Amalia Mezzetti, Contributi a Carlo Maratti

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Amalia Mezzetti, Contributi a Carlo Maratti CONTRIBUTI A CARLO MARATTI EGLETTO dalla storiografia artistica il Maratti non è stato mai; in bene o in male, N in un senso o nell'altro, si è sempre parlato di lui. Senza tuttavia che per questo gli studi sulla sua pittura facessero - almeno fino ai primi decenni di questo secolo - degli effettivi progressi i>. Alle oscillazioni del giudizio qualitativo dei posteri - spesso in singolare contrasto sia con l'indirizzo del pensiero estetico, sia con le correnti artistiche del tempo - si ag­ giunge, nella vicenda critica del Maratti, anche un singolarissimo spostamento di valuta­ zione storica: cosa che non credo si sia verificata per alcun altro artista; per cui gli accadde di essere considerato esponente, ad un tempo, di tendenze opposte, barocco per gli uni, classicheggiante e accademico per gli altri, e come tale ora biasimato ora lo­ dato: situazione questa che riflette l'incertezza di giudizio inevitabile di fronte ad una personalità così complessa, contraddittoria e sfuggente, che, con l'intellettualismo cri­ tico tipico del tempo, aveva cercato di accogliere e di conciliare in sé il passato e il presente, Raffaello e i Carracci, con il Lanfranco e Pietro da Cortona. Dopo il coro delle voci incondizionatamente esaltatrici dei contemporanei e dei posteri immediati, che dal Sacchi suo maestro 2> attraverso al Bellori 3>, al Titi, al Pa­ scoli, al Passeri 4>, giunge fino al Bottari e all'Algarotti 5>, basta che il gusto dominante si sia orientato verso i valori di quella restaurazione classica che si svolgeva dalle pre­ messe dell'idealismo belloriano, perché il Maratti, che a quell'idealismo si era diretta­ mente abbeverato e dal Bellori era stato salutato come salvatore della pittura, cominci a ricevere i primi appunti. Non lo si bolla ancora, naturalmente, con il nome che suona vituperio, non è ancora considerato esponente del barocco, ancora gli si riconosce - sulla scorta autorevole del giudizio del Mengs (un giudizio tuttavia non privo di riserve 6>) - il merito di aver salvato la pittura; ma già si rileva nella sua opera l'esteriorità, il con­ venzionalismo, il colore debole, la mancanza di verità, con accuse che rimbalzano, ora più generiche, ora più circostanziate e precise, dal Ramdohr (1787) al Lanzi (1792; 1822), al Lavallée (1809), al Ticozzi (1818), al De Rossi (1823) 7> : il Lanzi con sottile e pungente canzonatura, il Lavallée con enfasi moralistica, con scandalizzata rebroba­ zione il De Rossi, che, pur non bastandogli I'animo di contraddire la lode del « difficile Mengs », non esita ad unire anche il Maratti alla schiera dei reprobi Pietro da Cortona e Bernini. 254 AMALIA MEZZETTI Ed è interessante notare come nella seconda metà del '700 il Maratti non goda sostanzialmente migliore stampa neppure in Inghilterra, malgrado l'affermarsi e il diffondersi dei principi della « Grand Manner )) fondati sull'imitazione delle scuole ' emiliana e romana del Cinquecento e del Seicento, ivi compreso il Maratti. E se i no­ bili inglesi fanno a gara per assicurarsi suoi dipinti nelle loro gallerie private - una intera sala era a lui dedicata nella residenza di Sir Robert W alpole a Houghton sl - Joshua Reynolds, il più autorevole sostenitore della « Grand Manner )) non si esime ' dall'esprimere gravi appunti sull'arte del Maratti, che addita come esempio tipico di eclettismo e di deteriore manierismo 9>. Le cose non migliorano per il Maratti in atmosfera di Purismo, poiché i principi che dominano sono ancora quelli dell'estetica neoclassica. Assolutamènte negativo è il giudizio di Amico Ricci (1834), che pure dedica al Marchigiano un lungo saggio delle sue Memorie storiche dell' Arti e degli Artisti della Marca di Ancona, ricco di preziose infor­ 0l mazioni 1 , né più benevolo suona quello di Antonio Bianchini (1843), fondatore del Purismo, che nello stesso anno del « Manifesto », scrivendo sul Girovago di Roma - rubo la citazione al Croce - qualifica esplicitamente il Maratti come « barocco )) e lo coinvolge nella responsabilità della degenerazione artistica di quel secolo : degenera­ zione artistica dalla quale per altro, con precoce intuizione, egli tiene a considerare im­ muni il Guercino e il Caravaggio lll. Ancora biasimi e aspri appunti di Maratti incontra nel Nagler (1839), nel Burckhardt (1855),- in C. T. Dalbono (1859) 12l. Perché le sue azioni subiscano un rialzo bisogna attendere che, dopo l'inizio del xx secolo, si divulghino gli schemi della «pura visibilità)) e si diffonda, almeno oltralpe, il gusto dell'Impressionismo e della così detta «pittura pura )). Ed allora vediamo i critici tedeschi entusiasmarsi per il Maratti, la cui pittura si direbbe, con il suo intellettualismo, con la sua meditata ricerca di effetti, proprio quanto di più lontano si possa immaginare da quel gusto. E la cosa si�golare è che l'en­ tusiasmo poggia su motivi che sono spesso in netto contrasto tra di loro. Così mentre da un lato lo Schmerber (1906) ammira in lui quelle caratteristiche - grazia, deli­ catezza, dolcezza, spiritualità - per le quali fino a poco tempo prima era stato tac­ ciato di convenzionalismo e di maniera e sembra attribuirgli a merito l'aver saputo 13l precorrere certi aspetti del protoromanticismo ottocentesco , d'altro lato il Bodmer (1930) lo celebra come il più eletto rappresentante della libertà, dèl dinamismo e della fantasia barocchi w. Più giustamente il Voss (1924), pur indicandolo, sulla scorta del Mengs, come il necessario contrapposto del decorativismo del Cortona, del Baciccia e di Andrea Pozzo, ne riconosce la posizione di compromesso tra classicismo e barocco: ma la sua ammirazione non è per questo meno viva 15l. 16l Una serie di attribuzioni , non sempre persuasive, ma senza dubbio ispirate ad un alto apprezzamento dell'artista, segnano nella critica italiana la rivalutazione del Maratti. Le alterne vicende del gusto del Marchigiano non sono tuttavia ancora finite a CONTRIBUTI A CARLO MARATTI 255 questo punto e si chiudono, tutto sommato, con un netto passivo. Mentre, infatti, in Italia e fuori vengono intrapresi, a partire dal secondo decennio del secolo, i primi seri, acuti lavori di ricostruzione e di assestamento critico della sua opera, per iniziativa specialmente di Costanza Lorenzetti, degli stessi Voss e Bodmer, di E. Wa­ terhouse rn, un nuovo grave attentato alla buona reputazione del Maratti è condotto dal Moschini (1924), che ne addita le «intime tendenze antiseicentiste », l'imitazione «lisciata e accademica ii del Correggio e di Raffaello, la pittura non «d'estro e di co­ lore ii ma «accademica e di studio ii 18'; e, più di recente, dal De Rinaldis (1948), che, con rigore forse eccessivo, abbassa il Marchigiano �l rango di abile manipolatore del vecchio accademismo romano 19>. Gli inizi di Carlo Maratti 20> sono tuttora alquanto oscuri. Della sua produzione anteriore al 1650 - l'anno in cui si affermò con la pala della chiesa romana di S. Giu­ seppe ai Falegnami - non restano che due tele e due affreschi. Non molto, quindi, so­ prattutto se si pon mente alla maturità del dipinto dei Falegnami; e che si riduce ancora, quando si consideri che uno dei due affreschi e proprio il più impegnativo - la << Distru­ zione degli idoli » in S. Giovanni in Fonte (cfr. elenco in appendice n. 97) fu con tutta probabilità eseguito sulla traccia di un cartone del maestro Andrea Sacchi : come con­ fermano, nella discordanza delle fonti, gliindubitabili moduli sacchiani dei pochi tratti integri da guasti e da rifacimenti, ed il confronto con i disegni preparatori di mano del maestro nel Castello di Windsor; mentre l'altro affresco - due figure allegoriche in chiaroscuro sulla parete dello stesso Battistero (elenco n. 98) - non è che una decorosa e nobile accademia raffaellesca. Ma non erano queste - condotte nel 1648, come prova la data dell'iscrizione so­ vrapposta alle due allegorie - le prime fatiche pittoriche del Marchigiano. Ad almeno tre anni prima risale infatti la pala di Monterotondo (fig. 1) dipinta per Taddeo Barbe­ rini (elenco n. 78): un'opera interessante, perché ci mostra il pittore in una fase pri­ mitiva, ancora atteggiato secondo i moduli del Sacchi assimilati durante un alunnato che durava ormai da anni e doveva protrarsi ancora per molto tempo fino alla morte del maestro 21l, Di marca sacchiana è, infatti, l'effetto di profondità spaziale, raggiunto attraverso la disposizione diagonale delle figure; nonché il colore intenso e pastoso, che denuncia la sua derivazione dal Sacchi anche nel modo - accentuato da un vivace sva­ riare di cangianti - con cui aderisce ai piani prospettici delle figure. Ma gusto ed in­ tenti diversi si chiariscono già nella rinuncia all'effetto di ariosità leggera, che nei di­ pinti del Sacchi trascorre sui larghi squadri delle figure rendendo più veloce e illusiva la fuga prospettica, e qui si limita, invece, al cielo chiaro velato dalle leggere nubi vio­ lacee. Anteriore al 1650 è pure la pala della chiesa Parrocchiale di Camerano {fig. 2): di quanto, è impossibile dire (cfr. elenco n. 23). Chè se la maturità spirituale e la perizia artigiana con cui è condotta inducono a ritenerla vicina al termine cronologico inferiore, 256 AMALIA MEZZETTI altri caratteri, che ora si verranno illustrando, in­ durrebbero a supporla piuttosto lontana. Un ingiustificatooblio ha coperto questa tela giovanile del Maratti: lo­ data dal biografo Bellori, ma svalutata, malgrado la opportuna segnalazio­ ne della Lorenzetti, dal V oss e dal Bodmer 22l. Mai riprodotta sin qui e ab­ bandonata in precarie condizioni di conserva - zione, essa costituisce in­ vece, a mio avviso, una delle affermazioni più in­ teressanti della versatile e complessa personalità del pittore in un momen - to particolarmente deli­ cato della sua formazione. Nell'approfondire i da­ ti della visione e della cultura con cui veniva a contatto via via, il Ma­ ratti percorre a ritroso il cammino delle ascenden­ ze artistiche : dal Sacchi passa all'Alhani - si veda FIG. 1 - MONTEROTONDO, CHIESA PARROCCHIALE - Pala d'altare.
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