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FONDAZIONE ROSSELLI Istituto di Economia dei Media

L’INDUSTRIA DELLA COMUNICAZIONE IN ITALIA

TREDICESIMO RAPPORTO IEM

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni © 2011, Fondazione Rosselli Corso Giulio Cesare 4 bis/B 10152 Torino Tel. +39 011 2079083 Fax +39 011 76 52 613 [email protected] | www.fondazionerosselli.it

ISBN 978-88-97269-03-8

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art.68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 .633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da Fondazione Rosselli. FONDAZIONE ROSSELLI

Fondazione Rosselli Istituto di Economia dei Media

L’INDUSTRIA DELLA COMUNICAZIONE IN ITALIA

TREDICESIMO RAPPORTO IEM

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni A cura di Flavia Barca

Coordinamento operativo Andrea Marzulli

Autori Flavia Barca - Daniela Ciavarelli - Andrea Marzulli -Luca Murrau Lorenzo Principali - William Ricci - Paola Savini - Roberto Triola Chiara Valmachino - Bruno Zambardino

La Fondazione Rosselli ringrazia per il sostegno:

ed inoltre:

Se i dati e le informazioni di seguito rappresentati sono stati raccolti in maniera accurata, non si intende comunque offrire alcuna garanzia formale, esplicita o implicita, che le fonti da cui sono stati raccolti siano veritiere o complete. Le informazioni sono state espressamente raccolte per l’uso in questo rapporto di ricerca e basate sui dati e le fonti disponibili al momento della realizzazione dello studio, per il quale ci si riserva il diritto di aggiornamenti e correzioni in qualsiasi momento. La Fondazione Rosselli non si assume, quindi, alcuna responsabilità formale su dati e valutazioni espresse e sull’eventuale uso che di questi possa essere fatto in altre sedi, come ad esempio intraprendere iniziative o valutazioni commerciali basate sulle informazioni qui raccolte e sulle opinioni qui espresse. Indice Introduzione (7) di Flavia Barca e Andrea Marzulli Parte prima Mercati Televisione di Andrea Marzulli 1. Introduzione (15) - 2. Ascolti e penetrazione (16) - 3. Il mercato (23) - 4. L’andamento della pubblicità televisiva: lo scenario europeo (26) Radio di Chiara Valmachino 1. Lo scenario (33) - 2. Gli investimenti pubblicitari (39) - 3. Il confronto internazionale (41) - 4. Le piattaforme di distribuzione e il futuro della radio (42) Cinema di Bruno Zambardino 1. Produzione, distribuzione, esercizio (48) - 2. Le risorse del mercato (51) - 3. Una comparazione con i mercati europei (59) Home-video di Andrea Marzulli 1. Il mercato italiano (63) - 2- Il confronto internazionale (66) Libri di Daniela Ciavarelli 1. Produzione e lettura (71) - 2. Valore del mercato (74) - 3. Confronti internazionali (76) Quotidiani e periodici di Paola Savini 1. Introduzione (80) - 2. quotidiana e periodica in Italia: analisi dei principali indicatori (82) – 2.1 Tiratura, diffusione e vendita (82) – 2.2 La lettura (84) – 3. Le aziende editoriali: fonti di ricavo e redditività (86) – 3.1 Quotidiani (86) 3.2 Periodici (88) – 4. Il confronto internazionale (89) Directory di Luca Murrau 1. Il mercato italiano (94) - 2. Il mercato europeo (96) Musica registrata di William Ricci 1. Il mercato italiano (99) - 2. Il mercato europeo (103) - 3. Il mercato mondiale (105) Pubblicità 1. La comunicazione commerciale: lo scenario 2008-2009 (108) - 2. Il media mix italiano (111) - 3. Il confronto internazionale (115) Telecomunicazioni fisse e banda larga di Lorenzo Principali 1. Il mercvato dei servizi di rete fissa e la banda larga (120) - 2. Gli operatori, gli investimenti e l’ultra broadband (126) - 3. Il confronto internazionale (132) - 4. La separazione funzionale della rete (136) Telecomunicazioni mobili di Lorenzo Principali 1. Lo scenario del mercato (142) - 2. Gli operatori infrastrutturati e i MVNO (144) - 3. La banda larga mobile: contenuti, traffico e investimenti (146) - 4. Il confronto internazionale (149) Informatica di Roberto Triola 1. Introduzione (153) - 2. Le imprese IT in Italia (155) - 3. Il mercato (157) - 4. Il confronto internazionale (163) Videogiochi di William Ricci 1. Il mercato italiano (167) - 2. Mercato europeo (173) - 3. Abitudini di consumo (174) Parte seconda Approfondimenti Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni di Flavia Barca, Andrea Marzulli, Luca Murrau, Lorenzo Principali, Bruno Zambardino

1. Introduzione e Nota Metodologica (178) 1.1. Introduzione (178) 1.2. Nota metodologica (182) 2. Gli aiuti di stato a cultura e telecomunicazioni: orientamenti e iniziative dell’Unione Europea (186) 2.1. I nuovi orientamenti sugli aiuti di Stato (186) 2.2. La deroga prevista per gli aiuti alla cultura e le iniziative di supporto (188) - 2.2.1. La deroga per la cultura (188) - 2.2.2. Le iniziative di supporto (191) 2.3. L’azione europea per le telecomunicazioni (195) - 2.3.1. Il quadro generale (195) - 2.3.2. Gli aiuti di stato a sostegno del broadband (197) - 2.3.3. Le aree di aiuto al broadband (199) 3. La spesa pubblica in Italia in telecomunicazioni e cultura nel sistema dei conti pubblici territoriali (201) 3.1. Introduzione (201) 3.2. Il quadro complessivo (202) 3.3. La spesa pubblica nelle telecomunicazioni (205) - 3.3.1. Spesa complessiva sul territorio italiano (205) - 3.3.2. Spesa per regione (207) 3.4. La spesa pubblica in cultura (209) - 3.4.1. Spesa complessiva sul territorio italiano (209) - 3.4.2. Spesa suddivisa per regione (214) 4. L’intervento pubblico in Italia nei settori dell’industria della comunicazione (217) 4.1. Radio e tv (217) - 4.1.1. Introduzione (217) - 4.1.2. Sostegno alla tv pubblica nazionale (217) - 4.1.3. Le convenzioni Rai con la PA (222) - 4.1.4. I contributi del Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento delle Comunicazioni (228) - 4.1.5. I contributi della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Editoria ed Informazione (233) - 4.1.6. Rimborsi per messaggi autogestiti a titolo gratuito in campagna elettorale (236) - 4.1.7. Contributi per il digitale terrestre (239) 4.2. Editoria (247) 4.3. Cinema e spettacolo dal vivo (251) - 4.3.1. Introduzione (251) - 4.3.2. Evoluzione degli stanziamenti Fus e macrotendenze (258) - 4.3.3. I settori più rilevanti: cinema, fondazioni lirico- sinfoniche, attività musicali, prosa (262) - 4.3.4. Investimenti pubblici a favore della fiction nazionale e i fondi regionali per l’audiovisivo (271) - 4.3.5. I fondi extra-FUS (273) - 4.3.6. Le risorse Arcus per la cultura e lo spettacolo (275) - 4.3.7. Le risorse del lotto per lo spettacolo (283) - 4.3.8. La ridistribuzione della spesa pubblica nazionale a livello regionale (285) 4.4. Forme di incentivi pubblici alle infrastrutture di telecomunicazione (290) - 4.4.1. Introduzione (290) - 4.4.2. I principali organismi impegnati nella diffusione della banda larga (291) - 4.4.3. I principali interventi a livello nazionale (294) - 4.4.4. I principali interventi a livello regionale (300) - 4.4.5. Le risorse stanziate nella lotta al digital divide (302) Bibliografia (304) Considerazioni a margine dello studio (306) di Carla Bodo (306) di Maurizio Dècina (309) di André Lange (310) di Mario Morcellini (311) di Mariella Volpe (314) Note sugli autori (326) diIntroduzione Flavia Barca e Andrea Marzulli

Una forte flessione nel 2009 e una ripresa generalmente debole, con l’eccezione di alcuni comparti, nel 2010. Il quadro disegnato dall’andamento dell’industria della comunicazione nel corso della crisi economica non è particolarmente differente da quello dell’economia in generale nel nostro Paese. La flessione di questo macro-settore, dal perimetro non immune da puntualizzazioni metodologiche, è stata complessivamente del 4,4%, una percentuale non lontana da quella pronosticata nel precedente rapporto (4,9%), grazie a una ripresa migliore del previsto negli ultimi mesi del 2009. Il valore totale si attesta sui 96.147 milioni di euro (contro i 100.520 del 2008), una cifra di poco inferiore a quella registrata nel 2005. Questo valore non supererà i 100 miliardi a fine 2010; anzi, considerando le difficoltà dell’ICT, resterà decisamente al di sotto. Figura 1 - Ricavi dell’industria della comunicazione, 2005-2009

105.000

100.321 100.520 100.000 98.712

96.263 96.147 95.000

90.000

85.000

80.000 2005 2006 2007 2008 2009

Note: dati in milioni di euro. Fonte: IEM su varie. L’andamento dei diversi mercati nel 2009 lascia poco spazio a considerazioni fuori dall’alveo nel quale i fenomeni degli ultimi anni sono stati letti e interpretati. Se guardiamo ai pochissimi segmenti che hanno chiuso l’anno con un segno positivo, troviamo il mercato pubblicitario su Internet, la cui forte crescita è stata solo frenata ma il cui ruolo nel riposizionamento degli investimenti in comunicazione si conferma. A questa si aggiunge il box office cinematografico, che conferma la sua straordinaria valenza anticiclica, ma che rappresenta solo la prima delle tipologie di sfruttamento del prodotto. Prodotto che invece non è immune dal restringersi delle finestre successive, come l’home video, in forte caduta, e la televisione con la flessione dei ricavi

Introduzione 7 pubblicitari e il rallentamento di quelli da abbonamento. Terzo e ultimo segmento in positivo, la pubblicità below the line, forma di comunicazione commerciale che tradizionalmente meno risente dell’andamento macroeconomico rispetto agli investimenti sui mezzi classici. La lista dei mercati con segno negativo comprende tutti quei settori che hanno pagato la crisi pubblicitaria, a diversi livelli d’incidenza. Per cui può essere considerato persino positivo il –3,4% della televisione, dove la flessione pubblicitaria, meno forte che in altri media, è stata parzialmente compensata dalla crescita, persistente seppur a tassi inferiori, della pay. Peggio è andata alla radio e, soprattutto, a quotidiani e periodici, i quali non hanno trovato nelle vendite dirette un fattore di compensazione quanto di aggravamento del risultato finale. Se musica e home video proseguono nella loro erosione, condizionata dalle alternative offerte Internet (in senso ampio, leggi: file sharing), che colpiscono ormai anche i quotidiani e le directory, desta preoccupazione la forte battuta d’arresto (-8%) dell’informatica, mercato che nel nostro Paese è già fortemente sottodimensionato e che ha risentito in particolare della contrazione della domanda business. Figura 2 - Andamento dei mercati della comunicazione (var. % 2009 su 2008)

Internet (pubblicità) 6,4

Cinema 4,2

Pubblicità below the line 1,5

Tlc mobili -1,5

Tlc fisse -3,3

Televisione -3,4

Libri -4,3 Industria della Comunicazione -4,4 Radio -7,8

Informatica -8,1

Quotidiani -9,0

Directory -9,7

Videogiochi -10,6

Musica registrata -13,1

Periodici -14,1

Home video -17,9

Pubblicità esterna -18,9

-25,0 -20,0 -15,0 -10,0 -5,0 0,0 5,0 10,0

Fonte: IEM su varie. Nel corso del 2010 si sono visti i segnali di ripresa, ma non per tutti i settori. Sul versante pubblicitario, hanno ripreso la loro corsa in doppia cifra gli investimenti su Internet (nel periodo gennaio-ottobre), così come superiore al 10% è stata la crescita della radio, che ha pressoché recuperato quanto perso nel 2009, ed anche la pubblicità televisiva registra un confortante +6%. Non si arresta, viceversa, la caduta dei quotidiani, per i quali gli investimenti pubblicitari retrocedono di un ulteriore 2,6% e il segno negativo delle vendite sfiora addirittura il 5%. Superfluo citare ancora il consumo di informazione sui nuovi media per commentare questa ulteriore flessione. Mentre può essere ritenuto soddisfacente, nel disastro degli ultimi anni, il segno positivo per la musica (+7,7%) e per l’home video (+2%) nella prima parte del 2010. Riprendono a marciare anche i videogiochi, con un incremento di quasi il 7% nei primi

8 Introduzione cinque mesi dell’anno. Più preoccupante, invece, la flessione continua dell’ICT, dove le telecomunicazioni fisse perdono il 4%, quelle mobili l’1% e l’informatica il 2,5%. Per l’IT, è proseguita la contrazione degli investimenti delle imprese nell’adeguamento delle dotazioni tecnologiche. Nelle TLC si registra principalmente il calo dei ricavi da fonia e, per quanto riguarda la rete fissa, dei servizi a valore aggiunto. Figura 3 - Andamento dei mercati della comunicazione (var. % parziale 2010 su stesso periodo 2009)

Cinema (incassi) 26,0

Internet (pubblicità) 17,7

Radio (pubblicità) 10,2

Musica (fisico + digitale) 7,7

Videogiochi (Hw + Sw) 6,9

Televisione (pubblicità) 6,3

Pubblicità mezzi classici 3,8

Home video 2,0

Tlc mobili -0,9

Informatica -2,5

Quotidiani (pubblicità) -2,6

Tlc fisse -4,0

Quotidiani (vendite) -4,7

-10,0 0,0 10,0 20,0 30,0

Note: l’arco temporale si riferisce a gennaio-ottobre (tutti i dati pubblicitari e le vendite dei Quotidiani), gennaio- agosto (incassi Cinema), gennaio-giugno (Informatica, Telecomunicazioni fisse e mobili, Home video, Musica), gennaio-maggio (Videogiochi). La variazione percentuale è sullo stesso periodo dell’anno precedente. Fonte: IEM su varie. Dal raffronto con i principali mercati europei, sistematicamente affrontato nelle analisi contenute in questo Rapporto, emerge come l’industria della comunicazione nel nostro Paese sia meno ricca, in proporzione, rispetto a quella degli altri grandi Paesi europei, dove i consumi culturali e tecnologici sono, in qualche caso di gran lunga, più sviluppati. Una positiva eccezione è rappresentata dal mercato della pubblicità televisiva, il più ricco del continente. Non v’è dubbio che sia anche il più concentrato ma è anche vero che la leadership, a valore, sia raggiunta grazie al fatto che il servizio pubblico vi concorre con la cifra più alta fra i servizi pubblici degli altri Paesi e che nel computo sono inseriti i ricavi commerciali delle emittenti locali, assenti o marginali negli altri Paesi considerati. Lo stesso valore, qualora considerato pro capite, peggiora la classifica dell’Italia in alcuni segmenti, a favore della meno popolata Spagna. Il risultato del 2009, in variazione percentuale sull’anno precedente, dà alla Spagna il non invidiabile primato della peggiore performance in quasi tutti i segmenti dell’industria. Primato che l’Italia ha avuto nel box office cinematografico (pur nel segno positivo, come detto) e nel mercato dell’editoria libraria. In molti casi, quello italiano è il secondo peggior risultato dopo quello spagnolo. A perimetro costante (cioè solo per i settori considerati), la flessione dell’Italia (6,4%) è però inferiore non solo a quella della

Introduzione 9 Spagna ma anche a quella del Regno Unito (6,6%). Più contenuta è stata la caduta in Francia (-3,2%) e Germania (-4,9%). Tabella 1 - Mercati della comunicazione a confronto, per valore totale (2009) Francia Germania Italia Regno Unito Spagna Rank Italia Televisione (pubblicità) 3544 3640 3983 3467 2343 1 Radio (pubblicità) 676 679 436 456 537 5 Cinema (incassi) 1232 976 664 1059 668 5 Home video 1411 1633 680 2877 125 4 Libri 4213 9691 3407 3821 3109 4 Musica registrata 680 1099 226 1128 176 4 Pubblicità mezzi classici 10724 14068 8844 13989 5621 4 Tlc fisse (servizi) 20000 34200 15390 9900 6500 2 Tlc mobili (servizi) 20400 23600 17700 16710 13340 3 Informatica 53100 69000 18686 59700 14400 4 Videogiochi 2441 2364 1129 3110 1200 5 Note: dati in milioni di euro. Fonte: IEM su varie.

Tabella 2 - Mercati della comunicazione a confronto, per valore pro capite (2009) Francia Germania Italia Regno Unito Spagna Rank Italia Televisione (pubblicità) 56,44 44,52 65,99 55,88 49,90 1 Radio (pubblicità) 10,77 8,31 7,22 7,35 11,44 5 Cinema (incassi) 19,62 11,94 11,00 17,07 14,23 5 Home video 22,47 19,97 11,27 46,37 2,66 4 Libri 67,09 118,53 56,45 61,59 66,21 5 Musica registrata 10,83 13,44 3,74 18,18 3,75 5 Pubblicità mezzi classici 170,78 172,07 146,54 225,48 119,71 4 Tlc fisse (servizi) 318,50 418,31 255,00 159,57 138,43 3 Tlc mobili (servizi) 324,87 288,66 293,27 269,33 284,10 2 Informatica 845,63 843,96 309,61 962,26 306,68 4 Videogiochi 38,87 28,91 18,71 50,13 25,56 5 Note: dati in euro. Fonte: IEM su varie.

Tabella 3 - Mercati della comunicazione a confronto, per var. % 2009 su 2008 Francia Germania Italia Regno Unito Spagna Televisione (pubblicità) -9,8 -9,8 -11,7 -11,0 -22,7 Radio (pubblicità) -8,9 -5,6 -7,8 -7,1 -16,4 Cinema (incassi) 7,9 22,8 4,2 11,1 7,9 Home-video -0,2 5,0 -17,9 -10,0 -36,9 Libri 3,9 0,8 -4,3 -2,9 -2,4 Musica registrata -2,6 -3,0 -13,1 1,9 -14,6 Pubblicità mezzi classici -10,7 -9,7 -11,7 -11,0 -20,9 Tlc fisse (servizi) -0,5 -3,1 -2,4 -2,9 -8,5 Tlc mobili (servizi) 1,5 -7,1 -3,5 -3,2 -5,5 Informatica -3,8 -4,6 -8,1 -6,7 -8,9 Videogiochi -17,1 -14,2 -10,6 -16,2 -16,2 Totale (solo settori in tabella) -3,2 -4,9 -6,4 -6,6 -10,1 Note: dati in percentuale. Fonte: IEM su varie.

10 Introduzione Lecito in questo scenario ripensare, come in qualunque altro settore dell’economia nazionale, le politiche pubbliche per l’industria della comunicazione. Le politiche pubbliche non si limitano necessariamente a quanto e come viene speso dallo Stato (e dagli enti locali) per sostenere e stimolare l’industria della comunicazione. Nondimeno, sul “quanto” e “a chi” si concentra generalmente l’attenzione degli operatori e di chiunque, a vario titolo, si occupi del settore. Il 2010 è stato caratterizzato da infinite polemiche sul taglio dei fondi pubblici (dall’emittenza locale all’editoria, dal Fondo Unico per lo Spettacolo agli investimenti pubblici sulla banda larga). D’altronde, polemiche di questo tipo si riaccendono ogni anno in corrispondenza dell’approvazione della legge finanziaria o del decreto “milleproroghe”, e già questo è il segno di come sia latitante una programmazione di lungo periodo e di ampia visione, a favore di un sistema di contribuzione pubblica stratificato e, diremmo, di “cronicizzata precarietà”, erroneamente scambiata per stabilità. Ma nel 2010, i tagli sono stati, e tali si preannunciano per il futuro, particolarmente pesanti in tutti i settori che godono di fondi pubblici, con una virulenza che ha trovato legittimazione nell’emergenza economica ma che non sembra avere chiari i criteri su come e cosa tagliare né essersi posta il problema. Non è però per spirito giornalistico che il rapporto IEM di quest’anno dedica un approfondimento a Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni. Benché, certo, l’attualità ponga questo argomento sotto sguardi particolarmente attenti. L’analisi delle tendenze dei flussi di spesa del settore pubblico diventa un elemento necessario su cui basare la valutazione qualitativa dei trasferimenti, ovvero la loro efficacia (in termini di risultati economici sul territorio, nonché di redistribuzione sociale della spesa) e quindi la loro redditività e funzione sociale. Un’attendibile ed efficace rilevazione dei dati di spesa rappresenta in effetti il punto di partenza per consentire misurazioni degli impatti prodotti dalla spesa sul settore e nel territorio, e comprendere quanta parte di essa può ritenersi per davvero spesa produttiva (ad esempio qualora essa sia destinata a sostenere innovazioni d’impresa o di sistema) piuttosto che spesa destinata a sostenere attività dallo scarso o nullo impatto sulla capacità produttiva del settore e dell’economia. Soprattutto, data la crescente scarsità di finanziamenti pubblici alla cultura e alle telecomunicazioni, sprechi non sono veramente più ammissibili e, quale che sia la quantità di denaro utilizzata, essa non può più non essere accompagnata da una valutazione della sua efficacia. Il decisore politico che deliberi un investimento pubblico dovrà necessariamente prevedere un monitoraggio continuativo di questa spesa, poiché troppi sono i casi di erogazioni concesse in un deficit di conoscenza e senza la preoccupazione di verificarne l’efficacia. Monitoraggio che determina anch’esso un costo, aggiuntivo, che va considerato ineliminabile. La scelta di focalizzare l’attenzione sugli investimenti pubblici ci è sembrata inoltre particolarmente rilevante dal momento che la natura di questi ultimi definisce e condiziona i processi creativi, produttivi e distributivi che danno forma e visibilità al sistema cultura. Il perimetro di analisi prescelto è, però, sui generis rispetto a quello che tradizionalmente si disegna quando si ragiona di cultura. Si è, infatti, definito un universo composto da cultura e telecomunicazioni, inserendo sotto il cappello “cultura” lo spettacolo dal vivo, il cinema, la televisione, la radio e l’editoria. Si tratta di una scelta che trae la sua ratio dalla volontà di riflettere su una accezione di cultura come punto di intersezione di diversi settori che si trovano all’interno di una stessa filiera, fortemente interconnessi, dalla creazione a monte alla distribuzione a valle. Ragionare sui fondamenti economici della cultura in qualità di “filiera della cultura” significa, quindi, aver fatto un salto concettuale dalle riflessioni sull’industria culturale ad un universo in cui la cultura non è più messa sotto esame come prodotto intellettuale che si è fatto merce, ma come prodotto intellettuale, della conoscenza, in grado di generare benessere e sviluppo, all’interno di un circolo virtuoso di innovazione e di sviluppo tecnologico. I settori che compongono la filiera qui indagata, sono, da più o meno tempo, e con minore e maggiore attenzione, e con diverse logiche, “aiutati” dallo Stato laddove e nella misura in cui

Introduzione 11 l’aiuto di Stato, senza infrangere i naturali processi concorrenziali, è in grado di aumentare il benessere della società stimolando “forzatamente” alcuni nodi del sistema. L’obiettivo dell’Approfondimento di questa edizione è dunque quello di misurare questo aiuto, cioè l’ammontare della spesa dell’amministrazione pubblica in cultura e telecomunicazioni. Si tratta di un primo passaggio, la base di partenza sulla quale poggiare qualsivoglia ragionamento di merito e di metodo. La mission che ci siamo dati è, infatti, quella di rendere i dati manifesti e trasparenti. Ed elaborati con un’analisi di tipo comparato e diacronico, che provasse a collocare i conti nella loro progressione temporale e quindi nelle modificazioni intervenute negli ultimi anni, e mettesse a confronto tra loro i vari segmenti dell’industria culturale. Ci auguriamo che questo possa essere un utile punto di partenza per iniziare a ragionare sulle logiche che stanno alla base delle strategie di spesa, ed aprire così la strada ad una riflessione più ampia sulle politiche pubbliche riguardo alla cultura.

12 Introduzione Parte prima Mercati Televisione

Radio

Cinema

Home-video

Libri

Quotidiani e periodici

Directory

Musica registrata

Pubblicità

Telecomunicazioni fisse e banda larga

Telecomunicazioni mobili

Informatica

Videogiochi

Radio 13 Televisione

14 Televisionedi Andrea Marzulli

1. Introduzione

Il mercato televisivo italiano sta finalmente facendo i conti con alcuni cambiamenti strutturali che già da qualche anno si avvertono nei mercati televisivi più avanzati. Il crescente grado di concorrenza rappresenta un elemento sicuramente positivo. Se la spinta all’innovazione appare ancora flebile, è legittimo l’auspicio che nei prossimi anni alcune tendenze si affermino e movimentino le dinamiche di mercato accrescendo quella che è – giova ricordarlo una volta di più – il fine ultimo del sistema televisivo, ossia la soddisfazione dei bisogni di intrattenimento e informazione dello spettatore. Il passaggio al digitale e la conseguente frammentazione degli ascolti, con l’accrescimento delle possibilità di scelta, sta innescando pratiche concorrenziali più decise alle quali il mercato italiano non era abituato. I broadcaster tradizionali presidiano le nuove offerte, sia sul versante dei canali digitali, sia sul versante dell’on demand, riorganizzando l’offerta Internet (si pensi al portale Rai.tv, a Video o al portale di ) in vista della minaccia della Over-the- top Tv (i contenuti Internet sul televisore domestico) che rappresenta un temibile fattore di destabilizzazione per le posizioni consolidate e un progressivo allargamento/convergenza della fruizione televisiva tradizionale con i contenuti professionali e semi-professionali del mondo web. La crisi pubblicitaria sta avendo forti ricadute sul mercato della produzione, con crescenti difficoltà per la produzione indipendente, ma anche con una spinta all’innovazione che non si aveva in periodi più floridi, e in qualche modo autoreferenziali. Ora la sfida non è solo comporre i budget di produzione in forme nuove ed efficienti, cercando altre fonti di finanziamento per bilanciare la pressione sui costi, ma anche produrre programmi e format in grado di conseguire risultati di ascolto che non sono più garantiti. Se la maggiore competizione porterà più qualità e diversità sul versante dei contenuti, è una legge di mercato che sarà messa alla prova dei fatti nei prossimi anni. In tutta Europa, inoltre, il servizio pubblico rimodella le proprie fonti di finanziamento affrancandosi dall’altalenante mercato pubblicitario, per il quale si preannuncia una scarsa crescita nel medio termine. La virata di Francia e Spagna verso il “modello Bbc” rende l’Italia l’unico grande Paese in cui il broadcaster pubblico conserva ricavi bi-partiti tra canone e pubblicità. Rinunciare alla pubblicità è sicuramente una leva (necessaria anche se non sufficiente) per migliorare la qualità e non costringere il servizio pubblico ad una affannosa rincorsa agli ascolti. Gli elementi di possibile cambiamento sono, dunque, molti, solo in parte rintracciabili nei dati per ora a disposizione.

Televisione 15 2. Ascolti e penetrazione

L’accessibilità alle nuove offerte in digitale terrestre di una porzione crescente di telespettatori italiani è probabilmente la principale ragione di una ulteriore crescita della platea televisiva nel 2009 – crescita tra l’altro adeguatamente distribuita in tutte le fasce orarie. Mentre la contrazione dei consumi nella società può rappresentare un ulteriore incentivo ad orientarsi verso forme di consumo a costo zero o quasi, come la televisione gratuita. La media di visione giornaliera è stabile a 3 ore e 59’ (ma in crescita rispetto alle 3h e 49’ del 2007) e nelle 24 ore la presenza media di fronte al piccolo schermo è di 9,44 milioni di spettatori. Nella delicata fascia del prime-time, la platea è cresciuta a 24,42 milioni di spettatori (anche se il rating non supera il 43% - era oltre il 44% nel 2005). Tra le altre fasce, si riscontrano i maggiori incrementi in quelle mattutine, fra le 7 e le 12. Si tratta di fasce sulle quali le emittenti generaliste hanno intensificato sforzi e investimenti, e nelle quali, diffondendosi sempre più il digitale terrestre, le accresciute possibilità di scelta concorrono ad allargare la platea.

Tabella 1 - Audience e rating nel giorno medio, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 Fasce orarie Audience Rating Audience Rating Audience Rating Audience Rating Audience Rating (000) (%) (000) (%) (000) (%) (000) (%) (000) (%) 07.00-09.00 4.658 8,16 4.383 7,73 4.292 7,61 4.338 7,79 4.256 7,67 09.00-12.00 4.967 8,70 4.686 8,26 4.378 7,76 4.485 8,06 4.572 8,24 12.00-15.00 14.076 24,65 13.767 24,28 13.634 24,18 13.911 25,00 14.030 25,29 15.00-18.00 10.331 18,09 9.878 17,42 9.497 16,84 9.885 17,76 9.811 17,68 18.00-20.30 15.516 27,17 15.282 26,95 14.936 26,48 15.348 27,58 15.518 27,97 20.30-22.30 24.425 42,92 24.161 42,61 23.695 42,02 24.424 43,88 24.615 44,36 22.30-25.59 10.364 18,15 10.093 17,80 9.887 17,53 10.163 18,26 9.835 17,73 02.00-25.59 9.445 16,58 9.211 16,25 8.989 15,94 9.230 16,58 9.213 16,60 Ascolto medio giornaliero 238,7 234,0 229,5 238,8 239,0 (minuti) Fonte: elaborazioni Iem su dati Auditel. Poco più di 1 punto di share separa, nel 2009, il totale degli ascolti dei canali Rai dal totale Mediaset, a vantaggio del gruppo pubblico. Si tratta del più esiguo distacco da molti anni a questa parte (per trovare una differenza minore bisogna risalire al 1993: 45,49% contro 44,50% - e da allora entrambe hanno perso cumulativamente circa 10 punti). Nel consolidato trend che vede le generaliste perdere ascolti a vantaggio delle digitali (tematiche e targettizzate che vanno in parte spostandosi verso configurazioni semi-generaliste), le nuove offerte dei due maggiori gruppi (per ascolti) compensano parzialmente le perdite. Ma il risultato del 2009 si deve soprattutto allo sforzo del gruppo privato per sostenere l’audience di , che è l’unica generalista ad aver guadagnato share (dal 20,33 al 20,65) e soprattutto rappresenta circa i 2/3 dei ricavi pubblicitari Mediaset. Vale la pena sottolineare la caduta di Rai Due (-1,4), penalizzata sia da un’identità di rete “sfocata” sia dai processi di transizione al digitale nelle diverse regioni, nelle quali ha funzionato da “battistrada” (insieme a che però limita le perdite allo 0,50). Un altro punto viene guadagnato dalle tv “altre terrestri”, e segnatamente dalle emittenti digitali non afferenti ai due gruppi perché i dati relativi alle locali pubblicate non sono confortanti, e circa un punto per le tv satellitari le quali, pur in una decrescita del parco abbonati, vanno evidentemente consolidando il proprio rapporto col pubblico.

16 Televisione Tabella 2 - Audience share nel giorno medio, 2005-2009 Emittente 2009 2008 2007 2006 2005 09 vs 08 09 vs 05 Rai Uno 21,17 21,80 22,49 23,15 23,00 -0,63 -1,83 Rai Due 9,20 10,60 10,48 11,35 11,37 -1,40 -2,17 Rai Tre 8,94 9,07 9,15 9,38 9,18 -0,13 -0,24 Rai canali digitali 1,36 *0,82 . . . 0,54 - sub-totale Rai 40,67 42,29 42,12 43,88 43,55 -1,62 -2,88 Canale 5 20,65 20,33 20,60 20,95 21,84 0,32 -1,19 10,38 10,83 11,17 11,09 11,47 -0,45 -1,09 Rete 4 7,78 8,28 8,63 8,18 8,59 -0,50 -0,81 Mediaset canali digitali 0,80 0,29 - - - 0,51 - sub-totale Mediaset 39,61 39,73 40,40 40,28 41,93 -0,12 -2,32 La 7 3,01 3,08 2,97 3,02 2,71 -0,07 0,30 Altre terrestri 7,57 6,57 6,45 6,14 6,33 1,00 1,24 Altre satellitari 9,22 *8,33 8,05 6,75 5,51 0,89 3,71 Totale 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 - - Note: (*) nel 2008, lo 0,48% dei canali Raisat, ospitati all’epoca sul satellite, era ricompreso nei canali digitali Rai e non fra le altre satellitari. Fonte: elaborazioni Iem su dati Auditel e Rai. Nel prime-time, gli ascolti delle generaliste sono migliori rispetto al dato all-day, con l’eccezione di Italia 1 che scende sotto il 10% per la prima volta da molti anni. Anche qui, unica generalista a crescere è stata Canale 5, che risale oltre il 21%. Più deboli, come di consueto, le performance dei canali digitali in questa fascia. Considerando anche i canali digitali, nell’ultimo quinquennio Rai ha perso solo 1 punto e mezzo, contro gli oltre 3 e mezzo di Mediaset. Tabella 3 - Audience share nel prime-time, 2005-2009 Emittente 2009 2008 2007 2006 2005 09 vs 08 09 vs 05 Rai Uno 22,34 22,67 23,28 24,22 23,91 -0,33 -1,57 Rai Due 10,04 10,70 10,28 10,51 10,63 -0,66 -0,59 Rai Tre 9,42 10,06 10,15 10,28 9,75 -0,64 -0,33 Rai canali digitali 1,01 *0,57 . . . 0,44 - sub-totale Rai 42,81 44,00 43,71 45,01 44,29 -1,19 -1,48 Canale 5 21,04 20,69 21,57 22,01 22,50 0,35 -1,46 Italia 1 9,77 10,29 10,73 10,53 11,51 -0,52 -1,74 Rete 4 7,80 8,57 8,35 8,05 8,80 -0,77 -1,00 Mediaset canali digitali 0,56 . . . . - - sub-totale Mediaset 39,17 39,55 40,65 40,59 42,81 -0,38 -3,64 La 7 2,63 2,62 2,30 2,42 2,06 0,01 0,57 Altre terrestri 7,33 6,64 6,33 5,98 5,84 0,69 1,49 Altre satellitari 8,10 *7,19 7,01 6,01 4,99 0,91 3,11 Totale 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 - - Note: fascia oraria 20.30-22.30; (*) nel 2008, lo 0,38% dei canali Raisat, ospitati all’epoca sul satellite, era ricompreso nei canali digitali Rai e non fra le altre satellitari. Fonte: elaborazioni Iem su dati Auditel. Man mano che la penetrazione del digitale terrestre cresce, aumenta lo share dei canali digitali. Nel 2009 l’insieme dei canali digitali monitorati, terrestri e satellitari, è cresciuto di oltre 2 punti, dal 9,3 all’11,5. A giugno 2010 (anche grazie ai mondiali di calcio, trasmessi integralmente su Sky), gli ascolti si sono impennati oltre il 14%. Nel corso del 2009, quasi tutti gli editori hanno mostrato un andamento positivo: oltre ai citati Rai e Mediaset, soprattutto Sky che ha superato il 3%. Nei primi mesi del 2010 a crescere sono stati soprattutto i canali digitali delle generaliste. Boing si è confermato leader fra i digitali ma

Televisione 17 è stata soprattutto l’offerta Rai a imporsi, superando il 3% complessivo su base nazionale (e circa il 7 nelle regioni all-digital). La fuoriuscita del pacchetto Raisat da Sky, col successivo re- branding, si è rivelata la leva per accrescere gli ascolti complessivi, anche se la monetizzazione pubblicitaria non compensa ancora (ci vorrà qualche anno) i ricavi da abbonamento cui il gruppo pubblico ha rinunciato. L’ex canale pay Rai Yoyo ha in breve superato per ascolti (0,45 vs 0,35 a giugno 2010), mentre e si sono rapidamente imposti fra i canali digitali più seguiti (risultato veramente notevole se si pensa che sono presenti solo nelle regioni all-digital), dopo (0,81 a giugno 2010). Mediaset sfiora il 2%, grazie agli ottimi risultati di Boing (1,36) e Iris (0,58). Tra gli editori minori, da segnalare , il cui canale per bambini e ragazzi K2 viaggia costantemente (anche grazie alle finestre analogiche in syndication sulle locali) sopra lo 0,50. Tabella 4 – Audience share canali digitali, 2008-giugno 2010 (%) Emittenti e gruppi di emittenti Giu 2010 2009 2008 Sky 4,29 3,02 2,76 - canali sportivi 2,38* 1,12 0,92 - canali cinema 1,44 1,28 1,24 - altri canali 0,47 0,62 0,58 Fox 1,84 1,75 1,68 Newscorp (Sky+Fox) 6,13 4,77 4,44 ,11 1,36 0,82 - Boing 1,36 0,72 0,29 - Iris 0,58 0,03** - - Premium Calcio 0,03* - - Mediaset (tot.) 1,97 0,80 0,29 Disney 0,91 0,86 0,75 Switchover Media 0,74 **0,27 - Viacom – Mtv Italia 0,60 0,36 0,31 Discovery 0,41 0,32 0,28 Turner Italia (Time Warner) 0,33 0,42 0,31 De Agostini 0,19 0,04 - Sitcom 0,19 0,12 0,12 Axn (Sony) 0,12 0,08 0,05 La7d (Telecom Italia Media) 0,11 - - (Groupe Tf1) 0,10 0,07 0,09 Digicast (Rcs Mediagroup) 0,09 0,06 0,07 Elemedia (Gruppo Espresso) 0,05 0,05 0,05 Altri canali e gruppi 1,97 1,95 1,69 Totale 14,02 11,53 9,27 Note: rilevazione 02-26, totale abitazioni, individui 4+. Tabella ordinata secondo lo share giugno 2010; (*) il dato di giugno 2010 risente della trasmissione dei mondiali di calcio (che ha alzato lo share dei canali sportivi Sky) e della fine del campionato nazionale di calcio (che ha abbassato lo share dei canali Premium Calcio di Mediaset). Ad aprile 2010, lo share dei canali sportivi (calcio + altri sport) di Sky era 1,40 (di cui 0,34 per i soli canali Sky Calcio), quello di Premium Calcio 0,62 (e lo share totale dei canali digitali Mediaset 2,13); (**) ponderazione sull’anno dei soli mesi di rilevazione. Fonte: elaborazioni IEM su dati Auditel. Al contrario, il digitale terrestre sta progressivamente erodendo gli ascolti delle locali. Guardando le emittenti principali in ciascuna regione, i dati nelle aree digitalizzate fanno segnare cadute dei contatti netti giornalieri fino al 20-30%. Incrementi si riscontrano in Toscana, Marche, Sicilia e Puglia. Grandi emittenti come Telelombardia e Telenorba, con rilevanti investimenti in programmazione originale locale, mantengono la propria platea. Ma, in generale, la perdita è stata di quasi il 5% dei contatti nel 2009 e ha riguardato in misura più

18 Televisione pesante le piccole. Sembra confermato dai dati, quindi, come i contenuti – originali, locali, riconoscibili – siano il principale elemento di tenuta, anche se non sono nelle possibilità di tutti i soggetti. La fondamentale questione della posizione sul telecomando nel sistema Lcn s’intreccia con la necessità di costruire fidelizzazione con programmi tali da essere “cercati” più che “intercettati” dallo spettatore. Fatte salve tutte le opzioni di policy, questa appare la questione centrale, perfino più importante dell’allargamento dell’offerta con spin-off tematici – processo che pure molte emittenti hanno intrapreso, seppur con sforzi e qualità diseguali. Tabella 5 - Contatti medi giornalieri tv locali, 2005-2009 (le prime 3 per regione) Emittente 2009 2008 2007 2006 2005 Δ % 09-08 Δ % 09-05 Piemonte-Val d’Aosta Telecity Piemonte 337 411 411 410 459 -18,0 -26,6 Telecupole 261 302 316 333 371 -13,6 -29,6 Quarta Rete 190 280 318 325 343 -32,1 -44,6 Liguria Primo Canale 232 244 254 236 268 -4,9 -13,4 Telenord 154 129 122 112 142 19,4 8,5 Telecittà 88 88 99 103 122 0,0 -27,9 Lombardia Telelombardia 1190 1190 1222 1177 1118 0,0 6,4 Antenna Tre 874 961 1006 1093 982 -9,1 -11,0 Telenova 637 683 714 656 659 -6,7 -3,3 Veneto Telepadova 1091 1174 1197 1346 1318 -7,1 -17,2 Antenna Tre Nord Est 594 658 677 650 656 -9,7 -9,5 Rete Nord 540 533 561 621 645 1,3 -16,3 Trentino- Rttr 124 167 144 137 139 -25,7 -10,8 Tca 114 150 146 137 143 -24,0 -20,3 Friuli-Venezia Giulia Telefriuli 158 166 165 192 214 -4,8 -26,2 Rete Nord Telequattro 134 118 98 107 112 13,6 19,6 Emilia-Romagna 7 Gold Sesta Rete 564 579 658 663 559 -2,6 0,9 E’ Tv Emilia Romagna 386 395 402 418 - -2,3 - Telesanterno 154 177 192 202 224 -13,0 -31,3 Toscana Italia 7 450 434 481 468 411 3,7 9,5 Rtv 38 367 356 325 392 417 3,1 -12,0 Tvr Teleitalia 173 149 - - - 16,1 - Marche Tv Centro Marche 173 137 138 140 156 26,3 10,9 7 Gold Teleadriatica 98 80 55 60 - 22,5 - E’ Tv Marche 41 32 42 42 - 28,1 - Umbria Umbria Tv 67 81 69 83 79 -17,3 -15,2 Rte 24 53 63 59 59 - -15,9 - Tef 34 32 - - - 6,3 - Lazio

Televisione 19 Tvr Voxson – Teleregione 275 325 376 393 466 -15,4 -41,0 Super 3 273 251 252 233 365 8,8 -25,2 Teleroma 56 135 187 226 212 244 -27,8 -44,7 Abruzzo Rete 8 137 132 138 118 121 3,8 13,2 7 Gold Antenna 10 125 131 133 110 92 -4,6 35,9 Molise Telemolise 73 68 59 59 64 7,4 14,1 Teleregione Molise 25 ------Campania Telecapri 1072 1229 1231 1209 1291 -12,8 -17,0 Teleoggi - Canale 9 510 593 710 729 758 -14,0 -32,7 Napoli Canale 21 448 459 438 380 371 -2,4 20,8 Puglia e Basilicata Telenorba (Tn7) 1464 1452 1302 1407 1391 0,8 5,2 Teledue (Tn8) 635 586 536 502 495 8,4 28,3 Antenna Sud 260 243 212 226 229 7,0 13,5 Calabria 8 Videocalabria 174 203 198 202 236 -14,3 -26,3 Reggio Tv 57 74 61 58 70 -23,0 -18,6 Teleuropa 52 64 54 - - -18,8 - Sicilia Antenna Sicilia 610 548 524 506 508 11,3 20,1 Telecolor Italia 7 368 334 353 388 373 10,2 -1,3 Tgs 356 379 430 425 443 -6,1 -19,6 Sardegna Videolina 395 474 561 559 580 -16,7 -31,9 Tcs 47 81 127 147 142 -42,0 -66,9 5 Stelle Sardegna 19 39 59 - - -51,3 - Totale contatti 16788 17621 17851 18025 17776 -4,7 -5,6 Note: valori in migliaia; la graduatoria degli anni precedenti poteva comprendere emittenti non più nella “top 3” nel 2009; sono state prese in considerazione esclusivamente le emittenti pubblicate da Auditel nel 2009, a prescindere dagli anni precedenti; qualora la rilevazione non abbia coperto i 12 mesi, il dato annuale corrisponde alla media dei mesi rilevati. Fonte: elaborazioni Iem su dati Auditel. In termini di ascolto medio e di share su base nazionale – valori meglio raffrontabili a quelli delle emittenti nazionali e digitali – i numeri testimoniano allo stesso modo le difficoltà delle locali. I tre principali circuiti nazionali mostrano un sensibile calo di share (specie che ha raccolto l’eredità di Odeon Tv) e così la maggior parte delle prime 10 emittenti locali italiane, in testa alle quali si conferma Telenorba con lo 0,28% su base nazionale (dallo 0,30 del 2008). Crescono invece Telelombardia e Antenna Sicilia (di 2.000 e 3.000 spettatori rispettivamente). Il calo è invece netto per le emittenti campane e sarde, già passate al “tutto digitale”.

20 Televisione Tabella 6 - Principali tv locali e circuiti, ascolto medio e share, 2008-2009 (intero giorno) 2009 2008 Emittenti Area A.M. Share A.M. Share Syindication 7 Gold circuito nazionale 43410 0,46 47613 0,52 circuito nazionale 18885 0,20 21844 0,24 Odeon 24 circuito nazionale 486 0,01 15452 *0,17 Emittenti locali Telenorba Puglia e Basilicata 26374 0,28 27658 0,30 Telecapri Campania 15521 0,16 17796 0,20 TeleLombardia Lombardia 14661 0,16 12460 0,14 Antenna Sicilia Sicilia 12352 0,13 9330 0,10 7 Gold Telepadova Veneto 11461 0,12 12028 0,13 Nuova Antenna Tre Lombardia 9445 0,10 9519 0,10 Teleoggi Canale 9 Campania 7516 0,08 8535 0,09 Videolina Sardegna 6890 0,07 9486 0,10 Veneto 6727 0,07 6642 0,07 Napoli Canale 21 Campania 6703 0,07 6085 0,07 Note: (*) dati relativi al canale Odeon Tv. Fonte: elaborazioni Iem su dati Auditel.

Piattaforme e abbonati

La penetrazione della tv digitale, a fine 2009, ha superato i 19 milioni di famiglie televisive (oltre l’80% delle abitazioni) grazie alla diffusione crescente del digitale terrestre (+7 milioni nel 2009). Sono cresciute, seppur di poco, anche le altre piattaforme digitali: il satellite sale a 6,6 milioni (pur in una flessione della platea a pagamento), anche grazie alla diffusione delle tessere Tivù Sat e all’installazione di parabole nelle zone dove lo switch-off si è rivelato particolarmente problematico. L’Iptv si attesta a poco meno di 700mila abbonati (grazie a politiche di prezzo decisamente al ribasso per attrarre utenza). Pur con qualche mese di ritardo nella pianificazione degli switch-off nell’Italia settentrionale, a fine 2010 la penetrazione del digitale è destinata a crescere ancora (a fine aprile 2010, le famiglie erano 16,88 milioni, con una penetrazione del 68,5%, per un totale ricevitori – set-top-box e tv integrati – di 27,46 milioni). Tabella 7 - Penetrazione delle tecnologie di distribuzione televisiva, 2006-2009 (primo accesso) 2009 % 09 2008 2007 2006 Famiglie tv 24,28 100,00 23,60 23,50 23,40 satellite 6,60 27,18 6,35 5,93 5,43 ( di cui satellite pay) 4,74 19,52 4,75 4,43 4,03 (di cui satellite ) 1,86 7,66 1,60 1,50 1,40 digitale terrestre 12,43 51,19 5,70 4,80 3,60 adsl /fibra 0,69 2,51 0,40 0,25 0,20 (totale famiglie ‘multichannel’) 19,72 80,89 12,45 10,98 9,23 solo analogico-terrestre 4,56 19,11 11,15 12,52 13,17 Note: dati in milioni. Fonte: Agcom, ItMedia, Makno. La complessità tecnica del Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze, approvato dall’Agcom (Delibera 300/10/Cons) ha ritardato la convocazione dei tavoli tecnici di pianificazione, spostando di un mese le procedure di switch-off per le aree tecniche dell’Italia settentrionale (Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, mentre la Liguria sarà posticipata a inizio 2011). Il Piano ha provocato le polemiche delle emittenti locali che

Televisione 21 sostengono non sia stata rispettata la riserva di 1/3 delle frequenze, né su base quantitativa né su base qualitativa, e pongono problemi di scarsità dello spettro, specie per quanto riguarda il coordinamento internazionale delle frequenze di confine. Un altro piano approvato dall’Agcom, quello relativo al Logical Channel Numbering, ossia la numerazione automatica dei canali sul telecomando (Delibera 366/10/Cons), ha optato per la determinazione di archi di numerazione a partire dalle 2 cifre, invece che su 3 cifre, avvantaggiando di fatto le emittenti nazionali (generaliste e digitali) e parte di quelle locali (in particolare quelle che, secondo modalità che faranno riferimento alle preferenze del pubblico, troveranno posto nell’arco di numerazione 10-19). Novità normative non di poco conto hanno poi riguardato la possibilità, per , di partecipare al beauty contest per le 5 frequenze del dividendo digitale (con l’obbligo di offrire programmi in chiaro) e, soprattutto, il decreto di recepimento (decreto lgs. 44 del 15 marzo 2010) della Direttiva Servizi Media Audiovisivi che ha emendato la precedente Tv Senza Frontiere. Il decreto ha impostato una base normativa comune per i servizi audiovisivi lineari e non-lineari e ha introdotto la pratica del product placement per i programmi televisivi, intervenendo anche sui codici di condotta per l’attribuzione dei diritti residuali ai produttori di contenuto indipendenti, di fatto ancorandola al contributo dei produttori al finanziamento della produzione, limitando inoltre l’affollamento pubblicitario sulle emittenti a pagamento. Per quanto riguarda le offerte a pagamento, queste hanno raggiunto, nelle loro diverse modalità distributive e commerciali, i 10 milioni di clienti. La concorrenza delle offerte pay su digitale terrestre ha contribuito al rallentamento della crescita del parco abbonati di Sky Italia: dai 4,752 milioni di fine 2008, passando per i 4,790 di metà anno, a fine 2009 l’operatore satellitare contava 4,740 milioni di abbonati (scesi a 4,734 a giugno 2010, 56.000 in meno sui 12 mesi). Tabella 8 - Abbonati alla pay-tv, 2005-2009 Operatore Piattaforma 2009 2008 2007 2006 2005 Sky Italia Satellite 4.740 4.752 4.430 4.030 3.560 Fastweb Fibra-adsl 213 ****200 ****190 ****180 191 Alice Home Tv Adsl 423 329 80 31 - Infostrada Tv Adsl 51 20 - - 10 Tv Adsl - - - - Totale abitazioni pay-tv 5.427 5.301 4.710 4.241 3.751 Digitale terrestre *3.725 *2.911 *2.067 *1.560 nd La7 Cartapiù Digitale terrestre - 240 700 ***715 nd Dahlia Tv Digitale terrestre °°450 - - - - La3 Tv Dvb-h – Umts - - °720 Vodafone Sky Tv Dvb-h – Umts **400 **300 nd (°790) Tim Tv Dvb-h - - Totale altre modalità ****4.895 ****3.550 ****3.070 2.525 - Note: dati in migliaia al 31-12 di ogni anno; (*) numero di “clienti attivi”, di cui 228mila abbonati con formula EasyPay al 30 settembre 2008 (dato ufficiale Mediaset). A fine 2009, gli abbonati con questa formula sono stimati da Milano Finanza in 1,8 milioni; in assenza di dati ufficiali distinti fra “abbonati” e “clienti attivi”, i clienti del Dtt pay non sono stati inseriti fra gli “abbonati pay-tv”; (**) fonte Agcom per il 2007 e fonte Rethink per il 2008; altre fonti stimano in 850mila (per il 2007) e 1,2 milioni (per il 2008) il numero di utenti della mobile tv in Italia ma si tratta, più probabilmente, di “possessori di terminali abilitati”, a prescindere dall’abbonamento; (***) numero di smart-card attivate dal lancio del servizio (su 1,1 milioni di card vendute); (****) stime; (°) stime Assinform/Netconsulting; (°°) di cui circa il 20% in modalità abbonamento. Fonte: elaborazioni Iem su dati Agcom, Newscorp, Assinform, Rethink, Mediaset. Sono stati 800mila, invece, i nuovi “clienti attivi” delle offerte Mediaset Premium in pay- per-view sul digitale terrestre nel 2009, saliti oltre quota 3,7 milioni (di cui, si stima, circa 1,8 milioni in modalità abbonamento e i restanti attraverso carta pre-pagata, segno di una conversione crescente dei “clienti attivi” in abbonati veri e propri) rispetto ai 2,9 milioni di fine

22 Televisione 2008. L’offerta Dahlia, dal canto suo, posizionata verso un pubblico maschile, ha chiuso il 2009 a quota 450mila abbonati (saliti a 600mila a metà 2010). In fase di stallo, invece, l’andamento degli abbonati sulle altre piattaforme digitali. L’Iptv è salita a quota 687mila, ma già a metà 2010 si è profilata una flessione. Flessione anche per gli abbonati alla Mobile Tv, stimati in 720mila a fine 2009 (contro 790mila a fine 2008), anche se altre fonti indicano in meno della metà gli utenti effettivi di tv via cellulare.

3. Il mercato

Le risorse del sistema

Nel 2009, complice la crisi pubblicitaria, il mercato televisivo nel suo complesso ha perso il 3,4%, poco sotto quota 8,5 miliardi di euro (erano quasi 8,8 l’anno precedente). La pubblicità televisiva (emittenti nazionali e locali cumulativamente) cede l’11,7%, a meno di 4 miliardi e, per la prima volta dall’avvento della tv commerciale, la sua quota sul totale delle risorse del sistema scende a meno del 50% (il 46,9% contro il 51,3% del 2008). I ricavi da abbonamento crescono di oltre 200 milioni (sfiorano il 34%) e più della metà di questa crescita si deve al digitale terrestre. Il canone – la cui evasione ha superato il 40% delle famiglie secondo l’associazione Contribuenti Italiani – continua la sua lenta progressione a valore, toccando quota 1.630 milioni e il 19,2% del mercato. Tabella 9 - Le risorse del sistema televisivo, 2005-2009 Tipologia 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ %09-08 ∆ %09-05 Valori assoluti (mln €) Canone 1.630 1.603 1.567 1.491 1.483 1,7 9,9 Pubblicità 3.983 4.512 4.482 4.463 4.418 -11,7 -9,8 Pay-tv 2.873 2.671 2.384 2.221 1.717 7,6 67,3 Totale 8.486 8.786 8.433 8.175 7.618 -3,4 11,4 Valori percentuali Canone 19,2 18,2 18,6 18,2 19,5 1,0 -0,3 Pubblicità 46,9 51,3 53,1 54,6 58,0 -4,4 -11,1 Pay-tv 33,9 30,4 28,3 27,2 22,5 3,5 11,4 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 - - Note: dal computo presente in questa come nelle tabelle successive, sono esclusi dal calcolo i ricavi di tipologia diversa dalla tripartizione classica, compresa la rivendita diritti ad altri operatori e il fatturato da attività di operatore di rete. Fonte: elaborazioni Iem su dati operatori, Agcom, Assocomunicazione, Frt, Upa et alia.

I ricavi delle emittenti

Nel 2009, limitandoci alla classica tripartizione dei ricavi, Sky è il maggior gruppo televisivo italiano con 2.686 milioni di euro, di cui 2.463 milioni da abbonamenti. Il calo della pubblicità ha retrocesso Rai a quota 2.552 milioni e Mediaset a 2.592 milioni. Il gruppo pubblico ha pagato una flessione pubblicitaria superiore alla media del mercato (-17,2%) ma è riuscita a compensare in parte con le altre attività1.

1 Il fatturato consolidato del gruppo Rai è stato, nel 2009, di 3.178 milioni (3.211 nel 2007). Gli altri ricavi provengono principalmente da attività commerciali (Rai Trade), cinematografiche e di home video (Rai Cinema e 01 Distribution), convenzioni con la P.A. per servizi radiotelevisivi all’estero, pubblicità radiofonica, ricavi Raisat e altro. Ma è stato soprattutto grazie alla contabilizzazione della cessione dei diritti sui mondiali di calcio del 2010 e del 2014 (per 175 milioni di euro) che Rai ha potuto compensare la flessione dei ricavi.

Televisione 23 Tabella 10 - Ricavi emittenti televisive, 2005-2009 Emittente 2009 2008 2007 2006 2005 Δ % 09-08 Δ % 09-05 Canone 1.630 1.603 1.567 1.491 1.483 1,7 9,9 .630 1.603 1.567 1.491 1.483 1,7 9,9 Pubblicità 3.983 4.512 4.482 4.463 4.418 -11,7 -9,8 Rai 908 1.096 1.137 1.133 1.121 -17,2 -19,0 Rti - Mediaset 2.241 2.452 2.451 2.425 2.516 -8,6 -10,9 La 7 91,7 81 91 84 75 13,2 22,3 Mtv 45,7 63 67 67 71 -27,0 -35,6 Rete A – All Music 6,8 16 19 19 18 -57,5 -62,2 ** 7,5 5,9 6 8 9 27,1 -16,7 Sky 223 232 200 192 144 -3,9 54,9 Altre satellitari***** 43 45 32 30 nd -4,4 - Digitale terrestre 40,5 25,9 22,9 13 11 23,1 268,2 - Rai°° 14 10 8 nd nd 40,0 - - Mediaset free 10,3 9,1 6,0 6,5 6,2 13,2 66,1 - Mediaset pay 29,8 13,1 8,1 5,7 4,6 127,5 547,8 - Qoob (Mtv)** 0,4 0,7 0,8 1 - -42,9 - Locali *375 487 454 491 453 -23,0 -17,2 Dahlia 0,15 ------Operatori Tlc*** 0,7 1,2 2 1 nd -41,7 - Abbonamenti / Ppv 2.873 2.671 2.384 2.221 1.717 7,6 67,3 Sky .463 2.373 2.172 2.030 1.642 3,8 50,0 Mediaset Premium 311 199 125 84 36 56,3 763,9 La7 Cartapiù - 11 12 10 6 - - Dahlia** 12 ------Conto Tv** 3 4 - - - -25,0 - Operatori Tlc*** - - Fastweb 97 27 84,1 88 75 -4,4 154,8 - H3g (****38) - - Altri 6 sub-totale .552 2.709 2.712 2.624 2.604 -5,8 -2,0 sub-totale Rti-Mediaset 2.592 2.673 2.590 2.521 2.563 -3,0 1,1 sub-totale Sky Italia 2.686 2.605 2.372 2.222 1.786 3,1 50,4 sub-totale TI Media° 138 155 171 162 152 -11,3 -9,3 Totale 8.486 8.786 8.433 8.175 7.618 -3,4 11,4 Note: dati in milioni di euro; (*) stime su tassi di incremento Assocomunicazione (fino al 2008 dati Frt sulle società di capitali); (**) stime (per Dahlia altre fonti riportano 17,5 milioni) (***) offerte Iptv e mobile; (****) Agcom indicava, per il 2006, 97 milioni nella relazione 2007 e 38 milioni nella relazione 2008; (*****) stime Assocomunicazione; (°) La7, Mtv, Qoob, La7 Cartapiù (non disaggregabile Alice Home Tv fra gli Operatori Tlc per un “sub-totale Telecom Italia”; (°°) fino al 2008 comprende i canali satellitari. Fonte: elaborazioni e stime IEM su bilanci operatori, Agcom, Upa, Assocomunicazione, Frt et alia. Dell’8,6% (oltre 200 milioni) è stata la flessione dei ricavi pubblicitari Mediaset sulle emittenti generaliste. Circa 130 milioni sono stati però recuperati con la crescita delle attività pay (più del 50% di crescita) e della pubblicità sui canali digitali2.

2 I ricavi complessivi di Mediaset sono stati di 3.883 milioni di euro nel 2008 (4.199 milioni nel 2008), di cui 656 da Telecinco (982 nel 2008). Alla controllata spagnola può quindi imputarsi, in pratica, la totalità della flessione del guppo. I ricavi del segmento Italia sono quindi stati di 3.219 milioni (3.229 nel 2008), di cui 2.351 milioni nel seg- mento free (di cui 2.241 da pubblicità sulle reti generaliste), 219 come operatore di rete (ma con 125 milioni di ricavi infragruppo), 561 nel segmento pay (con 223 milioni dalla rivendita diritti e altri ricavi e 311 milioni dalla vendita

24 Televisione Nel panorama restante, perdite severe per le tv locali e i canali musicali (Mtv e soprattutto All Music). La flessione pubblicitaria non ha risparmiato Sky e le altre satellitari (266 milioni contro 277 l’anno precedente). Tra le generaliste, va evidenziato il buon risultato di La7 (+13%), mentre il primo anno d’esercizio ha portato 12 milioni di introiti all’operatore pay su digitale terrestre Dahlia Tv. Relativamente ai dati di mercato della pay-tv sulle nuove piattaforme, Agcom valuta i ricavi pay degli operatori attivi sul digitale terrestre in 323 milioni, mentre secondo Confindustria la spesa degli utenti finali è stata di 377 milioni. I ricavi complessivi degli operatori di Iptv e Mobile tv sono invece di 84 milioni, mentre Confindustria ha rivisto le proprie stime di spesa degli utenti su queste piattaforme in 188 milioni (127 per l’Iptv, 61 per la mobile tv). Secondo l’Authority, quindi, i ricavi da nuove piattaforme (escluso il satellite) sarebbero di 407 milioni, mentre la spesa degli utenti, secondo l’associazione degli industriali, ammonterebbe a 565 milioni. Tabella 11 - Ricavi pay-tv sulle nuove piattaforme, 2007-2009 Segmento di mercato Agcom(ricavi operatori) Confindustria(spesa utenti finali) 2009 2008 2007 *2009 2008 2007 Digitale terrestre 323 210 137 377 239 201 Iptv 127 111 75 84 **88 75 Mobile Tv 61 74 76 Totale 407 298 212 565 424 427 Note: dati in milioni di euro, esclusi ricavi pubblicitari; (*) stime; (**) Agcom ha indicato circa 33 milioni di ricavi dalla sola Iptv nel 2008. Fonte: elaborazioni Iem su dati Agcom, Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, Ass- inform, Netconsulting. Le stime relative al mercato della pubblicità televisiva variano considerevolmente da fonte a fonte, sia per la scelta del computo fra investimenti delle aziende e ricavi affluenti ai media, sia per quegli operatori con quote ridotte di mercato (emittenti locali e satellitari), in grado di variare considerevolmente il risultato finale (dai 3,5 miliardi di Agcom ai 4,7 miliardi di Assocomunicazione). Tabella 12 - Rilevazioni del mercato pubblicitario televisivo a confronto, 2008-2009 Fonte 2009 2008 Var. % Note Valori tv nazionali terrestri netti (quota retrocessa Agcom 3.541 3.929 -9,9 alle emittenti). Sottostima tv locali e satellitari. Valori tv nazionali terrestri al lordo degli sconti Assocomunicazione 4.756 5.296 -10,2 d’agenzia. Sottostima delle tv locali. Dati di bilancio degli operatori, integrati da fonti Iem 3.983 4.512 -11,7 terze per tv locali e piattaforme digitali. Valori tv nazionali terrestri per investimenti netti. Nielsen Media Research 4.359 4.851 -10,2 Perimetro ridotto delle tv satellitari e locali Note: valori in milioni di euro. Fonte: IEM su Agcom, Assocomunicazione, Upa, Nielsen Media Research.

di abbonamenti) e 425 nelle attività altre (di cui 105 di ricavi esterni di Medusa e Taodue, 61 da e 191 milioni di ricavi infragruppo). Si tenga presente, però, che i ricavi pubblicitari retrocessi a Rti – la controllata che costituisce la società editrice dei canali tv in Italia – sono stati di 1.983 milioni. Il gruppo Endemol (1.189 milioni di ricavi globali nel 2009, contro i 1.301 del 2008), di cui Mediaset detiene indirettamente il 33%, non è consolidato all’interno del bilancio di gruppo

Televisione 25 4. La crisi della pubblicità televisiva in Europa e gli investimenti in pro- grammazione

A consuntivo 2009, la pubblicità televisiva mostra segni negativi in tutti i grandi Paesi europei, proseguendo la tendenza negativa già rilevata a fine 2008. La flessione è dell’ordine del 10% in tutti i Paesi (9,8 in Francia e Germania; 11,0 nel Regno Unito; 11,7 in Italia), ad eccezione della Spagna, dove è stata superiore al 20% (e la Spagna aveva già registrato il calo più consistente nel 2008), e si era fatta sentire già a consunitvo 2008 per tutti i Paesi, tranne l’Italia che aveva conservato un seppur minimo segno positivo (ma, per converso, senza mostrare nell’ultimo quadriennio crescite superiori all’1% annuo, a differenza degli altri Paesi, a conferma di una maggiore anelasticità). Figura 1 - Tassi di crescita della pubblicità televisiva, 2006-2009 (%)

2006 2007 2008 2009 15,0 8,8 10,0 7,3 4,7 5,1 3,2 3,1 5,0 0,7 1,0 0,4 1,0 0,0 -2,3 -5,0 -2,9 -4,3 -2,9 -10,0 -9,8 -9,8 -11,7 -11,0 -15,0 -15,4 -20,0

-25,0 -22,7 Italia Germania Francia Regno Unito Spagna

Fonte: IEM su dati operatori e istituti di rilevazione pubblicitaria. Una costante in tutti i Paesi è il dato negativo sia per i canali gratuiti leader (Itv, Telecinco, Tf1, i canali Rtl Group in Germania) che per i canali gratuiti minori (come M6, Five e Cuatro). Questa perdita viene ammortizzata, un po’ ovunque, dai canali digitali, colti in una fase di crescita degli ascolti. Il dato migliore, in questo senso, viene dai canali francesi, con un notevole +46%, mentre in mercati dove la mutazione del consumo è già a livelli avanzati, come il Regno Unito, il multichannel registra un segno negativo, seppur attenuato (-1,9% ma +44% sul 2005). Tabella 13 - Francia, ricavi pubblicitari tv, 2005-2009 Operatori 2009 2008 2007 2006 2005 Δ % 09-08 Δ % 09-05 France 2 (pubblica) nd 310 427 442 428 - - France 3 (pubblica) nd 221 289 289 270 - - France 5 (pubblica) nd 18 36 34 33 - - sub-totale France Télévisions 405 549 752 765 731 -26,2 -44,6 Tf1 1429 1647 1718 1708 1648 -13,2 -13,3 M6 606 658 676 650 625 -11,0 -6,8 Tdt gratuita (digitali) 338 232 109 40 18 45,7 1767,4 Cavo e satellite (digitali) 150 172 181 169 149 -12,8 0,7 Totale 3544 3930 4106 3977 3783 -9,8 -6,3 Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su dati operatori, Npa Conseil.

26 Televisione Pesante è anche il consuntivo delle emittenti pubbliche, in particolare France Télévision, per via della progressiva esclusione degli spazi pubblicitari dal palinsesto (il dato di 405 milioni di ricavi è stato comunque superiore alle previsioni del gruppo, che si attendeva una débacle ben maggiore) e la spagnola Tve, che ne ha seguito lo stesso destino alla fine del 2009. Conservando il suo modello di finanziamento, la Rai ha limitato le perdite al 17%. La crisi della pubblicità televisiva dell’ultimo biennio, ammortizzata in Italia (dove il mezzo è preponderante rispetto alla stampa e a Internet) meglio che altrove, ha reso il mercato italiano il più ricco con poco meno di 4 miliardi di euro. Francia, Germania e Regno Unito si attestano intorno ai 3,5 miliardi, mentre la Spagna ha perso 1,2 miliardi in 2 anni e a fine 2009 il suo mercato vale 2,3 miliardi. La crisi pubblicitaria ha avuto e avrà significative conseguenze sul mercato della produzione di contenuti, segnatamente per le emittenti commerciali che hanno nella pubblicità la principale fonte di ricavo e che rappresentano un fondamentale segmento della domanda e fonte di finanziamento. I principali broadcaster privati europei, di conseguenza, sono intervenuti con tagli più o meno pesanti sul budget di programmazione, cercando di trovare un equilibrio che consentisse di conservare i margini operativi senza svilire l’appeal dei contenuti e perdere ascolti, meccanismo che innescherebbe un circolo vizioso al ribasso. I tagli alla programmazione stanno avendo, però, un effetto negativo sul mercato della produzione di contenuti originali da parte delle società di produzione, indipendenti o collegate che siano. Ovviamente, la predilezione dei broadcaster, specie in una fase di magra, va verso le società collegate, nel tentativo di assicurarsi maggiore margine e di massimizzare gli eventuali ricavi secondari. Tabella 14 - Germania, ricavi pubblicitari tv, 2005-2009 Operatori 2009 2008 2007 2006 2005 Δ % 09-08 Δ % 09-05 Ard (pubbliche) 141 171 168 177 158 -17,5 -10,8 Zdf (pubblica) 112 123 117 125 102 -8,9 9,9 Rtl Group 1583 1872 1799 1802 1721 -15,5 -8,0 ProsiebenSat.1 Media 1511 1582 1791 1786 1717 -4,5 -12,0 altri (analogici+digitali) 293 287 280 224 231 2,1 26,7 Totale 3640 4035 4156 4114 3930 -9,8 -7,4 Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su dati operatori, Zaw.

Tabella 15 - Regno Unito, ricavi pubblicitari tv, 2005-2009 Operatori 2009 2008 2007 2006 2005 Δ % 09-08 Δ % 09-05 Itv 1 1238 1406 1532 1655 1880 -12,0 -34,1 Channel 4 601 699 760 748 796 -14,1 -24,6 Five 233 305 322 322 339 -23,5 -31,0 Multichannel (digitali) 1395 1422 1333 1170 969 -1,9 44,0 - di cui Itv digital 275 272 235 176 125 1,2 120,7 - di cui C4 digital 192 190 167 140 99 0,8 94,3 - di cui Five digital 49 64 48 21 0 -22,8 - - di cui Bskyb 346 368 395 384 369 -6,1 -6,4 Sub-totale Itv 1513 1678 1767 1831 2005 -9,8 -24,5 Sub-totale Channel 4 792 890 926 887 895 -10,9 -11,5 Sub-totale Five 283 369 370 343 339 -23,4 -16,4 Totale 3467 3896 4013 3894 3984 -11,0 -13,0 Note: dati in milioni di euro al cambio medio 2009 (0,8909 sterline = 1 euro). Dati Bskyb al 30 giugno di ogni anno. Fonte: elaborazioni IEM su dati operatori, Ofcom.

Televisione 27 Tabella 16 - Spagna, ricavi pubblicitari tv, 2005-2009 Operatori 2009 2008 2007 2006 2005 Δ % 09-08 Δ % 09-05 Tve (pubbliche) 422 597 715 693 709 -29,3 -40,5 Autonómicas (pubbliche) 238 320 355 345 381 -25,6 -37,5 Telecinco 590 893 1006 923 871 -33,9 -32,3 Antena Tres 555 659 802 804 800 -15,8 -30,6 Cuatro 249 293 273 173 21 -14,9 1109,7 La Sexta 189 157 120 45 - 20,0 - Veo Tv (digitale) 9 11 5 - - -15,2 - Tv (digitale) 22 9 <1 - - 149,4 - Locali 9 38 51 47 42 -76,0 -78,4 Tematiche (digitali) 60 56 60 44 31 7,1 91,4 Totale 2343 3032 3582 3291 3067 -22,7 -23,6 Note: dati in milioni di euro. I dati a disposizione per il mercato spagnolo sottostimano generalmente le tv locali e tematiche. Fonte: elaborazioni IEM su dati operatori, Cmt, Infoadex. Nell’ultimo triennio – prendendo in esame i maggiori broadcaster commerciali di Italia, Francia e Regno Unito, la contrazione dei ricavi ha prodotto sia un taglio ai costi di programmazione che un’erosione del margine di programmazione (l’incidenza percentuale dei costi di programmazione sui ricavi pubblicitari), particolarmente grave per le emittenti britanniche, il cui punto di rottura sarebbe già occorso se non contribuissero ulteriori margini prodotti dai canali digitali e dalle attività diverse. Figura 2 - Incidenza dei costi di programmazione sui ricavi, 2007-2009 (%)

100 90 86,9 87,1 86,8 82,1 77,7 2007 2008 2009 80 77,1

64,9 70 62,7 59,6 60 54,8 52,7 50,6 50,9 50,1 50 44,8 40 30 20 10 0 Itv 1 Channel 4 Tf1 Mediaset M6

Fonte: IEM su bilanci aziendali. I margini si sono dunque assottigliati, specialmente sul mercato britannico, dove il grado di competizione sul mercato interno è alto e la concorrenza costringe a tagliare sui contenuti il meno possibile. Ciononostante, il taglio è stato rilevante per i principali broadcaster finanziati da pubblicità come Channel 4 e Itv. Il margine di Channel 4, ad esempio, si è dimezzato negli ultimi due anni. Itv 1, dal canto suo, in crisi permanente ormai da una decina di anni, ha scaricato la flessione pubblicitaria del 2009 quasi integralmente sul costo dei contenuti (134 milioni di sterline di flessione, 114 di tagli ai programmi).

28 Televisione Sul mercato francese, che sta sperimentando solo negli ultimi anni l’impetuosa crescita dei canali digitali, i margini sono relativamente più alti. Nondimeno, per il canale leader Tf1 la decrescita degli introiti pubblicitari è stata, nel 2009, di oltre 200 milioni, e 100 sono stati recuperati sul costo della programmazione, mantenendo il margine operativo lordo sui 500 milioni. Con ricavi minori ma margini storicamente elevati, il follower M6 ha tagliato il budget di più di 40 milioni, recuperando parte dei 50 milioni di minori introiti pubblicitari.

Figura 3 - Channel 4, ricavi e costo della programmazione, 2007-2009 (M£)

Ricavi pubblicitari costo della programmazione 1400 1224 1200 1127 979 993 1000 951 865 800

600

400

200

0 2007 2008 2009

Fonte: IEM su bilanci Channel 4.

Figura 4 - Itv 1, ricavi e costo della programmazione, 2007-2009 (M£)

Ricavi pubblicitari costo della programmazione 800

700 677 620 600 535 522 509 500 465

400

300

200

100

0 2007 2008 2009

Fonte: IEM su bilanci Itv.

Televisione 29 Figura 5 - Tf1, ricavi e costo della programmazione, 2007-2009 (M€)

Ricavi pubblicitari Costo della programmazione 2000 1800 1718 1647 1600 1429 1400 1200 1024 1032 1000 927 800 600 400 200 0 2007 2008 2009

Fonte: IEM su bilanci Tf1.

Figura 6 - M6, ricavi e costo della programmazione, 2007-2009 (M€)

ricavi pubblicitari costo della programmazione 800

700 676 658 606 600

500

400 347 303 304 300

200

100

0 2007 2008 2009

Fonte: IEM su bilanci M6. Come ultimo esempio, l’italiana Mediaset. Il gruppo, in un contesto di mercato dove la concorrenza digitale comincia ora a guadagnare ascolti sensibili, anche se non ancora accompagnati da ricavi pubblicitari adeguati (poche fra le offerte in chiaro sono arrivate a break- even, e buona parte dei ricavi del digitale terrestre sono appannaggio dei canali Mediaset), ha sempre avuto margini più elevati degli omologhi europei – tali che a fronte di un decremento dei ricavi sulle generaliste dell’8,6%, il taglio al costo del palinsesto è stato di solo l’1,8% (20 milioni). Taglio che si è comunque concentrato sulla produzione di fiction originale (secondo stime di mercato, 60-80 milioni in meno nel 2009).

30 Televisione Figura 7 - Mediaset, ricavi e costo della programmazione, 2007-2009 (M€)

Ricavi pubblicitari costo della programmazione 3000

2451 2452 2500 2241

2000

1500 1239 1249 1227

1000

500

0 2007 2008 2009

Note: solo canali generalisti. Fonte: IEM su bilanci Mediaset.

Televisione 31 Radio

32 Radiodi Chiara Valmachino

1. Lo scenario

Secondo le rilevazioni Audiradio, nel 2009 la platea radiofonica italiana era composta da 39,1 milioni di ascoltatori nel giorno medio, con un incremento dell’1,87% rispetto all’anno precedente. Il dato conferma una tendenza positiva, perdurante dal 2005: con una sola, lieve battuta di arresto nel 2008 (-0,7% sull’anno precedente), gli ascolti della radio risultano, infatti, costantemente in crescita nell’ultimo quinquennio, a un tasso medio dell’1,25% annuo. Tabella 1 - Ascolto della radio in Italia, 2005-2009 Anno Ascoltatori (000) Var. annuale % 2005 37.205 1,76 2006 37.995 2,12 2007 38.654 1,73 2008 38.381 -0,70 2009 39.098 1,87 Note: migliaia di ascoltatori nel giorno medio, base: individui anni 11+. Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio. La radio tocca il suo picco di ascolti nella fascia oraria mattutina tra le 6 e le 9, in cui raggiunge mediamente 21,3 milioni di utenti; dopo un progressivo calo nel corso della mattinata, la curva di ascolto torna a crescere tra le 15 e le 18 (con circa 16,5 milioni di utenti), per poi scendere nuovamente, fino ai 5,6 milioni di ascoltatori della serata (tra le 21 e le 24). I picchi di ascolto nel cosiddetto “drive time” - dedicato agli spostamenti in auto - sono il segnale di un consumo radiofonico prevalentemente extra-domestico: secondo Audiradio, in effetti, nel 2009 ben il 73% degli ascoltatori nel giorno medio ha utilizzato la radio fuori casa, e, in particolare, il 60% ne ha fruito in automobile. Come già più volte sottolineato anche nei precedenti Rapporti IEM, la portabilità è, del resto, una delle principali chiavi del duraturo successo della radio, un mezzo interstiziale e versatile, che accompagna, punteggia e si adatta alle attività quotidiane del pubblico. Come il numero assoluto di ascoltatori, risulta in crescita nel 2009 anche il tasso di penetrazione della radio nel giorno medio (ovvero il rapporto percentuale tra gli ascoltatori del mezzo e l’intera popolazione sopra gli 11 anni), che si attesta al 73,1%, contro il 72,3% del 2008. Il core target della radio è quello giovane-adulto: è utente di questo medium più dell’80% della popolazione tra i 15 e i 44 anni; il tasso di penetrazione più elevato si registra, in particolare,

Radio 33 nella fascia 25-34 anni (83,7%). I valori decrescono, invece, sensibilmente con l’avanzare dell’età, fino a raggiungere il 56,9% di penetrazione tra gli ultra sessantacinquenni. Figura 1 - Percentuale di penetrazione della radio per fasce di età (2009)

90 81,1 82,1 83,7 80,6 78,1 80 75 73,1 70 66,9 56,9 60 50 40 30 20 tasso % di penetrazione 10 0 Totale 11-14 15-17 18-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65 anni più di 11 anni anni anni anni anni anni anni e oltre anni fasce di età

Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio. Rispetto al 2008, tuttavia, i dati rilevano un – seppur modesto – invecchiamento nel profilo demografico dell’utente radiofonico. L’appeal del mezzo descresce, infatti, nella fascia 18-24 anni (-1,5% sul 2008); resta sostanzialmente invariato tra i 25-34enni (-0,3%); cresce, invece, in tutte le fasce di età successive: in particolare, si registra un aumento del tasso di penetrazione dell’1,7% nella fascia 45-54 e dell’1,5% nella popolazione over 65. Figura 2 - Percentuale di penetrazione della radio per sesso, istruzione e area geografica (2009)

0 20 40 60 80 100

totale (% media) 73,1 sesso Uomini 78,4 Donne 68,2 grado di istruzione Univers./Secondaria II gr. 77,9 Secondaria I grado 72,3 Scuola primaria/nessuno 54 area geografica Nord Ovest 75 Nord Est 74,6 Centro 73,3 Sud /isole 70,8

Note: target individui anni 11+. Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio.

34 Radio I dati Audiradio 2009 confermano, rispetto agli anni precedenti, che l’ascoltatore radiofonico è prevalentemente di sesso maschile: il 78,4% dei maschi sopra gli 11 anni è utente della radio, contro il 68,2% della popolazione femminile. Il tasso di penetrazione è massimo, inoltre, tra gli individui che hanno conseguito il diploma o la laurea (77,9%), ed è minimo tra i cittadini senza titoli di studio (54%, dato in calo dell’1,6% rispetto al 2008). Infine, l’ascolto radiofonico è più frequente nelle regioni del Nord Italia (con un tasso medio del 74,8%) rispetto al Centro e al Sud. Emerge, infine, nel 2009 rispetto agli anni precedenti, l’immagine inedita di un ascoltatore più “nomade”, che probabilmente tende a incrociare, alternare e accumulare molteplici consumi su diverse piattaforme. La durata media di ascolto radiofonico giornaliero risulta, infatti, sensibilmente in calo: si passa da 179 a 166 minuti (- 7,3%), valore inferiore a tutti i livelli registrati dal 2005 in avanti1. Figura 3 – Durata media di ascolto della radio in Italia (2005-2009)

185 181 179 180 173 175 171 170

minuti 166 165

160

155 2005 2006 2007 2008 2009 anni Note: minuti di ascolto nel giorno medio, target individui anni 11+. Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio. Attualmente il mercato radiofonico italiano conta 18 emittenti nazionali, pubbliche e private, che trasmettono prioritariamente in analogico terrestre. Ad esse si aggiungono le syndication nazionali o sovraregionali (ovvero i consorzi di emittenti locali, che condividono la gestione della raccolta pubblicitaria e acquistano da una capofila – o super station – parte della programmazione, trasmettendola poi in simultanea); le radio comunitarie, nazionali e locali; le emittenti locali. L’esatta quantificazione dell’emittenza radiofonica locale in modulazione di frequenza (Fm) è difficoltosa. Come sottolinea l’associazione di categoria Frt, in un mercato radiofonico da anni interessato a un forte processo di concentrazione, le frequenze di piccole emittenti vengono spesso acquisite e inglobate da grandi network senza nemmeno un’ufficializzazione puntuale dei cambiamenti. Pur con le dovute cautele, la stessa Frt stima comunque che nel 2007 fossero in onda (in Fm) circa 930 emittenti locali. I principali operatori sul mercato italiano della radiofonia sono riconducibili a tre categorie: 1- L’editore radiotelevisivo pubblico, Rai - Radio Televisione Italiana. La Rai possiede tre emittenti nazionali, Radio 1, Radio 2 e Radio 3, le cui infrastrutture sono gestite dalla controllata spa. Inoltre, alla concessionaria pubblica appartiene il canale radiofonico di pubblica

1 Tra le emittenti nazionali, nel 2009 si aggiudica il primato nella durata di ascolto l’emittente commerciale Radio 105, con una media di 105 minuti giornalieri. Seguono il terzo canale pubblico, , con una media di 104 minuti di ascolto, e l’emittente religiosa Radio Maria, con 97 minuti. La minor durata di ascolto è registrata, invece, da Radio Radicale e da , che totalizzano entrambi 58 minuti nel giorno medio.

Radio 35 utilità Isoradio (che trasmette per lo più in isofrequenza, con informazioni sulla mobilità e musica). 2. Gruppi editoriali privati, con un core business nella radiofonia, tra cui i principali sono: • il Gruppo Finelco spa (presieduto dall’azionista di maggioranza, Alberto Hazan): è proprietario di tre canali nazionali, ovvero Radio 105, Radio Montecarlo (RMC) e Virgin Radio. Quest’ultima emittente è nata dal rebranding di Play Radio, che il gruppo Finelco ha acquisito nel 2007 da RCS Media Group. In cambio, RCS era entrata con il 34,6% nell’azionariato della stessa Finelco. Nel luglio 2009 l’accordo tra Finelco ed RCS, valido fino al 2012, è stato rinnovato fino al 2014; il nuovo patto prevede un aumento di capitale del gruppo radiofonico per 10 milioni di euro, in seguito a cui RCS incrementa la partecipazione nel capitale sociale di Finelco, arrivando al 37,2%. L’accordo, inoltre, dà a RCS diritti di opzione per acquisire l’intero gruppo radiofonico tra il 2014 e il 2015; • Radio Dimensione Suono spa (di cui è proprietario e presidente l’imprenditore Eduardo Montefusco): gestisce a livello nazionale l’emittente musicale di flusso Rds 100% Grandi successi, e a livello locale le radio Dimensione Suono Roma, Dimensione Suono Due, Ram Power e Discoradio (acquisita nel 2006); • Rtl 102.5 Hit Radio srl (di cui è presidente il fondatore Lorenzo Suraci): controlla la radio nazionale Rtl 102.5 e l’omonima emittente televisiva (ex Hit channel), che trasmette free- to-air, con la formula della “radiovisione”, sul satellite e sul digitale terrestre; • Radio Italia spa: controlla l’emittente nazionale Radio Italia Solomusicaitaliana; dal 2004, la società era anche editore del canale Tv satellitare Radio Italia Tv, chiuso nel luglio 2009. Dal 1° gennaio 2010, la raccolta pubblicitaria di Radio Italia è stata affidata in esclusiva a Manzoni, concessionaria del Gruppo Espresso (che già cura la raccolta dei canali radio di Elemedia); • l’Associazione Radio Maria: edita l’omonima emittente religiosa (nata come radio parrocchiale ad Arcellasco d’Erba, in provincia di Como e divenuta poi radio nazionale). Nel 1998, l’Associazione ha fondato anche l’Ong World Family of Radio Maria, da cui dipendono oggi 45 emittenti radiofoniche sparse nel mondo. 3. Filiali radiofoniche di gruppi editoriali con un core business nella carta stampata. Tra questi, i principali sono: • Elemedia Spa (controllata al 100% dal Gruppo editoriale L’Espresso): gestisce tre emittenti radiofoniche nazionali, ovvero la generalista Radio Deejay, il canale di informazione e musica , la rete musicale a target giovane M2o. Elemedia controlla anche l’emittente televisiva Deejay Tv, che dal settembre 2009 ha rimpiazzato Allmusic, ereditandone la programmazione. Deejay Tv è in onda in chiaro sul digitale terrestre e in analogico. Sulla pay tv satellitare di Sky Allmusic è stata invece sostituita da un nuovo canale musicale, MyDeejay Tv; • Monradio Srl (interamente controllata dal Gruppo Mondadori): possiede l’emittente all- genre Radio 101 (R101). Si deve anche sottolineare che, nel marzo 2009, la Mondadori Pubblicità ha acquisito in esclusiva la raccolta pubblicitaria dell’emittente commerciale Radio Kiss Kiss, con sede a Napoli; • Nuova Radio Spa (controllata al 100% dal Gruppo ), che gestisce l’emittente “news and talk” Radio 24; • Rcs Mediagroup: come si è già ricordato, la media company milanese è attualmente socia di minoranza nel gruppo radiofonico Finelco, a cui ha ceduto nel 2007 l’emittente Play Radio; nel dicembre 2008, inoltre, Rcs ha ceduto al gruppo Next di Domenico Zambarelli il marchio (detenuto ma non utilizzato) di Radio Italia Network, emittente che ha ripreso a gennaio 2009 le trasmissioni in Fm, su scala sovra regionale. Analizzando i dati di ascolto delle emittenti nel 2009, balza subito in evidenza una generalizzata

36 Radio contrazione nei contatti delle emittenti nazionali (-5,5% in totale, rispetto al 2008), pur a fronte del già citato aumento complessivo di ascoltatori del mezzo radiofonico: sono, probabilmente, le radio locali e sovra regionali ad aver guadagnato in termini di audience, a discapito delle emittenti nazionali. In questo settore, le uniche performance positive del 2009 sono registrate dalle reti del gruppo Finelco Radio 105 (con un ottimo + 23,1% sul 2008) e Virgin Radio (+4,6%), e da Radio Kiss Kiss (2,1%). La rete ammiraglia della concessionaria pubblica, Radio 1, conferma - come in tutto il quinquennio precedente - la propria leadership nella classifica dell’audience, con 6,2 milioni di contatti nel giorno medio; tuttavia, gli ascolti del 2009 risultano fortemente ridimensionati rispetto all’anno precedente (-9,1%). Il sensibile calo di ascolti riguarda anche le altre due emittenti Rai, Radio 3 (-6,3%) e soprattutto Radio 2 (che passa da 4,9 a 3,8 milioni di contatti, con un crollo del 23,1%), probabilmente penalizzata dalla chiusura del programma di punta Viva Radio 2, condotto da Fiorello e da Marco Baldini. Come nel 2008, Rtl 102.5 è la seconda radio nazionale più ascoltata, con 5,3 milioni di contatti (in calo, però, di un moderato 2% sull’anno precedente). Segue, a breve distanza, Radio Deejay, che perde però 210 mila ascoltatori rispetto al 2008, contribuendo a confermare i risultati poco brillanti del Gruppo Elemedia (che resta il primo gruppo commerciale italiano, ma totalizza una perdita del 5,9% sul 2008, stesso risultato negativo dell’anno precedente). Al contrario, si osserva l’ascesa del gruppo Finelco (+4,8%): i già citati lusinghieri risultati di Radio 105 (che guadagna ben 530 mila ascoltatori) e, in parte, di Virgin Radio riescono a tamponare la performance negativa di Radio Montecarlo (-13,6%). Tabella 2 - Ascolto delle emittenti radiofoniche nazionali nel giorno medio (2005-2009) Variaz. % 2009 2008 2007 2006 2005 2008-09 Rai Radiouno () 6.250 6.876 6.744 6.720 6.399 -9,10 RTL 102.5 5.291 5.399 5.166 4.907 4.125 -2,00 Radio Deejay (E) 5.037 5.249 5.586 5.758 5.587 -4,04 RDS 100% Grandi Successi 5.034 5.263 5.014 4.965 4.505 -4,35 Radio 105 Network (F) 4.507 3.975 3.961 3.703 3.547 13,38 Rai Radiodue (R) 3.781 4.918 4.988 5.486 4.213 -23,12 Radio Italia Solo Musica Italiana 3.662 3.799 3.776 3.223 3.260 -3,61 Radio Kiss Kiss 2.290 2.242 2.374 1.724 1.355 2,14 Radio R101 1.990 2.080 1.952 1.381 n.d. -4,33 Radio 24 - Il Sole 24 Ore 1.885 2.113 1.859 1.763 1.572 -10,79 Rai Radiotre (R) 1.868 1.993 1.943 1.914 1.858 -6,27 Virgin Radio (F) 1.786 1.707 n.d. n.d. n.d. 4,63 Radio Maria 1.608 1.715 1.806 1.694 1.829 -6,24 RMC Radio Montecarlo (F) 1.571 1.818 1.920 2.056 2.075 -13,59 Radio Capital (E) 1.520 1.623 1.857 2.039 1.980 -6,35 M2O (E) 1.292 1.469 1.416 1.066 1.007 -12,05 Isoradio (R) 969 1.181 1.177 1.115 1.086 -17,95 Radio Radicale 448 515 536 545 449 -13,01 Gruppo Rai (R) 12.868 14.968 14.852 15.235 13.556 -14,03 Gruppo Elemedia (E) 7.849 8.341 8.859 8.863 8.574 -5,90 Gruppo Finelco (F) 7.864 7.500 5.881 5.759 5.622 4,85 Totale contatti * emittenti nazionali 50.825 53.935 50.685 50.059 44.847** -5,77 Note: migliaia di ascoltatori nel giorno medio; in corsivo le emittenti pubbliche; (*) i dati sui contatti sono al lordo delle sovrapposizioni (ovvero dell’ascolto quotidiano di più emittenti); (**) dato non comparabile per l’assenza di rilevazioni dell’emittente R101 nel 2006. Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio.

Radio 37 In relazione ai dati di ascolto, occorre comunque precisare che dal 2009 Audiradio ha iniziato la sperimentazione di una nuova metodologia di raccolta dati, perfezionata e ampliata con l’indagine 2010: la tradizionale ricerca, effettuata per via telefonica su un campione di 120.000 soggetti, viene ora integrata, anche per gli ascolti del giorno medio (ma solo per le emittenti nazionali che hanno aderito alla nuova metodologia) con un’indagine tramite panel-diari, su un campione di 14.400 individui. I primi dati del 2010 pubblicati, relativi al primo trimestre dell’anno, restituiscono uno scenario radicalmente modificato, che non può essere tout court comparato con i risultati delle precedenti rilevazioni, ma che – se confermato2 – apre la via a nuove riflessioni. Innanzitutto, il totale dei contatti per le emittenti radiofoniche nazionali - pari a 58 milioni nel giorno medio - risulterebbe molto superiore a quello indicato in tutto il quinquennio precedente (con dati che oscillavano tra i 50 e i 54 milioni) . Anche dalle performance delle singole emittenti sembrano giungere variazioni rilevanti agli equilibri stabiliti. In sintesi, emerge nel primo trimestre 2010 un inatteso successo di Radio 1, che, con 7,6 milioni di contatti, distanzia nettamente Radio Deejay; quest’ultima conquista la seconda posizione, superando la soglia dei 6 milioni di ascoltatori e scavalcando Rtl 102.5 (ferma a 5,5 milioni). In sorprendente controtendenza rispetto alla precedente rilevazione, risulta al quarto posto il secondo canale Rai, Radio 2 (5,3 milioni), seguito dalla capofila del gruppo Finelco, Radio 105, a quota 4,7 milioni di ascoltatori. Completerebbe un quadro molto positivo per la concessionaria pubblica il balzo in avanti di Radio 3, che arriverebbe a sfiorare i 3 milioni di contatti nel giorno medio. Tutte le radio presenti nella top ten 2009 vedono ritoccati in positivo i propri ascolti: fa però eccezione RDS Radio Dimensione Suono, pesantemente ridimensionata rispetto alle precedenti rilevazioni (con 4,6 milioni di ascoltatori, contro i 5 milioni di tutto il triennio precedente). Osservando, infine, le performance dei principali gruppi radiofonici commerciali, si deve sottolineare, da un lato, che il gruppo Elemedia totalizzerebbe 9,5 milioni di contatti complessivi, ben al di sopra dei 7,8 del 2009 (ai positivi risultati di RadioDeejay e di Radio Capital, fa tuttavia da contraltare l’opaca performance di M2o, ferma intorno al milione di contatti). In chiaroscuro paiono, d’altra parte, i risultati del concorrente gruppo Finelco (a quota 8,1 milioni di contatti totali, solo lievemente superiori ai 7,9 calcolati nel 2009): mentre Radio 105 si mantiene al quinto posto della classifica generale, Virgin Radio si ferma a 1,6 milioni di ascoltatori e viene superata in classifica dalla “cugina” Radio Montecarlo, oltre che da Radio Capital. Tabella 3 - Ascolto delle emittenti radiofoniche nazionali nel giorno medio (I trimestre 2010) Ascolti (I trimestre 2010) Rai Radiouno (R) 7.634 Radio Deejay (E) 6.276 RTL 102.5 5.533 Rai Radiodue (R) 5.280 Radio 105 Network (F) 4.764 RDS 100% Grandi Successi 4.658 Radio Italia Solo Musica Italiana 3.902 Rai Radiotre (R) 2.978 Radio Kiss Kiss 2.494

2 La metodologia di Audiradio è probabilmente destinata ad essere presto nuovamente modificata. A luglio 2010, il CdA di Audiradio ha dato, infatti, mandato al proprio presidente di studiare tutte le soluzioni più affidabili per affinare i risultati della nuova metodologia di indagine, contestata in questi mesi da diversi operatori del settore.

38 Radio Radio R101 2.491 Radio 24 - Il Sole 24 Ore 2.371 Radio Capital (E) 2.251 RMC Radio Montecarlo (F) 1.731 Radio Maria * 1.626 Virgin Radio (F) 1.605 M2o (E) 1.031 Isoradio (R) * 986 Radio Radicale * 470 Gruppo Rai (R) 16.878 Gruppo Elemedia (E) 9.558

Totale Totale Gruppo Finelco (F) 8.100 contatti ** contatti Totale contatti ** emittenti nazionali 58.081 Note: migliaia di ascoltatori nel giorno medio; in corsivo le emittenti pubbliche; (*) Radio Maria, Isoradio e Radio Radicale non hanno aderito alla rilevazione tramite panel-diari; pertanto, i dati di queste emittenti risultano dalla sola indagine telefonica; (**) i dati sui contatti devono essere considerati al lordo delle sovrapposizioni tra diverse emittenti. Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio.

2. Gli investimenti pubblicitari

Nel 2009, secondo le stime di Nielsen Media Research, gli investimenti pubblicitari nei principali media italiani (stampa, radio, tv, cinema, internet e affissioni) hanno subito una contrazione del 13,2% rispetto all’anno precedente, attestandosi complessivamente a 7,99 miliardi di euro. In questo contesto, la radio ha chiuso l’anno con una perdita – tutto sommato moderata - del 7,7%, raccogliendo investimenti per 436,3 milioni di euro (contro i 472,9 del 2008). Secondo i dati Nielsen, il settore radiofonico ha rappresentato nel 2009 il 5,46% del mercato pubblicitario, dato in lieve crescita rispetto alla precedente rilevazione. Tabella 4 – Radio: investimenti pubblicitari in Italia (2005-2009) Var. % 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2008-09 Totale pubblicità (*) 7.994.277 9.214.314 8.978.580 8.553.825 8.460.442 8.116.241 -13,24 Radio (**) 436.317 472.904 476.084 440.669 408.597 400.214 -7,7 Incidenza % Radio su 5,46 5,13 5,3 5,15 4,83 4,93 - Totale Note: dati in migliaia di euro; (*) Sono inclusi nel totale gli investimenti nei seguenti media: tv, stampa, radio, cinema, Internet, affissioni; (**) investimenti sulle radio nazionali. Fonte: elaborazione IEM su stime Nielsen Media Research Vale la pena sottolineare che, confrontando i dati di Nielsen Media Research sugli investimenti pubblicitari con quelli prodotti da altre fonti, emergono valori differenti, dovuti principalmente alle discrepanti metodologie di elaborazione dei dati (tra l’altro considerati talora al lordo, talora al netto delle commissioni di vendita e/o degli sconti di agenzia)3. Tuttavia, restano costanti due importanti elementi di fondo: il settore radiofonico detiene nel 2009, secondo tutte le fonti, una quota tra il 5 e il 5,5% del mercato pubblicitario complessivo; gli investimenti pubblicitari nella radio nel 2009 risultano diminuiti rispetto all’anno precedente, di una quota oscillante tra l’8% circa (indicato da Agcom, Nielsen, Fcp-Assoradio) e l’11% (indicato dalle stime di Assocomunicazione).

3 Si deve ricordare che, dal gennaio 2009, Nielsen Media Research elabora le proprie stime sul mercato pubblicitario utilizzando anche i dati sulla radio raccolti dall’Osservatorio FCP-Assoradio: quest’ultimo aggrega i dati mensili di fatturato pubblicitario forniti direttamente dalle concessionarie nazionali (e non si basa, invece, sui prezzi di listino successivamente ponderati secondo un valore medio di abbattimento, come faceva in precedenza Nielsen).

Radio 39 Il periodo nero del mercato pubblicitario italiano – iniziato nel secondo semestre 2008 e connesso alla crisi economica internazionale – mostrava i segnali di un’inversione di tendenza già alla fine dell’anno scorso: secondo Nielsen Media Research, nel mese di dicembre 2009 il calo di investimenti complessivi era solo dell’1,6% rispetto allo stesso mese del 2008; proprio la radio faceva segnare performance mensili molto incoraggianti, con una crescita del 24,6% sul mese di dicembre 2008. Tabella 5 – Rilevazioni del mercato radiofonico nazionale a confronto (2008-2009) Radio - volume Radio - volume % radio su totale Fonte investimenti investimenti Variazione % investimenti nei 2009 2008 media - 2009 (*) Nielsen Media Research 436.317 472.904 -7,7 5,46 Fcp-Assoradio 370.859 402.037 -7,7 - Agcom / Nielsen Media Research (**) 403.000 437.000 -7,8 5,32 Agcom – IES (**) - 396.530 - - Assocomunicazione (***) 443.000 498.000 -11 5 Note: Dati in migliaia di euro, relativi agli investimenti sulle radio nazionali (*) Sono inclusi nel totale gli investimenti sui seguenti media: Tv, stampa, radio nazionali, cinema, Internet, affissioni; (**) La relazione annuale Agcom rielabora dati forniti da Nielsen Media Research; Agcom produce anche un’altra valorizzazione del settore radiofonico, con dati estratti dall’Informativa Economica di Sistema (IES). (***) Le cifre di Assocomunicazione sono frutto di stime previsionali, prodotte in corso d’anno, per le radio nazionali. Comprendendo le emittenti locali il dato sarebbe di 589 milioni. Fonte: elaborazione IEM su stime Nielsen Media Research , Fcp-Assoradio, Agcom, Assocomunicazione. La tendenza a una cauta ripresa è stata confermata nei primi mesi del nuovo anno: sempre secondo Nielsen, nel primo trimestre 2010, infatti, gli investimenti pubblicitari sui principali mezzi aumentano del 4,35% rispetto allo stesso periodo 2009; positivi appaiono, in particolare, i risultati del settore radiofonico, che da gennaio a marzo cresce del 12,6% sul primo trimestre 2009, grazie soprattutto alla buona performance della pubblicità tabellare. Tabella 6 – Radio: investimenti pubblicitari in Italia (primo trimestre 2010) I trimestre 2010 I trimestre 2009 Variazione % Totale pubblicità (*) 2.044.616 1.959.338 4,35 Radio (**) 104.726 93.031 12,6 di cui Tabellare 96.491 85.282 13,1 di cui Extra Tabellare 8.236 7.748 6,3 Note: Dati in migliaia di euro; (*) Sono inclusi nel totale gli investimenti nei seguenti media: Tv, stampa, radio, cinema, Internet, affissioni; (**) investimenti sulle radio nazionali. Fonte: elaborazione IEM su stime Nielsen Media Research. Anche il Rapporto 2010 “Comunicare ” di Assocomunicazione segnala che “nonostante il perdurare di difficoltà nell’economia reale e nel mercato dei capitali, esistono primi solidi segnali di ripresa […] per quanto riguarda gli investimenti in comunicazione”. Le stime di Assocomunicazione parlano di una crescita costante ma lenta, che dovrebbe portare a recuperare i livelli di investimento del 2008 entro 4 anni. Per il 2010, l’incremento complessivo degli investimenti pubblicitari previsto è intorno al 2%. In questo contesto, la raccolta pubblicitaria sulle radio nazionali dovrebbe crescere del 4% rispetto al 2009, trainata dai buoni risultati delle emittenti commerciali (+4,5%, a fronte di un + 2,2% delle reti pubbliche). Assocomunicazione, a differenza di altre fonti4, rileva anche gli investimenti sulle radio locali: calcolando che il settore locale abbia rappresentato il 28% degli investimenti radiofonici totali nel 2009, con 171 milioni di euro, Assocomunicazione prevede in questo segmento, per il 2010, un perdurante stallo (con 170 milioni di investimenti, pari al 29% circa del totale).

4 Anche l’Agcom produce, per la verità, dati sulla raccolta pubblicitaria delle radio a diffusione locale, inte- grando le informazioni fornite dai maggiori operatori locali per l’Informativa Economica di Sistema con stime sui restanti operatori. L’ultimo dato disponibile è purtroppo fermo al 2008, e calcola che la raccolta pubblicitaria delle radio locali fosse di 182 milioni di euro, pari al 31,4% della raccolta radiofonica totale.

40 Radio Tabella 7 - Radio: investimenti pubblicitari in Italia (previsione 2010) Previsione 2010 Variaz. % Radio nazionali 419.000 4 emittenti pubbliche 91.000 2,2 emitt. commerciali 328.000 4,5 Radio locale 170.000 0 Totale radio 589.000 2,8 Note: Dati in migliaia di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Assocomunicazione

3. Il confronto internazionale

Su scala mondiale, gli investimenti pubblicitari nel settore radiofonico ammontavano nel 2009 a 24,3 miliardi di euro: secondo Zenith Optimedia, tale cifra era il risultato di una perdita del 10,9% sul 2008, superiore di un punto percentuale al decremento medio della raccolta pubblicitaria globale (che si è fermata nel 2009 a quota 319 miliardi di euro, con una perdita complessiva del 9,8% sull’anno precedente). Tabella 8 - Radio: investimenti pubblicitari nel mondo e in Europa (2008-2009) 2009 2008 Δ% Totale pubblicità (mondo) 319.900 354.500 -9,8 Radio (mondo) 24.300 27.300 -10,9 Radio (Europa) 5.200 6.000 -13,3 Europa occidentale 4.300 4.800 -9,4 Europa orientale 900 1.200 -25,6 Note: dati in milioni di euro. Fonte: Zenith Optimedia In Europa, il mercato dell’advertising radiofonico nel 2009 valeva 5,2 miliardi di euro, e rappresentava il 21,4% degli investimenti globali nel mezzo. Gli investimenti pubblicitari nella radio, in Europa, risultavano nel 2009 calati del 13,3% rispetto all’anno precedente; presentava un saldo particolarmente negativo l’area dell’Europa orientale, con un decremento del 25,6% rispetto al 2008. Tabella 9 - Investimenti pubblicitari nei principali mercati europei (2009) Totale pubblicità Radio % Radio su totale Francia 10.291 676 6,57 Germania 18.337 679 3,70 Italia 7.994 436 5,46 Regno Unito 16.275 456 2,80 Spagna 5.621 537 9,55 Totale 58.518 2.784 4,76 Note: dati in milioni di euro, riferiti agli investimenti pubblicitari netti; (*) i dati relativi all’Italia riguardano solo le emittenti radiofoniche nazionali; (**) i dati relativi al Regno Unito sono al netto delle sponsorizzazioni e del branded content radiofonico. Fonti: elaborazione IEM su dati Irep, Zaw, Nielsen, Warc/AA, Infoadex. I dati sulla spesa pubblicitaria nei singoli mercati europei sono di difficile comparazione, poiché non coincidono perfettamente le metodologie di raccolta e di elaborazione utilizzate dai diversi centri di ricerca nazionali. In generale, si può comunque osservare che la radio occupa nel 2009 una porzione assai ridotta nel media mix dei due maggiori mercati pubblicitari europei, ovvero Regno Unito (2,8%, su un totale di investimenti pari a 16,3 miliardi di euro) e Germania (3,7%, sul totale di 18,3 miliardi di euro). Seguono, nel mercato EU-5, l’Italia (in cui la radio rappresenta il 5,46% degli investimenti totali), la Francia (6,57%) e, infine la Spagna,

Radio 41 che è il mercato pubblicitario più piccolo (con 5,6 miliardi di euro di investimenti), ma riserva alla radio una rilevante quota di mercato, pari al 9,6% del totale. Nel 2009, i già citati effetti della crisi finanziaria hanno avuto effetti negativi in tutti i principali mercati pubblicitari, seppur con proporzioni diverse; il mercato radiofonico tedesco, in particolare, ha retto meglio degli altri, con una perdita del 5,6% (pari a 40 milioni di euro) sul 2008, inferiore anche al decremento medio complessivo della spesa pubblicitaria nazionale tedesca, che si è attestato al 9,8%. La complessiva tenuta della radio in Germania è attribuibile, in parte, agli investimenti del settore automobilistico, che coprono un terzo dell’ad-spend radio totale e che nel 2009 sono rimasti invariati – secondo uno studio di Nielsen Media Research - rispetto all’anno precedente, con una spesa di 228,5 milioni di euro. Il mercato radiofonico che più ha risentito, invece, della congiuntura economica sfavorevole è quello spagnolo, che – dopo un triennio di crescita tra il 2005 e il 2007 e una prima battuta d’arresto nel 2008 - si contrae nel 2009 del 16,3% (nel contesto, tuttavia, di una perdita del 20,9% subita in complesso dai cosiddetti “media convenzionali”). In Italia, Regno Unito e Francia le perdite nel 2009 si sono assestate su valori compresi tra il 7 e il 9%. Se in Italia, tuttavia, gli investimenti radiofonici nell’ultimo quinquennio crescono complessivamente a un tasso medio dell’1,7%, nel Regno Unito e in Francia, al contrario, la radio pare attraversare una crisi più strutturale, come segnalano anche i tassi di decrescita media dal 2005 al 2009, rispettivamente del 7 e del 4% circa. Tabella 10 - Radio - Investimenti pubblicitari nei principali mercati europei (2005-2009) Δ % 2005 2006 2007 2008 2009 Cagr 2008-09 Francia 795 807 767 742 676 -8,89 -3,97 Germania 664 681 743 719 679 -5,56 0,56 Italia (*) 408 440 476 473 436 -7,82 1,67 Spagna 610 637 678 642 537 -16,36 -3,14 Regno Unito (**) 609 549 555 491 456 -7,13 -6,98 Note: dati in milioni di euro, riferiti agli investimenti pubblicitari netti; (*) i dati relativi all’Italia riguardano solo le emittenti radiofoniche nazionali; (**) i dati relativi al Regno Unito sono al netto delle sponsorizzazioni e del branded content. Fonti: elaborazione IEM su dati Irep, Zaw, Nielsen, Warc/AA/Ofcom, Infoadex. ZenithOptimedia prevede per il 2010 una cauta ripresa degli investimenti globali in advertising: secondo le stime pubblicate ad aprile, tale ripresa si dovrebbe attestare intorno al 2,2% complessivo. La ripresa procede, tuttavia, con velocità asimmetriche nelle diverse aree geografiche del pianeta e in relazione ai diversi media. La radio, in particolare, dovrebbe soffrire ancora, secondo Zenith, una stagnazione nel 2010 (-0,5%); la raccolta pubblicitaria radiofonica, nel mondo, dovrebbe poi tornare lentamente a crescere, del 2,3% nel 2011 (a fronte di una crescita del 4,1% dell’adspend complessivo) e di un ulteriore 4,5% nel 2011.

4. Le piattaforme di distribuzione e il futuro della radio: bilanci e ten- denze

Più volte i rapporti annuali IEM hanno sottolineato la straordinaria capacità di adattamento della radio allo scenario tecnologico contemporaneo. Medium antico, che ha saputo ibridarsi e integrarsi con le nuove tecnologie, oggi la radio è fruibile: • con ricevitori audio analogici (per le tradizionali trasmissioni in Fm e Am) e digitali (per esempio fondati sui sistemi Dab-T, per la ricezione digitale terrestre; Dab-S, per la ricezione diretta satellitare5; Drm);

5 Negli Stati Uniti e in Canada la radio satellitare a ricezione diretta (Dab-S) è offerta principalmente da Xm/Sirius, operatore nato nel 2008 dalla fusione dei due maggiori provider (Xm e Sirius, appunto); negli Usa, gli utenti della radio in Dab-S, nel 2008, erano circa 20 milioni. Al di fuori del Nord America, il maggiore provider di radio satellitare è stato negli scorsi anni WorldSpace, società fallita però nel 2008 (e acquisita, nel marzo 2009, dal

42 Radio • attraverso la televisione digitale, terrestre (standard Dvb-T), satellitare (Dvb-S), mobile (Dvb-H) e via cavo (Dvb-C); • con apparecchi di telefonia mobile (che ricevono le radio analogiche in Fm ma offrono anche, sempre più spesso, web radio in streaming, fruibili con connessione a Internet, via 3G, 3,5G, GPRS, Wi-fi); • attraverso Pc e lettori portatili (per la ricezione, via broadband, di web radio e Pod radio). In generale, la moltiplicazione delle piattaforme è un’opportunità per la radio di ampliare i propri bacini di utenza, offrendo maggiori listening point dei canali radiofonici esistenti, ma soprattutto incrementando l’offerta con nuove emittenti. Secondo Ofcom, per esempio, le emittenti radiofoniche digitali in Italia, Francia, Germania e Regno Unito erano complessivamente 333 nel 2007, e ben 717 nel 2009 (con un aumento del 115%); particolarmente rilevante risulta il dato del Regno Unito, con un’esplosione di emittenti digitali, che sono passate in due anni da 172 a 423 (di cui 380 commerciali e 43 pubbliche). Figura 4 - Numero di stazioni disponibili su piattaforme radio digitali (2007 e 2009)

2007 2009 450 423 400 350 300 250

200 172 150 113 107 116 100 46 65 50 8 0 Francia Germania Italia Regno Unito

Note: sono escluse le radio distribuite esclusivamente via web. Fonte: elaborazioni IEM su dati Idate /Ofcom.

Bisogna, in ogni caso, sottolineare che le diverse piattaforme distributive penetrano nei mercati con velocità differenziate. In Europa, in particolare, emergono attualmente tre tendenze, tra loro interconnesse: 1. la resistenza della distribuzione radiofonica in analogico; 2. le difficoltà di affermazione delle reti audio digitali terrestri; 3. il successo della radio via Internet. Accanto ai trend trasversali, sono, inoltre, rilevabili alcune tendenze peculiari di singoli mercati locali: in Italia, per esempio, tra i device d’elezione gioca un ruolo fondamentale il cellulare (per l’ascolto della radio in Fm ma anche – sempre più spesso – per la ricezione in streaming attraverso Internet6 ). Nel 2008, Ofcom sosteneva per esempio che il 22% degli adulti italiani in

Ceo e fondatore della società stessa, Noah Samara). La bancarotta di Worldspace Inc. ha bloccato diversi progetti di espansione in Europa, tra cui il lancio della radio satellitare in Italia, annunciato già dal 2007 e preparato da World- spaceItalia, joint venture tra la stessa Worldspace Inc. e la Newsatellite Radio, del gruppo Class Editori. 6 Secondo Forrester Research, del resto, è proprio il mercato italiano - insieme ai Paesi nordici, all’Austria e al Regno Unito – a trainare la diffusione mondiale dei servizi Internet mobile; secondo le previsioni dell’istituto di ricerca statunitense, entro la fine del 2010 più del 60% degli utenti mobile italiani avrà un telefono 3G o 3,5G, e l’Italia sarà tra i paesi più veloci nell’adottare anche i servizi 3,5G, raggiungendo un tasso di penetrazione di oltre il 25% entro la fine del 2013, contro il 20% di Francia, Germania e Olanda.

Radio 43 possesso di una connessione Internet utilizzasse il cellulare come terminale di ricezione della radio in Fm, contro il 16% dei tedeschi e il 13% dei francesi. Una recente ricerca, condotta da Aegis Media Expert e pubblicata nel giugno 2009 da “I Quaderni della Comunicazione”, sostiene a sua volta che il 21% degli italiani tra i 15 e i 64 anni utilizza regolarmente il cellulare o i lettori portatili per ascoltare la radio.

La radio analogica e il digitale terrestre

Come riassume lo studio “The future of radio”, pubblicato nel 2008 dalla Swedish Tv and Radio Authority, la radio analogica terrestre in Fm offre perduranti vantaggi, tra cui: l’ampiezza della copertura territoriale garantita, la robustezza e affidabilità della rete, la qualità del segnale, l’economicità dei sistemi di trasmissione e l’accessibilità, tutti fattori che continuano a soddisfare sia gli operatori che gli utenti. Il limite principale della distribuzione analogica, come è noto, risiede invece nella scarsità delle risorse frequenziali disponibili, che rendono limitate le possibilità di sviluppo dell’offerta radiofonica. L’implementazione di nuovi canali e di servizi addizionali può essere invece essere garantita dalle tecnologie digitali terrestri sound-radio based, che sfruttano con maggiore efficienza lo spettro elettromagnetico. Finora, tuttavia, il passaggio al digitale è stato per la radio un cammino accidentato e tortuoso, di cui non si vede, tuttora, chiaramente l’esito. Emblematica, in tal senso, è la parabola del Dab-T (Digital Audio Broadcasting), standard europeo per la diffusione delle trasmissioni radio in digitale terrestre. La sperimentazione del sistema Dab è stata avviata nel 1995 dalla Comunità Europea, che ha individuato blocchi di frequenze utilizzabili (in banda VHF III e banda UHF-L) e ha lasciato ad ogni nazione facoltà di scelta sulla data di introduzione della nuova tecnologia. In Italia, il primo programma di sviluppo della radiofonia in Dab-T risale al 2001; lungo tutto il decennio successivo sono continuate le sperimentazioni della tecnologia Dab (e, dal 2007, dello standard più evoluto Dab+, nonchè del formato Dmb, che permette la trasmissione della mobile Tv via Dab), ma anche di altre tecnologie per la trasmissione in digitale terrestre, tra cui il Drm (che utilizza le frequenze Am per la radio digitale). Nel 2005 l’Agcom emanava il primo regolamento per la disciplina dei mercati e l’assegnazione delle frequenze digitali. Diversi fattori hanno, tuttavia, ostacolato l’effettiva entrata a regime del sistema numerico. In Italia, in particolare, si sono sommati problemi tecnologici e logistici, tra cui: • alti costi di realizzazione dei centri di trasmissione adeguati per una capillare copertura del territorio; • scarsa diffusione di buoni ricevitori a prezzi modici; • difetti nella qualità audio percepita (problema poi superato con l’implementazione del sistema Dab+, introdotto a partire dal 2006); • ritardi nella liberazione delle frequenze individuate – occupate da emittenti televisive – e problemi negli standard del sistema di canalizzazione della banda III. Si è così giunti al novembre 2009, con l’approvazione di un un nuovo regolamento Agcom (Delibera 664/09/CONS) per l’assegnazione delle frequenze digitali alle emittenti radiofoniche. Il documento assegna alla radio 14 blocchi di frequenze in banda III, di cui 3 destinate a emittenti nazionali e fino a 11 alle emittenti locali.

44 Radio Tabella 11 - La radio digitale terrestre nei principali mercati europei (Francia, Germania, Regno Unito) • Per anni si sono sperimentate le tecnologie Drm, Dab, Dab+, Dmb-T e Hd radio; • I risultati del Forum Tecnico aperto nel 2007 dal CSA (Conseil Supérieur de l’Audiovisuel) hanno condotto nel 2008 alla decisione di adottare per la radio digitale Francia lo standard Dmb-T (Digital Multimedia Broadcasting), che permette la tramissione della mobile Tv all’interno del network Dab; • Entro il 2013 tutte le radio in vendita dovranno essere Dmb-compatibili. • La radio in standard Dab-T trasmette regolarmente in Germania fin dal 1999, ma ha raggiunto bassi livelli di penetrazione (con meno di 500.000 ricevitori finora venduti); • Dal gennaio 2008, la KEF (Commissione per il finanziamento dei media audiovisivi) ha sospeso fino al 2009 i finanziamenti pubblici al Dab, vista la scarsa redditività Germania mostrata dal sistema; • Dalla primavera 2008 si pianifica il re-start della radio numerica, con test sul Dab+, ma anche sul Drm e la Hd Radio. La radio numerica in Dab+ dovrebbe entrare a regime tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011. • La radio digitale terrestre trasmette nel Regno Unito con lo standard Dab-T dal 1997; • A fine 2009, con 400 canali radio e 10 milioni di ricevitori Dab venduti, quello britannico si conferma il maggiore mercato Dab in Europa. Gli osservatori ritengono, tuttavia, che senza innovazione (per esempio, senza l’adozione della più evoluta tecnologia Regno Unito Dab+ al posto del Dab di prima generazione) il mercato del digitale terrestre sia vicino alla saturazione. Nel 2009 – in controtendenza rispetto agli altri mercati – il Governo britannico aveva annunciato lo spegnimento della radio analogica entro il 2015; • Il nuovo Governo Cameron, tuttavia, ha successivamente dichiarato, nel luglio 2010, di rinunciare all’intenzione, prolungando sine die la vita dell’Fm. I tre principali consorzi italiani di circuiti radiofonici commerciali che, oltre a Rai, detengono l’autorizzazione a trasmettere in digitale (Club Dab, C.R. Dab, Euro Dab), non ritengono che la nuova normativa sia uno strumento sufficiente per far decollare finalmente il Dab. Innanzitutto, i consorzi sottolineano come il regolamento, nel dettare i requisiti di accesso ai diritti d’uso delle radiofrequenze digitali, penalizzi di fatto le emittenti locali. Inoltre, si sostiene che il Piano nazionale di assegnazione delle frequenze digitali, successivamente approvato a giugno 2010, riserva alle emittenti radiofoniche un numero di frequenze ancora insufficiente, a vantaggio degli operatori televisivi. Lo sviluppo della tecnologia audio digitale procede a singhiozzo anche negli altri mercati europei, dove – tra l’altro – non è sopito un dibattito “a monte”, sull’opportunità di digitalizzare la rete analogica Fm (tramite, per esempio, i formati HD radio7 o FMeXtra) o di adottare nuovi sistemi (come il Dab o il Drm). Nessun Paese ha, in ogni caso, stabilito una data per lo switch- off del segnale analogico.

