò. Mahmood sceglie l’irriverenza di Gué Pequeno per sostenere il suo pezzo, intanto sul palco dell’Ariston salgono Diodato ed i Calibro 35 per il pezzo di Ghemon.

Leggi anche:

■ SANREMO 2019: La prima serata del 69° Festival della Canzone Italiana ■ SANREMO 2019: La seconda serata del 69° Festival della Canzone Italiana ■ SANREMO 2019: La terza serata del 69° Festival della Canzone Italiana

Francesco Renga chiama insieme a lui, il cantautore Bungaro, ed i ballerini, Eleonora Abbagnato e Friedemann Vogel; Fabrizio Moro presta la sua voce al pezzo di Ultimo e Nek si affida alla voce di Neri Marcorè, entrambi i pezzi così, ne guadagnano in intensità e coinvolgimento. I salentini Boomdabash, fondono le loro sonorità con i Musici Cantori di Milano ed il rapper Rocco Hunt; sono poi mirabili ed ancora più emozionanti, l’interpretazioni dei The Zen Circus insieme a Brunori sas e la voce di Paola Turci accompagnata da Beppe Fiorello.

Anna Tatangelo si accosta a Syria mentre acquistano nuova energia i brani degli Ex-Otago accompagnati da Jack Savoretti, Enrico Nigiotti, accompagnato al piano da Paolo jannacci e Massimo Ottoni (maestro della sand art). Due regine del pop Loredana Bertè ed Irene Grandi, infiammano la platea, Manuel Agnelli valorizza l’interpretazione di Daniele Silvestri e Rancore, Einar si affida agli amici Biondo e Sylvestre. Un momento di pura poesia con Simone Cristicchi coadiuvato da Ermal Meta, subito rimpiazzato dalla forza dei Sottotono, a supporto della canzone di Nino D’Angelo con Livio Cori, e dalla canzone di Achille Lauro che si fa accompagnare da Morgan. La gara si conclude con la premiazione da parte della Giuria di qualità, del brano, “Dov’è l’Italia” interpretato da Motta accompagnato da Nada. Ospite della serata, un grande Luciano Ligabue che ci regala un tributo a Francesco Guccini, interpretando “Dio è morto”, canzone simbolo dei giovani sessantottini e speranza per un mondo migliore, il brano è del 1965 ma tutt’oggi attuale nei contenuti. Stasera tutti gli occhi saranno puntati sull’ultimo appuntamento della kermesse canora che finalmente decreterà il vincitore della sessantanovesima edizione del Festival della canzone italiana.

Ritorno al vinile: moda, business o riscoperta? Ne parliamo con Dj Ringo, Art Director di Virgin Radio

Negli ultimi anni si sta verificando un ritorno prepotente al passato, una passione enorme per tutto ciò che è vintage e da collezione, ritorno che tocca anche il mondo della musica. In questo fenomeno economico e di costume, rientra di gran lunga l’oggetto vinile, con un grande aumento delle vendite ed anche di popolarità.

Ne abbiamo parlato con il famoso Dj Ringo, Art Director della radio rock per eccellenza, Virgin Radio.

Domanda: Dalla sua esperienza di speaker, dj e appassionato, crede che questo sia solo un fenomeno probabilmente passeggero, una moda, un business, oppure, ritiene ci sia dietro una autentica riscoperta del valore dell’analogico?

Risposta: “Penso un po’ tutte e due, mi spiego meglio: avere un piatto anche vintage dove posso appoggiare il vinile e la puntina sui solchi, è qualcosa di figo e fa molto glamour alle feste in casa, ma è anche vero che molti giovani attingono dalle collezioni dei papà, nonni e zii nelle collezioni del vinile e chiaramente per ascoltarli o usano un vecchio mangiadischi a pile per 45 giri o ne comprano uno nuovo, ma sono anche costretti a comprarsi tutti i vinili. Ora la moda è il vinile a 180 grammi, fate voi, moda o passione?”

