DI (KR)

PIANO STRUTTURALE COMUNALE

DOCUMENTO PROGRAMMATICO PRELIMINARE (ex comma 2, art. 27, L. R. C. n. 19/2002)

Progettista responsabile Ing. Antonio Capobianco

Urbanista esperto Prof. Ing. Ferruccio Ferrigni

Collaboratori Arch. Caterina Curto Ing. Andrea Della Pietra Ing. Antonio Parlato

Assessore all’Urbanistica Responsabile del procedimento Sindaco Sig. Pietro Fontana Geom. Aldo Martino Ing. Salvatore Lonetto

Febbraio 2008

2

SOMMARIO Pag

Premessa 5

PARTE PRIMA

L’INTRODUZIONE

1.1 - LA PROCEDURA PARTECIPATIVA: STORIA E CARATTERI 7 1.2 - I RIFERIMENTI NORMATIVI 9 1.2.1 - L’ORDINAMENTO REGIONALE 9 1.3 - LO SVILUPPO SOSTENIBILE 21

PARTE SECONDA

L’ATTUALITÀ

2.1 - L’ASSETTO URBANISTICO 2.1.1 - IL QUADRO CONOSCITIVO 22 2.1.2 - LE CAPACITÀ INSEDIATIVE 23 2.1.2.1 - SETTORE RESIDENZIALE 23 2.1.2.2 - SETTORE PRODUTTIVO 23 2.1.2.3 - SETTORE INFRASTRUTTURALE 23

2.2 – L’ASSETTO STRUTTURALE 2.2.1 - IL TERRITORIO 2.2.1.1 - GENERALITÀ 24 2.2.1.2 - SPECIFICITÀ 24 2.2.2 - LA REALTÀ SOCIO-ECONOMICA 2.2.2.1 - POPOLAZIONE 2.2.2.1.1 - La dinamica insediativa nell’ultimo periodo 25 2.2.2.1.2 - La popolazione residente per classe di età 25 2.2.2.1.3 - Indicatori relativi la popolazione 26 2.2.2.1.4 - Popolazione residente per stato civile 26 2.2.2.1.5 - Numero di famiglie per numero di componenti 26 2.2.2.1.6 - Popolazione residente >6 anni per grado di istruzione 27 2.2.2.2 - EDIFICATO RESIDENZIALE 2.2.2.2.1 - Edifici ad uso abitativo per epoca di costruzione 27 2.2.2.2.2 - Edifici ad uso abitativo per numero di piani fuori terra 28 2.2.2.2.3 - Abitazioni per tipo di materiale usato per la struttura portante 28 2.2.2.2.4 -Abitazioni occupate da residenti per numero di stanze 29 2.2.2.2.5 - Abitazioni occupate per titolo di godimento 30 2.2.2.2.6 - Stanze eabitazioni occupate non occupate per destinazione d’uso 31 2.2.2.3 - ATTIVITÀ PRODUTTIVE 2.2.2.3.1 - Occupati per attività economica 32 2.2.2.3.2 - Occupati per classi di età 32 2.2.2.3.3 - Occupati per sezione di attività economica 33 2.2.2.3.4 - Ripartizione della superficie aziendale per utilizzazione 33 2.2.2.3.5 - Occupati in agricoltura per posizione nella professione 33 2.2.2.3.6 - Aziende agricole per classe di superficie totale 33 2.2.2.3.7 - Aziende agricole per categorie di produzione 33 2.2.2.3.8 - Aziende agricole con allevamenti 33

2.3 – L’IDENTITÀ STRUTTURALE DELL’AMBIENTE 2.3.1 – L’ASSETTO STRUTTURALE DEL TERRITORIO COMUNALE 34 2.3.2 - IL SISTEMA AMBIENTALE 34 2.3.3 - LE TUTELE 35 A - INTERNAZIONALI E COMUNITARIE 35 B - NAZIONALI E LOCALI 36

2.4 – L’IDENTITÀ STORICA E CULTURALE 2.4.1 - LA STRATIFICAZIONE DELL’INSEDIAMENTO TRA LEGGENDA E STORIA 36

3

PARTE TERZA

IL FUTURO

3.1 - IL SEGUITO DEL PERCORSO: I CRITERI DI REDAZIONE DEL PSC 3.1.1 - IL METODO DELLA TRASFORMAZIONE 36 3.1.2 - LE INNOVAZIONI TECNICHE 39 3.1.3 - LE REGOLE DELLA TRASFORMAZIONE 41 3.1.4 - IL DISEGNO DEL SUOLO 43 Appendice A - Densità edilizia e carico urbanistico 45 Appendice B - La questione dell’edilizia abitativa per le fasce a basso reddito 48

3.2 - LE PREVISIONI PROGRAMMATICHE 3.2.1 - IL PRELIMINARE DI PIANO 50 3.2.1.1 - MESORACA NELLA PROVINCIA* 50 3.2.1.1.1 - l’Analisi 3.2.1.1.1.1 - La dinamica demografica storica 50 3.2.1.1.1.2 - La dinamica demografica dal 1991 al 2001 52 3.2.1.1.1.3 - Il Pil nella Provincia 54 3.2.1.1.1.4 - La dinamica del Pil negli anni Novanta 57 3.2.1.1.1.5 - Il Pil pro-capite 58 3.2.1.1.2 - Il Sistema imprenditoriale 60 3.2.1.1.2.1 - Analisi storica della dinamica imprenditoriale 60 3.2.1.1.2.2 - Le sub-aree 67 3.2.1.1.2.3 - L’andamento congiunturale delle sub aree 67 3.2.1.1.2.4 - Esportazioni ed importazioni settoriale 69 3.2.1.1.2.5 - Analisi delle strategie di sviluppo Provinciali 70 3.2.1.1.2.6 - Punti di debolezza e strategie di sviluppo 70 3.2.1.2 - MESORACA NEL COMPRENSORIO* 3.2.1.2.1 - Elementi sulla struttura demografica del Comprensorio 3.2.1.2.1.1 - L’analisi storica 75 3.2.1.2.1.2 - La dinamica delle famiglie dal 1961 al 2001 75 3.2.1.2.2 - Elementi sulla struttura socio-economica del Comprensorio 77 3.2.1.2.2.1 - Analisi del contesto socio-economico 78 3.2.1.3 - LA CITTÀ E IL SUO TERRITORIO: PROBLEMI E POTENZIALITÀ 85 3.2.1.3.1 - Obiettivi strategici e criteri di governo della trasformazione 86 3.2.1.3.2 - Lo schema di Piano 3.2.1.3.2.1 - Il dimensionamento 89 3.2.1.3.2.2 - La struttura urbana 90 3.2.1.3.2.3 - La viabilità portante 90 3.2.1.3.2.4 - Il sistema produttivo 90 3.2.1.3.2.5 - Le strutture di vendita 90 3.2.1.3.2.6 - Il sistema delle attrezzature 91 3.2.1.3.2.7 - Il sistema del verde 91 3.2.1.3.2.8 - Il sistema delle risorse territoriali di pregio 91 3.2.1.3.2.9 - Le dotazioni di standards 91

3.3 - PREVISIONI STRUTTURALI 3.3.1 - POPOLAZIONE 3.3.1.1 - POPOLAZIONE RESIDENTE 92 3.3.1.2 - L’ANALISI STORICA 92 3.3.1.3 - LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE E PROIEZIONI DEMOGRAFICHE 97 3.3.2 - CORRELAZIONE FRA LA DINAMICA DEMOGRAFICA E GLI EVENTI DEL SISTEMA 106 3.3.2.1 - IL FABBISOGNO ABITATIVO 108 3.3.2.2 - IL SETTORE PRODUTTIVO 115 3.3.2.2.1 - LA POPOLAZIONE ATTIVA E LA DOMANDA DI LAVORO 115 3.3.2.3 - IL SETTORE INFROSTRUTTURALE 117 3.3.2.3.1 - I servizi alla popolazione 117 3.3.3 - DISCIPLINA DELLE AREE NON SOTTOPOSTE A PAU 3.3.3.1 - TERRITORIO AGRICOLO 117 3.3.3.2 - CENTRO ABITATO 117 3.3.3.3 – LOCALIZZAZIONE E DISCIPLINA DEI PAU 117 3.3.4 - DISCIPLINA DELLE AREE NON SOTTOPOSTE A PAU 117

* : PUBBLICAZIONI E DATI EDITI DALLA PROVINCIA DI , COMUNITÀ MONTANA, POR

4

PREMESSA Il Documento programmatico preliminare di Piano (D.P.P.), contenente gli obiettivi ed i criteri di impostazione del Piano Strutturale Comunale (P.S.C.), nonché le previsioni contenute nel Piano pluriennale di sviluppo socio-economico della Comunità Montana dell’Alto Marchesato Crotonese (, Mesoraca, , , , , ) e le indicazioni fornite dal Progetto Integrato Territoriale N. 12 Sila Crotonese (PIT 12: , , , Cotronei, Mesoraca, Petilia Policastro, Roccabernarda, Santa Severina, San Mauro Marchesato) nell’ambito del Programma Operativo della Regione Calabria, costituendo, ai sensi della L.R. 19/2002, la prima fase dell’avvio del procedimento per la formazione del Piano Strutturale Comunale, è il primo prodotto da porre a base delle consultazioni pubbliche che in seguito vedranno Tecnici ed Amministratori confrontarsi con gruppi di cittadini, con gli Enti preposti, con le Associazioni di categoria, con i Gruppi imprenditoriali, così come indicato ex comma 2, art. 27, L.R. 19/2002, per cercare di mettere a fuoco i problemi e di trovare insieme le possibili soluzioni. Il ruolo di questo documento è quello di indicare gli obiettivi di sviluppo durevole da perseguire attraverso il Piano Strutturale, in coerenza con gli atti della pianificazione sovraordinata, e l’insieme delle linee guida attraverso le quali strutturare la metodologia delle analisi da svolgere per la costruzione del quadro conoscitivo. La L.R. n. 19 del 2002 introduce innovazioni sostanziali nel modello di pianificazione dl territorio, definendo le competenze regionali, provinciali e comunali e i relativi strumenti di governo del territorio. In particolare il nuovo Piano presenta innovazioni significative, sotto il profilo procedurale-operativo, dei contenuti e della struttura. Il Piano Strutturale è dunque lo strumento che esprime le grandi scelte per il governo del territorio (visione al futuro) nel lungo periodo, che sviluppa, e nello stesso tempo verifica, i propri indirizzi in un quadro di coerenza con il quadro conoscitivo delle risorse territoriali e lo Statuto dei luoghi che rappresenta la struttura identitaria del territorio. Il Piano Strutturale, come innanzi detto, si confronta e deve risultare coerente ai contenuti di programmazione e di indirizzo dei Piani e dei Programmi sovraordinati. E’ dunque compito del Piano Strutturale rispondere a cinque requisiti fondamentali: • Rappresentare la struttura identitaria del territorio; • Definire le regole per lo sviluppo sostenibile ricomponendo sul territorio le strategie di settore; • Avere una forte capacità di generare progettualità; • Dettare indirizzi al Regolamento Edilizio ed Urbanistico per l’attuazione delle azioni necessarie a conseguire gli obiettivi strategici; • Definire la capacità di carico del territorio ai fini del dimensionamento che deve rispondere, quest’ultimo, al principio della sostenibilità dello sviluppo; Si può dunque definire “sviluppo sostenibile” lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere quelli del futuro, preservando le condizioni di riproduzione delle risorse e garantendo la partecipazione diffusa alla loro utilizzazione. Per risorse si devono intendere non solo quelle naturali (acqua, aria, ambiente, paesaggio, sistemi vegetazionali, flora, fauna ecc.), ma anche quelle trasmesse dalle generazioni precedenti (beni storici e culturali, insediamenti, assetti territoriali ecc.). Ogni azione di trasformazione sarà valutata, in sede di Valutazione Ambientale Strategica, in base agli effetti che determina nei luoghi e sulle risorse. La valutazione della sostenibilità dello sviluppo di un territorio presuppone dunque l’analisi delle risorse e degli aspetti ambientali come elementi conoscitivi imprescindibili per la pianificazione. La valutazione degli effetti sulle risorse e la determinazione della sostenibilità di queste trasformazioni spettano dunque al Piano Strutturale, che sulla base degli obiettivi, predisporrà il quadro conoscitivo con l’individuazione e l’analisi delle risorse e, attraverso la valutazione degli effetti, determinerà le trasformazioni sostenibili per il territorio analizzato. In sintesi si tratta di un dimensionamento strategico sostenibile basato oltre che sugli obiettivi espliciti, sulla sostenibilità rispetto al quadro delle risorse, da verificare attraverso la prassi valutativa. Il D.P.P, redatto in coerenza con l’ordinamento urbanistico regionale vigente, contiene: • nella prima parte, cenni sulla procedura partecipativa degli Strumenti Urbanistici, nonché la sintesi della normativa regionale che disciplina la formazione ed i contenuti del D.P.P. e del P.S.C.; • nella seconda parte, in sintesi, i dati comunali rappresentativi degli aspetti “strutturali”, così come prescritto dalla Legge Regionale n. 19/2002, della realtà socioeconomica, delle specificità del territorio, delle tutele sovraordinate, delle più significative connessioni infrastrutturali con i sistemi urbani contermini; • nella terza parte, le “Previsioni programmatiche e strutturali”, (analisi provinciale, comprensoriale, comunale) relative ai vari settori (popolazione, residenza, infrastrutture), la disciplina dei P.A.U. e della perequazione. Il contenuto del D.P.P., integrato con quello delle Osservazioni sullo stesso che saranno accolte dal Consiglio Comunale, costituirà la parte strutturale del P.S.C. Ai Cittadini, singoli o comunque associati, è data la possibilità di partecipare alla formazione del Piano Urbanistico Generale trasmettendo per posta, oppure presentando direttamente all’Ufficio protocollo del Comune, “osservazioni” collaborative sul presente Documento Programmatico Preliminare, entro 20 giorni dalla sua pubblicazione e deposito presso la Segreteria del Comune.

5

6

PARTE PRIMA

L’INTRODUZIONE

1.1 - LA PROCEDURA PARTECIPATIVA: STORIA E CARATTERI La produzione del Piano Urbanistico con procedura partecipativa e la messa a punto di uno strumento urbanistico che possa consentire di governare agilmente la trasformazione, costituisce uno dei punti degli indirizzi programmatici, tanto qualificanti da essere stati assunti come condizioni vincolanti dell'incarico professionale, prim’ancora che l’operatività della Legge Regionale n. 19 (art. 1 comma e) promuovesse “la partecipazione dei cittadini alla formazione delle scelte che incidono sulla qualità dello sviluppo e sull’uso delle risorse ambientali” (d’altronde la procedura partecipativa è stata già testata con successo, in Calabria nella redazione dei Piani Regolatori Generali di , di Scandale e di San Mauro Marchesato). D'altra parte la produzione partecipata dei piani urbanistici non significa genericamente una disponibilità all'ascolto. E' una procedura rigorosa e codificata, che prevede l'utilizzazione di un preciso "protocollo" metodologico: • per trasformare le domande degli utenti in formulazioni tecniche; • per costruire il disegno complessivo di Piano a partire dalla soluzione dei problemi "piccoli", fino a verificarne la congruenza con l'assetto del comprensorio; • per mettere a punto le innovazioni tecniche che consentono di adeguare il territorio ed i manufatti alle esigenze degli utenti, senza che ciò leda i diritti degli altri e della comunità, né aggravi il carico di utenza sul territorio e sulle attrezzature, che rendano il sistema "autoregolato", canalizzando la (fisiologica) ricerca di vantaggi particolari verso obiettivi di interesse generale. Illustrare l'origine, la natura e la portata delle innovazioni tecniche e metodologiche derivanti dall'adozione di una procedura partecipativa può quindi aiutare a meglio valutare se e in che misura le "regole di governo della trasformazione" proposte sono atte a realizzare il modello di assetto definito nel Preliminare. L’adozione di metodi partecipativi, prima ancora che essere una elementare scelta democratica, o derivare da una moda “alternativa”, risponde al bisogno di innovazione e di comune ricerca. Organizzare riunioni pubbliche per progettare insieme una diversa risposta alle esigenze dell’utenza, non solo aiuta tecnici e cittadini a definire meglio ciò di cui c’è veramente bisogno ma, spesso, rende più facile ottenere ciò che si chiede. Più numerosi sono i cittadini che formulano una richiesta, più “conviene” al politico adoperarsi per soddisfarli. Produrre piani urbanistici con la partecipazione dei cittadini non è, però, semplice. Il piano è un progetto d’uso del territorio, ed il territorio è un insieme finito di risorse. E’ quindi inevitabile che il politico debba operare delle scelte discriminanti. La conflittualità che da sempre accompagna la produzione dei piani ha dunque solide radici sistemiche. Accade così che, prima ancora di discutere del dove (quali aree rendere edificabili, quali destinare a parco, ecc.), si affronti il problema del come operare la trasformazione del territorio. L’obiettivo comune di politici, tecnici e cittadini diventa allora la ricerca di nuove regole, che diano soddisfazione generale ai bisogni della comunità nell’uso del territorio. Regole che, nei comuni di piccola taglia e debole dinamica di sviluppo nei quali la sperimentazione viene avviata, permettono a tutti (o quasi) di risolvere i problemi di edificazione dei piccoli lotti, di ampliamento delle abitazioni esistenti. Che consentono al Comune di acquisire le aree di uso pubblico in maniera “indolore” (anzi, con vantaggio sia per il privato che per le casse comunali). Regole che, pur sembrando elastiche o permissive, si rivelano invece assai più rigorose di quelle usuali e molto più efficaci nell'impedire speculazioni o violazioni del piano. Poco a poco la partecipazione degli utenti nella produzione dei piani acquista infatti nuove valenze. Alla fine si rivela, uno degli elementi determinanti nell’innovazione della disciplina urbanistica. Risulta infatti subito evidente che per definire un progetto d'uso del territorio che la comunità senta come proprio - condizione necessaria perché il piano possa surrogare oggi il sapere diffuso che una volta permetteva l'adattamento continuo ed equilibrato dell'ambiente - è importante sovvertire la logica dei piani "a cascata”. Anziché derivare dai piani o programmi "superiori", contenuti e procedure vengono quindi definiti a partire dalle domande elementari (distanza tra gli edifici, sopraelevazioni, ecc.). Quelle cioè che la corrente normativa urbanistica impedisce di soddisfare ma che sono sentite legittime nella cultura locale (ad esempio perché ben evidenti nel tessuto storico, in quello pre-piano, ecc.). Di riunione in riunione le domande particolari, anziché produrre confusione, si aggregano in blocchi omogenei di problemi, quasi sempre risolti riformulando le “regole” d’uso del territorio, spesso mutuate o ricavate dall’analisi dell’edificato storico.

7

E così, alla fine, riaffiora anche la memoria storica della comunità. L'intero processo di produzione del piano si svolge secondo un protocollo metodologico, mutuato da parallele esperienze di interventi nel settore socio/sanitario ed adattato alla specificità dei problemi connessi all’uso del territorio. La sequenza operativa con cui si prevede di condurre le varie azioni, viene definita precisamente e preventivamente si richiama alla "programmazione strategica" proposta dagli economisti ed utilizza - incrociandoli continuamente - criteri e metodi dell'ecostoria,1 della gaming simulation,2 del marketing 3. In tale sequenza il comportamento dei vari attori (proprietari, imprenditori, amministratori, urbanisti, ecc.) non è la variabile che disturba l’attuazione del disegno del territorio proposta dall’urbanista. Il comportamento "spontaneo" che essi assumono per effetto delle norme urbanistiche diventa oggetto principale di analisi e di regolazione. L’obiettivo di tutte le formulazioni tecniche (analisi, norme di attuazione, disegno di piano) non è più quello di proporre una forma del territorio (da conseguire integrando la zonizzazione con delle norme prescrittive che impongono di attuare il disegno di piano), ma di recuperare il processo autoregolato che in passato ha caratterizzato l’adattamento progressivo e compatibile del territorio alle esigenze in evoluzione delle comunità che lo usava. Quello che ha determinato la “forma” del territorio storico, che non a caso riconosciamo equilibrata e gradevole ancora oggi. Lo strumento di governo del territorio non è più un elenco di prescrizioni e divieti ma un insieme di “regole” (non necessariamente parametriche) che orientano i vari attori ad operare le trasformazioni che, ovviamente, soddisfano i loro interesse ma che, contemporaneamente, siano di vantaggio per la collettività L’intero apparato tecnico del piano subisce quindi una profonda trasformazione. L’analisi, che è rigorosamente sistemica, mira ad identificare, oltre ai processi di formazione del territorio attuale, a) tutti gli attori che sono coinvolti dalle norme urbanistiche, b) gli interessi da cui sono mossi, c) i comportamenti (perversi) che ne derivano, d) gli elementi della normativa che producono il convergere perverso di vari interessi, quello che determina, al di là delle intenzioni dei singoli, una sorta di complicità generalizzata nel violare il Piano. Le nuove norme - ricavate dall’analisi del territorio storico - non rinnegano gli “interessi” particolari. Anzi li utilizzano come “risorsa sistemica", nascosta e aggiuntiva rispetto a quelle correnti. Ipotizzando che gli stessi attori perseguono sempre gli stessi interessi, le norme di attuazione del piano vengono allora riformulate, in modo da indurre un loro diverso comportamento, capace sia di conseguire interessi generali, sia di ridurre le trasformazioni illegittime. In pratica, le norme fanno sì che ciascun attore si muova alla ricerca di vantaggi particolari, ma l'insieme dei loro comportamenti produce le modifiche del territorio riconosciute di interesse generale. Sono poi costruite in modo che la violazione del piano da parte di un attore produca la riduzione dei diritti edificatori dei vicini. Si sviluppa quindi un conflitto di interessi tra i singoli. Per difendere i suoi diritti l'attore leso può ricorrere alla magistratura ordinaria, anziché presentare una denuncia anonima. Un'azione molto più efficace di quella che può svolgere l'amministrazione. Un controllo reciproco tra vicini, che stoppa sul nascere l'abusivismo. Si mette quindi in moto un processo di "autoregolazione" del sistema. Il disegno di piano diventa allora la “probabile” forma del territorio, prodotto delle azioni dei singoli attori, che il Piano “orienta” ma non obbliga ad attuare, attraverso un sistema combinato di premi e di prevedibile ricerca di profitto. Di vincolante resta solo lo “schema di piano”, che individua e definisce gli invarianti di lungo periodo, che può essere modificato solo con una variante al Piano. In questi nuovi Piani, per urbanisti e cittadini il territorio storico (edificato antico, aree di pregio ambientale, campagne a coltivazioni tradizionali, vecchie strade) non è più la parte “fragile” del sistema, esposta alle manomissioni, da proteggere anche a scapito degli interessi di chi lo possiede. Diventa invece esempio concreto, riferimento prossimo che urbanisti, amministratori e cittadini possono analizzare insieme, per ritrovare i criteri che ne hanno permesso la “trasformazione compatibile”, appunto, quella capace di massimizzare i vantaggi dei singoli, nel rispetto degli equilibri generali. La forma del territorio non viene più imposta agli attori che opereranno la trasformazione. Vengono piuttosto recuperate (criticamente ed attualizzandole) le regole di processo che quella forma hanno generato.

1 I lavori di P. Pierotti (Introduzione all’ecostoria, Pisa 1989 e Impariamo l’ecostoria, Pisa 1991, entrambi di SEU, Servizio Editoriale Universitario dell’Università di Pisa) sistematizzano in maniera efficacissima criteri e metodi per ricostruire la storia delle comunità locali attraverso l’analisi delle modificazione apportate all’ambiente. Sono stati determinanti per mettere a punto le procedure utilizzate nelle esperienze campane per riconoscere le “regole” del territorio storico ed adattarle alle esigenze attuali e per costruire le nuove “norme di autoregolazione”. 2 Il riferimento più prossimo è "Un gioco per Venezia", un processo di simulazione sviluppato all’IUAV da Indovina ed altri per verificare, tra l’altro, l’impatto di alcune scelte “politiche”, di localizzazione dell’edilizia sovvenzionata. 3 Le norme di piano offrono un ventaglio di “opzioni multiple”, predefinite e liberamente esercitabili dal proprietario, che gli consentono di operare le scelte che più gli convengono (senza dover contrattare con l’amministratore), ma che rendono più appetibili gli interventi che, oltre a soddisfare i suoi interessi, apportano anche vantaggi alla collettività.

8

1.2 - RIFERIMENTI NORMATIVI

1.2.1 - L’ORDINAMENTO REGIONALE - L.R. n.19/02 del 16 aprile 2002: “Norme per la tutela, governo e uso del territorio”. - L.R. n.14/06 “Modifiche ed integrazioni alla LR 19/02” Nel titolo IV della legge n.19 del 16.04.2002, è contenuta la disciplina del Piano Strutturale Comunale (P.S.C.) che rappresenta lo strumento che definisce le strategie per il governo dell’intero territorio comunale. In modo più specifico ed in sintesi: Art. 19 Strumenti di Pianificazione Comunale 1. Gli strumenti di pianificazione comunale sono: a) il Piano Strutturale (P.S.C.) ed il Regolamento Edilizio ed Urbanistico (R.E.U.); b) il Piano Operativo Temporale (P.O.T.); c) i Piani Attuativi Unitari (P.A.U.); d) gli strumenti di pianificazione negoziata, di cui all’articolo 32.

Art. 20 Piano strutturale comunale (P.S.C.) 1. Il Piano Strutturale Comunale (P.S.C.) definisce le strategie per il governo dell’intero territorio comunale, in coerenza con gli obiettivi e gli indirizzi urbanistici della Regione e con gli strumenti di pianificazione provinciale espressi dal Quadro Territoriale Regionale (Q.T.R.), dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (P.T.C.P.) e dal Piano di Assetto Idrogeologico (P.A.I.). 2. Il P.S.C. è promosso anche in assenza dei Piani sovraordinati, tenendo conto delle linee guida di cui al precedente articolo 17 ed al documento preliminare di cui al successivo articolo 26, comma 3. In esso viene stabilita l’eventuale necessità di ricorso al Piano Operativo Temporale e definite le relative procedure di formazione o approvazione, nonché la durata. 3. Il P.S.C.: a) classifica il territorio comunale in urbanizzato, urbanizzabile,agricolo e forestale, individuando le risorse naturali ed antropiche del territorio e le relative criticità ed applicando gli standards urbanistici di cui all’art. 53 della presente legge e, fino alla emanazione della deliberazione della Giunta regionale, di cui al comma 3 dello stesso art. 53, assicurando la rigorosa applicazione del DM 2/4/1968 n. 1444 con gli standards e le zonizzazioni ivi previsti in maniera inderogabile e non modificabile; b) determina le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni pianificabili; c) definisce i limiti dello sviluppo del territorio comunale in funzione delle sue caratteristiche geomorfologiche, idrogeologiche, pedologiche, idraulico-forestali ed ambientali; d) disciplina l’uso del territorio anche in relazione alla valutazione delle condizioni di rischio idrogeologico e di pericolosità sismica locale come definiti dal piano di assetto idrogeologico o da altri equivalenti strumenti; e) individua le aree per le quali sono necessari studi ed indagini di carattere specifico ai fini della riduzione del rischio ambientale; f) individua in linea generale le aree per la realizzazione delle infrastrutture e delle attrezzature pubbliche, di interesse pubblico e generale di maggiore rilevanza; g) delimita gli ambiti urbani e perurbani soggetti al mantenimento degli insediamenti o alla loro trasformazione; h) individua gli ambiti destinati all’insediamento di impianti produttivi rientranti nelle prescrizioni di cui al D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 333 ed alla relativa disciplina di attuazione; i) definisce per ogni Ambito, i limiti massimi della utilizzazione edilizia e della popolazione insediabile nonché i requisiti quali-quantitativi ed i relativi parametri, le aree in cui è possibile edificare anche in relazione all’accessibilità urbana, le aree dove è possibile il ricorso agli interventi edilizi diretti in ragione delle opere di urbanizzazione esistenti ed in conformità alla disciplina generale del Regolamento Edilizio Urbanistico; i) delimita e disciplina gli ambiti di tutela e conservazione delle porzioni storiche del territorio; ne individua le caratteristiche principali, le peculiarità e le eventuali condizioni di degrado e di abbandono valutando le possibilità di recupero, riqualificazione e salvaguardia; j) delimita e disciplina ambiti a valenza paesaggistica ed ambientale ad integrazione del Piano di Ambito, se esistente, oppure in sua sostituzione, se non esistente e raccorda ed approfondisce i contenuti paesistici definiti dalla Provincia; k) qualifica il territorio agricolo e forestale secondo le specifiche potenzialità di sviluppo; l) individua gli ambiti di tutela del verde urbano e perturbano valutando il rinvio a specifici piani delle politiche di riqualificazione, gestione e manutenzione; m) individua le aree necessarie per il Piano di Protezione Civile; n) individua e classifica i nuclei di edificazione abusiva, ai fini del loro recupero urbanistico nel contesto territoriale ed urbano; o) indica la rete ed i siti per il piano di distribuzione dei carburanti in conformità al piano regionale;

9

p) individua, ai fini della predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, le aree, da sottoporre a speciale misura di conservazione, di attesa e ricovero per le popolazioni colpite da eventi calamitosi e le aree di ammassamento dei soccorritori e delle risorse. 4. Per garantire la realizzazione delle finalità di cui al comma 2, il P.S.C. deve essere integrato da: a) una relazione geomorfologica, corredata di cartografia tematica sufficientemente rappresentativa delle condizioni di pericolosità geologica e di rischio di frana, di erosione e di esondazione, elaborata da tecnico abilitato iscritto all’albo professionale così come previsto dalla legge 64/74; b) studi e indagini a norma del D.M. dell’11/3/1998 e successive modificazioni ed integrazioni.

Art. 21 Regolamento Edilizio ed Urbanistico (R.E.U.) 1. Il Regolamento Edilizio ed Urbanistico costituisce la sintesi ragionata ed aggiornabile delle norme e delle disposizioni che riguardano gli interventi sul patrimonio edilizio esistente; ovvero gli interventi di nuova costruzione o di demolizione e ricostruzione, nelle parti di citta` definite dal Piano generale, in relazione alle caratteristiche del territorio e a quelle edilizie preesistenti, prevalenti e/o peculiari nonché degli impianti di telecomunicazione. 2. Il R.E.U. è annesso al P.S.C. ed in conformità con questo, oltre a disciplinare le trasformazioni e gli interventi ammissibili sul territorio, stabilisce: a) le modalità d’intervento negli ambiti specializzati definiti dal Piano; b) i parametri edilizi ed urbanistici ed i criteri per il loro calcolo; c) le norme igienico-sanitarie, quelle sulla sicurezza degli impianti; d) quelle per il risparmio energetico e quelle per l’eliminazione delle barriere architettoniche; e) le modalità di gestione tecnico-amministrativa degli interventi edilizi anche ai fini dell’applicazione delle disposizioni sulla semplificazione dei procedimenti di rilascio dei permessi di costruire di cui alla legge 21 novembre 2001, n. 443; f) ogni altra forma o disposizione finalizzata alla corretta gestione del Piano, ivi comprese quelle riguardanti il perseguimento degli obiettivi perequativi di cui al successivo art. 54.

Art. 23 Piano Operativo Temporale (P.O.T.) 1. Il Piano Operativo Temporale (P.O.T.) è strumento facoltativo del Piano Strutturale Comunale e lo attua individuando le trasformazioni del territorio per interventi pubblici o d’interesse pubblico individuati tali dal Consiglio comunale da realizzare nell’arco temporale di un quinquennio, ovvero nel corso del mandato dell’amministrazione adottante. 2. La durata di validità del P.O.T. può essere prorogata non oltre diciotto mesi dall’entrata in carica della nuova Giunta comunale a seguito di nuove elezioni salvo diversa determinazione del Consiglio comunale e comunque non oltre il termine di cinque anni dalla sua approvazione. 3. Il P.O.T., per gli ambiti di nuova edificazione e di riqualificazione urbanistica, in conformità al P.S.C. definisce: a) la delimitazione degli ambiti d’intervento, gli indici edilizi, le destinazioni d’uso ammissibili in conformita` al Piano Strutturale Comunale; b) gli aspetti fisico-morfologici ed economico-finanziari; c) le modalita` di attuazione degli interventi di trasformazione e/o conservazione, anche ai fini della perequazione dei regimi immobiliari interessati; d) l’indicazione degli interventi da assoggettare a specifiche valutazioni di sostenibilita` e/o di quelli destinati alla mitigazione degli impatti e alla compensazione degli effetti; e) la definizione e la localizzazione puntuale delle dotazioni infrastrutturali delle opere pubbliche di interesse pubblico o generale esistenti da realizzare o riqualificare, nonché l’individuazione delle aree da sottoporre ad integrazione paesaggistica. 4. Il P.O.T. deve essere coordinato con il bilancio pluriennale comunale e, ai sensi dell’articolo 20 della Legge 136/99, ha il valore e gli effetti del programma pluriennale di attuazione di cui all’articolo 13 della Legge 10/77. Costituisce pertanto lo strumento di indirizzo e coordinamento per il programma triennale delle opere pubbliche e per gli altri strumenti comunali settoriali previsti da leggi nazionali e regionali. 5. Il P.O.T. articola e definisce la formazione dei programmi attuativi dei nuovi insediamenti o di ristrutturazioni urbanistiche rilevanti, alla cui localizzazione provvede in modo univoco; tenuto conto dello stato delle urbanizzazioni, dell’incipienza del degrado ovvero di qualsiasi condizione che ne possa determinare l’individuazione. 6. Le previsioni del P.O.T. decadono se, entro il termine di validità, non siano stati richiesti i permessi di costruire, ovvero non siano stati approvati i progetti esecutivi delle opere pubbliche o i Piani Attuativi Unitari. Per i Piani Attuativi di iniziativa privata interviene decadenza qualora, entro il termine di validità del piano, non siano state stipulate le relative convenzioni ovvero i proponenti non si siano impegnati, per quanto di competenza, con adeguate garanzie finanziarie e con atto unilaterale d’obbligo a favore del Comune.

10

Art. 24 Piani Attuativi Unitari 1. I Piani Attuativi Unitari (P.A.U.) sono strumenti urbanistici di dettaglio approvati dal Consiglio Comunale, in attuazione del Piano Strutturale Comunale o del Piano Operativo Temporale, ove esistente, ed hanno i contenuti e l’efficacia: a) dei piani particolareggiati, di cui all’articolo 13 della legge 17 agosto 1942 n. 1150 e successive modificazioni ed integrazioni; b) dei piani di lottizzazione, di cui all’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni ed integrazioni; c) dei piani di zona per l’edilizia economica e popolare, di cui alla legge 18 aprile 1962 n. 167 e sue modificazioni ed integrazioni; d) dei piani per gli insediamenti produttivi, di cui all’articolo 27 della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e successive modificazioni ed integrazioni; e) dei piani di recupero del patrimonio edilizio esistente, di cui all’articolo 28 della legge 5 agosto 1978 n. 457 e successive modificazioni ed integrazioni; f) dei piani di spiaggia; g) dei piani di protezione civile. 2. Ciascun P.A.U. puo` avere, in rapporto agli interventi previsti, i contenuti e l’efficacia dei piani di cui al primo comma. Il PAU, in quanto corrispondente alla lottizzazione convenzionata, e` richiesto come presupposto per il rilascio del permesso di costruire solo nel caso di intervento per nuova edificazione residenziale in comprensorio assoggettato per la prima volta alla edificazione e del tutto carente di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ovvero allorquando sia espressamente richiesto dallo strumento urbanistico generale. Rimangono comunque in vigore tutte le norme della legislazione previdente afferenti l’istituto della lottizzazione convenzionata ove applicabili. 3. I P.A.U. definiscono di norma: a) l’inquadramento nello strumento urbanistico generale dell’area assoggettata a P.A.U.; b) le aree e gli edifici da sottoporre a vincoli di salvaguardia; c) i vincoli di protezione delle infrastrutture e delle attrezzature di carattere speciale; d) le aree da destinare agli insediamenti suddivise eventualmente in isolati, lo schema planivolumetrico degli edifici esistenti e di quelli da realizzare con le relative tipologie edilizie e le destinazioni d’uso; e) l’eventuale esistenza di manufatti destinati a demolizione ovvero soggetti a restauro, a risanamento conservativo od a ristrutturazione edilizia; f) le aree per le attrezzature d’interesse pubblico ed i beni da assoggettare a speciali vincoli e/o servitu`; g) la rete viaria e le sue relazioni con la viabilita` urbana nonche´ gli spazi pedonali, di sosta e di parcheggio ed i principali dati plano-altimetrici; h) il rilievo delle reti idrica, fognante, del gas, elettrica e telefonica esistenti e la previsione di massima di quelle da realizzare; i) l’individuazione delle unita` minime d’intervento nonche´ le prescrizioni per quelle destinate alla ristrutturazione urbanistica; j) le norme tecniche di esecuzione e le eventuali prescrizioni speciali; k) la previsione di massima dei costi di realizzazione del piano; l) comparto edificatorio; m) gli ambiti sottoposti al recupero degli insediamenti abusivi, qualora non previsti con altri atti.

Art. 27 Formazione ed approvazione del Piano Strutturale Comunale (P.S.C.) 1. Il procedimento disciplinato dal presente articolo si applica all’elaborazione ed all’approvazione congiunta del P.S.C. e del R.E.U., nonché alle relative varianti. 2. Il Consiglio Comunale elabora il documento preliminare del piano e del regolamento, sulla base degli atti regionali e provinciali di programmazione e pianificazione in vigore. Il sindaco, convoca la Conferenza di pianificazione ai sensi dell’articolo 13 per l’esame congiunto del documento preliminare invitando la Provincia; i Comuni contermini e quelli eventualmente individuati dal P.T.C.P. ai sensi del comma 3 dell’articolo 13; la Comunità Montana e gli Enti di gestione dei parchi e delle aree naturali protette territorialmente interessati; le forze economiche e sociali ed i soggetti comunque interessati alla formazione degli strumenti di pianificazione. 3. La Conferenza si conclude entro il termine di dieci giorni dalla sua convocazione e, nei dieci giorni successivi, gli Enti ed i soggetti intervenuti possono presentare proposte e memorie scritte, anche su supporto magnetico, che il Comune valuta in sede di adozione del P.S.C., ove risultino pertinenti all’oggetto del procedimento. Degli esiti della Conferenza il Comune redige apposito verbale. 4. Successivamente, il Consiglio comunale adotta il P.S.C. che, in copia, viene trasmesso alla giunta provinciale ed agli Enti di cui al comma 2. Il P.S.C. adottato viene depositato presso la sede del consiglio comunale per sessanta giorni dalla data di pubblicazione sul B.U.R. dell’avviso dell’avvenuta adozione. L’avviso deve contenere l’indicazione della sede presso la quale e` depositato il P.S.C. e dei termini entro cui se ne può prendere visione. Notizia dell’avvenuta adozione del P.S.C. è data, altresì, su almeno un quotidiano a diffusione regionale ed

11

attraverso qualsiasi forma ritenuta opportuna dalla giunta comunale. 5. Entro la scadenza del termine di deposito di cui al precedente comma possono formulare osservazioni e proposte: a) gli Enti e Organismi pubblici o di interesse pubblico; b) le forze economiche, sociali e professionali e quelle costituite per la tutela di interessi diffusi; c) i soggetti nei confronti dei quali le previsioni del piano adottato sono destinate a produrre effetti diretti. 6. Il competente ufficio provinciale, entro il termine perentorio di novanta giorni dal ricevimento del P.S.C. è tenuta a dare riscontro formulando osservazioni ovvero individuando eventuali difformità del piano rispetto ai contenuti prescrittivi del P.T.C.P. e degli altri strumenti della pianificazione provinciale. Decorso infruttuosamente il termine di cui al primo capoverso il Consiglio comunale predispone il P.S.C. nella sua veste definitiva rimettendolo al consiglio per la prescritta approvazione. 7. L’eventuale adeguamento del P.S.C. alle prescrizioni della Provincia, ovvero l’accoglimento delle osservazioni, non comporta una nuova pubblicazione del P.S.C. medesimo. 8. Successivamente all’approvazione del P.S.C. da parte del consiglio comunale, una copia integrale del piano approvato viene trasmessa alla Provincia e depositata presso il Comune per la libera consultazione. L’avviso dell’avvenuta approvazione del piano viene pubblicato sul B.U.R.. Della stessa approvazione e` data altresı` notizia con avviso su almeno un quotidiano a diffusione regionale. 9. Il piano entra in vigore dalla data di pubblicazione sul B.U.R. dell’avviso dell’approvazione. 10. L’eventuale accertata inadeguatezza del P.S.C., qualora non sia superabile attraverso l’adozione di variante, impone l’avvio immediato della procedura di formazione di un nuovo piano.

Art. 29 Formazione ed approvazione del Piano Operativo Temporale (P.O.T.) 1. Il procedimento disciplinato dal presente articolo trova applicazione per l’elaborazione e l’approvazione del P.O.T. e delle sue modifiche ed integrazioni. 2. La giunta comunale procede all’elaborazione ed all’approvazione del P.O.T. secondo quanto stabilito da P.S.C., dal R.E.U. e nel rispetto delle norme della presente legge. 3. Il P.O.T. e` adottato dal Consiglio e successivamente depositato presso la sede comunale per i sessanta giorni successivi alla data di pubblicazione dell’atto di adozione sul B.U.R.. L’avviso deve contenere l’indicazione della sede presso la quale il piano è depositato e dei termini entro cui se ne può prendere visione. Notizia dell’avvenuta adozione del P.O.T. è data, altresı`, su almeno un quotidiano a diffusione regionale ed attraverso qualsiasi forma ritenuta opportuna dalla giunta comunale. 4. Osservazioni al P.O.T., entro i termini di deposito di cui al comma 3, possono essere presentate dai soggetti nei confronti dei quali le prescrizioni del piano sono destinate a produrre effetti. 5. Successivamente all’adozione, il P.O.T. viene trasmesso alla Provincia che, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data di ricevimento, e` tenuta a dare riscontro formulando osservazioni ovvero individuando eventuali difformita` del piano rispetto ai contenuti prescrittivi del P.T.C.P. e degli altri strumenti della pianificazione provinciale. Decorso infruttuosamente il termine di cui al primo capoverso la giunta comunale predispone il P.O.T. nella sua veste definitiva rimettendolo al consiglio per la prescritta approvazione. 6. La Giunta comunale, entro i sessanta giorni successivi all’eventuale ricevimento del riscontro da parte della Provincia, si determina in merito alle osservazioni formulate al P.O.T. e lo invia al consiglio per l’approvazione. 7. L’adeguamento del P.O.T. alle prescrizioni della Provincia, ovvero l’accoglimento delle osservazioni, non comporta una nuova pubblicazione del piano. 8. Successivamente all’approvazione del P.O.T. da parte del Consiglio comunale, una copia integrale del piano viene trasmessa alla Regione ed alla Provincia e depositata presso il Comune per la libera consultazione. L’avviso dell’avvenuta approvazione del piano viene pubblicato sul B.U.R.. Della stessa approvazione e` data altresı` notizia con avviso su almeno un quotidiano a diffusione regionale. 9. Il piano entra in vigore dalla data di pubblicazione sul B.U.R. dell’avviso dell’approvazione.