La radio via Internet: web-radio, podcasting, web-site delle emittenti

Per vari motivi, la radio via web e la Pod radio sembrano candidate ad essere una valida alternativa alle reti digitali terrestri e un fondamentale complemento delle reti radio analogiche. Tra i principali vantaggi della radio diffusa in streaming via web c’è, innanzitutto, la potenziale illimitatezza dei canali e dei programmi distribuibili. Inoltre, la semplicità tecnologica di accesso, i costi limitati di gestione, nonché la possibilità di trasmettere senza ottenere licenze, permettono a molteplici operatori di entrare nel mercato e di offrire canali di nicchia, targettizzando la programmazione. Ancora: nel passato, la web radio è stata soprattutto fruibile attraverso postazioni pc fisse, ma

7 Il modello ibrido analogico-digitale in Fm Hd radio è stato scelto dagli Usa come formato prevalente per la radio digitale ; anche il Canada, dopo dieci anni di infruttuosa sperimentazione del Dab-T, ha deciso nel giugno 2010 di revocare le licenze concesse in banda L, probabilmente per passare al formato Hd radio.

Radio 45 oggi le tecnologie wireless di accesso a Internet permettono di consolidare una caratteristica peculiare della radio, ovvero la portabilità. Il già citato sodalizio tra cellulari di nuova generazione, Internet e radio è il principale esempio delle nuove possibilità di utilizzo della web radio in movimento. Il podcasting rappresenta, in questo quadro, l’ideale complemento all’offerta della radio via web. Permettendo di scaricare files da Internet e di ascoltarli direttamente su pc o su lettori portatili (come l’Mp3) la Pod-radio, infatti, restituisce al consumatore la scelta dei contenuti e dei tempi di fruizione, sottratta dalle web radio in streaming8. Bisogna, infine, ricordare che Internet non rappresenta soltanto una tra le piattaforme di distribuzione di canali radiofonici, ma rappresenta anche – sempre più – un supporto per tutte le emittenti radio e per le altre piattaforme di distribuzione. I siti web delle emittenti radio, infatti, fidelizzano il consumo e integrano i contenuti radiofonici, svolgendo per il consumatore almeno sette diverse funzioni, che l’ultima indagine CCS (Consumer Connection Source) di Aegis Media Expert così sintetizzava: • (Re)listen: ascoltare la musica o riascoltarla dopo averla sentita in radio durante un concerto; • (Re)watch: vedere la musica e i protagonisti del mondo radiofonico; • Search: cercare la musica (album, titoli, brani, concerti…); • Deepen: approfondire il proprio livello di conoscenza sul mondo della musica, leggendo notizie, curiosità etc.; • Explore & discover: esplorare il mondo della musica per scoprire brani, artisti, generi; • Live & buy: acquistare brani, merchandising, biglietti di concerti, per vivere al meglio la propria passione; • Share & discuss: condividere e discutere i propri interessi musicali con la comunità online.

8 I consumi di radio via broadband sono massicci in tutti i mercati europei. Secondo Ofcom, nel 2008, per esempio, più del 30% degli adulti dotati di una connessione internet domestica nei 4 principali mercati europei (Francia, Germania, Italia, Regno Unito) dichiarava di ascoltare via web la radio (con un picco del 37% tra i tede- schi). Ben il 39% degli utenti Internet italiani e il 35% di quelli britannici facevano, inoltre, regolarmente podcasting attraverso l’home-Internet. Aegis Media Expert, a giugno 2009, calcolava invece che fossero circa 5 milioni gli utenti italiani di Internet che fruivano regolarmente della radio attraverso il web; 1,3 milioni di consumatori, inoltre, scari- cavano ogni mese contenuti dalle radio in podcast.

46 Radio Cinema

47 diCinema Bruno Zambardino

1. Produzione, distribuzione, esercizio

Nell’anno 2009 il numero di titoli cinematografici prodotti al 100% in Italia registra un forte calo, scendendo a quota 97, ben 26 produzioni in meno rispetto all’anno precedente con una variazione negativa del 29% circa. Solo 26 titoli (erano 41 nel 2008) hanno beneficiato di finanziamenti statali. In lieve crescita i titoli in coproduzione con l’estero che passano da 31 a 34 (grazie al maggior numero di coproduzioni minoritarie). Il numero totale dei film prodotti nell’anno 2009 (coproduzioni incluse) si attesta così a 131, 23 in meno rispetto al 2008, registrando una flessione pari a quasi il 20% nel biennio, più contenuta rispetto all’andamento dei film interamente italiani. Ad incidere sulla contrazione dei volumi produttivi, la riduzione pari al 46% dell’investimento da parte dello Stato nei film italiani. Il numero complessivo delle produzioni che hanno beneficiato di finanziamenti pubblici, infatti, scende da 56 a 38 titoli. Tabella 1 - Film prodotti in Italia, 2004-2009 2009 2008 2007 2006 2005 2004 Produzioni italiane al 100% 97 123 90 90 68 96 di cui finanziati "interesse culturale" 11 23 19 15 6 32 di cui finanziati ex art. 8 1 10 4 2 6 9 di cui opere prime e seconde 14 8 6 4 2 _ Co-produzioni con l'estero 34 31 31 26 30 38 di cui maggioritarie 17 20 17 11 16 15 di cui minoritarie 17 11 14 15 14 23 (di cui finanziate "interesse culturale") 9 10 15 3 3 5 (di cui opere prime e seconde o finanziate ex art. 8) 3 5 2 0 1 0 Totale film prodotti 131 154 121 116 98 134 di cui finanziati "interesse culturale" 20 33 34 18 9 37 di cui finanziati ex art. 8 1 10 4 2 7 9 di cui opere prime e seconde 17 13 8 4 2 _ Totale film prodotti con l'apporto dello Stato 38 56 46 24 18 46 Fonte: elaborazioni Iem su dati ANICA. Per film prodotto s’intende il film che ha ottenuto il visto censura nell’anno di riferimento. I film distribuiti in sala in prima uscita nel 2009 mostrano un arretramento rispetto all’anno precedente (-5,6%), assestandosi a quota 355 titoli. La quota di film italiani distribuiti, co- produzioni incluse, scende al 32,4%, perdendo poco più di 2 punti percentuali a vantaggio della quota di film made in Usa che sfiora il 45% pur avendo distribuito 4 titoli in meno rispetto al 2008.

48 Cinema Tengono i titoli europei ed extra-europei, dopo il brusco calo registrato nel biennio precedente rafforzando la propria quota che ora sfiora il 30%. Se includiamo anche i proseguimenti, i titoli usciti nel 2009 sono stati 857 di cui 294 italiani (coproduzioni incluse), 313 americani e 250 provenienti dall’Europa e Paesi terzi. Considerando tale perimetro allargato, la forbice tra quota americana e quella italiana è di poco più di due punti percentuali (36,5 % contro 34,3%) a fronte dei 12,4 punti percentuali a perimetro ristretto alle sole prime uscite. Tabella 2 - Film distribuiti in Italia per origine, 2004-2009 2009 2008 2007 2006 2005 2004 Δ % 09-08 Δ % 09-04 Valori assoluti Italia ( Incl. Co-prod.) 115 130 110 100 98 106 -11,5 10,6 Usa 159 163 154 161 166 152 -2,5 4,6 Altri Paesi Ue (escl. Ita) extra Ue 81 83 106 124 128 113 -2,4 -28,3 Totale 355 376 370 385 392 369 -5,6 -3,8 Valori percentuali Italia 32,4 34,6 29,7 26,0 25,0 28,2 -2,2 4,2 Usa 44,8 43,4 41,6 41,8 42,3 41,2 1,4 3,6 Altri Paesi Ue (escl. Ita) extra Ue 22,8 22,1 28,6 32,2 32,7 30,6 0,7 -7,8 Totale 100 100 100 100 100 100 - - Fonte: elaborazioni Iem su dati ANICA (prime uscite). Il numero di ingressi al cinema in Italia nel 2009 fa registrare, secondo i dati consolidati Siae, un lieve decremento (-1,6%) rispetto al 2008. Il mercato cinematografico, a dispetto della crisi generalizzata dei consumi, ha tenuto meglio di altri settori, confermando la propria natura anticiclica. Dall’esame della composizione degli ingressi per nazionalità delle produzioni spicca il calo della quota italiana (incluse coproduzioni) che perde circa 5 punti passando dal 29,3% al 24,3%. Ne beneficiano i film di origine americana che superano la quota del 60%, guadagnando due punti rispetto all’anno precedente, tornando così ai livelli del 2004. La contrazione della quota di mercato nazionale che, in valore assoluto, si traduce in una perdita secca di quasi 5 milioni di spettatori (da 29 a 24 milioni), è addebitabile a fattori di natura congiunturale dovuti ad una stagione cinematografica avara di titoli domestici. I distributori, infatti, hanno concentrato le uscite di numerosi film italiani nei primi mesi del 2010 (Io, Loro e Lara di Carlo Verdone, La prima cosa bella di Paolo Virzì, Baciami Ancora di Gabriele Muccino, Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek, Happy Family di Gabriele Salvatores). Analizzando le presenze relative al primo semestre 2010 si nota come i film domestici abbiano nuovamente incontrato i gusti del pubblico risalendo la china fino a quota 30% (contro il 25% registrato nello stesso periodo del 2009). Nel 2009 perdono terreno anche i film italiani in coproduzione: i 69 titoli (inclusi proseguimenti) programmati nel 2009 hanno raccolto 863mila spettatori contro 1.300mila accorsi a vedere i 74 film del 2008. Recuperano spazio i film di origine europea non nazionale che rafforzando la propria quota passando dal 10% al 12% guadagnando in valori assoluti 2 milioni di spettatori. In crescita, seppure in misura più contenuta, anche la quota dei film extra europei non Usa che sale dall’1,08 al 1,70%. Nel 2009 il numero totale di strutture di proiezione cinematografica conferma la tendenza al decremento, registrando una flessione del 2,2% rispetto all’anno precedente (-11,2% negli ultimi sei anni), mentre il numero di schermi continua a crescere attestandosi a 3202 (61 in più rispetto a quelli del 2008) registrando una crescita pari al 2% circa; il rapporto schermi- strutture sale a 2,90 nel 2009, a conferma della diffusione crescente di multiplex e multisala. Si consolida il processo di “mutazione genetica” delle sale cinematografiche. Impianti multiplex e relativi schermi registrano una crescita superiore al 5% (+45,1 rispetto al 2004). Si rafforza di

Cinema 49 pari passo la quota di mercato relativa alle presenze che, dopo aver superato la quota del 50% nel 2008, consolida la posizione sul totale degli ingressi, passando dal 52,1% al 53,3%. Tabella 3 - Presenze nei cinema italiani (totali e per origine dei film), 2004-2009 Δ% Δ% 2009 2008 2007 2006 2005 2004 09-08 09-04 Tot. Ingressi 109.228.858 111.017.381 116.429.995 104.979.882 104.684.194 113.214.274 -1,6 -3,5 (Siae) Composizione percentuale degli ingressi per nazionalità dei film (Cinetel) Italia 100% 23,48 27,91 26,96 20,51 18,69 14,04 0,9 13,87 Italia co-pro- 0,87 1,38 4,96 4,52 6,01 6,27 -3,6 -4,89 duzioni Totale Italia 24,35 29,29 31,92 25,03 24,70 20,31 -2,6 8,98 Europa (escl. 12,13 9,98 11,86 11,58 19,58 10,93 -1,9 -0,95 Italia) Usa 61,83 59,64 54,89 61,33 53,78 61,91 4,7 -2,27 Altre nazion- 1,69 1,08 1,33 2,06 1,94 6,84 -0,2 -5,76 alità Fonte: elaborazioni Iem su dati Cinetel e Siae (inclusi proseguimenti). Risultati fino al 31.12.2009.

Tabella 4 - Strutture di proiezione e schermi, 2004-2009 Δ % Δ % 2009 2008 2007 2006 2005 2004 09-08 09-04 Strutture di proiezione 1.104 1.129 1.164 1.210 1.275 1.243 -2,2 -11,2 Schermi 3.202 3.141 3.086 3.062 3.016 2.802 1,9 14,3 Rapp. Schermi/strutture 2,90 2,78 2,65 2,53 2,37 2,25 0,12 0,65 Fonte: elaborazioni Iem su dati ANICA. L’assetto delle multisala (fra 2 e 7 schermi) non presenta variazioni significative: a fronte di un numero di strutture sostanzialmente inalterato (403) e di un lieve incremento nel numero degli schermi (+2,7%), si osserva una lieve flessione nelle presenze (-1,1%) dopo la forte contrazione subita nel biennio precedente. La relativa quota di mercato si è attestata al 36,1%. In costante, inesorabile decremento la quota di mercato delle monosala, praticamente dimezzata rispetto al 2004. In 6 anni tali strutture, ridotte nel 2009 a 582, hanno perso 10 milioni di spettatori (da 20,7 a 10,5 milioni). Nel biennio 2008-2009 le monosala hanno perso poco più di un milione di spettatori, mostrando tuttavia qualche timido segnale di tenuta rispetto all’emorragia del biennio precedente (quando avevano perso 2,6 milioni di spettatori). La quota di mercato di questo segmento di mercato risulta sempre più marginale assorbendo ormai poco più del 10% del totale delle presenze. In 6 anni le monosala hanno più che dimezzato i propri incassi passando dai 117 milioni di euro del 2004 ai 59,5 del 2009. Ad essere penalizzati dalla metamorfosi del parco sale sono in particolare i film italiani ed europei di qualità - prodotti che trovavano maggiori sbocchi distributivi nelle sale cittadine. Il declino delle sale urbane ha generato, infatti, una progressiva sostituzione del pubblico più adulto degli schermi cittadini con quello più giovane dei multiplex 1.

1 Anche per contrastare tale tendenza, la Direzione Generale Cinema del Ministero dal 2006 sostiene, in collaborazione con Arcus, un progetto speciale denominato “Schermi di qualità”, gestito da Agis, Anec, Anem, Acec e Fice e giunto alla sua quarta edizione. Il progetto premia con un incentivo economico le sale (672 schermi parte- cipanti per 214 film in possesso dei requisiti) che effettuano programmazione di film di qualità italiani ed europei entro determinate soglie individuate in base alla tipologia di strutture e all’ampiezza del bacino di popolazione. Uno studio Cattid-Sapienza per Agis ha dimostrato l’efficacia del progetto nel sostegno della quota di mercato nazionale e più in generale una maggiore redditività di incasso dovuta alla maggiori tenitore all’interno del circuito. Cfr. IV Quaderno ANICA “Cinema di Qualità. Analisi del progetto Schermi di Qualità (Edizioni dal 2007 al 2009), a cura di Ufficio Studi ANICA.

50 Cinema Tabella 5 - Multiplex e multicinema attivi in Italia, 2004-2009 Δ % Δ % 2009 2008 2007 2006 2005 2004 09-4 09-4 Multiplex (8+ schermi) 119 113 108 103 93 82 5,3 45,1 Numero schermi 1245 1184 1132 1080 981 844 5,2 47,5 Presenze (milioni) 52,8 51,8 51,1 43,7 40,6 39,6 1,9 33,3 (% sulle presenze totali) 53,3 52,1 49,3 47,4 44,7 40,4 1,2 12,9 Multisala (2-7 schermi) 403 404 398 394 403 383 -0,2 5,2 Numero schermi 1381 1345 1296 1269 1256 1180 2,7 17,0 Presenze (milioni) 35,7 36,1 38,4 34,5 34,3 37,7 -1,1 -5,3 (% sulle presenze totali) 36,1 36,3 37,0 37,8 37,8 38,5 -0,2 -2,4 Monosala 582 612 658 713 779 778 -4,9 -25,2 Numero schermi 582 612 658 713 779 778 -4,9 -25,2 Presenze (milioni) 10,5 11,5 14,1 14,0 15,9 20,7 -8,7 -49,3 (% sulle presenze totali) 10,6 11,5 13,6 15,2 17,6 21,1 -0,9 -10,5 Fonte: ANICA. In piena fase di accelerazione è il processo di digitalizzazione delle sale, sotto la spinta del buon riscontro registrato dalla proiezione di titoli in 3D e in linea con quanto sta accadendo a livello internazionale2. Alla fine di aprile 2010 gli schermi digitali avevano superato quota 500. Nell’arco di due anni si è assistito ad una crescita impetuosa, considerando che a luglio 2008 gli schermi in 2K erano appena 50. Tale fenomeno pone un ulteriore freno alla fruizione di prodotto domestico. Tra le Regioni in cui il digitale si è maggiormente diffuso, la Lombardia con 70 schermi, il Lazio (64), il Piemonte (45) e la Toscana (40). Con 31 schermi, Roma è la città più digitalizzata, seguita da Milano con 18. Grazie al digitale anche le sale cittadine, incluse quelle d’essai, potranno trovare nuove strade e strategie, dalla possibilità di offrire una programmazione più elastica di qualità all’offerta di contenuti alternativi. Secondo gli operatori del settore, con la conferma del tax credit (che prevede misure a sostegno degli investimenti per l’aggiornamento tecnologico delle sale) entro il 2011, potrebbe essere superata la soglia dei mille schermi, rendendo possibile l’obiettivo della completa digitalizzazione dell’esercizio entro il 2012. Motore della crescita avvenuta nel 2009-2010 è, come detto, il cinema 3D. La percentuale degli schermi con tecnologia 3D ha continuato perciò a crescere, passando dal 54,4% del giugno 2009 al 68,8% di gennaio 2010.

2. Le risorse del mercato

Gli investimenti italiani in produzione cinematografica, dopo 4 anni di crescita progressiva, subiscono nel 2009 una battuta di arresto, scendendo sotto i 300 milioni di euro e registrando una flessione del 10% rispetto all’anno precedente. La contrazione è dovuta al forte declino dei contributi statali (-46,4% rispetto al 2008, coproduzioni incluse) e allo stallo del Fondo di garanzia. Stazionari gli investimenti dell’imprenditoria di settore, il cui apporto è fermo sui livelli del 2008 (258 milioni di euro). L’andamento risulta più dinamico se consideriamo un arco temporale più esteso (in 6 anni è aumentato del 36%). La composizione degli investimenti risulta ancora più squilibrata rispetto al passato con l’87,2% a carico dei privati (in particolare dei tre principali broadcaster) e il restante 12,8% di provenienza statale.

2 Secondo Media Salles, a gennaio 2010, gli schermi digitali sono 4.693, con un incremento del 206% ris- petto all’anno precedente.

Cinema 51 Dal 2004 (anno dell’entrata in vigore del “Decreto Urbani” 3) al 2009 il volume di risorse pubbliche si è ridotto del 60%. A partire dal prossimo anno, tuttavia, un parziale effetto compensativo giungerà grazie ai primi importi deliberati dal Ministero per la concessione di agevolazioni fiscali, sotto forma di crediti di imposta (vedi infra). I valori degli investimenti medi italiani per singolo film, per effetto del più basso numero di titoli prodotti, registrano una crescita significativa (+42% rispetto all’anno precedente) superando la soglia dei 3 milioni di euro4. Tabella 6 - Investimenti italiani in produzione, 2004-2009 Δ % Δ % Investimenti in produzione 2009 2008 2007 2006 2005 2004 08-0 09-04 Film italiani 100% 218,9 253,3 221,1 187,6 152,1 197,4 -13,6 10,9 di cui contributi statali 24,5 49,3 41,5 37,1 21,8 83,4 -50,3 -70,6 investimento medio per film 2,26 2,06 2,46 2,08 2,24 2,06 9,6 9,5 Film co-prodotti 77,1 76,8 91,4 69,7 62,4 86,9 0,4 -11,3 di cui contributi statali 13,6 21,7 21,5 6,2 7,7 11,4 -37,3 19,3 investimento medio per film 2,27 2,48 2,95 2,68 2,08 2,29 -8,4 -1,0 Totale investimenti italiani 296,0 330,2 312,5 257,3 214,4 284,4 -10,4 4,1 di cui imprenditoria di settore 258,0 259,1 249,4 214 184,9 189,5 -0,4 36,1 (%) 87,2 78,5 79,8 83,2 86,2 66,6 8,7 20,6 di cui contributo statale 38,1 70,9 63 43,3 29,5 94,9 -46,4 -60,0 (interesse culturale nazionale) 29,0 55,1 53,7 38,5 21,2 85,9 -47,4 -66,2 (ex art.8) - - - - 7,3 8,9 - - (opere prime e seconde) 9,0 15,8 9,3 4,8 0,9 - -43,0 - (%) 12,8 21,5 20,2 16,8 13,8 33,4 -8,7 -20,6 Investimento medio italiano per 3,051 2,144 2,582 2,218 2,188 2,122 42,3 43,8 film Fonte: Elaborazioni Iem su dati ANICA. Note: dati in milioni di euro La quota di riparto del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo)5 a sostegno delle attività cinematografiche (sviluppo, produzione, distribuzione, esercizio e promozione) è stata pari a 75,8 milioni di euro, in crescita (+8,8%) rispetto all’anno precedente grazie alla maggiore dotazione complessiva e a parità di aliquota (18,5%). Va ricordato che lo stanziamento originario relativo al 2009 è stato successivamente incrementato grazie ad un reintegro di 24 milioni di euro6. La contrazione delle risorse nazionali ordinarie a sostegno del comparto riflette l’andamento generale dello stanziamento complessivo del Fus. Se per l’anno 2010 l’importo è leggermente aumentato rispetto al 2009 (+3,2%), occorre ricordare che l’ultima Legge Finanziaria, nella previsione triennale, indica per gli anni 2011 e 2012 un drastico ridimensionamento che

3 La normativa in materia cinematografica si fonda sul Decreto legislativo n° 28 del 22 gennaio 2004 (“Ri- forma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell’articolo 10 della Legge 6 luglio 2002, n. 137) e sui successivi decreti attuativi. Il grado di penetrazione è pari a circa il 13% rispetto al totale degli schermi presenti in Europa, contro il 4,1% dell’anno precedente. Guidano la crescita i cinque mercati maggiori: la Francia, presenta il 19,3% del totale degli schermi digitali in Europa, il Regno Unito il 14,2%, la Germania il 12,6%, l’Italia il 9,1% e la Spagna il 5,1%. 4 Nei film italiani al 100% con maggiore forza commerciale (con budget sopra il milione e mezzo di euro) l’investimento medio è salito da 4,3 a 4,5 milioni di euro. 5 Istituito con Legge 30 aprile 1985 n. 163 “Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spet- tacolo”. Annualmente il Ministero per i Beni e le Attività Culturali emana un decreto di riparto nel quale, sulla base dell’ammontare complessivo stabilito dalla Legge Finanziaria e aliquote, fissa per ciascun settore (lirica, musica, teatro di prosa, cinema, circhi e spettacolo viaggiante) il relativo stanziamento. 6 Nel settembre 2009, infatti, il governo ha deciso un reintegro pari a 60 milioni di euro, ripartiti nei vari settori dello spettacolo. Il cinema ha ottenuto 24 milioni aggiuntivi, di cui 18 alla produzione e 6 all’esercizio. Nel 2009, pertanto la quota cinema “integrata” ammonta a circa 94 milioni di euro.

52 Cinema farebbe scivolare il Fondo a poco più di 304 milioni7. Tabella 7 - La quota - Cinema del Fondo Unico dello Spettacolo, 2004-2010 Δ% Δ% Stanziamenti 2010 2009 2008 2007 2006 2005 10-09 10-05 Totale FUS 409,7 397,0 470,0 441,3 427,3 464,6 3,2 -11,8 di cui stanziamento cinema 75,8 69,7 90,0 79,4 77,9 83,6 8,8 -9,3 Quota cinema/ FUS % 18,5 18,5 19,5 18,0 18,2 18,0 - -

Fonte: elaborazione IEM su dati del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nel 2009 la Direzione Generale Cinema del Ministero per i Beni e le Attività culturali ha disposto finanziamenti e contributi per la produzione per complessivi 36,2 milioni di euro, un volume di risorse decisamente più ridotto rispetto all’anno precedente (7 milioni in meno), nonostante il numero di progetti sostenuti sia rimasto stabile8. In 5 anni l’entità dei finanziamenti si è praticamente dimezzata passando dai circa 74 milioni deliberati nel 2005 ai poco più di 36 stanziati nel 2009. Nel dettaglio, il Ministero ha finanziato 27 opere di interesse culturale (2 in più rispetto al 2008) per un totale di 24,9 milioni e un investimento medio che scende sotto il milione di euro. Le 27 opere prime e seconde riconosciute meritevoli del contributo hanno ottenuto un sostegno finanziario complessivo pari a 9,6 milioni, inferiore rispetto ai 10,8 milioni ottenuti nel 2008. Nel 2009 sono stati finanziati 6 cortometraggi in meno, mentre il fondo per lo sviluppo delle sceneggiature pari a 700mila euro e il relativo numero di progetti (20) è rimasto invariato rispetto agli anni precedenti. L’importo medio dei finanziamenti in rapporto al numero di progetti complessivi sostenuti dal Ministero ha subito una progressiva contrazione nel corso degli ultimi 5 anni, attestandosi a poco meno di 370mila euro. Tabella 8 - Investimenti del Ministero nella produzione cinematografica, 2005-2009 Interesse Opere prime Cortome- Sviluppo Totale culturale e seconde traggi Finanziamento 54.000.000 17.996.000 1.599.200 375.000 73.970.200 2005 N° Film 37 26 40 15 118 Media 1.459.459 692.154 39.980 25.000 626.866 Finanziamento 34.500.000 11.700.000 960.000 700.000 47.860.000 2006 N° Film 26 25 24 20 95 Media 1.326.923 468.000 40.000 35.000 503.789 Finanziamento 34.500.000 12.000.000 1.080.000 700.000 48.280.000 2007 N° Film 27 26 27 20 100 Media 1.277.000 461.538 40.000 35.000 482.800 Finanziamento 30.600.000 10.800.000 1.200.000 700.000 43.300.000 2008 N° Film 25 22 30 20 97 Media 1.224.000 490.909 40.000 35.000 446.391 Finanziamento 24.900.000 9.600.000 960.000 700.000 36.160.000 2009 N° Film 27 27 24 20 98 Media 922.222 355.555 40.000 35.000 368.979

7 n. 191 del 23 dicembre 2009. La programmazione triennale della spesa è indicata nella Tabella C allegata alla Legge Finanziaria. Lo stanziamento si riferisce a risorse ordinarie cui vanno ad aggiungersi fondi integrativi. Va rilevato che gli importi programmati per gli anni a seguire sono spesso modificati dalla Legge Finanziaria dell’anno successivo in funzione delle esigenze dell’amministrazione. 8 In realtà il numero dei film che hanno ottenuto il riconoscimento dello Stato è più elevato. Nella tabella sono contemplati solo quelli che hanno ricevuto un contributo finanziario.

Cinema 53 Note: dati in euro. In alcuni casi le società hanno successivamente rinunciato al contributo. Fonte: Anica su dati Mibac (esiti delibere della Commissione per la Cinematografia negli anni in oggetto).

I fondi regionali per l’audiovisivo

Una preziosa fonte di finanziamento complementare a quella nazionale è rappresentata dai fondi regionali per l’audiovisivo. Negli ultimi anni l’interesse crescente delle Regioni verso il cinema e l’audiovisivo e le loro ricadute economiche e di marketing sul territorio, ha preso forma attraverso la creazione delle Film Commission, agenzie pubbliche (raramente private o pubblico-private) di attrazione di attività di produzione audiovisiva sul territorio, di facilitazione amministrativa e, spesso, di intermediazione fra domanda e offerta delle professionalità coinvolte nella filiera produttiva. La fase successiva al 2005 ha visto la costituzione in molte Regioni dei Film Fund, fondi di sostegno alla produzione, generalmente vincolati a clausole di territorializzazione degli investimenti. Questi fondi sono spesso gestiti dalle Film Commission stesse, per le quali rappresentano una delle leve di azione della propria mission, oppure direttamente dalle Regioni attraverso gli uffici degli Assessorati competenti9. Una prima quantificazione delle risorse regionali a disposizione dell’audiovisivo è stata operata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo10. Nel 2009 risultano risorse di competenza dei Film Fund regionali per 15 milioni di euro, più che triplicati rispetto ai 4,9 milioni del 2007. Questi fondi hanno quasi compensato il calo delle risorse del Fus a sostegno della produzione (senza considerare, però, i fondi extra Fus e tenendo presente che la maggior parte delle risorse regionali sono destinate alla fiction) e sono erogati, per la maggior parte, dalle Film Commission, per quanto una parte considerevole di queste somme (6,4 milioni, oltre il 40%) venga gestita direttamente dalle Regioni. Tabella 9 - Fondi Regionali alla produzione audiovisiva, 2009 Fondo Budget Fondi delle Film Commission 8,57 F.C. Regione Siciliana 3,00 Friuli Venezia Giulia F.C. 2,09 F.C. Regione Campania 1,80 Abulia F.C. 0,70 Piemonte Doc Film Fund (F.C. + Regione) 0,50 Bologna F.C. 0,24 Emilia Romagna F.C. 0,14 Marche F.C. 0,10 Fondi delle Regioni 6,44 Regione Toscana 4,50 Regione Lazio (via Filas) 1,29 Regione Sardegna 0,65 Totale fondi regionali 15,01 Fonte: Ente dello Spettacolo. Note: dati in milioni di euro.

Provvedimenti normativi a sostegno del cinema

Due i provvedimenti recenti di maggior rilievo adottatati nel 2010. Il primo, datato 30 luglio 2010, è l’approvazione in esame preliminare in Consiglio dei Ministri di un disegno di legge

9 Cfr. A. Versace, L. Canova, T.M. Fabbri, F. Medolago Albani, “L’evoluzione del sostegno pubblico all’audiovisio” in L’industria della comunicazione in Italia. XI Rapporto IEM, Guerini e Associati, Milano 2008, anche per una disamina storica dei finanziamenti regionali all’audiovisivo, a livello italiano ed europeo. 10 Fondazione Ente dello Spettacolo, Il mercato e l’industria del cinema in Italia. Rapporto 2009.

54 Cinema con il quale il Ministero per i Beni e le Attività Culturali interviene in materia di attività cinematografiche, riformando in modo significativo il sistema di sostegno varato nel 2004 (Decreto Urbani). Il provvedimento prevede che l’intervento diretto dello Stato sia focalizzato, a partire dal 2011, sulle opere prime e seconde, i cortometraggi e i documentari11. Non è chiaro se e in che misura si intenda operare anche una revisione del sistema che regola l’accesso ai contributi percentuali sugli incassi e ai contributi in conto capitale alle sale cinematografiche. Nel settore della promozione l’intervento statale sarà riservato ai soli enti ed eventi con rilevanza internazionale o nazionale, con l’obiettivo di snellire le procedure e migliorare la gestione delle risorse, eliminando gli sprechi nell’assegnazione dei fondi pubblici statali. La composizione della Commissione per la cinematografia è inoltre ridotta in ragione delle nuove e limitate funzioni. Il disegno di legge interviene anche sulla revisione cinematografica, prevedendo, oltre al nulla osta alla visione per tutti, ai minori degli anni 14 e ai minori degli anni 18, l’ulteriore soglia relativa ai minori di anni 1012. Il secondo provvedimento è il rinnovo triennale delle agevolazioni fiscali (al momento vi è un impegno formale da parte del Consiglio dei Ministri) per gli anni 2011-2013, in ragione della loro efficacia nella prima fase di applicazione e del consenso unanime riscosso da parte degli operatori del settore13. I provvedimenti relativi al tax credit interno ed esterno, seppure con tempistiche differenti, sono diventati pienamente operativi tra il 2009 e il 201014. Il 7 maggio 2009 è entrato in vigore il tax credit interno che riconosce, ai fini delle imposte sui redditi, un credito d’imposta che, per le imprese di produzione cinematografica, è fissato in misura pari al 15% del costo complessivo di produzione di opere cinematografiche, riconosciute di nazionalità italiana. Il credito spetta fino all’ammontare massimo annuo di 3,5 milioni per ciascun periodo d’imposta15. Per le imprese di produzione esecutiva e le industrie tecniche che svolgano attività commissionate da committenti esteri il credito sale al 25% del costo di produzione fino all’ammontare massimo di 5 milioni di euro per opera filmica16. Il 21 gennaio 2010 ha visto la luce il decreto più atteso a favore degli investitori esterni (siano essi soggetti non appartenenti al settore, distributori e, in parte esercenti17) a seguito dell’approvazione della Commissione europea giunta il 22 luglio 2009. Il tax credit esterno è riconosciuto in relazione ad investimenti nella produzione dei film riconosciuti di “interesse culturale” o con i requisiti per ottenere la nazionalità italiana. Gli investitori “esterni” potranno beneficiare di un credito di imposta pari al 40% degli apporti in denaro versati fino ad un importo massimo di € 1.000.000 per ciascun periodo d’imposta18. Grazie alla possibilità di 11 Tra le misure in discussione anche l’introduzione di 20 contributi al massimo a favore degli autori di sceneggiature originali del valore di 5mila euro ciascuno. 12 In questo modo si allinea il nostro sistema a quelli della gran parte degli altri Paesi e si assicura una tutela più puntuale e efficiente della sensibilità dei minori di età infantile e preadolescenziale, ampliando al contempo, con una maggiore articolazione, la platea di film la cui visione altrimenti risulterebbe limitata ai maggior di 14 anni. 13 Se le misure saranno confermate nell’attuale impianto normativo, non sarà necessario chiedere una nuova autorizzazione alla Commissione europea. 14 Il complesso iter procedurale dei provvedimenti ha avuto origine nella Finanziaria 2008 varata il 24 dicembre 2007. La normativa segna una svolta nella logica di erogazione dei finanziamenti pubblici, spostando l’attenzione dai contributi diretti a meccanismi automatici e indiretti che riducono il potere discrezionale delle com- missioni, premiano le capacità imprenditoriali dei produttori e aprono il mercato a nuovi investimenti privati esterni al comparto. Per una panoramica più completa si rimanda alla precedente edizione del Rapporto IEM. 15 Il beneficio è sempre condizionato al sostenimento sul territorio italiano di spese di produzione per un ammontare complessivo non inferiore, per ciascuna produzione, all’80% del credito d’imposta stesso. 16 La misura è applicabile con effetto retroattivo a partire dal 30 giugno 2008 ed è operativa dal settembre 2009, con la pubblicazione della modulistica. 17 Restano tuttavia esclusi gli incentivi per la digitalizzazione delle sale sui quali la Commissione europea ha deciso di promuovere una consultazione pubblica. Gli esercenti, in via transitoria, stanno applicando il cosiddetto de minimis ovvero un ammontare massimo di contributi pubblici entro il quale non scatta l’aiuto di Stato (non è necessaria una autorizzazione da parte della Commissione) e che l’Ue, a causa della crisi finanziaria, ha elevato da 200.000 a 500.000 euro. 18 Le imprese di produzione cinematografiche destinatarie degli apporti di denaro, anche in questo caso,

Cinema 55 beneficiare di questo incentivo il gruppo bancario Intesa Sanpaolo ha deciso di investire 2,5 milioni di euro nel prossimo film di Paolo Sorrentino (This must be the place)19. Per le imprese di distribuzione cinematografica sono previste due differenti percentuali e relativo ammontare massimo a seconda della tipologia di opera: 10 % fino ad un massimo di 2 milioni di euro per le spese sostenute per il sostegno alla distribuzione nazionale di opere di nazionalità italiana; 15 % fino ad 1,5 milioni di euro nel caso in cui il film sostenuto fosse anche di interesse culturale20. Sia distributori che esercenti possono stipulare (in analogia ai soggetti esterni) contratti di associazione in partecipazione e sostenere la produzione di opere cinematografiche di nazionalità italiana riconosciute di interesse culturale. In questo caso il credito di imposta è fissato al 20% dell’apporto in denaro fornito e può arrivare fino ad un ammontare massimo annuo di 1 milione di euro per ciascun periodo d’imposta. I progetti cinematografici per essere ammessi al beneficio fiscale devono possedere requisiti di valenza culturale, da valutare tramite specifici “test di culturalità”21. Per quanto riguarda il tax credit interno – secondo i dati forniti dalla Direzione Generale Cinema - nel 2010 sono arrivate 129 comunicazioni e 107 istanze. Si tratta di 79 società, di cui 6 straniere. Sono stati già autorizzati interventi per 6,7 milioni di euro relativi a 7 film stranieri e 20 italiani. In due anni di applicazione (giugno 2008 – giugno 2010) gli operatori del settore hanno richiesto benefici fiscali per circa 48 milioni di euro, di cui 10 milioni circa da parte di produttori esteri. Nel complesso è stato calcolato che, annualmente, a fronte di minori entrate per 77 milioni di euro, l’effetto indotto genererebbe maggiori entrate per lo Stato per 173 milioni. Un terzo provvedimento di carattere più generale che ha riflessi anche in campo cinematografico è il Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in materia di equo compenso varato nel gennaio 2010 in attuazione del Decreto Legislativo n.68/2003. Legato alla legge sul diritto d’autore, il provvedimento stabilisce i nuovi importi degli aumenti dei prezzi che devono essere applicati, a spese dei fabbricanti e degli importatori, alle memorie di massa, per esempio dvd e chiavette usb, con importi che variano a seconda della loro capacità, nonché a computer e telefoni cellulari che consentono di memorizzare e/o seguire opere audiovisive protette dalla legge sul diritto d’autore. Queste somme, indicate come “equo compenso”, costituiscono i diritti che vengono corrisposti, tramite la Siae, agli autori e agli editori. A cavallo tra il 2009 e il 2010 altre due questioni sono state al centro del dibattito, entrambe legate alla diffusione di nuove piattaforme di fruizione del prodotto cinematografico e alla ricerca di nuove forme di finanziamento22. La prima attiene alla proposta di dar vita ad un’offerta legale di film su Internet vista, da alcuni operatori del settore, come unica arma contro la pirateria.

devono utilizzare obbligatoriamente l’80% di queste risorse impiegando mano d’opera e servizi italiani e privile- giando la formazione e l’apprendistato in tutti i settori tecnici della produzione (nel rispetto del criterio di territori- alizzazione previsto a livello comunitario). Questi investimenti, inoltre, non possono risultare maggioritari (soglia posta sino al 49%), lasciando quindi sempre al produttore cinematografico il ruolo di titolare e gestore del “progetto”. In sostanza si stimola il soggetto esterno a stipulare un “contratto di associazione” con il produttore in base al quale si fissa la percentuale di investimento sul budget totale del film e la relativa percentuale di partecipazione agli utili che per le imprese esterne non può superare il 70%, sempre a tutela dell’autonomia del produttore. 19 L’investimento è pari al 10% del budget totale del film (28 milioni di dollari), frutto di una coproduzione internazionale italo (Lucky Red, Medusa, Indigo ciascuna con quote al 20%) franco-irlandese. E’ la prima volta che una banca partecipa alla produzione di un film assumendo un rischio di impresa. 20 Ai sensi dell’articolo 7, D.Lgs. 22.1.2004, n.28. 21 I test di culturalità consistono in griglie contenenti specifici criteri di eleggibilità, cui è associato un siste- ma di punteggio minimo e massimo ottenibile per ciascun film, attribuito attraverso procedure prettamente di tipo automatico. Proposti dalle Autorità nazionali, i “test” sono sottoposti al vaglio della Commissione europea, proprio allo scopo di verificare il concreto ed effettivo legame tra l’aiuto concesso e il prodotto culturale che ne beneficia. 22 A tal proposito , sembra essere tramontata l’ipotesi di un sistema “alla francese” con prelievo sull’intera filiera, mentre si discute su un eventuale prelievo sul biglietto (forse maggiorato) gestito dalle Associazioni di cat- egoria, limitandolo al segmento sala e home video. Le risorse generate dovrebbero essere destinate, in prima battuta, alle sale urbane e alla produzione indipendente.

56 Cinema La seconda, connessa alla prima, una revisione del sistema attuale che regola lo sfruttamento commerciale attraverso le windows nella direzione di una maggiore flessibilità. Si tratta di nodi che, verosimilmente, dovranno essere oggetto di autoregolamentazione tra le varie associazioni di categoria, prima di sfociare in eventuali provvedimenti normativi.

Gli incassi

Nel 2009 gli incassi, secondo i dati consolidati Siae, hanno registrato una crescita del 4,3% circa (27 mln in termini assoluti) rispetto all’anno 2008, con un valore pari a circa 664,2 mln di euro. La variazione positiva è addebitabile alle prime uscite di film in 3D con prezzo maggiorato (del 20% circa). A partire dal 2010, anno in cui il numero dei titoli in 3D è aumentato in nodo significativo, la forbice tra andamento delle presenze e trend degli incassi è destinata ad allargarsi progressivamente, a vantaggio del box office americano. Tabella 10 - Box Office cinematografico, 2004-2009 2009 2008 2007 2006 2005 2004 Δ % 09-08 Δ % 09-04 Tot. Incassi (mln €) 664,2 636,7 669,6 601,2 599,5 655,4 4,3 1,3 ( Siae) Fonte: Elaborazione IEM su dati Siae. Osservando la composizione percentuale degli incassi per nazionalità delle produzioni (secondo fonte Cinetel), la quota dei film italiani si ritrae di più di 5 punti percentuali rispetto al 2009, attestandosi al 23,4%. I film statunitensi, al contrario, recuperano altri 3 punti raggiungendo la più elevata quota di mercato (63,5%) degli ultimi 6 anni. La contrazione della quota di mercato nazionale che, in valore assoluti, si traduce in una perdita superiore ai 26 milioni di euro (scendendo da 171,8 a 145,5 milioni), come già accennato, è legata anche ad una stagione cinematografica “povera” di prodotto nazionale. Considerando che gran parte dei titoli italiani è uscita nel primo semestre 2010, il prossimo anno è previsto un forte recupero della quota di mercato domestica23. Le produzioni non nazionali di origine europea registrano un lieve miglioramento portandosi all’11,5%; analogo discorso per la quota di mercato dei film extra-europei che nel 2009 raggiunge l’1,6%. Tabella 11 - Composizione percentuale degli incassi per nazionalità, 2004-2009 Provenienza 2009 2008 2007 2006 2005 2004 Italia 100% 22,6 27,7 26,9 20,5 18,7 14,0 Coproduzioni 0,8 1,3 4,8 4,3 6,0 6,3 Totale Italia 23,4 29,0 31,7 24,8 24,7 20,3 Europa 11,5 9,8 11,6 11,2 19,6 10,9 USA 63,5 60,2 55,4 61,9 53,8 61,9 Altre nazionalità 1,6 1,0 1,3 2,1 1,9 6,9 Totale 100% 100% 100% 100% 100% 100% Fonte: Cinetel Nel 2009 Medusa riconquista il primato in termini di incassi pur registrando una variazione negativa pari a circa l’11% rispetto all’anno precedente24. Il mercato italiano della distribuzione cinematografica è dominato dalle filiali nazionali 23 Lo confermano i dati Cinetel relativi ai primi sei mesi del 2010 che indicano di nuovo al 30% (incluse coproduzioni) la quota di mercato domestica (era al 25% nello stesso periodo dell’anno scorso), mentre quella americana è pari al 60% contro il 64 % dell’anno precedente. 24 Nel 2010 Medusa ha investito 90 milioni sui film tra acquisizioni e produzioni, di cui 70 milioni destinati al cinema italiano.

Cinema 57 delle major statunitensi (Universal/Uip, Warner Bros, Disney/Buena Vista, Fox e Sony,) che complessivamente rafforzano la propria quota di mercato portandosi dal 48,4% al 56,1%. Analizzando le singole quote di mercato non si riscontra un trend omogeneo. Universal Uip, in testa alla classifca l’anno scorso, perde ben il 30% rispetto al 2008. Spicca, di converso, la performance di Sony Pictures (+131%) il cui incasso vola da 30 a 70 milioni di euro anche grazie ad un più robusto listino italiano (52 titoli distribuiti rispetto ai 24 del 2008). Ottima anche la performance di 20th Century Fox (+53%) che, peraltro, nel 2010 beneficerà del successo del film di Cameron Avatar. L’altra mini-major italiana, 01 Distribution, subisce un deciso arretramento (-25%) con incassi che scendono sotto i 50 milioni, retrocedendo così dal 3° al 7° posto in classifica. Perde posizioni anche FilmAuro che passa dal 5° al 9° posto. In valori assoluti l’incasso della società guidata da Aurelio De Laurentiis è pari a 35,6 milioni contro i 47,3 del 200825. La performance più significativa è quella registrata da Eagle Pictures26, che fa segnare nel biennio un incremento degli incassi pari all’80%, superando la soglia dei 40 milioni di euro. Per quanto attiene alle società indipendenti, Bim guadagna il 6,4% raggiungendo Lucky Red che, al contrario perde quasi il 9%. Le due società sono entrambe attestate su una quota di mercato del 2,5%. Il comparto distributivo si conferma il segmento con il più elevato livello di concentrazione, relegando ad un ruolo marginale gli indipendenti e in cui le imprese leader esercitano un forte peso finanziario sulla produzione, imponendo i propri listini agli esercenti. Una dimostrazione delle difficoltà di (ri)posizionamento viene dallo storico marchio Mikado che, dopo il fallito tentativo di rilancio condotto da Franco Tatò, è tornata sotto il controllo totale di De Agostini, gruppo che, a causa degli ingenti debiti della controllata, è intenzionato a ricollocarle sul mercato27. Tabella 12 - Quote di mercato dei distributori, 2009 Δ % Società Incasso 09 perc 09 perc 08 perc 07 perc 06 perc 05 09-08 Medusa 87.768.874 14,2 16,60 17,33 12,98 10,4 -10,9 Universal/Uip 83.077.041 13,4 19,68 13,11 13,07 19,95 -28,9 Warner Bros 75.664.780 12,2 9,59 13,64 7,45 13,97 32,8 Sony Pictures 69.675.764 11,2 5,08 6,35 9,25 6,68 131,0 Walt Disney/Buena Vista 61.490.021 9,9 7,67 9,25 12,03 8,90 35,0 20th Century Fox 58.020.156 9,4 6,37 11,00 11,77 5,94 53,4 01 Distribution 49.968.645 8,1 11,10 9,90 9,49 9,99 -24,2 Eagle Pictures 41.952.090 6,8 3,94 3,68 6,02 7,33 79,4 FilmAuro 35.568.883 5,7 7,97 8,21 8,18 6,13 -24,9 Lucky Red 15.692.807 2,5 2,90 1,36 0,84 1,70 -8,8 Bim Distributione 15.476.735 2,5 2,45 0,87 2,39 1,76 6,4 Moviemax 13.421.538 2,2 2,35 1,86 1,09 0,70 -3,9 Altri 12.096.576 2,0 4,57 1,88 4,44 5,28 -52,4 Major usa (Uip-Wb-Bv-Sony-Fox) 347.927.762 56,1 48,40 53,35 53,57 55,44 21,1 Major ita (Medusa-01 Distr) 137.737.519 22,2 27,70 27,23 22,47 20,39 -16,3 Super indies ita (Eagle-Filmauro) 77.520.973 12,5 11,91 11,89 14,20 13,46 9,6 Altri 56.687.656 9,1 11,98 7,53 9,66 10,71 -20,3 Totale 619.873.910 100,0 100,00 100,00 100,00 100,00 4,4

25 Filmauro continua a detenere il primato del miglior incasso medio per film (circa 7 milioni per 5 titoli distribuiti) seguita Disney/Buena Vista (1,6 milioni per 37 titoli distribuiti) e 20th Century Fox (1,5 milioni per 37 titoli distribuiti). 26 Società controllata dalla Alliance Film Europe di Tarak Ben Ammar. 27 Nel 2009 la quota di mercato della società fondata da Luigi Musini e Roberto Cicutto (poi ceduta al gruppo di Novara nel 2007) è pari allo 0,27% sul totale delle top 20 società di distribuzione per incasso.

58 Cinema Fonte: Cinetel. Incassi fino al 31.12.2009, inclusi i proseguimenti. I primi 20 film per incasso nel 2009 assorbono circa il 42% del mercato complessivo. Nella top 20 figurano 6 titoli di produzione italiana (1 in meno rispetto al 2008), 13 di origine Usa ed 1 di origine Uk. I film di origine domestica incidono per il 23,3% sul totale dei primi 20 incassi, contro il 35% registrato nell’anno precedente. I primi due film di origine italiana sono distribuiti da un distributore indipendente, FilmAuro (Natale a Beverly Hills) e da Medusa (Cado dalle nubi). Tabella 13 - Top 20 dei film in sala, 2009 Incasso Titolo Paese Distributore (mln euro) L’era Glaciale 3 - l’Alba dei dinosauri Usa 20 Th Century Fox Italia 29.690.712 Angeli e Demoni Usa Sony Pictures Italia 18.724.657 Harry Potter e il Principe Mezzosangue Uk Warner Bros Italia 18.356.557 New Moon Usa Eagle Pictures 16.427.604 Natale a Beverly Hills Ita FilmAuro 16.339.019 UP Usa Walt Disnesy S.M.P Italya 15.345.556 2012 Usa Sony Pictures Italia 14.311.547 Cado dalle Nubi Ita Medusa Film 12.787.555 Italians Ita FilmAuro 12.158.520 Sette Anime Usa Sony Pictures Italia 11.258.003 A Christmas Carol Usa Walt Disnesy S.M.P Italya 11.001.542 Il curioso caso di Benjamin Button Usa Warner Bros Italia 10.935.460 EX Ita 01 Distribution 10.652.049 Baaria Ita Medusa Film 10.534.935 Bastardi senza Gloria Usa Universal 9.324.983 Gran Torino Usa Warner Bros Italia 9.127.986 Io & Marilyn Ita Medusa Film 8.883.362 Fast & Furious - Solo Parti originali Usa Universal 8.323.487 Viaggio al centro della Terra Usa Universal 8.203.251 Trasnformes - La Vendetta del Caduto Usa Universal 8.189.080 Totale film italiani nei primi 20 60.703.391 Totale film USA nei primi 20 199.872.474 Toatale primi 20 film 260.575.865 Fonte: Cinetel, ANICA. Note: in neretto i film di origine italiana

3. Una comparazione con i mercati europei

Il raffronto con gli altri principali mercati europei (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna) mostra, anche per il 2009, il ritardo del sistema italiano soprattutto con riferimento ai tradizionali indicatori di performance. Prendendo in esame le presenze e gli incassi al botteghino, infatti, il mercato nazionale è posizionato sugli stessi livelli della Spagna, a debita distanza da Germania, Regno Unito e Francia Oltralpe il box office ha superato nel 2009 la soglia storica dei 200 milioni di biglietti con un incasso pari ad 1,2 miliardi di euro (praticamente il doppio delle cifre registrate nel nostro Paese). Il numero di film nazionali prodotti in Italia che, fino al 2008, aveva mostrato un incoraggiante andamento in crescita, ha subito una contrazione (scendendo da 154 a 131 film) in controtendenza rispetto agli altri mercati, fatta eccezione per la Francia che continua comunque a mantenere la leadership nel volume di output. Per quanto riguarda la frequenza di consumo cinematografico in rapporto alla popolazione, l’Italia si colloca agli ultimi posti, con una media pro capite di 1,9 spettacoli all’anno.

Cinema 59 Tabella 14 - Il mercato cinematografico nei principali paesi europei, 1999-2009 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 2000 1999 Francia tot. Film nazionali 230 240 228 203 240 203 212 200 204 171 181 Ingressi (in milioni) 200,9 190,1 178,2 188,8 175,5 195,7 173,5 184,4 187,5 165,8 153,6 frequenza media 3,4 3,2 3 3,2 3 3,3 3 3,2 3,2 2,8 2,6 Incassi totali (M€) 1232 1141,7 1060 1120,7 1031,9 1138,9 996,1 1030 1021 894 824 da film nazionali (%) 35,6 45,1 36,1 44,6 36,3 38,4 34,6 34,6 41,4 28,1 32,5 da film americani (%) 51,7 43,9 50,1 44,7 46,5 48,3 52,9 50,2 46,6 63,2 54,4 da film europei (%) 9,6 9,2 12,1 8,8 15,5 9,4 5,3 8,4 7,5 6,1 11,1 Germania tot. Film nazionali 144 125 129 122 103 87 80 84 83 75 74 Ingressi (in milioni) 146,3 129,4 125,4 136,7 127,3 156,7 149 163,9 177,9 152,5 149 frequenza media 1,8 1,6 1,5 1,7 1,5 1,9 1,8 2 2,2 1,9 1,8 Incassi totali (M€) 976,1 794,7 757,9 814,4 745 892,9 850 960,1 987,2 824,5 808,4 da film nazionali (%) 27,4 21 15,1 21,5 13,9 20,8 16,7 9,5 15,7 9,4 11,1 da film americani (%) n.d 66,9 73,2 72 77,2 72,1 76,8 83 77 81,9 78,6 da film europei (%) n.d 16,9 19,5 13,8 22,2 13,6 9,4 21,4 18,6 8,8 14,3 Italia tot. Film nazionali 131 154 121 116 98 134 117 130 103 103 108 Ingressi (in milioni) 109,3 111 116 105 104,7 113,2 105 111,5 110 100,9 103,5 frequenza media 1,9 1,9 1,9 1,8 1,9 2 1,9 1,9 1,9 1,8 1,8 Incassi totali (M€) 664,1 636,7 669,6 601,2 559,5 655,4 608,6 654 600,7 545,8 532,9 da film nazionali (%) 23,4 29 31,7 24,7 24,7 20,3 21,8 22,2 19,4 17,5 24,1 da film americani (%) 63,5 60,2 55,4 61,9 53,8 61,9 64,5 60,2 59,7 69,5 53,1 da film europei (%) 11,5 9,8 11,6 11,2 19,6 10,9 8,3 12,6 23,7 11,4 14,3 Regno Unito* tot. Film nazionali 125 126 127 134 164 174 196 119 83 90 103 Ingressi (in milioni) 173,5 164,2 162,4 156,6 164,7 171,3 167,3 175,9 155,9 142,5 139,1 frequenza media 2,8 2,7 2,7 2,6 2,7 2,8 2,8 2,9 2,6 2,4 2,4 Incassi totali (M€) 1059,3 953,5 921,5 855,3 864,3 864,3 832,8 847,4 724 654,4 631,9 da film nazionali (%) 16,5 31,1 28,6 19,1 33 23,6 10,2 8,3 4,9 19,6 16,5 da film americani (%) n.d. 65,2 67,7 77,1 63,1 73,2 73,5 71,3 73,9 75,3 80,5 da film europei (%) n.d 2,3 1,8 1,2 3,1 1,3 2,5 1,2 4 1,5 1,6 Spagna tot. Film nazionali 186 173 172 150 142 133 110 137 106 98 82 Ingressi (in milioni) 109,5 107,8 116,9 121,7 127,6 143,9 137,5 140,7 146,8 135,3 131,3 frequenza media 2,4 2,4 2,6 2,8 2,9 3,5 3,3 3,4 3,7 3,4 3,3 Incassi totali (M€) 667,8 619,3 643,7 636,2 635 691,6 639,4 625,9 616,4 536,3 495,9 da film nazionali (%) 16 13,3 13,5 15,4 16,7 13,4 15,8 13,7 17,9 10,1 13,9

60 Cinema da film americani (%) 70,6 71,5 67,6 71,2 60,3 69,8 67,3 66,1 62,2 82,7 64,2 da film europei (%) n.d 13,6 14,5 12,2 20,3 9,9 12 14,8 15 7,2 13,1 Note: (*) per il Regno Unito è stato applicato il tasso di cambio medio annuale relativo al 2009 (pari a 0,89094 ovvero 1,12241 euro per una sterlina) fornito dall’Ufficio Italiano Cambi della Banca d’Italia. Fonte: elaborazioni Iem su ANICA, Siae, Cinetel, Centre National de la Cinématographie.

Osservando l’andamento delle quote di mercato nei 5 mercati, l’unico Paese che registra una crescita progressiva nell’ultimo triennio è la Germania28. Nel 2009 la quota di mercato francese torna ai livelli del 2007, attestandosi al 35,6% dopo l’impennata (45,1%) registrata nel 2008 grazie al clamoroso successo del film Giù al Nord. Vistoso anche il decremento della quota di prodotto domestico italiano (23,4%, in calo di più di 5 punti percentuali rispetto alla performance dell’anno precedente)29. Fortemente negativo anche il dato relativo al Regno Unito che nel 2009 dimezza la propria quota di mercato precipitando dal 31,1% al 16,5%, interrompendo bruscamente la crescita rilevata nel triennio prevedente e allineandosi alla quota di mercato spagnola (16%) che, al contrario, guadagna quasi 3 punti rispetto all’anno precedente. Figura 1 - Quota di mercato dei film nazionali, 1999-2009

50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Francia Germania Italia Regno Unito Spagna

Fonte: elaborazioni Iem su ANICA, Siae, Cinetel, Centre National de la Cinématographie

28 Il dato relativo alla quota di mercato nazionale registrata in Germania nel 2009 (27,4%) va letto con cau- tela, riferendosi agli ingressi e non agli incassi e includendo coproduzioni realizzate nel Regno Unito supportate da investimenti americani. Il dato è ricavato dalla base dati del CNC che a sua volta lo ha elaborato utilizzando il database Lumière curato dall’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo di Strasburgo. 29 Come già ricordato, nel primo semestre 2010 la quota di mercato era già risalita al 30%, coproduzioni comprese.

Cinema 61 Home Video

62 diHome Andrea Marzulli Video

1. Il mercato italiano

Anche nel 2009, così come nel 2008, la flessione dei consumi home video in Italia è stata particolarmente pesante. La somma tra atti di noleggio e pezzi venduti è scesa di quasi il 19% (dopo il 20% del 2008), sotto quota 100 milioni. Solo nel 2006, i volumi erano di oltre 160 milioni. E, per l’ennesimo anno, è stato il noleggio a soffrire di più: attestatisti a 42,9 milioni, gli atti di noleggio sono diminuiti di oltre il 22% nell’ultimo anno e si sono più che dimezzati rispetto al 2005. Secondo la CCIAA di Rimini riportati dal rapporto Univideo 2010, nel 2009 hanno cessato l’attività quasi 500 imprese di videonoleggio (nel 2007-2008 erano state oltre 400), che sono quindi stimate essere 3.800 (un numero, per la verità, che risulta elevato se paragonato al valore del segmento; secondo Screen Digest nel 2008 il numero di outlet attivi nel rental era di 2.200). Se negozi singoli e catene brick’n’mortar sono sempre più in crisi – negli Usa la catena di videonoleggio Blockbuster ha chiesto il “chapter 11”, ossia la procedura di bancarotta assistita, dopo il fallimento del suo principale competitor Hollywood Video - il suo rivale digitale è in netta ascesa (1,67 miliardi di dollari di fatturato nel 2009) grazie all’offerta di subscription- online in modalità over-the-top e al recapito/ ritiro domestico dei film noleggiati (a conferma, come segnalato nelle edizioni precedenti di questo rapporto, che la “logistica” del noleggio risulta sempre più gravosa per l’utente). Le forti pressioni sulla window del rental da parte di molti distributori cinematografici e il filesharing (attraverso i client di condivisione oppure i grandi portali cyberlocker di archiviazione remota, primo fra tutti Megavideo) contribuiscono al progressivo calo del settore. Negli ultimi anni, il rapporto fra atti di noleggio e atti di acquisto si è ribaltato a favore di questi ultimi, la cui flessione è stata inferiore (il 24% circa negli ultimi 5 anni, contro oltre il 54% per il noleggio). Il consumo di video passa sempre più per i grandi mediastore (dove generalmente è possibile solo l’acquisto) piuttosto che per le videoteche. Tra i canali di vendita, nell’ultimo anno ha particolarmente sofferto l’edicola, dove gli atti d’acquisto sono caduti del 24%, a conferma della flessione, seguita alla saturazione, del mercato dei collaterali (prodotti in abbinamento a quotidiani e periodici). Appare invece più contenuto il calo del Normal Trade, che è stato dell’8%, per il quale ormai da anni non sono più disponibili pubblicamente i dati di vendita secondo la tipologia di outlet. Comunque, è dal 2006 che gli atti di vendita non registrano un saldo annuale positivo; nel primo semestre 2010, però, le vendite sono cresciute del 2% grazie al -ray (le cui vendite nel 2009 sono state però inferiori al milione di pezzi – una cifra che denota un processo di sostituzione col Dvd molto in ritardo rispetto agli altri grandi Paesi europei: i lettori venduti in Italia nel 2009 sono stati solo 119mila).

Home video 63 Tabella 1 – Atti di noleggio e acquisto (milioni), 2005-2009 ∆ % ∆ % 2009 2008 2007 2006 2005 09-08 09-05 Noleggio 42,9 55,4 75,4 86,2 94,2 -22,6 -54,5 Dvd 42,8 55,3 75,2 81,8 86,8 -22,6 -50,7 Blu-ray Disc 0,14 0,04 0,03 - - 250,0 - Vhs - 0,1 0,2 4,4 7,4 -100,0 -100,0 Vendita 54,3 64,5 75,7 76,3 70,2 -15,8 -23,6 Dvd 53,3 63,5 74,2 73,4 63,4 -16,1 -15,9 (di cui Normal Trade) 29,5 32,3 37,5 37 33,5 -8,7 -11,9 (di cui Edicola) 23,8 31,2 36,7 36,4 29,9 -23,7 -20,4 Blu-ray Disc 0,9 0,4 0,1 - - 125,0 - Altri supporti (Umd, Hd-Dvd) 0,1 0,5 0,1 0,1 0,04 -80,0 150,0 Vhs - * 1,2 2,9 6,8 - -100,0 (di cui Normal Trade) - * 1 2,6 4,7 - -100,0 (di cui Edicola) - 0,1 0,2 0,3 2,1 -100,0 -100,0 (Totale Normal Trade) 30,5 33,2 38,8 39,6 38,2 -8,1 -20,2 (Totale Edicola) 23,8 31,3 36,9 36,7 32,0 -24,0 -25,6 (Totale Dvd) 96,1 118,8 149,4 155,2 150,2 -19,1 -36,0 (Totale Vhs) - 0,2 1,4 7,3 14,2 -100,0 -100,0 (Totale Altri Supporti) 1,1 0,9 0,2 0,1 0,1 22,2 1000,0 Totale atti di noleggio + vendita 97,2 119,9 151,1 162,5 154,4 -18,9 -37,0 Note: dati in milioni di atti. Fonte: elaborazioni Iem su dati Prometeia, Univideo. La contrazione del consumo si ritrova nei dati economici: nel 2009 il mercato dell’home video ha registrato un calo in valore del 17,9% rispetto al 2008, passando da 828 a 680 milioni, il valore più basso dal 2001 (quando era di 615 milioni). Il noleggio cede il 22,6%, scendendo a circa 115 milioni, quasi interamente coperti dal noleggio di Dvd, mentre il Blu-ray vale ancora 0,5 milioni di euro. Del 15,3% è stato il decremento delle vendite sui vari canali, da 667 a 565 milioni. La flessione tocca principalmente l’Edicola (-23%, a 201 milioni), mentre è del 10,4% (a 364 milioni) per il Normal Trade. Il calo a valore dei due segmenti, leggermente superiore al calo dei volumi, testimonia l’ulteriore diminuzione dei prezzi medi (sotto i 12 euro per i Dvd, circa 24 euro per il Blu-ray). Le vendite di Blu-ray sono cresciute del 113%, da 9,7 a 20,7 milioni ed il formato rappresenta il 3,7% delle vendite. Tabella 2 – Mercato Home-Video: valore a prezzi finali (milioni di euro), 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 ∆ % 09-05 Noleggio 114,6 160,6 218,4 272,4 315,0 -28,6 -63,6 Vhs - 0,2 0,2 12,0 19,8 -100,0 -100,0 Dvd 114,1 160,3 218,1 260,4 295,1 -28,8 -61,3 Blu-ray Disc 0,5 0,2 0,1 - - 150,0 - Vendita 564,9 667,0 780,0 765 738 -15,3 -23,5 Vhs 0,3 1,3 2,7 12 39 -76,9 -99,2 (di cui Normal Trade) 0,3 1,2 2,4 11 33 -75,0 -99,1 (di cui Edicola) - 0,1 0,3 1 7 -100,0 -100,0 Dvd 544,0 654,8 772,9 753 697 -16,9 -22,0 (di cui Normal Trade) 343,2 394,3 466,5 453 436 -13,0 -21,3 (di cui Edicola) 200,7 260,5 306,4 300 262 -23,0 -23,4

64 Home Video Blu-ray Disc 20,7 9,7 3,0 - - 113,4 - Umd - 0,9 0,7 1,2 0,8 -100,0 -100,0 Hd-Dvd - 0,4 0,5 - - -100,0 - (Totale Normal Trade) 364,2 406,4 473,4 464 469 -10,4 -22,3 (Totale Edicola) 200,7 260,7 306,7 301 269 -23,0 -25,4 (Totale Vhs) 0,3 1,5 3,2 24 60 -80,0 -99,5 (Totale Dvd) 658,1 815,0 991 1014 993 -19,3 -33,7 (Totale Blu-Ray Disc) 21,2 9,9 3,0 - - 114,1 - (Totale altri supporti) - 1,3 1,2 -100,0 - Totale mercato 679,6 827,6 998,4 1037 1099 -17,9 -38,2 Fonte: elaborazioni Iem su dati Prometeia, Univideo. In termini di contenuti, il film è naturalmente la principale tipologia di prodotto, con il 56% circa del mercato della vendita di Dvd. Questa percentuale è in leggera flessione rispetto agli anni precedenti ma bisogna considerare che la categoria comprende i soli film live-action, mentre i film di animazione sono ricompresi nella categoria Animazione, che è invece quella che mostra la migliore crescita (dal 20 al 26%). In un contesto di forte caduta del mercato, i film per bambini e i cartoni animati televisivi tengono meglio di altre categorie di prodotto. Vistosa (almeno nei termini relativi delle più ridotte dimensioni del segmento) è anche la flessione del prodotto televisivo, generalmente impacchettato in più costosi cofanetti, che in due anni è sceso dal 10 al 7,7%. Tra gli altri si segnala, nel 2009, una buona crescita del segmento Musica: per il mercato discografico il Dvd è divenuto un elemento per contrastare il file-sharing digitale, mettendo sul mercato prodotti aggiuntivi rispetto ai contenuti audio, confidando nel loro maggiore appeal. Figura 1 – Vendite Dvd per tipologia di contenuto,2007-2009 (%)

100% 7 6 5,8 90% 20 24 80% 25,8 2 70% 3 2 1,4 2 3,7 10 60% 9 7,7

50%

40%

30% 58 58 55,5 20%

10%

0% 2007 2008 2009 Film Serie Tv Musica Special Animazione Promo

Fonte: elaborazioni Iem su dati Prometeia, Univideo. Essendo il film cinematografico il principale prodotto home-video, e stante il controllo sulla filiera dei principali gruppi media, la “magnitudo” dei principali operatori attivi nel settore rispecchia prevalentemente le quote di mercato dello sfruttamento in sala, con le filiali della major Usa ai primi posti della graduatoria per ricavi (oltre i 60 milioni di euro per Buena Vista).

Home Video 65 Il primo operatore italiano è Medusa, con oltre 26 milioni di ricavi (e in circa 20 milioni sono stimati i ricavi home-video dell’altro grande soggetto italiano, 01 Distribution), seguita da Mondo Home Entertainment con 23 milioni. Tabella 3 – Ricavi di alcuni fra i principali editori home-video Rank Editore Anno Ricavi Azionisti principali 1 Buena Vista Home Entertainment 2008 61,2 Disney 2 Twentieth Century Fox HE Italia 2007 49,0 Newscorp 3 Paramount Home Entertainment Italy 2008 34,2 Viacom 4 Universal Pictures Italy 2008 30,3 Comcast-Nbc Universal 5 Medusa Video 2008 26,6 Mediaset 6 Mondo Home Entertainment 2009 23,4 Mondo Tv 7 Sony Pictures Home Entertainment 2008 20,6 Sony 8 Cecchi Gori Home Video 2009 12,7 amministrazione straordinaria 9 Rai Trade 2008 *8,0 Rai 10 Filmauro 2007 *6,3 De Laurentiis 11 Dolmen Home Video 2009 4,1 De Agostini Note: (*) solo ricavi hv. Dati in milioni di euro. Tra le maggiori società attive, dati indisponibili per 01 Distribution del gruppo Rai (stimati intorno ai 20 milioni di euro), Warner HE, Dnc HE. Fonte: elaborazioni IEM su dati European Audiovisual Observatory, Ente dello Spettacolo e bilanci operatori.

2. Il confronto internazionale

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare – dal fatto che il 2009 è stato un anno di grave crisi economica e dalla considerazione che, fra i grandi mercati media, l’home video è uno di quelli che soffrono maggiormente di una crisi strutturale e del ripensamento di logiche di business legate ai nuovi media – in Europa il 2009 non è stato un anno negativo in tutti i Paesi. Il dato italiano è stato fra i più negativi, secondo solo a quello spagnolo (Paese, in cui per molti mercati media, la televisione ad esempio, l’anno 2009 è stato particolarmente pesante). In Spagna la caduta del mercato è stata del 37% (per il solo noleggio addirittura del 58%) ed è la più alta fra i 5 grandi Paesi europei. Meglio ha fatto il Regno Unito (che con 2,9 miliardi rimane il mercato più ricco), la cui flessione, del 10% circa, ha riguardato il noleggio e la vendita quasi in egual misura. Ma se in Francia il mercato è rimasto sostanzialmente stabile (-0,2%, ma +0,6% per la vendita), in Germania si è registrato addirittura un incremento a valore del 5%, dovuto essenzialmente a un’ottima performance del canale vendita (+6,7%), che ha riportato i valori sopra quelli del 2006. Tabella 4 – Il mercato home-video nei principali Paesi europei, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 ∆ % 09-05 Italia 680 828 998 1037 1099 -17,9 -38,1 Noleggio 115 161 218 272 315 -28,6 -63,5 % noleggio su mercato totale 16,9 19,4 21,8 26,2 28,6 -12,8 -40,9 Vendita 565 667 780 765 784 -15,3 -27,9 Francia 1411 1414 1543 1737 1889 -0,2 -25,3 Noleggio 20 31 47 78 105 -35,5 -81,0 % noleggio su mercato totale 1,4 2,2 3,0 4,5 5,6 -35,3 -74,5 Vendita 1391 1383 1496 1659 1784 0,6 -22,0 Germania 1633 1555 1605 1591 1686 5,0 -3,1 Noleggio 256 264 274 284 320 -3,0 -20,0 % noleggio su mercato totale 15,7 17,0 17,1 17,9 19,0 -7,7 -17,4

66 Home Video Vendita 1377 1291 1331 1307 1366 6,7 0,8 Regno Unito 2877 3196 3305 3256 3489 -10,0 -17,5 Noleggio 223 246 334 382 448 -9,1 -50,1 % noleggio su mercato totale 7,8 7,7 10,1 11,7 12,8 0,9 -39,5 Vendita 2654 2950 2971 2874 3041 -10,0 -12,7 Spagna 125 198 272 276 292 -36,9 -57,2 Noleggio 16 38 52 76 93 -57,9 -82,8 % noleggio su mercato totale 12,8 19,2 19,1 27,5 31,8 -33,3 -59,8 Vendita 109 160 220 200 199 -31,9 -45,2 Note: dati in milioni di euro (cambio medio 2009 UK: 1 € = 0,89049 £). Fonte: elaborazioni IEM su dati Prometeia, Univideo (Italia), Sevn, Cnc-Gfk (Francia), Bvv (Germania), Bva, UKFC (Regno Unito), Uve, Sgae, Screen Digest (Spagna). Fin qui i valori. Per quanto riguarda i volumi, Francia e Germania mostrano una crescita dei pezzi venduti fra il 9 e il 10%, dopo anni di caduta (Francia) o di stabilità (Germania). Il dato italiano è invece preoccupante perché il dato (sia sul 2008 che sul 2005) è molto più negativo degli altri grandi (esclusa la Spagna) e denota una propensione al consumo in netto calo. In Francia, la riduzione a 4 mesi del periodo minimo fra la sala e il rental ha rivitalizzato le vendite natalizie e ha contribuito a determinare il risultato particolarmente positivo, insieme a una deregolamentazione sui prezzi. In Germania, l’ascesa del Blu-ray è stata più rapida che in altri Paesi. Tabella 5 – Pezzi venduti nei principali Paesi europei, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 ∆ % 09-05 Italia 54 64 76 76 70 -16,3 -23,6 Francia 141 128 131 136 143 10,0 -1,7 Germania 113 104 104 103 104 9,0 8,1 Regno Unito 243 258 250 229 222 -5,8 9,5 Spagna 16 21 28 30 34 -23,8 -52,9 Note: dati in milioni di pezzi. Fonte: elaborazioni IEM su dati Prometeia, Univideo (Italia), Cnc-Gfk (Francia), Bvv (Germania), Bva (Regno Unito), Uve (Spagna). Non c’è dubbio che il file-sharing abbia delle conseguenze, negative, sul mercato dell’home video. Il dibattito, in Italia e altrove, riguarda però la misura del danno. In molti casi questi calcoli tendono a quantificare il danno attribuendo il valore di mercato alle opere scambiate o scaricate online e alle copie fisiche contraffatte e vendute. In altri si tende a misurare l’effettivo tasso di sostituzione e a ridurre l’incidenza del danno sul mercato. Un raffronto fra l’entità dei download e delle contraffazioni e l’andamento del mercato mostra, in ogni caso, come fra i grandi Paesi europei ci sia una proporzione diretta fra il numero dei c.d. copyright infringements e la flessione nel tempo dei consumi “regolari”. E’ evidente il caso della Spagna che mostra il numero più elevato degli infringements (568 milioni nel 2009, di cui 539 milioni di download di film e serie tv e 29 milioni di pezzi contraffatti) e il maggior calo degli atti di acquisto/noleggio tra il 2005 e il 2009 (-57,9%). Segue l’Italia con 327 milioni di infringements (di cui 228 milioni di download e 99 milioni di pezzi contraffatti, il numero più alto fra i Paesi citati relativamente alla “pirateria fisica”) da una parte e un calo degli atti del 36,5% dall’altra. Il Paese con il numero di infringements più basso (la Germania, con 164 milioni) è anche il Paese con la flessione del mercato più contenuta (-1,8% di atti nel quinquennio). Germania e Regno Unito sono gli unici Paesi dove il numero di infringements (2008) è inferiore al numero di atti di acquisto/ noleggio (2009) e che mostrano il minor calo del mercato (nel Regno Unito è dell’11,5%). Questo numero è invece superiore agli atti di acquisto/noleggio in Francia, Italia e Spagna, dove la flessione del mercato è maggiore, con una proporzione particolarmente aderente.

Home Video 67 Figura 2 – Rapporto fra atti di acquisto/noleggio e file-sharing/contraffazione nel mercato HV UK DE FR IT ES

29

539 314 99 224 6 162 71 9 228 97 152 153 252 16

-1,8%

-11,5%

-19,4%

Download film e serie tv (mln file)

Contraffazione fisica film e serie tv (mln pezzi) -36,5%

Atti di acquisto/noleggio (mln)

Variazione atti acquisto/noleggio 05-09 (%) -57,9%

Note: dati download e contraffazione 2008, atti di acquisto/noleggio 2009. Fonte. IEM su Bva, Ukfc, Cnc, Bvv, Prometeia, Univideo, Sgae, Tera Consultants.

Tabella 6 – Mercato del video on demand in Regno Unito, Germania e Francia, 2006-2009 2009 2008 2007 2006 ∆ % 09-08 Regno Unito 139,2 134,1 103,5 80,5 3,8 - di cui Tv-based 121,3 127,1 97,7 nd -4,6 - di cui online 16,8 7,0 6,2 nd 140,0 Francia 82,3 53,3 29,1 14,0 54,4 - di cui Tv-based 75,2 46,9 23,7 nd 60,3 - di cui online 7,1 6,4 5,4 nd 10,9 Germania 13,1 9,0 3,0 nd 45,6 Note: dati in milioni di euro (cambio medio 2009 UK: 1 € = 0,89049 £). Fonte: Screen Digest, UKFC, Cnc, Bvv. Il mercato del video on demand, quale alternativa al rental fisico, continua a crescere nei maggiori mercati europei, a buon ritmo. In Francia (+54% nell’ultimo anno, a quota 83 milioni) vale ormai più del noleggio. Ed anche in Germania, pur con valori marginali (13 milioni di euro nel 2009), la crescita è stata di oltre il 45%. Fa parzialmente eccezione il Regno Unito, che rimane il mercato più ricco con 139 milioni di euro, dove la crescita è stata più modesta (3,8%) a causa di un’improvvisa flessione del vod aggregato ad offerte televisive che ha registrato una flessione di quasi il 5% (per il calo dei ricavi delle offerte n-vod, a favore di servizi vod puri come Fetch Tv e iTunes, che da solo genera il 55% dei ricavi vod online nel Regno Unito). In

68 Home Video assenza, di dati puntuali sui ricavi vod in Italia, si possono confermare le stime più conservative (Univideo, E-media, versioni precedenti di questo rapporto) che vedono il mercato online sui 4-5 milioni di euro (per Confindustria sono ben 40 ma comprensivi di pubblicità).La contrazione del mercato home video continua a penalizzare il prodotto televisivo, riducendo ulteriormente le fonti di ricavo della fiction al di fuori dello sfruttamento primario sul mercato interno (anche i dati di export non sono particolarmente buoni, limitandosi a poco più di 10 milioni di euro), almeno per quanto riguarda la fiction italiana (dopo il picco del 10% del 2007, il peso della fiction sulle vendite Dvd è sceso al 7,7%, e si tratta solo in minima parte di fiction italiana). Anche in Francia il valore della fiction continua a diminuire (272 milioni) così come l’incidenza della fiction francese sul totale fiction in home video (9,3%). Positiva eccezione, anche per questo indicatore, è rappresentata dalla Germania, dove il valore delle vendite del prodotto televisivo è cresciuto da 205 a 233 milioni, ritornando ai valori del 2004. Tabella 7 – La fiction nel mercato home-video in Italia, Francia e Germania (2004-2009) 2009 2008 2007 2006 2005 2004 Italia valore mercato, vendita (M€) 564,9 654,8 772,9 753 697 616 valore fiction (M€) 42 59 77 63,1 46 41,2 Fiction sul mercato (%) 7,7 9 10 8,3 6,5 6,6 Francia valore mercato, vendita (M€) 1390 1382 1481 1658 1786 1959 valore fiction (M€) 272 283 317 317 247 196 fiction sul mercato (%) 19,6 20,5 21,2 19,1 13,8 9,9 fiction nazionale su totale fiction (%) 9,3 9,5 9,9 14,3 16,9 15,2 Germania valore mercato, vendita (M€) 1377 1291 1331 1307 1366 1440 valore fiction (M€) 233 205 222 183 177 233 fiction sul mercato (%) 16,9 15,9 16,7 14,0 13,0 16,9 Fonte: elaborazioni IEM su dati Prometeia, Univideo (Italia), Cnc-Gfk (Francia), Bvv (Germania).

Home Video 69 Libri

70 Libri diLibri Daniela Ciavarelli

1. Produzione e lettura

Una situazione di difficoltà ma non drammatica quella del mercato editoriale italiano nel corso del 20081. Rispetto all’anno precedente la produzione libraria resiste con un leggero calo pari allo 0,5% (tutte le edizioni) ma con un saldo sempre molto positivo (11,5%) rispetto al 2004. Nel complesso la produzione si attesta ad un valore di poco inferiore ai 59mila titoli, grazie alla ripresa delle prime edizioni (vedi infra). A fronte del lieve calo del numero dei titoli continua a diminuire, e di molto, la tiratura complessiva che, nel 2008, si attesta a poco più di 213 milioni di copie, in netta contrazione sia rispetto all’anno precedente che all’andamento dell’ultimo quinquennio. Dal 2004 si rileva infatti una diminuzione del 12,1%, mentre dall’anno precedente un calo del 9,4%. In forte flessione, di conseguenza, la tiratura media per opera che, rispetto al 2004, scende del 21,2% (cioè di 1.000 copie) e del 9% sul 2007. Tabella 1 - Produzione libraria in Italia (titoli e tiratura), 2004-2008 2008 2007 2006 2005 2004 Δ % 08-07 Δ % 08-04 Totale (prime edizioni, ristampe ed edizioni 58.829 59.129 61.440 59.743 52.760 -0,5 11,5 successive) Tiratura (000) 213.163 235.389 268.097 261.054 242.639 -9,4 -12,1 Tiratura media 3.623 3.981 4.364 4.373 4.599 -9,0 -21,2 Fonte: elaborazioni Iem su dati Istat e Aie. La tenuta del mercato si deve principalmente all’incremento delle prime edizioni che raggiungono quasi 38mila titoli, in aumento di circa mille unità rispetto all’anno precedente. Le prime edizioni vanno quindi a rappresentare il 64,3% delle opere pubblicate, a fronte di un costante calo di ristampe e edizioni successive. Riguardo le ristampe il valore continua a seguire il trend negativo iniziato dal 2006 fermandosi a poco meno di 18mila copie (30,6%) mentre riguardo alle edizioni successive, in controtendenza con quanto avveniva nel 2007, il valore torna a scendere: dal 6,6 al 5,1%. Come si nota dalla tabella 2 i valori di quest’ultimo tipo di edizione hanno seguito sempre un andamento altalenante negli ultimi sei anni senza descrivere un trend chiaro. Le prime edizioni sono cresciute in maniera omogenea tra i vari generi di opera: +257 titoli nel segmento delle edizioni scolastiche, +230 nel segmento per ragazzi e +539 nel segmento Varia che comprende, oltre alla narrativa, manuali, saggi, guide, volumi di arte e illustrati, guide di viaggio, libri universitari, pubblicazioni scientifiche tecniche e mediche, reference ed 1 Si tratta dell’ultimo anno disponibile, alla stesura di questa ricerca, relativamente ai dati che riguardano la produzione libraria. I dati economici, nel prosieguo del capitolo, sono invece allineati al 2009.

Libri 71 enciclopedie. Le prime edizioni, nei segmenti Varia e Ragazzi, rappresentano rispettivamente il 67 e il 72% dei titoli pubblicati, mentre per le edizioni scolastiche, con un ricambio minore, il valore scende al 32,8. Tabella 2 – Produzione libraria in Italia per tipo di edizione, 2002-2008 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 Valori assoluti prima edizione 37.845 36.819 37.991 37.694 33.641 34.496 32.781 Ristampa 17.991 18.431 19.999 18.596 16.440 16.417 19.083 edizione successiva 2.993 3.879 3.450 3.453 2.679 3.353 2.760 Totale 58.829 59.129 61.440 59.743 52.760 54.266 54.624 Valori percentuali prima edizione 64,3 62,27 61,83 63,09 63,76 63,57 60,01 Ristampa 30,6 31,17 32,55 31,13 31,16 30,25 34,94 edizione successiva 5,1 6,56 5,61 5,78 5,08 6,18 5,05 Totale 100 100 100 100 100 100 100 Fonte: elaborazioni Iem su dati Istat e Aie. Le ristampe e le edizioni successive, a fronte dell’aumento delle prime edizioni su tutti i generi di opera, calano drasticamente e parallelamente: nel segmento Varia nel 2008 le ristampe costituiscono il 28,1 per cento dei titoli e le edizioni successive il 5,1. Anche nel segmento dei libri per bambini e ragazzi il peso delle ristampe passa dal 64% del 2007 a poco più del 60% del 2008 e la stessa cosa succede per le edizioni successive che passano dal 7 al 3,3 con un calo di più del 50%. Le ristampe dei libri scolastici scendono al 60,6% e le edizioni successive al 6,6. Tabella 3 - Produzione libraria in Italia per tipo di edizione e genere di opera, 2008 Edizione Tipo di edizione per genere di opera Prima edizione Ristampa Totale successiva Valori assoluti Scolastiche 1.636 331 3.024 4.991 Per ragazzi 2.939 136 996 4.071 Varia 33.270 2.526 13.971 49.767 Totale 37.845 2.993 17.991 58.829 Valori percentuali Scolastiche 4,3 11 16,8 8,5 Per ragazzi 7,8 4,6 5,5 6,9 Varia 87,9 84,4 77,7 84,6 Totale 100 100 100 100 Genere di opera per tipo di edizione (valori percentuali) Scolastiche 32,8 6,6 60,6 100 Per ragazzi 72,2 3,3 24,5 100 Varia 66,9 5,1 28,1 100 Totale 64,3 5,1 30,6 100 Fonte: elaborazioni IEM su dati Istat. Nel 2009, secondo l’Indagine Multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” dell’Istat, il tasso di lettura della popolazione italiana di 6 anni e più sale al 45,1, dal 44% dell’anno precedente. Rilevante è che tale aumento sia relativo ai cosiddetti “lettori forti” (da 12 libri in su all’anno), che crescono di 2 punti fino a rappresentare il 15,2% dei lettori di libri (almeno 1 libro nell’ultimo anno) e in parte ai lettori medi (4-11) libri. Diminuisce di conseguenza la percentuale di coloro che leggono fino a 3 libri (come si vedrà in seguito). La quota più alta di lettori si riscontra tra la popolazione di 11-17 anni (oltre il 58%), con un picco tra gli 11 e i 14 anni (64,7%),

72 Libri e decresce all’aumentare dell’età. Già a partire dai 35 anni la quota di lettori scende sotto il 50%, per diminuire drasticamente dai 65 anni in poi e raggiungere il valore più basso tra la popolazione di 75 anni e più (22,8%). Le donne leggono più degli uomini: le lettrici, infatti, sono il 51,6% rispetto al 38,2% dei lettori. Le differenze di genere sono presenti in tutte le fasce di età e risultano molto forti tra i 20 e i 24 anni, dove la quota di lettrici supera il 66%, mentre quella dei lettori si attesta al 39,2%. Le differenze di genere si annullano solo per le persone con 75 anni e più, fascia di età in cui dichiarano di leggere nel tempo il 23,3% degli uomini e il 22,5% delle donne. Il titolo di studio influisce fortemente sui livelli di lettura: si va da un massimo dell’80,6% tra i laureati a un minimo del 28,4% tra chi possiede la licenza elementare o nessun titolo di studio. Se poi si tiene conto della condizione professionale, livelli di lettura superiori alla media si evidenziano, per le persone di 15 anni e più, tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (62,7%), studenti (65,2%), direttivi quadri e impiegati (68,1%). Al contrario, i più bassi livelli di lettura si registrano tra gli operai (30,6%), i ritirati dal lavoro (33,2%) e le casalinghe (35,9%). A livello territoriale, le quote più alte di lettori di libri si registrano al Nord, dove quasi il 52% della popolazione di 6 anni e più ha letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista, e al Centro (48%). Nel Sud e nelle Isole, invece, la quota di lettori cade rispettivamente al 34,2% e al 35,4%. Esiste, inoltre, una significativa variabilità regionale nei livelli di lettura: se Trentino-Alto Adige (60%) e Friuli-Venezia Giulia (56,7%) fanno registrare i livelli di lettura più alti, Marche, Umbria e tutte le regioni del Mezzogiorno si attestano al di sotto della media nazionale. In particolare, agli ultimi posti si collocano Sicilia (31,5%), Campania (32,9%), Puglia (33,1%) e Calabria (34,3%). Relativamente al tipo di comune, si nota una maggiore diffusione di lettori nei centri e nelle aree di grande urbanizzazione, con una progressiva riduzione della quota dei lettori nei centri più piccoli: si passa, infatti, dal 51,3% nei comuni centro dell’area metropolitana al 40,5% nei centri da 2.001 a 10.000 abitanti. Tabella 4 - Indici di lettura in Italia, 1997-2009 per 100 lettori Hanno letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi (%) 1-3 libri 4-11 libri 12+ libri 1997 41,6 47,1 39,9 13,0 1998 41,9 47,8 40,5 11,7 1999 38,3 48,2 38,9 12,9 2000 38,6 49,5 38,4 12,1 2001 40,9 48,1 39,0 12,9 2002 41,4 48,3 39,1 12,6 2003 41,3 48,8 38,8 12,4 2005 42,3 47,5 39,0 13,5 2006 44,1 47,3 39,8 12,9 2007 43,1 46,2 40,8 13,3 2008 44,0 47,7 39,1 13,2 2009 45,1 44,9 39,9 15,2 Note: per 100 persone di 6 anni e +. Fonte: Istat. I lettori deboli (da 1 a 3 libri l’anno) sono soprattutto maschi (48,1%), bambini e ragazzi fino a 14 anni (più del 48%), persone con 75 anni e più (49,5%), persone con la licenza media o titolo inferiore (più del 50%), operai (55,3%), persone in cerca di prima occupazione e casalinghe (oltre il 51%), residenti nelle regioni meridionali (57,6%). Le quote maggiori di lettori forti (oltre i 12 libri) si riscontrano, invece, tra le persone di 65-74 anni (19,8%), tra le donne (16%), con un picco tra quelle di 65-74 anni (22,1%), tra i laureati (24,4%) e tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (19,8%) e i ritirati dal lavoro (18,7%). A livello geografico le quote più alte di lettori forti si riscontrano nel Nord-ovest (19,5%) e nel Nord-est (18,3%).

Libri 73 2. Valore del mercato

Per la seconda volta in due anni cala il valore del mercato del libro, attestandosi sui 3.407 milioni di euro, con una flessione del 4,3% rispetto al 2008. In questo quadro però mostrano buoni risultati le vendite nei canali: Internet (+12%), Grande Distribuzione (+4%) e librerie tradizionali +2,5%), che corrispondono complessivamente a 1430 milioni di euro. Il canale libreria sta cambiando profondamente e forse questa è la ragione della sua sostanziale tenuta nelle vendite. La Gdo (banco libri e grandi magazzini) dopo un -2,9% del 2008, ricomincia a crescere (del 4%) giovandosi della crescente incidenza della grande distribuzione organizzata nella spesa delle famiglie. Il 2009 ha visto le “catene” crescere di oltre il 4% a valore, e le librerie a “conduzione familiare” sostanzialmente stabili (+0,6%). Continuano a crescere le librerie on line con un +26,8% nelle vendite (percentuale più alta di tutti i canali trade) grazie anche all’entrata sul mercato di nuovi operatori. L’edicola (relativamente alla sola vendita libri) fa segnare un lieve miglioramento (+2,6%) grazie al rinnovamento del canale portato avanti con la formula del franchising da parte di alcuni grandi gruppi e grazie ad assortimenti di libri non più composti solo da tascabili e supereconomici. I collaterali sono esclusi da questa percentuale: nel 2009 hanno subito un’ulteriore battuta d’arresto, di quasi il 4%, mentre la perdita dal 2005 è di oltre il 50%. Crollano anche i collezionabili: -31,5%, a 161 milioni di euro. Il mercato scolastico registra un ulteriore rallentamento, dell’1,4%, nelle vendite. Contrazione dovuta a un probabile accentuarsi del fenomeno dell’usato e all’effettivo avvio della riforma voluta dal Ministero dell’Istruzione, con il blocco delle adozioni dei libri di testo per cinque anni nella primaria e per sei anni nella secondaria e obbligo dal 2012 di adottare i soli libri di testo disponibili e scaricabili da Internet. Veramente agli inizi il mercato dell’e-book che, nonostante il battage mediatico che lo ha imposto all’attenzione dei lettori e alla diffusione crescente di e-reader (questo più nel 2010, per la verità), vale ancora poco più di 1 milione di euro, ossia lo 0,03% del mercato. Tabella 5 - Il mercato dei libri in Italia, 2005-2009 (milioni di euro) Δ % Δ % 2009 2008 2007 2006 2005 09-08 09-05 GDO (1) 261 251 258,4 246,1 226,8 4,0 15,1 Edicola (2) 19,5 19 18,5 16,5 20,5 2,6 -4,9 Altro al dettaglio (3) 21,9 20,8 19,8 19,3 18,4 5,3 19,0 Internet (4) 101,2 90,4 71,3 52,1 40,1 11,9 152,4 Libreria (5) 1068 1042 1048 1043,3 1034 2,5 3,3 e-book (stime) 1,1 ------Libri scolastici 667 676,8 716,3 705,5 669 -1,4 -0,3 Bookshop musei 23,6 26,2 28,4 25,4 21,9 -9,9 7,8 Rateale 213,4 268,1 311,8 308,4 315 -20,4 -32,3 Corrispondenza 120 128,9 143,2 140,6 145 -6,9 -17,2 Book club 75 78,9 83,3 82,5 81,5 -4,9 -8,0 Vendita diretta a biblioteche 45 48 50,2 54,3 65,5 -6,3 -31,3 Export 42 41,1 40,7 39,9 39,5 2,2 6,3 Collezionabili e opere a 161,1 235,2 293,2 307 342,3 -31,5 -52,9 puntate Editoria elettronica (CD 264,5 348 330,5 336,9 326,5 -24,0 -19,0 Rom, DVD Rom) Editoria elettronica (banche 97,8 75,2 70 60,5 51 30,1 91,8 dati)

74 Libri Libri usati e remainders 95 84,6 79,8 78,1 76,5 12,3 24,2 Non book 50,5 40,7 38,2 35,4 33 24,1 53,0 Iniziative speciali 80 85,8 101 118 115 -6,8 -30,4 Totale 3407,5 3560,7 3702,6 3670 3621,4 -4,3 -5,9 Collaterali (libri) (6) 250,6 260,6 453,3 489 537,5 -3,8 -53,4 Totale libri e collaterali libri 3658,2 3821,3 4155,9 4159 4158,9 -4,3 -12,0 Note: (1) banchi libri fissi in supermercati, grandi magazzini, autogrill, escluse librerie dei centri commerciali; (2) esclusi allegati, opere a fascicoli e collezionabili; (3) in occasione di fiere, vendite temporanee, banchi dei mercati; (4) vendite dai soli siti italiani; (5) libri nuovi di varia adulti e ragazzi; (6) valori forniti da Fieg, su dati relativi a 53 quotidiani. Il dato si riferisce alle sole vendite di libri. Fonte: elaborazione IEM su dati Aie. Secondo l’AIE (Associazione Italiana Editori), nel 2008 risultavano censite, tra attive e non, 10.335 case editrici. Nel 2009, il numero delle case editrici attive era di 7.009, anche con un solo titolo. Tuttavia gli editori che hanno una presenza organizzata e stabile in tutte le librerie del territorio nazionale sono 1.600. Gli addetti di tutta la filiera sono circa 36mila. Tabella 6 - quote di mercato gruppi editoriali, 2007-2009 2009 2008 2007 Gruppo Mondadori 28,4 28,8 29,0 - di cui Mondadori 14,5 15,1 14,3 - di cui Einaudi 5,9 5,7 5,4 - di cui Piemme 4,3 4,3 5,1 - di cui Sperling & Kupfer 2,4 2,4 2,8 - di cui altri Gruppo Mondadori 1,3 1,3 1,4 RCS MediaGroup 12,6 12,8 13,6 Gems - Gruppo Editoriale Mauri Spagnol 9,3 8,9 8,2 Gruppo Giunti 5,8 5,5 5,4 Feltrinelli 4,0 3,9 3,8 Altri Editori 39,9 40,1 40,0 Totale 100,0 100,0 100,0 Note: dati a valore. Quote 2009 calcolate su €m 1.171 nei canali trade (esclusa GDO). Fonte: Nielsen Bookscan, Rispetto all’anno precedente la quota di mercato dei maggiori operatori del mercato italiano – Mondadori, Feltrinelli, RCS Media Group, Gems e Giunti – sale nel 2009 di 0,2 punti percentuali, rappresentando oltre il 60% del valore. Il gruppo Mondadori, seppur con un leggero calo dal 28,8 al 28,4%, mantiene la propria posizione di leadership rispetto agli altri player. Le ragioni della flessione sono da ricercare proprio nella divisione omonima che perde il 3,9% rispetto al 2008 mentre le altre divisioni restano ferme allo stesso valore o crescono leggermente: Piemme, Sperling & Kupfer e gli altri operatori del gruppo restano stabili mentre Einaudi incrementa del 3,5%. La quota di mercato di RCS (Rizzoli, Bompiani, Fabbri, Marsilio...) continua a scendere e si ferma allo 12,6% con un calo dell’1,6%. A seguire il Gruppo Editoriale Mauri Spagnol (Longanesi, Salani, Guanda, Garzanti), Giunti e Feltrinelli tutti con variazioni positive rispetto al 2008: guadagna il 4,5% Gems, passando dall’8,9 al 9,3; 5,2 punti percentuali il Gruppo Giunti salendo al 5,8% del valore del mercato e sale anche il Gruppo Feltrinelli passando dal 3,9 al 4% con un aumento del 2,6%. Mondadori conferma il suo ruolo di leader del mercato anche in relazione ai ricavi raggiungendo la quota di quasi 620 milioni di euro: di questi circa 426 milioni derivano dalla divisione Libri, mentre 194 dal settore della distribuzione che gestisce il canale delle librerie. Entrambi questi valori sono in calo rispetto all’anno precedente perdendo rispettivamente il 2 e lo 0,3 per cento. A seguire, come secondo gruppo si registra Messaggerie Italiane holding che nel 2008 fattura 517 milioni di euro considerando entrambe le voci della distribuzione e dell’editoria, in aumento

Libri 75 del 2% rispetto al 2007. Il terzo player del settore è il gruppo Feltrinelli con un fatturato complessivo (tra retail ed editoria) di 460 milioni euro, in crescita rispetto al 2008 circa del 21 per cento. Rappresenta la variazione più importante rispetto all’anno scorso e, considerando che nel mercato dei libri la fatturazione maggiore di Feltrinelli viene dal canale retail, può considerarsi una risposta al potenziamento della vendita on line nonché all’attenzione che il gruppo ripone nella cura e sponsorizzazione delle librerie, entrate nell’immaginario collettivo degli utenti come sinonimo di qualità e convenienza. Gli altri gruppi attivi non superano i 200 milioni di euro e si attestano tutti sugli stessi valori: secondo gli ultimi bilanci aziendali disponibili Giunti ha fatturato 191 milioni di euro (anno di riferimento 2008) tra editoria e retail, De Agostini Editore 186 (2009) considerando editoria e distribuzione. RCS Libri, per cui il dato si riferisce solo al segmento “varia Italia”, fattura nel 2009 145,2 milioni di euro, Zanichelli Editore 135,5 (2008), e infine il gruppo Pearson Paravia Bruno Mondadori 86,6 milioni di euro. Per tutti e tre si tiene in considerazione solo il fatturato derivante dalla divisione editoria. Tabella 7 - Fatturato maggiori gruppi italiani editori o distributori di libri Gruppo Attività Anno Ricavi Mondadori editoria, retail 2009 619,7 - Mondadori Libri editoria 2009 425,7 - Mondadori Retail retail 2009 194,0 Messaggerie Italiane holding edit., distrib., retail 2008 *517,0 Feltrinelli editoria + retail 2009 460,0 Giunti editoria, retail 2008 190,9 De Agostini Editore editoria, distrib. 2009 **186,0 Rcs Libri (solo varia Italia) editoria 2009 145,2 Zanichelli Editore editoria 2008 135,5 Pearson Paravia Bruno Mondadori editoria 2008 86,6 Note: (*) di cui 25% circa distribuzione periodici; (**) esclusi collezionabili e direct mktg, non è scorporabile il fatturato all’estero. Fonte: Mbres, dati societari et alia.

3. Confronti internazionali

L’Italia si conferma il penultimo paese, tra i 5 maggiori stati europei, in riferimento al valore complessivo del mercato editoriale, mentre per quanto riguarda l’ammontare della spesa pro capite è all’ultimo posto con poco più di 60 euro annui. La situazione complessiva non varia di molto rispetto al 2008, in cui lo scenario presentava la Germania unica eccezione, cioè in progresso, e al primo posto con valori, di ricavo e di spesa pro capite, di molto sopra la media europea. Quest’ultima si mantiene comunque costante attorno ai 64 euro pro capite. Nel dettaglio i tedeschi nel 2009 hanno speso 118 euro a testa, a seguire francesi (67), spagnoli (66), inglesi (61,6) e italiani (60,8). Come già osservato le variazioni positive non riguardano tutti e 5 i paesi infatti il valore della spesa, oltre che in Italia, per abitante diminuisce rispetto al 2008 in Spagna e in Regno Unito, rispettivamente del 5,3 e 13,5%. Anche riguardo il valore del mercato 2009, l’Italia è il Paese che mostra il risultato più negativo (-4,3%), precedendo Spagna e Regno Unito. I ricavi dalle vendite, infatti, passano in Spagna da 3.185 milioni di euro a 3.109 con un calo del 2,4%, mentre in Uk passano da 3.936 a 3.821, perdendo il 2,9%. Significativo è anche il dato francese, che passa da 4.055 milioni di euro a 4.213 con un

76 Libri incremento di quasi il 4%. La Germania si conferma il paese con le maggiori vendite editoriali, con un lieve aumento dello 0,8 per cento, sfiorando nel 2009 i 9.700 milioni di euro. Tabella 8 - Valore delle vendite di libri in Europa, anni 2006-2009 Popolazione Fatturato 2009 2008 2007 2006 ∆ % 09-08 (000) per ab. (€ 2009) Francia 4.213 4.055 4.100 4.110 3,9 62.793 67,1 Germania 9.691 9.614 9.576 9.261 0,8 81.758 118,5 Italia 3.407 3.561 3.703 3.670 -4,3 60.402 60,8 Spagna 3.109 3.185 3.157 3.015 -2,4 46.951 66,2 Uk 3.821 3.936 3.950 3.784 -2,9 62.042 61,6 Note: dati in milioni di euro. Per Uk dati al cambio medio 2008 (1 euro = 0,89094 sterline). Fonte: elaborazioni IEM su dati Gfk (Francia) Boersenblatt (Germania), Aie e Nielsen (Italia: 2007 e 2008 Aie, 2009 stime su tasso di crescita Nielsen), Fgee (Spagna), Publishers Association (Uk).

Libri 77 Quotidiani e periodici Quotidiani e periodici di Paola Savini

1. Introduzione

In misura più marcata rispetto all’anno precedente, nel corso del 2009 l’editoria italiana ha fronteggiato da un lato gli effetti della crisi economica generale, dall’altro quelli più specifici e, probabilmente, di maggiore portata, legati alle trasformazioni in atto nella filiera industriale di produzione-distribuzione e consumo di informazione. I dati provvisori relativi al 2010 non preludono a significative inversioni di tendenza, e rimarcano lo stato di crisi permanente del settore, quotidiano e periodico, in atto da ormai un quinquennio, come sottolineano i continui – parziali e spesso contraddittori - interventi legislativi in materia nonché l’indagine conoscitiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora in avanti, AGCM), la seconda1 in sei anni. Rispetto al primo punto, il riferimento è da un lato al decreto ministeriale del 21 ottobre 20102 che recepisce i nuovi accordi tra gli editori e la società Poste Italiane in merito alle tariffe per la spedizione delle pubblicazioni profit; dall’altro, è al Decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 2010, n. 2233, in emanazione dell’attesissimo Regolamento sulla disciplina dei contributi diretti all’editoria, che modifica i criteri di calcolo dei contributi e introduce una ripartizione proporzionale dei fondi in caso di insufficienza degli stessi nonché un maggiore controllo sulle richieste di ammissione alle provvidenze. Rispetto al secondo punto, l’AGCM ha infatti concluso, il 23 settembre 2009, l’Indagine conoscitiva 35 (Indagine Conoscitiva riguardante il Settore dell’editoria Quotidiana, Periodica e Multimediale), pubblicando, a distanza di due anni dalla I parte (Le sovvenzioni pubbliche e i limiti alla concentrazione per i quotidiani), la II parte (La distribuzione dei prodotti editoriali): l’AGCM, attraverso l’Indagine, ha «inteso offrire un contributo per una rilettura delle modalità di funzionamento del settore distributivo della stampa, per evidenziare le restrizioni di carattere concorrenziale che sembrano limitare ingiustificatamente le capacità di risposta del settore alle sfide odierne», auspicando, in conclusione, completa liberalizzazione per il mercato della vendita all’utente finale, in adattamento alle mutevoli esigenze della domanda di prodotti editoriali. Drammatico appare dunque il calo della diffusione dei quotidiani nel Paese, sceso sotto la

1 Cfr. nel 2004 l’Indagine conoscitiva 20 - Distribuzione di Stampa Quotidiana e Periodica. Provvedimento n.13425. 2 Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 21 ottobre 2010 recante “Tariffe per le spedizioni di pro- dotti editoriali, ad esclusione dei libri spediti tramite pacchi, effettuate dai soggetti di cui all’articolo 1 comma 1, del decreto -legge 24 dicembre 2003, n. 353, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2004, n. 46”, Gazzetta Ufficiale n. 274 del 23 novembre 2010. 3 “Regolamento recante misure di semplificazione e riordino della disciplina di erogazione dei contributi all’editoria a norma dell’articolo 44 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”, Gazzetta Ufficiale n. 299 del 23 dicembre 2010.

80 Quotidiani e periodici storica soglia dei 5 milioni di copie; drastico il ridimensionamento dei ricavi pubblicitari, che ha toccato il record negativo del -16,4% a fine anno4; coerente ma non meno duro per gli attori operanti nel settore è infine il tracollo dei ricavi complessivi, che in un decennio sono scesi del 20%5. Tale contrazione viene confermata anche dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (d’ora in avanti, AGCOM) che nell’analisi quasi censuaria del comparto, finalizzata all’individuazione dei mercati rilevanti nell’ambito del Sistema integrato delle comunicazioni6, valuta in circa 8,8 miliardi di euro nel 2008 i ricavi di editoria quotidiana, periodica, agenzie di stampa a carattere nazionale, editoria elettronica e annuaristica, contro i 9 miliardi stimati nel 2007 (-2,7% per il comparto editoriale complessivo, considerando che l’editoria elettronica si attesta a un +18,5%). Un quadro, questo, che ha mostrato come la razionalizzazione e i tagli nei costi – di stampa, soprattutto, ma anche di personale – siano ad oggi l’unica strategia per la sopravvivenza delle imprese editoriali, operanti in un mercato sempre più frammentato per l’approvvigionamento di informazione, grazie a un’aumentata disponibilità di scelte per i fruitori/lettori7, che permette anche di distinguere maggiormente tra notizie di approfondimento e notizie di interesse generale/breaking news, sempre più percepite come commodity8. Seppur sfavorita dalle ben note criticità nazionali – quali la bassa penetrazione dei giornali presso la popolazione italiana, la rete distributiva inefficiente e lo sbilanciamento del mercato pubblicitario a favore del mezzo televisivo – la crisi del settore in Italia si colloca in un contesto internazionale che vede moltissimi Paesi accomunati dalla stessa sorte: outsourcing della produzione di contenuti9, disintegrazione verticale della filiera produzione-edizione-stampa, razionalizzazione e concentrazione dei centri di produzione e difficile convivenza tra testate cartacee e web, alla ricerca spasmodica di modelli di business capaci di valorizzare i contenuti diffusi on-line allo stesso tempo difendendo la proprietà intellettuale10. A queste tendenze si aggiunge la diffusione di modelli di giornalismo basati sul crowdsourcing, certamente non ancora capaci di competere con l’editoria tradizionale ad based ma in significativa crescita per diffusione e autorevolezza, come il caso ProPublica.com, insignito dal Premio Pulitzer in Investigative Reporting a febbraio 2010, mostra. Si sottolinea infine come il settore, seppur tendenzialmente caratterizzato da indicatori negativi (lettura, diffusione, numero addetti tra giornalisti e poligrafici), goda di un significativo e positivo sviluppo nei paesi non-Ocse, tale per cui il numero globale delle testate quotidiane è continuato a crescere anche in questo periodo di crisi, quasi raddoppiando rispetto al 200011.

4 Dati Federazione Concessionarie Pubblicità (d’ora in avanti, FCP). 5 Dati Federazione Italiana Editori di Giornali (d’ora in avanti, FIEG). 6 Cfr. Allegato A alla Delibera N. 555/10/CONS recante “Procedimento per l’individuazione dei mercati rilevanti nell’ambito del Sistema integrato delle comunicazioni”, Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15/11/2010. 7 Non tanto dovuta all’aumento del numero di testate (se si escludono quelle free press per i quotidiani), quanto alla diffusione di nuove fonti, più o meno professionalizzate, comunque disponibili su differenti device, in primis tramite Internet. 8 Cfr. PricewaterhouseCoopers (2010). Global Entertainment & Media Outlook 2010-2014, 15 June 2010. 9 Con inevitabili cambiamenti per la professione del giornalista, come dimostrano i continui interventi in materia, quali la ridefinizione del nuovo Contratto nazionale di lavoro giornalistico, definito dopo l’intesa siglata il 26 marzo 2009 tra Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) e FIEG, o il Decreto del Ministero del lavoro 8 ottobre 2009, n.47385, recante “Semplificazione delle procedure amministrative e riordino dei criteri per l’accesso al trattamento di integrazione salariale in favore dei lavoratori dipendenti di aziende appartenenti al settore dell’editoria”. 10 Cfr. Osservatorio Tecnico per i quotidiani e le agenzie di informazione “Carlo Lombardi”, Rapporto 2010 sull’industria italiana dei quotidiani. A tal proposito, si ricorda che la FIEG a giugno 2009 si era rivolta all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato chiedendo la valutazione dell’eventuale abuso di posizione dominante del motore di ricerca Google rispetto al servizio Google News (eventuale discriminazione nella search tradizionale se non aderenti al servizio) e rispetto al servizio AdSense (di cui si richiedeva maggior trasparenza nelle tariffe). 11 Cfr. OCSE (2010). The evolution of news and the Internet, DSTI/ICCP/IE(2009)14/FINAL. 11 giugno.

Quotidiani e periodici 81 2. La stampa quotidiana e periodica in Italia: analisi dei principali indicatori

2.1 Tiratura, diffusione e vendita Quotidiani Gli indicatori relativi all’evoluzione della distribuzione delle copie cartacee dei giornali quotidiani italiani sono il primo segnale dell’andamento negativo del settore. Secondo i dati Ads (Accertamenti Diffusione Stampa, Tab. 1), la tiratura12 è scesa del 6,4%, su 65 testate considerate. Il dato relativo alla diffusione13 conferma il trend negativo, attestandosi a 6.254.467 copie (-6,6%), mentre le vendite14 risultano ancora più penalizzate, con un decremento del 7% rispetto al 2008. Tabella 1 - ADS: Tiratura, diffusione e vendita quotidiani, 2005-2009* 2005 2006 2007 2008 2009 ∆% 09-08 ∆% 09-05 Tiratura 8.910.045 9.266.232 9.278.070 9.053.245 8.466.674 -6,48% -4,98% Diffusione 6.507.581 6.774.847 6.844.908 6.695.909 6.254.467 -6,59% -3,89% Vendita 5.632.191 5.695.715 5.563.256 5.353.961 4.978.547 -7,01% -11,61% Note: (*) Media mobile 12 mesi. N. testate certificate non omogeneo nel corso degli anni. Fonte: elaborazione Iem su dati Ads.

Figura 1 - Composizione tiratura giornali quotidiani, 2009

Abbonamenti paganti 5,7% Vendite in blocco Vendita 0,7% 59,0% Gratuita (Abbonamenti gratuiti, Omaggi, Coupons) 7,2%

Resa (Italia + Diffusione Media Estero) Estero (Pag.+ 25,9% Grat.) 1,5%

Fonte: elaborazione Iem su dati Ads.

12 Si intende il totale delle copie stampate, esclusi gli scarti di macchina. cfr. www.adsnotizie.it/glossario/ index.php 13 Si intende il totale delle copie diffuse in Italia ed all’estero così ripartite: diffusione pagata (vendita edicole, abbonamenti a pagamento); vendite in blocco; abbonamenti da quota associativa; diffusione gratuita (coupons gra- tuiti, abbonamenti gratuiti, omaggi). ibidem. 14 Si intende il totale delle copie vendute.

82 Quotidiani e periodici La composizione delle copie stampate, risulta dunque composta come mostra la Fig. 1: la resa dei quotidiani rappresenta nel 2009 il 25,9% della tiratura complessiva. Il rapporto rese su distribuzione è stato invece del 35%. L’analisi FIEG sull’evoluzione della tiratura e delle vendite dei quotidiani in Italia, effettuata sulle aziende aderenti15, mostra anch’essa una flessione per entrambi gli indicatori, -5,9% per tiratura e vendite nel 2009 rispetto al 2008. Negli ultimi 5 anni, ad eccezione di una timida ripresa nel 2006 (+1,1%), la rilevazione mostra, su un numero di aziende non omogeneo, una drastica diminuzione, pari al -9,12% per le copie stampate e addirittura al -11,35% per le copie vendute. Tabella 2 - FIEG: Tiratura e vendita dei quotidiani, 2005-2009* 2005 2006 2007 2008 2009 ∆% 09-08 ∆% 09-05 Tiratura** 7.823.333 7.960.559 7.805.914 7.555.256 7.109.496 -5,90% -9,12% Vendita** 5.461.811 5.510.325 5.399.837 5.145.647 4.842.054 -5,90% -11,35% Note: (*) media giornaliera; (**) numero di testate 2009: 57; 2008=58; 2007 e 2006 = 54; 2005= 59. Fonte: elaborazione Iem su dati FIEG. Un discorso a parte, relativamente agli indicatori fin qui presentati, merita il segmento della free press. Il 2009 non è stato infatti un anno felice per le testate distribuite gratuitamente nel nostro Paese: né dal punto di vista degli investimenti pubblicitari (-26,6% tra il 2009 e il 2008) né rispetto alla stabilità delle società editrici (con problemi di gestione ordinaria e di raccolta pubblicitaria per quasi tutte le testate). In Italia il settore è sostanzialmente composto dalle testate , City, DNews, EPolis e Metro, diffuse in alcune delle maggiori città italiane, e da poche altre testate a tiratura locale, per un totale di circa 3,5 milioni di copie distribuite per circa 270 giorni l’anno16, leggermente in calo rispetto al 2008 quando il Rapporto “Osservatorio Lombardi” ne stimava circa 4 milioni di copie.

Periodici

Gli indicatori relativi alle vendite, alla tiratura e alla diffusione del segmento della stampa periodica sono anch’essi significativamente in flessione nel 2009, come quelli dei quotidiani, mostrando dunque un periodo di recessione condiviso da tutti i mezzi editoriali a stampa. Rispetto all’altro comparto editoriale, quello dei periodici mostra da un lato una riduzione delle vendite drastica per i settimanali nel triennio 2007-2009 (-10,15%) e davvero significativa per i mensili (-33,14%), dall’altro una certa razionalizzazione, poiché sebbene la tiratura non sia scesa come le vendite, piuttosto significativi sembrano gli sforzi di ottimizzazione in questo senso, come mostra la riduzione del 26% nel triennio da parte dei mensili. I settimanali, nel 2009, hanno avuto un calo diffusionale dell’1,9%; i mensili hanno sofferto molto di più, riducendo il numero delle copie diffuse del -3,9% rispetto al 2008. Il quadro complessivo indica dunque una contrazione per il mercato dei periodici nel suo complesso, considerando il numero delle testate edite e la diffusione delle stesse: laddove nel 2000 le 55 testate settimanali oggetto delle rilevazioni Ads diffondevano quasi 15 milioni di copie, nel 2009, le rilevazioni estese a 62 testate indicano una diffusione media molto inferiore ai 13 milioni; per i mensili, se nel 2000 la diffusione delle testate Ads (129) era di 15 milioni di copie, nel 2009 sono state rilevate 131 testate diffuse in 14,2 milioni copie.

15 Con dati forniti dalle imprese associate. 16 Secondo i dati diffusi dagli editori, essendo una sola testata, EPolis, certificata ADS.

Quotidiani e periodici 83 Tabella 3 - Tiratura, diffusione e vendita dei periodici, 2007-2009 2009 2008 2007 ∆ % 09-08 ∆ % 09-07 Settimanali Tiratura 16.573.140 17.843.417 18.346.526 -7,12% -9,67% Diffusione 12.350.040 12.599.736 13.684.164 -1,98% -9,75% Vendita 9.953.470 10.186.984 11.078.393 -2,29% -10,15% Mensili Tiratura 20.154.730 25.571.857 27.269.639 -21,18% -26,09% Diffusione 14.194.368 14.771.047 16.064.005 -3,90% -11,64% Vendita 9.165.239 9.475.336 13.708.048 -3,27% -33,14% Note: (*) Media mobile 12 mesi. N. testate certificate non omogeneo nel corso degli anni. Fonte: elaborazione Iem su dati Ads.

2.2 La lettura

Quotidiani

Rispetto alla lettura, a partire dalla rilevazione Autunno 2009, spinta dalla necessità di adeguare l’analisi di questo importante indicatore sia alla quantità che alla qualità dei contatti con i giornali da parte dei lettori, tenendo conto anche dello shifting della domanda verso le testate on-line, la società Audipress ha deciso di dotarsi di una nuova architettura di indagine. Tra le novità introdotte – tali da non permettere un confronto con gli anni precedenti - c’è l’allungamento del periodo di rilevazione (a circa 10 mesi), la frequenza di uscita dei dati (quadrimestrali) e la rilevazione della duplicazione tra la lettura su supporto cartaceo e la visita del sito web solo per la testata dichiarata. Per l’indagine quotidiani, la dimensione campionaria annua è diventata di 33.000 interviste base, per l’indagine periodici è di 21.000 interviste base. Proprio per evitare la diffusione di dati non corrispondenti al reale avvicinamento degli utenti al prodotto editoriale, inteso sia nella sua versione cartacea che nelle edizioni on-line, la società Audipress ha deciso di non pubblicare i dati relativi all’andamento della lettura dei giornali dal secondo semestre 2008 né dei primi tre trimestri del 2009, mentre l’edizione 2010/I deriva dalla cumulazione dei campioni rilevati nell’Autunno 2009 (21 settembre - 20 dicembre 2009) e nel 1° ciclo 2010 (11 gennaio - 28 marzo 2010). Tabella 4 - Lettura dei quotidiani, 2010* 2003 2004 2005 2006 2007 2008 (I) 2010 (I)** Lettori medi giornalieri 20.439 20.534 21.410 22.494 22.798 23.278 24.108 - Uomini 12.458 12.450 12.965 13.440 13.651 13.940 // - Donne 7.981 8.084 8.445 9.055 9.147 9.337 // Penetrazione 40,79 41,29 42,64 44,3 44,66 45,3 46,2 Note: (*) Lettori nel giorno medio; adulti 14 anni e più; valori in migliaia.(**) Dati non confrontabili con quelli precedenti. Fonte: elaborazione Iem su dati Audipress. Il dato complessivo, tuttavia, nei limiti di non comparabilità sopra riportati, indica che i lettori dei quotidiani nel giorno medio sono comunque aumentati nel decennio, passando ad oltre 24 milioni, il 46% della popolazione. Nel complesso, confrontando anche i dati di Audipress con quelli di Audiweb, l’indagine che misura le audience online e fornisce informazioni quali- quantitative sulla fruizione dei mezzi operanti su internet, si ricava che ogni giorno dai tre ai quattro milioni di utenti internet, pari a circa il 36% del totale, accedono ai siti internet dei giornali quotidiani.

84 Quotidiani e periodici Tabella 5 - Lettura dei quotidiani, testata cartacea e web, 2010* Di cui anche Visitatori Sito Web Lettori in un Giorno Medio Testata Corrispondente (Valori Assoluti per 1.000) (Valori Assoluti per 1.000)

Totale Uomini Donne Resp. Acq. Totale Uomini Donne Popolazione 52.179 25.107 27.072 24.641 Totale Lettori dei Quotidiani 24.108 14.232 9.876 9.695 3.076 Totale Letture 40.553 25.610 14.945 15.146 4.716 3.438 1.278 Note: (*) Lettori nel giorno medio; adulti 14 anni e più; valori in migliaia. Fonte: elaborazione Iem su dati Audipress.

Tale lettura sull’importanza dell’informazione ottenuta tramite giornali ma anche tramite il web viene confermata anche dall’indagine svolta dalla società Gfk Eurisko su incarico dell’AGCOM17, a marzo 2010, da cui emerge che sebbene la televisione sia il mezzo più utilizzato dalla popolazione italiana attiva per l’informazione (l’89,1% della popolazione che si informa lo fa tramite il mezzo televisivo, per i fatti internazionali nell’86% dei casi e per quelli nazionali nel 90% dei casi), i giornali quotidiani sono il mezzo scelto per informarsi dal 61,6% della popolazione attiva, ricoprendo questi ancora un ruolo particolare per l’informazione sui fatti locali. Segue quindi Internet che, viceversa, tende ad essere utilizzato soprattutto per l’approvvigionamento di informazione su fatti internazionali (20% della popolazione attiva), e solo dopo viene la radio.

