Enrico La Loggia

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Enrico La Loggia ENRICO LA LOGGIA In questo incontro abbiamo potuto ascoltare una serie di prese di posizione che non sono sempre, come avrete notato, uniformi e coordinate tra loro. Forse si potrebbe dire, con una battuta anche abbastanza facile, che a questo punto c’è una cosa molto chiara, ovvero che c’è molto poco di chiaro nella riforma della quale stiamo parlando. Forse questa non è soltanto una battuta. Almeno per alcuni aspetti questo è realmente un problema che abbiamo davanti. Ma non è soltanto un problema del governo, del parlamento, delle istituzioni; io credo che il problema sia soprattutto dei cittadini. A questo proposito l’intervento dell’amico Sangalli è stato certamente illuminante, illuminante nel cercare di trarre quanti più possibili elementi utili all’interno delle norme che ci ha lasciato in eredità la precedente legislatura. Io mi rendo conto che ha senso parlare con gli addetti ai lavori di una distinzione tra federalismo e municipalismo, ovvero se dobbiamo maggiormente puntare su un’autonomia regionale o su maggiori poteri alle amministrazioni locali. Certamente ha senso discettare se è veramente meglio per i comuni un passaggio da un centralismo statale a un centralismo regionale. Sono opinioni a confronto. Non in contraddizione, per altro, nell’indirizzo verso un’efficace composizione di norme in senso federale. Ci sono modelli in un modo e modelli in un altro. Ha senso anche discutere su chi deve esercitare il potere legislativo. Le regioni? E in che materie? Lo Stato? E in quali altre materie? Aggiungo, purtroppo, che in tante, troppe materie, il potere legislativo compete in parte allo Stato e in parte alle regioni. In questo marchingegno, che viene definito di legislazione concorrente, in un’enorme quantità di materie le regioni hanno la potestà di legiferare e lo Stato quella di segnare i principi fondamentali all’interno dei quali le regioni possono legiferare. Io credo però che non sarebbe facile trovare in Italia, ma temo anche in Europa, due studiosi di diritto costituzionale che la pensino esattamente alla stessa maniera in ordine di confini tra la definizione di principi fondamentali e la definizione di una legislazione di settore. A mio avviso questo è un problema. È un problema di certezza del diritto, è un problema di programmazione della propria vita in quanto imprenditori, cittadini, operatori all’interno delle istituzioni. Quando dicevo, all’inizio, che poteva essere ancora utile per gli addetti ai lavori discutere di queste problematiche, mi riferivo al fatto che per il cittadino è totalmente inutile sapere se una determinata cosa è di competenza dello Stato, del comune, della provincia o della regione. Salvo il fatto che qualcuno gli indichi la strada per ottenere, ad esempio, un’autorizzazione, una concessione, un contributo o un finanziamento. Pensate invece alla difficoltà in cui si può trovare un imprenditore nel momento in cui si trova a voler aprire la propria attività di impresa all’interno di una determinata regione per scoprire, il giorno dopo, che la norma in base alla quale ha impostato la propria richiesta di apertura è stata impugnata dal governo. La decisione della Corte Costituzionale, che dovrà dire se la norma è stata impugnata legittimamente o illegittimamente, non arriverà certamente prima di tre o quattro anni. Con quale certezza e con quanto entusiasmo quell’imprenditore si troverà ancora ad operare all’interno di quella regione? Ecco che per il cittadino comincia a diventare più interessante sapere di che cosa stiamo parlando. Perché quando il cittadino si limita ad ascoltare un dotto dibattito tra addetti ai lavori si chiede, in fondo, che cosa gliene venga a lui alla fine di tutta la storia. Bisogna cominciare a spiegare al cittadino che gliene viene moltissimo. Perché gli argomenti di cui stiamo parlando incidono sulla sua vita di tutti i giorni, sulla sua attività, sulla sua impresa, sulla sua prospettiva di lavoro, di guadagno, di reddito. Se capisse questo forse il cittadino sarebbe un po’ più interessato. Mi limiterò a fare alcuni esempi a proposito del tema di questo incontro. Incontro opportunamente organizzato in questo particolare momento storico e che si basa, leggo dal cartoncino di invito, sull’idea di tracciare una prima valutazione del processo di conferimento di funzioni e compiti degli enti locali. La prima valutazione non è sicuramente positiva. Anzi è drammaticamente negativa. Ciò che resta da fare è il novanta per cento di tutto quello deve essere fatto. Abbiamo una riforma della Costituzione che è entrata in vigore il 9 Novembre dell’anno scorso, tutto sommato poche settimane fa. Ebbene a questa riforma nessuno aveva cominciato a lavorare prima che entrasse in vigore. Non vi hanno iniziato a lavorare né i comuni, né le regioni, né le provincie, né lo Stato, né tantomeno le organizzazioni di categoria e di rappresentanza dei cittadini. Eppure dopo quella riforma ci troviamo di fronte a una rivoluzione copernicana rispetto all’assetto