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Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente

Stima aggiornata della pericolosità sismica in Toscana e aree circostanti

Enzo Mantovani, Marcello Viti, Daniele Babbucci, Caterina Tamburelli, Andrea Vannucchi (Dip. di Scienze Fisiche della Terra e dell’Ambiente, Univ. di Siena), Massimo Baglione, Vittorio D’Intinosante (Prevenzione sismica, Settore Sismica della Regione Toscana), Nicola Cenni (Dip. di Geoscienze, Univ. di Padova)

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Prefazione

Il confronto tra i danni che si sono verificati durante i terremoti del 2016 nell’Italia centrale e quelli previsti (con altissime probabilità) dalle carte di pericolosità attuali hanno chiaramente rivelato che gli interventi di prevenzione sismica effettuati in quelle zone sarebbero stati molto più efficaci se guidati dalle carte di intensità macrosismiche massime che erano state elaborate in base alle indagini svolte dal nostro gruppo di ricerca di Siena per le Regioni e Umbria (Mantovani et alii, 2014a). Altre significative sottovalutazioni della pericolosità sismica, rispetto alle carte attualmente in vigore, erano state messe in evidenza dallo stesso gruppo di ricerca per la Regione Toscana (Mantovani et alii, 2012a) e per l’Emilia Romagna (Mantovani et alii, 2013), mediante indagini svolte in collaborazione con i responsabili di quelle due Regioni. In questa pubblicazione sono riportati alcuni importanti aggiornamenti delle informazioni precedentemente pubblicate, sia riguardo alle carte di pericolosità (riviste in base ai nuovi dati ora disponibili sui terremoti, Rovida et alii, 2016, e sui risentimenti osservati, Locati et alii, 2016), che alle nuove conoscenze acquisite sull’assetto sismotettonico dell’Appennino settentrionale. Per arricchire le considerazioni fatte sugli effetti dei terremoti del 2016, è anche riportato un contributo fornito dall’ ingegnere civile strutturista Danilo Fionga, che ha operato nelle zone interessate, in cui sono forniti alcuni interessanti suggerimenti per una corretta stima della pericolosità in zona sismica. Lo studio descritto ha beneficiato dell’utilizzo di una vasta mole di dati geodetici acquisiti da stazioni GPS permanenti, resi gentilmente disponibili dalle Organizzazioni citate di seguito, che ringraziamo sentitamente: European Reference Frame (EU.RE.F.) Permanent Network, Fondazione dei Geometri e Geometri Laureati dell’Emilia Romagna (F.O.G.E.R.), Friuli Regional Deformation Network (FReDNet) dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (O.G.S), Geodetic Data Archiving Facility (GeoDAF) dell’Agenzia Spaziale Italiana (A.S.I.), Italian Positioning Service (ItalPos) della Leica SmartNet Italia, Rete GPS Veneto (Centro Interdipartimentale Studi ed Attività Spaziali - CISAS), Rete di Posizionamento GPS della Regione Piemonte, Rete “A. Marussi” del Servizio Territorio e Protezione Civile della Regione Friuli Venezia Giulia, Rete Integrata Nazionale GPS (R.I.N.G.) dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V.), Servizio Catasto della Provincia Autonoma di Trento, Servizio di Posizionamento GNSS della Regione Liguria, Servizio Informazioni Territoriali e Telematica della Regione Abruzzo, Sistema Informativo Ambientale della Provincia di Milano, Stonex Europe, Struttura Complessa Geologia e dissesto dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (A.R.P.A.) del Piemonte, Ufficio Geodetico della Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige, Università degli Studi di Perugia – Facoltà di Ingegneria Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale - Laboratorio di Topografia, Sistema Informativo regionale ambientale e territoriale della Regione Umbria, Sistema Informativo Territoriale della Regione Campania, Unione Montana dei Comuni del Mugello. Servizio Assetto del Territorio della Regione Puglia. Sistema Informativo Territoriale della Regione Lazio, Protezione Civile della Regione Calabria, Dipartimento di Ingegneria Civile Ambientale e dei Materiale dell’Università di Bologna, Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università di Bologna, Topcon Positioning S.r.l., Consorzio della Bonifica dell'Emilia Centrale. Unione dei Comuni del Frignano.

Prima edizione: Aprile 2018

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Indice

1. Pericolosità sismica nell’Appennino settentrionale 1A. Alcune considerazioni sull’affidabilità delle carte di pericolosità attualmente in vigore (PSHA) 5 1B Carte di Intensità massima nei comuni considerati 8 1C. Danni osservati e carte di pericolosità sismica PSHA nelle zone colpite dai terremoti del 2016 e 2017, considerazioni ingegneristiche (a cura dell’Ing. Danilo Fionga) 16 1D. Recente proposta di revisione delle attuali carte di pericolosità PSHA per l’Appennino Settentrionale 23 1E. Aggiornamento delle carte di Intensità massima con i nuovi cataloghi dei terremoti e dei risentimenti 27

2. Nuove conoscenze sull’assetto tettonico dell’Appennino settentrionale 2A. Quadro geodinamico e tettonica quaternaria nella catena appenninica 28 2B. Assetto sismotettonico nella parte esterna (adriatica) dell’Appennino settentrionale 30 2C Assetto sismotettonico nella parte interna (tirrenica) dell’Appennino settentrionale 34 2D. Generazione delle principali sorgenti sismogenetiche nell’Appennino settentrionale come effetto del raccorciamento longitudinale quaternario 40 2E. Cinematica attuale della catena appenninica da dati GPS 44 2F. Possibile uso delle carte sismotettoniche come fonte di informazione per la microzonazione sismica 46

3. Zone sismiche dell’Appennino settentrionale più esposte alle prossime scosse forti (M>5.5) 3A. Principali terremoti e sequenze sismiche nelle zone periadriatiche 50 3B. Settore più mobile dell’Appennino settentrionale e implicazioni sulla pericolosità sismica attuale 52 3C. Distribuzione spazio-temporale delle scosse con M>2 55

Riferimenti bibliografici 58

Appendice (Tabelle di Imax per i comuni coinvolti) 70 Toscana 73 Emilia-Romagna 79 Marche 86 Umbria 91 4

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1. Pericolosità sismica nell’Appennino settentrionale

1A. Alcune considerazioni sull’affidabilità delle carte di pericolosità attualmente in vigore (PSHA)

E’ noto a tutti che i terremoti sono prodotti dall’attivazione (scorrimenti) di faglie, cioè fratture di taglio che sono generate nelle rocce dalle deformazioni indotte da forze tettoniche. Quindi, per stimare la pericolosità sismica di una zona sarebbe necessario riconoscere le caratteristiche di tali fratture (ubicazione, profondità, geometria del piano di faglia…), e poi, sfruttando le conoscenze sui terremoti passati, tentare di fare previsioni sull’andamento temporale delle future attivazioni sismiche. Questi concetti sono alla base della metodologia (Cornell, 1968; McGuire, 1978) che è stata utilizzata per elaborare le attuali carte di pericolosità sismica in Italia (Probabilistic Seismic Hazard Assesment o PSHA, Gruppo di Lavoro MPS, 2004). Purtroppo però, questo tipo di approccio può molto difficilmente produrre stime attendibili della pericolosità, per le considerazioni riportate di seguito:

A) Le fratture della crosta terrestre sono molto difficili da riconoscere e caratterizzare, in quanto sono situate in profondità, generalmente superiore a qualche km, e la maggior parte di esse non raggiunge la superficie (e.g., Bullard e Lettis, 1993; Somerville et alii, 2006). Inoltre le fratture sono spesso ramificate (verso la superficie) in modo molto complesso, per cui la loro attivazione sismica può essere molto articolata e varia nel tempo. Quest’ultimo problema può indurre a riconoscere una ramificazione secondaria come sorgente sismogenetica principale, implicando così una notevole ambiguità sulla profondità e sul meccanismo di generazione delle scosse principali.

B) Prevedere il comportamento futuro delle presunte sorgenti sismogenetiche è molto difficile, sia perché, come detto sopra, le caratteristiche di tali sorgenti sono prevalentemente ignote, sia perché la lunghezza della storia sismica conosciuta è molto limitata rispetto al periodo in cui le faglie si attivano e riattivano, spesso stimato in molte migliaia di anni (e.g., Valensise e Pantosti, 2001; Swafford e Stein, 2007). Inoltre, la procedura utilizzata per fare previsioni (PSHA, Cornell, 1968, McGuire, 1978 e successivi sviluppi), essendo di tipo probabilistico, è basata su assunzioni che non sono compatibili con la natura dei terremoti. In particolare l’ipotesi che i terremoti siano eventi casuali e indipendenti, in quanto sono state riconosciute importanti evidenze sul fatto che ogni scossa influenza la probabilità di terremoti nelle zone circostanti (e.g., Mantovani et alii, 2012a,b, 2013, 2014a, Viti et alii, 2012, 2013, 2015a e riferimenti citati).

C) Molteplici critiche alla procedura PSHA sono riportate da un ampia letteratura, di cui si ricordano alcuni contributi significativi: Castanos e Lomnitz (2002), Wang et alii (2003), Wang e Zhou (2007), Klugel (2008),Wang (2010, 2014): Geller (2011); Stein et alii (2012); Wang e Cobb (2012), Wyss e Rossett (2012), Wyss et alii (2012), Rugarli (2014), Stein e Fredrich (2014).

Le difficoltà sopra citate fanno temere che le attuali carte di pericolosità in Italia possano essere affette da incertezze molto difficilmente valutabili. Questa preoccupazione è stata notevolmente rinforzata da quello che è avvenuto in varie occasioni e in particolare nell’Agosto e Ottobre del 2016 e Gennaio 2017, in seguito ai forti terremoti che hanno colpito alcune zone del centro Italia, come discusso nel seguito. La figura 1.1 mostra la carta di pericolosità sismica attualmente in vigore per le zone umbro- marchigiane-abruzzesi-laziali colpite dalle scosse sopra citate. Questa carta, elaborata con la procedura PSHA, riporta i valori di PGA (Peak Ground Acceleration), riferiti a suoli rigidi che hanno il 10% di probabilità di essere superati nei prossimi 50 anni. Le accelerazioni previste da questa carta sono state largamente superate dai valori registrati dalla rete accelerometrica gestita dal Dipartimento della Protezione Civile (DPC) per le scosse di 6

Fig. 1.1. Particolare dell’attuale carta di pericolosità sismica (PSHA, Gruppo di Lavoro MPS, 2004) relativo alle zone umbro-marchigiane-abruzzesi-laziali colpite dalle scosse dell’agosto e ottobre 2016 e gennaio 2017. La carta è espressa in termini della PGA (Peak Ground Acceleration) attesa, quantificata dalla scala cromatica a destra. I valori riportati (espressi come frazione dell’accelerazione di gravità g=9.81ms-2) hanno la probabilità del 10% di essere superati nei 50 anni successivi alla realizzazione della carta. Le linee nere indicano i confini regionali di Umbria, Marche, Abruzzi e Lazio.

agosto 2016 (M= 5.9), ottobre 2016 (M= 6.5) e gennaio 2017 (M= 5.5), come mostrato per esempio nelle figure 1.2 e 1.3.

Fig. 1.2. Le curve rossa e blu rappresentano gli spettri delle accelerazioni orizzontali (Sa), espresse in multipli dell’accelerazione di gravità (g), registrate dalla stazione accelerometrica di Norcia (NRC), durante il terremoto del 24 Agosto 2016. Si notino i picchi di accelerazione per periodi di circa 0.3 secondi, compatibili con il periodo proprio di oscillazione di edifici di 3-4 piani. Le linee nere rappresentano gli spettri elastici di progetto definiti dalle Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC), in base alla PGA prevista nel sito dalle carte attuali (PSHA), calcolati per vari valori del periodo di ritorno (TR), vedi inserto. In particolare, il tracciato verde è lo spettro di riferimento, costruito in base alla PGA che ha una probabilità di superamento del 10% in 50 anni (TR=475 anni). Informazioni più dettagliate in ReLUIS-INGV Workgroup, 2016. 7

In particolare, i dati disponibili (ReLUIS-INGV Workgroup, 2016) mostrano che le stazioni accelerometriche di Norcia, Arquata del Tronto, Campi e Forca Canapine, distanti meno di 15 km dall’epicentro delle scosse del 24 Agosto (M=6), 26 Ottobre (M=5.9) e 30 Ottobre (M=6.5), hanno registrato accelerazioni orizzontali massime del terreno (PGA) pari rispettivamente a 0.38g, 0.46g, 0.65g ed 1g, che sono fino a 3 volte maggiori della PGA attribuita a quella zona dalle carte ufficiali basate sulla procedura PSHA (tra 0.275g e 0.300g).

Fig. 1.3. Le curve rossa e blu rappresentano gli spettri delle accelerazioni orizzontali (Sa), espresse in multipli dell’accelerazione di gravità (g), registrate dalla stazione accelerometrica di Forca Canapine (FCC) durante il terremoto del 30 Ottobre 2016. In questo caso, l’accelerazione ha raggiunto e superato il valore 3g per periodi di circa 0.3 secondi. Il tracciato verde indica lo spettro elastico teorico di riferimento costruito in base alla PGA attesa per un TR=475 anni. Informazioni più dettagliate in ReLUIS-INGV Workgroup, 2016. Secondo tale rapporto, se le registrazioni mostrate in figura venissero confermate dai controlli tecnici sugli strumenti, questo sarebbe il più forte scuotimento mai osservato in Italia.

La discrepanza tra accelerazioni previste e osservate è ancora più accentuata se si considerano gli spettri di risposta elastici, i quali definiscono le accelerazioni subite dagli edifici in relazione al loro periodo naturale di oscillazione. Tale parametro dipende dalla configurazione strutturale del manufatto ed in particolare dalla sua altezza, tanto che può essere approssimativamente stimato dividendo per 10 il numero di piani. Per esempio, un edificio di 10 piani oscilla con un periodo di circa 1 secondo e così via. Lo spettro di risposta riportato in figura 1.2 mostra che per periodi attorno a 0.3 secondi (corrispondenti ad edifici di 3-4 piani), l’accelerazione orizzontale prodotta dalla scossa del 24 Agosto (descritta dalle curve rossa e blu nel grafico) ha raggiunto valori tra 1g e 2g, giustificando così i gravissimi danni osservati. Infatti, il patrimonio edilizio della dorsale appenninica è prevalentemente costituito da edifici relativamente bassi, che hanno quindi particolarmente risentito dello scuotimento sismico. D’altra parte, lo spettro di risposta teorico previsto dalle normative vigenti (Norme Tecniche per le Costruzioni, DM 17/1/2008 e successiva Circolare 617/2009), calcolato in base alla PGA valutata con la procedura probabilistica (PSHA), prevede un’accelerazione massima di circa 0.7g (circa corrispondente al tratto orizzontale della linea verde in figura 1.2). La discrepanza tra lo spettro di risposta osservato e quello teorico, previsto dalla normativa vigente, è ancora più marcata nel caso riportato in figura 1.3, che si riferisce alla scossa del 30 Ottobre 2016 (maggiori dettagli sono riportati in ReLUIS-INGV Workgroup, 2016). I dati sopra citati evidenziano un chiaro esempio di sottovalutazione degli effetti previsti, ma sulla base dei danni documentati dalla storia sismica delle stesse zone è ragionevole pensare che lo 8 stesso problema si sia presentato molte altre volte in passato. Per spiegare meglio questo punto, si può considerare la relazione suggerita in letteratura tra l’accelerazione e l’intensità macrosismica (Gomez Capera et alii, 2007), in base alla quale risulta che il valore di PGA massimo previsto dalle mappe attuali per le zone sopra considerate (0.275g) corrisponde a intensità comprese tra VIII e IX MCS (Scala Mercalli Cancani Sieberg). Questo indicherebbe che i danni reali hanno superato quelli previsti dalle mappe attuali in occasione di tutte le numerose scosse per cui l’intensità è stata stimata di grado IX o superiore (almeno 30 dopo il 1000, Rovida et alii, 2016). Poiché problemi analoghi di sottovalutazione della pericolosità sembrano esistere anche per altre regioni italiane, sembrerebbe opportuno, per meglio tutelare la sicurezza delle persone e dei manufatti, adottare metodologie alternative per tentare l’elaborazione di carte di pericolosità più realistiche. Però, purtroppo ci sono attualmente molte resistenze a procedere in questo senso. Per esempio, nel sito dell’INGV (cioè l’Ente che viene principalmente consultato per questo tipo di problematiche) si può leggere: cambiare le carte attuali sarebbe molto complicato perché i sismologi non sono tenuti a conoscere quale possa essere il terremoto massimo che ci si può attendere in una data zona. Questa giustificazione però, non è accettabile poichè una qualsiasi persona di buon senso tende a pensare che se una zona sismogenetica ha generato in passato scosse di una data intensità, significa che ospita faglie capaci di generare nuovamente terremoti di quelle dimensioni. Siccome nessun tipo di algoritmo statistico può permettere di escludere (o ritenere poco probabile) che eventi simili si possano ripresentare in qualsiasi istante, è necessario (per un elementare senso di prudenza, al di sopra di qualsiasi analisi scientifica) che nelle zone implicate gli edifici siano costruiti in modo da poter resistere per lo meno alle intensità massime prodotte dalle scosse storiche documentate.

1B. Carte di Intensità massima nei comuni considerati

Sulla base delle considerazioni riportate nel paragrafo precedente, è importante valutare la massima intensità che può colpire una determinata zona, per dare ai cittadini e alle autorità competenti un’informazione attendibile su quello che è successo in passato e che potrebbe ripetersi in un futuro anche prossimo. Inizialmente, questo tipo di indagine ha destato l’interesse della Regione Toscana, che ha dato incarico al Dip. di Scienze della Terra dell’Università di Siena (ora Dip. di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente) di fornire questo tipo di informazione per i comuni di quella Regione. A questo scopo, sono state raccolte, per ogni comune, tutte le informazioni sui danni documentati, riportati dal catalogo dei risentimenti (DBMI11, Locati et alii, 2011). Questo insieme di dati è stato poi integrato dai risentimenti presumibilmente causati dai terremoti riportati nel catalogo (Rovida et alii, 2011), calcolati in base alle leggi di attenuazione stimate per le zone relative (e.g., Berardi et alii, 1993; Gomez Capera, 2006; Pasolini et alii, 2006). Sulla base di tutti i dati così ottenuti, è stata individuata la massima intensità risentita o presumibilmente risentita (Imax) in ogni comune della Toscana. Comunque, per evitare che le intensità massime così ottenute potessero eventualmente risentire per alcuni comuni di eventuali lacune nel catalogo dei terremoti, e soprattutto dei risentimenti documentati, si è ritenuto opportuno aggiungere alla procedura un ulteriore elemento, basato sulle conoscenze attualmente disponibili sull’assetto tettonico della zona considerata, riportate in varie pubblicazioni e citata nei capitoli seguenti di questa pubblicazione. Questa integrazione è stata presa in considerazione soprattutto per i comuni in cui i risentimenti documentati o calcolati sembrano essere poco compatibili (per posizione o/e per considerazioni tettoniche ) con le implicazioni del quadro deformativo attuale (riportate in varie pubblicazioni e nei capitoli seguenti di questa pubblicazione) e con la distribuzione della sismicità storica. Nonostante le notevoli incertezze che possono inficiare l’efficacia di quest’ultima operazione (discusse nel paragrafo precedente), è opportuno chiarire che questa integrazione non porta in nessun caso a 9 ridurre le Imax indicate dai risentimenti documentati o calcolati, ma potrebbe però consentire di eliminare possibili sottovalutazioni di pericolosità nelle zone dove le informazioni sui danni passati possono essere lacunose. Il risultato di questa indagine, svolta in collaborazione con il Settore Sismica della Regione Toscana, è illustrato in figura 1.4, che riporta le Imax così stimate per tutti i comuni della Regione. I dati utilizzati e tutte le informazioni considerate sono dettagliatamente descritti da Mantovani et alii (2012a, 2013).

Fig. 1.4. Intensità massima MCS assegnata ai comuni della Toscana (Mantovani et alii, 2012a, 2013). Il numero in ogni comune corrisponde a quello che compare nelle tabelle riportate in appendice.

Un’operazione analoga è stata fatta per la regione Emilia Romagna, in collaborazione con il Servizio Sismico di quella Regione. Il risultato ottenuto è mostrato nella figura 1.5. I dati utilizzati e tutte le informazioni considerate sono dettagliatamente descritti da Mantovani et alii (2013). 10

). ). Il

tabelle in Appendice

t alii., t 2013).

Mantovani Mantovani e

Romagna (valori indicati nelle colonne NP delle

-

Intensità Intensità massima MCS assegnata ai comuni dell’Emilia

numero riportato in ogni comune corrisponde a quello a suddette,(da corrisponde tabelle nelle indicato comune riportato in numero ogni Fig. 1.5.

11

Utilizzando la stessa procedura, sono state poi elaborate carte di Imax anche per le due Regioni che affiancano quelle sopra citate, cioè l’Umbria e le Marche. Il risultato ottenuto è mostrato nella figura 1.6. I dati utilizzati e tutte le informazioni considerate sono dettagliatamente descritti da Mantovani et alii (2014a).

Fig.1.6. Intensità massima MCS assegnata ai comuni dell’Umbria e delle Marche da Mantovani et alii (2014a) Il numero che compare in ogni comune corrisponde a quello indicato nelle tabelle riportate in appendice. 12

E’ utile sottolineare che le carte di Imax mostrate in figura 1.6 sono poi risultate compatibili con i danni effettivamente riscontrati nelle zone colpite dai terremoti dell’agosto e ottobre 2016 (vedi paragrafo successivo). Per confrontare le carte di Imax riportate nelle figure 1.4, 1.5 e 1.6 con quanto previsto dalle carte attuali PSHA, si può prendere in considerazione la carta elaborata da Gomez Capera et alii (2010), che è espressa sotto forma di intensità massima invece che di accelerazione (Fig. 1.7).

Fig. 1.7. Carte di pericolosità per le zone qui considerate, elaborate con la procedura PSHA, ma espresse sotto forma di intensità, con probabilità di superamento inferiore al 10% nei 50 anni successivi (Gomez Capera et alii, 2010). I=Intensità MCS

Per comodità del lettore, la differenza tra il valore di Imax da noi proposto e quello ricavato dalla procedura PSHA (Fig. 1.7, Gomez Capera et alii, 2010) è riportata, per ogni comune, nelle figure 1.8, 1.9 e 1.10, relative alle regioni qui considerate. Da questa figura si può notare che per più del 50% dei comuni toscani le Imax da noi proposte (Fig. 1.4, 1.5, 1.6) superano di almeno un mezzo grado quelle previste dalle carte PSHA di figura 1.7 e per molti comuni (circa 40) la differenza raggiunge due gradi e, in alcuni casi (Garfagnana- Lunigiana e Orciano Pisano), arriva a 3 gradi MCS. 13

Fig. 1.8. Differenze, per ogni comune della regione Toscana, tra il valore di Imax da noi proposto (Mantovani et alii, 2012a) e quello previsto dalla procedura PSHA (Gomez Capera et alii, 2010, Fig. 1.7). Ad ogni colore corrisponde una differenza, come indicato nell’inserto.

A questo riguardo, va sottolineato che un aumento di uno o due gradi nel valori di intensità implica un aumento importante nei danni attesi, soprattutto a partire da I= VIII MCS. Questo evidenzia il fatto che la procedura PSHA tende a considerare improbabile che molti terremoti che si sono verificati in passato si possano ripresentare entro tempi relativamente brevi. In un numero limitato di comuni, i valori di Imax previsti dalle carte PSHA sono superiori a quelli documentati dalla storia sismica. 14

elli elli

ifferenza, come indicato indicato come nell’inserto. ifferenza,

colore corrisponde una d una corrisponde colore

). Ad ogni Ad ).

Fig. 1.7 Fig.

Differenze, Differenze, per ogni comune della regione Emilia Romagna, tra i valori di Imax da noi proposti (Mantovani et alii, 2013) e qu

9. 9.

previsti dalle carte PSHA (Gomez Capera Capera alii, PSHA et dalle 2010, (Gomez carte previsti Fig. 1.

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In Emilia Romagna, per una larga parte del territorio regionale le Imax da noi proposte superano quelle PSHA di almeno un mezzo grado, fino a raggiungere un grado. In un limitato numero di comuni (meno di 30, prevalentemente situati nella provincia Forli-Cesena) le differenze possono raggiungere due gradi.

Fig. 1.10. Differenze, per ogni comune delle regioni Umbria e Marche, tra i valori di Imax (MCS) da noi proposti (Mantovani et alii, 2014a) e quelli previsti dalla procedura PSHA (Gomez Capera et alii, 2010, Fig. 1.7)

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In Umbria (Fig. 1.10) una larga parte del territorio regionale presenta differenze maggiori di almeno un mezzo grado tra le Imax da noi proposte e quelle previste dalle carte PSHA. Nella zona meridionale e in parte di quella settentrionale della Regione le differenze possono raggiungere due gradi. Tranne un comune (Corciano), le Imax PSHA sono sempre inferiori a quelle da noi proposte.

Nella Regione Marche, i comuni dove la differenza è minima (colore bianco) sono una minoranza prevalentemente situata nella fascia centrale e nella zona costiera meridionale. Nella parte occidentale della Regione la pericolosità risulta prevalentemente sottostimata (almeno di mezzo grado e fino a due gradi) dalle carte PSHA, mentre nella zona costiera (Senigallia-) la pericolosità prevista da tali carte è inferiore a quella deducibile dalla storia sismica (Fig. 1.6).

Nel paragrafo seguente sono riportate alcune considerazioni dell’ ingegnere civile strutturista Danilo Fionga, che ha operato in alcuni comuni delle Marche che sono stati maggiormente colpiti dai terremoti del 2016. Da oltre dodici anni si occupa prevalentemente di direzione lavori e progettazione di opere pubbliche e private, costruzioni con isolamento sismico alla base e sistemi dissipativi. La sua testimonianza e le sue considerazioni tecniche sono importanti perché sono basate su esperienze dirette, relative a interventi edilizi in zone sismiche.

1C. Danni osservati e carte di pericolosità sismica PSHA nelle zone colpite dai terremoti del 2016 e 2017, considerazioni ingegneristiche (a cura dell’ing. Danilo Fionga)

Le mappe elaborate con il metodo probabilistico PSHA adottate dalle attuali normative tecniche sulle costruzioni (NTC 2008) per valutare la pericolosità sismica e da utilizzare per esempio nella progettazione di edifici ordinari di civile abitazione (probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni, TR=475 anni), hanno mostrato una preoccupante tendenza a sottostimare la severità dei terremoti più forti. Per esempio, durante il sisma dell’Aquila del 2009 sono state registrate PGA fino a 0.6g, a fronte dei valori forniti dalla mappa PSHA con TR=475 anni di 0.25-0.3 g e per il sisma dell’Emilia del 2012 si sono registrate PGA fino a 0.3g, a fronte dei valori forniti dalla mappa PSHA con TR=475 anni di 0.150-0.175 g. Questo problema si è poi chiaramente ripresentato in seguito alle scosse forti che hanno colpito il centro Italia nel 2016 e 2017, come descritto nel seguito. Il metodo probabilistico PSHA ammette che ci sia una probabilità non trascurabile (10%) di superamento dell’accelerazione al suolo in un determinato periodo. Questo tipo di approccio presenta almeno due importanti problemi concettuali. Il primo riguarda una questione molto pratica: nessuno sarebbe disposto a vivere serenamente in una nuova abitazione sapendo che è stata progettata e realizzata con l’ipotesi che nei prossimi cinquanta anni c’è un dieci per cento di probabilità che un terremoto possa farla crollare. Il secondo aspetto riguarda una questione più formale: le mappe vigenti non potranno mai essere confutate, violando così la procedura di falsificazione che è alla base del metodo scientifico. Infatti, se si verifica un terremoto di intensità inferiore a quanto indicato si dirà che il metodo PSHA è idoneo ed efficace; mentre se il segnale sismico oltrepassa le accelerazioni previste si dirà che il metodo prevede comunque la possibilità che gli eventi superino i valori proposti, in quanto c’è sempre una probabilità non trascurabile che avvenga un sisma più severo. Ammettere che il valore di accelerazione indicato possa essere superato con una probabilità del dieci per cento in cinquanta anni equivale a dire che si ammette la perdita di vite umane con la stessa probabilità. Tale impostazione non dovrebbe essere consentita e accettata in un paese in cui lo Stato si dovrebbe responsabilmente occupare della tutela dei cittadini. Ci sono anche alcuni aspetti ingegneristici che devono far riflettere sull’affidabilità ed efficacia del metodo PSHA. Uno di questi riguarda l’accelerazione al suolo (pericolosità sismica di base) fornita sul territorio italiano in corrispondenza dei punti di un reticolo di riferimento costituito 17 da 10.751 nodi posti ad una distanza inferiore ai 10 km tra loro e valutata con tre cifre decimali. Per un qualunque punto non coincidente con i nodi del reticolo viene richiesto di calcolare l’azione sismica mediante interpolazione (media pesata) dei valori assunti da tali parametri nei quattro vertici della maglia relativa. Questa procedura genera una miriade di valori di accelerazione; una sorta di distribuzione continua della PGA. L’apparente disponibilità di informazioni così puntuali e dettagliate fa supporre di poter prevedere lo scuotimento sismico con una accuratezza talmente elevata da sembrare poco realistica ed illusoria. L’indicazione dei valori di accelerazione al suolo con tre cifre decimali non trova nessuna giustificazione fisica ed ingegneristica. Per esempio, le approssimazioni associate ai calcoli strutturali (calcolo elastico lineare delle sollecitazioni, utilizzo del fattore di struttura, ecc.) possono superare le differenze tra le accelerazioni relative ai vertici di una maglia del reticolo. Un altro aspetto riguarda l’utilizzo senza coefficienti di sicurezza dei valori di accelerazione forniti dal metodo PSHA. Le norme tecniche attualmente vigenti impongono, per ragioni di sicurezza, di amplificare le azioni gravitazionali (carichi permanenti, carichi variabili, ecc..) moltiplicandole per un coefficiente in genere pari a 1.5. Per l’azione sismica, invece, non è richiesta alcuna amplificazione, il che può indurre a pensare che i valori di accelerazione al suolo forniti dalle norme siano talmente accurati da non richiedere alcun coefficiente di sicurezza. A differenza delle mappe elaborate con l’approccio probabilistico PSHA, le mappe di Imax descritte nel precedente paragrafo (Mantovani et alii, 2014a) hanno predetto con ragionevole precisione le intensità massime effettivamente osservate sui territori devastati dal sisma che ha colpito l’Italia centrale nel 2016, come si può rilevare nella tabella 1.1.

