Storia Del Computer Dalla Sua Nascita Ai Giorni Nostri
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Storia del Computer dalla sua nascita ai giorni nostri Il padre dell’informatica è Alan Turing è un matematico considerato l’inventore dell’informatica tanto che il maggior riconoscimento in ambito informatico porta proprio il suo nome. Non esiste il premio Nobel per l’informatica ma esiste il premio Turing di uguale prestigio. Nel film the imitation games (giochi di imitazione) il titolo è ispirato al contributo che Turing ha dato nell’ambito dell’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale nasce quasi in contemporanea all’informatica tedesca e Turing se ne occupò in prima persona: sosteneva che una macchina era intelligente se era in grado di agire come una persona quindi di imitare il comportamento di una persona e da qui il nome di imitation games. Nella storia del film viene però prevalentemente fatto vedere il ruolo che Turing ha avuto durante la seconda guerra mondiale visto che viene assoldato dai servizi segreti inglesi per decifrare i messaggi che i tedeschi si scambiavano e lui costruì una macchina, cioè la prima versione del computer, che decriptò i messaggi in codice. Il suo contributo diventa così fondamentale nella conclusione della guerra a favore degli inglesi. Ci collochiamo così nella prima metà degli anni ’40 ma bisogna aspettare il decennio successivo per avere una vera e propria industrializzazione dei computer ovviamente in misura molto minore rispetto ai giorni d’oggi. I computer degli anni ’50 erano dei macchinari enormi che occupavano intere stanze ed erano molto più difficili da utilizzare rispetto a quelli di oggi: c’era la figura del tecnico che era l’unico che sapeva mettere mano a questi computer. Erano inoltre oggetti che costavano moltissimo per cui venivano comprati solo da aziende e solo da alcune aziende. Siccome c’era poco mercato dei computer c’erano anche poche aziende che producevano computer. Una di queste già negli anni ’50 c’era IBM. Per avere il primo Personal Computer della storia dobbiamo aspettare gli anni ’60. La parola personal indica che il computer è un oggetto di uso personale in contrapposizione al fatto che i computer erano solo oggetti enormi usati anche da 10-20 persone per volta. Il primo PC non è stato prodotto nella Silicon Valley ma è stato prodotto in Italia, a Ivrea, dove c’era la sede dell’Olivetti che nel 1965 produce “Programma 101” L’aspetto non è quello dei computer a cui siamo abituati oggi ma ricorda una macchina da scrivere o una calcolatrice visto che ha i tasti con i numeri, i tasti con le operazioni e il rotolo di carta: quindi abbiamo una tastiera come dispositivo di imput e il rotolo di carta come dispositivo di output; non c’è monitor, i risultati vengono tutti stampati su foglietto di carta. Un’altra cosa che oggi si fa con i computer oltre a scrivere e ottenere un risultato che oggi ci viene mostrato su monitor è salvare i dati da qualche parte. All’Olivetti si erano inventati delle schede magnetiche Sembra un foglietto di carta ma se lo giriamo vediamo una banda magnetica che è una banda di memorizzazione che viene inserita nell’apposito slot e permette di memorizzare dati e di rileggerli una volta che sono stati scritti. Questa è un’innovazione rispetto a prima e contribuisce a rendere questa macchina diversa da una comune calcolatrice. Questo sarebbe quello che in italiano viene definito un calcolatore che, a differenza di una calcolatrice, può essere programmato e quindi permette di fare operazioni molto più complesse. Tra queste operazioni ci sono quelle di balistica quindi ad esempio questa macchina è in grado di calcolare bene le orbite dei satelliti attorno ai pianeti o le orbite dei pianeti attorno al sole. Questa macchina viene diffusa nel ’65, un periodo storico in cui i calcoli di questo tipo vengono visti come molto importanti: è il periodo della “guerra fredda” tra Stati Uniti e Russia e della conquista dello spazio con lo Sputnik da una parte e le missioni Apollo dall’altra. Quindi quando gli americani vedono questa macchina, ne sono entusiasti L’Olivetti “Programma 101” veniva chiamata “Perottina” dal nome dell’Ing. Pier Giorgio Perotto che la aveva creata, viene prodotta a Ivrea ma viene poi resa nota in tutto il mondo grazie a una fiera dell’elettronica che si svolse a New York nel ’65. In totale ne sono state vendute 44.000 copie che per oggi sarebbe un numero molto basso ma per allora era un numero molto alto e più del 90% sono state vendute negli stati uniti e alcune di queste sono state acquistate proprio dalla NASA, cioè l’agenzia spaziale americana che le usava per farci i calcoli delle missioni Apollo. Video RAI anni ’60 da linkare nella scheda Il successo