Archivio Di Stato Di Avellino

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Archivio Di Stato Di Avellino memini 11 ARCHIVIO DI STATO DI AVELLINO PRO MELIORE INTELLIGENTIA Inventario delle pergamene dell’Archivio di Stato di Avellino (secc.XIV-XIX) a cura di Marisa Bellucci Editrice Gaia Un pensiero grato a Michelina Sessa, direttrice dell’Archivio di Stato di Avellino in- stancabile nell’attività di valorizzazione dell’istituto, per aver creduto in questo lavoro offrendo i suoi preziosi consigli ed incoraggiandomi durante le diverse fasi del progetto. Un grazie di cuore a Maria Galante per aver accettato di presentare questo volume e per le parole con cui lo ha commentato. Un ringraziamento a Viviana del Gaizo che, nei sei mesi di volontariato presso l’Ar- chivio, ha collaborato alla regestazione ed inventariazione di alcune unità membranacee. Un grazie particolare alle colleghe Rita De Cicco, Patrizia Napolitano e Lucia Cano- nico per la collaborazione prestata in fase di riordino materiale delle pergamene. © 2016 Editrice Gaia Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi Ogni riproduzione, anche parziale è vietata Prima edizione aprile 2016 ISBN 978-88-97741-xx-x www.editricegaia.it [email protected] Progetto grafico e impaginazione Francesco D’Amato Premessa Michela Sessa Direttore Archivio di Stato di Avellino Presentare la pubblicazione di un inventario archivistico è sempre una grande emozio- ne. Un inventario costituisce un’operazione di ‘democrazia culturale’ dal momento che – grazie ad un razionale ordinamento e ad una scientifica descrizione – rende fruibile alla totalità dei potenziali utenti (e non solo ad un ristretto gruppo di specialisti) un insieme di documenti che spesso presentano difficoltà di lettura perché molto antichi, o perché tanto confusi da oscurare il legame, il vincolo archivistico, che connette le unità dell’archivio e lo rende comprensibile come sedimentazione dell’attività di un ente o di una persona. Il titolo scelto per questo volume dalla curatrice avvalora questa lettura: pro meliore in- telligentia infatti è l’espressione che ricorre nei testi quando il notaio passa dal latino all’i- taliano, al fine di permettere una maggiore comprensibilità del testo che si sta rogando. Non sembri troppo presuntuoso rivendicare agli archivisti questa attività di traspa- renza e di chiarezza! E questa funzione resta intatta anche nel mondo della documenta- zione digitale, dove sono ancora necessari gli strumenti della professione (classificazio- ne, inventariazione, descrizione normalizzata, ecc.). Maria Galante nella Prefazione ha ben chiarito i meriti scientifici di questa edizione di fonti, e ben poco c’è da aggiungere alle sue parole. Il fondo pergamenaceo dell’Archivio di Stato di Avellino si è costituito per la mag- gior parte con il recupero di coperte di protocolli notarili, recupero realizzato grazie all’attività di restauro del patrimonio custodito negli Archivi di Stato italiani, purtroppo negli ultimi anni sempre più rara. Non è quindi il risultato dell’attività secolare di una potente abbazia o di una diocesi, né testimonia delle vicende familiari o proprietarie di un illustre casato. Ma la sua provenienza eterogenea rende le pergamene forse più preziose, anche se questa condizione ha reso la loro descrizione particolarmente diffi- cile. La curatrice infatti non ha potuto avvalersi della conoscenza di nomi di luoghi, di persone, di notai come accade a chi lavora su corpus pergamenacei organici, riferibili a soggetti produttori come appunto abbazie, diocesi, principi, re. L’interpretazione pale- ografica e diplomatistica non ha potuto avvalersi della consuetudine con la scrittura ed i formulari di notai roganti o con la costante presenza di nomi ricorrenti tra confinanti e testimoni, così preziosa in caso di pergamene mutile. Valorizzare il lavoro degli archivisti è uno dei motivi che hanno portato alla genesi 5 della collana «Memini» dell’Editrice Gaia: in questa direzione l’augurio è che questo volume costituisca solo la prima di una serie di pubblicazioni che gli archivisti dell’Ar- chivio di Stato di Avellino realizzeranno per descrivere il patrimonio culturale da loro custodito. 