Località Intensità Macrosismica (scala MCS) Comune Provincia A B C Arquata del Tronto AP 10 10 10 Arquata del Tronto (località Pescara del Tronto) AP 11 11 10 Arquata del Tronto (località Tufo) AP 10 10 10 Arquata del Tronto (località Capodacqua) AP 10-11 10 10 Arquata del Tronto (località Piedilama) AP 9 10 10 Castelsantangelo sul Nera MC 9 9 10 Castelsantangelo sul Nera (località Gualdo) MC 10 9 10 Castelsantangelo sul Nera (località Macchie) MC 9-10 9 10 Castelsantangelo sul Nera (località Nocellato) MC 9-10 9 10 Castelsantangelo sul Nera (località Nocria) MC 9-10 10,5 10 Castelsantangelo sul Nera (località Vallinfante) MC 9-10 9,5 10 Ussita MC 9 9 9,5 Pieve Torina (località Casavecchia Alta) MC 9 10 9,5 Montegallo (località Castro) AP 9 9 9,5 Fiastra (località San Lorenzo in Colpolina) MC np 9,5 9 Visso MC 8-9 8,5 10

Tab. 1.1 Intensità macrosismiche in scala MCS per alcuni comuni marchigiani maggiormente colpiti dal sisma 2016; valori massimi stimati da A = Tertulliani e Azzaro (2016), B = Galli et alii (2017) e previsti da C = Mantovani et alii (2014a).

Per meglio evidenziare il fatto sopra citato, le intensità macrosismiche della tabella 1.1 sono anche riportate nell’istogramma di figura 1.11. L’approccio che prende in considerazione l’intensità macrosismica correlata al danneggiamento massimo atteso presenta anche il vantaggio di tenere già conto intrinsecamente dell’amplificazione sismica in superficie dovuta agli effetti di sito. Naturalmente, le procedure di 18 microzonazione simica potranno (e dovranno) approfondire i suddetti aspetti e valutare all’interno di ogni comune considerato le possibili cause di amplificazione sismica locale, mappando le relative aree. L’intensità macrosismica massima attesa andrebbe convertita in PGA e dovrebbero essere anche definiti spettri elastici in accelerazione, in modo da poter disporre degli strumenti finalizzati alla progettazione sismica. Un primo tentativo di conversione dei valori di Imax in valori di PGA è descritto in Mantovani et alii (2014a), dove per tale operazione è stata utilizzata la relazione GOR- DB4 (Gomez Capera et alii, 2007). In particolare, l’Appendice del suddetto elaborato riporta i valori attesi di PGA per tutti i comuni delle Marche e dell’Umbria.

Fig. 1.11. Intensità macrosismiche in scala MCS per alcuni comuni marchigiani maggiormente colpiti; A, B, C, come nella didascalia di tabella 1.1.

E’ ragionevole supporre che se gli interventi di nuova edificazione o di consolidamento delle costruzioni esistenti fossero stati realizzati adottando le PGA desunte dai valori di intensità macrosismica mostrati in figura 1.6 i danneggiamenti nei comuni devastati dal terremoto che ha colpito il centro Italia nel 2016 sarebbero stati più limitati. La tabella 1.2 riporta le accelerazioni orizzontali massime che sono state registrate dalle stazioni prossime all’epicentro dell’evento del 30/10/2017 M=6.5 e le mette a confronto con le accelerazioni orizzontali al suolo previste dalle NTC 2008 (PSHA), valutate considerando la stessa categoria di sottosuolo e topografica della stazione e tempo di ritorno (TR) di 475 anni (percentuale di superamento del 10% in 50 anni). Il rapporto tra le accelerazioni orizzontali massime registrate e quelle previste da NTC 2008 (RH in tab.2) indica che le accelerazioni orizzontali al suolo registrate hanno superato, fino a tre volte, quelle previste dalle mappe di pericolosità sismica NTC 2008 per TR=475 anni, come anche mostrato in figura 1.12. 19

Stazione sismica PGA/g PGA/g Dist. RH Lat. Cat. Orizzontale Orizzontale Codice Località Top. Epic. Long. suolo Misurata NTC 2008 (km) 42.72492 T1213 Savelli di Norcia A T1 11,981 0,849 0,258 3,29 13.12578 42.82940 CLO Castelluccio di Norcia A T1 7,798 0,571 0,251 2,27 13.20600 42.89440 CNE Castelsantangelo sul Nera C T1 7,719 0,466 0,332 1,40 13.15280 42.75954 T1214 Arquata del Tronto B T1 11,337 0,593 0,296 2,00 13.20870

Tab. 1.2. Confronto tra la PGA orizzontale misurata dalle stazioni sismiche vicine all’epicentro dell’evento del 30/10/2016 (Luzi et alii, 2017) e la PGA orizzontale prevista dalle NTC 2008, valutata con le stesse condizioni di categoria di suolo (Cat. suolo) e topografica (Top.) della stazione e con TR=475 anni. RH indica il rapporto fra i valori riportati nelle due colonne precedenti.

Fig. 1.12. Confronto tra PGA orizzontale misurate dalle stazioni sismiche vicine all’epicentro dell’evento M=6.5 del 30/10/2016 e PGA orizzontale previste dalle NTC 2008 TR= 475 anni valutata con le stesse condizioni di categoria di suolo e topografica della stazione.

La tendenza presentata dalle accelerazioni massime al suolo registrate, si ripresenta anche per le accelerazioni spettrali, come chiaramente mostrato dagli spettri elastici in accelerazione riportati in figura 1.13, in cui si può notare che le accelerazioni registrate in tutte le quattro stazioni considerate sono più elevate di quelle previste dalle NTC 2008 in un ampio intervallo di periodi propri di oscillazione. Gli spettri relativi alle stazioni T1213 e T1214 mostrano che gli edifici bassi, indicativamente fino ad una altezza di 4-5 piani e a base fissa, hanno subito accelerazioni molto superiori a quelle previste dagli spettri NTC 2008. Gli spettri riferiti alle stazioni CLO e CNE mostrano che le accelerazioni spettrali sono abbondantemente superiori a quelle previste dalle NTC 2008 in un intervallo più ampio di periodi propri di oscillazione, che si estende fino ad oltre 1 secondo e che coinvolge, quindi, edifici a base fissa fino a circa 10 piani di altezza. 20

Fig. 1.13. Confronto tra gli spettri elastici in accelerazione (smorzamento 5%) registrati dalle quattro stazioni elencate in tabella 1.2 durante l’evento del 30/10/2017 M=6,5, e gli spettri elastici in accelerazione previsti da NTC 2008 per TR=475 anni e TR=2475 anni (Luzi et alii, 2017).

Per le stesse stazioni vicine all’epicentro dell’evento del 30/10/2017, la tabella 1.3 riporta le accelerazioni verticali registrate (Luzi et alii, 2017) e le accelerazioni verticali al suolo previste da NTC 2008 (PSHA) T=475 anni, valutate considerando la stessa categoria di sottosuolo e topografica della stazione. Nell’ultima colonna della tabella è indicato il rapporto tra le accelerazioni verticali massime registrate e quelle previste dalle NTC 2008.

Stazione sismica PGA/g Verticale PGA/g Verticale Lat. Cat. Dist. Epic. RV Codice Località Top. Misurata NTC 2008 Long. suolo (km) 42.72492 T1213 Savelli di Norcia A T1 11,981 0,869 0,177 4,91 13.12578 42.82940 Castelluccio di CLO A T1 7,798 0,782 0,169 4,63 13.20600 Norcia 42.89440 CNE Castelsantangelo sul Nera C T1 7,719 0,536 0,165 3,25 13.15280 42.75954 T1214 Arquata del Tronto B T1 11,337 0,632 0,174 3,63 13.20870

Tab. 1.3. Confronto tra PGA verticale misurate dalle stazioni sismiche vicine all’epicentro dell’evento M=6.5 del 30/10/2016 e PGA verticale previste dalle NTC 2008, valutata con le stesse condizioni di categoria di suolo e topografica della stazione e TR=475 anni. RV indica il rapporto fra i valori riportati nelle due colonne precedenti.

Questa tabella mostra che le accelerazioni verticali misurate hanno quasi raggiunto l’accelerazione di gravità e hanno superato, fino a quasi cinque volte, quelle previste da NTC 2008 21

(PSHA). Si può inoltre notare che in tutte le quattro stazioni considerate, la componente verticale dell’accelerazione ha superato quella orizzontale. Queste tendenze sono evidenziate dagli istogrammi riportati nelle figure 1.14 e 1.15. La prima confronta le accelerazioni verticali massime registrate sulle quattro stazioni elencate in tabella 1.3 con la PGA verticale prevista da NTC 2008 TR=475 anni e valutata con le stesse condizioni di categoria di suolo e topografica della stazione. La seconda, invece, mette a confronto la componente orizzontale con quella verticale registrata sulle stazioni sismiche elencate in tabella 1.3.

Fig. 1.14. Confronto tra PGA verticale misurate dalle stazioni sismiche vicine all’epicentro dell’evento M=6.5 del 30/10/2016 e PGA verticale previste dalle NTC 2008 valutata con le stesse condizioni di categoria di suolo e topografica della stazione e TR=475 anni.

Fig. 1.15. Confronto tra PGA verticale e orizzontale registrate. 22

La figura 1.15 mostra chiaramente che la componente verticale del moto sismico ha superato quella orizzontale in tutte le quattro stazioni considerate. Siccome qualunque fabbricato è pensato e progettato staticamente per resistere ai carichi gravitazionali, è opinione comunemente diffusa che un modesto incremento o diminuzione dei carichi verticali dovuti alla componente verticale sismica non crea grave danneggiamento e, di conseguenza, le accelerazioni verticali del moto sismico sono ritenute meno pericolose rispetto quelle orizzontali. Presumibilmente, questo ragionamento è alla base delle NTC 2008, che tengono in scarsa considerazione la componente verticale del segnale sismico. Infatti, nel cap. 7.2.1 di tali normative si impone di considerare la componente verticale del sisma solo in casi particolari (elementi con luci superiori a 20 metri, ponti, edifici isolati alla base, ecc.) e solo quando il sito dell’edificio non ricada in zona sismica 3 o 4. Per le costruzioni ordinarie, che rappresentano la quasi totalità dei fabbricati (comprese quelli ricadenti in aree ad alta sismicità nelle zone 1 e 2), la norma non prevede di considerare la componente verticale del segnale sismico. Tale approccio normativo, che presumibilmente si basa sul convincimento che gli edifici, essendo progettati staticamente per resistere ai carichi gravitazionali, possono assorbire senza danni significativi un incremento o una diminuzione del carico verticale fino ad un 10-20%, può essere ritenuto condivisibile soltanto se le accelerazioni verticali non superano un’aliquota minima dell’accelerazione di gravità. Questa considerazione è basata su due motivi principali. Il primo riguarda il suolo di fondazione dell’edificio e interessa qualsiasi tipologia costruttiva in elevazione (muratura, cemento armato, acciaio, prefabbricati). Quando la componente verticale si somma al peso dell’edificio, aumenta il carico sulla fondazione, e di conseguenza sul terreno. Per esempio, quando un’accelerazione sismica verticale paragonabile a quella gravitazionale (come è più o meno successo a Norcia nel 2016) si somma al peso del fabbricato, genera un carico in fondazione quasi doppio di quello che agisce normalmente. Se a questo si aggiunge l’aumento di carico dovuto all’effetto ribaltante delle componenti sismiche orizzontali, si comprende che durante un terremoto i carichi in fondazione potrebbero risultare più che raddoppiati o addirittura triplicati, con il rischio di superare quelli ammissibili. In terreni comprimibili, questo effetto potrebbe provocare cedimenti differenziali non tollerati dalla sovrastruttura, con conseguenti lesioni, instabilità e crolli. Il secondo motivo riguarda il comportamento delle strutture in elevazione in risposta all’azione simultanea di accelerazioni verticali e orizzontali. Quando la componente verticale si somma alla forza di gravità, la struttura viene maggiormente sollecitata dai carichi verticali e, fatto salvo il caso di superamento della resistenza della sezione a compressione, l’accelerazione verticale non diminuisce la capacità di resistenza della struttura alle azioni orizzontali. Quando invece la componente verticale del sisma si sottrae ciclicamente alla forza di gravità, le strutture che affidano la propria resistenza laterale all’attrito subiscono una drastica diminuzione della capacità di resistenza alle azioni orizzontali. Questo è assolutamente vero in tutte le costruzioni in muratura, dove la resistenza alle azioni orizzontali tende ad annullarsi in assenza di carico verticale; la gravità è essenziale per la stabilità dei muri poiché consente di sviluppare le forze di attrito che bloccano i mattoni e le pietre. L’applicazione contemporanea di un’azione simica orizzontale e di una verticale paragonabile alla forza di gravità (che si sottrae alla stessa rendendo le murature molto più leggere) genera una risultante delle forze pressoché orizzontale che può causare lo scorrimento dei giunti e dei blocchi murari, con la conseguenza che l’edificio perde quasi totalmente la propria capacità di resistere alle azioni laterali. L’azione contemporanea di un’accelerazione simica orizzontale con un’elevata componente sismica verticale, può creare seri problemi anche alle strutture in calcestruzzo armato, con particolare riguardo ai pilastri (e.g., Papazoglou e Elnashai, 1996; Collier e Elnashai, 2001; Elnashai e Di Sarno, 2008). Quando l’azione ciclica verticale si somma all’accelerazione di gravità le sezioni in cemento armato (c.a.) saranno soggette ad uno sforzo assiale maggiore. Quando invece l’azione verticale si sottrae alla forza peso, le sezioni previste pressoinflesse in fase di progettazione potrebbero risultare tensoinflesse, a causa della diminuzione dello sforzo normale, con la 23 conseguenza che la sezione resistente dell’acciaio di armatura potrebbe non essere più sufficiente. Simili conseguenze potrebbero interessare anche le travi e i solai di impalcato. Inoltre, per i pilastri di strutture intelaiate in c.a. l’eventuale diminuzione dello sforzo assiale (dovuta alla componente sismica verticale) fa diminuire il momento resistente del pilastro, alterando di conseguenza anche la gerarchia delle resistenze trave/pilastro. Considerato che le forti accelerazioni verticali registrate in occasione del sisma che ha colpito il centro Italia nel 2016, hanno superato di quasi cinque volte i valori previsti dalle NTC 2008 e sono risultate anche maggiori delle rispettive componenti orizzontali, si ritiene necessario un serio ripensamento della tendenza a trascurare, o per lo meno a sottovalutare, i possibili effetti della contemporaneità dell’azione sismica orizzontale con quella verticale. Infatti, se è pur vero che l’azione sismica verticale considerata singolarmente genera meno problemi di quella orizzontale, è altrettanto vero che se considerata simultaneamente all’azione orizzontale può ridurre considerevolmente la capacità delle strutture di resistere alle azioni laterali. In conclusione, quanto accaduto con gli ultimi forti terremoti in Italia dovrebbe far comprendere che è arrivato il momento di abbandonare la stima probabilistica della pericolosità sismica (PSHA), in quanto può fornire stime di pericolosità non realistiche, e di utilizzare invece mappe di Imax, che possono dare informazioni più realistiche sui danni possibili nelle zone implicate. L’intensità macrosismica massima attesa, convertita in PGA, potrà poi fornire gli strumenti utili alla progettazione finalizzata alla protezione sismica. Un primo passo in tale direzione è costituito dalla conversione da valori di Imax in valori di PGA proposta da Mantovani et alii (2014a) per i comuni delle Marche e dell’Umbria. E’ auspicabile, inoltre, che le future revisioni delle NTC prendano in considerazione anche le tematiche legate alla contemporaneità dell’azione sismica orizzontale con quella verticale.

1D. Recente proposta di revisione delle attuali carte di pericolosità PSHA per l’Appennino Settentrionale

I responsabili del Servizio Sismico della Regione Emilia Romagna hanno ritenuto necessario rivedere le carte attuali di pericolosità per l’Appennino settentrionale, senza modificare i principi base della metodologia probabilistica originariamente utilizzata (Gruppo di Lavoro MPS, 2004). Come indicato dagli autori (Martelli et alii, 2017), il principale aspetto innovativo della proposta è rappresentato dalla zonazione sismica, differente da quella adottata dal Gruppo di Lavoro MPS (2004). Le differenze riguardano sia la forma delle zone sismiche, sia il fatto che si vorrebbe tener conto della tridimensionalità delle sorgenti sismiche, introducendo nel modello l’inclinazione media delle faglie. La descrizione dei risultati ottenuti e delle procedure adottate è riportata da Martelli et alii (2017). Purtroppo, questo tentativo di revisione, essendo basato sulla procedura PSHA, è esposto a tutte le limitazioni, le ambiguità e le incertezze che interessano tale metodologia. Inoltre, si possono fare alcuni commenti su problemi specifici della procedura presentata da Martelli et alii (2017), relativi a due aspetti principali: la definizione delle zone sismiche da adottare e la valutazione delle mappe di pericolosità sismica.

1) Definizione delle zone sismiche

La scelta delle presunte zone sismogenetiche è di fondamentale importanza nella procedura probabilistica di Cornell-McGuire (e.g., Gruppo di Lavoro MPS, 2004), in quanto la geometria delle zone adottate nel calcolo della pericolosità sismica ha un’influenza cruciale sui risultati, come si può facilmente rilevare nelle mappe (sia quelle proposte dal Gruppo di Lavoro MPS, 2004 che quelle ottenute da Martelli et alii, 2017). Quindi, le scelte a questo proposito devono avere giustificazioni plausibili e compatibili con le evidenze conosciute. A questo riguardo però, 24 riteniamo che le zone proposte da Martelli et alii (2017, Fig. 3) non si possono facilmente considerare come sorgenti sismogenetiche uniformi e coerenti, una proprietà che dovrebbe assicurare una realistica definizione dei parametri delle relazioni magnitudo-frequenza Gutenberg- Richter (GR) e quindi della pericolosità stimata. Per esempio, la zona dell’Appennino Romagnolo (zona 13 di fig. 3, Martelli et alii) copre un’area comprendente sia l’importante allineamento SSE-NNO di terremoti intensi storici (S.Sofia- Premilcuore), sia la zona situata a nord del Mugello (Monghidoro-Firenzuola-Palazzolo), cioè due sistemi di faglie che potrebbero avere un significato tettonico distinto (Mantovani et alii, 2012a, 2013), oltre ad avere una sismicità di livello diverso. Questo arbitrario accorpamento può portare ad una definizione poco realistica dei parametri GR per la zona in oggetto, con pesanti conseguenze sulla stima della pericolosità. La ricostruzione molto accurata del quadro tettonico nell’Appennino settentrionale (vedi Cap. 2 e Mantovani et alii, 2012a, 2013, 2014a), che può spiegare in modo plausibile e coerente una quantità enorme di evidenze in tutta la catena appenninica, suggerisce una geometria differente per la sorgente sismogenetica dell’Appennino Romagnolo. Il problema sopra citato assume un’importanza particolare, poichè è proprio nella zona 13 che l’analisi di Martelli et alii (2017, Fig. 11) presenta le più importanti e quasi uniche differenze nel valore dell’accelerazione attesa rispetto alle mappe attuali. Nella descrizione delle zone sismogenetiche adottate da Martelli et alii (2017) sono riportate varie considerazioni, ma sorprendentemente non sono offerte giustificazioni tettoniche per la scelta della geometria proposta per le varie zone. In particolare, per le zone trasversali (con orientazione antiappenninica) proposte (zone 2, 11, 18), la presunta connessione tra le varie faglie riconosciute e la sismicità non è spiegata. Anche per numerose zone di orientazione appenninica la presunta connessione tra l’attività sismica (in molti casi molto scarsa) e la geometria della zona sismogenetica proposta non è molto chiara. Per alcune zone sismiche si può notare un certo arbitrio nella definizione della geometria. In particolare si può notare che i dati relativi alla sismicità o alle faglie affioranti non sembrano giustificare pienamente le scelte fatte (come commentato di seguito per alcuni esempi): - zona 5 (Nonantola-Budrio): E’ caratterizzata da bassa sismicità e scarsa evidenza di strutture attive. - zona 11 (Pistoia-Pisa): Strutture attive o potenzialmente attive hanno un orientamento prevalente NE-SO, ma non mostrano una cinematica ben definita. - zona 22 (Trasimeno): Pochi eventi sismici, di intensità da bassa a media, sono documentati per questa zona. I dati di campagna non sono sufficienti per definire strutture attive o potenzialmente attive. In altri casi, sistemi di faglie fra loro distanti e differenti vengono inglobati in zone molto vaste, di dubbio significato sismotettonico: - zona 18 Casentino-Valdarno-Siena: Questa è una zona trasversale che attraversa la Toscana centrale (bacino di Siena) e raggiunge il crinale appenninico (bacino del Casentino). Infine, per certi settori non si tiene conto in modo appropriato dell’insieme dei dati disponibili: - zona 23 Amiata-Bolsena: Poche faglie quaternarie potenzialmente attive con cinematica estensionale sono riconoscibili. In questo caso si trascura l’ampia documentazione sulla presenza ed il ruolo delle faglie quaternarie con cinematica trascorrente sinistra (e.g., Acocella e Funiciello, 2006; Brogi e Fabbrini, 2011).

Gli autori sostengono che l’uso di piani sismogenetici inclinati, per riprodurre la geometria 3D delle strutture tettoniche, permette una più dettagliata definizione dello scuotimento atteso. Purtroppo, la modellazione adottata ha portato ad una semplificazione delle strutture presenti nell’area, per cui, come affermato dagli stessi autori, alcuni elementi sono stati trascurati. Per esempio: 25

- strutture trasversali transtensionali destre sono presenti nella zona 8 (Garfagnana). A questo proposito anche altri autori (per es. Brozzetti et alii, 2007) hanno sottolineato l’importante ruolo di una struttura trasversale (North Apuane fault zone) nella generazione di forti terremoti (1837, 1920) - analogamente a quanto detto sopra, nella modellazione della zona 14 (Mugello) non sono state considerate le strutture trasversali presenti lungo il margine sud-orientale del bacino (area di Vicchio) che si ritiene possano essersi attivate durante il forte terremoto del 1919 (Sani et alii, 2009) - nelle zone 7 (Appennino Emiliano) e 13 (Appennino Romagnolo), i meccanismi focali dei terremoti indicano deformazioni compressive rispettivamente a profondità di circa 15-35 km e 15- 20 km , e distensive più in superficie. A questo proposito gli autori propongono che: “le faglie normali e i meccanismi focali estensionali rappresenterebbero una risposta superficiale a un’attività compressionale più profonda” Nonostante questo, le sorgenti sismogenetiche nelle zone sopra citate (8, 14, 7 e 13) sono state modellate assumendo unicamente spostamenti su piani di faglia normali; - alcune zone sono state modellate assumendo meccanismi trascorrenti in direzione antiappenninica, come la 10 (Reno-Setta), 17 (Savio-Marecchia) e 18 (Casentino-Valdarno-Siena). Anche in questi casi, sono stati trascurati importanti elementi tettonici, riconosciuti anche da Martelli et alii, come le strutture compressive attive lungo il margine appenninico bolognese (nella zona 10), i fronti di sovrascorrimento lungo il margine appenninico riminese (zona 17), caratterizzati da maggiori profondità ipocentrali (15-25 km) rispetto alle strutture trascorrenti nella stessa zona, e le numerose faglie normali orientate circa NO-SE che caratterizzano la zona 18. - nelle zone 19 (litorale tosco-laziale) e 22 (Trasimeno) le evidenze considerate per definire i meccanismi sismogenetici sono molto scarse, consistendo in pochi eventi sismici di bassa o media intensità, principalmente relativi al campo geotermico di Larderello (zona 19) e poche strutture potenzialmente attive di tipo sia normale che trascorrente. La deformazione in queste aree è stata modellata assumendo piani di faglia normale immergenti a SO o OSO, nonostante che le sezioni sismiche transcrostali (CROP-18A e CROP-18B, Finetti, 2006; Sani et alii, 2016) abbiano evidenziato che l’area plutonica di Larderello è associata a faglie trascorrenti antiappenniniche; - infine, come descritto in precedenza, per la modellazione del meccanismo deformativo della zona 23 (Amiata-Bolsena) non sono state considerate le evidenze di tettonica trascorrente in direzione NE-SO riconosciuta da altri autori (Brogi e Fabbrini, 2009; Sani et alii, 2016). In generale, va rimarcato che nello studio di Martelli et alii non sono riportati gli insiemi di dati con cui sono state determinate le curve GR delle varie zone. Questa mancanza non permette di controllare se per le zone adottate i dati sono sufficienti per definire in modo attendibile i parametri delle curve GR. Lo studio in oggetto non parte da un inquadramento geodinamico dell’assetto tettonico attuale per la catena appenninica. Viene solo riportata una lista delle varie interpretazioni finora proposte in letteratura, senza esprimere alcuna preferenza. Questo significa che la definizione delle zone sismogenetiche è stata fatta senza avere un’idea delle forze tettoniche in atto e della loro possibile connessione con il complesso quadro delle deformazioni osservate. Nello studio proposto da Mantovani et alii (2012a,b, 2013), invece, è riportata una descrizione molto dettagliata dell’inquadramento geodinamico adottato, offrendo al lettore la possibilità di controllare la plausibilità delle connessioni proposte tra l’attività sismica e i processi tettonici in atto. Inoltre, si può notare che le interpretazioni geodinamiche citate nel lavoro di Martelli et alii non sono compatibili con un’importante deformazione dell’Appennino Romagnolo messa in evidenza in un precedente lavoro che coinvolge gli stessi autori (Boccaletti et alii, 2010). Questa caratteristica, costituita da un inarcamento verticale dell’Appennino Romagnolo, è compatibile con la presenza di un campo compressivo orientato SE-NO, che può essere facilmente giustificato dal quadro geodinamico proposto da Mantovani et alii, (2012a,b, 2013), ma che non è invece riconciliabile con il quadro dinamico previsto dalle interpretazioni citate da Martelli et alii (2017). Una 26 considerazione analoga si può fare per la presenza di vari fronti di sottoscorrimento trasversali nella catena (Martelli et alii, 2017), che sono compatibili con un campo di sforzo compressivo parallelo alla catena, ma che possono invece essere molto difficilmente riconciliati con le implicazioni delle interpretazioni geodinamiche citate da Martelli et alii (2017).

2) Mappe di pericolosità

Per quanto riguarda i risultati ottenuti da Martelli et alii (2017, Fig.8), in termini di mappe di pericolosità, è utile considerare quanto riportato nella figura 11 del suddetto lavoro, dove per ogni zona sismica, è riportata la differenza tra la pericolosità sismica stimata da Martelli et alii (2017) e quella suggerita dal Gruppo di Lavoro MPS (2004). Entrambe le valutazioni si riferiscono all’accelerazione orizzontale massima del terreno rigido (PGA) con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni. La figura sopra citata mette in evidenza differenze molto limitate rispetto alla carta ufficiale (Gruppo di Lavoro MPS, 2004). L’unica differenza non trascurabile riguarda un leggero aumento dell’accelerazione prevista nella zona 13 (Appennino Romagnolo) e nella zona 3 (Pieghe Ferraresi). Per quanto riguarda la zona 13, non si può escludere che la stima di pericolosità sia poco realistica, in quanto la geometria adottata per questa zona non sembra compatibile con l’assetto tettonico attuale (Mantovani et alii, 2012a, 2013). Anche considerando la modellazione delle sorgenti sismiche tridimensionali, l’incremento di PGA è compreso tra 0.05g e 0.15g. Peraltro, per la zona 2 (Enza-Taro) si verifica un leggero decremento della PGA attesa (0.05-0.10 g). E’ opportuno notare che la differenza tra le due stime PSHA sopra indicate è molto minore della discrepanza tra la valutazione probabilistica e la stima di pericolosità basata sull’intensità macrosismica, descritta da Mantovani et alii (2012a, 2013). A titolo di esempio, la tabella 1.4 confronta i valori di PGA ottenuti con i due tipi di approccio per i principali comuni del Mugello (Provincia di Firenze). Per ogni comune è riportata l’intensità massima attesa nella scala MCS (Mantovani et alii, 2012a, 2013), il valore PGA/g ottenuto da tale valore di Imax con la relazione GOR-DB4 (Gomez Capera et alii, 2007) e la cosiddetta “pericolosità di base” (Ordinanze della protezione civile OPCM 3907-2010, 4007-2012 e OCDPC 52-2013), dedotta con procedure probabilistiche (Gruppo di Lavoro MPS, 2004).