Periodici

Quanto premesso sui dati Audipress per il segmento dei quotidiani vale, dal punto di vista metodologico, anche per il comparto dei periodici. Vale la pena sottolineare però, come si può comprendere intuitivamente, che l’impatto del digitale abbia influito in misura diversa su tale prodotto editoriale (cfr. Tab. 7) , per la tipologia e frequenza dell’informazione fornita da quest’ultimo. I dati Audipress indicano comunque che, nel 2010, al primo semestre, c’è stata una sostanziale tenuta, rispetto agli ultimi anni di rilevazione, dei livelli di lettura per i periodici, come mostra la penetrazione nella popolazione, anche se si sottolinea nuovamente che il campione rilevato nel corso degli anni non è confrontabile. Tabella 6 - Lettura dei periodici, 2010* 2005 2006 2007 2008 I 2010 I** Lettori di settimanali 25.409 23.930 24.019 23.634 23.723 - Uomini 10.634 9.571 9.514 9.420 9.230 - Donne 14.775 14.358 14.505 14.214 14.493 Penetrazione (%) 50,6 47,13 47,05 46,0 45,0 Lettori di mensili 24.014 22.462 21.537 21.554 21.957 - Uomini 11.720 10.958 10.428 10.700 10.697 - Donne 12.294 11.503 11.109 10.854 11.260 Penetrazione (%) 47,83 44,24 42,19 41,9 42,0 Totale lettori periodici 34.207 32.689 32.483 32.352 32.763 - Uomini 15.650 14.691 14.471 14.586 14.592 - Donne 18.557 17.999 18.012 17.766 18.171 Penetrazione (%) 68,13 64,38 63,63 62,9 62,9 Note: (*) Lettori numero medio; adulti 14 anni e più; valori in migliaia.(**) Dati non confrontabili con quelli precedenti. Fonte: elaborazione Iem su dati Audipress.

17 Cfr. Allegato B alla Delibera N. 555/10/CONS, cit.

Quotidiani e periodici 85 Dal punto di vista del genere, la popolazione femminile si conferma come target di riferimento prevalente dei periodici, sia nei settimanali che nei mensili. Tabella 7 - Lettura dei periodici, 2010* di cui anche visitatori sito web Lettori nell’ultimo Periodo testata corrispondente

(Valori Assoluti Per 1.000) (Valori Assoluti Per 1.000) Totale Uomini Donne Resp. Acq. Totale Uomini Donne Popolazione 52.179 25.107 27.072 24.641 Totale Lettori dei Settimanali 23.723 9.230 14.493 12.188 729 Totale Letture 46.799 16.074 30.724 24.958 916 656 262 Totale Lettori dei Mensili 21.957 10.697 11.260 9.740 1.772 Totale Letture 51.441 24.162 27.277 23.083 2.773 2.016 762 Totale Lettori dei Periodici 32.763 14.592 18.171 15.681 2.260 242 Note: (*) Lettori numero medio; adulti 14 anni e più; valori in migliaia.(**) Dati non confrontabili con quelli precedenti. Fonte: elaborazione Iem su dati Audipress.

3. Le aziende editoriali: fonti di ricavo e redditività

3.1 Quotidiani

Se nel 2000 i ricavi pubblicitari rappresentavano il 58% del fatturato editoriale dei quotidiani, a nove anni di distanza tale incidenza è scesa al 41,8%, quasi pari al 2004, spinta al ribasso dalla crisi del mercato pubblicitario (e da quella economica, in generale). La Fig. 2 mostra l’andamento discontinuo del rapporto tra ricavi da pubblicità e ricavi totali da vendite (comprensivi anche delle vendite di prodotti collaterali) nell’editoria quotidiana italiana, sull’insieme delle società editoriali aderenti alla FIEG. Tale andamento discontinuo rende manifesta la necessità per le case editrici di poter correttamente valutare sia la vendita di spazi pubblicitari sia quelle delle copie, principali fonti di ricavo per il modello editoriale ad based, non essendo ad oggi risultato vincente nessun modello editoriale che prescinda da una di queste due componenti di reddito (il recente declino, a livello europeo18, della free press è emblematico, in questo senso). Se la domanda di informazione è sempre più imprevedibile e mutevole (sia per motivi strutturali19 sia per le diverse abitudini di consumo delle nuove generazioni di lettori), le manovre sugli spazi pubblicitari (aumento foliazione, aumento spazi, aumento/diminuzione dei prezzi degli stessi) diventano la leva fondamentale su cui si gioca il risultato aziendale: per questo motivo, in un decennio, il prezzo di vendita medio di un modulo di pubblicità sui quotidiani è passato da 42,29 € nel 2000 a 21,05 € (a prezzi 2009) nel 200920. Nel 2009 il risultato dell’abbassamento delle vendite e del ridimensionamento degli investimenti pubblicitari ha portato a una riduzione del fatturato decisamente significativa: dai 3,35 miliardi di euro nel 2008 si è passati ai 3,05 miliardi del 2009. Oltre al drastico ridimensionamento del prezzo di vendita pubblicitario e alla diminuzione delle vendite per copia, la vendita di prodotti collaterali, che negli anni passati ha rappresentato una quota significativa dei ricavi aziendali (anche il 15%, ad esempio nel 2006), ha mostrato saturazione (-23,3% nel 2007 e -42,9% nel 2008, pari al 10,3% dei ricavi totali; non sono disponibili dati per il 2009).

18 Cfr. paragrafo “Il confronto internazionale”. 19 Perché le vendite in abbonamento sono una percentuale bassissima del totale, pari circa al 9% del venduto. 20 Fonte: elaborazione Asig Service su dati Osservatorio Stampa Fcp.

86 Quotidiani e periodici Figura 2 - Ricavi editoria quotidiana: rapporto vendite/pubblicità, 2000-2009

58,88% Ricavi da vendite e abbonamenti 56,94% Ricavi pubblicitari 58,02%

54,25% 56,06% 53,74% 53,78% 52,66%

51,05% 51,28%

49,28% 49,20%

47,34% 46,26% 46,56% 43,94% 45,75%

41,98% 43,06%

41,12% 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione Iem su dati FIEG. Venendo invece all’andamento degli investimenti pubblicitari (1.510 milioni nel 2009, -16,8% sul 2008 a prezzi correnti, cioè -17,4% a prezzi 2009), la Tab. 8 non solo mostra il trend negativo dell’indicatore (a prezzi correnti, -9,9% a prezzi 2008), ma sottolinea anche come alcune tipologie siano in flessione molto marcata (è il caso della pubblicità commerciale nazionale, esattamente come nel 2008, scesa del -17,8%!). Come sopra riportato, il caso della free press è emblematico: ben -26,6% tra il 2009 e il 2008. Tabella 8 - Investimenti pubblicitari* su quotidiani, 2005-2009 ∆ % ∆ % 2005 2006 2007 2008 2009 09-08 09-05 Quotidiani (totale) 1.741.746 1.747.620 1.901.359 1.816.448 1.510.912 -16,8% -13,3% Quotidiani a pagamento (totale) 1.713.705 1.716.413 1.773.073 1.676.234 1.407.988 -16,0% -17,8% Commerciale Nazionale 923.686 947.956 972.438 868.350 714.007 -17,8% -22,7% Locale 451.673 443.254 465.861 482.019 416.374 -13,6% -7,8% Rubricata + di Servizio 338.346 325.203 334.774 325.865 277.607 -14,8% -18,0% Quotidiani Free Pay Press** 28.041 31.207 128.286 140.214 102.924 -26,6% (totale) Commerciale Nazionale 28.041 30.163 95.597 103.705 73.998 -28,6% 163,9% Locale 0 0 28.900 33.913 27.280 -19,6% Rubricata + di Servizio 0 1.044 3.789 2.596 1.646 -36,6% Note: dati in migliaia di euro; (*) a prezzi correnti; (**) non viene fornito il percentuale della free press per i diversi universi di rilevazione nel corso degli anni (dal 2003 al 2006 rilevate solo City/Metro/Leggo nell’edizione di Milano; da gennaio 2007 tutte le edizioni di City/Metro/Leggo/24 Minuti; EPolis da maggio 2007). Fonte: elaborazione Iem su dati Nielsen AdEx. Secondo i dati FCP-Assoquotidiani21, inoltre, nel 2009 sono aumentati del 15,7% gli spazi di pubblicità commerciale nazionale venduti sui quotidiani a pagamento (stabile la vendita totale), a fronte di una flessione dei ricavi derivanti da tale vendita del 16,4%: tale dato indica proprio che, nel tentativo di mantenere i clienti ed attrarne di nuovi, la cessione degli spazi pubblicitari sui quotidiani ha patito una politica tariffaria significativamente rivolta al ribasso, come il prezzo medio per modulo pubblicitario sceso di oltre il 50% in dieci anni ci mostra. I prezzi di vendita degli spazi pubblicitari in un solo anno sono diminuiti in media del 18%.

21 FCP raggruppa le Aziende, sia Concessionarie che Gestori Diretti, che operano nel settore della vendita di spazi pubblicitari.

Quotidiani e periodici 87 Nel 2009 il margine operativo lordo aggregato - risultato della differenza tra ricavi e costi industriali -delle aziende FIEG è infatti drasticamente sceso (-89,7%, stimato a 16,2 milioni di euro), da cui si deduce la critica situazione complessiva delle imprese considerate. La situazione è diventata davvero drammatica per la gestione caratteristica, e non solo per quella straordinaria: le aziende considerate dallo studio FIEG mostrano un rapporto tra mol e fatturato addirittura dello 0,5%. Rispetto ai costi, incrementati nell’ultimo triennio a ritmi crescenti (+1,1% nel 2005, +3,1% nel 2006, +6,1% nel 2007), il 2008 rappresenta il primo vero drastico ridimensionamento degli stessi (-6,9%), seguito da un 2009 in linea (-5%). Tabella 9 - Editoria quotidiana - Ricavi e costi operativi, 2005-2009 2005 2006 2007 2008 2009* ∆% 09-08 ∆% 09-05 Ricavi editoriali 3.462.402 3.556.655 3.507.632 3.348.300 3.046.953 -9,00% -12,00% Costi operativi 3.174.984 3.273.251 3.246.065 3.190.205 3.030.695 -5,00% -4,54% Mol 287.418 283.404 261.567 158.095 16.258 -89,72% -94,34% Mol/fatturato 8,30% 7,97% 7,46% 4,72% 0,53% -88,70% -93,57% Note: dati in migliaia di euro su un campione di 66 testate quotidiane; (*) stima. Fonte: elaborazione Iem su dati FIEG.

3.2 Periodici

I 3.359 milioni di € che rappresentano i ricavi (vendite + pubblicità) del settore editoriale periodico indicano, anche in questo caso, una flessione molto significativa rispetto all’anno precedente (-14%) corrispondente nello specifico a un -29,5% per la pubblicità e a un -9% per la vendita delle copie. Tabella 10 - Periodici: evoluzione dei ricavi editoriali, 2003-2009* Anno Pubblicità ∆% YoY Vendite ∆% YoY Totale ∆% YoY 2003 964.422 - 3.214.740 - 4.179.162 - 2004 968.254 0,4% 3.260.114 1,4% 4.228.368 1,2% 2005 1.004.611 3,8% 3.117.207 -4,4% 4.121.818 -2,5% 2006 1.056.695 5,2% 3.077.303 -1,3% 4.133.998 0,3% 2007 1.083.188 2,5% 3.015.757 -2,0% 4.098.945 -0,8% 2008 1.024.006 -5,5% 2.898.539 -3,9% 3.912.092 -4,6% 2009** 721.924 -29,5% 2.637.670 -9,0% 3.359.594 -14,1% Note: dati in migliaia di euro; (**) stima. Fonte: elaborazioni Iem su dati Osservatorio Fcp-Fieg e Tradelab. La Fig. 3 mostra come, nel corso degli ultimi 9 anni, il rapporto tra vendite e ricavi pubblicitari sia stato, nel comparto dei mensili e dei settimanali, molto più costante rispetto a quello manifestato dai giornali quotidiani, ma evidenzia anche come la crisi del mercato pubblicitario ancora in corso abbia ancorato nel 2009 i ricavi del comparto alla vendita di copie (con tentativi di aumento delle vendite e del prezzo di copertina), per il 78,5% dei ricavi totali. Coerentemente con l’andamento economico generale, negli anni 2003-2007 gli investimenti pubblicitari nel settore erano aumentati (Tab. 10), in qualche modo arginando la diminuzione dei ricavi da vendita, ma nel 2008 si nota la prima significativa flessione nel quinquennio, che porterà a un -28,7% gli investimenti sul comparto nel 2009. Tabella 11 - Evoluzione investimenti pubblicitari netti, 2005-2009 2005 2006 2007 2008 2009 ∆% 09-08 ∆% 09-05 Periodici 1.222.562 1.296.024 1.328.475 1.231.481 877.572 -28,74% -28,22% Fonte: elaborazione Iem su dati Nielsen AdEx.

88 Quotidiani e periodici Tra le due macro-tipologie di periodici, si evidenzia come nel 2009 siano stati i mensili a soffrire maggiormente: in controtendenza rispetto al passato, i ricavi da pubblicità per i mensili sono scesi del -32,3% rispetto a una cessione spazi del -25,8%, mentre i settimanali hanno perso il -27,5% dei ricavi a fronte della diminuzione del -15,1% degli spazi. Figura 3 - Ricavi editoria periodica: rapporto vendite/pubblicità, 2000-2009

78,51% 75,44% 77,22% 75,63% 72,51% 74,44% 73,57% 73,70% 65,90% 65,82%

34,10% 34,18% 27,49% 24,56% 24,37% 25,56% 26,43% 26,30% 22,78% 21,49%

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Ricavi complessivi da vendita Ricavi pubblicitari

Note: stima FIEG per il 2009. Fonte: elaborazione Iem su dati FIEG.

4. Il confronto internazionale

L’analisi comparata degli indicatori relativi al settore editoriale, sempre ricordando i limiti di una comparazione fondata su metodologie di rilevazione non omogenee, mostra che l’andamento negativo riscontrato in Italia è confermato in molti Paesi europei, e non solo. Ad esempio la free press, il cui calo diffusionale nel Paese è stato sopra ricordato, scende significativamente anche nel resto d’Europa22, dove la diffusione (stimata) è infatti scesa del -19% nel 2009, passando da 26,2 a 21,3 milioni di copie, con un calo complessivo anche dei titoli, essendo sceso il numero di testate censite a 82 nel 2010, in 29 Paesi europei, contro le 115 attive in 32 Paesi nel 2008. Anche i dati (aggiornati al 2008) relativi alla diffusione nei paesi analizzati dalla World Association of Newspapers confermano il sostanziale calo: nel 2008 solo il Lussemburgo, dove è scoppiato il fenomeno della free press (+72,8% in totale), il Portogallo (+2,4% sempre trainato dalla free) e Austria (+6,4%, significativamente spinto dal gratuito) hanno mostrato incrementi (Tab. 13). Diverso appare il caso della stampa a pagamento, in calo ovunque. Costante rimane la differenza tra Italia e resto dei Paesi europei per il rapporto tra vendita di copie in abbonamento e vendita in edicola. Il fatto che gli abbonamenti siano relegati in una posizione del tutto marginale costituisce nel Paese uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo del mercato. Tabella 12 - Quotidiani: diffusione media gionaliera nei paesi europei, 2006-2008 Paesi A pagamento Gratuiti Totale ∆% 08-07 2006 2007 2008 2006 2007 2008 2006 2007 2008 Lussemburgo* 304,8 304,8 297 0 53,5 322,3 304,8 358,3 619,3 72,8% Svezia 466,2 449 436,4 158,8 152,5 138,7 625 601,5 575,1 -4,4% Norvegia 601,2 580,3 570,6 0 0 601,2 580,3 570,6 -1,7% Finlandia 514,7 491 482,8 46,3 45,7 37,9 561 536,7 520,7 -3,0%

22 Cfr. le newsletter mensili di www.newspaperinnovation.com.

Quotidiani e periodici 89 Danimarca 287,3 279,8 262,6 478,8 367,5 222,4 766,1 647,3 485 -25,1% Austria 340,7 344,8 331,7 95,2 83,4 124,1 435,9 428,2 455,8 6,4% Olanda 287 267,9 270,1 70,3 129,5 124,1 357,3 397,4 394,2 -0,8% Regno Unito* 335,4 308 307,3 49,9 50,5 51,4 385,3 358,5 358,7 0,1% Germania 297,9 290,5 283,1 2,3 1,7 300,2 292,2 283,1 -3,1% Irlanda 245,2 236,1 236,3 50,6 46,5 41,4 295,8 282,6 277,7 -1,7% Spagna 109,8 109,5 106,4 132,5 120,2 108,2 242,3 229,7 214,6 -6,6% Usa 241,2 212,6 200,3 18,2 13,1 11,5 259,4 225,7 211,8 -6,2% Francia 155,8 153,9 152 42,9 51,6 53,8 198,7 205,6 205,8 0,1% Belgio* 163,4 161,3 160,9 25,9 28,2 29 189,3 189 189,9 0,5% Italia* 116 112,4 86 77,8 81 85,6 193,8 193,4 171,6 -11,3% Ungheria 144,6 135,2 133 32,3 34,4 32,5 176,9 169,6 165,5 -2,4% Portogallo 74,7 74,7 67,1 39,2 62,7 73,6 113,9 137,4 140,7 2,4% Polonia 138,9 123,3 114,5 39,9 15,7 15,4 178,8 139 129,9 -6,5% Nota: diffusione per 1.000 abitanti adulti (16 anni ed oltre tranne alcune eccezioni, segnalate con *). Fonte: elaborazione IEM si dati FIEG/WAN. In quei Paesi dove gli abbonamenti rappresentano il veicolo di diffusione largamente prevalente (Nord Europa in primis) la stampa gode del grande vantaggio di una domanda maggiormente conosciuta nelle sue dimensioni, tale da consentire una programmazione della produzione meno esposta alle oscillazioni (Tab. 13 e 14). Tabella 13 - Quotidiani: canali distributivi Tabella 14 - Periodici: canali distributivi nei nei principali paesi, 2008 principali paesi, 2008 Paesi Abbonamento Edicola Paesi Abbonamento Edicola Olanda 90 8 Finlandia 95 5 Finlandia 88 12 Svezia 90 10 Danimarca 84 16 Usa 87 13 Norvegia 78 22 Danimarca 85 15 Svezia 76 19 Austria (2006) 68 32 Lussemburgo 70 10 Ungheria 60 40 Austria 67 12 Olanda 58 42 Germania 65 35 Germania 49 51 Ungheria 65 33 Francia 36 64 Belgio 49 51 Italia 36 64 Francia 31 69 Norvegia 30 70 Spagna 23 72 Spagna 8 92 Polonia 19 79 Fonte: elaborazione IEM si dati FIEG/WAN. Irlanda 9 91 Italia 9 91 Fonte: elaborazione IEM si dati FIEG/WAN. La crisi è comunque fortemente sentita all’estero, tanto da apparire come un fenomeno di natura non transitoria23. Il caso statunitense può sempre essere guardato e analizzato nei suoi aspetti generali per intravedere possibili evoluzioni del mercato in Europa, ed emblematico appare l’indicatore degli investimenti pubblicitari sui quotidiani (Fig. 5), dove ormai la crisi si sente non solo sulla carta stampata ma anche sull’on-line (-11,8% tra 2009 e 2008).

23 La spesa totale sui consumer magazines è scesa del -10,6% nel 2009, secondo le stime Pricewaterhouse- Coopers. Cfr. PricewaterhouseCoopers (2010), op. cit.

90 Quotidiani e periodici Figura 4 - USA: Investimenti pubblicitari su quotidiani 2000-2009

60.000 40% 31,48% 31,46% 26,70% 30% 50.000 3.166 20%

2.027 18,80% 2.664 1.541 1.216

40.000 3.109 5,10% 3,90% 10% 1,90% 1,51% -0,50% -1,68% -1,80% 30.000 2.743 0% -9,00% -9,40% -11,80% -10% 20.000 -17,70% -20% -28,60% 10.000 -30% 44.102 44.939 42.209 24.821 47.408 48.670 44.305 46.703 46.611 34.740 0 -40% 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Print TOT On-line TOT % YoY print % YoY on-line

Note: dati in milioni di US$. Fonte: elaborazione IEM su dati NAA.

Figura 5 - Circolazione quotidiani e n° di testate edite - USA 2000-2009

Migl. copie N. testate 65.000 2000 1878 1772 1763 1748 1745 1800 1611 60.000 1600 1480 1468 1457 1457 1456 1452 1437 1422 1408 62202 62108 1387 1400 62328

55.000 58882 1200

1000 55773 55578 55186 55185 54626 53829

50.000 53345 800 52329 600 50742 48597

45.000 41132 400

200 45653 40.000 0 1940 1960 1980 2000 2002 2004 2006 2008

Nota: * esclusi i domenicali. Fonte: elaborazione IEM su Editor and Publisher International Yearbook.

Quotidiani e periodici 91 Anche la circolazione dei quotidiani nel Paese, inoltre, mostra un drastico ridimensionamento a partire dagli anni ‘90 e, tra i primi 25 quotidiani americani, solo il Wall Street Journal ha fatto registrare una sostanziale tenuta (-0,7%) della diffusione a fine anno, mentre altre storiche testate hanno pagato maggiormente lo shifting delle abitudini di consumo di informazione verso altri mezzi a contenuto editoriale (tv via cavo e Internet in primis), portando a un calo complessivo del -6,1% sul 2008. Nonostante il numero complessivo delle testate di cui viene calcolata la diffusione a fine dicembre 2009 risulti (Fig. 5) quasi in linea con l’andamento in leggero calo tipico dell’ultimo decennio, drammatici sono i numeri che riguardano l’uscita dal mercato delle testate cartacee nel Paese: - 21 testate dal 2008 al 2009 secondo i dati Editor and Publisher, 143 risultano invece le testate cartacee chiuse nel 2009 da un censimento del blog newspaperlayoffs.com (delle quali 13 hanno sostituito la carta con una versione esclusivamente on-line), mentre 40 sono quelle chiuse nel 2010. Anche il Regno Unito sta soffrendo lo stesso cambiamento, soprattutto per i giornali a diffusione locale, e la circolazione totale dei quotidiani a pagamento è scesa di circa il 2,2% nel 2009 (a marzo 2010, secondo i dati ABC sono crollati del -10% il Daily Telegraph e The Independent, del -16% The Times e The Guardian, mentre ha retto il Financial Times con - 6,4%).

92 Quotidiani e periodici Directory

93 diDirectory Luca Murrau

1. Il mercato italiano

Il mercato italiano delle directory nel 2010 ha dovuto fronteggiare gli effetti negativi della crisi finanziaria, che ha portato ad una riduzione dei ricavi. A fronte della crisi, le grandi directory italiane ha ricercato nuove forme di integrazione strategica delle proprie attività, volte a creare nuove sinergie. Il principale gruppo italiano delle directory, Seat Pagine Gialle, ha cercato di contenere gli effetti della crisi economica sul fatturato attraverso la crescita dei ricavi provenienti dalle attività basate su internet, ricercando un aumento del tasso di penetrazione della base clienti on line esistenti e del numero di nuovi clienti acquisiti. In particolar modo, tale strategia è stata sostenuta dal lancio di nuovi prodotti e servizi di marketing on line e attraverso la vendita di pacchetti multimediali. Al tempo stesso, il gruppo ha intrapreso azioni strutturali di riduzione dei costi operativi, basate sul contenimento delle spese correnti e sul ridisegno dei principali processi operativi. Il difficile scenario economico, che ha avuto ripercussioni negative sul mercato pubblicitario tradizionale – segnato da andamenti in contrazione anche nel corso del 2009 -, ha tuttavia consentito la forte espansione della pubblicità e dei servizi online, comportando nuove modalità di ricerca delle informazioni da parte degli utenti nonché impiego di nuovi strumenti. Conseguentemente Seat Pagine Gialle, nella seconda metà del 2009, ha adottato una nuova visione del proprio mercato di riferimento, includendo, oltre al comparto tradizionale (sia off- line che on line) i servizi di marketing on line (dalla creazione di siti web alle strategie di posizionamento dei clienti Seat all’interno dell’”ecosistema” internet al fine di migliorarne la visibilità, alla misurazione e analisi dei contatti generati tramite il web, ecc.). In Italia, la quota di Seat Pagine Gialle sul mercato pubblicitario degli elenchi cartacei ed on line è stimata a circa l’84%. Il gruppo ha proseguito nel 2009 il processo di revisione strategica del proprio portafoglio di partecipate, avviato nel 2008. Tale processo ha portato alla decisione, a giugno 2009, di uscire dalla joint-venture turca Katalog Yayin ve Tanitim Hizmetleri A.S. e a settembre di uscire dal mercato francese della directory assistance mediante la vendita, attraverso la controllata tedesca Telegate AG, della società francese 118 000 SAS. Per quanto concerne i più recenti risultati economico-finanziari del gruppo, nel primo semestre 2010, i ricavi consolidati sono diminuiti dell’8,7% rispetto al primo semestre dell’anno precedente (463,22 milioni di euro contro i 507,325 milioni di euro del primo semestre 2009), parzialmente compensati dalla crescita dei ricavi online in Italia (che hanno registrato un incremento del 60% circa). Su base annuale, invece, i ricavi delle vendite e delle prestazioni raggiungono, nel 2009, 952,2 milioni di euro, in calo rispetto all’esercizio 2008, quando i ricavi consolidati sono stati pari a 1.058,7 milioni, con l’andamento delle attività online in Italia che

94 Directory ha limitato le perdite. Sui mercati finanziari, il titolo Seat Pagine Gialle ha chiuso le quotazioni a fine dicembre 2009 ad un prezzo di 0,16 euro, in calo del 65,9% circa rispetto al prezzo di 0,48 euro del 1° gennaio 2009. Tale riduzione si è concentrata nei primi mesi dell’anno; infatti nel corso del secondo semestre 2009 il titolo ha fatto registrare un andamento in leggera crescita (+1,2%), così come altre società del comparto directory (specialmente positive sono state in Europa le performance dei titoli Yell e Pages Jaunes). Il titolo Seat Pagine Gialle ha toccato il massimo dell’anno (1,13 euro) nei giorni in cui è stata attuata l’operazione di aumento di capitale, conclusasi il 30 aprile 2009 con l’integrale sottoscrizione delle azioni offerte. La performance negativa del titolo, particolarmente significativa se confrontata con l’andamento dei titoli del mercato media, è stata influenzata dalla struttura dell’Enterprise Value della Società, costituito in misura prevalente dalla componente “indebitamento”. Lievi diminuzioni dell’Enterprise Value della Società (diminuito nel corso del 2009 del 14,8%) si traducono in riduzioni sempre più significative del suo valore di mercato rappresentato dalle quotazioni borsistiche. Tale valore, peraltro, è stato penalizzato anche dal de-rating della Società e dalla crisi del mercato finanziario. Tabella 1 – Incidenza % sul totale ricavi 2009 dei prodotti “CORE” Prodotti Descrizione Quota Carta Pagine Gialle Elenco categorico delle attività economiche italiane 27,8 Pagine Bianche Elenco abbonati al telefono 37,1 altri prodotti carta 0,1 Internet paginegialle.it Motore di ricerca specializzato nelle attività commerciali 20,4 altri prodotti Internet Telefono 89.24.24 Pronto Pagine Gialle Servizi a valore aggiunto di directory assistance 4,8 12.40 Pronto Pagine Bianche Servizi di base elenco abbonati Totale ricavi core 90,2 Fonte: elaborazioni Iem su dati SEAT Pagine Gialle Per rispondere all’obiettivo di creare sinergie che consentano di reagire con nuove strategie alle ristrettezze di mercato imposte dalla crisi, nel 2010, Seat Pagine Gialle ha dato vita ad una partnership strategica con Sky Italia. Il primo risultato di questa partnership si è concretizzato nella stipula di un accordo commerciale tra le due società che permette alle piccole imprese di fare pubblicità su Sky durante le partite di calcio. Nel contesto di un processo di evoluzione dell’offerta di Seat Pagine Gialle, in un ottica multicanale, essa mette così a disposizione delle PMI, oltre ai mezzi cartacei, web e telefonici, il canale televisivo, per garantire il massimo supporto ed efficacia alle strategie di comunicazione e marketing dei propri clienti. La sinergia risultante dalla partnership infatti consentirà di promuovere le imprese locali nei confronti di audience televisive fortemente localizzate, e al tempo stesso caratterizzate da profili socio- demografici di grande appeal per gli investitori pubblicitari. In virtù dell’accordo, Seat Pagine Gialle diventa così la prima directory al mondo a vendere pubblicità televisiva ai propri clienti “core”, costituiti dalle piccole e medie imprese. Un ulteriore cambiamento nella struttura del mercato delle directory è - a seguito della liquidazione di Pagine Italia S.p.A. nel 2008 - la progressiva crescita di Pagine Sì: l’azienda umbra, operativa dalla fine del 1996 nel settore dell’editoria pubblicitaria multimediale e annuaristica telefonica, ha fatto registrare un fatturato superiore ai 21 milioni di euro per il 2009, in crescita rispetto ai 18 milioni del 2008. Ma il dato davvero straordinario è che si tratta di un’azienda che vive una crescita ininterrotta da tredici anni, e che a partire dal 2005 ha ottenuto incrementi medi annui del fatturato del 20%.

Directory 95 Tabella 2 - Risultati economici dei principali operatori italiani 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 % 09-08 % 09-03 Seat Pagine Gialle 952,2 1058,7 1090,2 1077,6 1061,9 1060,4 1056,7 -10,06 -9,89 Pagine Sì 21 18 nd nd nd nd nd 16,67 - Nota: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni Iem su dati SEAT-Pagine Gialle e Pagine Sì Dal 1996, l’impresa ha puntato sempre più ad offrire servizi ed informazioni, sia sul cartaceo che sulle PagineSi on-line, a diffusione gratuita, così come è la consegna degli elenchi telefonici. L’ElencoSì, è stato distribuito in nuove province del centro e del nord, segnando l’allargamento dell’area di operatività della società. Un altro player di rilievo attivo nella business information è la Guida Monaci S.p.A., la società operativa nel settore B2B fondata da Tito Monaci nel 1870. Negli ultimi anni il gruppo è riuscito a tenere il passo con l’innovazione ottimizzando l’utilizzo del sito web che è diventato non solo un vero e proprio portale ma anche un punto di riferimento per le aziende grazie a strumenti quali l’area “Servizi informativi per le aziende”, la pubblicazione di videoclip promozionali direttamente sulla home page e le sezioni “Comunicati”, “Case History” e “Articoli” i cui contenuti riguardano i prodotti commerciali venduti dalle varie aziende rintracciabili nel database, diventando un’ulteriore forma promozionale. Inoltre l’accordo del 2008 con Siseco, una società specializzata nel realizzare soluzioni informatiche personalizzate nell’ambito CRM, CIM & IP Contact Management, ha permesso di rendere la propria banca dati più facilmente consultabile da parte delle aziende. Nel 2010, la Guida Monaci si è presentata sul mercato con un nuovo modello di business organizzato su due linee: il Publishing Multimediale e il Business Intelligence.

2. Il mercato europeo

Anche i principali player sul mercato estero delle directory hanno dovuto affrontare gli effetti della crisi finanziaria internazionale, che ha portato ad una riduzione dei ricavi, a cui i principali player hanno risposto soprattutto attraverso strategie di rafforzamento dei prodotti e dei servizi offerti attraverso la piattaforma di Internet, che continua ad offrire ai competitor prospettive ed occasioni di crescita. Una delle principali directory europee, il gruppo francese Pages Jaunes, ha visto nel 2009 i propri ricavi diminuire del 2,4% rispetto all’anno precedente. Le attività del gruppo francese sono organizzate in due segmenti: 1. Pages Jaunes in Francia: sono le attività del gruppo in Francia relative alla pubblicazione e la distribuzione di directory e la vendita di spazi pubblicitari su directory a stampa (Pages Jaunes, L’Annuaire) e online (“pagesjaunes.fr”). Esse inoltre includono la creazione e l’hosting di siti internet, servizi di assistenza per telefono e sms, l’attività ads online (“annoncesjaunes.fr”) e varie altre attività come la pubblicazione di PagesPro e QuiDonc directory. 2) International & Subsidiares: sono le attività sussidiarie del gruppo, che comprendono principalmente la pubblicazione di directory dedicate al consumo e che operano fuori dalla Francia (Spagna, Lussemburgo e Marocco) e lo sviluppo di attività complementari relative alla pubblicazione di directory, come i servizi geografici di Mappy e le attività dirette di marketing di Pages Jaunes Marketing Services. Questo segmento inoltre include le attività di pubblicità su internet di Horyzon Média. Il fatturato complessivo del gruppo è ammontato nel 2009 a 1.163,9 milioni di euro, contro 1.192,8 milioni di euro nel 2008. In un mercato fortemente sotto pressione per effetto della crisi, l’entità della diminuzione del ricavo è stata notevolmente attenuata dalla crescita dei servizi internet, il cui giro d’affari è arrivato a rappresentare nel 2009 il 42,3% del fatturato complessivo (39,5% nel 2008). I siti del gruppo in Francia, “pagesjanues.fr”, “mapping.com”, “annoncesjaunes.fr” e “pagespro.com”, hanno registrato una crescita del numero di visitatori del 7% rispetto al 2008 e nel loro insieme sono il sesto sito per numero di visite in Francia.

96 Directory Entrambi i segmenti di attività del gruppo hanno visto una contrazione dei ricavi, ma a registrare una performance particolarmente negativa è il segmento di Pages Jaunes rivolto al mercato estero il quale (pur rappresentando una quota minore attorno al 5% del ricavo complessivo) tra il 2008 e il 2009 ha visto una variazione negativa dei ricavi del 17,2%, a fronte della riduzione dell’1,2% del segmento operante su base nazionale – che invece identifica la quasi totalità del business del gruppo Nel corso del 2009, il gruppo Pages Jaunes ha proseguito l’opera di ottimizzazione di tutti i costi dei vari segmenti di attività del gruppo. Ha completato la ristrutturazione di QDQ Media in Spagna e la reintegrazione di Pages Jaunes Petites Annonces, realizzando per queste vie operazioni di riduzione e ottimizzazione dei costi. Allo stesso tempo, il gruppo ha mantenuto i suoi investimenti in tecnologia, commerciali e del marketing, che rappresentano interventi cruciali nella strategia del gruppo. La maggiore directory britannica, Yell Group, dopo la crescita dei ricavi nel 2009, ha registrato un calo degli stessi nel 2010, diminuiti rispetto all’anno precedente dell’11,5%. Yell Group è una delle principali directory internazionali che opera attraverso attività cartacee, online e telefoniche sul mercato pubblicitario negli UK, Stati Uniti, Spagna e America Latina. A controbilanciare in parte la riduzione dei ricavi del gruppo – dovuta interamente all’andamento negativo delle printed directories del gruppo inglese – è stata la performance positiva del segmento delle attività Internet che hanno portato la propria quota sui ricavi totali nel 2010 al 20%, rispetto al 15% del 2009. Inoltre le iniziative volte a generare un risparmio sui costi, hanno consentito da una parte di ridurre l’impatto negativo della riduzione dei ricavi, dall’altro di compensare le maggiori risorse dedicate ad investimenti aggiuntivi finalizzati alla ripresa. Tabella 3 – Rivavi complessivi delle principali directories estere (milioni di euro) Directory 2010 2009 2008 Var. % 10/09 Var. % 08/09 Pages Jaunes Group - 1.164,00 1.192,90 - -2,42 Yell Group* 2.450,84 2.768,58 2561,68 -11,48 8,07 Note: (*) l’anno finanziario del gruppo termina il 31 Marzo di ogni anno. Fonte: elaborazioni IEM su dati di bilancio Pages Jaunes e Yell Group Nel 2009 Yell Group ha completato l’opera di rifinanziamento che era stata intrapresa a seguito di un accordo siglato il 27 Aprile 2006 (“Old Facilities Agreement”) con Citigroup Global Markets Limited, Deutsche Bank AG, Goldman Sachs International, HSBC Bank plc e altre istituzioni finanziarie, che consentiva a Yell Group di ottenere prestiti di lungo termine e condizioni favorevoli di accesso al credito. Esso è stato sostituito con il “New Facilities Agreement” che è entrato in vigore il 30 Novembre 2009. Sempre nel 2009, Yell Group ha lanciato un canale video online, fornito da VideoJug, uno dei maggiori specialisti nella produzione di brevi contenuti video. Inoltre, Yell ha stipulato un’alleanza strategica con Google con l’obiettivo di fornire servizi avanzati e sofisticati di marketing a più di 450.000 SME del Regno Unito. Nel 2010 Yell Group ha lanciato una serie di servizi dinamici per piccole imprese disponibili online nel nuovo Yellowbook360 Business Center, che aiuta la crescita del business delle imprese, aumentandone la visibilità, ed offrendo ad esse una molteplicità di prodotti e servizi a sostegno del marketing, sul portale yellowbook.com.

Directory 97 Musica registrata

98 Musica registrata di William Ricci

1. Il mercato italiano

Le speranze riposte nei nuovi mercati della musica digitale rimangono purtroppo disattese nel corso del 2009, anno in cui, sia in Italia che in Europa e nel Mondo, si registra una nuova flessione dei ricavi in seguito ad un complesso mix di fattori tra cui il file sharing è senz’altro una delle cause maggiori. Prima di addentrarci nell’analisi delle ragioni che impediscono un reale cambio di rotta, iniziamo con l’illustrare la situazione nazionale partendo dallo stato dei volumi venduti nel territorio italiano. Come per gli anni scorsi, le diverse fonti mostrano una andamento assai vario, con Siae1 e Fimi2 in particolare che raccontano un andamento delle unità vendute a tratti discordante3. Dal 2007 al 2008 notiamo come secondo la Siae la vendita di supporti registri un incremento di circa 10 punti percentuali a fronte del dato Fimi che, coerentemente con i trend che caratterizzano il dato in valore, descrive una flessione del 22% circa. La contrazione dei volumi continua anche nel 2009 con un decremento che la Federazione dell’Industria Musicale Italiana stima intorno al 18% a fronte di poco più di 15 milioni di unità vendute. Figura 1- Il mercato discografico italiano, 2003-2009 (milioni di unità - album equivalente)

450 Fimi M&D 390 400 378 364 340 350 322 305 293 295,6 300 272 258

250 222 208 200 178 162 144 150 124

100

50

0 2005 f 2005 f+d 2006 f 2006 f+d 2007 f 2007 f+d 2008f 2008f+d 2009f 2009f+d

Elaborazione IEM su dati FIMI, IFPI, M&D e SIAE

1 Società Italiana degli Autori ed Editori, Dati di vendita dei supporti fonografici per il 2008, 2010. 2 Federazione dell’Industria Musicale Italiana, Dati di mercato – anno 2009, 2010. 3 L’enorme differenza che caratterizza il dato Fimi da quello Siae è in parte interpretabile a partire dalla natura dell’informazione. La SIAE in qualità di unica collecting society nazionale ha infatti il monitoraggio dettag- liato delle licenze concesse sul venduto. Fimi monitora il sell-in delle principali compagnie. 99 Disaggregando il dato notiamo alcune note positive come la buona performance del macrosegmento dei singoli, cresciuti del 100%, trainati dalla vendita dei supporti CD che, a fronte di oltre 550 mila copie vendute, totalizzano un incremento di 99 punti percentuali. Ciò in parte descrive una mutazione dei gusti dell’ascoltatore medio come delle strategie delle compagnie musicali, oggi maggiormente concentrate sulla redditività del singolo contenuto a scapito di un modello di fruizione musicale maggiormente organico e complesso come quello dell’album di canzoni. L’andamento in valore non ha purtroppo invertito la tendenza che, dal 2003, caratterizza il mercato della musica registrata. Il declino nel 2009 è stato costante e ugualmente registrato sia da FIMI che dalla sua corrispettiva internazionale IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) con rispettivamente un -19% e un -17%. Analizzando il dato FIMI, maggiormente disaggregato nelle sue componenti, notiamo come quasi tutte le voci fisiche registrino un forte decremento del fatturato, in particolare nel mercato dei CD album che, risultando la maggior fonte di ricavo con i suoi 114 milioni e 100 mila euro, traina l’universo dei supporti fisici verso un declino percentuale di circa 24 punti a fronte di un valore pari a poco meno di 124 milioni. Rimane la nota positiva dei CD singoli che, crescendo del 7%, portano l’intero macrosegmento a descrivere un incremento del 5% con poco meno di 2 milioni di euro generati. Figura 2 - Il mercato discografico italiano, 2003-2009 (milioni di euro*)

700 Fimi Ifpi (trade) M&D Ifpi (retail) 600 574 535 535

500 478

402 392 390 392 400 370 364 343 333 344 306 305 306 301 300 274 266 260 226 222 219 200 178 181 144 100

0 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Note: * Il dato IFPI (trade) 2009 è stato calcolato effettuando una conversione in base alla media 2009 del cambio dollaro/euro pari a 0,72. Fonte: Ufficio Italiano Cambi. Dato originale IFPI: 252 milioni di dollari. Fonte: elaborazioni e stime IEM su dati FIMI, IFPI e M&D. Il dato sopra descritto è naturalmente comprensivo del mercato digitale che, pur in continua crescita dal 2005 ad oggi, non riesce a compensare le gravi perdite economiche che la controparte fisica registra di anno in anno. E’ infatti possibile notare come, secondo le informazioni FIMI, il declino del mercato fisico vada progressivamente peggiorando, in particolare passando da un -22% tra il 2008 e il 2007 ad un -23% tra il 2009 e il 2008, mentre la somma fisico + digitale, pur riducendo il trend negativo di un punto nel biennio tra il 2008 (-20%) e il 2009 (-19%), non inverte le sorti generali del mercato. Si prevede quindi un futuro ancora difficile per la musica registrata in Italia, che deve di fatto riporre le speranze non tanto in una stabilizzazione dei trend di decrescita del mercato fisico, destinati al contrario a peggiorare nel tempo, ma in una crescita sostanziale dei modelli di fruizione digitali in grado di ribaltare l’andamento totale del mercato fino ad arrivare ad una sostituzione completa e autosufficiente dell’universo musicale. Diverse difficoltà sono inoltre riscontrabili nel complesso mondo del mercato liquido.

100 Musica registrata Nonostante la sua crescita complessiva che supera nel 2009 i 20 milioni di euro con un +27% rispetto al 2008, la fruizione digitale mostra un cattivo andamento delle piattaforme mobili. In particolare vediamo come, dal 2006 in poi, l’acquisto di musica via smartphone descriva un decremento costante che dagli oltre 9 milioni e 600 mila euro porta la musica su cellulare a poco meno di 4 milioni di euro (–30% rispetto al 2008). Figura 3 - Il mercato discografico italiano digitale e fisico, 2005-2009 (milioni di euro)

450 Fimi digitale Fimi fisico 400 350 12 300 14

250 14 200 16 150 293 20 258 100 208 162 124 50 0 2005 2006 2007 2008 2009

Il mercato discografico italiano secondo FIMI: 144 milioni di euro nel 2009 (124 fisico e 20 digitale)

450 Musica & Dischi digitale Musica & Dischi fisico 400 12 24 350 25 300 27 250 29 200 378 340 150 276 233 100 197 50 0 2005 2006 2007 2008 2009

Il mercato discografico italiano secondo Musica & Dischi: 226 milioni di euro nel 2009 (197 fisico e 29 digitale) Fonte: elaborazioni e stime IEM su dati FIMI e M&D.

Figura 4 - Valore del mercato digitale Mobile e Internet 2006-2009 (milioni di euro*)

25 internet mobile pubblicità Totale digitale 20,4 20 16,1 14,5 14,6 15 12,1 9,6 9 10 8,0 5,4 5,6 4,2 5 3,9 0,7 0 2006 2007 2008* 2009*

Note: * Il totale comprende anche altre voci di ricavo; il dato internet 2008/2009 e mobile 2008/2009 comprende anche gli introiti provenienti da sottoscrizioni a servizi. Fonte: Elaborazione IEM su dati FIMI.

Musica registrata 101 L’osservazione di tale andamento di fatto sfata la convinzione comune che vede gli italiani fortemente attivi e ricettivi rispetto alle novità di prodotto e alle modalità di fruizione delle piattaforme mobili, descrivendo al contrario una forte dinamicità delle piattaforme informatiche quali i PC e Notebook con una crescita del download online e delle sottoscrizioni a servizi web based di fruizione e acquisto di musica pari ad oltre il 34%. Possiamo parzialmente interpretare il dato come l’effetto di un modello di comportamento che premia l’acquisto di tracce online da casa, in seguito trasferite su device mobili come iPod e lettori Mp3 oggi sempre più diffusi. Va inoltre segnalata l’importanza crescente che le fonti di ricavo da pubblicità (e diritto d’autore) stanno assumendo soprattutto nelle forme di fruizione via streaming. Nel 2009, per la prima volta, si registra un valore generato da tali inediti modelli di business musicale pari a oltre 700 mila euro (per una quota sul totale stimabile intorno allo 0,7%). Tale processo va in parte ad inserirsi nei recenti accordi che YouTube e Siae hanno stipulato, prevedendo un modello di distribuzione streaming in grado di generare profitti su ogni singola utilizzazione effettuata. L’accordo prevede un modello di condivisione degli introiti pubblicitari che contempli anche i proprietari dei contenuti4, con un minimo garantito. Siamo quindi di fronte a nuovi modelli di business che, basandosi sulle opportunità che la rete offre, possono in futuro stabilizzare le coordinate di un mercato ancora poco sfruttato potendo monetizzare la fruizione protetta dal diritto d’autore, ancorché gratuita. Tabella 1 - Mercato Digitale, Italia (€) 2009 (Valore) 2008 (Valore) Scostamento Scostamento % Traccia Singola 4.749.625 4.083.239 666.386 16% Album 4.512.826 3.417.218 1.095.608 32% Video Musicali 33.875 14.413 19.462 135% Altro 153 328 -175 -53% Streaming 1.915.970 1.510.830 405.140 27% Online Downloads TOTALE 11.212.449 9.026.028 2.186.421 24% Master Ringtones 1.569.705 2.754.518 -1.184.813 -43% Traccia Singola 1.944.567 1.925.662 18.905 1% Ringback Tunes 108.357 121.409 -13.052 -11% Video Musicali 77.489 150.917 -73.428 -49% Altri Prodotti 27.085 310.357 -283.272 -91%

Mobile Downloads Mobile Streaming 87.731 148.249 -60.518 -41% TOTALE 3.814.934 5.411.112 -1.596.178 -29% Abbonamenti (servizi 978.619 30.454 948.165 3113% indipendenti) - Online Abbonamenti (servizi 158.954 208.151 -49.197 -24% indipendenti) - Mobile Abbonamenti (servizi 411.640 0 411.640 100% Abbonamenti dipendenti) TOTALE 1.549.213 238.605 1.310.608 549% Pubblicità Pubblicità 734.722 0 734.722 100% Anticipi non riscossi e Anticipi non riscossi e 2.168.260 346.433 1.821.827 526% pagamenti una pagamenti una tantum tantum Altri Contenuti Musicali Altro 966.534 1.109.659 -143.125 -13% Digitali TOTALE Valore Mercato Digitale 20.446.113 16.131.837 4.314.276 27% Elaborazione IEM su dati FIMI Da sottolineare infatti la notevole crescita dello streaming musicale su piattaforma Pc nel

4 Claudio Tamburrino, Youtube e SIAE, licenza di monetizzare, Punto Informatico, 2010.

102 Musica registrata 2009 pari al +27%, la buonissima performance del download degli album musicali (+32%) in controtendenza rispetto al mercato tradizionale, ma soprattutto l’enorme bacino d’utenza in parte cannibalizzato dalle pratiche di file sharing illegale (circa il 23% degli internauti) che, almeno nel 2009, ha trovato vita difficile in seguito alla decisione della Corte di Cassazione di poter consentire ad un magistrato il blocco dell’accesso alla rete nell’eventualità di pratiche illegali5. In particolare il caso Pirate Bay6 ha di fatto chiarito quanto sia necessaria ed urgente una piena collaborazione dei provider nel contrastare ed impedire la crescita di modelli di fruizione musicale illegali e controproducenti per il mercato.

2. Il mercato europeo

Secondo le informazioni IFPI7, in tutta Europa si registra una flessione dei diversi mercati nazionali ad eccezione del Regno Unito che, con oltre un miliardo e 570 milioni di dollari, cresce dell’1,9% rispetto al 2008. A parziale interpretazione del dato va segnalata la particolare natura della situazione inglese che, godendo storicamente di una forza tale da renderlo il primo mercato in Europa e il terzo nel Mondo (dopo Stati Uniti e Giappone), rappresenta di fatto una delle avanguardie musicali da cui trarre ispirazione. Nel Regno Unito si è infatti sperimentata, come in Asia l’anno passato8, la capacità del mercato liquido di compensare le perdite economiche della controparte fisica. In particolare il mercato tradizionale (comprensivo dei ricavi da diritti d’autore) ha registrato una flessione di circa l’1% contro un +17% del mercato liquido, confermando come l’eventuale risalita dell’economia musicale possa oggi essere ottenuta solo grazie ad una forte capacità di soddisfare la domanda di contenuti in forma digitale sostenendone l’acquisto e la fruizione. Ancora va sottolineato il tessuto sociale inglese in grado di sostenere una produzione sempre in linea con i gusti mondiali favorendo la scoperta e la crescita di talenti artistici, come dimostra il caso di Susan Boyle e il suo album di esordio I Dreamed a Dream (Syco - Columbia) risultato nel 2009 il più venduto al mondo9. Figura 5 - Il mercato discografico europeo, 2005-2009 (milioni di dollari – Trade)

2.500 2.162 R.U. GERMANIA FRANCIA ITALIA SPAGNA 2.054 2.000 1.893 1.698 1.580 1.544 1.574 1.533 1.457 1.411 1.500 1.248 1.212 1.126 974 948 1.000

428 393 369 383 305 252 500 327 328 287 246

0 2005 2006 2007 2008 2009

Elaborazione IEM su dati IFPI. Gli altri mercati europei hanno invece confermato la flessione continua già dal 2007. Nello specifico l’Italia sperimenta il trend negativo più grave (-17%) rispetto al 2008, confermandosi al penultimo posto prima della Spagna anche nel 2009. In particolare sia il mercato tedesco che francese riescono a minimizzare le perdite registrando rispettivamente un –3% e un –2,7% sul 2008. Pesante è invece il declino spagnolo che, a fronte di poco più di 246 milioni di dollari, 5 IFPI, IFPI Digital Music Report 2010, 2010. Versione italiana. 6 Motore di ricerca per file torrent svedese. 7 Syndicat National de l’Edition Phonograpique, L’économie de la production musicale – edition 2010, 2010. 8 William Ricci, “Musica Registrata”, in Barca F. (a cura di), L’Industria della Comunicazione in Italia. Dodicesimo rapporto IEM, Guerini, Milano. 9 The British Recorded Music Industry, The Market – Useful facts. Fonte: http://www.bpi.co.uk/music- business/article/the-market.aspx

Musica registrata 103 vede contrarre il fatturato di oltre il 14%, piazzandosi per valore all’ultimo posto tra i cinque mercati europei . Buone notizie provengono invece dal versante liquido che, pur non riuscendo a compensare le perdite del mercato tradizionale (ad eccezione del Regno Unito), mostra costanti trend positivi dal 2005 in poi. Unica pecca è la contrazione francese che dal 2008 perde circa 2 punti percentuali declinando il proprio fatturato digitale in circa 131 milioni di dollari. Molto positiva è la crescita registrata da Germania e Spagna, rispettivamente del 27% e del 23%, con la prima in particolare a vantare in questo comparto oltre 40 servizi di donwload di musica digitale tra cui Amazon MP3 e iTunes Germany10. Buona infine la crescita di Regno Unito e Italia che totalizzano un +17% rispetto al 2008, pur con la nostra nazione sofferente per la grave decrescita del mercato fisico che in Inghilterra al contrario viene, seppur di poco, compensata dal valore generato in campo digitale. Figura 6 - Il mercato discografico digitale europeo, 2005-2009 (milioni di dollari - Trade*)

350 R. U. Germania Francia Italia Spagna 295 300 252 250

200 163 156 150 123 122 133 131 94 100 69 70 76 67 39 50 28 25 28 33 32 16 23 24 26 3 16 0 2005 2006 2007 2008 2009

Note: * Italia 2008: dato ricavato dal trend di crescita del dato FIMI 2008 applicato al dato IFPI 2007; Spagna 2008: dato ricavato dal trend di crescita del dato Promusicae 2008 applicato al dato IFPI 2007. Fonte: Elaborazione IEM su dati IFPI. Analizziamo infine la composizione del mercato liquido nelle sue declinazioni online e mobile. Purtroppo non sono disponibili informazioni sulla situazione tedesca e inglese, che tuttavia hanno già in passato affermato una netta prevalenza del comparto digitale online su quello mobile. Dal 2005 al 2007 osserviamo infatti una progressiva crescita delle quote online, che in Germania raggiunge il 69% e nel Regno Unito il 71%. Vista la forte connotazione digitale di questi mercati e la loro importanza economica nel valore complessivo, possiamo a ragion veduta considerarli modelli virtuosi, imitandone vision e strategie e premiando modelli di fruizione online che dimostrano essere più redditizi di quelli mobile. Tabella 2 - Mercato musicale digitale europeo, 2005-2009 (quote del valore online e mobile*) Online 2009 2008 2007I 2006I 2005 Mobile online mobile online mobile online mobile online mobile online mobile Regno Unito non disp. non disp. non disp. non disp. 71% 29% 70% 30% 62% 38% Germania non disp. non disp. non disp. non disp. 69% 31% 69% 31% 66% 34% Francia 50,5%II 37,9%II 58%II 42%II 39% 61% 38% 62% 47% 53% Italia 59,3III 19,1%III 59%III 41%III 44% 56% 24% 76% 31% 69% Spagna 53%IV 47%IV 37%IV 63%IV non disp.non disp. 22% 78% non disp. non disp. Note * La somma delle quote mobile e online dei dati Francia 2009 e Italia 2009 risulta minore di 100 in quanto nel totale dei rispettivi mercati digitali viene inclusa una quota riferibile agli introiti generati da altre voci di ricavo. (Italia: Ad-Supported Income, Unearned Advances & One-Off Payments, Other Digital Music Content; Francia: Streaming). Fonte Ifpi, I dati Ifpi relativi alla prima metà dell’anno; IISyndicat National de l’Edition Phonograpique; IIIFIMI; IVPromusicae; A conferma di quanto appena scritto segnaliamo la decrescita delle quote online in Francia 10 IFPI, IFPI Digital Music Report 2010, 2010. Versione italiana.

104 Musica registrata che, nel 2009, combaciano perfettamente con la contrazione del valore generato dal mercato digitale (-2%). Sia l’Italia che la Spagna vedono quindi aumentare l’importanza del valore online sul mobile; la seconda in particolare, sperimentando una crescita del digitale del 23%, vede la quota di fatturato generato via computer aumentare dal 37% al 53% nel 2009, a dimostrazione di quanto strategica risulti una buona gestione dei servizi digitali web based insieme, naturalmente, ad una seria lotta alle pratiche di file sharing illegale. Concludiamo segnalando come la leggerissima crescita dal 2008 al 2009 delle quote online italiane (+0,3%) rispetto alle pratiche di fruizione mobile, siano in parte dettate dalle cattive performance di queste ultime che, dal 2008 al 2009, come abbiamo in precedenza accennato, crollano del 30%.

3. Il mercato mondiale

Continua la flessione del mercato anche a livello mondiale. Nel 2009 la musica registrata riesce a generare poco più di 17 miliardi di dollari perdendo rispetto al 2008 oltre 7 punti percentuali. La diminuzione è purtroppo la più grave dal 2006 e testimonia di fatto la diffusa difficoltà dei grandi mercati internazionali nel gestire al meglio le nuove risorse distributive digitali. Nel 2009 vediamo infatti le due più grandi realtà mondiali, Stati Uniti e Giappone, contrarre il proprio fatturato di quasi l’11%, con un peso dell’80% sul decremento mondiale che, al netto delle loro performance, sarebbe stato all’incirca del -3,2%11. Tra le motivazioni possiamo citare gli effetti prodotti, almeno negli Stati Uniti, dalla crisi finanziaria e la conseguente contrazione dei consumi. La composizione delle quote di mercato mondiali per azienda discografica vede quindi la Universal Music Group mantenere stabile il suo primato con oltre il 27% delle revenue; con quasi il 21%, troviamo Sony Music Entertainment e, infine, con il 15% e il 12,2%, rispettivamente la Warner Music Group ed EMI. Si segnala la progressiva perdita di potere dell’universo indipendente che, da una quota complessiva pari al 27,1% nel 2007, nel 2009 scende al 24,7%12. Tabella 3 - Il mercato discografico mondiale, 2005-2009 (milioni di dollari – Trade) 2009 var% 2008 var% 2007 var% 2006 var% 2005 valore 17.026 -7,2% 18.347 -5,4% 19.398 -0,9% 19.587 -5% 20.795 Elaborazione IEM su dati IFPI Il mercato digitale mondiale, come è logico, riesce ancora a guadagnare valore, seppur diminuendo di molto il proprio trend di crescita. Rispetto infatti agli anni precedenti (+ 107% nel 2006, +35% nel 2007 e 2008) il valore del fatturato liquido aumenta di “appena” il 9,2% registrando complessivamente poco più di 4 miliardi e 300 milioni di dollari. Ciò è in parte dovuto alle scarse performance di un continente strategico ed economicamente importante come il Nord America (che registra un incremento di appena l’1,1%), pur a fronte di un aumento dei servizi di distribuzione digitale ed una loro maggior penetrazione nei diversi mercati nazionali. I ricavi del mercato liquido, nella prima metà del 2009, sono così composti: con il 61,9% domina incontrastato il servizio iTunes, aiutato da un’accorta politica industriale che lega a doppio filo il sistema di download a pagamento con la produzione proprietaria dei lettori iPod. Molto distaccati sono invece gli altri concorrenti Amazon Mp3, Rhapsody, Zune Marketplace e Napster rispettivamente al 7,6%, 3,7%, 2,6%, 1,5%13.

11 Robert Andrews, ’09 Music Sales Shed $1 Billion; U.S. Downloads Stagnant, paidContent: UK, 2010. 12 Redazionale, Sony Music makes gain on dominant Universal in 2009, Music & Copyright’s Blog, 2010. Fonte: http://musicandcopyright.wordpress.com/ 13 Redazionale (dati NPD), NPD Musica Market Share – Report For The Firts Half 2009, RouteNote Blog, 2009. Fonte: http://routenote.com/blog/npd-group-music-marketshare-report-for-the-first-half-of-2009/

Musica registrata 105 Tabella 4 - Il mercato discografico mondiale digitale, 2005-2009 (milioni di dollari – Trade) 2009 var% 2008 var% 2007 var% 2006 var% 2005 valore 4.307 9,2% 3.944 35,5% 2.909 35% 2.154 107% 1.039 Elaborazione IEM su dati IFPI Unica nota realmente positiva nella situazione mondiale è il progressivo aumento d’importanza che il mercato digitale va acquisendo sul totale del valore generato. Dal 2005 in poi la quota di fatturato attribuibile alle pratiche di fruizione liquida è passata dal 5% al 25%. Va tuttavia sottolineato come il risultato del 2009 sia principalmente l’effetto di una drastica diminuzione del mercato fisico (-12,7% dal 2008 e al netto dei ricavi da diritti d’autore), più che dell’aumento del digitale che, come abbiamo visto, negli anni passati è stato decisamente più consistente. Figura 7 - Il mercato discografico mondiale fisico-digitale, 2005-2009 (% - Trade)

25.000 Digitale Fisico e P.R. 5% 20.000 11% 15% 21% 15.000 25%

10.000 95% 89% 85% 79% 75% 5.000

- 2005 2006 2007 2008 2009

Elaborazione IEM su dati IFPI Rimane comunque intatta la speranza che in un futuro il fatturato digitale possa compensare le perdite del mercato fisico: diverse sono infatti le nazioni che nel 2009 hanno sperimentato una crescita del valore totale grazie alle ottime performance delle voci di ricavo appartenenti alla distribuzione liquida. Oltre al Regno Unito, unico esempio europeo, segnaliamo i trend positivi registrati dal mercato Indiano, dal Messico, dalla Thailandia, dall’Australia e dal mercato sudcoreano14. Naturalmente parte delle cause che impediscono una diffusa crescita del mercato liquido vanno ricercate anche nei modelli di fruizione illegali, oltre che nella contrazione dei consumi provocata dalla crisi. Non a caso il Ceo dell’IFPI John Kennedy si è spesso espresso in favore di misure drastiche nei confronti dei corresponsabili che alimentano un clima d’impunità nei confronti di chi pratica illeciti, citando in particolare le esperienze legislative di Taiwan, Corea del Sud e Francia e il loro processo di responsabilizzazione degli Internet Service Provider e invocando nel contempo l’intervento dello Stato15. Concludiamo segnalando il positivo incremento degli introiti generati dallo sfruttamento dei diritti d’autore i quali, facendo leva sulle tecnologie di rete e prodotti appartenenti ad altri settori dell’entertainment (ricordiamo i videogiochi musicali come Guitar Hero o Rock Band), aumentano il proprio fatturato del 7,6%, generando nel 2009 circa 785 milioni di dollari e raggiungendo il 5% della quota complessiva del mercato della musica registrata.

14 Robert Andrews, ’09 Music Sales Shed $1 Billion; U.S. Downloads Stagnant, paidContent: UK, 2010. 15 IFPI, IFPI Digital Music Report, 2010. Versione italiana.

106 Musica registrata Pubblicità

Musica registrata 107 Pubblicità

1. La comunicazione commerciale: lo scenario 2009-2010

La congiuntura economica negativa che ha caratterizzato l’ultima parte del 2008 e il 2009 si sta, molto lentamente, affievolendo e nella prima metà del 2010 l’economia internazionale e il mercato pubblicitario a livello mondiale ricominciano a mostrare segni di crescita positivi che, però, qualora conservassero questo ritmo, impiegherebbero circa un lustro per riportare il mercato ai livelli raggiunti nel 2008. La pubblicità si è dimostrata, anche in questa fase e per l’ennesima volta, estremamente sensibile all’andamento economico generale. In Italia, così come nel resto del mondo, la flessione è stata nettamente più accentuata rispetto ad un indicatore di ricchezza come il PIL e, benché la ripartenza economica sia particolarmente lenta, il mercato pubblicitario si sta riprendendo in maniera più rapida. Certo è che, a fronte di una flessione del PIL di 5 punti percentuali nel 2009, la pubblicità ha perso oltre 13 punti. Discorso a parte per la comunicazione below the line che ha continuato a mostrare segni positivi e ha compensato parte della perdita complessiva del mercato, attestatasi poco al di sotto – praticamente in linea – della flessione del Prodotto interno lordo. Figura 1 – Andamento investimenti in comunicazione e PIL, Italia (1990-2009)

ANDAMENTO PIL

ANDAMENTO SPESA PUBBLICITARIA (MEZZI CLASSICI) ANDAMENTO SPESA PUBBLICITARIA & MARKETING RELAZIONALE

1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008

Fonte: elaborazione IEM su dati FMI (PIL a prezzi correnti); Nielsen Media Research; IAB, Interactive Advertising Bureau; UPA.

108 Considerando solo gli investimenti sui media classici (stampa, televisione, radio, esterna, cinema, Internet), il 2009 è stato, quindi, segnato da una pesante contrazione (-10,2%) negli investimenti mondiali rilevati da ZenithOptimedia, che ha portato il totale del mercato a 443,7 miliardi di dollari (erano 494 l’anno precedente). Le previsioni dello stesso istituto indicano una ripresa molto lenta nel 2010, quando il consuntivo finale dovrebbe segnare un +0,9%. La crescita dovrebbe farsi più robusta nei due anni successivi, previsti poco sotto il 4 e il 5%, rispettivamente, senza però che il dato 2012 sia superiore ai livelli del 2008. Figura 2 - Investimenti pubblicitari nel mondo (2005-2012F)

Pubblicità globale (mld $) Var. % yoy 600,0 15 492,7 494,0 12,6 487,4

500,0 465,1 10 447,7 443,7 437,5 409,8 400,0 6,8 5 4,8 3,9 300,0 0 0,3 0,9

200,0 -5

100,0 -10 -10,2

0,0 -15 2005 2006 2007 2008 2009 2010E 2011F 2012F

Nota: miliardi di US$ a prezzi correnti (conversioni al tasso medio 2008). Fonte: elaborazione IEM su dati ZenithOptimedia.

Figura 3 - Investimenti pubblicitari nel mondo per macro-aree (2007-2011F)

Nord America Europa Occidentale Asia Pacifico Europa Centro-Orientale America Latina Africa-Medio Oriente-RdM

2011F 156 109 114 30 35 21

2010E 153 106 108 28 33 19

2009 157 107 104 28 31 18

2008 180 121 107 35 30 20

2007 188 125 105 31 27 17

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Note: dati in miliardi di US$ a prezzi correnti (conversioni al tasso medio 2008). Fonte: elaborazione IEM su dati ZenithOptimedia. Per le aree mondiali più mature, Nord America ed Europa Occidentale, la caduta è stata particolarmente brusca e i livelli di spesa del 2010 sono previsti comunque al di sotto del dato

Pubblicità 109 2009, con una risalita particolarmente lenta nei due anni successivi. E lo stesso può dirsi per l’Europa Centro-Orientale. Più dinamiche saranno l’America Latina e la zona Asia-Pacifico, grazie soprattutto alle performance, che continuano ad essere buone, se non ottime vista la congiuntura internazionale, di Cina e Brasile. La zona asiatica, in particolare, dovrebbe chiudere il 2010 con valori superiori, per la prima volta, a quelli dell’Europa Occidentale. Nel mercato italiano, il consuntivo 2009 è stata negativa per i mezzi classici (-13,3%, secondo un’opportuna miscela delle rilevazioni Nielsen, UPA e Assocomunicazione) e positiva, dell’1,5%, per il c.d. “below the line” (secondo le stime UPA). Rispetto all’economia nazionale, crollata del 5%, l’incidenza dell’investimento pubblicitario sui mezzi classici scende ulteriormente, sotto la bottom line dello 0,6%. Considerando anche l’insieme delle iniziative di comunicazione “non media” (direct marketing, promozioni, relazioni pubbliche e sponsorizzazioni/eventi), cioè ben oltre il 50% dell’investimento in comunicazione commerciale secondo le stime fornite da Assocomunicazione e UPA (Tab. 1), che invece hanno incrementato la propria incidenza fino allo 0,77%, la percentuale sul PIL è dell’1,36% per il 2009 (Fig. 4), con un lieve arretramento sull’anno precedente. Figura 4 - Investimenti pubblicitari above e below the line/PIL - Italia (1999-2009)

1,8% Investimenti in comunicazione Below the Line/PIL 1,6% Investimenti pubblicitari su mezzi classici/PIL 1,4%

1,2% 0,8% 0,8% 0,8% 0,8% 1,0% 0,8% 0,8% 0,7% 0,7% 0,7% 0,7% 0,8% 0,8%

0,6%

0,4% 0,70% 0,68% 0,64% 0,64% 0,65% 0,66% 0,67% 0,67% 0,65% 0,66% 0,59% 0,2%

0,0% 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IEM su dati FMI (PIL a prezzi correnti); Nielsen Media Research; IAB, Interactive Advertising Bureau; UPA. L’evoluzione del settore, come la tenuta della componente “below the line” lascia intravedere, passa attraverso la contaminazione tra i vari comparti della comunicazione commerciale (la parola chiave è “integrazione”), e la capacità di rispondere in maniera sempre più rapida alle sollecitazioni del mercato, tenendo fermi alcuni punti strategici fondamentali, come l’accrescimento dell’engagement del consumatore. Le attività di comunicazione relazionale, o below the line (eventi e sponsorizzazioni, promozioni, relazioni pubbliche e direct marketing) rispondono positivamente a queste necessità ed hanno fatto registrare, nel 2009, un progresso dell’1,5% che le ha portate a pesare oltre il 54% della spesa complessiva in comunicazione (e a sfiorare i 10,5 miliardi). Pur nella difficoltà di identificare e analizzare segmenti così frammentati e dispersi, per il 2010 Assocomunicazione stima una crescita di questi segmenti del 2,5% complessivo1.

1 Cfr. Assocomunicazione, Comunicare Domani, 2010. Si tenga inoltre presente che Assocomunicazione stima il mercato del direct marketing in valori praticamente doppi rispetto a UPA. Nelle elaborazioni è stata pres- celta la stima più conservativa di quest’ultima.

110 Pubblicità Tabella 1 - Ripartizione investimenti area classica e below the line in Italia, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 Δ% Δ%

Mln. Quota Mln. Quota Mln. Quota Mln. Quota Mln. Quota 09-08 09-05 € % € % € % € % € % Totale mezzi 8.843 45,8 10.196 49,8 10.178 50,3 9.567 49,6 9.250 49,5 -13,27 -4,40 classici Totale below 10.445 54,2 10.293 50,2 10.042 49,7 9.709 50,4 9.419 50,5 1,48 10,89 the line TOTALE 19.288 100,0 20.489 100,0 20.220 100,0 19.276 100,0 18.669 100,0 -5,86 3,32 Fonte: elaborazioni IEM su dati Nielsen Media Research, IAB, UPA, Assocomunicazione.

Tabella 2 - Investimenti in marketing relazionale in Italia, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 Δ% Δ% Mln. Quota Mln. Quota Mln. Quota Mln. Quota Mln. Quota 09-08 09-05 € % € % € % € % € % Direct 2.425 23,22 2.425 23,56 2.372 23,62 2.314 23,83 2.271 24,11 0,00 6,78 Response Promozioni 4.350 41,65 4.300 41,78 4.185 41,67 4.059 41,81 3.937 41,80 1,16 10,49 Relazioni 2.150 20,58 2.103 20,43 2.040 20,31 1.927 19,85 1.842 19,56 2,23 16,72 pubbliche Sponsorizza 1.520 14,55 1.465 14,23 1.445 14,39 1.409 14,51 1.369 14,53 3,75 11,03 zioni/Eventi Totale 10.445 100 10.293 100 10.042 100 9.709 100 9.419 100 1,48 10,89 Fonte: elaborazioni IEM su dati UPA, Assocomunicazione.

2. Il media mix italiano

Riguardo ai mezzi classici, la maggiore vittima della crisi del 2009 è stata la pubblicità sulla stampa che, secondo i dati Nielsen (tab. 4), ha perso complessivamente il 21,6% sull’anno precedente – risultato del 16% del calo dei quotidiani e del 28,7% del crollo dei periodici. Alla consolidata tendenza negativa (cambiamenti nelle modalità di consumo delle news, diffusione del digitale e difficoltà a monetizzare gli accessi ai siti dei quotidiani, calo delle copie vendute a ritmi più veloci che in passato), ha dato un colpo di acceleratore la crisi economica e il calo degli investimenti, le cui risorse disponibili si sono dirette in percentuale maggiore verso mezzi capaci di garantire una più elevata copertura del messaggio, come la televisione (la cui flessione è stata del 10%). Il discorso vale anche per la stampa periodica, finanziata dalla spesa di investitori pubblicitari di minor peso economico, e quindi più sensibili alle difficoltà congiunturali. Complessivamente, quindi, a fine 2009 il peso della stampa sulla pubblicità above the line, secondo Nielsen, è sceso dal 34,4 al 29,9%, mentre, integrando i dati di altri istituti, lo stesso indicatore passa dal 31,8 al 27%. La televisione, quindi, grazie al calo degli altri media, accresce la propria share of investment sul totale dei mezzi classici: la sua quota risale al 54,5% secondo le elaborazioni Nielsen. Qualora invece si considerino le elaborazioni UPA e Assocomunicazione, che valorizzano maggiormente la radio e la pubblicità esterna, nonché i dati IAB su Internet, la quota della televisione si ferma al 49,2%. La diffusione del 3D e gli sforzi per migliorare la programmazione pubblicitaria sul mezzo, hanno invece sostenuto gli investimenti, comunque marginali, sul mezzo cinematografico, che ha limitato le perdite al 4% e, se si esclude Internet, è stato il mezzo con la migliore performance nel 2009 - l’investimento è stato infatti pari a 55,7 milioni di euro, lo 0,7% sul totale rilevato da

Pubblicità 111 Nielsen. La pubblicità esterna (investimenti in cartellonistica, poster, arredo urbano, maxi affissioni, aeroporti, circuiti tematici, insegne luminose e altro) secondo le rilevazioni UPA e Assocomunicazione ha registrato una pesante flessione del 19%, a quota 619 milioni. Nelle rilevazioni Nielsen, limitate alle affissioni statiche2, la perdita è anche maggiore (-25%), parzialmente compensata nelle statistiche dalla rilevazione del c.d. Transit (pubblicità dinamica su mezzi di trasporto e aeroporti), con 99 milioni. Il dato principale è rappresentato dall’utilizzo delle nuove tecnologie digitali, apparentemente in grado di ridare nuova vitalità al comparto. Unico mezzo a mantenere un segno positivo, seppur molto più basso rispetto agli anni precedenti, è stato Internet (termine che, in questo caso, sbrigativamente include display advertising classica, paid search, directory on line e mobile advertising). Il valore assoluto degli investimenti è stato, secondo IAB, di 849 milioni di euro, in aumento del 6,4% sul 2008 (secondo Nielsen, +7,3% a 585 milioni). Tabella 3 – Media mix Italia, 2005-2009 (%) 2009 2008 2007 2006 2005 % 09-08 % 09-05 Quotidiani 17,09 17,82 18,78 18,27 18,83 -0,73 -1,74 Periodici 9,92 12,08 13,05 13,55 13,22 -2,15 -3,29 Televisione 49,29 47,58 46,38 48,07 50,47 1,71 -1,18 Radio 6,48 6,65 6,53 6,17 6,02 -0,17 0,46 Esterna 6,99 7,47 7,89 8,05 8,21 -0,48 -1,22 Cinema 0,63 0,57 0,69 0,80 0,90 0,06 -0,27 Internet 9,60 7,83 6,68 5,10 2,36 1,77 7,24 Fonte: elaborazioni IEM su dati Nielsen, UPA, Assocomunicazione.

Tabella 4 - Investimenti pubblicitari sui mezzi classici in Italia, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % ∆ % Mezzi Mln. Quota Mln. Quota Mln. Quota Mln. Quota Mln. Quota 09-08 09-05 € % € % € % € % € % Totale Stampa 2.388,49 29,88 3.030,03 34,39 3.229,83 35,97 3.043,64 35,58 2.964,31 35,04 -21,64 -19,43 Quotidiani a pagamento 1.407,99 17,61 1.658,34 18,82 1.773,07 19,75 1.716,41 20,07 1.713,71 20,26 -16,00 -17,84 Free press 102,92 1,29 140,21 1,59 128,29 1,43 31,21 0,36 28,04 0,33 -26,60 267,03 Periodici 877,57 10,98 1.231,48 13,98 1.328,48 14,80 1.296,02 15,15 1.222,56 14,45 -28,74 -28,22 Televisione 4.358,94 54,53 4.687,40 53,19 4.720,29 52,57 4.598,78 53,76 4.668,74 55,18 -10,15 -6,64 Radio 436,32 5,46 487,66 5,53 476,08 5,30 440,67 5,15 408,60 4,83 -7,74 6,78 Esterna 169,60 2,12 227,20 2,58 200,65 2,23 196,96 2,30 198,70 2,35 -25,35 -14,64 Cinema 55,75 0,70 58,32 0,66 69,79 0,78 76,19 0,89 83,04 0,98 -4,41 -32,86 Internet

2 Da maggio 2009 la banca dati Nielsen AdEx rileva anche le informazioni relative al Transit, la pubblicità dinamica gestita da IGPDecaux sulle metropolitane, gli aeroporti, gli autobus. Il dato, disaggregato, è riportato in Tab. 4.

112 Pubblicità 585,19 7,32 321,19 3,64 281,93 3,14 197,58 2,31 137,06 1,62 5,15 326,96 TOTALE 7.994,28 100 8.811,81 100 8.978,58 100 8.553,83 100 8.460,44 100 -9,28 -5,51 Principali variazioni rispetto ai dati Nielsen Radio (Assocomunicazione) 573 - 678 - 665 - 590 - 557 - -15,49 2,87 Esterna (Assocomunicazione) 618 - 762 - 803 - 770 - 759 - -18,90 -18,58 Internet + Mobile (IAB Italia) 849 - 798 - 680 - 488 - 218 - 6,39 289,45 Il dato Internet (Assointernet-IAB Italia) comprende display, search e altri tipi di advertising. Il numero di schermi cinematografici rilevati del 2008 non è confrontabile con il numero di schermi degli anni precedenti. Il dato sulla pubblicità esterna risente di nuove modalità di rilevazione nel corso degli anni. La somma degli investimenti rilevati nella Tabella 3 non corrisponde alla somma della Tabella 1 perché la Tabella 3 utilizza solo dati Nielsen. Sono stati quindi inserite le rilevazioni di altri Istituti che presentano le maggiori differenze nei dati. Fonte: elaborazione IEM su dati Nielsen Media Research et alia. Nel primo semestre del 2010 il dato continua a presentare un segno negativo per la stampa, che perde un ulteriore 3,5% rispetto al già brusco crollo del primo semestre dell’anno precedente. Alla tenuta dei quotidiani a pagamento (+0,5%), pur con significative differenze al loro interno (tiene la commerciale nazionale ma cade ancora la commerciale locale, che aveva peraltro perso meno della nazionale nel 2009, e cede il 5% la rubricata, che prosegue il suo movimento migratorio verso Internet), fanno da contraltare il crollo della free press (-8%, qui invece è la commerciale nazionale a perdere di più) e quello inarrestabile dei periodici, che perdono un ulteriore 9%. Tabella 5 - Investimenti pubblicitari sui mezzi classici in Italia (1H 2010 vs 1H 2009) Gen.-Giu. 2010 Gen.-Giu. 2009 Δ% 1H 10 – 1H 09 Totale Stampa 1.173,94 1.216,45 -3,5 Quotidiani a Pagamento 712,26 708,83 0,5 Commerciale Nazionale 366,30 352,54 3,9 Commerciale Locale 209,15 211,76 -1,2 Rubricata + Di Servizio 136,81 144,53 -5,3 Quotidiani Free/Paypress 48,99 53,38 -8,2 Commerciale Nazionale 35,93 39,50 -9,1 Commerciale Locale 12,35 13,14 -6,0 Rubricata + Di Servizio 0,72 0,74 -2,4 Periodici 412,69 454,24 -9,1 Tv 2.558,15 2.385,19 7,3 Radio 249,61 217,43 14,8 Tabellare 231,10 200,20 15,4 Extra Tabellare 18,51 17,23 7,5 Internet (escluso search) 175,40 153,11 14,6 Affissioni 74,63 68,40 9,1 Cinema 23,29 23,21 0,3 Cards* 3,50 3,49 0,3 Direct Mail* 258,18 247,03 4,5 Out Of Home Tv* 4,92 4,59 7,3 Transit* 58,42 56,23 3,8 Totale 4.580,04 4.375,19 4,7 Note: dati in milioni di euro; (*) nuove rilevazioni Nielsen, afferenti il campo del c.d. below the line. Fonte: elaborazione IEM su dati Nielsen Media Research. La ripresa si presenta più robusta per la radio (+15%) e le affissioni (+9%) ma il dato è positivo Pubblicità 113 anche per la televisione, che recupera un 7% variamente distribuito (le grandi generaliste intorno al 5%, le tv satellitari oltre il 40%), e per il display advertising su Internet (+14,6%). Riguardo alle categorie merceologiche degli investitori sui mezzi classici, il 2009 ha mostrato cali generalizzati un po’ in tutti i principali comparti (significative eccezioni tra i minori: tempo libero e viaggi), mentre la prima metà del 2010 vede segni positivi un po’ ovunque (in particolare per consumi primari come Alimentari, Distribuzione, Casa e Toiletries).

Tabella 6 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici per settore merceologico (2006 – 1H 2010) Settori Δ% 1H10- 2006 % 07-06 2007 % 08-07 2008 % 09-08 2009 1H10 Merceologici 1H09 Alimentari 1.062,16 3,76 1.103,67 1,59 1.121,27 -6,50 1.052,79 600,62 10,0 Automobili 928,69 8,55 1.015,57 -4,38 971,05 -19,28 814,09 476,85 1,1 Telecomunicazioni 648,94 13,69 751,83 3,28 776,52 -7,16 724,65 411,31 2,3 Abbigliamento 462,05 21,93 591,81 2,00 603,63 -29,07 467,68 238,62 5,1 Bevande/Alcoolici 458,44 1,30 464,49 -3,36 448,86 -16,34 385,83 228,38 9,2 Finanza/Assicurazioni 362,79 15,02 426,90 21,61 519,14 -20,65 430,27 217,05 -0,7 Distribuzione 282,57 11,96 320,93 49,69 480,42 -16,77 411,44 213,70 17,6 Media/Editoria 441,58 6,57 472,65 20,65 570,23 -25,80 453,29 208,21 -4,2 Toiletries 305,04 3,88 317,36 8,22 343,44 -3,90 330,56 196,41 11,6 Cura Persona 317,73 16,23 379,27 -4,22 363,26 -16,83 310,92 174,87 7,5 Gestione Casa 280,25 8,60 306,62 -7,93 282,29 -7,92 261,58 164,11 16,9 Farmaceutici/Sanitari 217,25 16,04 258,73 8,96 281,92 -4,61 269,50 161,88 -3,1 Abitazione 279,98 11,46 316,22 12,71 356,40 -14,01 312,61 155,87 -1,4 Turismo/Viaggi 161,15 10,88 180,82 22,77 221,99 9,58 245,52 99,11 -16,0 Enti/Istituzioni 134,99 2,12 137,92 67,34 230,79 10,07 256,62 98,68 2,4 Tempo Libero 106,58 3,48 110,42 26,10 139,24 1,76 141,73 91,24 6,9 Industria/Edilizia/Attivita’ 100,59 35,58 156,14 25,67 196,22 -40,81 139,35 87,78 20,5 Servizi Professionali 154,36 10,98 173,41 26,48 219,32 -24,35 176,38 79,17 -1,6 Elettrodomestici 88,34 43,80 157,18 -7,39 145,57 -21,56 119,75 71,92 27,7 Oggetti Personali

114 Pubblicità 148,22 27,28 203,81 -12,71 177,90 -35,65 131,15 57,59 25,7 Moto/Veicoli 60,01 11,23 67,60 6,60 72,06 -19,38 60,36 35,52 -0,4 Giochi/Articoli Scolastici 60,43 37,43 96,58 25,80 121,50 -16,48 104,31 35,46 7,6 Informatica/Fotografia 83,21 11,89 94,44 11,65 105,44 -18,86 88,71 28,71 28,6 Varie 57,52 14,02 66,90 185,49 190,99 -19,68 159,59 56,89 13,2 Note: dati in milioni di euro. Tabella ordinata per 1H 2010. Fonte: elaborazione IEM su dati Nielsen Media Research.

3. Il confronto internazionale

In termini di benchmark, il confronto dell’investimento pubblicitario in Francia, Regno Unito, Germania e Spagna mostra come, con l’eccezione della Spagna che perde oltre il 20%, le flessioni complessive dei vari Paesi siano state, nel 2009, intorno al 10%. In tutti i Paesi la stampa perde più della televisione (con la parziale eccezione della Spagna, dove il crollo della tv è stato superiore a quello dei quotidiani) e i periodici perdono più dei quotidiani (ad esclusione della Francia). Internet è l’unico mezzo a mostrare un segno positivo in tutti i Paesi, ma ad una sola cifra (tra il 7 e l’8%). Il media mix, quindi, tradizionalmente differente da Paese e Paese con specifiche declinazioni (la forza dei quotidiani in Germania e, ad un minor livello, nel Regno Unito; la predominanza del mezzo televisivo in Italia…), vede un rafforzamento della televisione rispetto alla stampa ma, soprattutto, una incidenza decisamente crescente di Internet. Nel Regno Unito, infatti, complice la crisi, il mezzo ha superato la televisione e i quotidiani, rappresentando quasi il 30% della spesa e sfiorando i 4 miliardi di euro. In Germania, con 2,7 miliardi di ricavi netti, Internet rappresenta il 19% del mercato pubblicitario sui mezzi classici, fra i quali sono leader i quotidiani e la televisione. In Francia il valore sfiora i 2 miliardi e la quota è giunta al 18%. Decisamente inferiori gli investimenti in Italia (849 milioni) e Spagna (654), con quote ferme, rispettivamente, al 9,6 e all’11,6%. Tabella 7 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici nei Big 5 europei, 2009 Germania Regno Unito Francia Italia Spagna Mezzi Mln. € Quota % Mln. €* Quota % Mln. € Quota % Mln. € Quota % Mln. € Quota % Stampa 6.245 44,4 4.941 35,3 3.750 35,0 2.389 27,0 1.645 29,3 Quotidiani 3.694 26,3 3.652 26,1 2.043 19,1 1.511 17,1 1.174 20,9 Periodici 2.551 18,1 1.289 9,2 1.707 15,9 878 9,9 471 8,4 Televisione 3.640 25,9 3.520 25,2 3.094 28,9 4.359 49,3 2.368 42,1 Radio 679 4,8 485 3,5 710 6,6 573 6,5 537 9,6 Esterna 738 5,2 878 6,3 1.127 10,5 618 7,0 401 7,1 Cinema 72 0,5 199 1,4 77 0,7 56 0,6 15 0,3 Internet 2.696 19,2 3.967 28,4 1.966 18,3 849 9,6 654 11,6 Totale 14.068 100 13.989 100 10.724 100 8.843 100 5.621 100 Note: dati in milioni di euro; supplementi e domenicali inclusi in Periodici; (*) tasso di cambio medio anno 2009 (1€=0,89094£), fonte Ufficio cambi Banca d’Italia. Fonte: elaborazioni IEM su dati WARC, IREP/France Pub, Infoadex, ZAW, Nielsen, Assocomunicazione, IAB. La crisi, e le fluttuazioni del cambio euro/sterlina, hanno permesso alla Germania di scalzare il Regno Unito dalla leadership del mercato pubblicitario sui mezzi classici: il valore del mercato tedesco è sceso a poco più di 14 miliardi di euro, circa 100 milioni in più del Regno Unito. Ciò si deve, in particolare, alla tenuta della stampa tedesca, che mostra perdite decisamente inferiori:

Pubblicità 115 in due anni i quotidiani tedeschi hanno perso circa 1/5 dei propri ricavi pubblicitari, mentre gli omologhi britannici ne hanno visto sfumare circa 1/3 (in maniera proporzionale, si può aggiungere, con la diffusione del consumo di Internet nei due paesi).

Tabella 8 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici in Francia, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 % 09-08 % 09-05 Televisione 3094 3476 3617 3495 3313 -11,0 -6,6 Radio 710 779 805 848 836 -8,9 -15,1 Quotidiani 2043 2527 2629 2636 2537 -19,2 -19,5 Periodici 1707 2071 2162 2236 2243 -17,6 -23,9 Esterna 1127 1265 1237 1221 1223 -10,9 -7,8 Cinema 77 75 89 82 78 2,7 -1,3 Internet 1966 1821 1537 729 382 8,0 414,7 Totale 10724 12014 12076 11247 10612 -10,7 1,1 Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su dati IREP/France Pub.

Crollo della stampa, ascesa di Internet e la sfida portata alla leadership televisiva, sono quindi i principali movimenti che riguardano la competizione interna fra i c.d. mezzi classici (inserendo nominalmente Internet fra di essi) in tutti i Paesi, pur senza sottovalutare elementi di rilevanza come il ruolo della radio, la ricerca di una pianificazione efficiente per il cinema, e la rilevanza dell’esterna alle prese con le mutazioni dell’arredo urbano. Certo è che il peso raggiunto da Internet rimane un indicatore incontrovertibile della capacità degli investitori pubblicitari di raccogliere le nuove sfide ed opportunità e, al contrario, della vischiosità degli investimenti nei mercati sud-europei.

Tabella 9 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici in Germania, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 % 09-08 % 09-05 Televisione 3640 4036 4156 4114 3930 -9,8 -7,4 Radio 679 720 743 681 664 -5,7 2,2 Quotidiani 3694 4373 4567 4533 4477 -15,5 -17,5 Periodici 2551 3077 3198 3162 3037 -17,1 -16,0 Esterna 738 805 820 787 769 -8,4 -4,1 Cinema 72 77 106 118 132 -6,5 -45,9 Internet 2696 2498 2093 1500 682 7,9 295,3 Totale 14068 15585 15684 14895 13691 -9,7 2,8 Note: dati in milioni di euro. Domenicali e supplementi inclusi in Periodici. Fonte: elaborazioni IEM su dati Zaw.

116 Pubblicità Tabella 10 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici in Regno Unito, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 % 09-08 % 09-05 Televisione 3520 3895 4014 3886 4058 -9,6 -13,3 Radio 485 548 586 575 595 -11,5 -18,5 Quotidiani 3652 4509 5247 5271 5507 -19,0 -33,7 Periodici 1289 1779 1974 2052 2122 -27,6 -39,3 Esterna 878 1054 1095 1217 1171 -16,7 -25,0 Cinema 199 229 231 211 211 -13,2 -5,9 Internet 3967 3703 3156 2263 1533 7,1 158,7 Totale 13989 15716 16304 15474 15196 -11,0 -7,9 Note: dati in milioni di euro. Cambio medio 2009: 1€ = 0,89094£. Fonte: elaborazioni IEM su dati Warc.

Figura 5 - Investimenti pubblicitari pro capite su mezzi classici (2005-2009)

2005 2006 2007 2008 2009

251,4 255,3 Regno Unito 268,3 257,9 228,9

166,1 180,7 Germania 190,3 189,2 170,9

175,0 184,8 Francia 189,5 187,5 167,4

166,6 180,9 Spagna 197,4 175,4 138,7

145,6 147,1 Italia 154,4 151,6 137,5

0,0 50,0 100,0 150,0 200,0 250,0 300,0

Note: dati in euro. Fonte: elaborazioni IEM su fonti tabelle precedeni e CIA World Factbook.

Pubblicità 117 Tabella 11 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici in Spagna, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 % 09-08 % 09-05 Televisione 2368 3082 3469 3188 2951 -23,2 -19,8 Radio 537 642 678 637 610 -16,3 -11,9 Quotidiani 1174 1508 1894 1791 1666 -22,1 -29,5 Periodici 471 721 855 811 794 -34,7 -40,7 Esterna 401 518 568 529 494 -22,6 -18,7 Cinema 15 21 38 41 43 -26,7 -64,1 Internet 654 610 482 310 162 7,2 302,8 Totale 5621 7103 7985 7307 6721 -20,9 -16,4 Note: dati in milioni di euro. Domenicali inclusi in Periodici. Fonte: elaborazioni IEM su dati Infoadex. Naturalmente, l’indicatore degli investimenti pro capite sui mezzi classici è in caduta in tutti i Paesi per il 2009, con il Regno Unito - storicamente leader - a 229 euro annui (268 nel 2007), Francia e Germania scese intorno ai 170, Italia e Spagna poco meno di 140, con la Spagna che era cresciuta a ben 197 euro (seconda dopo il Regno Unito) nel 2007.

118 Pubblicità Telecomunicazioni fisse e banda larga

Musica registrata 119 Telecomunicazioni fisse e banda larga di Lorenzo Principali

1. Il mercato dei servizi di rete fissa e la banda larga

Nel mercato delle telecomunicazioni continuano ad accentuarsi le tendenze osservate negli ultimi anni: insieme alla progressiva diminuzione del peso della fonia fissa e al parallelo aumento dei servizi mobili, assumono un peso sempre più rilevante la diffusione della banda larga (sia fissa che wireless), la conseguente riduzione del digital divide, sia territoriale sia relativo alle competenze informatiche della popolazione, e le politiche relative alla creazione di una rete di nuova generazione. Anche le tlc fisse hanno risentito della crisi finanziaria, presentando volumi in decremento di circa il 2,3% rispetto al 2008. Come rilevato anche negli anni precedenti è il segmento fisso a presentare le performance meno positive (-3,3%), mentre si osserva la maggiore resistenza del comparto mobile (-1,5%). Tabella 1 - Il mercato delle Tlc in Italia 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 09-05 Telefonia fissa 19.070 19.730 20.130 20.398 20.490 -3,35 -1,78% Telefonia mobile 24.015 24.390 24.070 23.642 22.625 -1,54 1,50% Totale Tlc 43.085 44.120 44.200 44.040 43.115 -2,35 -0,02% Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting. Rispetto ai servizi di rete (Tab. 2) si nota come il trend negativo del settore fisso nel quinquennio 2005-2009 si sia acuito nell’ultimo anno e come la crescita costante del comparto mobile nello stesso 2009 non sia stata in grado di compensare il decremento del mercato servizi nel suo complesso. Tabella 2 - Mercato dei servizi di rete fissa e mobile, 2005 - 2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 09-05 Fisso 15.390 15.770 16.070 16.310 16.545 -2,41 -1,79% Mobile 18.825 18.760 18.510 18.040 17.170 0,35 2,33% Totale 34.215 34.530 34.580 34.350 33.635 -0,91 0,43% Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting. I dati relativi all’ultimo quinquennio (fig.1) mostrano come il peso del mercato dei servizi di rete fissa sul totale sia diminuito progressivamente, mentre si è registrata la parallela crescita

120 Telecomunicazioni fisse e banda larga del segmento mobile, con una forbice nel 2009 vicina ai 3,5 miliardi di euro annui. Figura 1 - Mercato dei servizi di rete fissa e mobile, 2005 - 2009

20.000

19.000

18.000 18.825 18.760 18.510

17.000 18.040

16.000 17.170

15.000 16.465 16.310 16.070 15.770 15.390 14.000 2005 2006 2007 2008 2009

Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting. Nel dettaglio (Tab.3), l’andamento negativo dei servizi di rete fissa è dovuto a tre fattori: in primis il crollo del mercato della fonia classica (-7,3% sul 2008 e quasi -6% medio annuo nell’ultimo quinquennio), che deriva dalla progressiva affermazione delle tariffe flat; in secondo luogo il repentino calo dei prezzi, frutto di una crescente concorrenza fra gli operatori, e infine il prevedibile rallentamento della crescita degli abbonamenti di accesso ad Internet a banda larga che, sebbene in costante aumento (+4,5% sul 2008), non sono riusciti a compensare il calo della fonia fissa mostrando percentuali di crescita decisamente inferiori al tasso medio dell’ultimo quinquennio (7,9% tra il 2005 e il 2009). Inoltre, se da un lato il mercato della trasmissione dati appare in crisi, attestato ora a quota 1,1 mld di euro (-5% sul 2008, valore in linea con il calo medio annuo registrato nel quinquennio), dall’altro prosegue la crescita dei servizi a valore aggiunto, che anzi vedono un incremento anno su anno dal 3% al 4,8%, dovuto preminentemente ai clienti business. Tabella 3 - Mercato dei servizi tlc di rete fissa, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 09-05 Fonia 7.780 8.390 9.010 9.490 9.950 -7,27 -5,97% VAS* 3.270 3.120 3.030 2.920 2.745 4,81 4,47% Accessi Internet 3.240 3.100 2.780 2.570 2.390 4,52 7,90% Trasmissione dati 1.100 1.160 1.250 1.330 1.380 -5,17 -5,51% Totale 15.390 15.770 16.070 16.310 16.645 -2,41 -1,94% Note: dati in milioni di euro; (*) includono servizi di infotainment, di personalizzazione, giochi e servizi di comunicazione. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting. Analizzando i servizi voce di rete fissa per direttrice (Tab. 4) si nota distintamente il calo generalizzato della fonia vocale, peraltro con picchi di decremento molto importanti: oltre al crollo delle connessioni ad Internet in modalità dial up, progressivamente sostituite dalle connessioni a banda larga, diminuiscono di quasi 1/5 le chiamate internazionali, probabilmente per l’abbattimento delle tariffe determinato dal roaming e per via della diffusione dell’uso di servizi di VoIp presso l’utenza connessa in banda larga. Diminuiscono in modo consistente anche le chiamate da fisso a mobile, il cui andamento quinquennale mostra la progressiva

Telecomunicazioni fisse e banda larga 121 evoluzione nelle modalità di consumo da parte degli utenti, sempre più attenti all’utilizzo delle tariffe più convenienti e quindi al matching tra il punto di accesso e il punto di destinazione della chiamata (fisso-verso-fisso e mobile-verso-mobile). Tabella 4 - Traffico dei servizi voce di rete fissa per direttrice, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09- 08 Cagr 09-05 Locale 48,0 50,0 52,0 54,3 52,3 -4,08 -2,14% Nazionale 30,7 30,5 29,5 27,0 40,2 0,72 -6,52% Fisso-mobile 13,4 14,9 15,8 16,8 20,1 -10,33 -9,69% Internet dial-up 7,8 12,0 17,4 31,9 n.d. -34,72 - Internazionale 3,8 4,7 4,7 5,1 3,6 -19,11 1,43% Totale 103,7 112,1 119,4 135,1 116,2 -7,52 -2,81% Note: dati in miliardi di minuti. Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom. Osservando nel dettaglio la diffusione della banda larga presso la popolazione (fig. 2) si nota come, dopo anni di crescita in doppia cifra, il numero di accessi tenda a stabilizzarsi, essendo passato dal +44,6% del 2006 al +10,9% del 2008. Ciononostante, nel 2009 le linee sono cresciute del 9,8%, attestandosi a quota 12,3 milioni e mostrando una tenuta migliore rispetto a quanto preventivabile osservando il trend 2005-2009. Figura 2 - Accessi a banda larga in Italia su rete fissa, 2005 - 2010

14 50% Milioni di accessi Variaz % 12,3 45% 12 44,6% 11,2 40% 10,1 10 35% 8,5 30% 8 6,8 25% 6 25,0% 4,7 20% 18,8% 4 15% 10% 2 10,9% 9,8% 5%

0 0% gen-05 gen-06 gen-07 gen-08 gen-09 gen-10

Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom. Nel considerare questa buona performance, tuttavia, occorre sottolineare che la quota abbonati broadband in Italia e il relativo tasso di crescita non risultano soddisfacenti se comparati a quelli degli altri Paesi europei1. Il dato relativo alla penetrazione del broadband nelle famiglie italiane presenta valori piuttosto diversi a seconda delle fonti analizzate (tab. 4): se per l’Autorithy la banda larga ha raggiunto quota 43% delle famiglie (+2,7% sul 2008), inferiori risultano le percentuali fornite da Between

1 Cfr. paragrafo 3.

122 Telecomunicazioni fisse e banda larga (39%)2 e soprattutto dall’Istat (34,5%)3. Relativamente alle ultime due fonti, tali discrepanze sono dovute sia a diverse metodologie di campionamento (la prima utilizza un campione di 4mila famiglie, la seconda un campione di 19mila), sia alle diverse tempistiche di rilevazione (giugno 2010 contro febbraio 2009) sia alla rilevazione o meno delle connessioni tramite dispositivi mobili (Between le stima in circa un milione e mezzo di unità separandole dalle connessioni di rete fissa, mentre Agcom sembra non darne conto). Tabella 5 - Confronto dei dati di penetrazione del broadband su rete fissa nelle famiglie italiane Penetrazione Broadband nelle famiglie italiane Fonte 2009 2008 Agcom 43 40,3 Between 39 36 Istat 34,5 27,6 Elaborazioni Iem su fonti varie. Per ovviare alle discrepanze derivanti dal calcolo delle famiglie, in sede europea si utilizza il dato relativo alla penetrazione rispetto a singoli abitanti, sebbene tale metodologia sovrastimi il ritardo italiano rispetto agli altri paesi europei per via della presenza di una maggiore percentuale di individui over 65 rispetto al totale della popolazione. Al netto di tali considerazioni, in termini di penetrazione rispetto ai singoli abitanti, il broadband italiano presenta ad aprile 2010 una diffusione pari al 20,6% della popolazione (tab. 6), distante dai valori raggiunti dagli altri grandi Paesi europei e soprattutto da quelli scandinavi4. Tabella 6 - Confronto dei dati di penetrazione del broadband su rete fissa nelle famiglie italiane Anno Penetrazione (%) Accessi broadband (in milioni) Popolazione (n. abitanti) gen-06 11,6 6,8 58.751.711 gen-07 14,4 8,5 59.131.287 gen-08 17,0 10,1 59.619.290 gen-09 18,7 11,2 60.045.068 gen-10 20,4 12,3 60.340.328 apr-10 20,6 12,5 60.418.559 Fonte: elaborazioni Iem su dati Agcom (accessi broadband ) e Istat (individui residenti in Italia). Anche dall’analisi delle altre variabili connesse allo sviluppo della banda larga, cioè la diffusione di Internet e del pc presso la popolazione, emergono risultati diversi a seconda delle fonti considerate: Between stima una crescita di Internet e pc ad un tasso rispettivamente di 1 e 2 punti percentuali annui, valori che rischierebbero seriamente di determinare la saturazione del mercato broadband allorché questo raggiungerà la totalità della popolazione alfabetizzata digitalmente (ovvero dotata di almeno un pc). Più incoraggianti i dati Istat, che rivelerebbero un sensibile incremento di tutte le componenti, addirittura superiore alle attese derivanti dai trend degli anni passati: la diffusione del pc, dopo aver toccato il tasso di crescita minimo nel 2008 (+2,3%), tornerebbe a salire di oltre il 4%; allo stesso modo, la diffusione di Internet risulterebbe in aumento di oltre 5 punti, alimentando così la massa critica per la penetrazione del broadband, in crescita di quasi 7 punti rispetto ai 5 del 20085.

2 Rapporto Between “La domanda di connettività e servizi a Banda Larga nelle famiglie italiane”, giugno 2010. 3 Rapporto Istat “Cittadini e nuove tecnologie”, dicembre 2009. 4 Cfr. paragrafo 3. 5 La categoria “connessione ad Internet” comprende sia le connessioni in banda larga che quelle in banda stretta e in modalità dial up. Al momento, tuttavia, non esiste né in Italia né in Europa una soglia determinata e unanimemente riconosciuta della capacità di trasmissione dati sopra la quale una connessione possa essere definita “a banda larga”. In sede europea, nella Raccomandazione della Commissione relativa ai mercati rilevanti di prodotti e servizi del settore delle comunicazioni elettroniche suscettibili di una regolamentazione ex ante ai sensi della diret- tiva 2002/21/CE si afferma che “i servizi Internet ad ampiezza di banda superiore o a banda larga si distinguono per

Telecomunicazioni fisse e banda larga 123 Tabella 7 - Famiglie dotate di pc, internet e broadband (%) Fonte Tecnologia 2009 2008 2007 2006 Bb 34,5 27,6 22,6 11,6 Istat Internet 47,3 42 38,8 34,5 Pc 54,3 50,2 47,8 43,9 Bb 39 36 32 25 Between Internet 42 42 40 39 Pc 52 50 48 46 Elaborazioni Iem su fonti varie. Anche orientandosi verso la prospettiva più positiva, dal confronto (fig. 3) tra l’utilizzo frequente di Internet e l’analfabetismo informatico (individui che non hanno mai utilizzato un pc), se da un lato si osserva la progressiva diffusione delle competenze digitali presso la popolazione (oltre il 40% degli italiani si connette al web almeno una volta a settimana), dall’altro si nota chiaramente come la percentuale di “esclusi” dalla e-society appaia decisamente ancora troppo elevata. Figura 3 - Utilizzo di internet e pc in Italia, 2006 - 2009 (%) 60 54 49 50 45 42 43 40 37 34 31 30

20

10

0 2006 2007 2008 2009 individui che si connettono ad internet almeno 1 volta a settimana individui che non utilizzano mai il pc

Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat.

A livello territoriale, Between ed Epitiro stimano una copertura di rete fissa della popolazione italiana pari al 96%, che tocca il 99% nelle aree urbane (zone con più di 500 abitanti per km2 ) scendendo sotto l’85% nelle aree rurali (meno di 100 ab. per km2). La copertura complessiva scende al 92% considerando gli abitanti che, oltre ad essere attestati nel raggio di una centrale telefonica abilitata al servizio, non hanno nessun impedimento tecnico aggiuntivo6. Un valore ancora inferiore, pari all’87% della popolazione, emerge escludendo le utenze collegate a linee eccessivamente distanti dalle centrali, connesse ad apparati obsoleti o a centrali telefoniche che

consentire una capacità digitale in entrata per gli utenti finali superiore a 128 kbit/s.”, ragione per la quale si tende a definire banda larga tutte le connessioni con capacità superiore a questa soglia, propria dell’ISDN. Tuttavia, con- siderando che il valore appare, alla luce dei rapidi aggiornamenti tecnologici, estremamente basso, la nuova soglia potrebbe essere desumibile dall’Agenda digitale, che ha fissato l’obiettivo di coprire tutta la popolazione entro il 2013 considerando come banda larga di base una capacità di connessione ≥2Mb/s (cfr. IP/10/581, 19 maggio 2010). 6 Rapporto Broadband Quality Index, Between e Epitiro, gennaio 2010.

124 Telecomunicazioni fisse e banda larga non forniscono servizi con banda nominale superiore ai 2 Mbps. I comuni la cui popolazione è coperta oltre il 95% sono 6500, mentre 750 presentano valori tra il 95% e il 5%. Circa 850 comuni, infine, restano in condizioni di digital divide (meno del 5% dei propri abitanti sono raggiunti dal broadband). Tabella 8 - Copertura lorda del broadband rispetto alla popolazione (in % per aree di residenza) Copertura lorda (% popolazione) In aree urbane* In aree suburbane* In aree rurali* 96% 99% 95% 85% Note: * aree urbane: > 500 ab. per km2; aree suburbane: 100-500 ab./km2; aree rurali: <100 ab./km2. Fonte: elaborazione Iem su dati Between - Epitiro (gennaio 2010).

Tabella 9 - Copertura lorda del broadband rispetto alla popolazione (in % per comuni di residenza) Copertura lorda (% popolazione) Copertura >95% Copertura tra il 6 e il 95% Copertura <5% Comuni coperti 6500 750 850 Fonte: elaborazione Iem su dati Between - Epitiro (gennaio 2010). Per ciò che concerne i tassi di adozione del broadband a livello regionale, l’Agcom stima una penetrazione che presenta valori ancora piuttosto diversi da caso a caso: Lazio, Campania e Lombardia vantano le migliori performance, vicine al 50% delle famiglie, mentre in Calabria e Basilicata gli abbonamenti a banda larga sono stati sottoscritti da meno di una famiglia su tre. Il Molise resta il fanalino di coda, con una percentuale di diffusione che supera di poco una famiglia su quattro. Tabella 10 - Diffusione degli accessi a larga banda (marzo 2010, in % delle famiglie) Piemonte 39,9 Molise 26,7 Valle d’Aosta 36,5 Campania 48,3 Lombardia 47,7 Puglia 39,7 Trentino-Alto Adige 36,9 Basilicata 31,8 Veneto 39,9 Calabria 31,6 Friuli-Venezia Giulia 39,4 Sicilia 40,4 Liguria 42,8 Sardegna 39,6 Emilia-Romagna 41,9 ITALIA 43 Toscana 42,4 Principali Comuni 54,6 Umbria 36,5 Nord Ovest 44,9 Marche 42,2 Nord Est 40,4 Lazio 51,5 Centro 46,3 Abruzzo 37,0 Sud e Isole 40,7 Fonte: Agcom. Anche per quanto concerne la capacità di banda, le velocità medie delle linee attive risultano ancora poco performanti: quasi il 23% viaggia sotto i due Megabit al secondo, mentre gli abbonamenti ad alta velocità (sopra i 10 Mb/s nominali7) non raggiungono il 7% delle connessioni totali. Sebbene gli operatori alternativi all’incumbent mostrino percentuali migliori rispetto alle connessione “base” (solo 13% di abbonamenti sotto i 2 Mb/s) i loro valori relativi alle connessioni ad alta capacità appaiono decisamente modesti (sotto il 3%). 7 I dati forniti dall’Agcom si riferiscono alle capacità di banda dichiarate dagli operatori. Poiché queste sono apparse in molti casi inferiori alle capacità effettive, la stessa Autorità ha realizzato, d’intesa con la Fondazione Ugo Bordoni e l’Istituto superiore delle comunicazioni (Iscti), un software certificato, distribuito gratuitamente tramite il web per permettere alla popolazione abbonata di verificare l’effettiva velocità di connessione offerta dagli operatori. Inoltre, grazie alla sinergia con supermoney.eu, gli utenti potranno confrontare i prezzi delle offerte Adsl sul mer- cato tramite un benchmark fissato per profilo e area geografica. Nel caso gli utenti verifichino con questi strumenti l’inadeguatezza delle offerte ADSL rispetto alle promesse, potranno esercitare il diritto di recesso giacché i risultati ottenuti attraverso il software certificato avranno valore legale.

Telecomunicazioni fisse e banda larga 125 Figura 4 - La capacità delle linee broadband in Italia, 2009

100% 2,9 7,7 5,8 90%

80%

70%

60% 69,5 71 83,7 50%

40%

30%

20%

10% 22,8 23,2 13,4 0% Accessi totali Linee Dsl Nuovi entranti ≥ 10 Mbps ≥ 2 Mbps and <10 Mbps ≥ 144 Kbps and < 2 Mbps

Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom

2. Gli operatori, gli investimenti e l’ultra broadband

Anche nel 2009 è diminuita la quota di mercato detenuta dall’incumbent, seppur con valori diversi a seconda dei comparti considerati. Il valore minimo si registra nelle quote di mercato della telefonia vocale fissa (rete commutata e a banda larga) dove Telecom Italia è sceso sotto il 55% (con punte del 54,6% per quanto riguarda il segmento residenziale). Gli operatori che si avvantaggiano maggiormente di tale riduzione sono Fastweb, Wind e Vodafone: il primo è giunto a detenere il 16,5% del settore (+12% rispetto al 2008) mentre Wind ha rafforzato la propria terza posizione toccando quota 8,4%. Vodafone, con una crescita anno su anno di oltre il 12%, si è avvicinato a British Telecom: quest’ultimo, specializzato nella clientela affari, detiene presso questa tipologia di utenza il 13% del mercato, valore che lo rende il terzo operatore assoluto nel segmento business ed il quarto sul mercato totale, con il 6,4%. Tabella 11 - Quote di mercato nella telefonia vocale fissa (in volume %), 2005 - 2008 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 09-05 Telecom Italia 54,9 57,3 59,6 59,6 63,9 -4,19 -3,72% Fastweb 16,5 14,7 12,3 9,5 5,8 12,24 29,87% Wind 8,4 7,7 7,4 9,4 9,2 9,09 -2,25% BT Italia 6,4 6,7 6,9 6,7 6,1 -4,48 1,21% Vodafone Italia 6,2 5,5 5,8 5,9 6,3 12,73 -0,40% Tiscali 2,8 3 2,6 2 1,1 -6,67 26,31% Altri 4,7 5,2 5,4 6,9 7,6 -9,62 -11,32% Totale 100 100 100 100 100 - - Fonte: elaborazione IEM su dati Agcom. Il valore totale del mercato della telefonia fissa è sceso a 8,16 miliardi di euro (-300 milioni di euro rispetto al 2008), riduzione dovuta interamente al comparto business e che il settore

126 Telecomunicazioni fisse e banda larga residenziale non è stato in grado di colmare, pur passando da 4,14 a 4,16 miliardi di euro annui. Più alta è la quota di Telecom Italia se si fa riferimento al dato complessivo della spesa di famiglie e imprese in servizi tlc su rete fissa, attestata nel 2009 al 64,1%, in calo di 2 punti sull’anno precedente. Nell’intero settore, che passa da 16,6 a 16,2 miliardi di euro annuali, sono Fastweb, Wind e Vodafone a guadagnare terreno: il primo fa registrare la migliore performance annuale guadagnando l’1,5% e si avvicina al 10% complessivo; Wind si porta al 7,7% mentre Vodafone guadagna terreno su British Telecom, che pure cresce dello 0,1% nel proprio comparto di riferimento. Nel segmento business la concorrenza degli Olo appare complessivamente più agguerrita, come mostra la discesa dell’incumbent dal 63,7 al 61,5%: Fastweb si afferma quale secondo operatore, scavalcando la stessa BT (11,7% contro 11,6%). Tabella 12 - Spesa finale degli utenti per operatore (%) Spesa utenti di cui residenziali di cui affari 2009 2008 2009 2008 2009 2008 Telecom Italia 64,1 66,1 66,7 68,8 61,5 63,6 Fastweb 9,9 8,4 8,1 7,1 11,7 9,6 Wind 7,7 7,0 12,4 11,2 3,2 3,1 BT Italia 5,8 6,0 0 0 11,6 11,5 Vodafone Italia 4,3 3,4 7,7 6,4 0,8 0,6 Tiscali 1,8 1,7 3,3 2,8 0,5 0,6 Altri 7,3 6,5 3,2 2,3 11,1 10,6 Totale % 100 100 100 100 100 100 Totale (miliardi di euro) 16,66 16,2 7,96 8,05 8,7 8,15 Fonte: Agcom. È nel mercato della banda larga, tuttavia, che la competizione raggiunge il livello più alto: rispetto al giro d’affari complessivo, che nel 2009 è arrivato a 3,94 miliardi di euro (+7,7% sull’anno precedente), la quota di Telecom scende al 45,6% dei ricavi broadband. Wind guadagna oltre 1 punto avvicinandosi al 10% complessivo mentre Vodafone, cresciuta di quasi 2 punti percentuali, supera British Telecom (-0,4%) e Tiscali (-0,2%). Fastweb rafforza la propria seconda posizione: oltre a raggiungere il proprio apice tra i clienti business (32,3%), riduce il proprio distacco da Telecom di quasi 7 punti nel solo 2009 e si attesta a quota 28,4% del mercato broadband. Tabella 13 - Ricavi da servizi finali su rete a larga banda (%) Totale di cui residenziali di cui affari 2009 2008 2009 2008 2009 2008 Telecom Italia 45,6 48,3 42,6 43,5 48,7 52,6 Fastweb 28,4 27,8 24,7 25,6 32,3 29,8 Wind 9,8 8,7 15,5 14,1 3,8 3,8 Vodafone Italia 4,7 2,8 6,9 5 2,3 0,8 Tiscali 4,6 4,8 7,7 9,1 1,2 0,9 BT Italia 3,4 3,8 0 0 6,9 7,2 Altri 3,6 3,8 2,5 2,6 4,7 4,8 Totale 100 100 100 100 100 100 Totale (miliardi di euro) 3,94 3,68 2,02 1,76 1,92 1,92 Fonte: Agcom Anche nell’analisi degli accessi fisici alla rete decresce sensibilmente la quota di mercato di Telecom Italia, scesa in appena 15 mesi di oltre 5 punti percentuali e attestata ora al 73,5% del mercato. Per converso si osserva il progressivo avanzamento degli Olo che, in poco più di un anno, hanno fatto registrare un incremento di oltre 1 milione di unità, avvicinandosi a quota

Telecomunicazioni fisse e banda larga 127 6 milioni. Si rilevano inoltre la crescita degli accessi in full unbundling, aumentati di oltre 700 mila unità, e il decremento degli accessi complessivi (totale linee incluse quelle telefoniche), a riprova del progressivo spostamento dell’utenza verso l’utilizzo di connessioni mobili. Tabella 14 - Accessi fisici alla rete fissa (in migliaia) Dic 08 Dic 09 Mar 10 Accessi Telecom Italia 17.372 16.116 15.931 Accessi OLO 4.667 5.583 5.730 Full Unbundling 3.664 4.273 4.366 Virtual ULL 183 102 97 Fibra 248 269 271 DSL Naked 572 939 996 Accessi Complessivi 22.039 21.699 21.661 Quota Telecom Italia (%) 78,8 74,3 73,5 Fonte: Agcom. Per ciò che concerne gli investimenti in immobilizzazioni, il comparto di rete fissa ha registrato un sensibile incremento, in netta controtendenza rispetto al mercato mobile e all’intera economia italiana: Telecom mantiene il primato in termini assoluti, facendo segnare un aumento dell’1,8% rispetto al 2008, ma in termini percentuali crescono in misura maggiore gli altri operatori, i cui volumi sono aumentati di oltre il 12%, avvicinandosi complessivamente a quota 1,5 mld di euro. Tabella 15 - Investimenti in immobilizzazioni, 2005 - 2009 totale rete % OLO su Incremento Incremento % OLO Incumbent OLO fissa totale Incumbent YoY YoY 2009 2.356 1.435 3.791 37,9 1,82 12,11 2008 2.314 1.280 3.594 35,6 -11,91 13,78 2007 2.627 1.125 3.752 30,0 14,17 -12,66 2006 2.301 1.288 3.589 35,9 -1,58 3,29 2005 2.338 1.247 3.585 34,8 - - Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Agcom. Parte di tali investimenti viene destinata dagli operatori agli esperimenti nella ultrabroadband o “banda larghissima”: Telecom, dopo aver concluso le sperimentazioni del programma Alicefibra a Milano (50 Mb/s), ha iniziato a maggio quelle della banda a 100 Mb/s su circa un migliaio di utenze nella città di Roma, mentre Fastweb, lo scorso 6 settembre, ha lanciato la connessione “Fibra100” nella stessa capitale e nelle maggiori città italiane8. L’ultrabroadband si distingue dal basic broadband e dall’extended broadband per via della maggiore capacità di trasmissione dati, che va dai 30 ai 100 Mb/s, per la qualità del servizio e la simmetria nel trasferimento dati (in upload e download), oltre che per l’utilizzo preminente di infrastrutture in fibra ottica (anche se sono possibili collegamenti wireless)9. Giova ricordare che, mentre con la definizione basic broadband si intende una capacità di connessione di 2 Mb/s asimmetrica (la capacità di download è maggiore di quelle di upload) basata sui

8 Il piano di Telecom, partito dal quartiere Prati di Roma, prevede di estendere la copertura a 100Mb/s a circa 80mila abitazioni della capitale entro la fine del 2010 e 350mila abitazione entro l’anno solare 2012, secondo le norme introdotte dal nuovo Regolamento Scavi del Comune di Roma (Del. 105 del 23/11/09). A livello nazionale, il progetto prevede di raggiungere 1.300.000 utenti dislocati in 13 città entro il 2012 e 10 milioni di clienti entro il 2016. Nel corso dell’audizione presso l’Agcom, l’ a.d. di Telecom Bernabè ha ufficialmente chiesto l’autorizzazione a procedere per lanciare, entro la fine del 2010, la propria offerta a 100 Mb/s a Roma, Milano, Catania, Bari, Venezia e Torino, con una copertura complessiva di circa 520 mila abitazioni. L’offerta di Fastweb fornisce agli utenti la ca- pacità di 100 Mb/s in download e 10Mb/s in upload ed è disponibile nelle abitazioni già raggiunte dalla fibra ottica delle città di Roma, Genova, Torino, Bologna, Napoli e Bari. Il costo varia tra i 10 e i 15 euro extra rispetto al normale abbonamento broadband a seconda del tipo di abbonamento di base. 9 Elaborazioni da F. Ananasso, Broadband Summit – Roma, 31 Marzo 2010

128 Telecomunicazioni fisse e banda larga collegamenti in rame o wireless e sul principio del best effort (non è garantita la qualità del servizio), utile per veicolare servizi quali government, banking, l’ e-learning e health di base, l’extended broadband include collegamenti tra i 7 e i 20 Mb/s dei quali né simmetria né velocità sono sempre garantite ma che permettono tutte le operazioni di file transfer (audio, video e una discreta capacità di trasmissione del segnale televisivo) proprie del web 2.0. In Italia la copertura in fibra ottica è ancora relativamente limitata a livello territoriale e concentrata nei grandi centri abitati, fattore che determina percentuali di copertura della popolazione relativamente elevate e un discreto numero di abbonati per questa tecnologia (soprattutto se comparati a quelli degli altri Paesi, cfr. Tab. 17). Allo stesso tempo sono nate moltissime iniziative per la creazione di reti in fibra ottica a livello locale sia regionale (Emilia, Friuli, Piemonte, Sardegna e Sicilia) sia provinciale o comunale (Modena, Bologna, Imola, Forlì, Cesena, Rimini, Riccione, Ravenna, Ferrara, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Genova, Milano), che si dispiegano per un totale di oltre 18.600 Km, cui vanno aggiunti il Piano Banda Ultra Larga della Regione Lombardia (che mira a connettere 167 Comuni esclusa Milano), il piano UniCasNet (collegamento di 5 sedi Università di Cassino), il Piano sviluppo regionale NGN Valle d’Aosta, le connessioni in banda ultra larga dei distretti industriali della Provincia di Lucca e la Rete Cittadina Mantova (TEANET). Tabella 16 - Reti locali in fibra ottica, 2009 Infrastruttura Regione Gestore Note (km) LEPIDA 3000 Rete regionale (prevalentemente per la P.A) ACANTHO Province di Modena, Bologna, Imola, Forlì, 2000 EMILIA ROMAGNA (HERA) Cesena,Rimini, Riccione, Ravenna e Ferrara BT ENIA TEL 850 Province di Parma, Piacenza, e Reggio Emilia DELTA WEB 250 Ferrara e provincia G. INSIEL (ex FRIULI VENEZIA 1200 Rete regionale MERCURIO) LIGURIA SASTERNET 250 Comune di Genova Reti MAN e di quartiere (provincia di Milano) METROWEB 2255 Reti di lunga distanza LOMBARDIA ABM ICT 400 Bergamo e provincia AEMCOM 235 Cremona (città e hinterland) Progetto “WI-PIE” 1670 Zone a rischio di esclusione digitale Progetto Patti PIEMONTE 430 Provincia di Torino Territoriali AEMnet 140 Torino RETE TELEMATI- SARDEGNA 1190 Rete per connettere varie sedi delle PP.AA. CA REGIONALE SICILIA SICILIA 3100 Rete regionale e capoluoghi e-INNOVAZIONE TOSCANA TERRE CABLATE 650 Siena e provincia NETSPRING 100 Grosseto e provincia (P.A.) TRENTINO ALTO TRENTINO 800 Trento e provincia ADIGE NETWORK VENETO AGSM 150 Verona Fonte: Isbul. Tuttavia, proprio il carattere locale di queste iniziative rende difficile un coordinamento centralizzato della cablatura del territorio, necessario sia per ottimizzare gli interventi che per assegnare le risorse alle aree disagiate. Per colmare questo gap, alla luce dei risultati emersi dal programma Isbul10, l’Agcom appare intenzionato a creare un benchmark delle iniziative

10 Il programma di ricerca Isbul (Infrastrutture e servizi a banda larga e ultralarga), avviato a dicembre 2008

Telecomunicazioni fisse e banda larga 129 territoriali legate all’Ultrabroadband, per avviare un processo di “Inventory Mapping” (IMAP) finalizzato a conoscere dettagliatamente la dislocazione delle reti di accesso in fibra ottica e a porre le basi per la realizzazione, da parte degli Enti competenti, di un Registro delle Infrastrutture di Nuova Generazione (RING). Nella cablatura del territorio in fibra ottica l’Italia gode di una posizione di relativo vantaggio rispetto agli altri Paesi europei sia per quanto concerne la popolazione raggiunta che per il numero di abbonati: relativamente a questa categoria, l’operatore Fastweb è tra i primi tre player in Europa e tra i primi 10 nel mondo. Tabella 17 - La diffusione delle reti in fibra ottica in Europa: top ten European countries Rapporto Abbonati Abbonati Abitazioni Abitazioni % crescita abitazioni Paese giugno dicembre coperte coperte dicembre 2008 coperte/n. 2009 2008 giugno 2009 dicembre 2008 - giugno 2009 abbonati Russia 724.000 630.000 7.500.000 6.300.000 9,7 14,92 Svezia 478.900 401.310 1.000.000 910.000 47,9 19,33 Italia 324.500 305.980 2.133.000 2.110.200 15,2 6,05 Francia 252.900 182.660 5.389.000 4.455.200 4,7 38,45 Norvegia 204.550 180.070 332.000 274.500 61,6 13,59 Olanda 174.500 166.170 455.500 385.500 38,3 5,01 Danimarca 143.700 90.190 629.000 622.000 22,8 59,33 Germania 66.000 60.590 418.000 281.800 15,8 8,93 Slovenia 62.000 50.000 370.000 282.000 16,8 24,00 Spagna 33.000 29.000 258.000 298.000 12,8 13,79 Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom (centro studi e ricerche), ISBUL, e Idate. Anche per ciò che concerne la correlazione tra home passed (abitazioni connesse in ultrabroadband) e abbonati effettivi, l’Italia mostra percentuali superiori rispetto agli altri grandi paesi d’Europa (15,2%), esclusa la Germania (15,8%) che però vanta un numero di connessioni assolute molto inferiore (66mila contro 320mila). Allo stesso tempo, però, la quota di abbonati italiani in fibra non è cresciuta sensibilmente negli ultimi anni (+6% rispetto al 2008 ma in valore assoluto di appena 19mila unità), mentre il piano per la creazione di una rete di nuova generazione, tra strappi, frenate e improvvise accelerazioni, non è ancora stato definito. Dal punto di vista normativo, il Comitato tecnico Ngn Italia ha approvato le linee guida del modello infrastrutturale per la rete in fibra ottica. In tale contesto si è acceso il dibattito tra Olo e Incumbent: i primi prediligono la tecnologia P2P (point-to-point), a loro avviso più efficiente per stimolare la concorrenza nell’unbundling della fibra ottica e nel settore dei servizi, direzione verso cui sembra tendere anche l’Unione Europea alla luce della Raccomandazione della Commissione relativa all’accesso regolamentato alle reti di accesso di nuova generazione (NGA)11. Questa pone l’accento sulla capacità delle reti FTTH di allargare la competizione anche a livello dei servizi, sul limite alla deregulation, sulla necessità di operare investimenti a segmentazione geografica solo dopo attente analisi di mercato e sull’obbligo di orientare il bitstream al costo. La visione di Telecom, che preferisce la tecnologia GPON12, si ispira invece e concluso a maggio 2010, è stato lanciato dall’Agcom e gestito dalla Direzione studi, ricerca e formazione della stessa Autorità in collaborazione con alcuni dei principali Atenei italiani. Suddiviso in tre macro aree, ha analiz- zato la possibilità di realizzare una rete NGN in Italia sia dal punto di vista tecnico-infrastrutturale che da quello economico-regolatorio e giuridico-normativo, elaborando puntuali modellizzazioni dei costi e delle prestazioni delle soluzioni tecnologiche impiegabili, della sostenibilità dei modelli di business degli stakeholder, dell’impatto competitivo e delle conseguenze per la regolamentazione che la realizzazione di una tale infrastruttura compor- terebbe, fornendo inoltre stime e proiezioni dell’impatto macroeconomico degli investimenti e degli effetti delle politiche pubbliche in materia di NGN. 11 Raccomandazione della Commissione europea del 20/09/2010. 12 La tipologia di rete GPON (Gigabit PON) può essere “applicata sia ad architetture di tipo FTTH (Fiber To The Home), nelle quali la singola ONT [la singola terminazione di rete] è dedicata al singolo cliente, sia ad

130 Telecomunicazioni fisse e banda larga ai principi su cui si sono basate le recenti decisioni regolamentari di Francia, Spagna e Regno Unito e considera sia la fase di coesistenza tra la rete in rame e quella in fibra, sia quella in cui la prima verrà progressivamente disattivata per essere sostituita dalla rete di nuova generazione. L’incumbent propone di adottare soluzioni diverse a seconda della differente domanda che si registrerà nelle diverse aree del Paese suggerendo che, stante l’obbligo di accesso alle reti per tutti gli operatori, qualora non dovesse essere possibile il coinvestimento di più soggetti in determinate aree, la rete dovrebbe essere aperta ai concorrenti a prezzi regolamentati dall’Agcom ma non necessariamente correlati ai costi. Secondo l’incumbent un tale meccanismo, in cui il prezzo per il wholesale venisse agganciato non solo ai costi operativi ma anche al rischio di impresa, preserverebbe la concorrenza rendendo allo stesso tempo remunerativi gli investimenti. L’Agcom prevede di pubblicare le regole per l’NGN entro dicembre 2010. Il documento in preparazione sarà sottoposto a consultazione pubblica per poi approdare sul tavolo della Commissione Ue. Nel frattempo al c.d. Tavolo Romani è stato trovato l’accordo tra gli operatori sulle architetture di rete: il modello infrastrutturale di base prevede la realizzazione di un cavidotto in cui far transitare le fibre che permetterà l’utilizzazione sia della tecnologia Gpon (preferita da Telecom Italia) sia di quella point-to-point (su cui invece sono orientati gli Olo), assicurando la massima armonizzazione con le infrastrutture esistenti. La nuova rete dovrebbe essere sviluppata congiuntamente dagli operatori insieme al Governo e agli Enti locali. Per armonizzare le operazioni, il Dipartimento Comunicazioni del MiSE ha avviato un censimento delle infrastrutture in fibra ottica presenti nel Paese e dei relativi piani di investimento per lo sviluppo delle stesse nei prossimi tre anni, allo scopo di identificare le aree oggetto di intervento e sviluppare le reti di nuova generazione sul territorio nazionale13. Resta aperto il nodo degli investimenti: se da parte degli Olo rimane la proposta di stanziare 2,5 miliardi di euro per coprire 15 città entro il 201514, dall’altra Telecom ha rivisto al rialzo i propri di circa 2,65 miliardi nel triennio 2010-201215. Secondo l’Isbul gli investimenti da effettuare per le reti Ngn sono ingenti, tra i 3 e i 15 miliardi di euro a seconda della tecnologia (o del mix di tecnologie) utilizzata e della copertura della popolazione. Tabella 18 - Impatto Ngn sull’economia nazionale Effetti Diretti Effetti Indiretti Effetti Totali Investi- popolazione Domanda Occupaz. Tipologia di rete Minimo Massimo Minimo Massimo menti coperta aggregata Potenziale mld € mld € mld € mld € mld € Unità lav. mista P2P/GPON 15,5 91% 20,25 311.087 89,6 765,5 109,9 785,7 FTTH P2P 13,3 50% 17,38 248.121 49,2 420,6 66,6 438 FTTB GPON 3 20% 3,92 57.131 19,7 168,2 23,6 172,2 architetture con un maggior grado di condivisione della terminazione ottica (ONU, Optical Network Unit) quali FTTB (Fiber To The Building), FTTC (Fiber To The Curb) o FTTCab (Fiber To The Cabinet): in questi due ultimi casi l’architettura di rete d’accesso potrà prevedere un parziale impiego di rete in rame, sfruttando così la capillarità di quest’ultima nel tratto terminale della rete e riducendo notevolmente la necessità di posa di nuova fibra”. Fonte: R. Mercinelli, P. Solina, Notiziario Tecnico Telecom Italia, pp 64.65, Aprile 2007. 13 Fonte: Dipartimento Comunicazioni del ministero dello Sviluppo economico, 29 settembre 2010 14 Fastweb, Wind e Vodafone hanno proposto la creazione di un’unica rete Fiber To The Home in modalità punto-punto, in grado di coprire 15 città e circa 10 milioni di abitanti entro cinque anni, con un investimento di circa 2,5 miliardi di euro. Secondo il piano, i fondi dovrebbero essere ripartiti tra tutti gli operatori e le istituzioni coinvolte e garantire ritorni economici entro nove anni. La seconda fase del progetto prevede l’estensione della rete Ftth fino al raggiungimento del 50% della popolazione italiana (circa 500 comuni con più di 20.000 abitanti) con un’ulteriore spesa di 8,5 miliardi di euro. 15 La spesa annua nel segmento dell’accesso di rete fissa, sia in rame che in fibra ottica è stata aumentata passando dagli attuali 817 milioni di euro (2009) ai circa 900 milioni di euro del 2012, per un investimento totale, al 2012, pari a 2,65 miliardi di euro.