Art. 30 Formazione ed approvazione dei Piani Attuativi Unitari (P.A.U.) 1. Il procedimento disciplinato dal presente articolo trova applicazione per l’elaborazione e l’approvazione dei Piani Attuativi Unitari (P.A.U.) e delle loro modifiche ed integrazioni. 2. La giunta comunale procede all’elaborazione ed all’approvazione del P.A.U. in esecuzione di quanto stabilito dal P.S.C., dal R.E.U.,l o nel caso, dal P.O.T. e nel rispetto delle norme della presente legge. 3. Il P.A.U. è adottato dal Consiglio e successivamente depositato, corredato dai relativi elaborati, presso la sede comunale per i venti giorni successivi alla data di affissione all’albo pretorio dell’avviso di adozione del piano. Entro lo stesso termine, il Comune provvede ad acquisire i pareri, i nulla osta e gli altri atti di assenso comunque denominati previsti dalle leggi in vigore per la tutela degli interessi pubblici. A tal fine il responsabile del procedimento può convocare una Conferenza dei servizi ai sensi del precedente articolo 14. 4. Il deposito è reso noto al pubblico mediante avviso affisso all’albo pretorio del Comune e a mezzo di manifesti murari affissi sull’intero territorio comunale. 5. Osservazioni ai P.A.U., entro i termini di deposito di cui al comma 3, possono essere presentate dai soggetti nei confronti dei quali le prescrizioni dei medesimi P.A.U. sono destinate a produrre effetti.

12

6. Successivamente alla scadenza dei termini di deposito, il Consiglio comunale decide sulle eventuali osservazioni; provvede, ove queste implichino modifiche, ad adeguare i P.A.U. alle determinazioni della Conferenza dei servizi di cui al comma 3 e rimette gli atti al consiglio per la relativa approvazione, che deve avvenire entro e non oltre 60 giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, inviandone una copia alla Provincia. 7. Nell’ipotesi che non vi siano variazioni, non è necessaria la riapprovazione del P.A.U. da parte del Consiglio Comunale; lo stesso diventa esecutivo scaduti i termini del deposito di cui al comma 3. 8. Non appena gli atti di approvazione dei P.A.U. divengono esecutivi, i relativi provvedimenti devono essere notificati a ciascuno dei proprietari interessati, secondo le modalita` di cui al D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327. 9. Gli strumenti di iniziativa pubblica o privata possono essere approvati in variante al P.S.C. o al P.O.T., con le procedure previste dal presente articolo, a condizione che le modifiche riguardino: a) adeguamenti perimetrali modesti e comunque non superiori al 20%; b) modifiche alla viabilita` che non alterino il disegno complessivo della rete; c) l’inserimento di servizi ed attrezzature pubbliche che risultino compatibili con le previsioni del P.S.C. o del P.O.T.; d) miglioramenti all’articolazione degli spazi e delle localizzazioni; e) l’inserimento di comparti di edilizia residenziale pubblica nei limiti di cui all’articolo 3 della legge 18/4/1962 n. 167. 10. Il presente procedimento si applica anche per le opere aventi rilevanza pubblica ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 e agli strumenti gia` adottati alla data di entrata in vigore della presente legge. 11. Il P.A.U. sostitutivo della lottizzazione di cui al precedente articolo 24 conserva i contenuti ed il procedimento di cui alla normativa statale.

Art. 31 Comparti edificatori 1. Il comparto edificatorio costituisce uno strumento di attuazione e controllo urbanistico, nonché momento di collaborazione della pubblica amministrazione e dei privati per lo sviluppo urbanistico del territorio. 2. Anche per l’attuazione delle finalita` di perequazione, il P.S.C. e gli altri strumenti attuativi delle previsioni urbanistiche generali individuano o formulano i criteri per l’individuazione nel proprio ambito di comparti edificatori la cui proposizione, predisposizione ed attuazione e` demandata ai proprietari singoli, associati o riuniti in consorzio degli immobili in essi compresi, a promotori cui i proprietari stessi possono conferire mandato, del Comune in qualità di proponente o mandatario esso stesso. 3. Gli strumenti sovraordinati che individuano i comparti devono stabilire: a) l’estensione territoriale e la volumetria complessiva realizzabile; b) le modalita` d’intervento definendo il modello geologicotecnico del sottosuolo individuato mediante le opportune indagini di cui all’art. 20, comma 4, lett. b); c) le funzioni ammissibili; d) le tipologie d’intervento; e) i corrispettivi monetari od in forma specifica; la quantità e la localizzazione degli immobili da cedere gratuitamente al Comune per la realizzazione di infrastrutture, attrezzature e aree verdi; f) gli schemi di convenzione da sottoscriversi da parte dei partecipanti al comparto unitamente agli eventuali mandatari ed all’Amministrazione comunale, in forza dei quali vengano stabiliti i criteri, le formule ed i valori per le operazioni di conferimento dei beni, il loro concambio e/o le eventuali permute tra beni conferiti e risultati finali dei derivanti dalla realizzazione del comparto. Detti schemi provvedono anche alla ripartizione, secondo le quote di spettanza, delle spese generali da suddividere tra i soggetti partecipi, gli oneri specifici e quelli fiscali, per i quali comunque si applicano le agevolazioni di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 448. 4. In caso d’inerzia ingiustificata dei privati, trascorso il termine d’attuazione del programma pluriennale, l’Amministrazione può procedere all’espropriazione delle aree costituenti il comparto e, se del caso, le assegna mediante apposita gara. 5. Il concorso dei proprietari rappresentanti la maggioranza assoluta del valore dell’intero comparto in base all’imponibile catastale, è sufficiente a costituire il consorzio ai fini della presentazione, al Comune, delle proposte di attuazione dell’intero comparto e del relativo schema di convenzione. Successivamente il Sindaco, assegnando un termine di novanta giorni, diffida i proprietari che non abbiano aderito alla formazione del consorzio ad attuare le indicazioni del predetto comparto sottoscrivendo la convenzione presentata. 6. Decorso inutilmente il termine assegnato, il consorzio consegue la piena disponibilità del comparto ed è abilitato a richiedere al Comune l’attribuzione della promozione della procedura espropriativa a proprio favore delle aree e delle costruzioni dei proprietari non aderenti. Il corrispettivo, posto a carico del consorzio.

Art. 35 Programmi di riqualificazione urbana (RIURB) 1. I programmi di riqualificazione urbana (RIURB) sono finalizzati a promuovere il recupero edilizio di ambiti della citta` appositamente identificati e delimitati, fruendo di finanziamenti pubblici e dell’eventuale concorso di risorse finanziarie private. Comporta un insieme coordinato d’interventi che mirano a riqualificare aree degradate o dimesse risanandone l’edificato e potenziandone le dotazioni attraverso la previsione di nuovi servizi e/o spazi

13

verdi, a promuovere azioni produttive e terziarie di livello elevato e di servizi urbani pubblici o di interesse collettivo, in grado di contribuire allo sviluppo del territorio in un quadro complessivo che miri a finalita` strategiche appositamente individuate in una relazione a cura del proponente che entra a fare parte del programma stesso. 2. Considerato che le aree da assoggettare a RIURB debbono essere strategicamente inportanti per l’assetto urbano complessivo, presupposto necessario perche´ si possa procedere alla proposta di RIURB e` l’adozione da parte del consiglio comunale del documento sulle aree urbane di crisi con il quale si possono anche impegnare quote del bilancio alla realizzazione degli stessi RIURB. 3. La proposta di RIURB e` di esclusiva competenza delle Amministrazioni comunali che possono, nel processo di formazione, approvazione e realizzazione, coinvolgere gli Enti pubblici interessati alle iniziative ovvero privati singoli, associati o riuniti in consorzio. 4. La formazione ed attuazione dei RIURB è affidata alla sottoscrizione di appositi Accordi di Programma fra la Provincia, l’Amministrazione proponente e gli altri Enti e/o soggetti coinvolti. La sottoscrizione dell’Accordo di Programma comporta le determinazioni degli effetti di cui al precedente articolo 15, nonche´ consente di ritenere automaticamente approvate anche le varianti agli strumenti urbanistici comunali che la realizzazione dei programmi eventualmente comportano. 5. Il RIURB deve: a) specificare le condizioni generali di accessibilita` (connessione dell’ambito di intervento al sistema principale della mobilita` ed ai principali collegamenti esterni) e di disimpegno interno (connessioni interne primarie); b) evidenziare le aree e le attrezzature pubbliche o di uso pubblico e le grandi aree verdi destinati a parco urbano; c) localizzare le funzioni strategiche non residenziali; d) individuare il patrimonio edilizio pubblico da recuperare con interventi coordinati; e) identificare gli edifici di proprieta` comunale o pubblica funzionalmente collegabili al RIURB in quanto utili a facilitare la riqualificazione (fornendo gli alloggi di parcheggio); f) delimitare le aree comunali e private destinabili ad edilizia residenziale pubblica e privata; g) evidenziare le aree ed i fabbricati recuperabili attraverso idonei piani attuativi, come i P.I.N.T. ed i P.R.U.; h) delimitare le singole sottounita` d’intervento coordinato, specificando di ciascuna il peso insediativo esistente e quello previsto; il fabbisogno di aree di standard ed il missaggio funzionale (residenziale, non residenziale, produttivo) imposto (cioe` non derogabile) oppure suggerito (e percio` modificabile nel caso di allocazione di funzioni strategiche o pregiate o di attuazione di importanti opere infrastrutturali pubbliche o di uso pubblico), l’articolazione dell’edificabilita` residenziale tra le varie forme di utilizzo (libera, convenzionata, agevolata, sovvenzionata), anch’essa negoziabile nei casi di cui al punto precedente. 6. Successivamente alla sottoscrizione dell’Accordo di Programma, il Comune provvede al deposito del RIURB per la pubblica visione presso gli uffici comunali per un periodo di trenta giorni. Il deposito e` reso noto al pubblico mediante avviso affisso all’albo pretorio del Comune ed a mezzo di manifesti murari affissi sull’intero territorio comunale. 7. Osservazioni ai RIURB, entro i termini di deposito di cui al comma 6, possono essere presentate dai soggetti nei confronti dei quali i contenuti dei RIURB sono destinati a produrre effetti diretti. 8. Successivamente alla scadenza dei termini di deposito, il Consiglio Comunale decide sulle osservazioni ed approva definitivamente i RIURB. 9. La Giunta regionale, sentite le Amministrazioni Provinciali, in occasione della formazione del bilancio di previsione annuale, individua le quote di finanziamento da destinare ai soggetti pubblici ed alle istituzioni pubbliche per i RIURB, i criteri per l’ammissibilita` delle domande di finanziamento dei programmi e quelli per la selezione delle proposte, fermo restando che le priorita` nell’attribuzione delle risorse vanno agli interventi di recupero e di riuso del patrimonio edilizio esistenti in ambiti urbani degradati, anche attraverso la loro riconversione ai fini della realizzazione di interventi di edilizia residenziale pubblica e relative opere di urbanizzazione primaria e secondaria e, se necessario, di infrastrutturazione generale.

Art. 36 Programmi di recupero degli insediamenti abusivi (P.R.A.) 1. I programmi di recupero degli insediamenti abusivi (P.R.A.) sono finalizzati al reinserimento nel contesto urbano di parti della citta`, attraverso interventi di riqualificazione urbanistica, architettonica ed ambientale, realizzati senza aumento di volumetria, ad eccezione dei volumi edilizi da destinare a servizi caratterizzati da opere di: a) realizzazione, ammodernamento e manutenzione delle urbanizzazioni primarie e secondarie; b) miglioramento del contesto ambientale; c) recupero degli edifici con opere di manutenzione ordinaria e straordinaria; d) risanamento conservativo e ristrutturazione. 2. I programmi devono tenere conto dei seguenti principi fondamentali: a) realizzare un’adeguata urbanizzazione primaria e secondaria; b) rispettare gli interessi di carattere storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, idrogeologico; c) garantire un razionale inserimento territoriale ed urbano dell’insediamento. 3. Le aree da assoggettare ai P.R.A. sono identificate dall’Amministrazione comunale in sede di redazione del P.S.C., o di altri strumenti attuativi, in considerazione della presenza, negli ambiti da delimitare, di edifici condonati

14

ovvero in attesa di perfezionamento del condono presentato ai sensi delle leggi statali vigenti. 4. Nel delimitare le aree di cui al comma 2 le Amministrazioni prendono in considerazione zone della citta` in cui la presenza di edifici, o parti di essi, condonati e` causa di accentuato degrado e/o di deterioramento di contesti ambientali rilevanti dal punto di vista storico, architettonico, paesaggistico. 5. L’attuazione dei programmi puo` essere affidata in concessione a imprese, o ad Associazioni di imprese, o a loro consorzi, che dimostrino di avere i requisiti tecnici e finanziari per il programma proposto, ai sensi della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni ed integrazioni. Il permesso di costruire fa riferimento all’apposita convenzione nella quale sono precisati, tra l’altro, i contenuti economici e finanziari degli interventi di recupero urbanistico. Eventuali accordi preliminari o proposte di soggetti privati finalizzati all’attuazione del programma devono essere parte integrante della documentazione del programma stesso. 6. I nuclei di edificazione abusiva ai fini del loro recupero vengono delimitati e definiti, per quanto riguarda densita` ed indici territoriali, nel P.S.C. di cui all’articolo 20. 7. Nel caso in cui il piano interessi aree sottoposte a vincolo paesistico, ambientale o idrogeologico, ovvero a qualsiasi altro regime vincolistico, preventivamente all’approvazione il Comune acquisisce il parere dell’autorita` competente alla tutela del vincolo. 8. Per assicurare la fattibilita` economica degli interventi la convenzione di cui al comma 4 prevede l’utilizzo anche di risorse finanziarie derivanti dalle oblazioni e dagli oneri concessori e sanzionatori dovuti per il rilascio dei titoli abilitativi in sanatoria relativi agli edifici compresi nell’ambito territoriale del programma. Lo stesso deve essere accompagnato da un’accurata relazione finanziaria con individuazione delle risorse pubbliche e private necessarie all’attuazione degli interventi di recupero dell’insediamento. 9. Le tipologie d’intervento edilizio ammesse nei P.R.A. sono: a) il recupero o la riqualificazione di edifici da destinare a servizi nell’ambito delle aree delimitate; b) il completamento delle zone comprese nelle aree delimitate, accompagnati dal recupero contestuale degli edifici esistenti nonche´ dal potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria. 10. La formazione ed attuazione del P.R.A. e` affidata alla sottoscrizione di appositi Accordi di Programma fra la Regione, l’Amministrazione comunale e gli altri Enti e/o soggetti coinvolti. La sottoscrizione dell’Accordo di Programma comporta gli effetti di cui al precedente articolo 15. 11. Il progetto di P.R.A. e` composto da: a) lo stralcio dello strumento generale di riferimento in cui verra` delimitato l’ambito di applicazione del P.R.A.; b) la tavola delle destinazioni d’uso presenti nell’ambito d’intervento; c) la tavola e/o la relazione descrittiva dello stato degli immobili e degli eventuali vincoli che gravano sulla zona d’intervento; d) l’elenco catastale degli immobili oggetto del P.R.A.; e) le tavole di progetto del P.R.A. che evidenzino le tipologie d’intervento edilizie, urbanizzative ed ambientali; f) l’eventuale tavola di variante dello strumento urbanistico sovraordinato; g) la planivolumetria degli interventi edilizi; h) i progetti di massima delle singole opere; i) il piano della viabilita` ed il piano delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria; j) la relazione tecnica illustrativa che, fra l’altro, contenga la stima analitica dei nuclei familiari interessati dal P.R.A. e, qualora si realizzino alloggi parcheggio, descriva le modalita` dell’alloggiamento temporaneo e della sistemazione definitiva; k) una relazione geologico-tecnica per la valutazione del livello di pericolosita` geologica in assenza ed in presenza delle opere, definita mediante le opportune indagini di cui all’art. 20, comma 4, lett. b); l) la relazione sui costi di realizzazione, sulle fonti di finanziamento, sulla convenienza dell’intervento e sui benefici finali che esso produrra`; m) il programma di attuazione degli interventi; n) l’atto o gli atti d’obbligo e la eventuale bozza di convenzione; o) il piano delle tipologie d’intervento ed il piano dell’arredo urbano; p) le norme specifiche di attuazione. 12. Successivamente alla sottoscrizione dell’Accordo di Programma, il Comune provvede al deposito del P.R.A. per la pubblica visione presso gli uffici comunali per un periodo di trenta giorni. Il deposito e` reso noto al pubblico mediante avviso affisso all’albo pretorio del Comune ed a mezzo di manifesti murari affissi sull’intero territorio comunale. 13. Osservazione al P.R.A., entro i termini di deposito di cui al comma 11, possono essere presentate dai soggetti nei confronti dei quali i contenuti del P.R.A. sono destinati a produrre effetti diretti. 14. Successivamente alla scadenza dei termini di deposito, il Consiglio comunale decide sulle osservazioni ed approva definitivamente il P.R.A.. 15. La Giunta regionale, in occasione della formazione del bilancio di previsione annuale, individua le quote di finanziamento da destinare ai P.R.A., i criteri per l’ammissibilita` delle domande di finanziamento dei programmi e quelli per la selezione delle proposte. 16. Non possono comunque entrare a far parte del P.R.A. edifici od opere che, alla data di adozione del P.R.A. medesimo, non siano stati oggetto del provvedimento di sanatoria da parte del Sindaco, ai sensi della disciplina statale vigente. 17. I suoli che sono di fatto utilizzati come strade di penetrazione del comparto edilizio condonato, per effetto della

15

presente legge sono acquisiti al patrimonio comunale senza corrispettivo finanziario e come tali sono trascritti nel registro del patrimonio indisponibile, in quanto opere di urbanizzazione.

Art. 37 Interventi di bonifica urbanistica-edilizia 1. I Comuni, singoli e associati, predispongono piano di rottamazione e recupero delle opere, manufatti ed edifici, gia` oggetto di condono o, comunque realizzati con modalita`, materiali, carenze di impianti, assenza o assoluta carenza di opere di urbanizzazione o di smaltimento e/o trattamento delle acque di risulta e dei rifiuti, tali da determinare, in un quadro di interesse pubblico generale, la necessita` di ripristino e bonifica dei siti territoriali interessati. 2. Entro 120 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, su parere della Commissione consiliare competente, predispone le linee guida ed il regolamento attuativo dei «piani di rottamazione».

Art. 49 Miglioramenti tecnologici 1. Al fine di migliorare la qualita` tecnologica e di agevolare l’attuazione delle norme sul risparmio energetico degli edifici, nuovi o esistenti, non sono considerati nei computi per la determinazione dei volumi e dei rapporti di copertura: a) i tamponamenti perimetrali per la sola parte eccedente i trenta centimetri, per le nuove costruzioni, e fino ad un massimo di ulteriori centimetri venticinque; b) il maggiore spessore dei solai, orizzontali od inclinati, per la sola parte eccedente i venti centimetri se contribuisce al miglioramento statico degli edifici, e/o al miglioramento dei livelli di coibentazione termica, acustica o di inerzia termica; c) le disposizioni del presente articolo valgono anche ai fini del calcolo delle altezze massime, delle distanze dai confini, fra edifici e dalle strade, fermo restando le prescrizioni minime dettate dalla legislazione statale. 2. Con l’obiettivo di contenere il consumo di nuovo territorio e` consentito nei centri storici e nelle zone totalmente costruite dei centri abitati, il recupero ai fini abitativi dei sottotetti e l’utilizzo a fini commerciali dei piani seminterrati ed interrati cosı` definiti: a) sottotetti, i locali sovrastanti l’ultimo piano dell’edificio con copertura a tetto; b) seminterrati, i piani la cui superficie si presenta entroterra per una percentuale inferiore ai 2/3 della superficie laterale del piano; c) interrati, i piani la cui superficie si presenta entroterra per una percentuale superiore ai 2/3 della superficie laterale del piano; purche´ siano rispettate le normali condizioni di abitabilita` previsti dai vigenti regolamenti salvo le seguenti: — requisiti di idoneita` statica attestati mediante certificato di collaudo redatto da tecnico abilitato, corredato da prove di carico e certificazione di cui alla legge n. 1086 del 5/11/1971; — altezza media ponderale di almeno metri 2,20 ridotta a metri 2,00 per i comuni posti a quota superiore a metri 800 slm, calcolata dividendo il volume della porzione di sottotetto di altezza maggiore a metri 1,50 per la superficie relativa; — rapporti pari a 1/15 tra la superficie delle aperture esterne e superficie degli ambienti di abitazione, calcolata relativamente alla porzione di sottotetto di altezza maggiore a metri 1,50; — di interventi per il collegamento diretto tra unita` immobiliari e sovrastante sottotetto o fra locali contigui finalizzati alla migliore funzione di tali locali sono da considerarsi opere interne soggette a D.I.A.; — la realizzazione di aperture, botole, scale, ed ogni altra opera interna idonea a perseguire le finalita` di abitabilita` dei sottotetti e` soggetta a D.I.A.; — gli interventi e le opere di tipo edilizio e tecnologico devono avvenire senza alcuna modificazione delle linee di colmo e di gronda e senza alterazione delle originarie pendenze delle falde di copertura e con l’altezza dei piani sottostanti ai sottotetti che non puo` essere ridotta ad un valore inferiore a metri 2,70; — e` consentita, ai fini dell’osservanza dei requisiti di areazione e di illuminazione dei sottotetti la realizzazione di finestre, lucernai, abbaini e terrazzi se consentiti, ovvero la realizzazione di impianti di ventilazione meccanica per un ricambio d’aria almeno pari a quello richiesto per la ventilazione naturale; per i seminterrati e gli interrati: — altezza interna non inferiore a metri 2,70; — aperture per la ventilazione naturale diretta non inferiore ad un 1/15 della superficie del pavimento, ovvero la realizzazione d’impianto di ventilazione meccanici per un ricambio d’aria almeno pari a quello richiesto per la ventilazione naturale; — gli interventi e le opere di tipo edilizio ammessi per conseguire l’utilizzo terziario e/o commerciale di piani seminterrati non devono, comunque, comportare modifiche delle quote standard di piano delle aree pubbliche e delle sistemazioni esterne gia` approvate; — e` consentito l’utilizzo dei locali ricavati con la suddivisione orizzontale dell’ambiente interrato o seminterrato esistente, che ha come fine l’integrazione e il miglioramento della funzione terziario-commerciale, a condizione pero` che la presenza del soppalco non riduca l’altezza dell’ambiente al di sotto di metri 2,70; — gli interventi per collegare vano e soppalco e per la sistemazione dei locali interrati e seminterrati finalizzati a migliorare la fruizione di detti locali e la loro funzione terziario/commerciale sono da considerarsi opere soggette a D.I.A..

16

3. Gli interventi di cui al presente articolo comportano la corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, nonche´ del contributo del costo di costruzione ai sensi di legge, calcolati sulla volumetria resa utilizzabile secondo le tariffe vigenti di ciascun Comune per le opere di urbanizzazione. 4. Il recupero a fini abitativi ed il riutilizzo ad uso terziario commerciale dei piani seminterrati ed interrati e` ammesso rispettivamente per le zoneAe B come definite dal D.M. 1444/68. Nei sottotetti i volumi trasformabili non possono eccedere il 25% del volume urbanistico dell’edificio cui l’intervento si riferisce. 5. Qualora venga superato il limite del 25% dell’incremento volumetrico di cui al comma precedente e nella situazione d’impossibilita` del rispetto dei limiti fissati dal D.M. 2 aprile 1968 e`, altresı` ammessa la possibilita` del diretto conferimento, da parte dei richiedenti, di superfici idonee a compensare gli standards urbanistici mancanti, ovvero della loro monetizzazione attraverso idonea convenzione, in base ai costi correnti di esproprio all’interno dell’area considerata. 6. Gli interventi di cui al presente articolo sono classificati come ristrutturazioni ai sensi dell’art. 31, comma 1, della legge 5 agosto 1978, n. 457. 7. Con riferimento al precedente comma, i Comuni, con motivata deliberazione, di cui è necessario dare adeguata pubblicità, possono, nel termine di 180 giorni dalla entrata in vigore della presente legge, disporre l’esclusione totale o parziale di zone territoriali omogenee e/o limitazioni degli incrementi volumetrici oltre il limite di cui al comma 5.

Art. 50 Assetto agricolo forestale del territorio 1. Gli strumenti urbanistici, nell’individuazione delle zone agricole, disciplinano la tutela e l’uso del territorio agro- forestale, al fine di: a) salvaguardare il valore naturale, ambientale e paesaggistico del territorio medesimo e, nel rispetto della destinazione forestale del suolo e delle specifiche vocazioni produttive, garantire lo sviluppo di attivita` agricole sostenibili; b) promuovere la difesa del suolo e degli assetti idrogeologici, geologici ed idraulici e salvaguardare la sicurezza del territorio; c) favorire la piena e razionale utilizzazione delle risorse naturali e del patrimonio infrastrutturale ed infrastrutturale esistente; d) promuovere la permanenza nelle zone agricole, degli addetti all’agricoltura migliorando le condizioni insediative; e) favorire il rilancio e l’efficienza delle unita` produttive; f) favorire il recupero del patrimonio edilizio rurale esistente in funzione delle attivita` agricole e di quelle ad esse integrate e complementari a quella agricola; g) valorizzare la funzione dello spazio rurale di riequilibrio ambientale e di mitigazione degli impatti negativi degli aggregati urbani. 2. I Comuni, mediante il P.S.C. individuano zone agricole a diversa vocazione e vocazione e suscettivita` produttiva per promuoverne lo sviluppo. 3. I Comuni qualificano, attraverso la sistematica definizione degli interventi edilizi ed urbanistici ammessi, le zone agricole del proprio territorio in: a) aree caratterizzate da una produzione agricola tipica o specializzata; b) aree di primaria importanza per la funzione agricolo-produttiva, anche in relazione all’estensione, composizione e localizzazione dei terreni; c) aree che, caratterizzate da preesistenze insediative, sono utilizzabili per l’organizzazione di centri rurali o per lo sviluppo di attivita` complementari ed integrate con l’attivita` agricola; d) aree boscate o da rimboschire; e) aree che per condizione morfologica, ecologica, paesistico-ambientale ed archeologica, non sono suscettibili di insediamento. 4. L’individuazione di cui al comma 2 deve essere preceduta da una rilevazione e descrizione analitica delle caratteristiche fisiche del territorio interessato e delle sue potenzialita` produttive, elaborata sulla base di una relazione agro-pedologica e di uso dei suoli con particolare riferimento: a) alla natura fisico-chimica dei terreni, alla morfologia ed alle caratteristiche idro-geologiche; b) all’uso di fatto ed all’uso potenziale dei suoli finalizzato all’incremento potenzialita` produttive; c) allo stato della frammentazione fondiaria; d) alle caratteristiche socio-economiche della zona e della popolazione che vi risiede o la utilizza; e) alla individuazione delle aree abbandonate o sotto utilizzate che richiedano interventi strutturali ai fini di garantire forme ed opere di presidio ambientale, sotto i profili ecologico-ambientale e socio-economico. 5. Le previsioni del P.S.C., relativamente alle zone di cui al comma 2, devono indicare: a) per ciascuna zona e con riferimento alle colture praticate od ordinariamente praticabili; b) l’unita` aziendale minima per l’esercizio in forma economicamente conveniente dell’attivita` agricola. 6. Nei Comuni tuttora dotati di programma di fabbricazione, la destinazione a zona agricola si intende estesa a tutti i suoli ricadenti al di fuori dei centri abitati, salvo quanto disposto dai piani sovraordinati. 7. Nell’ambito dei comprensori di bonifica i Consorzi di bonifica partecipano, tramite le scelte disposte con il Piano Comprensoriale di bonifica e di tutela del territorio, ove approvato dal Consiglio regionale ed adottato dai Consorzi, alla formazione dei Piani territoriali ed urbanistici, nonche´ ai programmi di difesa dell’ambiente contro

17

gli inquinamenti. 8. Il Piano ha efficacia in ordine alle azioni di competenza del Consorzio di bonifica per la individuazione e progettazione delle opere di bonifica e delle opere pubbliche di bonifica e di irrigazione, nonche´ delle altre opere necessarie per la tutela e la valorizzazione del territorio rurale, ivi compreso la tutela delle acque di bonifica ed irrigazione. Il Piano ha invece valore di indirizzo per quanto attiene vincoli per la difesa dell’ambiente naturale ed alla individuazione dei suoli agricoli da salvaguardare rispetto a destinazioni d’uso alternative. 9. I Comuni, le Comunita` Montane e le Province, nell’approvazione dei propri strumenti di pianificazione devono raccordarsi con quanto disposto dal Piano di bonifica approvato dal Consiglio regionale. I Comuni si raccordano, altresı`, nei propri strumenti urbanistici, con le proposte di tutela delle aziende e delle aree agricole in riferimento alla salvaguardia dell’uso agricolo rispetto a destinazioni d’uso alternative.

Art. 51 Interventi in zona agricola 1. Nelle zone a destinazione agricola come identificate dell’articolo precedente, il permesso a costruire sara` rilasciato con esonero dei contributi commisurati alle opere di urbanizzazione e ai costi di costruzione, solo se la richiesta e` effettuata da imprenditori agricoli. 2. Qualora la destinazione d’uso venga modificata nei dieci anni successivi all’ultimazione dei lavori i contributi di cui al comma precedente sono dovuti nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento dell’intervenuta variazione (ai sensi dell’art. 19 ultimo comma del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380). 3. Nelle zone a destinazione agricola e` comunque vietata: a) ogni attivita` comportante trasformazioni dell’uso del suolo tanto da renderlo incompatibile con la produzione vegetale o con l’allevamento e valorizzazione dei prodotti; b) ogni intervento comportante frazionamento del terreno a scopo edificatorio (gia` lottizzazione di fatto); c) la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria del suolo in difformita` alla sua destinazione. 4. Il P.S.C. in riferimento a quanto disposto nelle linee guida, nel Q.T.R. nonche´ nel P.T.C.P., avendo particolare riguardo ai loro contenuti di strumenti di salvaguardia e tutela dei valori paesaggistici, e tenendo anche conto dei piani e programmi di settore, in materia di agricoltura, individua gli interventi aventi carattere prioritario ed essenziale fissando gli indici ed i rapporti di edificabilita`. 5. E` consentito l’asservimento di lotti non contigui ma funzionalmente legati per il raggiungimento dell’unita` culturale minima, fermo restando la definizione in sede di P.S.C. dell’ingombro massimo di corpi di fabbrica edificabili e le caratteristiche tipologiche dell’insieme degli interventi a tutela e conservazione del paesaggio agricolo.

Art. 52 Criteri per l’edificazione in zona agricola 1. Il permesso di costruire per nuove costruzioni rurali, nei limiti ed alle condizioni di cui al precedente articolo, potra` essere rilasciato nel rispetto delle seguenti prescrizioni: a) che si proceda in via prioritaria al recupero delle strutture edilizie esistenti; b) che l’Azienda mantenga in produzione superfici fondiarie che assicurino la dimensione dell’unita` aziendale minima. 2. Le strutture a scopo residenziale, al di fuori dei piani di utilizzazione aziendale o interaziendale, salvo quanto diversamente e piu` restrittivamente indicato dai P.S.C., dai piani territoriali o dalla pianificazione di settore, sono consentite entro e non oltre gli standards di edificabilita` di 0,013 mq su mq. Per le sole attivita` di produttivita` e di trasformazione e/o commercializzazione di prodotti agricoli, l’indice non puo` supere 0,1 mq su mq. Il lotto minimo e` rappresentato dall’unita` aziendale minima di cui agli articoli precedenti. 3. I vincoli relativi all’attuazione dei rapporti volumetrici e di utilizzazione residenziale o produttiva devono essere trascritti presso la competente conservatoria dei registri immobiliari a cure e spese del titolare del permesso di costruire.

Art. 53 Standards urbanistici 1. Al fine di assicurare una diversa e migliore qualita` urbana, gli standards debbono contribuire ad elevare il livello quantitativo e qualitativo del sistema delle infrastrutture per l’urbanizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi in genere, mirando a migliorare il livello delle attrezzature e spazi collettivi, idonei a soddisfare le esigenze dei cittadini. 2. Gli standards di qualita`, in particolare, si esprimono attraverso la definizione: a) della quantita` e della tipologia di tali dotazioni; b) delle caratteristiche prestazionali, in termini di accessibilita`, di piena fruibilita` e sicurezza per tutti i cittadini di ogni eta` e condizione, di equilibrata e razionale distribuzione nel territorio, di funzionalita` e adeguatezza tecnologica, di semplicita` ed economicita` di gestione. 3. La Giunta regionale, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentiti i

18

rappresentanti dell’A. N.C.I., dell’U.P.I., dell’A.N.C.E., dell’A.N.P.C. e delle federazioni degli ordini professionali degli architetti-pianificatoripaesaggisti- conservatori, degli ingegneri e dei geologi, specifica gli atti ai fini della predisposizione dei piani urbanistici comunali: a) i limiti di utilizzazione territoriale; b) i valori per il calcolo della capacita` insediativa dei suoli destinati all’espansione ed al completamento degli immobili da sottoporre a riqualificazione, rifunzionalizzazione e sostituzione; c) i rapporti tra gli spazi destinati alla trasformazione urbanistica e gli spazi pubblici, di uso pubblico o aperti al pubblico destinati al soddisfacimento delle esigenze di mobilita`, sosta e ricovero degli autoveicoli, del tempo libero ivi compresi gli spazi verdi naturalizzati ed attrezzati per il giuoco, lo sport, le attivita` singole o collettive, lo spettacolo all’aperto, e le occasioni culturali musicali collettive, l’istruzione di primo e secondo grado, l’assistenza agli anziani, le strutture sanitarie di base; d) i criteri attraverso cui il soddisfacimento dei fabbisogni di standard debba essere valutato secondo i requisiti prestazionali delle attrezzature e dei servizi la cui rilevazione e valutazione dovra` accompagnare quella strettamente quantitativa. 4. La possibilita` di soddisfare la percentuale di standards urbanistici anche con servizi ed attrezzature private, purche´ definitivamente destinati ad attivita` collettive e previo convenzionamento con il Comune. 5. La Giunta regionale, previo parere vincolante della Commissione consiliare competente, nel medesimo provvedimento, connota, altresı`, le forme di surrogazione di natura tecnologica o contrattuale attraverso le quali i citati fabbisogni potranno essere comunque soddisfatti, comprendendo anche forme di monetizzazione, di prestazione in forma specifica ovvero interventi compensativi inquadranti o comprensivi diversi da quelli direttamente interessati.

Art. 54 Perequazione urbanistica 1. La perequazione urbanistica persegue l’equa distribuzione dei valori immobiliari prodotti dalla pianificazione urbanistica e degli oneri derivanti dalla realizzazione delle dotazione territoriali. 2. La quantita` di edificazione spettante ai terreni che vengono destinati ad usi urbani deve essere indifferente alle specifiche destinazione d’uso previste dal Piano Strutturale Comunale (P.S.C.) e deve invece correlarsi allo stato di fatto e di diritto in cui i terreni stessi si trovano al momento della formazione del Piano stesso. A tal fine, il Piano Strutturale Comunale (P.S.C.) riconosce la medesima possibilita` edificatoria ai diversi ambiti che presentino caratteristiche omogenee, in modo che ad uguale stato di fatto e di diritto corrisponda una uguale misura del diritto edificatorio. 3. Ogni altro potere edificatorio previsto dal Piano Strutturale Comunale (P.S.C.), che ecceda la misura della quantita` di edificazione spettante al terreno, e` riservato al Comune, che lo utilizza per le finalita` di interesse generale previste nei suoi programmi di sviluppo economico, sociale e di tutela ambientale. 4. Le aree le quali, secondo le regole stabilite dal Piano Strutturale Comunale (P.S.C.), non sono necessarie per realizzare le costruzioni e gli spazi privati a queste complementari, entrano a far parte del patrimonio fondiario del Comune, che le utilizza per realizzare strade ed attrezzature urbane nonche´ per ricavarne lotti edificabili da utilizzare sia per i previsti programmi di sviluppo economico e sociale sia per le permute necessarie ad assicurare ai proprietari dei terreni destinati dal P.S.C. ad usi pubblici, la possibilita` di costruire quanto di loro spettanza. 5. L’attuazione della perequazione urbanistica si realizza attraverso un accordo di tipo convenzionale che prevede la compensazione tra suolo ceduto o acquisito e diritti edificatori acquisiti o ceduti. 6. Il Piano Operativo Comunale (P.O.T.) ed i Piani urbanistici Attuativi (P.A.U.), nel disciplinare gli interventi di trasformazione da attuare in forma unitaria, assicurano la ripartizione dei diritti edificatori e dei relativi oneri tra tutti i proprietari degli immobili interessati, indipendentemente dalle destinazioni specifiche assegnate alle singole aree. 7. Il Regolamento edilizio ed urbanistico (R.E.U.) stabilisce i criteri e i metodi per la determinazione del diritto edificatorio spettante a ciascun proprietario, in ragione del diverso stato di fatto e di diritto in cui si trovano gli immobili al momento della formazione del P.S.C..

Art. 56 Vincolo di inedificabilita` 1. All’atto del rilascio del permesso di costruire, per le costruzioni da realizzare ai sensi del Titolo VII, viene istituito un vincolo di non edificazione relativamente alla sola superficie agraria asservita, da trascriversi presso la conservatoria dei registri immobiliari. 2. Le abitazioni esistenti in zona agricola alla data di entrata in vigore della presente legge estendono sul terreno dello stesso proprietario un vincolo di non edificazione fino a concorrenza della superficie fondiaria necessaria alla loro edificazione. La demolizione parziale o totale di tali costruzioni, corrispondentemente, riduce od elimina il vincolo.

Art. 57 Disciplina del mutamento delle destinazioni d’uso degli immobili 1. Il P.S.C. individua, per ambiti organici del territorio pianificato o per singoli episodi edilizi quando questi assumano

19

particolari dimensioni o caratteristiche, le destinazioni d’uso specifiche, quelle ricomprese in gruppi omogenei e quelle da escludere, nonché la possibilita` di destinazioni temporanee, convenzionate o scorrevoli a seguito di rifunzionalizzazione degli immobili. 2. Le condizioni per le localizzazioni delle destinazioni ammissibili, i loro rapporti con l’eventuale formazione di comparti edilizi e quelle relative al soddisfacimento delle esigenze di perequazione fondiaria sono stabilite dal R.E.U. che fissa, altresı`, i requisiti tecnici degli immobili in relazione alle diverse destinazioni. 3. Le destinazioni d’uso sono definite sulla base del rapporto tra funzionalita` e qualita` urbana, ai fini della formazione di centri di aggregazione di funzioni, di riordino e di riequilibrio delle strutture insediative ed in coerenza con il piano del traffico e delle mobilita` e con il programma urbano dei parcheggi. 4. Le destinazioni d’uso sono suddivisi nei seguenti raggruppamenti: a) residenziale, turistico-ricettiva e direzionale, sanitaria; b) produttiva (commerciale, artigianale, industriale nei limiti dimensionali stabiliti dalla normativa vigente in materia di piccole e medie imprese e di trasformazione); c) industriale (nei limiti dimensionali stabiliti dalla legislazione vigente in materia di imprese maggiori); d) servizi pubblici o di interesse pubblico a carattere generale o comprensoriale; e) agricola. 5. Le destinazioni d’uso di cui alla lettera a) possono essere insediate nelle zone di tipo A), B) e C) di cui al Decreto Interministeriale n. 1444, del 2 aprile 1968, secondo le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali. 6. Le destinazioni d’uso di cui alle lettere b) e c) possono essere insediate nelle zone omogenee di tipo D) di cui al Decreto Interministeriale n. 1444, del 2 aprile 1968, secondo le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali. 7. Le destinazioni d’uso di cui alla lettera d), possono essere insediate nelle zone omogenee di tipo F) di cui al Decreto Interministeriale n. 1444, del 2 aprile 1968, secondo le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali. 8. Le destinazioni d’uso di cui alla lettera e), possono essere insediate nelle zone omogenee di tipo E) di cui al Decreto Interministeriale n. 1444, del 2 aprile 1968, secondo le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali. Gli esercizi commerciali di vicinato e piccole imprese artigiane non inquinanti, sono ammessi in tutte le zone omogenee ad eccezione di quelle E), di cui al Decreto Interministeriale n. 1444 del 2 aprile 1968, a destinazione agricola, secondo le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali. 9. Costituiscono, ai fini della presente legge, modifica di destinazione d’uso il passaggio tra i diversi raggruppamenti di cui al precedente comma 4, nonche´ tra le zone omogenee del Decreto Interministeriale n. 1444, del 2 aprile 1968, secondo le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali. 10. Si ha mutamento di destinazione d’uso quando l’immobile, o parte di esso, viene ad essere utilizzato, in modo non puramente occasionale e momentaneo, per lo svolgimento di attivita` appartenente ad una delle categorie di destinazione di cui al comma 4 diversa da quella in atto. 11. La destinazione d’uso «in atto» dell’immobile o dell’unita` immobiliare e` quella fissata dalla licenza, permesso di costruire o autorizzazione per essi rilasciata, ovvero, in assenza o nell’indeterminatezza di tali atti, della classificazione catastale attribuita in sede di accatastamento o da altri atti probanti. 12. Per i mutamenti della destinazione d’uso che implichino variazioni degli standards urbanistici, il rilascio del permesso di costruire e` subordinato alla verifica del reperimento degli standards. 13. Il mutamento di destinazione d’uso, anche se attuato senza la realizzazione di opere edilizie, comporta l’obbligo di corrispondere al Comune il contributo di costruzione di cui all’articolo 16 del DPR 380/2001, per la quota-parte commisurata agli oneri di urbanizzazione ed in misura rapportata alla differenza tra quanto dovuto per la nuova destinazione rispetto a quella gia` in atto, allorquando la nuova destinazione sia idonea a determinare un aumento quantitativo e/o qualitativo del carico urbanistico della zona, inteso come rapporto tra insediamenti e servizi. Per tutti gli immobili costruiti prima dell’entrata in vigore della legge 6/8/1967 n. 765 il mutamento e destinazione d’uso, pur non dovendo corrispondere al Comune alcun contributo di costruzione, e` soggetto a denunzia di inizio attivita` (D.I.A.) nonche´ all’obbligo di denunzia di variazione catastale. 14. E` soggetto a denunzia di inizio attivita` (D.I.A.) il diverso uso all’interno dello stesso raggruppamento tra quelli elencati al comma 4 e comunque il mutamento da cui non derivi la necessita` di dotazioni aggiuntive di standards, servizi e spazi pubblici o privati. 15. Gli immobili con le relative aree di pertinenza, realizzati o in corso di realizzazione, anche con concessione edilizie rilasciate attraverso conferenze di servizi ai sensi e per gli effetti dell’articolo 14 e seguenti della legge 241/90 e successive modificazioni ed integrazioni, sono da ritenersi inquadrati, secondo la loro destinazione d’uso, nella disciplina dei raggruppamenti di cui al precedente punto quattro.

Art. 60 Misure di salvaguardia del P.S.C. 1. Il dirigente od il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune, sospende ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire, quando accerti che tali domande siano in contrasto con l’atto di pianificazione territoriale adottato dal Comune e con le misure di salvaguardia del Q.T.R. e del P.T.C.P.. 2. La sospensione opera fino alla data di approvazione e di efficacia dell’atto di pianificazione e comunque non oltre cinque anni dalla data di adozione dell’atto.