precedente. Non sto facendo né una critica al principio e nemmeno alla linea che abbiamo davanti. Io sono un iperfederalista, sono assolutamente convinto della necessità del passaggio da uno Stato centralista a uno Stato unitario con forti caratterizzazioni federaliste. Questo passaggio, però, può essere realizzato solo se viene affrontato in armonia, con una partecipazione corale e non come una sorta di imposizione attraverso gabbie che vengono calate dall’alto sull’attività di cittadini, istituzioni, ed enti. Imposizione effettuata senza una logica, per altro, perché vi sono cose, nella realizzazione di questa riforma, per cui si stenta a poter dimostrare che sia stata seguita una logica. Quindi non è il principio ad essere sbagliato, ma lo è il metodo attuativo. Ed è esattamente sul metodo attuativo che dobbiamo innanzitutto lavorare. Stiamo quindi ampiamente lavorando per tentare di dare una prima, primissima, attuazione a quella riforma costituzionale che abbiamo ormai alle spalle da qualche settimana. E nel frattempo, come ha ricordato l’amico Speroni, bisogna lavorare per innestare su questo la devoluzione, innestarla in quelle tre materie ricordate: istruzione, sanità e sicurezza locale. Non dobbiamo però dimenticare che abbiamo davanti il compito più forte, più pesante, più consistente, cioè quello di riformare la riforma. Laddove se non provvedessimo a modificarne alcuni aspetti, alcune materie, alcune procedure, si metterebbe seriamente a rischio il Sistema Paese. Eravamo tutti abituati, sino a qualche settimana fa, a considerare lo Stato come un’istituzione gerarchicamente superiore rispetto alle altre, ovvero regioni, province, città metropolitane e comuni. Era giusto? Era sbagliato? Non lo so, era così. Per cinquantaquattro anni lo abbiamo considerato giusto. Adesso non è più così. E io sono d’accordo che non sia più così. È giusto che non sia più così. Ma le conseguenze successive dovevano essere curate con altrettanta cura rispetto all’affermazione del principio. E qual è il principio adesso? Leggo dall’articolo 114 della Costituzione: ‘la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle provincie, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato’. E poi ancora: ‘le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea nel rispetto delle norme di procedura stabilite da leggi dello Stato’. La competenza quindi è loro, lo Stato deve provvedere a segnare la procedura, laddove invece non segna la procedura lo Stato si blocca e la regione non parte. Stiamo parlando di esecuzione di direttive comunitarie, non stiamo parlando di un atto normativo di secondo ordine. Stiamo parlando della massima norma gerarchicamente considerabile nell’ambito di tutte le materie che hanno influenza sulla nostra vita di ogni giorno. E poi ancora: ‘la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva dello Stato’. E questo pare essere ovvio. Però cosa succede dopo? Leggo: ‘La potestà regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia’. E già questo è di più difficile interpretazione. L’interpretazione più logica però, e almeno su questo ci siamo trovati tutti d’accordo, è che le regioni possono esercitare la loro potestà regolamentare in tutte le materie che sono di esclusiva competenza delle regioni. E anche questo sembra essere ovvio. Ma poi la esercitano anche in tutte le materie che sono in legislazione concorrente tra lo stato e le regioni. E questa è una novità assoluta. Ed è tutt’altro che ovvia. Quindi ci sono materie, e adesso ve ne farò qualche esempio, in cui lo Stato e le regioni partecipano insieme a regolamentare qualche cosa di importante per la nostra vita. Ma sono le regioni a regolamentare, non lo Stato. Non Stato e regioni insieme, ma soltanto le regioni. Questo risponde ad un corretto principio federale? Vi rispondo tra qualche secondo a questa domanda che può sembrare retorica. Vi sono infatti alcune materie per le quali realmente si fa fatica ad immaginare come possa essere divisa la competenza dello Stato e delle regioni. Pensate, per esempio, alla tutela e alla sicurezza del lavoro. Oppure pensate alle professioni. La legislazione è delle regioni, non più dello Stato. Pensate ancora alle grandi reti di trasporto e di navigazione, e ancora, all’ordinamento della comunicazione. Nel momento in cui di questo argomento si parla in termini planetari noi dovremmo discettare su quale parte spetti allo stato e quale altra parte alle regioni. Ed ancora, e qui ho ascoltato con molto interesse e grande rispetto l’appello, recentissimo, del Capo dello Stato, pensate alla produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. Non è proprio un argomento secondario nella vita civile, amministrativa, ma soprattutto produttiva e imprenditoriale del nostro Paese. Esso spetta parte allo Stato e parte alle regioni, ma il regolamento è delle regioni. Allora, tutto ciò segue la linea di un corretto federalismo? No, questo non serve al federalismo, questo serve solo a complicare la vita delle istituzioni e dei cittadini.
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