Telecomunicazioni fisse e banda larga 131 Fonte: Isbul. Tutte e tre le ipotesi prevedono un aumento del canone e di conseguenza un aumento del costo del servizio broadband nella bolletta telefonica degli utenti, fattore che potrebbe costituire un elemento problematico nella sostenibilità di tali investimenti. Per tale motivo occorrerebbe un’analisi specifica volta a valutare la disponibilità degli abbonati a pagare un extra per un servizio migliore. Allo stato attuale è noto (fig. 5) che il prezzo dell’abbonamento non costituisce un impedimento forte alla adozione del broadband, al contrario dell’inutilità percepita da larga parte dei cittadini che non dispongono della connessione a banda larga. Tali risultati confermano la pregnante necessità di promuovere l’alfabetizzazione informatica della popolazione tramite politiche di stimolo della domanda e miglioramento della qualità dei servizi di e-government. I ritorni economici stimati dall’Isbul in termini di domanda, posti di lavoro (un incremento compreso tra le 57mila e i 310mila unità) e indotto (le previsioni stimano un crescita tra 23 i 700 miliardi di euro) confermano come la rete Ngn sia un investimento cui l’Italia non può rinunciare. Figura 5 - Ostacoli all’adozione del broadband (%) 70 60 60

50

40

30 21 20 16

10 6 3 0 Inutilità Copertura Costo Complessità Altro

Note: famiglia non dotate di connessione broadband. Fonte: elaborazione Iem su dati Between (2008).

3. Il confronto internazionale

Il mercato dei servizi di rete fissa dei big five europei ha subito complessivamente una perdita di quasi il 2% nel 2009, mostrando un trend leggermente più negativo rispetto all’andamento del settore negli ultimi 5 anni (-1,7%). La Francia, grazie alla solidità del proprio mercato, risulta il paese che ha risentito meno della crisi, confermando la propria tenuta di lungo corso (valori pressoché identici nell’ultimo lustro), mentre tutti gli altri mostrano valori negativi nell’ultimo quinquennio: la Germania, che si conferma il mercato più grande d’Europa, ha perso oltre 4 miliardi di euro, di cui 1 solo nel 2009, mentre l’Italia, che pure ha consolidato la propria terza posizione, è diminuita in misura leggermente superiore rispetto al proprio andamento degli ultimi 5 anni, perdendo quasi 2 punti e mezzo a fronte di un calo medio dell’1,9%. Tabella 19 - Mercato dei servizi tlc di rete fissa, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 08-09 Cagr 09-05 Francia 20,0 20,1 20,1 20,0 20,0 -0,2 0,0% Germania 34,2 35,3 36,8 38,3 38,5 -3,1 -2,9% Italia 15,4 15,8 16,1 16,3 16,6 -2,4 -1,9% Regno Unito 9,9 10,2 10,4 10,7 11,1 -2,9 -2,8% Spagna 6,5 7,1 7,2 7,5 8,3 -8,5 -5,9% Totale 87,2 89,0 90,6 92,3 93,3 -1,9 -1,7% Note: dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Arcep,VATM, Agcom, Ofcom e CMT.

132 Telecomunicazioni fisse e banda larga Anche il Regno Unito ha mostrato valori in netta diminuzione (– 2,9%), in linea col proprio andamento degli ultimi anni, mentre la Spagna ha risentito maggiormente della crisi del 2009, facendo registrare un calo dell’ 8,5% contro il -5,9% medio degli ultimi 5 anni. Per quanto concerne le quote di mercato detenute dagli incumbent europei, Telecom Italia risulta ancora quello che detiene in percentuale il numero maggiore di linee broadband, sebbene sia allo stesso tempo quello che presenta il maggiore tasso di riduzione (quasi 10 punti in meno rispetto a gennaio 2007). France Télécom e mostrano andamenti ondivaghi, attualmente attestati rispettivamente a quota 46,2% e 46,8%, mentre Telefónica, dopo anni di leggera crescita in cui ha sfiorato quota 56,7%, si è attestata nel 2009 a 55,6%. A parte British Telecom, che pure guadagna quasi 4 punti rispetto al 2007 (dal 23,7% al 27,2%), complessivamente tutti gli incumbent dei big five mostrano, sul totale delle linee attive nei propri Paesi d’origine, percentuali superiori alla media degli incumbent europei (45,2%). Tabella 20 - Quota detenuta dall’incumbent nel mercato degli accessi a banda larga, 2007-2009 Paese lug-09 gen-09 lug-08 gen-08 lug-07 gen-07 Francia 46.2% 47.2% 47.2% 47.7% 46.8% 46.2% Germania 46.8% 47.0% 46.0% 46.1% 46.4% 48.0% Italia 57.8% 59.8% 61.3% 63.6% 64.8% 66.6% Regno Unito 27.2% 25.4% 25.6% 25.8% 25.7% 23.7% Spagna 55.6% 56.7% 56.3% 56.1% 55.8% 55.9% EU27 45.2% 45.5% 45.7% 46.1% 46.8% 46.9% Note: il valore descrive la percentuale detenuta dall’incumbent rispetto al totale delle linee attive. Fonte: elaborazione Iem su dati Commissione europea, luglio 2009.

D’altro canto, l’Italia risulta l’unico paese che non ha risentito della crisi sugli investimenti in infrastrutture di rete fissa: a fronte di un calo dei fondi francesi e tedeschi nell’ordine del 10% (rispettivamente -9,76% e -9,23%) e del crollo spagnolo (-17%) l’Italia mostra una crescita del 5,5% sul 2008 ed è anche l’unico paese che può vantare un andamento positivo negli ultimi 5 anni (+1,41%) Tabella 21 - Investimenti in infrastrutture di rete fissa, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 08-09 Cagr 09-05 Francia 3,70 4,10 3,80 3,80 3,70 -9,76 0,00% Germania 5,90 6,50 6,50 6,60 6,40 -9,23 -2,01% Italia 3,79 3,59 3,75 3,59 3,59 5,48 1,41% Spagna 4,28 5,17 5,79 5,69 5,51 -17,31 -6,16% Totale 17,67 19,37 19,84 19,67 19,20 -8,77 -2,06% Note: dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Arcep,VATM, Agcom e CMT. Tuttavia, dal punto di vista della capacità delle infrastrutture a banda larga il confronto internazionale mostra diverse lacune del nostro Paese: la popolazione abbonata che gode di una capacità inferiore alla soglia di 2Mb/s supera il 22% contro il 15% della Germania, il 12% della Spagna il 3% del Regno Unito, che sta concretizzando il piano per dare a tutti i cittadini una connessione basic broadband.

Telecomunicazioni fisse e banda larga 133 Figura 6 - La capacità delle linee broadband nei maggiori Paesi europei, 2009

100% 7,7 6,1 13,3 90% 22,9

80%

70%

60% 69,5

50% 90,8 74,5 62,1 40%

30%

20%

10% 22,8 14,9 12,2 3,2 0% Germania Italia Regno Unito Spagna ≥ 10 Mbps ≥ 2 Mbps and <10 Mbps ≥ 144 Kbps and < 2 Mbps

Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat e Agcom. Note: dati in milioni di euro. Anche rispetto alle connessioni ad alta velocità l’Italia non presenta valori particolarmente positivi (appena il 7,7% è connesso in modalità extended broadband) superiori solo alla Gran Bretagna (6,1%, che però vanta un altissimo tasso di diffusione per ciò che concerne la capacità compresa tra i 2 e i 10Mb/s, di cui gode oltre il 90% degli utenti del Regno Unito), ma inferiori alla Spagna (13,3%) e alla Germania (22,9%), che beneficia di un’ampia diffusione della connessione via cavo digitale. Tabella 22 - Individui che utilizzano internet almeno una volta a settimana nei maggiori paesi europei (%) Paese 2009 2008 2007 2006 2005 Francia 65 63 57 39 n.d. Germania 71 68 64 59 54 Italia 42 37 34 31 28 Regno Unito 76 70 65 57 54 Spagna 54 49 44 39 35 EU27 60 56 51 45 43 Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat

134 Telecomunicazioni fisse e banda larga Resta molto evidente anche il gap italiano rispetto all’utilizzo delle nuove tecnologie da parte dei cittadini (Tab. 21): secondo Eurostat, la quota di persone che si possono annoverare fra gli internet users16 supera appena il 42%, contro il 54% della Spagna che ci precede ora di 12 punti (erano 8 nel 2006). Decisamente meglio ha fatto negli ultimi 3 anni la Francia, passata dal 39% al 65% di cittadini cybernauti (+26 punti rispetto al 2006 contro il +11 italiano nello stesso periodo). Molto avanti appaiono Germania e Regno Unito, “alfabetizzati” per quasi i ¾ della popolazione (71% e 76%) mentre in Europa la media dei navigatori abituali è del 60%, quasi 20 punti sopra quella italiana. Il distacco appare ancora maggiore considerando i cittadini che non hanno mai utilizzato un pc: in Italia sono il 43%, contro il 20% dei francesi, il 14% dei tedeschi e l’11% dei britannici. Ciò significa che il nostro Paese si divide nettamente tra utilizzatori frequenti del web e individui che ne sono totalmente estranei, fattore che rende ancora più difficile l’alfabetizzazione informatica e dunque evidente la necessità di sviluppare politiche di promozione della domanda di servizi ict. La scarsa diffusione della banda larga rispetto agli altri paesi non è che l’ovvia conseguenza di questo stato di cose: secondo Eurostat17, il broadband in Italia non raggiunge il 40% delle famiglie, oltre 30 punti sotto la media britannica (69,5%) e 17 punti sotto la media europea (56%). Considerando che tali percentuali includono soltanto i nuclei familiari con almeno un componente tra i 16 e i 64 anni, criterio che esclude le famiglie composte solamente da anziani, è ancora più evidente come il gap sia dovuto a motivazioni culturali (individui che non percepiscono il valore aggiunto di Internet o che non sanno come superare il proprio analfabetismo informatico) e al fatto che siano molto rare le iniziative di sensibilizzazione verso i vantaggi che le informazioni e i servizi che transitano sulla rete possano portare. Infine, anche comparando il numero di accessi rispetto al totale della popolazione secondo la metodologia europea, l’Italia risulta l’ultimo dei grandi Paesi europei, seppur con un distacco minore dalla Spagna, ma in ritardo di 3,5 punti rispetto alla media europea e lontano oltre 10 punti percentuali dai più virtuosi Paesi nordeuropei. Tabella 23 - Individui che non hanno mai utilizzato il pc (%) Paese 2009 2008 2007 2006 Francia 20 20 23 n.d. Germania 14 14 16 17 Italia 43 45 49 54 Regno Unito 11 13 14 18 Spagna 31 33 36 39 Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat

Tabella 24 - Famiglie dotate di connessione ad internet a banda larga nei maggiori paesi europei (%) 2009 2008 2007 2006 2005 Regno Unito 69,5 61,5 56,7 43,9 31,5 Germania 64,6 54,9 49,6 33,5 23,2 Francia 57,5 57,1 42,9 30,3 n.d. EU 27 56,0 48,6 41,6 30,4 23,0 Spagna 51,3 44,6 39,2 29,3 20,8 Italia 39,0 30,8 25,3 16,2 12,9 Note: famiglie con almeno un componente tra i 16 e i 64 anni. Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat

16 In questa sede si utilizza la definizione di Eurostat, seconda la quale i considerano Internet Users gli indi- vidui che si collegano a internet almeno una volta a settimana 17 In questa sezione sono stati utilizzati i dati Eurostat per effettuare una comparazione con le stesse me- todologie di rilevazione per tutti i paesi.

Telecomunicazioni fisse e banda larga 135 Figura 7 - Penetrazione broadband per numero di individui

40

37,9 35 37,2

30 32,5 30,5 29,4 29,2 28,8 25 23,9 20 20,7 20,4 15

10

5

0

Note: i dati italiani sono aggiornati a gennaio 2010 mentre quelli relativi agli altri paesi sono di giugno 2009. Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat, Istat e Agcom.

4. La separazione funzionale della rete

Il tema della separazione funzionale tra reti e servizi nasce per risolvere il problema di come garantire la concorrenza nelle telecomunicazioni in presenza di un’unica infrastruttura di rete nazionale che, facendo capo agli operatori storici dei diversi paesi (le telco nazionali), in principio monopolisti pubblici e in seguito privatizzati, si trovano attualmente nella duplice posizione di competitor con gli operatori nuovi entranti e di gestori della rete su cui transitano anche i servizi forniti dagli altri player tlc. Tale complessa situazione ha determinato un ampio dibattito internazionale sulle misure necessarie a garantire la concorrenza tra imcumbent e newcomer. Inizialmente, la liberalizzazione del mercato tlc è stata regolata prevalentemente tramite normative asimmetriche (limiti imposti ai soli incumbent nel tentativo di far crescere gli operatori alternativi) e il c.d. unbundling dell’“ultimo miglio”, ovvero la disciplina del tratto finale della rete che va dalla centralina più vicina alla casa dell’utente fino alla sua dimora. Attualmente, infatti, gli operatori alternativi pagano un canone d’accesso per transitare sulla capillare infrastruttura dell’ex monopolista (in Italia il canone viene pagato a Telecom e fissato dall’Agcom) mentre competono tra loro e con l’incumbent per la fornitura di servizi (di connettività, telefonici, audiovisivi ecc). Proprio il duplice ruolo dell’incumbent (gestore della rete e allo stesso tempo competitor nel mercato dei servizi tlc) desta perplessità sul corretto funzionamento dei meccanismi della concorrenza, ragione per cui si è sviluppato un intenso dibattito sull’opportunità o meno di separare gli ex monopolisti in due società, una incaricata di gestire esclusivamente l’infrastruttura e un’altra incaricata di amministrare la parte commerciale (fornitura di servizi tlc). Il tema della separazione funzionale tra reti e servizi è stato affrontato in modi diversi a seconda dei diversi

136 Telecomunicazioni fisse e banda larga mercati nazionali, passando dall’autoregolamentazione, all’affidamento dei compiti di vigilanza alle autority nazionali, alla creazione di organi di raccordo tra telco nazionali e autority, fino alla creazione di divisioni separate, in capo agli ex monopolisti, che gestiscono l’accesso alla rete. In Italia, nel luglio del 2008, Telecom Italia ha proposto all’Agcom l’adozione di un paniere di Impegni, approvati dall’Autorità a dicembre dello stesso anno18, per integrare e rafforzare gli obblighi già esistenti in tema di parità di trattamento tra Telecom Italia Retail (la divisione incaricata di gestire i servizi commerciali) e gli altri operatori (OLO) relativamente alla fornitura dei servizi sulla rete di accesso. In tale ambito, nel 2008 Telecom Italia ha creato la divisione Open Access, incaricata della gestione della rete di accesso e della fornitura dei servizi ad essa associata, in modo tale da garantire il rispetto del principio di parità di trattamento a tutti gli operatori. Open Access fornisce servizi sia alla divisione retail dell’incumbent che a quella wholesale (dedicata agli altri operatori) secondo una serie di direttive volte a garantire la parità di trattamento in ottemperanza di 14 impegni specifici. Tra questi spiccano: l’istituzione di un nuovo processo di delivery che superi le asimmetrie di gestione degli sviluppi di rete tra Telecom Italia e gli OLO; un sistema per il monitoraggio delle performance dei servizi SPM (Significativo Potere di Mercato) ed il rispetto della parità di trattamento interna- esterna (mediante il confronto tra key performance indicator concernenti la produzione dei servizi destinati agli operatori e quelli relativi ai servizi destinati alle funzioni commerciali di Telecom Italia); la pubblicazione delle linee guida per la manutenzione della rete di accesso; la predisposizione delle condizioni economiche di cessione interna dei servizi SPM forniti da Open Access alla funzione Retail (viene garantita una evidenza contabile separata relativa ai servizi forniti da Open Access in modo da verificare l’equivalenza tra tali transfer charge e le corrispondenti condizioni economiche praticate agli OLO); la pubblicazione di un’offerta per l’accesso e la condivisione delle “infrastrutture di posa”; la formulazione di una proposta tecnica ed economica per la possibile condivisione con gli Operatori interessati degli investimenti e dei costi per la realizzazione di nuove infrastrutture di posa19; l’adesione al Comitato NGN Italia; ed infine, l’istituzione di un Organo di vigilanza (OdV) per la corretta attuazione degli impegni. L’Organo di Vigilanza (OdV) è incaricato di svolgere una attività di controllo in merito alla corretta implementazione degli Impegni, anche tramite una serie di indicatori atti a misurare la qualità della fornitura dei servizi wholesale. È composto da cinque membri, tre dei quali, compreso il Presidente, sono designati dall’Agcom. L’OdV procede alla verifica di eventuali violazioni comunicandole all’Autorità, con la quale coopera nella propria attività di vigilanza. Gli atti dell’Organo sono da considerare come misure volte ad assicurare la corretta implementazione degli Impegni, mentre la possibile imposizione di sanzioni rimane nelle competenze dell’Autorità. Nei suoi primi 2 anni di attività, l’OdV ha verificato il corretto espletamento di molti tra gli impegni assunti da Telecom Italia, ed ha lanciato una verifica sulla gestione degli annullamenti di Ordinativi di Lavoro20 per andare incontro alle segnalazione degli operatori alternativi e garantire la parità di trattamento nella risoluzione dei problemi di rete degli abbonati a servizi di telecomunicazione dei diversi operatori. Nel Regno Unito, alla luce dei risultati dello Strategic Review of Telecommunications (2005), che hanno individuato nella proprietà esclusiva della rete da parte di British Telecom una barriera all’ingresso in grado di restingere l’accesso al mercato degli operatori alternativi,

18 Delibera 718/08/CONS 19 Per ciò che concerne le nuove reti di accesso Telecom Italia ha sinora adempiuto ai dettami di questo Gruppo di Impegni, avendo trasmesso all’Autorità, entro le scadenze stabilite, i seguenti documenti: l’“Offerta di Telecom Italia di infrastrutture di posa per lo sviluppo di reti FTTX”, la “Proposta di Telecom Italia per la condivi- sione con gli OLO degli investimenti e costi per la realizzazione di nuove infrastrutture di posa per lo sviluppo di reti FTTX” e le “Linee guida di migrazione verso reti NGAN – tempi minimi di preavviso e modalità di comunicazione agli OLO nella transizione alla rete di nuova generazione”. 20 Il processo di fornitura di linee e servizi di telecomunicazioni a disposizione degli Operatori alternativi da parte di Telecom prevede che l’incumbent possa respingere una richiesta qualora si verifichino problemi legati alla errata compilazione dell’ordine, alla indisponibilità di rete d’accesso (KO rete) o alla indisponibilità del cliente (KO cliente).

Telecomunicazioni fisse e banda larga 137 l’Ofcom ha impegnato BT a sottoscrivere una serie di undertakings finalizzati a stabilire nuove regole per la fornitura di prodotti e servizi verso gli OLO e verso le proprie divisioni commerciali. Il nodo centrale dell’intervento consiste nell’obbligo per l’incumbent di garantire la parità di accesso alla rete a condizioni non discriminatorie per gli operatore concorrenti, l’Equality of Inputs (EOI) e la separazione funzionale, ovvero una separazione dei sistemi tale da consentire un’offerta wholesale “on an EOI basis”, cioè un’offerta commerciale da parte dei diversi operatori a condizioni eque. In particolare, BT si è impegnato a garantire che l’offerta fatta alla propria rete commerciale ed agli OLO sia uguale in termini di prezzo, condizioni commerciali, tempistiche ecc. Sulla scia degli undertakings si colloca la nascita di Openreach (2006), un’entità funzionalmente separata che, pur facendo parte del Gruppo British Telecom, è responsabile della rete fissa d’accesso ed è dotata di una propria sede e di sistemi gestionali indipendenti. Openreach dispone inoltre di un proprio brand commerciale e il suo responsabile riferisce direttamente al CEO di British Telecom Group plc. Sia BT Retail che gli OLO hanno un rapporto diretto con Openreach. Gli undertakings hanno previsto anche la creazione di un apposito organo, l’Equality of Access Board (EAB), cui affidare il compito di monitorare il rispetto degli impegni assunti. L’EAB, insediatosi nel novembre 2005, è un organo del British Telecom Group plc Board Committee, ed è presieduto da un non-executive director di BT, cui è affiancato un senior manager dell’operatore dominante; gli altri tre membri sono indipendenti, scelti dopo una consultazione con l’Ofcom. L’EAB è supportato dall’EAB Secretariat, che si occupa prevalentemente dell’organizzazione degli incontri del Board, ed è assistito dall’Equality of Access Office (EAO), il cui responsabile risponde gerarchicamente al responsabile della funzione Public Affairs di BT, che monitora il corretto adempimento degli Undertakings da parte di BT e procede ad una valutazione in merito alle segnalazioni ricevute. In particolare, l’EAO procede ad effettuare verifiche periodiche sul rispetto di una serie di criteri individuati in merito al corretto adempimento da parte di BT degli impegni presi con l’Ofcom, nonché al rispetto del Code of Practice, riferendo poi mensilmente i risultati all’EAB. In Spagna, nel 2007, l’Autorità nazionale per le comunicazioni (CMT) ha imposto all’incumbent Telefonica di comunicare tanto alla stessa CMT quanto ai concorrenti una serie di KPI (key performance indicator) sul livello di qualità del servizio erogato sia all’esterno che internamente, al fine di verificare che non vi fossero situazioni discriminatorie a danno degli operatori alternativi. Nel 2008, in seguito ai risultati della consultazione pubblica avviata in tema di NGA, la CMT ha concluso che, prima di procedere ad una separazione funzionale della rete di accesso, occorrerebbe analizzarne approfonditamente gli impatti sul quadro competitivo e sugli investimenti, e che comunque si tratterebbe di una misura “estrema ed eccezionale”. In Francia, fino ad oggi, non è stato adottato alcun modello di separazione della rete dell’incumbent, ed anzi l’Authority francese (ARCEP) ha sottolineato in diverse occasioni e con particolare enfasi i risvolti negativi che l’adozione di un modello di separazione funzionale potrebbe comportare sotto il profilo dei costi (riorganizzazione dell’operatore storico e duplicazione delle strutture organizzative), i quali appaiono troppo ingenti se confrontati con i problemi a cui la separazione dovrebbe ovviare. L’ ARCEP sostiene inoltre che, mentre la separazione funzionale rappresenta un modello difficilmente reversibile, si potrebbe pervenire agli stessi risultati attraverso una regolamentazione più puntuale, modalità che garantirebbe la possibilità di modificare la stessa regolamentazione qualora si rilevasse che le condizioni che avevano alterato la concorrenza fossero mutate. L’ARCEP critica inoltre la separazione funzionale anche per la sua potenzialità disincentivante sulle strategie di investimento degli operatori, e osserva come questa non eliminerebbe comunque la necessità di azioni di regolamentazione sui prezzi e le qualità dei servizi offerti, mantenendo peraltro inalterato il problema del controllo sulla società incaricata di gestire la rete di accesso, che anzi opererebbe in situazione di effettivo monopolio.

138 Telecomunicazioni fisse e banda larga Anche in Germania non sono stati posti in essere modelli di separazione della rete dell’operatore storico Deutsche Telekom, né creati organi indipendenti di vigilanza assimilabili all’Organo di vigilanza. L’Autorità di settore ha altresì ribadito la sua contrarietà alla adozione di simili modelli, evidenziando i possibili impatti negativi conseguenti a tale decisione. Molto più articolato risulta il discorso relativo alla Svezia: in seguito all’analisi di mercato svolta tra il 2006 e il 2007, che ha evidenziato l’assenza di operatori alternativi all’incumbent in diverse aree del Paese e l’imposizione da parte dello stesso ex monopolista Telia Sonera delle proprie condizioni commerciali agli operatori alternativi, l’Autorità svedese ha proposto al Parlamento una modifica legislativa per garantirsi la possibilità di imporre un modello di separazione funzionale in capo all’operatore storico. La nuova normativa, in vigore da luglio 2008, consente all’Autorità di obbligare l’incumbent allo scorporo della rete in rame, ma solo in caso di parere positivo da parte dell’Unione europea. L’Autorità non ha tuttavia imposto all’operatore storico la separazione funzionale come effetto immediato, manifestando l’intenzione di procedere ad una analisi del mercato volta a decidere se procedere o meno in tale direzione nel corso del 2009. L’incumbent, dal canto suo, ha creato volontariamente la divisone funzionale Skanova Access, operativa dal 1° gennaio 2008, che gestisce in modo separato l’accesso sia alla rete in rame che in fibra con l’intento di garantire il rispetto del principio di parità di trattamento tra tutti gli operatori e le divisioni commerciali di Telia Sonera. Skanova costituisce una divisione legalmente distaccata di Telia, con sistemi informatici separati e sottoposta ad obblighi di financial auditing, sebbene il 100% dell’assetto proprietario resti in capo all’operatore storico. Il personale di Skanova Access è tenuto ad osservare i dettami di uno specifico Codice di Condotta contenente misure volte a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e non discriminazione. Secondo le nuove regole adottate in materia di separazione funzionale, qualunque proposta autonoma di separazione avanzata da parte dell’operatore storico deve essere sottoposta all’approvazione dell’Autorità (PTS); in questo senso, si noti come PTS non abbia fino ad ora espresso alcuna valutazione in materia, fatto salvo un intervento (datato novembre 2009) che rilevava come l’introduzione di Skanova non avesse comportato significativi miglioramenti in termini di una effettiva trasparenza. Per controllare l’operato di Skanova Access è stato creato un organo apposito, l’Equality of Access Board, con lo specifico compito di vigilare sul rispetto del principio di parità di trattamento degli Olo da parte della divisione di rete. Tale attività di supervisione si basa innanzitutto sulla analisi delle performances di una serie di indicatori (kpi) prefissati e controllati da auditors esterni. Il Board riferisce ogni quattro mesi al Ceo di Telia Sonera, svolgendo attività di monitoraggio del rispetto degli impegni assunti dall’operatore dominante. È composto da un Presidente, responsabile dell’internal audit di Telia Sonera e da due membri indipendenti di nomina dell’operatore. Non sono previsti membri nominati dall’Autorità. Anche la Nuova Zelanda, infine, si è distinta sotto il profilo della regolamentazione della separazione funzionale in capo all’incumbent tra infrastruttute tlc e servizi, per via di una sostanziale carenza di competizione tra gli operatori e di consistenti barriere all’ingresso della rete di accesso. Il governo ha imposto all’operatore dominante Telecom New Zealand (TNZ) una riorganizzazione aziendale, indicando nella separazione funzionale della rete lo strumento più idoneo per contribuire al miglioramento delle condizioni competitive del mercato. TNZ ha, pertanto, proceduto ad adottare una serie di Undertakings ispirati al modello britannico, che sono stati accettati e ratificati dal governo neozelandese nel marzo del 2008 e che prevedono la separazione della società in tre divisioni: Rete, Retail e Wholesale. Il processo di progressiva separazione è tuttora in corso e dovrebbe concludersi nel 2012. Lo scopo primario degli Undertakings è di garantire il rispetto del principio di non discriminazione degli operatori alternativi nell’accesso ai servizi wholesale offerti dall’operatore dominante. Anche in questo caso, tra gli impegni è stata prevista l’istituzione di un organo di vigilanza, l’Independent Oversight Group (IOG), cui sono affidati compiti assimilabili a quelli dell’Equality of Access

Telecomunicazioni fisse e banda larga 139 Board britannico e dell’Organo di vigilanza italiano: esso conduce una costante attività di verifica in merito all’effettivo rispetto da parte di TNZ dei dettami degli undertakings, con riferimento al processo di progressiva separazione dei sistemi ed al raggiungimento di determinati standard di garanzia in ordine alla corretta osservanza del principio di parità di trattamento su alcuni prodotti, da perseguire entro determinate scadenze. È importante notare, infine21, come per la realizzazione della nuova rete in fibra ottica il governo neozelandese abbia creato un apposito ente pubblico (la Crown Fibre Holdings), cui sono stati affidati 1,5 mld di $, garantendo nel contempo agli operatori di partecipare agli investimenti tramite bando di gara richiedente però una separazione strutturale tra le attività commerciali e la gestione della rete esistente. Di fronte alla possibilità di scegliere tra competere con l’ente pubblico o procedere alla separazione strutturale (“de-merger”) della divisione wholesale, l’ex monopolista ha scelto la seconda strada, che dovrà essere attuata entro il terzo trimestre del 2011 e che lo condurrà a investire in una rete in fibra comune a tutti gli operatori e di proprietà mista pubblico-privato.

21 Per ulteriori approfondimenti relativi al confronto internazionale sulla separazione funzionale della rete cfr. http://organodivigilanza.telecomitalia.it/ita/confronto_internazionale.shtml

140 Telecomunicazioni fisse e banda larga Telecomunicazioni mobili

141 Telecomunicazioni mobili di Lorenzo Principali

1. Lo scenario del mercato

Dopo 15 anni di costante crescita, il 2009 è stato il primo anno in cui il mercato delle telecomunicazioni mobili è risultato in flessione, attestandosi a quota 24,01 miliardi di euro (-1,5%). Per osservare l’attesa rivoluzione del settore portata dagli smartphone e dai servizi internet in mobilità occorrerà dunque attendere ancora. La crisi generale ha sicuramente influito su questo ritardo, mostrando altresì la solidità del settore rispetto al più generale comparto tlc. Il calo registrato dal segmento mobile, infatti, è inferiore rispetto al decremento fatto registrare dall’intero comparto (-2,3%) e soprattutto rispetto alle tlc fisse (-3,3%). Di conseguenza non si è interrotta la crescita dell’incidenza del segmento mobile sul totale, di cui è giunto a costituire una quota del 55,73%. Tabella 1 - Il mercato tlc mobile in Italia, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 05-09 Mobile 24.015 24.390 24.070 23.642 22.625 -1,54 1,50% Totale tlc 43.085 44.120 44.200 44.040 43.115 -2,35 -0,02% % segmento mobile sul 55,73% 55,28% 54,45% 53,68% 52,47% - - totale Tlc Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting. Note: dati in miliardi di euro. Il numero di linee attive, dopo anni di costante crescita, mostra segnali di saturazione (-1,0% rispetto al 2008) pur mantenendosi superiore ai 91 milioni di unità, mentre il numero di utenti unici continua il proprio costante incremento, giunto a 46,5 milioni, ben oltre i ¾ della popolazione effettiva. Cresce anche la diffusione dei terminali di terza generazione, posseduti da 31,9 milioni di utenti (+ 9,6% ): questo dato lascia presupporre un sensibile sviluppo del mercato dei servizi broadband mobili nei prossimi anni, potendo contare su una massa critica importante e sulla crescente maturità tecnologica di buona parte degli utenti di telefonia mobile italiani. Tabella 2 - Evoluzione delle linee di telefonia mobile in Italia, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆% 09-08 ∆% 09-05 n. linee attive 91,3 92,2 90,7 81,9 72,2 -1,0% 28,9% - di cui su terminali 3G 31,9 29,1 23,1 17,1 10,0 9,6% 219% utenti unici 46,5 46,1 45,9 44,4 42,7 0,9% 8,9% Note: dati in milioni di unità. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting e Agcom. Resiste il mercato dei servizi mobili, che fa registrare una lieve crescita (+0,3%). Tuttavia, l’effetto di contenimento rispetto al più generale calo del mercato dei servizi tlc nel 2009 è

142 Telecomunicazioni mobili venuto sensibilmente meno: nel 2008 la crescita di oltre 250 milioni di euro del comparto mobile aveva compensato il decremento di 300 milioni di euro del segmento dei servizi su rete fissa, generando la complessiva stabilità del settore servizi (-0,1%); nel 2009, al contrario, l’incremento di circa 65 milioni di euro del mobile non è bastato a bilanciare la perdita, di quasi 400 milioni, fatta registrare dal comparto fisso, determinando un generale calo del mercato dei servizi tlc dello 0,9% . Anche nel comparto dei servizi, dunque, il segmento mobile continua ad aumentare il proprio valore percentuale, essendo ormai prossimo a toccare quota 55%. Tabella 3 - Il mercato dei servizi di rete mobile, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 05-09 Mobile 18.825 18.760 18.510 18.040 17.170 0,35 2,33% Totale servizi Tlc 34.215 34.530 34.580 34.350 33.635 -0,91 0,43% % segmento mobile sul totale Tlc 54,51% 54,32% 53,52% 52,51% 51,04% - - Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting. Osservando i dati Agcom relativi ai servizi di telefonia mobile scorporati per sottocategorie (tab. 4), è interessante notare come l’unica componente in crescita risulti quella relativa al traffico dati. Acclarata la tendenza, forse ormai irreversibile, del calo del mercato degli sms (-6% rispetto al 2009), il traffico dati risulta quindi il segmento cardine su cui gli operatori stanno concentrando le proprie strategie (cfr. paragrafo 3). Tabella 4 - Ricavi da servizi di telefonia mobile in Italia, 2005-2009* 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 05-09 Ricavi voce 10,92 11,04 11,11 11,20 10,80 -1,09 0,28% Ricavi dati 4,21 4,17 3,87 3,20 3,80 0,96 2,59% Sms 2,22 2,37 2,33 2,50 2,30 -6,33 -0,88% Mms e altri dati 1,99 1,80 1,54 1,30 0,90 10,56 21,94% Altri 2,56 3,14 3,36 2,20 2,10 -18,47 5,08% Totale 17,70 18,35 18,34 16,60 16,70 -3,54 1,46% Note: * In tale raffronto occorre tenere presenza la discordanza tra i dati Agcom che stimano i ricavi complessivi dal comparto servizi in 17,70 miliardi di euro, e quelli Assinform/Netconsulting utilizzati in particolare per il confronto tra le tlc mobili e l’intero comparto, che stimano il mercato dei servizi mobili in 18,85 miliardi di euro. Allo stesso tempo, mentre per Assinform il mercato dei servizi mobili cresce dello 0,3%, l’Authority per le comunicazioni stima il comparto mobile in calo del 3,5%. Dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom. Per quanto riguarda il traffico voce, dall’analisi dei dati Agcom (tab. 5) emergono tre considerazioni: in primo luogo, oltre l’87% delle chiamate originarie dalla rete mobile termina nella stessa rete mobile; in secondo luogo, se da un lato resistono le strategie di fidelizzazione degli operatori, mirate a mantenere la maggior parte del traffico entro le proprie infrastrutture (+3,9% rispetto ai minuti di traffico annuale), dall’altro la leggera riduzione (-0,39%) dei ricavi on-net1 (Tab. 6) lascia presupporre una diminuzione delle tariffe o la diffusione di promozioni basate sull’offerta di pacchetti di minuti gratuiti. Tabella 5 - Traffico dei servizi voce mobili per direttrice, 2008-2009 2009 2008 ∆ % 08-09 Rete fissa 13,9 14,1 -0,9% Mobile on-net 66,4 63,9 3,9% Mobile off-net 25,5 23,2 9,7% Altre destinazioni 7,9 7,5 6,1% Totale 113,8 108,7 4,7% Note: dati in miliardi di minuti. Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom.

1 All’interno delle infrastrutture proprie dell’operatore che fornisce i servizi.

Telecomunicazioni mobili 143 Infine, se al netto aumento dei minuti di chiamate off-net (+9,7%) corrisponde un minimo incremento dei ricavi derivanti da questa direttrice (+0,96%), appare verosimile che le promozioni includano anche minutaggi gratuiti su reti diverse da quelle dell’operatore che ne garantisce l’offerta. Tabella 6 - Ricavi da servizi voce per direttrice, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 05-09 Rete mobile 8,22 8,19 8,45 8,08 7,7 0,37 1,65% - On net 5,07 5,09 5,06 4,58 3,9 -0,39 6,78% - Off net 3,14 3,11 3,4 3,5 3,8 0,96 -4,66% Rete fissa 1,72 1,9 2,01 2,08 2,3 -9,47 -7,01% Reti internazionali 0,98 0,94 0,96 0,8 0,8 4,26 5,20% Totale 10,92 11,03 11,42 10,96 10,8 -1,00 0,28% Note: dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom. Complessivamente, la congiuntura economica negativa ha influito pesantemente sia sul mercato mobile delle infrastrutture sia soprattutto su quello dei terminali (tab. 7): se i ricavi derivanti dalla gestione, installazione e manutenzione delle reti sono diminuiti del 7,0%, scendendo a quota 1.470 milioni di euro, e la stessa fornitura di software e servizi agli operatori ha presentato valori molto negativi (-8,4%), il decremento più ingente in termini assoluti si è avuto proprio nel mercato dei terminali, in cui la crescente diffusione degli smartphone non è riuscita a bilanciare il generale calo in un segmento che ha fatto registrare un giro d’affari inferiore rispetto al 2008 di oltre 280 milioni di euro. Ciò è in parte dovuto anche alla fornitura di cellulari da parte degli operatori mobili all’interno di abbonamenti comprendenti traffico telefonico, traffico dati e terminali di ultima generazione. Tabella 7 - Il mercato delle tlc mobili: i ricavi da infrastrutture e terminali, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ %09-08 Cagr05-09 Reti per accesso, installazione, 1.470 1.580 1.650 1.915 2.095 -6,96 -8,48% gestione e manutenzione Software e servizi per operatori 490 535 515 475 405 -8,41 4,88% tlc Telefoni 2g e 3g, smartphone, 3.200 3.480 3.340 3.180 2.920 -8,05 2,32% internet key e data card Totale 5.160 5.595 5.505 5.570 5.420 -7,77 -1,22% Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting.

2. Gli operatori infrastrutturati e i MVNO

L’analisi delle quote di mercato per fatturato degli operatori infrastrutturati mostra nel 2009 alcuni segnali importanti: si è ridotta nettamente la distanza tra la divisione mobile di Telecom Italia, la cui quota è in calo di oltre l’8% rispetto al 2009, e che ora detiene il 38% del mercato mobile, e Vodafone, che crescendo di 4 punti ha visto aumentare la propria quota dal 36 al 37,7%, giungendo a ridosso dell’operatore leader (Tab. 8). Continuano inoltre le performance positive di Wind: l’operatore che fa capo alla compagnia egiziana Orascom, ora afferente alla russa Vimpelcom, potendo contare su una crescita annua media del 7% nell’ultimo quinquennio ha rafforzato la propria terza posizione, attestandosi a quota 16,8% dell’intero comparto, e incrementando così il proprio distacco da H3G. Per ciò che concerne quest’ultima, al contrario, i piccoli segnali di cedimento mostrati nel 2007 e nel 2008 si sono confermati anche nel 2009 (-2,43%): queste performance negative l’hanno portata sotto quota 7,3% dell’intero mercato mobile, pur mantenendo positivo il trend di crescita quinquennale (+4% medio annuo).

144 Telecomunicazioni mobili Tabella 8 - Evoluzione quote % di mercato per fatturato nella telefonia mobile in Italia, 2005- 2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 05-09 Tim 38,20 41,89 42,45 43,74 44,94 -8,80 -3,98% Vodafone 37,71 36,04 33,64 33,56 36,34 4,63 0,93% Wind 16,81 15,86 15,27 13,82 12,51 5,99 7,67% H3G 7,28 7,46 8,63 8,88 6,21 -2,43 4,06% Totale 100 100 100 100 100 0,00 0,00% Herfindal-Hirschmann 3216,7 3360,6 3241,3 3309,3 3535,3 -4,28 -2,33% Index Fonte: elaborazione IEM su dati aziendali. Il mercato nel complesso ha risentito meno di altri comparti della congiuntura economica negativa (tab. 9), mostrando un calo del 2,6%. Occorre tuttavia sottolineare che gli effetti della crisi sono stati più prepotenti su alcuni operatori, mentre altri ne hanno beneficiato per guadagnare quote di mercato: la peggiore performance annuale è stata fatta registrare da Tim, che ha perso oltre l’11% rispetto al 2008, scendendo a quota 8,6 miliardi di fatturato annui; egualmente negativo è stato l’andamento negli ultimi 12 mesi di H3G, in calo di quasi 5 punti percentuali. Vodafone e Wind, al contrario, hanno beneficiato delle perdita di terreno da parte dei rivali rispettivamente per avvicinarsi al leader e per rafforzare la propria posizione: la prima è cresciuta di circa 150 milioni di euro (+1,88%), confermando per il terzo anno consecutivo il proprio costante trend positivo (+1% medio annuo dal 2005). Ancor meglio ha fatto Wind, che oltre ha guadagnare oltre 100 milioni di euro rispetto al 2008 (+3,22%) presenta per il quinto anno consecutivo valori in aumento (+7,83% medio annuo dal 2005). Tabella 9 - Ricavi delle imprese italiane di telefonia mobile, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 05-09 Telecom Italia 8603 9687 9922 10210 10056 -11,19 -3,83% Vodafone 8492* 8335 7862 7834 8132 1,88 1,09% Wind 3786 3668 3570 3226 2800 3,22 7,83% H3G 1640 1726 2018 2072 1390 -4,98 4,22% Totale 22521 23127 23372 23342 22378 -2,62 0,16% Note: ricavi da servizi realizzati in Italia nel segmento mobile, dati in milioni di euro; (*) bilancio chiuso il 31 marzo 2010. Fonte: elaborazione IEM su dati aziendali. Per ciò che concerne gli operatori di rete virtuali (MVNO), ovvero i player che offrono servizi di fonia sfruttando lo spettro e le infrastrutture degli operatori di reti fisiche, il 2009 ha confermato l’andamento positivo rilevato negli anni passati. A circa tre anni dal lancio, gli operatori “virtuali” sono notevolmente cresciuti nel numero (giunto a quota 16) e nella base utenti (2,43 milioni) che però presenta un churn rate (o tasso di abbandono) estremamente alto. Agli operatori specializzati nei mercati “etnici” come Daily Telecom e PLDT Italia, che offrono tariffe agevolate per le chiamate rivolte a specifici segmenti di utenti immigrati e a quelli che sfruttano la diffusione della propria rete di punti vendita fornendo promozioni sulle tariffe telefoniche combinate al proprio core business (Poste Mobile, Carrefour, Coop, Erg mobile ecc) si sono aggiunti gli operatori tlc di rete fissa, che puntano sull’integrazione con le proprie offerte nell’ottica del quadruple play (Fastweb e Tiscali)2.

2 Questi operatori propongono offerte integrate di telefonia fissa, broadband, servizi audiovisivi (Iptv) e di telefonia mobile

Telecomunicazioni mobili 145 Tabella 10 - Ricavi MVNO in Italia per tipologia di servizio, 2008-2009 2009 2008 Var % Servizi voce 125,4 46,3 170,7 Servizi dati 24,4 6,4 281,4 Totale 149,8 52,7 184,2 Note: i dati si riferiscono a Carrefour, Coop Italia, Daily Telecom, Erg Mobile, Fastweb, Noverca, PLDT Italia, Poste Mobile e Tiscali. Dati in milioni di euro. Fonte: Agcom. Nel 2009 il mercato MNVO ha sfiorato quota 150 milioni di euro, facendo registrare una crescita di oltre il 180%. Sebbene siano i servizi dati a presentare i tassi di crescita maggiori (+281%), il segmento voce rimane largamente la componente decisiva, attestata a quota 125,4 milioni di euro annui. Ciononostante, particolarmente rilevante appare il mercato dei Mobile Payments, anche alla luce della recente liberalizzazione avvenuta con l’entrata in vigore del Decreto legislativo n.11 del 2010, che recepisce la normativa europea sui servizi di pagamento del mercato interno3: dal 1° marzo 2010 anche gli operatori Tlc possono agire come istituti di pagamento, dando la possibilità ai propri utenti di effettuare bonifici, trasferimenti finanziari e acquisti in modalità retail, oltre a pagare bollettini, parcheggi, pedaggi, transiti, biglietti e contenuti audiovisivi. Il primo operatore a muoversi in questa direzione è stato Poste Italiane, che insieme a Noverca (gruppo Intesa) detiene oltre il 60% del mercato dei MVNO. Nel 2009 i pagamenti in mobilità sono stati utilizzati prevalentemente per le ricariche telefoniche, il ticketing e il parking, ma è probabile che il mercato si evolverà verso servizi avanzati a più alto valore aggiunto per gli operatori (bonifici, fatture, acquisti e money transfer). In tale contesto, resta da stabilire come questi si posizioneranno lungo la catena del valore: se fungendo da abilitatori, se limitandosi a veicolare e semplificare le transazioni o se gestendo interamente e direttamente i servizi di pagamento per sfruttare l’alta diffusione dei terminali e la progressiva dimestichezza dell’utenza con il mobile billing.

3. La banda larga mobile: contenuti, traffico e investimenti

Il segmento del traffico dati, complice la crescente diffusione di terminali di nuova generazione dotati di connessione ad internet, appare quello dotato dei maggiori margini di crescita nel campo delle telecomunicazioni mobili. Ciò è dovuto soprattutto alla connettività a banda larga in mobilità offerta dagli operatori telefonici, un segmento ancora in via di sviluppo ma che potrebbe determinare l’apertura di un nuovo mercato di servizi rivoluzionari rispetto al tradizionale uso del telefono mobile: infomobilità, geolocalizzazione, servizi di prossimità, mobile payment sono solo alcuni dei possibili sviluppi cui condurrà la diffusione di “internet in tasca” presso la popolazione. Probabilmente per queste ragioni, tale comparto risulta quello maggiormente in evoluzione, nonché il terreno su cui si stanno giocando alcune tra le partite più importanti per il prossimo futuro. Da un lato, il nuovo modello di business introdotto dai player manifatturieri con il lancio di application store proprietari (Apple su tutti) ha in parte disintermediato gli operatori tradizionali dalla vendita dei contenuti4. Ciò è dovuto alle caratteristiche degli application store, i quali, strutturati in sinergia con i device, consentono a piccole software house o singoli sviluppatori di creare applicazioni destinate ad un vasto pubblico (ovvero i possessori del terminale) con la formula del revenue sharing tra operatore e sviluppatore. Tuttavia, poiché nella maggior parte dei casi i contenuti sono disponibili in modalità freemium o free, tale 3 http://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=1627 4 Vodafone ha lanciato un proprio application store disponibile per alcuni modelli di due distinti operatori manifatturieri (Samsung e Nokia), mentre Tim ha stretto un accordo con la stessa Nokia per fornire il proprio sis- tema di pagamento su Ovi Store, negozio online di contenuti e applicazioni lanciato dall’operatore svedese.

146 Telecomunicazioni mobili modello sembra generare una parziale ma progressiva sostituzione dei contenuti a pagamento con contenuti e applicazioni disponibili gratuitamente, piuttosto che un effetto sostituzione pay vs pay: se nei portali delle Telco il rapporto tra contenuti pay e free era di 95 a 5, negli application store questo appare radicalmente capovolto (8-92)5. Gli effetti di tale dinamica, sebbene positivi per i player manifatturieri, che offrono così ai propri clienti una serie di micro- servizi e applicazioni aggiuntive, generano un complessivo calo dei ricavi derivanti da contenuti mobili, che risultano in perdita di circa il 20% (-160 milioni di euro) rispetto al 2008 (tab. 11). Tabella 11 - Confronto ricavi mercato mobile: accesso, contenuti e pubblicità, 2008 - 2009 PoliMi Confindustria SI 2009 2008 ∆% 08-09 2009 2008 ∆% 08-09 Mobile internet 392 334 17,37 n.d n.d. n.d. Mobile content pay 596 744 -19,89 763 900 -15,22 - di cui da application store 24 6 300,00 2 0 - Mobile advertising 32 32 0,00 20,5 22 -6,82 Totale 1020 1110 -8,11 783,5 922 -15,02 Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Polimi (Osservatorio Mobile Content 2010) e Confindustria (Rapporto E-Content 2010) Infatti, al decremento dei ricavi da contenuti venduti dagli operatori tlc corrisponde un minimo aumento delle revenue per i gestori di application store, peraltro stimato in modo molto diverso a seconda delle fonti considerate (+2 milioni secondo Confindustria SI e +18 milioni secondo PoliMi). D’altra parte, tale nuovo meccanismo di diffusione dei contenuti contribuisce notevolmente all’incremento del traffico dati in mobilità: questo segmento è passato da 334 a 392 milioni di euro (+17%) un dato sicuramente incoraggiante che però non è riuscito a compensare la netta diminuzione dei ricavi da contenuti. La pressione concorrenziale di fornitori di contenuti “terzi” (rispetto alla gestione del traffico mobile) sembra dunque sospingere gli operatori di telefonia a rifocalizzarsi sui ricavi da traffico internet, venendo meno le possibilità di ricavo nelle vesti di content provider. In questo senso, la progressiva diffusione delle tariffe flat, che ha generato ricavi in aumento di 53 milioni rispetto al 2008 (+68%) a fronte dei 5 milioni di incremento fatti registrare dalla tariffazione a consumo (+2 % sul 2008)6 costituisce un segnale importante, così come le offerte che puntano in modo sempre più deciso sulla fornitura di pacchetti comprendenti smartphone dotati di accesso ad internet e connessione “senza limiti”. Tuttavia, proprio la tariffazione flat è messa in pericolo dal rischio di sovraccarico delle reti e, per sopperire a tale problema, tutti gli operatori stanno attuando pratiche di traffic shaping che limitano le velocità di navigazione degli utenti in certi lassi di tempo o una volta superata una determinata soglia di traffico. Se da un lato sembra profilarsi la fornitura di internet mobile secondo un modello di business che premia gli utenti disposti a pagare di più per un migliore servizio, dall’altro tale fenomeno rischia di rallentare la diffusione della banda larga mobile presso ampie fasce della popolazione e conseguentemente il suo utilizzo da parte della massa critica di utenti necessaria a rendere profittevoli gli investimenti in questa tecnologia. Per garantire uno sviluppo del mobile broadband che coinvolga il maggior numero possibile di individui appare dunque necessario che operatori e Istituzioni continuino a lavorare per sopperire al digital divide mobile con investimenti e liberalizzazioni. In questo senso, la previsione di assegnare le frequenze liberate dal passaggio al digitale del sistema radiotelevisivo agli operatori di telefonia mobile tramite asta pubblica introdotta dalla legge di stabilità 2010 costituisce un segnale importante. Tuttavia, la mancata previsione di indirizzare parte delle risorse ricavate dalla gara negli investimenti volti a ridurre il digital divide, come richiesto dalla Commissione Europea7, rischia di determinare 5 Rapporto E-Content 2010, Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici 6 Fonte: Osservatorio Mobile Content e Internet 2010 7 Cfr. l’Agenda digitale europea, le audizioni del Commissario Neelie Kroes presso la IX Commissione della Camera e l’VIII del Senato e la Decisione del 6 maggio 2010, la quale definisce norme tecniche armonizzate che gli

Telecomunicazioni mobili 147 un abbassamento del livello degli investimenti per il 2011-128. Figura 1 - Investimenti in immobilizzazioni, 2005-2009

4.000

3.428 3.500 3.165 3.194 3.046 3.000

2.415 2.500

2.000

1.500

1.000

500

0 2005 2006 2007 2008 2009

Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Agcom. A tal proposito, nel 2009 si è registrata una netta riduzione degli investimenti su rete mobile da parte degli operatori infrastrutturati (-22%), dovuta sia alla recessione economica sia soprattutto alla capillare copertura delle rete raggiunta da parte degli operatori. Il valore assoluto degli investimenti effettuati nel 2009 si è attestato a quota 2.415 milioni di euro, il più basso dell’ultimo quinquennio. D’altra parte, la crescita del traffico dati osservata precedentemente rende estremamente urgenti nuovi investimenti in tale direzione. Anche il nuovo standard Lte9, che permette performance di almeno 100 Mbps in download e 50 Mbps in upload, con picchi fino a rispettivamente 326.4 Mbit/s e 86.4 Mbit/s10, e che verosimilmente contribuirà a sviluppare ulteriormente il mercato del mobile broadband, se da un lato consente una maggiore efficienza “spettrale” e una maggiore flessibilità, dall’altro necessita dell’aggiornamento delle reti di trasmissione, non essendo retro-compatibile con gli standard precedenti11. Per queste ragioni gli operatori stanno investendo in specifici programmi destinati alla costruzione di infrastrutture per la banda larga mobile: Vodafone ha lanciato un piano per coprire mille Comuni in condizioni di digital divide a partire da gennaio 2010, e ha previsto di stanziare oltre 1 miliardo di euro in tre anni. Inizialmente verrà adottata la tecnologia HSPA+, per poi passare

Stati membri devono rispettare per l’assegnazione delle frequenze radio nella banda a 800 MHz. 8 Poiché gli operatori sono verosimilmente gli stessi che parteciperanno all’asta e dunque dovranno effet- tuare un ingente esborso per le frequenze (il Governo lo stima complessivamente intorno ai 2,4 miliardi di euro) è possibile che per far fronte a tale pagamento siano costretti a tagliare parte degli altri investimenti in infrastrutture. 9 Il nuovo standard LTE (Long Term Evolution) è l’ultimo della famiglia degli standard mobili di trasmis- sione ed è stato realizzato dal 3rd Generation Partnership Project (3GPP). Sebbene sia noto come standard di quarta generazione (4G), in realtà non è completamente corrispondente alle specifiche dell’ IMT Advanced 4G, al contrario dell’LTE Advanced, che consente performance vicine ad 1 Gbps. Mentre l’LTE non è compatibile con le reti prec- edenti (GSM, UMTS ecc) l’Advanced LTE è totalmente compatibile con le reti LTE. Di conseguenza, sarà necessario affiancare una nuova infrastruttura a quelle esistenti. La funzione dell’ LTE consiste quindi nell’implementazione delle performance della banda larga mobile sfruttando l’esperienza e gli investimenti effettuati per le reti 3G: ciò consentirebbe di anticipare i tempi rispetto alla disponibilità degli standard di quarta generazione 4G, facendo sì che, quando verranno introdotti, non sarà necessaria la costruzione di una ulteriore rete di trasmissione. 10 Rumney, Moray. “3GPP LTE: Introducing Single-Carrier FDMA”. Agilent Technologies. 11 Cfr. Nota 9.

148 Telecomunicazioni mobili all’LTE entro due o tre anni, e avranno priorità i Comuni che sono attualmente in condizione di Digital Divide totale. La capacità prevista dovrebbe essere superiore ai 2 Mbps, una soglia doppia rispetto alla quota di 1 Mbps ritenuta, anche a livello internazionale, soglia minima di “larga banda”. Inoltre, sia nel piano industriale di Telecom Italia, che include il potenziamento della rete mobile di TIM, sia nella roadmap stilata da Vodafone, sono annunciati aggiornamenti delle capacità delle rispettive reti (nelle aree già coperte) da 14,4 a 21-21,6 Mbps, fino a 42 Mbps nel 2012. Secondo le stime di Telecom Italia, nel 2013 il traffico sulla propria rete mobile sarà pari a 150 Petabyte (150 milioni di Gigabyte) quasi il triplo degli attuali 60 Petabyte previsti in transito sulla rete TIM nel 2010, ben 15 volte il volume del 2007. Un tasso di crescita simile (anche se molto inferiore in termini assoluti) è stato registrato anche sulla rete di 3 Italia, passata dal trasporto di 7 Petabyte del 2008 ai 16 del 2009 fino ai 5 del solo primo trimestre 201012. Dunque, se dal punto di vista della gestione di contenuti e applicazioni gli operatori si ritrovano in competizione con gli application store proprietari dei player manifatturieri, per quanto riguarda la fornitura di connettività appare cogente il problema del sovraccarico delle reti. Relativamente ai primi, il nuovo modello di business introdotto dagli application store proprietari sembra rappresentare per gli operatori tlc un competitor ma anche una leva di sviluppo con cui occorrerà trovare sinergie efficaci che rendano il mercato mobile redditizio. Infatti, per evitare che la diffusione di internet mobile si arresti o si trasformi in un fenomeno circoscritto ed elitario, appare necessario di ricreare, probabilmente coinvolgendo gli stessi fornitori di contenuti e servizi (anche eventualmente con meccanismi di revenue sharing tra operatori di rete e fornitori aggregatori di contenuti), un circolo virtuoso in grado di stimolare gli operatori a investire maggiormente nelle reti mobili e a promuovere l’utilizzo di tariffe flat, così da favorire la sottoscrizione di abbonamenti da parte del maggior numero possibile di utenti. Il raggiungimento della massa critica di utenti per rendere proficui tali investimenti passa verosimilmente per uno sviluppo del nuovo mercato dei servizi mobili che sia più condiviso e remunerativo per tutti in player della filiera.

4. Il confronto internazionale

Il confronto con i principali mercati europei, come già rilevato negli anni precedenti, vede l’Italia in una posizione di leadership per quanto concerne il numero di linee attive. L’Italia presenta infatti la più alta penetrazione di linee mobili rispetto alla popolazione (158,42%), seppur in calo rispetto al 2008. Seguono la Germania (133,03%) e il Regno Unito (131%), mentre Francia e Spagna presentano tassi minori, maggiormente in linea con il numero di abitanti, rispettivamente pari al 97,92% e al 109,30%. Tabella 12 - Evoluzione delle linee di telefonia mobile, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ %09-08 Cagr05-09 Francia 97,9 93,6 89,8 85,1 79,5 4,63 5,35% Germania 133,0 129,9 117,6 103,6 95,9 2,38 8,53% Italia 151,2 158,4 157,6 135,1 123,1 -4,56 5,28% Spagna 109,3 107,5 107,1 102,2 96,8 1,67 3,08% Regno Unito 131,7 126,3 121,8 115,9 109,2 4,28 4,80% Note: dati in milioni. Fonte: elaborazione IEM su dati Arcep,VATM, Assinform, Ofcom e CMT. Il mercato di telefonia mobile più ampio risulta ancora essere quello tedesco, sebbene il trend degli ultimi cinque anni evidenzi l’ormai raggiunta saturazione: sceso a quota 23 miliardi di euro, esso presenta tassi di decremento elevati sia sul lungo periodo (-4% medio annuo dal 2005) sia nel confronto anno su anno (-7% rispetto al 2008).

12 Nel corso del 2009, 3 Italia ha siglato due importanti accordi: quello esclusivo con Ericsson per lo sviluppo di una rete in banda larga mobile all’avanguardia, e quello con Telecom Italia per la condivisione dei siti di accesso per la rete radiomobile per ottimizzare gli investimenti e i tempi di sviluppo della rete stessa (fonte: 3 Italia).

Telecomunicazioni mobili 149 Tabella 13 - Evoluzione del mercato di telefonia mobile nei principali paesi europei, 2005-2009 2009 2008 2007 2006 2005 ∆ % 09-08 Cagr 05-09 Francia 20,4 20,1 19,0 18,1 17,4 1,49 4,06 Germania 23,6 25,4 26,4 27,8 28,1 -7,09 -4,27 Italia 18,8 18,8 18,5 18,0 17,2 0,35 2,33 Regno Unito 16,7 17,3 16,8 15,6 14,7 -3,24 3,27 Spagna 14,3 14,9 14,8 13,3 12,0 -3,99 4,56 Totale 93,9 96,5 95,5 92,8 89,4 -2,69 0,01 Note: dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Arcep,VATM, Assinform, Ofcom e CMT. Discorso inverso per la Francia che, grazie ad un tasso di crescita costante (+4% medio nell’ultimo quinquennio), è riuscita a resistere bene anche alla crisi, guadagnando circa l’1,5% nel 2009 e confermandosi il secondo mercato europeo per dimensioni. L’Italia rafforza la propria posizione facendo segnare una leggera crescita (+0,3%)13 mentre la Spagna subisce una sensibile battuta d’arresto (-4%), così come il Regno Unito (3,2%) Scomponendo i ricavi secondo le direttrici, sono due le tendenze che emergono distintamente: la perentoria crescita del traffico dati e la diminuzione del traffico voce e sms (Tab. 14). Per ciò che concerne il mercato voce, in Italia e Francia la riduzione appare contenuta, rispettivamente -1,09% e – 1,92%, mentre in Germania e in Spagna questo segmento perde quasi il 9%. Al contrario di quello spagnolo, inoltre, il trend tedesco mostra valori sensibilmente negativi anche sul lungo periodo (sfiorando quasi il 7% medio annuo), lasciando presagire un progressivo cambiamento nelle abitudini degli utenti, sempre più orientati alla sottoscrizione di offerte di pacchetti di minuti che riducono i ricavi per gli operatori. Il comparto del traffico dati è quello che ha fatto segnare le performance migliori: in un mercato maturo come quello tedesco questa componente supera abbondantemente quota 3 miliardi di euro, con un tasso di crescita media annua nell’ultimo quinquennio di quasi il 40%. Anche in Italia il traffico dati fa segnare valori molto positivi (+22% medio annuo dal 2005 e +10% rispetto al 2008) sfiorando nel 2009 quota 2 miliardi di euro, così come in Spagna (1,5 miliardi nel 2009). Più difficile fare una stima sul trend francese, anche se l’incremento di oltre 20 punti percentuali della componente dati + sms, considerando che questo secondo segmento presenta valori negativi in tutti gli altri mercati, potrebbe rivelare un’ottima performance del mercato dati, in grado di controbilanciare brillantemente l’ipotizzato calo del mercato sms. Proprio quest’ultimo segmento, come prevedibile, sta diventando un comparto di secondo piano in tutti i mercati europei, sia per via dei pacchetti che offrono grandi quantità di sms a costi ridotti, riducendo il ricavo unitario, sia perché l’evoluzione delle forme di comunicazione mobile lo rende sempre più uno strumento obsoleto: calato di quasi 9 punti in Germania, di 6 in Italia e di 9 in Spagna, il mercato sms verrà probabilmente rimpiazzato in maniera graduale dallo scambio dati. Complessivamente, dunque, in tutti i grandi paesi europei gli operatori stanno fronteggiando il progressivo cambiamento delle abitudini degli utenti e la trasformazione dei terminali mobili da strumenti di comunicazione one-to-one a veri e propri media center in grado di fornire connettività, intrattenimento e accesso al web. L’abilità di guidare o accompagnare questa evoluzione determinerà probabilmente i futuri equilibri del mercato negli anni a venire.

13 In questa comparazione sono stati utilizzati i dati Assinform, che vedono il mercato italiano crescere dello 0,3%. Più negativo è l’andamento secondo l’Agcom, vedi supra.

150 Telecomunicazioni mobili Tabella 14 - Ricavi da servizi di telefonia mobile nei maggiori paesi europei, 2005-2009 Tipologia di Paese 2009 2008 2007 2006 2005 ∆%09-08 Cagr 09-05 ricavi Francia voce 15,30 15,60 15,10 14,60 14,30 -1,92 1,70 dati e sms 3,80 3,10 2,40 2,10 1,90 22,58 18,92 Vas e directory 1,30 1,40 1,40 1,30 1,20 -7,14 2,02 Germania voce 17,23 18,95 20,36 22,08 22,97 -9,08 -6,94 dati 3,23 3,02 2,35 1,67 0,92 6,98 36,92 mms 0,19 0,20 0,24 0,22 0,17 -7,39 2,85 sms 2,95 3,23 3,46 3,83 4,04 -8,53 -7,56 Italia voce 10,92 11,04 11,11 11,20 10,80 -1,09 0,28 dati e mms 1,99 1,80 1,54 1,30 0,90 10,56 21,94 sms 2,22 2,37 2,33 2,50 2,30 -6,33 -0,88 Regno Unito voce 11,78 12,34 12,57 11,89 11,56 -4,54 0,47 dati e mms 1,9 1,57 1,01 0,78 0,44 21,02 44,15 sms 3,03 3,36 3,25 2,91 2,69 -9,82 3,02 Spagna voce 10,27 11,28 11,69 10,82 9,83 -8,95 1,10 dati 1,50 1,11 0,78 0,46 0,30 35,02 49,06 sms e mms 1,57 1,73 1,74 1,65 1,55 -9,08 0,30 Note: dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Arcep,VATM, Agcom, Ofcom e CMT.

Telecomunicazioni mobili 151 Informatica

152 Informatica di Roberto Triola

1. Introduzione

Negli ultimi 15 anni l’informatica italiana ha attraversato 2 fasi di sviluppo nettamente distinte. Il primo tempo è stato contraddistinto da un vero e proprio boom del mercato, passato da un valore di appena 11 mld. ad un valore di oltre 20 mld. con un tasso di crescita medio annuo del 12% circa. Tabella 1 – Il mercato dell’Informatica italiana. Gli anni ruggenti, 1994-2001 2001 2000 1999 1998 1997 1996 1995 1994 Hardware e assistenza tecnica 7,2 7,1 6,5 6,1 5,7 5,4 5,3 5,2 Software e servizi di informatica 13,2 11,9 10,3 9,1 8,3 6,5 6,2 5,9 Totale 20,4 19,0 16,8 15,2 14,0 11,9 11,5 11,1 Fonte: Assinform/NetConsulting. Il secondo tempo, che non si è ancora concluso, è stato attraversato da 2 crisi mondiali che hanno avuto un impatto fortissimo sulla domanda e, nonostante la maturità e l’innovazione tecnologica dell’offerta, hanno determinato un crollo del mercato superiore all’8%. Se per uscire dalla crisi del 2002-2003 (che era una crisi di crescita dell’offerta) c’erano voluti 5 anni, nel corso dei quali si era faticosamente tornati sui livelli di mercato raggiunti ad inizio decennio, la nuova crisi di fine decennio - che ha travolto invece la domanda - ha avuto, invece, un impatto maggiore i cui effetti rischiano di trascinarsi stavolta ben oltre il lustro. Tabella 2 – Il mercato dell’Informatica italiana. Gli anni della crisi, 2002-2009 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 Hw e assistenza tecnica 5,6 6,5 6,6 6,3 6,2 6,0 6,0 6,4 Sw e servizi di informatica 13,1 13,8 13,6 13,5 13,3 13,3 13,4 13,7 Totale 18,7 20,3 20,2 19,8 19,5 19,3 19,4 20,1 Fonte: Assinform/NetConsulting. Più che un problema di offerta informatica l’Italia sembra soffrire di un bassa capacità di assorbimento dell’innovazione da parte della domanda, caratterizzata da: • diffusione disomogenea delle infrastrutture, con pochi picchi di qualità ma anche tanta arretratezza, sia dal punto di vista geografico sia da quello delle singole organizzazioni (pubbliche amministrazioni e imprese); • scarsa alfabetizzazione informatica; • mancanza di consapevolezza diffusa di come l’IT possa aiutare imprese e Istituzioni ad

Informatica 153 affrontare le sfide del mondo attuale e futuro, e non solo essere un mero strumento di riduzione dei costi; • il basso ricorso alla formazione continua; • l’assenza di meccanismi stabili di collaborazione fra mondo della ricerca e mondo delle imprese, che rende molto difficile tradurre in sviluppo e ricchezza il patrimonio di creatività e imprenditorialità del nostro Paese; • l’ancora poco diffuso utilizzo delle nuove forme di collaborazione offerte dall’informatica (Web 2.0 e cloud computing) che, dilatando i confini di imprese e Istituzioni, aprono opportunità di sviluppo impensabili anche solo fino a pochi anni fa. Dai dati disponibili al 2009 emerge un evidente ritardo nel processo di digitalizzazione del Paese (tab. 3). Tabella 3 – Indicatori di digitalizzazione in Italia e nei principali Paesi UE Indicatore Italia Francia Germania Spagna Regno Unito Cittadinanza digitale PC/abitazione 52% 53% 82% 63.6% 72% Internet/abitazioni 42% 66% 75% 51% 71% BB/abitazioni 39% 61% 56% 45% 62% Utenti internet (negli ultimi 3 mesi) 47% 63% 75% 57% 70% Donne su internet 32% 64% 71% 53% 66% Adulti 55-74 su internet 13% 36% 38% 15% 44% Utenti B2C su utenti internet 7% 28% 63% 40% 49% Impresa digitale Imprese con internet 66% 57% 95% 95% 93% Imprese con BB (% su imprese con accesso 54% 50% 84% 97% 87% a internet) Imprese con internet e sito web 33% 30% 77% 58% Imprese che comprano su internet 13% 18% 26% 16% 47% P.A. digitale (e-government, istruzione) Spesa IT del settore pubblico (mln €) 2.747 5.085 5.907 3.055 13.928 % sulla Spesa Pubblica corrente 0,9% 1,1% 1,5% 1,3% 3,5% Imprese che dialogano con la PA on-line 42% 67% 45% 45% 51% (invio moduli) Cittadini che dialogano con la PA on-line 5% 25% 11% 9% 12% (invio moduli) Scuole con PC in classe (2006) 32% 77% 66% 48% 95% Docenti che usano strumenti ICT per la 55% 60% 84% didattica Fonte: Elaborazioni su Fonti varie (2009). Si evidenzia innanzitutto che la diffusione delle infrastrutture (banda larga) e di altri beni informatici primari (PC) nelle famiglie è ancora carente. Una parte rilevante direttamente collegata a questo aspetto è l’alfabetizzazione informatica, ancora piuttosto modesta: per esempio solo il 13% degli italiani tra i 55-74 anni usa internet. In secondo luogo, la digitalizzazione delle aziende non è ancora sufficiente ad assicurare un’adeguata modernizzazione, considerando il ritardo nell’utilizzo di applicazioni di automazione delle funzioni aziendali e l’accesso a funzioni avanzate della Rete, quali per esempio l’acquisto di beni strumentali e di consumi per via elettronica (un parametro che in altri paesi è superiore all’Italia). Basti pensare che le piccole imprese italiane, nonostante la loro numerosità (4 milioni)

154 Informatica rappresentano appena il 18% della spesa IT totale, e nel corso del 2009 sono quelle che hanno ridotto maggiormente gli investimenti informatici (-10%). Infine, con riferimento al settore pubblico è fondamentale notare che la nostra quota di spesa informatica pubblica, in % della spesa corrente, è di gran lunga inferiore a quella dei nostri partner europei. Ciò comporta l’assenza, soprattutto a livello locale, di servizi interattivi diffusi sia all’utenza business che consumer. Altro indice rilevante dello stato di salute del digitale “pubblico” è l’uso dell’informatica nelle scuole: un settore che in Italia ha ancora bisogno di notevoli miglioramenti.

2. Le imprese IT in Italia

Con circa 100mila imprese e 400mila addetti il settore informatico italiano occupa una posizione rilevante all’interno del sistema economico italiano. Secondo i dati Eurostat il settore IT si colloca, infatti, nella Top Ten delle attività economiche in Italia, sia in termini di valore aggiunto complessivamente prodotto che di addetti occupati, con un’incidenza vicina al 3%. Particolarmente interessante appare il raffronto con alcuni settori tradizionali dell’economia – come ad esempio l’industria del legno, la chimica e l’editoria - rispetto ai quali il comparto IT è caratterizzato da un maggior peso (in alcuni casi il doppio o il triplo) relativamente ad addetti e a valore aggiunto totali mostrando, peraltro, una maggiore pervasività nel panorama imprenditoriale italiano. La rilevanza del settore IT in Italia è dimostrata anche dai dati relativi alla produttività. Se si considera la remunerazione del capitale umano per unità di prodotto realizzato o di servizio erogato, il settore IT ha una produttività del 26%, superiore di 13 punti percentuali alla media nazionale, a dimostrazione di una elevata presenza nel comparto di capitale umano altamente professionalizzato e di realtà aziendali con strutture organizzative efficienti. Dall’osservazione del settore IT emerge come comparto prevalente quello del Software e Servizi riguardante la consulenza informatica, lo sviluppo del software propriamente detto, la gestione e l’analisi dei dati e, più in generale, tutte le attività connesse all’informatica. Da un punto di vista strutturale, il 92% delle imprese IT italiane è concentrato sullo sviluppo di Software e Servizi connessi, il 6,2% si occupa di Assistenza tecnica, mentre solo l’1,8% ha come attività prevalente la fabbricazione di macchine informatiche. Proprio il comparto dell’Hardware sta vivendo negli ultimi anni una contrazione lenta ma continua in termini di unità produttive. Dal punto di vista della forma giuridica le imprese del settore IT sono prevalentemente costituite in società di capitali, le quali incidono sulla numerosità totale del settore per il 32% e occupano una quota di addetti pari al 69% (quota che raggiunge quasi l’84% se si considerano i soli dipendenti). Ciò significa che il settore dell’IT ha, da un punto di vista strutturale, una solidità importante: il 57% delle imprese con forma societaria impiega infatti l’88% degli addetti e il 98% dei dipendenti. Va detto tuttavia che, come il resto dell’economia del Paese, anche il settore IT è contraddistinto dalla schiacciante presenza di micro-imprese. Circa il 94% delle imprese informatiche italiane ha infatti meno di 10 addetti e occupa appena il 25% dei dipendenti e il 44% degli oltre 390mila addetti complessivi del settore. Anche per numero di addetti è il comparto Software e Servizi il più importante del settore IT. In particolare, nel 2008 si osserva che, sulla totalità degli addetti del settore IT, il 92,4% è impiegato nello sviluppo di Software e Servizi, il 4,0% si occupa di Assistenza tecnica e solo il 3,6% è impiegato nella fabbricazione di macchine per ufficio, nell’assemblaggio di elaboratori o nella realizzazione di sistemi informatici. Analogamente a quanto constatato per le imprese, si osserva un leggero ma continuo rafforzamento del comparto dei Servizi (+0,2%) e una corrispondente progressiva contrazione del comparto Hardware.

Informatica 155 Dalla ripartizione territoriale delle imprese IT si nota come le unità locali siano concentrate per la grande maggioranza nell’area del Nord-Ovest (circa 38mila unità) e a seguire nel Centro (circa 24mila unità) e nel Nord-Est Italia (22mila unità); in misura minore nel Meridione e nelle Isole (queste ultime due ripartizioni contano insieme poco meno di 21mila unità produttive). La Lombardia è la regione con il maggior numero di unità locali IT (quasi 27mila). Il Lazio con 12mila unità di produzione è al secondo posto nella gerarchia delle regioni italiane, seguito da Veneto, Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna. Le unità locali attive nel settore IT producono un fatturato complessivo superiore ai 44 miliardi di euro, pari a circa 440mila euro per unità produttiva e a 110mila euro per addetto. Di questo, l’88% è stato prodotto dal comparto Software e Servizi, il 9% dal comparto Hardware e solo il 3% dall’Assistenza tecnica. La crisi economica e finanziaria del biennio 2008-2009 si è quindi innestata su una struttura imprenditoriale diffusa, ma fragile, caratterizzata da poche grandi imprese (Tab. 4) le prime 50 aziende informatiche italiane coprono circa il 50% del fatturato totale e decine di migliaia di piccole e microimprese si contendono l’altro 50% del mercato. Dal lato dell’offerta si tratta di un mercato orientato prevalentemente alla fornitura verso pochi grandi spender dell’industria, del mondo bancario, della sanità pubblica e delle telecomunicazioni. Dal lato della domanda osserviamo un mercato ristretto che rende molto difficile la crescita del settore attraverso gli investimenti in ricerca e innovazione delle imprese IT. Un mercato caratterizzato da: • una spesa consumer ancora molto bassa sul totale (6% circa); • un settore pubblico “bloccato” dal debito e dalle società in house e che non riesce quindi a fare da driver per lo sviluppo del mercato (con una quota ormai stabile da anni intorno al 15% del totale); • il segmento business largamente dominato da poche grandi imprese che, pur calando gli investimenti in informatica dell’8% nel 2009, spendono per l’IT quasi il 57% del totale business. Tabella 4 - Top 50 Aziende dell’IT in Italia: ricavi Rank Società 2009 2009/2008 2008 2008/2007 2007 1 Hewlett-Packard Italiana (Gruppo) 2.850 -7,0% 3.064 2,4% 2.993 2 IBM Italia 2.050 -6,0% 2.182 1,9% 2.141 3 Esprinet (Gruppo) 1.600 -10,2% 1.781 -1,2% 1.804 4 Accenture 960 -0,7% 967 17,1% 826 5 Cisco Systems Italy 880 -4,3% 920 5,7% 870 6 Microsoft 827 0,2% 825 0,6% 820 7 Engineering (Gruppo) 740 5,4% 702 59,9% 439 8 Acer Italy 710 2,4% 693 9,5% 633 9 Ecs 600 6,0% 566 8,6% 521 10 Asustek Italia 590 5,4% 560 28,7% 435 11 Tech Data 585 -5,2% 617 0,8% 612 12 Computer Gross Italia 550 6,6% 516 10,3% 468 13 Ingram Micro Italia 505 -12,4% 576 -11,5% 651 14 Elsag Datamat 500 -0,4% 502 10,7% 454 15 Almaviva (Gruppo) 390 -3,9% 406 -15,8% 482 16 Oracle Italia 381 4,4% 365 7,2% 341 17 Samsung 378 16,1% 326 21,4% 268

156 Informatica 18 Sia Ssb (Gruppo) 370 -2,3% 379 -1,6% 385 19 Datamatic 360 3,7% 347 10,2% 315 20 Cdc (Gruppo) 350 -6,6% 375 -20,2% 470 21 Fujitsu Technology Solutions 315 -3,1% 325 4,6% 311 22 Apple Computer 315 5,0% 300 25,0% 240 23 Dell 290 -9,4% 320 6,7% 300 24 Google 290 16,6% 249 26,2% 197 25 Italtel (Gruppo) 288 -16,1% 343 -17,6% 416 26 Sap Italia 285 -6,6% 305 20,6% 253 27 Reply (Gruppo) 280 5,6% 265 20,7% 220 28 Value Team 275 -2,6% 282 4,2% 271 29 Ricoh 250 -8,4% 273 -13,1% 314 30 Cedacri (Gruppo) 250 -1,1% 253 25,0% 202 31 Zucchetti (Gruppo) 231 5,0% 220 7,3% 205 32 Xerox 230 -2,1% 235 -0,8% 237 33 Sun Microsystems Italia 228 -15,6% 270 -16,9% 325 34 Sony Computer Entertainment 220 4,8% 210 -16,6% 252 35 Lexmark 210 -8,7% 230 -2,1% 235 36 Epson Italia 210 -5,6% 223 -12,9% 255 37 Csi Piemonte 180 1,7% 177 3,1% 172 38 Bassilichi 180 -2,7% 185 51,9% 122 39 Brevi 172 -3,9% 179 1,2% 177 40 Toshiba 170 -5,6% 180 -14,3% 210 41 Sony Italia 170 9,7% 155 10,7% 140 42 Cse Consorzio Servizi Bancari 167 6,2% 157 10,0% 143 43 Altran Italia 160 -9,2% 176 12,9% 156 44 E-Motion 160 -4,7% 168 -4,0% 175 45 Siemens It Sol. & Svcs 160 -3,7% 166 -7,9% 180 46 Ncr 160 -3,1% 165 -2,4% 169 47 Infracom (Gruppo) 160 -1,2% 162 44,5% 112 48 Emc 150 -9,1% 165 -7,3% 178 49 Olivetti 150 -6,3% 160 -3,0% 165 50 Avnet Technology Solutions 145 -2,6% 149 7,4% 139 Note: dati in milioni di euro. Fonte: Elaborazioni su stime SIRMI.

3. Il mercato

Il mercato IT ha quindi evidenziato, soprattutto nel corso del 2009, una situazione di forte criticità con un calo dell’8,1%, molto più profondo di quello medio europeo e secondo per entità solo al “crollo” a 2 cifre della Spagna. Segnali incoraggianti vengono tuttavia soprattutto dal segmento del software applicativo, e nel corso del 2010, da un deciso recupero degli investimenti aziendali in hardware. Il comparto dell’Hardware ha registrato, nel 2009, la dinamica peggiore dell’intero mercato IT, generando ricavi per 4.874 milioni e perdendo quindi, rispetto all’anno precedente il 14,8% in termini di valore.

Informatica 157 Tabella 5 – Il Mercato dell’informatica in Italia, 2007-2009 (Valori in mln € e variazioni in %) 2009 09/08 2008 08/07 2007 Servizi 8.750 -6,5% 9.355 0,4% 9.317 Hardware 4.874 -14,8% 5.723 -0,2% 5.733 Software 4.307 -3,6% 4.470 3,4% 4.325 Assistenza Tecnica 755 -5,0% 795 -2,5% 815 Totale 18.686 -8,1% 20.343 0,8% 20.190 Fonte: Assinform/NetConsulting, 2010. Tutti i segmenti evidenziano contrazioni di fatturato, in alcuni casi molto accentuate. In particolare, l’andamento più negativo ha riguardato i prodotti di fascia alta e prezzo elevato. In termini di unità, l’unico segmento che mostra una crescita è quello dei notebook, grazie alla tenuta del mercato consumer ed alle vendite del sub-segmento dei netbook (computer portatili di fascia e dimensione bassa). Un fattore importante da rilevare, dal punto di vista dell’offerta, è la rinuncia da parte di alcuni operatori nazionali alla delocalizzazione, al fine di ridurre drasticamente il “time-to-market”, tentando di soddisfare con maggiore tempestività e prodotti personalizzati una domanda sempre più frammentata. In generale il segmento dei Personal Computer registra, per la prima volta, tassi di crescita negativi in valore, mentre si mantengono in crescita (seppure a tassi ridotti) le unità vendute. Nonostante la sostanziale tenuta del mercato consumer, i ridotti investimenti del mondo business, aziende e professionisti, hanno penalizzato fortemente la domanda. Le vendite dell’intero comparto, che include i Pc Client (desktop e notebook) e i Pc Server , ammontano a 6.942.000 unità, in crescita dello 0,5% sull’anno precedente, per circa 2.827 milioni di Euro. Complessivamente, alla fine del 2009 il parco dei Personal Computer installati ammonta a 33.238.000 unità, con una diminuzione consistente del peso dei desktop e un incremento del notebook, che ormai rappresenta poco meno del 40%. La domanda di PC Client (desktop e notebook), che da alcuni anni sosteneva il fatturato hardware, è stata debole per quasi tutto il 2009, con una lieve ripresa sul finire dell’anno, grazie anche alla disponibilità di modelli con nuovi processori. Complessivamente sono stati venduti circa 6.772.000 pezzi con un incremento dell’1,2%, grazie soprattutto al forte contributo dei netbook, le cui vendite sono cresciute di quasi l’80% in termini di unità, raggiungendo circa 1.550.000 pezzi. Questi prodotti, caratterizzati da dimensioni ridotte (con uno schermo inferiore a 11”) e prezzo molto contenuto, hanno però in parte cannibalizzato le vendite di notebook, determinando un abbassamento del prezzo medio e, di conseguenza, dei ricavi complessivi, che si sono ridotti dell’11,6%. Utilizzi interessanti di questi piccoli sistemi vengono segnalati nelle sperimentazioni in ambito scolastico: ad esempio, in scuole elementari e medie, per creare una “connected classroom”, si utilizzano modelli costruiti parzialmente in gomma per meglio sopportare urti e graffi, dotati di tastiera antimicrobo per tutelare la salute dei bambini. Le lezioni possono essere seguite dagli alunni con connessione Wireless; l’insegnante usufruisce di una lavagna interattiva, le nozioni sono memorizzate su disco fisso e messe a disposizione su blog. Ulteriori sviluppi in quest’area sono attesi con il lancio dei nuovi tablet touchscreen e dei dispositivi ebook, che hanno avuto un grande successo negli Stati Uniti, il cui decollo nel nostro Paese è legato principalmente allo sviluppo di contenuti editoriali e servizi fruibili sui nuovi dispositivi. Per quanto riguarda la componente PC Server, si è accentuata nel 2009 la contrazione che si era già affacciata nella seconda metà dell’anno precedente. La domanda è stata molto debole durante tutto l’anno con lievi segnali di ripresa solo nel quarto trimestre. Le vendite si sono attestate a circa 170.000 pezzi, con una flessione del 20,9% sull’anno precedente. Anche in

158 Informatica termini di fatturato il trend è stato negativo, dal momento che i progetti di rilievo sono stati scarsi ed hanno penalizzato la vendita di configurazioni di maggior valore. La componente Mainframe, fra i segmenti hardware, è quella che ha maggiormente sofferto per la mancanza di investimenti strategici. Tutti i progetti di ampio respiro sono stati congelati: gli investimenti sono stati indirizzati alla sostituzione di macchine di vecchia generazione o a piccoli incrementi di potenza elaborativa per far fronte a necessità applicative già esistenti. Come già nel 2008, tali fenomeni hanno riguardato particolarmente l’ambiente bancario e finanziario i quali, da soli, valgono oltre l’80% dell’intero mercato Mainframe. Da segnalare una crescente attenzione alle possibilità di utilizzo del Mainframe in ambito Cloud Computing, con software direttamente fruibile dalla rete Web in modalità SaaS (Software-as- a-Service). Nel segmento delle Stampanti si sono accentuate le tendenze già evidenziatesi negli ultimi anni, con la conferma del declino del segmento inkjet, il cui utilizzo è ormai limitato al mondo consumer, e la diminuzione delle vendite della componente monofunzione del segmento laser. L’unica componente di mercato a “tenere”, seppure con tassi di crescita inferiori agli anni passati, è quella dei prodotti multifunzione laser, sia bianco e nero che a colori, che però non riescono a compensare il calo del mercato multifunzione inkjet. È confermata la tendenza al consolidamento delle stampanti aziendali verso i sistemi multifunzione e l’estensione dei cosiddetti Managed Print Services a consumo. Si sta infatti assistendo alla crescita dei cosiddetti servizi del tipo pay per print (detti anche pay per page), che si basano sul pagamento di un canone calcolato sul numero di pagine prodotte (stampe, copie, fax). Il canone comprende, oltre all’uso della stampante, l’assistenza sistemistica, i ricambi, i consumabili e la gestione. Nei contratti è spesso associata un’offerta di sostituzione del parco macchine con apparecchiature nuove, promuovendo in tal modo il rinnovamento tecnologico. I ricavi della componente Storage, dischi e nastri, si attestano a circa 272 Milioni di Euro, in contrazione del 15% rispetto al 2008. Analogamente a quanto visto negli altri segmenti, anche nel caso dello storage il mercato ha prevalentemente richiesto soluzioni di potenziamento e razionalizzazione dell’esistente, piuttosto che soluzioni relative a nuovi progetti. Nonostante la congiuntura economica negativa, la domanda del mercato è stata alimentata dalla forte crescita del volume delle informazioni da gestire, dall’altissima percentuale di informazioni “non strutturate” (e-mail, messaggi, documenti, immagini, video), dall’elevato e crescente numero di normative che spesso comportano la necessità di dover conservare i dati aziendali per lungo tempo. Le strategie di offerta degli operatori del settore sono state indirizzate a soddisfare 3 esigenze fondamentali: • miglioramento del servizio: soluzioni di condivisione, virtualizzazione, automazione; • gestione del rischio: protezione, encryption, disaster recovery, business continuity; • riduzione dei costi: consolidamento, archiviazione intelligente, green computing, cloud computing. Il comparto dell’Assistenza Tecnica, sebbene in contrazione del 5%, sembra aver sofferto meno della diminuzione generalizzata degli investimenti: il ritardo nel rinnovamento del parco installato ha infatti indotto le aziende ad acquistare servizi di supporto al fine di continuare a garantire il buon funzionamento delle infrastrutture. Sono ormai note da tempo le ragioni che strutturalmente determinano la diminuzione del fatturato della manutenzione dei prodotti hardware: • i nuovi prodotti sono sempre meno costosi ed il servizio di manutenzione ne segue il trend al ribasso dei prezzi; • sempre più diffusi i processi di concentrazione ed ottimizzazione delle infrastrutture:

Informatica 159 molti server o torri storage , di capacità e prezzi inferiori, sono sostituiti in processi di consolidamento e virtualizzazione da minori unità, di fascia più elevata, che complessivamente offrono migliori prestazioni, minori consumi energetici diretti ed indiretti, maggiore efficienza di gestione per cui il servizio di manutenzione costa complessivamente meno. Per quanto attiene le tariffe, anche se i prezzi a listino nel 2009 sono rimasti sostanzialmente invariati o sono lievitati solo leggermente per riflettere l’andamento dell’inflazione, molto spesso i vendor hanno concordato di offrire al cliente servizi migliori o più estesi a prezzi invariati. Qualche sofferenza si è manifestata nella parte bassa del mercato, a causa della mancanza di rinnovi contrattuali e di uno slittamento generalizzato verso i livelli di servizio inferiori. Dal punto di vista dei modelli di offerta occorre sottolineare che il ricorso a politiche di buy da parte dei vendor, che comportano l’utilizzo di Terze Parti , si è molto ridotto negli ultimi tempi. L’estrema competitività del mercato ha prodotto diffusi fenomeni di selezione, fusione e concentrazione degli operator e le Terze Parti rimaste competitivamente sul mercato sono poche e di dimensioni abbastanza rilevanti. E’ chiaro che il ricorso alle Terze Parti consente di avere maggiore flessibilità e copertura del territorio in caso di intervento; ma la gestione e il training di queste è oneroso e non privo di rischi in quanto può accadere che la Terza Parte, raggiunta una certa massa critica ed autonomia di intervento, possa sottrarre opportunità d’affari al vendor con il quale collabora. Pur essendo un business in contrazione ormai da molti anni, gli operatori che presidiano il settore sono molto attenti alla cura di questa tipologia di servizio per due ragioni fondamentali: • la marginalità lorda del servizio di assistenza tecnica si mantiene su livelli interessanti, in genere più elevata all’aumentare della complessità e criticità degli ambienti; • il grande valore tattico e strategico del servizio, in quanto un efficiente servizio di manutenzione e assistenza tecnica fidelizza il cliente, garantisce un importante ritorno in termini di immagine e permette talvolta di influenzare le scelte in relazione a nuovi investimenti sia in termini di prodotti sia di servizi. Il 2009 ha confermato i timori e le speranze che erano stati espressi alla fine del 2008 relativamente all’evoluzione futura del comparto Software e Servizi. Le conseguenze della crisi economica si sono manifestate in tutta la loro portata anche in questo settore, mostrando le dinamiche in maggior calo nell’ambito del segmento servizi IT (-6,5% rispetto al 2008) e una contrazione più attenuata nell’area del software (-3,6% rispetto al 2008), determinando una contrazione complessiva del -5,6% che ha portato il valore complessivo del mercato a 13.057 milioni di Euro (Tab. 4). In dettaglio, il rallentamento del mercato Software è riconducibile a tutti e tre i segmenti che lo compongono: Tabella 6 - Mercato del Software in Italia, 2007-2009 (valori in mln € e variazioni %) 2009 09/08 2008 08/07 2007 Software di base 590,5 -4,6% 619,0 3,2% 600,0 Software Applicativo 2.631,5 -4,1% 2.744,0 2,5% 2.678,0 Software Middleware 1.085,0 -2,0% 1.107,0 5,7% 1.047,0 Totale Software 4.307,0 -3,6% 4.470,0 3,4% 4.325,0 Fonte: Assinform/ NetConsulting. È ormai da qualche anno che il mercato degli strumenti software middleware si conferma importante. Il 2009, in particolare, mostra un’azione diretta da parte delle aziende su due tematiche, virtualizzazione e sicurezza, che trovano nelle iniziative di consolidamento un supporto tecnologico fondamentale.

160 Informatica L’adozione di soluzioni di virtualizzazione appare in crescita relativamente non solo al numero di imprese che hanno avviato progetti in tal senso ma anche agli elementi dell’infrastruttura IT che sono oggetto di queste iniziative. Sempre più frequentemente, infatti, le soluzioni di virtualizzazione interessano oltre ai server, anche gli apparati storage, i desktop, i laptop e le reti aziendali, concentrati in un unico centro di elaborazioni e dati o localizzati in più Data Center. I vantaggi della virtualizzazione riguardano: • una forte riduzione dei costi, anche indiretti come quelli per il consumo di energia e per il raffreddamento. In questo senso, le iniziative di virtualizzazione possono essere viste come attività propedeutiche alla realizzazione di Data Center “green” e all’avvio di strategie per la sostenibilità della crescita aziendale; • l’ottimizzazione e la flessibilità delle infrastrutture IT, sistemi e applicazioni, in relazione alla domanda variabile di capacità computazionale da parte delle varie funzioni dell’azienda. La crescente affermazione dei nuovi modelli di virtualizzazione consente anche di iniziare a riflettere su modalità di gestione on demand, ovvero basate sul concetto di Cloud Computing relativamente a infrastrutture (IaaS e altri approcci), piattaforme di sviluppo (PaaS) e applicazioni (SaaS). Secondo questo nuovo modello IT, i Data Center aziendali potrebbero evolvere verso private cloud, realizzate attraverso la concentrazione di una serie di risorse IT dedicate su piattaforme virtualizzate che operano come singoli centri di elaborazione dati, e forse verso public cloud, basate sull’outsourcing di potenza di calcolo via Internet. Altre aree caratterizzate da una domanda crescente di soluzioni middleware a supporto sono rappresentate dalla sicurezza e dalla governance, per rispondere ai timori di perdita dei dati e del controllo delle infrastrutture e dei sistemi all’interno degli ambienti virtualizzati: • per quanto riguarda le tematiche di sicurezza, sta diventando ormai indispensabile proteggere gli asset aziendali da accessi non autorizzati, incrementando la domanda di soluzioni di strong authentication, e da interruzioni delle attività, con una crescita della sensibilità delle aziende verso gli aspetti di Business Continuity e Disaster Recovery. Tuttavia, le tradizionali soluzioni di sicurezza statiche risultano sempre più insufficienti, da un lato, perché non sono in grado di proteggere pool di server virtuali dinamici, dall’altro perché possono ridurre o annullare i benefici della virtualizzazione. In quest’ambito, quindi, si sta assistendo alla nascita di una serie di soluzioni di sicurezza virtualizzata basate su appliance virtuali o su agenti collocati all’interno delle macchine virtuali; • guardando alla governance, le aziende utenti mostrano un interesse crescente per soluzioni che supportino la capacità di controllo e la riconfigurazione dei Data Center virtualizzati. Alcuni esempi di funzionalità fornite da tali strumenti sono rappresentate da servizi di fault tolerance, dalla possibilità di impostare i parametri di storage, rete e sicurezza dei server, dall’automazione della gestione delle configurazioni, delle operazioni di back up e ripristino dei dati e applicazioni, dal self provisioning delle risorse del Data Center etc. Il mercato delle soluzioni applicative ha registrato un calo complessivo superiore alla media del comparto, -4,1% rispetto al 2008 contro il -3,6% registrato dal segmento del software. Alla base di questo trend vanno segnalati due fenomeni: • le difficoltà economiche hanno rallentato le decisioni di investimento delle aziende utenti, prevalentemente di quelle di minori dimensioni, tradizionalmente più vulnerabili, ma anche delle realtà più grandi che dispongono generalmente di parchi applicativi aggiornati che, quindi, richiedono in misura inferiore l’avvio di iniziative di revisione e di ammodernamento; • la portata delle evoluzioni tecnologiche, principalmente nell’ambito dei nuovi concetti on demand, SOA e delle tematiche innovative del Web 2.0, così come la valutazione dei possibili ambiti di utilizzo di software Open Source hanno posto le basi, negli utenti finali, per la nascita di un atteggiamento attendista che sfocia frequentemente nel rinvio degli investimenti. L’analisi dettagliata delle singole tipologie di prodotti software evidenzia come la dinamica in

Informatica 161 calo sia trasversale alle varie soluzioni applicative sebbene alcuni ambiti abbiano sofferto più di altri della congiuntura negativa. Le soluzioni ERP (sistemi gestionali integrati) si confermano essere il mercato più maturo, con un calo del -7,1% rispetto al 2008; seguono i prodotti di CRM (Customer Relationship Management) (-5,7%); e i pacchetti di SCM (logistica) e di BI (business intelligence) che registrano performance meno negative, oscillanti tra il -4,2% e il -2,9%. Particolarmente interessante è la sempre maggiore integrazione dei pacchetti SCM con prodotti di BI, a formare un binomio imprescindibile per la competitività delle aziende di tutti i settori. I sistemi di BI, infatti, consentono all’azienda di mettere in atto strategie per ottimizzare le performance dei processi core aziendali, contribuendo a ridurne i costi ed aumentarne i ricavi: • in termini di riduzione dei costi e di razionalizzazione del time-to-market, gli strumenti di BI permettono il controllo delle prestazioni e il monitoraggio dei KPI (indicatori di prestazione) con ricadute sull’ottimizzazione della Supply Chain e, per il settore Industria, sulla pianificazione produttiva; • l’incremento dei ricavi deriva da tool volti al targeting e all’ottimizzazione delle campagne di marketing e, per alcuni settori come Telecomunicazioni, Utilities e Media, allo sviluppo di nuovi prodotti/ servizi. Per questo motivo, la spesa delle aziende utenti ha riguardato prevalentemente: • gli strumenti di Business Performance Management, soprattutto nei comparti Finanza e Pubblica Amministrazione, quali query e reporting ad hoc, dashboard e scoreboard, per l’analisi finanziaria, la pianificazione e il controllo, nonché l’analisi delle vendite; • i tool di business analytics sotto forma di metodi predittivi, forecasting e ottimizzazione che trovano sempre maggior collocazione nell’ambito dei processi decisionali delle aziende. Il segmento del software di sistema è stato frenato dall’andamento estremamente negativo delle vendite di PC e server. Tuttavia, nel corso dell’anno, soprattutto nel secondo semestre, si è assistito ad una ripresa degli investimenti delle aziende utenti. Negli ultimi mesi del 2009 un’area che ha registrato dinamiche di spesa particolarmente positive è rappresentata dalle licenze infrastrutturali a supporto delle strategie di virtualizzazione che consentono di creare sulle macchine fisiche un numero variabile nel tempo e tendenzialmente infinito di istanze virtuali, gestendo anche gli accessi agli applicativi che risiedono negli ambienti virtualizzati. Per quanto riguarda i servizi IT, la spesa delle aziende utenti ha fatto registrare nel 2009 una pesante battuta d’arresto imputabile a fenomeni già evidenziati nel passato recente tra cui spiccano: • il persistere del downpricing delle tariffe professionali, che si associa - da una lato - alla rinegoziazione dei contratti in essere e - dall’altro – alla riduzione del loro numero, guidata anche dalla prosecuzione delle iniziative di consolidamento degli operatori dell’offerta; • ed una prevalente focalizzazione delle aziende utenti sulle priorità business di recupero dell’efficienza economica a scapito non solo degli investimenti in innovazione tecnologica ma anche, sia pur in misura inferiore, delle iniziative in ambito IT volte ad incrementare l’efficacia aziendale, commerciale e di offerta. Di conseguenza, le rilevazioni hanno evidenziato: • maggiori investimenti delle aziende utenti sulle attività continuative di gestione, anche perché iniziate nel passato e con ricadute significative sulla struttura e sul livello dei costi aziendali, e sui progetti nell’ambito delle tecnologie embedded, con impatti diretti sull’innovazione di prodotto/ servizio, fattore critico di successo fondamentale per stimolare la domanda in un periodo di contrazione dei consumi; • spiccata prudenza – nella maggioranza dei casi e soprattutto nella prima parte dell’anno - nell’avvio di progetti puntuali, sia di fascia alta (Systems Integration e Consulenza) che di fascia bassa (sviluppo, elaborazione etc.), dal momento che, per incrementare la loro

162 Informatica efficacia, le aziende utenti, nel corso del 2009, hanno avviato molteplici interventi sulla loro organizzazione interna e di Gruppo (ristrutturazioni, fusioni e acquisizioni, dismissioni etc.) che solo nel breve e medio periodo potrebbero generare esigenze di investimenti IT a supporto. Anche nel 2009, gli investimenti delle aziende utenti in servizi IT hanno dato luogo a tre diversi cluster di progetti ed attività corrispondenti ad altrettante velocità di variazione della spesa: • worst performer: il cluster include i servizi di elaborazione, di sviluppo e manutenzione, nonché di formazione il cui mercato ha registrato cali significativamente superiori alla media del comparto, pari rispettivamente al -9,3%, al -8,7% e al -8,8%; • average performer: si tratta dei servizi di consulenza e Systems Integration, veicolati sempre più spesso in abbinamento nell’ambito di offerte complessive, il cui andamento si colloca su valori più o meno allineati alla media complessiva; • best performer: in quest’ambito si collocano i servizi continuativi di Outsourcing e i progetti relativi a tecnologie embedded che beneficiano della forte attenzione degli utenti finali per attività di razionalizzazione e recupero dell’efficienza nonché di innovazione dell’offerta di prodotti e servizi. Tabella 7 - Mercato dei Servizi IT in Italia, 2007-2009 (valori in mln € e variazioni %) 2009 2009/2008 2008 2008/2007 2007 Outsourcing 2.548 -3,5% 2.640,2 2,4% 2.579,4 Sviluppo e Manutenzione 1.957 -8,7% 2.143,0 -1,0% 2.165,3 System Integration 993 -6,8% 1.065,1 1,0% 1.054,2 Sistemi embedded 986 -5,0% 1.037,4 2,2% 1.015,3 Consulenza 950 -7,0% 1.021,0 1,1% 1.010,3 Servizi di Elaborazione 827 -9,3% 912,1 -3,1% 941,4 Formazione 489 -8,8% 536,2 -2,7% 551,1 Totale Servizi IT 8.750 -6,5% 9.355,0 0,4% 9.317 Fonte: Assinform/ NetConsulting.

4. Il confronto internazionale

A livello europeo il mercato informatico italiano rimane sottodimensionato rispetto ai principali partner (Tab. 8). In testa alla classifica troviamo la Germania (con una quota sul totale del mercato IT europeo del 20%), seguita dal Regno Unito (18%) e dalla Francia (16%). La Spagna che negli ultimi anni stava crescendo a ritmi molto sostenuti sembra essere la più penalizzata dalla crisi. Tabella 8 – I principali mercati UE dell’Informatica 2009 2009/2008 2008 2007 2008/2007 Quota su UE27 Germania 69,0 -4,6% 72,3 69,9 3,4% 20% Regno Unito 59,7 -6,7% 64,0 62,0 3,2% 18% Francia 53,1 -3,8% 55,2 53,4 3,4% 16% Italia 18,7 -7,9% 20,3 20,2 0,5% 6% Spagna 14,4 -8,9% 15,8 15,1 4,6% 4% Totale EU27 339,3 -5,4% 358,7 346 3,7% Fonte: Assinform/ NetConsulting. Ciononostante,in termini di numero di imprese, l’Italia si posiziona al secondo posto assoluto in Europa dopo il Regno Unito (UK), ma prima di Francia e Germania.

Informatica 163 Facendo invece riferimento invece agli addetti del settore IT europeo, l’Italia scende al terzo posto dopo UK e Germania. Dall’analisi del numero medio di addetti e del fatturato medio per impresa emerge che l’Italia si colloca in entrambi i casi nettamente al di sotto della media europea (sia a 15 che a 27 Stati), e di poco al di sopra della media dei nuovi Stati membri. Infatti, se in Italia il numero medio di addetti per impresa del settore IT è pari solo a 4 (mentre la media europea è di 5 addetti), rispetto al fatturato medio prodotto per addetto la situazione non migliora (110mila euro contro una media europea di 150mila euro), a conferma di una maggiore frammentazione imprenditoriale italiana. A livello europeo l’Italia piazza ben 6 le regioni nella Top 20 delle aree a vocazione informatica del Continente, superando il Regno Unito (a quota 4) e la Spagna (ferma a 2). Se allarghiamo l’esame alle prime 30 regioni europee per numero di unità locali dell’IT entra in classifica anche la Campania, prima tra le Regioni del Mezzogiorno, a conferma di una vocazione regionale informatica molto spiccata. Tabella 9 - Prime 30 Regioni europee per numero di unità locali dei Servizi IT 2007 2006 2005 Lombardia 26.652 24.825 24.755 Île de France 26.484 26.724 25.367 Közép-Magyarország 14.661 14.066 13.893 Stockholm 14.185 13.782 12.989 Outer London 12.856 12.502 12.368 Lazio 11.525 11.904 11.306 Inner London 11.344 10.867 10.327 Comunidad de Madrid 11.177 11.020 9.899 Mazowieckie 9.649 7.839 7.548 Berkshire, Bucks and Oxfordshire 9.554 9.392 9.320 Surrey, East and West Sussex 8.929 8.963 8.783 Veneto 8.914 8.772 8.257 Denmark 8.605 nd nd Toscana 8.406 6.323 7.197 Cataluña 8.286 8.082 7.084 Piemonte 8.274 8.063 7.715 Emilia-Romagna 8.140 8.252 7.676 Attiki 7.911 nd 4.722 Praha 6.469 7.804 7.532 Oberbayern 6.372 6.540 5.877 Lisboa 6.100 6.394 6.411 Rhône-Alpes 6.026 6.062 5.620 Västsverige 5.760 5.520 5.269 Gloucestershire, Wiltshire and Bristol/ 5.597 5.810 5.523 Bath area Provence-Alpes-Côte d’Azur 5.454 5.579 5.168 Campania 5.442 5.255 5.465 Bedfordshire, Hertfordshire 5.184 5.212 5.110 Bucuresti - Ilfov 5.057 4.607 4.123 Zuid-Holland 5.030 5.060 4.350 Hampshire and Isle of Wight 4.807 4.798 4.790 Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat 2010

164 Informatica Se ci riferiamo alla numerosità degli addetti, invece, la Lombardia scivola dal primo al terzo posto assoluto in Europa, mentre escono addirittura dalla Top 30 delle Regioni continentali sia la Toscana che la Campania, confermando da un lato la numerosità dell’imprenditorialità italiana, ma dall’altro la minor dimensione in termini di occupati rispetto alle altre regioni d’Europa. Tabella 10 - Prime 30 Regioni europee per numero di addetti dei Servizi IT 2007 2006 2005 Île de France 226.508 198.142 202.922 Comunidad de Madrid 129.354 116.661 102.734 Lombardia 99.771 98.708 103.739 Inner London 79.650 72.079 74.266 Berkshire, Bucks and Oxfordshire 66.578 63.913 63.581 Lazio 61.554 63.889 59.954 Stockholm 55.857 51.478 49.382 Denmark 53.838 nd nd Stuttgart 45.934 42.520 45.730 Darmstadt 44.065 37.774 38.397 Outer London 43.773 41.026 43.588 Közép-Magyarország 43.309 40.144 38.392 Surrey, East and West Sussex 42.790 41.787 42.043 Oberbayern 41.479 43.000 41.401 Cataluña 41.357 36.900 34.837 Karlsruhe 36.971 35.169 33.354 Düsseldorf 35.162 34.767 32.620 Piemonte 33.522 32.225 33.412 Köln 33.117 30.369 27.886 Southern and Eastern 32.790 30.955 nd Rhône-Alpes 32.495 33.693 30.643 Veneto 32.461 31.430 30.106 Utrecht 31.668 31.001 29.445 Hampshire and Isle of Wight 31.217 30.442 27.325 Emilia-Romagna 30.955 30.071 29.440 Etelä-Suomi 30.369 29.690 27.655 Mazowieckie 30.003 25.396 23.147 Bucuresti - Ilfov 29.933 25.144 20.131 Praha 27.228 24.286 23.132 Zuid-Holland 27.185 31.148 29.086 Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat 2010

Informatica 165 Videogiochi

166 Videogiochi di William Ricci

1. Il mercato italiano

Il riposizionamento strategico che ancora caratterizza le attività dei grandi format owner ha influenzato i dati di mercato più recenti producendo diverse flessioni nei segmenti classici del settore videoludico. In Italia, e in Europa più in generale, si è diffusamente cercato di giustificare il declino dei videogiochi con l’impatto che la recente crisi economica ha avuto sui consumi. Nel corso del capitolo vedremo che, almeno nel nostro paese, la situazione è più complessa e in parte meno negativa di quanto affermato negli ultimi mesi dalla stampa nazionale, sia su web1 che su canali tradizionali2. Nel 2009, secondo i dati forniti da AESVI, in Italia, per la prima volta dal 2005, si è registrato un trend negativo del 10% circa con poco meno di un miliardo e 130 milioni fatturati. Disaggregando il dato i due macrosegmenti hardware e software mostrano una diversa contrazione del livello di spesa, registrando rispettivamente una flessione del 15% e del 6,4%. Stando alla nota metodologica del rapporto AESVI 20093 notiamo, però, come il calcolo totale scaturisca al netto di due importanti segmenti la cui portata strategica risulta in costante crescita: il mercato liquido e i game device. Va inoltre sottolineato che la flessione del 2009 è in parte figlia della piena fase di maturità (o di iniziale declino) del ciclo di vita dei prodotti hardware console. Figura 1 - Mercato Italiano. Valori, milioni di euro.

1400 1.262,7 1200 1.128,9 1000 1.038,2

800 741,6 670,9 741,9 557,5 600 627,8 514,2 474,9 591,9 501,1 400 480,5 266,9 200 227,4 0 2005 2006 2007 2008 2009 Totale Software Games Totale Hardware Totale

1 Federico Cella, Anche i videogiochi sono in crisi, Corrieredellasera.it – I Blog, 2010. 2 Videogames in frenata: ricavi giù del 10%, Sole24Ore, 2010. Anteprima disponibile su: www.banchedati. ilsole24ore.com. Jaime D’Alessandro, Per i videogame segnali di crisi, Repubblica, 2010. 3 AESVI-GFK, 2009 - Rapporto annuale sullo stato dell’industria video ludica in Italia, 2010.