20

1.3 - LO SVILUPPO SOSTENIBILE Lo “sviluppo sostenibile” (Rapporto Brundtland, Word Commission on Environment, 1987), che “garantisce i bisogni del presente senza compromettere le possibilità delle generazioni future di fare altrettanto”, deve sottendere ogni proposta progettuale da quella del semplice organismo architettonico alla pianificazione territoriale. Nella formazione del Piano Strutturale Comunale, pertanto, tale concetto non può che essere la “rotta” da seguire dal momento della proposta a quello della decisione, in coerenza con i contenuti della Carta di Alborg approvata nel 1994 dalla “Conferenza Europea sulle città sostenibili”: “Le città riconoscono che il concetto dello sviluppo sostenibile fornisce una guida per commisurare il livello di vita alla capacità di carico della natura. Pongono tra i loro obiettivi giustizia sociale, economie sostenibili e sostenibilità ambientale. La giustizia sociale dovrà necessariamente fondarsi sulla sostenibilità e sull’equità economica, per le quali è necessaria la sostenibilità ambientale. Sostenibilità a livello ambientale significa conservare il caPITale naturale. Ne consegue che il tasso di consumo delle risorse naturali rinnovabili, di quelle idriche e di quelle energetiche non deve eccedere il tasso di ricostituzione rispettivamente assicurato dai sistemi naturali e che il tasso di consumo delle risorse non rinnovabili non superi il tasso di sostituzione delle risorse innovabili sostenibili. Sostenibilità dal punto di vista ambientale significa anche che il tasso di immissione degli inquinanti non deve superare la capacità dell’atmosfera, dell’acqua e del suolo di assorbire e trasformare sostanze. Inoltre la sostenibilità dal punto di vista ambientale implica la conservazione della biodiversità, della salute umana e delle qualità dell’atmosfera, dell’acqua e dei suoli a livelli sufficienti a sostenere nel tempo la vita e il benessere degli esseri umani nonché degli animali e vegetali.” Al riguardo, in Italia il riferimento normativo è contenuto nella “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia” che, nel cap.V “Qualità dell’ambiente e qualità della vita negli ambienti urbani”, recepisce gli obiettivi generali del “Quadro d’azione per uno sviluppo urbano sostenibile nell’UE”: riequilibrio territoriale, migliore qualità dell’ambiente urbano, uso sostenibile delle risorse ambientali, valorizzazione delle risorse socio-economiche locali e loro equa distribuzione. A scala urbana, l’azione ambientale, si sviluppa con: - l’applicazione intelligente del principio della perequazione e dell’istituto del comparto urbanistico per gestire (attraverso il trasferimento dei diritti di costruire) la tutela e la valorizzazione dei siti con specificità ecologiche, documentarie e paesaggistiche, - la qualità dell’abitare attraverso la attenta delimitazione delle aree da sottrarre al traffico veicolare di transito, previa individuazione degli assi viari di scorrimento e delle aree di stazionamento, - la promozione dell’ecoefficienza basata sulla integrazione degli aspetti globali (clima, strato di ozono, biodiversità), con quelli connessi con la conservazione delle risorse naturali (minerarie, energetiche fossili, idriche, suolo, ecc.) e con quelli locali (inquinamenti, rifiuti, qualità urbana, ecc.) valutata ex ante per i piani e gli interventi di settore. A scala edilizia, di contro, si sviluppa con: - la formulazione di un Regolamento Edilizio ed Urbanistico che deve rispondere anche alle esigenze di nuove forme di progettazione orientate alla sostenibilità, -la progettazione di interventi che salvaguardino gli equilibri ecologici ambientali (insolazione, ventilazione, ombreggiamento, verde, ecc.), - la adozione nelle attività edilizie di procedure di produzione e di gestione che pongano in primo piano le questioni energetiche (che la relativa direttiva europea renderà cogenti), - l’attenzione al perseguimento della qualità estetica sia nella definizione degli spazi urbani sia delle architetture che li definiscono, - la differenziazione dei rifiuti fin dal luogo della produzione (per esempio, nelle abitazioni, nella cucina con soluzioni che salvaguardino l’aspetto igienico) onde rendere automatica la successiva raccolta differenziata e, quindi, il successivo riciclaggio, riuso, recupero energetico. L’azione ambientale però si concretizza soltanto con la partecipazione consapevole dei cittadini poiché il tema “ambiente urbano” ha ormai assunto il ruolo più critico tra le questioni ambientali. Infatti, le emissioni di ossido d’azoto e di monossido di piombo (ancorché ridotte dall’introduzione della benzina verde), lo smog fotochimico estivo, le concentrazioni di ozono e di benzene e, lungo gli assi viari trafficati, del particolato fine sospeso nell’aria e del rumore, evidenziano lo scadimento della “qualità della vita nell’ambiente urbano”. Anche di ciò il P.S.C. deve occuparsi, specialmente nella fase della sua formazione, attivando la consapevole e responsabile partecipazione dei cittadini.

21

PARTE SECONDA

L’ATTUALITÀ

2.1 - ASSETTO URBANISTICO

2.1.1 - IL QUADRO CONOSCITIVO Il quadro conoscitivo complessivo della realtà urbanistica del Comune di Mesoraca, nel momento iniziale della formazione del Piano Strutturale Comunale, è costituito dalla strumentazione urbanistica vigente (generale ed attuativa), dal complesso degli atti tecnici e amministrativi, e dai contenuti delle Linee Guida della Pianificazione Regionale, vigenti dal 10 novembre 2006 in applicazione della L.R. 19/02 del 16.04.2002. Il riepilogo dei principali strumenti urbanistici comunali, generali e/o particolareggiati, è così sintetizzabile: 1. Piano regolatore Generale Comunale e Regolamento Edilizio (vigente) -adozione D.C.C. n. 26 del 18.06.1997 -approvazione D.P.G.R. n. 507 del 22.09.1998 2. Piano Comunale di Protezione Civile -approvazione della G.M. n. 3 del 12.01.2006 3. Piano Insediamenti Produttivi -adozione D.C.C. n. 31 del 29.09.2001 ed integrato con d.C.C. n. 20 del 04.06.2002 -visto D.R.C. (LL.PP.) prot. 309 del 25.09.2001 4. Piano di Recupero -adozione D.C.C. n. 2 del 12.02.2004 -visto D.R.C. prot. 102 del 12.05.2003 5. Piano Commerciale -approvazione con atto regionale del Commissario ad acta n. 24 del 24.06.2004 I dati territoriali significativi, relativi al PRG/1998, possono essere così sintetizzati: - zona omogenea “A” (urbana di interesse storico e di particolare pregio ambientale), dove sono consentiti interventi di conservazione, restauro e risanamento conservativo dei volumi esistenti. - zona omogenea “B” (totalmente o parzialmente edificata), con indici di fabbricabilità fondiaria pari a 2,00 mc/mq per il Capoluogo e 1,00 mc/mq per la frazione Fratta; dove sono realizzabili interventi di edilizia residenziale e turistica ed attrezzature di interesse collettivo; - zone omogenee “C”, destinate all’espansione residenziale (zona C) con indice di fabbricabilità territoriale pari a 1,00 mc/mq, ed a quella turistico-residenziale (zona CT), per la quale è specificato un indice di fabbricabilità territoriale pari a 0,50 mc/mq. - zona omogenea “D”, destinata alle attività produttive e terziarie, con un rapporto di copertura massimo del 40%. - zone omogenee “F”, destinate ad attrezzature pubbliche di interesse generale, quali: le aree per l’istruzione superiore, le aree per attrezzature sanitarie ed assistenziali, le aree per i parchi urbani, le aree per attrezzature pubbliche e private, servizi tecnologici, etc. - zone pubbliche o di uso pubblico e destinate a attrezzature scolastiche, verde pubblico attrezzato, servizi interesse comune(religiosi, culturali, sociali, assistenziali, sanitari, amministrativi, protezione civile), parcheggio verde privato. Infine, la zona agricola “E” dove sono consentiti indici If variabili da 0,03 mc/mq (per la residenza) a 0,30 mc/mq (pertinenze). Per la realtà socio-economica, il quadro conoscitivo è costituito dai dati comunali (che, sostanzialmente, si esauriscono in quelli anagrafici) e dalle risultanze dei Censimenti Istat della popolazione, dell’agricoltura e delle attività economiche. Utilizzando pertanto i dati forniti dall’Ufficio Tecnico Comunale, quelli dell’Istituto Nazionale di Statica, dell’Istituto Tagliacarne, della Regione Calabria, della Provincia di Crotone, ed altri, in coerenza con il vigente ordinamento regionale, sono stati elaborati sia il quadro conoscitivo dell’assetto strutturale del territorio comunale, e delle attività che sullo stesso si sviluppano, sia la previsione dell’assetto programmatico nel decennio futuro.

22

2.1.2 - LE CAPACITÀ INSEDIATIVE Il PRG vigente, nel 1995 (anno di redazione dello strumento), considerava un incremento di popolazione al 2006 pari a 1.297 unità, con un numero complessivo di 9.206 abitanti (a fronte dei 7.909 abitanti del 1995); dal rapporto considerato di 1,33 abitante/vano, scaturivano 465.000 mc per edilizia residenziale (di questi, circa 18.000 mc da ubicare nelle campagne) oltre a 30.000 mc per espansione turistica. Il volume residenziale, nel capoluogo, era realizzabile nelle zone di completamento su 13,85 Ha (per 277.000 mc), ed in quelle di espansione su 17,00 Ha (per 173.000 mc), le zone residenziali turistiche si estendevano per 14 Ha.

2.1.2.1 - SETTORE RESIDENZIALE Le capacità insediative nelle zone omogenee del vigente PRG sono riassumibili nella seguente tabella: Capoluogo: Zona B Zona C insula 1: tav 7.1 - 12.000 mc insula 1: tav 7.1 – 13.300 mc insula 2: tav 7.1 - 99.000 mc insula 2: tav 7.1 - 19.000 mc insula 3: tav 7.1 - 36.000 mc insula 3: tav 7.1 – 10.400 mc insula 4: tav 7.2 - 44.000 mc insula 4: tav 7.1 – 20.500 mc insula 5: tav 7.2 - 43.200 mc insula 5: tav 7.2 – 75.000 mc insula 6: tav 7.2 – 2.600 mc insula 6: tav 7.2 – 5.700 mc insula 7: tav 7.2 - 700 mc insula 7: tav 7.2 – 11.500 mc insula 8: tav 7.2 – 10.600 mc insula 8: tav 7.2 – 6.000 mc insula 9: tav 7.2 – 6.400 mc insula 9: tav 7.2 – 7.300 mc insula 10: tav 7.2 – 20.500 mc insula 10: tav 7.2 – 4.300 mc insula 11: tav 7.2 – 1.000 mc

Attività turistiche insula 1: tav 7.4 - 80.000 mc insula 2: tav 7.4 – 43.500 mc Frazione Fratta: Aree di completamento turistico Aree di espansione turistica insula 1: mq 16.000 - 16.000 mc insula 1: mq 7.500 – 3.750 mc insula 2: mq 18.000 - 18.000 mc insula 2: mq 12.500 – 6.250 mc insula 3: mq 14.000 - 14.000 mc insula 3: mq 9.500 – 4.750 mc insula 4: mq 14.000 - 14.000 mc insula 4: mq 13.000 – 6.500 mc insula 5: mq 10.000 - 10.000 mc insula 5: mq 11.000 – 5.500 mc insula 6: mq 8.000 - 8.000 mc insula 6: mq 6.500 – 3.250 mc

2.1.2.2 - SETTORE PRODUTTIVO Le capacità insediative del vigente PRG per attività industriali ed artigianali, sono riassumibili nella seguente tabella: Aree per attività industriali e artigianali insula 1: tav 7.2 - 10.000 mq insula 2: tav 7.2 – 76.000 mq insula 2: tav 7.2 – 84.000 mq insula 2: tav 7.5 – 260.000 mq insula 2: tav 7.5 – 10.000 mq

2.1.2.3 - SETTORE INFRASTRUTTURALE Il computo delle aree destinate a servizi del vigente PRG è riassumibile nella seguente tabella:

Zone omogenee Istruzione (mq) Interesse comune (mq) verde attrezzato (mq) parcheggi (mq) B - Capoluogo 36.400 43.600 67.700 28.830 C - Capoluogo 7.650 3.400 15.300 4.250 B - Fratta 10.000 16.000 33.000 6.000

23

2.2 - ASSETTO STRUTTURALE

2.2.1 - IL TERRITORIO

2.2.1.1 - GENERALITÀ Con oltre 9.356 ettari (di cui più di 4.000 a bosco), il territorio comunale di Mesoraca, ad ovest di Crotone, presenta un assetto morfologico variabile tra 6 e 1723 metri di altitudine con il Capoluogo alla quota (media) di 415 metri sul livello marino e la frazione Fratta a quota 1300 metri. Per la sua particolare ubicazione, il Centro Storico di Mesoraca che sorge su uno sperone roccioso strapiombante fra due fiumi, formando un’unica unità con il paesaggio, ha da sempre rappresentato, insieme alle risorse naturali e le vaste aree di pregio ambientale, il principale punto di attrazione e ricchezza del territorio. L’espansione moderna, caratterizzata da una estesa ma disordinata edilizia residenziale iniziata alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, ha fatto sì che le frazioni (Filippa, Campizzi) si fondessero con il Capoluogo. Lo stesso è situato in maniera decentrata rispetto al territorio, che risulta delimitato: a Nord da quello del Comune di Taverna (Cz) e Petilia Policastro (centro abitato distante 4 km), ad Est con Roccabernarda (centro abitato distante 11 km) e , a Sud con la provincia di Catanzaro, ovvero con i comuni di Belcastro (centro abitato distante 6,3 km), Marcedusa, Petronà (centro abitato distante 5,1 km) e ad Ovest con (Cz) (centro abitato distante 16,2 km). Dista, inoltre, 50 km da Crotone e 30 dalla Stazione ferroviaria di Botricello. Secondo la classificazione del Servizio Sismico Nazionale, attualmente, in conformità alle classificazioni adottate, ricade in zona di sismicità S9. E’ “territorio di interesse turistico”, ed appartiene alla Comunità Montana dell’Alto Marchesato Crotonese (Cotronei, Mesoraca, Petilia Policastro, Roccabernarda, Santa Severina, San Mauro Marchesato e Scandale). La popolazione residente è concentrata nel Capoluogo (6.719 abitanti su 7.125 totali), con una minima presenza (406 residenti, poco più del 5% del totale) nelle case sparse sul territorio (Censimento ISTAT 2001). Risultano iscritti all’AIRE 3985 persone per complessive 1596 famiglie. I confini amministrativi o si appoggiano ad elementi di rilievo geografico o sono di natura puramente giuridica.

2.2.1.2 - SPECIFICITÀ Sul territorio comunale sono stati censiti (sia in quanto “già tutelati” o soltanto “segnalati”, sia in quanto appartenenti alla “cultura della comunità”) i seguenti “beni” e “componenti” così articolati: Archeologia ed architettura il Santuario dell’Ecce Homo, la Chiesa del Ritiro, il Monastero di S. Angelo del Frigillo, i Ruderi degli antichi manufatti edilizi, le Fontane, i Palazzi di architettura “colta”, i Rioni antichi, le Chiese, gli antichi Mulini e Frantoi. Idrografia superficiale Fiume Reazio, Fiume Vergari (e i Vuddrhi). Biotopi La Foresta, le Praterie aride e le steppe. Zone Umide Valloni e foci dei fiumi. Flora Pino, Castagno, Cerro, Ontano, Acero, Faggio, Abete, Sambuco, Lampone, Rosa canina, Viola, Ciclamino, Geranio, Fiordaliso, Ginepro. Fauna Lupo, Salamandra pezzata, Greppio, Cinghiale, Capriolo, Scoiattolo, Daino, Cervo, Saettone dagli occhi rossi, Vipera.

24

2.2.2 - LA REALTÀ SOCIO-ECONOMICA

2.2.2.1 - POPOLAZIONE

2.2.2.1.1 - LA DINAMICA INSEDIATIVA NELL’ULTIMO PERIODO Nell’ultimo trentennio i dati censuari, per la popolazione residente in Mesoraca, hanno riportato: - Censimento 1971 = 8.555 abitanti - Censimento 1981 = 9.160 abitanti, con l’incremento di 605 unità (+7,07%) - Censimento 1991 = 7.510 abitanti, con il decremento di 1.650 unità (- 18,01%) - Censimento 2001 = 7.125 abitanti, con il decremento di 385 unità (- 5,40%) - 31.12.2006 (Com.) = 6.821 abitanti, con il decremento di 283 unità (- 3,97 %) Pertanto, dal 1981 al 2006 la dinamica della popolazione residente ha sempre registrato decrementi (anche se, ad oggi, bisognerebbe considerare le 3985 persone, per 1596 famiglie, iscritte all’AIRE). Le differenze tra i tassi di variazioni della popolazione residente ed i corrispondenti tassi della Provincia e della Regione, evidenziano la “diversa” dinamica anagrafica della popolazione residente nel Comune, e la sostanziale indipendenza della sua realtà dai fattori esogeni, sia provinciali sia regionali.

2.2.2.1.2 - LA POPOLAZIONE RESIDENTE PER CLASSE DI ETÀ (ISTAT)

1971 1981 1991 2001 meno di 5 1032 963 561 376 da 5 a 9 1013 986 626 450 da 10 a 14 957 987 694 543 da 15 a 24 1695 1751 1436 1190 da 25 a 34 866 1284 1028 996 da 35 a 44 958 805 863 899 da 45 a 54 712 888 626 779 da 55 a 64 638 690 766 627 da 65 a 74 497 512 552 728 da 75 e più 187 294 358 537

POPOLAZIONE TOTALE 8555 9160 7510 7125

75 e più 65-74 2001 55-64 45-54 35-44 1991 25-34 15-24 10-14 1981 5-9 meno di 5

1971

0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 1300 1400 1500 1600 1700 1800 POPOLAZIONE

25

2.2.2.1.3 - INDICATORI RELATIVI ALLA POPOLAZIONE (ISTAT)

1971 1981 1991 2001 rapporto di mascolinità 1,040 1,025 0,990 0,945 indice di vecchiaia 0,227 0,274 0,483 0,924 anziani per un bambino 0,662 0,836 1,622 3,364 indice di dipendenza 0,757 0,690 0,591 0,586 % popolazione < 5 anni 12,063 10,513 7,470 5,277 % popolazione >75 anni 2,185 3,209 4,766 7,536

POPOLAZIONE TOTALE 8555 9160 7510 7125 Il rapporto di mascolinità è il rapporto tra l’ammontare della componente maschile e quello della componente femminile della popolazione residente. L’indice di vecchiaia è il rapporto tra individui di età da 65 anni in poi ed individui di età da 0 a 15 anni. Anziani per bambino è il rapporto fra individui di età da 65 anni in poi ed individui di età da 0 a 5 anni. L’indice di dipendenza (strutturale o carico sociale) è il rapporto tra individui di età da 0 a 15 anni + da 65 anni in poi ed individui di età da 15 a 65 anni.

2.2.2.1.4 - POPOLAZIONE RESIDENTE PER STATO CIVILE (ISTAT)

1971 1981 1991 2001 M F M F M F M F Celibi/nubili 2653 2304 2581 2261 2001 1741 1673 1572 Coniugati/e 1627 1633 1947 1923 1650 1703 1658 1695 (di cui separati di fatto) (6) (15) (6) (18) Separati legalmente 5 9 7 5 10 11 Divorziati/e 7 5 7 9 11 15 Vedovi/e 83 255 98 324 72 315 111 369 4363 4192 4638 4522 3737 3773 3463 3662

POPOLAZIONE TOTALE 8555 9160 7510 7125

2.2.2.1.5 - NUMERO DELLE FAMIGLIE PER NUMERO DI COMPONENTI (ISTAT) Famiglie composte da 1971 1981 1991 2001 1 persona 201 323 311 388 2 persone 364 466 497 559 3 persone 275 405 352 395 4 persone 295 418 399 451 5 persone 313 386 364 339 6 persone e più 562 447 264 132

FAMIGLIE TOTALI 2010 2445 2187 2264

POPOLAZIONE TOTALE 8555 9160 7510 7125

6 PERSONE e + 1 PERSONA 5 PERSONE 6% 17% 1 PERSONA 15% 2 PERSONE 3 PERSONE 4 PERSONE 5 PERSONE 2 PERSONE 4 PERSONE 6 PERSONE e + 20% 25%

3 PERSONE

26

2.2.2.1.6 - POPOLAZIONE RESIDENTE > 6 ANNI PER GRADO DI ISTRUZIONE (ISTAT)

1971 1981 1991 2001 Laurea 38 86 49 236 Diploma 223 354 511 1153 Licenza media 497 1181 1882 1884 Licenza elementare 2429 3085 2097 1613 Totale alfabeti 3187 4706 4539 4886 Alfabeti privi di titolo 2430 2070 1345 1096 Analfabeti 1722 1206 950 685 TOTALE > 6 ANNI 7339 7982 6834 6667

2.2.2.2. - EDIFICATO RESIDENZIALE

2.2.2.2.1 - EDIFICI AD USO ABITATIVO PER EPOCA DI COSTRUZIONE (ISTAT)

ISTAT 2001 ABITAZIONI STANZE Prima del 1919 51 178 Dal 1919 al 1945 457 1488 Dal 1946 al 1961 1362 4774 Dal 1962 al 1971 1435 5654 Dal 1972 al 1981 1342 5654 Dal 1982 al 1991 833 3571 Dopo il 1991 394 1660 Totale 5874 22979

Composizione del patrimonio esistente in abitazioni e stanze per epoca di costruzione

6.000

5.000

Abitazioni Stanze 4.000

3.000

2.000

1.000

0

27

2.2.2.2.2 - EDIFICI AD USO ABITATIVO PER NUMERO DEI PIANI FUORI TERRA (ISTAT)

ISTAT 2001 EDIFICI 1 piano 175 2 piani 1482 3 piani 673 4 piani e più 325 Totale 2655

4 PIANI + 100% 3 PIANI 2 PIANI 1 PIANO 50%

0%

2.2.2.2.3 - EDIFICI AD USO ABITATIVO PER TIPO DI MATERIALE USATO PER LA STRUTTURA PORTANTE (ISTAT)

ISTAT 2001 EDIFICI Muratura portante 468 Calcestruzzo armato 1738 Altro 449 Totale 2655

17% 18%

muratura cemento armato altro

65%

28

2.2.2.2.4 - ABITAZIONI OCCUPATE DA RESIDENTI PER NUMERO DI STANZE (ISTAT)

PATRIMONIO ABITATIVO OCCUPANTI COABITA AMPIEZZA ANNO ZIONE IAF

Abitazioni Stanze Famiglie Componenti Unità % Unità % Unità % Unità % Fam. % 1971 214 11 214 4 214 11 460 5 0 0 2,15 1981 119 5 119 1 119 5 198 2 0 0 1,66 1 1991 24 1 24 0 24 1 33 0 0 0 1,38 2001 17 1 17 0 17 1 23 0 0 0 1,35 1971 733 37 1.466 27 733 37 2.736 32 0 0 1,87 1981 462 19 924 11 462 19 1.156 13 0 0 1,63 2 1991 264 12 528 6 264 12 509 7 0 0 1,25 2001 190 8 380 4 190 8 385 5 0 0 1,27 1971 664 33 1.992 37 664 33 3.207 38 0 0 1,62 1981 780 32 2.340 28 782 32 2.955 32 2 0 1,65 3 1991 525 24 1.575 18 525 24 1.574 21 0 0 1,30 2001 607 27 1.821 20 607 27 1.621 23 0 0 1,11 1971 288 14 1.152 21 288 14 1.541 18 0 0 1,34 1981 686 28 2.744 33 687 28 3.046 33 1 0 1,45 4 1991 680 31 2.720 30 680 31 2.540 34 0 0 1,22 2001 757 33 3.028 34 757 33 2.438 35 0 0 1,01 1971 55 3 275 5 55 3 320 4 0 0 1,17 1981 285 12 1.425 17 286 12 1.317 14 1 0 1,20 5 1991 488 22 2.440 27 488 22 1.978 26 0 0 1,05 2001 501 22 2.505 28 501 22 1.828 24 0 0 0,91 1971 44 2 317 6 44 2 229 3 0 0 0,73 1981 103 4 702 9 103 4 457 5 0 0 0,85 6 e più 1991 206 9 1.644 18 206 9 857 11 0 0 0,68 2001 192 8 1.271 14 192 8 752 11 0 0 0,74 1971 1.998 5.416 1.998 8.493 0 1,58 1981 2.435 8.254 2.439 9.129 4 1,44 TOTALI 1991 2.187 8.931 2.187 7.491 0 1,09 2001 2.264 9.022 2.264 7.047 0 0,98

900 Patrimonio abitativo per classi d'ampiezza. Evoluzione 1971 - 1981 - 1991 - 2001. 800

700

1971

600 1981 1991 2001 500

400 ero di abitazioni num 300

200

100

0

ampiezza delle abitazioni (espressa in vani)

29

2.2.2.2.5 - ABITAZIONI NEL COMPLESSO PER TITOLO DI GODIMENTO (ISTAT)

Occupate Nel complesso

Propr. Affitto Altro Totale Non Occupate Propr. Affitto Altro Totale 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Abitazioni 1.643 349 6 1.998 164 1.796 355 11 2.162 1971 Stanze 4.533 865 18 5.416 399 4.906 879 30 5.815 Occupanti 7.078 1.394 21 8.493 7.078 1.394 83 8.555 Superficie 93.643 17.284 405 111.332 98.780 15.975 800 115.555 Abitazioni 1.924 393 118 2.435 533 2.457 393 118 2.968 1981 Stanze 6.579 1.274 401 8.254 1.809 8.388 1.274 401 10.063 Occupanti 7.381 1.378 370 9.129 7.381 1.378 401 9.160 Superficie 142.794 26.829 8.824 178.447 147.420 21.615 7.670 176.705 Abitazioni 1.929 207 51 2.187 1.995 3.924 207 51 4.182 1991 Stanze 7.947 786 198 8.931 7.452 15.399 786 198 16.383 Occupanti 6.647 699 145 7.491 6.647 699 164 7.510 Superficie 170.020 18.216 4.335 192.571 149.625 303.716 15.112 3.570 342.196 Abitazioni 1.927 191 146 2.264 3.610 5.537 191 146 5.874 2001 Stanze 7.720 747 555 9.022 13.957 21.677 747 555 22.979 Occupanti 6.030 583 434 7.047 6.030 583 512 7.125 Superficie 180.806 17.190 12.556 210.552 285.190 442.726 14.898 10.950 495.742

Parte seconda: Parametri

71 2,76 2,48 3,00 2,71 2,43 2,73 2,48 2,73 2,69 81 3,42 3,24 3,40 3,39 3,39 3,41 3,24 3,40 3,39 Ampiezza (Ab/st) 91 4,12 3,80 3,88 4,08 3,74 3,92 3,80 3,88 3,92 2001 4,01 3,91 3,80 3,98 3,87 3,91 3,91 3,80 3,91 71 57,00 49,52 67,50 55,72 0,00 55,00 45,00 72,73 53,45 Abitazioni 81 74,22 68,27 74,78 73,28 0,00 60,00 55,00 65,00 59,54 (mq) 91 88,05 81,83 2001 93,00 84,40 71 20,66 19,98 22,50 20,56 0,00 20,13 18,17 26,67 19,87

Superfici medie medie Superfici Stanze 81 21,70 21,06 22,00 21,62 0,00 17,58 16,97 19,13 17,56 VALORI MEDI (mq) 91 21,56 20,89 2001 23,34 21,57 71 1,56 1,61 1,17 1,57 1,44 1,59 2,77 1,47 Affollamento 81 1,12 1,08 0,92 1,11 0,88 1,08 1,00 0,91 Comp/Stanze 91 0,84 0,89 0,73 0,84 0,43 0,89 0,83 0,46 2001 0,78 0,78 0,78 0,78 0,28 0,78 0,92 0,31 71 82,23 17,47 0,30 7,59 83,07 16,42 0,51 % di 81 79,01 16,14 4,85 17,96 82,78 13,24 3,98 Abitaz. 91 88,20 9,47 2,33 47,70 93,83 4,95 1,22 2001 85,11 8,44 6,45 61,46 94,26 3,25 2,49 71 83,70 15,97 0,33 6,86 84,37 15,12 0,52 Titolo di di Titolo godimento godimento % di 81 79,71 15,43 4,86 17,98 83,35 12,66 3,98

VALORI RELATIVI Stanze 91 88,98 8,80 2,22 45,49 93,99 4,80 1,21 2001 85,57 8,28 6,15 60,74 94,33 3,25 2,42

30

2.2.2.2.6 - STANZE E ABITAZIONI – OCCUPATE E NON OCCUPATE - PER DESTINAZIONE D’USO (ISTAT)

ABITAZIONI OCCUPATE NON OCCUPATE IN COMPLESSO Stanze ANNO Destinate a Abitazioni Stanze Abitazioni Stanze uso cucina Totale Abitazioni Superficie altro uso abitativo abitabile unità n mq n n n n n n n n mis. note 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1971 1.998 111.332 5.391 25 0 5.416 164 399 2.162 5.815 1981 2.435 178.447 6.333 1.885 36 8.254 533 1.809 2.968 10.063 1991 2.187 192.571 6.864 1.990 77 8.931 1.995 7.452 4.182 16.383 2001 2.264 210.552 7.203 1.743 76 9.022 3.610 13.957 5.874 22.979

FAMIGLIE

IN ABITAZIONI IN ALTRI ALLOGGI IN TOTALE ANNO Famiglie Componenti Famiglie Componenti Famiglie Componenti

unità n n n n n n mis. note 11 12 13 14 15 16 1971 1.998 8.493 12 62 2.010 8.555 1981 2.439 9.129 6 31 2.445 9.160 1991 2.187 7.491 19 2.187 7.510 2001 2.264 7.047 78 2.264 7.125

PARAMETRI ABITATIVI TAGLIA MEDIA QUOTA DI INCREMENTO STANZE INOCCUPATO NEL DECENNIO ANNO CUCINA

Occupate COEFFIC. Non ABITABILE ABITATIVO uso SUPERFICIE Totali occupate Abitazioni Stanze Abitazioni Stanze abitativo unità st abt/st st/abz st/abz st/abz mq/abz % % % % % mis. tot note 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 1971 2,70 2,71 2,43 55,72 1,25 7,59 6,86 1,00 / / / / 1981 2,60 3,39 3,39 73,28 77,41 17,96 17,98 0,77 37,28 73,05 1991 3,14 4,08 3,74 88,05 90,99 47,70 45,49 0,77 40,90 62,80 2001 3,18 3,98 3,87 93,00 76,99 61,46 60,74 0,80 40,46 40,26

31

ABITAZIONI OCCUPATE

ANNO Famiglie Componenti TAGLIA Abitazioni Stanze Unità % Unità % Unità % Unità % 1 2 3 4 5 6 1 2 3 4 1971 214 10,7 214 4,0 214 460 1981 119 4,9 119 1,4 119 198 1 1991 24 1,1 24 0,3 24 33 2001 17 0,8 17 0,2 17 23 1971 733 36,7 1.466 27,1 733 2.736 1981 462 19,0 924 11,2 462 1.156 2 1991 264 12,1 528 5,9 264 509 2001 190 8,4 380 4,2 190 385 1971 664 33,2 1.992 36,8 664 3.207 1981 780 32,0 2.340 28,3 782 2.955 3 1991 525 24,0 1.575 17,6 525 1.574 2001 607 26,8 1.821 20,2 607 1.621 1971 288 14,4 1.152 21,3 288 1.541 1981 686 28,2 2.744 33,2 687 3.046 4 1991 680 31,1 2.720 30,5 680 2.540 2001 757 33,4 3.028 33,6 757 2.438 1971 55 71,0 275 5,1 55 320 1981 285 11,7 1.425 17,3 286 1.317 5 1991 488 22,3 2.440 27,3 488 1.978 2001 501 22,1 2.505 27,8 501 1.828 1971 44 2,2 317 5,9 44 229 6 1981 103 4,2 702 8,5 103 457 e più 1991 206 9,4 1.644 18,4 206 857 2001 192 8,5 1.271 14,1 192 752 1971 1.998 5.416 1981 2.435 8.254 1991 2.187 8.931 TOTALE TOTALE 2001 2.264 9.022

2.2.2.3 - ATTIVITÀ PRODUTTIVE

2.2.2.3.1 - OCCUPATI PER ATTIVITÀ ECONOMICA (ISTAT 2001) Al censimento del 2001, i 1536 occupati censiti, risultavano impiegati, nei tre settori, così come appresso riportato: Agricoltura 479, Industria 296, Altre attività 761

2.2.2.3.2 - OCCUPATI PER CLASSI DI ETÀ (ISTAT 2001)

da 15 a 19 anni da 20 a 29 anni da 30 a 54 anni oltre i 55 anni 23 257 1051 205

32

2.2.2.3.3 - OCCUPATI PER SEZIONI DI ATTIVITÀ ECONOMICA (ISTAT 2001)

Agricolt. Pesca Estratt. Manifatt. Energia Costruz. Comm. Ricett. Trasp. Finanz. Immobil. P.A. Istruz. Sanità Servizi Servizi Sociali domestici 479 2 1 126 4 165 157 47 26 11 54 131 199 88 36 12

2.2.2.3.4 - RIPARTIZIONE DELLA SUPERFICIE AZIENDALE PER UTILIZZAZIONE (ISTAT 2001)

sup. agricola utilizzata (SAU) 3461,30 ha seminativi 885,31 ha coltivazioni legnose agrarie 1812,86 ha prati, pascoli 763,13 ha arboricoltura da legno 23,61 ha boschi 2919,73 ha sup. agraria non utilizzata 163,28 ha altra superficie 62,95 ha totale 6630,87

2.2.2.3.5 - OCCUPATI IN AGRICOLTURA (POSIZIONE NELLA PROFESSIONE ED ATTIVITÀ ECONOMICA) (ISTAT 2001)

Imprenditore Lavoratore in proprio Socio di cooperativa Dipendente 6 45 1 427

2.2.2.3.6 - AZIENDE AGRICOLE PER CLASSE DI SUPERFICIE TOTALE (ISTAT 2001)

superficie (ha) n°. aziende meno di 1 934 1-2 233 2-5 176 5-10 49 10-20 30 20-50 14 50-100 4 oltre 100 7

2.2.2.3.7 - AZIENDE AGRICOLE PER CATEGORIA DI PRODUZIONE (ISTAT 2001)

n°. aziende superficie (ha) seminativi cereali 73 639,79 coltivazioni ortive 18 53,93 coltivazioni foraggere 16 130,78 colture legnose vite 8 3,18 olivo 1245 1398,94 agrumi 51 73,21 fruttiferi 182 318,48

2.2.2.3.8 - AZIENDE AGRICOLE CON ALLEVAMENTI (ISTAT 2001)

n°. aziende capi bovini 17 566 suini 10 62 ovini 11 2350 caprini 5 638 equini 6 16 avicoli 9 798

33

2.3 - IDENTITÀ STRUTTURALE DELL’AMBIENTE

2.3.1 - ASSETTO STRUTTURALE DEL TERRITORIO COMUNALE La legge n. 431/85 (legge Galasso) e le sue derivate, hanno radicalmente spostato i termini della tutela territoriale laddove hanno “sottoposto” alla tutela anche talune specificità morfologiche del territorio in modo automatico, senza cioè passare prima attraverso il loro “riconoscimento” da parte di una struttura a ciò preposta, e successivamente, attraverso la notifica ai proprietari delle aree vincolate. Non più, pertanto, sono sottoposti a tutela le sole “bellezze naturali”, “le ville, i giardini e i parchi”, “i complessi aventi un caratteristico aspetto avente valore estetico” e le “bellezze panoramiche” (i “beni” tutelati, previo notifica, dalla legge n. 1497/39) , ma anche “i torrenti e i corsi d’acqua”, “i parchi e le riserve”, “le foreste e i boschi” e “le zone di interesse archeologico”. Con la legge regionale n.19/2002 è il P.S.C. che deve disciplinare la specifica tutela dei “beni territoriali” (di cui quelli “paesaggistici” sono una parte): sia di quelli già censiti sul territorio, sia di quelli che saranno rilevati attraverso la dettagliata analisi territoriale che sarà eseguita in sede di formazione dello stesso P.S.C. Il territorio comunale extraurbano, pertanto, sarà analizzato nei tre sistemi entro cui vanno considerati i caratteri costitutivi fondamentali delle strutture paesaggistico- ambientali e cioè: - il sistema delle aree omogenee per l'assetto geologico, geomorfologico e idrogeologico; - il sistema delle aree omogenee per la copertura botanico/vegetazionale/colturale e delle potenzialità faunistiche; - il sistema delle aree omogenee per i caratteri della stratificazione storica dell’organizzazione insediativa, e, valutati i “pesi” di tali componenti, saranno individuati gli “ambiti territoriali”. Nel “territorio costruito” la tutela dei beni culturali architettonici sarà organizzata, nell’ambito di ciascuna zona omogenea (DM 1444/68) per tipologie omogenee di beni (singoli edifici, complessi di edifici, isolati, maglie urbanisticamente definite) con una disciplina di dettaglio che renderà sempre direttamente applicabile la procedura del permesso di costruire oppure quella della denunzia di inizio attività.

2.3.2 - IL SISTEMA AMBIENTALE Il territorio comunale di Mesoraca, lungo circa 32 km (per una larghezza di 3), è articolato in 3 zone morfologicamente distinte: - La Marina - La fascia territoriale che si estende, quasi, dalla costa ionica, ed in maniera pressoché pianeggiante, fi- no ad un’altezza di 200 m.s.l.m., presenta un paesaggio prevalentemente, fondato su schemi di agricoltura di tipo rurale, caratterizzato da uliveti, vigneti e seminativi vari; esistono isolati insediamenti agricoli.

- L’Abitato. Il Capoluogo (400 m s.l.m.), che dall’antico borgo, si è dilatato in maniera tanto impetuosa quanto disordinata ed incompiuta (innumerevoli sono i fabbricati mai ultimati) verso ovest, verso nord e verso sud, ha inglobato rispettivamente i nuclei della frazione Filippa, della zona Campizzi e della zona Franco. Il Centro Storico, strapiombante sui letti dei due fiumi e costituito dagli antichi rioni (Grecia, Piano della Porta, Timpone, Piraina, Castello, Piano della Mandria, Novellino, Cavone, Candelora) dopo il 1832 fu interessato dallo sviluppo edilizio dovuto alla ricostruzione post-sisma che comportò la nascita dei rioni Petrarizzo, Tirone e Pietra Piana.

34

- La Montagna. Dai 400 agli oltre 1800 m s.l.m., (indicata fino a 1200 metri come zona delle castagne, fino a 1400 metri come zona del faggio, oltre 1400 metri come zona alta) è distinta in due aree geografiche: a sinistra e a destra del Vergari. A destra comprende gli insediamenti (N-W) sul monte Giove (1239 m s.l.m.). Vi si pratica uno sfruttamento agro (orti, intorno al convento dell’Ecce Homo, a produzione di: fragole, ciliegie, frutti di bosco, frutta, verdure) silvo (produzione di castagne) pastorale (bovini, ovini, caprini).

Alla sinistra, del Vergari, la fascia del Montano, che va (N-E) da Campizzi, oltre Fratta, fin nella Sila Piccola. E’ caratterizzata da cospicue pinete, castagneti, da boschi di faggio, di ontano e cerro (che forniscono il materiale grezzo alle attività legate all’economia del legno). Le emergenze ambientali e paesaggistiche (peraltro sottoposte a diversi livelli di tutela), sono di eccezionale importanza: la fascia litoranea-collinare-pedemontana, l’area a bosco, i letti dei Fiumi, l’Abitato, etc., costituiscono unità di paesaggio tanto diverse quanto diversamente eco-sfruttabili. Indicativamente tutto il territorio risulta essere costituito da terreni di natura argillosa (nella zona marina), argilloso- calcarea (nella zona collinare) e silicea (nella zona montana).

2.3.3 - LE TUTELE Le tutele di cui il P.S.C. recepirà, naturalmente, tutte le indicazioni e le prescrizioni sono di ordine: a- internazionale e comunitario Il territorio comunale di Mesoraca è interessato da tutele di livello comunitario su “aree”, individuate ai sensi del D.M. del 03.04.2000, in attuazione delle Direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE relative alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche. Come habitat tutelati dalla Direttiva 92/43/Cee, sono presenti Foreste miste, Praterie aride e steppe. Il Sito d'Importanza Comunitaria (pSIC) “Monte Femminamorta” (Codice IT9320115), con un’estensione di oltre 650 ettari, appartiene alla regione biogeografia “Mediterranea” ed interessa i Comuni di Petronà e Mesoraca. Di elevato valore paesaggistico, rappresenta uno dei più importanti ambienti montani della Sila. A tratti la vegetazione boscosa presenta esemplari di notevoli dimensioni che risultano fra i più maestosi dell’Italia Meridionale. Come specie della fauna tutelate dalla Direttiva 79/409/Cee e 92/43/Cee, è presente il lupo (canis lupus). Come habitat tutelati dalla Direttiva 92/43/Cee, sono presenti foreste di Faggi degli Appennini e di Pinus laricio. I Siti limitrofi del ”Monte Gariglione” e del “Fiume Tacina”, il “Corridoio ambientale” (ai confini a Sud) contraddistinto come zona IBA (Important Bird Area), dove è elevatissima la presenza di avifauna acquatica e nidificante migratoria, che ne ha giustificato l’inserimento nella lista delle zone umide di importanza internazionale rendono allo stesso modo meritevole di attenzione le aree estese. Rispetto alla vulnerabilità, negli ultimi anni alcuni tratti dei fiumi sono stati bonificati e messi a coltura con ripristino della vegetazione ripariale.

35

b - nazionale e locale Istituito con D.P.R. del 14.11.2002, il “Parco della Sila”, entro il quale ricade, parzialmente, il territorio di Mesoraca, è un’area di sicuro valore eccezionale (secondo una classificazione in Ambiti territoriali estesi). Numerose le specie protette: cervi, daini, caprioli, scoiattoli, lupi, greppi, salamandre pezzate. Gli Ate sono le parti del territorio considerate di: “valore eccezionale A” (quando è presente almeno un bene paesaggistico di riconosciuta unicità e/o rilevanza), di “valore rilevante B” (quando sono presenti più beni paesaggistici), di “valore distinguibile C” (quando è presente un bene paesaggistico), di “valore relativo D” (quando in assenza di beni paesaggistici sono presenti vincoli diffusi), di “valore normale E” (quando non è direttamente dichiarabile un significativo valore paesaggistico).

2.4 - IDENTITÀ STORICA E CULTURALE

2.4.1 - LA STRATIFICAZIONE STORICA DELL’INSEDIAMENTO TRA LEGGENDA E STORIA Anche se incerta la datazione del primario insediamento (per alcuni addirittura antecedente al 1600 a.C.) è certo che furono gli Enotri a fondare l’antica Reazio, che ben presto divenne “Castello”. Fu grazie alla produzione della legna, della frutta, delle castagne, delle noci, dei cereali, del marmo, che l’antico borgo assunse importanza. Sfruttando sia la fertilità del proprio territorio (che dal mare si estendeva fino alle foreste della Sila) sia i suoi numerosi corsi di acqua, fra cui i fiumi Reazio (da cui prendeva il nome) e Vergari, il “Castello”, chiamato, poi, verso il V secolo a.C., Mesorachion (luogo delizioso) dai Greci, e successivamente Mesoreacium (luogo tra due fiumi) dai Latini, fin dall’antichità, fu riferimento ed aiuto per le popolazioni vicine. Era città colta, sede di religiosi. Era il 417 d.C. che a Roma venne eletto Papa San Zosimo. “Ebbe il pregio Mesuraca o sia l’antica Reazio, terra coltissima di Calabria di produrre al Vaticano un Pontefice, un eroe illustre, un argine fortissimo al torrente di eresie e di peccati che allora inondavano la chiesa di Dio” (Andrea Fico- 1760). Fu possesso successivo dei Ruffo di Calabria, dei Trivulzi, dei Caibano, degli Spinelli, fino all’eversione della feudalità operata dai Francesi. Nel periodo borbonico (facente parte del Circondario che aveva sede a Santa Severina) fu interessata da ripetuti e violenti fenomeni di brigantaggio. Il paese negli anni ha conosciuto diversi eventi ma ha mantenuto sempre l’antico aspetto. Ha conosciuto la riforma agraria del dopoguerra e l’espansione urbanistica degli anni ’80-90 (del secolo scorso) che ne hanno aumentato l’area edificata.