PGA/g da Imax PGA/g da PSHA Comune Imax (GOR-DB4) (OPCM) Vicchio 10 0.92967 0.20825 San Piero a Sieve 9 0.48790 0.19452 Barberino di Mugello 9 0.48790 0.20338 Scarperia 9 0.48790 0.20535 Dicomano 9 0.48790 0.20622 Borgo San Lorenzo 9 0.48790 0.20910

Tab. 1.4. Valori di PGA ottenuti con i due tipi di approccio per i principali comuni del Mugello (FI). Nella prima colonna la Imax è presa da Mantovani et alii (2012a). Nella seconda colonna i valori del rapporto PGA/g sono ricavati dai valori di Imax, riportati nella prima colonna. Nella terza colonna i valori del rapporto PGA/g sono previsti dalla carta di pericolosità attuale (Ordinanze della protezione civile OPCM 3907-2010, 4007-2012 e OCDPC 52-2013), elaborata con procedure probabilistiche (Gruppo di Lavoro MPS, 2004).

Dalla tabella 1.4 si nota che la differenza tra la stima basata sull’intensità massima e la valutazione probabilistica varia da un minimo di 0.28g (Borgo San Lorenzo) ad un massimo di 27

0.72g (Vicchio), per cui risulta che nel comune di Vicchio la pericolosità stimata da Mantovani et alii (2012a) è quasi 5 volte più elevata di quella ottenuta con la procedura probabilistica. In conclusione, lo studio di Martelli et alii (2017) non presenta differenze significative rispetto alla carta attuale (Gruppo di Lavoro MPS, 2004) e quindi rimangono tutte le sottovalutazioni previste dalla carta attuale, descritte da Mantovani et alii (2012a, 2013) e discusse nei paragrafi precedenti. Il persistere della scarsa sensibilità per questo problema sembra poco comprensibile, soprattutto considerando quanto è avvenuto nel Maggio del 2012, quando due scosse di M=6.1 e M= 5.9 hanno colpito la zona emiliana, provocando circa 30 vittime e ingenti danni. In quel caso, il fatto veramente sorprendente è che gli effetti sopra citati sono stati prevalentemente causati dalla mancanza di connessioni tra strutture portanti e coperture nella maggior parte dei numerosi capannoni industriali presenti in quella zona. Il fatto che in quella zona la rimozione di una debolezza tecnica così importante non sia stata incentivata, o addirittura sollecitata, dai responsabili delle politiche di prevenzione antisismica della Regione Emilia-Romagna, rivela una convinzione di che la pericolosità sismica fosse molto bassa, per lo meno tale da non incentivare l’installazione di un semplice collegamento meccanico, dai costi non certo proibitivi per le imprese della zona. Questa convinzione non è certo giustificata dalla storia sismica della zona, che include alcuni danneggiamenti di intensità paragonabile a quelli del 2012 (Camassi et alii, 2011; Castelli et alii, 2012, Mantovani et alii, 2013; Rovida et alii, 2016).

1E. Aggiornamento delle carte di Intensità massima con i nuovi cataloghi dei terremoti e dei risentimenti

Siccome nel 2016 è stato reso disponibile un catalogo aggiornato e rivisto dei terremoti italiani (Rovida et alii, 2016) e dei risentimenti documentati (DBMI15, Locati et alii, 2016), la determinazione delle Imax per ogni comune delle 4 Regioni sopra citate è stata rifatta in base ai nuovi dati. I nuovi valori di Imax, confrontati con quelli precedenti (DBMI11), sono riportati nelle tabelle che compaiono nell’Appendice. Su un totale di 966 comuni, nelle 4 Regioni, le nuove informazioni hanno comportato una significativa variazione (da mezzo grado a oltre 3 gradi) in 202 comuni, cioè circa un 20% del totale. Nella maggior parte dei casi, la variazione consiste in un aumento del valore precedente. Si può notare che i casi di calo di Imax sono concentrati in tre province delle Marche (Ascoli Piceno, Fermo e Macerata). Per alcuni comuni: Castelfranco di sopra (AR), Pratovecchio (AR), Incisa in Valdarno (FI), Lari (PI), S.Giuliano Terme (PI), Gaiole in Chianti (SI), Montalcino (SI), S.Giovanni D’Asso (SI), Bazzano (BO), Castel di Casio (BO), Castello di Serravalle (BO), Monteveglio (BO), Savigno (BO), Ferrara, Carpi (MO), Montese (MO), Nonantola (MO), Castell’Arquato (PC), Ravenna, Busana (RE), Ramiseto (RE), Rubiera (RE), Castel Colonna (AN), Monterado (AN), Arquata del Tronto (AP), Acquacanina (MC), Castelsantangelo sul Nera (MC), Fiastra (MC), Pieve Torina (MC), il valore di Imax ricavato dal DBMI15 supera il valore da noi proposto in precedenza (Mantovani et alii, 2012a, 2013, 2014a), per cui ci è sembrato prudente aggiornare la nostra proposta per i comuni sopra citati (Vedi Appendice). Le tabelle permettono anche di valutare, comune per comune le differenze tra il valore di Imax da noi proposto (Mantovani et alii, 2012a, 2013, 2014a) e quello previsto dalle carte attuali (Gomez-Capera et alii, 2010), come spiegato nell’Appendice.

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2. Nuove conoscenze sull’assetto tettonico dell’Appennino settentrionale

2A. Quadro geodinamico e tettonica quaternaria nella catena appenninica

Le interpretazioni geodinamiche proposte in numerosi lavori (Mantovani et alii, 2006, 2007a,b, 2009, 2011, 2012a,b, 2013, 2014a,b, 2015a,b, 2016a; Viti et alii, 2006, 2011, 2015b, 2016) suggeriscono che le deformazioni e la relativa attività sismica nelle zone periadriatiche sono strettamente legate all’interazione della placca adriatica con le catene circostanti (Fig. 2.1), causata dalla convergenza tra Africa, Eurasia e sistema Anatolico-Egeo-Balcanico.

Fig. 2.1. Schema tettonico della regione mediterranea centrale (e.g., Mantovani et alii., 2015b). 1,2) Domini continentali dell’Africa e dell’Adriatico 3) Dominio oceanico ionico 4) Fascia esterna della catena appenninica sollecitata e trascinata dalla placca adriatica 5,6,7) Principali elementi tettonici estensionali, trascorrenti e compressionali 8) Fronte esterno delle catene. Le frecce verdi indicano il presunto campo cinematico quaternario rispetto all’Eurasia (Mantovani et alii, 2007a). AC= Appennino centrale, AO=Alpi Orientali, AS=Apppennino settentrionale, AM=Appennino meridionale.

La sollecitazione esercitata dalla placca adriatica induce nella fascia esterna della catena appenninica (cioè la più solidale con il margine subdotto della suddetta placca) un regime compressivo longitudinale, che viene assorbito dal sollevamento e l’estrusione verso l’esterno di materiale orogenico. Le strutture estruse comprendono prevalentemente lo strato sedimentario della catena, disaccoppiato dal suo basamento crostale a profondità sismogenetiche (dell’ordine dei 6-10 29 km) in corrispondenza di orizzonti deboli, come evidenziato da indagini sismiche (Finetti et alii, 2005; Mirabella et alii, 2008) e dati di pozzo (Anelli et alii, 1994; Corrado et alii, 1998; Patacca et alii, 2008). In particolare, uno strato evaporitico del tardo Triassico (formazione di Burano, Martinis e Pieri, 1964), costituisce la base della coltre sedimentaria meso-cenozoica di una larga parte dell’Appennino settentrionale (Zappaterra, 1990; Ciarapica e Passeri, 2002, 2005; Bosellini, 2004). La debolezza meccanica della formazione di Burano è dovuta alla presenza di evaporiti (e.g., De Paola et alii, 2008). La catena appenninica esterna (Fig. 2.2) è costituita dal cuneo Molise-Sannio (MS) nell’Appennino meridionale, dal cuneo Lazio-Abruzzi, nell’Appennino centrale, e dai cunei Romagna-Marche-Umbria (RMU) e Toscana-Emilia (TE), nell’Appennino settentrionale (Mantovani et alii, 2009, 2015a,b; Viti et alii, 2006).

Fig. 2.2 Schema tettonico e cinematica pleistocenica (frecce rosse vuote) della catena appenninica esterna riportata sulla Carta Tettonica d’Italia (Funiciello et alii, 1981). I colori evidenziano i vari elementi della catena che stanno subendo estrusione laterale e sollevamento, in risposta ad una compressione longitudinale indotta dalla placca adriatica. Il cuneo Molise-Sannio (MS), nell’Appennino meridionale, è marron scuro, il cuneo Lazio-Abruzzi (LA), nell’Appennino centrale, è viola scuro, le unità della Laga (La) sono viola chiaro. Nell’Appennino settentrionale, il cuneo Romagna-Marche-Umbria (RMU) è verde, il cuneo Toscana-Emilia (TE) è azzurro e le pieghe sepolte della catena sono nocciola. 1,2,3) Elementi tettonici compressivi, estensionali e trascorrenti. Aq=sistema di faglie aquilano, AR=Presunto sistema di faglie nell’Appennino romagnolo, dedotto dalla distribuzione dei terremoti e da considerazioni tettoniche (vedi testo). AVT=Alta Valtiberina, Be= Benevento, Fu=sistema di faglie del Fucino, Ga=Garfagnana; Ir=Irpinia, Lu=Lunigiana, Mt=Matese Mu=Mugello, No-Cf-GT-Gu=sistema di faglie Norcia- Colfiorito-GualdoTadino-Gubbio. Ri-An=fronte compressivo Rimini-Ancona. Le linee rosse che attraversano la Val Padana (Gi=Giudicarie, SV=Schio-Vicenza) indicano le principali discontinuità nella placca adriatica sottostante, attivate durante il Neogene (Mantovani et alii, 2006, 2009, 2015a,b; Viti et alii, 2006, 2011, 2016; Cenni et alii, 2012). 30

La separazione tra questi cunei e la parte interna, meno mobile, della catena ha indotto un regime estensionale nella parte assiale dell’Appennino, che ha generato una serie di fosse tettoniche nelle zone dell’Irpinia, Benevento e Matese, nell’Appennino meridionale, nelle zone dell’Aquilano e Fucino, nell’Appennino centrale, e nelle fosse Valtiberina, Casentino, Mugello, Garfagnana e Lunigiana, nell’Appennino settentrionale (e.g., Piccardi et alii, 2006 e lavori citati da Mantovani et alii, 2012a, 2013, 2014a). Questo meccanismo tettonico è ancora in atto e può spiegare perchè l’attività sismica più intensa è principalmente localizzata nella parte assiale dell’Appennino (Fig.2.3). Il movimento circa verso NE dei cunei in estrusione comporta anche deformazioni compressive lungo il loro bordo esterno, dove il materiale orogenico sovrascorre il dominio adriatico (e.g., Scisciani e Calamita, 2009). In numerosi lavori (Mantovani et alii, 2010, 2015a, 2016a,b, 2017; Viti et alii, 2012, 2013, 2015a) è stato messo in evidenza che le implicazioni a breve termine del contesto tettonico sopra citato sono compatibili con la distribuzione spazio temporale delle scosse principali avvenute negli ultimi sette secoli.

Figura 2.3. Distribuzione dei principali terremoti (magnitudo M ≥ 4) nella catena appenninica nel periodo 1000-2017 AD (Rovida et alii, 2016; ISIDe working group, 2016), riportati sulla mappa geologica d’Italia (Compagnoni e Galluzzo, 2004).

2B. Assetto sismotettonico nella parte esterna (adriatica) dell’Appennino settentrionale

I principali elementi tettonici e morfologici sono riportati in figura 2.4. La peculiare configurazione dei crinali montuosi delinea le parti di catena che hanno subito i piegamenti orizzontali e i sollevamenti più marcati e può quindi fornire importanti indizi sul meccanismo di formazione dei principali bacini intermontani (Alta Valtiberina, Casentino, Mugello, Garfagnana e Lunigiana), che corrispondono, tranne il Casentino, alle principali zone sismogenetiche.

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Fig. 2.4. Schema tettonico dell’Appennino settentrionale sovrapposto alla carta strutturale d’Italia (Bigi et alii, 1990). 1) Fronti compressivi della catena, 2) Principali faglie estensionali, 3) Elementi tettonici incerti 4) Crinali montuosi, 5) Zone di maggiore sollevamento, 6) zone di ridotto sollevamento. AA=Alpi Apuane, AL=Appennino Ligure, Am= faglia di Amatrice; AR=presunto sistema di faglie nell’Appennino Romagnolo dedotto dalla distribuzione dei terremoti e da considerazioni tettoniche, AVT= Alta Valtiberina, Ca= Casentino, CB=cuneo Bolognese, Ce= dorsale di Cetona, Ch=Chiana; Chi= dorsale Chianti; CP=cuneo di Piacenza, EP= Elsa-Pesa, ET=faglia Enza-Taro, Ga= Garfagnana, GS=Arco del Gran Sasso, GT=Gualdo Tadino, Lu=Lunigiana, Mu=Mugello, No-Cf-GT-Gu=sistema di faglie Norcia-Colfiorito-GualdoTadino- Gubbio, OAS=fronte compressivo Olevano-Antrodoco-Sibillini, OL= sistema di faglie transpressive Ottone–Levanto, PMR=Provincia Magmatica Romana; Ra=Radicofani, Rap= dorsale Rapolano, Si= fronte compressivo Sillaro, Sie=Siena, SV=fronte compressivo Sangro- Volturno, VS=Valdarno superiore, VV=faglia estensionale Villalvernia-Varzi.

Come suggerito da Mantovani et alii (2011, 2012a, 2013) e Viti et alii (2015b) e discusso nei prossimi paragrafi, la tettonica estensionale che ha portato alla generazione di queste fosse potrebbe essere conseguenza della divaricazione locale tra alcuni segmenti di crinali adiacenti che hanno 32 subito piegamenti differenziati sotto l’azione della compressione longitudinale che ha sollecitato questo settore appenninico. Questa ipotesi è suggerita dal fatto che tutte le fosse in oggetto sono localizzate all’interno dei settori più arcuati delle dorsali. L’appartenenza di tutti i crinali citati alla fascia orogenica che è completamente priva della copertura delle Unità Liguridi costituisce un’ulteriore evidenza sul sollevamento che tale fascia ha subito nell’evoluzione recente. A rendere più evidente la separazione della parte esterna, più mobile, della catena dalle strutture della Toscana interna può avere contribuito il fatto che queste ultime comprendono il complesso metamorfico delle Alpi Apuane, che appare più solidamente connesso con il proprio basamento, e quindi più resistente a spostamenti laterali. Si può notare che andando verso NordOvest la serie di piegamenti orizzontali dei crinali si interrompe dopo la Lunigiana, in linea con il fatto che oltre questa zona c’è il corpo dell’Appennino Ligure, che molto probabilmente costituisce un altro settore scarsamente mobile della catena, essendo incastrato tra le adiacenti Alpi Liguri (solidali col proprio basamento), e il cuneo Toscana- Emilia in migrazione verso l’esterno. Questa interpretazione è confortata dal fatto che il corpo sopra citato corrisponde alla parte meno deformata e meno sollevata dell’Appennino settentrionale, poiché l’erosione non è ancora riuscita a modificare significativamente la strutturazione originaria dell’edificio appenninico, alla cui sommità si collocano le Unità Liguridi interne, che affiorano estesamente in questo settore (Fig. 2.4). La stretta connessione delle Alpi Liguri col proprio basamento è presumibilmente dovuta al fatto che in questo settore non sono presenti livelli anidritici nelle successioni dolomitiche triassiche, poste alla base della copertura sedimentaria (e.g., Vanossi et alii, 1994; Ciarapica e Passeri, 2005). Gli effetti del regime compressivo longitudinale sono riconoscibili anche nella parte di catena (meno elevata) situata lungo il versante padano della catena, anche se in questa fascia il raccorciamento è stato assorbito da deformazioni meno evidenti (Fig. 2.4). La parte orientale di questo settore (Appennino romagnolo) ha subito il massimo sollevamento e la conseguente erosione, come documentato dalle varie evidenze descritte in precedenza. Possibili cause di questo accentuato sollevamento, connesse con la peculiare deformazione subita dal margine adriatico sepolto sotto questa zona dopo il Messiniano, sono discusse da Mantovani et alii (2011, 2012a,b, 2013). Il fatto che una fascia trasversale abbastanza ristretta dell’Appennino romagnolo sia stata sede di numerose scosse forti rivela la presenza di un’importante sistema di faglie. Attualmente però, le scarse evidenze geologiche disponibili in quella zona non permettono un chiaro riconoscimento del processo tettonico responsabile di tale sismicità. I lineamenti morfotettonici più evidenti sono i fronti di sovrascorrimento formati nelle vari fasi compressive del Miocene e Pliocene (e.g., Farabegoli et alii, 1991; Bortolotti , 1992; Cerrina Feroni et alii, 2001; Martelli et alii, 2002; Viti et alii, 2016), ma queste strutture sembrano essere tagliate e dislocate da faglie a rigetto orizzontale di varia orientazione e cinematica (e.g., Martelli et alii, 2002). Tali fratture potrebbero rappresentare l’espressione superficiale di una zona di taglio profonda orientata circa N-S, come quella suggerita da Costa (2003), in base all’interpretazione di linee sismiche a riflessione. Considerando il contesto dinamico che sta attualmente sollecitando la catena appenninica (e.g., Mantovani et alii, 2009, 2011, 2012a,b, 2013, 2014b) si potrebbe supporre che il sistema di faglie nella zona dell’Appennino romagnolo agisca come disaccoppiamento tra la parte centro- meridionale del cuneo RMU, che essendo orientata parallelamente alla spinta della placca adriatica tende a spostarsi circa verso nord, e la parte settentrionale dello stesso cuneo che, essendo solidale con un settore appenninico orientato circa verso ovest (cuneo TE), offre una resistenza molto maggiore a spostarsi, e soprattutto a farlo in stretta connessione con la placca adriatica. Il fronte compressivo del Sillaro (Fig.2.4) potrebbe corrispondere alla zona dove le unità tettoniche affioranti nell’Appennino Romagnolo si immergono sotto le Unità Liguridi dell’Appennino Emiliano (e.g., Boccaletti et alii, 2010). In quest’ultimo settore di catena, il raccorciamento longitudinale è anche assorbito dall’estrusione laterale, circa verso Nord, del cuneo bolognese, come suggerito dal fatto che il suo 33 bordo esterno sporge significativamente verso la pianura padana rispetto ai settori adiacenti. Questa interpretazione può spiegare il fatto che le scosse più intense del Bolognese sono prevalentemente distribuite lungo il bordo esterno del cuneo in oggetto (Mantovani et alii, 2013). La compressione circa verso NO che il cuneo bolognese trasmette alla parte adiacente di catena, sia emersa che sepolta, potrebbe spiegare la presenza di una marcata sporgenza verso l’esterno delle pieghe sepolte sotto la zona modenese (Fig.2.4). Un’altra evidenza consistente con il regime compressivo longitudinale nell’Appennino emiliano è data dalla presenza di fronti di sottoscorrimento trasversali (Fig.2.4), riconosciuti in questa zona da alcuni autori (Sorgi et alii, 1998, Boccaletti e Martelli, 2004; Boccaletti et alii, 2010; Viti et alii, 2016), che hanno reinterpretato come strutture compressive e transpressive i cosiddetti ‘lineamenti antiappenninici’ da tempo identificati in catena (e.g., Sillaro, Reno, Panaro, Secchia, Enza e Taro in figura 2.4). Nella parte più occidentale dell’Appennino emiliano, d’ora in poi identificata per semplicità come cuneo di Piacenza (Fig.2.4), le deformazioni e la cinematica sono notevolmente condizionate dall’interazione con la struttura scarsamente deformabile dell’Appennino Ligure. In questo contesto, la soluzione di minimo lavoro è presumibilmente rappresentata dall’estrusione circa verso NNO del cuneo di Piacenza, assorbita da deformazioni transpressive sinistre lungo la fascia conosciuta come Ottone-Levanto (e.g., Elter et alii, 2012), dove è anche localizzata attività sismica. La cinematica proposta per il cuneo di Piacenza e la conseguente sollecitazione che questo cuneo esercita sulle strutture padane è consistente con la conformazione delle pieghe emiliane. presumibilmente generate dalla sollecitazione esercitata da questo indentatore. Un’altra significativa evidenza, che potrebbe trovare una spiegazione plausibile come effetto della cinematica sopra citata, è costituita dalla deformazione, prevalentemente interpretata come estensionale a direzione circa Sud-Nord (e.g., Ambrosetti et alii, 1983; Meisina e Piccio, 2003; Panini et alii, 2004), riconosciuta lungo la nota fascia tettonica Villalvernia-Varzi (Fig. 4), orientata circa E-O. In particolare, questa deformazione potrebbe essere imputata alla separazione tra il cuneo di Piacenza, in migrazione verso NNO, e l’Appennino Ligure, prevalentemente stabile. Le deformazioni osservate lungo i bordi settentrionale e occidentale del cuneo di Piacenza (e.g., Mantelli e Vercesi, 2000; Benedetti et alii, 2003) possono rappresentare gli effetti prodotti dall’interazione di questo cuneo con le strutture padane. Un possibile disaccoppiamento tra il cuneo di Piacenza e la parte più orientale dell’Appennino emiliano potrebbe essere assorbito da deformazioni transpressive osservate lungo il sistema di faglie trasversale Enza-Taro (Bernini e Papani, 1987; Vescovi, 1988; Boccaletti e Martelli, 2004; Elter et alii, 2012). Come suggerito in precedenti lavori (e.g., Mantovani et alii, 2011, 2012a, 2013), questo sistema di faglie potrebbe corrispondere alla proiezione in superficie della discontinuità delle Giudicarie. Per quanto riguarda la possibile connessione tra tettonica e attività sismica, si potrebbe notare che dopo l’attivazione nel 1828 (M=5.8) del sistema di faglie Villalvernia-Varzi (presumibilmente causata da un movimento circa verso nord del cuneo di Piacenza) si sono verificate due scosse forti nel reggiano (1831 M=5.5 e 1832 M=5.5), in corrispondenza del bordo sud-orientale dello stesso cuneo. Inoltre, qualche anno dopo ci sono state scosse forti anche nella zona della Lunigiana (1834 M=5.8) e Garfagnana (1837 M=5.8), presumibilmente imputabili al fatto che uno spostamento verso NNO del cuneo di Piacenza può favorire il meccanismo di deformazione dei crinali all’interno dei quali si sviluppano le fosse della Lunigiana e Garfagnana. Purtroppo, questo è l’unico esempio chiaramente documentato di attivazione intensa della zona Villalvernia-Varzi. Un altro possibile caso di interesse potrebbe essere rappresentato da una scossa avvenuta nel 1473, che nel catalogo PFG (Postpischl, 1985) viene posizionata tra Milano e Pavia con M= 5.7. Questo evento però, è stato ridimensionato (M=3.7) nell’ultima versione del catalogo (Rovida et alii, 2016). Sarebbe comunque utile svolgere ulteriori indagini su questo terremoto, per appurare l’attendibilità delle fonti storiche, che suggeriscono danni rilevanti, con molte case distrutte e numerose vittime, e una possibile esondazione nelle zona compresa tra i fiumi Ticino e Adda (Bonito, 1691; Baratta, 1983). Il motivo per cui riteniamo utile tenere aperto questo problema è che nel caso in cui, dopo ulteriori controlli sulla documentazione storica disponibile, la 34 scossa in oggetto risultasse reale e localizzata in prossimità della discontinuità Villalvernia-Varzi, potrebbe essere considerata come un possibile innesco tettonico delle scosse forti che hanno colpito la zona Garfagnana-Lunigiana negli anni successivi (1481, M=5.6 e 1497, I=VIII-IX). Questa corrispondenza assieme a quella del 1828 discussa sopra, delineerebbe un quadro in cui quasi tutte le scosse forti della zona Lunigiana-Garfagnana sarebbero state precedute da scosse significative nella zona Villalvernia-Varzi. L’unica scossa forte per cui questa connessione sismotettonica non sarebbe applicabile rimarrebbe quella del 1920 in Garfagnana (M=6.5). Però, va rimarcato che tale scossa è inserita nella notevole sequenza sismica che si è sviluppata nell’Appennino settentrionale dal 1916 al 1920, dopo il fortissimo terremoto del Fucino del 1915, come ampiamente discusso in lavori precedenti (Mantovani et alii, 2010, 2012a,b; Viti et alii, 2012b, 2013). L’Appennino settentrionale comprende anche una parte sepolta sotto la Val Padana, che subisce sollecitazioni analoghe a quelle che agiscono sulla parte emersa della catena. Alcune indicazioni su questo settore, si possono ricavare dall’analisi delle sezioni di Boccaletti e Martelli (2004), Fantoni e Franciosi (2010), Martelli e Molinari (2009) e Boccaletti et alii (2010). L’attività del fronte delle Pieghe emiliane e di quelle romagnole è iniziata nel tardo Messiniano-Pliocene inferiore ed è continuata in maniera importante fino al Pleistocene inferiore, con riattivazioni tardo-quaternarie. L’attività delle Pieghe ferraresi sembra essere iniziata nel Pliocene medio e si è poi sviluppata soprattutto nel Pleistocene inferiore nella parte interna (struttura di Mirandola), mentre l’attivazione della parte esterna (struttura di Ferrara) sembra essere successiva (Pliocene superiore-Pleistocene inferiore e in maniera importante almeno fino al Pleistocene medio). Anche l’attivazione delle Pieghe adriatiche sembra essere iniziata nel Pliocene ed essersi poi sviluppata soprattutto nel Pliocene medio-Pleistocene inferiore. In ogni caso, la distribuzione della sismicità indica che tutte queste strutture sono ancora attive, essendo state interessate da importanti terremoti: - Fronte compressivo pedeappenninico: Sassuolo (1501, M=6.1) e margine appenninico bolognese (1505, M=5.6) - Pieghe emiliane: margine appenninico-padano parmense (1438, M=5.6 e 1971, M=5.5), reggiano (1831, M=5.5 e 1832, M=5.5) e modenese (1249, M=4.9) - Pieghe romagnole: bassa Romagna (1483, M=5.7 1688, M=5.8 e 1781, M=6.1) e margine appenninico romagnolo (1428, 5.5 e 1870, 5.6) - Pieghe ferraresi: Ferrara (1570, M=5.4), Argenta (1624, M=5.4), Emilia orientale (1796, M=5.5), Novellara (1996, M=5.4), sequenza sismica di maggio-giugno del 2012 (M=6.1, 5.9) - Pieghe adriatiche: Romagna sud-orientale (1875, M= 5.7, 5.4, 5.8, 5.5)

2C. Assetto sismotettonico nella parte interna (tirrenica) dell’Appennino settentrionale

Questa zona è caratterizzata da una morfologia piuttosto articolata, dove dorsali si alternano con zone pianeggianti o ondulate (Fig. 2.5). Gli elementi tettonici generati dalla deformazione delle strutture liguri e toscane, assieme a complessi metamorfici derivati dagli stessi domini e dal basamento crostale, affiorano nelle dorsali (Colline Metallifere, Arco Metamorfico Toscano, Montalcino-Amiata, Albano, Chianti, Rapolano e Cetona). Le pianure corrispondono a bacini marini e continentali, formati nel tardo Miocene (Martini e Sagri, 1993; Bartole, 1995). I bacini marini più antichi, del tardo Miocene e Pliocene inferiore (e.g., Tora-Fine, Era, Radicondoli, Elsa-Pesa, Siena e Radicofani), sono confinati a ovest delle dorsali Albano, Chianti, Rapolano e Cetona. I bacini fluvio-lacustrini del tardo Pliocene-Pleistocene (Valdarno superiore e Chiana) sono situati tra le dorsali sopra citate e i rilievi del Pratomagno e dell’Umbria occidentale. A est di tali rilievi, ci sono i bacini intramontani più recenti (Pistoia-Firenze, Mugello, Casentino, Alta Valtiberina). La prosecuzione dei bacini in direzione longitudinale è spesso interrotta da lineamenti trasversali orientati NE-SO, che hanno notevolmente influenzato i processi deposizionali

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Fig. 2.5. Principali elementi tettonici riconosciuti nella zona considerata, riportati sulla Carta geologica d’Italia (Compagnoni e Galluzzo, 2004). 1) Sollevamenti quaternari 2) Depositi di travertini e tufi calcarei (Capezzuoli, 2013) 3) Vulcanismo Umbro quaternario (Peccerillo, 2005) 4) Faglie probabilmente affette da attività quaternaria 5) Faglie meno definite, possibilmente affette da attività tardo quaternaria. Vulcani del Lazio settentrionale (Corpo Magmatico Romano): Ci=Cimini, Sb=Sabatini, Vu=Vulsini, Dorsali principali: AMT=Arco Metamorfico Toscano, AL=Albano, AP=Appennino pistoiese, AV=Alto Valdarno, BV=Basso Valdarno CE=Cetona, CH=Chianti, CM=Colline Metallifere, Li=Monti di Livorno, MA=Montalcino-Amiata, Pi= Monte Pisano, PRM=Pratomagno, RAP=Rapolano, UO= Umbria Occidentale. Bacini neogenici: Al=Albegna, AVT=Alta Valtiberina, BVT=Bassa Valtiberina, Ca=Casentino, Ce=Cecina, Ci=Cornia, Ch=Chiana, El=Elsa, Er=Era, Gr=Grosseto, Mu=Mugello, Pe=Pesa, PF=Pistoia- Firenze, Rc=Radicondoli; Ra=Radicofani, Si=Siena, TF=Tora-Fine, To=Topino, , Sistemi di faglie: An=Antella, Am=Ambra (Rapale), Ar=Arbia, At=Amiata, Cr=Ceriti, Ct=Cetona, Gs=Guardistallo, Lr=Latera, MB=Maiano-Bagno a Ripoli, Mg=Montegrossi, Po=Poggibonsi, Rp=Rapolano, Sc=Scandicci-Castello, Se=Sentino, St=Sarteano, Tf=Tolfa. La mappa è basata sulle informazioni fornite dalle sorgenti citate nel testo (Da Viti et alii, 2015b). 36

La descrizione convenzionale dello sviluppo tettonico post-Tortoniano dell’Appennino settentrionale (Elter et alii, 1975; Martini e Sagri, 1993) prevede che dopo le principali fasi compressive del tardo Oligocene-Miocene, un regime estensionale si è sviluppato nella parte interna della catena, a partire dal tardo Miocene. In questa ottica, i bacini sopra citati sono descritti come fosse tettoniche, bordate da faglie normali ad alto angolo circa orientate NO-SE, separate da alti strutturali spesso corrispondenti ad affioramenti di rocce del periodo pre-tardo Miocene. Però, nelle ultime decadi, questa interpretazione è stata rivista o completamente confutata. Una dettagliata descrizione del dibattito su questo argomento è riportata da Brogi (2011a) e Bonini et alii (2014). Per mitigare l’ambiguità che circonda attualmente questo problema, è utile mettere in evidenza alcuni aspetti dell’evoluzione quaternaria nella zona considerata, che non si riconciliano molto bene con l’ipotesi che le deformazioni osservate siano state solo prodotte da un regime estensionale:

1) Una significativa deposizione sedimentaria si è sviluppata o è continuata nel Quaternario in alcuni bacini situati accanto alla costa tirrenica (e.g., Valdarno inferiore e Grosseto, Boschian et alii, 2006), mentre nei bacini orientali (Elsa-Pesa, Era-Radicondoli e Siena-Radicofani, Bossio et alii, 1996, 1998) la sedimentazione si è interrotta a partire dal Pliocene medio-superiore.