Leggi anche:

■ Generazione nostalgia e le tecniche del Vintage Marketing ■ Il vintage su grandi e piccoli schermi: campione di incassi o necessità di marketing? ■ Il potere del marketing della nostalgia

D: Lei crede che questo ritorno al materiale, al contatto reale con la musica (si pensi anche al ritorno del legno nel design dei giradischi), possa, in ogni caso, giovare a quello che è il mercato attuale della musica, italiana ed internazionale?

R: “Come affermavo prima è sempre una questione di passione o di mode, il confine sta nel ricercare dei vecchi impianti stereo (io avevo un vecchio Lesa) in legno, pesantissimi ma affascinanti, oppure, comprarsi delle repliche fatte benissimo che costano meno e suonano peggio! Sarebbe un po’ come replicare i vecchi Juke-Box della Wurlitzer con tanto di legno e palla di vetro.”

D: In questo quadro, anche a causa dell’ascolto in streaming, i compact disc stanno pian piano scomparendo, secondo lei, invece, gli LP riusciranno comunque a sopravvivere?

R: “Chi colleziona, colleziona tutto e basta e comunque penso che da collezione ci sia solo il vinile, perché fa parte di un’epoca magica della musica che sono gli anni ’50-’60-’70, fino ad arrivare agli anni ’80, dopo di che l’era è diventata troppo moderna ed elettronica.” Scopri il numero dedicato al marketing della nostalgia:

■ Back to the Future

D: Ringraziandola per il tempo che ci ha dedicato, chiudo quest’intervista con un’ultima domanda: vista la carriera nelle radio più famose, che la tiene costantemente a contatto con la musica, qual è il suo personale rapporto con il vinile?

R: “Il mio personale rapporto con il vinile è ormai dedicato alla mia collezione di dischi 33 e 45 giri, che ammiro guardando come guardo un quadro famoso, qualche volta me ne arriva uno nuovo dalle case discografiche e qualche volta mi intrufolo in qualche mercatino e negozietto, nei miei svariati viaggi di lavoro o diletto e tengo un’occhio sempre attento anche sui siti di vendita, dove magari trovo qualche rarità.”

Io credo che sia sempre un bene acquistare musica, sia che lo si faccia per moda o per passione, che sia su cd, vinile o il biglietto di un concerto, perché l’arte e la cultura vanno sempre sostenute, anche economicamente. La riscoperta del vintage non sapremo quanto ancora durerà, ma mi auguro possa sempre servire a sostenere la buona musica, che è l’alleata perfetta per vivere meglio.

Bohemian Rhapsody – Il Film

Come si racconta un mito?

Come approcciare la storia di una rock band leggendaria?

Quale sceneggiatore scegliere?

Quale regista?

Quale produttore?

Quali gli attori?

Quando la rock band si chiama Queen e il frontman Freddie Mercury, da dove bisogna cominciare?

Allora, vediamo di snocciolare un po’ di numeri e di date che ci aiutino ad inquadrare questo film:

8 anni di sviluppo da quando Brian May annunciava che era in progetto un film sui Queen e su Freddie Mercury. La sceneggiatura era affidata a Peter Morgan. Nei panni di Freddie Mercury ci sarebbe stato Sacha Baron Cohen, mentre la casa di produzione sarebbe stata la TriBeCa Productions, e le riprese sarebbero cominciate nel 2011.

Nel dicembre 2013 viene annunciato che l’attore britannico Ben Whishaw avrebbe preso il posto di Sacha Baron Cohen, che intanto aveva abbandonato il progetto nel luglio dello stesso anno, e che la regia sarebbe stata affidata a Dexter Fletcher. Entrambi, Whishaw e Fletcher, lasceranno definitivamente il progetto nel 2014.

Alla fine del 2015 la casa di produzione GK Films assume lo sceneggiatore neozelandese Anthony McCarten per scrivere una nuova sceneggiatura, col titolo “Bohemian Rhapsody”.

Nel novembre 2016 viene annunciato che la New Regency Pictures e la GK Films sarebbero state nella produzione della pellicola e che le riprese sarebbero iniziate nei primi mesi del 2017.