36

PARTE TERZA

IL FUTURO

3.1 - IL SEGUITO DEL PERCORSO: I CRITERI DI REDAZIONE DEL P.S.C.

3.1.1 - IL METODO DELLA TRASFORMAZIONE E’ ben noto che l’attuale legislazione prevede gli stessi criteri di formazione dei piani urbanistici per comuni di 1.000 o di 100.000 abitanti, per piccoli centri isolati in costante decremento demografico o per località turistiche di richiamo mondiale. La sola differenza prescritta è qualche mq in più o in meno di verde pubblico, parcheggio, etc. Viceversa i piani per i piccoli centri a scarsa dinamica di sviluppo sono proprio quelli che nella pratica comportano le maggiori difficoltà di applicazione della disciplina urbanistica. Non sono utilizzabili gli usuali indicatori di bisogno (in origine costruiti per governare i grandi processi urbani); non si possono operare proiezioni demografiche attendibili (perché le piccole comunità sono spesso stazionarie o in regresso) e le risorse economiche pubbliche sono in genere scarse, (quindi ridotta è la capacità gestionale); quelle private sono quasi sempre diffuse ed alimentano perciò una domanda di interventi puntuali difficilmente governabile (ma facilmente paralizzabile) con il rinvio ai piani particolareggiati. Gli effetti di tale stato di cose sono perversi. Accade infatti che per rispondere ad una domanda abitativa concretamente rilevabile ma non giustificabile con i tradizionali indicatori (affollamento, densità, etc.) i progettisti tendono a gonfiare le previsioni demografiche: i piani prevedono quindi una riserva di standards urbanistici (prescritti in mq per abitante) esuberante rispetto alle effettive necessità (già di per sé assai ridotte nei piccoli centri); gli amministratori locali sono costantemente impegnati a driblare il piano che essi stessi hanno prodotto pur di permettere un’attività edilizia che la comunità intera sente legittima; gli amministratori centrali si vedono costretti ad un’estenuante contrattazione sull’estensione delle aree residenziali, perdendo di vista il controllo di qualità delle norme, dell’assetto comprensoriale, etc. La presenza di un centro storico, inoltre, induce spesso a produrre un piano tanto rigido nella forma, quanto contraddittorio nella “regola” complessiva che propone: le vecchie case -costruite a filo di strada ravvicinate fra loro, con finestre piccole, etc. - vengono tutelate anche quando non hanno niente di “artistico”, talvolta fino al punto di impedirne l’adeguamento alle esigenze abitative attuali. Viceversa nelle zone di espansione bisogna arretrarsi dalla strada, distaccarsi di almeno 10 m. dagli edifici anche se sono alti solo 6 metri, etc. Insomma nelle nuove zone è rigorosamente proibito riproporre la vecchia maniera di costruire; anche quando la tendenza o il clima consiglierebbero di compattare il tessuto edilizio. In ogni caso il piano urbanistico viene percepito da tutti come strumento di governo del territorio sostanzialmente “falso”, spesso ambiguo nella logica complessiva, sempre e comunque opinabile. Non c’è quindi da meravigliarsi se l’abusivismo diventa di fatto “cultura”, prima ancora che necessità (almeno nei piccoli centri a debole dinamica abitativa). In realtà la tutela effettiva del territorio può esserci solo se, come è sempre avvenuto in passato, la comunità sente come proprie e vantaggiose le “regole” con cui il territorio va trasformato per adattarlo alle esigenze del momento. L’obiettivo del Piano è infatti quello di evitare che si produca un nuovo tessuto edilizio tanto ordinato e conforme al Piano quanto “povero” e squallido; di permettere in futuro le correzioni del Piano che non contrastino con l’assetto generale e con le finalità identificate come prioritarie. Per favorire lo sviluppo globale ed integrato del sistema comunità-territorio di Mesoraca il Piano dovrà: * evitare che si producano manufatti poco rispondenti alla cultura abitativa localmente consolidata o che comportino l’uso di tecnologie che aumentino la dipendenza dall’esterno della comunità; * stimolare la comunità perché recuperi le regole - tecniche, sociali, economiche, ecc.- che nel passato ne hanno guidato l’azione di adattamento delle risorse disponibili alle specifiche esigenze e da cui derivano gli ambienti che oggi sono riconosciuti di pregio o, comunque, ancora soddisfacenti; * utilizzare tale recupero per definire le nuove regole per gestire le risorse attuali con gli strumenti oggi disponibili - tecnologie nuove, ecc. - capaci di produrre un habitat nuovo coerente con l’antico e adatto alle esigenze attuali (commercio, spostamento, ecc.) come lo era quello alle esigenze di allora; * utilizzare per il dimensionamento indicatori capaci di esprimere i bisogni effettivi della comunità (volume unitario per stanza, affollamento, ecc.); * identificare procedure e strumenti di gestione capaci di: - stimolare la tutela attiva delle risorse attraverso utilizzazioni non distruttive; - restituire ai singoli capacità di autovalutazione della compatibilità dell’intervento con il contesto ambientale e con le risorse disponibili; - assicurare la realizzazione degli interventi di utilità comunitaria, legandoli a motivi d’interesse dei singoli;

37

- permettere di operare in futuro le piccole correzioni di disegno che non alterino la struttura del Piano ma che si dovessero rivelare più vantaggiose sia per i singoli che per la comunità. Il Piano, cioè, deve essere una specie di statuto comunitario, integrato da un disegno del territorio che rappresenti la sintesi degli interessi collettivi da privilegiare. Di solito per produrre un Piano urbanistico generale si parte dal rilievo della consistenza attuale del sistema (stanze, impianti, scuole, ecc.) se ne deducono mediante indicatori e metodi di proiezione standard i bisogni collettivi futuri; li si traduce in un disegno del territorio; questo viene poi completato con norme di attuazione che definiscono i parametri metrici con cui realizzarlo o che rinviano tutto ad un successivo disegno più dettagliato. Il Piano così definito viene adottato dal Consiglio e, solo allora, viene sottoposto alla valutazione della collettività per raccoglierne le osservazioni. Le scelte di dettaglio sono quindi condizionate da quelle generali, i bisogni dei singoli sono espressi dai valori medi degli indicatori, gli interessi particolari che appaiono in contrasto con quelli della comunità vanno a questi subordinati. I principi generali sono ineccepibili ma le conseguenze sono perverse: nel corso della pubblicazione - in teoria finalizzata a recepire contributi migliorativi - in realtà emergono solo gli interessi particolari la cui tutela contrasta con quelli collettivi e/o quelli che, evidentemente, non sono riusciti ad imporsi nella fase non pubblica di redazione del Piano; le difficoltà di soddisfare i bisogni territoriali della comunità emergono solo quando il Piano va in vigore; se l’Amministrazione modifica il suo programma di opere pubbliche dopo l’approvazione del Piano o bisogna ricominciare da capo (con una variante) oppure ci si limita a fare un’attrezzatura invece di un’altra, azzerando così la credibilità globale del Piano4. E’ un processo che si verifica sempre, a prescindere dal carattere del sistema locale. Infatti nessuno è disposto ad accettare oggi un sacrificio certo dei propri interessi (la destinazione ad uso pubblico del proprio terreno) per un futuro vantaggio collettivo (la realizzazione dell’opera) che il Piano non può garantire e di cui talvolta non riesce a motivare convincentemente l’ubicazione. In realtà alcune esperienze di produzione partecipata dei piani hanno dimostrato che solo se è la comunità stessa a produrre le regole di trasformazione ed uso delle risorse territoriali è possibile che si realizzi concretamente l’equilibrio del sistema e l’effettiva tutela dell’ambiente. In tali esperienze le regole che determineranno l’aspetto e l’assetto del territorio devono essere definite dai progettisti attivando la partecipazione di tutti gli interlocutori - cittadini, amministratori, tecnici, operatori economici - con una procedura che si sviluppa per fasi successive, distinte ed articolate, in cui è possibile riconoscere una rigorosa sequenza metodologica. La pubblicità delle riunioni determinerà sia l’elisione naturale delle domande contrarie agli interessi comunitari sia l’aggregazione in blocchi omogenei di quelle domande che, pur perseguendo interessi particolari, riflettono problemi comuni: distanze fra i fabbricati, lotti minimi, ecc. La soluzione dovrà essere allora cercata, e trovata, nelle regole reperibili nel territorio esistente, nella cultura di vicinato, nel sapere tradizionale, utilizzando in forma partecipata strumenti di conoscenza usuali e non. La costruzione delle nuove “regole” da adottare per rispondere ai bisogni edilizi riconosciuti legittimi consentirà anche di identificare ed avviare a preventiva soluzione tutti i problemi di dettaglio non risolvibili con norme generali e per le quali si potrebbe rendere necessaria la redazione contestuale di un piano esecutivo.5 Lo stesso procedimento iterativo utilizzato per trasformare le domande di fabbricazione in regole edilizie sarà poi adottato per trasformare le altre domande d’uso delle specifiche risorse del territorio - le aree agricole di buona accessibilità, di valore ambientale, le emergenze storiche, ecc. - in regole urbanistiche, cioè nel criterio con cui localizzare le varie zone. La preventiva definizione del come effettuare i vari interventi consente, quindi, nella fase successiva, sia di definire i fabbisogni quantitativi globali, sia di valutare dove conviene localizzarli con più oggettivo riferimento alle caratteristiche delle risorse disponibili. A questo punto si opererà il confronto con le previsioni di livello sovracomunale, con il programma di spesa dell’Amministrazione, con le risorse disponibili, arrivando così a tracciare gli schemi alternativi di assetto del territorio e del Capoluogo. Ed è su tali schemi che si possono esercitare le opzioni politiche, al riparo della influenza dei confini di proprietà e sulla base di parametri comparativi preventivamente definiti nel corso della procedura. L’assetto così deciso sarà poi trascritto nel progetto esecutivo utilizzando le regole precedentemente definite (assicurare sempre una visuale libera ai fabbricati, disegnare le nuove strade lungo i confini, ecc.). A conclusione della procedura, infine, durante la fase di pubblicazione l’Amministrazione metterà a disposizione dei singoli cittadini l‘équipe che ha redatto il Piano per l’esame preventivo dettagliato di tutte le osservazioni e la stesura di quelle che propongono modifiche compatibili con gli interessi comunitari perseguiti dal Piano. Produrre il Piano in questo modo - cioè a partire dalle domande degli utenti - produrrà dunque una radicale modifica della usuale sequenza di analisi/progetto/verifica, soprattutto in ordine alla successione ed al rapporto domande-

4 Come si fa a sostenere necessità ed obiettività delle localizzazioni delle attrezzature di uso pubblico se poi il Comune può tranquillamente realizzare una biblioteca nell’area destinata ad un ospizio o viceversa senza che nulla cambi nella restante parte del Piano?

5 Ad esempio piani particolareggiati specifici per gli insediamenti produttivi, per l’edificato rurale di pregio, per le nuove cortine del centro storico, etc.

38

singole/interessi-comunitari. Con la conseguenza che l’intera strumentazione ordinariamente utilizzata nella prassi corrente, dovrà necessariamente subire modifiche, adattamenti e innovazioni. Si è già detto della necessità di integrare le carte topografiche con i confini di proprietà; si elencano le altre innovazioni che la procedura partecipata rende possibile e/o necessarie: * la distanza dai fabbricati e confini viene regolata attraverso il parametro della Visuale Libera, in modo da garantire sempre il confort abitativo e permettere di utilizzare anche i lotti residui esistenti nelle zone parzialmente edificate; * per garantire l’utilizzazione ottimale anche degli immobili di ridotte dimensioni sono previsti degli indici urbanistici inversamente proporzionali all’ampiezza dell’esistente; * accanto all’indice di fabbricabilità si introduce un nuovo parametro - il Carico Urbanistico - (nell’Appendice A sono descritti i vantaggi dell’applicazione del metodo) destinato ad impedire che si determini un eccessivo carico di utenza su reti ed attrezzature se, a parità di volume, vengono realizzati solo edifici plurifamiliari invece delle case unifamiliari; * viceversa per regolare gli interventi di piccola entità, si adotta solo l’indice di carico urbanistico in modo da permettere l’utilizzazione dei lotti, piccoli o piccolissimi - per i quali non si deve rispettare il rapporto volume/superficie - evitando comunque che aumenti il carico su reti ed attrezzature; * si introduce un Piano di Utilizzazione Urbanistica che fotografa la capacità edificatoria (consistenza catastale) esistente alla data di formazione del Piano, sia per impedire le facili speculazioni (frazionamenti artificiali, ecc.) sia per facilitare il controllo continuo dello stato di attuazione del Piano man mano che le aree vengono utilizzate; * per evitare congestione si prevede l’obbligo generalizzato di cedere aree di parcheggio pubblico ogni volta che l’intervento produce un aumento del carico urbanistico; * per garantire il confort abitativo e sfruttare al meglio le reti di urbanizzazione è possibile ampliare le abitazioni esistenti a condizione che non ne derivi aumento del carico urbanistico (cioè se non vengono aumentate le unità immobiliari) e vengano rispettate le visuali libere; * è obbligatorio, al contrario, cedere le superfici di parcheggio se l’intervento produce aumento del carico urbanistico anche senza aumento di volume (frazionamento di case grandi, trasformazione di depositi in negozi, ecc.); * vengono definiti con precisione gli incentivi che permettono al Comune di acquisire gratis le aree di uso pubblico (parcheggi, viabilità, ecc.) in cambio di un premio (di cubatura e/o unità immobiliare) concesso al proprietario; * per accelerare l’attuazione del Piano i proprietari vengono stimolati a realizzare direttamente le attrezzature pubbliche previste dal Piano - per poi rivenderle o fittarle al Comune - consentendo loro di realizzare, anche nello stesso lotto, l’edilizia abitativa e terziaria prevista nella zona; * per tutelare le risorse di pregio esistenti viene stabilito l’obbligo di redigere una Verifica di Compatibilità quando l’intervento è delicato (edifici antichi, aree di pregio ambientale, ecc.). Sono tutte innovazioni che si combinano tra loro con l’obiettivo di stimolare l’uso completo delle risorse, evitare che il vantaggio di uno produca danni al vicino, che la somma di agevolazioni concesse ai singoli producano aggravio dell’uso del territorio. Esse sono perfettamente compatibili con la vigente legislazione statale e regionale - come verrà ampiamente analizzato nell’appendice che si allegherà alla relazione definitiva - e riflettono le recenti tendenze innovative della disciplina urbanistica, che puntano a regolare il comportamento del sistema comunità-territorio piuttosto che a prefigurarne rigidamente il disegno.

3.1.2 - LE INNOVAZIONI TECNICHE Gli strumenti urbanistici prodotti con metodi partecipativi a partire dalle domande dei cittadini, puntano a conseguire l’autoregolazione del processo di adattamento del territorio, inducendo comportamenti dei vari attori capaci di elidere reciprocamente le spinte abusivistiche generate da molte delle correnti formulazioni della tecnica urbanistica. I piani “autoregolatori”, derivati da questo approccio hanno assunto sempre più la forma di "statuti" comunitari, "regole" a cui riferire l'azione futura tesa ad adattare progressivamente il territorio alle esigenze in evoluzione della comunità. In tali "statuti", evidentemente, le Norme di Attuazione hanno assunto un peso preponderante, e sono fortemente innovative. Per quanto attiene ai rapporti tra i singoli, le norme sono formulate con l'intento di recuperare la originaria valenza sociale di qualsiasi normativa. Anziché prescrivere ciò che ciascuno può "fare" nella sua proprietà le N. di A. chiariscono che cosa "non va fatto" agli altri6.

6 Le usuali norme di attuazione regolano la geometria dei manufatti (altezza massima, distanze, ecc.), soprattutto al fine di garantire idonee condizioni abitative agli edific da realizzare e a quelli vicini o da realizzzare in seguito. Per definirle l'urbanista ipotizza un tessuto edilizio standard e poi prescrive i parametri geometrici che dovranno produrlo. Una tale procedura rende omogeneo il tessuto edilizio (talvolta anche troppo), ma non permette di realizzare edifici che, anche se non provocano riduzioni del comfort, risultano diversi da quelli assunti a base della norma di piano. Inoltre rende estremamente difficili gli interventi che si inseriscono nella città esistente (proprio quelli a costo minimo per la comunità). Nei piani "autoregolatori", invece, vengono rigorosamente definiti qualità e geometria dell'intorno spaziale a cui ciascuno ha diritto (visuali libere da garantire

39

In pratica il singolo operatore è relativamente libero di realizzare ciò che più gli conviene, ma deve rispettare i diritti dei vicini e della comunità che non vanno lesi dall'intervento e che il piano definisce rigorosamente. In relazione al rapporto tra i singoli e la collettività, invece, la normativa è congegnata in modo da rendere i proprietari "indifferenti" rispetto alla quantità di area destinata ad uso pubblico ricadente nel lotto e, al tempo stesso, da stimolarli (con premi di cubatura, agevolazioni, ecc.) a realizzarle nella forma prevista dal Piano (anche l'urbanista ha diritto alla sua quota di soddisfazione...). Quest’ultimo aspetto della normativa determina una ulteriore innovazione. Il disegno di Piano non è più totalmente vincolante, ma diventa “guida” all’azione di adattamento, modello di una "possibile" forma del territorio. La configurazione finale del territorio sarà tanto più prossima a quella disegnata nelle tavole del P.S.C., quanto più lo “statuto” avrà saputo esprimere la “cultura” della comunità. Esso deriva, prevalentemente, dall’addizione di singoli interventi, che il Piano suddivide in due categorie: a) quelli di interesse comunitario, (sintetizzati nello schema di Piano) che vanno privilegiati e che sono modificabili solo con variante al P.S.C.; b) quelli finalizzati a permettere la utilizzazione minuta dei vari ambiti, che invece possono essere modificati con modalità prescritte dalle N. di A., variabili in rapporto all'importanza delle modifiche a farsi. Alcune norme, poi, introducono agganci particolari alla vigente legislazione urbanistica nazionale, tali che anche violazioni lievi della normativa determinano la “difformità totale” delle costruzioni rispetto alla concessione (o la fattispecie di “costruzione in assenza di concessione”). Altre formulano prescrizioni generali che, sempre attivando la vigente legislazione nazionale, permettono di aggiornare il piano in tempo reale, senza dover ricorrere ad una variante (ad esempio per estendere man mano la tutela degli elementi di pregio del territorio, o quelli di particolare rilievo nella cultura della comunità, integrando l’insieme inizialmente identificato dal piano con ulteriori elementi rivendicati dalle associazioni ambientaliste, culturali, ecc.). Con riferimento alle principali "questioni" oggi sul tappeto si segnalano le principali innovazioni finora rese operative: A) per migliorare la qualità del tessuto edilizio generato dal piano le norme prescrivono: 1. regole e definizioni (distanza degli edifici, arretramento delle strade, visuale libera, parete finestrata/non finestrata, unità immobiliare, commistione funzionale, ecc.) che utilizzano la tendenza di ciascuno a sfruttare al massimo il lotto disponibile per indurre la produzione di un tessuto edilizio più compatto e vario di quello corrente, più prossimo a quello antico (di solito le "nuove" regole ricalcano quelle riconoscibili nell'edificato storico locale); 2. una verifica di compatibilità, uno studio-questionario standard con cui i progettisti debbono autovalutare la compatibilità dell'intervento con il contesto ambientale, in tutti i casi che il piano identifica come particolarmente delicati (edificazione dei lotti liberi nei centri storici, modifica delle aree di notevole valore paesistico, ampliamenti o nuove costruzioni da inserire in manufatti esistenti, ecc.) 3. le modalità con cui lo studio viene fatto proprio dall'Amministrazione (in modo da rendere la Commissione Edilizia corresponsabile della veridicità delle analisi e della coerenza delle conclusioni esposte nella verifica di compatibilità; B) per rendere operativo e coerente il piano vengono poi definite: 4 le regole generali da seguire nell'utilizzazione delle risorse del sistema, che costituiscono lo "statuto urbanistico" della comunità e che trova applicazione per risolvere i casi dubbi che sempre si presentano nella gestione del Piano (quali interessi sono da privilegiare, come liberalizzare e favorire gli interventi di piccola entità controllando quelli più consistenti, ecc.); 5 le modalità con cui può essere corretto il "disegno" del piano al momento di attuarlo (differenti a seconda dell'entità della modifica), senza alterarne peraltro la "struttura" (che il piano identifica nella grande viabilità, le attrezzature trainanti, le direttrici di espansione, ecc. e che definisce con apposito elaborato); 6 gli strumenti e gli agganci legislativi che neutralizzano la inevitabile tendenza all'abusivismo (trasformando le prescrizioni di piano da diritti diffusi - per niente tutelati nella nostra legislazione - in diritti reali, ben tutelati e radicati nella cultura locale); 7 i nuovi indicatori e le procedure da utilizzare per governare l'intensità e la qualità d'uso del territorio (carico urbanistico, capacità urbanistica, verifica di compatibilità, ecc.); 8 gli automatismi con cui viene garantito che il carico d'utenza sul territorio non superi quello previsto; C) per orientare l'azione del privato a fini di interesse pubblico il piano prevede poi: 9 i meccanismi procedurali che canalizzano la ricerca di profitto e/o la violazione del Piano verso interventi vantaggiosi per la comunità; 10 le "opzioni" che il piano definisce una volta per tutte (in modo da sottrarre tutti gli attori ai rischi della

alle finestre degli edifici esistenti o costruibili sui lotti liberi, carico urbanistico massimo realizzabile nel comparto, ecc). Gli interventi a farsi, invece, possono essere realizzati liberamente, o quasi, (ampiezza delle abitazioni, altezza delle fronti, distanza dai confini) a condizione che non venga intaccato o alterato l'intorno spaziale minimo assicurato dal Piano ai fondi vicini o al comparto.

40

contrattazione) ma che poi il proprietario può esercitare a sua scelta, ogni volta che sono interessati da destinazioni d'uso pubblico (in modo da rendere per loro conveniente realizzare le previsioni di piano); 11 le regole - generali e predeterminate - che stimolano il privato a realizzare le attrezzature previste dal Piano ed a convenzionarne l'uso privilegiato da parte del Comune; 12 i incentivi che favoriscono la immissione sul mercato di alloggi a prezzo convenzionato, prodotti dai privati e gestiti dall'Amministrazione; che rendono gli enti deputati alla realizzazione dell’edilizia economica e popolare acquirenti privilegiati sul mercato dei suoli e che inducono la realizzazione di programmi di EEP integrati nel corrente tessuto edilizio, anziché in aree PEEP.

3.1.3 - LE REGOLE DELLA TRASFORMAZIONE La regola Il recupero delle buone regole, la coscienza che va restituita al singolo, la capacità di modifica del territorio che ne preservi le caratteristiche porta ad una normativa completamente innovativa. Criterio di stesura di tale normativa è quello di permettere la utilizzazione ottimale di tutte le risorse disponibili (prime fra queste il patrimonio edilizio esistente e tutte le aree residue già incluse nell'abitato) e di consentire la immediata operatività del Piano generale senza dover ricorrere necessariamente ai Piani esecutivi.

Le modalità d'intervento La normativa che disciplina le modalità di attuazione del Piano è perciò elaborata con il criterio di: • limitare i Piani esecutivi obbligatori alle sole aree nelle quali le caratteristiche dell'edificazione (ad esempio edifici ravvicinati) o della proprietà fondiaria (lotti piccolissimi) rendono impossibile lo sfruttamento edilizio delle aree senza un intervento urbanistico preventivo; • investire con Piani esecutivi pubblici le aree edificate da ristrutturare (i nodi della viabilità portante urbana) o quelle in cui le attrezzature pubbliche da realizzare sono prevalenti. • stimolare la comunità ad una tutela attiva delle risorse ambientali, storiche e culturali di cui dispone prevedendo che in tutti quei casi in cui l'intervento diretto risulta particolarmente delicato (tessuto edificato di pregio, prossimità di monumenti o edifici notevoli, aree di notevole valore ambientale, ecc.) si allarghi il ventaglio ed aumenti l'entità delle trasformazioni possibili se il progetto viene corredato da uno studio di dettaglio della compatibilità dell'intervento a farsi con il contesto ambientale (fisico e umano) esistente; • predisporre i criteri standards e gli strumenti operativi da utilizzare a tal fine affinché lo studio degli effetti prodotti sull'ambiente risulti tecnicamente rigoroso e non sia esposto ad una valutazione discrezionale dell'Amministrazione (le N.A. prescrivono, sotto forma di questionario e grafici, la traccia standard della Verifica di Compatibilità, VdC; questa, se riconosciuta veritiera, viene fatta propria dalla Commissione Edilizia, che viene così corresponsabilizzata non solo sul piano della legittimità ma anche su quello dei contenuti).

Il recupero dell'edificato La normativa di intervento proposta dal P.S.C. per la zona edificata perseguirà l'obiettivo di permettere il miglior soddisfacimento possibile delle domande degli abitanti e, al tempo stesso, la più efficace salvaguardia del complesso dei valori esistenti (non solo edilizi ma anche sociali). In rapporto alla qualità del patrimonio edilizio di Mesoraca (caratterizzato da edifici "colti" diffusi in un tessuto minore che comunque possiede pregi architettonici e caratteristiche tipologiche; documento prezioso dell'antica comunità) appare opportuno non subordinare gli interventi ai piani esecutivi. Tale scelta ha portato a differenziare le varie zone a seconda della difficoltà dell'intervento diretto, piuttosto che secondo la tradizionale valutazione del "valore architettonico". Un cenno particolare merita la specifica normativa prevista per i più frequenti interventi di recupero del tessuto edificato: gli ampliamenti e le sopraelevazioni. La grande varietà di pezzature delle unità immobiliari esistenti (soprattutto nel vecchio centro), e la circostanza che gli alloggi di piccola taglia sono abitati con indici di affollamento più alti sconsigliano di fissare un valore unico delle percentuali di ampliamento (il che avrebbe favorito inevitabilmente gli alloggi più grandi). Si preferirà perciò limitare il carico urbanistico ma non il volume, in modo da assicurare, indipendentemente dalla consistenza attuale, un ampliamento degli alloggi sufficiente a garantire anche nell'edificato antico condizioni abitative prossime a quelle del nuovo tessuto edilizio. Il Piano prevede quindi che gli interventi di ampliamento e sopraelevazione degli edifici esistenti (che costituiscono in assoluto gli interventi di "nuova edificazione" a più basso costo insediativo e che meglio esprimono l'antica "regola" di produzione dell'abitato per addizione continua) possano liberamente realizzarsi purché siano rispettate le visuali libere, le distanze dai confini e dagli edifici e le norme antisismiche (concatenamento strutturale e altezza non superiore alla larghezza stradale) e, soprattutto non venga aumentato il carico urbanistico (ad esempio dall'ampliamento non possono derivare nuove unità immobiliari). Inoltre per evitare che una norma finalizzata a migliorare le condizioni abitative della comunità e a ridurre il fabbisogno di nuove case venga invece utilizzata per espellere gli inquilini, le norme prevedono che qualora l'alloggio

41

sia occupato in affitto la concessione edilizia per l'ampliamento è subordinata alla stipula e registrazione di un contratto intestato allo stesso conduttore e relativo anche alle parti a farsi, avente durata non inferiore a 4 anni.

L'utilizzo razionale delle aree residue La prescrizione di una superficie minima di intervento produrrebbe a Mesoraca effetti perversi. Sono infatti numerosi i lotti teoricamente edificabili ma in realtà inutilizzabili perché di piccolissima estensione. Gran parte di tali lotti sono ubicati nel centro edificato; sarebbero perciò utilizzabili senza ulteriori costi di urbanizzazione primaria o secondaria. Adottando lo stesso criterio degli ampliamenti il Piano prevede quindi che a prescindere dalla loro superficie, sui lotti esistenti possano comunque realizzarsi due unità immobiliari in modo da utilizzare in maniera completa tutta l'area edificabile disponibile e di dare concreta applicazione alle regole generali (garantire almeno l'abitazione per sé ed i figli). Tuttavia, ad evitare che tale agevolazione si traduca in un incentivo alla speculazione, (ad esempio con artificiali frazionamenti), la norma è applicabile solo alle situazioni di tal tipo esistenti alla data di formazione del Piano.

Il nuovo tessuto edilizio Coerentemente con l'impostazione generale del Piano le Norme di Attuazione per le nuove edificazioni saranno complessivamente strutturate con l'obiettivo di: • ridurre i costi insediativi e di urbanizzazione; • favorire la produzione di un paesaggio urbano il più possibile omogeneo a quello preesistente e, in ogni caso, alla cultura della comunità. In particolare per conseguire tali obiettivi le norme prevederanno: • incentivo alla realizzazione di case a schiera (che consumano meno area fabbricabile, riducono la lunghezza delle reti di urbanizzazione e riprendono la tipologia del tessuto edilizio del centro antico) attraverso un incremento degli indici di zona espressamente previsti per tale tipologia; • incentivo alla realizzazione di case biesposizionali attraverso la norma che consente di ravvicinare le testate se gli edifici hanno non più di due piani terra e se la striscia interposta viene asservita a pubblico passaggio (con evidenti vantaggi quali: riduzione dell'area fabbricabile impegnata e della lunghezza delle reti; aumento della "permeabilità" delle cortine edilizie, oggi tanto rade quanto impenetrabili a causa delle recinzioni; recupero della tipologia edilizia ricorrente nel vecchio tessuto); • incentivo alla realizzazione nel centro abitato di edifici a diretto contatto delle strade non principali mediante la norma che consente di ridurre alla metà l'arretramento, in cambio della cessione gratuita al Comune della restante metà. Tuttavia per evitare discontinuità della larghezza stradale ed inutile spreco di risorse per costruire recinzioni che poi possono essere demolite, la norma in questione prevede che, comunque, le recinzioni vanno realizzate a metà della distanza di arretramento. Poiché è presumibile che non tutti rinunceranno al giardino antistante, il tessuto di nuova realizzazione finirà per recuperare il carattere di quello antico in cui le case correnti si allineavano lungo la strada ma quelle "importanti" venivano costruite arretrate.

Per acquisire le aree di uso pubblico Per conseguire le finalità e gli obiettivi specifici illustrati il Piano prevede che ogni qualvolta un lotto sia interessato da una previsione di uso pubblico (aree per attrezzature comuni, verde primario, parcheggio, strade, ecc.) al proprietario si offrono tre possibilità di utilizzazione dell'area: applicare l'indice di zona alla parte residua edificabile ed attendere che il Comune acquisisca con esproprio l'area pubblica; cedere gratuitamente al Comune una superficie equivalente nella posizione che più gli fa comodo, applicando l'indice di zona all'intera superficie del lotto; cedere gratuitamente al Comune l'area di uso pubblico nella forma e posizione previste dal Piano, applicando in tal caso l'indice ad una superficie virtuale somma di quella del lotto maggiorata della superficie ceduta al Comune. La norma generale illustrata è poi integrata da una normativa particolare finalizzata a favorire l'acquisizione di aree di parcheggio che a Mesoraca costituiscono un bisogno acuto soprattutto nel centro edificato più antico. Il Piano persegue infatti l'acquisizione delle aree da destinare a parcheggio attraverso la norma generale e coefficienti di valutazione variabili da zona a zona: l'area di parcheggio ceduta gratuitamente è computata per la effettiva estensione (e sommata a quella del lotto) se ricadente nelle zone di completamento; è computata per una superficie virtuale pari a una volta e mezza quella effettiva se ricade in zona A.

Per accelerare la realizzazione delle attrezzature Il Piano punta a valorizzare tutte le risorse del sistema. Comprese, evidentemente, quelle imprenditoriali. Per accelerare la realizzazione di attrezzature di interesse comune o generale il Piano prevede perciò che queste possano essere realizzate dai privati e poi vendute o locate al Comune. Per stimolarli maggiormente consente che le attrezzature siano realizzate in commistione funzionale con le abitazioni e/o i volumi terziari. Al vantaggio economico e collettivo evidente si somma quello di favorire una realizzazione integrata di residenza e attrezzature. Si potrà quindi ottenere anche nel tessuto edilizio di nuova realizzazione quella commistione funzionale che rende viva ed articolata la città vecchia.

42

Per stimolare la tutela delle risorse ambientali Con gli stessi criteri di aggancio dell'interesse del singolo a quello comunitario, il Piano propone procedure tendenti a favorire la tutela attiva delle risorse di valore ambientale, favorendone uno sfruttamento non distruttivo. Così ad esempio nell'area destinata a verde possono essere realizzati dai privati (proprietari o terzi) chioschi e bar od anche impianti sportivi leggeri (bocce, tennis, ecc.) in cambio di fasce orarie concesse in uso gratuito al Comune. I giardini di pregio annessi a ville, gli orti tradizionali interni all'abitato ecc. sono computabili ai fini urbanistici ma non occupabili dal volume realizzabile. Sono consentite attrezzature per il tempo libero (campi gioco, ristoranti, ecc.) realizzabili dai proprietari in cambio dell'asservimento ad uso pubblico dell'area circostante e di fasce orarie di uso gratuito delle attrezzature. In ogni caso per garantire la compatibilità dell'intervento con il contesto il Piano prescrive che in tali casi i progetti di trasformazione vengano corredati dalla Verifica di Campatibilità, la cui traccia standard consente di salvaguardare il carattere di pregio della risorsa territoriale. Si applica cioè agli elementi ambientali la stessa procedura prevista per garantire il corretto intervento nel territorio edificato di pregio.

Per promuovere le occasioni di lavoro La potenzialità economica della comunità di Mesoraca risiede soprattutto nelle capacità imprenditoriali di artigiani e commercianti. Per favorire al massimo tali capacità il Piano prevede una specifica "regola": i volumi o le Unità Immobiliari destinati ad attività commerciali ed artigianali possono essere non computati nel calcolo dell'indice di fabbricazione e del carico urbanistico (fino al 50% della capacità edificatoria dell'area). E' questa una norma che si combina strettamente con quella che consente la realizzazione degli edifici a filo delle strade non principali e che può stimolare la realizzazione di negozi nelle zone di nuova edificazione.

Per consentire l'agevole realizzazione dell'edilizia sovvenzionata Nell'Appendice B vengono analizzate le cause ed illustrate le conseguenze perverse generate talvolta dalla previsione di aree PEEP nei Piani urbanistici. Per evitarle, le NA prevederanno che gli eventuali nuovi programmi costruttivi di edilizia sovvenzionata potranno realizzarsi e localizzarsi in qualsiasi zona residenziale, su aree prescelte dagli interessati (cooperative, IACP, ecc.) ed assegnate con la procedura prevista dall'Art. 51 della legge 865/71. (in Appendice B sono illustrati tutti i vantaggi di tale soluzione) Per favorire l'immissione sul mercato di alloggi da offrire in locazione ai nuclei di nuova formazione, le norme prevederanno anche che l'incremento degli indici previsto per gli interventi di IACP e cooperative può essere utilizzata anche dagli imprenditori privati, a condizione che stipulino con il Comune una convenzione, che preveda che almeno il 60% della quota aggiuntiva di alloggi realizzabile per effetto dell'incremento degli indici venga offerta in locazione a famiglie selezionate dal comune con apposito regolamento.

Per valorizzare le risorse agricole Le campagne costituiscono ancora la più cospicua delle risorse territoriali di Mesoraca. La frazione di popolazione attiva in agricoltura produce una buona fetta del reddito globale. Non è quindi casuale che il miglioramento di qualità di vita nelle zone agricole figuri tra i principali obiettivi assunti a base del Piano. Con riferimento all'obiettivo specifico le esigenze che la normativa di Piano intende soddisfare possono così riassumersi: • stimolare la razionalizzazione del processo produttivo prevedendo che per realizzare gli impianti sociali di cooperative, società, ecc., oltre alle normali differenziazioni dell'indice di fabbricabilità, possono essere computati tutti i fondi dei soci, anche se non sono conferiti in proprietà alla società; • favorire la integrazione dei redditi con altre attività le norme prevedono espressamente che i volumi esistenti possano essere riconvertiti ad utilizzazione per attività terziarie o produttive (ristoranti, negozi e laboratori artigiani ecc). E' una formula che offre occasioni di lavoro per tutti i componenti il nucleo familiare e che, quindi, può contribuire a ridurre l'esodo dalle campagne della forza lavoro giovanile; • per limitare il consumo di aree agricole il Piano prevede indici più elevati nell'immediato intorno degli esistenti nuclei rurali in modo da attirare qui la domanda residenziale. I vantaggi sono evidenti: si tutela la tipica struttura sociale rurale fondata sulla famiglia (che da un assetto patriarcale sta evolvendosi verso forme polinucleari); diventa più agevole dotare anche le campagne dei necessari servizi (illuminazione, telefono, negozi, ecc.); si ottiene una più efficace protezione delle strade, perché vengono alleggerite di una buona parte della domanda residenziale se i nuclei funzionano da punto di aggregazione dell'insediamento

3.1.4 - IL DISEGNO DEL SUOLO Nel trasformare il Preliminare nel progetto d'uso delle risorse territoriali (l'elaborato operativo del P.S.C.) il disegno di suolo sarà redatto in modo da ridurre al massimo l'impatto delle trasformazioni, da raccordarlo al disegno esistente, da ledere il meno possibile gli interessi fondiari, anzi da stimolare i proprietari ad attuare essi stessi il disegno proposta dal Piano. Tale criterio si tradurrà in un disegno che: a) riduca al minimo indispensabile l'alterazione della struttura fondiaria esistente (viabilità di progetto che riprende le esistenti vie vicinali, private ecc., oppure che si appoggia, finché

43

possibile, ai confini di proprietà); b) definisca fin nel dettaglio la viabilità di progetto, in modo da consentire l'immediata operatività del Piano e si garantisce, al tempo lo stesso, la realizzazione della trama viaria prevista (le norme di attuazione consentono l'intervento diretto sia per i lotti confinanti con le strade esistenti sia per quelli interessati dalla viabilità di Piano); c) ubicherà parcheggi, passaggi pedonali, nuclei di verde primario ecc. là dove siano meno pregiudizievoli per l'edificabilità dei lotti; in tal modo se ne rende più facile la realizzazione perché se la posizione del parcheggio è rispettosa delle esigenze dei proprietari aumenta il loro interesse a cedere l'area là dove è prevista dal Piano (in tal caso infatti viene computata con indici maggiorati); d) articoli la rete viaria secondaria in una struttura mista costituita da penetrazioni veicolari cieche (cul de sac) interconnesse con passaggi pedonali. Tale criterio presenta numerosi vantaggi, che possono così riassumersi: 1) si elimina dal tessuto residenziale il traffico che non sia di accesso alle proprietà; 2) si può ridurre al minimo l'arretramento degli edifici delle strade (gli arretramenti di legge non si applicano alle strade a fondo cieco); 3) si riducono e si rendono variati i percorsi pedonali; 4) si aumenta la percorribilità globale delle aree residenziali. In ogni caso le norme di gestione consentono di modificare il disegno di dettaglio del Piano attraverso gli strumenti di attuazione, purché non venga alterato lo schema di Piano.

44

APPENDICE A

DENSITÀ EDILIZIA E CARICO URBANISTICO Un’altra delle difficoltà di un Piano per un sistema a debole dinamica e di piccola scala deriva dall’impossibilità di utilizzare in maniera efficace i fondamentali indici urbanistici: quello di fabbricabilità e di utilizzazione. Gli indicatori ed i parametri utilizzati in urbanistica rispondono infatti ad una fondamentale esigenza: quella di misurare e/o controllare il carico di utenza sugli elementi del territorio (attrezzature, reti,ecc.). Nell’edificato esistente lo si può rilevare direttamente e misurare in ab/ha (densità abitativa). In quello da realizzare, invece, poiché non è possibile regolamentare direttamente gli utenti che utilizzeranno il territorio, si adottano dei parametri d’uso del territorio che assicurino, indirettamente,che il carico di utenza non superi un determinato valore. L’indice di fabbricabilità (volume/superficie) è diventato così il principale parametro che differenzia le varie zone, tanto da essere prescritto da tutte le leggi regionali e nazionali. Va osservato, tuttavia, che l’indice di fabbricabilità esprime compiutamente il presumibile carico di utenza che si avrà in una certa zona solo a condizione che sia noto qual’è il rapporto volume/abitante (indice capit ario) e che la tipologia edilizia sia uniforme. E’ infatti evidente che una famiglia di 4 persone che abita una villa unifamiliare consuma 1000÷1200 mc; ma impegna solo 400÷500 mc se occupa un appartamento da 100÷130 mq in un edificio multipiano. Perciò, a seconda che il volume consentito dal Piano venga realizzato esclusivamente con una tipologia o con un’altra l’indice capitario si dimezza e, di conseguenza, raddoppia il carico urbanistico che si avrà nella zona. Nei centri medio-grandi il controllo indiretto del carico di utenza attraverso l’indice di fabbricabilità risulta corretto ed efficace. Gli edifici che qui si realizzano sono infatti quasi esclusivamente del tipo in linea multipiano; si può quindi adottare tranquillamente l’indice capitario standard di 80÷100 mc/ab con la certezza che ad una data densità edilizia corrisponde una ben definita densità abitativa. Anche nei centri piccoli che abbiano una produzione edilizia tipologicamente uniforme - ad esempio solo case a schiera, solo villette, ecc. - il controllo indiretto del carico di utenza risulta agevole, anche se l’indice capitario è diverso da quello standard. Infatti una volta calcolato l’indice capitario corrispondente alla tipologia ricorrente si può ritenere che l’indice di fabbricabilità determini con buona precisione la densità abitativa. Ma nei centri in cui si costruisce con tipologie edilizie varie il controllo della intensità d’uso del territorio attraverso la prescrizione di una densità edilizia massima risulta tecnicamente difficile ed è concettualmente erroneo perché a parità di densità edilizia possono aversi carichi di utenza sensibilmente diversi. Nei piccoli centri, infatti, accade spesso che per garantire la possibilità di realizzare un’abitazione unifamiliare nei lotti esistenti (150÷300 mq) il Piano debba prevedere indici di fabbricabilità elevati (2,5÷3,0 mc/mq), assai prossimi ai massimi consentiti dalle leggi. Se tuttavia il volume consentito dal Piano viene utilizzato per edifici plurifamiliari il carico di utenza (la densità abitativa) balza a valori mostruosi, spesso anche più alti di quelli del centro storico. Per evitare una tale indeterminatezza è apparso necessario definire un parametro che fosse capace di esprimere più direttamente il presumibile carico di utenza che si avrà in una data zona e che fosse indipendente dal volume e dalle tipologie degli edifici. In effetti nella disciplina urbanistica esiste il concetto del carico di utenza ma non il parametro che lo misura.Si parla infatti correntemente di carico urbanistico, carico di popolazione, ecc. Ma si tratta di termini definiti sempre in forma generica,7 e che corrispondono a parametri che possono essere misurati solo per l’esistente (ad esempio la densità abitativa espressa in ab/ha). Essi sono cioè inutilizzabili per controllare la futura intensità d’uso del territorio. Perché il carico urbanistico diventi un parametro operativo è necessario che sia espresso mediante grandezze che siano al tempo stesso misurabili ed in correlazione certa ed univoca con gli utenti. Una grandezza che risponde ad entrambi i requisiti è l’unità immobiliare abitativa. Essa infatti trova un preciso riscontro giuridico-amministrativo (nelle regolamentazioni catastali, nei programmi di edilizia residenziale, ecc.); permette una correlazione statistica, tra abitazioni e famiglie, molto più aderente alla realtà9 , di quella usuale tra abitanti e stanze o volumi ed abitanti; è indipendente dalla tipologia edilizia. In un sistema con tipologia abitativa non uniforme (cioè con una correlazione volume/utenti assai variabile) per garantire che il carico di utenza nelle aree di espansione non superi quello ipotizzato dal Piano - cioè quello su cui sono stati proporzionati gli standards - non basta fissare la densità edilizia massima ma è necessario definire anche il numero massimo di abitazioni realizzabili.

