MEDIMEX 2020 - DIGITAL EDITION: 70 mila visualizzazioni per la prima music conference internazionale digitale Il MEDIMEX è sempre stato una grande festa, piena di luci, gente, colori e tanta musica declinata nella sua più bella ed alta accezione, gli spettacoli dal vivo, ma anche tutto il mondo che ruota e fa capo alle produzioni musicali. Giorni bellissimi, nei quali ci si poteva perdere tra suoni, mostre, workshop, confronti, presentazioni di libri, e poi gente, una folla festante che si spostava nelle varie location della città prescelta ad ospitare l’evento, perché il MEDIMEX è stato itinerante e, come la musica che abita in tutti i luoghi ma che non appartiene a nessuno, riempiva strade e piazze che quest’anno, a causa delle misure che comportano il distanziamento sociale, sono rimaste vuote e silenziose. L’evento però, nonostante tutto, continua a vivere ed animare pubblico, addetti ai lavori, curiosi ed appassionati, che hanno dovuto incontrarsi on-line nella solitudine dei propri appartamenti, ma accomunati dal desiderio e dalla voglia di non lasciare che tutto questo muoia, che l’egregio lavoro fatto finora da Puglia Sounds non venga perduto, affrontando con lo stesso entusiasmo il MEDIMEX D, versione digitale, ma non per questo meno interessante, dell’omologo evento dal vivo; largo, quindi, a webinar, incontri, confronti, dibattiti e workshop, tutto rigorosamente in streaming. MEDIMEX Digital Edition, come l’omologa versione live, anche quest’anno ha esplorato il mondo dell’industria musicale a 360 gradi, con le sue potenzialità ma anche criticità e trasformazioni ancora più marcate a causa del particolare periodo che stiamo vivendo e che ha messo in crisi l’intero comparto. Mentre dai social si alzava il grido di aiuto per i tanti lavoratori rimasti a casa a causa del blocco dei concerti dal vivo con l’hashtag #iolavoroconlamusica, trend topic del momento, il MEDIMEX D si preoccupava di fornire strumenti necessari ad affrontare questo cambio di paradigma, dal modo di affrontare la comunicazione digitale ai mezzi per aumentare i follower, insieme ai classici workshop altamente professionalizzanti e rivolti agli operatori del settore. Accanto alla formazione a numero chiuso, ci sono stati gli incontri e le interviste con musicisti ed addetti ai lavori, curati dal critico e giornalista musicale Ernesto Assante, che durante le varie dirette Facebook si è confrontato con ospiti del calibro di Tommaso Paradiso, Clemente Zard di Vivo Concerti, Ghemon, Chiara Santoro di Google Italia, Francesco Sarcina, Claudio Ferrante di Artist First, Diodato, Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari e Andrea Rosi di Sony. Molti i temi trattati e da molteplici punti di vista, dalle etichette indipendenti alle major per cercare di trovare soluzioni e discutere su nuovi modi di fare musica ed intrattenere, analizzando le perdite del mercato dei concerti dal vivo e dell’indotto, che si stima arrivino fino al 90%, ma anche per interrogarsi su come si possa creare business sfruttando i nuovi canali on-line come streaming e social network, mantenendo costante quel rapporto instaurato con i fan durante il lockdown, senza sottovalutare il grande potenziale delle nuove tecnologie che permettono ai musicisti di lavorare a distanza. Sensazioni, timori, speranze ed esperienze di chi vive di musica e per la musica, di cui ci piace ricordare soprattutto il racconto accorato di Diodato e del variegatissimo mondo dei musicisti pugliesi al quale Assante ha dedicato una interessante lezione. Quelli stessi musicisti che l’organizzazione del MEDIMEX ha sempre cercato di valorizzare, fornendo una vetrina internazionale prestigiosa, e che rappresentano il fiore all’occhiello di una regione, la Puglia, che ha fondato anche sui grandi eventi musicali e sull’estro originale dei suoi artisti il fulcro di un’offerta turistica già ricca dal punto di vista naturalistico. La prima Digital Edition del MEDIMEX 2020 chiude i battenti con all’attivo quasi 100 ore di attività in streaming, 1500 utenti che hanno partecipato a workshop e webinar online, 350 mila persone raggiunte sui social network, circa 70 mila visualizzazioni complessive, 130 mila interazioni su Facebook, 140 mila su Instagram e 50 mila su Twitter. Numeri da capogiro, che dimostrano, laddove ce ne fosse la necessità, l’enorme potenziale derivante dall’utilizzo strategico degli strumenti on-line, in grado di catalizzare l’attenzione di migliaia di utenti ed aprire nuovi mondi e nuovi mercati anche per tutti quei settori altamente creativi come la musica. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Il docufilm Fabrizio De André e PFM – Il concerto ritrovato, in tutti gli store dal 22 Maggio Se non fosse scomparso prematuramente, Fabrizio De André oggi avrebbe ottant’anni. Lui che non amava la tecnologia e non sopportava l’esposizione mediatica, a tal punto da non concedere l’autorizzazione per riprendere i suoi concerti, chissà cosa avrebbe da dire dell’Italia di oggi, in cui la popolarità si misura in “like”, le piazze virtuali hanno soppiantato quelle dove ci si incontrava, le dirette Facebook, sostituito i concerti dal vivo, la musica si ascolta in streaming casuali ed i concept album, nessuno li concepisce più, mentre, le contestazioni sono appannaggio di “leoni da tastiera”. Così accadeva prima che la pandemia da Coronavirus ci avesse costretti in casa ed accade anche in questo tempo sospeso, in cui restare a casa significa salvarsi la vita e salvarla agli altri. Eppure, ricordo un tempo recente che oggi appare lontanissimo, in cui la musica di De André, di una sconcertante modernità, riusciva ancora ad affascinare moltitudini di giovani, portandoli in piazza, per cantare, discutere ed incontrarsi. È successo così, ogni anno in occasione delle “cantate anarchiche” ed è successo anche per la proiezione del film “Fabrizio De André e PFM – Il concerto ritrovato”, nelle sale cinematografiche soltanto per 3 giorni, dal 17 al 19 febbraio, in un momento normale e spensierato, di cinema e locali aperti, la quiete prima del lockdown italiano. Soltanto 3 giorni, in cui il film ha incassato oltre un milione di euro, registrando più di 100.000 spettatori, tanto da spingere la Nexo Digital a replicarlo l’11 marzo (replica mai avvenuta, a causa dei provvedimenti governativi per fermare l’avanzata del COVID-19) e la Sony Music a commercializzarlo in un cofanetto, in vendita in tutti gli store dal 22 maggio. Un docufilm, la cui regia è magistralmente curata da Walter Veltroni, che racconta un pezzo di storia della musica italiana, poco conosciuto dalle nuove generazioni e forse dimenticato dalle vecchie. Dimenticato, come un nastro girato quarant’anni fa in occasione di un concerto, e ritrovato casualmente in un archivio di registrazioni inutili e destinate al macero, solo che, in questo caso, non si tratta della miriade di contributi video che ogni giorno tempestano il web, quella, è l’unica testimonianza di un evento epocale che sovvertì per sempre le sorti della musica italiana, forse per quell’idea rivoluzionaria di mischiare due generi diametralmente opposti o forse perché cambiò il modo di concepire la musica cantautorale. Probabilmente un ventenne di oggi non ci troverà nulla di rivoluzionario, in fondo adesso convivono allegramente nello stesso brano, trap e canzone melodica e nessuno se ne scandalizza, ma per capire la potenza di questa rivoluzione musicale, bisogna fare un passo indietro lungo quarant’anni, fino al 1978. https://www.youtube.com/watch?v=2liqjrkrisw Stanno per finire gli anni ’70, ancora non si sente quella spensieratezza che pervaderà gli anni ’80, gli anni di piombo pesano sull’Italia divisa in una serie sterminata di generi diversi, tra cantautori, interpreti, musica pop e musica rock, declinata poi in altri sottogeneri, ognuno con un pubblico diverso e ben definito, binari paralleli, percorsi musicali che non possono, e forse non devono, incontrarsi, in questo clima gli ibridi e le fusioni non sono contemplati. Questo è lo scenario in cui Fabrizio decide di fare una cosa inusuale ed azzardata per il tempo, colpito dal sound della PFM, acronimo di Premiata Forneria Marconi, invita i componenti della band a casa sua e dopo una serata conviviale, nasce l’idea di realizzare un progetto insieme. Il progetto in questione, come ogni rivoluzione che si rispetti, incontrerà l’opposizione di tutti, fan compresi, ma segnerà in modo indelebile la storia della musica. In fondo l’idea è semplice, anche se ancora nessuno ci ha pensato, Fabrizio propone i suoi brani più famosi, arrangiati alla maniera della PFM, molto rock e con dei bellissimi intermezzi musicali, che li arricchiscono moltissimo, restituendo ancora più forza ai concetti e nuova musicalità alle parole, del resto, i musicisti della PFM erano all’epoca, la migliore espressione del panorama musicale italiano e, forse, anche di quello mondiale. Ancora oggi, è straordinario ascoltarli in quel concerto di Genova, la Genova tanto amata da De André, quella Genova, coacervo di tante storie e culture diverse, che Fabrizio non smise mai di raccontare e, benché è facile accorgersi di trovarsi davanti ad un reperto storico, senza illuminazione adeguata, coreografie spettacolari o tutto quello a cui siamo ormai assuefatti quando ci apprestiamo ad assistere ad un concerto qualsiasi, se chiudiamo gli occhi, possiamo riconoscere la modernità del suono, gli arrangiamenti, la musica e i contenuti, ancora di una impressionante attualità. Se la musica riesce a rompere il muro del tempo, mostrarsi attuale dopo quarant’anni, siamo di fronte a temi immortali, o la nostra creatività sta scivolando in un lento declino e non riesce a portare musica nuova, non riesce a raccontare ciò che stiamo vivendo, oppure, è la società in cui viviamo che non è affatto cambiata.
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