2) Alcuni bacini sono allungati in senso Est-Ovest (Valdarno inferiore e Cecina) o in direzione NE- SO (Cornia, Grosseto, Albegna), invece che in senso appenninico (NO-SE) come prevederebbe l’interpretazione sopra citata.

3) La presenza, geometria, cinematica e sviluppo temporale delle faglie normali che bordano i bacini sopra citati sono oggetto di acceso dibattito (Brogi, 2011a; Bonini et alii, 2014; Benvenuti et alii, 2014; Sani et alii, 2016). Per esempio, Brogi et alii (2012) suggeriscono che la faglia Cetona, immergente verso SO (Fig. 2.5), è stata inattiva dal Quaternario inferiore, come indicato dal fatto che è tagliata da lineamenti trascorrenti più giovani, mentre altri autori (Sani et alii, 2001) riconoscono per tale faglia un’attività nel periodo tardo Quaternario-Presente, durante il quale si sarebbero sviluppati apprezzabili rigetti (circa 85 m).

4) In parecchi settori dell’area considerata, un significativo sollevamento ha interessato sia le dorsali che le fosse durante il Quaternario (Bartolini et alii, 1983; Bossio et alii, 1996; Barberi et alii, 1994; Benvenuti e Papini, 1997; Coltorti et alii, 2007), cioè uno scenario deformativo che può essere difficilmente attribuito ad un regime puramente estensionale.

Considerando queste e altre maggiori evidenze, sembra essere necessario individuare interpretazioni più credibili. A questo riguardo, viene avanzata l’ipotesi che l’attività tettonica tardo quaternaria nell’area considerata sia stata determinata da un regime compressivo longitudinale. Come argomentato in precedenti lavori (Mantovani et alii, 2011, 2012a, Viti et alii, 2015b), questo regime è interpretato come effetto della spinta dell’Africa trasmessa dall’Arco Calabro e dalla fascia interna della catena appenninica meridionale e centrale (Mantovani et alii, 2009, 2015a,b; Viti et alii, 2006). Gli effetti di questa spinta sono stati molto probabilmente accentuati dalle peculiari proprietà meccaniche di un esteso corpo metamorfico, generalmente identificato come Provincia Magmatica Romana, che essendo prevalentemente costituito da materiale magmatico (Bianchi et alii, 2008), è caratterizzato da una elevata rigidità, sicuramente maggiore di quella delle strutture orogeniche circostanti. Per cui, è ragionevole pensare che questa struttura abbia favorito e tuttora favorisca un’efficiente trasmissione della spinta longitudinale che la parte interna (tirrenica) dell’Appennino centro-meridionale (Mantovani et alii, 2009, 2015a,b; Viti et alii, 2006, 2015b) esercita sulla Toscana tirrenica. La forma arcuata di molte dorsali potrebbe essere interpretta come effetto di questa spinta longitudinale.

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Fig. 2.6. Principali bacini e dorsali nella parte interna dell’Appennino settentrionale (Toscana centro-occidentale), evidenziati sulla Carta Geologica d’Italia (Compagnoni e Galluzzo, 2004). I circoletti indicano i principali terremoti avvenuti nel periodo 1000-2017 (Rovida et alii, 2016; ISIDe working group, 2016). Modificata da Viti et alii (2015b).

Per esempio, l’ipotesi che la dorsale Chianti-Rapolano-Cetona (Fig. 2.5) abbia subito un raccorciamento longitudinale, assorbito da sollevamenti e spostamenti laterali verso est, è consistente con le seguenti evidenze:

1) Sollevamenti di depositi pleistocenici sono stati riconosciuti nei segmenti delle dorsali e anche nei bacini adiacenti, come Elsa-Pesa, Siena, Radicofani e Valdarno superiore (Bartolini et alii, 1983; Bossio et alii, 1996; Barberi et alii, 1994; Benvenuti e Papini, 1997; Ghinassi et alii, 2004; Aldinucci et alii, 2007; Coltorti et alii, 2007; Boscato et alii, 2008). Questo fenomeno è stato riconosciuto anche nel margine più orientale del bacino di Firenze (Bartolini e Pranzini, 1981,1988; Bonini e Sani, 1993; Benvenuti e Papini, 1997; Briganti et alii, 2003; Coli e Rubellini, 2013).

2) Durante il tardo Pleistocene, il fiume Arno ha subito una drastica deviazione, passando da un percorso verso sud a quello attuale (Bartolini e Pranzini, 1981,1988; Costantini et alii, 1995; Fidolini et alii, 2013). Questo evento potrebbe essere un effetto dello spostamento laterale e sollevamento che la dorsale di Rapolano (Fig. 2.5) ha subito nella zona di interazione con la dorsale chianti, per assorbire il raccorciamento longitudinale. Questa ipotesi è compatibile con il meccanismo focale (trascorrenza sinistra) suggerito per il terremoto del 1558 (M=5.8) che ha attivato la faglia sinistra di Rapale in Val D’Ambra (Bianchi et alii, 2015).

3) Le dorsali Cetona e Rapolano sono tagliate da sistemi di faglie sinistre circa orientate SO-NE, come la Sentino e la Sarteano (Fig. 2.5), lungo le quali sono riconosciuti meccanismi di pull-apart 38

(Brogi, 2011b; Brogi et alii, 2010a,2012).

4) Alcuni sistemi di faglie transtensionali sinistre del Quaternario orientate NE-SO sono riconosciuti nei bacini Elsa-Pesa e Siena-Radicofani, localizzati lungo il bordo interno della dorsale Chianti-Rapolano-Cetona. Il lineamento di Poggibonsi separa il bacino Elsa-Pesa da quello di Siena (Bossio et alii, 2000-2002). Più a sud, la faglia sinistra dell’Arbia potrebbe rappresentare il prolungamento verso Ovest, attraverso il bacino di Siena, della faglia di Ambra (Brogi et alii, 2014).

5) La compressione longitudinale esercitata dalla dorsale di Rapolano, essendo principalmente applicata alla fascia orientale della dorsale del Chianti, potrebbe essere responsabile per la generazione delle faglie di disaccoppiamento longitudinali che bordano internamente quella dorsale, come, per esempio, la faglia di Montegrossi (Cornamusini et alii, 2012), orientata SSE-NNO (Fig. 2.5). Questa faglia potrebbe permettere uno scorrimento sinistro tra i settori orientale e occidentale della dorsale del Chianti.

6) Il fatto che i bacini del Valdarno superiore e della Val di Chiana (Fig. 2.6) siano quasi asismici (nonostante la loro vicinanza alle principali zone sismo genetiche dell’Appennino settentrionale) e che la maggior parte dell’attività sismica si sviluppi invece in una fascia relativamente stretta della Toscana più interna (bacini Elsa-Pesa-Siena-Radicofani ), può implicare che il piegamento verso est della dorsale Chianti-Rapolano-Cetona tende a creare un regime compressionale lungo il suo margine esterno (bacini Valdarno superiore e Val di Chiana) e un regime estensionale o transtensionale (più idoneo a generare attività sismica minore) lungo il margine interno della dorsale (bacini Elsa-Pesa-Siena-Radicofani).

7) La tendenza della dorsale del Chianti a spostarsi circa verso Nord, rispetto alle strutture laterali meno mobili (dorsale Albano e bacino di Firenze-Pistoia), viene favorito da un sistema di faglie orientate SO-NE, come le Antella, Maiano-Bagno a Ripoli e Scandicci-Castello (Bartolini e Pranzini, 1979; Benvenuti e Papini, 1997; Bonini e Sani, 1993; Boccaletti et alii, 2001; Briganti et alii, 2003), che sono probabilmente connesse con i terremoti storici più intensi (1148 I=VII, M=5.2; 1453 I=VIII, M=5.3; 1812 I=VII-VIII, M=5.4; 1895 I=VII, M=5.2; 1959 I=VII, M=5.0) che sono avvenuti nella zona di Firenze (Fig. 2.7).

8) Gli sciami sismici che sono avvenuti nelle zone Elsa-Pesa e Chianti ovest dal Dicembre 2014 al Gennaio 2015 possono essere associati al sistema di faglie orientate da SSE-NNO a S-N nel bacino Elsa-Pesa, che potrebbe costituire il prolungamento verso Nord delle faglie localizzate lungo il bordo occidentale della dorsale del Chianti (Fig. 2.5). Questa ipotesi è compatibile con i meccanismi focali di sei scosse superficiali (h=5-14 km) di magnitudo compresa tra 3 e 4, avvenute durante gli sciami sopra citati, che indicano coerentemente un meccanismo trascorrente, con gli assi P e T orientati NO-SE and NE-SO rispettivamente (dati presi da http://cnt.rm.ingv.it/tdmt.html).

L’assetto tettonico proposto nella zona di interazione tra la dorsale Chianti e il cuneo RMU implica che il sistema di faglie situate nel fiorentino e nella parte occidentale della dorsale Chianti e del bacino Elsa-Pesa favoriscono entrambe il disaccoppiamento tra la dorsale e le strutture meno mobili (dorsale Albano e bacino Pistoia-Firenze) che sono situate a Ovest di quella dorsale. Questo significa che l’attivazione sismica di tali sistemi di faglia può aumentare il carico tettonico (e quindi la probabilità di terremoti) nel Fiorentino. Questa connessione tettonica potrebbe spiegare perché le principali fasi sismiche nelle due zone mostrano una possibile correlazione temporale (Fig. 2.8), che vale in particolare per l’attività più intensa, avvenuta nell’ultima parte del 1800, ma che potrebbe anche riguardare altre fasi sismiche minori (1551-1554, 1600-1603, 1729-1737, 1768-1770, 1798- 1812, 1887-1914, 1929-33, 1959-65, 1968-1978). 39

Fig. 2.8. Andamenti temporali dell’attività sismica (N=numero di scosse con M>3) nella zona di Firenze (contorno blu nella mappa) e nelle zone del Chianti e Valdelsa-Val di Pesa evidenziate dal contorno verde (Postpischl, 1985; Castello et alii, 2006; ISIDe working group, 2016; Rovida et alii, 2016).

Alcune evidenze compatibili con gli effetti di un regime compressivo longitudinale sono state inoltre riconosciute nella parte occidentale della Toscana e nel Lazio settentrionale, come descritto di seguito: - Sollevamenti quaternari sono riconosciuti nella bassa Valtiberina (Basili e Bosi, 1996; Mancini et alii, 2003-2004), nell’Arco Metamorfico Toscano (Boschian et alii, 2006; Coltorti et alii, 2011), lungo la costa tirrenica del Lazio (Nisi et alii, 2003; De Rita et alii, 2004) e nei rilievi costieri della Toscana occidentale (Nisi et alii, 2003; Boschian et alii, 2006; Pandeli et alii, 2010). Localmente, i sollevamenti osservati potrebbero essere dovuti o solo accentuati dalla presenza di corpi magmatici sepolti (Barberi et alii, 1994; Acocella, 2000; Finetti, 2006). - Tra le Colline Metallifere e i monti di Livorno sono stati riconosciuti vari lineamenti, orientati da ONO-ESE a N-S (Cerrina Feroni et alii, 2010), la cui più recente attività è compatibile con meccanismi trascorrenti (Ciampalini et alii, 2011). Per esempio, la faglia di Guardistallo, orientata circa ONO-ESE (Fig. 2.5) mostra movimenti destri nel periodo tardo quaternario (Cerrina Feroni et alii, 2006). - Il sistema di faglie dell’ Amiata ha molto probabilmente controllato la messa in posto dei prodotti vulcanici del tardo Pleistocene (Brogi e Fabbrini, 2009; Brogi et alii, 2010b; Dini et alii, 2010). La recente attività di questo sistema di faglie transtensionali (tardo Quaternario) è suggerita dalla continua deposizione di travertini e tufi calcarei (Brogi e Fabbrini, 2009; Capezzuoli, 2013). L’orientazione di questi sistemi di faglie è compatibile con un regime compressionale longitudinale. - Nella Provincia Magmatica Romana, il ruolo delle faglie sinistre orientate NE-SO (Ceriti, Latera e Tolfa in figura 2.5) è stato messo in evidenza da Acocella e Funiciello (2006). Nella Toscana sudoccidentale, alcuni autori (Bonazzi et alii, 1992; Elter et alii, 2012) riconoscono lineamenti tettonici, come quelli Grosseto e Albegna, che interrompono la continuità delle dorsali preneogeniche. Significativi depositi di travertini, indicativi di attività quaternaria, sono stati riconosciuti nei pressi di tali lineamenti (Martelli et alii, 1989; Capezzuoli, 2013). - L’attività sismica nella Toscana occidentale (Fig. 2.6) non è trascurabile, sebbene poco frequente. Alcuni terremoti significativi (M≥5.5) si sono verificati nelle Colline Metallifere (1414) e nel bacino Tora-Fine (1846) presso Orciano Pisano. Numerose scosse con magnitudo compresa tra 4 e 5 sono documentati nell’ultimo millennio (Rovida et alii , 2016). 40

2D. Generazione delle principali sorgenti sismogenetiche nell’Appennino settentrionale come effetto del raccorciamento longitudinale quaternario

Per rendere più comprensibile l’interpretazione geodinamica proposta, specificando in modo più dettagliato come essa può avere portato all’attuale configurazione morfologica e tettonica, la figura 2.9 illustra una possibile evoluzione della zona in oggetto nel periodo Pliocene-Pleistocene. In particolare, in questo paragrafo si cerca di fornire spiegazioni plausibili e coerenti per le deformazioni osservate e le caratteristiche delle principali sorgenti sismogenetiche. Come suggerito in precedenza, la spinta longitudinale esercitata dal cuneo Molise-Sannio, è stata trasmessa all’Appennino settentrionale dal cuneo Lazio-Abruzzi (LA, Fig. 2.2). Però, le evidenze disponibili suggeriscono che la larghezza di quel cuneo indentatore si è progressivamente ridotta nel tempo. Nel Pliocene (Fig. 2.9a), non erano attivi sistemi di faglia longitudinali nella piattaforma carbonatica LA (Galadini, 1999), per cui la spinta dell’Appennino meridionale era trasmessa da una larga parte di tale piattaforma. In quella fase evolutiva, l’Appennino settentrionale era principalmente costituito da un sistema di dorsali e fosse parallele (Fig. 2.9a), che si era formato durante il tardo Miocene e il Pliocene inferiore medio (Ambrosetti et alii, 1979; Bartolini et alii, 1983; Martini e Sagri, 1993; Viti et alii, 2006; Mantovani et alii, 2009). Nel Pleistocene inferiore (Fig. 2.9b), l’attivazione del sistema di faglie Latina ha permesso ad un settore meno esteso della piattaforma LA di disaccoppiarsi dalla sua parte interna e di muoversi quindi più liberamente verso NNO. Dopo questo evento, l’indentazione del nuovo cuneo ha causato l’estrusione verso l’esterno e il piegamento orizzontale (oroclinale) delle principali dorsali nell’Appennino settentrionale (vedi figura 2.9A). Questo effetto è stato particolarmente intenso nelle strutture che erano situate a nord dell’indentatore LA (bordato dal fronte Olevano-Antrodoco, Sabini Mts. and Narni). La divergenza obliqua tra i cunei in estrusione e i settori più interni ha indotto deformazioni estensionali e transtensionali nella zona che è attualmente coperta dal corpo magmatico romano (Peccerillo, 2005). La plausibilità di questa ipotesi è sostenuta dal fatto che un tale meccanismo di transtensione obliqua, spesso accompagnato dalla formazione di bacini pull- apart, può produrre fratture subverticali nella crosta superiore, che agiscono come percorsi preferenziali per la risalita di materiale magmatico (Acocella et alii, 1999; Tamburelli et alii, 2000; Gudmundsson, 2001; Acocella e Funiciello, 2006).

Fig. 2.9. Ricostruzione dei principali elementi morfologici (dorsali e bacini) nell’Appennino settentrionale dal Pliocene (Modificata da Viti et alii, 2015b) A) Pliocene. Le linee rosse identificano le principali dorsali nell’Appennino settentrionale: AC=Alpe di Catenaia, ALU=Alpi della Luna, AP=Appennino pistoiese, AS=Alpe di Serra Alps, ASB= Alpe di San Benedetto, Ca-FE- SP=Catria-Fema-Spoleto, FR-SU-MA=Frontano-Subasio-Martani, FV-PE-NA-SB=Favalto- Peglia-Narni-Sabini, GM=Giovi-Morello, PRM=Pratomagno, SV-SI-TE=S.Vicino-Sibillini- Terminillo. Le linee blu indicano la dorsale Albano-Chianti-Rapolano-Cetona (ACRC). Le linee viola indicano l’arco metamorfico toscano (adottato come bordo interno della zona considerata): AA=Alpi Apuane, AMT=arco metamorfico toscano MA= Montalcino-Amiata, MP=Monte Pisano.,. Le zone azzurre identificano i principali bacini: Ch=Chiana, EP=Elsa-Pesa, Ga=Garfagnana, BVT=Bassa Valtiberina, Lu=Lunigiana, BV=Basso Valdarno, Ra=Radicofani, Si=Siena, AV=Alto Valdarno. LA=piattaforma carbonatica Lazio-Abruzzi, LAT= sistema di faglie Latina. B) Pleistocene inferiore-medio. CMR=Corpo magmatico romano. C) Pleistocene. Nuovi bacini: Ca=Casentino, Gu=Gubbio, Mu=Mugello, PF=Pistoia-Firenze, To=Topino, AVT=Alta Valtiberina . Segmenti della dorsale ACRC : AL=Albano, CE=Cetona, CH=Chianti, RAP= Rapolano. Fu-VR=sistema di faglie Fucino-Val Roveto. D) Presente. Aq=sistema di faglie aquilano, GS=Arco del Gran Sasso, LAG=Unità della Laga. Altri simboli e abbreviazioni come in figura 2.4. 41

Nel Pleistocene superiore (Fig. 2.9c), l’attivazione di faglie trascorrenti longitudinali nella piattaforma LA si è spostata più a est, interessando i sistemi Val Roveto e Fucino. Di conseguenza, la nuova configurazione dell’indentatore LA (ancora più ridotta) ha causato il piegamento e l’estrusione laterale di materiale orogenico nella parte esterna dell’Appennino settentrionale, coinvolgendo anche le dorsali esterne e settentrionali (Alpi della Luna ALU, Alpe di San Benedetto ASB, Pratomagno PRM, Alpe di Catenaia AC). In alcune zone, la divergenza tra dorsali adiacenti che stavano subendo deformazioni non parallele, ha prodotto la formazione di fosse transtensionali. Questo tipo di meccanismo avrebbe generato le fosse del Casentino e dell’Alta Valtiberina, come effetto del piegamento del settore appenninico Romagna-Umbria. In modo analogo, un meccanismo 42 oroclinale nel settore Toscana-Emilia (Fig. 2.9c) può avere generato le fosse Firenze-Pistoia e Mugello e accelerato lo sviluppo delle fosse Lunigiana e Garfagnana. Il fatto che questo meccanismo non abbia interessato il settore più occidentale della catena (Appennino Ligure), può essere dovuto alla mancanza di evaporiti triassiche (Formazione di Burano) alla base di quel segmento di catena (Ciarapica e Passeri, 2002, 2005; Bosellini, 2004), che non favorisce la mobilità di questo materiale orogenico.

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Si può notare che tutte le dorsali maggiori coinvolte in piegamenti oroclinali hanno subito una completa erosione delle Unità Liguri che erano state impilate alla loro sommità per sovrascorrimento tettonico (Ghisetti e Vezzani, 1999). A conferma di questo, si può notare che il complesso delle Unità Liguri si è conservato solo nei settori non implicati in deformazioni plio- quaternarie significative, come l’Appennino ligure ed emiliano (Marroni et alii, 2001; Molli, 2008). Questa evidenza è consistente con l’interpretazione qui proposta, poiché il piegamento delle dorsali è accompagnato da significativo sollevamento (Cerrina Feroni et alii, 2001; Balestrieri et alii, 2003; Boccaletti et alii, 2010). La presenza, abbastanza peculiare, di Unità Liguri sulla dorsale minore Morello-Giovi può essere dovuta al fatto che quel settore, essendo localizzato lungo il margine interno di un oroclino (dorsale Pratomagno-Alpe di S.Benedetto), non ha subito significativo sollevamento e conseguente erosione. Lo schema di figura 2.9c suggerisce anche che dal Pleistocene medio-superiore la dorsale Cetona-Rapolano-Chianti ha subito un significativo raccorciamento longitudinale, che è stato prevalentemente assorbito da sollevamento e spostamento laterale. In particolare, lo spostamento laterale sinistro e il sollevamento della dorsale Rapolano nella zona di interazione con la dorsale Chianti (sistema di faglie di Ambra, Fig. 2.5), può avere generato il rilievo che è ora situato tra i bacini Valdarno superiore e Chiana. L’interazione compressiva tra la dorsale Chianti e la parte settentrionale del cuneo RMU può avere accentuato il rilievo che ora separa il bacino Pistoia- Firenze dal bacino del Valdarno Superiore. Durante l’ultima fase evolutiva (Fig. 2.9d), l’arco del Gran Sasso si è sviluppato come effetto della spinta longitudinale del cuneo Molise-Sannio. Nella parte interna dell’arco è stato indotto un regime estensionale/transtensionale, che ha generato la fossa e il sistema di faglie transtensive dell’aquilano. Dal tardo Pleistocene, il disaccoppiamento tra il settore orientale e quello occidentale della piattaforma LA ha continuato a svilupparsi nella faglia del Fucino, ma l’attività più intensa si è spostata nel sistema di faglie dell’Aquilano (Fig. 2.9d). Quest’ultimo disaccoppiamento, e la conseguente accelerazione dell’arco del Gran Sasso, ha indotto sforzi di taglio nel cuneo RMU, provocando la formazione di un nuovo sistema di faglie (Norcia-Colfiorito-Gualdo Tadino- Gubbio), che è stato sorgente di numerosi forti terremoti (Rovida et alii, 2016). In alcuni casi, questo disaccoppiamento si è esteso verso nord, attraverso i sistemi di faglia dell’Alta Valtiberina e della zona Romagna-Forli (Mantovani et alii, 2009, 2015a; Viti et alii, 2015a, b), che permettono il completo disaccoppiamento della parte meridionale del cuneo RMU dal suo settore più settentrionale. La spinta longitudinale esercitata dal cuneo RMU produce raccorciamenti sul settore esterno padano dell’Appennino emiliano. Un possibile effetto di questo processo è riconoscibile nel fronte del Sillaro (Fig.2.9d), dove le Unità torbiditiche Umbria-Marche, che affiorano nell’Appennino romagnolo, sottoscorrono l’Appennino emiliano, alla cui sommità sopravvivono le Unità Liguri (Boccaletti et alii, 2010). Un’altra importante conseguenza del raccorciamento longitudinale nell’Appennino emiliano è rappresentata dall’estrusione circa verso NNO del cuneo di Piacenza (Fig. 2.9d). Il disaccoppiamento tra questo cuneo e l’Appennino ligure è assorbito da movimento tranpressivo lungo il sistema di faglie Bedonia-Varzi e dal moto divergente circa N-S lungo la zona Villarvernia- Varzi (VV), entrambe caratterizzate da attività sismica. (e.g., Ambrosetti et alii, 1987; Meisina e Piccio, 2003; Panini et alii, 2004; Elter et alii, 2012). La cinematica qui proposta per il cuneo di Piacenza è compatibile con la forma delle pieghe Emiliane (Mantelli e Vercesi, 2000; Toscani et alii, 2006; Benedetti et alii, 2003), presumibilmente formate dall’indentazione circa verso nord di questo indentatore. Il disaccoppiamento del cuneo di Piacenza dal settore orientale dell’appennino emiliano potrebbe essere assorbito dalle deformazioni transpressive, riconosciute nel sistema di faglie Enza-Taro in base a varie evidenze tettoniche (Elter et alii, 2012; Bernini e Papani, 1987; Boccaletti e Martelli, 2004). La faglia Enza-Taro potrebbe essere l’espressione superficiale di una discontinuità profonda (Giudicarie) del dominio adriatico sottostante (Mantovani et alii, 2012a; Vannoli et alii, 2014; Viti et alii, 2016). Alcune possibili 44 connessioni tra le implicazioni tettoniche del contesto sopra citato e la distribuzione spazio- temporale dei maggiori terremoti sono discusse da Mantovani et alii (2013).

2E. Cinematica attuale della catena appenninica da dati GPS

Le osservazioni geodetiche ottenute da numerose reti di stazioni GPS permanenti sul territorio italiano sono state utilizzate per determinare il quadro cinematico attuale nella catena appenninica (Cenni et alii, 2012, 2013). In particolare, sono stati analizzati i dati acquisiti da 450 stazioni dal 1 Gennaio 2001 al giugno 2017, utilizzando la procedura descritta nel lavoro sopra citato. Il campo di velocità orizzontali così ottenuto (Fig. 2.10), rispetto ad un riferimento fisso eurasiatico (Altamimi et alii, 2012), conferma le principali caratteristiche del quadro cinematico dedotto da evidenze geologiche quaternarie (Fig. 2.2), in particolare il fatto che la fascia esterna (adriatica ) della catena appenninica si muove più velocemente, e con una maggiore componente verso est, rispetto alla parte interna (tirrenica) della catena.

Fig. 2.10. Velocità orizzontali (vettori neri) dei siti GPS rispetto a un riferimento eurasiatico fisso (polo euleriano= Lat 54.23°N, Long 98.83°O, velocità angolare = 0.257°/Milioni di anni, Altamimi et alii, 2012). Il colore alla base dei vettori indica la velocità, in accordo con la scala cromatica riportata in alto nella figura. 45

La densità elevata di siti GPS nell’Appennino centrale e settentrionale permette di definire in modo abbastanza dettagliato i domini caratterizzati da un campo cinematico discretamente omogeneo (Fig. 2.11). Le velocità più elevate (3-5 mm/anno), prevalentemente orientate SO-NE, sono osservate nella parte esterna della catena, comprendente le zone che sovrastano le pieghe sepolte adriatiche e ferraresi (Fig. 2.4), che è confinata dalla linea blu (a Nord) e verde (a SudOvest). Nella fascia più interna (tirrenica) della catena, delimitata dalla linea viola, i vettori sono prevalentemente orientati da NO a Nord, con velocità più basse di 1.5 mm/a. Il dominio intermedio, compreso tra la linea viola e quella verde in figura 2.11, è caratterizzato da velocità più basse (2 ≤v< 3 mm/a) di quelle osservate nella fascia più esterna, e da un’orientazione prevalente circa Nord-Sud nella parte meridionale e circa NE-SO nella parte settentrionale. Nell’Appennino centrale, la transizione tra velocità basse ed elevate è piuttosto rapido e approssimativamente corrisponde ai sistemi di faglia del Fucino e della Val Roveto.

Fig. 2.11. Le linee colorate indicano i presunti confini tra i vari domini cinematici, descritti nel testo.

Per capire le implicazioni tettoniche del campo di velocità mostrato in figura 2.11, è importante considerare che esso si riferisce a un periodo molto breve, di circa 15 anni e che quindi può essere influenzato da fenomeni transienti, come per esempio il rilassamento post sismico indotto dalla sismicità recente nella catena appenninica (e.g., Viti et alii , 2012,2013). A questo riguardo, si potrebbero prendere in considerazione i terremoti più intensi che si sono verificati nella catena appenninica dal 1930 (Fig. 2.12), cioè il periodo che ha seguito una lunga fase di migrazione dell’attività sismica dall’Appennino meridionale a quello settentrionale (Mantovani et alii, 2011, 2012a, 2013; 2015a,b, 2016a,b, 2017; Viti et alii, 2012a,b, 2013, 2015a). In questo periodo, 46 l’andamento della sismicità mostra una progressiva migrazione delle scosse da Sud a Nord lungo la catena (Fig. 2.12), abbastanza simile a quella che si è sviluppata in fasi precedenti. Soprattutto, vale la pena di notare che nel caso considerato la sismicità è stata molto marcata nell’ Appennino meridionale e centrale, mentre un’attività molto più ridotta si è verificata nelle regioni periadriatiche settentrionali (Appennino settentrionale, Alpi orientali e Dinaridi settentrionali). Per esempio, questa distribuzione di disaccoppiamenti sismici potrebbe spiegare perché le zone adriatiche meridionali, essendo attualmente più svincolate, si muovono più velocemente (v=4-5 mm/a) di quelle settentrionali (v <2-3 mm/a), come indicato in figura 2.10.