8 Cfr. R. Barocchi, Dizionario di Urbanistica, F. Angeli, 1984; pag. 45: “Carico urbanistico sinonimo, con significato più generale, di carico insediativo: termine generico per indicare la quantità di abitanti in una certa area. Se rapportato alla situazione attuale, si chiama, densità abitativa. Se indica una capacità teorica si chiama Capienza insediativa; e inoltre G. Colombo, Dizionario di Urbanistica, Pirola 1984 pag.36: “Carico di popolazione: riferito ad un’area geografica delimitata, indica la quantità di popolazione su di essa effettivamente insediata (carico attuale) o teoricamente insediabile (carico teorico), in rapporto alle risorse vitali disponibili.”

9 Nei piccoli centri le coabitazioni sono quasi del tutto scomparse.A Mesoraca ad esempio, nel 2001 non vi erano coabitazioni.

45

Nel Piano sarà perciò introdotta una normativa che prevede: * una definizione10 del carico urbanistico che fa esplicito riferimento alle unità immobiliari, adottando la definizione che di queste dà il Catasto; * il valore massimo del carico urbanistico (fondiario e territoriale) raggiungibile in ciascuna zona; * il volume massimo realizzabile. Inoltre, per favorire la piccola proprietà e l’utilizzo dei lotti residui, le norme prescrivono che se l’estensione della particella - così come esistente alla data di formazione del Piano - non consente di realizzare più di 12 unità immobiliari, si può applicare il solo indice di Carico Urbanistico. Va, cioè, controllato solo il numero delle unità immobiliari che si realizzano. Una tale innovazione equivale ad adottare indici di fabbricabilità differenziati in rapporto sia alla superficie dei lotti sia alla tipologia edilizia ricorrente nel sistema locale. Ad esempio decrescenti al crescere della superficie dei lotti e man mano che si passa dalla casa isolata, a quella a schiera, a quella in linea, ecc. La normativa, cioè, diventa selettiva: consente di orientare l’uso di determinate tipologie edilizie e di sfruttare tutte le risorse disponibili. Infatti è presumibile che le case unifamiliari utilizzeranno i lotti piccoli mentre quelle plurifamiliari (IACP, Cooperative, ecc.) impegneranno necessariamente i lotti più grandi. Poiché il volume unitario per abitazione sarà più alto per la villa che per l’appartamento in condominio si avrà che a parità di alloggi realizzati - cioè di carico urbanistico e, quindi, di densità abitativa - la densità edilizia risulterà più alta nei lotti piccoli che in quelli grandi. Oppure che a parità di superficie, la densità edilizia sia più alta per la casa unifamiliare che per quelle plurifamiliari11 .Beninteso potrà accadere che in qualche lotto di piccolo taglio la densità edilizia risultante superi i valori massimi, ciò, comunque, non produce guasti all’equilibrio complessivo del sistema, infatti risulta giustificato sia sotto il profilo dei costi di urbanizzazione, sia sotto quello dei costi insediativi, sia sotto l’aspetto della qualità del paesaggio urbano risultante. Ed è appunto ciò che si ottiene adottando per i piccoli lotti piuttosto che l’indice di fabbricabilità il carico urbanistico, (ovviamente a patto che questo venga definito rigorosamente e con riferimento alle unità immobiliari).Infatti: • si possono utilizzare senza problemi anche i piccoli lotti residui, che quasi sempre si localizzano nelle aree parzialmente edificate, con evidenti economie sui costi globali di urbanizzazione, • si elimina il rapporto rigido tra superficie del lotto e volume (cioè superficie dell’abitazione), riducendo quindi l’incidenza del costo del suolo su quello totale di costruzione e, quindi, d’insediamento, • permette a chi ha risorse limitate di economizzare sul terreno (e non sull’ampiezza della casa), • ne deriva un tessuto edilizio più vario (le case povere più compatte, a filo strada, ecc.; le case importanti isolate, arretrate, ecc.) e più prossimo a quello consolidato.

Per concludere l’illustrazione del criterio adottando e dei vantaggi che ne derivano va fatta un’ultima - ma non secondaria - precisazione. Riguarda la possibilità di abusi e trucchi eventualmente possibili con la normativa in questione. In effetti si potrebbe prevedere che, poiché per i piccoli interventi sono regolamentate le unità abitative ma non il

10 CU = Carico urbanistico. Definisce il massimo carico di utenza su reti, attrezzature, ecc. esistenti o previste nell’ambito di riferimento e determina la qualità e l’estensione delle superfici per standards urbanistici previste dal Piano da realizzare in fase di attuazione.Viene misurato in unità immobiliari per ettaro (UI/ha), eventualmente differenziate a seconda della prevalente destinazione d’uso (abitativa, terziaria, produttiva) sia con riferimento Sf (Cuf ) che alla St (Cut). UI = Unità immobiliare. Qualsiasi manufatto o parte di esso che costituisca un’unità immobiliare catastalmente individuata come tale o che sia comunque capace di produrre un reddito autonomo.Si distinguono in: Uia = (UI abitative) se sono qualificate o qualificabili di cat.A nei registri catastali oppure se sono destinate totalmente prevalentemente ( più del 70% di SU) ad abitazione; Uit = (UI terziarie) se sono qualificate o qualificabili di cat.C (con la eccezione della Cat.C/3) nei registri catastali oppure se destinate totalmente o parzialmente (più del 30% di SU) ad attività terziarie (studi professionali, negozi, ecc.); Uip = (UI produttive) se sono qualificate o qualificabili di cat.C/3 nei registri catastali oppure se destinate totalmente o prevalentemente (più del 70% di SU) ad attività artigianali produttive o di servizi (laboratori, ecc.).

11 Ad esempio nella zona di espansione ammettendo (If = 2,0 mc/mq, Cuf = 20 abz/ha) su un lotto di 1000 mq sono consentite 2 abitazioni; se vengono realizzate delle villette (il cui volume medio rilevato è di 1250 mc) si avrà un volume globale di 2500÷2800 mc, pari ad un If di 1,25÷1,5 mc/mq.Su un lotto di 5000 mq sono consentiti 10000 mc ed un massimo di 10 abitazioni.Se queste vengono realizzate con edifici plurifamiliari (volumi unitari rilevati di 400 mc) il volume complessivo non supererà i 4000÷5000 mc (If risultante di 0,8÷1,0 mc/mq); se invece vengono realizzate ville, case a schiera, ecc. si raggiunge l’If max (2,0 mc/mq) ma poiché il volume complessivo non potrà comunque superare quello massimo consentito, il volume unitario per alloggio non potrà superare i 10.000/10 = 1000 mc/abz.

46

volume12 , nelle aree di espansione tutti si affrettino a richiedere enormi ville unifamiliari, da trasformare successivamente in appartamenti. A prescindere dal fatto che l’attuale cultura abitativa riscontrata a Mesoraca è diversa, ciò non potrà verificarsi. Infatti la legge 47/85 introducendo il principio del collegamento tra Catasto ed Enti Locali; per effetto dell’art. 52 di tale legge e delle definizioni date dal Piano al carico urbanistico, il Catasto non potrà registrare un numero di unità immobiliari diverso da quello autorizzato dal Comune. Gli eventuali appartamenti abusivamente frazionati non potrebbero perciò essere accatastati e, di conseguenza, venduti. Si ha cioè una combinazione di norme che blocca qualsiasi velleità speculativa. Viceversa regolamentare le unità immobiliari invece del volume permette un controllo dell’uso dell’edificato assai più efficace di quanto non si possa fare attualmente con il tradizionale indice di fabbricabilità. Ad esempio se la norma di zona non consente l’aumento del carico urbanistico preesistente, sarà sempre possibile ampliare il volume di un’abitazione per adeguarla alle nuove esigenze della famiglia; ma non potrà mai essere ristrutturato un grande appartamento per ricavarne, anche a parità di volume, più unità immobiliari di minore superficie. Insomma prescrivere un carico urbanistico massimo permette non solo di soddisfare meglio le esigenze particolari ma, al contrario di quanto non possa apparire ad un’analisi superficiale, consente un controllo molto più rigoroso dell’intensità d’uso del territorio. E’ evidente, inoltre, che se il Piano disciplina le unità immobiliari e non il volume non diventa più necessario trasformare un balcone in veranda per ottenere una nuova stanza né i tecnici dovranno fare acrobazie per ricavare in un sano ed efficiente sottotetto (esistente o da realizzare) una mansarda tanto estranea alle tradizioni della regione quanto scarsa di confort. Il che non potrà non favorire un recupero dell’antica cultura edilizia ed abitativa dei piccoli centri. Una cultura che oggi va scomparendo per effetto della trasposizione acritica di normative originate in altri contesti e destinate a sistemi di taglia ben maggiore.

12 In effetti ciò vale solo per gli interventi da cui derivano un piccolo numero di unità immobiliari.Al di sopra di tale soglia - variabile a seconda delle caratteristiche del sistema locale - il Piano prevede un doppio controllo, ottenuto applicando sia l’indice di fabbricabilità sia il carico urbanistico.

47

APPENDICE B

LA QUESTIONE DELL’EDILIZIA ABITATIVA PER LE FASCE A BASSO REDDITO (AREE PEEP, LOTTIZZAZIONI CONVENZIONATE D’UFFICIO) La legislazione sull'edilizia sovvenzionata è sorta per soddisfare la domanda abitativa dei gruppi deboli ed ha fornito i migliori risultati nelle aree urbane, soprattutto in quelle più grandi. Poco a poco anche i centri medi e piccoli hanno cominciato a dotarsi dei PEEP, spesso spinti a farlo da incentivi di legge (finanziamenti facili delle opere di urbanizzazione, interventi dell'IACP subordinati alla localizzazione nel PEEP, ecc.). Ma non sempre i risultati sono stati quelli voluti. Non è infrequente il caso di Comuni che hanno abbondato con le aree PEEP, per poi ritrovarsi con larghe porzioni di aree classificate edificabili del Piano ma che poi sono rimaste sottoutilizzate, senz'altra funzione che quella di penalizzare i malcaPITati proprietari. E' così accaduto che la trasposizione acritica ai piccoli centri di uno strumento originariamente concePITo per le aree urbane ha avuto quasi sempre effetti negativi quali: • congelare il 40% (almeno) delle aree fabbricabili in attesa di alloggi che, tranne casi eccezionali, quale la ricostruzione dopo il sisma dell'80, non superano il 7-10% del totale costruito nel comune; • far crescere di conseguenza il prezzo delle residue aree fabbricabili; • escludere quasi del tutto la possibilità di realizzare in tali aree edifici in tutto o in parte autocostruiti (o fatti costruiti direttamente dai proprietari, attraverso un’impresa di loro fiducia) • scaricare sugli Amministratori locali il costo politico del "vincolo" sui terreni senza che questi peraltro possano gestire i finanziamenti per gli alloggi, (che sono di competenza regionale); • provocare, di conseguenza, la localizzazione dei Piani di zona nelle aree meno appetibili, e molto spesso inutilizzabili per la residenza "normale" (periferiche, scoscese, ecc.) Per stimolare un comportamento del sistema un po' meno perverso di quello descritto, la previsione localizzata di aree destinate espressamente all' P.E.E.P. può essere sostituita con una norma che: • definisce come "aree da destinare ai programmi di edilizia abitativa sociale degli enti abilitati quelle classificate residenziali e che vengano richieste, identificate ed assegnate con la procedura di cui all'art. 51 della 865/71"; • prevede che per tali programmi gli indici di zona siano incrementati; • estende tali vantaggi anche agli interventi realizzati dagli imprenditori privati, a condizione che questi offrano in locazione convenzionata almeno il 60% della quota supplementare realizzabile per effetto dell'incremento degli indici. Con tale normativa si ottengono notevoli vantaggi quali ad esempio: • non si sottraggono aree fabbricabili al mercato immobiliare, evitando così un'artificiale lievitazione dei prezzi; • gli eventuali programmi di edilizia sovvenzionata che per legge debbono localizzarsi nei P.E.E.P. potranno essere comunque realizzati, se e quando finanziati, in aree preventivamente individuate dagli enti attuatori (Cooperative, I.A.C.P.) ed acquisiti con la procedura espressamente prevista dalla legge per la casa (865/71); • l'edilizia sociale risulterà integrata nel tessuto edilizio "normale" anziché essere ghettizzata, come spesso accade ora; • la maggiorazione degli indici equivale ad un contributo dato alle cooperative, IACP, ecc., perché‚ queste possono acquistare meno terreno per realizzare i loro programmi; • tali enti diventano inoltre acquirenti privilegiati, perché i proprietari vedono aumentare la capacità urbanistica del fondo solo se ne vendono una parte a cooperative, IACP ecc.; • il Consiglio Comunale diventa il "notaio" di un processo di mercato: con la normativa descritta è infatti presumibile che gli interessati ricerchino preventivamente un accordo con il proprietario del fondo prescelto in modo da evitare che il Consiglio Comunale, caricato dalla responsabilità di decidere di propria iniziativa chi penalizzare con l'esproprio, finisca con l'indicare aree periferiche o disagevoli; • si attivano le risorse private (gli imprenditori) per aumentare l'offerta di alloggi in locazione. Nelle aree e nei casi in cui l'Amministrazione volesse gestire il processo di realizzazione di edilizia residenziale a prezzi calmierati si può utilizzare uno strumento diverso dal PEEP, la Lottizzazione Convenzionata d'Ufficio (LCU). L'iter di formazione di una LCU prevede infatti che il Comune trasmetta ai proprietari uno schema di convenzione invitandoli a produrre su tale base una lottizzazione; se i proprietari restano inerti il Comune produce la lottizzazione e la notifica ai proprietari; successivamente stipula la convenzione proposta con quelli che l'accettano oppure procede all'esproprio di quelli renitenti. Finora le LCU sono state assai poco utilizzate ma risultano particolarmente adatte, ad esempio, per recuperare zone compromesse dall'abusivismo, evitando però che il plusvalore generato dall'intervento pubblico venga incamerato totalmente dai proprietari. Oppure può essere promossa dal Comune per soddisfare una domanda diffusa di lotti fabbricabili (sui quali i singoli proprietari potranno poi costruire quando e come possono). In tali casi la LCU risulta particolarmente conveniente ed efficace perché: • l'Amministrazione non è obbligata ad un esproprio preventivo e globale (può investire le aree di volta in volta necessarie, oppure solo quelle dei proprietari renitenti, ecc.) né deve sopportare una massiccia spesa di

48

urbanizzazione (perché questa viene posta a carico dei proprietari, che a loro volta la recuperano all'atto della vendita); • dà grande contrattualità all'Amministrazione, che gestisce l'intero processo: può sbloccare le situazioni di inerzia o calmierare il mercato (può infatti concordare preventivamente prezzi di vendita inferiori a quelli correnti, anche se largamente superiori a quelli di esproprio); • consente di immettere sul mercato il prodotto richiesto dagli utenti (lotti edificabili liberamente utilizzabili) a prezzo più conveniente e/o più facilmente utilizzabili (già urbanizzati o da urbanizzare in tempi certi); • permette ai proprietari di vendere i suoli invece di vederseli espropriare; • stimola una produzione edilizia che non altera le tradizioni abitative e costruttive locali; • garantisce la realizzazione di un tessuto edificato di superiore qualità e conforme al Piano. Al contrario di quel che accade per la realizzazione dei programmi IACP, nelle LCU l'Amministrazione è interlocutore unico del processo. Può quindi compensare l'eventuale costo politico di un parziale esproprio con i vantaggi certi di una risposta certa, soddisfacente e rapida alle richieste dei cittadini. Non diventa perciò “automatico” localizzare in periferia le abitazioni dei gruppi deboli. Dare a livello locale una risposta a questo particolare segmento della domanda abitativa è dunque possibile senza stravolgimenti o rivoluzioni, ma solo usando in forma diversa strumenti e procedure esistenti. In definitiva, che si tratti della normativa per l'edilizia convenzionata o quella per l'immissione sul mercato di lotti edificabili a prezzo controllato, le procedure di realizzazione dell’edilizia sociale sono state definite con un unico criterio "sistemico": canalizzare verso obiettivi di interesse generale la tendenza dei singoli a ricercare vantaggi particolari. Tendenza che è motore ineliminabile di un sistema fondato su principi caPITalistici, ma che può anche considerarsi come "risorsa nascosta", utilizzabile con intelligenza per conseguire vantaggi non solo sociali.

49

3.2 - PREVISIONI PROGRAMMATICHE 3.2.1 - IL PRELIMINARE DI PIANO 3.2.1.1 - MESORACA NELLA PROVINCIA

3.2.1.1.1 - L’ANALISI

3.2.1.1.1.1 - LA DINAMICA DEMOGRAFICA STORICA Dall’analisi dei dati ISTAT è stato possibile tracciare il quadro demografico dal 1861 al 2001 dei 27 comuni che ora costituiscono la provincia di Crotone. Dai risultati emerge che il maggiore tasso di crescita demografico è stato ottenuto dai comuni della costa ionica. Infatti, supera la media provinciale il comune di Crotone con una crescita del 905%, a seguire Cirò Marina (814%), Isola Capo Rizzuto (360%), Cutro (237%), (197%) e Melissa (135%). I comuni sulla costa diventano quindi quelli di maggiore attrattività a cui si aggiunge il comune di Rocca di Neto, di Roccabernarda e di Mesoraca. Unici comuni che, diversamente, registrano un calo della popolazione – seppur di poco – sono Castelsilano con circa 400 unità in meno dopo più di un secolo e il comune di San Nicola dell’Alto con una variazione percentuale negativa pari a –13,1%. Graf. 1 - Popolazione residente legale relativa ai censimenti

185.000 165.000 145.000 125.000 105.000 85.000 65.000 45.000 25.000 5.000

61 71 81 01 11 61 71 81 91 18 18 18 19 19 1921 1931 1936 1951 19 19 19 19

Capoluogo Provincia

Fonte: ISTAT Graf. 2 – Sviluppo demografico della popolazione della provincia di Crotone (1861-2000)

Sviluppo demografi in calo in media in crescita

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

50

Tab. 1 – Composizione comunale della popolazione residente legale

COMUNI 1861* 1871* 1881 1901 1911 1921 1931 1936 1951 1961 1971 1981 1991 Popolazione Var. % residente al 2000/1861 31/12/00 Belvedere Spinello 1.064 1.060 1.285 1.445 1.557 1.701 2.030 2.288 2.963 3.139 3.063 3.032 2.935 2.557 140,32 Caccuri (1) 1.266 1.430 1.620 2.297 2.334 2.056 1.993 2.155 2.617 2.654 2.136 2.098 1.851 1.837 45,10 (2) 948 1.043 1.088 1.343 1.221 1.123 1.195 1.203 1.441 1.471 1.391 1.353 1.327 1.051 10,86 1.875 2.149 2.480 2.816 2.786 2.587 3.102 3.549 4.422 4.846 4.081 3.956 3.733 3.200 70,67 Castelsilano 1.613 1.734 2.044 2.476 2.554 2.378 2.474 1.768 1.999 1.778 1.553 1.448 1.400 1.198 -25,73 Cerenzia (1) 438 439 675 951 1.083 1.035 998 966 1.325 1.449 1.297 1.378 1.328 1.303 197,49 Cirò (3) 3.718 3.464 4.076 4.281 4.408 4.341 4.660 4.690 5.335 5.294 5.204 5.318 5.264 4.178 12,37 Cirò Marina (3) 1.495 1.393 1.639 2.720 2.907 3.856 4.478 5.150 7.294 10.005 10.369 13.007 14.113 13.664 813,98 Cotronei 1.495 1.728 2.091 2.097 2.461 2.823 3.660 4.046 5.145 5.250 4.989 5.187 5.331 5.554 271,51 Crotone 5.945 7.100 8.642 9.545 10.162 11.600 18.721 21.496 31.928 43.256 50.970 58.262 59.001 59.757 905,16 1.982 1.808 2.118 2.447 2.424 2.326 2.334 2.598 3.330 3.589 3.542 3.578 3.936 3.710 87,18 Cutro 2.881 3.392 4.361 4.933 5.476 6.080 6.570 6.731 10.080 12.370 14.806 15.546 11.431 9.701 236,72 Isola di Capo R 2.866 2.187 2.282 2.626 2.994 3.259 3.815 4.210 6.855 9.218 10.247 12.462 12.315 13.175 359,70 Melissa 1.550 1.499 1.694 2.319 2.445 2.209 2.266 2.471 3.430 3.617 3.675 4.286 4.683 3.652 135,61 Mesoraca 2.438 2.672 3.208 3.720 4.113 4.332 5.072 5.531 7.392 8.722 8.555 9.160 7.510 7.570 210,50 956 1.064 1.093 1.412 1.678 1.690 1.842 1.841 2.272 2.193 2.177 1.859 1.859 1.634 70,92 Petilia Policastro 5.081 5.583 5.697 6.762 6.939 7.646 8.668 9.519 11.700 11.847 10.935 10.893 10.473 9.974 96,30 Rocca di Neto 850 1.065 1.221 1.292 1.347 1.472 2.027 2.462 3.876 4.631 4.738 5.207 5.499 5.413 536,82 Roccabernarda 673 748 964 1.190 1.424 1.669 2.012 2.153 2.871 3.459 3.560 3.742 3.874 3.639 440,71 San Mauro M 1.064 1.267 1.567 1.730 1.839 1.813 2.083 2.209 3.059 3.546 3.177 3.013 2.648 2.370 122,74 San Nicola d A (2) 1.339 1.472 1.536 2.279 2.337 2.148 2.298 2.392 2.687 2.571 2.067 1.721 1.426 1.163 -13,14 Santa Severina 1.253 1.343 1.705 1.737 1.952 2.039 2.258 2.328 3.003 3.138 2.831 2.621 2.578 2.376 89,62 Savelli 3.976 4.161 4.416 4.644 4.679 5.147 3.967 3.394 3.362 3.122 2.455 2.318 1.920 1.663 -58,17 Scandale 1.301 1.290 1.514 1.431 1.723 1.498 2.067 2.171 3.087 3.733 3.925 3.902 3.558 3.219 147,43 Strangoli 2.071 2.336 3.080 4.122 3.885 4.006 4.362 4.947 6.894 7.198 6.227 6.880 6.424 6.158 197,34 1.018 1.039 1.105 1.300 1.317 1.166 1.304 1.459 1.810 1.980 1.778 1.524 1.302 1.114 9,43 865 908 1.059 1.410 1.612 1.786 1.700 1.953 2.558 3.035 3.050 2.920 2.690 2.358 172,60 Totale 52.021 55.374 64.260 75.325 79.657 83.786 97.956 105.680 142.735 167.111 172.798 186.671 180.409 173.188 232,92

*La popolazione legale coincide con la popolazione presente (R.D. 10/05/1863 n.1268 e R.D. 15/12/1872 n.1171) (1) Il comune di Cerenzia viene soppresso nel 1928 e i suoi territori aggregati al comune di Caccuri. Nel 1946 viene riconosciuto il comune di Cerenzia. (2) Il comune di Carfizzi viene costituito nel 1904 a seguito del distacco della frazione omonima dal comune di S.Nicola dell’Alto. (3) Il comune di Cirò Marina viene costituito nel 1952 a seguito di distacco della frazione omonima dal comune di Cirò. Fonte: ISTAT

51

Tab. 2 – Composizione comunale della popolazione residente legale (in % sul totale provinciale)

COMUNE 1861* 1871* 1881 1901 1911 1921 1931 1936 1951 1961 1971 1981 1991 2000 Ï Belvedere Spinello 2,05 1,91 2,00 1,92 1,95 2,03 2,07 2,17 2,08 1,88 1,77 1,62 1,63 1,48 Ï Caccuri (1) 2,43 2,58 2,52 3,05 2,93 2,45 2,03 2,04 1,83 1,59 1,24 1,12 1,03 1,06 ÍÏ Carfizzi (2) 1,82 1,88 1,69 1,78 1,53 1,34 1,22 1,14 1,01 0,88 0,80 0,72 0,74 0,61 Ï Casabona 3,60 3,88 3,86 3,74 3,50 3,09 3,17 3,36 3,10 2,90 2,36 2,12 2,07 1,85 Ð Castelsilano 3,10 3,13 3,18 3,29 3,21 2,84 2,53 1,67 1,40 1,06 0,90 0,78 0,78 0,69 Ï Cerenzia (1) 0,84 0,79 1,05 1,26 1,36 1,24 1,02 0,91 0,93 0,87 0,75 0,74 0,74 0,75 ÍÏ Cirò (3) 7,15 6,26 6,34 5,68 5,53 5,18 4,76 4,44 3,74 3,17 3,01 2,85 2,92 2,41 Ï Cirò Marina (3) 2,87 2,52 2,55 3,61 3,65 4,60 4,57 4,87 5,11 5,99 6,00 6,97 7,82 7,89 Ï Cotronei 2,87 3,12 3,25 2,78 3,09 3,37 3,74 3,83 3,60 3,14 2,89 2,78 2,95 3,21 Ï Crotone 11,43 12,82 13,45 12,67 12,76 13,84 19,11 20,34 22,37 25,88 29,50 31,21 32,70 34,50 Ï Crucoli 3,81 3,27 3,30 3,25 3,04 2,78 2,38 2,46 2,33 2,15 2,05 1,92 2,18 2,14 Ï Cutro 5,54 6,13 6,79 6,55 6,87 7,26 6,71 6,37 7,06 7,40 8,57 8,33 6,34 5,60 Ï Isola di Capo Riz. 5,51 3,95 3,55 3,49 3,76 3,89 3,89 3,98 4,80 5,52 5,93 6,68 6,83 7,61 Ï Melissa 2,98 2,71 2,64 3,08 3,07 2,64 2,31 2,34 2,40 2,16 2,13 2,30 2,60 2,11 Ï Mesoraca 4,69 4,83 4,99 4,94 5,16 5,17 5,18 5,23 5,18 5,22 4,95 4,91 4,16 4,37 Ï Pallagorio 1,84 1,92 1,70 1,87 2,11 2,02 1,88 1,74 1,59 1,31 1,26 1,00 1,03 0,94 Ï Petilia Policastro 9,77 10,08 8,87 8,98 8,71 9,13 8,85 9,01 8,20 7,09 6,33 5,84 5,81 5,76 Ï Rocca di Neto 1,63 1,92 1,90 1,72 1,69 1,76 2,07 2,33 2,72 2,77 2,74 2,79 3,05 3,13 Ï Roccabernarda 1,29 1,35 1,50 1,58 1,79 1,99 2,05 2,04 2,01 2,07 2,06 2,00 2,15 2,10 Ï San Mauro M. 2,05 2,29 2,44 2,30 2,31 2,16 2,13 2,09 2,14 2,12 1,84 1,61 1,47 1,37 Ð San Nicola d. A(2) 2,57 2,66 2,39 3,03 2,93 2,56 2,35 2,26 1,88 1,54 1,20 0,92 0,79 0,67 Ï Santa Severina 2,41 2,43 2,65 2,31 2,45 2,43 2,31 2,20 2,10 1,88 1,64 1,40 1,43 1,37 Ð Savelli 7,64 7,51 6,87 6,17 5,87 6,14 4,05 3,21 2,36 1,87 1,42 1,24 1,06 0,96 Ï Scandale 2,50 2,33 2,36 1,90 2,16 1,79 2,11 2,05 2,16 2,23 2,27 2,09 1,97 1,86 Ï Strangoli 3,98 4,22 4,79 5,47 4,88 4,78 4,45 4,68 4,83 4,31 3,60 3,69 3,56 3,56 ÍÏ Umbriatico 1,96 1,88 1,72 1,73 1,65 1,39 1,33 1,38 1,27 1,18 1,03 0,82 0,72 0,64 Ï Verzino 1,66 1,64 1,65 1,87 2,02 2,13 1,74 1,85 1,79 1,82 1,77 1,56 1,49 1,36 Totale 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00

3.2.1.1.1.2 - LA DINAMICA DEMOGRAFICA DAL 1991 AL 2001 I dati annuali resi disponibili dall’Istituto Nazionale di Statistica, contenenti le risultanze dell’andamento demografico della popolazione residente8, consente di esporre un quadro significativo delle dinamiche che hanno interessato la popolazione della Calabria dal 1991 al 2001. I dati provinciali dei residenti presentano lievi variazioni rispetto agli anni precedenti; per Crotone si va incontro ad una riduzione complessiva della popolazione. La più alta variazione negativa che ha caratterizzato la popolazione residente tra il 1993 e il 2001 è proprio quella crotonese con una riduzione pari a –4,12%, la popolazione passa da 181mila residenti nel 1993 ad oltre 173mila residenti nel 2001. Sia in provincia di Crotone che di Vibo Valentia le variazioni annue sono state negative per l’intero periodo esaminato, raggiungendo il massimo valore tra il 1998 e il 1999.

8 La popolazione residente è costituita, in ciascun comune (e analogamente per altre ripartizioni territoriali), dalle persone aventi la propria dimora abituale nel comune stesso. Non cessano di appartenere alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti in altro comune o all'estero per l'esercizio di occupazioni stagionali o per causa di durata limitata (definizione ISTAT).

52

Diversamente, nei primi anni la crescita demografica, anche se lieve, è stata positiva per le altre province fino al 1994 quando si è verificato un calo della popolazione residente protrattasi, anche a livello regionale, per tutti gli anni Novanta. Questa continua discesa del numero di residenti, registrata principalmente negli ultimi anni nelle province calabresi, ha portato l’ammontare della popolazione regionale complessiva al 2001 a più di due milioni di unità. E' immediato il confronto dell’andamento regionale e provinciale: con un trend decrescente che le accomuna, entrambe si discostano molto dall’andamento nazionale che, diversamente, non registra valori negativi per l’intero periodo. Infatti, l’andamento rafforza la tendenza alla stabilizzazione del numero complessivo di residenti a livello nazionale intorno ai 57,8 milioni nel 2000, in atto dai primissimi anni '90, con lievi oscillazioni che con il passare degli anni hanno portato, comunque, un aumento complessivo dell’ammontare della popolazione.

Tab. 3 – Totale popolazione residente nelle province calabresi, in Calabria e in Italia (1991-2001)

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Catanzaro 742.116 743.717 383.627 384.121 384.496 384.582 384.483 383.774 381.737 381.729 Cosenza 750.868 753.159 756.229 753.257 753.815 752.857 751.918 749.835 745.406 742.820 Crotone - - 180.624 180.196 179.336 178.340 177.547 176.654 174.158 173.188 Reggio C. 576.642 577.887 579.224 578.813 579.009 579.246 578.231 576.614 572.546 570.064 Vibo Valentia - - 179.884 179.741 179.186 179.132 178.813 177.841 176.631 175.487 CALABRIA 2.071.617 2.076.755 2.081.581 2.078.122 2.077.837 2.076.153 2.072.989 2.066.716 2.052.477 2.045.288 Italia (dati in 56.757 56.960 57.138 57.269 57.333 57.461 57.563 57.613 57.680 57.844 migliaia) Fonte: dati ISTAT

Tab. 4 – Variazione percentuale della popolazione residente nelle province calabresi, in Calabria e in Italia (1991-2001)

1992/9 1993/92 1994/93 1995/94 1996/95 1997/96 1998/97 1999/98 2000/99 2000/93 1 Catanzaro 0,22 -48,42 0,13 0,10 0,02 -0,03 -0,18 -0,53 0,00 -0,49 Cosenza 0,31 0,41 -0,39 0,07 -0,13 -0,12 -0,28 -0,59 -0,35 -1,77 Crotone - - -0,24 -0,48 -0,56 -0,44 -0,50 -1,41 -0,56 -4,12 Reggio C. 0,22 0,23 -0,07 0,03 0,04 -0,18 -0,28 -0,71 -0,43 -1,58 Vibo Valentia - - -0,08 -0,31 -0,03 -0,18 -0,54 -0,68 -0,65 -2,44 CALABRIA 0,25 0,23 -0,17 -0,01 -0,08 -0,15 -0,30 -0,69 -0,35 -1,74 Italia 0,36 0,31 0,23 0,11 0,22 0,18 0,09 0,12 0,28 1,91 Fonte: elaborazione su dati ISTAT Andando ad esaminare la popolazione residente nel 2000 rispetto al sesso, si nota una maggiore presenza dell’aggregato femminile in tutte le province della Calabria e per l’intero decennio. Minore è stato il calo della popolazione femminile in Calabria (-1,37%) rispetto alla provincia di Crotone (-2,9%). La provincia ha registrato una variazione negativa che supera i livelli regionali e quelli registrati dalle altre province calabresi, anch’essi comunque negativi. Anche per la popolazione maschile di Crotone si registra un calo della variazione complessiva negativa e pari a meno 4,6% superiore alle altre ripartizioni territoriali.

Tab. 5 – Popolazione maschile residente nelle province calabresi, in Calabria e in Italia (1991-2001)

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Var % 00/95 Catanzaro 366.147 366.651 188.317 188.428 188.489 188.495 188.379 187.834 186.631 186.629 -0,90 Cosenza 370.150 371.128 372.706 371.358 371.531 370.991 370.317 369.092 366.584 365.327 -1,98 Crotone - - 89.438 89.180 88.786 88.329 87.851 87.324 85.876 85.276 -4,65 Reggio Calabria 283.444 283.589 284.190 283.913 283.793 284.380 284.000 282.830 280.478 278.882 -1,87 Vibo Valentia - - 89.020 89.004 88.732 88.941 88.793 88.280 87.703 87.151 -2,10 CALABRIA 1.019.741 1.021.368 1.023.671 1.021.883 1.021.331 1.021.136 1.019.340 1.015.360 1.007.272 1.003.265 -1,99 Italia (dati in 27.548 27.655 27.738 27.791 27.817 27.893 27.950 27.968 28.003 28.095 1,28 migliaia) Fonte: dati ISTAT

53

Tab. 6 – Popolazione femminile residente nelle province calabresi, in Calabria e in Italia (1991-2001)

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Var % 00/95 Catanzaro 375.969 377.066 195.310 195.693 196.007 196.087 196.104 195.940 195.106 195.100 -0,46 Cosenza 380.718 382.031 383.523 381.899 382.284 381.866 381.601 380.743 378.822 377.493 -1,25 Crotone - - 91.186 91.016 90.550 90.011 89.696 89.330 88.282 87.912 -2,91 Reggio Calabria 293.198 294.298 295.034 294.900 295.216 294.866 294.231 293.784 292.068 291.182 -1,37 Vibo Valentia - - 90.864 90.737 90.454 90.191 90.020 89.561 88.928 88.336 -2,34 CALABRIA 1.049.885 1.053.395 1.055.917 1.054.245 1.054.511 1.053.021 1.051.652 1.049.358 1.043.206 1.040.023 -1,37 Italia (dati in 29.209 29.306 29.400 29.478 29.516 29.568 29.613 29.645 29.677 29.749 1,85 migliaia) Fonte: dati ISTAT Il numero di famiglie residenti in Calabria è cresciuto (var.99/93: +2,5%) dando un quadro demografico positivo della regione. In particolare, la provincia di Crotone ha ottenuto un forte aumento (+2,1%) che supera i livelli registrati dalla provincia di Reggio Calabria e Vibo Valentia leggermente ridotti. Le famiglie calabresi contano, in media, meno componenti di un tempo, osservando i dati degli ultimi sette anni (dal 1993 al 1999) si registra una crescita delle famiglie residenti, ma un lieve calo del numero medio dei suoi componenti, in particolare, si passa da 2,97 componenti a 2,86 in Calabria e da 3,24 a 3,06 in provincia di Crotone. Questo calo è dovuto, oltre che alla diminuzione delle nascite, all'allungamento della vita media e al conseguente invecchiamento della popolazione. Queste trasformazioni complesse sono state determinate principalmente dal fatto che il numero delle persone che vivono sole è in aumento, con la costituzione di una nuova tipologia di famiglia in crescita negli ultimi anni: la famiglia unipersonale.

Tab. 7 – Numero di famiglie presenti nelle province calabresi, in Calabria e in Italia (1991-2001)

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 Var. % 1999/1993 Catanzaro 127.683 128.179 128.066 128.176 128.334 128.876 133.080 4,23 Cosenza 256.247 259.835 261.414 263.404 264.166 264.871 265.200 3,49 Crotone 55.677 56.660 55.641 55.673 55.731 56.141 56.870 2,14 Reggio Calabria 202.945 204.186 203.780 205.510 206.251 205.117 203.913 0,48 Vibo Valentia 58.100 58.468 58.581 58.805 58.890 58.876 58.869 1,32 CALABRIA 700.652 707.328 707.482 711.568 713.372 713.881 717.932 2,47 Italia 20.980.644 21.074.480 21.294.446 21.449.476 21.642.350 21.814.598 22.005.696 4,89 Fonte: dati ISTAT

Tab. 8 – Numero medio di componenti per famiglia nelle province calabresi, in Calabria e in Italia

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 Catanzaro 3,00 3,00 3,00 3,00 3,00 2,98 2,87 Cosenza 2,95 2,90 2,88 2,86 2,85 2,83 2,81 Crotone 3,24 3,18 3,22 3,20 3,19 3,15 3,06 Reggio Calabria 2,85 2,83 2,84 2,82 2,80 2,81 2,81 Vibo Valentia 3,10 3,07 3,06 3,05 3,04 3,02 3,00 CALABRIA 2,97 2,94 2,94 2,92 2,91 2,90 2,86 Italia 2,72 2,72 2,69 2,68 2,66 2,64 2,62 Fonte: dati ISTAT Confrontando le province calabresi si avrà un quadro espressivo della struttura per età della popolazione al 1999. L'andamento dei fenomeni demografici a livello nazionale, cioè lo scarso numero di nascite, accompagnato dall'allungarsi della vita media delle persone e lo spostamento verso altre zone della popolazione giovane, ha 54

comportato il progressivo invecchiamento della popolazione. La situazione che emerge per alcune delle province calabresi è differente. Infatti, la popolazione registra un numero di individui appartenente alla fascia d’età che supera i 65 anni inferiore a quella fino ad una età che non supera i 14 anni. La situazione si amplifica per la provincia di Crotone che, registra 23.766 individui con età superiore ai 65 anni rispetto ai 34.114 con età non superiore ai 14 anni. Tab. 9 – Popolazione residente delle province calabresi suddivisa per classi di età (valori assoluti)

0-14 anni 15-39 anni 40-64 anni 65 anni e oltre

Catanzaro 65.256 143.880 110.651 61.950

Cosenza 124.189 279.907 219.680 121.630

Crotone 34.114 68.139 48.139 23.766

Reggio Calabria 102.517 209.011 162.206 98.812

Vibo Valentia 31.911 66.262 49.244 29.214 Fonte: elaborazione su dati ISTAT Le differenze esistenti nel tessuto demografico delle province sono marcate se prendiamo in considerazione l'indice di vecchiaia9, cioè l'indice che mette in relazione la popolazione anziana e la popolazione di giovane età. Solo la provincia di Crotone ha ottenuto un valore dell’indice di vecchiaia di molto inferiore a 100 (69,67%) indicando quindi una presenza minore di anziani rispetto alle persone appartenenti alla fascia di età giovanile e anche rispetto alle altre province della Calabria. Per cui Crotone è da considerarsi la provincia calabrese con una minore presenza di persone anziane rispetto ai molti giovani. In realtà, per le province calabresi, le classi d’età più popolose non sono più quelle iniziali ma le intermedie, e questo a causa di una transizione verso un modello con bassa natalità ed aumento progressivo della vita media. Altro indicatore demografico, oltre a quello di vecchiaia, è l’indice di dipendenza - definito come il rapporto tra la popolazione con 65 anni d’età e oltre sommato alla popolazione con meno di 14 anni e la popolazione in età dai 14 ai 64 anni - che registra per tutte le province della Calabria un denominatore superiore al numeratore; ciò sta ad indicare un numero maggiore di individui che provvederà al sostentamento della fascia di età rappresentata al numeratore (un indice sensibile alla struttura economica della società). In particolare, la provincia di Crotone assume un valore dell’indicatore pari a 49,8, di poco superiore al valore assunto dalla provincia di Cosenza (49,2%). L’indice di struttura rappresenta il rapporto tra il numero di persone con età superiore a 40 e inferiore o uguale a 64 anni e la popolazione con età compresa tra i 15 e i 39 anni; il denominatore di questo indice rappresenta le 25 generazioni più giovani in attività destinate a sostituire le 25 generazioni più anziane anch’esse in attività. Tale indice è inferiore a 100 per la provincia di Crotone (70,65), ciò sta ad indicare una popolazione in cui la fascia di età lavorativa è giovane; tale fenomeno è molto meno evidente per le altre province della Calabria. Infine, l’indice di ricambio è definito come il rapporto tra quanti sono prossimi a lasciare il mondo del lavoro (popolazione con età compresa tra 60 e 64 anni) e quanti stanno invece per entrarci (popolazione con età compresa tra i 15 e i 19 anni). In provincia di Crotone l’indicatore è pari a 62,76 il che significa che per ogni 100 persone che entrano nel mondo del lavoro, solo 63 ne escono, con una netta crescita della popolazione in grado di lavorare.

Tab. 10 – Principali indicatori demografici delle province calabresi (2001) Indice di vecchiaia Indice di dipendenza Indice di struttura Indice di ricambio Catanzaro 94,93 49,98 76,91 71,35 Cosenza 97,94 49,20 78,48 78,46 Crotone 69,67 49,78 70,65 62,76 Reggio Calabria 96,39 54,23 77,61 72,54 Vibo Valentia 91,55 52,92 74,32 72,63 Fonte: elaborazione su dati ISTAT

9 L’indice di vecchiaia è definito come il rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione di età 0-14 anni (definizione ISTAT).