Lo stesso anno viene annunciato che Rami Malek vestirà i panni di Freddie Mercury e che il nuovo regista sarà Bryan Singer.

Allora ricapitoliamo:

■ 8 anni di sviluppo; ■ 2 sceneggiature; ■ 2 diversi sceneggiatori; ■ 2 registi; ■ 3 attori per il ruolo di Freddie Mercury; ■ 4 diverse case di produzione coinvolte (considerando anche la Queen Films Ltd).

Sembra quasi che Hollywood stessa avesse un timore reverenziale a cimentarsi in questo impegnativo biopic.

Il film non analizza tutta la vita della storica band ma, si focalizza sui primi 15 anni, dalla fondazione del nucleo originario fino al concerto del Live Aid al Wembley Stadium di Londra, il 13 luglio del 1985.

Ma veniamo alla recensione vera e propria, che film è stato Bohemian Rhapsody? Spettacolare è l’unica risposta che mi viene in mente!

Sono nato nel 1973 e sono cresciuto con le musiche dei Queen proprio dalla metà degli anni ’80 fino alla metà degli anni ’90, periodo che è coinciso con la mia adolescenza e quindi con le prime cotte, con le prime uscite in discoteca e con la spensieratezza degli anni giovanili, dunque non può che essere questo il mio giudizio.

PER APPROFONDIRE:

■ Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema

Ma, nostalgia a parte, il film è davvero spettacolare, per almeno 4 ottimi motivi.

1. La fotografia, incredibilmente spettacolare, veloce e roboante nelle scene dei concerti e estremamente curata, pacata e ovattata, nelle scene d’interno ed in tutti i dialoghi. Il direttore della fotografia, Newton Thomas Sigel, ha optato per una scelta cromatica slavata e tenue per tutte le scene d’interno della prima parte del film, coincidente con gli anni ’70 e le atmosfere ed i colori tipici di quegli anni. Ma la tavolozza cromatica, pian piano, diventa più scintillante e smagliante, con l’arrivo degli anni ’80, come a voler rimarcare il cambio di decennio anche dal punto di vista cromatico. Nel film sono presenti diversi spezzoni originali dei videoclip dei Queen ed è estremamente interessante l’uso che ne fa Newton Thomas Sigel, miscelando filmati d’archivio e riprese dal vivo con grande maestria. Il direttore della fotografia è uno dei collaboratori fissi del regista Bryan Singer e la notevole esperienza ed intesa raggiunta su set di film d’azione e di supereroi, quali X-Men, Superman Returns, Operazione Valchiria, X-Men – Giorni di un futuro passato e X-Men – Apocalisse, ha sicuramente giovato alle riprese ed alle inquadrature del film; 1. Il cast di attori, tutti bravissimi e talmente calati nei personaggi, da ricreare un effetto mimetico, una recitazione totale. Su tutti svetta Rami Malek (Mr Robot, Papillon, Una notte al museo), che interpreta un Freddie Mercury perfetto. L’aderenza al personaggio è pressoché totale: l’attore ha studiato a fondo le immagini dei concerti dei Queen, in particolare quella del Live Aid ed infatti questa scena, la più impegnativa da girare di tutto il film, vede una performance di Rami Malek talmente perfetta da essere indistinguibile da quella fatta dallo stesso Freddie Mercury. Ma anche le altre interpretazioni dei membri della band sono notevolissime, tre giovanissimi attori (il più grande ha 35 anni), con il quasi sconosciuto, ma bravissimo, Gwilym Lee (The Tourist, L’ispettore Barnaby, Jamestown), che sembra il fratello gemello di Brian May, passando per il talentuoso Ben Hardy (X-Men – Apocalisse, Fire Squad – Incubo di fuoco, Mary Shelley – Un amore immortale), che presta il volto a Roger Taylor, per finire con Joseph Mazzello (Jurassic Park, Il Mondo perduto, Viaggio in Inghilterra), che presta corpo e maschera a John Deacon, il bassista dei Queen;