6 Prefazione Maria Galante Università degli Studi di Salerno Con questo volume Marisa Bellucci, dell’Archivio di Stato di Avellino, restituisce alla conoscenza di studiosi e ricercatori – come anche di tanti altri non proprio addetti ai lavori –un complesso documentario di notevole interesse, già in parte noto per via informatica, oggi tuttavia disponibile nella sua interezza. Si tratta del cospicuo fondo pergamenaceo conservato nell’Archivio di Stato cittadino, comprensivo di 907 unità membranacee di vario tipo, quasi tutte riutilizzate come coperte di protocolli notarili secondo un uso che ha consentito in molti casi di recuperare pezzi che, pur al tempo obsoleti, costituiscono per noi una fonte primaria di informazioni. Pensiamo, a titolo di esempio, ai tanti frammenti in scrittura beneventana che, proprio in tal modo, sono venuti alla luce consentendo di approfondire studi e ricerche su possibili soluzioni gra- fiche adottate in area italo-meridionale. Oggi il materiale dato alle stampe presenta un valore aggiunto: e, difatti, coprendo un arco cronologico di cinque secoli – dal XIV al XIX secolo – non solo rivela una pratica conservativa di lunga durata ma si presta anche ad una serie di osservazioni che investono campi di vario genere, dalla storia delle istitu- zioni alla storia economica, dalla paleografia alla diplomatica, dalla linguistica al diritto e ad altro ancora. Va detto che non sempre è possibile cogliere con faciltà elementi di così svariata natura attraverso la lettura di un inventario. Perché non sempre gli inventari sono articolati con l’accuratezza che informa il volume della Bellucci. Mi sembra, difat- ti, che la scelta di far seguire al consueto regesto del singolo pezzo – peraltro strutturato in maniera puntuale con ampi e dettagliati riferimenti che, a seconda dei casi, fungono da richiamo a chi voglia poi approfondirne il contenuto – una serie di note, esplicative sia di eventuali caratteri estrinseci del documento originario sia delle persone respon- sabili a vari livelli della documentazione, abbia consentito molto opportunamente di recuperare dati altrimenti ignoti e di leggere, sotto traccia, pratiche redazionali e assetti giuridici di comprovata rilevanza storica. Se, quindi, gli ampi regesti ci ragguagliano su momenti e aspetti della organizzazione politica delle università cittadine e dei rapporti con le autorità civili e religiose oltre che su azioni e relazioni tra privati – realtà che, pe- raltro, l’Autrice ha messo in evidenza, sia pure sinteticamente, nella ricca Introduzione – l’apparato di commento ci informa di aspetti ulteriori, utili per il diplomatista e per quanti siano particolarmente interessati alla storia della documentazione. 7 Mi si consenta di sottolineare solo alcuni spunti di riflessione che la lettura ha por- tato prepotentemente all’attenzione. Senza trascurare quanto emerge sia in termini di organizzazione delle cancellerie minori (capitolari, vescovili ecc.) sia relativamente alle modalità di corroborazione della documentazione privata che mi pare rivelino soluzioni in gran parte note per l’età bassomedievale ed ora confermate anche per l’età moderna con una significativa tendenza ad un conservatorismo che caratterizza tanti altri aspetti dell’area italo-meridionale (si pensi alla presenza persistente e pervasiva del giudice ai contratti ancora nel ’700), sono particolarmente degni di nota i riferimenti a specifiche categorie di documenti che sempre di più si stanno imponendo agli studi di diplomatica e che vanno ad ampliarne l’orizzonte di interesse. Mi riferisco alle tante scritture com- merciali che puntellano l’intero periodo considerato – innanzitutto cessioni di mutui ma anche prestiti, quietanze, costituzioni di società, documenti di procura – di cui sono sostanzialmente privi i cartulari monastici e che, invece, trovano una loro posizione privilegiata sia nei protocolli notarili sia anche, e questo è il nostro caso, in carte in qual- che modo annullate e/o riutilizzate perché legate ad operazioni estinte e, quindi, non più utili giuridicamente. È superfluo sottolineare che tali documenti rivestono per noi particolare interesse e già il solo averne segnalato l’esistenza, come anche le modalità di redazione (presenza o meno del signum tabellionatus e, quindi, del notaio estensore), fornisce spunti eccezionali per successivi approfondimenti: si tratta di tradizionali do- cumenti notarili o non anche di esempi di scritture “dei mercanti” affrancate dal ricorso al notaio e affidate a strumenti corroborativi di diversa natura? Ed ancora: il richiamo al giudice ai contratti come scrittore e/o conservatore di alcune carte (ad esempio, do- cumenti n. 127 e n. 325) è significativo di una estensione del ruolo suo proprio o anche, e piuttosto, di soluzioni occasionali, legate a determinate aree territoriali e a particolari contingenze storiche? Per non parlare, poi, di quanto emerge circa le modalità di con- servazione e di trasmissione della documentazione: innanzitutto l’abitudine che fosse lo stesso notaio estensore a utilizzare, una volta annullati, i documenti da lui rogati per la copertura dei suoi stessi protocolli (si vedano, ad esempio, i casi di Francesco Giliberto di Solofra, Ettore Ferrara di Monteforte, Salvatore Prudente di Montella); in secondo luogo la possibilità che tali documenti fossero riusati per registri di notai appartenenti alla stessa famiglia del redattore, figli ed eredi (i Ronca di Solofra, i De Rogata di Bagno-
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