55

3.2.1.1.1.3 - IL P.I.L. DELLA PROVINCIA I mutamenti della geografia dello sviluppo hanno reso obsoleto un approccio deterministico dello sviluppo concepito come “automatica” sequenza di fasi successive (ad es. la teoria degli stadi dello sviluppo di Rostow), oppure centrato su concezioni dualiste, basate sull'opposizione centro-periferia, sui poli di sviluppo e sul "filtering down", in quanto è evidente che ogni area, pur partendo da presupposti localizzativi simili, segue un proprio percorso di sviluppo locale: è quindi difficile concepire una teoria generale dello sviluppo regionale, ma occorre analizzare tanti modelli di sviluppo, che pur partendo da matrici comuni, arrivano a risultati diversi. La conclusione è che il problema dello sviluppo, in particolare in una nuova provincia come Crotone, non può essere affrontato in una logica di contrapposizione di aree, perseguendo un metodo di lavoro schematico e per “compartimenti stagni”, ma perseguendo un approccio integrato tra aree sub provinciali con altre realtà territoriali che superino un concetto meramente amministrativo di territorio. Il problema, quindi, riguarda l’evolversi dei percorsi di crescita delle province calabresi da un lato e della provincia di Crotone dall’altro, superando un modello di sviluppo di tipo endogeno e proiettandosi verso un modello di sviluppo interrelato. Ciò significa che, in un contesto che valorizzi le peculiarità economico-produttive del territorio, si dovranno creare le condizioni socio-economico-istituzionali per favorire un più equilibrato processo di relazioni tra imprese e tra territori, anche stranieri: in pratica occorrerà innescare un nuovo “circolo virtuoso dello sviluppo”. Conseguentemente al cambiamento di scenario e al fine di superare un approccio “statico” e quindi di stock (la provincia più ricca in termini di Pil pro-capite, la provincia che ha il maggior peso sull’export nazionale, etc.) dell’economia provinciale, in questa sede, utilizzando una metodologia sperimentale dell’Istituto Tagliacarne, si è data una lettura dinamica dell’economia crotonese. Il principio sul quale si fonda il ragionamento è di tipo dinamico e quindi di flusso, in modo da attenuare il peso rivestito da indicatori di stock, pur importanti, come il Pil pro capite (è uno degli otto indicatori elementari selezionati) che, evidenziando il livello di sviluppo di partenza, penalizzano la lettura economica di molte province del Mezzogiorno, come Crotone. Il risultato finale è una rappresentazione dell’andamento della provincia non in termini di valori assoluti ma di variazioni percentuali rispetto al valore medio nazionale, attraverso la costruzione di un indice di sintesi frutto della ponderazione dei valori di otto indici elementari in un arco temporale che interessa gli anni Novanta10. In altri termini, l’indice cerca di fornire un quadro comparativo del dinamismo della provincia di Crotone. Le principali risultanze dell’indice posizionano Crotone all’80° posto, allontanandola dalla “tradizionale” 102° posizione che la provincia calabrese occupa se si ragiona solo in termini di Pil procapite. Il cambiamento di tendenza è dovuto sicuramente al differente approccio utilizzato e soprattutto a due fattori che risultano estremamente interessanti: dinamica delle esportazioni manifatturiere per addetti manifatturieri e la dinamica delle imprese.

10 L’indicatore in questione è costruito mediante l’aggregazione, effettuata con l’utilizzo di tecniche di clusterizzazione, di indicatori congiunturali elementari opportunamente ponderati e calcolati su base provinciale. Gli otto indicatori congiunturali elementari utilizzati, con il relativo significato in termini interpretativi, sono di seguito riportati. 1) Pil pro capite: detto indicatore è espresso considerandone il trend fra il 1991 ed il 1998 ed esprime il grado di ricchezza media a disposizione dei residenti (fonte: Tagliacarne); 2) Consumi pro capite: questo indicatore, espresso in trend fra 1992 e 1998, indica il livello medio della spesa per consumi privati mediamente sostenuta dai residenti di ogni provincia (fonte: Prometeia); 3) Indice generale dei prezzi: detto indice misura, per le città capoluogo di provincia, il tasso di inflazione medio, ovvero il saggio di variazione dei prezzi di un paniere rappresentativo di beni. Misurato in trend fra 1992 e 1998, incide negativamente sul risultato finale dell’indice di sintesi (fonte: Istat); 4) Esportazioni industriali/addetti industriali: rapporto fra valore delle esportazioni del comparto industriale e occupati dell’industria, misurato in trend fra 1991 e 1999, rappresenta la produttività del settore export oriented (fonte: Istat – Ice); 5) Tasso di crescita della popolazione residente: variazione della popolazione residente fra il 1991 ed il 1999. Misura il dinamismo demografico locale (fonte: Istat); 6) Tasso di crescita aziendale e neo imprenditorialità: tasso di crescita complessivo del numero di imprese extragricole fra 1997 e 2 trimestre del 2000, combinato con una stima dell’incidenza delle imprese effettivamente di nuova costituzione sul totale delle nuove iscrizioni (fonti: Unioncamere – Infocamere); 7) Ore autorizzate per Cassa Integrazione Guadagni ordinaria e straordinaria/addetti industria in senso stretto: rapporto fra numero di ore di CIG e numero di addetti industriali, per provincia, misurato in trend fra 1991 e 1999; incide negativamente sul risultato dell’indice di sintesi (fonti: INPS, Istat); 8) Saldi percentuali fra entrate ed uscite di personale previste dalle imprese nel biennio 1999/2000: saldo fra entrate ed uscite di personale previste dalle imprese nel biennio 1999/2000 rapportato allo stock occupazionale preesistente (fonte: Unioncamere – Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior).

56

Rispetto al primo indicatore Crotone si posiziona al 30° posto, mentre è addirittura nelle prime posizioni in termini di tasso di crescita delle imprese e creazione di nuove imprese. Questi dati evidenziano come, nonostante il livello di sviluppo di partenza non sia elevato ci sono i prodomi di crescita del tessuto imprenditoriale e di un lento ma costante incremento della produttività del lavoro nel comparto export oriented che in prospettiva potrebbe contribuire ad una maggiore apertura verso l’estero dell’economia provinciale. In particolare il dinamismo imprenditoriale sembra configurare un fenomeno di diversificazione produttiva rispetto al modello tradizionale che ha innescato un fenomeno di declino industriale agli inizi degli anni Novanta. In pratica occorre trovare un equilibrio tra esigenze dello sviluppo e problematiche di impatto ambientale. Un equilibrio di difficile individuazione, ma di estrema attualità per realtà, come Crotone, che devono disegnare un nuovo percorso di sviluppo dopo la stagione dell’intervento straordinario e della grande impresa. Alla base della nostra analisi è il calcolo di una previsione di crescita della provincia di Crotone nei prossimi dieci anni. Il modello matematico è stato preso a prestito dalla letteratura economica dello sviluppo11 e applicato alla provincia di Crotone. Considerando che il tasso di crescita medio nominale del reddito provinciale negli anni Novanta è stato pari a 4,7%, si è calcolato che, mantenendo lo stesso ritmo di crescita, per raddoppiare il reddito occorreranno 15,3 anni. Ciò significa, che in termini nominali, a parità di condizioni e senza la presenza di shock esogeni, la provincia raddoppierà il suo reddito entro il 2015. Se ciò avvenisse nei termini previsti, difficilmente Crotone potrebbe ridurre il gap che la separa, non solo dalle province del Centro-Nord, ma soprattutto, dalle realtà più dinamiche del Mezzogiorno. E’ indubbio che l’obbiettivo dovrà essere quello di accelerare il tasso di crescita e ridurre i “tempi di attesa”. Per ottenere questa performance l’economia locale utilizzerà dei fattori di produzione fisici (i beni strumentali), umani (la forza lavoro) e ambientali. Il mix di questi fattori dipenderà da molteplici elementi: la conoscenza e disponibilità di determinate tecnologie, i costi dei fattori produttivi, il processo di sviluppo dell’area e dei suoi distretti industriali. L’indice pone Crotone nell’ultimo quartile, ossia all’88° posto tra le province italiane con più basso grado di impatto ambientale, anche se preceduta da molte altre province meridionali. Vista la mappatura della distribuzione geografica dell’indice di impatto ambientale in Italia, si riscontra una correlazione positiva tra sviluppo economico e grado di impatto ambientale. Anche se questa relazione non sempre spiega per intero il fenomeno, dimostrando che alcuni aspetti negativi del fenomeno non sono sempre legati strettamente al livello di sviluppo. Un esempio è rappresentato dalla percentuale di costruzioni abusive sul totale del patrimonio abitativo che risulta essere molto forte nel Mezzogiorno. Comunque, un basso grado di impatto ambientale rappresenta un indubbio punto di forza e un fattore di attrazione del territorio, che è un patrimonio che va salvaguardato. Quindi, significa anche che per il prossimo decennio, se si vorranno incrementare i tassi di crescita rispetto al periodo precedente, senza peggiorare il contesto ambientale, occorrerà intervenire su alcuni fattori: ¾ ridurre la già forte concentrazione delle attività produttive nel capoluogo e diversificarle sul territorio; ¾ regolamentare la nuova edilizia residenziale, con l’obiettivo di ridurre l’alto numero di costruzioni abusive sul totale delle abitazioni; ¾ salvaguardare meglio il patrimonio boschivo se è vero che la provincia ha un alto grado di incendi per ettaro di superficie forestale; ¾ diversificare e migliorare lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in quanto assistiamo ad un’alta percentuale di rifiuti solidi raccolti per abitante. Tutti questi indicatori hanno valori superiori alla media nazionale12.

3.2.1.1.1.4 - LA DINAMICA DEL PIL NEGLI ANNI NOVANTA Il livello di crescita economica di una economia locale è sintetizzato, pur con tutti i limiti di tipo statistico e di interpretazione13, dal prodotto interno lordo. Questo indicatore, rappresentativo della ricchezza netta creata da un sistema economico, viene calcolato dall’Istituto Tagliacarne, per le 103 province italiane, mediante la nuova serie, migliorata sotto l’aspetto metodologico14. In base ai dati, si rileva che il Pil crotonese, ha avuto una crescita del 27,6% rispetto al 1991, una performance piuttosto modesta se confrontata con quella regionale, meridionale e nazionale (tb. 1).

11 La formula matematica “modificata” e applicata ad una economia locale da parte dell’Area Studi e Ricerche dell’Istituto Tagliacarne, è quella proposta da Stanley Fisher e Rudiger Dornbush in Economics, N.Y. 1983, pag.369. 12 Tali elementi sono quelli principali emersi da uno studio pilota non ancora pubblicato e realizzato dall’Istituto Tagliacarne. 13 Come evidenziato, fra gli altri, da Pigou. 14 Viene, fra l’altro, inclusa una stima dell’economia sommersa. 57

Tab. 1 – Tasso di crescita nominale cumulato 1991-1999 nella provincia di Crotone, in Calabria, nel Mezzogiorno e in Italia

Aree Tassi Crotone 27,6 Calabria 33,4 Mezzogiorno 32,5 Italia 38,4 Fonte: Ist. G. Tagliacarne Il modesto livello di dinamismo economico della provincia nel corso degli anni Novanta è poi sottolineato dal fatto che detti tassi di crescita sono misurati a prezzi correnti. Non vi è una interpretazione agevole del fenomeno. Certo, gli anni Novanta hanno rappresentato per l’economia crotonese un punto di svolta critico, nella misura in cui il vecchio modello di sviluppo basato sulla grande industria di base è progressivamente declinato, a favore dell’emersione, non ancora chiaramente definita, di un modello più soft, imperniato sui servizi, sulle piccole e medie imprese, sul turismo. In questa fase di transizione, che si può collocare subito dopo la prima metà del decennio, i tassi di crescita annui del Pil flettono, da una media del 5,33% fra 1991 e 1995, ad una, ben più modesta, dello 0,98% fra 1995 e 2001. In particolare, poi, l’economia crotonese sembra accusare una preoccupante flessione dell’attività produttiva dopo il 1997. Nel 1998, infatti, trascinata dal rallentamento economico nazionale, la struttura produttiva provinciale accusa una flessione marcata dell’attività (-3,94%), una vera e propria recessione economica, dalla quale non riesce ad uscire neanche nel 1999 (la crescita del Pil rispetto al 1998, pari allo 0,3%, è nettamente inferiore alla media meridionale e nazionale, avviata verso l’inizio della ripresa economica, che si manifesterà con tutto il suo vigore nel corso del 2000). Graf. 1 – Andamento delle variazione (in %) del Pil complessivo nella provincia di Crotone, in Calabria, nel Mezzogiorno e in Italia (1991-2001)

10,00 8,00 6,00 4,00 2,00 0,00 -2,00 -4,00 -6,00 1992/1991 1993/1992 1994/1993 1995/1994 1996/1995 1997/1996 1998/1997 1999/1998 Crotone 4,53 6,36 2,15 8,28 3,76 3,81 -3,94 0,30 Calabria 3,03 5,64 1,44 8,60 3,88 4,81 -0,83 3,05 Mezzogiorno 4,74 2,01 4,99 5,94 5,24 3,13 -0,21 2,97 Italia 5,66 2,57 4,90 7,63 5,49 3,54 0,52 2,97 Fonte: elaborazioni su dati dell'Ist. G. Tagliacarne

L’analisi dei successivi paragrafi mostrerà come detto andamento dipenda dalla marcata flessione del comparto agricolo tradizionale, che solo nell’ultimo anno manifesta segnali di ripresa e dall’insufficiente crescita della base industriale. In particolare, la recessione del 1997-99 della provincia di Crotone è quasi interamente da attribuirsi alla brusca frenata del comparto industriale, a sua volta ascrivibile al declino delle produzioni dell’industria di base chimico-metallurgica, associata ad un calo congiunturale della produzione nell’edilizia.

3.2.1.1.1.5 - IL PIL PRO CAPITE Gli andamenti della ricchezza prodotta in provincia di Crotone, analizzati in precedenza, si riflettono, naturalmente, sul tenore di vita medio della popolazione, misurato tramite il Pil pro capite. Detto valore è il dato più basso fra tutte le province calabresi, molto lontano dalla media nazionale (il tenore di vita medio di un crotonese è pari a circa la metà di quello italiano). Anche il tasso di crescita cumulato fra 1991 e 1999 è piuttosto modesto, inferiore sia alla media regionale che a quella nazionale. A seguito della recessione economica iniziata nel 1997, poi, nel 1999 il Pil pro capite non aveva ancora recuperato il valore raggiunto di due anni prima. Proprio a partire dal 1997, come evidenzia il graf. 2, le variazioni annue del Pil pro capite provinciale sono state sistematicamente inferiori alla media nazionale ed a quella regionale, ribaltando la tendenza positiva che aveva caratterizzato la prima metà degli anni Novanta e segnalando un acuirsi dei divari di sviluppo, oltre che rispetto al 58

Centro Nord, anche nei confronti delle province contigue più dinamiche. In altri termini, il sistema economico crotonese manifesta inquietanti segnali di perdita di competitività anche rispetto alla regione di appartenenza, avviandosi a diventare sempre più marginale nello scenario, già di per sé caratterizzato da notevoli criticità, dell’economia calabrese. Questi dati sono ancora più preoccupanti se si riflette in merito al consistente declino demografico che caratterizza la provincia di Crotone: malgrado la diminuzione della popolazione residente, il Pil pro capite manifesta una dinamica del tutto insoddisfacente. Questi fenomeni sembrano, ove letti congiuntamente, segnalare un processo di avvitamento del ritardo di sviluppo che caratterizza il crotonese. L’insoddisfacente capacità del sistema produttivo locale di creare ricchezza genera un fenomeno migratorio dovuto alla incapacità di allargare la base occupazionale. Questo fenomeno, a sua volta, depauperando il capitale umano esistente (soprattutto perché, in genere, i primi ad emigrare sono i giovani dotati di un livello di istruzione medio-alto, ovvero la fascia più produttiva della forza lavoro) induce, nel medio periodo, un ulteriore declino socio economico e produttivo.

Tab. 1 – Andamento del Pil pro capite nelle province calabresi, in Calabria e in Italia

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

Crotone/Calabria 90,74 92,10 92,99 93,72 93,88 94,22 93,59 90,84 89,07 Crotone/Italia 53,75 53,25 55,42 54,22 54,87 54,39 54,87 52,73 52,17 Calabria/Italia 59,23 57,82 59,60 57,85 58,45 57,73 58,63 58,04 58,58 Fonte: elaborazioni su dati dell’Ist. G. Tagliacarne Graf. 1 - Andamento delle variazioni annue (%) del Pil pro capite nella provincia di Crotone, in Calabria, ed in Italia

10,00 8,80 8,61

8,00 7,51 6,42 5,40 6,00 5,29 5,26 4,67 4,34 4,97 4,30 4,27 3,96 3,76 4,00 2,77 2,25 3,36 2,39 2,81 1,60 1,73 2,00 0,48 -0,53 0,00

-2,00

-4,00 -3,45

-6,00 1992/1991 1993/1992 1994/1993 1995/1994 1996/1995 1997/1996 1998/1997 1999/1998

Crotone Calabria Italia

Fonte: elaborazioni su dati dell’Ist. G. Tagliacarne

Le tendenze in atto nella globalizzazione delle economie acuiscono i processi di competizione fra territori nell’attrarre e mantenere investimenti produttivi e, di conseguenza, occupazione. Il grado di dinamismo economico, approssimato dal livello del Pil pro capite, è un indicatore significativo in tal senso, poiché rappresenta la capacità propulsiva del sistema produttivo locale. A tal proposito, la graduatoria del Pil pro capite per le 103 province italiane colloca, nel 1999, Crotone al penultimo posto, esattamente come l’anno precedente. Il grado di sviluppo socio economico complessivo, migliore rispetto alla sola provincia di Agrigento, pone la provincia in esame all’ultimo posto nel contesto regionale calabrese. Trova quindi conferma il fatto che Crotone rappresenta lo zoccolo duro del ritardo di sviluppo della Calabria. Interessante poi risulta essere il confronto con la media dell’Unione Europea. Come è noto, il parametro comunitario per la definizione delle aree in ritardo di sviluppo beneficiarie degli aiuti a titolo dell’obiettivo 1 è rappresentato dal livello pari al 75% della media del Pil dei 15 Paesi dell’Unione Europea. Il livello di Crotone, pari ad appena il 54% del Pil medio comunitario, segnala un ritardo di sviluppo consistente anche rispetto all’Europa, un dato che rischia di isolare il sistema produttivo crotonese dai mercati europei, e che illustra la fragilità dell’economia provinciale, incapace di sostenere la concorrenza rispetto alle altre regioni. Si può quindi

59

affermare che la forte chiusura del sistema produttivo locale rispetto agli scambi con l’estero costituisce una necessaria “protezione” rispetto alla concorrenza straniera, un cuscinetto protettivo che, però, ha mantenuto il tessuto imprenditoriale locale in una condizione di insufficiente sviluppo dei fattori competitivi (in primis l’innovazione e la qualità dei prodotti e dei processi) e che, con l’avvento dell’Euro, tenderà a scomparire a seguito dell’impossibilità di basarsi su differenziali nei tassi di cambio con altre valute dell’area dell’Unione Europea per sostenere i livelli di competitività-prezzo.

3.2.1.1.2 - IL SISTEMA IMPRENDITORIALE

3.2.1.1.2.1 - UN’ANALISI STORICA DELLA DINAMICA IMPRENDITORIALE A LIVELLO COMUNALE Dall'ultima "fotografia", scattata col censimento intermedio dell’industria e dei servizi, la realtà crotonese costituita da circa 7.700 aziende si è profondamente trasformata rispetto al 1951 quando le aziende presenti non raggiungevano le 3.800 unità. La tabella 1 riferita ai precedenti censimenti mostra il totale delle unità locali per comune in provincia di Crotone divise per sezioni di attività economica. Oggi occorre censire non soltanto un’importante settore di attività economica, ma anche un vero e proprio "mondo rurale" fatto di colture biologiche, agriturismo, forme di artigianato legate alla produzione agricola. In altre parole, l'insieme delle informazioni ottenute tramite i censimenti generali dell'agricoltura, della popolazione e delle abitazioni, dell'industria e dei servizi tracciano così un identikit dettagliato. Nel 2001 per tutti i principali settori è sempre Crotone che ottiene un forte peso rispetto agli altri comuni (tab. 3). Spiccano comunque Cutro, e Cirò Marina per il settore dell’industria, del commercio e dei servizi pubblici e privati. Nel 1951 la situazione era leggermente diversa: Crotone risultava comunque come principale comune, sostegno economico dell’intera provincia a cui si affiancava il comune di Petilia Policastro, di Strongoli e di Cirò. La più elevata crescita delle unità locali si è registrata tra le aziende che svolgono l’attività principale nei servizi pubblici e privati (+353,3%), seguite dalle aziende del settore del commercio (167,4%). In particolare, si può notare come all’interno del settore dei servizi, elevato è l’effetto di localizzazione nel comune di Crotone, di Isola di Capo Rizzuto, Rocca di Neto, Cutro, Melissa e Mesoraca. Il commercio invece ha ottenuto una forte crescita rispetto al 1951 nel comune di Isola di Capo Rizzuto, seguito da Crucoli, Cutro, Crotone e Melissa, superando in modo consistente la media provinciale. I comuni di Castelsilano e di Cirò hanno registrato una variazione percentuale negativa per il settore dei servizi, come il comune di Cirò, San Nicola dell’Alto e Umbriatico che registrano un netto calo delle unità locali tra il 1951 e il 2001 per il settore del commercio. Diversamente, il settore dell’industria è caratterizzata da pochissimi comuni in cui si verifica una crescita, anche se pur ridotta, delle unità locali. Rocca di Neto, Crotone e Isola di Capo Rizzuto raggiungono un aumento consistente, seguite da Cutro, Crucoli e Scandale con livelli decisamente più bassi. In generale, anche dalla mappatura provinciale delle unità locali complessive si nota un elevato effetto di localizzazione principalmente in quei comuni dell’area costiera con aziende appartenenti in misura maggiore al settore del commercio e dei servizi; la popolazione, infatti, come precedentemente esposto, ottiene un forte effetto di attrazione principalmente verso i comuni della costa ionica, in quelle aree in cui lo sviluppo imprenditoriale è in crescita.

60

Tab. 1– Unità locali per comune e settori di attività economica ai Censimenti dell’Industria e dei Servizi in provincia di Crotone

COMUNI 1951 1961 1971

Agricoltura, Industria Commercio Servizi pubblici Totale Agricoltura, Industria Commercio Servizi Totale Agricoltura, Industria Commercio Servizi Totale foreste, e privati foreste, caccia, pubblici e foreste, pubblici e caccia, pesca pesca privati caccia, pesca privati

Belvedere Spinello (-) 34 32 8 74 4 46 44 14 108 0 17 54 14 85 Caccuri (-) 43 29 5 77 2 45 52 11 110 0 22 56 5 83 Carfizzi (-) 37 8 4 49 1 41 15 7 64 6 24 25 9 64 Casabona (-) 119 36 9 164 2 42 56 16 116 12 39 86 13 150 Castelsilano (-) 57 18 13 88 1 18 31 10 60 2 53 37 7 99 Cerenzia (-) 27 15 4 46 4 14 15 12 45 9 17 33 12 71 Cirò (1) (-) 109 128 38 275 0 52 58 11 121 0 36 60 21 117 Cirò Marina (1) (-) 0 0 0 0 26 126 144 37 333 42 112 186 40 380 Cotronei (-) 77 53 11 141 5 52 81 18 156 0 37 108 20 165 Crotone (-) 270 429 134 833 29 347 936 182 1.494 11 452 1.093 240 1.796 Crucoli (-) 29 19 9 57 5 50 41 13 109 2 63 68 9 142 Cutro (-) 117 90 24 231 10 76 149 65 300 15 117 289 128 549 Isola di C. Rizzuto (-) 59 46 20 125 3 67 102 33 205 1 53 159 21 234 Melissa (-) 52 23 8 83 1 30 47 13 91 1 8 50 4 63 Mesoraca (-) 174 78 13 265 1 74 112 17 204 5 40 143 12 200 Pallagorio (-) 37 19 4 60 3 19 27 11 60 1 29 55 4 89 Petilia Policastro (-) 193 120 34 347 5 108 148 26 287 1 107 212 60 380 Rocca di Neto (-) 21 32 9 62 2 29 66 27 124 0 21 71 13 105 Roccabernarda (-) 38 22 7 67 4 30 30 18 82 0 24 64 17 105 San Mauro M. (-) 39 20 9 68 4 12 37 7 60 3 15 38 5 61 S. Nicola dell'Alto (-) 71 34 11 116 0 63 42 9 114 6 26 54 12 98 Santa Severina (-) 50 34 11 95 1 13 36 10 60 1 40 49 14 104 Savelli (-) 66 33 9 108 3 37 47 9 96 0 45 45 9 99 Scandale (-) 32 28 7 67 1 23 42 8 74 5 13 61 14 93 Strangoli (-) 76 68 35 179 1 43 93 27 164 0 37 113 19 169 Umbriatico (-) 24 19 3 46 1 15 17 8 41 0 2 25 3 30 Verzino (-) 42 15 9 66 2 45 24 9 80 0 21 54 10 85 Totale (-) 1.893 1.448 448 3.789 121 1.517 2.492 628 4.758 123 1.470 3.288 735 5.616 Note: (-) fuori dal campo di ossevazione del censimento - (1) il comune di Cirò Marina viene costituito nel 1952 a seguito del distacco della frazione omonima del comune di Cirò 61

segue Tab. 1– Unità locali per comune e settori di attività economica ai Censimenti dell’Industria e dei Servizi in provincia di Crotone

COMUNI 1981 1991 1996*

Agricoltura, Industria Commercio Servizi pubblici Totale Agricoltura, Industria Commercio Servizi pubblici Totale Agricoltura, Industria Commercio Servizi pubblici Totale foreste, caccia, e privati foreste, caccia, e privati foreste, caccia, e privati pesca pesca pesca

Belvedere Spinello 0 20 97 25 142 0 28 80 39 147 ( ) 31 67 43 141 Caccuri 1 28 55 17 101 1 28 50 26 105 (-) 22 35 19 76 Carfizzi 0 22 34 8 64 0 11 24 10 45 (-) 8 16 11 35 Casabona 13 42 96 62 213 0 48 92 60 200 (-) 39 60 31 130 Castelsilano 3 29 45 17 94 0 12 42 12 66 (-) 14 25 9 48 Cerenzia 10 18 32 12 72 0 10 38 20 68 (-) 17 34 11 62 Cirò (1) 3 23 82 35 143 2 15 77 31 125 (-) 34 61 22 117 Cirò Marina (1) 5 140 316 106 567 16 109 393 184 702 (-) 160 358 144 662 Cotronei 4 59 137 43 243 2 79 160 87 328 (-) 75 125 44 244 Crotone 18 625 1 582 1 023 3 248 4 404 1 355 934 2 697 (-) 582 1 348 966 2 896 Crucoli 0 22 81 32 135 0 35 100 56 191 (-) 37 83 30 150 Cutro 0 94 542 97 733 2 250 377 134 763 (-) 141 320 114 575 Isola di C Rizzuto 1 46 235 65 347 4 67 332 106 509 (-) 117 321 116 554 Melissa 4 31 79 36 150 0 32 77 41 150 (-) 42 71 38 151 Mesoraca 0 93 212 104 409 0 35 241 114 390 (-) 54 159 62 275 Pallagorio 0 19 55 21 95 1 28 68 24 121 (-) 31 47 16 94 Petilia Policastro 3 65 297 100 465 2 80 258 103 443 (-) 83 197 77 357 Rocca di Neto 7 40 130 65 242 2 51 111 56 220 (-) 73 95 53 221 Roccabernarda 6 14 76 41 137 1 15 129 33 178 (-) 19 59 26 104 San Mauro M 0 13 56 21 90 0 19 60 33 112 (-) 26 37 20 83 SNicoladell'Alto 0 27 53 18 98 0 11 35 15 61 (-) 10 23 16 49 Santa Severina 2 47 67 38 154 0 18 64 36 118 (-) 17 36 21 74 Savelli 0 9 51 22 82 0 21 60 40 121 (-) 13 33 20 66 Scandale 1 27 94 35 157 0 32 80 31 143 (-) 35 74 26 135 Strangoli 2 46 173 72 293 1 52 182 73 308 (-) 70 130 69 269 Umbriatico 0 2 29 11 42 0 10 24 11 45 (-) 10 15 4 29 Verzino 3 28 55 30 116 3 31 62 47 143 (-) 26 43 23 92 Totale 86 1 629 4 761 2 156 8 632 41 1 531 4 571 2 356 8 499 (-) 1 786 3 872 2 031 7 689 Note: *Censimento Intermedio dell’Industria e Servizi (-) Fuori dal campo di osservazione del censimento. Sono inoltre inclusi: pubblica amministrazione e istruzione, sanità e servizi sociali, attività associative e domestiche Avvertenze: I dati non sono sempre perfettamente comparabili tra di loro a causa di alcune difformità nel campo di osservazione dei diversi censimenti.

62

Tab. 2 - Tasso di crescita delle unità locali per comune e settore di attività economica

COMUNI Var. % 1951/2001 Industria Commercio Servizi pubblici e Totale privati -8,82 109,38 437,50 90,54 Caccuri -48,84 20,69 280,00 -1,30 Carfizzi -78,38 100,00 175,00 -28,57 Casabona -67,23 66,67 244,44 -20,73 Castelsilano -75,44 38,89 -30,77 -45,45 Cerenzia -37,04 126,67 175,00 34,78 Cirò (1) -68,81 -52,34 -42,11 -57,45 Cirò Marina (1) - - - - Cotronei -2,60 135,85 300,00 73,05 Crotone 115,56 214,22 620,90 247,66 Crucoli 27,59 336,84 233,33 163,16 Cutro 20,51 255,56 375,00 148,92 Isola di Capo Rizzuto 98,31 597,83 480,00 343,20 Melissa -19,23 208,70 375,00 81,93 Mesoraca -68,97 103,85 376,92 3,77 Pallagorio -16,22 147,37 300,00 56,67 Petilia Policastro -56,99 64,17 126,47 2,88 Rocca di Neto 247,62 196,88 488,89 256,45 Roccabernarda -50,00 168,18 271,43 55,22 San Mauro Marchesato -33,33 85,00 122,22 22,06 San Nicola dell'Alto -85,92 -32,35 45,45 -57,76 Santa Severina -66,00 5,88 90,91 -22,11 Savelli -80,30 0,00 122,22 -38,89 Scandale 9,38 164,29 271,43 101,49 Strongoli -7,89 91,18 97,14 50,28 Umbriatico -58,33 -21,05 33,33 -36,96 Verzino -38,10 186,67 155,56 39,39

Totale -5,65 167,40 353,35 102,93 Fonte: elaborazione su dati Istat

63

Tab. 3 – Concentrazione delle unità locali per comune e settore di attività economica (in %)

COMUNI 1951 1996 Industria Commercio Servizi pubblici Totale Industria Commercio Servizi pubblici Totale e privati e privati Belvedere Spinello 1,80 2,21 1,79 1,95 1,74 1,73 2,12 1,83 Caccuri 2,27 2,00 1,12 2,03 1,23 0,90 0,94 0,99 Carfizzi 1,95 0,55 0,89 1,29 0,45 0,41 0,54 0,46 Casabona 6,29 2,49 2,01 4,33 2,18 1,55 1,53 1,69 Castelsilano 3,01 1,24 2,90 2,32 0,78 0,65 0,44 0,62 Cerenzia 1,43 1,04 0,89 1,21 0,95 0,88 0,54 0,81 Cirò (1) 5,76 8,84 8,48 7,26 1,90 1,58 1,08 1,52 Cirò Marina (1) 0,00 0,00 0,00 0,00 8,96 9,25 7,09 8,61 Cotronei 4,07 3,66 2,46 3,72 4,20 3,23 2,17 3,17 Crotone 14,26 29,63 29,91 21,98 32,59 34,81 47,56 37,66 Crucoli 1,53 1,31 2,01 1,50 2,07 2,14 1,48 1,95 Cutro 6,18 6,22 5,36 6,10 7,89 8,26 5,61 7,48 Isola di C. Rizzuto 3,12 3,18 4,46 3,30 6,55 8,29 5,71 7,21 Melissa 2,75 1,59 1,79 2,19 2,35 1,83 1,87 1,96 Mesoraca 9,19 5,39 2,90 6,99 3,02 4,11 3,05 3,58 Pallagorio 1,95 1,31 0,89 1,58 1,74 1,21 0,79 1,22 Petilia Policastro 10,20 8,29 7,59 9,16 4,65 5,09 3,79 4,64 Rocca di Neto 1,11 2,21 2,01 1,64 4,09 2,45 2,61 2,87 Roccabernarda 2,01 1,52 1,56 1,77 1,06 1,52 1,28 1,35 San Mauro M. 2,06 1,38 2,01 1,79 1,46 0,96 0,98 1,08 San Nicola dell'Alto 3,75 2,35 2,46 3,06 0,56 0,59 0,79 0,64 Santa Severina 2,64 2,35 2,46 2,51 0,95 0,93 1,03 0,96 Savelli 3,49 2,28 2,01 2,85 0,73 0,85 0,98 0,86 Scandale 1,69 1,93 1,56 1,77 1,96 1,91 1,28 1,76 Strongoli 4,01 4,70 7,81 4,72 3,92 3,36 3,40 3,50 Umbriatico 1,27 1,31 0,67 1,21 0,56 0,39 0,20 0,38 Verzino 2,22 1,04 2,01 1,74 1,46 1,11 1,13 1,20 Totale 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 Fonte: elaborazione su dati Istat

64

Graf. 1 –Localizzazione delle unità locali del settore industriale nei comuni della provincia di Crotone

Effetto di localizzazio Basso In media Elevato

Graf. 2 –Localizzazione delle unità locali del settore commercio nei comuni della provincia di Crotone

Effetto di localizzazione Basso In media Elevato

65

Graf. 3 - Localizzazione delle unità locali del settore dei servizi pubblici e privati nei comuni della provincia di Crotone

Effetto di localizzazio Basso In media Elevato

Graf. 4 - Localizzazione delle unità locali complessive nei comuni della provincia di Crotone

Effetto di localizzazion Basso In media Elevato

66

3.2.1.1.2.2 - LE SUB AREE Nel 2001 la provincia fu suddivisa in 7 Bacini Produttivi Locali secondo un criterio di specializzazione produttiva (metodologia MKT), come di seguito riportato: Denominazione B.P.L. Comuni rientranti nel B.P.L. Area del vino Cirò, Cirò Marina, Crucoli, Melissa, Strongoli. Area Alto Crotonese Carfizzi, Pallagorio, San Nicola dell’Alto, Savelli, Umbriatico, Verzino. Area interna Mesoraca, Petilia Policastro, Roccabernarda, San Mauro Marchesato, Santa Severina. Crotone Crotone, Cutro, Rocca di Neto. Turismo balneare Isola di Capo Rizzuto, Crotone, Strongoli, Melissa, Cirò Marina, Cirò, Crucoli. Area culturale e archeologica Cerenzia, Umbriatico, Santa Severina, Mesoraca, Cirò, Carfizzi, Casabona, Crucoli, Isola di Capo Rizzuto, Strongoli, Melissa. Turismo ambientale Castelsilano, Caccuri, Savelli, Cotronei, Verzino, Petilia Policastro.

3.2.1.1.2.3 - L’ANDAMENTO CONGIUNTURALE DELLE SUB AREE

L’industria manifatturiera nell’area del vino esprime un andamento che, nel complesso, può essere definito positivo rispecchiando comunque gli elementi di perplessità che pervadono il settore a livello nazionale. L’attività produttiva del 2001 pur esprimendo un segnale prevalentemente stazionario delinea segnali timidamente positivi (saldo pari a +4% nel II semestre 2001), che nelle indicazioni per il futuro sembrano trovare una ulteriore conferma (saldo pari a +32%). Per l’area dell’Alto Crotonese, per Crotone e l’area a turismo balneare e ambientale il 2001 è caratterizzato da una costante ma lieve crescita della produzione che va a stabilizzarsi positivamente solo nel 2002. I saldi presentano infatti variazioni negative nel I semestre, seguendo comunque un trend crescente che caratterizza il II semestre 2001 ed il successivo. Pur non registrando saldi positivi risulta comunque in crescita la produzione che caratterizza l’area culturale e archeologica. L’area interna è invece rappresentata da saldi negativi. Il giro d’affari del settore manifatturiero ha ottenuto un trend crescente in tutti i BPL ma, in particolare, si è assistito ad una forte impennata del fatturato nell’area del vino che, rimasto costante in entrambi i semestri del 2001 (saldo pari a +3%), ha raggiunto un saldo pari a +48%. Oltre all’area del vino, solo Crotone riesce a registrare un buon fatturato per tutto il periodo con saldi che toccano solo valori positivi. L’andamento complessivo dell’azienda manifatturiera nel 2001 viene dichiarata favorevole dal 50% delle aziende appartenenti all’area del vino e stazionaria per le altre aziende appartenenti ai restanti BPL; tale situazione si scontra con quella delle aziende dell’area culturale e archeologica che dichiarano un andamento complessivo sfavorevole (51%). L’occupazione sia fissa che stagionale del complessivo settore manifatturiero ha ottenuto un trend crescente in questi ultimi anni. Tutte le aziende appartenenti ai vari BPL hanno ottenuto, in generale, dei saldi positivi nel 2001. E’ necessario escludere da questo quadro positivo la completa stazionarietà dei livelli occupazioni di quelle aziende manifatturiere appartenenti all’area culturale e archeologica e una stasi della sola occupazione stagionale da parte delle aziende dell’area interna e di Crotone. Le valutazioni degli imprenditori del settore dei servizi della provincia mettono in evidenza un fatturato 2001 all’insegna di particolari difficoltà registrate considerando la presenza del saldo negativo; in questa situazione non del tutto positiva si trovano anche le aziende appartenenti ai vari bacini produttivi locali che, pur riducendo di poco la forte negatività tra il I e il II semestre 2001, registrano comunque dei saldi negativi, anche se le aspettative migliorano leggermente nell’area culturale e archeologica, nell’area di turismo ambientale e balneare e per il BPL Crotone. All’insegna della continuità del ciclo negativo è il valore dell’attività per quanto riguarda le aziende dell’area del vino, per il BPL Alto Crotonese e l’area interna. L’occupazione legata al settore dei servizi è sostanzialmente stazionaria, bilanciata dalla completa mancanza di crescita dell’occupazione atipica in ogni area considerata (solo il BPL Alto Crotonese prevede un leggero incremento dell’occupazione atipica) e una crescita quanto mai appannata che caratterizza il livello di occupazione fissa per ogni BPL, ad esclusione dell’area del vino che dichiara un completo calo dei livelli occupazionali nel 2001. La produzione lorda vendibile del settore della agricoltura non si trova in linea con quella registrata dai vari BPL. Infatti, solo l’area 67

del turismo ambientale ha potuto riprendere la crescita del proprio fatturato dopo un primo semestre 2001 caratterizzato da saldi fortemente negativi. Una produzione crescente si è registrata per le aziende appartenenti all’area del vino, confortata dai saldi positivi del 2001. Al contrario, escludendo le aziende dell’area interna che prevedono una riduzione della produzione, tutte le altre aree sono caratterizzate da una crescita sostanzialmente nulla. Un dato di forte stazionarietà è legato ai livelli occupazionali che domina tutti i bacini produttivi locali. Infatti, sia per l’intero settore agricolo che per le varie aree si sono registrati saldi nulli per tutto il 2001. Sia l’occupazione fissa che atipica ha avuto un periodo di forte staticità.

AREA INTERNA

ROCCABERNARDA SANTA SEVERI NA PETI LI A POLI CASTRO SAN MAURO MARCHESATO

MESORACA

Settore manifatturiero

1 5 3 0 0 0 0 00 0

-3 -5 -3

-10 -10 -12 -12 -15 -15 -15 produzione fatturato esportazioni occup. fissi occup. atipici

I sem. 2001 II sem. 2001 stime

Fonte: Osservatorio Economico Locale Crotone.

Settore servizi

17 17 0

20 -4 -4 0

0

-20 -12

-40 -39

-60 -57 fatturato occup. fissi occup. atipici

I sem. 2001 II sem. 2001 stime

Fonte: Osservatorio Economico Locale Crotone. 68

Settore agricoltura

50 50 0 00 0 00

0

-50 -50 -100 -100 fatturato occup. fissi occup. atipici

I sem. 2001 II sem. 2001 stime

Fonte: Osservatorio Economico Locale Crotone.

MANIFATTURIERO I semestre 2001 II semestre 2001 2002/2001 Produzione Ð Ð Ð

Portafoglio ordini totale Ð Ð Ð

Fatturato Ð Ð ÍÐ

Utilizzo impianti Ð Ð ÍÐ

Occupati fissi ÍÏ ÍÐ ÍÏ

Occupati atipici ÍÎ ÍÎ ÍÎ SERVIZI Fatturato Ð Ð Ð

Occupati fissi ÍÐ ÍÐ ÍÎ

Occupati atipici Ï Ï ÍÎ

AGRICOLTURA Fatturato Ð Ï Ð

Utilizzo risorse produttive Ð ÍÎ ÍÎ

Occupati fissi ÍÎ ÍÎ ÍÎ

Occupati atipici ÍÎ ÍÎ ÍÎ

3.2.1.1.2.4 - ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI PER SUDDIVISIONE SETTORIALE I settori di punta delle esportazioni crotonesi sono costituiti, tradizionalmente, dal metallurgico, dalla chimica e dall’agroalimentare. Fra il 1999 e il 2001, delle tre attività basilari soltanto il settore chimico mette a segno un risultato positivo, assumendo un peso pari al 15,3% sul valore complessivo dell’export provinciale, secondo solo alla rilevanza della filiera agroalimentare che rappresenta complessivamente il 45,03% del valore delle vendite sull’estero. Tuttavia detta filiera accusa una notevole difficoltà nel rimanere sul mercato: la sola agricoltura perde il 41,3% del valore dell’export e l’industria di trasformazione alimentare perde il 7,6%. Questi risultati negativi colpiscono, soprattutto per il notevole patrimonio di prodotti tipici ad alta qualità che il territorio crotonese possiede, dai vini ai formaggi all’olio, tanto per citare alcune delle produzioni più celebri. Urge una politica di promozione e comunicazione dell’immagine di tali produzioni sui mercati esteri, al fine di valorizzare la rilevante potenzialità commerciale di tutte le produzioni tipiche.

69

Di contro, è da segnalare l’incoraggiante ripresa delle esportazioni nel settore cartario, indice di un possibile nuovo ciclo di sviluppo di tale attività, nonché la crescita delle vendite di alcuni settori, quali la gomma-plastica, la fabbricazione di mezzi di trasporto e l’industria conciaria, che ancora sono scarsamente rilevanti nel contesto industriale crotonese, ma che potrebbero rappresentare, in futuro, i fulcri di una nuova fase di industrializzazione. In buona parte, il contratto d’area ha contribuito all’insediamento sul territorio di tali attività produttive. Infine, la crescita eccezionale del settore estrattivo lascia presumere che si tratta di un evento del tutto occasionale e non ripetibile. Sul versante delle importazioni, invece, si rileva come i due settori più importanti siano l’agroalimentare ed il chimico (in quest’ultimo caso, si tratta prevalentemente di prodotti intermedi). Tali settori hanno manifestato segnali di crescita nel corso del 2001, assieme ad una forte crescita del settore “mezzi di trasporto”, da connettersi evidentemente con un marcato incremento nelle immatricolazioni di autoveicoli ed a una buona performance del settore "macchine elettriche ed apparecchiature elettriche ed ottiche”. Al contrario, l’intero comparto del tessile e della pelle cuoio accusa una flessione, insieme al comparto meccanico.

3.2.1.1.2.5 - ANALISI DELLE STRATEGIE DI SVILUPPO DELLA PROVINCIA In particolare, i documenti di programmazione presi in considerazione per l’analisi delle strategie di sviluppo, da parte della Provincia, sono: a) il Programma Operativo Regionale; b) l’Intesa Istituzionale di Programma; c) il Contratto d’Area (per le parti che sono operative o non ancora realizzate e concluse); d) alcuni provvedimenti di legge specifici che prevedono interventi di infrastrutturazione che coinvolgono il territorio. Come è facile notare, non vi è punto di debolezza rilevante per il quale non sia prevista, per il prossimo futuro, una azione di miglioramento. Tuttavia, molte delle azioni sono incluse nel POR o nell’Intesa Istituzionale di Programma, documenti di respiro regionale, quindi non necessariamente le misure potranno essere applicate sul territorio di Crotone. Inoltre, rimangono da verificare la copertura finanziaria e le modalità attuative concrete di tali linee di politica economica.