2. Costumi, trucco e parrucco, curati rispettivamente da Julian Day e Charlie Hounslow sono incredibili, la ricerca e lo studio per ricreare i look e quindi le atmosfere degli anni ’70 ed ’80 sono stati maniacali. Con una maggior approssimazione, sono sicuro che il film non avrebbe avuto lo stesso effetto. Tutto: gli accessori, i vestiti, le acconciature e il trucco sono meritevoli della candidatura ai premi Oscar, vedremo; 3. Le musiche, il montaggio del suono, il montaggio vero e proprio, anche questi da Oscar. Dietro a tutti e tre c’è sempre la stessa persona: il compositore, montatore e regista statunitense John Ottman, assiduo collaboratore di Bryan Singer. Il lavoro più arduo è stato quello della sincronizzazione delle canzoni originali dei Queen, con il labiale degli attori, un lavoro lungo ed estenuante, che concorre in maniera importante al budget complessivo del film, che è stato di 52 milioni di dollari.

Ma, oltre a queste 4 ragioni, potremmo aggiungerne una quinta: la storia raccontata nella trama del film, benché molti detrattori e puristi abbiano riscontrato delle incongruenze: l’entrata nel gruppo del bassista John Deacon, sfalsata di un anno; il fatto che i Queen, diversamente da quanto raccontato nel film, non si siano mai sciolti; il non rispetto dei tempi cronologici dell’uscita di alcune canzoni; la scoperta della seriopositività di Freddie Mercury, avvenuta fra il 1986 ed il 1987, e non prima del Live Aid, come raccontato nel film. La storia della band inglese, invece, è raccontata come una sorta di “educazione sentimentale” alla vita da artisti.

Tutto sembra uscito da un romanzo di Kipling: il nome esotico Farrokh Bulsara, la nascita a Zanzibar, l’infanzia a Bombay, il trasloco a Londra, la vita in periferia. Tutto concorre, come nella vita di un supereroe (di cui il regista è esperto), alla nascita del mito e della leggenda. I superpoteri del nostro eroe sono un’estensione vocale di quattro ottave, mani magiche che padroneggiano istintivamente sia la chitarra che il pianoforte, un carisma ed un fascino magnetici che ne faranno uno dei performer più grandi di tutti i tempi.

Ultima curiosità, fra i produttori della pellicola, figurano due dei tre membri dei Queen: Brian May e Roger Taylor, che hanno supervisionato tutti i passaggi del progetto, con il preciso intento di consegnarci un’immagine del gruppo e del loro leader, in parte edulcorata, per non smagliare la memoria di Freddie Mercury, che è meglio ricordare per la sua bravura ed il suo talento, che per la sua vita di eccessi, tipica delle rock star. Sia come sia, il film è diventato ad 8 settimane dall’uscita (2 novembre 2018 USA, 29 novembre 2018 Italia) il biopic musicale di maggior successo di sempre, con 743.706.115 di dollari di incassi nel Mondo e con 23.351.240 euro in Italia, che ne fanno il miglior incasso per il 2018 per il nostro paese.

Mentre scrivo questo articolo (7 gennaio 2019), il film è ancora presente in molte sale italiane, forse lo sarà per un’altra settimana, ma almeno fino a mercoledì 9 gennaio, quindi il mio suggerimento, se non lo avete ancora fatto, è di andare a vederlo, non ve ne pentirete.

Ma, se proprio non doveste riuscire a vederlo al cinema, aspettate l’uscita del dvd o del bluray, saranno soldi spesi bene e magari al cinema andateci per un altro biopic musicale, in uscita fra maggio e giugno: “Rocketman”, sulla vita e la musica di un altro grandissimo artista, Elton John. Sono sicuro che anche questo film ci emozionerà e farà fare un tuffo nei ricordi ad almeno due generazioni.

L’estate pugliese 2018: la Puglia punta sulla musica e vince.

