Ciò Che Conta È La Bicicletta

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Ciò Che Conta È La Bicicletta Titolo originale: It’s All About the Bike In copertina: illustrazione di Florence Boudet Grafica: Grafco3 Il nostro indirizzo Internet è: www.ponteallegrazie.it Per essere informato sulle novità del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita: www.illibraio.it Ponte alle Grazie è un marchio di Adriano Salani Editore S.u.r.l. Gruppo editoriale Mauri Spagnol © Robert Penn, 2010. First published in Great Britain in the English language by Particular Books, a division of Penguin Books Ltd © 2011 Adriano Salani Editore – Milano ISBN 9788868331511 Prima edizione digitale 2013 Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. 1 La Petite Reine «Chi si inerpica con fatica troverà, ovunque vada, ali ad aspettarlo». Henry Charles Beeching, A Boy’s Song «Questo è il futuro» dice Butch Cassidy mostrando a Etta Place dove sedersi sul manubrio della sua bicicletta. Quando B.J. Thomas comincia a cantare Raindrops Keep Fallin’ on My Head sulle malinconiche note composte da Burt Bacharach, Butch ed Etta stanno già allontanandosi dalla fattoria in sella alla bici, lungo un sentiero sterrato. È uno degli intermezzi musicali più famosi della storia del cinema. La canzone si aggiudicò un Oscar. Quando Butch Cassidy uscì nelle sale nel 1969, la locandina ritraeva la coppia in bicicletta. Per la cronaca, Paul Newman eseguì personalmente le acrobazie sulle due ruote. L’intermezzo rappresenta un momento centrale del film: non è solo la legge a dare la caccia ai due pistoleri Butch Cassidy e Sundance Kid, ormai sulla via del tramonto; anche il futuro – simboleggiato dalla bicicletta – li insegue. Nella scena in cui i protagonisti si apprestano ad abbandonare la loro fattoria-rifugio, Butch scaraventa la bici giù per una discesa, in un fosso: «Il futuro è tutto tuo, stupida bicicletta!» grida. Dentro il ruscello, le ruote rovesciate ticchettano fino a fermarsi. Per Butch e Sundance è giunta l’ora di lasciare il West. Andranno in Bolivia per cercare di far rivivere il passato. William Goldman basò la sceneggiatura originale – anch’essa vincitrice di un Oscar – sulla vita di Robert LeRoy Parker e Harry Longabaugh, una famigerata coppia di rapinatori di treni che faceva parte della banda del Mucchio Selvaggio. Nel 1901 i due banditi lasciarono il Wyoming per fuggire in Argentina. Si chiudeva un periodo di cambiamenti straordinari, non solo nel selvaggio West ma in tutto il mondo occidentale. Per molte persone vissute nell’ultimo decennio dell’Ottocento, il futuro arrivò troppo in fretta. Quegli anni videro i primi collegamenti telefonici internazionali, la «corsa all’Africa», la nascita del Partito laburista inglese, la razionalizzazione e la codificazione degli sport a livello mondiale e le prime olimpiadi moderne. Furono scoperte l’eroina, il radio e la radioattività dell’uranio. A New York aprì il Waldorf-Astoria e a Parigi il Ritz. Durkheim inventò la sociologia. Tra le pietre miliari del pensiero sociale vi furono i diritti per i lavoratori e le pensioni di anzianità. I Rockefeller e i Vanderbilt accumularono fortune private di dimensioni mai viste. Nacquero la radiografia e la cinematografia. Verdi, Puccini, Čajkovskij, Mahler, Cézanne, Gauguin, Monet, William Morris, Munch, Rodin, Čechov, Ibsen, Henry James, W.B. Yeats, Rudyard Kipling, Oscar Wilde, Joseph Conrad e Thomas Hardy erano all’apice della loro creatività. Fu un decennio straordinario, il coronamento dell’epoca vittoriana. Al centro di tutto questo c’era la bicicletta. Si stima che nel 1890 i ciclisti negli Stati Uniti fossero 150.000: il costo di una bicicletta era grossomodo pari a metà del reddito annuo di un operaio. Nel 1895 era sceso a qualche settimana di salario e ogni anno c’erano milioni di nuovi ciclisti. Il tipo di bicicletta montata da Butch ed Etta prendeva il nome di safety bicycle. Era la prima bicicletta moderna, la conclusione della lunga ed elusiva ricerca di un veicolo a propulsione umana. La safety bicycle fu «inventata» in Inghilterra nel 1885. Tre anni più tardi, quando l’aggiunta delle gomme pneumatiche la rese confortevole, ebbe inizio la prima età dell’oro della bicicletta. Come scrisse Victor Hugo: «Si può resistere all’invasione degli eserciti; non si resiste all’invasione delle idee». Il «vangelo delle due ruote» si diffuse così rapidamente che la gente si chiedeva come mai una cosa tanto semplice fosse rimasta ignota per tanto tempo. La fabbricazione delle biciclette si affrancò dalle sue radici di industria a domicilio per diventare un grande, enorme business. Le biciclette cominciarono a essere prodotte alla catena di montaggio; il processo di progettazione fu separato da quello di produzione; fabbriche specializzate fornivano componenti uniformati. Un terzo di tutti i brevetti registrati negli Stati Uniti negli anni Novanta dell’Ottocento aveva a che fare con le biciclette, tanto che a Washington c’era un intero edificio dell’Ufficio brevetti dedicato alla bicicletta. Nel 1895 all’esposizione Stanley, la fiera campionaria dell’industria ciclistica che si teneva ogni anno a