della P101 è stato talmente grande che altre aziende la copiano. È il caso dell’HP che nel 1968 presenta la Hewlett-Packard 9100A. Di Photograph by Rama, Wikimedia Commons, Cc-by-sa-2.0-fr, CC BY-SA 2.0 fr, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17128364 Uno dei primi ordini all’Olivetti è proprio da parte dell’HP che ne acquistò circa 100 copie e il funzionamento interno dell’HP 9100A era talmente uguale alla P101, brevettata che l’Olivetti fece causa all’HP e la vinse. Questa è fisicamente più evoluta: ha più tasti che consentono di programmare in maniera più agevole e oltre allo stesso tipo di output cartaceo ha anche un piccolo schermo che consente di visualizzare 4 righe per volta. Il “mouse” nasce anch’esso negli anni ’60 ma poi andrà perso e dimenticato fino al 1984. La nostra è una riproduzione del primo mouse costruito dal prof. Engelbart, docente di Stanford che necessitava di un puntatore in quelle che oggi chiameremmo videoconferenze: lui voleva fare in modo, tramite un sistema di telecamere e televisioni, che tutti i suoi studenti, non solo quelli presenti fisicamente, potessero partecipare alle sue lezioni. Si inventa il mouse con lo scopo di avere un cursore che si muova sullo schermo. Era stato fatto di legno perché era un materiale semplice da reperire e da modellare. È anche molto più grosso dei mouse a cui siamo abituati perché sotto doveva ospitare due rotelline: una per lo scorrimento in verticale e l’altra per quello orizzontale. Un’idea che per noi oggi è banale visto che abbiamo imparato ad usarlo solo guardandolo usare: l’idea però di avere un oggetto fisico appoggiato sulla scrivania, muovendo il quale si veda qualcosa muoversi sullo schermo per allora era un’idea del tutto nuova. Il mouse scompare fino al 1984 perché i computer degli anni ’70 non erano ancora completamente personal, nonostante ci fossero già stati i primi tentativi di produrli. Negli anni ’70 andavano di moda i cosiddetti “mini computer”. Noi ne abbiamo 2. Erano “mini” perché, se confrontati ai computer degli anni ’50 che erano enormi e occupavano pareti e stanze, questi occupavano solo un’anta di un armadio. Infatti i successivi che potevano essere appoggiati su un tavolo, furono chiamati “micro”, dopo di che questa nomenclatura si perse. Questi sono due modelli diversi dello stesso mini computer che si chiamava PDP 11 Sono individuati da sigle: i nostri sono PDP11/34 e PDP 11/40. In alto c’è il marchio dell’azienda Digital che, nonostante negli anni ’70 avessero il monopolio dell’industria del computer (tutto quello che è su questa parte di parete è a marchio Digital), oggi non esiste più perché fallita. Il mouse su computer come questi è l’ultimo dei nostri pensieri, perché non solo non abbiamo più il monitor, ma si è persa anche la tastiera o quella parvenza di tastiera che avevamo prima. Al suo posto troviamo levette che si sollevano e si abbassano [inserire il meccanismo di funzionamento omesso per mancanza di tempo]. Sopra alle leve ci sono luci che si accendono e spengono in base al risultato. È un apparecchio che consuma moltissima elettricità e produce molto rumore. Immaginate di voler dare una sequenza di istruzioni al vostro computer e di voler vedere il risultato dello stesso procedimento (algoritmo) cambiando solo un dato ad esempio quello iniziale: per fare questo dovrei ripetere l’intero procedimento tutto da capo. Si capisce che questo rende tutto molto noioso e lungo. Il primo passo in avanti per eliminare le levette cioè il dispositivo di input, è stato quello di introdurre le cosiddette schede perforate. Ogni scheda corrisponde ad un’istruzione codificata da una sequenza di fori. Per fare questo c’erano i perforatori di schede: le schede vergini venivano introdotte nel macchinario e tramite in meccanismo complicato in cui le schede messe in alto vengono prima ribaltate e poi fatte passare dal basso a sinistra in alto a destra. Durante il passaggio vengono fatti i fori corrispondenti all’istruzione data. Se il programma è lungo e prevede una lunga sequenza di istruzioni, sfrutto un altro macchinario per leggere le schede. Il “lettore per schede perforate che abbiamo è della Digital. Il rumore emesso dal lettore è un misto tra aspirazione (per aspirare le schede all’interno del macchinario) e movimento metallico di una sorta di pettine con dei dentini che identificano la posizione dei fori: quando c’è il foro il metallo sopra fa contatto col metallo sotto, se non c’è il foro non si ha contatto perché in mezzo c’è la carta. Il vantaggio è quindi che se devo mantenere la stessa sequenza di istruzioni cambiando solo l’inizio, basterà cambiare solo la prima scheda. Questo lettore passerà poi le istruzioni al computer PDP 11 che processerà i calcoli.