Fig. 2.12. Distribuzione dei terremoti principali che sono avvenuti nella catena appenninica dopo il 1930. I numeri all’interno dei circoli indicano le ultime due cifre dell’anno di occorrenza (Rovida et alii, 2016; ISIDe working group, 2016).

2F. Possibile uso delle carte sismotettoniche come fonte di informazione per la microzonazione sismica

Il gruppo di ricerca di Siena ha dedicato un grosso impegno (durato molte decine di anni) a cercare di capire i processi tettonici che stanno controllando le deformazioni in corso e la relativa attività sismica. Come discusso in precedenza, i risultati di questi studi, riportati in numerose pubblicazioni e sintetizzati nei paragrafi precedenti, sono stati sfruttati per definire la pericolosità sismica nelle quattro regioni qui considerate. In questo paragrafo, vengono fatte alcune considerazioni su come le informazioni sopra citate possono essere utilizzate per agevolare un altro aspetto molto importante della strategia di prevenzione, generalmente identificato come microzonazione sismica (MS). Come noto, queste indagini mirano a definire le condizioni del sottosuolo che possono influenzare gli effetti di uno scuotimento sismico. Il primario obiettivo riguarda la definizione dettagliata dell’assetto stratigrafico e strutturale nella zona considerata, al fine di valutare possibili amplificazioni del segnale sismico rispetto ad un sottosuolo rigido di 47 riferimento. Un secondo obiettivo, che riguarda in particolare il problema qui trattato, è quello di riconoscere la presenza di eventuali faglie attive nella zona in oggetto. Siccome questa informazione può pesantemente influenzare i criteri costruttivi da adottare nell’area implicata, è evidente che qualsiasi possibilità di ottenere tale conoscenza va accuratamente sfruttata. Comunque, è opportuno rendersi conto che questo tentativo deve tenere conto di numerose difficoltà, che si possono principalmente dedurre dalle linee guida nazionali (Gruppo di lavoro MS, 2008), che regolano il riconoscimento di faglie attive (dette capaci se intersecano la superficie terrestre). Questo è previsto in forma semplificata nella microzonazione di primo livello ed in modo approfondito in quella di terzo livello. In ogni caso, va precisato che i lineamenti in oggetto richiedono una cartografia a grande scala (1:5000), molto superiore alla scala della carta sismotettonica regionale (1:250 000). Le suddette linee guida richiedono inoltre la verifica delle indicazioni proposte sui lineamenti tettonici: La definizione dell’attività di una faglia attiva e capace deve scaturire da una serie di studi di dettaglio eseguiti da esperti del settore e, solo dopo una validazione tecnico-scientifica, questi studi possono essere messi a disposizione di coloro che si occupano della MS. Si raccomanda quindi che, per il livello 1, nella Carta delle microzone omogenee in prospettiva sismica si riportino solo le faglie identificate da studi validati da esperti del settore (Gruppo di lavoro MS, 2008). Per esempio, le indicazioni sopra esposte possono comportare problemi nei casi in cui la natura dei sistemi di faglie osservati è ancora oggetto di dibattito (si veda per esempio Brogi, 2011b, Bonini et alii, 2014 e Martelli et alii, 2017 per la Toscana meridionale). Il ruolo delle faglie attive e capaci nella MS è stato precisato da ulteriori linee guida dedicate a questo argomento (CTMZ, 2015). Le indicazioni riportate suggeriscono di definire, attorno alla presunta faglia attiva, una zona di rispetto larga sino a 400 metri, al cui interno sono previsti interventi di pianificazione urbanistica che vanno da interventi di adeguamento sismico sino al divieto di edificazione. La definizione delle faglie attive è dunque un compito assai delicato per le possibili ricadute economiche e sociali e dovrebbe quindi essere basato su un’ampia e completa conoscenza. A tale proposito, uno dei problemi cruciali è la valutazione dell'attività della faglia. Secondo le linee guida sopra ricordate una faglia si può definire attiva se ha subito almeno uno slittamento cosismico negli ultimi 40 000 anni (Gruppo di lavoro MS, 2008 e CTMZ, 2015). Tale intervallo temporale, per quanto ampio, è assai più ristretto della generica "attività quaternaria" spesso riportata in letteratura. Basti pensare che per la International Commission for Stratigraphy (www.stratigraphy.org) il Pleistocene superiore copre gli ultimi 126.000 anni, mentre il Pleistocene medio si estende sino a 781.000 anni fa. Pertanto, il fatto che la faglia considerata dislochi depositi quaternari non garantisce che essa possa essere considerata attiva strictu sensu, in assenza di precise datazioni. Infatti, le citate linee guida prevedono che una presunta faglia attiva debba essere indagata con una serie di lunghe e profonde trincee paleosismologiche, con datazione radiometrica (preferibilmente al carbonio 14) dei reperti prossimi ai rigetti identificati. Un'altro aspetto spesso sottovalutato da chi opera nel rilevamento dei lineamenti neotettonici riguarda la distinzione tra slittamenti cosismici ed asismici delle faglie capaci, cioè delle fratture affioranti. E' evidente che dal punto di vista della microzonazione e della prevenzione sismica tale discriminazione è assai importante, in quanto il movimento di una faglia asismica interessa solo gli eventuali manufatti costruiti nelle immediate vicinanze della traccia della faglia. Come messo in evidenza dall'Agenzia internazionale per l'energia nucleare (IAEA, 2015), il problema è importante e complesso: Una sicura discriminazione tra il carattere asismico e cosismico di una fagliazione è spesso molto difficile. Infatti, dimostrare che una faglia sta scorrendo in modo asismico è molto complicato a scala macroscopica. A questo riguardo, i paleosismologi dovrebbero tenere conto che i rigetti rilevati su faglie possono essere dovuti, almeno parzialmente, a scorrimenti asismici [IAEA, 2015]. 48

A livello globale, sono state individuate numerose faglie asismiche, anche di dimensioni considerevoli, come descritto nella recente rassegna di Harris (2017). Tra i casi più noti, si può ricordare la faglia di Hayward in California (e.g., Sloan et alii, 2006) ed il segmento di Ismetpasa della faglia nord-anatolica in Turchia (e.g., Bilham et alii, 2016). Per la regione italiana, la documentazione è invece assai scarsa, con pochi dati disponibili (Harris, 2017). L’associazione tra slittamenti superficiali e terremoti è certa solo nel caso di fratture attivate da scosse forti, come nel caso della faglia del Monte Vettore durante la recente crisi sismica nell’Appennino umbro-marchigiano (e.g., De Guidi et alii, 2017) Negli altri casi, la natura cosismica dei rigetti è ipotetica e deve essere dimostrata. Inoltre, la discriminazione tra slittamenti cosismici ed asismici è sorprendentemente difficile, come discusso nel dettaglio da Cowan (1999) e Rowe e Griffith (2015). In particolare, i tradizionali indicatori cinematici macroscopici, basati su anomalie morfologiche, rigetti stratigrafici e striature del piano di faglia, possono essere inaffidabili o addirittura fuorvianti (Cowan, 1999; IAEA, 2015; Rowe e Griffith, 2015). La suddetta discriminazione dovrebbe invece basarsi su elaborate analisi microscopiche mineralogiche e petrografiche, con le tecniche descritte in Rowe e Griffith (2015). Inoltre, sarebbe opportuno tenere conto delle limitazioni che possono rendere poco affidabili gli elenchi e le carte di faglie attive disponibili in letteratura. Tali documenti sono basati su informazioni prevalentemente acquisite mediante il rilevamento di dettaglio degli indicatori geomorfologici e geologico-strutturali e completate con le analisi paleosismologiche e relative datazioni radiometriche, presupponendo che il lineamento considerato intersechi la superficie terrestre, seppur in modo frammentario. Però, è noto che l’ipocentro delle sorgenti sismiche poste nella crosta continentale è spesso collocato a 10-20 km di profondità, almeno per quanto riguarda i terremoti principali (M≥5). Per cui, il legame tra la zona di nucleazione dei terremoti e le eventuali fratture superficiali prodotte nel corso degli eventi sismici è spesso poco definito. Inoltre, una frazione significativa dell’insieme delle faglie attive è costituita dalle faglie sepolte, che hanno espressioni superficiali poco o per nulla riconoscibili, come per esempio sottolineato da Bullard e Lettis (1993). Un esempio recente di questo problema è stato messo in evidenza dai terremoti emiliani del Maggio 2012, per i quali non è stato possibile individuare precise geometrie di faglia, nonostante le numerose e varie tecniche di indagine utilizzate (Pizzi e Scisciani, 2012). Il rischio associato alle faglie sepolte è aumentato dal fatto che esse presentano una diversa dinamica della frattura rispetto alle faglie superficiali. Per queste ultime si ha infatti una maggiore dissipazione dell’energia sismica, a causa della fratturazione degli strati superficiali. Nel caso delle faglie sepolte, invece, la minore dissipazione energetica si traduce in una maggiore ampiezza delle onde sismiche e quindi dello scuotimento del terreno, a parità di magnitudo del terremoto. Ciò è stato ripetutamente osservato dalle registrazioni accelerometriche ed interpretato attraverso modelli numerici della sorgente sismica (e.g., Somerville e Pitarka, 2006; Pitarka et alii, 2009). Pertanto, il fatto di concentrare l’attenzione sulle faglie attive affioranti, può rendere l’analisi incompleta e non rappresentativa dei lineamenti sepolti, capaci di produrre danneggiamenti significativi in caso di attivazione sismica (e.g., Somerville et alii, 2006). Infine, è opportuno ricordare che un sistema di faglie ben sviluppato può generare sia scosse minori che eventi distruttivi. Le possibilità che un iniziale limitato slittamento evolva in un terremoto di elevata magnitudo, piuttosto che in uno sciame sismico, dipende dalla distribuzione delle irregolarità geometriche e delle proprietà meccaniche (come p.e. l’attrito) lungo la superficie di frattura (Steacy and Mc Closkey, 1998; Wesnousky, 2006, 2008). D’altra parte il rilevamento geologico strutturale fornisce informazioni sulla parte più superficiale del sistema, mentre le caratteristiche geometriche e meccaniche delle zone di faglia prossime all’ipocentro sono poco conosciute o molto spesso ignote. Pertanto, la conoscenza dei lineamenti tettonici superficiali non garantisce da sola una valutazione realistica dell’effettiva potenzialità sismica delle fratture. Per concludere, può essere utile fare alcune considerazioni su quali (limitati) benefici potrebbero derivare da una conoscenza approfondita del quadro tettonico per il riconoscimento di 49 elementi tettonici locali, faglie in particolare, che possono influenzare le operazioni di microzonazione nelle zone considerate. Per esempio, ci sono situazioni in cui è difficile discriminare, solo sulla base di studi geologici locali, tra varie ipotesi che sono state avanzate sulle caratteristiche dei sistemi di faglie e sul loro ruolo sismogenetico. Quindi, conoscere quale regime di sforzi agisce in quella zona può essere molto utile per superare alcune ambiguità. In ogni caso, va sottolineato che una conoscenza realistica dei processi tettonici in atto può agevolare in molti modi la definizione della potenzialità sismogenetica di una zona. 50

3. Zone sismiche dell’Appennino settentrionale più esposte alle prossime scosse forti (M>5.5).

3A. Principali terremoti e sequenze sismiche nelle zone periadriatiche

In alcuni lavori (Mantovani et alii., 2012a,b, 2013, 2015a,b, 2016a; Viti et alii, 2015a) è stato suggerito che la distribuzione dei terremoti forti nelle zone peri-adriatiche può essere interpretata come effetto del progressivo spostamento circa verso nord della placca adriatica (Adria) rispetto alle strutture orogeniche circostanti (Fig. 2.1). Ogni scossa forte consente il disaccoppiamento della parte di placca adiacente alla faglia, che subisce quindi un’accelerazione, la quale gradatamente si diffonde nelle zone circostanti. Questo fa progressivamente aumentare il carico tettonico (sforzi e deformazioni) nei bordi ancora bloccati della placca, dove aumenta di conseguenza la probabilità di scosse. Il ripetersi di questo tipo di situazione e la conseguente migrazione di sismicità lungo i settori periadriatici rende possibile l’avanzamento di tutta la placca adriatica circa verso nord. A sostegno di questa interpretazione, è possibile fare alcune considerazioni sulla distribuzione dei principali terremoti avvenuti dopo il 1300 nei settori periadriatici (Tab 3.1). La geometria delle zone considerate è mostrata in figura 3.1. Nella tabella si può notare che in ogni zona la sismicità è caratterizzata da fasi di intensa attività (generalmente brevi), separate da lunghe fasi di quiescenza o attività minore. Le fasi sismiche mostrano una chiara tendenza a posizionarsi sempre più avanti nel tempo con il progressivo avvicinarsi della zona implicata al fronte settentrionale della placca adriatica. Per rendere più facilmente riconoscibile questa tendenza, in tabella 3.1 le principali fasi sismiche sono cerchiate in rosso e le presunte sequenze migratorie sono evidenziate da frecce rosse.

Fig. 3.1. Geometria delle zone periadriatiche citate in Tabella 3.1. Simboli tettonici come in figura 2.2.

Tab. 3.1. Lista dei principali terremoti (M ≥ 5.5, Rovida et alii, 2016; ISIDe working group, 2016 ) avvenuti dal 1300 A.C. nelle zone periadriatiche delineate in figura 3.1. Ogni terremoto è indicato dall’anno di occorrenza e dalla magnitudo. Per rendere la tabella più leggibile, la soglia di magnitudo nelle Dinaridi centro meridionali è aumentata a 6, mentre nelle tre colonne bordate in rosso la soglia è abbassata a 5, per meglio riconoscere le principali attivazioni dei sistemi di faglia considerati (vedi testo). I circoli rossi e le frecce aiutano a riconoscere le crisi sismiche che possono essere coinvolte nelle sequenze migratorie periadriatiche (numerate da 1 a 6 lungo il margine sinistro della tabella). 51

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La prima sequenza (solo parzialmente riconoscibile) potrebbe essere partita nelle zone periadriatiche meridionali verso la metà del secolo XIV ed essersi poi sviluppata nell’Appennino centro settentrionale e Dinaridi centro settentrionali, fino a coinvolgere il fronte alpino attorno all’inizio del secolo XV. La seconda sequenza sembra essere stata innescata da terremoti forti nelle Dinaridi meridionali attorno alla metà del secolo XV ed è poi proseguita con forti scosse nell’Appennino meridionale e centrale nel decennio seguente il 1456. La migrazione ha poi coinvolto l’Appennino settentrionale nel periodo 1470-1505 e ha infine raggiunto le Dinaridi settentrionali e le Alpi orientali negli anni successivi. La terza sequenza è cominciata nei primi decenni del secolo XVII, con forti terremoti nelle Dinaridi meridionali e nell’Appennino centro-meridionale. I vari bordi del cuneo RMU si sono poi attivati nel periodo 1670-1700, mentre il fronte nord nelle Alpi è stato raggiunto attorno alla fine dello stesso secolo. La quarta sequenza è stata innescata da un fortissimo terremoto nelle Dinaridi meridionali (1667, M>7) e da forti scosse successive nell’Appennino meridionale (1688, 1694 e 1702) e centrale (1703). Molte scosse hanno poi coinvolto la parte meridionale del cuneo RMU nella prima metà del secolo XVIII. L’attivazione del cuneo RMU settentrionale (colonne evidenziate in rosso) si è sviluppata nel periodo 1770-1790. Il fronte nord di Adria (Alpi e Dinaridi settentrionali) è stato infine raggiunto nell’ultimo decennio dello stesso secolo. La quinta sequenza è stata innescata nella prima parte del secolo XIX da una lunga fase sismica nelle Dinaridi meridionali e nell’Appennino meridionale. L’attività nell’Appennino centrale è stata piuttosto scarsa. Poi, nei decenni successivi, si è attivata la parte meridionale cuneo RMU, ma il coinvolgimento della parte settentrionale di questo cuneo ha richiesto alcuni decenni, per svilupparsi poi nel periodo 1861-1875. Infine nell’ultima parte del secolo la sismicità ha raggiunto le Dinaridi settentrionali e il fronte alpino. La sesta e ultima sequenza è cominciata all’inizio del secolo XX, con alcune scosse nelle Dinaridi meridionali e Appennino meridionale e si è poi propagata verso nord con un terremoto molto forte nell’Appennino centrale (1915 M=7.1), seguito da una fitta scarica di scosse intense nell’Appennino settentrionale nel periodo 1916-1930. Il fronte nord di Adria è stato infine coinvolto nel periodo 1928-1936. Nel periodo che ha seguito la sesta e ultima sequenza ci sono stati vari tentativi di innescare nuove sequenze sismiche (Tab. 3.1), con terremoti forti nei settori periadriatici meridionali. Il primo, cominciato nel decennio 1920-1930 con scosse forti nelle Dinaridi meridionali e Appennino meridionale, può avere accentuato gli sforzi nelle zone sismiche dell’Appennino centrale, dove sono poi avvenute 3 scosse forti (1933, M=6.1; 1943, M= 5.7; 1950, M=5.7) nella zona del Gran Sasso e nei Monti della Laga. Queste attivazioni sismiche hanno sicuramente accentuato gli sforzi nelle zone sismiche più settentrionali, ma evidentemente questo non è stato sufficiente per far scattare scorrimenti sismici in quelle zone (Tab. 3.1). Poi, ci sono stati altri tentativi di innesco nelle zone periadriatiche meridionali, sia lungo il lato dinarico che quello appenninico, che hanno nuovamente accentuato gli sforzi nelle zone situate più a nord nella catena. In questi casi, gli effetti sismici delle perturbazioni indotte hanno raggiunto non solo l’Appennino centrale (1972, 1984, 2009, 2016), ma anche la prima parte di quello settentrionale (1979, 1984, 1997, 2016), attivando il sistema di faglie che si sviluppa dall’Aquilano a Gubbio (passando da Norcia e Colfiorito), che corrisponde al bordo interno meridionale del cuneo RMU (Fig. 3.2).

3B. Settore più mobile dell’Appennino settentrionale e implicazioni sulla pericolosità sismica attuale

Le evidenze sulla distribuzione della sismicità discusse in precedenza, integrate dalle conoscenze attualmente disponibili sull’assetto tettonico della catena, suggeriscono che il cuneo RMU sta subendo un’accelerazione circa verso nord, come soprattutto indicato dalle ripetute 53 attivazioni sismiche del suo bordo interno (1979, 1984, 1997, 2016, 2017). Quindi, è ragionevole supporre che attualmente le zone sismiche dove esiste la maggiore concentrazione di sforzi e, di conseguenza, la più alta probabilità di terremoti, corrispondano ai bordi settentrionali, ancora bloccati, del cuneo RMU (Alta Valtiberina, fronte Ancona-Rimini, e sistema di faglie Appennino Romagnolo-Forlìvese), cioè le tre zone che sono evidenziate in rosso nella tabella 3.1 (Mantovani et alii, 2017). Questa ipotesi è suggerita dal fatto che l’attivazione sismica di queste tre zone (con la conseguente accelerazione del cuneo mobile) consentirebbe uno scaricamento, almeno parziale, delle deformazioni che il cuneo RMU ha accumulato nei decenni passati, sotto la spinta esercitata dalle strutture appenniniche meridionali e centrali.

Fig. 3.2. Il colore giallo evidenzia la parte di catena che si muove più velocemente rispetto alle strutture circostanti. Le linee rosse indicano i principali sistemi di faglia la cui attivazione sismica permette il movimento del cuneo.. Le tre zone labellate corrispondono ai bordi settentrionali della parte mobile, che sono evidenziati in rosso nella tabella 3.1. Le sigle si riferiscono ai sistemi di faglia che si sviluppano lungo il bordo interno meridionale del cuneo (Aq=Aquilano, No=Norcia, Cf=Colfiorito, Gu=Gubbio). Il fonte compressivo del Sillaro identifica la zona dove il cuneo RMU sottoscorre il cuneo TE. Modificata da Mantovani et alii (2017).

Ovviamente, prevedere quando tali attivazioni sismiche potranno verificarsi è molto difficile. Per tentare di ottenere informazioni su questo problema, si potrebbe considerare un aspetto piuttosto peculiare della distribuzione di terremoti lungo i bordi settentrionali del cuneo mobile (Alta Valtiberina, Appennino romagnolo-Forlivese, fronte Rimini-Ancona), evidenziato in figura 3.2. Questo aspetto, rilevabile nella tabella 3.1, è costituito dal fatto che le tre zone sopra citate mostrano una tendenza abbastanza sistematica ad attivarsi sismicamente entro tempi relativamente brevi (10- 20 anni) l’una dall’altra. Siccome questa correlazione temporale sembra essersi verificata almeno 6 volte nel periodo considerato (negli intervalli 1383-1393, 1472-1489, 1661-1694, 1768-1789, 1861- 1875, 1916-1918), si potrebbe supporre che questa regolarità continuerà nel tempo, delineando quindi un possibile strumento di previsione sullo sviluppo temporale della pericolosità sismica nelle tre zone implicate. Per esempio, se una di tali zone si attivasse con una scossa forte (M>5.5), si potrebbe ritenere che da quel momento la pericolosità sismica nelle altre due zone subirebbe un aumento apprezzabile. La significatività della regolarità in oggetto è sottolineata dal fatto che le fasi 54 sismiche (relativamente brevi) nelle tre zone sono state separate da periodi molto più lunghi (da parecchie decadi a più di cento anni) di scarsa attività o addirittura di assenza di scosse con M> 5. Può anche essere utile considerare che l’attuale quiescenza del fenomeno sopra citato è di circa 100 anni (Tab. 3.1) e che tale sequenza è la più lunga finora avvenuta, se si esclude il caso, abbastanza remoto, in cui due attivazioni successive (1472-1489 e 1661-1694) delle tre zone implicate sono state separate da quasi 200 anni. L’ipotesi che esista una connessione tra le attivazioni sismiche delle zone centro appenniniche e quelle dell’Appennino settentrionale è sostenuta dalle peculiari distribuzioni di scosse forti durante le principali crisi sismiche del passato, come discusso da Mantovani et alii (2012a,b 2013, 2014a, 2015a,b, 2016a,b, 2017) e Viti et alii (2015a). In particolare, per la sequenza sismica che si è sviluppata nel periodo 1915-1920 nell’Appennino centro settentrionale è stato dimostrato, con esperimenti numerici, che la distribuzione spazio-temporale delle scosse è compatibile con gli effetti del rilassamento post-sismico indotto dall’intera sequenza sismica (Mantovani et alii, 2010, Viti et alii, 2012b, 2013). In quel caso, sicuramente eccezionale, la rapidità con cui le deformazioni e la sismicità così indotta si sono propagate in tutto l’Appennino settentrionale è ragionevolmente imputabile al fatto che la violentissima scossa scatenante (Fucino, 1915, M=7.1) ha innescato una notevole accelerazione del cuneo LA (Fig. 2.2), e di conseguenza del cuneo RMU, provocando un notevole aumento degli sforzi lungo tutti i suoi bordi. Questa rapidità di propagazione ha evidentemente accentuato il comportamento fragile delle rocce, come evidenziato dalla repentina attivazione sismica di una larga parte delle zone di debolezza in questo settore appenninico. Nella situazione attuale e nel periodo precedente (post 1930), la sismicità nell’Appennino centrale non è mai stata caratterizzata da una concentrazione temporale di scosse ed elevata intensità paragonabili a quelle del periodo 1915-20. Per cui, in tale periodo le rocce dell’Appennino settentrionale hanno avuto la possibilità di deformarsi in modo più lento, e quindi meno rigido, di quello che si è sviluppato dopo la scossa del 1915 nel Fucino. Questo potrebbe spiegare perché negli ultimi decenni la migrazione di sismicità nell’Appennino settentrionale è stata relativamente lenta e poco sviluppata rispetto ai periodi precedenti. L’unica crisi sismica che è stata caratterizzata da scosse di magnitudo abbastanza elevata è quella che ha colpito la zona di Norcia nel 2016 (M=6.5, 5.9). Questo evento potrebbe quindi avere innescato una perturbazione più pericolosa per le zone sismogenetiche che circondano la parte settentrionale del cuneo RMU (Viti et alii, 2012b, 2013). E’ opportuno considerare che nel periodo sopra citato la spinta esercitata dal cuneo RMU su quello TE ha molto probabilmente incrementato gli sforzi nelle zone più deboli e ancora bloccate che circondano quest’ultimo settore, comprendente anche le sue propaggini sepolte sotto la Valpadana. Per esempio, gli effetti di questa situazione potrebbero essere responsabili per le scosse che hanno attivato nel 2012 (M= 6.1, 5.9) alcuni fronti di sovrascorrimento sotto la pianura emiliana, e potrebbero produrre altri eventi di questo tipo. Però, come detto in precedenza, prevedere quando gli eventi sopra discussi potrebbero verificarsi è molto difficile. Comunque, dal punto di vista pratico, le indicazioni fornite in questa pubblicazione potrebbero essere utilizzate per scegliere le zone dove la probabilità di scosse è più elevata. Per esempio, per quanto concerne la Regione Toscana (RT) le considerazioni sopra riportate suggerirebbero che tra le principali zone sismiche di questa regione (Garfagnana, Lunigiana, Mugello e Alta Valtiberina) la pericolosità più elevata sia attualmente presente nell’ultima di tali zone. Questo tentativo di previsione, già segnalato al Servizio Sismica della RT negli anni passati (Mantovani et alii, 2012a, 2013), è stato utilizzato per gestire le risorse dedicate alla prevenzione sismica in Toscana. Per quanto riguarda l’Emilia Romagna, le considerazioni qui riportate suggerirebbero di dedicare particolare attenzione agli interventi di prevenzione sismica nelle zone della Riviera Romagnola, dell’Appennino Romagnolo e del Forlivese, dove la storia sismica testimonia che l’intensità delle scosse può raggiungere livelli elevati. Un valore significativo di pericolosità potrebbe essere anche attribuito alle zone del bolognese e del modenese e alle falde appenniniche 55 sepolte sotto la Valpadana, tenendo comunque presente che in quelle zone le intensità attese sono più basse di quelle previste nelle altre strutture sopra citate. Nelle Marche, le zone da considerare prioritariamente potrebbero essere le zone costiere (da ad Ancona), ed alcune zone dell’interno (in particolare quelle comprendenti i comuni di Fabriano, Camerino, Cagli), che sono state colpite da scosse forti in passato. In Umbria, le zone sismiche più esposte potrebbero essere quelle comprendenti i capoluoghi di Norcia, Gualdo Tadino, Foligno (Colfiorito), Gubbio e Città di Castello, per la loro ubicazione lungo il bordo interno estensionale della parte più mobile del cuneo RMU, assegnando una maggiore priorità ai settori ancora bloccati di tale bordo (Gualdo Tadino e Città di Castello).

3C. Distribuzione spazio-temporale delle scosse con M  2

In questo paragrafo sono riportate alcune considerazioni sulla distribuzione della sismicità minore (M<5) che si è verificata negli ultimi 36 anni nell’Appennino centro settentrionale (Fig. 3.3), per tentare di ottenere informazioni sui possibili futuri sviluppi della sismicità intensa. Un aspetto molto interessante di questa distribuzione è dato dal fatto che gli scorrimenti sismici hanno principalmente interessato il sistema di faglie che si sviluppa dall’Aquilano al Forlivese, passando per le zone di Norcia, Gualdo-Tadino, Colfiorito, Gubbio, Alta Valtiberina e Appennino Romagnolo, cioè le zone tettoniche dove si sviluppa il disaccoppiamento tra il cuneo mobile e la catena più interna (Fig. 3.2). Questa evidenza corrobora l’ipotesi precedentemente avanzata, che lo svincolo sopra citato sia il principale obiettivo delle forze tettoniche che agiscono nella catena appenninica.

Fig. 3.3 Distribuzione della sismicità con M  2 nell’Appennino centro settentrionale (Castello et alii, 2006; ISIDe working group, 2016). 56

Questa ipotesi sembra trovare ulteriore supporto dalle informazioni più dettagliate riportate nella tabella 3.2 e negli istogrammi di figura 3.4. La tabella mette in chiara evidenza che durante gli ultimi 10 anni la zona D (circa corrispondente al cuneo RMU) è stata di gran lunga la più sismica tra tutti i settori della penisola italiana.

Tab. 3.2. Numero dei terremoti con M  2 (ISIDe working group, 2016) avvenuti nelle principali zone sismiche della penisola italiana (vedi mappa) durante i bienni compresi tra il 2005 e il 2016. I numeri blu si riferiscono ai bienni in cui si sono verificate scosse con M>4.5. I numeri rossi evidenziano la zona circa corrispondente al cuneo RMU, dove si concentra la maggior parte delle scosse.

Estendendo l’analisi all’intero periodo in cui esistono informazioni sulla sismicità minore (1981-2017), la figura 3.4 mostra che il significativo incremento dell’attività sismica nella zona D (e anche in parte negli altri settori dell’Appennino centro settentrionale) è iniziato con la crisi sismica che ha colpito la zona di Colfiorito nel 1997.

Purtroppo, le conoscenze attuali non consentono ancora di capire quale connessione ci sia tra la sismicità minore e la futura tempistica dei terremoti forti (M>5.5), ma questo non toglie che le informazioni fornite dalla tabella 3.2 e dalla figura 3.4 possano fornire qualche utile informazione sulla localizzazione delle zone sismiche più esposte a terremoti forti nel prossimo futuro.