3.2.1.1.2.6 - INCROCIO FRA PUNTI DI DEBOLEZZA E STRATEGIE DI SVILUPPO Gli Assi prioritari attorno ai quali è organizzata la strategia di sviluppo del POR sono i seguenti: 1. Risorse naturali 2. Risorse culturali 3. Risorse umane 4. Sistemi locali di sviluppo 5. Città 6. Reti e nodi di servizio Grande attenzione è altresì posta sull’ambiente e sulle risorse naturali e culturali presenti sul territorio. Ciò deriva dalla crescente consapevolezza dell’impatto economico, occupazionale e sulla qualità della vita che la tutela e la promozione di tali elementi comportano. Vengono messi in campo progetti di difesa del suolo, di riforestazione, di valorizzazione turistica del patrimonio naturale, paesaggistico, enogastronomico, artistico, storico e culturale locale.

70

Modello di sviluppo Denominazione B.P.L e Specializzazione produttiva prevalente Comuni rientranti nel B.P.L. Num. addetti alle unità Num. imprese attive nel Comune baricentrico. locali nel settore di settore di specializzazione specializzazione prevalente prevalente 2001 Area del vino – Cirò Marina Vite, olivo, agrumi e coltivazioni frutticole. Cirò, Cirò Marina, Crucoli, Melissa, 2.916 1.056 Produzione di vini speciali, industria Strongoli olearia.

Carfizzi, Pallagorio, San Nicola Agricolo ed Area dell’Alto Crotonese - Cerealicoltura, ortive. Industria olearia, dell’Alto, Savelli, Umbriatico, 1.159 384 agroindustriale (*) Verzino panetteria. Verzino.

Olivocoltura. Industria olearia, lattiero Mesoraca, Petilia Policastro, Area interna – Petilia Policastro caseario, lavorazione del grano e panetteria, Roccabernarda, San Mauro prodotti a base di carne. Marchesato, Santa Severina. 3.369 727

Industria di base Crotone - Crotone Metallurgia, chimica di base, produzione di Crotone, Cutro, Rocca di Neto. 1.297 34 carta. Turismo balneare Isola di Capo Rizzuto, Crotone, 388 Strongoli, Melissa, Cirò Marina, Cirò, Crucoli.

Cerenzia, Umbriatico, Santa Turismo (***) Area culturale e archeologica Severina, Mesoraca, Cirò, Carfizzi, Casabona, Crucoli, Isola di Capo Rizzuto, Strongoli, Melissa. 196

Castelsilano, Caccuri, Savelli, Cotronei, Verzino, Petilia Policastro. Turismo ambientale 72 - Sila

NOTE: (*) Il dato occupazionale dei B.P.L. agroalimentari è stato ricavato da una stima effettuata dall’Istituto G. tagliacarne sui dati per unità di lavoro e Sistemi locali del lavoro dell’Istat, aggiornati al 1996, e sugli addetti alle unità locali del settore Da15 (industrie alimentari e delle bevande) del Censimento Intermedio, anch’esso al 1996. (**) Causa l’indisponibilità di dati Infocamere sufficientemente disaggregati per il profilo settoriale, la consistenza delle unità locali è tratta dai dati del Censimento Intermedio del 1996. (***) I rilevanti fenomeni di precarietà, stagionalità e irregolarità caratteristici dell’occupazione nel comparto turistico producono, nei dati “ufficiali”, una sottostima dell’occupazione effettiva. Si è pertanto preferito non evidenziare i dati sulla consistenza occupazionale nei B.P.L. afferenti al modello di sviluppo turistico. Le unità locali di tale comparto sono tratte dalla sezione H della codifica ATECO91 (alberghi, ristoranti e bar). Causa l’indisponibilità di dati sufficientemente disaggregati, è stato impossibile calcolare la consistenza delle agenzie di viaggio e operatori turistici .

71

Bacini produttivi locali basati sul modello agricolo ed agroindustriale, con indicazione del comune baricentrico

CIRO' MARINA

VERZINO

PETILIA POLICASTRO

Bacino produttivo locale basato sul modello dell’industria di base con indicazione dei Comuni

ROCCA DI NETO

CROTONE

CUTRO

72

Bacino produttivo locale basato sul turismo balneare, con indicazione dei comuni

CRUCOLI

CIRO' MARINA CIRO'

MELI SSA

STRONGOLI

CROTONE

ISOLA DI CAPO RIZZUTO

Bacino produttivo locale basato sul turismo culturale, artistico ed archeologico, con indicazione dei comuni

CRUCOLI

CIRO'

MELISSA STRONGOLI CERENZIA

SANTA SEVERINA

MESORACA

ISOLA DI CAPO RIZZUTO

73

Bacino produttivo locale basato sul turismo ambientale e sull’agriturismo, con indicazione dei comuni

SAVELLI VERZINO

CASTELSILANO

CACCURI COTRONEI

PETILIA POLICASTRO

74

3.2.1.2 - MESORACA NEL COMPRENSORIO

3.2.1.2.1 - ELEMENTI SULLA STRUTTURA DEMOGRAFICA DEL COMPRENSORIO

3.2.1.2.1.1 - L’ANALISI STORICA Dai risultati dei censimenti emerge che tutti i comuni del comprensorio sono caratterizzati da un alto tasso di crescita demografico se il periodo studiato è quello che va dal 1861 al 2001 (Tab 1). In realtà se si legge, dal Grafico 2.1, l’andamento demografico dell’intero comprensorio degli ultimi 40 anni, si passa dai 39.695 abitanti rilevati nel 1961 ai 34.702 abitanti nel 2001. Ad eccezione dei comuni di Cotronei (da 5250 a 5554 abitanti) e di Roccabernarda (da 3459 a 3639 abitanti), tutti i Comuni del Comprensorio presentano un decremento demografico che è particolarmente avvertito a Petilia Policastro (- 16%) e San Mauro Marchesato (-33%). I due centri dove permangono storicamente più abitanti sono Petilia Policastro e Mesoraca nei quali abitano nel 2001 rispettivamente il 21,81% e il 28,74% della popolazione del comprensorio. Tab. 1 – Ricostruzione della popolazione residente legale ai censimenti dei comuni della provincia di Crotone

Resid. Var. % COMUNI 1861* 1871* 1881 1901 1911 1921 1931 1936 1951 1961 1971 1981 1991 2000 al 31.12.00 /1861 Cotronei 1.495 1.728 2.091 2.097 2.461 2.823 3.660 4.046 5.145 5.250 4.989 5.187 5.331 5.554 271,51 Mesoraca 2.438 2.672 3.208 3.720 4.113 4.332 5.072 5.531 7.392 8.722 8.555 9.160 7.510 7.570 210,50 Petilia Pol. 5.081 5.583 5.697 6.762 6.939 7.646 8.668 9.519 11.700 11.847 10.935 10.893 10.473 9.974 96,30 Roccabernarda 673 748 964 1.190 1.424 1.669 2.012 2.153 2.871 3.459 3.560 3.742 3.874 3.639 440,71 San Mauro M. 1.064 1.267 1.567 1.730 1.839 1.813 2.083 2.209 3.059 3.546 3.177 3.013 2.648 2.370 122,74 S. Severina 1.253 1.343 1.705 1.737 1.952 2.039 2.258 2.328 3.003 3.138 2.831 2.621 2.578 2.376 89,62 Scandale 1.301 1.290 1.514 1.431 1.723 1.498 2.067 2.171 3.087 3.733 3.925 3.902 3.558 3.219 147,43 Totale 13.305 14.631 16.746 18.667 20.451 21.820 25.820 27.957 36.257 39.695 37.972 38.518 35.792 34.702 260.81 Note: *La popolazione legale coincide con la popolazione presente (R.D. 10/05/1863 n.1268 e R.D. 15/12/1872 n.1171) Fonte ISTAT

Tab. 2 – Composizione comunale della popolazione residente legale (in % sul totale comprensoriale)

COMUNE 1861* 1871* 1881 1901 1911 1921 1931 1936 1951 1961 1971 1981 1991 2000

Cotronei 11.24 11,81 12,49 11,23 12,03 12,93 14,17 14,47 14,19 13,23 13,14 13,46 14,89 16,00 Mesoraca 18,32 18,26 19,16 19,93 20,11 19,85 19,64 19,78 20,39 21,97 22,53 23,78 20,98 21,81 Petilia Pol. 38,18 38,16 34,02 36,22 36,22 35,04 33,57 34,05 32,27 29,84 28,80 28,28 29,26 28,74 Roccabernarda 5,05 5,11 5,76 6,37 6,96 7,65 7,79 7,70 7,92 8,71 9,37 9,71 10,82 10,49 San Mauro M. 8,00 8,66 9,36 9,27 8,99 8,31 8,07 7,90 8,44 8,93 8,37 7,82 7,40 6,83 S. Severina 9,42 9,18 10,18 9,30 9,54 9,34 8,74 8,33 8,28 7,90 7,45 6,80 7,20 6,85 Scandale 9.78 8,81 9,04 7,67 11,86 6,86 8,00 7,76 8,51 9,40 10,34 10,13 9,94 9,27 Totale 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

3.2.1.2.1.2 - LA DINAMICA DELLE FAMIGLIE DAL 1961 AL 2001 Le famiglie del comprensorio contano, in media, meno componenti di un tempo. Osservando i dati degli ultimi sette anni (dal 1993 al 1999) si registra una crescita delle famiglie residenti, ma un lieve calo del numero medio dei suoi componenti. In particolare, si passa da un valore pari a 4,41 componenti nel 1961 ad un valore pari a 2,97 nel 2001. Questo calo è dovuto, oltre che alla diminuzione delle nascite, all'allungamento della vita media e al conseguente invecchiamento della popolazione. Queste trasformazioni complesse sono state determinate principalmente dal fatto che il numero delle persone che vivono sole è in aumento.

75

Tab.3 – Numero di famiglie presenti nel comprensorio (1961-2001)

1961 1971 1981 2001 COMUNE

Cotronei 1.317 1.305 1.495 1.853 Mesoraca 1.986 2.010 2.445 2.264 Petilia Policastro 2.733 2.760 3.100 3.068 Roccabernarda 820 865 1.067 1.091 San Mauro Marchesato 780 735 836 861 Santa Severina 710 686 722 791 Scandale 754 867 957 1.072 Fonte: dati ISTAT Tab. 4 – Numero medio di componenti per famiglia nel comprensorio (1961-2001)

1961 1971 1981 2001 COMUNE

Cotronei 3,99 3,82 3,47 2,82 Mesoraca 4,39 4,26 3,75 3,12 Petilia Policastro 4,33 3,96 3,51 3,10 Roccabernarda 4,22 4,12 3,51 3,10 San Mauro Marchesato 4,55 4,32 3,60 2,80 Santa Severina 4,42 4,13 3,63 2,93 Scandale 4,95 4,53 4,08 2,94 MEDIA COMPRENSORIALE 4,41 4,16 3,65 2,97 Fonte: dati ISTAT

Graf. 2.1 – Popolazione comprensoriale residente legale relativa ai censimenti dal 1961 al 2001

12.000 11.847

11.000

10.000 9.974

9.000 8.722

Cot ronei 8.000 Mesoraca 7.570 Petilia 7.000 Roccabernarda S. Mauro S.Severina 6.000 Scandale 5.554 5.250 5.000

4.000 3.733 3.546 3.639 3.459 3.219 3.138 3.000

2.3702.376 2.000 1961 1971 1981 1991 2000

Anno

Fonte ISTAT

76

Graf .1 – Famiglie nel comprensorio relative ai censimenti dal 1961 al 2001

3.500

3.000

2.500

2.000

Famiglie Cotronei 1.500 Mesoraca

1.000 Petilia Roccabernarda 500 San Mauro S. Severina 0 1961 1971 1981 1991 2001 Scandale Anno

3.2.1.2.2 - ELEMENTI SULLA STRUTTURA SOCIO-ECONOMICA DEL COMPRENSORIO

AREA PIT 12 "SILA CROTONESE"

Comuni popolazione superficie kmq

1 Caccuri 1.882 5.727

2 Castelsilano 1.217 3.951

3 Cerenzia 1.329 2.428

4 Cotronei 5.568 7.813

5 Mesoraca 7.632 9.356

6 Petilia Policastro 10.046 9.643

7 Roccabernarda 3.704 6.552

8 San Mauro Marchesato 2.396 4.202

9 Santa Severina 2.429 5.188

Totali 36.203 54.860

77

3.2.1.2.2.1 - ANALISI DEL CONTESTO SOCIO ECONOMICO L’area PIT 12 è composta da 9 Comuni e presenta una superficie di 55 mila ettari. L’area è localizzata nella parte occidentale della Provincia di Crotone e ne rappresenta il 32% del territorio. Dal punto di vista altimetrico, 6 dei 9 Comuni sono classificati come montagna interna (Caccuri, Castelsilano, Cerenzia, Cotronei, Mesoraca e Petilia Policastro), e coprono il 71% della superficie complessiva e assorbono oltre i ¾ della popolazione totale. I restanti 3 Comuni (Roccabernarda, San Mauro Marchesato e Santa Severina), che coprono il 29% della superficie e contengono il 23,5% della popolazione, sono classificati come collina interna. Popolazione - La Popolazione complessiva dell’Area è di 36.200 abitanti (50.7% femmine – 49.3% maschi) circa pari al 21% dell’intera popolazione della Provincia di Crotone e all’1,8% dell’intera popolazione regionale. Il Comune più popoloso è Petilia Policastro con poco più di 10mila abitanti, pari al 27.7% di quella complessiva. Segue Mesoraca con quasi 7mila abitanti, 21% di quella totale e Cotronei con oltre 5mila e 500 abitanti (15.4% del totale). Il Comune meno popoloso è Castelsilano con soli 1200 abitanti, pari al 3,4% della popolazione totale dell’area. I nuclei familiari dell’area sono 11.780 con una famiglia media composta da 3 componenti in linea con la tendenza provinciale regionale. La distribuzione della popolazione per fasce di età mette in evidenza una maggiore concentrazione relativa a residenti anziani (65 anni e oltre) rispetto alla Provincia di Crotone; mentre l’incidenza dei giovanissimi (0-14 anni) è simile al valore medio della Provincia e superiore all’incidenza media regionale. Le tendenze recenti evidenziano un aggravamento del tasso di vecchiaia. Tra il 1991 e il 2001 infatti l’indicatore subisce nell’area PIT un peggioramento, mentre in Provincia si riduce in maniera maggiore. Se invece si considera l’indice di dipendenza, ossia il rapporto percentuale tra i giovanissimi e gli anziani sulla popolazione residente in età lavorativa, la situazione nell’area PIT è sensibilmente più grave rispetto alla Provincia ed alla Regione: Area PIT - indice di dipendenza 54,5; Provincia 49,6; Regione 50,6. Il sensibile miglioramento dell’indice nel corso degli ultimi anni non consente tuttavia un allineamento con i valori provinciali e regionali. Dinamica demografica – Nell’ultimo ventennio la popolazione residente nell’area PIT 12 mostra una tendenza alla contrazione. Tra il 1981 e il 2001 i residenti si riducono di oltre 2.500 unità, pari ad una diminuzione relativa all’8.4%. Solo un Comune dell’area PIT (Cotronei) registra nel ventennio in questione un incremento demografico (+7.3%). Tutti gli altri Comuni perdono popolazione, sebbene con tassi di intensità differenti: San Mauro Marchesato (-20.5%); Mesoraca (-16.7%), Castelsilano (-16%), Caccuri (-10%), Petilia Policastro (-7.8%), Santa Severina (-7.3%). In termini aggregati, l’area PIT perde popolazione a causa del movimento emigratorio, ossia del saldo negativo tra uscite e ingressi residenti. L’indice medio annuo d’incremento naturale, dato dal rapporto tra la differenza tra nati vivi e deceduti e la popolazione media residente, risulta positivo (+3.6 abitanti per ogni mille), e nonostante il dato sia positivo, il movimento naturale non riesce comunque a rimpiazzare la perdita di popolazione connessa al movimento migratorio e fa si che l’area PIT perda residenti. Gli unici Comuni che sperimentano tassi di decremento demografico per motivi naturali sono Castelsilano (-6.4) e Cotronei (-0.9), mentre i rimanenti registrano un incremento naturale positivo. Nel corso degli anni ’90 il tasso di natalità della Sila Crotonese si mantiene in linea con quello medio regionale e al di sotto di quello provinciale. I giovani nati nell’area, nell’allontanarsi per brevi periodi per motivi di studio e/o lavoro, non ritornano più per una totale assenza di opportunità. (Dati Istat, 1991-01)

78

Densità – La piccola cifra demografica dell’area è testimoniata dalla bassa densità di popolazione per kmq, pari ad appena 66 abitanti, di gran lunga inferiore ai valori medi della Provincia (101.5 abitanti per kmq) e della Regione (136) che sono a loro volta contenuti. La maggiore densità si registra a Petilia Policastro con 104 abitanti per kmq; di contro, la più bassa a Castelsilano con soli 30.8 abitanti per kmq. Grado di urbanizzazione – Secondo i dati del censimento Istat della popolazione del 1991 il 56% dello stock abitativo dell’area PIT risultava occupato da famiglie e il rimanente 44% non occupato. Rispetto alle situazioni provinciale e regionale, nell’area PIT appariva ben più accentuato il fenomeno delle abitazioni non occupate (7-10% in più – ad oggi, dato confermato dagli uffici comunali). Nel Comune di Cotronei si registra la percentuale più elevata di abitazioni non occupate pari al 67.2% di quelle totali, fenomeno spiegabile con l’elevata presenza delle doppie case per le vacanze che alimentano un flusso turistico sommerso non rilevabile dalle statistiche sulla ricettività alberghiera. Grado di marginalità del territorio – L’area PIT mostra una rarefazione insediativa, uno spopolamento non ancora arrestato e la scomparsa delle ultime generazioni “rurali” hanno compromesso la capacità di conservazione con un elevato grado di marginalità socio-economica. La media aritmetica dei valori sintetici standardizzati di quattro gruppi di indicatori (costituente l’indicatore di dinamismo/marginalità utilizzato relativi alla struttura fisica (posti letto strutture sanitarie x 100 abitanti – aule scuole medie e superiori x 100 abitanti – abitazioni costruite dopo il 1991/abitazioni totali – acqua erogata per abitante) a quella demografica (densità abitanti/kmq – popolazione residente var. % - classe di età 15-34 anni/totale popolazione - % laureati + diplomati su abitanti – tasso di attività – tasso di occupazione), a quella produttiva (sua/aziende agricole – tasso di imprenditorialità – tasso di densità occupazionale – var. % unità locali – investimenti previsti x abitante - var. % addetti unità locali – posti letto strutture ricettive totali x 1000 abitanti) e alle condizioni di reddito e consumi (pil pro-capite – reddito disponibile pro-capite – consumi pro-capite delle famiglie – autovetture circolanti > 2000 cc x abitante – consumi di energia elettrica/utenze – abbonamenti telefonici x 100 abitanti – Ici versata x abitante) di ogni singolo comune dell’area in questione mostrano valori negativi. Un solo comune mostra dinamismo positivo quello di Cotronei (+1,6); mentre tutti i restanti otto Comuni presentano un indicatore di marginalità negativo con i valori più accentuati a Mesoraca (-3,2) e Castelsilano (-3,0). (Dati Istat, 2001). Disoccupazione – Le persone in cerca di occupazione in provincia di Crotone si sono ridotte notevolmente dal 1996 al 2001. Dalle 15.924 unità del 1996 si è giunti nel 2001 a circa 9.000 unità, cioè una contrazione di oltre il 40% (fonte: Rapporto 2001, Assindustria Crotone). In questo quadro parzialmente positivo l’area PIT mantiene, ad oggi, i dati complessivi di rilevazione del 1991 (censimento Istat): popolazione attiva dell’area PIT 13mila unità, pari ad un tasso di partecipazione del 35.4%; occupati quasi 7.500, disoccupati in senso stretto oltre 1600, inoccupati (alla ricerca di prima occupazione) poco più di 9mila. In termini di distribuzione relativa, l’area PIT mostra rispetto al crotonese e alla Calabria un eccesso di popolazione attiva disoccupata (12.8% contro l’11.5% per entrambi i territori di riferimento) e un deficit di residenti occupati (57.1% contro 57.6% e 63.9%, Font Istat, 1991). Nei Comuni di Roccabernarda e Castelsilano i disoccupati ammontano all’incirca a poco più della metà della popolazione attiva, vale a dire che per ogni occupato esiste un disoccupato. Qualcosa in meno nei comuni di Cerenzia (49%), San Mauro Marchesato (46%), Caccuri (45%), Mesoraca e Petilia P. (40%). E’ bene precisare che non tutta la riduzione della disoccupazione è da imputare all’aumento della domanda di lavoro ma anche alla riduzione dell’offerta dovuta ad uno “scoraggiamento” che ha portato all’abbandono dell’azione di ricerca di lavoro (chi non è alla ricerca”attiva” di un lavoro è annoverato dall’Istat non tra i disoccupati ma tra la “non forza lavoro”). Infatti, a fronte di un aumento del numero degli occupati di 3.668 unità in tutta la Provincia, di cui circa il 5% circa dell’area PIT 12, l’Istat rileva 6.854 persone in meno tra coloro che si dichiarano disoccupate. Questo è possibile per i tassi di natalità/mortalità, che il fenomeno migratorio è aumentato e che c’è stata una notevole riduzione tra il 1996 ed il 2000 della popolazione. La disoccupazione femminile dell’area è più bassa che quella maschile nonostante la consistenza della forza lavoro femminile si attesta intorno al 45% di quella maschile. Il tasso di disoccupazione giovanile si attesta intorno a valori molto elevati circa il 70% della disoccupazione dell’intera area. Da un profilo della domanda di lavoro asfittica e contratta verso alcune dinamiche superate, è possibile evincere che: la disoccupazione intellettuale, e la conseguente emigrazione dei giovani a più alto livello di istruzione, deriva da un sistema produttivo poco propenso all’innovazione, che abbisogna quindi di qualifiche modeste; le imprese locali non riescono a sostenere gli oneri di formazione del personale; la modesta quota di personale di difficile reperimento probabilmente ha una diretta conseguenza sui livelli di retribuzione, che in linea teorica dovrebbero essere molto basse, deprimendo per questa via il tenore di vita; una struttura della domanda di lavoro di questo genere impatta negativamente sul livello di motivazione delle forze lavoro, incentivando l’ampio fenomeno di scoraggiamento e conseguente fuoriuscita dalle forze lavoro. Forza lavoro irregolare (stima) – Valori nella media regionale 27.8% che sottraggono il 15.4% del Pil. Livello della qualità della vita – I dati sul reddito prodotto mostrano in modo inequivocabile il ritardo economico dell’area PIT. Nel 1991, il prodotto pro capite era di appena 7.9 milioni di lire nella Sila Crotonese, a fronte di 10.9 nella Provincia e dei 12.8 della Calabria. Gli abitanti nell’area PIT conseguivano un reddito notevolmente inferiore a quello medio degli abitanti nel resto della Provincia crotonese, che pure è tra i più bassi d’Italia. Cotronei è il Comune con il più alto reddito pro capite (17 milioni), seguito da Mesoraca (7.9 mil.), Cerenzia (7.4 mil.), e Petilia Policastro (6,5 milioni). Il Comune più povero, in termini di Pil pro capite, San Mauro Marchesato con appena 3.9 milioni, la metà

79

di quello medio dell’area e solo il 30% di quello medio regionale. Per quanto riguarda i consumi delle famiglie dell’aera PIT mostra un deficit rispetto al resto della Regione: 1994, consumi pro capite 11.3 milioni di lire, a fronte dei 12.6 milioni medi della provincia di Crotone e ai 14.1 milioni di lire della Calabria. Rispetto alla Provincia e alla Regione, l’Area PIT mostra una maggiore propensione relativa verso il consumo di beni alimentari, dovuta la minore reddito pro capite percepito dagli abitanti locali. Tutto questo è verificabile anche in riferimento alla consistenza degli sportelli e dei depositi bancari: 1999, 6 sportelli bancari a fronte dei 38 della Provincia e dei 467 della Regione. Settori economici – Con riferimento alla struttura agricola nel 1990 nell'area PIT operavano 4961 aziende agricole che occupavano quasi 26mila ettari di Sau (Superficie agricola utilizzata) e più di 37mila ettari di superficie totale. Il rapporto tra la Sau e la superficie totale, pari al 69 per cento, è in relazione alla Calabria abbastanza elevato, mentre è più basso rispetto alla Provincia di Crotone. I Comuni con il maggior numero d’aziende erano Petilia Policastro (1332, pari al 26.8 per cento) e Mesoraca (751, pari al 15.1 per cento). In questi due Comuni si condensava più del 40 per cento delle aziende agricole e della Sau complessive dell'area. La presenza d’aziende era abbastanza consistente anche nei Comuni di Cotronei con il 12.1 per cento, Caccuri (11 per cento) e Roccabernarda (10.5). Nell'area PIT si concentrava il 30 per cento del totale delle aziende agricole provinciali. Di una certa consistenza era il patrimonio zootecnico. Sempre nel 1990 i bovini allevati nelle aziende dell'area PIT erano 5809, circa il 26 per cento di quelli provinciali; i caprini, pari nel complesso a circa 14mila e 300 capi, rappresentavano addirittura più della metà dell'intero patrimonio caprino del crotonese, gli ovini (15289 capi) coprivano il 34 per cento degli allevamenti ovini provinciali e i suini (2975 capi) costituivano il 29 per cento di quelli allevati complessivamente nel crotonese. Nell'insieme, il settore agricolo dell'area PIT si caratterizzava per una maggiore densità d’aziende agricole rispetto ai due contesti di riferimento: 13.4 aziende ogni 100 residenti a fronte delle 9.2 della Provincia e delle 10.2 della Regione. Caccuri, con 29.5 aziende ogni 100 abitanti, era il Comune a maggiore specializzazione agricola, seguito a distanza da Cerenzia (19.5 aziende ogni 100 residenti). All'opposto, i Comuni con una presenza di imprese agricole relativamente più bassa erano Mesoraca (10) e Cotronei (11.3). Le tendenze di lungo periodo indicano un processo di lieve ridimensionamento dell'agricoltura locale. Nel periodo intercensuato 1982-1990, infatti, le aziende agricole nell'area PIT si contraggono di 132 unità, corrispondente ad un decremento relativo del 2.6 per cento contro un ridimensionamento più sostenuto registrato a livello regionale (-4.4 per cento). Particolarmente accentuata e la scrematura d’aziende nei Comuni di Cotronei (-25.8 per cento) e Roccabernarda (-14.4) che insieme al Comune di Caccuri (-9.6) sono gli unici Comuni dell'area a registrare una diminuzione delle aziende agricole sul proprio territorio. Gli incrementi più evidenti si verificano, invece, a Cerenzia (32.5) e a San Mauro Marchesato (+14.5). Viceversa, in aumento risulta la superficie agricola utilizzata che, nel periodo in questione, si espande di circa mille e 600 ettari, pari ad un incremento del 6.6 per cento, a fronte di decrementi del 5.5 per cento nella Provincia di Crotone e dell'8.3 per cento della Calabria. A Cotronei (-45.7) e Santa Severina (-24.7) la Sau si riduce notevolmente, mentre un incremento sostanziale si registra a Petilia Policastro (-54.3) e Mesoraca (+33.1). Si restringe invece la superficie totale, che cala del 7.5 per cento circa nell'area PIT contro decrementi del 9.3 per cento in Provincia e del 6.6 in Calabria. Con riferimento alla distribuzione commerciale Nel 1994, le autorizzazioni al commercio nei 9 Comuni del PIT erano 875, di cui 712 per l'esercizio del commercio fisso e 163 per il commercio ambulante. Le attività non alimentari erano quelle prevalenti in entrambi i casi. Con riferimento alle attività commerciali, l'area PIT era in linea con la situazione provinciale e regionale. Nella prima, infatti, si registravano l’8.8 autorizzazioni per il commercio fisso ogni 1000 abitanti, 17 in Provincia di Crotone e quasi 20 in Calabria. Lo stesso si verificava per il commercio ambulante, poiché le autorizzazioni per il suo esercizio erano pari a 4.3 ogni 1000 abitanti nel PIT e a 4.7 e 4.3, rispettivamente in Provincia e Regione. I Comuni con la più alta densità d’autorizzazioni al commercio fisso erano Mesoraca e Petilia Policastro che segnalavano un numero d’autorizzazioni per 1000 abitanti rispettivamente pari a 29.3 e 18.9. Diversamente, il Comune con la più bassa quota d’autorizzazioni era Roccabernarda con un valore dell'indicatore pari a 10.8 autorizzazioni ogni 1000 abitanti. Cerenzia era, invece, il Comune che presentava la più alta consistenza d’autorizzazioni per il commercio ambulante: 9.7 ogni 1000 abitanti. La scarsa consistenza della struttura distributiva locale è, tuttavia, testimoniata dall'assoluta mancanza di grandi magazzini e dalla minima presenza di supermercati alimentari. Nel 1998, i supermercati alimentari erano solo due (uno a Mesoraca e l'altro a Petilia Policastro), con meno di 900 mq di superficie e 6 addetti. Riguardo alla struttura extragricola secondo dati del censimento intermedio Istat del 1996 alla fine di quell'anno operavano nella Sila Crotonese 1256 imprese, ad esclusione di quelle propriamente agricole, cui facevano capo 1869 addetti. Le imprese locali rappresentavano il 17.2 e 1'1.4 per cento dell'universo delle imprese provinciali e regionali, mentre gli addetti alle imprese locali coprivano rispettivamente il 12.5 e quasi 1'1%. I Comuni con i sistemi imprenditoriali più estesi risultavano Petilia Policastro, Mesoraca e Cotronei, ossia quelli più grandi, che assorbono i due terzi delle imprese complessive. Altrettanto polarizzata risultava la distribuzione comunale degli addetti: i suddetti Comuni coprivano, infatti, il 69 per cento degli addetti complessivi. La situazione è praticamente identica se anziché alle imprese si fa riferimento alle unità locali, ossia alle strutture fisiche dove si svolge l'attività economica (stabilimenti, laboratori, negozi, uffici, studi, ecc.). L'unica nota degna di rilievo è che in questo caso la dimensione quantitativa è leggermente più ampia perché, com’è noto, una singola impresa può articolarsi in più unità locali e anche perché possono localizzarsi nell'area unità locali appartenenti ad imprese esterne all'area PIT. Nell'insieme le unità locali erano 1323 e gli addetti 2171, secondo una distribuzione comunale pressoché identica a quella vista per le

80

imprese. I1 26.7 per cento delle unità locali e il 24 per cento degli addetti faceva riferimento a strutture organizzate sotto la forma dell'artigianato. Rispetto alla Provincia e alla Regione, l'area PIT mostrava una maggiore, seppur di poco, specializzazione nelle strutture artigianali, soprattutto in termini d’occupazione assorbita. Cerenzia e Castelsilano sono i due Comuni dove largamente prevalente era la presenza artigianale: nel primo il 35.3 per cento delle unità locali e il 42.3 per cento degli addetti facevano riferimento ad iniziative artigiane; nel secondo le medesime incidenze erano del 35.4 e del 34 per cento. Viceversa, Mesoraca era il Comune con il più basso tasso d’artigianalità imprenditoriale: il 16.7 per cento delle imprese e il 16.1 per cento degli addetti complessivi. Le attività manifatturiere, segmento produttivo extragricolo presenti nel 1996 nell'area del PIT, come unità locali ammontavano a 187, ovverosia il 14 per cento delle unità locali extragricole, un valore di poco superiore a quello medio provinciale e regionale ma di gran lunga più basso di quello medio nazionale. I dati dunque evidenziano un debole radicamento del settore manifatturiero nell'economia locale. Per di più, l'asfissia quantitativa si accoppia ad una specializzazione nei comparti meno innovativi e con più intensi vincoli localizzativi, ossia maggiormente dipendenti dalle risorse e dalla domanda locali. Tre erano i blocchi produttivi più rappresentativi della manifattura locale: industrie alimentari (prodotti tipici), industria del legno e produzione di prodotti in metallo. A questi tre macrocomparti facevano, infatti, riferimento ben 140 unità locali, pari quasi ai tre quarti del totale. Come d'altronde accade in molte altre aree della Calabria, le poche attività manifatturiere di un certo rilievo presenti nella Sila Crotonese erano prevalentemente orientate a soddisfare, da un lato, la domanda di alimenti da parte dei residenti e, dall'altro, ad assecondare la domanda di semilavorati e di prodotti finiti da parte del settore edilizio locale (prodotti di falegnameria, di infissi e serramenti metallici). Scarsamente consistenti risultavano invece gli altri comparti. Di un qualche peso era quello della lavorazione di minerali non metalliferi (produzione di prodotti in cemento), che assorbiva 1'11.2 per cento delle unità locali, ma anche in questo caso si tratta di una produzione strettamente correlata al settore delle costruzioni. L'analisi della distribuzione dell'occupazione conferma la predominanza del settore alimentare, che da solo assorbiva un quarto degli addetti manifatturieri complessivi (77 su 308), seguiva l'industria del legno con il 23.7 per cento e la produzione di prodotti in metallo (19.5). Anche con riferimento ai dati sull'occupazione è confermata la specializzazione nei due blocchi delle produzioni alimentari e di quelle per l'edilizia, che insieme assommavano quasi il 70 per cento dell'occupazione totale. Caccuri era il Comune con la più elevata specializzazione nel settore alimentare. Petilia Policastro, Mesoraca e Santa Severina mostravano una maggiore concentrazione di unità locali ed addetti nella produzione di prodotti in legno. Santa Severina registrava anche una discreta presenza d’addetti nel settore alimentare. Infine, nell'altro settore dominante della produzione di prodotti in metallo, la specializzazione risultava più diffusa tra i Comuni dell'area PIT. Nell'insieme, le specializzazioni manifatturiere dell'area PIT non appaiono dissimili rispetto a quelle della Provincia di Crotone e della Calabria. Anche in queste ultime, infatti, predominavano largamente le produzioni "protette" legate ai mercati locali e, in special modo, i prodotti agro-industriali e quelli input dell'edilizia. Nel 2001 si contavano nell'area PIT solo 9 strutture alberghiere, pari al 15.5 per cento circa di quelle presenti alla stessa data a livello provinciale. Cotronei, con 6 alberghi, era il Comune con il più elevato numero di strutture ricettive alberghiere, in ragione del suo maggior tasso di sviluppo turistico. Caccuri, Mesoraca e Petilia Policastro possedevano una struttura ricettiva ciascuno, mentre i rimanenti 5 Comuni erano sprovvisti di alberghi. Le camere disponibili erano 233 per un totale di 562 posti letto. In riferimento alle camere era, ovviamente, Cotronei il Comune con la maggiore disponibilità assoluta: 209 camere e 516 posti letto. Nel complesso, gli alberghi locali si caratterizzavano anche per una modesta caratura dimensionale. In media erano infatti composti da appena 25.9 camere per esercizio con 62.4 posti letto, a fronte di valori ben più elevati a livello provinciale e regionale. Del tutto inesistente era l'offerta di posti letto in strutture extralberghiere. Unità locali, imprese ed addetti – L'analisi settoriale delle unità locali extragricole mette in evidenza una concentrazione delle strutture produttive nelle attività commerciali. Queste ultime, infatti, assorbivano nell'area PIT ben 599 unità locali delle 1323 complessive, pari al 45.3 per cento delle unità totali. In Provincia e in Regione l'incidenza delle strutture distributive era di poco inferiore: rispettivamente il 43 e il 44.2 per cento. Dunque, l'economia locale, al pari di quella provinciale e regionale, si presentava innanzitutto con il volto della redistribuzione e dell'intermediazione di flussi di merci e servizi prodotti all'esterno dell'area. A Cerenzia e Roccabernarda le strutture commerciali toccavano l'apice rappresentando almeno la metà delle unità locali totali. Molto meno consistente era la presenza degli altri settori d’attività economica. A livello d'area PIT il secondo per importanza era quello dell'industria manifatturiera, che assorbiva il 14.1 delle unità locali, seguito dai servizi alle imprese con 1'11.3, dalle costruzioni con il 10.2 e dagli alberghi e servizi pubblici con 1'8.2. Del tutto inconsistenti gli altri settori. Rispetto alla Provincia e alla Regione, l'area PIT mostrava, dunque, una leggera specializzazione nell'industria manifatturiera, nei settori del commercio e degli alberghi e servizi pubblici e, nel contempo, una despecializzazione nel settore dei servizi alle imprese. A livello comunale, Cerenzia e Castelsilano evidenziavano una più spinta specializzazione nelle attività manifatturiere, Caccuri e San Mauro Marchesato nelle costruzioni, Cotronei nel settore degli alberghi e pubblici esercizi, Santa Severina e San Mauro Marchesato nei servizi alle imprese. Non molto difforme si presentava la situazione della specializzazione settoriale in riferimento agli addetti. Sotto quest'ultimo profilo, si può notare una minore focalizzazione settoriale: il commercio assorbiva all'incirca un terzo degli occupati complessivi, le costruzioni il 16.6 per cento, l'industria manifatturiera il 14.2, i servizi alle imprese 1'8.6, gli alberghi e i pubblici esercizi 1'8.1, i trasporti il 7.1. Rispetto alla

81

Provincia e alla Regione, nel caso dell'occupazione l'area PIT mostrava una maggiore specializzazione nel settore del commercio, delle costruzioni, degli alberghi e dei servizi pubblici. Al contrario, una despecializzazione era ravvisabile nell'industria manifatturiera, nel settore dei trasporti e comunicazioni e nei servizi alle imprese. Tassi d’imprenditorialità e d’occupazione L'intensità imprenditoriale nelle attività extragricole nell'area PIT è di gran lunga più bassa di quella media provinciale e regionale, che è tra le più basse dell'intero Paese. Sempre nel 1996, nella Sila Crotonese si contavano 35.5 unità locali non agricole per ogni 1000 residenti (43.1 e 46.6 rispettivamente nel crotonese e nella Calabria). A livello settoriale, il commercio era l'attività con la più densa presenza d’aziende, sia nell'area PIT (16.1 unità locali ogni 1000 abitanti) che in Provincia (18.5) e Regione (20.6). Industria manifatturiera, costruzioni e servizi alle imprese erano gli altri settori che segnalavano una minima consistenza quantitativa; assolutamente marginali erano tutti gli altri. In riferimento ai Comuni, solo Cerenzia mostrava un tasso d'imprenditorialità di poco superiore a quello medio regionale: in esso si addensavano 46.9 unità locali per ogni 1000 abitanti. Commercio e industria manifatturiera erano i settori che contribuivano a determinare la migliore performance di Cerenzia rispetto agli altri Comuni. Di contro, valori particolarmente bassi si registravano a Roccabernarda (27.3) e Santa Severina (29.3). Criticissima era la situazione relativa alla densità occupazionale. Nell'area PIT si contavano solo 58.3 addetti ad unità locali extragricole ogni 1000 residenti, un valore di 33 punti più basso di quello medio provinciale e di ben 46.5 punti inferiore di quello regionale. E' indicativo dell'estremo livello di sofferenza socio-economica della Sila Crotonese, che nell'area ci siano relativamente meno occupati che non in Provincia e in Regione, che pure sono tra i contesti territoriali con le più basse densità occupazionali a livello nazionale. L'unico Comune, in grado di avvicinarsi al tasso medio di densità occupazionale regionale, era Cotronei che registrava un valore dell'indice pari a 102.2. Particolarmente critica risultava, invece, la situazione occupazionale nel resto dell'area con punte di massimo disagio nei Comuni di Roccabernarda, Castelsilano e Mesoraca, dove gli addetti extragricoli per 1000 abitanti non superava la quota delle 45 unità. Le tendenze recenti I1 confronto intercensuario evidenzia per l'area PIT un peggioramento dell'economia extragricola. Contrazione del tessuto produttivo e restringimento sostanziale della base occupazionale sono gli aspetti salienti. Le unità locali passano da 1567 a 1323, pari ad un decremento assoluto di 244 unità (- 15.6 per cento). Di contro, Provincia e Regione sperimentano una lieve espansione del tessuto imprenditoriale: del 2.4 per cento la prima e del 5.9 per cento la seconda. Particolarmente consistente è la riduzione della struttura imprenditoriale in alcuni Comuni. Roccabernarda è il Comune che registra la riduzione di unità locali più sostenuta: -57 unità, pari al -35.4 per cento. Ridimensionamenti consistenti si verificano anche a Mesoraca (-46 unità locali, pari al -14.3 per cento), Cotronei (-42 unità locali, corrispondente al -14.7 per cento), Petilia Policastro (-40 unità locali, pan al 10.1 per cento) e Santa Severina (-22 unità locali, pan al -22.9 per cento). L'unico Comune ad accrescere, seppur si pochissimo, il numero di unità locali è Cerenzia, 3 unità locali in più pari al +5.1 per cento. La situazione, come si è accennato, è molto più preoccupante con riferimento alla dinamica occupazionale. Le attività extragricole dell'area PIT, nello stesso periodo di tempo, perdono ben 478 lavoratori, vale a dire il 18 per cento, a fronte di decrementi più contenuti in Provincia (-11.6 per cento) e Regione (-6.7). La riduzione occupazionale è territorialmente generalizzata. Solo gli addetti nel Comune di Cerenzia mostrano una piccola tendenza alla crescita: + 24 unità, pari ad un incremento relativo di 32.9 punti percentuali. Roccabernarda (-46.9 per cento), Caccuri (-35.8) e Castelsilano (-24.3) sono i Comuni dove i livelli occupazionali si riducono più intensamente. Alla riduzione delle unità locali e degli addetti si accompagna anche una diminuzione delle dimensioni medie delle unità produttive. Passano, infatti, da 1.7 addetti nel 1991 a 1.6 nel 1996, accentuando ulteriormente la distanza rispetto alle dimensioni medie delle aziende provinciali e regionali. Solo a Cotronei le dimensioni medie delle unità locali sono nel 1996 leggermente superiori a quelle medie provinciali e regionali, mentre in tutti gli altri Comuni sono sensibilmente inferiori. Il ridimensionamento degli addetti implica altresì un abbassamento del valore relativo alla densità occupazionale locale, testimoniato dal fatto che nel 1996 risultano ormai presenti nell'area PIT soltanto 58.3 addetti extragricoli ogni 1000 abitanti mentre erano 71.6 cinque anni prima. Anche in riferimento a questo indicatore il divario con la Provincia e la Calabria è più che evidente. Infine, si riduce notevolmente anche l'indice d’imprenditorialità: 42.4 unità locali ogni 1000 abitanti nel 1991 e 35.5 nel 1996, a fronte di una tendenza alla crescita da parte della Provincia e della Regione. Tipologie imprenditoriali - Viste le caratteristiche della struttura produttiva locale, è facile intuire che all'interno dell'area PIT prevalgono le imprese organizzate sotto forme giuridiche elementari. Sempre con riferimento al censimento intermedio del 1996, circa 1180 unità locali sulle 1323 totali facevano riferimento a ditte individuali, pari a11'89.2 per cento. Anche in Provincia e Regione l'impresa individuale dominava incontrastata, assorbendo all'incirca 1'80 per cento delle imprese totali. Le società di caPITali erano, invece, appena 29, in altre parole il 2.2 per cento in tutto, a fronte di valori un po' più consistenti a livello provinciale e regionale (rispettivamente 5.5 e 6.1 per cento). Scarsamente presenti erano anche le società cooperative (11 in tutto) e piuttosto ridotto era anche il numero delle società di persone, che assorbivano il 6.6 per cento delle unità locali. A livello comunale, le incidenze più elevate di unità locali organizzate sotto la forma di ditte individuali si riscontravano a Castelsilano (95.8 per cento), Mesoraca (94.9) e San Mauro Marchesato (92.8). Viceversa, le unità locali che facevano riferimento a società di caPITali erano relativamente più consistenti a Petilia Policastro (4.2 per cento). Vista in termini di addetti, la distribuzione delle unità locali per forme giuridiche sostanzialmente non cambia: le ditte individuali continuano a rappresentare la forma