Londra, 200 aziende esposero un totale di 3000 modelli. Secondo la rivista The Cycle, quell’anno in Gran Bretagna furono prodotte 800.000 biciclette. Fabbri, armaioli e tutti coloro che avevano esperienza nella metallurgia abbandonavano la propria attività per andare a lavorare nelle fabbriche di biciclette. Nel 1896, l’anno in cui la produzione raggiunse il suo picco, 300 aziende statunitensi produssero un totale di 1,2 milioni di biciclette, rendendo quell’industria una delle più grandi della nazione. La Columbia, la più grossa di queste ditte con i suoi 2000 dipendenti delle officine di Hartfort, nel Connecticut, vantava una produzione di una bicicletta al minuto. Alla fine del decennio la bicicletta era ormai diventata un pratico mezzo di trasporto privato per milioni di individui, il cavallo della gente comune. Per la prima volta nella storia, la classe lavoratrice acquistava mobilità. Ora che gli operai potevano fare i pendolari, i tenements affollati si svuotarono, le periferie si espansero e l’intera geografia delle città si modificò. In campagna la bicicletta contribuì ad ampliare il patrimonio genetico della popolazione: i certificati di nascita di quell’ultimo decennio dell’Ottocento mostrano come alcuni cognomi cominciarono a fare la loro comparsa lontano dalle località rurali a cui erano rimasti vincolati per secoli. Ovunque, la bicicletta rappresentò un catalizzatore delle campagne d’opinione per il miglioramento delle strade, spianando letteralmente la strada all’avvento dell’automobile. I benefici della bicicletta sulla salute rispondevano al desiderio di miglioramento personale che caratterizzò quell’epoca: quegli stessi lavoratori che usavano la bicicletta per andare in fabbrica e alle miniere di carbone fondavano club ginnici e cori, biblioteche e società letterarie, e nei finesettimana pedalavano insieme come membri di circoli ciclistici. Ci fu un’esplosione di corse professionistiche e amatoriali. In America le competizioni su pista o nei velodromi divennero lo sport più seguito dal pubblico. Arthur A. Zimmerman, uno dei primi sportivi a diventare una star internazionale, vinse – prima da dilettante e poi da professionista – oltre mille corse in tre continenti, aggiudicandosi tra l’altro due medaglie d’oro ai primi campionati del mondo di ciclismo, che si tennero a Chicago nel 1893. In Europa le competizioni su strada raggiunsero una popolarità immensa. «Classiche» in linea come la Liegi-Bastogne-Liegi e la Parigi-Roubaix vennero organizzate per la prima volta nel 1892 e nel 1896 rispettivamente. Nel 1903 ci fu la prima edizione del Tour de France. Negli spensierati anni Novanta l’idea di velocità seduceva in particolare gli americani: la consideravano un segno di civiltà. Grazie ai trasporti e alle comunicazioni, finirono per associare la velocità all’unificazione del loro smisurato paese. In sella a una bicicletta quell’idea diventava realtà. Alla fine del 1893 i corridori su pista superarono la barriera dei sessanta chilometri all’ora. La bicicletta eclissò il cavallo al trotto e divenne la cosa più rapida che circolava sulle strade. Con il trascorrere del decennio i progressi tecnologici resero il veicolo sempre più leggero e veloce. Nel 1891 l’inglese Monty Holbein stabilì il record del mondo delle ventiquattro ore in pista percorrendo 577 chilometri nel velodromo Herne Hill di Londra; sei anni dopo Mathieu Cordang, un olandese appassionato di sigari, percorse 400 chilometri in più. Una tipica bicicletta dell’epoca era a scatto fisso (senza cambi di rapporto né ruota libera), aveva un telaio d’acciaio, il manubrio leggermente ribassato, una sella in pelle e in genere era priva di freni (per frenare si doveva pedalare all’indietro). Le bici da strada pesavano di solito una quindicina di chili, quelle da corsa meno di dieci, che è più o meno il peso delle migliori biciclette da corsa su strada dei nostri giorni. Il 30 giugno 1899 Charles Murphy divenne il più famoso ciclista d’America percorrendo un miglio in 57,45 secondi dietro una locomotiva lanciata lungo la Long Island Railroad, su assi posati tra i binari. La bicicletta veniva incontro alla richiesta di indipendenza e mobilità della società fin de siècle. La safety avvicinò interi nuovi gruppi sociali alle due ruote: anziani e ragazzi (modelli per bambini furono commercializzati fin dai primi anni Novanta), persone basse e fuori forma, uomini e donne. Per la prima volta tutti potevano andare in bicicletta. Grazie alla produzione di massa e a un fiorente mercato dell’usato quasi tutti potevano permettersene una. Come scrisse all’epoca l’autore statunitense Stephen Crane: «Tutto è bicicletta». Forse l’effetto maggiore che ebbe la bicicletta fu quello di rompere le rigide barriere di classe e di sesso che avevano retto fino ad allora. C’era una carica di democrazia nella bicicletta a cui la società non era in grado di opporre resistenza. H.G. Wells, descritto da uno dei suoi biografi come lo «scrittore laureato dei ciclisti», utilizzò la bicicletta in molti romanzi per illustrare i drammatici cambiamenti sociali che avevano luogo in Gran Bretagna.
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