E’ partita in anticipo quest’anno la Puglia per affermarsi al meglio tra le località preferite dai turisti ed ha puntato non solo sul sole, mare e vento, ma soprattutto sulla cultura. In particolare la protagonista dell’estate pugliese è stata la musica, iniziando con il Medimex, rassegna musicale che si è svolta a Taranto dal 7 al 10 giugno, passando per la famosissima Notte della Taranta, fino ad arrivare al Locus Festival, festival musicale fiore all’occhiello della cittadina di Locorotondo (BA).

A raccontarci il successo di questo evento è l’Assessore alla Cultura, Turismo e Spettacolo di Locorotondo, Ermelinda Prete.

Le abbiamo fatto qualche domanda sull’evento musicale più interessante e variegato dell’estate pugliese.

Il Locus Festival è ormai da anni uno dei tasselli fondamentali del turismo in Puglia. Il festival, giunto alla sua XIV edizione, negli ultimi anni si è aperto sempre più a numerosi e differenti generi musicali, quindi, non solo jazz e blues, ma anche elettronica, musica italiana e altro ancora. L’apertura non si è limitata solo alla musica, ma il festival quest’anno ha coinvolto anche altre forme d’arte, come la fotografia e il fumetto. Le mostre fotografiche “The Walking Trees”, “Diagnosis”, “Albania – A homecoming” del PhEST e la mostra di fumetti “XL Comics” de La Repubblica XL, hanno dato vita a dei veri e propri “intrecci culturali”, come recita il nome di questa edizione. In un momento storico come questo, dove la contaminazione, l’apertura e la condivisione risultano necessarie, come si è rivelata questa scelta all’interno del festival? “L’apertura del festival verso altre forme d’arte è risultata fondamentale perché così si è riuscito ad andare incontro ai vari appetiti artistici, si è riusciti a creare una rete importante di fan che, se pur diversi, accomunati dall’amore per la musica. Quest’anno più che mai il format Locus ha unito svariate forme d’arte, generando un amplesso culturale scaturito proprio dai tanti incontri partecipativi e mirati a dare un fattivo contributo per migliorare l’aspetto artistico delle scelte”.

Da Assessore che si occupa di Turismo, Cultura e Spettacolo, che impatto ha il Locus sulla cittadina di Locorotondo? Non solo in termini economici e di crescita del turismo, ma anche per quanto riguarda la conoscenza e l’immagine social del paese.

“La domanda è perché Locorotondo tiene al Locus Festival? Il Locus è nato in un periodo in cui a Locorotondo poco si muoveva e di fatto grazie a questo festival il nostro paese ha preso a sgranchirsi le gambe sino a riuscire ad alzare il capo riemergendo. Quando mi confronto con i cittadini la prima cosa che mi viene chiesta è che il Locus Festival non abbandoni mai il paese. Gli stessi organizzatori del festival sono ormai diventati parte integrante del nostro territorio, probabilmente perché negli anni non hanno mai pregiudicato la tranquillità dei residenti e le abitudini del paese. Motivo per il quale lo scorso anno abbiamo firmato una triennalità con gli amici di Bass Culture. Inoltre il Locus è una rassegna che porta giovamento al paese intero: tutti i commercianti sorridono perché la gente circola, non sosta inerme nell’area predisposta. Inoltre la musica investe ogni cummersa (n.d.r.:abitazioni di forma rettangolare con tetti spioventi) per almeno 4 weekend, abbraccia ogni chianca (n.d.r.: lastre in pietra calcarea), colora di sorrisi e anima di volti. Locorotondo e il Locus festival hanno la fortuna di non essere interessate esclusivamente ad una immagine turistica social: in termini tecnici la nostra DTI -Destination Tourism Image- è ben rappresentata dall’insieme delle attività proposte e trasmesse dai mass media (giornali, riviste, pubblicità, TV, radio, social network, siti)”.

Il Locus Festival, il Medimex, la Notte della Taranta: il turismo in Puglia, quindi, non si basa più solo su cucina, mare e tradizioni, ma passa anche per la musica e l’arte. Cosa ti senti di dire a chi non ha ancora provato l’esperienza di una vacanza in questa terra?

