(Ordinamento Ex DM 270/2004) in Storia Delle Arti E Conservaz
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Università di Venezia Ca’ Foscari Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Storia delle arti e conservazione dei beni artistici Tesi di Laurea Da artista a curatore: la mostra Slip of the tongue curata da Danh Vo a Punta della Dogana- Fondazione François Pinault Relatore Correlatore Ch. Prof. Nico Stringa Ch. ma Prof.ssa Stefania Portinari Laureando Domenico Moramarco Matricola 964150 Anno Accademico 2014 / 2015 1 Al caro Graziano 2 Indice pag. Introduzione 5 Capitolo 1 – Da artisti a curatori: un breve excursus delle mostre curate dagli artisti Introduzione 32 1. Gli anni ‘60 – ‘70 – ‘80 38 2. Gli anni ‘90 58 3. Gli anni 2000 76 Capitolo 2 – La ricerca artistica di Danh Vo: il «frammento» tra storie di antichità, collezionismo, conflitti e guerre di religione Introduzione 85 1. Storie di frammenti: i prestiti dalle Gallerie dell’Accademia nella mostra “Slip of the tongue” a Punta della Dogana 90 a) Il Redentore di Giovanni Bellini 93 b) I Santi Benedetto, Tecla e Damiano di Giovanni Buonconsiglio detto Il Marescalco 98 c) Frammento di Satiro della Scuola di Tiziano 102 2. Le miniature della Fondazione Giorgio Cini 106 3. Il tema del “frammento” nelle opere di Danh Vo 114 4. Storie di «frammenti»: Danh Vo e Jannis Kounellis 122 Capitolo 3 – La donna artista: storie di identità e di dissidio interiore Introduzione 130 1. L’arte come denuncia degli eventi bellici 132 2. Il Codice Artaud di Nancy Spero 138 3. Il dissidio interiore, la corporeità e l’interiorità 159 Capitolo 4 – L’identità dell’artista: tra genere, alterità e diversità Introduzione 180 1. La produzione artistica condizionata dall’esperienza personale 181 2. L’empatia tra gli artisti: storie di condivisioni, vissuti ed emozioni 187 3. La pratica artistica come denuncia dello stato sociale 197 3 4. L’opera d’arte e l’estetica dell’“inespressione” 206 Conclusione 215 Elenco immagini 218 Bibliografia 254 Sitografia 261 4 Introduzione Danh Vo, artista danese di origine vietnamita, residente tra Berlino e Città del Messico, nato il 1975 a Bà Ria, è senza ombra di dubbio l’«artista del momento», entrato ormai a far parte “di diritto” nel sistema dell’arte contemporanea composto da artisti-divinità osannati da galleristi e collezionisti e corteggiati da tutte le più importanti istituzioni museali del mondo. Nato nel 1975 in Vietnam, a soli quattro anni è costretto a lasciare la sua terra, a causa della guerra civile, ed emigrare negli Stati Uniti con tutta la sua famiglia a bordo di un’imbarcazione di fortuna. Raccolto da una nave-cargo danese, inizia una nuova vita a Copenaghen, dove si stabilizzerà con i suoi genitori, mentre i suoi nonni giungeranno in Germania. Emigrati su un battello, preferiscono separarsi per avere maggiori possibilità di sopravvivenza. L’emigrazione, tra l’altro attualmente una delle più calde ed incandescenti tematiche politiche a livello europeo e internazionale, ritorna in molte sue opere e accompagnerà tutta la sua produzione artistica dagli esordi fino ai giorni nostri. Il 2015, anno appena concluso, è stato eccezionale. Vari progetti di mostre personali e collettive lo hanno visto presentare le sue opere in quattro nazioni europee, in occasione di mostre personali, collettive, o progetti curatoriali di ambito e rilevanza internazionale. Dal l° agosto al 25 ottobre, presso il Museo Ludwig di Colonia (Germania), Danh Vo ha presentato la mostra intitolata “Ybod eht ni mraw si ti”, curata da Ylmaz Dziewior. La capacità dell’artista di giocare con le parole, con le frasi, con le lingue straniere sono un leit-motiv che legano le opere esposte e presentate nelle diverse rassegne (spesso conservano gli stessi titoli, quasi a voler mantenere un legame tematico e filologico) e accomunano la sua ricerca artistica. A prima vista le frasi hanno un chiaro intento ironico e quasi provocatorio, infatti la frase che da il titolo alla mostra di 5 Colonia, che nell’immediato potrebbe far credere di essersi imbattuti nella lettura di una frase nella sua lingua madre, il vietnamita, non è altro che l’inversione da destra verso sinistra delle parole di una celebre frase del film L’Esorcista (1973) “It is warm in the body”, una pratica dell’artista in cui studia il significato delle parole, gioca con il loro posizionamento all’interno della frase e il messaggio che ne deriva per poi trasporlo nel campo dell’arte. Oltre a Colonia, dal 22 ottobre al 19 dicembre 2015, Danh Vo ha presentato una sua mostra personale presso la Galleria Chantal Crousel di Parigi intitolata “Take my breath away”. Inaugurata il primo ottobre 2015 e ancora in corso (terminerà il 28 marzo 2016) la maestosa installazione presso il Palacio de Cristal del Museo Nacional Centro del Arte Reina Sofía di Madrid intitolata “Banish the Faceless / Reward your face”. Ma i due progetti più importanti dell’anno 2015, quasi concomitanti, sono stati quelli presentati nella città di Venezia. In