Per esempio, è ragionevole pensare che nelle zone dove i sistemi di faglie si attivano molto più frequentemente che nelle altre zone la probabilità di scosse forti sia più elevata. Questa ipotesi è basata sul convincimento abbastanza diffuso che i terremoti forti si verifichino quando uno dei tanti piccoli scorrimenti sismici innesca una serie di scorrimenti repentini su faglie contigue, attivando di fatto una sorgente più vasta e quindi più energetica. Anche senza avere una conoscenza precisa delle condizioni che producono quest’ultimo fenomeno, si potrebbe supporre che la probabilità di una attivazione multipla (e quindi di un terremoto forte), sia tanto più elevata quanto il numero degli inneschi minori è maggiore La plausibilità di questa interpretazione trova un possibile riscontro nel fatto che negli ultimi decenni il settore appenninico che è stato più colpito da scosse forti (M>5.5) è quello corrispondente alla zona D di tabella 3.2 (1979, 1984, 1997 (3), 2009, 2016 (3)), cioè quella dove la sismicità minore è stata notevolmente più elevata rispetto alle altre zone. Ulteriori indicazioni sulla possibile interpretazione della sismicità minore sono riportate in Mantovani et alii (2015a). 57

Fig.3.4. Numero annuale delle scosse con M>2 nel periodo (1981-2017), in cui ci sono informazioni presumibilmente attendibili sulla sismicità minore nelle zone mostrate in tabella 3.2. Nei casi in cui il numero delle scosse supera 500, il totale effettivo degli eventi è riportato di fianco alla barra (Castello et alii, 2006; ISIDe working group, 2016). 58

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Appendice

Al fine di evitare cambiamenti rispetto alla numerazione che compare nelle mappe mostrate in precedenza, per i comuni che sono stati recentemente accorpati sotto un nuovo comune, la tabella riporta il vecchio nominativo e tra parentesi quello nuovo. Nella prima colonna di ogni tabella (NP=Nostra Proposta), sono riportati, per i comuni appartenenti alle 4 Regioni considerate, i valori di Imax proposti da Mantovani et alii (2012a, 2013, 2014a). Nella seconda (DBMI-11) e terza colonna (DBMI-15) compaiono i valori di Imax rispettivamente ricavati da Locati et alii (2011) e Locati et alii (2016), i numeri rossi evidenziano i casi in cui i due valori sono differenti. Nella quarta colonna (Anno) è riportato l’anno della scossa che ha determinato il valore di Imax ricavato da DBMI-15. I valori di Imax riportati con asterisco nella terza colonna (DBMI-15), per alcuni comuni della Regione Marche, si riferiscono alle Imax documentate per i terremoti dell’Agosto e Ottobre 2016 (Galli et alii, 2017). Le lettere D e HD che compaiono per alcuni valori riportati nella terza colonna (DBMI-15) indicano i casi in cui la documentazione dei danni non è ben definita, ma per cui le informazioni disponibili consentono di tentare una stima dell’Intensità risentita. Le lettere D e HD suggeriscono rispettivamente un grado di Imax di 6.4 e 8.6 MCS (Locati et alii, 2016). Il colore dei numeri nella prima colonna (NP) ha lo scopo di mettere in evidenza la differenza tra il valore di Imax da noi proposto (NP) e quello ricavato dalle mappe PSHA di Gomez-Capera et alii (2010): Nero = nessuna differenza, Arancione = 0.5 o 1 grado, Rosso= 1.5 o 2 gradi, Viola = 2.5 o 3 gradi. Per alcuni comuni, la prima colonna riporta il valore di Imax da noi precedentemente proposto (evidenziato in verde) e il nuovo valore di Imax (tra parentesi) adeguato alla documentazione DBMI-15. Per il comune di Gaiole (SI), il valore Imax=9, preso da DBMI-15, si riferisce alla località Castagnoli. E’comunque opportuno sottolineare che questa valutazione appare poco compatibile con i valori di Imax documentati per alcune località molto vicine (Gaiole 7/8, Madonna di Brolio 7, Meleto 7/8). Nei comuni interessati da accorpamenti, nella terza colonna (DBMI-15) è riportato il valore massimo determinato all’interno delle nuove entità territoriali, attribuendolo a tutte le singole località. Per rendere i valori di Imax qui riportati più facilmente utilizzabili per i tecnici del settore, si è ritenuto utile confrontarli con le valutazioni correnti della pericolosità sismica, espresse in termini di scuotimento ed usate come stime ufficiali dagli Enti preposti. Per esempio, la Peak Ground Acceleration (PGA) descrive il livello di scuotimento orizzontale del terreno ed identifica la cosiddetta “pericolosità di base”, quando riferita ad un suolo formato da roccia rigida (vs>800 m/s, e.g., Romeo, 2007 e Norme Tecniche per le Costruzioni, 2008, 2018). Tale informazione, attualmente ottenuta mediante procedure probabilistiche (e.g., Gruppo di Lavoro MPS, 2004), non è direttamente comparabile con l’intensità macrosismica, che si riferisce al livello di danneggiamento. Come ricordato in Mantovani et alii (2012a, 2013, 2014a) ed in questo volume, l’effetto del terremoto sui manufatti è determinato dalla complessa interazione di fattori, come lo scuotimento del terreno, gli effetti locali di amplificazione del moto sismico, l’interazione terreno-struttura e la tipologia costruttiva dei manufatti. Inoltre, la trasformazione dell’intensità macrosismica in un dato rappresentativo dello scuotimento (come la massima accelerazione, la massima velocità o il massimo spostamento orizzontale) presenta numerose difficoltà concettuali e pratiche. Per esempio, mentre la stima dell’intensità incorpora l’effetto di tutte le componenti del moto sismico, la pericolosità di base si riferisce al solo scuotimento orizzontale, anche se è noto da tempo (e anche ricordato nel paragrafo 1C di questa pubblicazione) che la componente verticale del moto sismico può contribuire in modo significativo al danneggiamento dei manufatti. A questo riguardo, si può considerare che accelerazioni verticali maggiori della PGA orizzontale (e a volte superiori alla 71 stessa accelerazione di gravità) sono state ripetutamente registrate nel corso di forti terremoti in Italia ed all’estero, soprattutto in prossimità dell’epicentro (e.g., Bouchon et alii., 2000; Bozorgna e Campbell, 2004; Aoi et alii, 2008; Xie et alii, 2010; De Nardis et alii, 2014; Luzi et alii, 2017). Pertanto, la conversione delle intensità massime in valori di PGA ed il confronto dei risultati ottenuti con le stime ufficiali di scuotimento potrebbero apparire, a prima vista, come operazioni non ben definite. Tuttavia, occorre considerare che lo studio della correlazione tra le quantità suddette è da tempo oggetto di numerose indagini (e.g., Ambraseys, 1975; Margottini et alii, 1992; Decanini et alii, 1995; Wald et alii, 1999; Faccioli e Cauzzi, 2006; Gomez Capera et alii, 2007; Linkimer, 2008; Ocola, 2008; Faenza e Michelini, 2010, 2011). Quindi, riteniamo che sia interessante conoscere come le stime di danneggiamento massimo atteso, ottenute da Mantovani et alii (2012a, 2013, 2014a) e aggiornate in questa pubblicazione, si traducano in determinati (per quanto approssimati) livelli di scuotimento sismico. Infatti, l’eventuale discrepanza tra tali scuotimenti ed i valori di pericolosità di base (come i dati riportati nell’ordinanza ministeriale OPCM/3907) può fornire preziose indicazioni sui possibili effetti di amplificazione locale nei comuni implicati. Ovviamente, tali indicazioni rappresentano solo un primo elemento di valutazione, che può essere usato come una possibile premessa alle ben consolidate procedure di microzonazione sismica (e.g., Gruppo di Lavoro MS, 2008; Facciorusso, 2012). Tali metodologie permettono infatti sia di mettere in luce il contributo di ciascuna delle possibili cause dell’amplificazione dello scuotimento (stratigrafico, topografico e strutturale), sia di identificare eventuali variazioni laterali degli effetti di sito all’interno del comune considerato. Per quanto riguarda la conversione dell’intensità macrosismica in PGA, la mancanza di un modello fisico plausibile implica che il solo approccio praticabile sia la determinazione di relazioni empiriche, dedotte dalla correlazione tra dati macrosismici osservati e misure accelerometriche (Gomez Capera et alii, 2007). Comunque, tale correlazione sembra essere statisticamente piuttosto debole, principalmente a causa della differente natura delle quantità coinvolte: - la PGA è una grandezza fisica espressa da numeri collocati in un intervallo continuo, mentre la scala macrosismica è formata da un insieme discreto di numeri interi. - le misure accelerometriche si riferiscono a siti specifici, mentre l’intensità è valutata su porzioni estese del territorio - il fatto che la suddetta correlazione è praticabile solo per i terremoti più recenti, per i quali disponiamo di entrambi i tipi di informazione, limita in modo notevole l’ampiezza della base di dati, riducendo la significatività e la robustezza delle valutazioni. Le difficoltà sopra accennate comportano che l’uso di differenti relazioni di conversione può portare a valori di PGA alquanto diversi per lo stesso grado di intensità macrosisimica (e.g., Gomez Capera et al., 2007 e riferimenti). In linea di massima, le relazioni empiriche più affidabili dovrebbero essere quelle di più recente pubblicazione, in quanto si avvalgono di dati più numerosi e controllati e di tecniche di elaborazione più efficaci. Dopo un’accurata analisi delle caratteristiche e delle limitazioni presentate dalle relazioni di conversione presenti in letteratura (un elenco parziale delle quali è riportato sopra), si è ritenuto opportuno adottare la relazione denominata GOR-DB4, ottenuta da Gomez Capera et alii (2007) ed illustrata dalla formula seguente:

Log10(PGA)  1.84  0.28I dove I = intensità. I valori di PGA stimati con tale formula per le intensità che vanno dal grado 5 al grado 11 MCS e divisi per l’accelerazione di gravità (g) sono riportati in tabella A1. La sigla GOR (Generalized Orthogonal Regression) si riferisce alla metodologia impiegata per ottenere la relazione in oggetto, che presenta vantaggi significativi rispetto alle procedure usuali di regressione lineare. In particolare, adottando la GOR i parametri della relazione lineare tra la PGA e l’Intensità risultano piuttosto stabili, ovvero poco sensibili ad eventuali cambiamenti della base di dati usata. La sigla DB4 indica appunto l’insieme di dati macrosismici ed accelerometrici impiegati per 72 ottenere la relazione sopra indicata, relativi a 32 terremoti (3.8≤M≤7.4) avvenuti nella regione italiana e dintorni dal 1976 al 2005 (Gomez Capera et alii, 2007).

Intensità MCS PGA/g 5 0.037011 5-6 0.051089 6 0.070523 6-7 0.097348 7 0.134378 7-8 0.185494 8 0.256053 8-9 0.353452 9 0.487900 9-10 0.673489 10 0.929674 10-11 1.283308 11 1.771458

Tab. A1. Conversione dell’intensità macrosismica MCS in PGA, secondo la relazione empirica GOR-DB4 (Gomez Capera et alii, 2007) riportata sopra.

Adottando la relazione sopra descritta si è proceduto alla conversione in PGA delle intensità massime stimate per i comuni della Toscana, Emilia Romagna, Marche e Umbria. I risultati di tale operazione sono elencati nelle ultime due colonne delle tabelle seguenti, relative alle varie province delle Regioni suddette. La quinta colonna riporta il valore di PGA/g ottenuto, mediante la tabella A1, dal valore di Imax dato nella prima colonna (NP). Per comodità del lettore, l’ultima colonna della tabella riporta il valore della PGA/g attribuita al comune dalla legislazione vigente (ossia la pericolosità di base riportata nell'OPCM 3907/2010, poi ripetuta nelle Ordinanze successive).

73

TOSCANA

AREZZO Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Anghiari 9/10 7/8 7/8 1917 0.673489 0.21828 2 Arezzo 8/9 7/8 7/8 1005, 1352 0.353452 0.189577 3 Badia Tedalda 8/9 7/8 7/8 1781 0.353452 0.218205 4 Bibbiena 8 7 7 1504, 1918, 1919 0.256053 0.205542 5 Bucine 9 9 8 1558 0.487900 0.133464 6 Capolona 7/8 6/7 6/7 1919 0.185494 0.170044 7 Caprese Michelangelo 8/9 6/7 6/7 1919 0.353452 0.209243 8 Castel Focognano 7/8 6/7 6/7 1919 0.185494 0.180485 9 Castel San Niccolò 7/8 7 7 1919 0.185494 0.184604 10 Castelfranco di Sopra (Castelfranco Piandiscò) 7 (7/8) 4/5 7/8 1919 0.185494 0.132854 11 Castiglion Fibocchi 7/8 4/5 4/5 1909, 2001 0.185494 0.14609 12 Castiglion Fiorentino 7/8 6 6 1897, 1917 0.185494 0.165434 13 Cavriglia 8 7/8 7/8 1558 0.256053 ≤0.125 14 Chitignano 8 7 7 1919 0.256053 0.193397 15 Chiusi della Verna 8 6/7 6/7 1584, 1919 0.256053 0.209833 16 Civitella in Val di Chiana 7/8 6 6 1911, 1917 0.185494 0.150169 17 Cortona 7/8 5/6 5/6 1865 0.185494 0.189448 18 Foiano della Chiana 6/7 6 6 1917 0.097348 0.150796 19 Laterina (Laterina Pergine Valdarno) 7/8 6 6 1919 0.185494 0.14011 20 Loro Ciuffenna 7 6/7 6/7 1919 0.134378 0.139442 21 Lucignano 7 5 5 1908, 1997 0.134378 0.148443 22 Marciano della Chiana 7 5 5 2001 0.134378 0.150905 23 Monte San Savino 7/8 6 6 1917 0.185494 0.150641 24 Montemignaio 7 7 7 1919 0.134378 0.173845 25 Monterchi 9/10 9/10 9/10 1917 0.673489 0.212165 26 Montevarchi 9 9 9 1558 0.487900 0.129296 27 Ortignano Raggiolo 8 8 8 1918 0.256053 0.169408 28 Pergine Valdarno (Laterina Pergine Valdarno) 7/8 5 7/8 1919 0.185494 0.138078 29 Pian di Scò (Castelfranco Piandiscò) 7/8 7/8 7/8 1919 0.185494 0.133176 30 Pieve Santo Stefano 8/9 7/8 7/8 1694 0.353452 0.22323 31 Poppi 8 6/7 7 1911, 1918, 1919 0.256053 0.207847 32 Pratovecchio (Pratovecchio Stia) 7 (8) 7 8 1919 0.256053 0.205572 33 San Giovanni Valdarno 8 7/8 7 1558 0.256053 0.125796 34 Sansepolcro 9/10 9 9 1352 0.673489 0.227171 35 Sestino 8 7/8 7/8 1781 0.256053 0.20855 36 Stia (Pratovecchio Stia) 8 8 8 1919 0.256053 0.200786 37 Subbiano 8/9 7 6/7 1918, 1919 0.353452 0.185251 38 Talla 7 6/7 6/7 1919 0.134378 0.15747 39 Terranuova Bracciolini 7/8 7 7 1919 0.185494 0.136011

FIRENZE Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP Da PSHA 1 Bagno a Ripoli 8 8 8 1895 0.256053 0.141708 2 Barberino di Mugello 9 9 9 1542 0.487900 0.203382 1890, 1895, 1897, 3 Barberino Val d'Elsa 7/8 4/5 5 0.185494 0.137453 1920 4 Borgo San Lorenzo 9 9 9 1542, 1919 0.487900 0.209104 5 Calenzano 8 6 6 1895, 1919 0.256053 0.175846 6 Campi Bisenzio 7/8 6 6/7 1895 0.185494 0.136377 7 Capraia e Limite 6/7 5 5 1911 0.097348 0.126181 8 Castelfiorentino 7 6 6 1895, 1901, 1920 0.134378 0.138682 9 Cerreto Guidi 6/7 5 5 1911, 1914 0.097348 0.127524 10 Certaldo 7/8 5 5/6 1869 0.185494 0.139035 11 Dicomano 9 8/9 8/9 1919 0.487900 0.206217 12 Empoli 6/7 6 6 1920 0.097348 0.13183 13 Fiesole 7/8 7/8 7/8 1453 0.185494 0.157376 14 Figline Valdarno (Figline e Incisa Valdarno) 7/8 6/7 7/8 1558 0.185494 0.127037 15 Firenze 7/8 6/7 7/8 1453, 1895 0.185494 0.141082 74

16 Firenzuola 8 8 8 1919 0.256053 0.205999 17 Fucecchio 6/7 6/7 6/7 1846 0.097348 0.127479 18 Gambassi Terme 6/7 - 5 1768 0.097348 0.141133 19 Greve in Chianti 7/8 6 7 1895 0.185494 0.126309 20 Impruneta 8 8 8 1895 0.256053 0.126964 21 Incisa in Valdarno (Figline e Incisa Valdarno) 7 (7/8) 6 7/8 1558 0.185494 0.131097 22 Lastra a Signa 7 7 7 1895 0.134378 0.127447 23 Londa 8/9 7/8 7/8 1919 0.353452 0.201419 24 Marradi 8/9 8 8 1661, 1725 0.353452 0.210226 25 Montaione 6/7 5/6 6/7 1609 0.097348 0.141447 26 Montelupo Fiorentino 7 6/7 6/7 1542 0.134378 0.125877 27 Montespertoli 7/8 7/8 7/8 1812 0.185494 0.128623 28 Palazzuolo sul Senio 8/9 8 8 1661, 1725 0.353452 0.209487 29 Pelago 7 6 6/7 1919 0.134378 0.173678 30 Pontassieve 8/9 7 7/8 1919 0.353452 0.180472 31 Reggello 7 6 7 1770 0.134378 0.153796 32 Rignano sull'Arno 7 6 7 1895 0.134378 0.14216 33 Rufina 8 8 7/8 1919 0.256053 0.191562 34 San Casciano in val di Pesa 8 8 8 1895 0.256053 ≤0.125 35 San Godenzo 8/9 8 8/9 1919 0.353452 0.209667 36 San Piero a Sieve (Scarperia e San Piero) 9 8 9 1542 0.487900 0.194521 37 Scandicci 7/8 6/7 7 1895 0.185494 0.129103 38 Scarperia (Scarperia e San Piero) 9 9 9 1542 0.487900 0.205346 39 Sesto Fiorentino 7/8 7 7 1895 0.185494 0.147008 40 Signa 7 7 7 1453, 1895 0.134378 0.130997 41 Tavarnelle Val di Pesa 7/8 6 6 1895 0.185494 ≤0.125 42 Vaglia 8 7/8 7/8 1542 0.256053 0.171284 43 Vicchio 10 10 10 1919 0.929674 0.208247 44 Vinci 6/7 6 6 1895 0.097348 0.128736

GROSSETO Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Arcidosso 7 6/7 6/7 1868 0.134378 0.140518 2 Campagnatico <6 4 4 1905 <0.070523 0.130481 3 Capalbio <6 4 4 1971, 1980 <0.070523 ≤0.125 4 Castel del Piano 7 6 6 1919, 1926, 1948 0.134378 0.140949 5 Castell'Azzara 7/8 6/7 6/7 1919 0.185494 0.140653 6 Castiglione della Pescaia <6 4/5 5 1980 <0.070523 ≤0.125 7 Cinigiano 6/7 6 6 1909 0.097348 0.140147 8 Civitella Paganico 7 4/5 5 1904 0.134378 0.140381 9 Follonica <6 4/5 4/5 1909 <0.070523 ≤0.125 10 Gavorrano 6 5 5 1909 0.070523 ≤0.125 11 Grosseto <6 4/5 5/6 1980 <0.070523 ≤0.125 12 Isola del Giglio <6 4 4 1909, 1980 <0.070523 ≤0.125 13 Magliano in Toscana <6 3/4 5 1980 <0.070523 ≤0.125 14 Manciano 6/7 5/6 5/6 1902 0.097348 0.137154 15 Marittima 6/7 5/6 5/6 1970 0.097348 0.12996 16 Monte Argentario <6 5 1980 <0.070523 ≤0.125 17 Monterotondo Marittimo 6/7 6 6 1970 0.097348 0.12733 18 Montieri 7/8 7/8 7/8 1724 0.185494 0.139357 19 Orbetello <6 4 5/6 1980 <0.070523 ≤0.125 20 Pitigliano 7 6 6 1919 0.134378 0.140206 21 Roccalbegna 7 6 6 1905, 1919 0.134378 0.138846 22 Roccastrada 7 5/6 5/6 1909 0.134378 0.139348 23 Santa Fiora 7/8 7 7 1902, 1926, 1948 0.185494 0.1399 24 Scansano 6/7 6 6 1909 0.097348 0.128247 25 Scarlino <6 <0.070523 ≤0.125 26 Seggiano 7 6 6 1948 0.134378 0.141046 27 Semproniano 7 5/6 5/6 1940 0.134378 0.139172 28 Sorano 8 7/8 7/8 1919 0.256053 0.140869

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LIVORNO Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Bibbona 7/8 6/7 6-7 1846, 1871 0.185494 ≤0.125 2 Campiglia Marittima <6 3/4 3-4 1998 <0.070523 ≤0.125 3 Campo nell'Elba <6 4 1980 <0.070523 ≤0.125 4 Capoliveri <6 <0.070523 ≤0.125 5 Capraia <6 3 3 1846, 1887 <0.070523 ≤0.125 6 Castagneto Carducci 7 3/4 3-4 1998 0.134378 ≤0.125 7 Cecina 8 6 6 1846 0.256053 ≤0.125 8 Collesalvetti 8/9 8 8 1846 0.353452 0.138655 9 Livorno 7/8 7 7 1646, 1742, 1848 0.185494 0.133095 10 Marciana <6 5 5 1846 <0.070523 ≤0.125 11 Marciana Marina <6 4 4 1909 <0.070523 ≤0.125 12 Piombino <6 4/5 5 1914 <0.070523 ≤0.125 13 Porto Azzurro <6 3 3 1920 <0.070523 ≤0.125 14 Portoferraio <6 4/5 4-5 1909 <0.070523 ≤0.125 15 Rio Marina (Rio) 6 4-5 1909 0.070523 ≤0.125 16 Rio nell'Elba (Rio) 6 3/4 4-5 1909 0.070523 ≤0.125 17 Rosignano Marittimo 8/9 8 8 1846 0.353452 0.135904 18 San Vincenzo <6 3 3 1909 <0.070523 ≤0.125 19 Sassetta 6 0.070523 ≤0.125 20 Suvereto <6 4/5 4-5 1970 <0.070523 ≤0.125

LUCCA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Altopascio 6/7 6 6 1914 0.097348 0.131591 2 Bagni di Lucca 7/8 7 7 1920 0.185494 0.19725 3 Barga 9 9 9 1920 0.487900 0.201862 4 Borgo a Mozzano 7/8 6/7 6/7 1914, 1920 0.185494 0.183974 5 Camaiore 7/8 7 7 1914, 1920 0.185494 0.147642 6 Camporgiano 10 9 9 1920 0.929674 0.202057 7 Capannori 7 7 7 1920 0.134378 0.147127 8 Careggine 9 7 8/9 1920 0.487900 0.195536 9 Castelnuovo di Garfagnana 9 8 8 1920 0.487900 0.201326 10 Castiglione di Garfagnana 10 9 9 1920 0.929674 0.203901 11 Coreglia Antelminelli 8 7 7/8 1920 0.256053 0.201869 12 Fabbriche di Vallico (Fabbriche di Vergemoli) 8 8 8 1920 0.256053 0.180179 13 Forte dei Marmi 7/8 6/7 6/7 1920 0.185494 0.132054 14 Fosciandora 9 9 9 1920 0.487900 0.201732 15 Gallicano 8/9 7/8 7/8 1920 0.353452 0.199612 16 Giuncugnano (Sillano Giuncugnano) 10 9 9 1920 0.929674 0.20406 17 Lucca 7 7 7 1117, 1914, 1920 0.134378 0.156078 18 Massarosa 7 7 7 1914, 1920 0.134378 0.133017 19 10 9/10 9/10 1920 0.929674 0.200037 20 Molazzana 8/9 7/8 8 1920 0.353452 0.198976 21 Montecarlo 6/7 6 6 1914 0.097348 0.134423 22 Pescaglia 7/8 7 6 1980 0.185494 0.170084 23 Piazza al Serchio 10 9/10 9/10 1920 0.929674 0.203604 24 Pietrasanta 7/8 7 7 1920 0.185494 0.140542 25 Pieve Fosciana 10 10 10 1920 0.929674 0.203401 26 Porcari 7 7 7 1914 0.134378 0.133288 27 San Romano in Garfagnana 10 8/9 8/9 1920 0.929674 0.203948 28 Seravezza 8 7 7 1914 0.256053 0.152803 29 Sillano (Sillano Giuncugnano) 9 (10) 9 9 1920 0.929674 0.204609 30 Stazzema 8 7 7 1914 0.256053 0.171327 31 Vagli Sotto 9/10 9 9 1920 0.673489 0.197606 32 Vergemoli (Fabbriche di Vergemoli) 8 6 8 1920 0.256053 0.188778 33 Viareggio 7 6/7 6/7 1920 0.134378 ≤0.125 34 Villa Basilica 7 5 5 1899 0.134378 0.166627 35 Villa Collemandina 10 10 10 1920 0.929674 0.204345

76

MASSA e Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 9 9 9 1920 0.487900 0.194176 2 9 9 9 1920 0.487900 0.203159 3 Carrara 8/9 7/8 8 1920 0.353452 0.160208 4 10 10 10 1837, 1920 0.929674 0.203254 5 Comano 9 8/9 8/9 1920 0.487900 0.203974 6 9 8 8 1834, 1920 0.487900 0.202968 7 10 10 10 1920 0.929674 0.204408 8 9 6 6 1920 0.487900 0.175819 9 9 9 9 1920 0.487900 0.202747 10 Massa 8/9 8 8 1920 0.353452 0.173552 11 8 7/8 7/8 1920 0.256053 0.14523 12 9 7 8 1920 0.487900 0.196961 13 9 8 8 1920 0.487900 0.170047 14 9 9 9 1834 0.487900 0.203443 15 9 8 8 1920 0.487900 0.185764 16 9 9 9 1920 0.487900 0.200555 17 9 8 7/8 1834 0.487900 0.198221

PISA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Bientina 7 7 7 1920 0.134378 ≤0.125 2 Buti 7 6 6 1920 0.134378 ≤0.125 3 Calci 7 6 6 1846 0.134378 ≤0.125 4 Calcinaia 7 7 7 1920 0.134378 0.126926 5 Capannoli 7/8 6/7 6/7 1846, 1920 0.185494 0.140736 6 Casale Marittimo 8/9 8 8 1846 0.353452 0.125176 7 Casciana Terme (Casciana Terme Lari) 9 9 9 1846 0.487900 0.140922 8 Cascina 7 6 6 1846, 1920 0.134378 0.128121 9 Castelfranco di Sotto 6/7 6 6 1914, 1920 0.097348 0.126275 10 Castellina Marittima 8 7 7 1846 0.256053 0.136555 11 Castelnuovo di Val di Cecina 7 4/5 5/6 1933, 1993 0.134378 0.140077 12 Chianni 8/9 8 8 1846 0.353452 0.140625 13 Crespina (Crespina Lorenzana) 8/9 (9) 8/9 8/9 1846 0.487900 0.139658 14 Fauglia 9 9 9 1846 0.487900 0.140346 15 Guardistallo 9 9 9 1846 0.487900 0.1346 16 Lajatico 7/8 6 6/7 1846 0.185494 0.140777 17 Lari (Casciana Terme Lari) 8 (9) 8 9 1846 0.487900 0.141119 18 Lorenzana (Crespina Lorenzana) 9 8/9 8/9 1846 0.487900 0.140628 19 Montecatini Val di Cecina 7/8 7/8 7/8 1846 0.185494 0.139966 20 Montescudaio 8/9 8 8 1846 0.353452 0.129129 21 Monteverdi Marittimo 7 4/5 1990 0.134378 ≤0.125 22 Montopoli in Val d'Arno 6/7 5/6 5/6 1914 0.097348 0.133966 23 Orciano Pisano 10 10 10 1846 0.929674 0.139329 24 Palaia 7 6/7 6/7 1920 0.134378 0.140815 25 Peccioli 8 8 8 1846 0.256053 0.141338 26 Pisa 7/8 7/8 7/8 1117 0.185494 0.127408 27 Pomarance 7 6/7 6/7 1846 0.134378 0.140229 28 Ponsacco 7/8 6/7 6/7 1846, 1897 0.185494 0.138514 29 Pontedera 7 6/7 6/7 1920 0.134378 0.136331 30 Riparbella 8 8 8 1846 0.256053 0.133627 31 San Giuliano Terme 7 (7/8) 7 7/8 1117 0.185494 0.125376 32 San Miniato 6/7 6/7 6/7 1846, 1920 0.097348 0.139692 33 Santa Croce sull'Arno 6/7 6/7 6/7 1846 0.097348 ≤0.125 34 Santa Luce 9 8 8 1846 0.487900 0.138992 35 Santa Maria a Monte 6/7 6/7 6/7 1920 0.097348 0.126718 36 Terricciola 8 6/7 7 1846 0.256053 0.141272 37 Vecchiano 7/8 7/8 7/8 1117 0.185494 ≤0.125 38 Vicopisano 7 7 7 1920 0.134378 ≤0.125 39 Volterra 7 7 7 1846 0.134378 0.140861