“Precisiamo che insieme ai miei colleghi assessori di Alberobello, Ceglie Messapica, Cisternino, Martina Franca, Ostuni, stiamo attuando una politica univoca di promozione e sviluppo della Valle d’Itria, quindi mi sento di invitare tutti qui, in Valle D’Itria prima e a Locorotondo poi, dove il vento accarezza i volti, dove i panni stesi al sole profumano intere viuzze, dove l’autenticità è data da chi abita il paesaggio, dalla genuinità dei modi e dei pensieri che il mare, gli ulivi, la terra e la pietra spettinano. Qui, dove le tradizioni dominano e la cordialità vince. Qui, dove chiunque può solo sentirsi a casa”.

Che altro aggiungere? Se vi è venuto in mente almeno un motivo per venire in vacanza in Puglia, ricordatevi che, sì, Agosto è finito ma, Settembre resta ancora il mese migliore per godersi l’estate. Sbarca a Taranto il MEDIMEX 2018: quattro giorni di musica tra confronto, spettacolo e formazione

Tra poche ore sotto il sole di Taranto, arriva l’evento musicale dell’anno: Medimex – International Festival & Music Conference, dal 7 al 10 giugno 2018.

Evento diventato ormai punto di riferimento per il mercato musicale italiano, mercato che vuole connettersi con quello internazionale, attraverso lo spettacolo e la formazione, il tutto finalizzato al confronto e al miglioramento. Dopo le edizioni di successo nel territorio barese, la formula vincente sbarca a Taranto.

A T a r a n t o , a r r i v a l ’ e v ento musicale dell’anno: Medimex – International Festival & Music Conference, dal 7 al 10 giugno 2018

Quattro giorni (più due di anteprima, 5 e 6 giugno) interamente dedicati alla musica, ricchi di mostre, approfondimenti, installazioni, dj set, workshop, concerti, mercatini e proiezioni. Gli appassionati e i professionisti potranno incontrare organizzatori di festival, case discografiche, responsabili di agenzie, all’interno dei numerosi incontri e workshop organizzati per l’evento, tra cui anche le scuole di musica di Puglia Sounds. Headliner del Medimex: i Kraftwerk, band tedesca simbolo della scena elettronica mondiale dal 1970, che suoneranno sulla Rotonda del Lungomare giovedì 7 giugno e i Placebo, uno dei più importanti gruppi rock del mondo, che si esibiranno venerdì 8 giugno.

Programma completo: 5 GIUGNO Kurt Cobain: Montage of Heck regia di Brett Morgen, 2015 19:00 – 21:00 (Giardini Peripato) Pearl Jam Twenty, regia di Cameron Crowe, 2011 21:00 – 23:00 (Giardini Peripato)

6 GIUGNO Sound City, regia di Dave Grohl, 2013 19:00 – 21:00 (Giardini Peripato) Singles – L’amore è un gioco, regia di Cameron Crowe, 1992 21:00 – 23:00 (Giardini Peripato)

7 GIUGNO Dj GRUFF feat. Gianluca Petrella 00:00 – 02:00 (Molo Sant’Eligio) Songwriting Camp – Medimex 2018 15:00 – 18:00 (Istituto musicale) Diodato 17:00 – 18:00 (Giardini Peripato) MEDIMEX MUSIC MARKET feat INDEPENDENT LABEL MARKET 17:00 – 21:30 (Giardini Peripato) Learning How to See in the Dark – ARTHUR DUFF per Medimex 2018 19:00 – 00:00 (Castello Aragonese) Michael Lavine e Charles Peterson 20:00 – 21:00 (Museo MArTA) Roni Size feat Dynamite MC 20:30 – 22:00 (Rotonda del Lungomare) Metá Metá 21:20 – 22:00 (Rotonda del Lungomare) Kraftwerk 3-D 22:30 – 00:00 (Rotonda del Lungomare)