Videogiochi 167 Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI. Prima di affrontare l’analisi dei mercati liquidi e device, soffermiamoci sul rapporto che intercorre tra i segmenti hardware e software nelle loro declinazioni home e portable. Osservando l’andamento dei valori notiamo un andamento direttamente proporzionale nella fruizione mobile (portable console) sin dal 2005, con una flessione percentuale hardware e software nel 2009 pressoché simile, rispettivamente del -21% e del -27%. Figura 2 - Rapporto Hardware e Software. Valori milioni di euro.

Software Home Console Hardware Home Console Software Portable Console Hardware Portable Console

500

450 410,1 431,2 400 319,7 350 363,3 321,7 300 328,1 292,5 286,8 250 228,4 179,4 200 193,7 135,2 146,1 205,6 150 120,8 174,4 149,1 100 92,1 111,5

50 80,6

0 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI. Diversa è la situazione del comparto casalingo (home console). I valori, dal 2005 in poi, mostrano un rapporto tra videogiochi e console che lascia trasparire la natura fortemente trainante del mercato hardware in grado di anticipare i trend positivi dei titoli di circa un anno. Nel dicembre 2005 il mercato hardware sperimenta l’entrata nel mercato della console Microsoft Xbox 360, con la Nintendo Wii e Sony PlayStation 3 ad attendere rispettivamente il dicembre 2006 e marzo 2007. Fatta salva la contrazione dei prezzi che il mercato console mostra dopo un solo anno dall’inizio delle vendite, vediamo il valore generato produrre forti incrementi percentuali nel 2007 (+ 98,6% - inizio vendita Nintendo Wii e Sony Playstation 3 e contrazione prezzi Xbox 360) e nel 2008 (+26,6% - contrazione prezzi Wii e PS3). Il declino che invece registra il 2009 (-11,4%) è in parte interpretabile a partire dal ciclo di vita del prodotto hardware in fase di declino o piena maturità, oltre che dalla contrazione dei consumi causata alla crisi economica. I titoli home console (mercato software), al contrario, registrano una crescita ritardata di circa un anno rispetto al segmento hardware, con una fase di stabilità media tra il 2005 e il 2007, un forte incremento nel 2008 (+28%) ed una leggera crescita nel 2009 (+5%). La sproporzione che sussiste tra l’andamento dei valori hardware e software è quindi figlia delle forme d’acquisto di videogiochi per home console che, penalizzati dal forte impegno di spesa tipico del mercato hardware home console, soffrono di un ritardo temporale di circa un anno. Notiamo infatti come i titoli dedicati all’intrattenimento casalingo siano l’unico segmento in crescita nel 2009 a riprova della loro redditività in una fase scevra da voci di spesa più intense e vincolanti. Anche i volumi delineano una proporzione tra hardware e software nelle loro declinazioni portable e home simile ai valori. La vendita di home console registra infatti i trend migliori nel 2007 (+31%) e nel 2008 (+30%) mostrando quindi un leggero declino nel 2009 (-2,7%). I titoli

168 Videogiochi per l’intrattenimento casalingo presentano al contrario un reale aumento di copie vendute solo nel 2008 (+12%), continuando il loro percorso in positivo anche nel 2009 (+3,4%). Il segmento portable mostra al contrario un rapporto hardware e software decisamente più omogeneo: nel 2007 sia le console vendute che i titoli riportano un +66%, nel 2008 ancora un +14% su lato hardware e un +22% su lato software, fino al 2009 in cui entrambe le voci sperimentano rispettivamente un declino del -20% e del -21,5%. Figura 3 - Rapporto Hardware e Software, volumi migliaia di unità.

Software Home Console Hardware Home Console

Software Portable Console Hardware Portable Console 12.000 10.161 10.507 10.000 8.977 8.973 9.071 8.000 6.689

6.000 5.466 5.245 3.287 4.000 2.187 1.467 2.000 1.276 1.170 631 767 1.097 1.430 1.390 850 835 0 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI. Veniamo ora alla costruzione di un nuovo indice che integri nel mercato totale i segmenti liquidi e game device. Quest’ultimo in particolare ha mostrato una vivacità sorprendente negli ultimi 4 anni, facendo registrare trend di crescita notevoli nel 2009 (+73%) con oltre 159 milioni fatturati. In realtà i trend positivi sono una conseguenza del sottosegmento dei controller che, sfruttando i nuovi modelli di fruizione imposti da Nintendo Wii, ha conosciuto forti incrementi già nel 2008 (+30%) fino a superare oltre i 100 milioni di euro nel 2009 stabilendo un +109% rispetto all’anno precedente. Tra i game device si annoverano anche il sotto segmento dei game accessories, ovvero una serie molto varia di accessori ed oggetti volti a migliorare l’esperienza videoludica come le schede di memoria per il salvataggio dei dati fino agli astucci per console portatili. Tale voce mostra un sviluppo pressoché costante che ben s’inserisce in quel nuovo trend che vede la console come dispositivo in grado di rinnovare la propria funzione ludica attraverso operazioni di upgradig strategico. In particolare riteniamo quello dei game controller, e dei game device più in generale, segmenti ancora lontani dall’esaurire il loro slancio in termini di valori e volumi, a fronte soprattutto delle novità di prodotto di Sony e Microsoft che, con il loro nuovi controller (Microsoft Kinect4 e Playstation Move5), sono a pieno titolo entrati nel mercato device concorrendo sostanzialmente alla pari con Nintendo. In particolare vediamo configurarsi un nuovo assetto in seno alle strategie hardware attraverso una dilatazione del ciclo di vita delle console possibile grazie all’implementazione di nuove ed innovative forme di controllo di gioco.

4 Giacomo Dotta, Project Natal a battesimo: è nato Kinect, Webnews, 2010. 5 Giacomo Dotta, Playstation Move, la risposta a Wii e Natal, Webnews, 2010.

Videogiochi 169 Figura 4 - Mercato Italiano Game Device. Valori, milioni di euro.

350 159,3 Totale Game Devices 300 Game Accessories 250 Game Controller 200 92,0 50,0 150 63,4 48,2 39,7 109,3 100 41,4 23,4 15,4 8,2 50 52,3 33,2 32,8 40,0 0 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IEM su dati AESVI. L’ultima voce che merita un breve approfondimento è quella relativa al mercato liquido. La crescita in questo caso è molto più contenuta, +2% per oltre 148 milioni generati nel 2009, con un diverso andamento nei valori tra modelli di accesso mobile e online. La prima, con poco meno di 79 milioni, sperimenta una flessione di circa il 4% che, seppur lieve (ed inferiore a quella del 2008) risulta particolarmente preoccupante in quanto inserita in un contesto storico e geografico propenso alle tecnologie e ai modelli di fruizione mobile. Il secondo registra un costante aumento dal 2007 ad oggi, fatturando nel 2009 circa 70 milioni di euro con un +11% e premiando in particolare la vendita di hardware console che, da 32 milioni di euro nel 2008, arriva nel 2009 a fatturarne oltre 37. A questo punto possiamo costruire un nuovo indice tassonomico del mercato videoludico che, oltre ai classici segmenti hardware e software, contempli anche i mercati digitali e device sopra descritti. Per chiarezza da qui in poi ci riferiremo al totale del mercato dei videogiochi, cosi come indicato da AESVI, con il termine “mercato classico”. Figura 5 - Mercato Italiano Totale Mercato Fisico e Liquido. Valori, milioni di euro.

1.600 1.499,7 1.354,7 1.437,0 1.239,6 1.288,2 1.200 1.262,7 1.101,6 1.128,9 1.038,2 800

400

138,0 145,0 159,3 148,8 63,4 92,0 0 2007 2008 2009 Totale classico Totale game device Totale + G.D. (fisico) Totale mercato LIQ. Totale fisico + LIQ.

Note: “classico = software + hardware”; “classico” + “game devices” (controller) = “fisico”; “liquido” = web + mobile. Fonte: elaborazione IEM su dati AESVI.

170 Videogiochi Prima di tutto cerchiamo di avere un idea realistica di quanto sia il valore generato dal mercato fisico, ovvero la somma dei mercati hardware, software e device, con l’esclusione ovvia del fatturato liquido. Dal grafico notiamo, oltre che ad un ovvio aumento in valore assoluto, una diversa declinazione dei trend percentuali. A differenza del mercato classico (-10,6%), nel 2009 il valore generato dai supporti fisici (hardware, software e device) registra una flessione di poco meno del 5%. Se al dato fisico aggiungiamo anche il valore del mercato liquido, la flessione rispetto al 2008 mostra un andamento ancor più incoraggiante pari a circa -4 punti percentuali. Ciò naturalmente comporta una serie di riflessioni che, a partire dalla situazione reale videogiochi, contraddicono in parte le prime considerazioni volte ad interpretare il calo del 2009 come un prodotto della crisi economica. Già analizzando i dati del mercato classico si nota come i valori disaggregati producano un diverso andamento, con il mercato home console game addirittura in crescita e, illogicamente, immune dalla crisi economica. Inoltre si è ignorata la stima del ciclo di vita dei prodotti hardware console (generalmente di 5 anni circa con l’eccezione di Sony Playstation 2) che mostra nel 2009 una fisiologica contrazione delle vendite. Una piena fase di maturità dei prodotti hardware risulta quindi penalizzante per il mercato tutto, data la loro importanza economica e l’effetto trainante che hanno sui prodotti software. A ciò aggiungiamo la direzione strategica che è stata intrapresa dai grandi format owner Sony, Nintendo e Microsoft volta a prolungare la vita delle loro console attraverso la produzione di sistemi di controllo innovativi che traggono ispirazione dalla rivoluzionaria tecnologia del Wiimote introdotta 5 anni fa da Nintendo. In particolare, Microsoft ha presentato il suo nuovo sistema Kinect (nato dal Project Natal e al quale è stata dedicata una intera gamma di prodotti software) in grado di eliminare totalmente qualsiasi supporto di controllo, riuscendo a rilevare i movimenti del videogiocatore e tradurli in input di gioco. Queste nuove attività di prodotto vanno a configurarsi come una svolta nel mercato, in grado di compensare il declino del ciclo di vita console attraverso l’incremento dei sistemi controller e quindi della voce game device. Il declino reale del 4% è quindi il frutto di un cambiamento strategico in seno all’universo videoludico volto a premiare nuove forme di fruizione evitando la produzione di una nuova generazione di console (ad eccezione della Nintendo che ha prodotto la nuova portatile 3DS6), puntando a rigenerare la propensione all’acquisto dell’hardware console necessario a supportare i nuovi prodotti controller di Sony e Microsoft. Tabella 1 - Mercato Industria Videoludica - valori: migliaia di euro; volumi: migliaia di unità 2005 2006 2007 2008 2009 valori unità valori unità valori unità valori unità valori unità Console Games Home 328,1 8.973 292,5 8.977 319,7 9.071 410,1 10.161 431,2 10.507 Console Games Portable 80,6 2.187 111,5 3.287 174,4 5.466 205,6 6.689 149,1 5.245 Totale Console Games 408,7 11.160 404 12.264 494,1 14.538 615,8 16.851 580,3 15.752

PC Games 105,4 4.427 70,7 3.642 63,4 3.452 55 2.799 47,6 2.172 Totale Software Games 514,2 15.590 474,9 15.905 557,5 17.990 670,9 19.650 627,8 17.925

Home Console 135,2 850 146,1 835 286,8 1.097 363,3 1.430 321,7 1.390 Portable Console 92,1 631 120,8 767 193,7 1.276 228,4 1.467 179,4 1.170 Totale Hardware 227,4 1.481 266,9 1.602 480,5 2.374 591,9 2.898 501,1 2.560

Totale Classico 741,6 741,9 1.038,2 1.262,7 1.128,9 Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI. Infine segnaliamo la start-up Onlive che finisce quest’anno il suo beta testing offrendo negli Stati Uniti, in Belgio7 e in Inghilterra8 una nuova esperienza videoludica basata su tecnologia 6 Floriana Giambarresi, E3, le novità Nintendo, Webnews, 2010 7 Redazionale, Onlive coming to Belgium, Onlive - the blog, 2010. Fonte: http://blog.onlive.com/ 8 Redazionale, Onlive coming to the UK, Onlive - the blog, 2010. Fonte: http://blog.onlive.com/ Videogiochi 171 cloud in grado, promette il fondatore Steve Perlman, di videogiocare in streaming ai migliori titoli in commercio tramite PC e senza download. Una tecnologia, quella cloud, che porta con sé diverse speranze sia per il mercato PC games, in declino da tempo, sia per le nuove forme di fruizione liquida che, come abbiamo visto, in Italia stentano a crescere. Tabella 2 - Mercato Industria Videoludica – quote percentuali

valori unità valori unità valori unità valori unità valori unità Console Games Home 80,3% 80,4% 72,4% 73,2% 64,7% 62,4% 66,6% 60,3% 74,3% 66,7% Console Games Portable 19,7% 19,6% 27,6% 26,8% 35,3% 37,6% 33,4% 39,7% 25,7% 33,3% Totale Console Games 100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 79,5% 71,6% 85,1% 77,1% 88,6% 80,8% 91,8% 85,8% 92,4% 87,9%

PC Games 20,5% 28,4% 14,9% 22,9% 11,4% 19,2% 8,2% 14,2% 7,6% 12,1% Totale Software Games 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100% 69,3% 64% 53,7% 53,1% 55,6

Home Console 59,5% 54,7% 54,7% 52,1% 59,7% 46,2% 61,4% 49,4% 64.2% 54,3% Portable Console 40,5% 42,6% 45,3% 47,9% 40,3% 53,8% 38,6% 50,6% 35,8% 45,7% Totale Hardware 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100% 30,7% 36% 46,3% 46,9% 44,4%

TOTALE Classico 100% 100% 100% 100% 100% Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.

Tabella 3 - Mercato Industria Videoludica: Game Device – valori in milioni di euro; volumi in migliaia di unità 2005 2006 2007 2008 2009 valori unità valori unità valori unità valori unità valori unità Game Controller 33,2 1.591 32,8 1.611 40,0 1.746 52,3 1.953 109,3 3.032 Game Accessories 8,2 436 15,4 809 23,4 1.377 39,7 2.495 50,0 2.678 Totale Game Device 41,4 2.027 48,2 2.420 63,4 3.123 92,0 4.448 159,3 5.710 Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.

Tabella 4 - Mercato Industria Videoludica: Canali Internet e Mobile – valori in milioni di euro; volumi in migliaia di unità 2007 2008 2009 valori unità valori unità valori unità Internet Console Hardware 24 91,2 32 125,8 37 non disp. Software Console Game 20 354,3 28 579,2 31 non disp. PC Game 85,9 3 83,6 2 non disp. Totale 44 - 63 - 70 Mobile Software Games 94 19.000 82 17.000 78,8 16.150 Totale Merceto. Liq. 138 - 145 - 148,8 - Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.

172 Videogiochi Tabella 5 - Mercato Industria Videoludica: Totale Mercati – valori in milioni di euro 2007 2008 2009 valori valori valori Totale Classico 1038,2 1262,7 1128,9 Totale Game Device 63,4 92,0 159,3 Totale + G.D. (Fisico) 1101,6 1354,7 1288,2 Totale Mercato Liq. 138,0 145,0 148,8 Totale Fisico + Liq. 1239,6 1499,7 1437,0 Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.

2. Mercato europeo

La contrazione dei consumi prodotta in Italia dalla crisi economica e la conseguente flessione dei valori generati dal mercato videoludico, sono elementi caratterizzanti l’intero mercato europeo. La crisi economica però, come abbiamo in precedenza affermato, è solo concausa del declino del 2009 frutto anche, e soprattutto, di una serie di strategie di riposizionamento e di un calcolo scevro da voci di crescente importanza economica (mercato liquido e device)9. Come negli anni passati, l’Europa con i suoi 5 grandi mercati disegna un quadro a 3 blocchi con il Regno Unito a presiedere la posizione di leader continentale con oltre 3 miliardi e 110 milioni di euro fatturati nel 2009; Francia e Germania, molto vicine, ad occupare il secondo blocco fatturando rispettivamente oltre 2 miliardi e 440 milioni e poco meno di 2 miliardi e 364 milioni di euro; infine nell’ultimo blocco troviamo la Spagna e l’Italia, paesi socio culturalmente molto simili, che generano nel 2009 rispettivamente un miliardo e 200 milioni e poco meno di un miliardo e 129 milioni di euro. Figura 6 - Mercato Europeo. Valori in milioni di euro

4.000 3.711 3.500

2.935 2.944 3.110 3.000 2.805 2.482 2.441 2.500 2.756 2.471 2.364 2.458 1.854 2.000

1.479 1.432 1.607 1.454 1.500 1.436 1.200 967 1.000 1.263 863 1.129 1.038 742 742 500

- 2005 2006 2007 2008 2009 U.K. Francia Germania Spagna Italia

Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.

9 Sarebbe interessante esaminare i dati europei in un ragionamento più allargato, come fatto per l’Italia, ma le informazioni fornite da AESVI risultano in linea con la tassonomia che compone ciò che abbiamo descritto come “mercato classico” (hardware e software). Ci limiteremo quindi a un analisi europea dei mercati classici nazionali non potendo disaggregare il dato in più voci e non avendo a disposizione informazioni sulle performance europee in seno alla distribuzione liquida e mercato device.

Videogiochi 173 Dal confronto europeo si evince un primo dato positivo per la nostra nazione che, dopo una crescente forbice con la concorrente spagnola fino al 2007, nel 2009 riduce ancora il suo gap portando i due paesi su soglie in valore assoluto molto simili. Tale processo è stato in parte aiutato dalla brutta performance della Spagna che, già nel 2008, ha sperimentato l’unica contrazione europea, anticipando in qualche modo la “crisi” che ha successivamente investito l’intero continente. Rimangono invece molto simili gli andamenti registrati da Francia e Germania dal 2005 ad oggi, con la prima leggermente in vantaggio sulla seconda con una differenza di poco meno di 100 milioni di euro. Se le performance in valore assoluto confermano un andamento storicamente regolare, i trend di decrescita riservano quest’anno una serie di sorprese. Oltre ad una diminuzione costante in tutta Europa, ad eccezione di piccoli mercati come Svezia (+1,5%) e Portogallo (+13,8%), vediamo come l’Italia, pur ultima in valore assoluto fra i maggiori 5, sia il mercato con la minor flessione percentuale. Le concorrenti mitteleuropee Francia e Germania, registrano, invece, un andamento che seppur vantaggioso in termini assoluti vede il mercato francese sperimentare il più alto tasso di decrescita riportando un -17% rispetto al 2008. Gravi anche le flessioni di Spagna e Regno Unito, entrambe con meno 16,2 punti percentuali, con la prima in seria difficoltà anche in termini di ricavi assoluti da almeno due anni a questa parte. Figura 7 - Mercato Europeo (Classico). Valori, Trend 2008-2009

-10,6% Italia

-14,2% Germania

-16,2% Spagna

-16,2% U.K.

-17,1% Francia

-18% -16% -14% -12% -10% -8% -6% -4% -2% 0%

Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI. Risulta opportuno sottolineare ancora la difficoltà di una valutazione oggettiva dei risultati europei in quanto scevri dalle performance liquide e dalla voce dei game device che, come abbiamo visto, almeno in Italia sono risultate fondamentali nel ricostruire un andamento del mercato che, seppur in lieve flessione, risulta assolutamente in linea con le dinamiche strategiche e di prodotto internazionali.

3. Abitudini di consumo

Le tendenze volte a promuovere forme di gaming socializzante sono ormai diventate elementi paradigmatici dell’universo videoludico. Ciò è stato possibile solo grazie alle innovazioni apportate da Nintendo con la sua console Wii e il suo controller WiiMote, rendendo l’esperienza di gioco accessibile a tutti grazie ad un parco titoli sviluppato ad hoc per il gioco in compagnia. A questa forma di fruizione sia Sony che Microsoft hanno quest’anno risposto con alcune novità di prodotto in seno ai propri sistemi di controller: la prima ha deciso di implementare un nuovo remote molto simile al cugino targato Nintendo (Playstation Move), mentre per il

174 Videogiochi colosso di Redmond è stato sviluppato un metodo di fruizione volto ad eliminare ogni oggetto fisico lasciando ai movimento del videogiocatore e alla sua voce il pieno controllo di gioco (Kinect). Figura 8 - Intensità di gioco, Italia - ore per settimana

100% 9% 6% 8% 90% 8% 6% 12% 80% 15%

70% 35% 33% 60% 50% 49% 40%

30% 45% 43% 20% 10% 22% 7% 0% 4% 2007 2008 2010 più di 15 ore 11 - 15 ore 6 - 10 ore 1 - 5 ore meno di un'ora

Fonte: Elaborazione IEM su dati ISFE. A queste nuove forme di fruizione sociale va aggiunta la crescente propensione per i format owner ad implementare nelle loro macchine elementi di socializzazione ludica di matrice digitale. Spesso nei titoli si fa riferimento a condizioni di gioco che sfruttano le pratiche di social network o multiplayer, elaborando inoltre una serie di servizi che consentono all’utente di fruire di contenuti online attraverso modalità d’accesso originali ed accattivanti (Playstation Network, Xbox Live, WiiConnect24). Questo riposizionamento in senso socializzante ha quindi modificato la composizione dell’utenza in termini di intensità di gioco, attraverso una prima fase di push strategy (Nintendo), con una dinamica odierna che vede l’offerta e la domanda protagoniste alla pari in un processo di influenza reciproca. Figura 9 - Intensità di spesa, Italia - titoli in un anno 2010

3% 2% 1% 6%

39%

50%

nessuno tra 1 e 3 tra 4 e 6

tra 7 e 10 tra 11 e 15 più di 15 fonte: Elaborazione IEM su dati ISFE.

Videogiochi 175 A riprova di quanto affermato possiamo citare i dati offerti dall’ISFE10 che vedono dal 2007 al 2010 un forte incremento di soft gamer e medium gamer, che dal 4% e 43% sono oggi il 22% e il 49% disegnando una composizione all’interno della quale il 71% dei videogiocatori dichiara di giocare meno di 6 ore a settimana. Un modello di gioco lontano quindi dai vecchi paradigmi videoludici caratterizzati da forte impegno di gioco e heavy gamer. Oggi si gioca sempre più in salotto, piuttosto che in camera, e l’esperienza videoludica va sempre più massificandosi incontrando i gusti di utenti fino a pochi anni fa irraggiungibili dal mercato. La famiglia, i professionisti e le donne sono oggi soggetti imprescindibili che con le loro abitudini di gioco scardinano gli stereotipi del videogiocatore solitario, offrendo un modello di fruizione che, nonostante sia poco intenso, aumenta l’awareness del mercato con conseguenze positive sulla penetrazione delle console che l’AESVI nel 2009 stima essere in 10 milioni e 332 mila famiglie italiane pari a circa il 42% del totale (21,8% nel 2005). Concludiamo il capitolo dando un breve sguardo alle abitudini di acquisto. L’intensità nel 2009 è chiaramente caratterizzata da una contrazione dei livelli di spesa che vedono oltre l’88% dei videogiocatori dichiarare un acquisto inferiore ai tre titoli l’anno. Naturalmente parte di questa contrazione può essere spiegata dall’impatto sui consumi causato dalla crisi, ma a ben vedere le abitudini di gioco e di spesa sono oggi molto diverse ed in continua evoluzione. Aumentano i videogiocatori infatti, ma si compra di meno e viene quindi premiato l’acquisto di titoli caratterizzati da una notevole longevità e da una forte versatilità di gioco. Il valore aggiunto dei videogiochi è pertanto rappresentato dal loro modello di fruizione e dalla capacità di supportare sia modalità di gioco solitarie che di gruppo, lasciando ai videogiocatori la possibilità di gestire soggettivamente il tipo di esperienza da vivere e le differenti modalità di accesso al contenuto videoludico.

10 ISFE-Game Vision Europe, Video Gamers in Europe – 2010, 2010.

176 Videogiochi Parte seconda approfondimenti Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni ovvero “quanto del denaro pubblico va ai giornali, al cinema, alla tv, alla radio, allo spettacolo dal vivo e alle telecomunicazioni”… di Flavia Barca, Andrea Marzulli, Luca Murrau, Lorenzo Principali e Bruno Zambardino

1. Introduzione e nota metodologica

1.1 Introduzione

Nel solco della tradizione delle analisi IEM sul territorio della cultura e della comunicazione in Italia, finalizzate a mappare strategie e politiche economiche del settore pubblico e privato, la scelta di focalizzare l’attenzione sugli investimenti pubblici ci è sembrata particolarmente rilevante in un momento di completa ridefinizione del concetto di cultura – e del relativo perimetro – e delle sue fonti di finanziamento. E’ nostra convinzione che la natura di queste ultime informi, definisca e condizioni la cultura stessa – i processi creativi, produttivi e distributivi che le danno forma e visibilità presso piccoli e grandi pubblici – e sia quindi punto di osservazione imprescindibile per comprendere le trasformazioni in atto o, meglio, dare alle politiche pubbliche quella trasparenza necessaria ad operare in modo virtuoso, efficiente, e rispondente agli indirizzi comunitari. L’analisi delle tendenze dei flussi di spesa del settore pubblico, specie per quella parte di essa destinata agli investimenti, non incontra infatti soltanto un’esigenza di natura informativa sull’ammontare dei trasferimenti ricevuti dal sistema cultura (e telecomunicazioni, vedi infra), ma diventa anche un elemento su cui basare la valutazione qualitativa delle politiche che sono a valle dei trasferimenti, ovvero della loro efficacia (in termini di risultati economici sul territorio, nonché di redistribuzione sociale della spesa) e quindi della redditività dei trasferimenti stessi. Un’attendibile ed efficace rilevazione dei dati di spesa rappresenta in effetti il punto di partenza per consentire misurazioni degli impatti prodotti dalla spesa sul settore e nel territorio, e comprendere quanta parte di essa può ritenersi per davvero spesa produttiva (ad esempio qualora essa sia destinata a sostenere innovazioni d’impresa o di sistema) piuttosto che spesa destinata a sostenere attività dallo scarso o nullo impatto sulla capacità produttiva del settore e dell’economia.

178 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Settori dell’industria creativa (in grassetto i settori oggetto dello studio)

Luoghi della cultura Arti visive Siti archeologici Pittura Musei Scultura Bibilioteche Fotografia Mostre Antiquariato Espressioni culturali tradi- Performing Arts zionali Musica e Lirica ARTE PATRIMONIO Arti e mestieri Teatro e Danza Festival Circo Eventi Marionette Design, Interni, Grafica, Industria creativa Moda, Gioielleria, Giochi, Agroalimentare

Editoria Libri Service creativi Quotidiani e periodici Architettura Audiovisivi Pubblicità Cinema MEDIA Ricerca & Sviluppo Televisione CREAZIONI CREAZIONI

Servizi ricreativi FUNZIONALI Radio

New media, Software, Telecomunicazioni, Videogiochi

Fonte: elaborazione su schema UNCTAD. Il perimetro di analisi prescelto è, però, sui generis rispetto a quello che tradizionalmente si disegna quando si ragiona di cultura. Si è, infatti, definito un universo composto da cultura e telecomunicazioni, inserendo sotto il cappello “cultura” lo spettacolo dal vivo, il cinema, la televisione, la radio e l’editoria. Si tratta di una scelta che trae la sua ratio dalla volontà di riflettere su una accezione di cultura come punto di intersezione di diversi settori che si trovano all’interno di una stessa filiera, fortemente interconnessi, dalla creazione a monte alla distribuzione a valle. Il tentativo è quello di afferrare un oggetto molto etereo e di complessa definizione nei suoi processi di trasformazione, e quindi indagare quegli spazi in cui la cultura diviene fenomeno pervasivo trainato dall’innovazione tecnologica e dalla moltiplicazione delle piattaforme di distribuzione, mentre il ri-uso e il prosumerismo modificano profondamente il concetto stesso di cultura e tutte le sue leggi fondanti (in primis il concetto di “autore”). Ragionare sui fondamenti economici della cultura in qualità di “filiera della cultura” significa, quindi, aver fatto un salto concettuale dalle riflessioni sull’industria culturale ad un universo in cui la cultura non è più messa sotto esame come prodotto intellettuale che si è fatto merce, ma come prodotto intellettuale, della conoscenza, in grado di generare benessere e sviluppo, all’interno di un circolo virtuoso di innovazione e di sviluppo tecnologico1.

1 “At the heart of creative economy lie the creative industries… At the crossroads of the arts, culture, busi- ness and technology… They comprise the cycle of creation, production and distribution of goods and services that use intellectual capital as their primary input.” “They range from folk art, festivals, music, books, paintings and

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 179 Tale approccio, peraltro in linea con l’universo tradizionalmente sotto esame nel Rapporto IEM sull’industria della comunicazione, permette inoltre una riflessione orizzontale sulle principali piattaforme di veicolazione del sistema cultura in Italia, ponendo anche il settore dell’audiovisivo davanti alle sue responsabilità2, spesso in Italia neglette proprio da quel soggetto deputato invece a farsene campione, cioè il servizio pubblico radiotelevisivo. In un’ottica di filiera abbiamo quindi identificato due macro-raggruppamenti: la cultura (che comprende creazione e produzione, nei settori esaminati di tv, radio, cinema, editoria, spettacolo dal vivo) e le telecomunicazioni. Il problema è che, mentre alcuni comparti come il cinema e lo spettacolo dal vivo sono storicamente investiti del marchio “cultura” e la loro collocazione sotto il cappello del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ne protegge – in qualche modo (!) – lo status e ne promuove – laddove possibile, per esempio negli accordi negoziati presso il Cipe – lo sviluppo locale, altri hanno una natura più “instabile”. Innanzitutto è oggi abbastanza evidente quanto una fiction sia un prodotto culturale quanto un lungometraggio cinematografico, eppure la prima non ha un ministero di competenza e non ha accesso al Fus3. Libri, giornali, programmi televisivi e radiofonici, videogiochi, cinema etc., inoltre, non sono mai stati pensati dalle politiche pubbliche in un’ottica di “sistema cultura” e quindi aiutati dallo stato come elementi complementari di un obiettivo unico di sistema paese. Più comprensibilmente si è pensato di rado allo sviluppo delle tlc in un’ottica di sviluppo socio-culturale, anche se oggi tutti i sistemi distributivi sono un acceleratore - o collo di bottiglia - fondamentale allo sviluppo e diffusione della cultura. Vanno comunque segnalate le assenze “eccellenti”. Alcune sono meno visibili ma senz’altro giustificate, come il settore dei videogiochi o quello della musica, per gli scarsi o nulli contributi che li riguardano. Altre sono più evidenti e assolutamente arbitrarie, come quella dei beni culturali: l’esclusione in questo caso è dettata dalla volontà di focalizzare l’attenzione, e le energie a disposizione, a quelle forme d’intervento pubblico a sostegno dell’industria (culturale, della comunicazione) e al loro impatto, tralasciando in questa fase un ambito come quello del patrimonio culturale in cui la gestione diretta della mano pubblica è il modello dominante e lo spazio dell’iniziativa privata minoritario. I settori che compongono la filiera qui indagata, sono, da più o meno tempo, e con minore e maggiore attenzione, e con diverse logiche, “aiutati” dallo Stato laddove e nella misura in cui l’aiuto di Stato, senza infrangere i naturali processi concorrenziali, è in grado di aumentare il benessere della società stimolando “forzatamente” alcuni nodi del sistema. L’obiettivo di questo lavoro è dunque quello di misurare questo aiuto, cioè l’ammontare della spesa dell’amministrazione pubblica in cultura e telecomunicazioni. Si tratta di un primo passaggio, diciamo la base di partenza, sulla quale poggiare qualsivoglia ragionamento di merito e di metodo. La mission che ci siamo dati è, infatti, quella di rendere i dati manifesti e trasparenti. Ed elaborati con un’analisi di tipo comparato e diacronico, che provasse a collocare “i conti” nella loro progressione temporale e quindi nelle modificazioni intervenute negli ultimi anni, e mettesse a confronto tra loro i vari segmenti della cultura e della filiera culturale. Ci auguriamo che questo possa essere un utile punto di partenza per iniziare a ragionare sulle logiche che stanno alla base delle strategie di spesa, ed aprire così la strada ad una riflessione

performing arts to more technology-intensive subsectors such as the film industry, broadcasting, digital animation and video-games, and more service-oriented fields such as architectural and advertising services. All these activi- ties are intensive in creative skills and can generate income through trade and intellectual property rights” Nazioni Unite – Rapporto 2008 sulla “Creative Economy”. 2 Ricordiamo che il concetto di “cultura” inteso da Maastricht è molto ampio. Nell’articolo 128, comma 2, si fa riferimento al patrimonio culturale, alla creazione artistica e letteraria, incluso il settore dell’audiovisivo. 3 Come evidenzia Annalisa Cicerchia, il problema è che “per come è organizzato istituzionalmente il settore culturale a livello centrale, vasti comparti, che esulano dalle competenze del Mibac o che in quell’amministrazione hanno uno spazio molto marginale (per citare i principali: tra i primi, Televisione, Radio, Arte multimediale, Stam- pa ed Editoria; tra i secondi, Spettacolo dal vivo e Cinema), sono rimasti, di fatto, senza rappresentanza. Cicerchia A. “Emergenza e programmazione nelle politiche culturali” in Economia della Cultura, 2/2009, il Mulino, pag. 139.

180 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni più ampia sulle politiche pubbliche riguardo alla cultura. Per misurare l’ammontare della spesa nella filiera culturale si è deciso di avviare una indagine a doppio livello: uno “macro”, attraverso lo strumento dei Conti Pubblici Territoriali, ed uno “micro”, che entra nel merito dei singoli settori e delle spese effettivamente effettuate (e della relativa normativa). I Conti Pubblici Territoriali (vedi anche infra, nelle metodologia e nelle note al testo) ricostruiscono i “flussi di spesa e di entrata di tutti i soggetti che operano su ciascun territorio regionale, siano essi appartenenti alla Pubblica Amministrazione che all’extra PA nazionale e locale, ovvero a quel complesso di enti e aziende che rientrano nel Settore Pubblico Allargato”4. L’elaborazione dei CPT avviene ad opera di un Nucleo centrale, posto all’interno dell’Unità di Valutazione degli Investimenti Pubblici (Uval) del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione (DPS), e di 21 Nuclei Regionali posti presso le singole Regioni e Province autonome. L’universo indagato dai Cpt è l’insieme dei bilanci consolidati dei diversi enti - dal quale sono esclusi i flussi intercorrenti tra gli enti medesimi – che viene classificato in 30 settori tra i quali, di nostro specifico interesse, la cultura e le telecomunicazioni. Il perimetro “cultura” così come identificato nei CPT è, però, molto ampio5 e ricomprende segmenti che esulano anche da una accezione allargata di “cultura” così come identificata in questa sede; necessiterebbe quindi di un lavoro di pulizia mediante una attenta disamina di tutte le singole voci di bilancio considerate, così come già testato in altri studi (vedi Stratta 2009). Ci si è dunque concentrati, nel presente studio, soprattutto sull’andamento dei valori nel tempo e sul confronto tra cultura, tlc ed il resto dell’economia, dati che offrono interessanti spunti di riflessione. L’ampiezza delle maglie del primo livello di analisi fa sì che i dati CPT non siano raffrontabili con quelli del secondo livello dove invece è stata portata avanti un’analisi, settore per settore, delle misure di sostegno pubblico e del loro relativo valore (e la spesa effettivamente erogata), attraverso tutte le fonti disponibili. A consuntivo la missione più complessa si è rivelata, però, quella di restituire il disegno della sempre maggiore complementarietà tra investimenti nazionali e investimenti regionali. Come sarà ampiamente mostrato più avanti, negli ultimi anni la spesa delle amministrazioni regionali in cultura e telecomunicazioni è diventata sempre più rilevante ma, laddove a livello nazionale i dati sono non sempre di facile reperibilità ma, generalmente, accessibili, la spesa delle regioni si declina in una molteplicità di capitoli di spesa alcuni dei quali sono “mimetizzati” e per questo irrintracciabili. Per tale ragione si è scelto, in questa sede, di privilegiare il dato nazionale cercando però, ove possibile, di restituire anche delle informazioni sulla dimensione locale. Si rimanda, comunque, a successivi spin-off di questo lavoro per un approfondimento più dettagliato della spesa “decentrata”. Tra le principali risultanze che emergono dallo studio si vuole qui sottolineare l’assenza di un disegno organico sottostante come tratto caratteristico dell’intervento pubblico in tutti i settori

4 Volpe M. “Premessa” in AAVV (2007) I Conti Pubblici Territoriali, pag. 7. 5 Per quanto riguarda i CPT la voce cultura e servizi ricreativi comprende: “la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale; i musei, le biblioteche, le pinacoteche e i centri culturali; i cinema, i teatri e le attività musicali; le attività ricreative (parchi giochi, spiagge, aree di campeggio e relativi alloggi ammobiliati su base non commerciale, piscine, casinò e sale da gioco) e sportive; gli interventi per la diffusione della cultura e per le manifestazioni culturali, laddove non siano organizzate primariamente per finalità turistiche; le sovvenzioni, la propaganda, la promozione e il finanziamento di enti e strutture a scopi artistici, culturali e ricreativi; le sovvenzioni per i giardini e i musei zoologici; le iniziative per il tempo libero i sussidi alle accademie; le iniziative a sostegno delle antichità e delle belle arti; gli interventi per il sostegno alle attività e alle strutture dedicate al culto”; la voce telecomunicazioni comprende invece: “l’amministrazione delle attività e dei servizi relativi alla costruzione, ampliamento, miglioramento, funzionamento e manutenzione dei sistemi di comunicazione (postali, telefonici, telegrafici, senza fili, satellitari, ecc.); la regolamentazione delle operazioni relative al Sistema delle comunicazioni (concessione di licenze, assegnazione di frequenze, specificazione dei mercati che devono essere serviti e delle tariffe applicate); le sovvenzioni, prestiti e sussidi alle imprese per il sostegno alla costruzione, al funzionamento, alla manutenzione o al miglioramento dei sistemi di comunicazione. Comprende anche l’attività nel settore informatico, laddove non sia funzionale a uno specifico settore. Include le spese per la fornitura di servizi radiotelevisivi e per la regolamentazione del settore” (in AAVV, 2007, cit, pag 82 e 85). Vedi anche infra, nella metodologia e oltre.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 181 considerati. Se in alcuni di questi, infatti, interventi di politica economica hanno cercato di mettere ordine nel piano dei finanziamenti complessivi, ma nel tempo se ne è perso la logica innovativa e la ratio di partenza - ed è questo il caso del cinema - in altri la spinta di interessi lobbistici ed una politica di piccoli compromessi ha prevalso su una lucida visione di intervento pubblico - ed è il caso dell’editoria. A questo riguardo, così come è stato puntualizzato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella sua indagine sulle imprese editoriali: “La prima considerazione che sorge dalla rassegna delle diverse tipologie di sostegno pubblico al settore dell’editoria è l’eterogeneità dei criteri e delle modalità di erogazione dei contributi, rispetto ai quali non è agevole individuare un disegno organico sottostante, orientato alla tutela del pluralismo. L’attuale assetto appare essere la risultante di una progressiva stratificazione di misure, aventi obiettivi non sempre convergenti e basate su parametri di attribuzione e quantificazione non univoci. Inoltre, alcune misure sono state attuate in maniera discontinua, rendendo disagevole una pianificazione di lungo periodo da parte delle attività delle imprese editoriali”6. La mancanza di una sistemica riflessione sul “sistema cultura” ha favorito il proliferare di leggine, decreti, provvedimenti-tampone che rendono estremamente farraginosa la rintracciabilità del flussi di denaro stanziati, accantonati, reintegrati, impegnati e infine erogati e utilizzati. Allo stesso tempo, non risulta attivo un efficace sistema di monitoraggio e valutazione degli interventi, non solo relativamente all’efficacia economica delle misure, ma anche e soprattutto alle ricadute sul cittadino in termini di accesso alle informazioni, qualità dei servizi informativi fruiti e, in ultima analisi, benessere collettivo. Appare, quindi, necessario un ripensamento dell’intero quadro degli investimenti pubblici alla cultura, nella direzione di un approccio sistemico e che parta da alcuni obiettivi trasparenti, in linea con le politiche comunitarie. Ne proponiamo alcuni: • Stimolare la creatività e l’innovazione; • Generare occupazione specializzata e competitiva; • Valorizzare risorse culturali e naturali dei territori; • Inclusione sociale; • Conservazione dell’identità nazionale; • Export e rafforzamento del “Brand Italia” a livello internazionale. Per concludere vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno permesso l’avvio di questo cammino, con il loro supporto ed i loro preziosi consigli, ed in particolare Mariella Volpe, Alessandra Tancredi, Gaudenzio Garavini, Paolo Signorini, Carla Bodo, Mario Morcellini, Maurizio Dècina, André Lange, Andrea Bairati, Fabrizio Barca.

1.2 Nota metodologica

L’oggetto del presente studio è rappresentato dall’analisi della spesa pubblica in cultura e telecomunicazioni, secondo una accezione di “cultura” estesa a ricomprendere i seguenti settori: televisione, radio, cinema, editoria, spettacolo dal vivo. L’indagine si è mossa su due livelli. Un primo livello a maglie larghe costruito mediante l’utilizzo della banca dati dei Conti Pubblici Territoriali (CPT)7. I CPT sono un progetto avviato nel 1994 dall’Unità di Valutazione degli Investimenti Pubblici del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (ora

6 Cfr. Agcm, IC35, Editoria quotidiana, periodica e multimediale, 2007. 7 Parte della presente nota metodologica ripercorre la Guida ai Conti Pubblici Territoriali (CPT). Aspetti metodologici e operativi per la costruzione di conti consolidati di finanza pubblica a livello regionale, Unità di Valutazione degli Investimenti Pubblici, Ministero dello Sviluppo Economico, reperibile al link http://www.dps. tesoro.it/cpt/cpt_notemetodologiche.asp.

182 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Ministero dello Sviluppo Economico8), con lo scopo di disporre di uno strumento in grado di garantire una misurazione dei flussi finanziari con articolazione territoriale. I CPT rilevano informazioni con riferimento al Settore Pubblico Allargato ed includono dunque, oltre alla Pubblica Amministrazione (PA), anche l’Extra PA (definita sia a livello centrale che locale/sub regionale) in cui sono incluse le entità sotto il controllo pubblico (Imprese Pubbliche), impegnate nella produzione di servizi destinabili alla vendita, a cui la Pubblica Amministrazione ha affidato il compito di fornire agli utenti alcuni servizi di natura pubblica, come le telecomunicazioni, la cultura ecc. La definizione adottata per la Pubblica Amministrazione coincide fondamentalmente con quella della Contabilità Nazionale Italiana. E’, cioè, costituita da enti che, in prevalenza, producono servizi non destinabili alla vendita, che si finanziano principalmente attraverso pagamenti obbligatori (tasse, imposte, contributi) da parte di soggetti ed enti appartenenti al settore privato e/o da enti che svolgono attività di tipo retributivo. La banca dati dei CPT ricostruisce, per ciascun soggetto appartenente al Settore Pubblico Allargato, i flussi di spesa e di entrata a livello regionale sulla base dei bilanci consuntivi dell’ente stesso, senza effettuare, in linea di principio, riclassificazioni, e pervenendo successivamente alla costruzione di conti consolidati per ciascuna regione italiana. Il vantaggio di utilizzare la fonte CPT è che il dato sui flussi di spesa viene regionalizzato, offrendoci pertanto un dettaglio territoriale unico per condurre analisi interpretative delle dinamiche della spesa pubblica a livello sia centrale che locale. I dati di spesa così rilevati, sono inoltre soggetti ad un processo di consolidamento, il quale si basa sull’elisione di tutti i flussi di trasferimento, in conto corrente e in conto capitale, ricevuti e versati agli enti appartenenti ai vari livelli di governo dell’universo CPT, per cui nei fatti ogni ente viene considerato erogatore di spesa finale. Il vantaggio di tale processo è che esso consente di ottenere il valore complessivo delle spese direttamente erogate sul territorio, senza il rischio di duplicazioni. La natura dei CPT è di tipo finanziario: i flussi rilevati sono infatti articolati secondo una ripartizione per voce economica che riprende quella adottata nella compilazione dei bilanci degli enti pubblici che adottano il criterio della contabilità finanziaria, ricostruendo un quadro esaustivo di tutte quelle operazioni, messe in atto da ciascun ente, che generano movimenti monetari. I dati CPT sono articolati in 30 settori che rappresentano il livello di dettaglio minimo e che possono essere riaggregati allo scopo di ottenere classificazioni settoriali adeguate a specifiche analisi. Per quanto riguarda il contenuto dei settori considerati, si ha che il settore cultura (e servizi ricreativi) dovrebbe comprende in via teorica le seguenti componenti: • la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale; • i musei, le biblioteche, le pinacoteche e i centri culturali; • i cinema, i teatri e le attività musicali; • le attività ricreative (parchi giochi, spiagge, aree di campeggio e relativi alloggi ammobiliati su base non commerciale, piscine, casinò e sale da gioco) e sportive; • gli interventi per la diffusione della cultura e per le manifestazioni culturali, laddove non siano organizzate primariamente per finalità turistiche; • le sovvenzioni, la propaganda, la promozione e il finanziamento di enti e strutture a scopi artistici, culturali e ricreativi; • le sovvenzioni per i giardini e per i musei zoologici;

8 Alla data di avvio del progetto CPT, il DPS era parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 183 • le iniziative per il tempo libero; • i sussidi alle accademie; • le iniziative a sostegno delle antichità e delle belle arti; • gli interventi per il sostegno alle attività e alle strutture dedicate al culto. Nel corso del tempo il dato CPT è stato oggetto di miglioramenti qualitativi, che consentono all’analista di disporre di una strumentazione analitica ed interpretativa molto robusta. I limiti di cui risente il dato sono connessi per lo più a problemi strutturali di classificazione dei bilanci pubblici degli enti, che si traducono nella presenza di voci “in eccesso” e voci “in difetto”9. Nella tavola che segue risulta invece la composizione percentuale degli enti operanti nel settore cultura per livello di spesa: Tabella 1 - Settore cultura e servizi ricreativi: Composizione % degli enti per livello di spesa* Stato 56,33 Comuni 27,28 Amminitrazione Regionale 5,59 Società e fondazioni partecipate 3,82 CONI 3,50 Province e città matropolitane 2,14 Aziende e istituzioni 0,65 Enti dipendenti 0,53 Comunità montane e unioni varie 0,09 Concorsi e forme associative 0,07 Camere di commercio 0 Totale complessivo 100,00 Note: * La ripartizione è riferita all’anno 2007. Fonte: elaborazioni IEM su dati CPT Con riferimento invece al settore delle telecomunicazioni il suo contenuto dovrebbe ricomprendere: • l’amministrazione delle attività e dei servizi relativi alla costruzione, ampliamento, miglioramento, funzionamento e manutenzione dei sistemi di comunicazione (postali, telefonici, telegrafici, senza fili, satellitari, ecc.); • la regolamentazione delle operazioni relative al sistema delle comunicazioni (concessione di licenze, assegnazione di frequenze, specificazione dei mercati che devono essere serviti e delle tariffe applicate); • sovvenzioni, prestiti e sussidi alle imprese per il sostegno alla costruzione, al funzionamento, alla manutenzione o al miglioramento dei sistemi di comunicazione; • l’attività nel settore informatico, laddove non sia funzionale a uno specifico settore; • le spese per la fornitura di servizi radiotelevisivi e per la regolamentazione del settore.

9 Le voci in “eccesso” sono quelle voci di spesa che, secondo la classificazione CPT, andrebbero compu- tate ad altri settori specifici: Spese per la formazione del personale riconducibili secondo la classificazione CPT a Formazione; Spese per servizi radiotelevisivi e di editoria riconducibili secondo la classificazione CPT al settore Tel- ecomunicazioni; Spese specificamente destinate alla ricerca riconducibili secondo la classificazione CPT al settore Ricerca e Sviluppo; Spese per il rimborso degli oneri sostenuti dalle imprese per l’attuazione di tirocini formativi e di orientamento a favore di giovani del Mezzogiorno riconducibili secondo la classificazione CPT al settore Formazi- one; Spese per manifestazioni e iniziative di promozione turistica riconducibili secondo la classificazione CPT al settore Turismo. Le voci in “difetto” sono classificate in altri settori ma che andrebbero più correttamente classificate nel settore della cultura: Contributi ad enti per il culto classificate nelle fonti nel settore Amministrazione Generale; Spese per le aree archeologiche e per i musei classificate nelle fonti nel settore Ambiente; Contributi ad enti ed as- sociazioni di propaganda sportiva per la realizzazione di iniziative e manifestazioni classificate nelle fonti nel settore Istruzione; Sovvenzioni per impianti sportivi e piste da sci classificate nelle fonti nel settore Istruzione.

184 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Anche in questo caso valgono le stesse considerazioni fatte sulla qualità del dato CPT e sulla presenza di voci “in eccesso” e voci “in difetto”10. La composizione percentuale degli enti operanti nel settore telecomunicazioni per livello di spesa si presenta nel 2008 con la seguente articolazione: Tabella 2 - Settore telecomunicazioni: Composizione % degli enti per livello di spesa* Poste 55,15 IRI 32,26 Cassa Depositi e Prestiti 7,04 Società e fondazioni partecipate 4,44 Stato 0,74 Enti dipendenti 0,24 Amministrazione Regionale 0,13 Consorzi e forme associative 0 Aziende e istituzioni 0 ENEL 0 Totale complessivo 100,00 Note: * La ripartizione è riferita all’anno 2007. Fonte: elaborazioni IEM su dati CPT. Nel presente studio l’aggregato di spesa rilevato, interessa sia la spesa in conto corrente che quella in conto capitale. Con riferimento ai due settori considerati, le voci di spesa di conto corrente, includono: spese di personale; acquisto di beni e servizi; trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni sociali, imprese private e imprese pubbliche; interessi passivi; poste correttive e compensative delle entrate; somme non attribuibili in conto corrente. Le voci di spesa in conto capitale includono invece: beni e opere immobiliari; beni mobili, macchine e attrezzature; trasferimenti in conto capitale a famiglie e istituzioni sociali, imprese private, e imprese pubbliche; partecipazioni azionarie e conferimenti; concessioni di crediti e conferimenti; somme non attribuibili in conto capitale. Inoltre, in funzione di specifici usi dei dati CPT possono essere effettuate riclassificazioni ad hoc al fine di consentire la piena rispondenza a regole comunitarie o la confrontabilità con altri aggregati della finanza pubblica11. Un secondo livello di analisi è stato, inoltre, attivato, indagando, settore per settore, le singole voci di investimento dell’amministrazione statale in cultura e telecomunicazioni e la normativa di riferimento. Il paragrafo 4.1 (Radio e Tv) ricostruisce l’entità del sostegno pubblico a favore delle imprese radiotelevisive includendo nel proprio campo di osservazione differenti tipologie di finanziamento individuate, a seconda dei casi, in funzione del soggetto erogatore (Ministero, Regione) e/o del beneficiario dei contributi (emittenti):

10 Fanno parte delle voci in eccesso: Spese per la formazione del personale riconducibili secondo la classificazione CPT a Formazione; Spese specificamente destinate alla ricerca riconducibili secondo la classificazione CPT al settore Ricerca e Sviluppo; Fondi rotativi per il finanziamento delle imprese riconducibili secondo la classificazione CPT al settore Altre in Campo Economico. Le voci in difetto comprendono: Spese per servizi radiotelevisivi e di editoria classificate nelle fonti nel settore Cultura; Spese relative al finanziamento del Progetto Intersettoriale Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione nonché spese per il funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni classificate nelle fonti nel settore Giustizia; Spese per la realizzazione di sistemi informatici e telematici classificate nelle fonti nel settore Amministrazione Generale. 11 Le principali riclassificazioni che vengono normalmente utilizzate sono la: - “spesa in conto capitale al netto delle partite finanziarie”, coerente con la Contabilità Nazionale, ottenuta sottraendo dalla spesa in conto capitale complessiva le categorie relative a strumenti finanziari, vale a dire conces- sione di crediti e anticipazioni e partecipazioni azionarie e conferimenti. - “ spesa connessa allo sviluppo”, che incorpora oltre alla spesa in conto capitale coerente con la Contabilità Nazionale, anche la spesa corrente per la formazione professionale, considerata un investimento in capitale umano.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 185 • per la quantificazione del sostegno alla tv pubblica nazionale sono state prese in considerazione le entrate derivanti da riscossione del canone (fonte: Rai) e per le altre forme di ricavi le principali Convenzioni stipulate da Rai con la PA; • per la quantificazione delle misure di sostegno alle tv e alla radio locali sono state inclusi nel perimetro di analisi i contributi erogati dal Ministero per lo Sviluppo Economico – Dipartimento per le Comunicazioni; i contributi elargiti dal Dipartimento Informazione Editoria della Presidenza del Consiglio, i rimborsi per la pubblicità elettorale che tramite i Corecom sono stanziati dal Ministero delle Comunicazioni; • per la quantificazione dei contributi per il digitale terrestre sono state identificate le risorse che a livello nazionale e regionale sono state sinora destinate alle imprese e ai cittadini per far fronte al passaggio dalla tv analogica al digitale terrestre. Il paragrafo 4.2 (Editoria) delinea il quadro delle risorse pubbliche, dirette e indirette, destinate al sostegno delle imprese editoriali. Esso raffronta i dati pubblicati sul sito del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri con i bilanci di previsione, per competenza e per cassa, e i conti economici degli ultimi anni della stessa Presidenza del Consiglio (dove sono indicate tutte le voci di intervento a favore delle imprese, dei giornalisti e le convenzioni con il servizio pubblico), integrandole con le fonti dei bilanci di Poste Italiane dove viene indicato l’ammontare delle agevolazioni sulle tariffe postali. Sono escluse dal perimetro le forme di sostegno a livello regionale e locale. Il paragrafo 4.3 (Cinema e spettacolo dal vivo) traccia un quadro delle risorse pubbliche destinate ai comparti del cinema (attività di produzione, distribuzione, esercizio, promozione) e dello spettacolo dal vivo (Fondazioni lirico-sinfoniche, attività musicali, attività teatrali di prosa, attività di danza e attività circensi e dello spettacolo viaggiante). La fonte primaria per quantificare l’entità dei finanziamenti è il FUS – Fondo Unico dello Spettacolo gestito dal Ministero per i Beni e le Attività culturali. All’interno del perimetro di analisi sono state incluse anche le risorse “extra-FUS” erogate da Arcus e derivanti dai fondi del Lotto. Per quanto attiene il settore cinematografico e audiovisivo sono stati contemplati anche gli investimenti nella produzione audiovisiva (cinema e fiction) effettuati dal broadcaster pubblico sulla base degli obblighi normativi vigenti (risorse provenienti dal canone), gli stanziamenti recenti legati al tax credit e tax shelter, i fondi regionali a sostegno dell’audiovisivo in gran parte gestiti dalle Film Commission.

2. Gli aiuti di Stato a cultura e telecomunicazioni: orientamenti e inizia- tive dell’Unione Europea

2.1 I nuovi Orientamenti sugli aiuti di Stato

Sin dall’atto costitutivo della Comunità europea con il Trattato di Roma del 1957, la presenza di meccanismi di controllo dei sussidi alle imprese è considerata una componente essenziale delle regole di base per la formazione di un Mercato comune europeo. Si legge, infatti, al paragrafo 1 dell’art. 87 del Trattato, «salvo deroghe contemplate dal presente trattato, sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza». Coerentemente

186 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni con le disposizioni contenute nel Trattato, la Commissione europea interviene in maniera diretta sulle politiche regionali nazionali attraverso il controllo degli aiuti di Stato. Gli Orientamenti in materia di aiuti di Stato ammettono, in deroga al divieto generale, di intervenire, in determinate aree geografiche e secondo diversi livelli di intensità d’aiuto, con incentivi alle imprese, nella misura in cui tali incentivi non alterino la concorrenza12. La concessione di aiuti alle imprese, senza opportune regole di controllo e limitazioni ad un uso indiscriminato degli stessi aiuti, possono avere come effetto anzitutto quello di alterare il corretto funzionamento del mercato, ma possono ingenerare altri effetti distorsivi collaterali, come per esempio ritardare la riorganizzazione di un settore in chiave competitiva, come normalmente avviene in maniera automatica in un mercato funzionante a seguito di spinte e segnali provenienti dagli stessi meccanismi della concorrenza13. La concessione di aiuti di Stato da parte dei paesi membri dell’Unione Europea è stata regolata dai nuovi Orientamenti sugli aiuti di Stato del 2006, che definiscono i criteri per la valutazione dei regimi di incentivazione14. I nuovi Orientamenti stabiliscono che, “ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c), del trattato, la Commissione può considerare compatibili con il mercato comune gli aiuti di Stato concessi per favorire lo sviluppo economico di determinate zone svantaggiate all’interno dell’Unione europea. Gli aiuti di questo tipo sono definiti aiuti di Stato a finalità regionale. Si tratta di aiuti agli investimenti a favore delle grandi imprese o, in determinate circostanze particolari, di aiuti al funzionamento, in entrambi i casi destinati a regioni specifiche al fine di riequilibrare disparità regionali. Sono considerati aiuti a finalità regionale anche investimenti di maggiore entità concessi a piccole e medie imprese situate nelle regioni svantaggiate […]”. In generale, le aree ammesse sulla base dell’art. 87.3a hanno diritto a massimali di aiuti più alti rispetto a quelle ammesse in virtù dell’art. 87.3c15.

12 La Commissione è già intervenuta in passato con azioni a tutela della concorrenza, quando ad esempio l’Italia, a seguito di una contestazione comunitaria, ed in accordo con la stessa Commissione, dovette procedere ad eliminare il provvedimento di abolizione totale degli sgravi sugli oneri sociali per le imprese operanti nel Mezzogiorno (decreto del Ministro del Lavoro Mastella del 5/08/1994), con l’impegno a renderlo inefficace entro il 1997. La Commissione ritenne, in quel caso, che alte e prolungate aliquote di sgravio costituissero un “aiuto al funzionamento” delle imprese e come tali in grado di distorcere strutturalmente la competizione (Bodo G., Viesti G. (1998), La grande svolta. Il Mezzogiorno nell’Italia degli anni novanta, Donzelli editore, Roma). Un altro esempio è dato dal divieto di introdurre misure di differenziazione della fiscalità su base territoriale. Più nello specifico, all’interno dell’UE è consentito che fra gli Stati membri vi siano regimi fiscali diversificati, ma è vietato limitare la riduzione dell’imposizione fiscale ad una parte del territorio. Pur tuttavia, nonostante questo limite, una importante innovazione a questo principio è stata apportata con la previsione di istituire Zone Franche Urbane (ZFU) nel Mezzogiorno d’Italia, concordate con la Commissione, e che prevedono una fiscalità di vantaggio molto spinta per le imprese che vi operano o che intendono iniziarvi la loro attività. Al momento sono state individuate 22 ZFU (nella seduta del CIPE dell’8 maggio 2009). La legge finanziaria 2008 aveva confermato lo stanziamento di un Fondo di 50 milioni di euro per la fase di attuazione. Allo stato attuale, le ZFU attendono un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze in cui vengano definite in maniera dettagliata le agevolazioni fiscali e previdenziali e lo sblocco definitivo dei fondi statali al CIPE. 13 G., Prota F. (2007), Le nuove politiche regionali dell’Unione Europea, Il Mulino, Bologna. 14 ORIENTAMENTI IN MATERIA DI AIUTI DI STATO A FINALITA’ REGIONALE 2007-2013 (2006/C 54/08), Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 4/03/2006. I nuovi Orientamenti non rappresentano una radicale innovazione, ma piuttosto la codificazione di prassi da tempo utilizzate dalla stessa Commissione, a fianco o in parziale sostituzione delle disposizioni contenute negli Orientamenti del 1988 e del 1998. 15 L’art. 87.3a statuisce che possono considerarsi compatibili con il Mercato comune «gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione»; mentre l’art. 87.3c stabilisce che sono compatibili «gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse». La deroga di cui alla lettera a) riguarda solo le regioni nelle quali la situazione economica è estremamente sfavorevole rispetto all’UE nel suo complesso, vale a dire regioni svantaggiate rispetto alla media europea. Secondo quanto stabilito dalla Commissione queste sono regioni, definite a livello territoriale NUTS II, in cui il Pil pro capite, misurato sulla base della parità di potere d’acquisto (PPA), non supera la soglia del 75% della media comunitaria. La deroga di cui alla lettera c) ha, invece, una portata potenzialmente più ampia, in quanto non limitata dalle condizioni economiche contemplate dalla lettera a). Sulla base di questa disposizione la Commissione può autorizzare aiuti tesi a favorire lo sviluppo economico di aree di uno Stato membro, che sono svantaggiate rispetto alla media nazionale.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 187 Vi sono poi alcune categorie di aiuti che sono dispensate dall’obbligo di notifica preventiva alla Commissione europea. Si tratta dei cosiddetti aiuti concessi in regime di de minimis, la cui soglia è stata innalzata da 200.000 euro a 500.000 euro, in seguito ad approvazione da parte della Commissione UE della decisione n. 248/2009 con la quale l’importo degli aiuti concedibili è stato esteso al limite massimo di 500.000 euro per impresa nel triennio dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2010.

2.2. La deroga prevista per gli aiuti alla cultura e le iniziative di supporto

2.2.1. La deroga per la cultura

Il Trattato di Maastricht ha introdotto all’art. 87, par. 3, lettera d) la possibilità specifica di un’eccezione al principio generale di incompatibilità previsto dal par. 1 in relazione agli aiuti concessi dagli Stati membri per promuovere la cultura. In particolare, possono considerarsi compatibili con il mercato comune «gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità in misura contraria all’interesse comune». Il controllo da parte della Commissione nell’autorizzare aiuti destinati alle imprese operanti nel settore culturale corrisponde evidentemente ad una erosione delle competenze nazionali sulle possibilità d’intervento a sostegno del settore, ma riconosce al tempo stesso la significatività delle imprese culturali quali attori non marginali nella formazione del mercato unico europeo. La disciplina degli aiuti destinati alla cultura è stata applicata ad un ambito coincidente con una definizione ampia di attività culturale. Ed infatti, in virtù del già richiamato articolo 87, paragrafo 3, lettera d) del Trattato, in materia di aiuti concessi dagli Stati, la Commissione ha in passato approvato un’ampia gamma di misure nazionali di cui hanno usufruito beneficiari tra loro disparati, quali i musei, i beni culturali, le produzioni teatrali e musicali, le pubblicazioni culturali e il settore audiovisivo e cinematografico16. Parte della dottrina ritiene che, mancando nel Trattato una definizione di cultura17, spetterebbe agli Stati membri - in base al principio di sussidiarietà – individuarla. Vi sono due casi in cui è esclusa l’applicabilità della “deroga culturale”, ovvero una misura di sostegno alle attività culturali “non” può essere qualificata in termini di aiuto: 1. l’attività culturale che ha ricevuto il sostegno non è qualificabile come un’attività economica; 2. essa non incide sugli scambi tra Stati membri. Quest’ultima previsione trova spesso riscontro nel settore culturale in quanto molte attività culturali, con eccezione di quelle che godono di prestigio internazionale, hanno dimensione esclusivamente locale. Si pensi per esempio alle sovvenzioni concesse per il restauro di monumenti che fanno parte del patrimonio locale o regionale, la cui capacità attrattiva è spesso limitata a flussi turistici di prossimità. E’ molto ampia invece la casistica che ha visto la Commissione europea approvare aiuti di Stato in applicazione della deroga culturale. Significativo è il caso francese del CELF, in cui l’aiuto è stato fornito a favore di una società cooperativa (CELF) i cui membri - alcuni editori francesi

16 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Comunicazione su un’agenda europea per la cultura in un mondo in via di globalizzazione {SEC(2007) 570} COM/2007/0242 def. 17 La stessa Commissione riconosce la difficoltà di definire i margini da applicare ad una definizione di cultura. Nella Comunicazione su un’agenda europea per la cultura in un mondo in via di globalizzazione (vedi nota precedente)., al par. 2, ammette che “di norma si riconosce la difficoltà di definire il termine cultura. Può indicare le arti, che comprendono una molteplicità di opere d’arte, beni e servizi culturali, e ha anche un significato antropo- logico. La cultura è alla base di un mondo simbolico di significati, convinzioni, valori, tradizioni, che si esprimono attraverso la lingua, l’arte, la religione e i miti; come tale svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo umano e nella costruzione complessa delle identità e delle abitudini dei singoli e delle collettività”.

188 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni - gestivano gli ordinativi di libri francesi provenienti da librerie con sede all’estero. In tale caso l’aiuto consisteva in un contributo finanziario sui costi di distribuzione, fornito per consentire agli editori di poter soddisfare piccoli ordinativi di opere francesi provenienti dall’estero, che altrimenti non sarebbero stati remunerativi. La Commissione ha considerato l’obiettivo perseguito dal governo francese nel fornire l’aiuto al CELF di natura culturale, perché diretto a favorire la diffusione all’estero di opere di lingua francese. Sulla base di tali premesse, ha concluso che le autorità francesi hanno attuato una politica culturale che risponde agli obiettivi fissati dal Trattato (essendo la diversità culturale tra i principi fondanti del modello europeo) e tali aiuti non sono tali da incidere sulla concorrenza, potendo quindi pienamente rientrare nella deroga culturale (Togo F., 2009). Un altro caso interessante è quello dell’Aviodrome di Lelystad in Olanda. Con lettera del maggio 2003, le autorità olandesi informarono la Commissione di una misura a sostegno del progetto Aviodrome relativo al patrimonio aeronautico. Le misure di aiuto erano destinate allo sviluppo di un parco a tema aeronautico, denominato appunto Aviodrome e sito a Lelystad. Lo scopo del progetto era la conservazione del patrimonio aeronautico in un museo. Per garantire al museo i presupposti per una sua sostenibilità finanziaria nel tempo, sono state sviluppate varie attività commerciali a sostegno delle attività previste del museo (un esempio di attività commerciale è un centro conferenze internazionale, situato al centro del parco a tema). Le attività del museo e quelle commerciali sono state separate nel piano finanziario dell’investimento. L’aiuto era destinato unicamente alle attività del museo. Sebbene queste ultime sembrassero essere separate dalle attività commerciali, la Commissione non poteva non considerare l’effetto di ricaduta che gli aiuti alle attività del museo avrebbero avuto rispetto alle attività commerciali, laddove queste ultime possono interessare settori nei quali esistono scambi intracomunitari e concorrenza. La Commissione ha pertanto riconosciuto la misura in qualità di aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del trattato della CE. Tenuto però conto della scarsa redditività economica delle semplici attività museali, la Commissione ha valutato che nessun investitore privato potrebbe accettare di finanziare l’intero progetto in mancanza di sovvenzioni pubbliche. Il sostegno veniva dunque considerato necessario alla realizzazione del progetto. L’aiuto non superava inoltre l’importo necessario al raggiungimento dell’obiettivo culturale. La Commissione ha di conseguenza ritenuto - mediante decisione del 15 ottobre 2003 - che la misura di aiuto poteva essere autorizzata a norma dell’articolo 87, paragrafo 3, lettera d), del trattato CE (esenzione degli aiuti di Stato al patrimonio culturale)18. Anche in Italia è possibile riscontrare casi in cui la Commissione europea è intervenuta con l’applicazione della deroga culturale. Ciò è ad esempio avvenuto a seguito dell’introduzione da parte della regione Sicilia della legge n. 32 del 2000, con la quale venivano previste misure di sostegno del settore dell’editoria. In tale circostanza l’applicazione della deroga culturale da parte della Commissione europea era ispirata al principio per cui «la finalità principale dell’intervento era la salvaguardia di agenzie di produzione culturale nell’isola». E’ interessante notare come alcune misure di aiuto che secondo la Commissione erano sprovviste di una chiara “natura culturale” fossero poi state valutate e comunque ammesse in base però all’art. 87, par. 3, lettera c). Questo si è verificato per esempio in un caso, molto controverso ma significativo per i principi in esso espressi, in cui la Commissione ha dichiarato compatibili ai sensi dell’art. 87, par. 3, lettera c) del Trattato - e non già sulla base della deroga culturale - gli aiuti concessi dall’Italia, sotto forma di sovvenzione in conto interessi, a favore di imprese operanti nel settore editoriale, nonché sotto forma di credito d’imposta, a favore di imprese che producono prodotti editoriali19. In questo caso, la Commissione non ha riscontrato nel sistema d’aiuto in esame disposizioni concernenti lo stanziamento di fondi per la promozione esplicita della cultura, i quali anzi

18 XXXIII Relazione sulla politica di concorrenza 2003, Commissione Europea. 19 Decisione 2006/320/EC, relativa alle misure notificate dall’Italia in favore dell’editoria, del 30 giugno 2004 in GU L 118, del 3 maggio 2006, p. 8.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 189 sarebbero stati utilizzati interamente a sostegno più genericamente di investimenti realizzati da imprese che producono prodotti editoriali in lingua italiana. La Commissione inoltre precisava che, benché le misure di cui trattasi possano in ultima analisi favorire l’apprendimento e la diffusione della lingua e della cultura italiana, il fatto di considerarle come misure basate sulla cultura, in assenza di qualsiasi indicazione specifica di ordine pedagogico o di apprendimento linguistico, avrebbe equivalso ad ampliare eccessivamente la nozione di cultura. Inoltre, in risposta all’argomentazione delle autorità italiane che abbinavano la promozione della cultura a quella del pluralismo dell’informazione, la Commissione precisava come le esigenze educative e democratiche di uno Stato membro sono da considerarsi distinte dalla promozione della cultura (Togo F., 2009). Nel dicembre 2007 la deroga culturale, nell’ottica di una continua evoluzione del concetto di cultura adottato dalla Commissione, è stata per la prima volta applicata ai videogiochi. La Commissione, infatti, ha approvato gli aiuti concessi in Francia sotto credito di imposta ad imprese produttrici di videogiochi20, riconoscendo il valore educativo di alcuni videogiochi, e richiamandosi inoltre alla Convenzione Unesco sulla diversità culturale, nella quale si riconosce il carattere culturale dell’industria dei videogiochi nonché il suo ruolo in materia di diversità culturale. La produzione cinematografica rappresenta invece il settore dell’industria culturale in cui la deroga agli aiuti ha trovato maggiore applicazione. La Commissione europea ha adottato nel 2001 la cosiddetta «Comunicazione sul cinema21» in cui vengono illustrati gli indirizzi programmatici ed esposti i principi da seguire nell’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato al settore cinematografico, per migliorare la produzione e la distribuzione delle opere cinematografiche in Europa, sottolineando anche le difficoltà che incontrano i produttori nell’ottenere un sostegno finanziario iniziale che permetta di portare avanti i progetti di produzione. Le misure di sostegno attuate dagli Stati membri alla produzione audiovisiva di film e programmi televisivi sono incentrate prevalentemente sulle fasi di creazione e di produzione di opere cinematografiche ed assumono generalmente la forma di sovvenzioni o di anticipi rimborsabili. Annualmente si stima si spendano nell’Unione europea circa 1,6 miliardi di euro come sostegno nazionale alla cinematografia22. Nel valutare i sistemi di sostegno alla produzione cinematografica e televisiva, la Commissione verifica in generale due condizioni: • Il rispetto del criterio di legalità generale, vale a dire che gli aiuti in questione non siano in contrasto con altre disposizioni del Trattato CE relative a settori diversi dagli aiuti di Stato, ivi comprese le disposizioni in materia fiscale. La Commissione deve verificare, tra l’altro, che siano rispettati i principi che vietano la discriminazione in base alla nazionalità e sanciscono la libertà di stabilimento23, la libera circolazione delle merci e la libertà di prestare servizi. La Comunicazione chiarisce che in osservanza di detti principi i sistemi di aiuti non devono, ad esempio, rivolgersi esclusivamente ai cittadini dello Stato in questione; si stabilisce, inoltre, che i beneficiari debbano essere imprese nazionali costituite a norma del diritto commerciale nazionale e che i dipendenti di imprese straniere che forniscono servizi cinematografici rispettino le norme del lavoro nazionali. Quando le disposizioni che violano detti principi non sono scindibili dal funzionamento del sistema di aiuti, la Commissione fa rispettare i principi in questione applicando le norme sulla 20 Decisione dell’11 dicembre 2007 C47/2006 (ex. N648/2005) Crédit d’impôt pour la création de jeux vidéo in GU L/118/2008 del 6 maggio 2008, p. 16. 21 Vedi sopra. 22 Cfr. comunicato stampa IP/09/138 della Commissione del 28 gennaio 2009. 23 Gli Articoli 43-48 del Trattato della Comunità Europea vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Per “libertà di stabilimento” si intende la possibilità di costituire e gestire un’impresa o intraprendere una qualsiasi attività economica in un paese della Comunita Europea, tramite l’apertura di agenzie, filiali e succursali.

190 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni concorrenza. Il rispetto di criteri specifici di compatibilità. In particolare, tali criteri specifici sono così definiti: • “Gli aiuti devono riguardare un prodotto culturale”: ogni Stato membro deve garantire che il contenuto della produzione sovvenzionata sia di natura culturale in base a criteri nazionali puntualmente verificabili. Facendo riferimento al principio di sussidiarietà spetta a ciascun Stato definire tale criterio. Alla Commissione di conseguenza è attribuito il compito di controllare che le autorità nazionali abbiano delineato un sistema di selezione verificabile, capace di assicurare che potranno beneficiare dell’aiuto solamente prodotti culturali, come definiti dalle autorità nazionali. Questo criterio è diretto, dunque, ad escludere dal beneficio le produzioni a carattere prettamente commerciale; • “Il produttore deve essere libero di spendere almeno il 20% del bilancio del film in altri Stati membri senza subire riduzioni della sovvenzione prevista dal sistema quale conseguenza dell’obbligo eventualmente imposto di “territorializzazione” della spesa”; • “L’intensità degli aiuti deve essere in linea di massima limitata al 50% del bilancio di produzione”24: la Commissione giustifica questa limitazione per stimolare le normali iniziative commerciali proprie di un’economia di mercato (spinta al ruolo del settore privato) ed evitare una corsa agli aiuti tra gli Stati membri. Rappresentano un’eccezione a questo limite i cosiddetti «film difficili e con risorse finanziarie modeste», la cui definizione è, ancora una volta, coerentemente al principio di sussidiarietà, affidata a ciascuno Stato membro secondo propri parametri nazionali25. • Infine, non sono consentiti ulteriori aiuti a “specifiche attività cinematografiche” (ad esempio la post-produzione), per garantire la neutralità dell’effetto incentivante degli aiuti e per evitare che lo Stato che eroga la sovvenzione attiri o protegga le attività in questione. Occorre poi ravvisare come le imprese che producono film e programmi televisivi possono usufruire di altri tipi di sovvenzioni non connesse ad attività culturali, ma dirette ad assistere particolari attività economiche o ambiti regionali e concesse nell’ambito dei sistemi di aiuto nazionali orizzontali26, approvati dalla Commissione in virtù delle deroghe di cui all’art. 87, par. 3 lettere a) e c) del Trattato CE (ad esempio aiuti regionali, aiuti alle PMI, a ricerca e sviluppo, alla formazione e all’occupazione)27.

2.2.2 Le iniziative di supporto La cultura ha occupato un posto fondamentale nel processo di integrazione europea, sin dagli inizi, per l’importanza delle sue numerose implicazioni sociali, economiche e politiche. L’azione comunitaria in materia culturale (vedi supra), in particolare, trova fondamento nell’articolo 151 del trattato che istituisce la Comunità europea, il quale richiama alla possibilità per la Comunità europea di porre in essere azioni volte ad incoraggiare, promuovere e, se necessario, integrare le attività poste in essere dagli Stati Membri, contribuendo al pieno sviluppo delle loro culture nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziandone nel contempo 24 La Commissione precisa che i fondi forniti direttamente da programmi comunitari non costituiscono risorse statali, pertanto la loro presenza non incide sul calcolo del tetto massimo del 50%. I programmi in questione, inoltre, promuovono la diffusione di film nazionali all’estero, di conseguenza i loro effetti non si aggiungono a quelli prodotti dai sistemi nazionali, che si concentrano invece sulla produzione e sulla distribuzione. 25 Si intendono per «film con risorse finanziarie modeste» quei film il cui costo complessivo di produzione non è superiore a 1,5 milioni di euro, mentre «film difficili» sono quei film che si ritiene abbiano una scarsa ricet- tività da parte del mercato e quindi hanno scarse possibilità di commercializzazione in virtù del loro carattere speri- mentale (ad esempio documentari, opere prime e seconde, cortometraggi, opere prodotte dalle scuole di cinema riconosciute dallo Stato Italiano). 26 La Commissione ha adottato una serie di regole che riguardano i cosiddetti aiuti orizzontali. Queste regole, a differenza di quelle relative agli aiuti a finalità regionale, riguardano aiuti che possono essere concessi su tutto il territorio comunitario e, a differenza di quelle relative agli aiuti settoriali, riguardano più settori. 27 Togo F. (2009), Aiuti di Stato nel settore culturale, Aedon, n. 2/2009, Il Mulino.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 191 il retaggio comune. Inoltre, l’azione della Comunità è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l’azione di questi ultimi nei seguenti settori: • miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei; • conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea; • scambi culturali non commerciali; • creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo. Al fine di porre in essere gli obiettivi previsti dall’articolo 15128 del Trattato, la Comunità europea oltre a destinare parte del Fondo Sociale Europeo (FSE) e del Fondo per lo Sviluppo Regionale (FESR) della politica regionale al conseguimento di obiettivi attinenti alle attività culturali, ha istituito programmi ad hoc volti a promuovere misure per preservare il patrimonio culturale, strumenti di sostegno finanziario per artisti, assistenza per le traduzioni letterarie e supporto per eventi culturali. Una prima generazione di programmi volti a sostenere la cultura fu introdotta nel 1996 con il Programma Caleidoscopio, operativo fino al 1999 e diretto al sostegno di progetti culturali ed artistici realizzati in cooperazione tra più Stati membri. Ad esso sono seguiti il programma Arianna, adottato nel periodo 1997-1999 e destinato a sostenere il settore dei libri e della lettura ed il programma Raffaello (1997-1999), il cui obiettivo era incoraggiare la cooperazione per la protezione, conservazione e l’accrescimento dell’eredità culturale europea. Nel maggio del 1998 la Commissione europea propone di creare il primo programma quadro a supporto della cultura (denominato Cultura 2000). Il programma “Cultura 2000”29, che raggruppa i precedenti programmi “Raffaello”, “Arianna” e “Caleidoscopio”, mira a realizzare uno spazio culturale comune promuovendo il dialogo culturale e la conoscenza della storia, la creazione, la diffusione della cultura e la mobilità degli artisti e delle loro opere, il patrimonio culturale europeo, le nuove forme di espressione culturali, nonché il ruolo socioeconomico della cultura. Il programma “Cultura 2000” è uno strumento di programmazione e di finanziamento per le azioni comunitarie nel settore della cultura, istituito per il periodo compreso fra il 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2006, che sostiene il ruolo della cultura sia come fattore economico che come fattore d’integrazione sociale e di cittadinanza. Esso, inoltre, favorisce un collegamento con le azioni avviate nel quadro di altre politiche comunitarie aventi un’incidenza sul settore della cultura. “Cultura 2000” è stato successivamente sostituito da un nuovo programma, denominato “Cultura 2007”. Esso è stato istituito con la decisione n. 1855/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, e rappresenta uno strumento di finanziamento e di programmazione per la cooperazione culturale, per il periodo dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2013. Il programma “Cultura 2007” si propone di sostenere le azioni di cooperazione culturale degli organismi europei attivi nel settore e di raccogliere e diffondere l’informazione in questo campo. L’obiettivo generale del programma è, come nei precedenti programmi relativi al comparto, la valorizzazione di uno spazio culturale comune agli europei al fine di favorire l’emergere di una cittadinanza europea. Più specificamente il programma Cultura 2007 si articola intorno a tre obiettivi: • favorire la mobilità transnazionale dei professionisti del settore culturale;

28 Versione consolidata che istituisce la Comunità Europea, Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, 24.12.2002. 29 Decisione 508/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 febbraio 2000, che istituisce il programma “Cultura 2000”.

192 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni • favorire la circolazione delle opere d’arte e dei prodotti culturali e artistici al di là delle frontiere nazionali; • promuovere il dialogo interculturale. L’importanza riconosciuta al settore culturale da parte dell’UE è rintracciabile anche in altre iniziative della Commissione europea, la quale ha pubblicato nel maggio 2007 la “Comunicazione su un’agenda europea per la cultura in un mondo in via di Globalizzazione”30, per rispondere alle sfide imposte dai cambiamenti ingenerati dalla globalizzazione. Si tratta di una nuova strategia europea della cultura che si basa sull’intensificazione della cooperazione culturale nell’Unione europea (UE). In particolare, gli obiettivi della nuova agenda della cultura si articolano intorno a tre principi: • stimolare la diversità culturale e il dialogo interculturale (mobilità degli artisti e dei lavoratori del settore culturale nonché la circolazione di qualsiasi forma di espressione artistica e rafforzamento delle competenze interculturali e del dialogo interculturale); • dinamizzare la creatività nel quadro della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione (le industrie culturali contribuiscono al dinamismo dell’economica europea nonché alla competitività dell’UE); • la cultura quale elemento essenziale delle relazioni internazionali (conformemente alla Convenzione dell’UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, ratificata da tutti gli Stati membri e dall’UE, la nuova agenda della cultura propone di rafforzare la dimensione culturale in quanto elemento indispensabile delle relazioni esterne dell’UE). Altra iniziativa europea in ambito culturale è costituita dal programma MEDIA 200731, che è il nuovo programma di sostegno al settore audiovisivo europeo. Nell’ambito del programma MEDIA 2007, la Commissione intende portare avanti l’azione comunitaria svolta tramite i programmi MEDIA I, MEDIA II, MEDIA Plus e MEDIA Formazione che hanno favorito lo sviluppo dell’industria audiovisiva europea a partire dal 1991. Il settore audiovisivo è uno strumento essenziale per la trasmissione e lo sviluppo dei valori culturali europei. Tale settore svolge infatti un ruolo fondamentale nella realizzazione di una identità culturale europea e nell’espressione della cittadinanza europea. Inoltre, la circolazione delle opere audiovisive europee (film e programmi televisivi) contribuisce a rafforzare il dialogo interculturale ed a migliorare la comprensione e la conoscenza reciproche delle culture europee. Il sostegno comunitario mira pertanto a consentire al settore dell’audiovisivo di svolgere pienamente tale ruolo di consolidamento della cittadinanza e della cultura europee. Il nuovo programma, che riguarda il periodo 2007-2013, è concepito come un programma unico che riunisce i due aspetti già oggetto di intervento da parte delle passate iniziative (sviluppo, distribuzione, promozione e formazione). Oltre all’aspetto culturale, il settore audiovisivo europeo presenta un forte potenziale sociale ed economico. Così, ad esempio, il sostegno comunitario al settore audiovisivo si colloca anche nel contesto della strategia di Lisbona che mira a fare dell’Europa l’economia più competitiva e più dinamica del mondo. Il programma MEDIA 2007 persegue i seguenti obiettivi generali: • conservare e valorizzare la diversità culturale e linguistica europea e il patrimonio audiovisivo cinematografico europeo;

30 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 10 maggio 2007, relativa ad un’agenda europea per la cultura in un mondo in via di globalizzazione [COM(2007) 242]. 31 Decisione n. 1718/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2006, relativa all’attuazione di un programma di sostegno al settore audiovisivo europeo (MEDIA 2007). L’Unione europea sostiene il settore cinematografico europeo mediante il programma MEDIA 2007 che destina, per il periodo 2007-2013, 755 milioni di euro per la formazione, nonché per lo sviluppo e la distribuzione dei film europei oltre frontiera.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 193 • garantire l’accesso al pubblico dello stesso e favorire il dialogo tra le culture; • accrescere la circolazione e la visibilità delle opere audiovisive europee all’interno e all’esterno dell’Unione europea; • rafforzare la concorrenzialità del settore audiovisivo europeo nel quadro di un mercato europeo aperto e concorrenziale propizio all’occupazione. Per realizzare questi obiettivi MEDIA 2007 interviene: • a monte della produzione audiovisiva, per favorire l’acquisizione e il perfezionamento delle competenze e lo sviluppo delle opere audiovisive europee (fasi di preproduzione); • a valle della produzione audiovisiva, per sostenere la distribuzione e la promozione delle opere audiovisive europee (fasi di postproduzione); • nel sostegno a favore di progetti pilota destinati a garantire l’adeguamento del programma agli sviluppi del mercato. Nei suoi settori di competenza, il programma si basa sulle seguenti quattro priorità: • il sostegno al processo creativo nel settore audiovisivo europeo, nonché alla conoscenza e alla diffusione del patrimonio cinematografico ed audiovisivo europeo; • il rafforzamento della struttura del settore audiovisivo europeo, in particolare le piccole e medie imprese (PMI); • la riduzione, nel mercato audiovisivo europeo, degli squilibri tra paesi a forte capacità di produzione di audiovisivi e paesi o regioni con scarsa capacità di produzione di audiovisivi e/o ad area geografica e linguistica limitata (tale priorità risponde alla necessità di tutelare e potenziare la diversità culturale ed il dialogo interculturale in Europa); • il sostegno degli sviluppi del mercato in materia di digitalizzazione. A fine Aprile 2010 è stato pubblicato dalla Commissione Europea un importante documento dedicato alla creatività ed alla cultura ed ai processi innovativi in tale ambito, vale a dire il Libro Verde “Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare”32, il quale si propone di suscitare un dibattito sulle condizioni che possono stimolare lo sviluppo delle industrie culturali e creative dell’Unione europea. Nel documento si mette in evidenza che il settore delle industrie culturali e creative si compone di imprese altamente innovative con un grande potenziale economico e costituisce uno dei settori più dinamici d’Europa. Le industrie culturali e creative in particolare contribuiscono spesso a rivitalizzare le economie locali in declino, favorendo la nascita di nuove attività economiche, creando posti di lavoro nuovi e sostenibili e aumentando l’attrattiva delle regioni e delle città europee Di fatto, le strategie di sviluppo regionale e locale attuate nei vari paesi europei hanno integrato con successo le industrie culturali e creative in numerosi settori: promozione del patrimonio culturale a fini commerciali; sviluppo delle infrastrutture e dei servizi culturali per favorire un turismo sostenibile; raggruppamento di imprese locali e collaborazioni tra le industrie culturali e creative e l’industria, la ricerca, l’istruzione e altri settori; creazione di laboratori di innovazione; definizione di strategie transfrontaliere integrate per gestire le risorse naturali e culturali e ridare slancio alle economie locali; sviluppo urbano sostenibile. Inoltre, i contenuti culturali hanno un ruolo cruciale nello sviluppo della società dell’informazione, alimentando investimenti nelle infrastrutture e nei servizi a banda larga, nelle tecnologie digitali, nell’elettronica di consumo e nelle telecomunicazioni. Con il concorso del settore dell’istruzione, le industrie culturali e creative possono inoltre svolgere un ruolo decisivo nel dotare i cittadini europei delle necessarie competenze creative, 32 LIBRO VERDE. Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare, Bruxelles, 27.04.2010, COM (2010) 183 definitivo.

194 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni imprenditoriali e interculturali. In questo senso, le industrie culturali e creative possono alimentare i centri d’eccellenza europei e aiutare l’Europa a diventare una società fondata sulla conoscenza. Tutte queste dimensioni hanno in comune l’obiettivo per l’Unione europea di sfruttare il potenziale della cultura come catalizzatore della creatività e dell’innovazione nel quadro della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione.

2.3. L’azione europea per le telecomunicazioni

2.3.1. Il quadro generale

Nell’economia moderna le telecomunicazioni sono un importante fattore per lo sviluppo e la competitività dei sistemi economico-sociali. Soprattutto, a seguito della crescente globalizzazione dell’economia e della smaterializzazione della produzione e dei processi, le infrastrutture di comunicazione e la disponibilità di tecnologie basate sull’alta velocità di trasferimento dei dati costituiscono un asset strategico essenziale per l’inserimento del sistema produttivo nazionale nelle dinamiche competitive dell’economia globale, ma anche per migliorare l’efficienza e l’accessibilità dei servizi alle popolazioni locali. La strategicità delle tecnologie di comunicazione per la competitività dei sistemi economico- sociali è dimostrata dal fatto che la loro diffusione nei territori e nei vari settori dell’economia, nel favorire lo sviluppo economico e la crescita, ha, nel contempo, determinato la nascita di un digital divide tra aree territoriali che dispongono di nuove tecnologie e capacità di comunicazione ed altre che invece presentano un deficit in questo senso. Il fenomeno del digital divide - osservabile non solo con riferimento alle differenze tra paesi ma, anche, rispetto alle disparità esistenti tra aree all’interno di uno stesso paese -, ha spinto molti governi nazionali e regionali a dar vita a politiche dal lato della domanda e dell’offerta, volte soprattutto a sviluppare l’utilizzo di internet e la diffusione della banda larga. La diffusione della banda larga consente la produzione di esternalità di rete - l’aumento dei sottoscrittori/ utilizzatori aumenta l’utilità della adesione alla rete per tutti i consumatori - creando convenienza ad accrescere ulteriormente il tasso di penetrazione del servizio, anche in quelle aree geografiche che sono più distanti dai luoghi in cui si concentrano maggiormente i flussi di scambio e di informazione e comunicazione. L’importanza delle telecomunicazioni in ambito europeo, è riconosciuta già nel trattato istitutivo della Comunità europea, quando all’art. 154 viene enunciato che per la realizzazione di uno spazio di libero scambio europeo, e per la coesione economica e sociale “la Comunità concorre alla costituzione e allo sviluppo di reti transeuropee nei settori delle infrastrutture dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia”. Sin dalla fine degli anni ‘80, il tema della liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni è stato discusso e concepito nella prospettiva del completamento del mercato interno, e si è affermato come una priorità per la Comunità europea. La liberalizzazione del settore ha avuto inizio nel 1988 con l’apertura alla concorrenza dei mercati di terminali di telecomunicazioni e, poi, è proceduto nel 1990, con la liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione – ad eccezione della telefonia vocale. L’UE ha proceduto nel 1998 alla completa liberalizzazione dei mercati europei delle telecomunicazioni, con lo scopo di affermare la concorrenza in un settore in cui predominante era la posizione di monopoli nazionali su determinati servizi (come ad esempio nell’accesso ad internet ad alta velocità), ed assicurare che cittadini ed imprese potessero trarre massimo beneficio dallo sviluppo e diffusione della società dell’informazione. Parallelamente alla liberalizzazione del settore, un’altra priorità dell’UE è attualmente

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 195 rappresentata dalla riduzione del “divario digitale” tra regioni più ricche e regioni più povere (specie le zone rurali), con minori possibilità di accesso alla banda larga. Per colmare il divario territoriale in questo settore, gli Stati membri, le regioni e le autorità locali sono incoraggiati a migliorare l’accesso alle tecnologie di queste zone, realizzando investimenti nella fornitura di adeguate attrezzature tecnologiche, e ad individuare modalità per incentivare la domanda. Le amministrazioni locali, in particolare, possono fornire alcuni servizi fondamentali alla collettività, come i servizi della pubblica amministrazione, i servizi sanitari e i servizi didattici on-line33. Dal canto suo l’UE invece può svolgere un ruolo importante attraverso le azioni strutturali riconducibili agli strumenti della politica regionale e della politica di sviluppo rurale. Anche se le autorità nazionali di ogni singolo stato membro applicano separatamente le norme di emanazione europea in materia di telecomunicazioni, esse coordinano le loro strategie a livello comunitario34. Da un punto di vista programmatico, nell’ambito della strategia europea per le telecomunicazioni, i2010 ha rappresentato il nuovo quadro strategico con cui nel 2005 la Commissione europea ha definito gli orientamenti strategici di massima per la società dell’informazione e i media35. In particolare, il programma i2010 si proponeva di realizzare uno spazio unico europeo dell’informazione, per stimolare un mercato interno aperto e competitivo per la società dell’informazione e i media. La strategia per le telecomunicazioni definita da i2010 costituiva più in generale una politica integrata, la quale ha mirato ad uno sviluppo della conoscenza e dell’innovazione per sostenere la crescita e l’occupazione europea. Tale politica, a sua volta, è poi rientrata nell’ambito della più complessiva revisione della strategia di Lisbona (Lisbona 2020), laddove quest’ultima già nella sua formulazione originaria di Lisbona 2010 assegnava allo sviluppo tecnologico e delle comunicazioni una importanza strategica per la competitività europea36. Lo scopo dell’iniziativa i2010 è il coordinamento delle azioni degli Stati membri dell’UE per facilitare la convergenza digitale ed affrontare in modo integrato la società dell’informazione e le politiche in materia di audiovisivi. La Commissione europea, in particolare, ha proposto tre obiettivi prioritari che le politiche europee della società dell’informazione e dei media avrebbero dovuto conseguire entro il 2010: • la realizzazione di uno spazio unico europeo dell’informazione; • il rafforzamento dell’innovazione e degli investimenti nella ricerca sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT); • la realizzazione di una società dell’informazione e dei media basata sull’inclusione. Come viene evidenziato nella “Comunicazione della Commissione Europea sulla Strategia di Lisbona 2020”, la domanda globale di tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresenta un mercato da 8 mila miliardi di euro, di cui però solo un quarto proviene da imprese europee. L’Europa inoltre accusa un ritardo per quanto riguarda la penetrazione dell’internet ad alta velocità, che si ripercuote negativamente sulla sua capacità di innovare, anche nelle zone rurali, sulla diffusione delle conoscenze online e sulla distribuzione online di beni e servizi. In questo scenario, un’azione comunitaria volta a sostenere gli investimenti in tecnologie di comunicazione da parte delle imprese europee, accompagnata da adeguati interventi diretti 33 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo: «Migliorare l’accesso alle tec- nologie dell’informazione e della comunicazione nelle zone rurali» [COM(2009) 103]. 34 Il coordinamento delle strategie a livello comunitario avviene nell’ambito del cosiddetto gruppo dei rego- latori europei (ERG – European Regulators’ Group). 35 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 1° giugno 2005, intitolata “i2010 – Una società europea dell’informazione per la crescita e l’occupazione” [COM(2005) 229]. 36 COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPA 2020. Una strategia per una crescita intelli- gente, sostenibile e inclusiva, CE, 2010.

196 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni ad eliminare il gap infrastrutturale che penalizza le aree più arretrate dell’area europea, non solo è necessario ma può permettere di conseguire l’obiettivo globale di rafforzare la coesione sociale, economica e territoriale in Europa attraverso la realizzazione di una società europea dell’informazione basata sull’inclusione ed il miglioramento dei servizi pubblici e della qualità della vita. Ad accompagnare la realizzazione dell’iniziativa i2010, nell’aprile del 2006 è stato preparato il piano d’azione “eGovernment”, il quale è volto a migliorare l’efficienza dei servizi pubblici, ammodernarli e adattarli alle esigenze dei cittadini37. Il piano d’azione sottolinea l’importanza di accelerare l’introduzione dell’amministrazione in linea (o e-government) in Europa per rispondere a una serie di esigenze, quali: • ammodernare e rendere più efficienti i servizi pubblici; • offrire ai cittadini servizi di maggior qualità e più sicuri; • rispondere alla domanda delle imprese che auspicano meno burocrazia e più efficacia; • garantire la continuità transfrontaliera dei servizi pubblici, indispensabili per sostenere la mobilità in Europa. Vanno inoltre segnalate delle misure europee in materia di società dell’informazione che sono però dirette a settori specifici, come ad esempio la sanità. Nel 2004 la Commissione europea ha dato vita ad un Piano d’azione per la «sanità elettronica»38, con l’obiettivo principale di permettere all’Unione europea (UE) di sfruttare il potenziale dei sistemi e dei servizi della sanità in rete nell’ambito di uno spazio europeo della sanità elettronica. Il Piano prospetta la possibilità d’impiego delle tecnologie informatiche e telematiche (ICT) al fine di migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria in tutta l’Europa, mantenendo i costi stabili o riducendoli, abbreviando i tempi di attesa e diminuendo gli errori. In termini più operativi, il Piano indica misure concrete per la sua realizzazione, prevedendo, per esempio: l’applicazione delle tecnologie informatiche e telematiche alle ricette mediche, le cartelle mediche, l’identificazione dei pazienti e le tessere sanitarie, attraverso una più rapida installazione di reti Internet a banda larga destinate ai sistemi sanitari. Altri ambiti di intervento comunitario in materia di telecomunicazioni, sostenuti dalla realizzazione di programmi comunitari dedicati, sono le grandi reti di comunicazione trans europee, laddove, nel quadro della politica delle reti trans europee dell’Unione europea (UE), il programma “eTEN”39 sostiene la creazione e la diffusione trans europea di servizi e di applicazioni elettronici. Il programma è stato creato inizialmente con lo scopo di sostenere l’interconnessione delle reti nel settore delle infrastrutture di telecomunicazioni, mentre successivamente è stato esteso alla creazione, lo sviluppo e l’accessibilità di servizi e di applicazioni interoperabili, concentrandosi soprattutto sulla promozione dei servizi pubblici e l’impiego innovativo di servizi online.

2.3.2. Gli aiuti di Stato a sostegno del broadband

In una economia di mercato, gli investimenti per il dispiegamento sul territorio di reti broadband (o banda larga) ad alta e ad altissima velocità viene assicurato primariamente dagli operatori privati, tuttavia gli aiuti di Stato subentrano quale strumento decisivo per garantire in molti casi l’estensione e la copertura del broadband in quelle aree in cui gli operatori di mercato non hanno convenienza economica ad investire.

37 Comunicazione della Commissione, del 25 aprile 2006, Il piano d’azione eGovernment per l’iniziativa i2010: accelerare l’eGovernment in Europa a vantaggio di tutti [COM(2006) 173]. 38 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e so- ciale europeo e al Comitato delle regioni, del 30 aprile 2004, «Sanità elettronica - migliorare l’assistenza sanitaria dei cittadini europei: piano d’azione per uno spazio europeo della sanità elettronica» [COM(2004) 356]. 39 Per esteso “TEN-Telecom” che sta per Trans-european Telecommunications Networks.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 197 Al fine di rispondere al fabbisogno crescente di disciplinare una casistica oramai largamente diffusa nel settore, nel Settembre del 2009 la Commissione europea ha adottato delle Linee Guida40 per la disciplina degli aiuti di Stato al broadband. Tali linee guida rispondono all’obiettivo generale di regolare il sostegno pubblico agli investimenti in questo settore strategico per lo sviluppo economico e la coesione sociale degli Stati, senza creare distorsioni della competizione, vale a dire assicurando allo stesso tempo la preservazione delle dinamiche competitive e di mercato in un settore che è ormai completamente liberalizzato. La connettività a banda larga riveste un ruolo centrale ai fini dello sviluppo, dell’adozione e dell’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’economia e nella società. L’importanza strategica della banda larga consiste pertanto nella sua capacità di accelerare il contributo di queste tecnologie alla crescita e all’innovazione in tutti i comparti economici nonché alla coesione sociale e territoriale. La Commissione europea sostiene attivamente l’accesso generalizzato ai servizi a banda larga per tutti i cittadini europei, quale strumento di coesione sociale, come stabilito e riaffermato nelle varie versioni della strategia di Lisbona41. La disponibilità delle linee guida sugli aiuti di Stato alla banda larga offre agli Stati membri dell’Unione europea ed alle rispettive autorità pubbliche un set di regole in grado di orientare piani di sostegno pubblico al settore, che siano in linea con le regole sugli aiuti di stato comunitari, ma che al tempo stesso facilitino l’espansione delle reti broadband ad alta ed altissima velocità, riducendo il cosiddetto digital divide, accrescendo la competitività europea e contribuendo alla creazione di una società knowledge-based in Europa. Tali linee guida sono state elaborate dalla Commissione europea sulla base di un esperienza maturata negli ultimi anni e fondata sull’adozione di oltre 40 decisioni individuali su casi di sostegno pubblico assoggettabile o meno allo status di aiuto di Stato. In particolare esse esplicitano le regole in base alle quali risorse pubbliche possono essere finalizzate al dispiego sul territorio di reti broadband di base così come di reti di nuova generazione (NGA42) laddove i privati non investono. Gli aiuti di Stato a sostegno della banda larga possono infatti rimediare a un fallimento del mercato in quanto consentono di ovviare a situazioni in cui singoli investitori privati non ritengono opportuno investire sebbene l’investimento risulti efficiente in una più ampia prospettiva economica, ad esempio per gli effetti cumulati sullo sviluppo dell’area. D’altro canto, gli aiuti di Stato a sostegno della banda larga possono anche prestarsi al conseguimento di obiettivi di equità, laddove quest’ultima viene considerata un mezzo di comunicazione e di partecipazione fondamentale per la vita sociale, nonché uno strumento per garantire la libertà di espressione di tutti gli attori sociali, rafforzando in questo modo la coesione sociale e territoriale. Già nel «Piano d’azione nel settore degli aiuti di Stato - Aiuti di Stato meno numerosi e più mirati: itinerario di riforma degli aiuti di Stato 2005-200943», la Commissione aveva osservato che, a determinate condizioni, gli aiuti di Stato possono costituire strumenti efficaci per realizzare obiettivi di interesse comune, sottolineando che per quanto riguarda, in particolare, il comparto della banda larga, un intervento pubblico ben mirato può contribuire a ridurre il «divario digitale» tra le aree e le regioni di un paese che hanno accesso a servizi a banda larga abbordabili e competitivi e le aree in cui questa offerta è assente. Gli investimenti europei per lo sviluppo delle reti di broadband costituiscono, inoltre, una

40 Comunicazione della Commissione. Orientamenti comunitari relativi all’applicazione delle norme in ma- teria di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga (2009/C 235/04) 30/09/2009. 41 Si vedano, a titolo di esempio, «i2010 — Una società europea dell’informazione per la crescita e l’occupazione», COM (2005) 229 def., 1 giugno 2005; «e-Europe 2005: una società dell’informazione per tutti», COM (2002) 263 def.; «Colmare il divario nella banda larga», COM (2006) 129. 42 NGA sta per Next Generation Access. Si tratta di reti in fibra ottica o reti cablate avanzate in grado di sostituire totalmente o in larga misura le attuali reti a banda larga in rame o via cavo. 43 COM (2005) 107 def.

198 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni parte importante del piano europeo di ripresa economica44 approvato l’11 marzo 2009, a cui la Commissione europea ha destinato oltre un miliardo di euro attraverso il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR), al fine di sviluppare la diffusione della rete internet ad alta velocità nelle aree rurali. Laddove le aree interessate da un progetto di banda larga sovvenzionato da misure statali, si qualifichino come «aree assistite» ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c), del trattato CE e quindi degli orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale45, l’intervento pubblico destinato alla banda larga ricade nella disciplina degli aiuti di Stato.

2.3.3. Le aree di aiuto al broadband

Al fine di classificare gli interventi pubblici a sostegno delle reti di broadband come aiuti di Stato, la Commissione europea ha effettuato una distinzione di tipo geografico, tra: • aree in cui le infrastrutture a banda larga sono inesistenti e non si prevede verranno sviluppate nel medio termine (aree bianche); • aree caratterizzate dalla presenza di un unico operatore di rete a banda larga (aree grigie); • aree in cui operano almeno due fornitori di servizi di rete a banda larga (aree nere). Questa distinzione viene applicata anche alla disponibilità di reti di nuova generazione NGA46, il cui dispiegamento sulle realtà territoriale è ancora ad uno stadio iniziale. Aree bianche Considerato che gli aiuti di Stato alla banda larga nelle aree bianche rurali o scarsamente servite costituiscono uno strumento in grado di promuovere la coesione economica e sociale territoriale e di correggere i fallimenti del mercato, la Commissione europea ne ha decretato la loro stretta compatibilità con le politiche comunitarie per la coesione. In quasi tutte le decisioni adottate in questo settore, la Commissione ha sottolineato che, per motivi di redditività, le reti a banda larga tendono ad assicurare una copertura parziale della popolazione, rendendo necessario l’intervento pubblico onde raggiungere una copertura completa47. La Commissione europea riconosce pertanto che, nel fornire sostegno finanziario alla fornitura di servizi a banda larga in aree in cui la banda non è presente né è prevista l’introduzione di una simile infrastruttura da parte di investitori privati in un periodo prossimo di almeno tre anni, gli Stati membri perseguono autentici obiettivi di coesione e di sviluppo economico e l’intervento è quindi probabilmente conforme all’interesse comune48. Aree nere In questa situazione, si ritiene che, quando in una determinata zona geografica operano almeno

44 COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO EUROPEO. Un piano europeo di ripresa economica, COM (2008) 800 def., Bruxelles, 26/11/2008. 45 Per una descrizione delle aree ammissibili agli aiuti di Stato a finalità regionale sulla base degli articoli 87.3 a ed 87.3 c e dei relativi criteri e massimali d’intensità d’aiuto vedi gli Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013, GU C 54 del 4.3.2006, pagg. 13-45. Una definizione delle aree 87.3a ed 87.3c e dei criteri di ammissibilità è anche fornita nel presente capitolo nel paragrafo dedicato agli aiuti di Stato alla cultura. 46 Va però considerato che, poiché le reti NGA implicano una struttura di rete diversa, tale da offrire servizi a banda larga di qualità notevolmente più elevata rispetto a quelli attuali, la definizione delle aree andrebbe rivista per tener conto delle specificità delle reti NGA. Inoltre, se nel caso dell’introduzione dell’infrastruttura a banda larga di base, gli esempi di aiuti di Stato riguardano prevalentemente aree/comunità rurali (caratterizzate da scarsa densità abitativa, costo elevato degli investimenti) o aree economicamente arretrate (con scarsa capacità di pagare per i servizi), nel caso delle reti NGA lo sforzo finanziario richiesto per la costruzione di queste reti potrebbe essere tale da scoraggiarne l’istallazione non solo nelle zone scarsamente popolate ma anche in alcune aree urbane. In altri termini, lo sviluppo rapido e su ampia scala delle reti NGA risulterebbe ostacolato prevalentemente dal fattore costo più che dalla scarsa densità abitativa. 47 Cfr. Comunicazione della Commissione. Orientamenti comunitari relativi all’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga (2009/C 235/04) 30/09/2009. 48 Si veda, ad esempio, la decisione della Commissione N. 118/06 sulla Lettonia.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 199 due fornitori di servizi di rete a banda larga e la fornitura avviene in condizioni di concorrenza (concorrenza basata sulle infrastrutture), non vi è fallimento del mercato. È, di conseguenza, molto improbabile che l’intervento pubblico apporti ulteriori benefici, mentre aiuti pubblici intesi a finanziare la costruzione di un’ulteriore rete a banda larga saranno tali da falsare, in linea di principio, la concorrenza in misura inammissibile, avendo per effetto l’esclusione degli investitori privati. Pertanto, in assenza di un fallimento del mercato chiaramente dimostrato, la Commissione giudica negativamente le misure intese a finanziare l’introduzione di una nuova infrastruttura a banda larga in una «area nera»49. Aree grigie La presenza di un operatore di rete in una determinata area non esclude che vi possa essere un fallimento del mercato o una scarsa infrastrutturazione di rete del territorio. In effetti, la presenza di posizioni monopolistiche può incidere sulla qualità o sul prezzo dei servizi offerti ai cittadini in misura ancorché svantaggiosa. Allo stesso tempo però, nelle zone in cui è presente un unico operatore di rete a banda larga, il sostegno pubblico alla costruzione di una rete alternativa può, per definizione, interferire sulle dinamiche di mercato. E’ per questa ragione che gli aiuti di Stato a sostegno dello sviluppo di reti a banda larga nelle aree grigie richiedono un’analisi più particolareggiata e un’attenta valutazione della compatibilità. Consideriamo il verificarsi di alcune tipologie di ammissibilità dell’aiuto. Supponiamo che nella zona interessata dall’intervento pubblico sia già presente un operatore di rete; è tuttavia possibile che alcune categorie di utenti non siano adeguatamente servite (per esempio non risultano disponibili alcuni servizi a banda larga richiesti dall’utenza oppure, in mancanza di tariffe di accesso all’ingrosso regolamentate, i prezzi al dettaglio praticati sono inaccessibili rispetto a quelli degli stessi servizi offerti in altre zone o regioni del paese più competitive). Se, inoltre, è piuttosto improbabile che infrastrutture alternative vengano realizzate da terzi, il finanziamento pubblico potrebbe rivelarsi una misura adeguata per perseguire un tale scopo. In questo caso, sopperendo all’assenza di concorrenza infrastrutturale, gli aiuti ridurrebbero i problemi connessi al monopolio di fatto dell’operatore storico50. Quando concede aiuti in queste circostanze, tuttavia lo Stato membro deve garantire il rispetto di una serie di condizioni. In particolare, la Commissione può, a determinate condizioni, dichiarare compatibili misure di aiuto che interessano aree in cui le infrastrutture a banda

49 Si veda la decisione della Commissione, del 19 luglio 2006, concernente l’aiuto di Stato C 35/05 (ex N 59/05) relativo all’installazione di una rete a banda larga a Appingedam nei Paesi Bassi (GU L 86 del 27.3.2007, pag. 1). Il caso riguardava lo sviluppo di una rete passiva (condotte e fibre) di proprietà comunale il cui strato attivo (gestione e funzionamento della rete) sarebbe stato appaltato ad un operatore del settore privato che avrebbe fornito servizi all’ingrosso ad altri prestatori di servizi a banda larga. La Commissione ha constatato, nella decisione, che il mercato della banda larga nei Paesi Bassi è un mercato in rapida evoluzione e che i fornitori di servizi di comunica- zioni elettroniche, gli operatori cavo e i prestatori di servizi Internet stavano per introdurre sul mercato nazionale servizi a banda larga ad elevata capacità non sovvenzionati. La situazione di Appingedam non risultava diversa da quella del resto del paese. Tanto l’operatore di linea fissa che l’operatore cavo presenti sul mercato offrivano già ad Appingedam un pacchetto di servizi «triple play» (telefonia, banda larga e TV digitale/analogica) e entrambi gli operatori vantavano le capacità tecniche per estendere la capienza di banda nell’ambito delle reti esistenti. 50 Nella decisione N. 131/05 — Regno Unito, Fibre Speed Broadband Project Wales, la Commissione ha valutato se il sostegno finanziario concesso dalle autorità gallesi alla costruzione di una rete in fibre ottiche aperta e neutrale sotto il profilo dell’operatore che collegava 14 parchi industriali potesse ritenersi compatibile, considerato che le zone interessate erano già servite dall’operatore di rete esistente il quale offriva linee dedicate a prezzi regolamentati. La Commissione ha ritenuto che il prezzo del servizio offerto dall’operatore esistente fosse molto elevato, quasi inaccessibile per le PMI. Data la distanza dalle centrali telefoniche dell’operatore esistente, i parchi industriali interessati non potevano neanche accedere a servizi simmetrici ADSL superiori ai 2 Mbps. Inoltre l’operatore esistente non consentiva l’accesso di terzi alle condotte e alla fibra inattiva. Pertanto la presenza di un operatore nelle zone interessate non garantiva la fornitura di connessioni Internet ad alta velocità a prezzi abbordabili per le PMI. Né sussisteva tantomeno la possibilità che un’infrastruttura alternativa tale da fornire servizi ad alta velocità ai parchi industriali interessati sarebbe stata realizzata da terzi. Si vedano, quali esempi riconducibili a tale casistica, anche le decisioni della Commissione : N 890/06 - Francia, Aide du Sicoval pour un réseau de très haut débit; N 284/05 - Irlanda, Regional Broadband Programme: Metropolitan Area Networks («MANs»), phases II and III.

200 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni larga sono gestite di fatto in regime di monopolio ammesso che: i) non siano offerti servizi abbordabili o adeguati a soddisfare il fabbisogno dei cittadini e dell’utenza commerciale; ii) gli stessi obiettivi non possano essere raggiunti con misure meno distorsive (compresa una regolamentazione ex ante). Al fine di verificare ciò, la Commissione procede nello specifico a valutare i seguenti elementi: 1. inadeguatezza delle condizioni generali di mercato, analizzando, tra l’altro, il livello dei prezzi correnti della banda larga, il tipo di servizio offerto all’utenza finale (residenziale e commerciale) e relative condizioni; 2. in assenza di una regolamentazione ex ante imposta da un’autorità nazionale di regolamentazione, impossibilità di un accesso effettivo alla rete da parte di terzi o presenza di condizioni di accesso tali da non favorire una concorrenza efficace; 3. esistenza di ostacoli generali tali da impedire l’eventuale ingresso di nuovi operatori del mercato delle comunicazioni elettroniche; 4. nessun provvedimento adottato o misura correttiva emanante dalla competente autorità nazionale di regolamentazione o dall’autorità garante della concorrenza competente nei confronti dell’operatore di rete esistente è stato in grado di ovviare ai suddetti problemi. Pur avendo facilitato in molti casi lo sviluppo della banda larga nelle aree urbane e più densamente popolate, la regolamentazione ex ante può, infine, rivelarsi uno strumento inadeguato a garantire la fornitura di servizi a banda larga, specie nelle zone scarsamente servite in cui la redditività intrinseca dell’investimento è bassa51. Analogamente, provvedimenti volti a incentivare la domanda di banda larga (ad es. la concessione di buoni d’acquisto di connessioni veloci per gli utenti finali), benché possano contribuire positivamente ad una maggiore diffusione della banda larga, non sempre risultano efficaci rispetto all’obiettivo riflesso di migliorare anche l’offerta52. In circostanze di questo tipo, al fine di ovviare alla insufficiente disponibilità o completa assenza di banda larga, non vi sono alternative rispetto ad un intervento pubblico assoluto, con la completa realizzazione delle opere di banda larga a totale carico dello Stato.

3. La spesa pubblica in Italia in telecomunicazioni e cultura nel sistema dei Conti Pubblici Territoriali (CPT)

3.1. Introduzione

Le tendenze della spesa pubblica in Italia, costituiscono un fattore di grande attenzione, specie da quando il nostro paese è impegnato a dover rispettare gli obblighi comunitari in materia di stabilità dei conti pubblici. Da una parte i vincoli di bilancio manifestano continuamente l’esigenza di rendere la spesa pubblica più efficiente e produttiva, dall’altra però vi sono settori dell’economia (tra i quali rientrano la cultura e le telecomunicazioni) che necessitano un ampio sostegno agli investimenti pubblici perché soggetti a fallimenti dei mercati. Per studiare la spesa pubblica in cultura53 e telecomunicazioni abbiamo deciso di fare riferimento 51 Si vedano, ad esempio, le seguenti decisioni della Commissione: N 473/07 – Italia, Messa a disposizione di connessioni a banda larga in Alto Adige; N 570/07 - Germania, Eckpunkte zur Breitbandversorgung des ländlichen Raums in Baden- Württemberg; N 131/05 - Regno Unito, Fibre Speed Broadband Project Wales; N 284/05 - Irlanda, Regional Broadband Programme: Metropolitan Area Networks («MANs»), phases II and III; N 118/06 - Regno Unito, South Yorkshire Digital Region Broadband Project. 52 Si vedano, ad esempio, le decisioni della Commissione: N 222/06 - Italia, Piano d’azione per il supera- mento del digital divide in Sardegna; N 398/05 - Ungheria, Sgravio fiscale a favore dello sviluppo della banda larga; N 264/06 - Italia, Banda larga nelle aree rurali della Toscana. 53 Nel sistema dei CPT l’aggregato di spesa è riferito al settore Cultura e servizi ricreativi, laddove i servizi ricreativi includono soprattutto impianti sportivi, voce che si è ritenuto di mantenere inclusa nell’aggregato

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 201 ai dati raccolti a livello centrale dai Conti Pubblici Territoriali (CPT)54, alla cui costruzione e utilizzo è stato dedicato un approfondimento nella nota metodologica a questo capitolo. Nella presente analisi si è proceduto a rilevare la serie storica dei flussi di spesa del Settore Pubblico Allargato, per gli anni che vanno dal 2000 al 2008 (ultimo anno a cui giunge la serie storica CPT), suddividendo la spesa pubblica tra spesa di parte corrente (si tratta di spese di funzionamento: tra le voci principali ci sono ad esempio il pagamento di stipendi, gli affitti, ecc.) e spesa in conto capitale (che rappresenta la spesa per investimenti).

3.2. Il quadro complessivo

I dati riguardanti i trenta settori dell’economia che vengono rilevati nel sistema dei CPT ci consentono di avere una visione ampia ed estremamente eterogenea delle tendenze della spesa pubblica nel nostro paese. L’analisi di questo universo ci permette, inoltre, di analizzare l’importanza specifica e l’evoluzione del peso della spesa pubblica nei settori delle telecomunicazioni e della cultura rispetto al resto dell’economia del paese. Nell’ultimo anno di rilevazione dei CPT, il 2008 per l’appunto, la spesa pubblica del Settore Pubblico Allargato verso la cultura è stata, in termini assoluti, pari a 10.668 milioni di euro, mentre per il settore delle telecomunicazioni essa è ammontata a 9.929 milioni di euro (Graf. 1). La spesa in cultura rappresenta inoltre, nello stesso anno, l’1,03 per cento della spesa complessivamente sostenuta dal Settore Pubblico Allargato per tutti i settori dell’universo rilevato, mentre per le telecomunicazioni essa rappresenta lo 0,96 per cento (Graf. 2). Non sarebbe indubbiamente una sorpresa far notare che tra i settori dell’economia che assorbono la maggior parte della spesa pubblica in Italia vi siano la Previdenza (27,57 per cento), la Sanità (10,29 per cento) e l’Amministrazione Generale (9,96 per cento), i quali notoriamente alimentano il deficit pubblico del paese e maggiormente necessitano di ampi e profondi processi di riqualificazione della spesa, orientata ad una maggiore efficienza e qualità. Peraltro, sia nel settore cultura che in quello delle telecomunicazioni, il peso della spesa pubblica su quella complessiva è andato riducendosi negli ultimi anni. Nel settore cultura la spesa si è addirittura dimezzata nell’arco di tempo sotto analisi: rappresentava il 2,10 per cento della spesa totale nel 2000 e, dopo essere scesa all’1,59 per cento nel 2002, risaliva al 2,20 per cento nel 2004, per poi calare progressivamente fino al livello del 2008 (1,03 per cento). Nelle telecomunicazioni, invece, dopo che la spesa sostenuta è cresciuta significativamente nel 2001 (1,88 per cento della spesa complessiva), è diminuita costantemente negli anni successivi fino al suo livello più basso nel 2008, rappresentando lo 0,96 per cento della spesa complessiva immessa nel circuito economico; tuttavia, su questi andamenti, vanno fatte ulteriori considerazioni che consentono di interpretare e qualificare meglio le variazioni della spesa intervenute nei vari anni. Per esempio, il raddoppio della spesa in telecomunicazioni intervenuto tra il 2000 e il 2001 (da 7.836,59 a 14.434,11 milioni di euro) è stato frutto del combinato di due fattori straordinari: da una parte, l’operazione di mercato di acquisto di Wind da parte di Enel, dall’altro l’incremento di spese da parte di Poste Italiane in personale, acquisto di beni e servizi e acquisto di beni immobili. Analogamente, la riduzione della spesa tra il 2004 e il 2005, è originata dalla cessione di Wind.

considerato il suo peso ridotto. Vedi anche parte metodologica. 54 Informazioni più dettagliate sulle attività del progetto CPT possono essere reperite sul sito istituzionale http://www.dps.tesoro.it/cpt/cpt.asp.