77

PISTOIA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1904, 1920, 1969, 1 Abetone (Abetone Cutigliano) 7 4 6 0.134378 0.201104 1980 2 Agliana 7 6 6 1899 0.134378 0.151678 3 Buggiano 7 7 7 1914 0.134378 0.149356 4 Chiesina Uzzanese 7 7 7 1914 0.134378 0.133495 1904, 1920, 1969, 5 Cutigliano (Abetone Cutigliano) 7 6 6 0.134378 0.201436 1980 6 Lamporecchio 6/7 6 6 1920 0.097348 0.133164 7 Larciano 6/7 6/7 5 1914 0.097348 0.135661 8 Marliana 7 5/6 6 1980 0.134378 0.175724 9 Massa e Cozzile 7 5 5 1914, 1919 0.134378 0.149443 10 Monsummano Terme 7 6 6 1914 0.134378 0.140112 11 Montale 7 6 6 1899 0.134378 0.17408 12 Montecatini Terme 7 7 7 1914 0.134378 0.145611 13 Pescia 7 7 7 1904, 1914 0.134378 0.183163 14 Pieve a Nievole 7 6/7 6/7 1914 0.134378 0.142318 15 Pistoia 8 8 8 1293 0.256053 0.198849 16 Piteglio (San Marcello Piteglio) 7 6/7 7 1920 0.134378 0.19792 17 Ponte Buggianese 7 5 5 1895 0.134378 0.134119 18 Quarrata 7 6 6 1914 0.134378 0.145567 19 Sambuca Pistoiese 7 5/6 5 1899, 1980 0.134378 0.19911 20 San Marcello Pistoiese (San Marcello Piteglio) 7 7 7 1920 0.134378 0.20057 21 Serravalle Pistoiese 7/8 6 6 1914 0.185494 0.152884 22 Uzzano 7 7 7 1914 0.134378 0.140817

PRATO Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Cantagallo 7/8 7 7 1899 0.185494 0.198751 2 Carmignano 6/7 5 6 1895 0.097348 0.133089 3 Montemurlo 7/8 7 7 1899 0.185494 0.16534 4 Poggio a Caiano 7 5 5 1895, 1909 0.134378 0.132172 5 Prato 7/8 6/7 6/7 1895, 1899 0.185494 0.159523 6 Vaiano 8 7 7 1899 0.256053 0.178471 7 Vernio 8 7/8 7/8 1542 0.256053 0.200129

SIENA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Abbadia San Salvatore 8 7 7 1777, 1815, 1926 0.256053 0.140578 2 Asciano 7/8 7 7/8 1781 0.185494 0.142441 3 Buonconvento 7/8 7/8 7/8 1909 0.185494 0.142002 4 Casole d'Elsa 7/8 5 5/6 1993 0.185494 0.141114 5 Castellina in Chianti 7/8 7 7 1911 0.185494 0.13572 6 Castelnuovo Berardenga 7/8 7 7 1558, 1871, 1911 0.185494 0.135525 7 Castiglione d'Orcia 7/8 6 6 1926 0.185494 0.142971 8 Cetona 7 6/7 6/7 1861, 1940 0.134378 0.145527 9 Chianciano Terme 6/7 5/6 5/6 1861 0.097348 0.145071 10 Chiusdino 7/8 5/6 5/6 1909, 1911 0.185494 0.140448 11 Chiusi 6/7 6/7 6/7 1861, 1940 0.097348 0.147713 12 Colle di Val d'Elsa 7/8 6/7 7 1804 0.185494 0.141082 13 Gaiole in Chianti 7/8 (9) 7/8 9 1558 0.487900 ≤0.125 14 Montalcino (Montalcino) 7 (7/8) 6/7 7/8 1781 0.185494 0.142383 15 Montepulciano 6/7 6/7 6/7 1679 0.097348 0.149702 16 Monteriggioni 7/8 6/7 6/7 1859, 1911 0.185494 0.140984 17 Monteroni d'Arbia 7/8 7/8 7/8 1909 0.185494 0.141797 18 Monticiano 7/8 7/8 7/8 1909 0.185494 0.140525 19 Murlo 7/8 7/8 7/8 1909 0.185494 0.141148 20 Piancastagnaio 8 7 7 1919 0.256053 0.141404 21 Pienza 7/8 7/8 7/8 1545, 1909 0.185494 0.144189 22 Poggibonsi 7/8 7 7 1804 0.185494 0.140198 78

23 Radda in Chianti 7/8 7 7 1907 0.185494 ≤0.125 24 Radicofani 8 8 8 1777 0.256053 0.143062 25 Radicondoli 7/8 7/8 7/8 1414 0.185494 0.140313 26 Rapolano Terme 7 5/6 5/6 1909 0.134378 0.138293 27 San Casciano dei Bagni 8 7/8 7/8 1919, 1940 0.256053 0.144657 28 San Gimignano 7/8 7 7 1804, 1869 0.185494 0.141344 29 San Giovanni d'Asso (Montalcino) 7 (7/8) 6/7 7/8 1781 0.185494 0.143328 30 San Quirico d'Orcia 7/8 7/8 7/8 1545 0.185494 0.143264 31 Sarteano 7 5/6 5/6 1861, 1940 0.134378 0.145238 1320, 1414, 1496, 32 Siena 7/8 7 7 0.185494 0.141463 1558, 1741, 1798 33 Sinalunga 6/7 5/6 6 1908 0.097348 0.148771 34 Sovicille 7/8 6/7 6/7 1848,1909 0.185494 0.141359 35 Torrita di Siena 7 4/5 4/5 1909, 1997 0.134378 0.148423 36 Trequanda 7 4/5 4/5 1909 0.134378 0.143911

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EMILIA-ROMAGNA

BOLOGNA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Anzola dell'Emilia 8 6 6 1929 0.256053 0.160423 2 Argelato 7 4/5 2000 0.134378 0.166698 3 Baricella 7 6 6 1909 0.134378 0.161925 4 Bazzano (Valsamoggia) 7/8 (8) 7/8 8 1505 0.256053 0.163531 5 Bentivoglio 7 7 7 1505 0.134378 0.165524 6 Bologna 8 8 8 1505 0.256053 0.17226 7 Borgo Tossignano 8 8 8 1725 0.256053 0.208167 8 Budrio 7 6 6 1909 0.134378 0.179947 9 Calderara di Reno 8 3 3 2000 0.256053 0.166247 1830,1878, 1879, 10 Camugnano 7 5 5 0.134378 0.199254 1881, 1899 11 Casalecchio di Reno 8 6 D 1929 0.256053 0.165249 12 Casalfiumanese 8 6/7 6/7 1874 0.256053 0.207222 13 Castel d'Aiano 7 5 5 1999 0.134378 0.163101 14 Castel del Rio 8 8 8 1725 0.256053 0.205513 15 Castel di Casio 7 (8) 8 8 1470 0.256053 0.198078 16 Castel Guelfo di Bologna 7/8 5 5 2003 0.185494 0.198062 17 Castel Maggiore 8 5/6 5/6 1909, 1929 0.256053 0.16854 18 Castel San Pietro Terme 8 7 7 1779 0.256053 0.201145 19 Castello d'Argile 7 5 5 1909, 2012 0.134378 0.158977 20 Castello di Serravalle (Valsamoggia) 7/8 (8) 6/7 8 1505 0.256053 0.162428 21 Castenaso 8 5/6 5/6 1909, 1929 0.256053 0.177698 22 Castiglione dei Pepoli 7/8 6 6 1771, 1914, 1920 0.185494 0.199443 23 Crespellano (Valsamoggia) 8 8 8 1505 0.256053 0.163516 24 Crevalcore 7 5 7 2012 0.134378 0.157628 25 Dozza 7/8 5 6/7 1726 0.185494 0.214146 26 Fontanelice 8 8 8 1725 0.256053 0.205741 27 Gaggio Montano 7 6/7 6/7 1869 0.134378 0.183461 28 Galliera 7 3 5/6 2012 0.134378 0.156466 29 Granaglione (Alto Reno Terme) 7 6 6/7 1779 0.134378 0.200115 30 Granarolo dell'Emilia 7/8 5 5 1909 0.185494 0.171014 31 Grizzana Morandi 7 5/6 5/6 2003 0.134378 0.170689 32 Imola 8 7/8 7/8 1688 0.256053 0.207057 33 Lizzano in Belvedere 7 6/7 6/7 1920 0.134378 0.195955 34 Loiano 7/8 7 7 1881 0.185494 0.182168 35 Malalbergo 7 5 5 1929 0.134378 0.16318 36 Marzabotto 7/8 7/8 7/8 1869 0.185494 0.164095 37 Medicina 7 7 7 1796 0.134378 0.191185 38 Minerbio 7 4/5 4/5 1914 0.134378 0.16556 39 Molinella 7/8 6/7 6/7 1909 0.185494 0.173949 40 Monghidoro 7/8 7 7 1881, 2003 0.185494 0.189454 41 Monte San Pietro 8 7/8 7/8 1929 0.256053 0.163779 42 Monterenzio 8 5/6 5/6 2003 0.256053 0.194574 43 Monteveglio (Valsamoggia) 7/8 (8) 7 8 1505 0.256053 0.163318 44 Monzuno 7 6 6 2003 0.134378 0.167978 45 Mordano 8 6/7 6/7 1688 0.256053 0.196164 46 Ozzano dell'Emilia 8 7 7 1929 0.256053 0.188102 47 Pianoro 8 6/7 6/7 1779 0.256053 0.177461 48 Pieve di Cento 7 5 5 1909, 2012 0.134378 0.157623 49 Porretta Terme (Alto Reno Terme) 7 6/7 6/7 1779 0.134378 0.193586 50 Sala Bolognese 7 4 5 2012 0.134378 0.164822 51 San Benedetto Val Sambro 7/8 6 6 1956, 2003 0.185494 0.183857 52 San Giorgio di Piano 7 5 5 1929, 2012 0.134378 0.163031 53 San Giovanni in Persiceto 7 6/7 6/7 1505 0.134378 0.162337 54 San Lazzaro di Savena 8 5/6 5/6 1779 0.256053 0.180483 55 San Pietro in Casale 7 4 D 2012 0.134378 0.158696 56 Sant'Agata Bolognese 7 5 5/6 2012 0.134378 0.160987 57 Sasso Marconi 8 6 6 1929 0.256053 0.166277 58 Savigno (Valsamoggia) 7/8 (8) 6 8 1505 0.256053 0.160225 59 Vergato 7/8 7/8 7/8 1869 0.185494 0.168734 60 Zola Predosa 8 7 7 1505, 1929 0.256053 0.163954 80

FERRARA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Argenta 8-9 8/9 8/9 1624 0.353452 0.165724 2 Berra 6 5 5 1909 0.070523 ≤0.125 3 Bondeno 7/8 7 7 1570 0.185494 0.147689 4 Cento 7/8 6/7 6/7 1570 0.185494 0.157407 5 Codigoro 6 5 5 1895, 1909, 1916 0.070523 ≤0.125 6 Comacchio 7 6/7 6/7 1781, 1895 0.134378 ≤0.125 7 Copparo 7 6/7 6/7 1570 0.134378 ≤0.125 8 Ferrara 8 (HD) 8 HD 1511 0.376991 0.156021 9 Formignana 7 6/7 6/7 1570 0.134378 ≤0.125 10 Goro 6 5 5 1909 0.070523 ≤0.125 11 Jolanda di Savoia 6 4 4 1963, 1971 0.070523 ≤0.125 12 Lagosanto 6 5 5 1909 0.070523 ≤0.125 13 Masi Torello 7 7 7 1570 0.134378 0.140128 14 Massa Fiscaglia (Fiscaglia) 6 (7) 5 6 1931 0.134378 ≤0.125 15 Mesola 6 5 5 1909 0.070523 ≤0.125 16 Migliarino (Fiscaglia) 7 6 6 1931 0.134378 0.13198 17 Migliaro (Fiscaglia) 6 (7) 3 6 1931 0.134378 ≤0.125 18 Mirabello (Terre del Reno) 7/8 4 6/7 2012 0.185494 0.1493 19 Ostellato 7 6 6 1895, 1931, 1967 0.134378 0.144158 20 Poggio Renatico 7/8 6 6 1909, 2012 0.185494 0.155858 21 Portomaggiore 7/8 7/8 7/8 1570, 1624 0.185494 0.154582 22 Ro 7 6 6 1983 0.134378 ≤0.125 23 Sant'Agostino (Terre del Reno) 7/8 5 6/7 2012 0.185494 0.155202 24 Tresigallo 7 6/7 6/7 1570 0.134378 0.12567 25 Vigarano Mainarda 7/8 6/7 6/7 1570 0.185494 0.146506 26 Voghiera 7/8 7 7 1624 0.185494 0.152574

FORLI’ CESENA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Bagno di Romagna 9/10 9 9 1584, 1768, 1918 0.673489 0.208366 2 Bertinoro 8/9 8 8 1483, 1661, 1870 0.353452 0.206915 3 Borghi 7/8 7 7 1916 0.185494 0.188337 4 Castrocaro Terme e Terra del Sole 9/10 8 8 1428, 1661, 1870 0.673489 0.209598 5 Cesena 8 8 8 1483 0.256053 0.205344 6 Cesenatico 8 8 8 1875 0.256053 0.186397 7 Civitella di Romagna 9/10 9 9 1661 0.673489 0.210098 8 Dovadola 9/10 8 8 1661 0.673489 0.210507 9 Forlì 8/9 8 8 1781 0.353452 0.20823 10 Forlimpopoli 8/9 7 7 1870, 1916 0.353452 0.205782 11 Galeata 9/10 9 9 1661, 1768 0.673489 0.210325 12 Gambettola 8 5 5 1909, 1916, 1997 0.256053 0.190425 13 Gatteo 7/8 7 7 1916 0.185494 0.186776 14 Longiano 7/8 7 7 1916 0.185494 0.19259 15 Meldola 8/9 8 8 1661, 1870 0.353452 0.209333 16 Mercato Saraceno 8 8 8 1661 0.256053 0.205112 17 Modigliana 9/10 8 8 1661, 1781, 1918 0.673489 0.210498 18 Montiano 8 6/7 6/7 1870 0.256053 0.194129 19 Portico e San Benedetto 9/10 8 8 1661 0.673489 0.209759 20 Predappio 9/10 8 8 1661 0.673489 0.210299 21 Premilcuore 9/10 8 8 1661, 1918 0.673489 0.210083 22 Rocca San Casciano 10 10 10 1661 0.929674 0.210573 23 Roncofreddo 8 7 7 1916, 1919 0.256053 0.200186 24 San Mauro Pascoli 7/8 7 7 1916 0.185494 0.185575 25 Santa Sofia 9/10 9 9 1768, 1918 0.673489 0.209336 26 Sarsina 9 7/8 7/8 1918 0.487900 0.20817 27 Savignano sul Rubicone 7/8 7 7 1916 0.185494 0.187714 28 Sogliano al Rubicone 7/8 6/7 6/7 1919 0.185494 0.197193 29 Tredozio 9/10 8 8 1661 0.673489 0.210526 30 Verghereto 9/10 8/9 8/9 1918 0.673489 0.209533

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MODENA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Bastiglia 8 5 5 1996 0.256053 0.157921 2 Bomporto 8 5 5 1971, 1996, 2012 0.256053 0.159657 3 Campogalliano 8 7 7 1832 0.256053 0.161536 4 Camposanto 8 6 6/7 2012 0.256053 0.154605 5 Carpi 8 (HD) 7 HD 1117 0.376991 0.157091 6 Castelfranco Emilia 8 6 6 1929 0.256053 0.16418 7 Castelnuovo Rangone 8/9 5/6 5/6 1929 0.353452 0.164333 8 Castelvetro di Modena 9 9 9 1501 0.487900 0.163364 9 Cavezzo 8 5/6 8 2012 0.256053 0.151619 10 Concordia sulla Secchia 8 7 7/8 2012 0.256053 0.138134 11 Fanano 7 7 7 1740, 1904, 1914 0.134378 0.196394 12 Finale Emilia 7/8 7 7/8 1639 0.185494 0.153403 13 Fiorano Modenese 9 7/8 7/8 1501 0.487900 0.163589 14 Fiumalbo 8 7 7 1920 0.256053 0.201399 15 Formigine 8/9 8/9 8/9 1501 0.353452 0.164501 16 Frassinoro 9 8 8 1920 0.487900 0.203474 17 Guiglia 7/8 6 6 1920 0.185494 0.160321 18 Lama Mocogno 8 8 8 1920 0.256053 0.177122 19 Maranello 9 9 9 1501 0.487900 0.163715 20 Marano sul Panaro 8 7/8 7/8 1501 0.256053 0.161568 21 Medolla 8 6 D 2012 0.256053 0.152412 22 Mirandola 8 6 7/8 2012 0.256053 0.14786 23 Modena 8 7/8 7/8 1249, 1501 0.256053 0.163453 24 Montecreto 7/8 7/8 7/8 1501 0.185494 0.175342 25 8 7/8 7/8 1920 0.256053 0.169613 26 Montese 7/8 (8) 8 8 1399 0.256053 0.172834 27 Nonantola 8 (HD) 6 HD 1117 0.376991 0.161828 28 Novi di Modena 8 5/6 7/8 2012 0.256053 0.151693 29 Palagano 8 4/5 4/5 1983, 2000 0.256053 0.180384 30 Pavullo nel Frignano 7/8 7 7 1920, 1937 0.185494 0.161938 31 Pievepelago 8 8 8 1920 0.256053 0.201907 32 Polinago 8 7/8 7/8 1920 0.256053 0.160872 33 Prignano sulla Secchia 8 6 7 1811 0.256053 0.160319 34 Ravarino 8 5 5 1909, 1971, 2012 0.256053 0.157528 35 Riolunato 8 6 6/7 1740 0.256053 0.195936 36 San Cesario sul Panaro 8 5 5 1996 0.256053 0.163794 37 San Felice sul Panaro 8 6 7 2012 0.256053 0.152921 38 San Possidonio 8 6 D 2012 0.256053 0.146904 39 San Prospero 8 6 D 2012 0.256053 0.155779 40 Sassuolo 9 9 9 1501 0.487900 0.163207 41 Savignano sul Panaro 7/8 6 6 1929 0.185494 0.164001 42 Serramazzoni 8 6 6 1995 0.256053 0.161175 43 Sestola 7/8 6/7 6/7 1920 0.185494 0.182751 44 Soliera 8 6 6 1928 0.256053 0.159354 45 Spilamberto 8 5/6 5/6 1909 0.256053 0.163927 1904, 1914, 1920, 46 Vignola 8 6 6 0.256053 0.163928 1929, 1983 47 Zocca 7/8 7 7 1869 0.185494 0.160384

PARMA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Albareto 8 7 7 1834 0.256053 0.200043 2 Bardi 8 7 7 1985 0.256053 0.194234 3 Bedonia 7/8 7 7 1834, 1920 0.185494 0.192811 4 Berceto 8 7 7 1834 0.256053 0.19654 5 Bore 7 7 7 1971 0.134378 0.154874 6 Borgo Val di Taro 9 9 9 1834 0.487900 0.202229 7 Busseto 8 6 6 1920, 1983 0.256053 0.130547 8 Calestano 7/8 6/7 6/7 1920 0.185494 0.166643 9 Collecchio 8 6/7 6/7 1983 0.256053 0.156511 10 Colorno 8 6/7 6/7 1971 0.256053 ≤0.125 82

11 Compiano 8 7 7 1834 0.256053 0.19763 12 Corniglio 8 7 7 1920 0.256053 0.199426 13 Felino 8 7 7 1898, 2008 0.256053 0.157268 14 Fidenza 8 7/8 7/8 1438 0.256053 0.15529 15 Fontanellato 8 7 7 1971 0.256053 0.149367 16 Fontevivo 8 7 7 1971 0.256053 0.148256 17 Fornovo di Taro 7/8 7 7 1971 0.185494 0.159617 18 Langhirano 7/8 7/8 7/8 1818, 1898 0.185494 0.160439 19 Lesignano de' Bagni 7/8 7 7 1818, 1832, 1898 0.185494 0.157848 20 Medesano 8 6/7 6/7 1920, 1971 0.256053 0.157055 21 Mezzani 8 6/7 6/7 1983 0.256053 ≤0.125 22 Monchio delle Corti 8 7/8 7/8 1920 0.256053 0.201358 23 Montechiarugolo 8 7 7 1971 0.256053 0.155758 24 Neviano degli Arduini 8 8 8 1920 0.256053 0.163124 25 Noceto 8 8 8 1971 0.256053 0.155413 26 Palanzano 8 7 7 1920 0.256053 0.197444 27 Parma 8 8 8 1117, 1438, 1971 0.256053 0.156318 28 Pellegrino Parmense 7/8 6 6 1920 0.185494 0.15635 29 Polesine Parmense (Polesine Zibello) 8 6 6 1983 0.256053 ≤0.125 30 Roccabianca 8 6 6 1983 0.256053 ≤0.125 1832, 1834, 1898, 31 Sala Baganza 8 7 7 0.256053 0.156961 1971 32 Salsomaggiore Terme 8 6 6 1983 0.256053 0.154967 33 San Secondo Parmense 8 6/7 6/7 1971 0.256053 ≤0.125 34 Sissa (Sissa Trecasali) 8 7 7 1971 0.256053 ≤0.125 35 Solignano 7/8 6 6 1983 0.185494 0.168569 36 Soragna 8 7 7 1971 0.256053 0.137368 37 Sorbolo 8 8 7/8 1831, 1971 0.256053 ≤0.125 38 Terenzo 7/8 7 7 1832 0.185494 0.16535 39 Tizzano Val Parma 7/8 7 7 1920 0.185494 0.174544 40 Tornolo 7/8 5/6 5/6 1927, 1928 0.185494 0.191976 41 Torrile 8 7 7 1971 0.256053 ≤0.125 42 Traversetolo 8 7 7 1832 0.256053 0.157597 43 Trecasali (Sissa Trecasali) 8 7 7 1971 0.256053 0.125531 44 Valmozzola 8 7 7 1834 0.256053 0.189 45 Varano de' Melegari 7/8 6/7 6/7 1971 0.185494 0.158849 46 Varsi 7/8 5 5 1834 0.185494 0.182024 47 Zibello (Polesine Zibello) 8 5/6 6 1983 0.256053 ≤0.125

PIACENZA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Agazzano 7/8 3 4 1910 0.185494 ≤0.125 2 Alseno 8 4/5 4/5 1991 0.256053 0.146708 3 Besenzone 8 5 5 1991 0.256053 ≤0.125 4 Bettola 7 6 5/6 1980 0.134378 0.133822 5 Bobbio 6/7 6 6 1828 0.097348 ≤0.125 6 Borgonovo Val Tidone 7/8 4 5 1980 0.185494 ≤0.125 7 Cadeo 8 6 6 1951 0.256053 ≤0.125 8 Calendasco 8 0.256053 ≤0.125 9 Caminata (Alta Val Tidone) 6/7 (7) 5 1910 0.134378 ≤0.125 10 Caorso 8 6/7 6 1951 0.256053 ≤0.125 11 Carpaneto Piacentino 8 6/7 6 1951, 1980 0.256053 ≤0.125 12 Castel San Giovanni 7/8 6/7 6 1951 0.185494 ≤0.125 13 Castell'Arquato 8 (HD) 7 HD 1117 0.376991 0.141927 14 Castelvetro Piacentino 8 3 3 1991 0.256053 ≤0.125 15 Cerignale 6 4 1972, 2005 0.070523 ≤0.125 16 Coli 6/7 6 5/6 1882 0.097348 ≤0.125 17 Corte Brugnatella 6 5 4 2005 0.070523 ≤0.125 18 Cortemaggiore 8 6/7 6 1951 0.256053 ≤0.125 19 Farini 7 5 5 1954, 1975 0.134378 0.150776 20 Ferriere 7 5/6 5/6 1920, 1927 0.134378 0.149196 21 Fiorenzuola d'Arda 8 6 6 1951, 1983 0.256053 0.129308 22 Gazzola 7/8 4/5 1983 0.185494 ≤0.125 83

23 Gossolengo 7/8 5 5 1951 0.185494 ≤0.125 24 Gragnano Trebbiense 7/8 0.185494 ≤0.125 25 Gropparello 7/8 3/4 4 1910 0.185494 0.126225 26 Lugagnano Val d'Arda 7/8 6/7 6 1980 0.185494 0.133402 27 Monticelli d'Ongina 8 6 6 1951 0.256053 ≤0.125 28 Morfasso 7 6/7 6/7 1980 0.134378 0.157897 29 Nibbiano (Alta Val Tidone) 7 5 1980 0.134378 ≤0.125 30 Ottone 5/6 5/6 5/6 1882, 1927 0.051089 ≤0.125 31 Pecorara (Alta Val Tidone) 6/7 (7) 5 1910 0.134378 ≤0.125 32 Piacenza 8 8 8 1117 0.256053 ≤0.125 33 Pianello Val Tidone 7 4 4 1927 0.134378 ≤0.125 34 Piozzano 7 0.134378 ≤0.125 35 Podenzano 8 5 5 1951 0.256053 ≤0.125 36 Ponte dell'Olio 7/8 5 5 1910, 1975 0.185494 ≤0.125 37 Pontenure 8 6 6 1951 0.256053 ≤0.125 38 Rivergaro 7/8 5 5 1910, 1951 0.185494 ≤0.125 39 Rottofreno 7/8 0.185494 ≤0.125 40 San Giorgio Piacentino 8 5 5 1910, 1951 0.256053 ≤0.125 41 San Pietro in Cerro 8 4/5 4/5 1991 0.256053 ≤0.125 42 Sarmato 7/8 6/7 6 1951 0.185494 ≤0.125 43 Travo 7 3 3 2005 0.134378 ≤0.125 44 Vernasca 7/8 6/7 6 1980 0.185494 0.146938 45 Vigolzone 7/8 3 5 1910 0.185494 ≤0.125 46 Villanova sull'Arda 8 5 5 1983 0.256053 ≤0.125 47 Zerba 5/6 0.051089 ≤0.125 48 Ziano Piacentino 7 4 4 2003 0.134378 ≤0.125

RAVENNA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Alfonsine 8 5/6 5 1909, 1911, 1916 0.256053 0.163355 2 Bagnacavallo 8/9 8/9 8/9 1688 0.353452 0.184646 3 Bagnara di Romagna 8/9 6/7 6/7 1688 0.353452 0.197175 4 Brisighella 9/10 9/10 9/10 1781 0.673489 0.21054 5 Casola Valsenio 9 7/8 7/8 1725, 1879 0.487900 0.20989 6 Castel Bolognese 9 8 8 1781 0.487900 0.206385 7 Cervia 8/9 8/9 8/9 1483 0.353452 0.188003 8 Conselice 8 6 6 1688, 1967 0.256053 0.178822 9 Cotignola 9 9 9 1688 0.487900 0.197206 10 Faenza 9/10 9/10 9/10 1781 0.673489 0.20871 11 Fusignano 8 6 6 1688, 1967 0.256053 0.174651 12 Lugo 8/9 8 8 1688 0.353452 0.187387 13 Massa Lombarda 8 7 7 1688 0.256053 0.1859 14 Ravenna 8 (HD) 7/8 HD 1511 0.376991 0.192339 15 Riolo Terme 9 5/6 5/6 1874 0.487900 0.20918 16 Russi 8/9 8 8 1688 0.353452 0.189477 17 Sant'Agata sul Santerno 8 6 6 1688 0.256053 0.18325 18 Solarolo 9 8 8 1688 0.487900 0.201102

REGGIO EMILIA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Albinea 8 7 7 1971 0.256053 0.161278 2 Bagnolo in Piano 8 7/8 7/8 1831, 1832 0.256053 0.153044 3 Baiso 7/8 5 5 1983, 1996, 2008 0.185494 0.159941 4 Bibbiano 8 7 7 1831, 1971 0.256053 0.157486 5 Boretto 8 6/7 6/7 1806, 1971 0.256053 ≤0.125 6 Brescello 8 7 7 1806, 1832, 1971 0.256053 ≤0.125 7 Busana (Ventasso) 8 (9) 8 9 1920 0.487900 0.190835 8 Cadelbosco di Sopra 8 7/8 7/8 1832 0.256053 0.143562 9 Campagnola Emilia 8 7 7 1806, 1971 0.256053 0.144373 10 Campegine 8 7/8 7/8 1832 0.256053 0.137709 84

11 Canossa 7/8 6/7 6/7 1920 0.185494 0.159215 12 Carpineti 7/8 7 7 1904, 1920 0.185494 0.163438 13 Casalgrande 8 6 6 1987, 1996 0.256053 0.163511 14 Casina 7/8 4/5 D 2008 0.185494 0.158662 15 Castellarano 8 6 6 1904 0.256053 0.162283 16 Castelnovo di Sotto 8 7/8 7/8 1832 0.256053 0.127645 17 Castelnovo ne' Monti 8 8 8 1920 0.256053 0.173125 18 Cavriago 8 7 7 1971 0.256053 0.154871 19 Collagna (Ventasso) 9 8 9 1920 0.487900 0.203256 20 Correggio 8 7 7 1806, 1832, 1996 0.256053 0.160038 21 Fabbrico 8 6/7 6/7 1806 0.256053 0.139572 22 Gattatico 8 7 7 1832, 1971 0.256053 0.139091 23 Gualtieri 8 7/8 7/8 1832 0.256053 ≤0.125 24 Guastalla 8 7/8 7/8 1832 0.256053 ≤0.125 25 Ligonchio (Ventasso) 9 9 9 1920 0.487900 0.20114 26 Luzzara 8 7 7 1971 0.256053 ≤0.125 1915, 1971, 1983, 27 Montecchio Emilia 8 6 6 0.256053 0.154981 1987 28 Novellara 8 7 7 1806, 1810, 1831 0.256053 0.140297 29 Poviglio 8 6/7 6/7 1832, 1971 0.256053 ≤0.125 30 Quattro Castella 8 7 7 1831, 1971 0.256053 0.159233 31 Ramiseto (Ventasso) 8 (9) 8 9 1920 0.487900 0.199735 32 Reggio nell'Emilia 8 8 8 1547 0.256053 0.161255 33 Reggiolo 8 6/7 7 2012 0.256053 0.130072 34 Rio Saliceto 8 6 6 1953, 1987, 1996 0.256053 0.150276 35 Rolo 8 5/6 5/6 1996, 2012 0.256053 0.139335 36 Rubiera 8 (HD) 6/7 HD 1117 0.376991 0.162018 37 San Martino in Rio 8 7 7 1971 0.256053 0.16138 38 San Polo d'Enza 8 7 7 1831, 1832 0.256053 0.158208 39 Sant'Ilario d'Enza 8 6/7 6/7 1971 0.256053 0.146267 40 Scandiano 8 6/7 6/7 1832, 1873 0.256053 0.16306 41 Toano 8 7 7 1920 0.256053 0.170628 42 Vetto 8 7 7 1920 0.256053 0.166526 43 Vezzano sul Crostolo 8 6 6 1971, 1983, 2008 0.256053 0.159256 44 Viano 8 5/6 5/6 1996 0.256053 0.160386 45 Villa Minozzo 9 9 9 1920 0.487900 0.199375