8 GIUGNO

Mangaboo Live Set 00:00 – 02:00 (Molo Sant’Eligio) Kurt Cobain e il Grunge. Storia di una rivoluzione 08:30 – 19:30 (Museo MArTA) Songwriting Camp – Medimex 2018 10:00 – 17:00 (Istituto musicale) M E D I M E X 2 0 1 8 : P l a c e b o , u n o d e i p i ù importanti gruppi rock del mondo, che si esibiranno venerdì 8 giugno sulla Rotonda del Lungomare di Taranto

Play listing 10:30 – 11:30 (Circolo Ufficiali) Puglia Sounds Musicarium – Medimex 2018 10:30 – 17:30 (Istituto musicale) CINZELLA FESTIVAL, suoni e immagini tra due mari 11:00 – 11:45 (Circolo Ufficiali) Innovazione, tecnologie e nuove professioni nel mondo della musica 11:00 – 12:30 (Circolo Ufficiali) Face to Face(s) 11:00 – 13:00 (Circolo Ufficiali) MEDIMEX MUSIC MARKET feat INDEPENDENT LABEL MARKET 11:00 – 21:30 (Giardini Peripato) Max Gazzè 11:30 – 12:30 (Giardini Peripato) Know your rights – Conosci i tuoi diritti e impara come funziona e cambia il collecting in Italia 11:30 – 13:00 (Circolo Ufficiali) Streaming 12:00 – 13:00 (Circolo Ufficiali) Viva! Festival, la nuova frontiera della musica d’avanguardia in Puglia 12:15 – 13:00 (Circolo Ufficiali) Collecting 15:00 – 16:00 (Circolo Ufficiali) Label del futuro 15:00 – 16:30 (Circolo Ufficiali) Digital Communication – Marc Plotkin 15:00 – 18:00 (Circolo Ufficiali) Production – Tommaso Colliva 15:00 – 18:00 (Circolo Ufficiali) Sound Engineering and Design – Marc Urselli 15:00 – 18:00 (Circolo Ufficiali) SEI – Sud Est Indipendente Festival 15:30 – 16:15 (Circolo Ufficiali) Emma Marrone 15:30 – 16:30 (Giardini Peripato) Italia Music Export 16:15 – 17:00 (Circolo Ufficiali) Hub crossmediale con al centro la musica 16:45 – 17:15 (Circolo Ufficiali) Musica & Social Media 17:00 – 18:00 (Circolo Ufficiali) La storia del punk di Stefano Gilardino, Hoepli, 2018 17:15 – 17:45 (Giardini Peripato) Showcase INDIE – ROCK 18:00 – 20:00 (Molo Sant’Eligio) Giuliano Sangiorgi 18:30 – 19:30 (Giardini Peripato) Learning How to See in the Dark – ARTHUR DUFF per Medimex 2018 19:00 – 00:00 (Castello Aragonese) Raphael Gualazzi 20:00 – 21:00 (Giardini Peripato) Kiol 20:30 – 21:10 (Rotonda del Lungomare) Sziget & Home Sound Fest + guest Middlemist Red 20:30 – 23:00 (Molo Sant’Eligio) Casino Royale 21:20 – 22:00 (Rotonda del Lungomare) Ultimo 21:30 – 23:00 (Giardini Peripato) Placebo 22:30 – 00:00 (Rotonda del Lungomare)