202 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Figura 1 - Spesa totale Settore Pubblico Allargato (2000-2008) (valori assoluti, milioni di euro)

285,49 Previdenza e Integrazioni Salariali 205,15 154,75 Energia 52,32 106,53 Sanita' 67,26 2008 103,07 Amministrazione Generale 60,36 2000 57,49 Istruzione 42,59 52,55 Industria e Artigianato 25,60 43,79 Altri trasporti 27,18 38,89 Oneri non ripartibili 42,17 34,90 Interventi in campo sociale 24,89 29,33 Altre in campo economico 29,91 18,26 Difesa 10,90 15,08 Viabilita' 10,14 13,24 Sicurezza pubblica 12,75 11,16 Smaltimento dei Rifiuti 8,74 10,67 Cultura e servizi ricreativi 14,26 9,93 Telecomunicazioni 7,84 7,82 Edilizia abitativa e urbanistica 6,49 7,20 Acqua 2,89 6,82 Ambiente 4,64 6,57 Giustizia 4,86 4,74 Agricoltura 5,21 3,57 Fognature e depurazione Acque 3,40 3,42 Ricerca e Sviluppo 2,53 2,66 Commercio 1,48 2,65 Formazione 2,22 1,67 Turismo 1,47 1,34 Altri interventi igenico sanitari 0,97 0,90 Altre opere pubbliche 0,80 0,75 Lavoro 0,61 80 Pesca marittima e Acquicoltura 0,08

0 50 100 150 200 250 300 350 Migliaia

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 203 Figura 2 – Quote di spesa per settori su totale spesa SPA (2000-2008) (%)

Previdenza e 27,58 Integrazioni Salariali

Energia 14,95 7,70

Sanita' 10,29 9,89 Amministrazione 9,96 2008 Generale 8,88 2000 Istruzione 5,55 6,27

Industria e Artigianato 5,08 3,77

Altri trasporti 4,23 4,00 3,76 Oneri non ripartibili 6,20 Interventi in campo 3,37 sociale 3,66 Altre in campo 2,83 economico 4,40

Difesa 1,76 1,60

Viabilita' 1,46 1,49

Sicurezza pubblica 1,28 1,88

Smaltimento dei Rifiuti 1,08 1,29 Cultura e s ervizi 1,03 ricreativi 2,10

Telecomunicazioni 0,96 1,15 Edilizia abitativa e 0,76 urbanistica 0,96

Acqua 0,70 0,43

Ambiente 0,66 0,68

Giustizia 0,63 0,72

Agricoltura 0,46 0,77 Fognature e 0,35 depurazione Acque 0,50

Ricerca e Sviluppo 0,33 0,37

Commercio 0,26 0,22

Formazione 0,26 0,33

Turismo 0,16 0,22 Altri interventi igenico 0,13 sanitari 0,14

Altre opere pubbliche 0,09 0,12

Lavoro 0,07 0,09 Pesca marittima e 0,01 Acquicoltura 0,01

0 5 10 15 20 25 30

Fonte: elaborazione su dati CPT.

204 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 3.3. La spesa pubblica nelle telecomunicazioni

3.3.1. Spesa complessiva sul territorio italiano

Nonostante l’importanza riconosciuta agli investimenti in telecomunicazione per la competitività e la crescita di un Paese55, i dati sulla spesa pubblica per il settore in Italia indicano che, a partire dal 2001, vi è una riduzione progressiva dei flussi di spesa pubblica alle telecomunicazioni, mentre con riferimento alla parte in conto capitale, questa subisce una drastica riduzione a partire dal 2005. In particolare, dopo il balzo della spesa tra il 2000 ed il 2001 (da 7.836 a 14.434 milioni di euro), essa inizia a decrescere fino al livello più basso del 2007 (9.876 milioni di euro), per poi risalire leggermente nel 2008 (9.929 milioni di euro) (Graf. 3; Graf. 5). Si noti anche come, per un periodo ininterrotto, dal 2004 al 2007 il tasso di crescita della spesa pubblica in telecomunicazioni sia sempre negativo, mentre ritorna ad essere lievemente positivo nell’ultimo anno di rilevazione (Graf. 4). Un andamento simile alla spesa pubblica totale presentano le componenti della spesa di parte corrente e di conto capitale (investimenti)56. La spesa per investimenti registra una notevole impennata nel 2001 passando da 582 milioni di euro a 2.303 milioni di euro, inoltre sempre a partire dal 2001 e fino al 2005, mediamente la spesa per investimenti tende ad aumentare il suo peso relativo mentre si riduce quello della parte di spesa in conto corrente. Sebbene, poi, a partire dal 2005 si rileva una inversione di tendenza, con la parte di spesa corrente che aumenta a detrimento della spesa per investimenti, nel 2008 la spesa in conto capitale torna nuovamente ad aumentare a vantaggio della parte corrente, segnalando una ripresa degli investimenti nel settore (Graf. 6).

Figura 3 - Spesa totale SPA – Tlc (anni 2000- Figura 4 – Variazioni spesa totale SPA – Tlc 2008) (anni 2000-2008)

16.000 1,0 14.000 0,8 12.000 0,6 10.000 0,4 8.000

6.000 0,2

4.000 0,0 2.000 -0,2 0 -0,4 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione su dati CPT.

55 Vedi sopra. L’impatto della diffusione ed upgrading tecnologico delle telecomunicazioni sullo sviluppo e la crescita sono anche dimostrate da alcuni studi internazionali, come quello condotto dall’U.S. Department of Commerce (Measuring Broadband’s Economic Impact, Febbraio 2006), nel quale sono state messe a confronto co- munità locali con alta e con scarsa presenza di tecnologie broadband. Lo studio, condotto per il periodo 1998-2002, ha mostrato che le comunità con maggiore accesso e diffusione di tecnologie broadband hanno avuto una più alta crescita degli occupati ed una maggiore diffusione di imprese, specie di quelle operanti nei settori a più alta intensità tecnologica. Dallo studio non emerge un impatto statisticamente significativo sul livello medio dei salari, mentre è aumentato il valore delle proprietà residenziali (rilevato usando come proxy il livello medio degli affitti pagati per le proprietà residenziali nelle aree con più alta diffusione di tecnologie broadband). 56 Per le Tlc le spese di parte corrente si identificano con spese di funzionamento (stipendi, affitti, ecc.), mentre le spese di conto capitale attengono alla realizzazione delle opere (acquisto materiali, costruzione delle in- frastrutture ecc.).

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 205 Figura 5 – Spesa totale (in conto capitale e corrente) del Settore Pubblico Allargato in Telecomunicazioni (2000-2008) (milioni di euro)

16.000

conto capitale conto corrente 12.000

8.000

4.000

0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.

Figura 6 – Variazione spesa in conto capitale e corrente del Settore Pubblico Allargato in Telecomunicazioni (2000-2008) (%)

350 conto corrente conto capitale 300

250

200

150

100

50

0

-50

-100 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT

206 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 3.3.2. La spesa per regione L’analisi della spesa pubblica in telecomunicazioni per regione mostra andamenti simili rispetto alle tendenze del dato medio nazionale. In tutte le regioni italiane, dal 2000 al 2001 si registra un significativo incremento della spesa pubblica in telecomunicazioni, seguito, a partire dal 2002, da una diminuzione generalizzata della spesa, con valori che si dimezzano in quasi tutte le regioni tra il 2002 ed il 2008 (Graf. 7). L’unica eccezione è rappresentata dal Lazio, dove la spesa effettuata nelle telecomunicazioni passa dai 2.287 milioni di euro del 2001 ai 2.946 milioni di euro del 2002 e, dopo una forte flessione, si stabilizza negli ultimi anni. Figura 7 – Spesa in Telecomunicazioni suddivisa per regione (2000-2008) (milioni di euro)

2.741 Lazio 2.097

1.430 Lombardia 1.032

849 2008 Piemonte 700 2000

698 Campania 594

Emilia 527 Romagna 375

511 Sicilia 382

508 Veneto 408

461 Toscana 342

371 Puglia 305

275 Calabria 244

237 Liguria 214

202 Abruzzo 165

Friuli Venezia 192 Giulia 155

188 Marche 158

182 Sardegna 219

Prov. Aut. di 141 Trento 126

124 Umbria 105

Prov. Aut. di 90 Bolzano 45

90 Molise 65

79 Basilicata 78

34 Valle d'Aosta 26

0 500 1.000 1.500 2.000 2.500 3.000

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 207 Figura 8 – Spesa pro-capite in Telecomunicazioni suddivisa per regione(2000-2008) (euro)

487,2 Lazio 409,9

279,8 Molise 203,6

Prov. Aut. 270,6 di Trento 265,6 2008

Valle 267,8 2000 d'Aosta 217,1

191,5 Piemonte 165,8

Prov. Aut. 180,6 di Bolzano 98,6

Friuli 156,4 Venezia … 131,3

151,6 Abruzzo 130,9

147,0 Liguria 135,6

146,8 Lombardia 114,6

138,2 Umbria 127,6

136,7 Calabria 120,9

134,5 Basilicata 129,5

124,3 Toscana 97,7

Emilia 121,4 Romagna 94,6

120,1 Marche 108,2

120,0 Campania 104,1

108,8 Sardegna 134,1

104,0 Veneto 90,5

101,4 Sicilia 76,8

90,9 Puglia 75,8

0 100 200 300 400 500 600

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.

208 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Nel 2008, le regioni con una più alta spesa in valore assoluto sono il Lazio e la Lombardia, rispettivamente con 2.741 e 1.430 milioni di euro, seguite dal Piemonte, con 848 milioni di euro, la Campania, con 697 milioni di euro, e , con 511 milioni di euro. Va, inoltre, segnalato come, in alcune regioni del Mezzogiorno, nel 2008, la spesa in valore assoluto torni a crescere in misura consistente rispetto al trend dominante negli anni precedenti: è il caso della Calabria, della Campania e della Puglia. La causa va probabilmente ricercata nei fondi residui delle politiche strutturali del periodo 2000-2006, di cui beneficiano le regioni suddette, per i quali è prevista una possibilità di spesa fino ai due anni successivi alla chiusura del periodo di programmazione. Il 2008 rappresenta l’ultimo anno in cui i fondi comunitari possono essere spesi, pena la perdita dei fondi non utilizzati, e questo è sicuramente un forte incentivo. Considerando invece la spesa pubblica pro-capite in telecomunicazioni per regione, il Lazio continua ad essere la regione capofila, con 487 euro per abitante, seguita dal Molise con 280 euro per abitante, dalla provincia autonoma di Trento con 271 euro per abitante e dalla Valle d’Aosta, con 268 euro per abitante. Molto basso è invece il dato della Puglia (appena 91 euro per abitante), specie se confrontato con le altre regioni del Mezzogiorno, in cui la spesa pro-capite destinata alle telecomunicazioni oscilla tra i 101 euro per abitante della Sicilia e i 152 euro dell’Abruzzo (Graf. 8).

3.4 La spesa pubblica in cultura

3.4.1 Spesa complessiva sul territorio italiano

L’industria culturale del nostro Paese costituisce uno dei settori in cui la filiera dei prodotti e dei servizi generati è molto lunga e differenziata. Per tale ragione, l’allocazione delle risorse pubbliche nel settore è aspetto quanto mai complicato, per di più in un contesto in cui prevalgono esigenze di contenimento e qualificazione della spesa pubblica. La spesa pubblica in cultura sostenuta dal Settore Pubblico Allargato ha avuto fasi altalenanti; prima una fase di decrescita, dal 2000 al 2002, seguita da una ripresa nel 2003 e soprattutto nel 2004 quando si registra il picco della serie temporale analizzata (19.262 milioni di euro), per poi nuovamente ritornare a decrescere fino ai livelli del 2008 (10.669 milioni di euro). Specialmente, colpisce il dato di spesa dell’ultimo anno, infatti se tra il 2006 e il 2007 vi era stata una ripresa della dinamica della spesa, nel 2008 sembrerebbe esserci una caduta a picco, corrispondente al livello più basso degli ultimi 9 anni (Grafico 9, 10 e 11). Tuttavia, la forte altalenanza del dato di spesa è dovuta alla presenza dei trasferimenti che lo Stato ogni anno effettua a favore dei monopoli per il pagamento delle vincite derivanti dal gioco del lotto, e che è di per sé molto variabile. Se il dato così considerato venisse corretto rispetto ai trasferimenti ai monopoli, la serie storica apparirebbe molto più lineare, come è illustrato in Grafico 13. Non solo, infatti nel 2009 si avrebbe in realtà un aumento della spesa a favore della cultura, tanto in conto capitale quanto in conto corrente. Più in dettaglio, la spesa totale in cultura salirebbe da 9.865,95 a 10.668,64 milioni di euro, cambiando radicalmente lo scenario dapprima descritto, rivelando un aumento del sostegno al settore. Mediamente, tra il 2000 e il 2007, un valore intorno all’80% della spesa pubblica del Settore Pubblico Allargato nel settore cultura è spesa in conto corrente, rappresentando un limite alla capacità di sostegno alla domanda di investimenti nel settore, per esempio attraverso la realizzazione di opere di valorizzazione del patrimonio storico-artistico a fini turistici (Grafico 12). Tuttavia, nel 2008, a fronte di una diminuzione generale della spesa in cultura, aumenta sensibilmente la spesa per investimenti57, accrescendo il suo peso rispetto al 2007 di ben 10 punti percentuali. 57 Le partite finanziarie costituiscono in media appena il 3% del totale del conto capitale, e lo 0,6% del conto complessivo, per cui la loro inclusione non distorce il dato di spesa.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 209 Figura 9 - Spesa totale SPA – Cultura e Figura 10 – Variazioni spesa totale SPA – servizi ricreativi (anni 2000-2008) Cultura e servizi ricreativi (anni 2000-2008)

25.000 0,5

0,4 20.000 0,3

15.000 0,2

0,1 10.000 0,0

5.000 -0,1

-0,2 0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 -0,3 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.

Figura 11 – Spesa totale (in conto capitale e corrente) del Settore Pubblico Allargato in Cultura (anni 2000-2008) (milioni di euro)

20.000 conto capitale conto corrente 16.000

12.000

8.000

4.000

0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.

BOX DI APPROFONDIMENTO - LA SPESA PUBBLICA PER LIVELLI DI GOVERNO I dati sulla spesa pubblica in cultura disaggregati per livello di governo mostrano come, nel corso degli anni, lo Stato abbia modificato il suo ruolo centrale di ente erogatore di spesa, mentre è aumentato il peso ed il protagonismo della spesa a sostegno del settore da parte degli enti locali (specie attraverso il ruolo dei Comuni). Nel 2000 la spesa pubblica erogata dallo Stato (prevalentemente il Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Mibac), rappresentava il 47% della spesa totale del Settore Pubblico Allargato, mentre nel 2007 tale peso si riduce al 35,7%, pari al peso finanziario dei Comuni. In linea con la tendenza alla riduzione del peso dello Stato a favore degli organi decentrati di governo del territorio, nel 2007 sono aumentati il peso delle Regioni (12,3%) e delle Province e Città metropolitane (5,2%). Vi è poi un’altra categoria che viene classificata nello studio come “Altro”, che racchiude le imprese pubbliche locali, e pari all’11,2%58. 58 I dati sulla spesa pubblica per livelli di governo sono tratti da B. Stratta (2009), Spesa pubblica per la cultura nelle regioni italiane: dinamiche recenti e modelli, Economia della Cultura, n. 2,. L’analisi condotta nel

210 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Figura 12 – Spesa SPA totale, in conto capitale e corrente al netto dei trasferimenti da Stato ai Monopoli - (anni 2000-2008) (milioni di euro) 12000 conto capitale conto corrente 10000

8000

6000

4000

2000

0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.

Figura 13 – Variazione spesa in conto capitale e corrente del Settore Pubblico Allargato in Cultura (anni 2000-2008) (%)

60 conto corrente conto capitale 50

40

30

20

10

0

-10

-20

-30

-40 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.

presente studio si basa anch’esso su dati di spesa pubblica dei Conti Pubblici Territoriali; a differenza dell’analisi da noi condotta, è stato selezionare un sottoinsieme delle voci di bilancio di ciascun ente per escludere la componente relativa ai servizi ricreativi (comprendente ad esempio gli impianti sportivi). Per maggiori dettagli sulla metodologia seguita si rimanda alla nota metodologica.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 211 Figura 14 - Distribuzione % della spesa erogata dal SPA per livello di governo (2000-2007)

Altro Province e città metropolitane Comuni Regione Stato 100,0 90,0 80,0 70,0 60,0 50,0 40,0 30,0 20,0 10,0 0,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Fonte: elaborazione Iem su Stratta (2009) Scorporando i dati tra regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno, emerge un diverso modello di spesa pubblica nel settore. Nelle regioni del Centro-Nord l’attore principale della spesa pubblica in cultura è rappresentato dai Comuni, che nel 2007 hanno la quota principale (38,1%), superando il peso finanziario dello Stato (36,5%). Peraltro, questa del maggior peso acquisito dai Comuni è una tendenza avviatasi nel Centro-Nord già a partire dal 2001, primo anno in cui la loro spesa supera quella dello Stato (con il 40,8% della spesa pubblica complessiva, contro il 34,1% dello Stato).

Figura 15 - Distribuzione % della spesa erogata dal SPA per livello di governo (2000-2007) – Centro-Nord

Altro Province e città metropolitane Comuni Regione Stato 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Fonte: elaborazioni Iem su Stratta (2009).

212 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Nel Mezzogiorno, nel 2007, prevale invece ancora un modello di tipo centralista nella spesa pubblica. Il ruolo dei Comuni, seppur in crescita, resta più modesto, con un’incidenza di spesa pari al 29,2% della spesa complessiva. Pur riducendosi il ruolo dello Stato dal 2000 al 2007, l’amministrazione centrale rimane il principale erogatore di spesa pubblica, con il 33,4%. A risultare invece fortemente in crescita nel periodo considerato è il livello regionale, passando dal 14,9% nel 2000 al 24,9% nel 2007. In generale il ruolo ed il peso delle amministrazioni regionali, non solo in qualità di enti erogatori di spesa ma anche come promotori diretti di politiche pubbliche nei vari settori dell’economia regionale, è cresciuto negli ultimi anni. Ciò grazie ai processi di decentramento amministrativo e delle funzioni direttamente legate all’attuazione di politiche sul territorio, con cui le Regioni si sono “smarcate” dallo svolgere un ruolo puramente burocratico- amministrativo per diventare soggetti di primo piano nella promozione ed attuazione di politiche per lo sviluppo59.

Figura 16 - Distribuzione % della spesa erogata dal SPA per livello di governo (2000-2007) – Mezzogiorno

Altro Province e città metropolitane Comuni Regione Stato 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Fonte: elaborazioni Iem su Stratta (2009) Il maggior peso dell’intervento dello Stato nel Mezzogiorno rispetto agli altri livelli di governo non deve, tuttavia, ingannare rispetto al peso effettivo assunto dalla spesa statale per la cultura, se comparato rispetto alle altre parti del paese. Risulta, infatti, che la spesa pro-capite erogata dallo Stato nel settore cultura nel Mezzogiorno nel 2007 è pari ad appena il 63% della media del Centro-Nord. Inoltre, se si focalizza l’analisi sulla sola componente di spesa pubblica in conto capitale erogata nel settore cultura, si può rilevare che il differenziale di spesa pubblica fra Centro-Nord e Mezzogiorno non risulta affatto compensato dagli investimenti finanziati nell’ambito delle politiche regionali con le risorse cosiddette “aggiuntive” provenienti dai Fondi Strutturali e dal Fondo nazionale per le Aree Sottoutilizzate (Stratta 2009). Le politiche regionali individuano nella valorizzazione delle risorse culturali uno degli assi strategici della politica di intervento per lo sviluppo delle aree depresse (regioni del Mezzogiorno). Alla cultura il Quadro Strategico Nazionale 2007-2013 per la politica regionale unitaria di sviluppo ha infatti dedicato una delle dieci priorità strategiche della

59 La crescita del ruolo delle regioni a sostegno di azioni dirette allo sviluppo del territorio, è confermato anche dall’incidenza della spesa per investimenti da parte delle stesse regioni nel Mezzogiorno, che nel 2007 rap- presenta il 48,0% della spesa erogata nella cultura, di gran lunga superiore all’incidenza della spesa in conto capitale dello Stato, pari al 35,2% (Stratta 2009).

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 213 politica di sviluppo in Italia, denominata “Valorizzazione delle risorse naturali e culturali per l’attrattività e lo sviluppo” (priorità 5)60. La priorità, recepita poi nei rispettivi documenti di programmazione regionale (POR) in diverse linee di intervento, nel declinare la strategia specifica per il settore, oltre a voler garantire le azioni tradizionali di tutela e salvaguardia del patrimonio culturale, sottolinea l’opportunità di poter trasformare la dotazione locale di risorse naturali, paesaggistiche e culturali in aumento di opportunità e benessere per la collettività, attraverso azioni mirate alla loro valorizzazione.

3.4.2 Spesa suddivisa per regione

Il differente livello di spesa pubblica effettuata dalle regioni italiane nel settore della cultura è determinato in misura rilevante anche dal comportamento dello Stato centrale, la cui azione di trasferimento di fondi a livello regionale risulta essere fortemente diseguale. La maggior parte della spesa pubblica erogata dallo Stato al settore della cultura si concentra, infatti, nel Lazio e in poche altre regioni, prime fra le quali la Lombardia e la Campania. Questa redistribuzione fortemente diseguale delle risorse statali alla cultura è determinata da diversi elementi. Anzitutto la componente di spesa erogata dallo Stato è costituita prevalentemente dall’impegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, il cui bilancio si compone per circa l’80% di voci riconducibili a funzioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Per cui, escludendo le regioni e le province autonome, che presentano elementi distintivi dovuti anche alla diversa titolarità del patrimonio culturale, le sei regioni nelle quali si rileva la maggior parte dei visitatori registrati nei siti statali (Lazio, Campania, Toscana, Lombardia, Piemonte e Veneto) sono anche le regioni nelle quali si concentra la maggior parte della spesa statale nel settore cultura61 (Stratta 2009). Ne risulta che la spesa statale è fortemente condizionata dalla distribuzione territoriale del patrimonio culturale statale e dai relativi modelli di gestione. I dati 2008 confermano l’analisi. Al netto delle regioni e province a statuto speciale, la regione che ha una maggiore spesa in valore assoluto in cultura è la regione Lazio, con 1.610 milioni di euro (benché questo valore sia notevolmente inferiore rispetto al 2007, quando la spesa era pari a 2.152 milioni di euro), seguita dalla Lombardia, con 1.257 milioni di euro, il Piemonte, con 855 milioni di euro, il Veneto, con 744 milioni di euro, la Campania, con 738 milioni di euro, l’Emilia-Romagna con 678 milioni di euro, la Toscana, con 599 milioni di euro, la Puglia, con 512 milioni di euro. Le restanti regioni del Mezzogiorno si collocano invece su valori assoluti molto più bassi, con la Calabria a 264 milioni di euro, l’Abruzzo a 225 milioni di euro, la Basilicata a 98 milioni di euro, il Molise a 54 milioni di euro.

60 Quadro Strategico Nazionale per la politica regionale di sviluppo 2007-2013, Dipartimento per lo Svi- luppo e la Coesione Economica, Ministero dello Sviluppo Economico (http://www.dps.tesoro.it/qsn/qsn.asp). 61 All’interno di tale quadro generale, risaltano tuttavia il Lazio e la Lombardia, nelle quali la concentrazi- one di spesa statale risulta elevata e più che proporzionale alla concentrazione di visitatori. Nel caso del Lazio ciò è interpretabile, oltre che con l’elevata concentrazione di musei e siti culturali e archeologici, anche in funzione della distribuzione del personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (nel Lazio si concentra il 26% dei dipendenti del Ministero, esclusi i dirigenti; le altre due regioni dove si concentra il personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, esclusi i dirigenti, sono la Campania (18%) e la Toscana (10%); sono, inoltre, localizzati a Roma due delle tre Scuole di Alta formazione e ricerca del MiBAC – l’Istituto superiore per la conservazione e il restauro e l’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario) e della maggiore diffusione di servizi culturali sul territorio (ad esempio, nel Lazio sono localizzate 15 delle 46 biblioteche statali at- tive sul territorio nazionale).

214 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Figura 17 – Spesa in Cultura suddivisa per regione (2000-2008) (milioni di euro)

1.611 Lazio 2.034

1.258 Lombardia 1.424

960 Sicilia 978

856 Piemonte 747 2008

744 2000 Veneto 859

738 Campania 1.403

678 Emilia Romagna 1.065

599 Toscana 1.271

512 Puglia 1.365

406 Friuli Venezia Giulia 291

323 Sardegna 461

301 Liguria 303

284 Prov. Aut. di Bolzano 334

264 Calabria 308

245 Marche 471

225 Abruzzo 230

218 Prov. Aut. di Trento 269

164 Umbria 249

134 Valle d'Aosta 41

98 Basilicata 104

54 Molise 54

0 500 1.000 1.500 2.000 2.500

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT. Se passiamo a considerare la spesa regionale pro-capite, rimane confermato il primato della regione Lazio, mentre si modifica parzialmente il ruolo delle regioni del Mezzogiorno. Così si ha che la regione Abruzzo ha una spesa in cultura pari a 168 euro per abitante, il Molise pari a 167 euro per abitante, la Basilicata pari a 165 euro per abitante, su livelli addirittura superiori di regioni quali Marche, Toscana, Lombardia ed Emilia-Romagna. Mentre Calabria, Campania

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 215 e Puglia, sono le regioni con le quote più basse di spesa per abitante, pari rispettivamente a 131, 127 e 125 euro per abitante (Grafico 18). Figura 18 – Spesa pro-capite in Cultura per regioni (2000-2008) (euro)

1.052,5 Valle d'Aosta 342,4

Prov. Aut. di 569,5 Bolzano 724,1

Prov. Aut. di 419,8 2008 Trento 567,4 2000 Friuli Venezia 329,8 Giulia 246,5

286,3 Lazio 397,6

193,4 Sardegna 282,0

193,0 Piemonte 177,1

190,6 Sicilia 196,5

186,2 Liguria 192,1

182,9 Umbria 302,3

168,3 Abruzzo 182,1

167,5 Molise 168,8

165,4 Basilicata 174,0

161,5 Toscana 363,8

156,2 Emilia Romagna 268,5

155,9 Marche 321,9

152,4 Veneto 190,5

131,2 Calabria 152,6

129,1 Lombardia 158,2

126,9 Campania 245,8

125,5 Puglia 339,2

0 200 400 600 800 1.000 1.200

Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.

216 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 4. L’intervento pubblico in Italia nei settori dell’industria della comuni- cazione

4.1 Radio e Tv

4.1.1 Introduzione

Nel presente paragrafo si tenta di ricostruire l’entità e le modalità di intervento del sostegno pubblico nazionale e regionale a favore delle imprese radiotelevisive. Le tipologie di finanziamento sono state declinate in sei ambiti differenti, in funzione del soggetto erogatore (Ministero, Regione) e/o del beneficiario dei contributi (emittenti).

Sostegno pubblico al settore radiotelevisivo: aree di indagine Contributi Dipartimento Informazione Sostegno alla tv pubblica nazionale editoria della Presidenza del Consiglio Convenzioni Rai con la PA Rimborsi per la pubblicità elettorale Contributi Ministero Sviluppo economico – Contributi per il digitale terrestre Dipartimento per le Comunicazioni Sulla base delle analisi di dettaglio condotte nelle pagine che seguono, si propone una visualizzazione della quantificazione delle risorse pubbliche destinate alle singole aree poste sotto osservazione riferite all’ultimo anno disponibile. Sostegno pubblico alla RAI Sostegno pubblico a tv e radio locali

1.800 120 1.600 100 1.400 1.200 80 1.000 60 800 600 40 400 20 200 0 0 Convezioni Canone Rai Contributi fondo perduto Contributi nazionali per il Rai per (2009) Radio locali per attività di passaggio al Digitale servizi in informazione (2009) Terrestre (2010) Italia e all'estero (2008)

Fonte: IEM su fonti varie. Dati in milioni di euro.

4.1.2 Sostegno alla tv pubblica nazionale

Le emittenti europee di servizio pubblico ricevono ogni anno oltre 22 miliardi di euro in forma di canoni o direttamente come sovvenzioni statali, il che le pone al terzo posto, dopo l’agricoltura e le imprese di trasporto, tra i beneficiari di aiuti di Stato62.

62 Fonte: Commissione europea, Comunicato del 2 luglio 2009: “Aiuti di Stato: la Commissione aggiorna le norme sul finanziamento statale delle emittenti di servizio pubblico”.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 217 Nel quadro della normativa europea, il Protocollo di Amsterdam del 199763 riconosce la competenza degli Stati membri a provvedere al finanziamento e alla definizione del servizio pubblico, a condizione che: • tale finanziamento (in deroga alla disciplina generale sugli aiuti di Stato) sia accordato agli organismi di radiodiffusione ai fini dell’adempimento della missione di servizio pubblico conferita, definita ed organizzata da ciascuno Stato membro; • tale finanziamento non alteri le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune, tenendo conto nel contempo dell’adempimento della missione di servizio pubblico. Il citato Protocollo precisa che il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all’esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di informazione. Nel 2001 la Commissione europea ha adottato una Comunicazione al fine di precisare criteri e regole di applicazione delle norme comunitarie sugli aiuti di Stato e sulla tutela della concorrenza ai servizi di interesse economico generale e in particolare a quelli di radiodiffusione64. I numerosi cambiamenti del mercato e del quadro giuridico hanno richiesto nel 2009 un aggiornamento della Comunicazione del 200165 che ha accentuato la responsabilizzazione e il controllo effettivo a livello nazionale, introducendo norme per una valutazione più trasparente dell’incidenza complessiva dei nuovi servizi mediatici che beneficiano del finanziamento statale66. Nel nostro Paese, il servizio pubblico radiotelevisivo trova fondamento costituzionale nei principi della libertà di parola e nel diritto di informare e di essere informati (art. 21 della Costituzione). Nel 2002 la Corte Costituzionale ha ribadito che la fine del monopolio statale a seguito dell’ingresso dei privati nel settore non comporta il venire meno della giustificazione costituzionale del servizio pubblico radiotelevisivo che risiede nella sua funzione specifica, volta a tutelare il pluralismo e a diffondere la cultura intesa come veicolo di promozione dello sviluppo sociale e civile del Paese67. Le risorse derivanti dal canone (vedi infra) consentono inoltre alla Rai (titolare della concessione fino al 6 maggio 2016) di adempiere agli obblighi di servizio pubblico previsti nell’apposito Contratto triennale siglato con il Ministero delle Comunicazioni sostenendo i relativi oneri e più in generale adeguando la tipologia e qualità della propria programmazione alle specifiche e distintive finalità del servizio pubblico. In tal modo l’offerta finanziata dal canone dovrebbe consentire un minor condizionamento dalle rilevazioni di ascolto, (diffuse da Auditel e

63 Protocollo n. 23 sul sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri allegato al Trattato di Amster- dam del 1997, ora allegato quale Protocollo n.27 al testo del Trattato di Costituzione per l’Europa. Più in generale l’art. 16 del Trattato CE riconosce l’importanza dei servizi di interesse economico generale, demandando all’Unione e ai singoli Stati membri, secondo le rispettive competenze, il compito di assicurare che tali servizi funzionino in base a principi e condizioni economiche e finanziarie che consentano loro di assolvere i propri compiti. 64 Dopo di allora, la Commissione ha adottato più di 20 decisioni, che hanno apportato altri chiarimenti sull’applicazione delle norme. L’esame dei singoli casi ha integrato, sotto molteplici aspetti, i principi enunciati nella comunicazione del 2001. Le decisioni più recenti sugli aiuti di Stato a favore dei servizi pubblici di diffusione dei mezzi audiovisivi in Germania, in Irlanda e in Belgio riflettono l’impostazione della Commissione, in particolare per quanto riguarda il mandato di servizio pubblico nel nuovo ambiente mediatico, per esempio quando le emittenti gestiscono siti web e trasmettono via telefoni cellulari. 65 Comunicazione della commissione relativa all’applicazione delle norme sugli aiuti di stato al servizio pub- blico di radiodiffusione adottata il 2 luglio 2009, dopo un’ampia consultazione pubblica. Il Trattato si occupa di aiuti di stato e concorrenza agli articoli 86, 87 e 88. 66 Le principali modifiche della nuova comunicazione riguardano: • il controllo a priori dei nuovi servizi di rilevante portata lanciati dalle emittenti di servizio pubblico • una verifica attenta sull’eventuale inclusione dei servizi a pagamento nel mandato di pubblico servizio; • un controllo più efficace degli eccessi di compensazione e supervisione del mandato di servizio pubblico a livello nazionale; • maggiore flessibilità finanziaria per le emittenti di servizio pubblico. 67 Sentenza n. 284 del 2002.

218 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni connesse alla raccolta pubblicitaria) evitando l’omologazione nelle scelte di programmazione a quelle proprie dei soggetti privati. Il Testo Unico della Radiotelevisione del 200568 ha ridefinito i compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo e della concessionaria. In particolare la Rai ha l’obbligo di garantire: • la copertura integrale del territorio nazionale; • un numero adeguato di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all’educazione, all’informazione, alla formazione, alla promozione culturale e alla realizzazione di attività di formazione a distanza; • l’accesso alla programmazione, in favore dei partiti e dei gruppi politici, delle organizzazioni associative delle autonomie locali, dei sindacati nazionali, delle confessioni religiose, dei gruppi etnici e linguistici e degli altri gruppi di rilevante interesse sociale che ne facciano richiesta, la trasmissione gratuita dei messaggi di utilità sociale; • la costituzione di una società per la produzione, la distribuzione e la trasmissione di programmi radiotelevisivi all’estero, finalizzati alla valorizzazione della lingua, della cultura e delle imprese italiane; • la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca, ladina, francese, e slovena per le Regioni di confine e la valorizzazione e il potenziamento dei centri di produzione decentrati, per la promozione delle culture e degli strumenti linguistici locali; • la trasmissione, in appositi orari, di contenuti destinati specificatamente ai minori; • la conservazione degli archivi storici radiofonici e televisivi; • la destinazione di una quota non inferiore al 15% dei ricavi complessivi annui alla produzione di opere europee69; • la tutela delle persone portatrici di handicap sensoriali; • la valorizzazione e il potenziamento dei centri di produzione decentrati; • la realizzazione di servizi interattivi digitali di pubblica utilità. Per consentire la determinazione del costo di fornitura del servizio pubblico generale radiotelevisivo, coperto dal canone di abbonamento70 e di assicurare la trasparenza e la responsabilità nell’utilizzo del finanziamento pubblico, il Testo Unico prevede che la società concessionaria predisponga il bilancio di esercizio indicando in una contabilità separata i ricavi derivanti dal gettito del canone e gli oneri sostenuti nell’anno solare precedente per la fornitura del suddetto servizio71. Entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni, con proprio decreto, stabilisce l’ammontare del canone di abbonamento in vigore dal 1º gennaio dell’anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria della fornitura del servizio di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti in tale anno per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo affidati a tale società, come desumibili dall’ultimo bilancio trasmesso, prendendo anche in considerazione il tasso di inflazione programmato e le esigenze di sviluppo tecnologico delle imprese. La ripartizione del gettito del canone dovrà essere operata con riferimento anche all’articolazione territoriale delle reti nazionali per assicurarne l’autonomia economica. La società concessionaria della fornitura

68 Decreto legislativo 31 luglio 2005, n.177. Art. 45 Definizione dei compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo. 69 Ci si riferisce in particolare agli obblighi di investimento in programmi di fiction e in produzioni cinematografiche per il tramite della controllata Rai Cinema (vedi infra, paragrafo 4.1) 70 Di cui al regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, e suc- cessive modificazioni. 71 La Rai redige la contabilità separata sulla base di uno schema approvato dall’Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni, imputando o attribuendo i costi sulla base di principi di contabilità applicati in modo coerente e obiettivamente giustificati e definendo con chiarezza i principi di contabilità analitica secondo cui vengono tenuti conti separati. Art. 47 del Testo Unico.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 219 del servizio pubblico ha il divieto di utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale radiotelevisivo. Nella sentenza del 2002 la Corte ha ribadito la natura di prestazione tributaria del canone (imposta di scopo), specificando che l’interesse generale che sorregge l’erogazione del servizio pubblico impone una forma di finanziamento fondata sul ricorso allo strumento fiscale. Per completare il quadro complessivo della disciplina di sostegno pubblico al settore radiotelevisivo va infine ricordata la riforma del Titolo V della Costituzione (Legge n. 3 del 2001) e, più in particolare, l’inserimento nell’elenco delle materie di competenza legislativa concorrente (art,117, c.3) dell’ “ordinamento della comunicazione”; una dizione che, al di là delle difficoltà di una sua puntuale definizione, certamente attiene al settore della radiotelevisione. I ricavi da canone L’andamento dei ricavi derivanti dal pagamento del canone (riversato alla concessionaria dall’Agenzia delle entrate) riflette quello dell’ammontare della tassa, adeguato annualmente al tasso di inflazione programmato (negli ultimi anni pari a circa 1,4%). Nel 2009 il canone è passato da 196 a 197,5 euro, elevando la relativa raccolta ad 1,63 miliardi. di euro (vedi infra). L’ultimo adeguamento relativo all’anno 2010 ha fissato l’importo del canone a 107,5 euro. Dal 2002 il tasso di crescita è stato pari al 19%. Figura 1 – Andamento ricavi da canone Rai (milioni di euro) 2002-2010

1.700 115 Ricavi da canone Canone annuale 1.650 110 1.600

1.550 105 1.500

1.450 100

1.400 95 1.350

1.300 90 1.250

1.200 85 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Fonte: elaborazione IEM su dati Rai. Per i ricavi 2010 stime. Il Testo unico della radiotelevisione prevede espressamente, a garanzia della Concessionaria, un meccanismo che salvaguardi l’equilibrio economico aziendale, riconoscendo che le risorse pubbliche spettanti alla Rai debbano coprire i costi che la stessa sostiene per lo svolgimento delle attività di servizio pubblico delegate. Questa disposizione di legge, richiamata anche nel Contratto di Servizio - la “carta operativa” che, sulla base della normativa comunitaria e nazionale, stabilisce puntualmente i singoli compiti che la Concessionaria deve svolgere - è stata, fino ad oggi, sostanzialmente disattesa.

220 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Infatti, qualora fosse stato rispettato il principio di proporzionalità fra costi e risorse, la Rai, nel periodo 2005 - 2008, avrebbe potuto disporre di maggiori introiti pari ad oltre 1 miliardo di Euro. Lo squilibrio tra le risorse pubbliche e i costi sostenuti dalla Concessionaria per l’assolvimento dei compiti di Servizio Pubblico, ha prodotto un deficit che per il 2008, come risulta dagli ultimi conti separati disponibili, ammonta a quasi 550 milioni di Euro; tale squilibrio si riduce a 335 milioni di Euro dopo l’attribuzione della quota specifica della pubblicità raccolta sul palinsesto. Il raffronto con alcuni Paesi europei indica come nel nostro Paese l’importo del canone sia il più contenuto (va ricordato in compenso che la Rai è il broadcaster pubblico che raccoglie la quota di risorse pubblicitarie più cospicua rispetto alle omologhe emittenti). Figura 2 – Importo del canone in Europa (2009)

Italia

Francia

Regno Unito

Irlanda

Svezia

Germania

Finlandia

Norvegia

Austraia

Svizzera

0 50 100 150 200 250 300 350

Fonte: elaborazione IEM. Le entrate derivanti dalla riscossione del canone presentano importi molto ridotti in rapporto ai 16,5 milioni di potenziali utenti. Secondo un recente studio, il tasso di evasione del canone in Italia si attesta al 26/26,5 % (il tasso medio a livello europeo è pari a circa l’8%) del totale delle famiglie con televisore, pari a circa 5,5 milioni, comportando ogni anno introiti mancati per 500 milioni di euro72. In realtà la cifra relativa all’evasione totale è ancora più ampia considerando anche l’elevatissima evasione degli enti pubblici nazionali e locali, dei partiti, delle banche e delle aziende. Le risorse provenienti dal canone rappresentano comunque la principale fonte di entrata per la

72 Dati rilevati dalla Facoltà di Statistica dell’Università di Firenze. Cfr. Sole 24 Ore 25 marzo 2010. Si con- sideri che le persone con più di 75 anni e un reddito non superiore ai 516 euro al mese dovrebbero essere esentati. Per recuperare una parte consistente dell’evasione da anni è allo studio l’ipotesi di abbinare il pagamento del canone alla bolletta elettrica. In proposito è stato attivato presso il Ministero dello Sviluppo Economico un tavolo tecnico.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 221 concessionaria di sevizio pubblico, coprendo una quota dei ricavi sempre superiore al 50%. Nel 2009 il peso del canone rispetto al totale ha raggiunto la quota record del 64,1% per effetto della forte contrazione della raccolta pubblicitaria che ha perso il 17% rispetto al 200873. Figura 3 – Andamento entrate da canone e da pubblicità (2002-2009)

1.800 Canone Pubblicità 1.600

1.400

1.200

1.000

800

600

400

200

0 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IEM su dati Rai.

4.1.3 Le convenzioni Rai con la PA

Tra le altre forme di ricavo dell’azienda pubblica, accanto a canone e pubblicità, figurano anche gli introiti ricevuti dalla capogruppo a fronte di Convezioni stipulate con la PA per lo svolgimento di servizi radiotelevisivi in Italia (nelle Regioni con minoranze linguistiche) e all’estero74. Nel 2008 le risorse destinate a tali servizi sono state circa 70 milioni, in crescita rispetto al 2007 anno in cui gli introiti sono scesi a poco meno di 65 milioni (peggior dato dal 2002) a causa del mancato rinnovo della Convenzione per la diffusione radiofonica in onde corte per l’estero. All’interno della Rai il compito di sviluppare e gestire le convenzioni con le Istituzioni (Ministeri, Regioni ecc…) è affidato all’area commerciale per la parte contrattuale e a quella istituzionale per la definizione dei contenuti delle singole attività da svolgere a fronte di un corrispettivo

73 Le risorse pubblicitarie sono passate da 1,096 miliardi di euro a 909 milioni di euro. Nel grafico sono indicate le due voci di ricavo principali (canone e pubblicità) senza tener conto dei cosiddetti “altri ricavi” che, nel biennio 2008-2009, hanno registrato un forte incremento (+74,3%, grazie alla cessione di diritti pay per i Mondiali di calcio) salendo da 238,6 milioni a 415,9, contribuendo in parte ad attenuare il calo della raccolta pubblicitaria. 74 Tra gli altri ricavi, oltre alla convenzioni con la PA, il fatturato consolidato del gruppo Rai prevede anche introiti derivanti da attività commerciali (Rai Trade), cinematografiche e di home video (Rai Cinema e 01 Distribu- tion), pubblicità radiofonica, ricavi Raisat, cessione diritti di utilizzo materiale teche, rimborsi costi di produzione programmi ed altro ancora. In quest’ultima generica voce (che nel 2008 ha generato 56 milioni di euro su un totale di 404) sono incluse ulteriori prestazioni di servizi di diversa natura forniti dalla Capogruppo ad enti pubblici che non è stato possibile quantificare e desumere dai dati di bilancio.

222 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni economico su base annuale o pluriennale. Rai International (per la programmazione dell’offerta all’estero e per le minoranze linguistiche), Rai Way (per il supporto tecnico) e Rai Educational sono le consociate o strutture interne al gruppo pubblico responsabili di applicare le Convenzioni stipulate con vari organi della Pubblica Amministrazione. Figura 4 –Entrate da Convenzioni (2002-2008)

90

80

70

60

50

40

30

20

10

0 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione IEM su dati Rai, Mae e Presidenza del Consiglio. Dati in milioni di euro. Tra le Convenzioni di maggiore rilievo figurano quelle a tutela delle minoranze linguistiche che il broadcaster pubblico sigla con il Dipartimento Informazione Editoria della Presidenza del Consiglio. Tali accordi prevedono modalità e condizioni che di norma sono rinegoziate ogni tre anni75. Le principali disposizioni normative che hanno dato (tardivamente) attuazione a quanto la Costituzione prevedeva nel 1948 a tutela delle minoranze linguistiche76, sono contenute nella legge n. 482 del 15 dicembre 1999 ed il successivo regolamento di attuazione contenuto nel DPR n. 345 del 2 maggio 2001. L’articolo 12 della legge prescrive che nella convenzione tra il Ministero delle comunicazioni e la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e nel conseguente contratto di servizio siano assicurate condizioni per la tutela delle minoranze linguistiche nelle zone di appartenenza. Le Regioni interessate possono inoltre stipulare apposite convenzioni con la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo per trasmissioni giornalistiche o programmi nelle lingue ammesse a tutela, nell’ambito delle programmazioni radiofoniche e televisive regionali della medesima società concessionaria; per le stesse finalità le Regioni possono stipulare appositi accordi con emittenti locali.

75 Per l’anno 2008 e gli anni successivi, i relativi impegni di spesa sono assunti con decreti dirigenziali. 76 L’articolo 6 della Costituzione dichiara che “ tutela con apposite norme le minoranze lin- guistiche”.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 223 La tutela delle minoranze linguistiche nell’ambito del sistema delle comunicazioni di massa è di competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni77, fatte salve le funzioni di indirizzo della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Viene dunque riconosciuto pienamente il diritto delle minoranze linguistiche ad avere trasmissioni radiofoniche e televisive nella propria lingua78. Il Testo Unico del 2005, come già richiamato, ha richiesto alla Rai la “costituzione di una società per la produzione, la distribuzione e la trasmissione di programmi radiotelevisivi all’estero, finalizzati alla valorizzazione della lingua, della cultura e delle imprese italiane”, con il compito di effettuare trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la Provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la Provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la Regione autonoma Valle d’Aosta e in lingua slovena per la Regione autonoma Friuli - Venezia Giulia. Il 3 dicembre 2007 sono stati emanati tre Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri con i quali sono state approvate altrettante Convenzioni (attualmente in vigore) con la Rai per l’offerta televisiva e radiofonica79: • in lingua francese per la Regione autonoma della Valle d’Aosta80; • in lingua tedesca e ladina nella Provincia Autonoma di Bolzano81; • in lingua slovena nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia82. Eventuali variazioni nel numero di ore di trasmissioni televisive, nonché nella distribuzione settimanale dei programmi, devono essere preventivamente concordate tra le parti. Le trasmissioni devono avere contenuto informativo, artistico e culturale aderente alle particolari esigenze delle zone interessate. In base a quanto previsto dal Contratto di Servizio, la concessionaria è chiamata a garantire un

77 Di cui alla legge 31 luglio 1997, n. 249. 78 La normativa prevede, nel dettaglio, che la società concessionaria, oltre che alla gestione dei servizi in concessione, sia tenuta alle seguenti prestazioni: • sistemare, secondo piani tecnici approvati dal Ministero competente, le reti trasmittenti televisive nelle zone di confine bilingui, per renderle idonee a ritrasmettere programmi di organismi esteri confinanti; • attuare la ristrutturazione ed assumere la gestione degli impianti di terzi eventualmente ad essa affidati, esistenti in dette zone alla data di entrata in vigore della presente legge; • predisporre annualmente, sulla base delle direttive della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sentita la Com- missione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, programmi televisivi e radiofonici destinati a stazioni radiofoniche e televisive di altri paesi per la diffusione e la conoscenza della lingua e della cultura italiana nel mondo e effettuare, sentita la stessa Commissione parlamentare, trasmissioni radiofoniche speciali; • effettuare trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la Provincia di Bolzano, in lingua francese per la Regione autonoma Valle d’Aosta ed in lingua slovena per la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. 79 Decreto 3 dicembre 2007 contenente l’Approvazione delle 3 convenzioni, pubblicato sulla Gazzetta Uf- ficiale della Repubblica Italiana - Parte Generale n. 123 del 27 maggio 2008. 80 Nel 2007 sono stati stanziati 2 milioni di euro a fronte dei quali la Rai si è impegnata a continuare la pro- duzione e la diffusione delle trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua francese per la Regione autonoma Valle d’Aosta nella misura di: n. 110 ore di trasmissioni radiofoniche in lingua francese; n. 78 ore di trasmissioni televisive in lingua francese. 81 Nel 2007 sono stati stanziati 15,56 milioni di euro, a fronte dei quali la Rai si è impegnata a continuare la produzione e la diffusione delle trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la Provincia au- tonoma di Bolzano nella misura di: n. 4716 ore di trasmissioni radiofoniche in lingua tedesca; n. 550 ore di trasmis- sioni televisive in lingua tedesca; n. 352 ore di trasmissioni radiofoniche in lingua ladina; n. 39 ore di trasmissioni televisive in lingua ladina. Le trasmissioni in lingua ladina continuano ad essere diffuse anche nella Val di Fassa. 82 Nel 2007 sono stati stanziati 6,62 milioni di euro, a fronte dei quali la Rai ha proseguito la produzione e la diffusione delle trasmissioni televisive in lingua slovena per le popolazioni di lingua slovena e delle Province di Trieste e di Gorizia della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia nella misura di: n. 208 ore di trasmissioni televisive in lingua slovena, ripartite di regola in 4 ore settimanali. La Rai si impegna a continuare la produzione e la diffusione di trasmissioni radiofoniche in lingua italiana e slovena ai sensi della legge n. 308 del 1956 nella seguente misura: n. 4.517 ore di trasmissioni radiofoniche in lingua slovena; n. 1.667 ore di trasmissioni radiofoniche in lingua italiana.

224 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni adeguato livello di informazione alle comunità che vivono all’estero, fornendo una appropriata programmazione, avvalendosi della società NewCo Rai International mediante apposite Convenzioni con la Presidenza del Consiglio dei Ministri83. Nel 2007 ha cominciato ad operare la nuova Convenzione per l’offerta televisiva, radiofonica e multimediale per l’estero84. La convenzione “Rai International” ha per oggetto l’offerta di programmazione televisiva, radiofonica e digitale o multimediale, nonché i servizi tecnologici, di cui Rai abbia la disponibilità per la produzione e per la trasmissione del segnale relativamente alla programmazione della Rai per l’estero, diffusa anche per tutto l’arco delle 24 ore, in linea con gli obiettivi dei servizio pubblico radiotelevisivo e le istanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri in termini di arricchimento dei contenuti e nelle modalità di fruizione dell’offerta dedicata all’esportazione del sistema Paese all’estero. La nuova Convenzione prevede un incremento dell’impegno editoriale da parte della Rai, con la predisposizione di un’offerta ispirata al criterio di “qualita’’ nella programmazione e nella diffusione del segnale radiotelevisivo con l’utilizzo di nuove tecnologie di trasmissione. La Rai, inoltre, si impegna a: • assicurare un ampliamento ed una valorizzazione della programmazione culturale e di informazione per l’estero (sviluppo di un canale “all news” accanto al canale generalista); • ricercare una maggiore corrispondenza dell’offerta internazionale modulandola in funzione dei diversi target di riferimento; • estendere anche all’Europa (e, quindi, all’Italia) la ricezione satellitare di Rai International; • sviluppare un interesse specifico per l’area del Mediterraneo e dei Balcani; • adottare strumenti quali, ad esempio, il bilinguismo o il ricorso a sottotitolatura e doppiaggio per conquistare anche l’utenza italofila. Un’altra novità riguarda il sistema di verifica della qualità, con l’istituzione di una Commissione permanente presieduta dal Capo del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria e composta da tre rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e quattro della Rai, nonché da un rappresentante del Ministero Affari Esteri85. L’art.7 della Convenzione stabilisce in 35 milioni di euro (30 milioni per il 2007) il corrispettivo

83 L’articolo 9 del Contratto di Servizio 2007-2009 (Programmazione televisiva all’estero) prevede che la Rai si impegni a promuovere e diffondere la conoscenza della lingua, della cultura e dell’economia italiane nel mondo, con l’obiettivo di assicurare un adeguato livello di informazione delle comunità italiane all’estero sull’evoluzione della società italiana nonché per consentire ai cittadini italiani residenti all’estero un adeguato accesso all’informazione e alla comunicazione politica, in particolare nei periodi interessati da campagne elettorali e referendarie. La Rai si impegna altresì a realizzare nuove forme di programmazione per l’estero che consentano di portare la cultura itali- ana, anche di carattere regionale, ad un più vasto pubblico internazionale. Al fine di conseguire tali obiettivi, la Rai definisce una adeguata programmazione nell’ambito sia delle convenzioni stipulate con la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi della legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 19 e 20 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva integrata dalla Legge 3 maggio 2004, n. 112, art. 25, comma 13) e di altre specifiche convenzioni aggiun- tive. 84 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 agosto 2007 riguardante “Approvazione della conven- zione tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria e la RAI – Radiotel- evisione Italiana S.P.A., per l’offerta televisiva, radiofonica e multimediale per l’estero (detta Rai International). Fino al 31 dicembre 2006 la materia era oggetto di due separate Convenzioni (Convenzione riguardante le trasmissioni speciali per l’estero, detta Rai onde corte, e la Convenzione riguardante le trasmissioni per la diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero del 30 luglio 97, detta Rai International). 85 Al Ministero Affari Esteri spetta il compito di monitorare la programmazione (ricezione e diffusione delle emissioni radiofoniche e televisive del canale Rai International) attraverso la rete diplomatico-consolare e di redigere una nota informativa annuale per accertare la puntuale esecuzione della Convenzione, evidenziando le eventuali novità con particolare riferimento alla qualità dei programmi e del palinsesto in generale, all’eventuale miglioramento degli orari di messa in onda delle trasmissioni, all’eventuale aumento di programmi sottotitolati, alla situazione dei notiziari, dei programmi di informazione e di local news, ecc.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 225 che la Presidenza del Consiglio dovrà corrispondere alla Rai per le prestazioni oggetto della Convenzione. La Convenzione ha pari durata della Concessione del Servizio pubblico generale radiotelevisivo affidato alla Rai dalla normativa vigente (fino al 6 maggio 2016), fermo restando che la parti si sono impegnate a rivedere condizioni e modalità delle prestazioni della Convenzione ogni tre anni. Nel quadro del nuovo rapporto convenzionale il 17 dicembre 2008 è stato sottoscritto un protocollo di intesa della durata triennale tra Ministero Affari Esteri, Rai e NewCo Rai International per “avviare una partnership strategica mirante a definire modalità ed aree di collaborazione per una innovativa ed efficace presenza televisiva/informativa/formativa sia sul territorio nazionale che all’estero, con particolare attenzione all’utilizzo delle nuove tecnologie e media digitali”. In particolare la collaborazione tra Rai e Ministero riguarderà la configurazione della piattaforma della Web Tv (progetto elaborato da Rai International per la realizzazione della web tv “Casa italiana” per un costo stimato di circa 2 milioni di euro), nonché la distribuzione sulle ulteriori piattaforme digitali ed analogiche nella disponibilità di Rai per: • la definizione di piani di comunicazione relativi alle iniziative istituzionali italiane, alla politica estera e alle relazioni internazionali, con particolare attenzione alle aree geografiche e tematiche prioritarie; • iniziative per le comunità italiane all’estero di informazione e formazione (miranti anche, nei processi di internazionalizzazione delle Regioni italiane, a rafforzare i legami tra queste ultime e gli italiani residenti all’estero), nonché di intrattenimento e culturali, anche contribuendo a far meglio conoscere e rendere accessibili ai cittadini e utenti i servizi offerti dal Ministero degli Affari Esteri e dalla sua rete diplomatico-consolare; • la promozione della cultura e della lingua italiana all’estero, con specifica attenzione ai contenuti di eccellenza, tramite l’utilizzo di prodotti televisivi e cinematografici esistenti e la produzione di trasmissioni ad hoc, sia mirate alla valorizzazione del nostro multiforme patrimonio artistico-culturale, che caratterizzate da contenuti promozionali didattici sulla lingua italiana, utilizzando anche tecnologie informatiche, il web e la digitalizzazione; • il sostegno alla “diplomazia economica”, intesa come strumento di sostegno al sistema paese attuato attraverso iniziative finalizzate alla promozione economico-commerciale dell’Italia all’estero e all’attrazione degli investimenti stranieri in Italia; • la valorizzazione delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, componente essenziale dell’azione di politica estera italiana, attraverso attività informative e divulgative finalizzate a promuovere i risvolti umanitari, sociali ed economici di tali interventi; • informazioni sull’attività di tutela dei connazionali all’estero in situazioni di grave emergenza, con indicazione degli interventi di prevenzione e risposta posti in essere dalla Farnesina e con eventuali indicazioni pratiche in caso di necessità; • iniziative di formazione in materia di comunicazione a favore del personale del Ministero. Allo scopo di dare attuazione alla collaborazione, il Ministero degli Affari Esteri e la Rai definiranno di anno in anno un programma di attività e concorderanno specifici piani di comunicazione, in Italia e all’estero, con l’indicazione degli oneri economici concernenti le singole iniziative a carico dei diversi CDR (Centri di Responsabilità) del Ministero degli Esteri. Le iniziative concordate saranno oggetto di specifiche convenzioni applicative, che definiranno le condizioni normative, economiche e temporali relative ai reciproci impegni. Tra il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria e il broadcaster pubblico sono state sottoscritte ulteriori convenzioni in relazione ad altri compiti di servizio pubblico riferiti a specifiche aree di intervento. Alla fine del 2009, il cosiddetto Decreto Milleproroghe ha autorizzato il proseguimento di due

226 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Convenzioni86: 1. Convenzione con la Rai e la NewCo Rai International, per contribuire alle iniziative volte al mantenimento della pace ed alla realizzazione di azioni di comunicazione nell’ambito delle NATO’S Strategic Communications in Afghanistan. Il Decreto ha stanziato per il 2010 risorse finanziarie del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri entro il limite massimo di euro 660.000. 2. Convenzione con la Rai per servizi a favore di Rtv, emittente pubblica della Repubblica di San Marino, nata nel 1991 con un capitale sociale sottoscritto al 50% da Eras (Ente per la Radiodiffusione Sammarinese) e la Rai. L’accordo è stato siglato per la prima volta nel 1990, a seguito della ratifica tra Ministero Affari Esteri italiano e Repubblica di San Marino. Il citato Decreto ha stabilito che fino alla ratifica del nuovo accordo di collaborazione in campo radiotelevisivo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino, firmato in data 5 marzo 2008 (che prevede una nuova Convenzione della durata di 5 anni tra il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria e la Rai e che fissa in 18,5 milioni il contributo annuo da versare a Rtv) e comunque non oltre il 31 dicembre 2010, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria è autorizzato ad assicurare, nell’ambito delle risorse finanziarie del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la prosecuzione della fornitura dei servizi previsti nell’apposita Convenzione. Per il 2010 San Marino Rtv potrà beneficiare di un contributo di 3, 1 milioni di euro. Il nuovo accordo quinquennale dovrebbe iniziare ad operare dal 2011 e prevede che lo Stato italiano, oltre a contribuire alla “continuità della gestione” attraverso la quota della Rai, dovrà mettere a disposizione di Rtv tutte le tecnologie Rai per la diffusione del segnale dell’emittente sammarinese in digitale terrestre e sul satellite. Attraverso le sue divisioni e consociate la Rai dovrà inoltre: • collaborare dove possibile, e a titolo gratuito, allo sviluppo e alla produzione dei programmi televisivi sulla San Marino Rtv; • lasciare all’emittente Rtv l’usufrutto dei propri prodotti e dei diritti di diffusione, compresi quelli sportivi, per l’acquisto di film, telefilm e fiction (Rai Trade, Rai Cinema, , Rai Corporation, e Rai International); • individuare le strategie di marketing per sviluppare e potenziare la presenza sul mercato televisivo e multimediale dell’emittente sammarinese; • individuare collaborazioni per la raccolta pubblicitaria (Sipra, Società ialiana pubblicità per azioni) e lo sviluppo di progetti web (Rai Net) e Televideo. Nell’allegato all’accordo si chiede alla Rai di impegnarsi per agevolare la collaborazione con le sedi regionali, l’aggiornamento del personale e l’acquisizione di apparecchiature e materiali per la San Marino Rtv. Per completare il quadro, occorre menzionare alcuni progetti realizzati in collaborazione e/o in convenzione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca e che vede impegnata la struttura interna Rai Educational nella progettazione e produzione di alcuni progetti educativi avviati in concomitanza con l’avvio dell’anno scolastico, rivolti a studenti ed insegnanti, programmati sul canale tematico presente sul digitale terrestre. Attualmente le convenzioni riguardano i seguenti progetti per i quali non è stato possibile ricavare eventuali corrispettivi da parte del Ministero87:

86 Decreto Legge 30 dicembre 2009 n.194, “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative”. Art. 2 Proroga di termini in materia di comunicazione, di riordino di enti e di pubblicità legale.

87 Data la natura educativa dei progetti e gli obblighi di servizio pubblico della concessionaria in questo am- bito, i servizi forniti da Rai Educational attraverso Rai Scuola sono prevalentemente a titolo gratuito. In base ad una Convenzione siglata il 7 agosto 2003, ad esempio, la Rai si impegnava ad assicurare, in modo gratuito, la fornitura e l’installazione di impianti satellitari presso gli edifici scolastici distribuiti sul territorio nazionale, secondo un piano triennale elaborato dal Ministero.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 227 • il “Divertilingue” progetto per un apprendimento innovativo e divertente dell’inglese e dell’italiano a scuola attraverso Tv e Web; • “Explora Science ”, produzione finalizzata a offrire agli studenti, agli insegnanti e in generale ai cittadini, occasioni per migliorare la cultura scientifica-tecnologica; • “Fuoriclasse”, è un ponte tra istruzione, orientamento, formazione e lavoro. Il progetto è realizzato con la partecipazione del Ministero del Lavoro, ISFOL, Regioni e Province; • “In Italia”, è un progetto pilota per la diffusione della lingua italiana di base, rivolto a stranieri adulti e giovani-adulti di nuova residenza nel nostro Paese; • “Medita”, Mediateca on line di prodotti audiovisivi organizzati in unità didattiche fruibili dai docenti on demand tramite internet; In conclusione nel 2008 le Convenzioni e gli accordi con la Pubblica Amministrazione monitorati e qui di seguito riepilogati prevedono entrate complessive che si aggirano attorno ai 65 milioni di euro, di cui circa 24 a favore delle Regioni con minoranze linguistiche. Figura 5 – Principali entrate da Convenzioni (2008)

Rai International (estero)

Province di Trento e Bolzano

Friuli Venezia Giulia

Rtv San Marino

Rai International/Web tv

Valle d'Aosta

Nato (Rai International)

0 5 10 15 20 25 30 35 40

Fonte: elaborazione IEM su dati Rai, Mae e Presidenza del Consiglio. Dati in milioni di euro 4.1.4 Contributi del Ministero Sviluppo economico – Dipartimento per le Comunicazioni L’attuale Ministero per lo Sviluppo Economico – Dipartimento per le Comunicazioni assegna al settore dell’emittenza televisiva locale88 contributi a fondo perduto in base a quanto previsto dalla L. 448/9889. Le risorse sono erogate alle emittenti che svolgono attività di informazione sulla base di graduatorie annuali predisposte su base regionale dai Corecom (Comitati Regionali

88 Al 31 dicembre 2008 erano attive 376 società di capitali che amministravano 421 tv locali. Negli ultimi anni fusioni e fallimenti aziendali hanno ridimensionato il settore televisivo locale. Nel 2005 si contavano 469 emit- tenti commerciali. A queste va aggiunto il numero di emittenti comunitarie che, secondo la stima più recente (del 2005), era di 115 (ed anche in questo caso si sono registrate diverse chiusure nel corso degli anni). Fonte: FRT – Fed- erazione Radio Televisioni. 89 Legge 23 dicembre 1998, n.448, concernente “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo svilup- po” e successive modifiche. In particolare l’articolo 45, comma 3 della legge (e successive modifiche ed integrazioni) prevede che il Ministero fissi uno stanziamento annuale.

228 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni per le Comunicazioni) su parametri oggettivi disciplinati da un apposito regolamento90. I due elementi di valutazione riguardano da un lato la media dei fatturati degli ultimi 3 anni e, dall’altro, l’entità del personale dipendente (giornalisti e non) impegnato nello svolgimento dell’attività televisiva. L’ammontare annuo dello stanziamento inserito nelle Leggi Finanziarie è ripartito dal Ministero secondo bacini di utenza costituiti dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano in proporzione al fatturato realizzato nel triennio precedente dalle emittenti operanti nella medesima Regione o Provincia autonoma che abbiano chiesto di beneficiare delle misure di sostegno91. La somma assegnata a ciascuna Regione e Provincia autonoma è attribuita alle emittenti idonee per accedere al contributo, per 1/5 in parti uguali e per 4/5 in base alla graduatoria predisposta92. Per le emittenti aventi sede legale ed operativa nelle Regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna si applica una maggiorazione fissa di punti secondo l’importo del fatturato. Ciascuna emittente può presentare la domanda: 1. per la Regione o la Provincia autonoma nella quale è ubicata la sede operativa principale di messa in onda del segnale televisivo; 2. per le ulteriori Regioni o Province autonome nelle quali la medesima emittente raggiunga una popolazione non inferiore al settanta per cento di quella residente nel territorio della Regione o Provincia autonoma irradiata93. In entrambi i casi, l’emittente, qualora non sia a carattere comunitario, deve necessariamente avere, pena il non inserimento nella graduatoria, una quota di fatturato nella Regione di riferimento e per il solo punto 2) almeno un dipendente. L’Antitrust ha di recente (settembre 2010) espresso alcune perplessità circa l’applicazione del DM 292/2004 contenente il regolamento che disciplina i benefici alle tv locali ex legge 488. Secondo l’Autorità i criteri premierebbero in modo significativo le imprese che già realizzano fatturati elevati e che dispongono di un numero consistente di dipendenti. Tra i correttivi per rendere più equa e concorrenziale la disciplina, l’Antitrust suggerisce di stilare la graduatoria anche in base alla valutazione del tempo riservato ai programmi informativi e all’innovazione degli impianti di radiodiffusione. Dovrebbe inoltre essere inserita tra i criteri di esclusione dalla graduatoria la dichiarazione di essere in regola con i contributi previdenziali, ora richiesta solo per l’accesso ai contributi. Oggetto di critiche anche l’attribuzione dei 4/5 del totale alle sole tv che rientrano nel 37% della graduatoria, meccanismo che danneggia le posizioni appena inferiori e che accedono solo al 20% del contributo totale L’Autorità, in particolare, propone che i 4/5 siano ripartiti in modo proporzionale a tutte le tv in graduatoria e il restante 20% riservato agli ultimi posti94. Nel corso degli anni, gli stanziamenti sono progressivamente aumentati nelle diverse Leggi finanziarie, assumendo un peso sempre più rilevante per la sostenibilità finanziaria delle imprese, contribuendo ad un significativo aumento dell’occupazione, soprattutto con riferimento alle professionalità giornalistiche. Il trend positivo si è tuttavia arrestato nel 2009, anno in cui si è registrata una forte riduzione

90 D.M. 5 novembre 2004 n. 292. 91 Il regolamento prevede inoltre che nella ripartizione occorre dare particolare rilievo alle Regioni e Prov- ince autonome ricomprese nelle aree economicamente depresse e con elevati indici di disoccupazione. 92 soggetti che presentano la domanda per ottenere il contributo, qualora gestiscono più di una attività anche non televisiva, devono dichiarare di aver instaurato il regime di separazione contabile. 93 soggetti che presentano la domanda per ottenere il contributo, qualora gestiscono più di una attività anche non televisiva, devono dichiarare di aver instaurato il regime di separazione contabile. 94 L’Autorità, in particolare, propone che i 4/5 siano ripartiti in modo proporzionale a tutte le tv in gradu- atoria e il restante 20% riservato agli ultimi posti.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 229 dei contributi pubblici (-41%) scesi da poco meno di 162 milioni dell’anno precedente (picco massimo raggiunto grazie ad una integrazione intervenuta nell’agosto 2010) a poco più di 95 milioni, ammontare inferiore a quanto indicato nella Legge Finanziaria 201095. La dotazione per l’anno 2010, grazie al rifinanziamento di 50 milioni previsto dalla stessa Legge finanziaria, dovrebbe attestarsi sui 130 milioni, sommandosi agli 80 milioni di euro previsti dalla Legge Finanziaria 200796. Figura 6 – Contributi alle tv locali ex L. 448/98 (1999-2010)

180.000

160.000

140.000

120.000

100.000

80.000

60.000

40.000

20.000

0 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IEM su dati FRT. Dati in milioni di euro. Il peso dei contributi pubblici è progressivamente aumentato fino a raggiungere una quota pari al 26 % del totale dei ricavi complessivi con un forte incremento dell’incidenza negli ultimi 3 anni considerati (2006-2008). Nel 2008 i ricavi totali, pari a 621 milioni di euro, hanno coperto il 7,3% dell’intero mercato televisivo. La restante quota di risorse è rappresentata per la quasi totalità dalla raccolta pubblicitaria che, secondo stime di FRT nel 2008 assorbivano il 9,8% del totale della pubblicità del settore. Analizzando la distribuzione dei contributi a livello regionale, la Lombardia è la Regione che ha ricevuto nel 2009 il volume di risorse pubbliche più elevato (12,3 milioni) precedendo Puglia (12,1) e Veneto (11,9). Le norme per la concessione dei benefici alle emittenti radiofoniche locali sono disciplinate da un regolamento emanato con Decreto Ministeriale del 2002, come previsto dalla Legge 448 del 200197. L’ammontare annuo dello stanziamento è attribuito per tre dodicesimi alle emittenti radiofoniche commerciali e per tre dodicesimi alle emittenti radiofoniche comunitarie. 95 Legge 23/12/2009 n. 191 che aveva previsto un ripristino della dotazione originale pari a circa 150 milioni di euro annui (di cui l’85% al settore tv e per il restante 15% al settore radio). 96 Legge 27/12/2006 n. 296. 97 Decreto n. 225 dell’1/10/2002. Il regolamento recepisce le disposizioni contenute nell’articolo 52 comma 18, della Legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Legge Finanziaria 2002).

230 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Figura 7 – Incidenza % contributi alle tv locali sui ricavi totali (1999-2008)

700.000 30,0

Contributi Ricavi Incidenza %

600.000 25,0

500.000 20,0

400.000

15,0

300.000

10,0 200.000

5,0 100.000

0 0,0 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione IEM su dati FRT. Dati in migliaia di euro. Alle emittenti la cui sede operativa principale si trova nelle Regioni Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna è riconosciuta, rispettivamente sulla base della quota attribuita alle emittenti radiofoniche commerciali e della quota attribuita alle emittenti radiofoniche comunitarie, una maggiorazione del contributo pari al 15 %. I restanti sei dodicesimi dello stanziamento annuo sono attribuiti sulla base di una graduatoria predisposta tenendo conto di specifiche condizioni previste dal regolamento, in proporzione al punteggio ottenuto da ogni emittente. Gli elementi da valutare ai fini della graduatoria sono la media dei fatturati realizzati dall’emittente nel biennio precedente e il personale impiegato nello svolgimento dell’attività radiodiffusiva alla data di presentazione della domanda per l’ottenimento del contributo. Anche le emittenti radiofoniche si devono impegnare ad instaurare un regime di separazione contabile e devono produrre uno schema di bilancio in cui risultino separate contabilmente le entrate e le uscite afferenti all’attività radiodiffusiva. I contributi sono assegnati dal Dipartimento delle Comunicazioni del Ministero per lo Sviluppo Economico a livello nazionale nei limiti dello stanziamento annuo, assegnato alle emittenti in graduatoria in misura proporzionale al punteggio ottenuto, entro sei mesi successivi alla presentazione della domanda. L’andamento degli stanziamenti nel corso degli anni mostra una crescita molto sostenuta passando dai 6,2 milioni del 2002 ai 21,8 del 2009, registrando in particolare una forte impennata nel 2007, anno in cui le risorse sono raddoppiate rispetto all’anno precedente. La manovra finanziaria urgente messa a punto dal governo alla fine di maggio 201098, volta a ridurre il rapporto deficit/Pil come richiesto dalle istituzioni comunitarie, produrrà effetti negativi anche sugli stanziamenti destinati ai contributi alle emittenti locali (tv e radio) di cui alla legge 448/98.

98 Decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 “misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competi- tività economica”. Le norme prevedono, a decorrere dall’anno 2011, una riduzione lineare del 10 % delle dotazioni finanziarie nell’ambito delle spese modulabili di tutti i Ministeri.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 231 Figura 8 – Contributi alle tv locali ex L. 448/98 per Regione (2008-2009)

Lombardia

Puglia

Veneto

Sicilia

Campania

Piemonte 2009

Lazio 2008

Emilia Romagna

Toscana

Sardegna

Calabria

Liguria

Friuli Venezia Giulia

Abruzzo

Umbria

Marche

Molise

Trento

Bolzano

Basilicata

Valle d'Aosta

0 5.000 10.000 15.000 20.000

Fonte: elaborazione IEM su dati FRT

Figura 9 – Contributi alle radio locali ex L. 448/2001 (2002-2009)

25.000

20.000

15.000

10.000

5.000

0 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IEM su dati MSE - Dipartimento Comunicazioni. Dati in migliaia di euro.

232 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 4.1.5 Contributi Presidenza Consiglio dei Ministri – Dipartimento Editoria ed Informazione

Accanto ai contributi previsti dalla Legge 448 del 1998, le emittenti locali ricevono un ulteriore sostegno pubblico a livello nazionale grazie alle provvidenze disposte annualmente dal Dipartimento Editoria ed Informazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e disciplinate da complesse normative modificate ed aggiornate nel corso degli anni. Tabella 1 - Contributi e riduzioni tariffarie per le emittenti radiofoniche e televisive Beneficiari Riferimento normativo Legge 25 febbraio 1987, n. 67, art. 11 Contributi alle emittenti radiofoniche Legge 7 agosto 1990, n. 250, artt. 4,7, 8 Legge 6 agosto 1990, n. 223, art. 23, comma 3 Contributi alle emittenti televisive locali Legge 27 ottobre 1993 n.422, articolo 7 Contributi per canali tematici autorizzati alla diffusione Legge 3 maggio 2004, n. 112, art. 7, comma 13 via satellite (televisioni organo di partito politico) Fonte: Dipartimento Informazione Editoria – Presidenza del Consiglio dei Ministri. In particolare il combinato disposto della Leggi 223/1990 (Legge Mammì, successivamente modificata dalla Legge 422/2003) e della Legge 250/1990, prevede che siano assegnati benefici a quelle emittenti che trasmettono quotidianamente, nelle ore comprese tra le 07.00 e le 23.00 per almeno un’ora, programmi informativi autoprodotti su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o culturali99. Le provvidenze hanno contribuito negli anni alla creazione di redazioni all’interno delle emittenti locali rafforzando le competenze professionali delle risorse impiegate e contribuendo alla capacità di fornire informazione sul territorio. I contributi previsti per le imprese di radiodiffusione sonora e televisiva aventi diritto si sostanziano in: • rimborsi pari al 60% (80% fino al 2005) dei costi dei canoni di abbonamento stipulati con agenzie di stampa o informazione; • riduzioni tariffarie applicate ai consumi di energia elettrica pari al 40% (50% fino al 2005) dei costi delle utenze elettriche e dei costi dei collegamenti satellitari (canoni di noleggio e abbonamento dei sistemi via satellite); in questo caso le riduzioni vengono erogate attraverso i Gestori dei servizi competenti seguendo un preciso iter)100; • riduzioni tariffarie del 50% dei costi delle utenze telefoniche; • contributi alle imprese radiofoniche e televisive che risultano essere organi di partiti politici rappresentati in Parlamento; i contributi sono pari al 70% della media dei costi risultanti dai bilanci degli ultimi due esercizi101. L’andamento complessivo dei contributi nel periodo preso in esame (2003-2007) mostra forti oscillazioni. In 5 anni le risorse sono aumentate da 13 a 21,5 milioni con una crescita pari al 65%. 99 Le misure di sostegno alla radiodiffusione sono disciplinate dagli articoli 4, 7, 8 della Legge 7 agosto 1990 n.450 e dall’articolo 7 della Legge 27 ottobre 1993 n.422 (Norme in materia di provvidenze alle imprese radiofoniche e televisive). In particolare l’art. 7 è intervenuto a modifcare il comma 3 dell’art. 23 della Legge 6 agosto 1990 n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato). Il testo in vigore recita: “Ai concessionari per la radiodiffusione televisiva in ambito locale, ovvero ai soggetti autorizzati per la radiodiffusione televisiva locale (…) che abbiano registrato la testata televisiva presso il competente tribunale e che trasmettano quotidianamente, nelle ore comprese tra le 07,00 e le 23,00 per almeno un’ora, programmi informativi autoprodotti su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o culturali, si applicano i benefici di cui al comma 1 dell’articolo 11 della L. 25 febbraio 1987, n. 67 , così come modificato dall’articolo 7 della L. 7 agosto 1990, n. 250, nonché quelli di cui agli articoli 28, 29 e 30 della L. 5 agosto 1981, n. 416 e successive modificazioni ed integrazioni. 100 A seguito del riconoscimento del diritto alle riduzioni tariffarie, il provvedimento viene inviato ai Gestori, i quali, effettuati i conteggi sulle voci ammesse al contributo, provvedono a rimborsare alle imprese il 40% (fino al 2005 era il 50%) dei consumi di energia elettrica e dei costi dei servizi satellitari inoltrando poi alla Presidenza del Consiglio – Dipartimento per l’informazione e l’editoria, le domande per ottenere il rimborso delle somme antici- pate alle imprese. 101 La normativa di accesso alle provvidenze per i canali per questa fattispecie nasce con la Legge 3 maggio 2004 n.112. Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 233 Nel 2005 l’ammontare complessivo dei contributi ha toccato il suo apice raggiungendo circa 27,5 milioni di euro. Figura 10 - Contributi alle emittenti locali ex L. 223/1990 e 250/1990 (2003-2007)

30.000.000 tv radio riduzioni tariffarie (radio-tv) 25.000.000

20.000.000

15.000.000

10.000.000

5.000.000

0 2003 2004 2005 2006 2007

Fonte: Elaborazioni IEM su dati Dipartimento Informazione Editoria – Presidenza del Consiglio dei Ministri. In proporzione, le imprese radiofoniche hanno ottenuto contributi più cospicui (circa il 65% in media) rispetto alle emittenti televisive anche grazie al maggior apporto nel tempo derivante dalle provvidenze ai cosiddetti organi politici (Radio Radicale, Informazione Libera) e al fatto che solo a partire dal 2005 i canali tematici satellitari hanno cominciato ad ottenere benefici. Analizzando i contributi erogati nel 2008 (relativi all’anno 2007) emerge un grado di concentrazione nella distribuzione delle risorse molto elevato: su un totale di circa 21,4 mln di euro, il 75% (16,1 milioni) è andato a 7 emittenti espressioni di partiti politici (di cui 5 radiofoniche e 2 televisive) con un contributo medio di 2,3 ad impresa; il restante 25% è andato a circa 300 emittenti radiotelevisive con un contributo medio di 19mila euro. Osservando l’andamento articolato per tipologia di contributi, se fino al 2005 si registra una crescita sostenuta sia per quanto attiene ai rimborsi per i canoni di agenzie di stampa ed informazione sia per gli organi politici, negli ultimi due anni presi in esame si è assistito ad un ulteriore incremento della seconda fattispecie (più di 16 milioni di euro nel 2007) a scapito della prima che ha subito un brusco calo (5,3 milioni di euro nel 2007). Un discorso a parte va fatto per le riduzioni tariffarie sulle utenze telefoniche e dell’energia elettrica, non essendo stato possibile rinvenire i relativi dati nel periodo in esame, fatta eccezione per il 2004, anno in cui l’ammontare è stato pari a 6,8 milioni di euro.

234 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Figura 11 – Contributi alle emittenti locali ex L. 223/1990 e 250/1990 per tipologia (03-07) 18

Agenzie di stampa o informazione 16 Organi politici/canali tematici satellitari

14 Riduzioni tariffarie

12

10

8

6

4

2

0 Milioni 2003 2004 2005 2006 2007

Fonte: Elaborazioni IEM su dati Dipartimento Informazione Editoria – Presidenza del Consiglio dei Ministri L’attuale Governo in carica ha deciso di intervenire nella materia con una azione di forte razionalizzazione del sistema di concessione dei contributi e un contenimento dei costi a carico dello Stato. La manovra triennale del 2008 da una parte ha avviato una riduzione dei vari fondi di sostegno, dall’altra ha demandato ad un regolamento il compito di semplificare le procedure ed assicurare che i rimborsi e i benefici premino chi veramente li meritava, garantendo così che l’intervento statale fosse effettivamente in linea con il principio, sotteso al sistema dei contributi, di favorire il pluralismo dell’informazione102. La bozza definitiva del regolamento è attualmente all’esame del Parlamento e punta a ridurre i contributi diretti complessivi all’editoria dagli attuali 120 milioni a 87. Nel dettaglio l’ammontare dei contributi a favore di radio e tv previsti dalla Legge 250 del 1990 dovrebbe scendere dagli attuali 25 a 12 milioni di euro. La piena applicazione della nuova disciplina è prevista a partire dal 2012103. L’unica voce che tra 2011 e 2012 dovrebbe subire un lieve incremento è quella relativa alle “spese per i servizi di stampa e di informazione ivi comprese le spese derivanti dall’attuazione di accordi e programmi di cooperazione nel campo dell’informazione”. Nella Legge Finanziaria 2010, il Parlamento, nell’ambito della legge di conversione del decreto legge cosiddetto “Milleproroghe”104, aveva deciso, in un primo momento, di sopprimere il sistema di provvidenze a favore dell’editoria (non solo radiotelevisiva), abolendo il diritto soggettivo e riconducendo la misura del contributo stesso ai fondi previsti dal bilancio statale, con riparto proporzionale tra gli aventi diritto in caso di insufficienza delle risorse105. A seguito delle proteste da parte delle Associazioni di categoria, alla fine del febbraio 2010 un

102 Per approfondimenti sul complesso sistema di contributi all’editoria si rimanda al sito del Dipartimento Informazione ed editoria e allo speciale dedicato al tema dal portale del diritto della comunicazione www.medialaw.ir 103 Si ricorda che per il 2008 e il 2009 il sistema di sostegno è stato garantito grazie alla cosiddetta addizionale sulla Robin Tax che ha consentito una significativa integrazione dei fondi. 104 Decreto 194/2009. 105 L’abolizione del diritto soggettivo era una delle novità del Regolamento previsto dalla Legge 2008.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 235 emendamento ha ripristinato per l’anno in corso i contributi diretti (al massimo al 100%)106 dovuti al diritto soggettivo per testate ed emittenti di partito, no profit e cooperative in attesa di una riforma organica del settore, attesa da anni. Dal ripristino dei contributi vengono tuttavia esclusi i rimborsi alle radio locali dell’80 % delle spese per gli abbonamenti ad agenzie di informazione e quelli sulle tariffe elettriche. Restano salvi invece i rimborsi telefonici erogati dal Ministero dello sviluppo economico. All’interno del citato decreto Milleproroghe è stato autorizzato uno stanziamento di 9,9 milioni di euro per gli anni 2010 e 2011 per garantire continuità al servizio di trasmissione delle sedute parlamentari svolto dal centro di produzione che fa capo a Radio radicale, come previsto dall’apposita Convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico e di produzione siglata per la prima volta nel 1994107, rinnovata su base triennale e che prevedeva una erogazione di 5 milioni di euro l’anno (10 miliardi di lire)108.

4.1.6 Rimborsi per messaggi autogestiti a titolo gratuito in campagna elettorale

Il Ministero delle Comunicazioni di concerto con il Ministero dell’Economia emana, entro il 31 gennaio di ogni anno, un decreto di determinazione e ripartizione tra le Regioni e le Province autonome dei contributi da erogare alle emittenti locali, in attuazione della Legge 22 febbraio 2000 n. 28 così come modificata dalla Legge 313/2003109. La legge prevede un rimborso alle emittenti radiofoniche e televisive locali che accettano di trasmettere messaggi autogestiti a titolo gratuito in campagna elettorale o referendaria ed effettua la ripartizione della somma stanziata tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in proporzione al numero dei cittadini iscritti nelle liste elettorali di ciascuna Regione e Provincia autonoma. Alle emittenti radiofoniche è riservato almeno un terzo della somma complessiva annualmente stanziata. Più in generale, al fine di garantire la parità di trattamento e l’imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici, le norme disciplinano l’accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica nonché l’accesso ai mezzi di informazione durante le campagne per l’elezione al Parlamento europeo, per le elezioni politiche, regionali e amministrative e per ogni referendum. Nel periodo intercorrente tra la data di presentazione delle candidature e quella di chiusura della campagna elettorale, le emittenti radiofoniche e televisive locali possono trasmettere messaggi

106 Gli importi non possono comunque essere superiori a quelli spettanti per il 2008. 107 La Convenzione prevedeva l’impegno da parte della concessionaria a trasmettere per ogni impianto, nell’orario tra le ore 8.00 e le ore 21.00, almeno il sessanta per cento del numero annuo complessivo di ore dedicate dalle camere alle sedute d’aula. Tali trasmissioni non possono essere interrotte, precedute e seguite, per un tempo di trenta minuti dal loro inizio e dalla loro fine, da annunci pubblicitari o politici. La Convenzione è rinnovabile fino alla completa realizzazione da parte della concessionaria pubblica della rete radiofonica riservata esclusivamente alla trasmissione dei lavori parlamentari di cui all’articolo 24, comma 1 della legge 6 agosto 1990, n. 223. 108 Legge 11 luglio 1998, n. 224. Trasmissione radiofonica dei lavori parlamentari e agevolazioni per l’editoria (art. 1 comma 1): “allo scopo di garantire la continuità del servizio di trasmissione radiofonica delle sedute parlamentari, e confermando lo strumento della convenzione da stipulare a seguito di gara pubblica, i cui criteri saranno definiti nel quadro dell’approvazione della riforma generale del sistema delle comunicazioni, in via transitoria la convenzione tra il Ministero delle comunicazioni e il Centro di produzione S.p.a., stipulata ai sensi dell’articolo 9, comma 1, del decreto-legge 28 ottobre 1994, n. 602, ed approvata con decreto del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni del 21 novembre 1994, è rinnovata con decorrenza 21 novembre 1997 per un ulteriore triennio, intendendosi rivalutato in Lire 11.500.000.000 l’importo di cui al comma 4 dello stesso articolo 9. I contratti collettivi nazionali di lavoro, ivi compreso, per i redattori, il contratto unico nazionale di lavoro dei giornalisti, si applicano ai dipendenti del Centro di produzione S.p.a. fino alla scadenza della convenzione. 109 “Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica; Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 43 del 22 febbraio 2000”. La legge introduce una serie di regole, provvedimenti e relative sanzioni in materia di comunicazione politica radiotelevisiva (locale e nazionale), di messaggi politici elettorali su quotidiani e periodici, di sondaggi e comunicazione istituzionale. L’articolo 4 disciplina la Comunicazione politica radiotelevisiva e messaggi radiotelevisivi autogestiti in campagna elettorale. Il comma 5 prevede le modalità di rimborso. La legge ha subito modifiche ed integrazioni con la Legge 6 novembre 2003 n.313.

236 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni autogestiti a titolo gratuito per la presentazione non in contraddittorio di liste e programmi, secondo modalità stabilite dalla Commissione di Vigilanza e dall’Autorità Il rimborso è erogato entro i novanta giorni successivi alla conclusione delle operazioni elettorali, per gli spazi effettivamente utilizzati e congiuntamente attestati dalla emittente e dal soggetto politico, nei limiti delle risorse disponibili, dalla Regione che si avvale, per l’attività istruttoria e la gestione degli spazi offerti dalle emittenti, del comitato regionale per le comunicazioni (Corecom). L’Autorità Garante per le Comunicazioni (Agcom) con propria delibera, generalmente approvata 45 giorni prima delle operazioni di voto, per ogni tornata elettorale, emette disposizioni in materia di comunicazione politica e parità di accesso ai mezzi di informazione. Entro il quinto giorno successivo alla data di entrata in vigore del provvedimento dell’autorità, le emittenti radiofoniche e televisive locali che trasmettono i messaggi autogestiti: 1. rendono pubblico il loro intendimento mediante un comunicato da trasmettere almeno una volta nella fascia di maggiore ascolto. Nell’avviso bisogna indicare il numero massimo di contenitori, standard tecnici e termine di consegna per la trasmissione del materiale autoprodotto; 2. inviano, anche a mezzo fax, al competente Corecom, l’avviso di cui sopra. Dal sesto giorno successivo e fino al giorno di presentazione delle candidature i soggetti politici interessati a trasmettere i messaggi comunicano alle emittenti e ai Corecom le proprie richieste, la durata dei messaggi, il responsabile elettorale ed il proprio indirizzo. I messaggi devono avere una durata sufficiente alla motivata esposizione di un programma o di una opinione politica, comunque compresa tra 1 e 3 minuti per le emittenti televisive e tra 30 e 90 secondi per le emittenti radiofoniche. La collocazione dei messaggi all’interno dei singoli contenitori previsti per il primo giorno avviene con sorteggio unico nella sede del Corecom. Nei giorni successivi la stessa collocazione viene rideterminata secondo un criterio di rotazione a scalare di un posto all’interno di ciascun contenitore, in modo da rispettare la parità di presenze all’interno delle singole fasce. I Corecom intervengono inoltre nelle istruttorie promosse in caso di violazione della normativa sulla par condicio, sulla base di compiti meglio definiti dalle disposizioni emanate dall’Agcom nelle comunicazioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione che vengono emanate in occasione di ogni consultazione elettorale110. Il Corecom esamina le richieste e, tenendo conto della somma a disposizione, predispone una tabella nella quale è indicata la ripartizione dei messaggi politici autogestiti tra le emittenti111. L’Agcom, ove non diversamente regolamentato, approva la proposta del Corecom competente ai fini della fissazione del numero complessivo dei messaggi gratuiti da ripartire tra i soggetti politici richiedenti, in relazione alle risorse disponibili previste dal decreto del Ministero delle Comunicazioni di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e concernente la

110 In esse si ribadisce il ruolo di: • vigilanza sulla corretta ed uniforme applicazione della legislazione vigente, del codice di autoregolamentazione da parte delle emittenti locali nonché delle disposizioni dettate, per la concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo dalla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi ra- diotelevisivi relativamente alle trasmissioni a carattere regionale (TGR); • accertamento delle eventuali violazioni, trasmettendo i relativi atti e gli eventuali supporti e formulando le conseguenti proposte all’Autorità per i provvedimenti di sua competenza.

111 La tabella è trasmessa, con nota, a ciascuna emittente e al Servizio trasparenza e comunicazione della Presidenza che richiede all’Assessorato regionale della Programmazione l’iscrizione in bilancio delle somme statali stanziate. La nota è inviata per conoscenza anche al Ministero delle comunicazioni. Terminata la campagna elet- torale, le emittenti radiotelevisive presentano al Corecom l’autocertificazione sull’effettiva trasmissione dei messaggi negli spazi radiofonici e televisivi. Il Corecom effettuati i controlli previsti, trasmette l’autocertificazione al Servizio trasparenza e comunicazione che dispone l’erogazione dei rimborsi con determinazione del direttore.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 237 ripartizione tra le Regioni della somma stanziata per l’anno. L’andamento delle assegnazioni mostra un netto peggioramento nel periodo 2000-2007 preso in esame. Se nel primo triennio i rimborsi complessivi ammontavano in misura stabile a più di 10 milioni di euro, a partire dal 2003 si registra un calo sensibile, fino ad arrivare negli ultimi anni a circa 3,3 milioni di euro, ovvero un terzo delle risorse rispetto al 2000. Figura 12 – Contributi alle emittenti locali ex L. 28/2000 (2000-2007)

12

10

Quota Tv Quota Radio

8

6

4

2 Milioni

0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Fonte: elaborazione IEM su dati MSE - Dipartimento Comunicazioni La ripartizione delle risorse proposta dai Corecom a livello regionale e successivamente approvata dal Ministero, rispecchia la tendenza osservata a livello nazionale con flessioni proporzionali alla riduzione degli stanziamenti. Tabella n. 2 – Contributi alle emittenti locali per Regioni ex L. 28/2000 (2000-2007) REGIONI 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 2000 Lombardia 508.559 510.299 508.410 510.122 819.142 1.589.983 1.594.095 1.585.240 Campania 325.306 326.582 324.460 323.433 517.247 1.000.781 997.721 996.725 Sicilia 324.000 302.964 301.718 301.129 482.682 932.956 930.308 943.983 Lazio 309.235 308.312 307.000 307.025 485.662 942.278 936.617 937.342 Veneto 260.341 261.446 260.275 260.046 415.602 805.406 805.848 802.748 Piemonte 242.075 243.660 243.745 244.725 394.033 765.795 770.102 766.379 Emilia 228.431 229.577 229.180 230.066 369.801 717.203 719.674 714.156 Romagna Puglia 205.358 235.794 234.520 234.294 375.150 725.503 723.808 720.705 Toscana 200.517 201.753 201.515 202.489 325.777 632.757 635.441 633.297 Calabria 121.000 110.600 122.774 121.302 192.435 371.514 370.310 380.272 Sardegna 99.271 97.399 96.759 96.702 154.998 299.938 299.609 297.415 Liguria 93.007 93.814 93.900 94.434 152.331 297.835 300.336 299.782

238 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Marche 85.721 86.092 85.560 85.397 136.405 264.085 264.256 263.443 Abruzzo 82.517 80.500 79.000 79.377 126.434 244.294 242.139 247.043 Friuli Ven 72.441 73.130 72.965 72.981 116.869 226.864 227.501 228.385 Giulia Umbria 47.448 47.806 47.724 47.917 76.882 149.197 149.380 148.826 Basilicata 42.175 36.914 36.840 36.391 57.882 111.886 111.297 111.408 Bolzano prov. 26.555 26.550 26.406 0 41.061 79.335 79.279 83.354 aut. Trento prov. 26.555 26.598 26.511 52.677 43.206 83.479 83.553 79.157 aut. Molise 21.739 22.175 22.000 21.755 34.488 66.610 66.356 67.938 Valle D’Aosta 6.885 6.905 6.876 6.881 11.050 21.439 21.506 21.537 Totale 3.331.144 3.330.876 3.330.143 3.331.142 5.331.141 10.331.140 10.331.139 10.331.138 Fonte: elaborazione IEM su dati MSE - Dipartimento Comunicazioni. Analizzando la ripartizione dei rimborsi relativa al 2007, la Lombardia è la Regione che ha beneficiato dei rimborsi più cospicui (poco più di 500mila euro) assorbendo il 15% delle risorse complessive. Seguono 3 Regioni (Campania, Sicilia e il Lazio) che hanno ricevuto oltre 300mila. Un secondo gruppo composto da Piemonte, Emilia Romagna, Puglia e Toscana ha ottenuto ciascuna oltre i 200mila euro. Le emittenti di tutte le altre Regioni (eccetto la Calabria) sono posizionate al di sotto dei 100mila euro. Figura 13 – Contributi alle emittenti locali per Regioni ex L. 28/2000 (2007)

600

500 Migliaia

400

300

200

100

0 Lazio Sicilia Puglia Molise Liguria Veneto Umbria Marche Abruzzo Calabria Toscana Piemonte Basilicata Sardegna Campania Lombardia Valle D'Aosta Friuli Ven Giulia Trento prov.aut. Emilia RomagnaEmilia Bolzano prov.aut.Bolzano

Fonte: elaborazione IEM su dati MSE - Dipartimento Comunicazioni.

4.1.7 Contributi per il digitale terrestre

La transizione al digitale terrestre non costituisce soltanto un processo tecnologico ma ha rilevanti implicazioni economiche e sociali, richiedendo l’assunzione contemporanea di responsabilità da parte di tutti gli attori coinvolti. Lo Stato e alcune Regioni (con modalità e strumentazioni differenti) hanno approntato una serie di misure di sostegno alle imprese impegnate in piani di investimento per ammodernare i propri impianti ed arricchire la propria offerta e ai cittadini per venire incontro alle criticità tecniche ed economiche legate al passaggio tecnologico. Possiamo distinguere 2 fronti sui quali Stato e Regioni hanno attivato varie misure di sostegno nel corso degli anni: • il primo di natura istituzionale e che riguarda gli interventi di governance sotto il profilo

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 239 tecnologico (pianificazione) ed informativo (comunicazione); • il secondo attiene alle forme di sostegno organizzativo ed economico della Pa nazionale e locale a favore degli operatori e dell’utenza. Figura 14 - Intervento pubblico a sostegno della transizione al digitale terrestre

Governance Sostegno

Pianificazione Comunicazione Lato aziende Lato utenti

Contributi Assistenza nazionali

Fondi regionali Incentivi

Fonte: IEM per IRER I primi interventi a sostegno del passaggio al digitale terrestre risalgono alla Legge Finanziaria 2004, quando il calendario di spegnimento definitivo prevedeva come termine ultimo il 2008 (successivamente spostato). La legge stabiliva uno stanziamento di 110 milioni di euro da destinare prevalentemente a bonus (da 110 euro a consumatore) per l’acquisto dei decoder nelle prime Regioni digitali (Sardegna e Valle D’Aosta), cui si sarebbero aggiunti circa 16 milioni di investimenti da parte della Rai per la copertura del segnale nelle prime due Regioni interessate. La legge finanziaria del 2005 stanziò una cifra analoga ma per singoli contributi di 70 euro. Queste prime due leggi finanziarie avevano previsto un contributo per l’acquisto di decoder interattivi in grado di ricevere il segnale digitale terrestre in chiaro e senza costi per l’utente e per il fornitore di contenuti. Detta misura è stata ritenuta necessaria al fine di supportare il passaggio alla tecnologia trasmissiva digitale, previsto quale obbligo a livello comunitario, fornendo un contributo diretto ai cittadini per l’acquisto di un apparecchio atto a ricevere gratuitamente il segnale televisivo terrestre in digitale. La limitazione trovava la sua giustificazione nel fatto che la televisione via satellite avrebbe richiesto al consumatore costi aggiuntivi per l’acquisto dell’antenna parabolica e per l’abbonamento al servizio. Le due previsioni per il 2004-2005, su denuncia di alcuni operatori televisivi (Sky e ) sono state oggetto di una procedura di infrazione comunitaria che ha considerato aiuto di Stato il suddetto contributo per violazione del principio della neutralità tecnologica e distorsione della concorrenza a vantaggio delle emittenti digitali terrestri (gli incentivi, infatti, escludevano i decoder per la piattaforma satellitare). Fin dal settembre 2005 lo Stato italiano aveva comunque comunicato alla Commissione di sospendere l’erogazione del contributo sulla base dei suddetti requisiti e, con la legge finanziaria 2006, sono stati previsti ulteriori requisiti di neutralità tecnologica. Su questa base e con la possibilità di ricevere il contributo per l’acquisto di decoder digitali terrestri via cavo e satellitari free, con la decisione n. 270 del 2006, la Commissione ha approvato

240 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni la misura112. A seguito della decisione di posticipare le date del passaggio ed allinearsi alla scadenza fissata a livello comunitario (31 dicembre 2012) gli stanziamenti sono stati sospesi fino alla fine del 2006. La Legge Finanziaria 2007113, per favorire la transizione al digitale terrestre e diffondere la nuova tecnologia sul territorio nazionale, ha istituito presso il Ministero delle comunicazioni un “Fondo per il passaggio al digitale” dotandolo di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 per la realizzazione dei seguenti interventi: 1. incentivare la produzione di contenuti di particolare valore in tecnica digitale; 2. incentivare il passaggio al digitale terrestre da parte del titolare dell’obbligo di copertura del servizio universale; 3. favorire la progettazione, realizzazione e messa in onda di servizi interattivi di pubblica utilità diffusi su piattaforma televisiva digitale; 4. favorire la transizione al digitale da parte di famiglie economicamente o socialmente disagiate; 5. incentivare la sensibilizzazione della popolazione alla tecnologia del digitale. Mediante un successivo decreto, il Ministro delle comunicazioni114, ha deciso di destinare buona parte delle risorse del citato Fondo per il passaggio al digitale relative al 2007 (circa 33 milioni di euro) alla Rai, per l’attuazione del progetto di ampliamento dei servizi per il digitale che prevede interventi su 104 impianti e di adeguamento infrastrutturale di circa 45 siti e in coerenza con gli obblighi derivanti dal Contratto di servizio115. Per l’anno 2008, il Ministro delle Comunicazioni mediante decreto116 e in applicazione della Legge Finanziaria 2008, ha stanziato 54,8 milioni di euro (cifra superiore ai 40 previsti) per sostenere il processo di transizione al digitale nelle Regioni italiane interessate. Il decreto in particolare prevede: • 35.000.000 per l’adeguamento dell’impiantistica Rai; • 10.300.000 per le iniziative nelle aree all digital (in primis la Sardegna); • 6.500.000 per le attività di pianificazione, progettazione da parte della Fondazione Bordoni e per la comunicazione; • 3.000.000 per le attività di servizio (call center, promozione verso i commercianti, lettere ai cittadini, supporto informativo) svolte da Poste italiane. Per l’anno 2009 il Ministero per lo Sviluppo Economico ha messo a disposizione delle aree all digital coinvolte nella prima fase di switch-off (Valle d’Aosta, Piemonte occidentale, Lazio,

112 In base alla decisione della Commissione sull’aiuto di Stato relativo al contributo per l’acquisto di decoder digitali concesso dalla legge finanziaria 2004-2005 e a seguito della richiesta inoltrata il 17 novembre 2009 dalla Direzione Generale Concorrenza, in data 4 febbraio 2009, la società RTI ha adempiuto a tale richiesta versando allo Stato italiano un importo di più di 6 milioni di euro. 113 Legge 23 dicembre 2006, n. 296 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” Art. 1 comma 927 (Individuazione di interventi per favorire la transizione alla televisione digitale). 114 DM 2 agosto 2007: “Sostegno delle iniziative della concessionaria del servizio pubblico generale radiotel- evisivo Rai – Radiotelevisione italiana S.p.A. per favorire la transizione al digitale”. In precedenza, nell’agosto 2006, era stato costituto il Comitato nazionale “Italia Digitale” con il compito di definire le attività necessarie alla realiz- zazione dello switch off nazionale. 115 Articolo 23 comma 2: “(…) la Rai assicura un grado di copertura effettiva dei multiplex (…), non in- feriore al 75 % della popolazione in ambito nazionale entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente Contratto e non inferiore all’85 % della popolazione in ambito nazionale entro dodici mesi dall’entrata in vigore del Contratto”; articolo 27: “al fine di assicurare l’adempimento degli obblighi di servizio universale, nel periodo di vigenza del pre- sente Contratto, il Ministero si impegna a supportare, con adeguate misure e nell’ambito delle risorse disponibili, gli investimenti della Rai finalizzati alla transizione al digitale”. 116 DM 24 gennaio 2008.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 241 Campania, Provincia di Trento e Provincia di Bolzano) risorse pari a 30,9 milioni destinate ad assicurare lo sviluppo del digitale terrestre e così ripartite117: • 7,5 per l’erogazione di contributi alle famiglie per l’acquisto o noleggio del decoder; • 4,0 al sostegno delle iniziative effettuate da Poste Italiane Spa (call center e centro servizi); • 5,5 al sostegno delle iniziative effettuate dalla Fondazione Ugo Bordoni per le attività di supporto tecnico, scientifico e operativo; • 3,5 destinati alla Rai per interventi di adeguamento degli impianti allo scopo di estendere le aree di copertura digitale; • 10,4 destinati alle emittenti locali a sostegno delle iniziative di sensibilizzazione della popolazione alla tecnologia digitale. Per quanto attiene alla prima voce di intervento, il sostegno ai telespettatori a livello nazionale si è concretizzato nella possibilità di beneficiare di un contributo statale (50 euro) per l’acquisto di un decoder digitale interattivo. Il beneficio è limitato ai cittadini in regola con l’abbonamento Rai, con reddito pari o inferiore a 10.000 euro e di età pari o superiore a 65 anni118. Va evidenziato che lo strumento del bonus, così come è stato concepito, non si è rivelato particolarmente efficace come dimostrano i dati sullo scarso utilizzo da parte dei potenziali beneficiari. Complessivamente per l’anno 2009, il numero dei decoder venduti con il contributo statale è stato pari al 20% circa della platea potenziale119. Appare in effetti contraddittorio spingere le fasce economicamente più deboli ad acquistare un decoder interattivo comunque più costoso rispetto ai tradizionali zapper. Nel corso della prima riunione (tenutasi il 16 dicembre 2009) delle task force Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Liguria, il Governo ha annunciato di aver stanziato, per la comunicazione del passaggio al digitale ai cittadini nel 2010, un fondo di 53,5 milioni di euro, ripartiti come segue: • 12 milioni verranno destinati alle campagne di comunicazione (spot televisivi) delle emittenti televisive locali nelle aree interessate dallo switch off nel 2010120; • 8 milioni andranno alla Fondazione Bordoni per le attività di sostegno allo switch off (sostegno alla campagna di comunicazione per informare i cittadini/utenti); • 7 milioni verranno destinati alle Poste per la gestione del call center; • 7 milioni andranno alla comunicazione a mezzo stampa. I rimanenti 19,3 milioni sono destinati ai contributi per l’acquisto dei decoder (50 euro a chi ha più di 65 anni e meno di 10 mila euro di reddito ed è in regola con il canone). I contributi regionali a sostegno dello switch-off Solo alcune Regioni si sono attivate mettendo a disposizione servizi di assistenza tecnica ai cittadini e risorse economiche a sostegno delle emittenti locali impegnate nella difficile fase di transizione ad effettuare investimenti sia sul piano dell’ammodernamento degli impianti 117 Per incrementare il fondo per il passaggio al digitale terrestre costituito presso il Ministero dello sviluppo economico, la Commissione Finanze e Attività Produttive ha approvato un emendamento al “decreto incentivi” che prevede l’utilizzo del 20% delle maggiori entrate del 2009 conseguenti alle future assegnazioni di diritti d’uso di frequenze radio o risorse di numerazione. Si stima che l’operazione porterebbe alle casse dello Stato da 200 a 250 milioni di euro di nuove entrate da cui deriverebbero circa 40/50 milioni di euro (pari al 20%) da destinare all’incremento del suddetto fondo (Fonte: Frt). 118 Al 15 ottobre 2009, in Italia erano stati erogati 210 milioni di euro a favore di 926mila famiglie che hanno acquistato 2,2 milioni di decoder interattivi utilizzando il bonus destinato alla fasce deboli. 119 Ad esempio in Campania, nel 2009, sono stati venduti 30mila decoder (presso 308 rivenditori accreditati) su 142mila potenziali aventi diritto attestati dall’Agenzia delle Entrate. 120 La distribuzione delle risorse, effettuata sulla base delle graduatorie Corecom e della copertura di ciascuna emittente, è la seguente: 3,7 milioni alle emittenti della Lombardia, 1,2 a quelle del Piemonte, 2,2 a quelle dell’Emilia Romagna, 830 mila euro a quelle del Friuli V.G. e, infine, 1,9 alle emittenti della Liguria, per un totale di circa 10 milioni (il Decreto non ha chiarito come e a chi saranno assegnate le restanti risorse).

242 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni (sostituzione e/o adeguamento) sia su quello dell’arricchimento e diversificazione dell’offerta. I pacchetti di misure approntati presentano caratteristiche ed entità diverse. Tabella 3 - Sostegni regionali per il passaggio al dtt Regione Tipologia di sostegno Durata Importo Contributi per l’innovazione tecnologica degli 2009-2010 10.000.000 Campania impianti (Por Fesr) Campagna di comunicazione ai cittadini 2009 800.000 Protocollo di intesa con il Ministero delle Comunicazioni e Adgtv (famiglie e servizi di 2007-2008 5.000.000 pubblica utilità) Sostegno emittenza locale per la transizione (legge 2009 -2011 regionale). Piemonte 2.500.000 8.600.000 (1/3 fondo Bando per il sostegno agli investimenti 2010 perduto) Campagna di comunicazione ai cittadini 2009 1.000.000 Lazio Bando POR filiera audiovisiva 2009-2010 40.000.000* Adeguamento postazioni, call center, assistenza Valle D’Aosta 2009 3.850.000 tecnica a domicilio, campagna informativa Fonte: IEM su dati delle Regioni e fonti varie. * Solo una parte destinati all’emittenza locale. La Regione Autonoma Valle d’Aosta, oltre a beneficiare (come tutte le altre Regioni all digital) dei finanziamenti prelevati dal Fondo nazionale per il digitale, ha stanziato 3 milioni e 580mila euro per il digitale terrestre così ripartiti: • 2,3 milioni per l’adeguamento delle postazioni; • 1,25 milioni per il call center e l’assistenza tecnica a domicilio gratuita (circa 20mila interventi tecnici previsti pari al 50% della popolazione); • 30mila euro per la campagna informativa condotta sui giornali a ridosso dello switch off (ad integrazione dei fondi stanziati a livello nazionale dal Ministero per le Comunicazioni)121 Nel Lazio la Regione ha optato per un bando (lanciato nel luglio 2009) per il sostegno alla filiera audiovisiva (non solo emittenti locali impegnate nella transizione al digitale) facendo ricorso al Programma Operativo Fesr 2007-2013 gestito dall’agenzia Sviluppo Lazio. Le risorse complessive ammontano a 39,8 milioni (in un primo momento il budget a disposizione era di 16,8 milioni, successivamente incrementato di ulteriori 23 milioni) e sono destinate a programmi di investimento di importo pari o superiore a 50.000 euro nel caso di imprese singole e pari o superiore a 100.000 euro nel caso di aggregazioni tra imprese. Ampi e diversificati i settori di attività ammissibili ai contributi: produzione, post-produzione e distribuzione cinematografica, di video e di programmi televisivi; proiezione cinematografica; edizione di registrazioni sonore, studi di registrazione sonora; trasmissioni radiofoniche; programmazione e trasmissioni televisive nonché telecomunicazioni fisse, mobili e satellitari. Due le tipologie di intervento: • industrializzazione del patrimonio filmico e documentale • azioni e programmi di investimento strategici per il rafforzamento competitivo del Sistema Produttivo Locale dell’Audiovisivo122. 121 Altre fonti (tra cui Key4biz), riportando dichiarazioni del Presidente della Regione, indicano in 11,5 milioni di euro l’investimento complessivo sostenuto dalla Regione per il passaggio al digitale terrestre, di cui 600mila per organizzare eventi di informazione, di comunicazione e di assistenza diretta ai cittadini. Le attività di adeguamento, smantellamento e sostituzione delle postazioni sono state condotte dall’Amministrazione regionale nell’ambito della più ampia azione di delocalizzazione e risanamento delle infrastrutture esistenti prevista dalla Legge regionale 4 novembre 2005. 122 Le Associazioni di categoria hanno espresso dubbi circa la concreta possibilità di partecipazione ed ac- cesso alle risorse del bando da parte delle tv locali interessate al passaggio dall’analogico al digitale.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 243 Di notevole entità le risorse messe a disposizione dalla Regione Campania che, grazie al sostanzioso apporto dei Fondi strutturali comunitari, ha destinato 10 milioni di euro (importo complessivo massimo) da erogarsi sotto forma di contributi per “agevolare il necessario adeguamento tecnologico degli impianti delle tv locali123. Nel dettaglio il contributo massimo concedibile a ciascuna emittente televisiva locale è pari a 200mila euro, in regime di aiuti “de minimis” ai sensi del regolamento (CE) 1998/2006124. Con un successivo decreto è stato approvato il bando rivolto alle piccole e medie imprese titolari di emittenti televisive locali del Programma Operativo FESR Campania 2007-2013 per favorire il passaggio delle trasmissioni televisive dal sistema analogico al sistema digitale terrestre125. I contributi sono stati concessi per le seguenti attività: • progettazione e direzione lavori, consulenze, studi di fattibilità tecnica, economico- finanziaria, di marketing e altre spese generali nel limite massimo del 15% del totale delle spese complessivamente ammissibili del programma di investimento; • acquisto di macchinari, strumenti ed attrezzature, nuovi di fabbrica, indispensabili alla realizzazione del progetto; • acquisizione di brevetti, di software, di programmi e servizi informativi e telematici, di know-how e di diritti di licenza; • realizzazione e/o adeguamento degli impianti indispensabili alla realizzazione del progetto; • supporti informativi e servizi di e-business. Ulteriori 800 mila euro di provenienza del Ministero Sviluppo economico (vedi supra) sono stati stanziati dalla stessa Regione per la campagna di comunicazione ai cittadini da realizzarsi nel periodo di switch-over attraverso spot da trasmettere sulle tv locali. A tali risorse la Regione ha infine aggiunto 600 mila euro per formare nuove professionalità in grado di operare all’interno delle nuove piattaforme digitali. In Piemonte il primo intervento significativo di sostegno è stato avviato a seguito della firma di un protocollo di intesa congiunto con il Ministero delle Comunicazioni e l’Associazione Dgtv il 1 dicembre 2007126. L’accordo, fra le varie misure, prevedeva il co-finanziamento Stato-Regione a partire dal 2008 per la realizzazione dei seguenti interventi: 1. realizzazione delle più opportune iniziative per favorire la transizione al digitale da parte di famiglie economicamente o socialmente disagiate, utilizzando i fondi previsti dalla Legge Finanziaria 2007 (vedi supra) nella misura di 11 milioni di euro in due anni a partire dal 2008, di cui 10 milioni in capo a Stato e 1 milione in capo a Regione Piemonte. A tal fine il Ministero delle Comunicazioni e Regione Piemonte, di comune intesa, determineranno i criteri per individuare le categorie di destinatari delle suddette iniziative; 2. il Ministero delle Comunicazioni, tenendo conto delle esigenze della Regione Piemonte, si impegna a favorire e sviluppare le migliori iniziative per la diffusione della tecnologia digitale, ponendo una specifica attenzione sull’infrastrutturazione delle aree marginali del

123 Deliberazione del Consiglio Regionale n. 1240 del 15 luglio 2009. 124 Ogni progetto di legge che conceda finanziamenti e agevolazioni deve essere notificato e autorizzato dalla Commissione Europea come stabilito dalle norme europee relative agli aiuti di stato. Fanno eccezione alcuni tipi di aiuti che sono autorizzati mediante degli appositi regolamenti di esenzione dell’Unione Europea definiti aiuti de minimis. Si tratta di finanziamenti e agevolazioni di piccola entità, il cui importo è considerato irrilevante per generare turbative del mercato e della concorrenza. Gli Stati possono quindi erogare aiuti alle imprese di qualsiasi dimensione, in regime de minimis, senza obbligo di notifica, nel rispetto delle condizioni di cui, attualmente, al regolamento CE della Commissione n. 1998/2006. Solo per gli anni 2009 e 2010 la Commissione europea ha in- nalzato da 200mila a 500mila la soglia massima degli importi concedibili. 125 Decreto dirigenziale n. 244 del 29 luglio 2009. Il bando è stato lanciato in attuazione dell’obiettivo opera- tivo 5-2 – Attività sub B) del Por Fesr. 126 Protocollo di intesa per la definitiva transizione alla televisione digitale terrestre (switch off) nel territorio della Regione Piemonte.

244 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni territorio piemontese, in relazione all’attuazione del progetto di transizione tecnologica predisposto dalla RAI, ai sensi del decreto del Ministro delle Comunicazioni 2 agosto 2007; 3. sviluppo della progettazione, realizzazione e messa in onda di servizi di pubblica utilità diffusi su piattaforma televisiva digitale, con il coinvolgimento dei broadcaster per la messa in onda e degli enti strumentali della Regione per lo sviluppo di applicazioni rispondenti alle esigenze della Regione nonché di attività di ricerca e innovazione a supporto della transizione al digitale nella misura di 5 milioni di euro in due anni a partire dal 2008, di cui 4 milioni in capo a Regione Piemonte e 1 milione in capo al Ministero. Dopo ripetuti appelli lanciati dalle Associazioni di categoria, è stata approvata la Legge regionale 26 ottobre 2009 n. 25 (Interventi a sostegno dell’informazione e della comunicazione istituzionale via radio, televisione, cinema e informatica). La legge mira, da un lato, a conferire una normativa organica disciplinando il “sistema integrato delle comunicazioni”, favorendo la nascita e lo sviluppo delle nuove forme di comunicazione e di informazione; dall’altro, punta a sostenere il sistema dell’emittenza radiotelevisiva locale nell’attuale fase di transizione al digitale terrestre. Per quanto attiene specificatamente agli interventi a sostegno delle emittenti radiotelevisive (Capo III) sono fissati i seguenti obiettivi: 1. agevolare in via prioritaria il passaggio dall’analogico al digitale, la convergenza tecnologica, la fruibilità in logica multicanale dei prodotti editoriali; 2. favorire i progetti volti all’aumento di occupazione giovanile e femminile, le iniziative volte a dare una dimensione europea alle notizie e ai servizi giornalistici locali, la progettazione e realizzazione di notiziari e servizi per non vedenti e non udenti; 3. sostenere le tendenze all’affermarsi di sistemi di trasmissione radiotelevisiva via internet (IpTv e web radio), per la loro ricaduta sul sistema della comunicazione di prossimità, specie nel campo dell’uso dei servizi sociali, della sanità e della comunicazione d’emergenza; 4. incoraggiare, nell’ambito della tutela della proprietà intellettuale, la diffusione di modalità ispirate ai principi di condivisione di contenuti culturali e della conoscenza; 5. favorire le forme di aggregazione editoriale attraverso accordi, consorzi e altre forme associative e di intesa, per mettere le imprese in grado di gestire in comune impianti di messa in onda, strutture amministrative di logistica aziendale, trasmissione di dati per conto proprio e per conto terzi, strutture redazionali e modalità di produzione e diffusione di contenuti; 6. sostenere la costruzione di reti di emittenti su base regionale, che siano attivabili periodicamente in occasione di eventi di impatto particolare e che richiedono una diffusione capillare di segnali e messaggi sul territorio, sia a fini di promozione di manifestazioni di grande rilievo, sia di prevenzione e difesa sociale; 7. sostenere la diffusione di nuovi sistemi di ricezione digitale e tipi avanzati di decoder, incentivandone l’uso da parte del pubblico; 8. promuovere i prodotti editoriali di qualità sui periodici locali d’informazione, sulle emittenti radio-televisive piemontesi e sulle testate on line; 9. sostenere gli abbonamenti alle agenzie di stampa che abbiano copertura nazionale, regionale, o almeno interProvinciale, per garantire un flusso continuo di notizie alle redazioni giornalistiche delle emittenti radiotelevisive locali e alle testate on line; 10. promuovere la progettazione e realizzazione di nuovi formati di notiziario e programmi di comunicazione di prossimità di interesse regionale, favorendone la fruizione in modalità multicanale; 11. agevolare la costruzione di piattaforme e sistemi editoriali che consentano l’archiviazione, indicizzazione e condivisione dei contenuti informativi multimediali, ai fini della loro

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 245 valorizzazione culturale e di mercato; 12. favorire la produzione e la diffusione di notiziari radiotelevisivi su base locale; 13. favorire e sostenere la produzione di programmi specificamente dedicati ai minori e al pubblico giovanile, ivi compresi prodotti di informazione locale. Per l’attivazione di tali interventi la Regione si avvale di una serie di strumenti quali: 1. convenzioni e contratti con le società di telecomunicazione e con la società concessionaria del servizio pubblico generale di radiodiffusione; 2. agevolazioni, offerte di servizio ed erogazione di contributi in conto capitale e in conto interessi; 3. concessione di garanzie sussidiarie, a fronte di operazioni di finanziamento e locazione finanziaria; 4. messa a disposizione di piattaforme idonee; 5. finanziamento di corsi di formazione e aggiornamento; 6. iniziative premiali rivolte ai giovani, borse di studio e stages finalizzati al miglioramento degli standard di qualità e alla progettazione e realizzazione di nuovi formati d’informazione e comunicazione; 7. studi e ricerche volti ad offrire piattaforme editoriali e applicativi di interconnessione e fornire dati utili sui flussi di comunicazione e sulle tendenze del mercato. Le risorse stanziate dalla Regione del comparto ammontano per il triennio 2009-2011 a circa 2,5 milioni di euro di cui: 1. 500 mila di spesa corrente per il 2009, gran parte dei quali destinati a risolvere il problema della mancata ricezione del segnale Rai in alcune zone montane (65 comuni per un totale di 25 mila famiglie ancora “oscurate”), adeguando i ripetitori che non rientrano fra quelli oggetto di interventi della Rai o che ricevono finanziamenti ministeriali. Lo stanziamento della Regione riguarda in particolare una cinquantina di ripetitori; 2. 1 milione all’anno di spese per investimento in conto capitale per i due anni successivi per facilitare il passaggio al digitale nel Piemonte orientale, previsto per l’autunno 2010127. Il 30 novembre 2009 le emittenti televisive locali piemontesi hanno, inoltre, sottoscritto un memorandum di intesa con la Regione per definire le modalità con cui la stessa sosterrà il passaggio al digitale. Il memorandum poggia su tre interventi: 1. campagna pubblicitaria di comunicazione rivolta ai cittadini, da pianificare sul complesso delle tv piemontesi, da spendere entro marzo 2010, per un totale di 1 milione di euro da suddividere fra le emittenti in base ad un criterio (già utilizzato dal Ministero) che prevede un 50% diviso in base a tre dimensioni d’impresa ed il restante in base al punteggio delle graduatorie Corecom; 2. stipula di una convenzione tra la Regione, il sistema bancario locale, l’ABI e i consorzi di garanzia, in base al quale le emittenti potranno accedere ad aperture di credito “per liquidità” o affidamenti a breve con la garanzia della Regione fino all’80% delle somme concesse; le imprese devono essere affidabili ma l’operazione dovrà aggiungersi alle linee di credito già concesse; 3. istituzione di un bando per il passaggio al digitale che avrà una misura specifica per le tv locali, in base al quale saranno concessi contributi per le diverse azioni di investimento (materiale ed immateriale) che le emittenti devono intraprendere o hanno già intrapreso sia per l’hardware ma soprattutto per quegli elementi immateriali più difficile da finanziare, come consulenze per innovazione tecnologica, know-how, progetti sviluppo,

127 L’articolo 18 della Legge prevede che i fondi per l’anno 2009 della spesa corrente e 2010 delle spese di investimento siano prioritariamente destinati a facilitare la transizione al digitale terrestre da parte delle emittenti regionali e a garantire, anche da parte delle comunità montane, il servizio nelle aree marginali.