RIMINI Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Bellaria-Igea Marina 8 7 7 1786 0.256053 0.183398 2 Casteldelci 9 6/7 6/7 1919 0.487900 0.203353 3 Cattolica 8 8 8 1916 0.256053 0.18398 4 Coriano 8 8 8 1672, 1786, 1916 0.256053 0.184236 5 Gemmano 8 7/8 7/8 1672, 1786, 1916 0.256053 0.181972 6 Maiolo 7/8 5/6 5/6 2000 0.185494 0.182598 7 Misano Adriatico 8 8 8 1786, 1916 0.256053 0.18453 8 Mondaino 8 8 8 1916 0.256053 0.183663 9 Monte Colombo (Montescudo-Monte Colombo) 8 8 8 1672, 1786, 1916 0.256053 0.184816 10 Montefiore Conca 8 7 7 1786, 1875, 1916 0.256053 0.184161 11 Montegridolfo 8 7 7 1786 0.256053 0.185225 12 Montescudo (Montescudo-Monte Colombo) 8 8 8 1672, 1786, 1916 0.256053 0.182815 13 Morciano di Romagna 8 8 8 1916 0.256053 0.184626 14 Novafeltria 7/8 7/8 6/7 1919 0.185494 0.189913 15 Pennabilli 8 7 7 1781, 1919 0.256053 0.197115 16 Poggio Berni (Poggio Torriana) 7/8 6 7/8 1786 0.185494 0.185234 17 Riccione 8 8 8 1916 0.256053 0.184022 1672, 1786, 1875, 18 Rimini 8 8 8 0.256053 0.184531 1916 19 Saludecio 8 8 8 1916 0.256053 0.18539 20 San Clemente 8 8 8 1786, 1916 0.256053 0.184769 21 San Giovanni in Marignano 8 8 8 1916 0.256053 0.184474 22 San Leo 7/8 6/7 7 1786 0.185494 0.180396 23 Sant'Agata Feltria 8 7 7 1781 0.256053 0.196709 85

24 Santarcangelo di Romagna 7/8 7 7 1916 0.185494 0.186409 25 Talamello 7/8 5/6 5/6 2000 0.185494 0.186171 26 Torriana (Poggio Torriana) 7/8 7/8 7/8 1786 0.185494 0.182774 27 Verucchio 7/8 6/7 6/7 1786 0.185494 0.184076

86

MARCHE

ANCONA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Agugliano 7/8 7 7 1930, 1972 0.185494 0.183579 1269, 1690, 1930, 2 Ancona 8/9 8 8 0.353452 0.182759 1972 3 Arcevia 8/9 7/8 7/8 1279 0.353452 0.177204 4 Barbara 8 6 6 1930, 1972 0.256053 0.181873 5 Belvedere Ostrense 7/8 7/8 7/8 1741 0.256053 0.185198 6 Camerano 8/9 7 7 1741, 1930, 1972 0.353452 0.180549 7 Camerata Picena 8 7/8 7/8 1930 0.256053 0.183124 8 Castelbellino 7/8 7/8 7/8 1741 0.185494 0.180545 9 Castel Colonna (Trecastelli) 7/8 (8) 7 8 1741 0.256053 0.184821 10 Castelfidardo 8 7 7 1930 0.256053 0.182431 11 Castelleone di Suasa 7/8 7 7 1972 0.185494 0.181611 12 Castelplanio 8 6/7 6/7 1741 0.256053 0.178957 13 Cerreto d'Esi 9 7 7 1741 0.487900 0.17834 14 Chiaravalle 8 7 7 1930 0.256053 0.183229 15 Corinaldo 7/8 7 7 1897, 1972 0.185494 0.185688 16 Cupramontana 8 8 8 1741 0.256053 0.178906 17 Fabriano 9/10 9/10 9/10 1751 0.673489 0.210939 18 Falconara Marittima 8/9 7/8 7/8 1930 0.353452 0.182167 19 Filottrano 7/8 6/7 6/7 1972 0.185494 0.183834 20 Genga 9 8/9 8/9 1741 0.487900 0.175793 21 Jesi 7 7 7 1741, 1930 0.134378 0.184627 22 Loreto 7/8 7 7 1511, 1930 0.185494 0.181455 23 Maiolati Spontini 8 8 8 1741 0.256053 0.180495 24 Mergo 9 9 9 1741 0.487900 0.175421 25 Monsano 7 6 6 1930 0.134378 0.184003 26 Montecarotto 8 7/8 7/8 1741 0.256053 0.178976 27 Montemarciano 8/9 8 8 1930 0.353452 0.18334 28 Monterado (Trecastelli) 7/8 (8) 7/8 8 1741 0.256053 0.184765 29 Monte Roberto 7/8 7 7 1741 0.185494 0.180685 30 Monte San Vito 7/8 7 7 1741, 1930 0.185494 0.183871 31 Morro d'Alba 7/8 7/8 7/8 1741, 1972 0.185494 0.184437 32 Numana 8/9 8 8 1269, 1930 0.353452 0.179472 33 Offagna 7/8 7 7 1930 0.185494 0.182805 34 Osimo 8 8 8 1741, 1972 0.256053 0.183589 35 Ostra 7/8 7 7 1930, 1972 0.256053 0.185007 36 Ostra Vetere 7/8 7/8 7/8 1741 0.185494 0.185285 37 Poggio San Marcello 8 6/7 6/7 1997 0.256053 0.177945 38 Polverigi 7/8 7 7 1930, 1972 0.185494 0.183628 39 Ripe (Trecastelli) 8 8 8 1741 0.256053 0.185035 40 Rosora 8/9 7 7 1741 0.353452 0.175751 41 San Marcello 7/8 7 7 1972 0.185494 0.184459 42 San Paolo di Jesi 7/8 6 6 1979 0.185494 0.178012 43 Santa Maria Nuova 7 7 7 1741 0.134378 0.183693 1741, 1747, 1781, 44 Sassoferrato 8/9 7/8 7 0.353452 0.185603 1897,1930 45 Senigallia 8/9 8/9 8/9 1930 0.353452 0.185 46 Serra de' Conti 8 6 6 1930 0.256053 0.178771 47 Serra San Quirico 9 9 9 1741 0.487900 0.175285 48 Sirolo 8/9 8/9 8/9 1690 0.353452 0.177789 49 Staffolo 7/8 6 6 1930, 1951, 1979 0.185494 0.177679

ASCOLI PICENO Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Acquasanta Terme 9 8 7 1943, 2016 0.487900 0.237262 2 Acquaviva Picena 7/8 7/8 7/8 1972 0.185494 0.179013 3 Appignano del Tronto 8/9 8 7/8 1943 0.353452 0.176924 4 Arquata del Tronto 10 (11) 9 11 * 2016 1.771458 0.255879 87

5 Ascoli Piceno 8/9 7/8 7/8 1972 0.353452 0.196392 6 Carassai 7 7 D 1943 0.134378 0.178037 7 Castel di Lama 8 8 7 1943 0.256053 0.176848 8 Castignano 9 9 9 1943 0.487900 0.177333 9 Castorano 8 8 8 1943 0.256053 0.176495 10 Colli del Tronto 8 8 7 1943 0.256053 0.17644 11 Comunanza 8/9 7 6 * 2016 0.353452 0.197647 12 Cossignano 7/8 7/8 7/8 1915 0.185494 0.176415 13 Cupra Marittima 7 7 7 1882 0.134378 0.181261 14 Folignano 8 8 7/8 1943 0.256053 0.179583 15 Force 8 8 6/7 1943 0.256053 0.180259 16 Grottammare 7 7 7 1882 0.134378 0.180174 17 Maltignano 8 8 7 1943 0.256053 0.177627 18 Massignano 7 7 6/7 1943 0.134378 0.181312 19 Monsampolo del Tronto 7/8 7/8 6/7 1943 0.185494 0.177394 20 Montalto delle Marche 8 8 8 1943 0.256053 0.176782 21 Montedinove 8 7 6 1943,1997 0.256053 0.176596 22 Montefiore dell'Aso 7 6 6 1943 0.134378 0.1823 23 Montegallo 9/10 7 9 * 2016 0.673489 0.231336 24 Montemonaco 10 6 7/8 * 2016 0.929674 0.228974 25 Monteprandone 7/8 7/8 7/8 1480 0.185494 0.178314 26 Offida 8 8 7/8 1943 0.256053 0.176961 27 Palmiano 8 7 7 1951 0.256053 0.183902 28 Ripatransone 7 7 6/7 1943 0.134378 0.179926 29 Roccafluvione 8/9 7 6/7 1915, 1943, 1997 0.353452 0.204409 30 Rotella 8 7 7 1943 0.256053 0.178854 31 San Benedetto del Tronto 7 7 7 1882 0.134378 0.178509 32 Spinetoli 7/8 7 6/7 1943 0.185494 0.176637 33 Venarotta 8 7 7 1943 0.256053 0.186268

FERMO Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Altidona 7 6 6 1972 0.134378 0.181397 2 Amandola 8/9 7 7 1799, 1873 0.353452 0.193575 3 Belmonte Piceno 7 7 6 1943 0.134378 0.175363 4 Campofilone 7 7 7 1987 0.134378 0.181671 5 Falerone 7 7 D * 2016 0.134378 0.175679 6 Fermo 7 7 6/7 1540 0.134378 0.182729 7 Francavilla d'Ete 7 7 6/7 1943 0.134378 0.176231 8 Grottazzolina 7 6 5/6 1943 0.134378 0.177531 9 Lapedona 7 7 7 1987 0.134378 0.182579 10 Magliano di Tenna 7/8 7/8 6/7 1943 0.185494 0.177481 11 Massa Fermana 7/8 7 6/7 1943 0.185494 0.174783 12 Monsampietro Morico 7 7 6 1943, 1987, 1997 0.134378 0.175719 13 Montappone 7/8 7 6/7 1943, 1997 0.185494 0.174942 14 Monte Giberto 7 7 6 1943, 1987 0.134378 0.178628 15 Monte Rinaldo 7/8 6/7 6/7 1943 0.185494 0.200793 16 Monte San Pietrangeli 8 8 8 1972 0.256053 0.176685 17 Monte Urano 7 7 6 1930, 1987 0.134378 0.177161 18 Monte Vidon Combatte 7 7 7 1915 0.134378 0.183147 19 Monte Vidon Corrado 7 7 6/7 1943 0.134378 0.175802 20 Montefalcone Appennino 8 6/7 6/7 1943 0.256053 0.176266 21 Montefortino 9 8 8 1972 0.487900 0.175906 22 Montegiorgio 7 7 6/7 1741, 1930, 1943 0.134378 0.180822 23 Montegranaro 7 6 5/6 1943, 1997 0.134378 0.179572 24 Monteleone di Fermo 7 7 6 1943 0.134378 0.182951 25 Montelparo 7/8 7 6 1943, 1997 0.185494 0.176377 26 Monterubbiano 7 6/7 6 1987 0.134378 0.174919 27 Montottone 7 6 6 1943 0.134378 0.175943 28 Moresco 7 6 6 1987 0.134378 0.182587 29 Ortezzano 7/8 6/7 D 1943 0.185494 0.175968 30 Pedaso 7 6/7 6/7 1987 0.134378 0.181045 31 Petritoli 7 7 6 1943, 1997 0.134378 0.178297 88

32 Ponzano di Fermo 7 7 6 1943, 1987 0.134378 0.178816 33 Porto San Giorgio 7 7 7 1987 0.134378 0.181123 34 Porto Sant'Elpidio 7 6 6 1987 0.134378 0.182229 35 Rapagnano 7 6/7 6 1943 0.353452 0.179472 36 Sant'Elpidio a Mare 7 7 6 1943, 1972,1987 0.185494 0.177441 37 Santa Vittoria in Matenano 7/8 7/8 6/7 1915, 1943 0.185494 0.183155 38 Servigliano 7/8 7 6/7 1943 0.185494 0.175961 39 Smerillo 8 7 5/6 1997, 2016 0.256053 0.179489 40 Torre San Patrizio 7 7 6 1972, 1987 0.134378 0.181137

MACERATA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Acquacanina (Fiastra) 9 (9/10) 6 9/10 * 2016 0.673489 0.205333 2 Apiro 9 8 HD 1799 0.487900 0.175022 3 Appignano 7/8 6/7 6/7 1741 0.185494 0.179931 4 Belforte del Chienti 9 8/9 8/9 1799 0.487900 0.177434 5 Bolognola 9 7 7 1951 0.487900 0.201625 6 Caldarola 9 8 8 1799 0.487900 0.183977 7 Camerino 9 9 9 1799 0.487900 0.217273 8 Camporotondo di Fiastrone 9 6/7 6/7 1936, 1997, 2016 0.487900 0.177971 9 Castelraimondo 9 9 9 1799 0.487900 0.191946 10 Castelsantangelo sul Nera 10(10/11) 7 10/11 * 2016 1.283308 0.248649 11 Cessapalombo 9/10 9/10 9/10 1799 0.673489 0.18646 12 Cingoli 8 7/8 7/8 1279, 1741 0.256053 0.179386 13 Civitanova Marche 7 6 6 1930, 1972, 1987 0.134378 0.182742 14 Colmurano 8/9 6/7 6/7 1741 0.353452 0.175197 15 Corridonia 7/8 7 7 1741 0.185494 0.18129 16 Esanatoglia 9 7 7 1612, 1747, 1799 0.487900 0.190498 17 Fiastra (Fiastra) 9 (9/10) 8 9/10 * 2016 0.673489 0.214497 18 Fiordimonte (Valfornace) 9 7/8 8 * 2016 0.487900 0.224718 19 Fiuminata 10 8 8 1997 0.929674 0.229298 20 Gagliole 9 6/7 6/7 1997 0.487900 0.181036 21 Gualdo 8/9 8 8 1799 0.353452 0.179117 22 Loro Piceno 8 6/7 6 1943, 1972, 1997 0.256053 0.175067 1626, 1741, 1809, 23 Macerata 7/8 7 7 0.185494 0.182801 1951 24 Matelica 9 7/8 7/8 1279 0.487900 0.187602 25 Mogliano 7/8 6/7 6 1943 0.185494 0.176291 26 Montecassiano 7/8 6/7 6/7 1930 0.185494 0.18316 27 Monte Cavallo 10 7/8 7/8 1997 0.929674 0.240111 28 Montecosaro 7 5 5 1997 0.134378 0.183279 29 Montefano 7/8 7 7 1741 0.185494 0.183325 30 Montelupone 7 7 6 1930, 1943, 1997 0.134378 0.183231 31 Monte San Giusto 7 6/7 6/7 1741, 1943, 1997 0.134378 0.181913 32 Monte San Martino 8 7/8 7/8 1972 0.256053 0.178422 33 Morrovalle 7 6/7 6/7 1741, 1930 0.134378 0.182996 34 Muccia 9/10 8 8 1799, 2016 0.673489 0.227408 1873, 1943, 1979, 35 Penna San Giovanni 8 6/7 6 0.256053 0.177959 1997 36 Petriolo 7/8 6/7 6/7 1997 0.185494 0.175472 37 Pievebovigliana (Valfornace) 9 7/8 8 * 2016 0.487900 0.213637 38 Pieve Torina 9/10 (10) 7/8 10 * 2016 0.929674 0.23653 39 Pioraco 9 8 8 1799 0.487900 0.199806 40 Poggio San Vicino 9 6 6 1997 0.487900 0.173917 41 Pollenza 8 6 6 1997 0.256053 0.175209 42 Porto Recanati 8 6 6 1930, 1972 0.256053 0.180654 43 Potenza Picena 7 6 6 1943, 1987 0.134378 0.182839 44 Recanati 7/8 7 7 1741 0.185494 0.183162 45 Ripe San Ginesio 8/9 6 5/6 1943, 1997, 2016 0.353452 0.175439 46 San Ginesio 9 9 9 1799, 1873 0.487900 0.18484 47 San Severino Marche 9 9 9 1799 0.487900 0.176497 48 Sant'Angelo in Pontano 8 6/7 6 1943, 1987, 1997 0.256053 0.176182 49 Sarnano 9 8/9 8/9 1799 0.487900 0.195668 89

50 Sefro 9/10 7 7 1997 0.673489 0.222182 51 Serrapetrona 9 9 9 1799 0.487900 0.179625 52 Serravalle di Chienti 10 10 10 1279 0.929674 0.241545 53 Tolentino 8/9 7 7 1951 0.353452 0.175652 54 Treia 8 7 7 1972 0.256053 0.177249 55 Urbisaglia 8 6 5/6 1943, 1997 0.256053 0.174779 56 Ussita 9/10 7 9 * 2016 0.673489 0.242372 57 Visso 10 10 10 1703 0.929674 0.249776

PESARO - URBINO Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP Da PSHA 1 Acqualagna 9/10 9/10 9/10 1781 0.673489 0.177562 2 Apecchio 10 9 9 1389, 1781 0.929674 0.215452 3 Auditore 8 8 8 1672 0.256053 0.17722 4 Barchi (Terre Roveresche) 8 7 7/8 1916 0.256053 0.185676 5 Belforte all'Isauro 8 7 7 1781 0.256053 0.181653 6 Borgo Pace 9 6 6 1897 0.487900 0.225656 7 Cagli 10 9/10 9/10 1781 0.929674 0.198413 8 Cantiano 9 9 9 1781 0.487900 0.202758 9 Carpegna 7/8 5 5 1987, 1997 0.185494 0.180465 10 Cartoceto 7/8 7 7 1916, 1930 0.185494 0.185295 11 Colbordolo (Vallefoglia) 8 7/8 7/8 1916, 1930 0.256053 0.186114 12 Fano 8 8 8 1303 0.256053 0.184631 13 Fermignano 8/9 7 7 1727, 1781 0.487900 0.176005 14 Fossombrone 8/9 8/9 8/9 1781 0.353452 0.182977 15 Fratte Rosa 8/9 8/9 8/9 1741, 1781 0.353452 0.180808 16 Frontino 8 7 7 1781 0.256053 0.180238 17 Frontone 9 8 8 1781 0.487900 0.178478 18 Gabicce Mare 8 8 8 1916 0.256053 0.183413 19 Gradara 8 8 8 1916 0.256053 0.184281 20 Isola del Piano 8 7 7 1781 0.256053 0.182316 21 Lunano 8 7/8 7/8 1781 0.256053 0.176972 22 Macerata Feltria 8 5 5 1997, 2000 0.256053 0.17521 23 Mercatello sul Metauro 9 8/9 8/9 1781 0.487900 0.204935 24 Mercatino Conca 8 5 5 2000 0.256053 0.177717 25 Mombaroccio 7/8 7 7 1672, 1916, 1930 0.185494 0.185308 26 Mondavio 8 7 7 1781, 1930 0.256053 0.185625 27 Mondolfo 8 8 8 1930 0.256053 0.183941 28 Montecalvo in Foglia 8 5 5 1948, 1997 0.256053 0.181621 29 Monte Cerignone 7/8 4 4 1948, 1987 0.185494 0.175657 30 7/8 7 7 1875, 1916 0.185494 0.185393 31 Montecopiolo 7/8 5 5 1987, 1990 0.185494 0.177811 32 Montefelcino 7/8 6/7 6/7 1781 0.185494 0.185019 33 Monte Grimano Terme 7/8 5 5 1998 0.256053 0.177069 34 Montelabbate 8 7/8 7 1875, 1916 0.256053 0.185245 35 Montemaggiore al Metauro () 7/8 3/4 7 1916, 1930 0.185494 0.18584 36 Monte Porzio 7/8 6/7 6/7 1930 0.185494 0.185199 37 Orciano di Pesaro (Terre Roveresche) 7/8 (8) 6/7 7/8 1916 0.256053 0.186135 38 Peglio 9 7 7 1781 0.487900 0.17874 39 Pergola 8/9 8/9 8/9 1781 0.353452 0.177295 40 Pesaro 8 8 8 1916 0.256053 0.185397 41 Petriano 8 7 7 1916 0.256053 0.180812 42 Piagge (Terre Roveresche) 7/8 (8) 5/6 7/8 1916 0.256053 0.185283 43 Piandimeleto 8 7 7 1781 0.256053 0.18161 44 Pietrarubbia 8 5 5/6 1989 0.256053 0.177353 45 Piobbico 10 10 10 1781 0.929674 0.186116 46 Saltara (Colli al Metauro) 7/8 7 7 1916, 1930 0.185494 0.185464 47 San Costanzo 8 8 8 1930 0.256053 0.184644 48 San Giorgio di Pesaro (Terre Roveresche) 7/8 (8) 7/8 7/8 1916 0.256053 0.185276 49 San Lorenzo in Campo 8 7/8 7/8 1741, 1781 0.256053 0.181305 50 Sant'Angelo in Lizzola (Vallefoglia) 8 7/8 7/8 1916, 1930 0.256053 0.185519 51 Sant'Angelo in Vado 10 9 10 1781 0.929674 0.192131 52 Sant'Ippolito 8/9 8/9 8/9 1781 0.353452 0.183009 90

53 Sassocorvaro 8 7 7 1781 0.256053 0.175849 54 Sassofeltrio 8 4 4/5 1984 0.256053 0.178747 55 Serra Sant'Abbondio 8/9 8/9 8/9 1781 0.353452 0.178677 56 Serrungarina (Colli al Metauro) 7/8 7 7 1916, 1930 0.185494 0.185673 57 Tavoleto 8 4/5 4/5 1997, 1998, 2000 0.256053 0.179491 58 Tavullia 8 7 7 1916 0.256053 0.184988 59 Urbania 10 10 10 1781 0.929674 0.177055 60 Urbino 8/9 8 8 1741 0.353452 0.181062

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UMBRIA

PERUGIA Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Assisi 10 9 9 1832 0.929674 0.234009 2 Bastia Umbra 9/10 9 9 1832 0.673489 0.224119 3 Bettona 9/10 8 8 1832 0.673489 0.211402 4 Bevagna 10 9 9 1832 0.929674 0.218275 5 Campello sul Clitunno 10 8 8 1838 0.929674 0.242816 6 Cannara 10 10 10 1832 0.929674 0.221333 7 Cascia 10/11 10/11 10/11 1703 1.283308 0.258557 8 Castel Ritaldi 10 8 8 1832,1878 0.929674 0.220998 9 Castiglione del Lago 7 5 5 1984,1997,1998 0.134378 0.154308 10 Cerreto di Spoleto 10 9 9 1328,1703 0.929674 0.252369 11 Citerna 9/10 9 9 1917 0.673489 0.223917 12 Città della Pieve 7 7 7 1861 0.134378 0.149721 13 Città di Castello 9/10 9 9 1789,1917 0.673489 0.229104 14 Collazzone 9 7/8 7/8 1832 0.487900 0.177781 15 Corciano 7/8 6 D 1919 0.185494 0.190959 16 Costacciaro 8 7/8 7/8 1751 0.256053 0.213095 17 Deruta 9 8 8 1832 0.487900 0.183305 18 Foligno 10 10 10 1832 0.929674 0.240833 19 Fossato di Vico 9/10 8/9 8/9 1747 0.673489 0.222955 20 Fratta Todina 8/9 5 5 1832,1979,1997 0.353452 0.159706 21 Giano dell’Umbria 9/10 6/7 6/7 1918 0.673489 0.199727 22 Gualdo Cattaneo 9/10 7 7 1703 0.673489 0.199387 23 Gualdo Tadino 10 10 10 1751 0.929674 0.232746 24 Gubbio 8/9 8 HD 1730,1984 0.353452 0.232472 25 Lisciano Niccone 7 6 6 1997 0.134378 0.172665 26 Magione 7 6 6 1969 0.134378 0.187459 27 Marsciano 8 7 7 1969,2009 0.256053 0.167739 28 Massa Martana 9 7 7 1597,1703,1997 0.487900 0.175729 29 Monte Castello di Vibio 8/9 5/6 5/6 1997 0.353452 0.158628 30 Monte Santa Maria Tiberina 9/10 9 9 1352,1917 0.929674 0.220727 31 Montefalco 10 8 HD 1878 0.929674 0.254129 32 Monteleone di Spoleto 10 10 10 1298,1703 0.673489 0.215618 33 Montone 8/9 7/8 7/8 1458 0.353452 0.231175 34 Nocera Umbra 10 9 9 1279,1747,1751 0.929674 0.23539 35 Norcia 11 11 11 1703 1.771458 0.258918 36 Paciano 7 6 6 1969 0.134378 0.151289 37 Panicale 7 6/7 6/7 1861,1969 0.134378 0.154529 38 Passignano sul Trasimeno 7 5/6 5/6 1997 0.134378 0.176864 39 Perugia 8 8 8 1832 0.256053 0.230799 40 Piegaro 7 6/7 6/7 1940 0.134378 0.155525 41 Pietralunga 9 9 9 1389 0.487900 0.23035 42 Poggiodomo 10 9 9 1703 0.929674 0.252057 43 Preci 10 10 10 1328,1703, 1730 0.929674 0.253013 44 San Giustino 9/10 9 9 1789 0.673489 0.228362 45 Sant’Anatolia di Narco 10 6/7 6/7 1979 0.929674 0.247469 46 Scheggia e Pascelupo 8 8 8 1751 0.256053 0.205087 47 Scheggino 10 7 7 1703, 1979 0.929674 0.240195 48 Sellano 10 10 10 1328 0.929674 0.246005 49 Sigillo 8/9 8 8/9 1747 0.353452 0.205927 50 Spello 10 8/9 8/9 1832 0.929674 0.233882 51 Spoleto 10 8 8 1277,1298,1703,1745 0.929674 0.237513 52 Todi 8/9 8 8 1832 0.353452 0.165676 53 Torgiano 9 6/7 6/7 1997 0.487900 0.204243 54 Trevi 10 8 HD 1962 0.929674 0.235277 55 Tuoro sul Trasimeno 7 5/6 5/6 1997 0.134378 0.162212 56 Umbertide 8/9 7 HD 1593 0.353452 0.224309 57 Valfabbrica 9/10 7/8 HD 1974, 1984 0.673489 0.233425 58 Vallo di Nera 10 8 8 1703 0.929674 0.247674 59 Valtopina 10 8 8 1997 0.929674 0.235646

92

TERNI Intensità massima PGA/g PGA/g Anno N° Comuni NP DBMI-11 DBMI-15 da NP da PSHA 1 Acquasparta 9 7/8 HD 1997 0.487900 0.177666 2 Allerona 7/8 6 6 1957 0.185494 0.144454 3 Alviano 7/8 5/6 D 1978 0.185494 0.148152 4 Amelia 8 7 7 1915 0.256053 0.154197 5 Arrone 10 8/9 8/9 1785 0.929674 0.210865 6 Attigliano 7 4/5 4/5 1997 0.134378 0.145377 7 Avigliano Umbro 8/9 5/6 5/6 1997 0.353452 0.157026 8 Baschi 8 5/6 6 1971 0.256053 0.153293 9 Calvi dell’Umbria 8 6 D 1960 0.256053 0.15411 10 Castel Giorgio 8 7/8 7/8 1957 0.256053 0.144105 11 Castel Viscardo 8 6/7 6/7 1957 0.256053 0.14435 12 Fabro 7/8 6/7 6/7 1861 0.185494 0.146324 13 Ferentillo 10 7/8 7/8 1785 0.929674 0.235098 14 Ficulle 8 5/6 5/6 1940 0.256053 0.147156 15 Giove 7 5 5 1979 0.134378 0.144743 16 Guardea 8 5 5 1960, 1979, 1997 0.256053 0.153152 17 Lugnano in Teverina 7 5 6 1911 0.134378 0.148829 18 Montecastrilli 8/9 7 7 1915 0.353452 0.160486 19 Montecchio 8 4/5 4/5 1997, 1998 0.256053 0.152074 20 Montefranco 10 7 7 1785, 1915 0.929674 0.200509 21 Montegabbione 7 5 5 1997, 1998 0.134378 0.150453 22 Monteleone d’Orvieto 7 5/6 5/6 1940 0.134378 0.14788 23 Narni 8 7/8 7/8 1714 0.256053 0.160691 24 Orvieto 8/9 8/9 8/9 1276 0.353452 0.150119 25 Otricoli 8 6 6 1931, 1979, 1997 0.256053 0.154037 26 Parrano 7/8 6 6 1957 0.256053 0.148826 27 Penna in Teverina 7 5 5 1957, 1997 0.134378 0.144908 28 Polino 10 8 8 1703 0.929674 0.225163 29 Porano 8/9 7/8 7/8 1695 0.353452 0.144552 30 San Gemini 8/9 7 7 1751, 1753, 1978 0.353452 0.162003 31 San Venanzo 8 5/6 5/6 1985, 1997 0.256053 0.156194 32 Stroncone 8/9 7 7 1915 0.353452 0.169986 33 Terni 9 8/9 8/9 1785 0.487900 0.187076