9 GIUGNO

Daddy G (Massive Attack) 00:10 – 01:00 (Rotonda del Lungomare) Kurt Cobain e il Grunge. Storia di una rivoluzione 08:30 – 19:30 (Museo MArTA) Songwriting Camp – Medimex 2018 10:00 – 17:00 (Istituto musicale) L’imprenditore artista 10:30 – 11:30 (Circolo Ufficiali) Musica dal vivo: fare rete tra festival e venue 10:30 – 11:30 (Circolo Ufficiali) The International Sync Market – Dan Koplowitz 10:30 – 11:45 (Circolo Ufficiali) Puglia Sounds Musicarium – Medimex 2018 10:30 – 17:30 (Istituto musicale) Sciamu – A film of hope and tradition 11:00 – 11:45 (Circolo Ufficiali) Face to Face(s) 11:00 – 13:00 (Circolo Ufficiali) MEDIMEX MUSIC MARKET feat INDEPENDENT LABEL MARKET 11:00 – 21:30 (Giardini Peripato) Ghemon 11:30 – 12:30 (Giardini Peripato) The Future Is Not How It Used To Be 12:00 – 13:00 (Circolo Ufficiali) Taranto Rock Festival 12:15 – 13:00 (Circolo Ufficiali) Processo creativo e fare musica 12:30 – 13:00 (Circolo Ufficiali) Showcase JAZZ 14:00 – 16:00 (Molo Sant’Eligio) Apulia SummerTime 2018 15:00 – 15:45 (Circolo Ufficiali) L’economia della musica tra streaming, copyright e nuovi modelli di ricavo 15:00 – 16:00 (Circolo Ufficiali) Digital Communication – Marc Plotkin 15:00 – 18:00 (Circolo Ufficiali) Production – Tommaso Colliva 15:00 – 18:00 (Circolo Ufficiali) Sound Engineering and Design – Marc Urselli 15:00 – 18:00 (Circolo Ufficiali) Renzo Rubino 15:30 – 16:30 (Giardini Peripato) La chitarra che canta 15:30 – 16:45 (Circolo Ufficiali) Bed&Rec – il primo studio di registrazione turistico d’Italia 16:15 – 17:00 (Circolo Ufficiali) The art of booking of Festivals 16:30 – 17:30 (Circolo Ufficiali) The International Sync Market – Dan Koplowitz 16:30 – 17:45 (Circolo Ufficiali) Auand Days, un anno dopo 16:45 – 17:30 (Circolo Ufficiali) Andy Wood – L’inventore del grunge. Vivere (e morire) a Seattle prima dei Pearl Jam di Valeria Sgarella, Ledizioni, 2017 17:15 – 17:45 (Giardini Peripato) Paul Cook 18:00 – 19:00 (Giardini Peripato) Showcase WORLD 18:00 – 20:00 (Molo Sant’Eligio) Learning How to See in the Dark – ARTHUR DUFF per Medimex 2018 19:00 – 00:00 (Castello Aragonese) Mirkoeilcane 20:00 – 21:00 (Giardini Peripato) Canzoniere Grecanico Salentino – RAFFO FEST by MEDIMEX 20:30 – 21:10 (Rotonda del Lungomare) Rec’n’Play Contest 20:30 – 22:30 (Molo Sant’Eligio) E Green, Fido Guido, Zakalicious – RAFFO FEST by MEDIMEX 21:20 – 22:00 (Rotonda del Lungomare) Nitro 22:20 – 23:50 (Rotonda del Lungomare) #Gazzetta Music Contest 22:45 – 23:00 (Molo Sant’Eligio)

10 GIUGNO

Kurt Cobain e il Grunge. Storia di una rivoluzione 08:30 – 19:30 (Museo MArTA) Songwriting Camp – Medimex 2018 10:00 – 12:00 (Istituto musicale) HENDRIX ’68 – The Italian Experience di Enzo Gentile e Roberto Crema, Jaca Book, 2018 10:30 – 11:30 (Giardini Peripato) MEDIMEX MUSIC MARKET feat INDEPENDENT LABEL MARKET 11:00 – 14:00 (Giardini Peripato) Nitro 12:00 – 13:00 (Giardini Peripato) Learning How to See in the Dark – ARTHUR DUFF per Medimex 2018 19:00 – 00:00 (Castello Aragonese)

Il Medimex è un progetto Puglia Sounds, il programma della Regione Puglia per lo sviluppo del sistema musicale regionale, attuato con il Teatro Pubblico Pugliese, nell’ambito del Fondo diSviluppo e di Coesione 2014 – 2020 – Patto per la Puglia Area di Intervento IV “Turismo, cultura e valorizzazione delle risorse naturali”.