246 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni riqualificazione del personale, organizzazione aziendale. Il budget previsto è pari a 4 milioni di euro e gli importi a cui potrà accedere ogni emittente variano da € 150.000 a € 500.000, a seconda della dimensione aziendale (individuati in base alle graduatorie Corecom in 3 categorie di emittenti). Una quota pari a 1/3 sarà a fondo perduto mentre la restante quota di 2/3 dovrà essere restituita in cinque anni, a tasso zero128. Il memorandum è stato successivamente approvato dalla Giunta Regionale del Piemonte il 19 gennaio 2010 e grazie anche all’utilizzo di fondi comunitari (Fesr) prevede uno stanziamento complessivo di 8,6 milioni di euro.

4.2 Editoria

Il sostegno pubblico all’industria dei quotidiani e dei periodici in Italia ha inizio nel 1935, con l’istituzione dell’Ente Nazionale Cellulosa e Carta, che erogava sovvenzioni all’industria dei quotidiani per l’acquisto, e quindi la tutela, della carta italiana, attraverso delle compensazioni sul prezzo di acquisto. Agevolazioni tariffarie (per servizi telefonici e postali) furono poi introdotte con la legge 482 del 1949. L’integrazione del prezzo della carta venne confermata dalla legge 168 del 1956, mentre a partire dalla legge 1063 del 1971 vennero istituiti dei contributi straordinari assegnati in modo inversamente proporzionale alla quantità di carta utilizzata, nonché forme di credito agevolato. Un ulteriore potenziamento di queste forme, insieme ad obblighi di trasparenza per le imprese assegnatarie di contributi e ad un allargamento delle tipologie di beneficiari (agenzie di stampa, editoria periodica) dei contributi si ebbe con la legge 172 del 1975129, che prevedeva l’istituzione di un Registro nazionale della stampa e di una Commissione preposta a vagliare i requisiti per accedere ai contributi. La legge 416 del 1981 ha sostituito le sovvenzioni generalizzate con provvidenze più mirate all’industria, sia attraverso misure dirette (a fondo perduto) che indirette (agevolazioni tariffarie), con il tentativo di spingere le imprese ad affrancarsi da un sostegno assistenziale, stimolandole agli investimenti e alla crescita. Le misure erano in origine previste per una durata di cinque anni, con l’obiettivo di abbattere inizialmente le barriere all’ingresso del mercato per lasciare poi che fossero le iniziative più meritevoli a mantenersi autonomamente. Interventi successivi (a partire dalla legge 939 del 1982 e dai pronunciamenti della Corte di Cassazione che riconoscevano ai percettori dei contributi un “diritto soggettivo perfetto”, sostanzialmente “automatizzando” i contributi130) hanno poi reso il sistema di aiuto pubblico “permanente” e praticamente sganciato dalla prospettiva di stimolare gli investimenti delle imprese e il loro affrancamento da un sostegno “esterno” quale l’intervento pubblico. La legge n. 62 del 2001, successivamente, ha posto a oggetto delle disposizioni il “prodotto editoriale” al posto della “impresa editoriale”, sottolineando la natura particolare, peraltro già espressa dall’art. 21 della Costituzione e da diverse sentenze della Corte Costituzionale, del “bene informazione” quale servizio di pubblico interesse131. Più specificatamente, la Corte Costituzionale ha sottolineato la necessità di garantire “il massimo del pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all’informazione”132. La legge 62 ha inoltre istituito un fondo per le agevolazioni di credito, nel tentativo di favorire gli investimenti ed incrementare il peso dei contributi indiretti rispetto a quelli diretti. Nel definire il “prodotto editoriale” ha inoltre preso in considerazione la diffusione dell’informazione via reti di comunicazione elettronica, nel tentativo di adeguare la normativa all’evoluzione tecnologica e alla fruizione di informazione attraverso le reti Internet (modalità, però, nella quale tende a sfumare la distinzione fra informazione professionale, con status d’impresa e obblighi di 128 La quota a fondo perduto è stata successivamente incrementata. La pubblicazione del bando è prevista per giugno 2010. 129 Cfr. Maria Romana Allegri, La disciplina della stampa, disponibile online all’indirizzo. 130 Cfr. Beppe Lopez, La casta dei giornali, Stampa Alternativa – Rai Eri, Viterbo-Roma 2007. 131 Sentenza della Corte Costituzionale 24 maggio 1977, n. 94. 132 Corte Costituzionale, sentenze n. 826 del 1988 e n. 420 del 1994, citate nell’IC35 dell’Agcm (vedi infra).

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 247 registrazione, e informazione user-generated). Doveroso, inoltre, menzionare come la riforma del Titolo V del 2001 abbia posto la comunicazione fra le materie di legislazione concorrente fra Stato e Regioni. Questo può prefigurare un quadro nel quale la policy regionale vada a sopperire alla contrazione dei fondi messi a disposizione dall’amministrazione centrale, con la possibilità di costruire un sistema maggiormente incentivante. In linea generale, le forme di intervento si distinguono in: • contributi diretti a favore delle imprese editrici di quotidiani e periodici; • contributi indiretti, ossia agevolazioni di credito e fiscali e riduzione delle tariffe per determinati servizi (di telecomunicazione e di spedizione postale – tipologia che riguarda anche l’editoria libraria). La maggior parte dei contributi diretti trova fondamento nella legge 250 del 1990, che ha delineato, e ristretto, l’area dei soggetti beneficiari di detti contributi. Si tratta generalmente di erogazioni a copertura fino a un massimo del 60% dei costi di bilancio, a favore di quotidiani organi di partiti e movimenti politici, quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti o da società che fanno capo ad enti no-profit come cooperative, fondazioni ed enti morali, quotidiani in altra lingua editi in regioni di confine, oppure editi e diffusi all’estero. I contributi sono quantificabili in una parte fissa commisurata ai costi (generalmente il 30%) e in una parte variabile in base alla tiratura133 di copie della testata. Fra i requisiti per l’accesso ai contributi, va menzionata una quota dei ricavi pubblicitari che non sia superiore al 30% (in qualche caso il 40%) dei ricavi totali. Tra i contributi indiretti, l’ammontare più rilevante è consistito - negli ultimi anni e fino al 2010, quando i fondi sono stati consistentemente tagliati - in tariffe agevolate per la spedizione in abbonamento dei prodotti editoriali (legge 46 del 2004). Poste Italiane applica agli editori una tariffa agevolata rispetto al prezzo normale e lo Stato versa a Poste Italiane la compensazione rispetto alla tariffa normale. Altre agevolazioni riguardano le tariffe per i servizi di telecomunicazione (fino al 50%), la riduzione dell’Iva al 4% e il credito d’imposta per l’acquisto della carta e agevolazioni di credito in conto interessi per investimenti tecnologici, fra cui progetti di ristrutturazione produttiva, adeguamento tecnologico, distribuzione e formazione. I contributi all’editoria sono gestiti dal Dipartimento Informazione ed Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel bilancio della quale sono inserite le diverse voci di intervento. La Presidenza gestisce inoltre alcuni interventi a favore della Rai (connessi alle attività estere del servizio pubblico), delle emittenti radiofoniche e televisive locali, nonché attività di comunicazione istituzionale, diffusione di notizie italiane all’estero, fondi per la mobilità dei giornalisti. Il 2010 ha visto un intensificarsi delle proposte e delle correzioni normative in materia di sostegno all’editoria – esigenza manifestatasi già nella legislatura precedente – intrecciandosi con i tagli alla spesa pubblica determinati dalla manovra economica. Solo alla fine di questo processo di riordino sarà possibile analizzare il risultato finale e l’impatto pratico sulle imprese e sul mercato. Basti citare l’interruzione (e la successiva reintegrazione parziale una tantum) dei fondi per le tariffe postali agevolate, il riordino dei requisiti per l’accesso ai contributi diretti (fra cui il calcolo sulle copie distribuite al posto delle copie stampate), ma soprattutto il passaggio, avvenuto con il decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008 (art. 44), dal diritto soggettivo al limite massimo delle risorse stanziate in bilancio nell’erogazione dei contributi, a prescindere dal fabbisogno degli editori e ripartendo pro-quota le risorse disponibili. Il diritto soggettivo è stato poi più volte reintegrato ed abolito, ed alfine garantito fino all’esercizio 2009. L’art. 44

133 Alla data di chiusura di questo studio, deve ancora essere approvato dal Consiglio dei Ministri il decreto di riordino dei criteri di attribuzione dei contributi, che saranno vincolati alla percentuale del venduto sul totale delle copie distribuite (e non più sul totale della tiratura).

248 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni prevedeva poi un regolamento di delegificazione che riordinasse l’intera materia che, all’agosto 2010, non era stato ancora approvato. L’assenza di un disegno organico sottostante appare come il tratto caratteristico dell’intervento pubblico a sostegno dell’editoria, così come è stato puntualizzato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella sua indagine sulle imprese editoriali: “La prima considerazione che sorge dalla rassegna delle diverse tipologie di sostegno pubblico al settore dell’editoria è l’eterogeneità dei criteri e delle modalità di erogazione dei contributi, rispetto ai quali non è agevole individuare un disegno organico sottostante, orientato alla tutela del pluralismo. L’attuale assetto appare essere la risultante di una progressiva stratificazione di misure, aventi obiettivi non sempre convergenti e basate su parametri di attribuzione e quantificazione non univoci. Inoltre, alcune misure sono state attuate in maniera discontinua, rendendo disagevole una pianificazione di lungo periodo da parte delle attività delle imprese editoriali”134. Allo stesso tempo, non risulta attivo un efficace sistema di monitoraggio e valutazione degli interventi, non solo relativamente all’efficacia economica delle misure, ma anche e soprattutto alle ricadute sul cittadino in termini di accesso alle informazioni, qualità dei servizi informativi fruiti e, in ultima analisi, benessere collettivo accresciuto. Non è, quindi, agevole determinare con precisione l’ammontare dell’intervento pubblico nel settore editoriale. Da qualche anno, il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio pubblica nel dettaglio i valori erogati per ciascuna testata, relativamente ai contributi diretti. Per il 2008, i dati a disposizione identificano, per le principali tipologie di intervento diretto, 161 milioni di euro di contributi versati, 18 in meno rispetto all’anno precedente. I quotidiani editi da cooperative di giornalisti raccolgono 46 milioni, poco più di quanto raccolgono i quotidiani editi da società controllate da enti no profit (come cooperative, fondazioni, enti morali) con 42 milioni. Agli organi politici, nel complesso vanno circa 38 milioni (erano più di 56 milioni nel 2004). Tabella 1 - Contributi diretti per tipologia di soggetti beneficiari, 2004-2008 Legge/anno- Soggetti beneficiari 2008 2007 2006 2005 2004 articolo.comma Organi di partiti e movimenti 250/90-3.10 26,19 29,91 28,79 27,52 26,69 politici Organi politici (coop entro 30-11- 388-153 11,75 16,96 nd 25,23 29,81 2001) Quotidiani editi da coop di 250/90-3.2 46,14 50,64 44,45 39,33 31,81 giornalisti Quotidiani editi da società controllate da cooperative, 250/90-3.2bis 42,32 48,58 43,89 48,11 38,09 fondazioni, enti morali Quotidiani in altra lingua – 250/90-3.2ter 5,37 5,36 3,93 5,41 5,33 Regioni di confine Quotidiani editi e diffusi all’estero 250/90-3.2ter 8,33 8,74 9,30 8,38 8,16 Periodici editi da cooperative di 250/90 - 11,69 10,84 11,22 nd 9,61 giornalisti 3.2quater Periodici editi da società controllate da cooperative, 250/90-3.3 9,23 8,30 5,90 6,85 3,67 fondazioni, enti morali Giornali italiani pubblicati e 416/81-26 nd nd nd nd 1,45 diffusi all’estero Pubblicazioni edite in Italia e 416/81-26 nd nd nd nd 0,62 diffuse all’estero Quotidiani italiani teletrasmessi 62/01-3 nd nd nd nd 2,07 extra-UE Editoria periodica per non vedenti dl 542/96-8 nd nd nd nd 0,47

134 Cfr. Agcm, IC35, Editoria quotidiana, periodica e multimediale, 2007.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 249 Associazioni consumatori utenti dpcm 218/99 nd nd nd nd 0,50 Totale (a perimetro non costante) 161,02 179,33 147,48 160,83 158,28 Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su dati DIE-PdCM. Per avere un quadro più ampio, i bilanci di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri offrono l’elenco degli interventi per capitoli di spesa, in maniera meno dettagliata riguardo ai contributi diretti (aggregati nel capitolo 466 “contributi alle imprese editrici di quotidiani e periodici”). Le uscite di cassa per questa voce, fra il 2003 e il 2007, sono cresciute da 186 a 214 milioni di euro (con una punta di 247 milioni nel 2006). Per il 2008 le previsioni di competenza dell’esercizio erano di 140 milioni, scesi a 50 per il 2009 e risaliti a 170 milioni per il 2010. La voce di spesa maggiore, però, è quella delle tariffe postali agevolate: nel 2003 era di complessivi 346 milioni (273 milioni sul capitolo 471 e 73 milioni sul capitolo 472) di uscite di cassa. Nel 2007 era di 243,7 milioni. Nel 2010 lo stanziamento iniziale di competenza era di poco più di 50 milioni, successivamente integrati con altri 30 milioni per determinati editori senza fine di lucro. Si tratta, in ogni caso, di cifre diverse da quelle offerte da Poste Italiane, sotto la voce “ricavi da compensazione tariffe editoria”, che per il 2009 ha contabilizzato 220 milioni di euro (e 247 milioni per il 2008, comunque in calo rispetto agli anni precedenti). Tabella 2 - Tariffe postali agevolate, comparazione fonti, 2004-2009 Fonti 2009 2008 2007 2006 2005 2004 PdCM - uscite di competenza (previsioni 45,4 149,4 161,2 67,7 234,4 308,3 assestate) PdCM - uscite di cassa (previsioni assestate) nd nd 243,7 182,5 234,4 308,3 Poste Italiane – ricavi da compensazioni 220,0 247,0 265,0 241,0 281,7 266,8 editoriali Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su dati DIE-PdCM e Poste Italiane.

Tabella 3 - Voci di spesa nei bilanci di previsione della Presidenza del Consiglio – DIE, 2004- 2010 Bilancio di previsione dell’anno 2010 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 asse- asse- asse- asse- asse- Previsioni iniziali iniziali iniziali state state state state state

comp/ compe- compe- Contabilità dei dati riportati cassa cassa cassa cassa cassa cassa tenza tenza

Anno di riferimento dei dati 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 Cap Voce di spesa Spese correnti - Interventi Contributi alle imprese 466 editrici di quotidiani e 170,00 50,00 140,00 213,99 246,96 173,56 158,86 186,15 periodici Contributi mutui a imprese 467 edit. estinzione debiti 31------6,30 15,88 22,61 12-90 Riduzioni tariffarie energia 468 4,00 4,06 4,31 13,43 10,98 18,99 20,86 17,28 elettrica e servizi tlc e satellite Editoria periodica per non 469 1,00 1,00 1,00 0,49 0,98 0,47 0,47 0,47 vedenti Rimborso Poste tariffe 471 agevolate (imprese ROC + 9,00 1,00 105,00 243,69 182,49 234,35 308,31 273,17 edit. libri) Contributi spese postali 472 50,80 44,45 44,45 0,00 - - 0,00 73,02 assoc. e org. senza fine lucro

250 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Contributo all’associazione 473 0,01 0,01 0,01 0,01 0,01 0,01 0,01 0,01 stampa estera Fondo mobilità e 559 0,00 0,00 0,00 3,52 6,17 10,95 0,98 6,65 riqualificazione giornalisti Diffusione notizie Agenzie 479 italiane informazione servizi 7,85 7,85 7,50 10,03 8,66 9,51 9,51 12,49 esteri Servizi stampa, accordi 560 di cooperazione campo 40,00 41,00 34,50 51,00 55,51 41,69 40,28 49,80 informazione Prog. sperim. multimedialità 561 per comunic. ist. e mercato 0,00 0,41 0,50 0,00 - - - - edit. Comunicazione pubblica 563 utilità sociale o interesse 15,00 10,00 10,00 28,33 11,86 12,20 10,55 11,39 collettivo Progetti di comunicazione 556 0,00 0,00 0,00 0,09 0,10 - - - finanziati UE Premi e sovvenzioni per 566 0,21 0,21 0,21 0,00 0,21 0,21 0,42 0,41 scrittori, editori, librai Spese in conto capitale - Investimenti Contributi mutui a imprese 935 edit. estinzione debiti 31- 0,00 6,30 6,30 22,06 6,30 0,00 0,00 0,00 12-90 Contributi conto interessi 936 finanziamenti sviluppo 0,00 0,00 0,00 34,46 15,00 13,08 22,42 43,41 settore Fondo agevolazioni credito 938 0,00 17,10 5,00 70,02 58,36 12,00 79,94 64,94 imprese editoriali Totale interventi e investimenti 297,87 183,39 358,78 691,12 603,59 533,32 668,49 761,80 settore editoriale Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su bilanci di previsione PdCM.

4.3 Cinema e spettacolo dal vivo

4.3.1. Introduzione

Tracciare l’evoluzione nel medio e lungo periodo del sostegno pubblico nazionale alle attività di spettacolo (dal vivo e riprodotto) ed individuarne le principali tendenze in termini di allocazione delle risorse tra i vari comparti per restituirne un quadro organico, è operazione piuttosto complessa135. Sulla base delle analisi di dettaglio condotte nelle pagine che seguono, si propone una visualizzazione della quantificazione delle risorse pubbliche destinate ai settori posti sotto osservazione riferite all’ultimo anno disponibile. Per una lettura più agevole le risorse sono state accorpate in due macroaree distinte: • quelle provenienti dal Fondo Unico dello Spettacolo e da ulteriori fondi (Arcus e il Lotto) destinate alla lirica, al cinema, alla prosa ed altre attività di spettacolo dal vivo (riquadro di sinistra); • investimenti pubblici in cinema e fiction effettuati dalla Rai sulla base degli obblighi di

135 Per le modalità di raccolta dei dati si rimanda alla nota metodologica. Esulano dal presente lavoro di ricognizione gli ambiti che afferiscono ai “beni culturali” (archivi, beni librari, istituti culturali, beni archeologici, beni architettonici, storico-artistici ed etnoantropologici, tutela del paesaggio, architettura e arte contemporanea) avendo incluso nel perimetro di analisi esclusivamente le “attività culturali” (spettacolo dal vivo e cinema). Sono altresì escluse le spese relative all’organizzazione, al funzionamento interno nonché al personale.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 251 servizio pubblico (riquadro di destra) e, come tali, prelevati dagli introiti del canone, unitamente ai fondi regionali per l’audiovisivo. Sostegno Rai e Regioni all’audiovisivo(cinema e FUS ed “extra FUS” fiction)

Fondi regionali all'audiovisivo Cinema (2008) (2009)

Attività Musicali (2008) Investimenti Rai cinema (2009)

Circo e Spettacolo viaggiante (2008)

Investimenti R ai in fiction (2010)

Fondi extra Fus Lotto (2008)

0 50 100 150 200 0 50 100 150 200 250 300

Fonte: IEM su fonti varie. Dati in milioni di euro. Un primo fattore critico riguarda il grado di affidabilità della fonte primaria di accesso ed analisi dei dati, ovvero la Relazione annuale al Parlamento sull’utilizzo del Fondo Unico dello Spettacolo (FUS) che raccoglie ed elabora i dati forniti direttamente dalle Direzioni generali competenti136. La relazione è curata dall’Osservatorio dello Spettacolo ed analizza le seguenti attività137:

Spettacolo dal vivo e riprodotto: articolazione in settori Fondazioni Lirico Sinfoniche Attività cinematografiche Attività musicali Attività di danza Attività teatrali di prosa Circhi e spettacolo viaggiante Destinata in via prioritaria a parlamentari ed addetti ai lavori, la Relazione ha il pregio di fornire una rendicontazione dell’insieme dei finanziamenti assegnati allo spettacolo, corredata da un corposo apparato normativo e regolamentare. Sotto questo profilo si presenta come uno strumento utile ed efficace per uno studio analitico sulla ripartizione delle risorse ai vari settori dello spettacolo articolati in base alla filiera (produzione, distribuzione, esercizio, promozione) ma continua a risultare inadeguata là dove si intende entrare nel merito delle scelte di investimento e verificare - attraverso una lettura dinamica dei dati - la coerenza tra finalità di politica culturale, criteri quali-quantitativi di valutazione e progetti ammessi al finanziamento138. Nel 1985 la legge istitutiva del FUS costituì una rilevante novità per il settore, sia per l’intento

136 Il Fondo Unico dello Spettacolo è stato istituito con la legge 30 aprile 1985, n. 163, “Nuova disciplina degli interventi a favore dello spettacolo”. La legge prevede che l’Osservatorio presenti una Relazione annuale sul suo utilizzo al Parlamento. La Relazione è consultabile attraverso il sito internet del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. I dati provengono dagli uffici della Direzione Generale dello Spettacolo dal Vivo e dalla Direzione Gen- erale per il Cinema. Quest’ultima, oltre a fornire un supporto all’Osservatorio, dal 2005 pubblica un proprio report limitatamente alle attività di sostegno alla produzione cinematografica. 137 L’Osservatorio dello Spettacolo opera presso la Direzione Generale dello Spettacolo dal vivo. In base ad una convenzione triennale (2008-2010) la redazione della Relazione al FUS è stata affidata all’Ente Teatrale Italiano (ETI). Si segnala che l’Ente teatrale è stato soppresso con decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010. Compiti e relative attribuzioni sono state trasferite alla Direzione Generale dello Spettacolo dal vivo. 138 Cfr. Luca Zan (a cura di), Le risorse per lo spettacolo, Il Mulino, Bologna 2009.

252 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni razionalizzante dei molteplici interventi statali sino ad allora operati, sia per la volontà di varare una nuova dinamica dell’azione pubblica caratterizzata da una più efficace programmazione a medio/lungo termine delle risorse in favore dello spettacolo139. In realtà tale approccio innovativo che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto portare ad una strategia di distribuzione delle risorse fondata su una analisi dinamica delle condizioni di mercato e sulle esigenze mutevoli dei vari comparti (attraverso un corretto dosaggio delle quote di ripartizione ai vari settori) ha lasciato ben presto il posto ad una cristallizzazione delle cosiddette “aliquote di riparto”, fatta eccezione per alcuni aggiustamenti in corso d’opera, lasciando inalterato l’assetto originario e inibendo la funzione programmatoria140. Le Relazioni sull’impiego del FUS, peraltro, non presentano lo stesso livello di dettaglio e di precisione, essendosi, nel corso degli anni affinate le tecniche di rilevazione e di analisi. Nelle ultime edizioni si riscontra, in effetti, un apprezzabile sforzo nell’introduzione di nuovi preziosi indici quali, ad esempio, la distribuzione dei contributi a livello regionale e provinciale, utile a verificare il grado di squilibrio dei finanziamenti su base territoriale e di riflesso il livello di concentrazione geografica dei contributi per macroarea, piuttosto che la disaggregazione del finanziamento per fasce di contributo. Le relazioni degli anni precedenti (almeno fino al 2001) appaiono molto più sintetiche e strutturate per aree aggregate e si limitano ad una mera elencazione di natura amministrativa dei capitoli di spesa, dei decreti e dei verbali della commissioni, rendendo difficoltosa una valutazione comparativa con gli impegni di investimento relativi agli anni successivi. La relazione, negli ultimi anni, si è arricchita di alcuni interessanti approfondimenti sulla domanda di spettacolo (spesa del pubblico in rapporto al numero di abitanti), sul mercato del lavoro e sulle caratteristiche dei beneficiari (forma giuridica, provenienza geografica, classificazione in base alle fasce di contributo nei diversi settori di attività, introduzione del criterio di intervento procapite) consentendo una valutazione decisamente più articolata delle politiche di sostegno141. Resta tuttavia un limite nell’approccio metodologico: ci si limita a svolgere una funzione di certificazione dei contributi erogati senza fornire informazioni qualitative: • sul processo decisionale che conduce alla selezione dei progetti (al di là dei criteri generali di valutazione previsti dai vari regolamenti); • sul grado di flessibilità del sistema di distribuzione delle risorse; • sul tasso di ricambio dei beneficiari attraverso una valutazione del numero delle prime istanze; • sulla dimensione progettuale (in termini di contributo richiesto) quale fattore determinante

139 Legge n. 163 del 1985: “Nuova disciplina degli interventi a favore dello spettacolo”. 140 Cfr. Angelo Zaccone Teodosi, Fus statico e vischioso tagliato per abitudine, “ dello spettacolo”, n. 18 del 7 giugno 2002. Può essere utile richiamare un passaggio della prima relazione al FUS per cogliere lo spirito rinnovatore e l’attualità a distanza di 24 anni delle questioni poste sul tappeto: “le varie leggi di rifinanziamento transitorio dei molteplici fondi sui quali ha finito per disperdersi la legislazione in materia di spettacolo non hanno ovviamente consentito una coerente programmazione delle attività né una seria verifica delle risorse pubbliche da impiegare in aggiunta agli auto-finanziamenti ed in rapporto ai costi di gestione”. Desta stupore la lucida analisi delle criticità che tuttora sono al centro del dibattito e la convinzione di poterle superare grazie al nuovo strumento finanziario: “il contributo statale ha finito per risolversi spesso in un inefficace trasferimento di ricchezza a carattere assistenziale. Con il Fondo Unico dello Spettacolo è ora consentita la programmazione degli investimenti pubblici e privati in un quadro di reale compatibilità con le esigenze generali della spesa pubblica e con la produttività che a questa spesa va costantemente riferita sia in termini industriali che culturali”. 141 L’ultima relazione disponibile relativa al 2008 si articola in 8 capitoli, suddivisi in due parti e completati da un’appendice: la prima sezione riepiloga e analizza il settore spettacolo in una prospettiva d’insieme ma anche disarticolata a livello regionale e provinciale, inclusa una ricognizione sulla spesa del pubblico seguita da un focus di approfondimento su specifiche tematiche; la seconda parte è dedicata all’analisi settoriale dei diversi comparti dello spettacolo: fondazioni lirico sinfoniche, attività musicali, attività di danza, attività teatrali di prosa, attività circensi e dello spettacolo viaggiante, attività cinematografiche, enti primari che operano nei diversi settori dello spettacolo con un focus annuale su ognuno di essi.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 253 rispetto alle possibilità di ammissione alla sovvenzione142. Da una recente ricerca empirica emergono alcuni fenomeni relativi alle scelte di finanziamento che indurrebbero ad una rivisitazione delle procedure sinora adottate. Circoscrivendo l’analisi ai settori dello spettacolo dal vivo (musica e teatro, lirica), lo studio evidenzia un “sistema incentrato su una retorica del finanziamento a progetto e sul processo di selezione, laddove una parte consistente delle risorse risulta assegnata e informalmente garantita nel tempo allo stesso ristretto numero di organizzazioni”143. Più in generale, a differenza di quanto accade in altri Paesi, il Ministero non ha ancora avvertito l’esigenza di affiancare alla Relazione attuale strumenti di analisi e valutazione economica dell’efficacia dell’investimento pubblico, con riferimento alle ricadute in termini diretti e indiretti attraverso un efficace sistema di monitoraggio ancorato ad indicatori di performance144. Un segnale di novità giunge dalla convenzione Mibac-Eti del 2009 che ha previsto, oltre all’assegnazione dei compiti dell’Osservatorio all’Eti, anche la realizzazione di uno studio sui meccanismi di sostegno allo spettacolo nei Paesi europei e l’individuazione di una serie di indicatori atti a valutare l’impatto del sostegno pubblico sullo spettacolo dal vivo145. In particolare risulta ancora assente un monitoraggio attento che consenta una valutazione globale delle iniziative svolte e dunque una valutazione puntuale dei risultati conseguiti dai finanziamenti concessi. Solo attraverso una strumentazione efficace di controllo e di verifica costante può discendere una più corretta pianificazione delle future attività e una quantificazione di eventuali ulteriori stanziamenti. Non è un caso che le decisioni che portano ogni anno alla ripartizione delle risorse nei singoli settori (i cosiddetti decreti di riparto e sub- riparto del FUS) non siano supportate da motivazioni che ne giustifichino la congruità146. In sostanza non è sufficiente dimostrare – là dove capita – l’impiego più o meno totale delle risorse stanziate sui determinati capitoli di spesa o la capacità di gestire con rapidità le istruttorie dei progetti presentati rispettando i parametri prefissati dalle norme, ma occorre accertare con una strumentazione ad hoc i risultati globalmente raggiunti dalle molteplici iniziative ordinarie e speciali finanziate, esprimendo una valutazione compiuta in termini di efficacia ed economicità dell’azione svolta, indicatori che presuppongono una programmazione negoziata con le Regioni 142 Nell’ultima relazione disponibile (anno 2008) si registra una significativa novità ovvero l’indicazione non solo del numero di progetti ammessi al finanziamento ma anche delle istanze non accolte o non perfezionate con- sentendo di verificare il tasso di approvazione dei progetti per ogni comparto finanziato e di avviare delle riflessioni sulle motivazioni che hanno portato all’esclusione e sulle scelte di finanziamento. 143 Luca Zan, (a cura di), Le risorse per lo spettacolo, cit. Dallo studio viene alla luce che nelle attività musicali, teatrali e nelle Fondazioni lirico-sinfoniche solo il 13% circa del Fus destinato a tali settori risponde ad una logica di allocazione delle risorse effettuata sulla base di un processo di selezione (finanziamento “non stabile”). La parte restante, risulta “bloccata” in quanto assorbita da organizzazioni beneficiarie di un finanziamento “dato” (costante, elevato e non subordinato al processi di domanda) e dalle organizzazioni che usufruiscono di un finanziamento “stabile” (mediamente elevato, costante nel tempo, seppure formalmente subordinato al processo di domanda e selezione). 144 Un filone di ricerca che va in questa direzione, seppure con un approccio più trasversale, è quello esplorato nel Libro Bianco sulla Creatività redatto nel 2007 da una apposita commissione di studio istituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e in cui si effettua una ricognizione del valore aggiunto di vari settori economici tra cui l’audiovisivo e lo spettacolo, nel tentativo di dimostrarne l’incidenza sul Pil. Interessanti studi di impatto sul territorio sono stati condotti dall’Università di Torino e di Trento nel quadro di iniziative volte a misurare attraverso il cosiddetto moltiplicatore del reddito l’efficacia di alcune iniziative (Olimpiadi di Torino piuttosto che il Festival dell’Economia di Trento). Cfr. “Progetto Capitale Culturale – Cultura Motore di sviluppo per Torino”, Edizione 2007-2009 (a cura della Città di Torino in collaborazione con la Facoltà di Economia dell’Università di Torino). 145 Nella relazione 2008 si legge: “Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ritiene strategica la futura attività dell’Osservatorio dello spettacolo e l’avvio di una nuova sinergia con l’ETI, specie nell’attuale contesto culturale, sociale ed economico di oggettiva difficoltà per il mondo dello spettacolo, che richiede qualificati ed efficaci strumenti di valutazione, indagine, analisi e previsione capaci di supportare e validare adeguatamente le scelte politiche e gestionali”. 146 Nel comparto cinematografico, occorre segnalare alcune critiche mosse di recente dalla Corte dei Conti quali l’impossibilità di ricostruire in modo compiuto l’andamento dei contributi ad alcuni settori (come l’esercizio); l’assenza di un sistema di controlli per i contributi alle imprese di distribuzione ed esportazione; il mancato ver- samento effettivo di risorse significative alle imprese di produzione beneficiarie di finanziamento; lo scarso ritorno in termini di restituzione dei prestiti erogati. Cfr. Gestione delle risorse del Fondo Unico per lo Spettacolo destinate al settore cinematografico, Corte dei Conti, anno 2009.

254 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni (vedi infra) e una strategia di intervento coerente in termini di criteri di valutazione utilizzati dalle Commissioni chiamate ad approvare o respingere i progetti. Un altro fattore che comporta effetti distorsivi nell’analisi del finanziamento pubblico allo spettacolo, compromettendo in parte una valutazione puntuale dell’entità delle risorse assegnate anno per anno dall’Amministrazione, attiene alla effettiva imputazione delle risorse agli anni contabili di riferimento e alla scelta di considerare gli importi per cassa o competenza. Nell’analisi che qui di seguito si propone, si è optato (per quanto possibile) per il dato effettivamente deliberato ed erogato dalle Commissioni competenti147. Gli importi indicati non corrispondono, pertanto, agli stanziamenti previsti dai decreti di riparto originari, incorporando spesso residui relativi ad anni precedenti, reintegri o fondi straordinari resi disponibili nel corso dell’anno, trasferimenti di risorse da una voce ad un’altra, esaurimento di fondi (come nel cinema). Tali scostamenti e sfasamenti temporali impediscono una verifica omogenea e si manifestano anche a causa dei frequenti ritardi nell’attribuzione delle risorse ai vari comparti: il fenomeno è evidente ad esempio nell’attribuzione dei premi di qualità o dei prestiti per la ristrutturazione delle sale nel settore cinematografico; la lunghezza delle procedure di esame da parte delle Commissioni e l’indisponibilità delle risorse ha determinato ritardi pluriennali nell’acquisizione del beneficio rispetto agli anni di proiezione delle opere. Il disallineamento temporale impedisce di fatto un confronto omogeneo sull’entità dei finanziamenti erogati di anno in anno. Nel corso degli ultimi anni si nota inoltre l’emergere progressivo di fondi “extra-FUS” monitorati in modo non organico e con intrinseche difficoltà di individuazione ed analisi all’interno della stessa Relazione annuale. A partire dal 2003-2004, il FUS, pertanto, non rappresenta più l’unica fonte di sostegno statale al settore in quanto negli anni sono state stanziate ed assegnate cospicue risorse aggiuntive, di carattere straordinario, ad integrazione degli stanziamenti ordinari. Ci si riferisce in particolare ai proventi dell’estrazione infrasettimanale del gioco del lotto, all’8 per mille (che tuttavia vanno allo Stato solo in minima parte), al 5 per mille, ai fondi gestiti dalla società Arcus e, sporadicamente e fin quando si è avuta capienza, alle spettanze della gestione dei fondi per il credito cinematografico e teatrale della Banca Nazionale del Lavoro. A questi, infine, si devono aggiungere altre risorse straordinarie provenienti di volta in volta da Leggi Finanziarie, decreti d’urgenza, “leggine” ad hoc o provvedimenti speciali come nel caso del Fondo di 60 milioni di euro stanziati a favore dello spettacolo dal vivo dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per il triennio 2007-2009 nel quadro del cosiddetto Patto per lo Spettacolo (vedi infra). Tali risorse aggiuntive, oltre ad aver assunto un peso crescente nel corso degli anni, sono distribuite con criteri differenti rispetto alle norme che regolano gli stanziamenti del FUS. L’ampio margine di manovra consente, peraltro, all’Amministrazione di ricorrervi sempre più di frequente per risolvere questioni di emergenza (come nel caso di Fondazioni Lirico-Sinfoniche che presentano bilanci in rosso) piuttosto che per sostenere enti di rilevanza nazionale in gravi difficoltà come Cinecittà Holding (nel 2009 fusasi con l’Istituto Luce), la Biennale di Venezia, l’Ente Teatrale Italiano148. Di particolare rilievo il caso del reintegro del FUS operato nel luglio 2009 (dopo vivaci proteste da parte degli operatori del settore) tramite un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri d’intesa con il Ministero delle Finanze che ha assegnato 60 milioni a favore del cinema e dello spettacolo dal vivo, portando da 397 a 457 milioni di euro le risorse complessive per l’anno in questione149.

147 La scelta trova così una maggiore aderenza e coerenza con l’impostazione metodologica alla base dei conti consolidati di finanza pubblica analizzati nella prima parte dell’approfondimento e che si basano sui conti pubblici territoriali risultanti dai bilanci di spesa. 148 Nel 2008, ad esempio, grazie ai fondi Lotto, le Fondazioni Lirico-sinfoniche hanno beneficiato di 20 milioni di euro aggiuntivi rispetto ai 215 stanziati a livello ordinario; Cinecittà Holding ne ha assorbiti 8, mentre altri 3 milioni sono stati dirottati verso la Biennale di Venezia. Dai Fondi del Lotto nel 2007 l’Ente Teatrale Italiano ha ricevuto il 90% delle risorse (10,5 milioni di euro) necessarie allo svolgimento delle proprie attività. 149 Durante la riunione del Comitato Problemi dello spettacolo (organismo consultivo del Mibac) che il 24 febbraio 2010 ha approvato la ripartizione del FUS per l’anno corrente (414,5 milioni di euro), il Ministero si è im- pegnato a chiedere anche per il 2010 alla Presidenza del Consiglio un reintegro del FUS che dovrebbe ammontare a circa 50 milioni.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 255 L’anomalia di un simile intervento risiede nel fatto che tali risorse straordinarie, essendo prelevate da un fondo per le emergenze della Presidenza del Consiglio, sono state assegnate sulla base di decisioni “politiche” di natura meramente congiunturale, contribuendo a rendere disomogenea e sempre meno uniforme l’articolazione e i meccanismi di funzionamento del sostegno pubblico al settore in esame150. Critiche non velate a questa pratica ormai consolidata di differenziare le forme di sostegno finanziario allo spettacolo giungono dagli stessi estensori della Relazione al FUS, sostenendo che è sempre più difficile “ricostruire in maniera omogenea il quadro complessivo del finanziamento e dell’unitarietà dell’azione statale verso il settore, obiettivi dichiarati della legge istitutiva del Fondo Unico per lo Spettacolo ma lontani dall’essere realizzati”151. Tale criticità renderebbe necessaria una nuova metodologia di analisi che ricomponga con un approccio unitario e strutturato la pluralità delle fonti di finanziamento nazionale in modo da restituire un quadro esaustivo dell’evoluzione del peso dei differenti livelli di sostegno pubblico allo spettacolo sia con riferimento agli apporti extra-FUS di provenienza nazionale sia con riferimento ai finanziamenti subnazionali provenienti da Regioni ed enti locali. Altro fattore critico, infatti, è l’assenza di un sistema di monitoraggio organico capace di mettere a confronto l’andamento della spesa pubblica a livello nazionale con le altre fonti di entrata provenienti dal livello sub-nazionale152. Si tratta del nodo più nevralgico alla luce della rilevanza crescente assunta da Regioni, Province e Comuni in termini di contribuzione ad un settore le cui attività hanno tradizionalmente un forte radicamento sul territorio ma soprattutto per effetto del nuovo assetto costituzionale che, a seguito della modifica al Titolo V, attribuisce alle Regioni competenza concorrente in materia di spettacolo153. La conoscenza sistematica di questi dati di raffronto consentirebbe di avere non solo un esatto quadro del peso di ciascun livello istituzionale ma anche di assumere decisioni nell’ottica di una maggiore razionalizzazione delle scelte di investimento. Timidi passi in avanti si registrano in ambito cinematografico, dove a partire dal 2008, la Direzione Generale per il Cinema ha avviato (nel quadro del Programma Triennale della Consulta Territoriale), un’attività istruttoria congiunta con le Regioni al fine di “razionalizzare gli interventi di sostegno e di sviluppare al meglio le iniziative più meritevoli, di individuare gli obiettivi e le azioni prioritarie a livello regionale e di predisporre banche dati condivise”154. Gli sforzi di coordinamento e di condivisione dei vari approcci metodologici fatti anche a livello regionale dai vari Osservatori ad oggi non hanno raggiunto risultati di rilievo155. Le difficoltà nel monitorare la stratificazione del finanziamento pubblico tra i vari livelli amministrativi non sono riconducibili solo alla mancanza di dati sistematici (non raccolti o laddove raccolti non utilizzati in modo ottimale nel processo di determinazione della

150 In questo caso al cinema sono stati destinati 24 milioni di cui 6 al credito per l’esercizio - somma che è stata interamente destinata alla liquidazione dei contributi in conto capitale per le opere di ristrutturazione ed am- modernamento delle sale, le cui pratiche erano ferme al 2008. 151 Relazione FUS, anno 2008, pag. 16. 152 L’unica eccezione è rappresentata dal sistema di rilevazione Conti Pubblici Territoriali messo a punto dal Ministero delle Finanze che, come abbiamo visto, inserisce il cinema e lo spettacolo dal vivo all’interno di un più ampio macro-aggregato. 153 Per approfondimenti Andrea Morrone, Lo spettacolo dopo la riforma del Titolo V: idee per una legge generale, in «Le Regioni», 1/2009, nonché Carla Barbati, Lo spettacolo: il difficile percorso delle riforme (dalla Cos- tituzione del 1948 al “nuovo” Titolo V e “ritorno”), in «Aedon», 1/2003. 154 Il coinvolgimento delle Regioni, avviato anche in ossequio alla sentenza della Corte Costituzionale n. 285 del 2005, al momento non ha ancora prodotto risultati significativi. Mentre, infatti, l’Amministrazione centrale ha fornito agli enti territoriali i dati relativi alle domande di contributo ad essa presentate, non tutte le Regioni hanno dato seguito allo “scambio virtuoso” di informazioni. Cfr Corte dei Conti, Gestione delle risorse del Fondo Unico per lo Spettacolo destinate al settore cinematografico, 2009. 155 Da segnalare che nell’ambito della citata convezione Mibac-Eti che ha assegnato a quest’ultimo il compito di redigere la Relazione al FUS, è previsto l’obiettivo di stabilire sinergie più organiche tra Osservatorio nazionale e osservatori regionali. Ricordiamo a tal proposito che nel triennio 2007-2009 è stato realizzato un progetto promosso dal Ministero (ORMA) volto a rafforzare il coordinamento tra osservatori regionali in modo da razionalizzare gli interventi e realizzare economie di scala.

256 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni sovvenzione)156. Tale mancanza è infatti lo specchio di una situazione di policentrismo ed assenza di logiche di cofinanziamento tra i vari canali di sostegno pubblico. Per superare questa criticità occorrerebbe abbandonare progressivamente il tradizionale approccio verticale (alto/ basso) che rende complesso un raffronto omogeneo tra attività (anche le medesime) sostenute a livello nazionale e regionale o locale e passare ad una visione orizzontale individuando un progetto di comune interesse e finanziandolo in modo complementare. Allo Stato si assegnerebbe un ruolo di acceleratore di investimenti là dove la quota di intervento nazionale viene effettivamente erogata in presenza di un analogo contributo dai livelli locali. Questi ultimi sarebbero cosi incentivati a rendere disponibili proprie risorse su progetti che sono concepiti e prendono forma analizzando le effettive esigenze del territorio e vengono poi condivisi e validati all’interno di organismi bilaterali che fungono da camere di compensazione (come la Conferenza Stato-Regioni) in modo da preservare una politica di intervento nazionale ottimizzando le risorse e aumentando l’efficacia delle azioni e le loro ricadute. In questa direzione si è mosso, ad esempio, il citato Patto per lo Spettacolo, inedito strumento fondato sul modello della programmazione negoziata, già in uso per gli Accordi di Programma Quadro157 e che pone al centro la collaborazione paritaria tra livello di governo centrale e realtà territoriali158. Questa iniziativa messa in campo “al fine di sostenere interventi in materia di attività culturali svolte nel territorio italiano per l’attuazione di accordi di cofinanziamento tra lo Stato e le autonomie” per la prima volta mette in pratica il principio sancito dalla riforma del titolo V della Costituzione avviando, in una logica di armonizzazione dell’ordinamento giuridico in tema di valorizzazione e supporto alle attività culturali e di spettacolo e di reale sussidiarietà, una collaborazione tra i diversi livelli di governo e di complementarietà rispetto alle risorse ordinarie del FUS. Il Patto prevedeva la firma di appositi accordi programmatici presentati dalle istituzioni locali tramite apposito avviso pubblico tenendo conto di una serie articolata di finalità fissate dal Patto stesso159. In ciascun accordo sono definiti obiettivi da perseguire, azioni prioritarie da realizzarsi, tempi di realizzazione, necessità finanziarie e modalità di compartecipazione alla spesa160. Nel 2010 il Patto non è stato rinnovato nonostante rappresentasse un tentativo innovativo di superamento di logiche tradizionali di investimento pubblico innescando meccanismi virtuosi di incentivazione e di partecipazione dal basso161.

156 Gli unici due segmenti della filiera per i quali è possibile valutare l’apporto finanziario dai vari livelli istituzionali sono i teatri stabili pubblici e le fondazioni lirico-sinfoniche. Le singole fonti di entrata per la prima volta sono stati resi pubblici nella Relazione al FUS per l’anno 2008. 157 Per una approfondita analisi degli Accordi di Programma Quadro si rimanda a L’evoluzione del sostegno pubblico all’audiovisivo, a cura di Alberto Versace, Lorenzo Canova, Tommaso M. Fabbri, Francesca Medolago Albani, in L’industria della comunicazione in Italia, XI Rapporto IEM, Guerini & Associati, Milano 2008. 158 Il Fondo è stato attivato dalla Legge Finanziaria 2007 (articolo 1, commi 1136 e 1137, della legge 27 dicembre 2006, n. 296) e sottoscritto il 25 gennaio 2007 da Stato e Regioni con una dotazione di 20 milioni per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Al termine del triennio di operatività il Fondo è decaduto. 159 La qualificazione del sistema dello spettacolo e la valorizzazione delle identità e delle vocazioni territo- riali, attraverso il sostegno economico ed organizzativo di progetti caratterizzati da uno stretto contatto con il terri- torio; la diversificazione dell’offerta culturale e la valorizzazione della programmazione legata alla contemporaneità, con particolare riguardo ai giovani e ai nuovi autori prestando attenzione alla sperimentazione dei nuovi linguaggi e alla promozione di nuovi talenti; la valorizzazione dei progetti in rete, in ambiti territoriali sovracomunali, sovrapro- vinciali, interregionali; la promozione di azioni volte all’ampliamento del pubblico e alla diffusione dello spettacolo presso le generazioni più giovani e le fasce di pubblico con minori opportunità di fruizione, anche con riferimento agli interventi pubblici nel Mezzogiorno d’Italia; l’adozione di strumenti che consentano una razionalizzazione sul piano degli interventi delle risorse statali e territoriali disponibili, al fine di evitarne la frammentazione garantendo una maggiore efficacia della spesa, anche attraverso forme di monitoraggio dell’offerta culturale del territorio e lo scambio reciproco di conoscenze ed informazioni. 160 Ogni progetto è stato finanziato fino all’importo massimo di 1 milione di euro, prevedendo come con- dizione l’impegno degli enti proponenti a reperire la stessa cifra dello stanziamento richiesto come finanziamento. Il cofinanziamento non poteva essere reperito a valere su contributi o finanziamenti erogati dal Ministero per le attività di spettacolo ad eventuali enti od istituzioni a qualunque titolo partecipanti al progetto. 161 Tra le ragioni che ne hanno determinato l’interruzione: la ridotta visibilità dei risultati delle iniziative poste in essere, le scarse risorse a disposizione e forse la convinzione che fossero sufficienti tre anni per mettere in

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 257 Va infine evidenziato come l’intervento pubblico non si esaurisca esclusivamente alla “contribuzione diretta” da parte dei vari organismi pubblici ma interviene anche in modo indiretto per mezzo di crediti di imposta ed agevolazioni fiscali, di donazioni da parte di persone giuridiche e, seppure in percentuale ridotta, di persone fisiche grazie ad incentivi. Basti pensare alla recente normativa introdotta per il settore cinematografico che introduce il “tax credit” e il “tax shelter”: le imprese interne ed esterne alla filiera potranno beneficiare di risorse quantificate in circa 100 milioni di euro all’anno. Si tratta di interventi che generano un impatto negativo sulle casse dello Stato in termini di minori entrate erariali ma che dovrebbero fungere da volano per un rafforzamento del mercato ed un maggior afflusso di investimenti privati tali da più che compensare il minor gettito previsto nei primi anni di applicazione162.

4.3.2 Evoluzione degli stanziamenti FUS e macrotendenze

Il Fondo Unico dello Spettacolo (FUS) è stato istituito per legge nel 1985 con il duplice scopo di riordinare gli interventi finanziari a favore dell’intero settore dello spettacolo e di conferire una disciplina unitaria a tali interventi. La previsione stabile di un fondo per il sostegno finanziario dello spettacolo ha consentito, a partire da quell’anno, di programmare le attività del settore con un orizzonte temporale più esteso, fornendo al tempo stesso agli operatori beneficiari delle assegnazioni maggiori elementi di continuità nella progettazione e nella gestione delle iniziative nei differenti settori sostenuti dallo Stato163. Ogni anno, in occasione del varo della Legge Finanziaria il Parlamento quantifica le risorse che costituiscono l’ammontare del FUS per il successivo triennio. L’ultima Legge Finanziaria approvata ha stanziato 418,4 milioni per il 2010 e poco più di 304 milioni per gli anni 2011 e 2012164. Pur sottostando inevitabilmente agli andamenti della finanza pubblica e subendo una progressiva diminuzione del potere d’acquisto per effetto della dinamica inflazionistica, il FUS – almeno per un certo periodo – ha garantito il finanziamento del settore con un buon grado di certezza per gli operatori del settore165. Andamento e composizione vanno letti – come già rilevato nel paragrafo precedente – alla luce di fonti aggiuntive di finanziamento dello spettacolo che, soprattutto negli ultimi anni, hanno consentito una sia pur contenuta integrazione delle risorse finanziarie, seppure con una logica ex post di natura emergenziale, sanando spesso le passività di alcune strutture pubbliche. La destinazione del FUS ai diversi settori è effettuata secondo una ripartizione percentuale su base annuale, originariamente stabilita dalla stessa legge di istituzione del Fondo. Tale proporzione riflette la percezione che l’amministrazione centrale ha del fabbisogno finanziario dei diversi settori, cui concorrono fattori svariati, dalla rilevanza percentuale dei costi fissi di produzione alle opportunità finanziarie date dai possibili sbocchi di mercato. La Legge n. 163/1985 prevedeva un ammontare di 700 miliardi di lire da ripartire secondo le

modo un circolo virtuoso tale da far proseguire negli anni a seguire solo sulle “gambe regionali” i progetti avviati in regime di cofinanziamento. 162 Le norme di agevolazione fiscale al cinema potrebbero essere estese anche al settore dello spettacolo dal vivo secondo quanto previsto dalla Legge quadro per lo spettacolo dal vivo attualmente in fase di approvazione in Parlamento. Per approfondimenti si rimanda a Angelo Zaccone Teodosi, Bruno Zambardino, Alberto Pasquale (a cura di), Il mercante e l’artista – Per un nuovo sostegno pubblico al cinema: la via italiana al tax shelter, Spirali, Roma 2008. 163 Per approfondimenti cfr. Bruno Zambardino, Lo Spettacolo dal vivo: il quadro normativo, Materiali Formez, febbraio 2006. Vedi anche C. Tubertini, La disciplina dello spettacolo dal vivo tra continuità e nuovo statuto delle autonomie, in «Aedon», 3/2004, Il Mulino. 164 Legge n. 191 del 23 dicembre 2009. La programmazione triennale della spesa è indicata nella Tabella C al- legata alla Legge Finanziaria. Si precisa che lo stanziamento si riferisce a risorse ordinarie cui, come vedremo, vanno ad aggiungersi fondi integrativi. Va tuttavia rilevato che gli importi programmati per gli anni a seguire sono spesso modificati dalla Legge Finanziaria dell’anno successivo in funzione delle esigenze dell’amministrazione. 165 Per un quadro esaustivo si rinvia alle considerazioni generali delle ultime relazioni annuali al Parlamento reperibili sul sito del Ministero Beni e Attività Culturali.

258 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni aliquote rappresentate dalla figura n. 1661 . Tale ripartizione percentuale originaria è mutata a seguito dell’introduzione della legge n. 555/1988, che abolendo le quote previste dalla legge del 1985, assegnava al Ministro per il Turismo e dello Spettacolo (attuale Ministero per i Beni e le Attività Culturali) il compito di stabilire le percentuali di ripartizione del Fondo con cadenza annuale167. In seguito all’introduzione di questa norma, nel 1990 furono operate alcune modifiche rispetto alla ripartizione originaria. In particolare, alla musica ed alla danza fu destinato il 61,8% (con riserva di ben il 47,8% ai tredici ex Enti Lirici) e la quota del cinema ridotta dal 25% al 19%. Figura 1 - Ripartizione FUS, anno 1985 Figura 2 - Ripartizione FUS, anno 2010

Cinema Cinema 18% 25,0% Prosa 16% Prosa 15,0%

Musica Musica e 14% Danza Fondazioni Fondazioni 13,0% Danza Lirico Lirico 2% Circhi e Sinfoniche Comitati e Sinfoniche Comitati e spett. Viagg 48% commissioni Circhi e 42,0% 0% Osservatori commissio Osservatori 1,5% o dello spett. Viagg ni 2% o dello Spettacolo 3,5% Spettacolo 0% 0,0%

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo.

Nel 2002 l’Amministrazione ha provveduto a ristabilire una nuova situazione di equilibrio dopo alcuni interventi straordinari (che avevano ridotto l’aliquota del cinema a favore della prosa) adottati per far fronte alle gravi difficoltà in cui versava il comparto teatrale. Come si osserva dalla figura n. 3, in quell’anno il settore della Prosa subisce una decurtazione di circa sette punti percentuali a beneficio delle attività cinematografiche. In seguito le proporzioni mutano in misura sostanzialmente irrilevante, perpetuando al tempo stesso il beneficio della stabilità ed il costo della mancanza di flessibilità e di adattabilità agli andamenti contingenti del mercato, anzi contribuendo in qualche misura ad irrigidirne le dinamiche. L’andamento dei finanziamenti complessivi (inclusi eventuali fondi integrativi) nell’intero arco temporale di funzionamento del FUS (dal 1985 al 2010) indica una prima fase di crescita, pur in presenza di oscillazioni piuttosto ampie sin dalla prima metà degli anni ’90 a causa della difficile congiuntura economica e delle difficoltà di bilancio pubblico del Paese. Al progressivo recupero del Fus avvenuto nella seconda metà degli anni ‘90, con un picco massimo delle risorse registrato nel 2001, unico anno in cui si supera la soglia dei 500 milioni di euro (in termini nominali), fanno seguito, a partire dal 2003, forti decurtazioni, con un percorso a ritroso che lo ricolloca ai valori registrati alla fine degli anni ’80. Questa seconda macrofase discendente segna nel 2006 il valore più basso, inferiore ai 430 milioni di euro. Nei due anni successivi si assiste ad una breve fase di crescita (nel 2008 le risorse superano i 470 milioni di euro) interrotta bruscamente nell’ultimo biennio con il picco minimo di 418 milioni registrato nel 2010. L’evoluzione in termini percentuali consente di leggere con maggiore dettaglio le varie oscillazioni intervenute nel corso dei 25 anni presi in esame.168 166 Da evidenziare che le risorse assegnate nel 1985 (anno di istituzione del FUS) registrano un incremento di quasi il 75% delle risorse rispetto al 1984, quando l’intervento pubblico era alimentato in maniera inadeguata at- traverso diversi provvedimenti normativi, spesso ad hoc o una tantum per far fronte ad esigenze specifiche. 167 Emanando un proprio decreto, previo parere del Consiglio Nazionale dello Spettacolo (attuale Comitato per i Problemi dello Spettacolo). 168 Note metodologiche: nel 1985 la Danza era accorpata alla Musica e il Fondo Integrativo provvedeva a

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 259 Figura 3 - FUS: evoluzione quote di riparto, 1985-2010

2010

2008

2006

2004

2002

2000

1990

1988

1985

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Fondazioni L.S. Cinema Prosa Musica Danza Altro

Nota: la danza ha acquisito un proprio capitolo di spesa a partire dal 1997. In precedenza era accorpata alle attività musicali. Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac.

Figura 4 - Evoluzione assegnazioni FUS, 1985-2010 (valori assoluti e percentuali)

2010 35% 2009 30% 2008 25% 2007 2006 20% 2005 15% 2004 2003 10% 2002 5% 2001 0% 2000 1999 -5% 1990 -10% 1988 -15%

1985 1990 2000 2002 2004 2006 2008 2010

Milioni 0 200 400 600

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac.

redistribuire le restanti risorse agli altri comparti. Nel 1998 la voce relativa al fondo integrativo include anche le spese per l’Osservatorio e i Comitati. Nel 2002 sono stati impegnati fondi BNL per 2,5 milioni per contributi in conto interessi per musica e prosa ai sensi dell’art. 13 della 163/85. Il totale relativo al 2009 include un reintegro (deciso nel settembre 2009) pari a 60 milioni di euro (per il 2010 il Mibac aveva ipotizzato un reintegro di 50 milioni ma, al momento in cui scriviamo non è stato formalizzato) successivamente ridistribuito ai vari settori. Il dato relativo alle FLS nel 2009 comprende ulteriori 20 milioni di integrazione oltre il riparto originario.

260 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni L’evoluzione dei finanziamenti ai singoli settori indica scostamenti più significativi per il comparto delle Fondazioni Lirico Sinfoniche169: ad una prima fase di crescita fino al 2001, anno in cui si supera la soglia dei 250 milioni di euro, segue una seconda fase calante che tocca nel 2006 il suo picco minimo per poi risalire negli anni successivi ed assestarsi nel 2010 ad un ammontare di poco inferiore ai 200 milioni. Figura 5 - Evoluzione assegnazioni FUS per comparto, 1985-2010 300 Fondazioni L.S. Cinema Prosa Musica Danza 250

200

150

100

50 Milioni 0 1985 1988 1990 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Nota: per il 2009 non sono state considerate le risorse derivanti dal successivo reintegro. Fonte: elaborazione su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Caratterizzato da maggiore stabilità il trend dei comparti cinema, musica e teatro posizionati in una fascia tra i 60 e i 90 milioni di euro, fatta eccezione per il 2002 in cui cinema e teatro registrano uno scostamento opposto e speculare per le ragioni sopra esposte. L’elemento più preoccupante è rappresentato dal divario crescente tra valore corrente e valore costante delle risorse annualmente assegnate. Nonostante la legge istitutiva del FUS prevedesse una indicizzazione triennale è agevole constatare come la forbice tra valore nominale delle risorse stanziate e quello effettivo che tiene conto del mutato potere d’acquisto si sia ampliata progressivamente. Il grafico seguente mostra in modo evidente il duplice andamento della spesa pubblica a seconda che la si analizzi staticamente in termini monetari o incorporando le dinamiche inflazionistiche che hanno caratterizzato i 25 anni di stanziamenti dall’anno della sua istituzione.

169 Ricordiamo che nel 1996 e nel 1998 i teatri d’opera sono stati oggetto di un duplice intervento legislativo che li ha trasformati da enti pubblici a fondazioni di diritto privato.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 261 Figura 6 - Evoluzione assegnazioni FUS, 1985-2009

600 Euro 1985 costanti Euro correnti 500

400

300

200

100

0 1985 1988 1990 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni. Se in valori correnti si è in presenza di un aumento complessivo delle risorse nominali pari, dal 1985 al 2010, al 11% circa, in termini reali il dato è vanificato dal mutato potere d’acquisto della moneta. Nel quarto di secolo intercorso infatti, la forbice si estende progressivamente fino a raggiungere il suo apice nel 2009: ciò comporta una forte contrazione delle risorse reali effettivamente a disposizione del mondo dello spettacolo, nel 2009 pari a circa 174 milioni di euro a fronte dei 397 milioni nominali. Il rapporto tra euro correnti ed euro costanti 1985 presenta nel periodo analizzato una forbice media superiore al 50%. L’andamento del FUS appare critico anche ponendolo a confronto con quello del PIL (Prodotto Interno Lordo): mentre quest’ultimo ha quasi quadruplicato (+3% in media all’anno) il suo valore, l’incidenza della spesa pubblica nazionale per lo spettacolo ha subito al contrario una forte flessione passando dallo 0,083% del 1985 allo 0,026% nel 2009 con una diminuzione effettiva che sfiora il 70%)170. La perdita di potere d’acquisto da un lato e la crescita meno sostenuta rispetto al PIL dall’altro suscitano tra gli addetti ai lavori forti preoccupazioni soprattutto alla luce dell’attuale fase di stagnazione e recessione, causate dalla crisi finanziaria mondiale.

4.3.3 I settori più rilevanti: cinema, fondazioni lirico-sinfoniche, attività musicali, prosa

Passando all’esame dell’andamento dei singoli comparti, va ribadito quanto anticipato nell’introduzione, circa le difficoltà di operare raffronti omogenei nel periodo considerato. Emerge in particolare una forbice a volte molto ampia tra stanziamenti ed assegnazioni effettive (oggetto della analisi per comparti che segue) per effetto di scostamenti contabili (cassa vs. competenza), integrazioni straordinarie, reintegri in corso d’opera, nonché per la presenza di residui, fattori che impediscono una corretta imputazione delle risorse rispetto ai singoli anni di esercizio. Lirica e musica Nel periodo 1998-2008, le Fondazioni lirico-sinfoniche unitamente alle “altre attività musicali” registrano nel loro complesso un andamento costante dei finanziamenti. Dopo un primo

170 Cfr Relazione FUS al Parlamento, anno 2008.

262 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni quadriennio in crescita che tocca il suo apice nel 2001, per le Fondazioni si osserva un periodo di stabilità con assegnazioni che restano sempre al di sopra della soglia dei 250 milioni fino al 2005. Dopo un forte arretramento nel 2006, l’ultimo biennio è caratterizzato da una nuova fase di crescita. Più stabile l’evoluzione delle altre attività musicali che si attestano in media attorno ai 60 milioni di euro con scarse oscillazioni nell’arco temporale considerato, salvo per il 2003- 2004, biennio in cui i contributi hanno superato i 70 milioni. Figura 7 - Assegnazioni 1998-2008 alle Fondazioni Lirico Sinfoniche e alle Attività Musicali

Fondazioni Lirico Sinfoniche Attività Musicali 300

250

200

150

100

50

0 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro.

Figura 8 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 alle Fondazioni Lirico Sinfoniche

Teatri di tradizione Attività Concertistiche e corali Istituzioni Concertistico-Orchestrali Festival

Lirica Ordinaria e sperimentale Corsi Concorsi 18

16

14

12

10

8

6

4

2 Milioni 0 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 263 Figura 9 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 alle Attività Musicali

20

18

16

14

12

10

8

6

4

2

0 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Regio di Torino La Fenice di Venezia Lirico di Cagliari Verdi di Trieste Comunale di Bologna Acc. Naz di Santa Cecilia di Roma Petruzzelli e Teatri di Bari

50

45

40

35

30

25

20

15

10

5

0 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Scala di Milano Opera di Roma San Carlo di Napoli Maggio Musicale Fiorentino Massimo di Palermo Carlo Felice di Genova Arena di Verona

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro. Entrando nel dettaglio dei 14 Teatri d’opera, si osserva un quadro molto variegato in cui la maggior parte delle Fondazioni è addensata nella fascia di contributo tra i 10 e i 20 milioni, con variazioni in crescita negli ultimi anni che riguardano in particolare il Lirico di Cagliari,

264 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni il San Carlo di Napoli e il Maggio Fiorentino, dopo una flessione generalizzata nel periodo 2004-2006. La Scala di Milano e l’Opera di Roma sono gli unici teatri ad assorbire volumi di risorse superiori ai 30 milioni di euro, in crescita nel biennio 2007-2008. L’unica Fondazione che riceve contributi inferiori ai 5 milioni di euro è anche l’ultima istituita che ha avviato le proprie attività dal 2004 (Petruzzelli di Bari). Nel macro comparto delle altre attività musicali, le realtà maggiormente sostenute, ovvero i teatri di tradizione, le istituzioni concertistico-orchestrali e gli altri soggetti che svolgono attività concertistica e corale, si collocano nella fascia alta assorbendo il 70% delle risorse complessive. Fatta eccezione per i festival che si posizionano in una fascia intermedia (attorno gli 8 milioni di euro), gli altri settori, dai corsi agli enti di promozione, dalla lirica ordinaria alle attività all’estero, figurano in una fascia bassa che solo in pochi casi supera i 2 milioni, registrando oscillazioni più o meno significative come nel caso dei progetti speciali e delle iniziative dell’amministrazione. Teatro di prosa Sul versante delle attività teatrali nel loro complesso possiamo osservare tre cicli nel decennio considerato: ad una prima fase di crescita progressiva culminata nel 2003 sfiorando i 100 milioni di contributo, è seguita un fase calante terminata nel 2006, anno a partire del quale si assiste ad una ripresa seppur contenuta, portando i contributi a poco meno di 85 milioni di euro nel 2008. Figura 10 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 al Teatro di prosa

120

100

80

60

40

20

0 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro L’andamento dei finanziamenti articolato per singoli settori evidenzia come l’area della stabilità (teatri stabili pubblici, privati e di innovazione) assorba la metà dei finanziamenti complessivi (nel 2008 41 milioni di euro) con un andamento altalenante nel corso del periodo preso in esame. In una fascia intermedia si collocano le compagnie di produzione che hanno subito una flessione a partire dal 2003, attestandosi nel 2008 attorno ai 20 milioni di euro. A parte l’Ente Teatrale Italiano (soppresso nel luglio 2010, vedi supra) che assorbe risorse superiori ai 10 milioni di euro e la circuitazione che ne riceve circa 5, le altre attività, quali la promozione, l’esercizio, l’estero e gli altri enti di rilevanza nazionale sono concentrate nella fascia più bassa assorbendo contributi quasi sempre inferiori al milione di euro.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 265 Figura 11 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 al Teatro di prosa

50

45

40

35

30

25

20

15

10

5

0 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Teatri stabili Imprese di produzione Ente Teatrale Italiano Circuitazione Esercizio Promozione Teatro di figura

3

2

2

1

1

0 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Istituto Naz. Dramma Antico Festival Biennale di Venezia prosa) Progetti speciali Accademia Naz. Sivlio D'Amico Estero

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro.

266 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Cinema Il settore cinematografico presenta caratteristiche del tutto atipiche rispetto agli altri comparti sostenuti dal FUS. L’amministrazione competente (Direzione Generale per il Cinema) impiega le risorse pubbliche per erogare contributi molto diversi tra loro non solo per le finalità perseguite, riconducibili ai diversi settori operativi dell’attività cinematografica (promozione, produzione, distribuzione, esercizio delle sale…), ma anche sotto il profilo delle procedure e della copertura, considerato che una consistente quota di tali risorse (stanziata sul cap. 8571 del bilancio del suddetto Ministero) affluisce al Fondo per la produzione, la cui gestione finanziaria è attualmente intestata ad Artigiancassa S.p.A. (gruppo Bnl-Bnp Parisbas). Da segnalare in particolare che nel cinema, a differenza degli altri settori, una buona parte dei contributi, quelli destinati alla produzione, sono erogati sotto forma di mutui rimborsabili171. La spesa pubblica nazionale a favore delle attività cinematografica, anche per i suddetti motivi, mostra un andamento molto altalenante con oscillazioni significative lungo l’arco temporale considerato. Figura 12 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 al Cinema

300

250

200

150

100

50

0 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac e Corte dei Conti. Dati in milioni di euro. Il picco più elevato è stato toccato nel 2003, in cui ci si è spinti oltre i 250 milioni di finanziamenti effettivamente erogati. A partire dal 2004-2005, anno in cui la cosiddetta riforma Urbani172 è andata progressivamente a regime, le risorse hanno subito una flessione fino al 2007, per poi stabilizzarsi nel 2008 attorno ai 125 milioni di euro173. 171 Nel 2008 è stata avviata la cd. “cartolarizzazione” dei debiti delle imprese cinematografiche in relazione ai finanziamenti statali dei progetti filmici di interesse culturale avvenuti fino al 31 dicembre 2006. L’articolo 20 del D.M. 12.4.2007 “Sostegno alla produzione” ha stabilito, difatti, una procedura per risolvere celermente l’annosa questione dei mutui non restituiti, prevedendo un meccanismo che portasse, alternativamente, all’acquisizione del 100% del film da parte dell’impresa mediante il versamento di una somma forfettaria (fissata secondo apposite tabelle di calcolo), o alla “cessione” del film interamente allo Stato (nel caso di non adesione del produttore interes- sato alla cartolarizzazione) per l’eventuale successivo sfruttamento. Nel 2008 sono stati attivati dal Ministero per i beni e le attività culturali i complessi procedimenti che hanno coinvolto, avvalendosi di Cinecittà Holding S.p.A. e del gestore dei fondi del cinema Artigiancassa S.p.A., centinaia di imprese produttrici a suo tempo destinatarie di finanziamenti statali. 172 Ci si riferisce al Decreto Legislativo n. 28 del 22 gennaio 2004 che ha introdotto, tra l’altro, meccanismi più rigidi nelle procedure di finanziamento alla produzione limitando l’apporto pubblico al 50% del budget comples- sivo (80% per le opere prime e seconde). 173 Ricordiamo che, in analogia con gli altri settori dello spettacolo, anche per il cinema gli importi elaborati non corrispondono agli stanziamenti ma (per quasi tutte le attività), alle erogazioni effettivamente deliberate. Gli scostamenti e sfasamenti temporali dipendono dalla reale disponibilità di cassa nell’anno di riferimento, dalla presenza o meno di residui utilizzabili e dalla farraginosità dei meccanismi dei numerosi fondi (Fondo di intervento, Fondo di garanzia, Fondi speciali gestiti dalla Sezione credito della BNL). Come già segnalato nel paragrafo introduttivo, i ritardi nell’attribuzione delle risorse ai vari comparti rendono estremamente difficoltosa una valutazione sull’efficacia quali-quantitaviva dell’Amministrazione riferita a ciascun anno. Tale fenomeno è evidente ad esempio nell’attribuzione dei premi di qualità: la lunghezza delle procedure di esame da parte delle Commissioni e l’indisponibilità delle risorse ha determinato ritardi pluriennali nell’acquisizione del beneficio rispetto agli anni di proiezione delle opere. A ciò si aggiunga un ulteriore elemento distorsivo legato alla presenza o meno di fondi

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 267 Oltre a riflettere le forti oscillazioni sopra richiamate, l’analisi a livello disaggregato per segmenti di filiera conferma come il finanziamento alla produzione (a sua volta strutturato in lungometraggi di interesse culturale e di produzione nazionale, opere prime e seconde, cortometraggi, sviluppo sceneggiature, contributi sugli incassi e premi di qualità) sia il settore che assorbe la maggior parte dei fondi pubblici (con una incidenza del 59% nel 2008). Nel corso del periodo esaminato il sostegno alla produzione è stato caratterizzato da una netta flessione a partire dal 2003 attestandosi nel 2008 a poco meno di 74 milioni di euro. Analoga sorte è toccata ai contributi a favore della distribuzione in Italia e all’estero (ridotti nel 2008 a poco più di 1 milione di euro), mentre è andato progressivamente esaurendosi il sostegno alle industrie tecniche tramite mutui decennali con tassi agevolati (laboratori di post-produzione, teatri di posa). Forti sbalzi hanno interessato anche i contributi in conto interessi e conto capitale per l’ammodernamento e la ristrutturazione delle sale cinematografiche per effetto di forti ritardi nell’erogazione dei finanziamenti deliberati174. Anche tale forma di sostegno si è andata esaurendo negli ultimi anni175. Più stabile l’andamento dei contributi a favore della promozione (premi alle sale d’essai, editoria conservazione e restauro, promozione all’estero, associazioni e progetti speciali) e agli enti di rilevanza nazionale, ovvero Cinecittà Luce, Biennale Cinema e Centro Sperimentale di Cinematografia. Tali soggetti risultano peraltro tra i maggiori beneficiari di fondi extra-Fus (Lotto), assorbendo un volume di risorse significativo che si aggira sui 32,5 milioni in media all’anno nel periodo considerato (sul totale delle risorse assegnate nel 2008, la quota a favore di tali enti è stata pari al 22%). Il mercato cinematografico italiano dovrebbe beneficiare di una forte iniezione di risorse finanziarie - quantificata nell’ordine di 80/100 milioni di euro - per effetto dell’entrata in vigore dei decreti sul tax credit e il tax shelter che introducono anche nel nostro Paese agevolazioni fiscali a sostegno della filiera176. Nello specifico, ai fini delle imposte sui redditi, un primo decreto riconosce un credito d’imposta (tax credit “interno” ) che, per le imprese di produzione cinematografica, è fissato in misura pari al 15% del costo complessivo di produzione di opere cinematografiche, riconosciute di nazionalità italiana. Tale credito d’imposta spetta fino all’ammontare massimo annuo di 3,5 milioni per ciascun periodo d’imposta177; Per le imprese di produzione esecutiva e le industrie tecniche che svolgano attività commissionate da committenti esteri il credito sale al 25% del costo di produzione fino all’ammontare massimo di 5 milioni di euro per opera filmica178. Un secondo decreto contempla ulteriori incentivazioni che prendono la forma della detassazione (tax shelter “interno”) degli utili delle imprese di produzione (si può abbattere l’imponibile

straordinari resi disponibili durante l’anno. Sempre sotto il profilo metodologico si sottolinea che per alcuni anni non è stato possibile disaggregare gli importi per singole voci. Ciò impedisce una affidabile analisi comparativa nel corso degli anni. 174 E’ opportuno specificare che per quanto riguarda l’esercizio, fino al 2004 sono disponibili solo i dati relativi all’ammontare complessivo sul quale calcolare i contributi sugli interessi e in conto capitale. Per ottenere un raffronto omogeneo con gli anni successivi, pertanto, si è proceduto ad una stima applicando una proiezione relativa al biennio 2005-2006. 175 Grazie all’introduzione della normativa sul tax credit (Legge Finanziaria 2008), le sale hanno la possibilità di beneficiare di un credito di imposta in regime di “de minims” (fino alla soglia di 500mila euro con un massimale di 50mila euro a schermo) pari al 30% delle spese inerenti la digitaliazzazione degli impianti di proiezione. Il regime di aiuti fiscali scade il 31/12 2010. 176 Il complesso iter procedurale dei provvedimenti ha avuto origine nella Finanziaria 2008 varata il 24 dicembre 2007. Dopo il via libera da parte di Bruxelles nel dicembre 2008 di un primo pacchetto di norme e le firme dei Ministri competenti (Economia e Beni Culturali) il 7 maggio 2009, i primi decreti interministeriali sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 15 luglio 2009. Nel settembre 2009 sono state emanate le disposizioni applicative e la relativa modulistica. Un secondo pacchetto di norme è stato approvato dalla Commissione europea nel luglio 2009. 177 Il beneficio è sempre condizionato al sostenimento sul territorio italiano di spese di produzione per un ammontare complessivo non inferiore, per ciascuna produzione, all’80% del credito d’imposta stesso. 178 Il tax credit alle industrie tecniche assicura una valorizzazione del nostro territorio (anche in termini di indotto turistico ed occupazionale) rendendo più conveniente per le grandi produzioni estere avvalersi dei servizi di produzione nazionali, di manodopera italiana nonché delle location cinematografiche, che ad oggi risultano ancora sottoutilizzate, nonostante la presenza e la diffusione delle Film Commission promosse dagli enti locali.

268 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni anche fino al 100%), con riferimento a film riconosciuti di nazionalità italiana. Il limite di spesa complessivo per questa specifica forma di agevolazione è pari a 30 milioni di euro per il triennio179. Figura 13 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 al Cinema

180 Produzione Enti di rilevanza nazionale 160 Promozione Distribuzione in Italia e all'estero 140 Industrie tecniche Esercizio 120

100

80

60

40

20

0 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac e Corte dei Conti. Dati in milioni di euro. Si tratta di due misure non cumulabili, applicabili con effetto retroattivo a partire dal 30 giugno 2008. Entrambi gli strumenti devono riferirsi a progetti cinematografici che abbiano valenza culturale, essendo soggetti a specifici “test di culturalità” che consentano allo Stato italiano di derogare (a determinate condizioni ed entro certi limiti) alle norme europee che vietano gli aiuti di Stato in quanto distorsivi della concorrenza180. I primi provvedimenti approvati riguardano agevolazioni di cui possono beneficiare solo le società di produzione, quelle di produzione esecutiva e le industrie tecniche (tax credit e tax shelter “interni”) e dal settembre 2009, con la pubblicazione della modulistica, sono già operativi. Il 22 luglio 2009 la Commissione europea, a seguito di ulteriori verifiche di compatibilità, ha approvato anche un secondo pacchetto di agevolazioni fiscali a favore di altre categorie della filiera come i distributori e (in parte) gli esercenti ma soprattutto degli imprenditori esterni al comparto, vera chiave di volta dell’intero impianto legislativo per l’afflusso di capitali esogeni. Le agevolazioni fiscali ai soggetti non operanti nel settore sono riconosciute in relazione ad investimenti nella produzione dei film riconosciuti di “interesse culturale” o con i requisiti per ottenere la nazionalità italiana. Gli investitori “esterni” potranno beneficiare di un credito di imposta pari al 40% degli apporti in denaro versati fino ad un importo massimo di € 1.000.000

179 In particolare 5 milioni di euro per il 2008, 10 milioni per il 2009 e 15 milioni per il 2010. 180 I test di culturalità consistono in griglie contenenti specifici criteri di eleggibilità, cui è associato un siste- ma di punteggio minimo e massimo ottenibile per ciascun film, attribuito attraverso procedure prettamente di tipo automatico. Proposti dalle Autorità nazionali, i “test” sono sottoposti al vaglio della Commissione europea, proprio allo scopo di verificare il concreto ed effettivo legame tra l’aiuto concesso e il prodotto culturale che ne beneficia.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 269 per ciascun periodo d’imposta. Per le imprese di distribuzione cinematografica sono previste due differenti percentuali e relativo ammontare massimo a seconda della tipologia di opera: 10 % fino ad un massimo di 2 milioni di euro per le spese sostenute per il sostegno alla distribuzione nazionale di opere di nazionalità italiana; 15 % fino ad 1,5 milioni di euro nel caso in cui il film sostenuto fosse anche di interesse culturale181. Sia distributori che esercenti possono stipulare (in analogia ai soggetti esterni) contratti di associazione in partecipazione e sostenere la produzione di opere cinematografiche di nazionalità italiana riconosciute di interesse culturale. In questo caso il credito di imposta è fissato al 20% dell’apporto in denaro fornito e può arrivare fino ad un ammontare massimo annuo di 1 milione di euro per ciascun periodo d’imposta. Le imprese non operanti nel settore possono infine beneficiare di una detassazione degli utili (tax shelter “esterno”) fino ad un limite massimo del 30%. In due anni di applicazione (giugno 2008 – giugno 2010) gli operatori del settore sono ricorsi a crediti di imposta per 114 film chiedendo benefici per circa 48 milioni di euro, di cui 10 milioni circa da parte di produttori esteri. Solo nel 2009 sono giunte in Italia, attratte dalla leva fiscale, sette importanti produzioni straniere. Nel complesso è stato calcolato che, annualmente, a fronte di minori entrate per 77 milioni di euro, l’effetto indotto genererebbe maggiori entrate per lo Stato per 173 milioni. Al settembre 2010, il Ministero aveva già deliberato 21 milioni di euro per 70 istanze il cui iter si era concluso positivamente. I provvedimenti approvati segnano una svolta importante nella logica di erogazione dei finanziamenti pubblici, spostando l’attenzione dai contributi diretti a meccanismi automatici e indiretti che riducono il potere discrezionale delle commissioni e premiano le capacità imprenditoriali dei produttori, nella consapevolezza che non è più sufficiente puntare sul ripristino (pur importante) dei livelli minimi di finanziamento pubblico derivanti dal Fus ma che è necessario aprirsi maggiormente al mercato e conquistare maggiore fiducia da parte di investitori e banche182. In coerenza con questo nuovo approccio, il Ministero per i Beni e Attività Culturali ha garantito agli operatori il rinnovo triennale (2011-2013) delle misure di agevolazione fiscale ma, al contempo, ha annunciato – anche alla luce delle risorse disponibili e delle priorità fra le linee di intervento – una riforma del sistema di sostegno varato nel 2004. Le novità annunciate alla fine del luglio 2010 da concordare con i rappresentanti del settore, sono le seguenti: • limitazione dell’intervento diretto dello Stato alle sole opere prime e seconde (inclusi documentari, e cortometraggi); • revisione dell’attuale sistema che regola l’accesso ai contributi percentuali sugli incassi e ai contributi in conto capitale alle sale cinematografiche; • intervento dello Stato in ambito promozionale circoscritto ai soli enti ed eventi di rilevanza internazionale o nazionale. Accanto alle risorse pubbliche provenienti dallo Stato drenate attraverso il Fus (e a quelle veicolate da Arcus e Lotto, vedi infra), occorre tener in debita considerazione il prezioso ruolo svolto da Rai Cinema183 a sostegno della produzione cinematografica italiana, in ossequio agli obblighi previsti ai sensi delle Leggi 122/98 e 112/04 (poi assorbite dal Testo Unico

181 Ai sensi dell’articolo 7, D.Lgs. 22.1.2004, n.28. 182 L’introduzione del tax credit determina, come primo effetto immediato e a parità di condizioni di sce- nario, una automatica riduzione delle entrare erariali stimata dagli esperti del Ministero in circa 77 milioni di euro, considerando gli effetti del tax credit interno ed esterno che andrebbero a decurtare il gettito attuale del settore, quantificato in circa 290 milioni di euro (limitatamente alle sole imposte indirette). Cfr. Agevolazioni fiscali per il cinema, I Quaderni dell’Anica, dicembre 2008. 183 Rai Cinema Spa, nasce nel 2000 a seguito dell’operazione di societarizzazione dell’ex Direzione Rai “Ac- quisto Fiction, Produzione Cinema e Vendita prodotti”.

270 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni del 2005) e ai vincoli indicati nel Contratto di servizio triennale stipulato con il Ministero delle Comunicazioni. La società controllata al 100% dal broadcaster pubblico investe ogni anno circa 80 milioni di euro tra produzione ed acquisto, un volume di risorse significativo considerando che gli investimenti complessivi nel settore nel 2009 sono ammontati a circa 300 milioni di euro. L’intervento di Rai Cinema nel settore cinematografico nell’arco di 10 anni si è concretizzato nella realizzazione di oltre 250 film, impiegando risorse per circa 400 milioni di euro. Sono state 200 le società del settore con cui ha collaborato e circa 300 i registi (inclusi corti e documentari).

4.3.4 Investimenti pubblici a favore della fiction nazionale e i fondi regionali per l’audiovisivo

Per completare il quadro delle risorse pubbliche destinate dalla Rai a favore del settore audiovisivo, va evidenziato il ruolo strategico svolto dalla Concessionaria di servizio pubblico a sostegno della produzione nazionale di fiction sulla base degli obblighi di investimento in programmi europei disciplinati a livello comunitario e nazionale appena richiamati. Il budget annuale destinato al comparto nel 2010 è sceso a 190,4 milioni di euro in costante diminuzione dal 2008. Le risorse sono distribuite tra una quindicina di società di produzione indipendente184, alle quali la Rai commissiona opere di vario genere articolate in differenti formati, dai tv movie (episodio unico) alle serie tradizionalmente programmate nel prime time televisivo di Rai Uno, fino alla lunga serialità (soap opera) del daytime. Il costo di ciascuna fiction può variare in media dai 4 milioni di una miniserie da 2 puntate (formato più diffuso nel piano di produzione 2010 con 15 produzioni approvate) agli 8 milioni di una serie da 6 puntate fino ai 14,5 milioni di una lunga serie da 13 puntate. Figura 14 - Investimenti Rai in fiction nazionale 2006-2010

300

250

200

150

100

50

0 2006 2007 2008 2009 2010

Fonte: elaborazione IEM su dati piano di produzione . Dati in milioni di euro. Una forma di sostegno pubblico regionale al cinema e all’audiovisivo era presente, in forma embrionale e poco strutturata, anche prima del processo di decentramento amministrativo verificatosi in Italia fra la seconda metà degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, e soprattutto in forma di sostegno alla promozione, attraverso il finanziamento dei festival cinematografici e audiovisivi locali. E’ però con la riforma del Titolo V della Costituzione (2001) che la potestà legislativa generale

184 In base alle normative comunitarie e nazionali una società di produzione indipendente è una società di produzione audiovisiva che non abbia un controllo maggioritario/vincolante da parte di una emittente televisiva, sia in termini di azionariato, che in termini commerciali. Viene considerato controllo maggioritario/vincolante quando più del 25% del capitale sociale di una società di produzione appartiene ad una sola emittente televisiva (50% quando sono coinvolte più emittenti) oppure quando, per un periodo di tre anni, oltre il 90% del fatturato di una società di produzione sia stato realizzato con una stessa emittente televisiva.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 271 sullo spettacolo viene affidata alle Regioni, lasciando allo Stato centrale la potestà di disciplina. Il processo segue una fase di crescita dell’interesse delle Regioni verso il cinema e l’audiovisivo e per le loro ricadute economiche e di marketing sul territorio, concretizzatosi attraverso la creazione delle Film Commission, agenzie pubbliche (raramente private o pubblico-private) di attrazione di attività di produzione audiovisiva sul territorio, di facilitazione amministrativa e, spesso, di intermediazione fra domanda e offerta delle professionalità coinvolte nella filiera produttiva. Al fiorire delle Film Commission segue poi un movimento di razionalizzazione e consolidamento, che porta ad una sinergia degli impegni fra i diversi livelli amministrativi locali e ad alcune fusioni tra Film Commission regionali e comunali nei capoluoghi di regione. La fase successiva al 2001 vede, quindi, la costituzione in molte Regioni dei Film Fund, fondi di sostegno alla produzione, generalmente vincolati a clausole di territorializzazione degli investimenti (ossia al fatto che la produzione spenda una data parte del suo budget sul territorio dell’ente finanziatore). Questi fondi sono spesso gestiti dalle Film Commission stesse, per le quali rappresentano una delle leve di azione della propria mission, oppure direttamente dalle Regioni attraverso gli assessorati competenti. Il primo fondo istituito, dalla Regione Friuli Venezia Giulia, risale al 2003 con una dotazione di 900mila euro per un triennio (poi cresciuti nel tempo), seguito poi dal Salento Film Fund (oggi assorbito da Apulia Film Fund) e dal fondo cinematografico della Regione Sardegna185. Una prima quantificazione delle risorse regionali a disposizione dell’audiovisivo è stata operata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo186. Nel 2009 risultano risorse di competenza dei Film Fund regionali per 15 milioni di euro, più che triplicati rispetto ai 4,9 milioni del 2007. Questi fondi hanno quasi compensato il calo delle risorse del Fus a sostegno della produzione (senza considerare, però, i fondi extra Fus) e sono erogati, per la maggior parte, dalle Film Commission, per quanto una parte considerevole di queste somme (6,4 milioni, oltre il 40%) venga gestita direttamente dalle Regioni. Tabella 1 - Fondi regionali alla produzione audiovisiva, 2009 Fondo M€ 2009 Fondi delle Film Commission 8,57 F.C. Regione Siciliana 3,00 Friuli Venezia Giulia F.C. 2,09 F.C. Regione Campania 1,80 Abulia F.C. 0,70 Piemonte Doc Film Fund (F.C. + Regione) 0,50 Bologna F.C. 0,24 Emilia Romagna F.C. 0,14 Marche F.C. 0,10 Fondi delle Regioni 6,44 Regione Toscana 4,50 Regione Lazio (via Filas) 1,29 Regione Sardegna 0,65 Totale fondi regionali 15,01 Fonte: Ente dello Spettacolo. Note: dati in milioni di euro Una più recente quantificazione delle risorse investite a livello regionale su tutta la filiera (sviluppo, produzione, distribuzione) è stata effettuata dall’ANICA, nel quadro di un progetto

185 Cfr. A. Versace, L. Canova, T.M. Fabbri, F. Medolago Albani, L’evoluzione del sostegno pubblico all’audiovisivo in L’industria della comunicazione in Italia. XI Rapporto IEM, Guerini e Associati, Milano 2008, anche per una disamina storica dei finanziamenti regionali all’audiovisivo, a livello italiano ed europeo. 186 Fondazione Ente dello Spettacolo, Il mercato e l’industria del cinema in Italia. Rapporto 2009.

272 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni di ricerca promosso dalla Direzione Generale Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali187. In base alla prime stime emerse dalla ricerca, il totale reso disponibile dal 2003 al 2010 è pari in 116 milioni di euro. In 4 anni (2006-2009) le risorse drenate per l’audiovisivo sono quasi quintuplicate. Nel 2009 il budget si è attestato a 29,6 milioni di euro (includendo anche le risorse provenienti dall’Accordo di Programma Quadro “Sensi Contemporanei188), di cui almeno il 40% destinato al cinema.

4.3.5 I fondi Extra FUS

A partire dal 2004 il settore dello spettacolo ha iniziato a beneficiare di fondi statali “extra FUS” ad integrazione degli stanziamenti ordinari, grazie all’istituzione della società Arcus (interamente a capitale pubblico) e alle norme che destinano una quota dei proventi del Lotto al settore dei beni e delle attività culturali, nonché dall’8 per mille e 5 per mille189. Figura 15 - Contributi Extra FUS 2005-2009

35,0

30,0 32,2 29,7 25,0 25,2 20,0 23,3

15,0 15,3 10,0

5,0

0,0 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro. Nel 2008, tali risorse avevano superato i 32 milioni di euro, una somma rilevante pari al 7% di quanto complessivamente stanziato in quell’anno a favore delle attività di spettacolo tra fondi ordinari e straordinari (471 milioni di euro)190. Nel 2009 le risorse, interamente derivanti dai proventi dell’estrazione infrasettimanale del gioco del lotto, sono state pari a 15,3 milioni, assegnate in particolare al Petruzzelli di Bari, a Cinecittà Holding e all’Eti. L’andamento di tali fondi nel corso degli ultimi 5 anni risulta molto altalenante riflettendo il carattere asistematico degli interventi posti in essere. Se da un lato tali fonti addizionali hanno consentito di rimediare a situazioni di forte criticità legate all’impossibilità di attingere alle dotazioni ordinarie in costante flessione, dall’altro hanno reso molto più complessa la lettura degli investimenti pubblici, soprattutto per quanto riguarda il finanziamento delle istituzioni a carattere nazionale operanti nel settore dello

187 Progetto di ricerca ANICA, “Mappatura degli strumenti di sostegno regionale al cinema”. Una prima pre- sentazione, dal titolo “Evoluzione dei fondi regionali per il cinema e l’audiovisivo: vincoli ed opportunità”, ha avuto luogo in occasione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia l’8 settembre 2010. 188 Il progetto Sensi Contemporanei “Lo sviluppo dell’industria audiovisiva nel Mezzogiorno” è stato av- viato nel 2005 dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (MISE) e dalla DG Cinema (Mibac) come innovativo strumento di policy per sperimentare le diverse forme di espressione dell’audiovisivo allo scopo di promuovere il territorio. I progetti di intervento hanno beneficiato di risorse FAS nazionali e regionali e sono stati realizzati tramite Accordi di Programma Quadro (APQ) tra lo Stato e le Regioni. Le Regioni coinvolte sinora sono state la Sicilia, la Puglia e la Basilicata. 189 Nel corso degli anni, seppure sporadicamente, il settore ha beneficiato anche dei fondi per il credito cinematografico e teatrale della Banca Nazionale del Lavoro (oggi gestiti da Artigiancassa) nonché di ulteriori risorse aggiuntive provenienti di volta in volta da leggi finanziarie, leggine ad hoc e da altri dicasteri. 190 Si evidenzia che sui 32,2 milioni erogati ben 20 sono stati attribuiti con importi differenti alle 14 Fon- dazioni Lirico-sinfoniche.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 273 spettacolo191, principali beneficiarie di questa speciale tipologia di fondi. Una parte delle risorse extra Fus affluisce anche attraverso i progetti speciali disposti direttamente dalla Pubblica Amministrazione192 o gli interventi di urgenza che si sono succeduti negli ultimi anni per venire incontro alle croniche sofferenze delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche193 o per sopperire ai ritardi pluriennali nella concessione dei contributi sugli incassi ai produttori cinematografici. Tabella 2 - Andamento contributi extra FUS per settori e numero progetti (2005-2008) 2005 2006 2007 2008 2009 Settore Sottosettore importo importo importo importo importo n. n. n. n. n. (000) (000) (000) (000) (000) Fondazioni lirico sinfoniche 1 4.380 1 3.000 1 4.000 14 20.000 1 6.000 Enti 1 654 1 621 Musica Enti di promozione 4 2.291 Progetti speciali 1 300 sub-totale musica 5 7.325 1 3.300 1 4.621 20.000 1 6.000 Danza Istituzioni 2 281 1 77 sub-totale danza 2 281 1 77 Prosa Enti 3 11.415 4 5.416 2 11.302 1 5.000 Progetti speciali 2 240 3 424 sub-totale prosa 5 11.655 7 5.840 2 11.302 1 5.000 Contributi sugli incassi 18 7.058 Enti 2 10.400 1 7.000 2 8.ooo 2 11.000 1 3.000 Estero 1 80 Cinema Produzione 1 130 Progetti speciali 2 1.150 Promozione 1 62 sub-totale cinema 3 10.462 20 14.188 5 9.230 11.000 1 3.000 Esigenze istituzionali cinema e sdv 1.223 1.287 Totale 16 29.723 29 23.328 10 25.230 16 32.223 15.287 Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dalla ricognizione emerge un forte carattere di discontinuità nelle scelte adottate dall’Autorità competente in merito all’entità e alla natura dei progetti da sostenere che appaiono al di fuori della originaria visione di sistema riconducibile all’istituzione del FUS. Le linee di intervento alla base dei provvedimenti - come riconosciuto dallo stesso Ministero - sembrano dettate più da opportunità del momento e da logiche di cassa, piuttosto che improntate a strategie di più ampio respiro. Nel 2008, inoltre, si osserva una maggiore concentrazione delle risorse a favore di alcuni enti (Fondazioni Liriche e Cinecittà) rispetto agli anni precedenti. Nel corso degli anni, la prassi di sostenere gli enti di rilevanza nazionale con risorse non ordinarie ha reso ancora più instabile ed incerto il quadro funzionale ed economico, a partire

191 Ci si riferisce a realtà quali Ente Teatrale Italiano – ETI; Accademia Nazionale di Arte Drammatica “Silvio D’Amico”; Fondazione La Biennale di Venezia; Fondazione Istituto Nazionale del Dramma Antico – INDA; Acca- demia Nazionale di Danza; Fondazione Opera dell’Accademia Nazionale Danza; Cinecittà–Luce Spa; Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia. 192 In base ai regolamenti in vigore per la varie discipline (teatro di prosa, cinema, musica ect.), possono essere concessi contributi ad iniziative, anche disposte direttamente dall’Amministrazione, da attuarsi esclusiva- mente nell’anno cui si riferisce la richiesta, di valorizzazione e promozione, nonché iniziative rivolte a particolari celebrazioni o eventi. 193 Il 19 aprile 2010 il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge che, secondo le intenzioni del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dovrebbe portare ad una gestione più efficiente delle Fondazioni liriche, razionalizzandone le spese e favorendo produttività e crescita qualitativa delle produzioni. Il testo prevede differenti gradi di autonomia a partire dalla Scala di Milano e dall’Accademia di Santa Cecilia e regole più rigide sul turn over dei dipendenti e sulle assunzioni. Ricordiamo che negli ultimi anni il Ministero è stato costretto a commissariare 5 Fondazioni.

274 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni proprio da quei soggetti che “dovrebbero incarnare la struttura portante a servizio dell’intero sistema spettacolo, e che invece rischiano, laddove condotti al di fuori dell’alveo naturale di finanziamento, di trovarsi in particolari condizioni di aleatorietà”194.

4.3.6 Le risorse Arcus per la cultura e lo spettacolo

La Società Arcus S.p.A. “Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo”, è stata istituita nel 2003195 (ma è operativa dal 16 febbraio 2004) con il compito di intervenire nella promozione e nel sostegno finanziario, tecnico-economico e organizzativo di progetti e di altre iniziative di investimento e nella realizzazione di interventi di restauro e recupero dei beni culturali e di altri interventi a favore delle attività culturali e dello spettacolo, nel rispetto delle funzioni costituzionali delle Regioni e degli enti locali. Il capitale sociale è interamente sottoscritto dal Ministero dell’Economia, mentre la operatività aziendale deriva dai programmi di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal ministro per i Beni e le Attività Culturali di concerto con il Ministro delle Infrastrutture. Il quadro normativo di Arcus trae origine dalla legge finanziaria 2003196, che prevedeva la destinazione agli interventi per i beni e le attività culturali del 3% degli stanziamenti per le infrastrutture, sulla base di criteri e modalità rimessi ad apposito regolamento del Ministero per i beni e le attività culturali, di concerto con quello delle infrastrutture e dei trasporti197. Con tale normativa, il legislatore ha introdotto una diversa ed innovativa configurazione degli interventi culturali, qualificandoli espressamente quali investimenti, enfatizzando il loro collegamento virtuoso con le infrastrutture sul territorio e valorizzandone l’impiego, quali fattori di sviluppo economico e sociale. Per l’attuazione del disegno normativo ed in alternativa alla azione diretta ministeriale è stata dunque prevista la costituzione di una società autonoma, allo scopo di assicurare, mediante una gestione imprenditoriale ed organizzativa maggiormente adeguata ai criteri di economicità, il più efficiente ed efficace perseguimento delle finalità di interesse generale indicate nella legge istitutiva. La principale missione istituzionale della Società è fungere da organismo “facilitatore”, chiamato a svolgere compiti di promozione e di sostegno di progetti ed iniziative di investimento, sia per il restauro ed il recupero dei beni culturali, sia per altri interventi a favore delle attività culturali e dello spettacolo. Per la realizzazione di questi compiti, Arcus è autorizzata ad erogare risorse in base a progetti presentati secondo determinati parametri e requisiti, rispettando precisi limiti di impegno di spesa, da stabilire in base ad un apposito regolamento interministeriale198. La società, sin dall’avvio delle sue attività, ha patito gravi difficoltà gestionali ed organizzative per la mancanza di precisi atti di indirizzo da parte dei Ministeri competenti (Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) e soprattutto per l’assenza del citato Regolamento attuativo sui criteri e modalità di destinazione degli interventi, nonostante le ripetute segnalazioni della Corte dei Conti intervenuta a più riprese per censurare le inadempienze della società199.

194 Cfr Relazione sull’utilizzo del FUS, anno 2008. 195 Ai sensi dell’articolo 2 della legge 16 ottobre 2003, n. 291. Disposizioni in materia di interventi per i beni e le attività culturali, lo sport, l’università e la ricerca e costituzione della Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo - ARCUS S.p.a. 196 Legge n. 289/2002 capo V “finanziamento degli investimenti” e art. 60 “finanziamento degli investimenti per lo sviluppo”. 197 Successivi decreti, prorogati fino alla fine del 2007, hanno assegnato ad Arcus una quota aggiuntiva del 2% sugli stanziamenti della Legge 443/2001 (cosiddetta Legge Obiettivo). 198 Arcus opera quale strumento di gestione e di reperimento dei mezzi finanziari calcolati su una quota degli stanziamenti statali per le infrastrutture; le risorse acquisite rivestono, anche per origine, la natura di investimenti, essendo le somme relative a mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti (da restituire in 15 annualità) ed allocate nella parte in conto capitale del bilancio statale. 199 I prolungati ritardi nell’adozione del regolamento e le conseguenti inadempienze hanno di fatto “impedito la verifica delle concrete capacità di realizzazione della precipua missione assegnata ad Arcus e dell’importante ruolo

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 275 Solo alla fine del 2008, a distanza di 4 anni dalla sua costituzione, con un decreto interministeriale200, il Mibac ed il Mit hanno adottato l’atteso Regolamento, cui è poi seguito il 13 gennaio 2009 un atto di indirizzo interministeriale con le linee guida del programma degli interventi. Fin dall’origine, l’azione della Società è stata regolata da una disciplina transitoria di urgenza che si è prolungata nel tempo, con riflessi negativi sulle modalità applicative e di funzionamento dell’ente, caratterizzato da una forte discrezionalità nel processo di selezione dei progetti e da una crescente frammentazione degli stanziamenti. Tali fattori “hanno sostanzialmente ristretto l’azione della Società a quella di mero organismo di promozione di iniziative eterodeterminate e spesso sostitutive o integrative di quelle ordinarie proprie del Ministero per i Beni e le Attività Culturali”201. Ulteriori inadempienze dei Ministeri di riferimento riguardano la nomina degli organi ordinari di governo della Società, i quali hanno funzionato in composizione completa solo durante il primo anno successivo alla sua costituzione. A partire dal mese di novembre 2006, infatti, ha preso avvio un prolungato periodo di amministrazione straordinaria (con due commissariamenti) che ha inciso negativamente sul pieno sviluppo della operatività aziendale202. Come stigmatizzato a più riprese dalla Corte dei Conti, la normativa transitoria ha lasciato ampi margini di discrezionalità ai Ministri interessati, restringendo progressivamente il ruolo della società a quello di mera agenzia strumentale e braccio operativo di decisioni eterodeterminate, in assenza di una compiuta programmazione integrata203. Nonostante i lavori di una apposita Commissione nominata dal Ministero vigilante nell’agosto 2006 abbiano ampiamente condiviso le osservazioni critiche della Corte dei Conti, prospettando come più idonea forma giuridica il modello della fondazione, nulla è sostanzialmente mutato sul piano dei comportamenti ministeriali e su quello normativo. Il nodo principale riguarda lo scarso impatto degli investimenti nei territori in cui sono stati realizzati i progetti: i fondi assegnati, in pratica, non hanno svolto la funzione di volano e moltiplicatore di ulteriori risorse senza generare benefici sociali ed economici – diretti ed indiretti – per l’intero Paese. La Corte dei Corti è giunta a prefigurare una chiusura della Società, considerata ineludibile nella ipotesi che gli interventi di Arcus dovessero mantenere le caratteristiche attuali, sostitutive o integrative di quelle ordinarie ministeriali.

innovativo di promozione e sviluppo di significativi interventi, prefigurato dal legislatore e posto a fondamento della sua istituzione”. Cfr. Relazione Corte dei Conti su Arcus, anno 2007. 200 Decreto 24 settembre 2008, n. 182 “Disciplina dei criteri e delle modalità per l’utilizzo e la destinazione per la tutela e gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali della quota percentuale degli stanziamenti pre- visti per le infrastrutture” pubblicato sulla G.U. n. 270 del 18/11/2008, entrato in vigore dal 3 dicembre 2008. 201 Tratto caratteristico del meccanismo di provvista delle risorse dovrebbe essere, a giudizio della Corte dei Conti, quello di fondare la parte preponderante dell’azione della società sul debito posto a carico dello Stato, al cui bilancio viene accollata la restituzione quindicennale delle somme mutuate. Questo sistema, se “facilita il reperimento di disponibilità immediate, trova giustificazione solo se si traduce in una più rapida ed economica capacità del loro impiego nella selezione e promozione di interventi idonei ovvero aventi natura di investimenti caratterizzati da effettiva innovatività e, dunque, oggettivamente diversi rispetto a quelli ordinari rimessi alle pubbliche amministrazioni operanti nel settore”. Cfr Relazione Corte dei Conti su Arcus, anno 2007. 202 Fino al 18/06/2008 la gestione, come nell’esercizio precedente, è rimasta affidata ad un organo monocratico rappresentato dal Commissario Straordinario Arnaldo Sciarelli, subentrato in data 01/04/2007 al precedente Commissario Guido Improta. Dal 19/06/2008 al 16/10/2008 la gestione è stata conferita con decreto interministeriale ad un nuovo organo monocratico rappresentato dal Commissario Straordinario Salvatore Italia. Dal 18/11/2008 è stata nominato, con decreto interministeriale, il nuovo Consiglio di Amministrazione, presieduto da Salvatore Italia. Il 18/12/2008 si è insediato il Consiglio di Amministrazione, sancendo il ritorno ad una gestione ordinaria della Società. 203 Tra le critiche mosse dalla Corte dei Conti anche quella di aver ridotto i programmi annuali e le relative convenzioni triennali a “mere elencazioni di singoli interventi, sempre più numerosi e frammentati, con atti di ap- provazione a volte troppo anticipati oppure eccessivamente tardivi, riguardanti progetti in gran parte già esauriti e spesso privi di significativa innovatività, in contrasto con le direttive di principio, proclamate negli stessi provvedi- menti emanati”.

276 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Come già accennato, nel febbraio 2009, a seguito dell’emanazione del regolamento attuativo, i Ministeri competenti hanno trasmesso ad Arcus il nuovo atto di indirizzo, nel quale il programma degli interventi è articolato in tre aree di intervento: • promuovere il sostegno e la riqualificazione del patrimonio culturale statale, non statale e religioso, attraverso azioni in relazione all’incidenza delle infrastrutture esistenti nel contesto di riferimento; • assicurare interventi di ripristino e tutela paesaggistica finalizzati alla salvaguardia e conservazione degli aspetti e caratteri peculiari del paesaggio; • promuovere altri iniziative a favore delle attività culturali e dello spettacolo. Con riferimento a quest’ultima area - oggetto della presente analisi – l’atto individua due specifici obiettivi: l’adeguamento e la valorizzazione delle strutture e attività teatrali, musicali e cinematografiche; la promozione di investimenti in grandi manifestazioni, eventi e incontri di rilievo tale da fungere da volano per il turismo e per lo sviluppo economico, sociale e culturale del territorio italiano, da svolgersi anche all’estero. Prima di illustrare il nuovo programma di interventi previsto per il triennio 2010-2012, è opportuno dare conto dei finanziamenti sin qui erogati da Arcus precisando che si tratta di una operazione complessa per via dei meccanismi procedurali legati ai mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti ma soprattutto per effetto di riassegnazioni in corso d’opera dovute a progetti non andati in porto. Come si evince dalla tabella riassuntiva delle somme stanziate e investite da Arcus anno per anno, i dati evidenziano una forte crescita degli stanziamenti annuali dal 2004 (primo anno di operatività) al 2006, passando in due anni da 57 a 80 milioni di euro. L’attività deliberativa risulta totalmente definita per gli anni 2004 e 2005, giovandosi peraltro di alcuni importi riassegnati di modesta entità. Tabella 3 - Evoluzione finanziamenti Arcus SpA (2004-2008) Riassegnazioni Riassegnazioni Importo mutuo con di importi di importi Importo Cassa DD.PP. (al relativi a relativi a identificato nel netto di spese per Importi progetti non progetti non Importi Anno programma investimenti Arcus, ancora da andati a andati a deliberati degli oneri di preamm.to deliberare buon fine o buon fine o interventi e proventi extra sul definanziati ex definanziati ex mutuo 2005) DL 16/03/2007 DL 24/09/2008 2008 7.918.794 (**) - - - - 7.918.794 2007 48.435.144 (*) - - 3.415.000 43.320.000 1.040.144 2006 80.161.000 78.650.000 38.210.000 1.220.000 39.220.000 0 2005 60.317.000 58.300.000 5.000.000 300.000 53.000.000 0 2004 57.370.000 55.560.000 2.650.000 2.189.100 50.720.000 0 Totale 254.201.938 - - - 186.260.000 - Fonte: elaborazione IEM su dati Arcus e Corte dei Conti.. Note: (*) L’importo è pari alla somma delle riassegnazioni relative a quanto previsto dal D.I. 16/03/2007, cui si aggiunge l’importo dell’extra provento relativo al mutuo per l’anno 2005, pari a € 2.575.144. (**) L’importo è pari alla somma delle riassegnazioni relative a quanto previsto dal D.I. 24/09/2008 (come in tabella), cui si aggiunge: a) € 17.183 residuo previsione interessi di pre-ammortamento ex P.I. 2004; b) € 17.000 previsione interessi di pre-ammortamento ex P.I. 2005; c) 11.000 residuo previsione interessi di pre-ammortamento ex P.I. 2006; d) € 749.511 per extra provento relativo al mutuo per l’anno 2006.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 277 Il fenomeno si dilata nel 2006, sino quasi alla metà dell’intero stanziamento, di cui rimane una modesta cifra da deliberare. Gli stanziamenti relativi agli anni 2007 e 2008 sono frutto di ulteriori riassegnazioni, a dimostrazione della presenza di carenze nella programmazione ministeriale, dovute a difficoltà e a rallentamenti delle procedure connesse agli stanziamenti assegnati agli organi decentrati del Ministero delle infrastrutture e dello stesso Ministero per i Beni Culturali. Nei 5 anni qui presi in esame, risulta deliberato il 73,2% delle risorse rese disponili nel programma degli interventi, pari a poco più di 186 milioni di euro, con una media annuale di 37,2 milioni di euro204. Figura 16 - Stanziamenti ed erogazioni Arcus (2004-2008)

90 Stanziamenti Erogazioni 80

70

60

50

40

30

20

10

0 Milioni 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione IEM su dati Arcus e Corte dei Conti. Per i primi 4 anni di attività (2004-2007) è possibile ricostruire la distribuzione delle risorse all’interno dei singoli settori. Più della metà degli importi è affluita al patrimonio (53,6%) mentre il 43,3% (pari a circa 20 milioni di euro) ha finanziato cultura e spettacolo. Come si può osservare, le due aree hanno un andamento specularmente opposto, con una forte crescita dei progetti per il patrimonio nel biennio 2006-2007 a svantaggio di quelli per la cultura e lo spettacolo. Gli interventi per la tutela del paesaggio appaiono residuali. Alla fine del 2009, un Decreto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali di concerto con quello delle Infrastrutture205 ha stanziato 200 milioni di euro per i nuovi interventi (208 progetti) gestiti da Arcus per il triennio 2010-2012.

204 Il dato relativo alle erogazioni effettuate nel 2008 non è stato reso disponibile. 205 Decreto Ministeriale 1 dicembre 2009 recante il Programma degli interventi relativi alla tutela, ai beni ed alle attività culturali ed allo spettacolo per gli anni 2010, 2011, 2012, da finanziare con le risorse individuate ai sensi dell’art. 60 comma 4 della legge 27 dicembre 2002, n.289. Guce, 11 febbraio 2010.

278 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Figura 17 - Distribuzione risorse Arcus per aree di intervento (2004-2007)

35,0 Patrimonio Cultura e spettacolo 29,6 Altro Paesaggio 30,0 28,4 28,1

25,0

21,9 18,4 20,0

17,4 18,1 15,0 14,5

10,0

5,0 3,1 1,7 0,2 1,0 0,0 2004 2005 2006 2007

Fonte: elaborazione IEM su dati Arcus e Sole 24 Ore. Nel budget sono inclusi 3 milioni di euro per le spese strumentali agli investimenti e di funzionamento della struttura. Il programma sarà attuato sulla base delle seguenti linee guida: 1. accrescere il valore e la diffusione del patrimonio culturale nazionale; 2. potenziare il valore aggiunto derivante da più stretti legami tra l’industria culturale ed i settori produttivi e finanziari presenti sul territorio; 3. Arcus, nell’ambito del piano, dovrà in particolare svolgere una funzione di supporto e coordinamento per la realizzazione di alcuni programmi strategici quali: • programma sperimentale di gestione e valorizzazione dei Parchi archeologici, • programma di valorizzazione del patrimonio culturale, • sviluppo di bacini culturali, • progetti di compartecipazione con altri soggetti pubblici o privati per l’integrazione delle risorse finanziarie necessarie (come regioni e Fondazioni Bancarie); 4. valorizzazione e potenziamento della nuova società Cinecittà-Luce SpA. In base a quanto previsto dal Regolamento del 2008 (DM 182/2008), le risorse saranno ripartite in tre macroaree con le seguenti entità e proporzioni: 1. 100,3 milioni pari al il 50 % saranno impiegati per realizzare 119 interventi di sostegno e di riqualificazione dei patrimonio culturale; 2. 59,6 milioni pari al 30 % per 56 interventi di ripristino e tutela paesaggistica; 3. 40 milioni, pari al 20 %, per 33 progetti culturali e di spettacolo.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 279 Figura 18 - Ripartizione fondi 2010-2012 per settori di attività

140

120 Importi Progetti 100

80

60

40

20

0 Patrimonio culturale Paesaggio Cultura e spettacolo

Fonte: elaborazione IEM su dati Mibac.

Figura 19 - Ripartizione fondi Arcus 2004- Figura 20 - Ripartizione fondi Arcus 2010- 2007 2012

0,5 59,6 43,2

40,0

53,6 100,3

2,7

Patrimonio Patrimonio culturale Paesaggio Paesaggio Cultura e spettacolo Cultura e spettacolo

Fonte: elaborazione IEM su dati Mibac. Rispetto alla gestione degli anni precedenti, la nuova programmazione rivolge maggiore attenzione al Paesaggio, ridimensionando gli interventi a sostegno dello spettacolo che passano dal 43% del periodo precedente al 20%. Il piano di investimenti prevede che i 40 milioni a sostegno della cultura e dello spettacolo siano resi disponili interamente nel 2010 e distribuiti tra 33 progetti, lasciando intendere un particolare carattere di urgenza. La maggior parte di tali risorse, in effetti, pari al 54% (21,6 milioni di euro), saranno assorbite da 7 interventi di promozione gestiti da strutture di rilevanza nazionale (incluse le spese di funzionamento di

280 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Arcus) e come tali non regionalizzabili. Tra gli interventi di maggior rilevanza spicca il contributo per la valorizzazione e il rilancio strategico di Cinecittà-Luce Spa, che da sola beneficerà di circa 16 milioni di euro: tale sostegno risponde ad un preciso intento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che in qualità di azionista unico, ha esplicitamente richiesto una maggiore integrazione degli interventi per la promozione del cinema in Italia e all’estero e un supporto tecnico-finanziario da parte di Arcus206. Sempre in ambito cinematografico, ai nuovi fondi Arcus si attingerà per finanziare il progetto “Schermi di Qualità” dell’Agis con 3,5 milioni a sostegno di un circuito di schermi che programma film di essai italiani ed europei. Sul versante della promozione teatrale, allo stesso modo, Arcus sosterrà alcuni progetti nazionali ed internazionali dell’Ente Teatrale Italiano, per un importo di 1,3 milioni. Figura 21 - Ripartizione fondi Arcus per cultura e spettacolo 2010

5%

46% 54% 43% 52%

Interventi regionali Enti e attività nazionali Nord Centro Sud+Isole

Fonte: elaborazione IEM su dati Mibac. I restanti 18,4 milioni di euro, pari al 46% delle risorse destinate alla cultura e allo spettacolo, sono così ripartiti: 51,7% al Nord, il 42,9% al centro e solo il 5,4% al Sud e nelle Isole, per un totale di 26 progetti. Escludendo le risorse destinate agli interventi a favore di enti e progetti di rilevanza nazionale, il dettaglio della distribuzione dei restanti finanziamenti nelle singole Regioni mostra una maggiore attenzione alle aree geografiche del Nord e del Centro che rispettivamente assorbono il 52% e il 43% degli importi, lasciando solo il 5% al Sud e alle Isole. Tra le 11 Regioni destinatarie di contributi, il Lazio si colloca in cima alla lista con 6 milioni di euro di contributi. Seguono l’Emilia Romagna con 3,9 milioni e la Liguria con 2,7207. L’importo dei singoli progetti presenta una forbice molto ampia che varia da 1,5 milioni a 40mila euro per le iniziative minori.

206 In particolare il Ministero ha richiesto di “garantire, all’esito della fusione, la migliore integrazione tra le strutture al fine di valorizzare le prerogative, la continuità di azione, anche allo scopo di garantire la massima dif- fusione del cinema italiano, usufruendo per quanto possibile, dell’assistenza tecnica e finanziaria di Arcus, sulla base delle disposizioni statutarie e nell’ottica di una sinergia strategica e operativa finalizzata al potenziamento culturale dell’offerta delle due società”. Cfr Atto di Indirizzo Mibac a Cinecittà Luce Spa, 3 aprile 2009. 207 Di seguito alcuni esempi dei 26 progetti di spettacolo sostenuti da Arcus nel 2010: Festival di Ravenna (1,5 milioni di euro); Festival Verdi (1,8 milioni di euro); Festival Pucciniano (1,4 milioni); Accademia nazionale Silvio D’Amico (500 mila euro); Reate Festival del Belcanto (Fondazione Flavio Vespasiano, 1,5 milioni); Assessorato alle politiche culturali e della comunicazione del Comune di Roma (1 milione di euro); Carlo Felice di Genova (2,3 milioni); Teatro dell’Archivolto di Genova (450mila euro); Orchestra da camera di Mantova (600mila euro); Fes- tival estivo del Cantiere musicale di Santa croce (40mila); Studi Cinetelevisivi Rodolfo Valentino dell’associazione culturale teatro Abulia (400mila euro); Festival internazionale Val di Noto (400mila); Todi Arte Festival (300mila); Celebrazioni del terzo centenario della nascita di Pergolesi (500mila); Festival internazionale della Spiritualità “Divi- namente 2010” (200mila).

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 281 Figura 22 - Ripartizione regionale fondi Arcus per cultura e spettacolo 2010-2012

Marche

Veneto

Umbria

Puglia

Piemonte

Sicilia

Toscana

Lombardia

Liguria

Emilia Romagna

Lazio

Interv. naz.

Migliaia 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22

Fonte: elaborazione IEM su dati Mibac L’analisi degli esercizi Arcus relativi agli anni 2004-2008 effettuata dall’organo vigilante conferma un ruolo che non si spinge oltre le “attività di previa istruttoria giuridico/amministrativa, di deliberazione di finanziamenti elencati nei decreti interministeriali e di monitoraggio dei progetti”. Continua, inoltre, ad osservarsi una più rapida conclusione delle iniziative nel settore dello spettacolo – che si traducono in mere contribuzioni finanziarie soprattutto per quelle già concluse, in contrasto con la natura di investimento delle risorse tratte dai mutui, sia per origine che per destinazione – ed una quota modesta di apporti di altri soggetti, comunque già previsti alla presentazione del progetto, ma non verificati nella loro effettività. La stabilizzazione degli organi amministrativi dopo il lungo periodo commissariale, il consolidamento dell’assetto normativo con il nuovo Regolamento, unitamente ad una rinnovata volontà politica (come mostra l’atto di indirizzo del gennaio 2009 e il programma operativo per il triennio 2010-2012) dovrebbero rafforzare il ruolo di Arcus e consentire una ripresa della missione aziendale. Le principali criticità sulle quali intervenire attengono alle procedure istruttorie e decisionali che ancora non garantiscono una piena trasparenza ed imparzialità e alla programmazione delle attività che necessita di una maggiore integrazione tra i diversi livelli di governo (statale e locale) e di un supporto più attivo da parte dei principali attori pubblici e privati del settore. Occorre uno sforzo maggiore affinché Arcus sia valorizzato come organismo di sviluppo e catalizzatore di risorse, in grado di sostenere, con criteri innovativi, progetti ambiziosi con ricadute significative nel settore culturale e fortemente correlati alle infrastrutture, fattori che, al contrario, non sono riscontrabili nelle iniziative “minori”, soprattutto nel campo oggetto della presente analisi, ovvero quello dello spettacolo. L’attenzione della società dovrebbe pertanto rivolgersi prioritariamente verso quelle iniziative che richiedono capacità di aggregazione di soggetti e di risorse sul territorio, premiando gli enti in grado di coniugare efficienza dei processi aziendali e tasso di innovazione. L’apporto specialistico della struttura dovrebbe generare un effetto moltiplicatore sul piano culturale, sociale ed economico, fungendo da volano dello sviluppo in questo settore. E’ evidente che alla base di queste strategie occorra in primo luogo costruire un set affidabile di indicatori di performance per la misurazione dell’impatto degli interventi (deficit riscontrato anche all’interno del sistema di finanziamento ordinario), che dimostri il valore aggiunto derivante dall’azione della Società, legittimandone la sua esistenza.