occasione della 56° Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia, curata da Okwui Enwezor, Danh Vo ha rappresentato la Danimarca con la mostra “Mothertongue” nel Padiglione Danese e ha curato la mostra intitolata “Slip of the tongue” presso Punta della Dogana, un progetto promosso dalla Fondazione François Pinault in cui l’artista è stato co-curatore della suddetta mostra con Caroline Burgeois. In ambito internazionale, sempre nel 2015, Danh Vo ha esposto in tre mostre collettive: in Cina, per la mostra Absolute Collection Guideline presso il Sifang Art Museum di Nanjing; negli Emirati Arabi Uniti a Sharjah, per la collettiva Biennal 12: The past, the Present, the Possible e a Kyoto, in Giappone, per la mostra Parasophia in occasione del Kyoto International Festival of Contemporary Culture. La sua produzione artistica ha innescato una considerevole attenzione su scala internazionale grazie alle mostre individuali presso le Stedelijk Museum di Amsterdam (2008), la Kunsthalle Basel (2009), l’Art Institute di Chicago (2012), il Museo d’arte moderna della città di Parigi (2013). Sempre nel 2013, 6 presso il Museion di Bolzano, Danh Vo ha presentato la mostra “Fabulous Muscles”, ricordiamo, per lo stesso anno, la partecipazione alla 55° Esposizione Internazionale d’Arte, presso l’Arsenale de la Biennale di Venezia intitolata “Il Palazzo Enciclopedico” e l’installazione “Autoerotic Asphyxiation” in occasione della mostra “The Illusion of Light” presso Palazzo Grassi-Fondazione François Pinault. Durante la sua carriera l’artista ha curato quattro mostre: nel 2013 cura la mostra Tell it to my heart: Collected by Julie Ault con Julie Ault, Martin Beck, Nikola Dietrich, Rasmus Roehling, Scott Weaver e Amy Zion, press il Museum für gegenwartskunst di Basilea in Svizzera; nel 2010 cura la mostra intitolata e dedicata alla memoria di Félix-González Torres presso il Wiels di Bruxelles in Belgio; nel 2007 la mostra intitolata Mia Rosasco presso J-E-T di Berlino, in Germania; infine, nel 2006, la mostra My Blue Genes allestita nell’appartamento dei suoi genitori a Valby in Danimarca. Le opere di Danh Vo fanno parte delle collezioni permanenti d’arte contemporanea delle più importanti istituzioni a livello mondiale tra cui la National Gallery of Denmark di Copenhagen in Danimarca; la FNAC e il MNAM Museo nazionale di arte moderna / Centre Pompidou di Parigi in Francia, l’Institut für Auslandsbeziehungen in Germania; l’Israel Museum in Israele; il MUSEION di Bolzano in Italia; il Kunstmuseum di Basilea e la Kunshaus di Zurigo in Svizzera; la Tate Modern di Londra in Inghilterra; il Walker Art Center di Minneapolis e il Museo d’Arte Moderna (MoMA) di New York negli Stati Uniti. I due maggiori riconoscimenti ottenuti sono nel 2007, il BlauOrange Kunspreis der Deutschen Volksbanken und Raiffeisenbanken di Berlino in Germania; nel 2009, il Nominee del Nationalgalerie Prize for Young Art di Berlino in Germania e, nel 2012, lo Hugo Boss Prize a New York, negli Stati Uniti. In occasione della vittoria dello Hugo Boss Prize nel 2012, il curatore associato del Guggenheim Museum di New York, Katherine Brinson, ha definito la 7 ricerca artistica di Danh Vo, come un lavoro che “illumina i fili intrecciati dell’esperienza privata e della storia collettiva che forma il nostro senso del sé. Emergendo da un processo di ricerca, incontri casuali e delicate trattative personali, le sue installazioni scoprono le connotazioni latenti e le memorie incorporate in forme familiari”1. Il sistema dell’arte potrebbe essere rappresentato come un mondo “definito” in cui gli attori (gli artisti, i curatori, i critici, i committenti tra cui i collezionisti, le istituzioni; i media, ecc.) giocano dei ruoli e difficilmente gli uni possono sostituire gli altri o intercambiarsi, anche se, come i fatti lo evidenziano, spesso le parti di invertono, gli uni sostituiscono gli altri, da ciò nascono nuove figure come il critico-curatore, l’artista-curatore, il gallerista-artista, il critico-artista, i quali si impegnano in progetti che diventano vere e proprie sfide. Lo storico dell’arte S. Salvagnini parla di una “fabbrica dell’arte” in cui gli attori del sistema arte contemporanea sono gli artisti, i critici, i curatori e i committenti, figure ben definite ma non dotate di immobilismo. Dopo aver analizzato storicamente il fenomeno del collezionismo, lo storico focalizza la sua attenzione sul ruolo del mercato, inteso come un “sistema di relazioni sociali basato essenzialmente sulla valorizzazione, e cioè sulla trasformazione di qualcosa – per esempio, un dipinto – in un’opera, un bene dotato di grande appetibilità per qualcuno in virtù di processi culturali che presiedono alla produzione dei valori artistici” e, tra i tanti poteri che si esercitano uno dei più preponderanti è sicuramente quello “propulsivo” della critica d’arte. Quando si dice che si rende esplicita l’intima relazione degli artisti con il discorso, quindi con le idee dell’arte, si intende sottolineare come l’arte 1 K.