282 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 4.3.7 Le risorse del Lotto per lo spettacolo

Una fonte supplementare di finanziamento pubblico alla cultura è rappresentata dai proventi derivanti dalle entrate del Gioco del Lotto, introdotta con la legge Finanziaria 1997208. La norma, integrata e modificata da successivi provvedimenti nel 2001 e 2003, prevedeva espressamente di attribuire all’attuale Ministero per i Beni e Attività Culturali una quota degli utili erariali derivanti dal gioco del Lotto in misura non superiore a 154,9 milioni di euro (300 miliardi di lire), finalizzata al recupero e alla conservazione dei beni culturali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari, nonché per interventi di restauro paesaggistico, per attività culturali e per le esigenze anche di funzionamento del settore dello spettacolo. Il meccanismo di attribuzione delle risorse al Ministero prevede che gli utili erariali del gioco del lotto debbano essere assegnati all’inizio di ciascun anno, a titolo di anticipazione, nella misura del 50% dell’assegnazione definitiva dell’anno precedente (attestandosi di norma su un importo semestrale di 77,4 milioni di euro)209. Dal 2004 al 2010, come vedremo, le assegnazioni effettive hanno registrato importi annuali ridotti rispetto alla soglia massima prevista dalla legge, a causa di interventi di revoca delle somme non impegnate (mancato avvio dei lavori) e di decurtazioni legate ad esigenze di finanza pubblica. La natura rinnovabile, non a carattere straordinario, di questa tipologia di finanziamenti ha permesso al Mibac di impiegare le risorse all’interno di una strategia di programmazione delle attività di conservazione e valorizzazione dei beni culturali su un arco temporale triennale e dunque con una ottica più ampia rispetto ai limiti imposti dall’”emergenza conservativa” tipici del FUS, utilizzando parametri di riferimento distinti da quelli della programmazione ordinaria. Il pregio risiede nella natura di additività rispetto alle risorse ordinarie che, come è noto, soprattutto per quanto attiene alla tutela e valorizzazione dei beni e delle attività culturali, sono largamente insufficienti a gestire le numerose emergenze presenti sul territorio, ma anche nella possibilità di stabilire sinergie di cofinanziamento con le varie regioni ed enti locali interessati là dove (soprattutto al Sud) si è già in presenza di Accordi di Programma Quadro o altri fondi strutturali di orgine comunitaria. L’Amministrazione ha cercato di selezionare interventi che fossero particolarmente significativi sia per la dimensione finanziaria sia, soprattutto, per il rapporto con la realtà territoriale specifica, premiando il finanziamento di interventi che fossero riferibili a forme di partenariato e ove possibile di cofinanziamento210. Entro il 30 giugno di ogni anno viene stabilita la quota erariale che il gioco del Lotto, nella figura del concessionario Lottomatica, dovrà devolvere al MiBAC e che nel 2010 ammonta a circa il 3,8% di quanto versato allo Stato. La programmazione relativa al triennio 2004-2006 prevedeva uno stanziamento di 66 milioni di euro, dimezzato dopo un anno a soli 35 milioni, per le richiamate esigenze di finanza pubblica. La ridotta disponibilità di risorse ha costretto a limitare il campo degli interventi alla tutela dei beni culturali, escludendo i progetti relativi allo spettacolo e al cinema.

208 Articolo 3, comma 83 della Legge 23 dicembre 1996 n. 662 “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”. La legge, prevista all’epoca dai ministri Visco e Veltroni (rispettivamente alle Finanze e ai Beni Culturali) fu istituita allo scopo di allinearsi a quanto già attuato dalla National Lottery britannica, la quale destinava il 28% degli introiti ad opere di assistenza sociale e tutela museale. 209 Art. 24 comma 30 della Legge 27 dicembre 1997 n. 449 recante “Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica”. Nel 1998 l’assegnazione iniziale fu pari a 150 miliardi di lire. 210 Alcune importanti iniziative messe in campo con i finanziamenti del Lotto hanno consentito il restauro di grandi complessi la cui destinazione funzionale sarà direttamente gestita dagli enti che cofinanziano gli interventi. Senza il gioco del Lotto, per esempio, non sarebbero stati restaurati la Cappella degli Scrovegni, il Complesso del Palazzo del Vittoriano piuttosto che Palazzo Reale a Genova. Cfr. VI Rapporto annuale Federculture, 2009.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 283 Anche per il triennio successivo 2007-2009, la Legge Finanziaria 2007211 ha previsto una decurtazione degli stanziamenti di 30,9 milioni di euro, con conseguente assestamento delle disponibilità finanziarie, per ogni annualità su un importo di 124 milioni di euro. Tale dotazione ha subito una ulteriore decurtazione per necessità di accantonamento sul fondo unico degli investimenti, riducendo così la disponibilità delle risorse lotto programmabili nei 3 anni a 356,6 milioni di euro anziché 465 come originariamente previsto (tetto massimo), equamente ripartite sui 3 anni. Tali importi hanno subito una ulteriore rimodulazione in corso d’opera che ha portato, per il triennio 2007-2009, ad una erogazione effettiva pari a 274 milioni circa con una media di impegno annuale pari a 91 milioni di euro. La più robusta dotazione ha comunque consentito di riservare una quota significativa ai comparti dello spettacolo e del cinema pari a 72,5 milioni di euro, più di un quarto in media del totale nel periodo considerato (26,3%). Da osservare che, nell’azione di rimodulazione, le risorse a vantaggio dei suddetti settori sono aumentate in modo considerevole: lo spettacolo dal vivo è passato da 28,8 a 49,8 milioni di euro mentre il cinema è salito da 14,7 a 22,7 milioni di euro. Nel 2010, le risorse complessive si sono ridotte a 60,8 milioni. Di questi il 16,3%, pari a 9,9 milioni, è stata destinata allo spettacolo dal vivo e al cinema, rispettivamente con importi di 3,5 e 6,4 milioni di euro. Proprio a partire dal 2010, dopo oltre 10 anni di programmazione triennale, si è deciso, peraltro, di pianificare gli interventi relativi a tale stanziamento su base annuale in modo da garantire, così come dichiarato dal MiBAC, una maggiore stabilità al fondo evitando problematiche connesse ai cantieri già avviati. Tabella 3 - Finanziamenti fondo Lotto per spettacolo dal vico e cinema (2007-2010) Dg. Spett. dal vivo Attività/Ente 2010 2009 2008 2007 Teatro Ente teatrale italiano - - - 10.566.000 Attività istituzionali Petruzzelli e teatri di - - - 4.000.000 Bari Attività istituzionali Prosa - - - 736.000 Attività istituzionali Danza - - - 77.000 Attività istituzionali Musica - - - 621.000 Attività istituzionali Varie/Spettacolo - - - 600.000 Attività istituzionali Musica, Prosa, Danza - 6.142.130 6.087.620 - Attività istituzionali Petruzzelli di Bari - 6.000.000 - - Attività istituzionali Fondazioni Lirico - - 15.000.000 - Sinfoniche Spettacolo Spoleto festival 900.000 - - - Spettacolo Teatro festival Italia 2.000.000 - - - Gestione valorizz Progetto integrato 600.000 - - - cinema Sub-totale SdV 3.500.000 12.142.130 21.087.620 16.600.000 Dg. Cinema Attività istituzionali Cinecittà Holding - - 8.000.000 5.000.000 Attività istituzionali Biennale di Venezia - - - 3.000.000 Attività istituzionali Attività cinematografica - - - 400.000 Attività istituzionali Cinecittà Holding e - 3.164.130 3.136.040 - Biennale di Venezia Attività istituzionali Cinecittà Luce 5.800.000 - - -

211 Legge 27 dicembre 2006 n. 296 – Legge Finanziaria 2007 “Disposizione per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”.

284 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Gestione valorizz Progetto integrato 600.000 - - - cinema Sub-totale Cinema 6.400.000 3.164.130 11.136.040 8.400.000 Totale Spett e Cinema 9.900.000 15.306.260 32.223.660 25.000.000 Totale Cultura 60.860.584 78.669.102 89.228.322 106.028.882 % Spett e Cinema 16,3 19,5 36,1 23,6 Fonte: elaborazione IEM su dati Mibac In 4 anni, dal 2007 al 2010, i fondi destinati allo spettacolo si sono ridotti sensibilmente, passando dai 25 milioni del 2007 ai 9,9 del 2010, registrando un calo del 60% circa. Come si evince dal grafico, gran parte delle risorse disponibili nel 2010 (il 62%), pari a 37,7 milioni di euro, non è stata impiegata per la realizzazione per interventi sul territorio nei vari settori, ma assegnata alla Direzione Generale per l’Organizzazione e gli Affari Generali del Ministero a titolo di integrazione fondi per contratti di stabilizzazione del personale e per la realizzazione di modelli di gestione e valorizzazione212. Figura 23 Ripartizione fondi Lotto anno 2010 Figura 24 Andamento fondi Lotto per lo spettacolo 2007-2010

Cinema 35 Spettacolo 11% dal vivo 6% Regioni e 30 prov autonome 5% 25

Arti 20 7% 15

Antichità 5% 10

Archivi DG OAGIP 62% 2% 5 Beni Librari 2% 0 2007 2008 2009 2010

Fonte: elaborazione su dati Mibac – DG OAGIP

4.3.8 La distribuzione della spesa pubblica nazionale a livello regionale

In questo paragrafo conclusivo, si intende fornire un quadro di sintesi sull’andamento dei finanziamenti pubblici nazionali destinati allo spettacolo (Fus ed Extra Fus) all’interno delle singole regioni per valutare il livello di distribuzione territoriale delle risorse destinati ai vari settori. Il criterio individuato per la localizzazione dei contributi prende in considerazione la sede legale (o la residenza nel caso di persone fisiche) dichiarata dal beneficiario del contributo: in alcuni casi, pertanto, i dati presentano il limite di non essere indicativi delle attività effettivamente svolte sul territorio di pertinenza. Si pensi, ad esempio allo spettacolo viaggiante o alle compagnie di prosa, danza e ai complessi orchestrali che, per loro stessa natura, operano in differenti luoghi del paese, pur avendo la sede legale in una determinata regione o, ancora, i contributi sugli incassi che, a causa della forte attrattività della città di Roma come sede di residenza degli autori e produttori, vede affluire su questo territorio una porzione molto significativa di contributi. Per ovviare parzialmente a tale distorsione e non falsare il quadro complessivo, le elaborazioni

212 Direzione Generale per l’Organizzazione, gli Affari Generali, l’innovazione, il bilancio ed il personale. I contratti di stabilizzazione hanno riguardato gli ex Lavoratori Socialmente Utili.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 285 dell’Osservatorio dello Spettacolo non contemplano i contributi erogati alle istituzioni che operano su tutto il territorio nazionale, così come alle attività all’estero e ai progetti speciali213. La ripartizione per macroaree geografiche evidenzia una riduzione progressiva di risorse nelle 8 Regioni del Nord. Se, infatti, nel 2002 assorbivano il 47% del volume complessivo, nel 2008 la quota è scesa di 4 punti assestandosi al 43%. A beneficiarne è stata l’area del Centro, la cui quota è aumentata di ben otto punti, salendo dal 32% al 37%. Più stabile l’andamento complessivo delle 8 Regioni del Sud (Isole incluse) che perdono in 7 anni 1 punto percentuale (dal 21 al 20%). Figura 25 - Distribuzione FUS ed extra-FUS per macro-area (2002-2008)

2008

2007

2006

2005

2004

2003

2002

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% Nord Centro Sud e Isole

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac Entrando nel merito di ciascuna Regione, nell’arco temporale considerato, si osserva una tendenza generalizzata ad una tenuta delle posizioni e, in alcune realtà, ad una crescita. Spicca su tutti il dato relativo alla Regione Lazio che, negli ultimi anni, ha registrato una crescita esponenziale, passando dagli 80 milioni del 2005 ai circa 145 del 2008 (pari al 27,6% del FUS di quell’anno) grazie al più elevato numero di soggetti beneficiari presenti sul territorio. La seconda Regione per rilevanza è la Lombardia che dal 2006 ha incamerato risorse aggiuntive per circa 10 milioni di euro, assorbendo nel 2008 l’11,3% delle risorse del FUS, pari a circa 80 milioni di euro. Al di sopra della fascia dei 50 milioni di contributo figura soltanto un’altra Regione, il Veneto, il cui “prelievo” sul FUS è superiore al 10% (anche per la presenza di due Fondazioni lirico-sinfoniche). Lazio, Lombardia e Veneto assorbono da sole quasi la metà del FUS nel 2008 (49,2%). Le rimanenti Regioni si collocano sotto la soglia dei 40 milioni. Tra queste possiamo individuare un secondo gruppo che supera la soglia dei 30 milioni composto da Emilia Romagna, Campania, Toscana e Sicilia le quali assorbono rispettivamente il 7,2%, il 7,1%, il 6,8% e il 5,8% sul totale del FUS nel 2008. Segue un terzo gruppo che supera i 10 milioni di euro composto da Piemonte, Liguria, Friuli, Sardegna e Puglia. Nella fascia più bassa, al di sotto dei 5 milioni di euro, si collocano 7 Regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Molise, Trentino, Umbria e Valle d’Aosta) che, nel 2008, sono rimaste al di sotto dell’1% del totale delle risorse.

213 Dall’analisi sono esclusi anche i contributi destinati agli interventi indiretti alla produzione cinematogra- fica e all’esercizio cinematografico in quanto economicamente non confrontabili.

286 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Figura 26 - Distribuzione FUS ed extra-FUS per Regione (2002-2008)

Lombardia Veneto Emilia Romagna Piemonte Liguria Friuli Venezia Giulia Trentino Alto Adige Valle d'Aosta 70.000 60.000 Migliaia 50.000 40.000 30.000 20.000 10.000 0 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Lazio Toscana Marche Umbria 160.000

140.000 Migliaia 120.000

100.000

80.000

60.000

40.000

20.000

0 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Campania Sicilia Sardegna Puglia Abruzzo Calabria Basilicata Molise 40.000 35.000

Migliaia 30.000 25.000 20.000 15.000 10.000 5.000 0 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 287 Figura 27 - Distribuzione FUS ed EXTRA-FUS per Regione (2008)

Valle d'Aosta

Molise

Basilicata

Calabria

Trentino Alto Adige

Umbria

Abruzzo

Marche

Puglia

Sardegna

Friuli Venezia Giulia

Liguria

Piemonte

Sicilia

Toscana

Campania

Emilia Romagna

Veneto

Lombardia

Lazio

Milioni 0 60 10 20 30 40 50 70 80 90 100 120 130 140 150 110

Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro. In conclusione, sia la programmazione triennale delle risorse prevista dalla “Legge madre” istitutiva del FUS, messa in discussione dalle leggi finanziarie che hanno spesso modificato gli stanziamenti originari programmati l’anno precedente, sia le ridotte dimensioni di un fondo che incide in misura marginale sul bilancio pubblico, impongono una riflessione sulla riqualificazione della spesa per lo spettacolo da collocare tra gli investimenti in conto capitale (e non come spesa corrente) garantendo maggiore stabilità e continuità nel tempo agli operatori e svincolando l’andamento dell’investimento dal ciclo economico e congiunturale. L’afflusso

288 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni di risorse extra-FUS, inoltre, anziché svolgere un prezioso ruolo di complementarietà nelle fasi di maggior contrazione delle risorse ordinarie ha mostrato una serie di limiti legati ad una programmazione di emergenza poco coerente con l’assetto complessivo del sistema di finanziamento pubblico. Una considerazione finale sul rapporto che lega lo Stato alle Regioni in materia di spettacolo. A distanza di 10 anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione che ha inserito lo spettacolo nelle materie di legislazione concorrente (attribuendo allo Stato centrale il compito di fornire le linee di indirizzo generale e alle Regioni la potestà regolamentare ed amministrativa), si è ancora in attesa di una profonda riforma del sistema di finanziamento pubblico. Solo attraverso un organico provvedimento che assegni in modo razionale e con un approccio improntato alla leale collaborazione, compiti, funzioni e risorse ai vari livelli di governo sarà possibile superare la gestione accentrata e deficitaria del FUS, correggendo quelle condizioni di forte squilibrio evidenziate nei dati sulla distribuzione delle risorse nazionali all’interno delle varie regioni214. Un primo importante banco di prova è giunto nell’aprile 2010 con un Decreto Legge del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di riforma delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche che, come abbiamo analizzato, assorbono più del 47,5% del FUS215. Il provvedimento mira ad assicurare un adeguato contenimento dei costi del personale, intervenendo sul sistema di contrattazione collettiva, attribuendo ad un unico soggetto centrale la rappresentanza dei datori di lavoro, sospendendo il meccanismo del turnover e ricorrendo a forme più flessibili di impiego. Tenendo conto delle specificità dei vari soggetti, a successivi regolamenti è affidato il compito di attenersi ai seguenti criteri: 1. razionalizzazione dell’organizzazione e del funzionamento sulla base dei principi di efficienza, corretta gestione, economicità ed imprenditorialità, anche al fine di favorire l’intervento di soggetti pubblici e privati nelle fondazioni; 2. individuazione degli indirizzi ai quali dovranno informarsi le decisioni attribuite alla autonomia statutaria di ciascuna fondazione, con particolare riferimento alla composizione degli organi, alla gestione e al controllo dell’attività, nonché alla partecipazione di privati finanziatori nel rispetto dell’autonomia e delle finalità culturali della fondazione; 3. previsione di forme adeguate di vigilanza sulla gestione economico-finanziaria della fondazione; 4. incentivazione del miglioramento dei risultati della gestione attraverso la rideterminazione 5. dei criteri di ripartizione del contributo statale; 6. disciplina organica del sistema di contrattazione collettiva; 7. eventuale previsione di forme organizzative speciali per le fondazioni lirico-sinfoniche in relazione alla loro peculiarità, alla loro assoluta rilevanza internazionale, alle loro eccezionali capacità produttive, per rilevanti ricavi propri o per il significativo e continuativo apporto finanziario di soggetti privati, Il provvedimento contiene inoltre alcune misure volte a razionalizzare l’intero sistema di finanziamento statale destinato agli organismi dello spettacolo dal vivo, rideterminando i criteri selettivi di assegnazione dei contributi agli organismi di spettacolo, tenendo conto delle attività svolte e rendicontate, dei livelli quantitativi e dell’importanza culturale della produzione svolta, della regolarità gestionale degli organismi, nonché degli indici di affluenza del pubblico. L’intento è rendere ancora più selettivi e trasparenti i criteri da adottare per il finanziamento alle attività di musica, di danza, di prosa e dei circhi e spettacoli viaggianti.

214 Per una trattazione esaustiva sul tema si rimanda a Andrea Morrone, Lo spettacolo dopo la riforma del Titolo V: idee per una legge generale, in Le Regioni, 1/2009, Il Mulino, febbraio 2009. Il 22 febbraio 2010 la VII Commissione Cultura della Camera ha approvato all’unanimità un testo unificato (legge quadro per lo spettacolo dal vivo) che, superato il nodo della copertura finanziaria, potrebbe divenire legge entro l’anno. 215 Il decreto Legge è stato approvato con carattere di necessità ed urgenza dal Consiglio dei Ministri il 16 aprile 2010 ed è attualmente in fase di conversione in Parlamento.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 289 Il 31 maggio 2010, nel quadro della manovra correttiva dei conti pubblici da 24 miliardi di euro nel biennio 2010-2011216 resa necessaria dall’inasprirsi della crisi economica internazionale e dalla richiesta in sede comunitaria di un deciso intervento di contenimento della spesa pubblica per ridurre il rapporto deficit/Pil, il governo ha deciso di “de-finanziarie” una serie di enti ed istituzioni culturali tra cui, a titolo esemplificativo, il Centro Sperimentale di Cinematografia, la Fondazione Rossini, il Festival dei Due Mondi di Spoleto, l’Istituto del Dramma Antico e l’Arena di Verona e di sopprimere alcuni enti pubblici tra cui l’Ente Teatrale Italiano. La lista composta da 232 realtà operanti in vari ambiti dello spettacolo, della cultura e delle scienze che nel 2009 avevano ricevuto complessivamente 21,5 milioni di euro, è stata successivamente stralciata dal provvedimento ma al Ministero per i beni e le Attività Culturali è stata attribuito il compito, entro due mesi, di ridurne del 50% i trasferimenti (pari a 10,7 milioni), a seguito di una attenta valutazione nel merito delle attività svolte dai singoli soggetti chiamati in causa.

4.4. Forme di incentivi pubblici alle infrastrutture di telecomunicazione

4.4.1. Introduzione

Allo stato attuale esitono diverse tipologie di incentivi allo sviluppo di infrastrutture di telecomunicazioni, il cui obiettivo è il superamento del digital divide sia dal punto di vista della diffusione delle reti - attraverso la loro implementazioni mediante fibra ottica, rame e tecnologie wireless - sia dal punto di vista dell’alfabetizzazione informatica - attraverso politiche di stimolo dei servizi di e-government da parte delle amministrazioni locali. Sono vari gli effetti benefici per la collettività che una riduzione del digital divide può produrre. Innanzitutto l’accrescimento del grado di coesione sociale. La diffusione della “rete” garantisce infatti una crescita di tipo culturale, laddove i flussi di informazione, le norme sociali e le best practices possono essere più facilmente scambiate, nonché partecipate da tutti i cittadini. Allo stesso tempo, la diffusione della banda larga consente alle Amministrazioni Pubbliche (PA) di fornire servizi di e-government a tutti i livelli, migliorando l’offerta e l’efficienza dei servizi pubblici, che risultano più accessibili ai cittadini e introducono evidenti risparmi nei costi di gestione, oltre che importanti elementi di trasparenza ed equità. I vantaggi derivanti dalla diffusione della banda larga riguardano ovviamente ed in maniera anticipata anche il settore privato. Si pensi alle piccole e medie imprese che, grazie alla diffusione delle nuove tecnologie di comunicazione, possono accedere più facilmente ed a costi più bassi a servizi prima accessibili in via esclusiva alle grandi imprese (ad es. nella commercializzazione dei prodotti all’estero), accrescendo la loro capacità competitiva. Un esempio emblematico è costituito dall’esperienza bancaria, dove l’elevata diffusione dei moderni strumenti telematici ha consentito la nascita di una tipologia di banca svincolata dalla tradizionale presenza sul territorio (sportello bancario), a favore di un incremento di servizi digitali (phone banking, home banking). Una tendenza, questa, estendibile a vari altri settori dell’economia operanti nella distribuzione di servizi, quali l’energia elettrica, i trasporti, le assicurazioni etc. Al fine di conseguire l’obiettivo del potenziamento della banda larga e la riduzione del digital divide, la spesa pubblica è accompagnata da opportune politiche di sostegno ed incentivazione del settore delle telecomunicazioni, in grado di stimolare anche l’investimento privato. Le politiche richieste nel settore delle telecomunicazioni vanno in almeno tre direzioni: • politiche di regolamentazione, basate sullo stimolo alla concorrenza e quindi alla partecipazione al mercato di nuovi soggetti competitori. Questi interventi dovrebbero essere non soltanto in grado di ridurre i prezzi dei servizi ma nel contempo mantenere elevata l’efficienza e la qualità del servizio reso; 216 Decreto Legge “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, GU n 125 del 31.5.2010.

290 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni • politiche culturali, volte a ridurre al minimo l’analfabetismo informatico tra la popolazione e quindi ad accrescere la domanda di servizi informatici avanzati; • politiche infrastrutturali, per ridurre l’isolamento fisico della popolazione rispetto all’accesso alla connessione broadband. In Italia le politiche infrastrutturali sono particolarmente decisive per una riduzione del digital divide: l’orografia del territorio e la presenza di zone scarsamente popolate rende queste aree poco appetibili agli operatori privati, i quali tendono a concentrare i propri investimenti nelle aree metropolitane, con una più alta concentrazione di popolazione e servizi avanzati e quindi con maggiori ritorni economici. Questo rappresenta un caso classico di fallimento del mercato, in presenza del quale il ruolo dell’investimento pubblico diventa essenziale per garantire accessibilità ai servizi anche in aree altrimenti scarsamente interessate dagli investimenti privati o per creare incentivi ai privati affinché garantiscano che l’offerta dei servizi di telecomunicazione sia capillare sul territorio. Le politiche di sostegno al settore delle telecomunicazioni, impostate all’inizio del nuovo millennio, sono state portate avanti attraverso diversi livelli di intervento quali la semplificazione delle procedure per la realizzazione di reti e infrastrutture di comunicazione elettronica, l’istituzione di organismi dedicati quali il Comitato interministeriale per la diffusione della banda larga, l’Osservatorio Banda Larga e Infratel spa e, dal punto di vista finanziario, la realizzazione (diretta o tramite bando pubblico a cofinanziamento regionale) delle infrastrutture tramite la stessa Infratel, la sottoscrizione di protocolli d’intesa tra Ministero delle Comunicazioni, Infratel s.p.a e gli operatori tlc di più vaste dimensione (Telecom Italia e Fastweb) e altre forme di finanziamento regionali, fondi comunitari217 e accordi tra regioni e operatori. In considerazione di tale complessità, in questa sede sono stati approfondite specificamente le politiche connesse alla realizzazione delle infrastrutture a banda larga: relativamente all’analisi degli incentivi al settore ICT e di servizi quali e-health ed e-government, l’Istituto di Economia dei Media - Fondazione Rosselli ha aperto un apposito Osservatorio incaricato di monitorare gli interventi di policy e gli investimenti dedicati a queste iniziative sia a livello dell’amministrazione centrale sia soprattutto delle singole amministrazione regionali, i cui risultati verranno pubblicati nel corso del 2011.

4.4.2. I principali organismi impegnati nella diffusione della banda larga

Esistono una molteplicità di organi coinvolti nel processo di finanziamento pubblico delle infrastrutture di telecomunicazione in Italia, e altrettanti sono stati creati appositamente per la gestione operativa di tali investimenti. Il principale è Infratel Italia spa, società istituita con il duplice obiettivo di realizzare infrastrutture di telecomunicazioni a banda larga ed eliminare il digital divide nelle aree sottoutilizzate del Paese, per soddisfare le esigenze di servizio delle pubbliche amministrazioni e per sostenere lo sviluppo delle aree industriali. Infratel Italia è stata costituita già dal ’99218 su iniziativa del Ministero delle Comunicazioni (ora accorpato al Ministero dello Sviluppo Economico) e di Sviluppo Italia s.p.a. in qualità di società di scopo per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa (il 99% fa capo a Sviluppo Italia S.p.A. e l’1% a Sviluppo Lazio S.p.a), ma è operativa dal giugno 2004.

217 Tra le risorse comunitarie occorre citare i fondi Feasr e Fesr. Il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), introdotto con la riforma della politica agricola comune (PAC) del giugno 2003 e dell’aprile 2004 è uno strumento di finanziamento e di programmazione unico istituito dal regolamento (CE) n. 1290/2005 allo scopo di rafforzare la politica di sviluppo rurale dell’Unione e semplificarne l’attuazione. Il Fondo europeo di svi- luppo regionale (FESR) è stato istituito dal Regolamento (CE) n. 1783/1999 del Parlamento europeo, del 12 luglio 1999. Tale regolamento stabilisce l’intervento del FESR nell’ambito degli obiettivi 1 e 2, delle iniziative comunitarie a favore della cooperazione transnazionale, transfrontaliera e interregionale (Interreg III) e del rilancio economico e sociale delle città e dei quartieri in crisi (Urban II) e a sostegno di azioni innovatrici e misure di assistenza tecnica, contemplate dal regolamento generale. 218 D.lgs. 9 gennaio 1999, n. 1, come integrato dall’art. 1 del d. lgs. 14 gennaio 2000, n. 3

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 291 Nel 2005 è stata incaricata di attuare il Programma Banda Larga dalla Legge n. 80/2005 (art. 7), che prevedeva la destinazione di appositi fondi di finanziamento da parte del CIPE (vedi infra). Tale previsione segue un Accordo di Programma stipulato nel dicembre 2005 con il Ministero delle Comunicazioni. Lo stesso strumento dell’ Accordo di programma quadro è stato previsto dal Governo per rafforzare l’intervento di Infratel nell’ambito locale. Il Comitato Interministeriale per la programmazione economico è un organo di decisione politica in ambito economico e finanziario che svolge funzioni di coordinamento in materia di programmazione della politica economica da perseguire a livello nazionale, comunitario ed internazionale; in particolare è deputato all’allocazione delle risorse finanziarie a programmi e progetti di sviluppo e approva le principali iniziative di investimento pubblico del Paese. Presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, è composto anche dai Ministri dell’economia, degli affari esteri, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro, delle politiche agricole e forestali, dell’ambiente, dei beni culturali, dell’istruzione, delle politiche europee, dei rapporti con le Regioni e del turismo, oltre che dal Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome. Il Comitato si riunisce in sedute con cadenza periodica e le delibere relative alle decisioni assunte sono inviate alla Corte dei Conti per la registrazione e successivamente pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Tra i principali argomenti oggetto di esame da parte del CIPE, quelli più direttamente inerenti i finanziamenti pubblici alle infrastrutture di telecomunicazione sono: • la Decisione di Finanza Pubblica, la Relazione previsionale e programmatica, il Programma statistico nazionale; • il Programma delle Infrastrutture Strategiche della c.d. “legge obiettivo”, nell’ambito del quale il Comitato approva i singoli progetti e assegna le risorse finanziarie; • l’attuazione del Quadro Strategico Nazionale 2007-2013; • il riparto di risorse finanziarie del Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS) e dei Fondi da questo alimentati che operano nei settori mobilità, politiche sociali, sostegno alle imprese, ricerca, innovazione tecnologica, ambiente, sicurezza, istruzione. Il Cipe stabilisce annualmente e destina, tramite il Fondo aree sottoutilizzate (articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289219), appositi finanziamenti ad Infratel per l’attuazione del Programma Banda Larga (Legge n. 80/2005 art. 7), in seguito al già citato Accordo di Programma stipulato nel dicembre 2005 tra la stessa Infratel e il Ministero delle Comunicazioni. Tali risorse vengono stabilite dal Cipe annualmente e possono essere rimodulate tramite delibere ulteriori o nelle previsioni delle successive Leggi Finanziarie (come avvenuto nel 2005, 2006 e 2007). Il Programma Larga Banda è stato approvato con delibera Cipe n. 83/2003: il primo intervento, che riguardava specificamente le regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) mirava a collegare le centrali degli operatori commerciali con la posa di 1.800 chilometri di fibra ottica in 265 comuni ed è stato finanziato con 150 milioni di euro complessivi per il triennio 2003-04-05. Il Programma Banda Larga è nato con un duplice obiettivo: da un lato realizzare un’infrastruttura pubblica per collegare gli operatori commerciali e dall’altro promuovere l’alfabetizzazione informatica presso la popolazione stimolando il consumo di servizi digitali (in primis l’e-government). Tale distinzione si è concretizzata con l’assegnazione del primo compito al Ministero delle Comunicazioni (tramite Infratel) Mentre al Ministero per l’innovazione e le tecnologie spetta

219 Il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) nasce con l’istituzione dei due Fondi di cui agli artt. 60 e 61 della legge n.289/2002 (legge finanziaria per il 2003), unificati poi con l’art. 4, commi 128 e 129 delle legge n.350/2003 (legge finanziaria per il 2004) nel Fondo per le aree sottoutilizzate, articolato su un arco temporale di quattro anni, sia per favorire la convergenza del periodo di programmazione finanziaria con quello di impiego delle risorse, sia per tenere conto della diversa velocità di spesa degli strumenti.

292 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni la promozione della domanda di servizi digitali (obiettivo per cui fu creata, da parte del gruppo Sviluppo Italia, Innovazione Italia S.p.A.). Il Ministero dello Sviluppo Economico è l’organo che si occupa direttamente di promuovere le politiche di riduzione del digital divide mentre l’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, in quanto organo di vigilanza, si occupa di analizzare il mercato delle telecomunicazioni e vigilare affinché non vi siano squilibri nel corretto svolgimento dello stesso. Il rapporto tra i due organismi in materia di contrasto al divario digitale risulta tuttavia controverso alla luce della mancata inclusione, nell’attuale Codice delle Comunicazioni Elettroniche, delle politiche di lotta al digital divide tra i criteri da considerare per l’allocazione delle risorse infrastrutturali e frequenziali. Se il Ministero, anche alla luce del pronunciamento favorevole della Commissione europea in materia di aiuti di Stato indirizzati allo sviluppo e all’adozione dei servizi pubblici televisivi e telematici220 e della volontà del Governo di favorire la diffusione dell’e-government, può utilizzare il criterio della riduzione del divario digitale nell’allocazione delle risorse in seguito a relative indicazioni da parte del Governo, l’Agcom, in quanto Autorità indipendente dalle istituzioni governative, deve attenersi ai criteri elencati dal Codice. Tra questi, i principali sono l’ottimizzazione dei vantaggi per gli utenti, lo sviluppo della concorrenza, la sostenibilità degli investimenti rispetto alle esigenze del mercato, la non discriminazione e la neutralità tecnologica, la trasparenza e la consultazione delle parti. Tale discrepanza nei criteri di gestione delle risorse risulta critica nel caso di assegnazione dei diritti d’uso di parte dello spettro delle frequenze, che come noto sono di proprietà pubblica e di capacità limitata. In questi casi, come avvenuto per l’assegnazione delle frequenze per il Wi-Max e come presumibilmente avverrà allorché verranno messe a bando le frequenze per la banda larga mobile, all’Autorità221 spetta il compito di emanare i criteri per l’assegnazione, i quali però, a causa di tale lacuna legislativa, non includono direttamente la lotta al digital divide ma si basano sulla trasparenza e la garanzia della corretta applicazione del principio di concorrenza. Di conseguenza il Ministero, nella propria attività di emanazione del bando sulla base delle linee guida promosse dall’Autorità, pur nella volontà di favorire i soggetti operanti in zone scoperte dalle infrastrutture, deve limitarsi a procedere entro i limiti designati dall’Autorità. Nel caso dell’assegnazione delle frequenze per il Wi-max il problema è stato parzialmente risolto dall’Agcom attraverso l’emanazione di linee guida che, pur orientate a concedere la priorità alla concorrenza, lasciavano un margine interpretativo al Ministero per favorire nel contempo la riduzione del digital divide. Emerge quindi distintamente la necessità di implementare la collaborazione tra organi nazionali e locali per sviluppare una strategia unitaria di lotta alla mancanza di infrastrutture di telecomunicazioni in determinate aree del Paese, al momento regolata attraverso la formula degli Accordi di Programma tra Ministero e Regioni. Proprio il ruolo delle Regioni nel promuovere ed attuare azioni dirette per lo sviluppo delle telecomunicazioni si è molto rafforzato negli ultimi anni. La centralità delle azioni di livello regionale è stata confermata per esempio dal piano “eGovernment 2012”, che individua nell’abbattimento del digital divide, con una forte focalizzazione sugli aspetti relativi alla distribuzione dei servizi di e-government a cittadini e imprese, uno degli assi prioritari del Piano. Come congiuntamente dichiarato e condiviso da Stato, Regioni, Province autonome ed Enti locali nel Piano straordinario 2010 di preparazione all’eGov 2012 “l’innovazione della società e dell’amministrazione richiede che in ogni territorio regionale vi sia la disponibilità di servizi infrastrutturali tali da raggiungere tutte le località, soprattutto quelle meno servite da infrastrutture tradizionali, e in modo da consentire livelli di servizio adeguati per quantità e qualità”. Un ruolo molto importante è giocato dalla disponibilità di risorse di derivazione comunitaria (fondi strutturali e risorse aggiuntive nazionali FAS), che rappresentano, soprattutto per le regioni del Mezzogiorno, un canale essenziale su cui far leva per promuovere interventi diretti a favore del settore delle telecomunicazioni. Ciò risulta tanto più vero dall’analisi dei documenti di programmazione regionale dello sviluppo (Programmi Operativi Regionali –

220 Comunicazione 2001/C320/04 della Commissione europea. 221 Ex art. 29 D.Lgs. 259/2003

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 293 POR 2007-2013) che individuano le telecomunicazioni e, più in generale, lo sviluppo della società dell’informazione, quali driver per ridurre la sottoutilizzazione delle risorse territoriali ed avviare processi di crescita che favoriscano il riallineamento del divario rispetto alle regioni più avanzate. Tuttavia, allo stato attuale permane notevole incertezza sulla consistenza e quindi sulla disponibilità effettiva di tali risorse per le Regioni, specie per la parte dei fondi FAS, la quale è stata già interessata nel biennio 2008-09 da misure urgenti improntate a principi di concentrazione delle risorse su obiettivi ritenuti prioritari per il rilancio dell’economia italiana, quali le infrastrutture strategiche (con particolare enfasi alle reti per la mobilità ed al sostegno delle attività produttive) e l’emergenza occupazionale. Altri due organi sono stati creati specificamente per favorire la diffusione del broadband: il Comitato Interministeriale per la diffusione della banda larga e l’Osservatorio Banda Larga. Il primo, già “Comitato esecutivo interministeriale per la predisposizione del Piano Nazionale di sviluppo della larga banda” (2002-2005), è stato riattivato il 20 Dicembre 2006 per agevolare la realizzazione di reti e infrastrutture di comunicazione per la fornitura di servizi a banda larga, con il duplice obiettivo di coordinare e monitorare le iniziative già intraprese e individuare gli interventi prioritari per il raggiungimento dei livelli essenziali di abilitazione tecnologica sul territorio nazionale, attraverso il confronto con i rappresentanti delle Amministrazioni Locali, degli utenti e degli operatori nel settore delle Telecomunicazioni. Il 20 settembre 2007 il Gruppo Tecnico del Comitato ha pubblicato le Linee guida per i Piani regionali per la banda larga, successivamente approvate dalla Commissione Permanente per l’Innovazione Tecnologica negli Enti Locali e nelle Regioni, nonché dalla Conferenza Unificata, che identificano i modelli di sviluppo da adottare per finanziare iniziative di infrastrutturazione a banda larga a livello locale. L’Osservatorio Banda larga è nato allo scopo di monitorare tutte le iniziative volte a creare infrastrutture a banda larga sul territorio italiano. Istituito nel 2002 da Between, azienda che offre servizi specialistici di consulenza strategica e tecnologica sull’ICT, con la collaborazione del Comitato Esecutivo per la Larga Banda, realizza un monitoraggio continuo della disponibilità di infrastrutture e servizi a banda larga nelle varie zone del paese, dei processi di adozione e dei modelli di sviluppo locali. Le funzioni principali dell’Osservatorio consistono nella mappatura dell’offerta di infrastrutture e servizi a banda larga, nella mappatura della domanda di connettività e servizi a banda larga da parte di famiglie, imprese e nella Pubblica Amministrazione, nell’analisi dei modelli di sviluppo locale e delle best practices internazionali. L’attività dell’Osservatorio risulta quanto più importante in considerazione della mancanza, a livello governativo, di un monitoraggio completo dell’attività di microinfrastrutturazione operata dagli operatori minori, in particolar modo tramite tecnologie alternative.

4.4.3 I principali interventi a livello nazionale

Gli interventi statali in favore della riduzione del digital divide possono essere distinti in due tipologie: gli interventi normativi mirati alla semplificazione delle procedure e all’indirizzo delle politiche pubbliche locali e le previsioni di risorse destinate alla diffusione delle nuove tecnologie e alla realizzazione delle infrastrutture. Relativamente al primo aspetto, il primo intervento risale al 2002, anno in cui è stato approvato il c.d. “Decreto Gasparri” (D.Lgs. 198/2002) che, tramite la previsione di una procedura unificata in favore degli enti locali, ha semplificato e accelerato il rilascio delle autorizzazioni per l’installazione di infrastrutture per comunicazioni fisse e mobili. Un secondo intervento mirato alla semplificazione delle procedure consiste nella previsione, all’interno del Codice delle Comunicazioni Elettroniche, di una procedura unitaria per la realizzazione di reti e infrastrutture di comunicazione elettronica (comprese quindi quelle necessarie alla fornitura dei servizi a banda larga) disciplinata dal Capo V del Codice (Art 86-95). Tale normativa

294 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni riguarda in particolare l’esercizio delle funzioni degli enti locali in materia di concessione alla realizzazione delle infrastrutture e autorizzazione all’effettuazione di opere civili, compresi scavo e occupazione di suolo pubblico e la procedura e i poteri dell’Agcom al fine di realizzare la condivisione di infrastrutture e coordinare la realizzazione delle opere. Anche le linee guida emanate dal Comitato per la banda larga hanno evidenziato la presenza a livello locale di ostacoli burocratici che rallentano la realizzazione delle infrastrutture. A tal proposito, nel 2008 il d.l. n.112 (art 2) ha introdotto alcune misure dirette a semplificare e a accelerare le procedure necessarie per l’installazione di reti in fibra ottica, di cui la principale consiste nella possibilità di utilizzare, senza oneri, le infrastrutture civili di proprietà pubblica o di titolarità di concessionari pubblici per la posa dei cavi. Dal documento emergono 4 modelli fondamentali per colmare il digital divide in Italia: 1. Accordo tra Amministrazione e operatori per l’attuazione di reciproci impegni in termini di investimenti sulla banda larga Questo modello prevede obblighi comuni a amministrazioni e operatori ed in particolare: • la condivisione dell’obiettivo dell’annullamento del digital divide infrastrutturale; • la redazione e la condivisione di piani di investimento sulla banda larga (l’amministrazione relativamente allo sviluppo di contenuti multimediali e servizi in rete, e gli operatori con riferimento all’adeguamento della loro infrastruttura TLC verso il superamento del digital divide); • la negoziazione del contenuto dei rispettivi piani, al fine di assicurarne la coerenza e la reciproca convenienza; • il coordinamento in merito alle modalità di realizzazione e di gestione dell’accordo (tramite iniziative come l’istituzione di strutture di coordinamento e controllo, azioni di monitoraggio, iniziative di comunicazione, ecc). Si prevede inoltre che le amministrazioni ricerchino l’accordo con tutti gli operatori presenti sul territorio e disposti ad investimenti propri in infrastrutture nelle aree in digital divide, al fine di tutelare la concorrenza nel mercato della banda larga. I punti di forza di questo modello sono la garanzia del massimo rispetto dei ruoli reciproci dei soggetti coinvolti - poiché prevede che gli operatori si occupino dello sviluppo delle reti e le amministrazioni pubbliche si occupino di erogare i servizi sulla rete e di promuovere lo sviluppo dei contenuti multimediali - e del massimo approccio negoziale tra Ente ed operatori. Lo strumento normalmente adottato per attuare questo modello è il protocollo d’intesa. 2. Contributi alle imprese in aree di fallimento del mercato Questo modello viene comunemente denominato “modello scozzese” poiché si basa sulle caratteristiche del progetto “Broadband in Scotland”, valutato dalla Commissione Europea come aiuto di stato compatibile con l’art. 87, paragrafo 3, lettera C del Trattato CE (State Aid n. 307/2004). Prevede la possibilità per l’amministrazione di erogare un finanziamento pubblico agli operatori nelle aree a fallimento di mercato, dove cioè “i ricavi non sono in grado di sostenere le spese di gestione” o dove “non si raggiunge il pareggio se alle spese di gestione si sommano quelle di investimento o si raggiunge ma su orizzonti temporali non coerenti con le politiche degli operatori (considerando normalmente 3 anni di rientro dagli investimenti)”. L’intervento consiste di due fasi: la selezione, tramite procedura di evidenza pubblica, di uno o più operatori di telecomunicazioni che intendano coinvestire sul territorio per dare servizi di connettività a cittadini ed imprese, e l’incentivazione economica dell’azione degli operatori selezionati. Il finanziamento è subordinato all’effettivo verificarsi, ex-post, del fallimento del mercato durante l’arco di validità dell’incentivo (3-5 anni). Questo tipo di intervento può attuarsi esclusivamente in zone in cui esso si dimostri

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 295 effettivamente necessario, cioè in aree in cui sono presenti nuclei abitativi o imprese, e deve essere realizzato con modalità atte ad assicurare la non distorsione del mercato (ad esempio la Regione può prevedere segmentazione del territorio in più “lotti” di intervento qualora esistano operatori locali subregionali in grado di intervenire in aree limitate). Il finanziamento deve rispettare i criteri di proporzionalità ed essere limitato alla quota necessaria a raggiungere l’equilibrio costi/ricavi per ciascuno degli interventi infrastrutturali necessari. Per tale ragione sono previsti la necessità per l’operatore di tenere la contabilità separata e meccanismi di rientro dei capitali pubblici in caso l’investimento si riveli più proficuo del previsto. Questo modello di intervento non prevede nessun asset di proprietà pubblica, e fin’ora è stato applicato, in Italia, solamente da Toscana e Sardegna. 3. Realizzazione di infrastruttura pubblica di backhaul a disposizione degli operatori Il backhauling è l’infrastruttura di rete “intermedia” tra i backbone (ovvero le grandi “dorsali” della rete a banda larga) e i siti che ospitano le apparecchiature per l’accesso finale dell’utente (xDSL o wireless che sia). In questo caso, dunque, il settore pubblico realizza (direttamente o tramite l’intervento di un soggetto intermediario) l’infrastruttura passiva (cavidotto e fibra spenta) per collegare siti di raccolta di accesso (centrali, antenne base, ecc.) ai backbone degli operatori, e concede in affitto l’infrastruttura (in modalità IRU) a uno o più operatori, che in questo caso completano la rete con l’installazione degli apparati per l’attivazione del servizio di connettività. In tal modo, l’amministrazione si sobbarca quella parte di intervento che generalmente rappresenta la più grande barriera all’entrata per gli operatori, poiché la rete intermedia (backhaul) rappresenta circa il 70 per cento dei costi da sostenere per implementare una nuova rete via cavo e il 40 per cento per una wireless. Inoltre, poiché l’“ingerenza” pubblica si ferma a livello di infrastruttura passiva, la possibilità per gli operatori di gestire l’attivazione, l’organizzazione e la customizzazione dei servizi consente di aumentare la competizione nei livelli più alti della catena del valore (a livello di reti, di tecnologie, di servizi e contenuti). Per rientrare nella normativa europea devono essere rispettate le condizioni previste della sentenza Altmark che prevedono che la compensazione non debba eccedere quanto necessario per bilanciare (interamente o in parte) gli oneri di servizio pubblico e che la scelta dell’operatore privato vada effettuata mediante procedura di appalto pubblico, che consenta di selezionare l’impresa in grado di fornire i servizi al costo più basso. I relativi finanziamenti sono configurabili come compensazione per un Servizio di Interesse Economico Generale. In Italia questo modello è stato adottato da Infratel per completare alcune tratte di interesse di più operatori e collegare in fibra ottica alcune centrali di Telecom Italia. In alcuni casi l’intervento è stato inserito in un piano organico dalla Regione. Altre Regioni hanno costruito backbone pubblici (con l’obiettivo prevalente di collegare la Pubblica Amministrazione Locale con accessi in fibra ottica ad altissima velocità) da mettere successivamente a disposizione degli operatori alternativi. Dove questo è già effettivamente avvenuto, gli impatti in termini di aumento della copertura a banda larga non si sono ancora dimostrati. 4. Realizzazione di una struttura pubblica di accesso e affidamento in gestione a operatore privato Questa tipologia di modello è adatta alle aree più marginali e in cui l’investimento per gli operatori si presenta particolarmente sconveniente, prevedendo che l’amministrazione realizzi l’infrastruttura di rete di accesso ed eventualmente anche di backhaul e affidi la gestione ad un operatore, tramite gara pubblica. È pensato per le aree a fallimento di mercato, ovvero nelle aree in cui, senza un intervento di questo tipo, in nessun caso verrebbe realizzata un’infrastruttura di rete. Secondo le linee guida, infatti, il modello è da ritenersi utilizzabile solo dopo aver verificato la non fattibilità degli altri e solo nelle aree dove è massimo il fallimento del mercato. Anche in questo caso l’intervento non viene considerato aiuto di stato purché vengano

296 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni rispettate le condizione della sentenza Altmark (compensazione non eccedente l’effettivo costo per l’operatore e scelta dell’operatore più efficiente mediante bando pubblico). In questo modello, il settore pubblico interviene ad un livello più alto della catena del valore, e la pianificazione deve comprendere anche la ricerca di operatori disposti ad erogare il servizio, prendendosi l’impegno di gestire la rete effettuando regolarmente la manutenzione. Le linee guida, infine, sconsigliano alle amministrazioni pubbliche di gestire direttamente il servizio, anche attraverso una propria società. Una diversa tipologia di intervento riguarda la firma dei protocolli d’intesa tra Ministero delle Comunicazioni, Infratel e due fra i maggiori operatori di telecomunicazioni che operano in Italia, Telecom e Fastweb: il primo, siglato con l’incumbent il 18 dicembre 2007, prevede l’avvio di un’attività congiunta per la definizione di un piano finalizzato alla sensibile riduzione del numero delle aree non abilitate alla larga banda, la condivisione delle informazioni circa la pianificazione degli interventi nelle aree in ‘digital divide’ tenendo conto dei programmi di infrastrutturazione assunti dal Ministero in accordo con le Regioni e dei programmi di investimento dell’azienda, l’ottimizzazione dei tempi di abilitazione delle infrastrutture realizzate, la definizione dei requisiti tecnico-economici per l’acquisizione da parte di Telecom delle infrastrutture di telecomunicazioni (fibra ottica e infrastrutture di posa), l’individuazione di eventuali forme di sinergia perseguibili sul territorio e l’impiego di tecnologie innovative in grado di abbattere i costi e i tempi di realizzazione delle infrastrutture. È stata prevista anche l’istituzione di un tavolo di coordinamento che servirà a far dialogare, e di conseguenza ad operare in maniera efficace e produttiva, i soggetti che hanno sottoscritto l’intesa. Anche l’accordo con Fastweb, siglato il 7 aprile 2008 per favorire lo sviluppo di infrastrutture a larga banda su tutto il territorio nazionale, prevede funzioni simili tramite un Memorandum of Understanding finalizzato alla condivisione delle informazioni, alla definizione dei requisiti tecnico-economici per l’acquisizione da parte di Fastweb delle infrastrutture di telecomunicazione e la costituzione di un tavolo tecnico tra le parti. Dal punto di vista della previsione di risorse destinate alla diffusione delle nuove tecnologie, il primo intervento è stato realizzato sotto forma di incentivo alla domanda, allo scopo di promuovere l’adozione del broadband presso le famiglie, in seguito alla citata Comunicazione europea che di fatto permetteva alla Stato di destinare risorse per l’adozione di servizi pubblici radiotelevisivi o telematici. Sono stati stanziati complessivamente 87 milioni di euro tra il 2003 e il 2005222, sotto forma di incentivo di 75 euro per l’acquisto di “apparati per la trasmissione e/o ricezione a banda larga dei dati via internet”. Non sono stati previsti, tuttavia, criteri per concedere la priorità alle zone in digital divide, e gli stanziamenti hanno assunto la forma di incentivi per spingere gli utenti a sottoscrivere abbonamenti alle offerte broadband presenti nel mercato. Per ciò che concerne gli stanziamenti a favore delle infrastrutture, il primo e più importante intervento è stato il lancio del Programma Banda larga (2003), nell’ambito del quale è stato previsto, attraverso il Comitato Interministeriale per la Programmazione economica (Cipe), lo stanziamento dei fondi per lo sviluppo della banda larga in 8 regioni del Mezzogiorno. Dei 900 milioni complessivi previsti dalla delibera 83 del 2003, 150 milioni sono stati assegnati alla banda larga, ripartiti rispettivamente in 5,22 milioni di euro per il biennio 2003-2004 e 144,78 milioni per il 2005. Il fondo previsto per il Programma Banda larga fu assegnato a Sviluppo Italia, soggetto che, tramite la propria società Infratel, aveva il compito di attuarlo mediante accordi di programma con regioni e operatori finalizzati alla realizzazione di cavidotti che potevano essere affittati agli operatori per il passaggio delle rete in fibra ottica223. A tale scopo venne stipulata una convenzione quadriennale tra il Cipe e Sviluppo Italia, in cui era prevista l’erogazione dei fondi che quest’ultima avrebbe destinato ad Infratel in qualità di società realizzatrice. 222 Fonte: Ministero delle Comunicazioni/Fondazione Ugo Bordoni. 223 Cfr. Rapporto Isbul 3.3 pp 26.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 297 L’intervento previsto era stato stimato in 230 milioni, il 70% a carico dell’Amministrazione centrale e il restante 30% a carico delle Regioni. A tal fine, Infratel ha pubblicato nel 2005 un bando di gara per la progettazione e la realizzazione delle infrastrutture per la banda larga nel Mezzogiorno pari a circa 127 milioni di euro e articolato in 7 lotti, relativi all’aggiudicazione di altrettanti accordi quadro, cui sono seguiti contratti attuativi per le singole tratte per un totale di 1800 km di fibra che raggiungono 265 comuni delle regioni coinvolte224. Tabella 1 - Bando Infratel 2005 Investimenti Comuni Km di rete in Popolazione in digital divide % riduzione divario Regione (milioni di €) interessati fibra ottica da raggiungere (migliaia) tecnologico Sicilia 49.85 105 690 400 43% Puglia 26.53 44 350 131 20% Campania 17.99 40 260 184 38% Basilicata 6.30 10 90 42 14% Calabria 12.35 25 180 105 12% Abruzzo e 7.90 21 110 79 12% Molise Sardegna 6.05 20 110 68 10% Totale 126.97 265 1790 1.009 22% Fonte: Ministero delle Comunicazioni, Isbul

Tabella 2 - Esito Bando Infratel 2005 Lotto Base d’asta (milioni di €) Ribasso (%) Aggiudicazione lotto (milioni di €) Sicilia 49.85 5,63 47,13 Puglia 26.53 5,50 25,11 Campania 17.99 5,05 17,11 Basilicata 6.30 3,50 6,09 Calabria 12.35 4,30 11,83 Abruzzo e Molise 7.90 4,15 7,58 Sardegna 6.05 2,93 5,88 Totale 126.97 265 120,73 Fonte: Ministero delle Comunicazioni, Isbul In seguito alla citata Legge n. 80/2005 (art. 7), che incaricava Infratel di attuare il Programma Banda Larga, nel dicembre del 2005 è stato stipulato un Accordo di Programma con il Ministero delle Comunicazioni della durata di venti anni che assegna ad Infratel la gestione delle reti, la manutenzione ordinaria e straordinaria delle stesse e la possibilità di effettuare interventi di adeguamento tecnologico. A tal proposito è opportuno osservare come Infratel, nella propria politica di realizzazione degli accordi quadro, prediliga lo strumento dei “diritto d’uso temporaneo”225, che comporta la possibilità per il concedente di posare le strutture-base per le NGN all’interno delle infrastrutture realizzate dall’assegnatario del bando. Nello specifico, una volta realizzata l’infrastruttura da parte dell’operatore assegnatario del bando, questa rimane in concessione al costruttore per 15 anni (rinnovabili), mentre Infratel ne è il proprietario e ha facoltà di aggiornare la rete, affittare la capacità trasmissiva e collegare i cavi con infrastrutture terze. In seguito alla sottoscrizione di molteplici accordi di programma tra Infratel e le singole regioni - tra cui quelli con Emilia Romagna (dicembre 2007), Lazio (febbraio 2008), Marche (marzo 2008) - tra il 2009 e il 2010 Infratel ha pubblicato cinque bandi per il finanziamento dei seguenti interventi:

224 Cfr. Rapporto Isbul 3.3 pp 30. 225 “IRU”, Indefeasible Rights of Use, cfr. Rapporto Isbul 3.3 pp 30.

298 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni • la prosecuzione degli interventi d’attuazione226 nella Regione Basilicata (il c.d. bando fibra ottica Basilicata) per i lavori di progettazione esecutiva e realizzazione d’infrastrutture di rete di telecomunicazioni in fibra ottica, comprensivi della successiva relativa manutenzione227, del valore complessivo di euro 6.266.000228, di cui l’aggiudicatario è stato il raggruppamento temporaneo di imprese Valtellina spa - Alcatel Lucent spa229. Le prestazioni oggetto dell’affidamento sono finanziate a valere su Fondi POR Basilicata – FESR 2007-2013; • nelle Marche la progettazione e la realizzazione di infrastrutture costituite da impianti in fibra ottica per una rete a banda larga (il c.d. bando fibra ottica Marche), comprensiva della fornitura e posa in opera del relativo cavo in fibra ottica e della successiva manutenzione dell’infrastruttura, del valore di 16,5 milioni di euro230; • l’acquisto di diritti d’uso di infrastrutture idonee alla posa di cavi in fibra ottica da integrare nella rete di telecomunicazioni realizzata da Infratel (le aree di interesse sono limitate ai territori non dotate attualmente di infrastrutture in fibra ottica e il quantitativo stimato degli acquisti è pari a 1.200 KM)231: 14 milioni di euro; • la progettazione esecutiva e la realizzazione di infrastrutture costituite da impianti in fibra ottica per una rete a banda larga, comprensiva della fornitura e posa in opera del relativo cavo in fibra ottica e della successiva manutenzione dell’infrastruttura (il c.d. Bando Centro Nord del valore di 71.555.000 euro) suddiviso in due lotti sovra regionali: • Lotto 1. Emilia Romagna, Liguria e Lombardia: 36.530.000 euro comprensivo di una quota finanziata a valere su fondi della Regione Emilia Romagna pari ad 3.835.000 euro e di una quota finanziata a valere su fondi della Regione Lombardia pari a euro 4.395.000 euro232; • Lotto 2. Lazio, Marche e Umbria: 35.025.000 euro, comprensivo di una quota finanziata a valere su fondi della Regione Lazio pari ad 5.145.000 EUR e di una quota finanziata a valere su fondi della Regione Umbria pari a 3.305.000 euro233. • la progettazione esecutiva e la realizzazione di infrastrutture costituite da impianti in fibra ottica per una rete a banda larga, comprensiva della fornitura e posa in opera del relativo cavo in fibra ottica e della successiva manutenzione dell’infrastruttura - il c.d. Bando Nazionale Fibra Ottica, pari a circa Euro 99.528.051, suddiviso in 3 lotti sovra regionali: • Lotto 1. Toscana, Abruzzo, Molise e Sardegna: Euro 39.144.667 comprensivo di

226 Nelle risposte ai quesiti posti sul bando di gara dai partecipanti e pubblicate sul sito di Infratel si precisa che oggetto dell’affidamento è un accordo quadro e non uno specifico appalto. 227 Bando G.U.C.E. del 05 novembre 2008 e G.U.R.I. del 12 novembre 2008. 228 Euro 1.266.000,00 IVA esclusa di cui Euro 36.710,00 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso e di cui 30.000,00 EUR per spese di progettazione, con facoltà per la stazione appaltante di affidare un ulteriore importo di lavori pari ad Euro 5.000.000,00 iva esclusa di cui Euro 145.000,00 per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso e di cui Euro 54.000,00 per spese di progettazione; per un totale complessivo pari a 6.266.000,00 iva esclusa. 229 Sul sito di Infratel non è stato pubblicato il valore dell’aggiudicazione, tuttavia secondo la stessa Valtellina spa, il valore complessivo dell’aggiudicazione ammonta a circa 6 milioni di euro. Cfr. http://www.valtellina.com/ convention/pdf /ValtellinaSpa_progetti_realizzati.pdf. 230 Euro 16.590.900 IVA esclusa di cui Euro 481 136 per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso e di cui Euro 627.600 per spese di progettazione. Le prestazioni oggetto dell’affidamento sono finanziate a valere su Fondi POR - FESR 2007-2013. Il bando è stato vinto da RTI Ciet Impianti spa, I.CO.T.TEC. srl, Mazzoni Pietro spa. Valore finale totale degli appalti è pari a 11.476.049,93 euro +Iva. 231 La procedura riguarda l’istituzione di accordi quadro relativi all’acquisto di diritti d’uso di infrastrutture idonee alla posa di cavi in fibra ottica da integrare nella rete di telecomunicazioni a larga banda realizzata da Infratel e la successiva manutenzione dell’infrastruttura. Le forniture oggetto del presente affidamento sono finanziate a valere su Fondi di cui alle leggi finanziarie dello Stato, delibere CIPE e fondi POR - FESR 2007-2013. 232 Valore finale totale dell’Accordo quadro per il Lotto n.1: € 30.743.676,13 IVA esclusa. Data di aggiudicazione: 24/6/2009. Nome e indirizzo dell’operatore economico aggiudicatario: RTI tra Sirti S.p.A. (mandataria) e Sielte S.p.A. 233 Aggiudicatario del Lotto n.2 è stato un consorzio tra Ericsson Telecomunicazioni S.p.A (mandataria), Site S.p.A., Alpitel S.p.A e Ceit Impianti S.r.l. per un Accordo quadro del valore di € 28.696.894,20 IVA esclusa. Data di aggiudicazione: 24/6/2009.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 299 una quota finanziata a valere su fondi FEASR della Regione Abruzzo pari ad Euro 2.107.333, di una quota finanziata a valere su fondi FEASR della Regione Sardegna pari ad Euro 7.771.333 e una quota finanziata a valere su fondi FESR della Regione Toscana pari ad Euro 6.250.000, • Lotto 2. Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli: Euro 37.768.000 comprensivo di una quota finanziata a valere su fondi FEASR della Regione Piemonte pari ad Euro 5.260.667, di una quota finanziata a valere su fondi FEASR della Regione Lombardia pari ad Euro 5.313.333, di una quota finanziata a valere su fondi FEASR della Regione Veneto pari ad Euro 4.367.333 e di una quota finanziata a valere su fondi FESR della Regione Veneto pari ad Euro 6.266.667, • Lotto 3. Campania e Calabria: 22.615.385 EUR comprensivo di una quota finanziata a valere su fondi FEASR della regione Calabria pari a euro 8.693.333 e di una quota a valere su fondi FESR della regione Calabria pari a euro 6.666.667234.

4.4.4 I principali interventi a livello regionale

Molte regioni hanno già intrapreso politiche anti-digital divide, in attuazione delle linee guida per i Piani regionali per la banda larga, emanate dal Comitato per la diffusione della banda larga sul territorio nazionale, oppure come autonome scelte di politica regionale. Poiché gli interventi di diffusione della connettività broadband variano a seconda dei diversi territori, in relazione alle specifiche caratteristiche orografiche e al tasso di urbanizzazione degli stessi, ogni regione ha adottato l’approccio che meglio si adatta alle aree da coprire, combinando in taluni casi tipologie di interventi diversi. I principali, tra quelli utilizzati fino ad oggi, possono essere così elencati: 1. protocolli d’intesa con gli operatori per la realizzazione delle infrastrutture (Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia); 2. sovvenzione agli operatori per la realizzazione delle infrastrutture strategiche (Toscana); 3. realizzazione di un sistema integrato di servizi a banda larga da parte degli enti locali della Regione (e-government) (Sicilia, Veneto, Marche, Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Toscana); 4. accordo di Programma con il Ministero delle Comunicazioni per la realizzazione diretta delle infrastrutture (Liguria, Piemonte, Sardegna, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Calabria, Campania); 5. realizzazione diretta di infrastrutture a banda larga (Provincia autonoma di Trento, Friuli Venezia Giulia). Come si nota dalla modellizzazione realizzata dall’Isbul, le tipologie di intervento si diversificano (pur all’interno del percorso tracciato dalle linee guida) adattandosi alle specificità regionali, e in alcuni casi le stesse regioni ne hanno adottati diversi a seconda delle proprie necessità territoriali. Relativamente alla approvazione dei protocolli d’intesa con gli operatori di telefonia, la Liguria tra marzo e aprile 2008 ne ha firmati tre, rispettivamente con Ericsson, (4 marzo) Telecom (23 aprile) e Fastweb (24 aprile). Questo tipo di accordi erano inseriti nell’ambito del più ampio Piano Operativo Triennale di Informatizzazione 2006-2008, ideato con l’obiettivo di diffondere la connessione a banda larga in tutto il territorio ligure. Delle 4 linee di intervento previste dal piano, la Sottoscrizione di Protocolli di Intesa con Operatori di Telecomunicazioni fa parte del terzo tipo e comporta due condizioni principali: che gli operatori siano attivi sul territorio regionale, anche a carattere locale, e che non vi siano oneri finanziari per l’Amministrazione

234 Per tutti i lotti citati, l’affidamento delle quote sopraindicate al soggetto che risulterà aggiudicatario del lotto è subordinato alla sottoscrizione di una convenzione operativa tra il Ministero dello Sviluppo Economico e la regione interessata.

300 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni regionale. L’obiettivo dell’accordo con Ericsson consiste nella fornitura di servizi con diverse tipologie di canale (internet, tv, fonia), sia in mobilità sia per utenti residenziali, mentre gli accordi con Fastweb e Telecom prevedono l’estensione della copertura a banda larga alle aree della regione in cui non è presente per consentire l’accesso ai servizi broadband per i cittadini, le imprese e la Pubblica Amministrazione con particolare attenzione ad alcuni settori quali quello socio-sanitario e assistenziale, i trasporti, la logistica, il turismo, la sicurezza delle persone e del territorio, lo sviluppo dell’e-Government e dell’e-Democracy, nonché la formazione dei cittadini e delle imprese. Quello con Telecom, in particolare, prevede l’estensione della copertura della rete a banda larga a ulteriori 33 Comuni, raggiungendo entro la fine del 2009 circa il 96% delle linee telefoniche fisse attive sul territorio, per un totale di 208 Comuni coperti. La modalità della sovvenzione agli operatori per la realizzazione delle infrastrutture strategiche è stata utilizzata specificamente dalla Regione Toscana, nell’ambito del “Progetto Banda larga nelle aree rurali”, lanciato per abbattere il digital divide sul proprio territorio nel periodo 2007- 2010. Il meccanismo prevede la selezione, mediante un Avviso pubblico, di uno o più operatori di telecomunicazioni, per coinvestire nelle aree a fallimento di mercato e fornire servizi di connettività a cittadini ed imprese: la Regione eroga specifici incentivi che pareggiano il saldo negativo tra ricavi e costi stimati, mentre l’operatore che realizza le infrastrutture ha facoltà di scegliere la soluzione tecnica giudicata più efficiente e, ultimati i lavori, rimane proprietario della rete. Gli obblighi cui deve sottostare sono la fornitura di servizi di connettività sia a cittadini ed imprese (retail) sia agli altri operatori di comunicazione che vogliano attivare servizi nell’area (wholesale), ai quali deve essere garantito l’accesso ai sensi della disciplina degli artt. 40-52 del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, e della normativa regolamentare emanata dall’Agcom. Il Progetto Banda larga prevede di raggiungere oltre 200 mila cittadini e circa 15 mila imprese, collocati nelle aree giudicate a fallimento di mercato, ed è stato preceduto da un’analisi volta ad individuare le motivazioni economiche che impedivano agli operatori di comunicazione di coprire le aree non ancora raggiunte dal broadband, individuando le aree che sarebbero rimaste scoperte anche nel medio-lungo periodo. I risultati hanno mostrato la necessità di intervenire in talune aree per garantire i servizi individuati dal piano e-Europe. In tal modo, il Progetto è rientrato nei parametri tracciati dalla Commissione dopo l’approvazione del Progetto “Broadband in Scotland”, valutato dalla Commissione Europea come aiuto di stato compatibile. La procedura di gara si è conclusa con il decreto n. 841 del 26 febbraio 2008, che ha approvato la graduatoria definitiva. Sono stati assegnati tutti i lotti, con almeno due operatori per ciascun lotto provinciale. L’investimento pubblico complessivo ammonta a 20 milioni di euro tra Regione Toscana, Province e Comunità europea. Esempi di realizzazione di un sistema integrato di servizi a banda larga da parte degli enti locali della Regione (e-government) sono la Valle D’Aosta e il Piemonte. La prima, oltre a sottoscrivere accordi con gli operatori presenti sul proprio territorio, in particolare Telecom235, ha promosso, nell’ambito del progetto VALLE D’AOSTA ALL DIGITAL, una politica di riduzione del digital digital focalizzata sull’alfabetizzazione informatica della popolazione, allo scopo di diffondere l’utilizzo dei servizi di e-government presso i propri cittadini. Anche nell’ambito del progetto piemontese WI-PIE, lanciato per diffondere la connettività a banda larga presso tutti i comuni tramite la costruzione di una dorsale in fibra ottica e la diffusione di connessioni wireless per le aree più difficili da raggiungere, sono state introdotte misure volte a sostenere lo sviluppo di servizi e contenuti digitali da parte degli enti locali della regione. Poiché la realizzazione del progetto prevede la copertura di alcuni comuni tramite un accordo di programma con l’allora Ministero delle Comunicazioni e di altri tramite un apposito protocollo di intesa siglato con Telecom, le politiche di sviluppo dei contenuti, servizi

235 La Regione ha firmato nel 2007 un protocollo d’intesa con il principale operatore del mercato (Telecom Italia) al fine di disciplinare i rapporti tra le parti per definire le attività necessarie a garantire entro due anni dalla firma del protocollo, la riduzione del digital divide sul territorio estendendo i servizi broadband sul 100% dei co- muni e garantendo il servizio almeno al 96% della popolazione.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 301 e applicazioni di e-government saranno effettuate sia a beneficio dell’incumbent che di tutti gli altri operatori, ai quali dovrà essere concesso l’accesso anche alle reti realizzate tramite tale tipo di accordo. La sottoscrizione di un accordo di Programma con il Ministero delle Comunicazioni per la realizzazione diretta delle infrastrutture è uno dei modelli più utilizzati, adottato da Liguria, Piemonte, Sardegna, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Calabria, Campania. All’interno dell’Accordo viene generalmente previsto l’obiettivo di potenziare la rete tramite fibra ottica e connessioni wireless allo scopo di garantire una capacità media di 2Mb/s in download ai cittadini che versano in condizioni di digital divide. Gli interventi comportano la realizzazione diretta delle infrastrutture e prevedono finanziamenti sia statali che regionali, sulla base dei quali si basa il diritto di proprietà in relazione agli interventi stessi. Ciò significa che le tratte realizzate con i fondi regionali restano di proprietà delle regioni, mentre quelle realizzate tramite l’intervento statale restato di proprietà dell’amministrazione centrale e vengono affidate dalle Regioni in concessione. La realizzazione diretta di infrastrutture a banda larga, infine, è stata intrapresa anche senza specifici accordi di programma, in particolare dalla Regione Emilia Romagna, dalla Provincia autonoma di Trento, dal Friuli Venezia Giulia, dalla Provincia di Genova e di La Spezia. I progetti prevedono la realizzazione degli interventi da parte di privati con cofinanziamento regionale e l’affidamento in concessione per la gestione e la fornitura di servizi senza l’intervento di Infratel.

4.4.5 Le risorse stanziate nella lotta al digital divide

Alla luce della molteplicità dei meccanismi di finanziamento nella realizzazione degli interventi di copertura dei diversi territori, della complessità nell’allocazione delle risorse tra Amministrazione centrale, Regioni e Comunità europea, e della varietà degli interventi dovuta alle specificità regionali e territoriali, effettuare una stima delle risorse stanziate nella lotta al digital divide risulta un’operazione quanto mai complicata e difficilmente scevra da manchevolezze e semplificazioni. In considerazione della difficoltà di disaggregare le risorse investite nelle politiche di copertura del territorio in banda larga tra le maglie dei bilanci statali e regionali e di discernere fra risorse allocate, stanziate o effettivamente impegnate, in questa sede si propone una quantificazione basata sullo studio dei bandi di gara pubblicati da Infratel negli ultimi 5 anni. Come si nota dalla tabella le risorse complessivamente impegnate oltre 312 milioni di euro (al netto dell’Iva), 197 dei quali già erogati o in corso di erogazione agli assegnatari degli appalti per l’effettiva realizzazione delle infrastrutture236. A livello di Amministrazione centrale sono state impegnate risorse pari ad oltre 228 milioni di euro (al netto dell’Iva), quasi 127 milioni dei quali provenienti dal Programma banda larga del 2005. L’attività di finanziamento è stata intensificata tra il 2009 e il 2010 con lo stanziamento di 54,8 milioni per il Bando Centro Nord e di 46,8 milioni per il Bando nazionale fibra ottica. Le risorse regionali e comunitarie impegnate risultano pari ad oltre 91 milioni di euro (al netto dell’Iva). Tra queste, 15,3 milioni sono stati stanziati per la Calabria e 10,8 per il Veneto (Fesr e Feasr Bando nazionale fibra ottica); 11,5 milioni sono stati assegnati ad interventi nelle Marche (Bando fibra Marche, base di partenza 16,6 milioni, finanziati a valere su Fondi POR - FESR 2007-2013); 9,7 milioni sono stati stanziati in Lombardia (4,4 da risorse regionali e 5,3 su fondi Fears); 7,7 alla Sardegna (fondi Fears Bando nazionale fibra ottica); 6,2 alla Toscana (fondi Fesr Bando nazionale fibra ottica); 5,2 al Piemonte (fondi Feasr Bando nazionale fibra ottica); 2,1 all’Abruzzo (fondi Fears Bando nazionale fibra ottica); mentre Lazio, Emilia Romagna e Umbria hanno stanziato, per interventi nel proprio territorio, rispettivamente 5,1 milioni, 3,8 milioni e 3,3 milioni, messi a gara nel Bando centro Nord. 236 Relativamente bando di gara Fibra ottica in Basilicata, sul sito di Infratel sono stati pubblicati i nomi delle imprese aggiudicatrici-Alcatel Lucent e Valtellina spa - ma non il valore dell’aggiudicazione. Tuttavia, secondo un documento pubblicato dalla stessa Valtellina spa, il valore complessivo dell’aggiudicazione ammonta a circa 6 mil- ioni di euro. Cfr. http://www.valtellina.com/convention/pdf/ValtellinaSpa_progetti_realizzati.pdf

302 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Relativamente ai finanziamenti regionali, in particolare, occorre osservare che le risorse stanziate attraverso i molteplici strumenti di intervento elencati nel paragrafo 1.3 sono ovviamente molto più ingenti di quelli elencati in questa sede (si pensi che solo in Lombardia sono previsti 3 progetti per investimenti complessivi di 93 milioni di euro237) ma difficilmente identificabili. Tabella 3 - Finanziamenti infrastrutture broadband: risorse nazionali, regionali ed europee messe a gara Risorse POR - FESR, Risorse Risorse BANDI FEASR o altri Risorse totali erogate (valore Note Infratel finanziamenti aggiudicazione) regionali Bando Mezzogiorno (mar- 126.970.000 0 126.970.000 120.729.890,37 2005) Bando fibra Basilicata 0 6.266.000 6.266.000 6.000.000* (gen-2009) Bando fibra Marche (apr- 0 16.590.900 16.590.900 11.476.049,93 2009) Acquisto diritti d’uso n.d.** n.d.** 14.000.000 n.d. infrastrutture (apr-2009) 3.835.000 Emilia lotto 1 28.300.000 8.230.000 36.530.000 30.743.676,13 + 4.395.000 Bando centro Lombardia Nord (mag- 5.145.000 Lazio 2009) lotto 2 26.575.000 8.450.000 35.025.000 28.696.894,20 + 3.305.000 Umbria 2.107.333 Abruzzo Feasr+ 7.771.333 lotto 1 23.016.001 16.128.666 39.144.667 n.d. Sardegna Feasr+ 6.250.000 Bando Toscana Fesr nazionale 5.260.667 fibra ottica Piemonte Feasr (mar-2010) + 5.313.333 Lombardia lotto 2 16.560.000 21.208.000 37.768.000 n.d. Feasr+ 4.367.333 Veneto Feasr+ 6.266.667 Veneto fesr 8.693.333 Calabria Feasr lotto 3 7.255.385 15.360.000 22 615 385 n.d. + Calabria Fesr 6.666.667 Totale*** 228.676.386 92.233.566 312.294.567 197.646.510 Fonte: elaborazione IEM. Note: *Sul sito di Infratel non è stato pubblicato il valore dell’aggiudicazione, tuttavia secondo Valtellina spa, il valore complessivo; ** Le forniture oggetto del presente affidamento sono finanziate a valere su Fondi di cui alle leggi finanziarie dello Stato, delibere CIPE e fondi POR - FESR 2007-2013, pertanto non è possibile distinguere tra risorse statali e risorse regionali ***dell’aggiudicazione ammonta a circa 6 milioni di euro. Importi al netto dell’iva.

237 Si tratta dell’Accordo di programma quadro ‘Società dell’informazione’, del Bando regionale di riduzione del Digital divide e del Piano di sviluppo rurale. Complessivamente i tre progetti coinvolgono 630 Comuni con investimenti per 93 milioni di euro che consentono la posa di quasi 3.000 chilometri di fibra ottica. Cfr. http://www. regione.lombardia.it/cs/Satellite?c=News&childpagename=Regione/Detail&cid=1213346248980&pagename=RG NWrapper

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 303 Bibliografia

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Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 305 Considerazioni a margine di Carla Bodo, Maurizio Decina, André Lange, Mario Morcellini, Mariella Volpe

1. Alcune annotazioni sullo Stato dell’arte.

di Carla Bodo238

Lo studio della Fondazione Rosselli su “Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni”, rappresenta un solido contributo alla costruzione di un edificio – quello del sistema informativo e statistico italiano sulla cultura – che procede solo a rilento e con molto ritardo. Vediamo anzitutto di inquadrare lo stato dell’arte della questione oggi, anche nel contesto internazionale. Come e’ noto l’ inserimento a pieno titolo delle politiche della cultura nell’ ambito delle politiche sociali e del welfare – a fianco delle politiche dell’ educazione, dell’ assistenza, della sanità – è una acquisizione relativamente recente, che ha preso progressivamente corpo solo a partire dalla seconda metà del secolo scorso, grazie all’intuizione ed all’ impulso di personalità lungimiranti quali John Maynard Keynes (1946) e André Malraux (1959). Dopo mezzo secolo, peraltro, è un fatto che in quasi tutti i paesi il sistema di dati e statistiche a disposizione per monitorare i fenomeni culturali e i risultati delle politiche poste in essere è ancora, nel complesso, alquanto arretrato, e per di più assolutamente inadeguato al ruolo di elemento propulsivo dello sviluppo economico e sociale ormai riconosciuto alla cultura. Con molto ritardo, solo a partire dal 1997, la Commissione Europea ha cercato di rimediare a questa grave lacuna informativa, istituendo con qualche esitazione nell’ ambito di Eurostat – dapprima in via sperimentale239, in seguito formalmente – un Working Group on Cultural Statistics, con il dichiarato obbiettivo di indurre gli stati membri a integrare e sviluppare i loro sistemi statistici sulla cultura, rendendoli nello stesso tempo più comparabili tra loro. Dopo aver operato attivamente tra il 1997 e il 2004, il W.G. e’stato peraltro posto in sonno per l’ intera Sesta Legislatura, ed è stato resuscitato sotto altre spoglie solo nel 2008. Nella prima fase del suo lavoro, l’Eurostat W.G. on Cultural Statistics si è applicato anzitutto, in una Task Force Methodology, nel trovare un accordo tra i paesi membri su una definizione comune di cultura. In teoria non si partiva da zero, bensì da una definizione alquanto ampia – estesa all’ambiente e allo sport - a cui si era pervenuti in sede Unesco negli anni Ottanta con l’ adozione del Framework for Cultural Statistics240. In pratica, tuttavia, è apparsa subito chiara l’estrema diversificazione esistente fra i più o meno estesi sistemi statistici della cultura esistenti nei vari paesi, modellati com’erano sulle pur variabili aggregazioni amministrative esistenti al livello statale (ministeri della cultura, della cultura e comunicazione, della cultura e sport, Arts Councils,...), e sulle loro peculiari priorità (il patrimonio, la creazione artistica, le industrie culturali.…). Alla fine, si è trovato un accordo su una definizione di cultura nello stesso tempo ampia ma strettamente pertinente, comprensiva delle “attivita’ di conservazione, di creazione-produzione, di distribuzione-diffusione, di commercializzazione, di beni e servizi culturali attinenti: il patrimonio artistico e storico, le biblioteche e gli archivi, le arti visive, lo spettacolo dal vivo, l’ editoria libraria e la stampa, il cinema, gli audiovisivi e i nuovi media241”.

238 Vicepresidente dell’Associazione per l’Economia della Cultura. 239 Vedi Eurostat, Final Report on the LEG on Cultural Statistics in the European Union, Luxembourg, 2000. 240 L’Unesco Framework 1986 e’ stato recentemente oggetto di un lungo processo di revisione, culminato nell’ adozione dell’Unesco Framework on Cultural Statistics 2009, che ha nello stesso tempo ristretto e ulteriormente allargato (alle tradizioni orali e al patrimonio immateriale, alle feste e fiere, alla moda, ecc..) la definizione di cultura. 241 V. Final Report of the Leg, Luxembourg, 2000. Da notare che l’ inserimento della stampa, della televisione e dei nuovi media nella definizione di cultura non è stato facile, in quanto a lungo contestato – come “estensione al trash”- dai paesi più tradizionalisti. Nello stesso tempo, nella formulazione della definizione stessa, è implicito che le statistiche culturali includono le attività concernenti il software, ma non l’hardware: ad esempio l’occupazione, o

306 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni Nello stesso tempo, pur in stretto contatto con questa TF, altre tre TF si sono concentrate sui seguenti assi tematici: Employment, Cultural Expenditure and Financing, Cultural Participation. E giungiamo così finalmente al cuore del problema che qui ci interessa: nel 2004, alla chiusura della legislatura, Eurostat ha ritenuto che - mentre i lavori delle altre T.F. avevano decisamente progredito nella produzione e nella comparabilità dei dati – i risultati conseguiti dalla TF finanziamenti erano ancora essenzialmente di ordine metodologico e tassonomico. Il tentativo di concreta raccolta e di elaborazione statistica concernente la spesa pubblica per la cultura nei paesi membri effettuato nel 2003, veniva considerato infatti “un miglioramento nella base conoscitiva di un’area molto complessa242”, con esiti peraltro ancora disomogenei e non pubblicabili. Le ragioni principali alla base delle difficoltà incontrate venivano così individuate: 1. la necessità di prendere in considerazione la spesa culturale erogata da tutti i livelli di governo, vista la scarsa significatività di comparazioni limitate alla spesa statale, per i forti divari tra paesi nel suo ruolo e nella sua incidenza (oscillante fra il 15 e il 60% della spesa complessiva); 2. la conseguente, estrema frammentazione dei centri di spesa da prendere in considerazione, ossia: a) i livelli di governo centrale, regionale e locale (da 2 a 4 a seconda dei paesi); b) la pluralità dei ministeri coinvolti al livello centrale: c) la pluralità, a maggior ragione, delle unità amministrative competenti per gli assessorati al livello regionale e locale; 3. la difficoltà di pervenire ad una classificazione settoriale della spesa, secondo l’articolata nomenclatura Eurostat, in particolare per i livelli di governo inferiori; 4. i problemi posti dal consolidamento della spesa erogata, depurandola dai trasferimenti, per evitare il double counting. Eurostat ribadiva quindi con forza che la T.F. Financing - non essendo ancora venuta a capo di problemi così complessi - era quella per cui era maggiormente necessario un proseguimento dei lavori. Suggerimento accettato dal nuovo European Statistical System Network Project/ ESSNET, che nel 2008 ha resuscitato, prendendone il posto, il vecchio Working Group243. Se in ambito europeo siamo ancora, quindi, nella fase dei lavori preparatori e di approfondimento, è peraltro inutile nascondersi che – quando il sistema statistico dell’ UE sulla cultura andrà a regime - l’Italia si troverà in grave difficoltà nel far fronte a questo nuovo impegno. Per la sua frammentazione, la sua disorganicità, la sua incompletezza, il nostro sistema statistico sulla cultura è infatti oggi mediamente più arretrato rispetto a quello dei maggiori paesi europei. Ciò vale non tanto per i singoli settori, per i quali la copertura statistica alterna luci ed ombre, ma in particolare per quelle statistiche riferite al campo culturale nel suo complesso, quali quelle riguardanti l’occupazione culturale e i finanziamenti alla cultura. Il che è certamente dovuto anche al ritardato e, nei fatti, non ancora perfettamente compiuto accorpamento delle principali competenze statali sulla cultura nel Ministero per i Beni e le Attività Culturali, mentre le competenze sui media - audiovisivi ed editoria – sono ormai ripartite tra due ministeri. Per di più l’accentuata conflittualità esistente fra Stato, regioni ed enti locali circa l’aggiudicazione delle responsabilità amministrative in questo campo non facilita certo lo scambio dei dati e l’informazione reciproca. In particolare per quanto riguarda la spesa pubblica per la cultura, mentre a farsene carico, negli altri paesi, sono generalmente gli istituti statistici nazionali e/o i ministeri per la cultura, da noi questa materia è invece terra di nessuno, abbandonata com’è alla volenterosa e saltuaria il sostegno finanziario, attinenti la produzione di dischi o DVD, ma non i lettori o i televisori). 242 Vedi Working Group on Cultural Statistics - Short conclusions. Doc.ESTAT/D5/2004-CULT. 243 Le altre TF sono Framewok and definitions (evidentemente oggetto di nuove precisazioni e di eventuali integrazioni) e Cultural participation and social aspects, che dovrebbe anche cercare di misurare il ruolo della cultu- ra nell’inclusione sociale. Per contro la TF Occupazione - che già aveva conseguito risultati abbastanza esaustivi - e’ stata sostituita da una nuova TF Industrie culturali.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 307 iniziativa di singoli studiosi o di singole organizzazioni, pubbliche o private. E va anche segnalato che, se alcuni comparti della spesa sono abbastanza coperti, raramente i finanziamenti alla cultura vengono analizzati a tutto campo, nelle loro molteplici articolazioni. Fra i soggetti che hanno contribuito a cercare di colmare almeno in parte questo vuoto rammentiamo l’ISPE/ ISAE, l’UVAL e l’ Associazione per l’ Economia della Cultura, con i suoi due Rapporti244. Ben venga quindi anche la Fondazione Rosselli, che con questo studio entra a far parte della ristretta cerchia dei cultori della materia. In ragione degli specifici interessi che improntano il lavoro della Fondazione, è da dire che la definizione di cultura alla base dello studio non coincide con quella di Eurostat, presentando variazioni sia in eccesso - vi sono incluse le telecomunicazioni - sia in difetto: resta infatti escluso il comparto dei beni culturali, ovviamente di grande rilievo nel contesto italiano. Per questo motivo il capitolo 3, la spesa pubblica in cultura, desta qualche perplessità, sia per il perimetro concettuale non propriamente ortodosso alla base dell’analisi, sia perché la fonte dei dati – la contabilità nazionale – si basa oggi su codificazioni non sufficientemente disaggregate, che non sempre consentono di isolare le spese più specificamente culturali da quelle non pertinenti, fra cui le spese di culto, la cui non quantificabile incidenza, in un paese come il nostro, potrebbe riservare qualche sorpresa. La Contabilità nazionale rappresenta certamente una fonte potenzialmente molto preziosa nella sua completezza, sulle cui codificazioni sarebbe peraltro necessario ancora lavorare insieme all’UVAL per renderla utilizzabile ai fini della rilevazione e della classificazione della spesa per la cultura così come definite in sede europea. I pregi maggiori dello studio risiedono invece, ai miei occhi, nei singoli capitoli relativi ai settori. In alcuni dei quali, tra l’ altro, i beni culturali, cacciati dalla porta, rientrano dalla finestra, in quanto principali destinatari di due tipologie relativamente nuove di fondi straordinari aggiuntivi rispetto alle risorse ordinarie del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: i fondi provenienti dal Lotto, e i finanziamenti gestiti da Arcus. In quest’ultimo caso i fondi sono alimentati da una percentuale prelevata sugli investimenti per le infrastrutture, gestiti peraltro (anche per la Corte dei Conti) con criteri alquanto discrezionali e “a pioggia”. Ben venga quindi uno studio che getta finalmente luce sul loro ammontare, sulla loro destinazione e sul loro andamento. Di particolare rilievo infine – perché trattano di una materia attualmente al centro dell’ attenzione e delle polemiche, ma raramente esplorata in modo tanto approfondito ed esaustivo – mi sono parsi i capitoli concernenti i finanziamenti alla stampa e alla televisione erogati dalla Presidenza del Consiglio e dal Dipartimento Comunicazione del Ministero per lo Sviluppo Economico. Finanziamenti che, anche per le istituzioni europee, fanno parte a pieno titolo della spesa statale per la cultura, ma che sono sistematicamente ignorati in tutte le stime nonché negli abborracciati confronti internazionali concernenti tale spesa che circolano nel nostro paese.

244 Vedi i due Rapporti sull’ Economia della Cultura in Italia 1980-1990 e 1990-2000, editi, rispettivamente, dal Dipartimento Editoria della Presidenza del Consiglio e dall’ editore il Mulino, Bologna. La metodologia utiliz- zata per l’ analisi della spesa di cui al secondo Rapporto coincide con quella Eurostat.

308 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 2. In Italia ci sono due digital divide di Maurizio Decina245

In Italia ci sono due digital divide (ovvero la spaccatura fra chi accede alla Rete e chi no). Il più evidente riguarda la carenza di infrastrutture di accesso, ma non è meno importante quello relativo ai comportamenti delle persone (il digital divide “culturale”). Guardiamo i numeri. Ci sono 60 milioni di individui e 25 milioni di famiglie. In prima approssimazione, il 50 per cento delle famiglie possiede un computer e accede a Internet con collegamenti fissi e mobili, mentre l’altra metà è analfabeta (in informatica) e sconnessa da Internet. Incrociando questo dato con il digital divide “infrastrutturale”, emerge che circa 5,5 milioni di italiani (il 9 per cento) non hanno possibilità di accesso a larga banda, cioè con connessioni di almeno 2 megabit al secondo. Basta scorrere il National Broadband Plan all’esame del Congresso degli Stati Uniti per capire quello che avremmo dovuto programmare e realizzare per lo sviluppo della Rete nel nostro Paese. Ci sono quattro temi principali: il digital divide nelle aree rurali, l’alfabetizzazione informatica, la banda ultra-larga nelle grandi città, e l’uso dello spettro televisivo per l’accesso a Internet. Fermandosi ai primi due aspetti relativi ai digital divide, sono programmati 16 miliardi di dollari in 10 anni per lo sviluppo della banda larga nelle aree rurali, con l’obiettivo di garantire 4 megabit al secondo alle abitazioni e un gigabit alle istituzioni come scuole, ospedali, librerie. Inoltre, il piano prevede la trasformazione dell’Universal Service Fund, altri 16 miliardi di dollari in 10 anni, a favore dell’alfabetizzazione informatica (le Internet Geek Squads) e della diffusione della telefonia Voip (Voice over Internet Protocol). In Italia l’attenzione del Governo è rivolta ad altre priorità e le risorse messe in gioco per l’accesso a Internet e l’alfabetizzazione informatica sono minime, pur spiccando un drammatico sottosviluppo del nostro Paese rispetto ai partner europei. Lasciamo da parte per un momento la classica divisione Nord-Sud e il fatto che persino in Lombardia, Veneto e Piemonte un milione di persone siano escluse dalla Rete. Concentriamoci piuttosto su quel 40 per cento degli italiani (rispetto al 60 per cento della media dei cittadini europei) che ha accesso a Internet e che quindi potrebbe usare Internet, eppure non lo fa. Perché non lo fa? Perché non ne sente il bisogno, non ne ha le capacità tecniche o più banalmente non sa che farci. Soltanto il 12 per cento degli italiani compra beni o servizi online, rispetto al 37 per cento della media europea. Tra le nostre imprese, appena il 4 per cento vende online, mentre la media europea è almeno il triplo (12 per cento)! Questa situazione si può cambiare? Sì, a patto di unire gli investimenti sulle infrastrutture agli stimoli all’uso della Rete e dei suoi servizi. Per gli investimenti nelle aree a digital divide infrastrutturale, lo studio della Fondazione Rosselli mostra che in Italia negli ultimi cinque anni sono stati effettuati stanziamenti dell’ordine dei trecento milioni di euro, contro il miliardo e quattrocento milioni stimato necessario entro i prossimi cinque anni dallo stesso sotto- Ministero delle Comunicazioni. Per gli stimoli all’uso della Rete, inoltre, sono stati stanziati soltanto incentivi all’acquisto dei computer per poche decine di milioni di euro! Cosa si potrebbe fare concretamente? Tre esempi. Primo, stabilire che entro una data certa (il 2020) la Pubblica amministrazione abolirà la carta e che tutte le operazioni saranno solo online. Secondo, prevedere che tutti i nuovi edifici siano raggiunti dalla fibra ottica. Terzo, portare i computer nelle scuole, su ogni banco: in Uruguay lo hanno fatto e le famiglie pagano 5 dollari al mese. Il problema è che in Italia per proporre di pagare una rata per i computer, dovremmo prima spiegare a tutti perché sono importanti.

245 Politecnico di Milano.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 309 3. Analysing public investment in culture: an issue of European importance

di André Lange246

The study Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni edited by the Istituto di Economia dei Media is not only an important contribution to the understanding of cultural policy in Italy but also represents an interesting model for Europe. Understanding the evolution of cultural policy in Italy (and in particular of film and television policies, which are my field of specialisation as an expert at the European Audiovisual Observatory) has always been a challenge for the non-Italian observer, even when he or she is familiar with the language, the institutions and the protagonists. Political commentaries and the traditional Italian exercise of dietrologia are a common practice, but they generally eschew precise references, technical and in-depth presentations and explanations of laws, regulations and public accounting systems. Despite the progress resulting from the online publication of official documents, key reports cannot always be accessed easily. In this context, the present study is invaluable to the foreign observer: it provides a clear and rigorously referenced presentation of a rather complex system. One of the main qualities of the study is the detailed analysis it provides of regional and local investment in support of culture. In the audiovisual sector, this includes support to regional and local television, but also an increasing amount of regional support to film production. From a European point of view, portraying the regional and local dimension of the audiovisual sector is among the most difficult exercises. I will mention just two examples: • According to the MAVISE database managed by the European Audiovisual Observatory, no less than 2,900 regional or local television channels operate in the European Union in 2010. However, very little data is available on the public finance sources and revenues of this category of broadcaster. • In 2004, the European Audiovisual Observatory published a comparative analysis of public funding for film and audiovisual works in Europe. 118 regional and local funding bodies were identified in the report, representing around 248 million Euros of support or 19,5% of total public funding in Europe in 2002. Since then, the number of regional and local initiatives has multiplied and a systematic census has become more and more problematic. In this context, it would certainly be useful to have reports like this one for other European countries, allowing a clear comparative approach to the evolution of public investment in the cultural sector. This would be particularly useful for countries where the regional dimension of public funding is of increasing importance.

246 Head of Department for Information on Markets and Financing, European Audiovisual Observatory.

310 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 4. Investimenti per la cultura e cultura come investimento. Una nota critica di Mario Morcellini247

Da qualunque prospettiva si guardi alla contemporaneità, è difficile non notare la centralità prorompente della cultura nel tempo moderno. Le variabili che possono essere chiamate in causa per spiegare una tale rilevanza sono ovviamente numerose: la crescita economica del comparto delle arti e dello spettacolo, l’espansione dei fenomeni migratori su scala globale (con ciò che ne deriva in termini di dialogo, interazione e comprensione), l’estetizzazione e volatilizzazione dei beni di consumo, la dilatazione ed espansione dell’impatto dei media generalisti, e quindi la radicalizzazione della loro funzione sociale, la spettacolarizzazione e mediatizzazione dell’agire politico, o ancora le trasformazioni sociali e comunicative portate dalla tecnologia più recente. Certo, occorre convenire su cosa s’intende per cultura e andare al di là di definizioni politiche spesso così estensive da sfumare i contorni dell’ambito cui si riferiscono, soprattutto se si adotta uno stile formativo che enfatizza la nozione dinamica del concetto. La stessa erosione dei confini tra cultura e telecomunicazioni, che emerge dai documenti alla base del testo di Barca, Marzulli, Murrau, Principali e Zambardino, può generare distorsioni e ambiguità, sebbene non si possa negare il peso che la cultura mediata abbia sulla dimensione sociale e comunicativa. Infatti le pratiche culturali descritte e analizzate, nella loro dimensione economica e giuridica, includono il cinema, i teatri e le attività musicali, ma anche l’ambito del patrimonio artistico e museale, le attività sportive e genericamente ricreative, così come qualunque iniziativa o servizio relativo alla «costruzione, ampliamento, miglioramento, funzionamento e manutenzione dei sistemi di comunicazione (postali, telefonici, telegrafici, senza fili, satellitari)». Si tratta di una definizione volutamente estensiva e comunque coerente con l’idea che per cultura si possa intendere quella sfera della dimensione sociale qualificata dalla presenza di simboli e significati comunicabili, di cui l’arte o il comparto dello spettacolo rappresenta solo un ramo, sebbene forse il più visibile (Santoro, 2008). In ogni caso, è condivisibile la percezione che trapela nelle pagine dello studio, secondo cui la cultura è al centro di processi di negoziazione fra strutture economico-produttive e professionali estremamente complesse, nuovi prodotti culturali, modalità inedite di fruizione, immaginari, universi simbolici, comportamenti, chiavi interpretative e conoscenze che, all’interno delle società complesse, si aggregano anche - e soprattutto - intorno ai media. Inoltre, è evidente che l’ambito culturale non possa essere racchiuso in una definizione dai confini rigidi. La stessa Unione Europea, come è ben argomentato nel testo, si è dimostrata sensibile all’evoluzione del concetto, tanto da approvare per la prima volta la concessione di aiuti in Francia, sotto forma di credito d’imposta, a imprese produttrici di videogiochi, riconoscendo a tale comparto dell’industria culturale un’indiscutibile ricchezza e un apprezzabile valore educativo. Dalla metà degli anni Novanta, d’altronde, i dati sui comportamenti culturali della società italiana in corso di modernizzazione rivelano alcuni caratteri di non ritorno, che segnano lo spazio culturale. È come se alcuni processi di dilatazione ed espansione dell’impatto dei media generalisti fossero arrivati al massimo in termini di penetrazione sociale. Si tratta di una novità storica eccezionale, soprattutto perché non riguarda un solo medium, ma diversi comparti del pacchetto del generalismo. La “disinfiammazione” televisiva in corso rappresenta, poi, un primo e importante indicatore della riarticolazione e “diffusione” del benessere culturale degli italiani, soprattutto alla luce del fatto che il tradizionale contributo della televisione generalista ai processi di sviluppo e coesione del Paese appare garantito oggi anche da forme di consumo qualitativamente nuove, come quelle che viaggiano lungo la banda larga o si manifestano in spettacoli dal vivo. All’indebolimento della televisione si è accompagnato, inaspettatamente, il declino del resto dell’offerta generalista: si sono ridotti, infatti, quegli stessi consumi culturali che negli altri Paesi

247 Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione, Sapienza Università di Roma.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 311 funzionavano da propulsori alla modernità (radio, editoria, quotidiani, settimanali, periodici). Parallelamente, il cambiamento socioculturale è passato anche per quei consumi culturali per i quali è richiesta una più elevata qualità e competenza di scelta: la fruizione di quella cultura che si autodefiniva d’élite ha conosciuto un processo di radicale allargamento delle sue basi sociali, imperniato in buona parte sullo smantellamento dei confini tradizionali del pubblico. Alla conquista dei luoghi cittadini e di una nuova idea di socialità, il soggetto moderno trova nella passione per il teatro, il cinema, gli spettacoli dal vivo, la lettura, o anche la scelta autonoma all’interno di un ampio carnet di contenuti che viaggiano su bande larghe, spazi e strumenti tradizionalmente deputati a coniugare realtà e immaginazione, elemento di condivisione e aggregazione simbolica. Alfabetizzato ormai alla scuola dei new media, l’attore moderno continua i suoi percorsi virtuali, passando dalla Rete delle Reti alla rete di relazioni metropolitane e culturali, altrettanto rappresentative per la costruzione delle comunità immaginate. Alla luce di tali trend, non si può ignorare la distanza tra il valore sociale della cultura e della comunicazione e il valore economico attribuito a tali ambiti dagli investimenti pubblici. A fronte di finanziamenti per anni concessi in automatico e in misura crescente, dal 2000 al 2008 la spesa pubblica in cultura e servizi ricreativi si è ridotta (dai 14.263,81 milioni euro del 2000 ai 10.668,64 milioni del 2008). Inoltre, rilevano gli autori del testo, «nonostante l’importanza riconosciuta agli investimenti in telecomunicazione per la competitività e la crescita di un Paese, i dati sulla spesa pubblica per il settore in Italia indicano che, a partire dal 2001, vi è una riduzione progressiva dei flussi di spesa pubblica alle telecomunicazione, mentre con riferimento alla parte in conto capitale, questa subisce una drastica riduzione a partire dal 2005.» Non irrilevante, poi, è la differenza di prospettiva tra Italia e Europa: quegli investimenti a giornali, cinema, teatri, concerti di lirica e molto altro, che hanno avuto una funzione spesso assistenziale estranea alla considerazione dell’equilibrio mercantile tra domanda e offerta, in Europa sono stati guidati dal principio saldamente sostenuto della non limitazione della concorrenza. Non è un caso che gli aiuti alla cultura siano previsti in deroga al principio d’incompatibilità tra sostegno pubblico e libero mercato. Nel nostro Paese, invece, il disinvestimento in cultura sembra una novità e le recenti manovre economiche impongono una presa di coscienza dei meccanismi puri di un mercato che stenta a reggersi sulle proprie gambe (forse solo per mancanza di abitudine e attitudine). Così, la scelta di razionalizzare drasticamente il sistema di concessione di contributi pubblici alla cultura, nell’ottica di un radicale contenimento dei costi, non è priva di conseguenze e di qualche squilibrio. I tagli, anche piuttosto consistenti, vengono applicati per esempio con alcune eccezioni: aumentano, a fronte di riduzioni radicali in ogni comparto della cultura, le spese per i servizi di stampa e di informazione, un settore già ampiamente sostenuto dallo stato in passato, anche a fronte di criticità evidenti. Un ambito però sempre più duramente colpito da una drastica emorragia di lettori. In tempi di crisi, è chiaro che l’uso appropriato delle risorse pubbliche diventi un nodo sempre più strategico, ma lo è anche la necessità di evitare aberrazioni nel sostegno a enti dal discutibile appeal socio-culturale. Quei tagli che possono avere effetti sistemici positivi, perdono di vigore e utilità se indiscriminati, concentrati in settori chiave per lo sviluppo del paese, o se ignorano il valore (non solo economico) di giacimenti di cultura e comunicazione di ambiti come la rete o gli eventi live, cui spetta il mantenimento e il rinvigorimento di quella condivisione che è alla base di qualunque processo culturale di scambio e adesione a un senso condiviso. A questo punto, è lecito domandarsi se il dato economico, da solo, possa restituire la complessità del vissuto sociale. Certamente, è necessario inquadrare il concetto di valore, che, rinviando per definizione ad aspetti economici, sociali, culturali e perfino simbolici, dimostra di possedere una notevole poliedricità semantica. Per questo motivo risulta fruttuoso disinnescare il potere seduttivo di una lettura economica tradizionalmente incentrata sul concetto di prezzo, per

312 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni proporre una riflessione su quello di pregio. Termini che hanno in comune la stessa radice semantica e che segnano il passaggio da un modello interessato al valore d’uso e di scambio delle merci, al valore commerciale e quindi materiale dei beni messi a disposizione all’interno del circuito delle reti digitali, fino a un punto di vista che riconosce la centralità di un valore intrinseco e di una vera e propria economia del desiderabile. In questo contesto, la legge della domanda e dell’offerta non coglie appieno le dinamiche dell’economia digitale per la sua incapacità di evidenziare i caratteri relazionali e intangibili che connotano una lettura in chiave economica della comunicazione. Esemplare, a questo proposito, è il caso degli studi di economia dell’istruzione, che mostrano come il vantaggio economico dei processi formativi sia una dimensione a utilità differita, e debba dunque esser letto come dispositivo sociale di lungo periodo. Nella stessa ottica, andrebbe considerata la politica del finanziamento a pioggia della cultura del passato remoto e la prospettiva del definanziamento drastico del passato prossimo. Se si riflette sulle ragioni del sostegno pubblico alla vita culturale del paese, i motivi di un tempo sembrano valere anche oggi, pur con alcuni distinguo: l’allargamento del privilegio della crescita culturale attraverso la progressiva accessibilità dei luoghi e i riti della cultura alla maggior parte della comunità è un principio che resiste alla prova del tempo; la difesa dall’inerzia del mercato di alcuni ambiti irrinunciabili per tramandare un certo grado di civiltà che probabilmente non avrebbero avuto la forza di sopravvivere alla logica del profitto sembra valere anche oggi, se al riparo da scelte irrazionali e anacronistiche; il bisogno di avere cittadini informati, minimamente colti, dotati di principi morali saldi e di riferimenti culturali solidi ci auguriamo che non sia tramontato. Tuttavia, queste vecchie esigenze sempre attuali andrebbero ricollocate nel paesaggio che ci circonda. Dovrebbero tener conto, per esempio, che se è utile il sostegno pubblico di ambiti come la lirica, il teatro, la musica classica, non è utile il presidio che annulla per gli operatori culturali il bisogno di far di conto e limita il margine di manovra dei soggetti privati. Inoltre, ci sono cattedrali della cultura in cui il sostegno sembra oggi più che mai urgente e sempre più disatteso. Uno di questi è la scuola, lì dov’è il paese reale e dove si pongono le basi per quella formazione culturale che sembra vacillare e che si cerca di recuperare quando è forse troppo tardi, a suon di spettacoli teatrali, visite a musei, festival, fiere ed eventi. Sarebbe ancora più interessante, ma certamente coraggioso, investire anche in contenuti televisivi che non tengano conto di share e audience, per esempio in programmi che rendano meno eccezionale ed eroica la lettura di Dante di Benigni, che pure l’audience riesce ad attrarla. Se poi la crisi impone dei tagli, che ben vengano, quando questi mettono fine a sprechi e incoerenze. Allora, però, occorrerebbe pensare a quello che agli occhi di molti appare un tabù: lasciare qualche spazio agli investimenti dei privati. È ciò che avviene in buona misura nell’editoria. È quello che in altri paesi si dà per scontato. È il tentativo di fare cultura e business al tempo stesso, senza che una cosa escluda l’altra. È un ostacolo che appare difficile da superare nel nostro paese, ma che aprirebbe scenari potenzialmente proficui, soprattutto se si creassero i presupposti per una vera impresa culturale privata, che non escluda l’aiuto pubblico, ma tenga fuori moralismi e anacronismi. In ogni caso, oggi più che mai, si sente la necessità di un nuovo e più flessibile “paradigma di lettura”, cosicché quello che sembra un problema tecnico si riveli per quello che è: una rivoluzione mentale, che riesca a dipingere un ritratto credibile delle passioni dell’uomo moderno e favorisca il passaggio dal Mediaevo a un possibile Rinascimento culturale.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 313 5. L’importanza di buoni dati a supporto delle politiche pubbliche

di Mariella Volpe248

I decisori pubblici e gli analisti che approfondiscono e interpretano la sfera dell’economia pubblica mostrano un bisogno sempre più esplicito di dati accurati sui flussi finanziari pubblici, soprattutto articolati a livello regionale. Conoscere quanto si spende, dove si spende e, soprattutto, come si spende è un bisogno fondamentale per garantire la necessaria trasparenza della pubblica gestione e per verificare criteri di efficienza economica e di equità. Il vincolo derivante dalla mancanza di adeguate basi informative si amplia ulteriormente se si scende ad analizzare i singoli comparti, tentando di comprendere in quali ambiti si sia effettivamente concentrata la spesa e quali dinamiche abbia mostrato negli ultimi anni. Ciò è particolarmente vero per la filiera culturale. La dimensione economica di tale ambito è un tema ormai consolidato nell’ambito dell’economia pubblica; tuttavia, nonostante la maturità raggiunta dalla letteratura e dalla ricerca applicata, non sempre le decisioni vengono assunte con un adeguato supporto informativo249. La consapevolezza di tali bisogni e di un gap informativo considerevole ha fatto sì che il principio ispiratore alla base della produzione dei Conti Pubblici Territoriali (CPT)250 fosse proprio l’idea di un’informazione statistica intesa come bene pubblico. La convinzione sottostante è infatti che una adeguata disponibilità informativa può influenzare e orientare la politica in diversi modi: accrescendo la capacità del policy-maker a livello centrale, incrementando la responsabilità a livello locale e garantendo la possibilità di fissare obiettivi fondati e verificabili che possano sostenere le scelte e orientare le decisioni. Tali ambizioni danno grande responsabilità al produttore del dato. L’informazione, infatti, non costituisce di per sé conoscenza. Perché ciò sia possibile sono necessari dati di qualità, ovvero completi e affidabili, tempestivi, flessibili nell’aggregazione secondo diverse chiavi di lettura e opportunamente disaggregabili utilizzando criteri e metodi statisticamente adeguati; ma anche affinamento crescente nel tempo, trasparenza e accessibilità, condizioni tutte essenziali perché gli utilizzatori possano fondare le loro scelte su informazioni chiare, precise e affidabili. Ma grande è anche la responsabilità dell’utilizzatore del dato, che non può che essere un utilizzatore informato e consapevole, soprattutto quando fa uso di una base informativa vasta e composita qual è la banca dati CPT. La perfetta conoscenza della complessità dei suoi aspetti teorici e dell’estremo dettaglio e flessibilità delle informazioni è un elemento irrinunciabile per articolare le domande ed affinare le ipotesi di ricerca, soprattutto settoriali. L’analisi settoriale della spesa pubblica, basata sulla classificazione in 30 voci adottata dai CPT

248 Responsabile Sistema Conti Pubblici Territoriali (CPT) - Unità di Valutazione degli Investimenti Pubblici (UVAL)-DPS-MISE 249 Cfr. B. Stratta, “Spesa pubblica per la cultura nelle regioni italiane: dinamiche recenti e modelli”, in Eco- nomia della cultura, n.2 2009. 250 La banca dati Conti Pubblici Territoriali (http://www.dps.tesoro.it/cpt/cpt.asp) consente di ricostruire a livello regionale la totalità della spesa e la totalità delle entrate, sia correnti sia in conto capitale per il Settore Pub- blico Allargato. La banca dati fa parte dal 2004 del Sistema Statistico Nazionale (SISTAN), la rete dei soggetti che for- nisce l’informazione pubblica, garantendo ai prodotti della rilevazione lo status di informazione statistica ufficiale e assicurando l’obbligo di risposta da parte di tutti i soggetti. La rete dei soggetti produttori dei dati è estremamente articolata e capillare sul territorio, comprendendo, oltre al Nucleo Centrale, operante presso l’UVAL, 21 Nuclei Re- gionali, operanti presso ciascuna Regione e Provincia autonoma italiana. Essa costituisce non solo una capillare rete fisica che consente di coprire la rilevazione di un universo di erogatori di spesa unico in Italia, ma una rete di metodi condivisi. Gli aggregati prodotti sono leggibili attraverso molteplici chiavi di interrogazione: per anno (la serie a oggi disponibile è relativa agli anni 1996-2007); per categorie economiche; per settori d’intervento; per ente (totalità degli enti della PA e del SPA). La pluralità delle chiavi di accesso garantisce una notevole flessibilità all’informazione, consentendo di disporre di ogni aggregato con riferimento a entrambi gli universi (PA e SPA) e, naturalmente, con riferimento a ogni territorio regionale. Vedi anche Nota metodologica al Cap. 3 di questo studio.

314 Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni (e coerente con la classificazione COFOG adottata dagli organismi internazionali), consente di leggere e interpretare l’intervento pubblico attuato sui territori in modo puntuale. Al tempo stesso però l’analisi settoriale risente, più di altre tipologie di analisi, dei vincoli dell’informazione di base derivante dai bilanci pubblici. Alcuni esempi collegati proprio alle potenzialità di analisi nei settori Cultura e Telecomunicazioni consentono di rendere più esplicito il messaggio. Il settore funzionale CPT “Cultura e servizi ricreativi”, ad esempio, ingloba le spese relative alle due funzioni, essendo assolutamente vago e molto discrezionale nei bilanci pubblici il confine tra cultura e servizi ricreativi251. Ciò rende necessario un affinamento del dato settoriale (depurandolo di tutte le voci non opportune, ad esempio i servizi ricreativi), finalizzandolo allo specifico obiettivo di analisi, con lo scopo di identificare l’effettivo ambito di policy che si vuole indagare. Anche con riferimento alla classificazione economica, la scelta di CPT di adottare un approccio finanziario può rappresentare un vincolo rispetto all’obiettivo analitico di valutare l’effettivo impatto economico di alcune voci di spesa. Diviene allora compito dell’utilizzatore del dato riuscire a discernere ciò che è importante escludere, soprattutto se l’estrema articolazione e flessibilità con cui il produttore ha reso l’informazione disponibile lo consente. Nel caso specifico quindi anche la filiera culturale può essere indagata eliminando una serie di voci economiche che inquinano l’ effettiva dimensione del settore, ma anche la distribuzione territoriale dei flussi ed il loro effettivo impatto. Il caso tipico è quello delle partite finanziarie, delle poste correttive e compensative, ma anche dei trasferimenti ad alcuni enti che possono rendere il dato molto variabile (ad es. le vincite derivanti dal gioco del lotto). L’operazione di identificare correttamente, all’interno degli aggregati CPT, l’ambito di riferimento più opportuno per i propri bisogni di analisi, non risulta tuttavia sempre agevole, sia a causa della pluralità degli enti che operano nel settore, sia perché nel caso di alcuni di essi (ad esempio per le Regioni e per le Province) non si hanno informazioni sufficienti per approfondire più dettagliatamente le tipologie di intervento effettuate.

251 In particolare le voci di spesa si riferiscono a: tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale; musei, biblioteche, pinacoteche e centri culturali; cinema, teatri, e attività musicali; sovvenzioni degli enti lirici; attività ricreative e sportive, quali piscine, stadi, centri polisportivi; propaganda, promozione e finanziamento di strutture; giardini e musei zoologici; archivi di Stato, accademie, antichità e belle arti.

Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni 315 Note sugli autori

Flavia Barca, curatrice del presente volume è coordinatore dell’Istituto di Economia dei Media – Iem della Fondazione Rosselli. Ha svolto attività di consulenza e di formazione presso Università ed enti pubblici e privati e ha firmato come autrice diversi progetti di produzione audiovisiva. Ha pubblicato articoli, saggi e libri sulla struttura e strategia delle imprese e dell’industria della comunicazione, con particolare riferimento al settore dei media; tra le opere più recenti, L’industria della comunicazione in Italia. Dodicesimo Rapporto IEM (Guerini e Associati, 2009); Le Tv invisibili, (Rai Eri, 2007).

Daniela Ciavarelli (Teramo, 1983) si è laureata presso l’Università di Teramo in Editoria, Comunicazione Multimediale e Giornalismo. È collaboratrice dell’Istituto di Economia dei Media dal 2009.

Andrea Marzulli (Roma, 1970), coordinatore di questo volume, è ricercatore nel campo dei media e dell’industria culturale. Laurea in Storia del Cinema all’Università di Roma, Master in Management dell’Audiovisivo e in Gestione e Marketing della Tv Digitale. Ha progettato, coordinato e scritto ricerche e consulenze sul mercato audiovisivo italiano e internazionale per istituzioni nazionali e locali e per i principali operatori del settore. Ha scritto su media e audiovisivi per diverse testate e in volumi collettivi. Attualmente è responsabile dell’area studi strategici e di mercato dell’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli ed è consulente per l’Unesco Institute of Statistics.

Luca Murrau è consulente da diversi anni all’UVAL-DPS del Ministero dello Sviluppo Economico. Insegna alla facoltà di Economia dell’Università della Calabria sui temi dell’economia dello sviluppo locale e delle politiche per lo sviluppo. Ha svolto studi post-laurea in Italia e all’estero. Ha collaborato a diversi rapporti di ricerca e realizzato varie pubblicazioni su riviste scientifiche italiane e internazionali.

Lorenzo Principali è ricercatore presso l’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli. Laureato in Scienze della Comunicazione, dal 2006 collabora con la cattedra di Teorie e Tecniche dei Nuovi Media del professor Marinelli all’Università “La Sapienza” di Roma. Nel biennio 2006-2007 ha fatto parte dello staff del Sottosegretariato alle Comunicazioni. Dal 2009 è responsabile della gestione della strategia di comunicazione digitale dell’attività parlamentare del Senatore Vimercati. Si occupa prevalentemente di nuove tecnologie della comunicazione quali internet, tv digitale e telefonia mobile.

William Ricci (Pescara, 1982), laureato in Scienze della Comunicazione all’Università degli studi di Teramo, frequenta nella stessa Università i corsi di laurea specialistica in Pubblicità e Comunicazione d’Impresa. Collabora con l’Istituto di Economia dei Media dal 2008.

Paola Savini (Milano, 1979) laurea in Scienze della comunicazione istituzionale e d’impresa presso l’Università «La Sapienza» (2003), Master internazionale in European Studies and Global Affairs presso l’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica di Milano (2005) e Master in Antitrust e regolazione dei mercati presso l’Università di Tor Vergata (2008). È iscritta al XXIII ciclo del dottorato di ricerca in Economia, marketing e comunicazione d’impresa presso l’Università IULM di Milano. È membro del consiglio direttivo dell’associazione Youth Press Italia.

316 Note sugli autori Roberto Triola (Roma, 1971): esperto di economia digitale. Laurea in Scienze Politiche all’Università La Sapienza e Master in Giornalismo e Comunicazione d’impresa alla Luiss di Roma. Nella seconda metà degli anni ‘90 lavora per il Movimento Giovani Imprenditori di Confindustria come responsabile del progetto di comunicazione digitale. Dal 2000 al 2005 si occupa di seguire la lobby ICT nell’Area Ricerca e Innovazione della Confederazione. Dal 2006 è responsabile dell’Ufficio Studi di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici (già Federcomin) coordinando la realizzazione delle pubblicazioni della Federazione sull’innovazione digitale.

Chiara Valmachino, senior media consultant indipendente, dal 2005 si occupa di ricerche di scenario sui mercati media italiani ed europei (con focus sull’area tedesca) e di studi di settore sulla Tv, in particolare per il target “kids”. Dottore di Ricerca in Pedagogia, esperta in media education, collabora inoltre con l’Università Cattolica di Milano, presso cui ha coordinato fino al 2008 corsi di formazione post lauream. Ha scritto diversi saggi, sulle tecnologie dell’apprendimento, sulla media education e sull’informazione.

Bruno Zambardino (Napoli, 1968), esperto di studi economici ed analisi strategiche del settore audiovisivo e dello spettacolo. Dal maggio 2009 collabora con l’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli come ricercatore senior e responsabile di progetto. Dal 2003 è docente di Organizzazione ed economia dello Spettacolo nel Corso di Laurea Arti e Scienze dello Spettacolo presso la Sapienza di Roma. Dal marzo 2010 è membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Internazionale sull’Audiovisivo e la Multimedialità della Fondazione Roberto Rossellini per l’Audiovisivo di Roma. Nel 2009-2010 ha ricoperto la carica di consigliere di amministrazione dell’ETI (Ente Teatrale Italiano) con delega all’audiovisivo e nuovi media. Ultime pubblicazioni (coautore): Cinema di qualità. Analisi del progetto Schermi di Qualità, a cura di Ufficio Studi ANICA, 2009; Il mercato della fiction italiana nel contesto internazionale, ricerca IEM-Fondazione Rosselli e Sviluppo Lazio per il RomaFictionfest 2009; Il mercante e l’artista. Per un nuovo sostegno pubblico al cinema: la via italiana al tax shelter”, Spirali, 2008; L’occhio del pubblico. Analisi dei 5 maggiori sistemi televisivi pubblici europei, ricerca IsICult per Rai Marketing Strategico, Rai-Nuova Eri, 2008.

Note sugli autori 317 318