82

largamente predominante, seguite dalle società di caPITali e dalle società di persone. In particolare, le prime coprivano il 64.5 per cento degli addetti totali mentre le seconde riguardavano il 13.4 per cento e le terze il 12.5 per cento. Dimensioni medie – I1 sistema produttivo locale si caratterizza oltre che per la ridotta presenza di aziende anche per un'eccessiva frammentazione delle strutture produttive, che ostacola il raggiungimento di adeguate economie di scala. Nell’insieme, le unità locali extragricole segnalavano nei 1996 una dimensione media di 1.6 addetti, un valore perfino inferiore di quello delle unità produttive provinciali e regionali. L'assoluta predominanza di microaziende e confermata dall'analisi della distribuzione delle unità locali per classi d’addetti. Delle 1323 unità locali extragricole presenti nell'area PIT ben 1074, pari all'81.2 per cento, erano rappresentate da iniziative con un solo addetto. Provincia di Crotone e Calabria presentavano anch'esse una polverizzazione delle strutture produttive, anche se in misura inferiore a quella per l'area PIT. Le percentuali maggiori di strutture produttive monoaddetto si riscontravano a Castelsilano (91.7 per cento), Mesoraca (89.1) e Roccabernarda (84.6). Le unità locali con meno di 6 addetti rappresentano il 97.1 per cento di quelle complessive e la totalità di quelle nei Comuni di Caccuri, Castelsilano e Roccabernarda. Solo un'unità locale extragricola nell'area, localizzata nel Comune di Cotronei, occupava almeno 50 addetti, mentre erano 18 nel resto della Provincia di Crotone e 225 nell'intera Calabria. Solo 7 erano le unità locali con un numero di addetti tra 20 e 49 e 8 quelle con un numero di addetti tra 10 e 19. Sebbene in forma meno marcata, la frammentazione della struttura produttiva extragricola è confermata anche dalla distribuzione degli addetti tra le diverse fasce dimensionali delle unità locali. Le strutture produttive con un solo addetto assorbivano, nel 1996, il 49.5 % degli occupati complessivi, 15 punti in più della Provincia di Crotone e 18.5 in più della Calabria, che pure presentano un elevatissimo grado di parcellizzazione aziendale. Se si include anche la fascia superiore - quella delle unità locali con 2-5 addetti - l'occupazione che faceva riferimento ad aziende con meno di 6 addetti raggiungeva quasi i tre quarti di quella totale, contro il 60 per cento circa delle altre due circoscrizioni territoriali di riferimento. Le unità locali con almeno 10 addetti assorbivano nell'area PIT il 18.7 per cento degli occupati complessivi a fronte del 30 per cento circa della Provincia e della Regione. Analisi delle concentrazioni – Circa il 71% delle unità locali sono concentrate nei Comuni di Petilia Pol. (27.8%), Cotronei (26.8%) e Mesoraca (16.3%), il 18% invece nei Comuni di Santa Severina (6.4%), Roccabernarda (5.9%) e San Mauro Marchesato (5.3%), il restante 11% è localizzato nei Comuni di Caccuri (4.5%, Castelsilano (4.5%) e Cerenzia (2.4%). Le attività economiche manifatturiere risultano le più consistenti (14.1%) con una concentrazione di 52 u.l. a Petilia P. 36 a Cotronei e 35 a Mesoraca, specializzate nel settore del legno e agroalimentare, sono presenti con meno di 15 u.l. a Roccabernarda, Cerenzia e San Mauro M.. Particolarmente assente nell’area Presilana il settore del credito ed i servizi alle imprese questi ultimi rivolti essenzialmente alla sola assistenza fiscale. Presenze di proto-distretti – Il territorio PIT 12 è caratterizzato da un’Area ad alto valore naturalistico. Dall’analisi dei dati e da indagini sul campo si evidenzia nell’Area PIT offerta assai significativa nei segmenti del turismo e dell’ecoturismo, con una forte presenza di disponibilità di posti letto a Cotronei, localizzati nelle frazioni turistiche Silane tra Trepidò e Villaggio Palumbo. Importante è la dotazione naturale boschiva e della quantità di legname legate alla filiera del legno (che dura da secoli), presente su tutta l’area montana come prima lavorazione e localizzata nei territori di Petilia Policastro e Mesoraca. Di rilievo è il dinamismo del comune di Santa Severina per le attività turistico- culturale a seguito dell’opera di recupero del Castello (sec. XI), il quale si è creato un’importante quadrante di servizi a supporto delle stesse. Di grande interesse sono le Terme in agro di Cotronei legate alla possibilità di creare una filiera a vocazione per la produzione d’estratti e olii essenziali per la cosmesi naturale e per l’industria farmaceutica, nonché avviare un distretto del polo del benessere. Di molto valore è tutto il bacino idrico e la dotazione delle acque per lo sfruttamento, nonché l’autoproduzione dell’energia alternativa abbattendo i costi d’esercizio. Livello delle dotazioni infrastrutturali – L’area PIT, come l’intera provincia di Crotone, è relativamente penalizzata dalla sua posizione geografica, decentrata rispetto ai grandi assi stradali e ferroviari che collegano la Calabria con le regioni del Centro Nord. E' purtroppo la dotazione infrastrutturale non è adeguata a compensare questo svantaggio. Particolarmente grave appare la situazione della rete ferroviaria, che colloca l’area PIT e l’intera Provincia di Crotone fra le ultime province del Paese quanto a dotazione quali-quantitativa. Anche la rete stradale, leggermente migliore in termini strutturali, non è adeguata alle esigenze di un’economia moderna. Oltre il previsto ammodernamento dell’asse viario Terme– Sila, la dotazione di strade, strade interpoderali, depuratori, reti distributive dei servizi idrici e fognanti sono da adeguare, inadeguati e fatiscenti. Gli impianti sportivi risultano estremamente insufficienti in tutta l’area. Discreta presenza d’impianti di risalita a Villaggio Palombo in Sila. Relativamente alle utilities per la produzione, ovvero a quegli asset direttamente collegati, in termini d’erogazione di servizi, ai processi produttivi, la situazione non appare certo migliore. La dotazione di strutture e reti per la telefonia e la telematica sono pressoché inesistente. Questo fatto comporta una grave penalizzazione per le imprese locali, in una fase dell’economia in cui una quota crescente delle transazioni è effettuata mediante la rete. La dotazione d’impianti energetico-ambientali è poco rilevante, costituendo un freno notevole per l’espansione delle attività di tipo industriale, così come i servizi – finanziari e reali alle imprese. Insufficiente è anche la dotazione di caPITale fisso sociale; solo le strutture assistenziali sociali (ricedenti nel Comune di Cotronei) riescono ad ottenere un punteggio relativamente più alto, anche se comunque inferiore alla media regionale. Si rende necessaria un’importante opera d’infrastrutturazione del territorio, che tenda a ridurre il gap

83

soprattutto rispetto alle infrastrutture sociali di base, alla dotazione di reti telematiche, ai servizi per le imprese. I dati disponibili, relativi alla capacità del sistema idrico locale, secondo le elaborazioni Istat riferite al 1987, ed all’acqua immessa nelle reti comunali era pari a più di 3 milioni e 700mila mc., di cui circa 3.3 milioni erogata e 44mila dispersa. L’incidenza delle dispersioni era, dunque, comparativamente a ciò che si registrava nella provincia di Crotone e nella Regione, relativamente contenuta: 1’11.7 per cento circa contro il 18.3 per cento medio della Provincia e il 21.6 per cento della Regione. Sotto questo profilo, i sistemi idrici più efficienti risultavano quelli di Caccuri e Castelsilano che non segnalavano alcuna dispersione d’acqua. Nonostante che in media i sistemi idrici risultassero più efficienti, sempre nel 1987 l’acqua erogata per abitanti era mediamente inferiore nell’area PIT che nel resto della Provincia crotonese e della Regione: 90.4 mc. l’anno pro capite nella prima e 102.4 e 115.7 rispettivamente nella Provincia e nella Regione. Particolarmente sottodotate in termini idrici erano le popolazioni di Roccabernarda, Mesoraca e San Mauro Marchesato che denunciavano una disponibilità di acqua per abitanti inferiore a 60 mc. annui; relativamente meglio dotati, con riferimento ai valori medi dell’area e della Regione, risultavano i comuni di Cotronei (138 mc. di acqua pro capite), Caccuri (137.9) e Santa Severina (116.4). Con riferimento alle strutture sanitarie, all’interno dell’area PIT Sua Crotonese, nel 1995, non era presente nessun istituto ospedaliero pubblico, mentre si contava una sola struttura privata. Nel complesso, i posti letto disponibili nella struttura privata erano pari a 65 (con 1411 degenti e 22147 giornate di degenza), corrispondenti a 1.7 posti letto per 1000 abitanti, un valore decisamente più basso di quello medio provinciale (5.4) e regionale (4.8). NeI 1993 si contavano nell’area PIT 81 spazi interni dedicati a scuole materne (oltre il 60 per cento dei quali concentrati nei 3 Comuni più grandi Petilia Policastro, Mesoraca e Cotronei) con 1811 alunni, pari ad un rapporto alunni/spazi disponibili pari a 22.4 contro i 23.3 della Provincia e i 22.1 della Regione. Nello stesso anno, le aule disponibili negli edifici delle scuole elementari erano 189, con 3035 alunni, pari a 16.1 alunni per aula. Le aule delle scuole medie attive nell’area PIT erano nel 1995 pari a 110, distribuite in tutti i Comuni con una maggiore concentrazione nei Comuni più popolosi. Gli alunni erano 1955, pari ad un indice alunni/aule del 17.8 per cento, inferiore ai valori medi provinciali (19) e regionali (18.2). Le scuole superiori erano presenti soltanto nei Comuni di Cotronei (23 aule e 424 alunni), Petilia Policastro (22 aule e 432 alunni), Santa Severina (12 aule e 272 alunni) e Mesoraca (10 aule e 165 alunni). Livello delle dotazioni in beni culturali – La rilevazione conoscitiva ha evidenziato che sul territorio sono presenti potenzialità che se, coordinate in una progettualità di sistema integrata territoriale, consente di perseguire obiettivi concreti di sviluppo strutturale. All’interno del territorio del PIT 12, sono presenti significative testimonianze di carattere culturale: Caccuri - Castello Barracco, Resti di Terme romane; Castelsilano, - Centro storico; Cerenzia - Antico sito Acerenthia; Cotronei - Palazzo Verga, Testimonianze dell’età della pietra; Mesoraca - Resti dell’Abbazia di S. Angelo in Frigillo, Convento del SS. Ecce Homo, Chiesa del Ritiro; Petilia Policastro - Convento della SS. Spina, Chiese – Centro Storico, Grotte Brasiliane, Archeologia industriale del legno; Roccabernarda - Convento di S. Francesco, Resti di ville romane; San Mauro Ma.to - Centro storico; Santa Severina – Castello Normanno-Bizantino, Reperti archeologici della Magna Grecia, Il Battistero, Le Chiese, il Museo Diocesano già tutto collegato al PIS approvato dalla Regione Calabria sugli itinerari del Barocco a favore della Arcidiocesi di Crotone-S.Severina. Situazione ambientale – Nell’area PIT necessita, oggi più che mai, ricondurre ad un adeguato “sistema” l’utilizzo delle acque termali presenti per qualità e quantità nella Presila Crotonese. Tutta l’area è dotata di risorse ambientali e naturali con sistemi idrografici di notevole interesse. La dotazione naturale dell’area richiede uno sforzo per una corretta riqualificazione e valorizzazione della montagna, sia in funzione dei favorevoli aspetti microclimatici, che per il valore aggiunto derivante dalla filiera legno che dal sottobosco. Il patrimonio forestale dell’area PIT 12 assume un ruolo di primaria importanza. Oggi, il bosco costituisce una riserva e una risorsa di inestimabile valore ambientale e produttivo, un bene naturale di alto interesse fitogeografico e conservazionistico, un sistema biologico complesso in continua evoluzione e riproducibile, la cui utilizzazione razionale comporta la risoluzione di una serie di problemi selvicolturali, socio-economici e di tecnica gestionale. Oggi, il bosco costituisce una riserva e una risorsa di inestimabile valore ambientale e produttivo, un bene naturale di alto interesse fitogeografico e conservazionistico, un sistema biologico complesso in continua evoluzione e riproducibile, la cui utilizzazione razionale comporta la risoluzione di una serie di problemi selvicolturali, socio-economici e di tecnica gestionale. Trekking di uno o più giorni per tutti i gusti e per tutti i piedi. Passeggiate a piedi nei posti di maggiore interesse naturalistico e paesaggistico. Escursioni con gli sci di fondo. Risalita di gole fluviali. Torrentismo. Itinerari culturali. Visite ai centri di maggiore interesse storico-artistico. Circondata dal mare, la Sila Crotonese, nasconde al suo interno montagne di insospettabile bellezza. Ancora praticamente “vergine”, non sfruttato turisticamente; l’altipiano della Sila Crotonese offre a chiunque ami godersi la natura in posti tranquilli ed incontaminati dove poter assaporare i gusti di una cucina tradizionale, dove alimenti come latte, formaggio e carne, conservano ancora tutta la genuinità di un tempo. Necessaria l’opera di riqualificazione ambientale dei centri storici e di diverse periferie urbane, frutto nei decenni passati, di un incontrollato abusivismo edilizio. Notevole è la presenza nell’Area di risorse idriche naturali che possono dare valore aggiunto all’area mediante uno sfruttamento intelligente.

84

3.2.1.3 - LA CITTÀ ED IL SUO TERRITORIO: PROBLEMI E POTENZIALITÀ La presenza del Santuario, la posizione del sito di alta montagna (con il Villaggio Fratta), l’Ospedale, rendono il territorio di Mesoraca tra i più visitati nell'area del Comprensorio. Il territorio è vasto, le potenzialità sono dunque notevoli, ma non c'è margine di sicurezza. Le risorse territoriali ed il loro alto valore intrinseco e di mercato consentono programmi ambiziosi, ma non si può sbagliare. L'analisi del territorio di Mesoraca ha confermato i problemi già identificati e ne ha evidenziato altri. I problemi che il Preliminare identifica possono essere così sintetizzati: 1. la struttura urbana (cioè l’insieme di assi ed elementi forti morfologicamente e funzionalmente riconoscibili) è ben leggibile; ha perso, però, la sua identità; 2. il centro storico è per la gran parte “abbandonato”; 3. il patrimonio edilizio “storico” è assai degradato; 4. il tessuto edilizio recente è un susseguirsi di edifici in linea, variamente orientati (molti mai conclusi) e separati da spazi aperti privi di qualsiasi caratterizzazione formale; ne risulta uno spazio urbano totalmente privo di struttura, una "periferia" ad immediato ridosso del centro, 5. gran parte delle aree edificabili, individuate dal vigente PRG, all’interno ed all’esterno della Città sono inedificate, a causa delle modalità attuative, rendendo sottoutilizzata gran parte dell'area residenziale; 6. la Città è sufficientemente dotata delle attrezzature elementari (scuole, piccole aree di gioco, ospedale, ecc.), ma è priva di strutture di livello urbano e/o qualificanti (attrezzature di interesse comprensoriale, ecc.); 7. gli assi viari centrali, che sono anche le strade commerciali più accorsate, sono non solo insufficienti a reggere il traffico che vi si svolge ma, proprio perciò, possono condurre alla necrosi di questa parte della città; 8. ad eccezione di pochi posti lungo gli assi principali ed in pochi aree destinate vi è carenza di parcheggi; 9. le attrezzature di livello sovracomunale presenti, sono prive di spazi di parcheggio, contribuendo ad aggravare la congestione della rete viaria; 10. parti estese del territorio, sia all'interno che all'esterno dell'area urbanizzata, sono compromesse da frane e smottamenti; 11. alcuni opifici presenti all'interno dell'area urbanizzata sono in disuso, altri ospitano lavorazioni incompatibili con il contesto residenziale; 12. l’area in località Fratta, che ha fortissime potenzialità turistiche, è stata investita da uno sviluppo tanto impetuoso quanto poco programmato da presentarsi priva di “struttura”; 13. le case sparse, pregiato documento della storia della città, sono ormai quasi tutte in condizioni di forte degrado, 14. il sistema idrico superficiale è notevolmente degradato; 15. gran parte delle reti sono o insufficienti o inidonee. La problematica è ulteriormente resa complessa in considerazione: - della necessità di dover contemperare la obbligatorietà di dover prevedere lo sviluppo programmabile nell’arco di tempo previsto, con l’estensione e conservazione delle aree definite urbanisticamente dal P.R.G. a vocazione edificatoria non ancora utilizzate; - della applicazione della perequazione urbanistica quale soluzione per superare la materia della caducazione dei vincoli in conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 179/99; - della volontà di ridefinire l’assetto urbanistico dell’area urbana, in modo da renderlo più compatibile con le risorse del sistema; - della necessità di dover predisporre una strumentazione urbanistica compatibile con le norme del Piano Urbanistico Regionale e Provinciale, ovvero con le Linee Guida; - della possibilità di poter prevedere lo sviluppo di edificazione specificatamente a supporto di attività del settore terziario e direzionale; - della necessità di attivare processi di riqualificazione urbanistica. In linea generale, compito del P.S.C. dovrà essere quello di impostare ed armonizzare le varie componenti che determineranno, sulla base delle normative ed orientamenti urbanistici vigenti e di una dinamica di sviluppo attuale, il tessuto urbanistico del futuro “immediato”, nell’arco di tempo imposto dalla programmazione regionale. Tuttavia non tutto è compromesso, il sistema comunità-territorio presenta ancora notevoli potenzialità. Anzi, molte delle parti degradate, in disuso, sottoutilizzate, incompatibili con il contesto o prive di qualità formali costituiscono un "territorio trasformabile", una riserva preziosa per il sistema. A monte di ciò l’Amministrazione Comunale, ha predisposto: - l’aggiornamento delle cartografie esistenti, con l’inserimento degli edifici non rappresentati, affinché si possa: - predisporre una normativa particolare afferente le distanze fra pareti finestrate in zone di completamento; - regolamentare le altezze massime degli edifici; - ristrutturare urbanisticamente la frazione Fratta, tale da fungere da volano per uno sviluppo armonico dell'economia locale; e ha identificato le seguenti potenzialità:

85

1. Gli assi che portano al Capoluogo ed attraversano il territorio comunale, che potrebbero dare a Mesoraca un alto livello di accessibilità comprensoriale, condizione propedeutica e necessaria per la localizzazione di attività di livello sovracomunale, sono inadeguati allo scopo a causa del loro stato di manutenzione. Nella generale difficoltà di raggiungimento dei centri del Comprensorio, il territorio di Mesoraca, date le sue potenzialità, potrebbe diventare fortemente attrattivo. 2. Esistono vari tratti di strade di larghezza nettamente inferiore a quella delle altre strade, che collegano il Capoluogo al circondario. Con limitati interventi è possibile collegarle con continuità e riammagliarle agli assi portanti e a quelli di penetrazione provenienti dalla viabilità comprensoriale. 3. In località Fratta l’intervento urbanistico non è stato completamente ultimato. Con una norma apposita che crei le condizioni di appetibilità per l'investimento privato (o un intervento coordinato pubblico-privato), che realizzi un intervento di ristrutturazione urbanistica ad impatto altamente qualificante si potrebbe favorirne il recupero rapido e a costi estremamente contenuti per il Comune. 4. Il PIT n. 12 della Regione Calabria investe, tra l'altro, il tessuto edilizio antico e le campagne. Consentendo l'incremento dei volumi sia nelle campagne che nel tessuto degradato storico, destinandoli ad attività residenziale-turistico (alberghi, ristoranti, case per vacanze, bred & breakfast), ad attività di piccolo artigianato o di servizio e di commercializzazione di prodotti tipici, ad attività, cioè, di interesse pubblico ma convenienti per i privati, si possono creare le condizioni di appetibilità per l'investimento privato, il che favorirebbe un recupero rapido, efficace e produttivo di impiego. 5. All'interno del perimetro dell'area urbanizzata ricadono aziende di piccola taglia, alcune delle quali incompatibili con il contesto. Con una opportuna combinazione di limitazioni ed incentivi (esclusivamente urbanistici), si può stimolarne la delocalizzazione, recuperando aree di immediata utilizzabilità, attivando investimenti e riqualificando il tessuto urbano. 6. Con l'entrata in esercizio della Normativa di Attuazione del P.S.C., nei nuclei rurali si creeranno le condizioni per attingere ai finanziamenti previsti, dalle misure dei POR. Diventerà quindi appetibile la localizzazione di strutture per la vendita dei prodotti tipici, per il turismo (bred & breakfast), una opportunità che consentirà di dotare i nuclei dei servizi urbani elementari, pur conservandone il carattere rurale. 7. Con l'entrata in esercizio della Normativa di Attuazione del P.S.C si creeranno le condizioni per la formazione di laboratori artigiani che potrebbero attingere ai finanziamenti previsti, dalle misure dei POR. Diventerà quindi appetibile la localizzazione di artigianato mirato a sfruttare la filiera del legno. 8. Molte delle aree agricole ad immediato ridosso dell'area urbanizzata sono coltivate ad olivi, coltura a più alta redditività. E' quindi possibile conservarne la destinazione agricola.

3.2.1.3.1 - OBIETTIVI STRATEGICI E CRITERI DI GOVERNO DELLA TRASFORMAZIONE Gli obiettivi strategici hanno trovato conferma ed integrazione anche nel confronto con il programma di opere dell'Amministrazione. Il Preliminare si prefigge quindi le seguenti finalità: • recepire le indicazioni dei Piani di sviluppo socio-economico; • recepire quelle indicazioni ancora valide, del vigente Piano Regolatore Generale; • riferire proiezioni e previsioni al contesto circostante; • sfruttare la collocazione strategica del territorio comunale per promuovere sviluppo e qualità urbana; • favorire l'uso di tutte le risorse interne al sistema (territoriali, imprenditoriali, culturali, ambientali) evitando congestioni e distorsioni; • individuare interventi efficienti e "chiari", capaci cioè di restituire alla città la "struttura" che aveva all'origine e che poi ha perso; • recepire e canalizzare tutte le esigenze dei cittadini, anche quelle particolari, a condizione che non contrastino con quelle della comunità; • consentire l'immediato avvio dell'attività di trasformazione del territorio; • favorire nuove opportunità di lavoro (con iniziative imprenditoriali connesse alla valorizzazione della realtà locale) attraverso il consolidamento del tessuto economico vitale, il recupero di strutture e la valorizzazione di alcune attività artigianali, nonché lo sviluppo dei servizi di supporto. • favorire la nascita e la localizzazione sia di nuove attività e nuove imprese, specie in iniziative che assicurino buone prospettive di crescita e di integrazione con l’ambiente, in un’ottica di valorizzazione delle produzioni tipiche, l’artigianato tipico, i prodotti del sottobosco, ecc., sia i servizi per la promozione, l’internazionalizzazione e la penetrazione su nuovi mercati. • sviluppare l’imprenditorialità e la crescita delle organizzazioni legate alla valorizzazione del patrimonio ambientale, culturale e rurale. Creare le condizioni e favorire la creazione di strutture ad alta specializzazione per la gestione degli interventi di restauro. Sviluppare attività di formazione per la riqualificazione e la creazione di competenze legate al patrimonio e alle attività rurali, culturali e ambientali. • favorire lo sviluppo, l’aumento di competitività e di produttività, di iniziative imprenditoriali nei settori delle produzioni tipiche, artigianato locale, turismo rurale e nelle fonti delle energie rinnovabili. Sostenere le

86

innovazioni di processo/prodotto, prevenendo la formazione, riducendo le quantità e la pericolosità dei rifiuti generati dal ciclo produttivo nonché la possibilità di riutilizzo, riciclaggio e recupero dei prodotti; Promozione delle migliori tecnologie disponibili dal punto di vista ambientale, e creazione di un marchio di qualità ambientale inserendo il concetto di premialità a chi coniuga turismo ed ambiente. • condurre in un contesto di filiera i sistemi agricoli ed agro-industriali, migliorando le condizioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli. • aumentare l’offerta turistica con la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente finalizzato all’offerta turistica di “Case per Vacanza”. • accrescere l’articolazione, l’efficienza e la compatibilità ambientale delle imprese turistiche (attraverso la promozione dell’innovazione di prodotto, di processo ed organizzativa, nonché agendo sulle condizioni di base, disponibilità di infrastrutture, quali reti, servizi, tecnologie, informazione del territorio); accrescere l’integrazione produttiva del sistema del turismo in un’ottica di filiera. • promuovere e sviluppare la filiera del legno valorizzando il patrimonio forestale della montagna migliorandone la competitività dei sistemi agricoli ed agroindustriali in un contesto di filiera e in un’ottica di sviluppo integrato attraverso l’introduzione di innovazioni, il rafforzamento delle funzioni commerciali, la gestione integrata in tema di qualità, sicurezza ed ambiente. • migliorare la qualità del patrimonio naturalistico, agricolo e culturale, riducendone il degrado/abbandono e accrescendone l’integrazione con le comunità locali in un’ottica di tutela, sviluppo compatibile, migliore fruizione e sviluppo di attività connesse , come fattore di mobilitazione Si è riconosciuto, inoltre, che per conseguire le finalità di interesse di singoli e della comunità il Piano deve rispettare alcune "regole": • nei lotti esistenti si può almeno realizzare l'abitazione per il proprietario ed i figli, a prescindere dalla superficie minima; • le abitazioni esistenti debbono poter essere adeguate alle esigenze abitative della famiglia, a prescindere dall'estensione dell'area su cui sorgono, ma a condizione che non si determini un aumento di carico di utenza sulle attrezzature e sulle superfici di urbanizzazione e che non vengano lesi i diritti dei vicini; • le attrezzature di interesse pubblico previste dal Piano possono essere realizzate anche da proprietari degli immobili interessati, in modo da stimolare le capacità imprenditoriali locali; • le attività che hanno finora determinato lo sviluppo di Mesoraca vanno agevolate, ma bisogna anche stimolarne di nuove; • le risorse di pregio vanno tutelate in maniera "attiva", cioè agganciandone l'uso -appropriato- ad un vantaggio per i proprietari interessati; • l'uso intensivo delle risorse territoriali non deve determinare squilibrio di carico sulle attrezzature e, soprattutto, congestione e carenze di aree di parcheggio; • le agevolazioni mirate a favorire l'utilizzazione piena delle piccole proprietà non debbono permettere un uso speculativo delle proprietà più grandi; • le agevolazioni concesse al singolo non debbono ledere i diritti consolidati dei vicini o ridurli o determinare condizioni abitative il cui comfort edilizio sia inferiore a quello oggi esistente nelle aree edificate negli ultimi dieci anni. Per conseguire le finalità generali le previsioni di Piano devono recepire (o coordinarsi con) le opere in programmazione da parte dell'Amministrazione Comunale, il piano pluriennale di sviluppo socio-economico della Comunità Montana dell’Alto Marchesato Crotones, il Programma Operativo Regionale (Progetto Integrato Territoriale n. 12), oltre che, naturalmente, agli Strumenti sovracomunali. Sono stati così definiti i seguenti obiettivi: assetto comprensoriale • puntare ad un ruolo di centro di servizio dell'area comprensoriale, contenendo al massimo la funzione residenziale; • promuovere tutte le attività dell'indotto (piccole aziende, ecc.); • riorganizzare la struttura urbana.

sistema infrastrutturale • conciliare le esigenze locali con le prospettive di sviluppo delle infrastrutture e reti presenti e/o da insediare sul territorio e relative attività connesse di carattere sovracomunali quali la viabilità e traffici stradali; • individuare un “asse attrezzato integrato” per la mobilità che reinterpreti, attraverso la individuazione di un sistema multiplo di trasporto, carrabile ciclabile e pedonale (con ampie zone di verde) la servibilità alla città; • dotare la Città di strutture socio sanitarie; • predisporre ed incentivare fonti di energia alternativa e reti energetiche.

assetto urbano • Restituire alla città una "struttura", chiara, efficiente, rappresentativa;

87

• Non allargare l'area urbanizzata15 soddisfacendo la domanda abitativa prevalentemente attraverso interventi di completamento delle aree già edificate; • Fissare, di conseguenza, la popolazione limite sulla base delle risorse del territorio e non, come è prassi, viceversa; • Utilizzare le zone ad attrezzature per promuovere la realizzazione di attività miste e per rafforzare la "struttura"; • Ricucire i vari brandelli di tessuto edilizio, fornendo ad ogni quartiere un suo "centro", riconoscibile ed attrezzato; • Raccordare le previsioni del P.S.C. con quelle dei Piani dei Centri circostanti. agricoltura • elevare la qualità di vita nell'insediamento rurale; • stimolare la razionalizzazione del processo produttivo; • limitare il consumo di aree agricole per usi non direttamente produttivi, canalizzando la domanda abitativa verso i nuclei rurali già consolidati; • tutelare le aree agricole utilizzate per coltivazioni ad alto reddito; • valorizzare il mondo agricolo attraverso specifico approfondimento funzionale atto alla individuazione ed allocazione delle strutture fisiche dei “servizi all'agricoltura, mirate al ciclo della produzione agroalimentare e della commercializzazione” al fine di mantenere tutto il valore aggiunto possibile di tale settore produttivo. attività produttive • stimolare l'attività della piccola imprenditoria locale, attraverso norme e previsioni di aree ad hoc che favoriscano gli interventi di piccola taglia; • incentivare la delocalizzazione delle attività esistenti incompatibili con il contesto residenziale solo se si reinstallano nel Comune; • valorizzare la capacità imprenditoriale della comunità attraverso una normativa che incentivi la realizzazione di laboratori e negozi; • favorire la realizzazione di volumi ricettivi diffusi nel tessuto residenziale attraverso incrementi degli indici di zona; • invogliare gli imprenditori immobiliari più grandi a realizzare alloggi da immettere sul mercato a prezzo convenzionato e controllato dal Comune. turismo e tempo libero • recuperare, ai fini turistici, gli insediamenti in località Fratta, dotando il comparto dei servizi necessari e potenziando/ridisegnando la rete viaria e destagionalizzando l’offerta turistica, sviluppando le molteplici potenzialità presenti sul territorio (il bosco, i fiumi, la presenza delle aree protette), va attuata anche attraverso il possibile abbinamento tra turismo religioso (presenza del Santuario) e tipologie di strutture turistico/ricettive non unicamente rivolte al turismo estivo, e per questo localizzate anche al di fuori dalla fascia urbana.; • potenziare globalmente l'offerta turistico-culturale, anche come indicato dal Piano di sviluppo socio-economico della Comunità Montana, attivando le risorse storico-culturali e potenziando quelle ambientali; • potenziare le attrezzature sportive pubbliche esistenti ed incentivarne la realizzazione di nuove rendendone vantaggiosa la realizzazione da parte dei privati. viabilità • eliminare le strozzature, le carenze e le disfunzioni rilevate nell'analisi; • integrare la viabilità urbana con nuovi assi capaci di costituire una rete di connessione organica, che abbia una "struttura" riconoscibile almeno quanto quella passata e nella quale sia chiaramente assegnata la gerarchia; • disegnare (nel piano definitivo) anche la viabilità di dettaglio (di "lottizzazione") in modo da garantire il disegno integrato dell'intera rete. attrezzature • promuovere quelle esistenti; • distribuire quelle di nuova realizzazione in modo da rafforzare la "struttura" della città; • favorire la creazione di quelle previste anche da parte di privati attraverso la riconversione di aziende non compatibili con il contesto.

15 Sono state incluse nell'"area urbanizzata" tutte le parti del territorio nelle quali sono presenti due o più delle seguenti caratteristiche: • Sono impegnate da gruppi di edifici destinati ad attività diverse da quelle agricole e distanti tra loro non più di 200 metri. • Sono servite dalle reti di urbanizzazione essenziali (acqua, illuminazione pubblica, fognatura). • I suoli sono frazionati in lotti aventi posizione, forma e dimensioni tipiche di quelli destinati all'edificazione o, comunque, tali da farne escludere una utilizzazione agricola razionale e redditizia

88

vincoli e vocazioni • recepire integralmente i vincoli esistenti; • proteggere le risorse esistenti, anche se non specificatamente vincolate, con la realizzazione di opere di difesa del suolo e di sistemazione idraulica; • rendere efficace la tutela degli elementi di pregio, stimolandone un uso vantaggioso per i proprietari e rispettoso della specificità della risorsa.

modalità di attuazione • incentivare il recupero del patrimonio edilizio facilitando l'intervento diretto e finalizzandolo al raggiungimento di soddisfacenti standards abitativi (volumi aggiuntivi in cambio di cessione gratuita di aree per parcheggi, verde, ecc.); • controllare la qualità dell'intervento nell'edificato attraverso prescrizioni capaci di garantire il recupero delle regole antiche della costruzione, dell'uso delle risorse e dell'inserimento nell'ambiente attraverso procedure di autovalutazione; • controllare la qualità dell'ambiente urbano di nuova realizzazione attraverso la definizione di norme relative alle distanze e agli arretramenti capaci di incentivare la produzione di un tessuto compatto e ricco quanto quello antico, ma adatto alle esigenze attuali di comfort abitativo e di accessibilità.

3.2.1.3.2 - LO SCHEMA DI PIANO 3.2.1.3.2.1 - IL DIMENSIONAMENTO Per passare dalle proiezioni demografiche alla stima del fabbisogno, è stato adottato un metodo "sistemico", fondato sulla correlazione famiglie/abitazioni. Tale metodo si è rivelato più preciso ed affidabile di quello solitamente adottato, il metodo analitico, fondato sulla correlazione abitanti/stanze e sulla stima separata delle varie componenti che determinano il fabbisogno abitativo (riduzione di affollamento, incremento demografico, adeguamento funzionale, ecc.). In effetti il metodo sistemico si fonda su una semplice osservazione. Se in ciascun anno sono presenti Fi famiglie ed Ai abitazioni significa che c'è una correlazione tra il numero di famiglie e quello delle abitazioni necessarie (occupate e non occupate). Chiamando ki il coefficiente di correlazione tra le Ai abitazioni esistenti all'anno i e le Fi famiglie presenti in quell'anno ed analizzando la tendenza all'anno n sia del coefficiente di correlazione sia delle famiglie, si può stimare che all'anno n saranno presenti nel sistema Fn famiglie, per le quali saranno necessarie kn x Fn An abitazioni. La differenza tra le abitazioni esistenti alla data di partenza del Piano e quelle necessarie a scadenza fornisce il fabbisogno da realizzare. Ai paragrafi successivi si rimanda per l’analisi e la proiezione dei dati. Al censimento del 2001 Mesoraca disponeva di 5874 abitazioni. Nel periodo 01-06 sono state rilasciate concessioni edilizie per circa 20 abitazioni, portando il totale a quasi 5900 unità. Nel sistema Mesoraca il coefficiente di correlazione tra abitazioni esistenti e famiglie presenti è passato da 1.08 abz/fam del 1971 a 2.59 abz/fam nel 2001. Nel 1971 era ancora presente il fenomeno della coabitazione. Nel 1991 le coabitazioni sono praticamente scomparse, c'è un'eccedenza di abitazioni rispetto al numero delle famiglie (case in attesa di locazione o di vendita, non utilizzate, ecc.). La proiezione con il metodo della regressione lineare (funzione- tendenza) fornisce al 2016 un valore del coefficiente di correlazione pari a 2,50 abz/fam. Per le previste 2500 famiglie sono quindi necessarie 2500 x 2,50 = 6250 abitazioni. Detraendo quelle esistenti al 2006 si ricava un fabbisogno globale di quasi 350 nuove abitazioni da realizzare nel decennio. ANALISI PRELIMINARE DEL FABBISOGNO ABITATIVO A) Storia e tendenza del sistema POPOLAZIONE ABITAZIONI CORRELAZ ANNI abitanti famiglie ab/fam parziali totali abz/fam 12 34567 1971 8.555 2.010 4,26 2.162 1,08 1981 9.160 2.445 3,75 2.968 1,21 1991 7.510 2.187 3,43 4.182 1,91 2001 7.125 2.264 3,15 5.874 2,59 Stato del sistema al 2006 6.821 2.195 3,11 5.900 2,69 Tendenza al 2016 7.400 2.500 2,96 2,50

B) Analisi del fabbisogno abitativo Abz necessarie al 2016 6.250 Abz esistenti al 2006 5.900 Fabbisogno 350

Per soddisfare integralmente il fabbisogno abitativo stimato bisognerebbe allargare ulteriormente il perimetro dell'area urbanizzata. E' dunque necessario ribaltare il problema del dimensionamento del piano. Anziché dimensionare le aree residenziali sulla base della prevedibile domanda, appare più corretto definire la offerta massima di aree

89

fabbricabili compatibile con l'equilibrio complessivo del sistema. In concreto, il Preliminare definisce il perimetro dell'area urbanizzata da completare ed i criteri con cui verrà operata la trasformazione. La capacità edificatoria complessiva consentita dal Piano verrà determinata a consuntivo, dopo aver reperito prioritariamente le aree gli standards di vicinato e di quartiere, quelle per attrezzature di interesse generale, ecc.

3.2.1.3.2.2 - LA STRUTTURA URBANA Il Preliminare propone un assetto globale della Città che può così descriversi: • La struttura urbana si articola sull’originario sistema di assi "forti". Su tali assi si innestano trasversalmente le strade di penetrazione e trovando giusta collocazione ai parcheggi, raggiungibili con pochi interventi sulla viabilità esistente. • Intorno agli assi portanti si consolida la città esistente. L'area attualmente urbanizzata non si allarga, ma viene riqualificata, (si andranno, cioè, a saturare le aree comprese fra zone edificate e perciò già urbanizzate) attraverso nuovi interventi che chiameranno i privati a realizzare un mix di attrezzature, residenze e negozi, in modo da conseguire una complessità di funzioni, condizione necessaria per elevare la "qualità urbana" della città. • A rafforzare l'azione di riqualificazione dell'esistente, ciascun quartiere avrà il suo "centro" (chiesa, sala civica, verde, parcheggi). Parimenti avranno un loro "centro" i nuclei rurali. • I Fiumi, i sentieri, le mulattiere, le pendici collinari, i mulini, le cascate, i vuddhri, potrebbero diventare un Parco Urbano attrezzato per escursionismo sportivo (a piedi, a cavallo, in muntain bike), birdwatching ed istruzione. • Le aree agricole poste ad immediato ridosso del perimetro urbanizzato verranno mantenuta all'uso attuale, con divieto di realizzare stalle o concimaie. • Le aree agricole, poste alle pendici del capoluogo ed interessate da piantumazioni caratterizzanti lo sky-line (pini, olivi) verranno mantenute all’uso attuale con divieto di cambiamento delle coltivazioni e/piantumazioni. • Le aree lungo i Fiumi e non ancora compromesse verranno destinate a Parco fluviale che sarà attrezzato con strutture per il ristoro e la sosta.

3.2.1.3.2.3 - LA VIABILITÀ PORTANTE Il Preliminare identifica gli interventi da realizzare sui principali assi viari urbani ed extraurbani per attuare la "struttura" sopra delineata e per assicurare un soddisfacente livello di mobilità. A regime la viabilità portante di Mesoraca sarà così strutturata: • L'attuale strada di attraversamento andrà migliorata perché inidonea, a reggere il traffico attuale. • I flussi provenienti dall’esterno vengono ripartiti attraverso la connessione con vecchi tracciati (da potenziare ed adattare alle nuove funzioni);. • Un sistema di parcheggi ubicati a ridosso degli assi e raggiungibili con aste di penetrazione completa il sistema della viabilità portante.

3.2.1.3.2.4 - IL SISTEMA PRODUTTIVO Dalla tradizionale attività agricola, il sistema-Mesoraca si è progressivamente orientato verso attività di servizio e produzioni di supporto. Le caratteristiche dell’area produttiva, l'opportunità di ridurre al minimo l'investimento necessario per attrezzare aree ad hoc, una struttura fondiaria fatta di lotti con fronti strada corti, suggeriscono di destinare ad attività produttive artigianali (di medie dimensioni) le aree latistanti agli assi di penetrazione e di raccordo esistenti. L'attuazione di tali aree, che risulterebbero già direttamente accessibili e servite dalle reti di urbanizzazione, può avvenire mediante intervento edilizio diretto, attraverso una combinazione di disegno e di norme che assicuri sia la cessione gratuita delle aree di standards, da ricavare alle spalle della fascia da edificare, sia della conseguente viabilità di penetrazione. Per incentivare la delocalizzazione degli impianti e delle attività riconosciuti incompatibili con il contesto in cui si trovano, le Norme di Attuazione del Piano prevedono una maggiorazione degli indici di zona se gli impianti vengono trasferiti o riconvertiti alle funzioni ammesse nella zona. Tuttavia, ad evitare che gli incentivi inducano le aziende ad incassare il profitto supplementare ed a smobilitare, nella norma è prevista una clausola di salvaguardia: gli incrementi degli indici vengono riconosciuti solo se degli impianti sono ricostruiti nell'ambito del territorio comunale.

3.2.1.3.2.5 - LE STRUTTURE DI VENDITA Piccole strutture di vendita dei prodotti tipici o di piccolo artigianato è opportuno prevederle all'interno dell'area urbana della zona storica Tali strutture darebbero animazione alla zona anche in orari serali, e favorirebbero il recupero degli edifici esistenti e assai degradati. A completamento del sistema delle strutture di vendita, va incentivata la realizzazione di volumi destinati al commercio, in modo da rafforzare il ruolo strategico che il Piano assegna alle strade ed elevare la qualità urbana della zona, ora solo “abbozzata”. Il Preliminare non prevede aree specificamente destinate ad alberghi, ostelli e simili. Tali strutture potranno essere realizzate in tutte le aree residenziali e in quelle di completamento dei nuclei rurali, beneficiando di un incremento del 50% degli indici di zona.

90

3.2.1.3.2.6 - IL SISTEMA DELLE ATTREZZATURE URBANE E COMPRENSORIALI Il sistema delle attrezzature è stato già citato più sopra, nel paragrafo dedicato alla futura "struttura" della città. In ordine alle attrezzature di interesse generale va ricordato che, ovviamente, la loro collocazione condiziona fortemente la "struttura" della città. La esatta ubicazione delle aree e la loro specifica destinazione potranno essere definite nella fase di redazione del Piano, attraverso il confronto dialettico tra l'Amministrazione, i proprietari coinvolti e gli imprenditori eventualmente interessati. Una procedura che non solo riflette il carattere partecipativo del Piano, ma che è necessaria se in fase di gestione si vogliono evitare guasti o situazioni di stallo. La normativa prevede che le attrezzature possano essere realizzate anche dai privati (se l'Amministrazione dichiara di rinunciare a realizzarle direttamente). In tal caso l'imprenditore può aggiungere all'attrezzatura anche volumi residenziali e/o commerciali, in cambio dell'uso gratuito degli impianti, riservato al Comune in determinate fasce orarie. Va precisato, comunque, che le NA prevedono che mentre l'Amministrazione pubblica può realizzare anche attrezzature diverse da quelle previste, l'operatore privato può realizzare solo quelle indicate dal Piano. Questa è una delle poche “rigidezze” di un piano che, programmaticamente, vuole essere capace di adattarsi in tempo reale alle esigenze di mercato. E’ una prescrizione che da una parte è assolutamente necessaria se si vuole evitare che si ripeta la vicenda delle zone F previste dai tradizionali PUG (che, praticamente, consentivano di realizzare qualunque struttura, tranne uffici e residenze), dall’altra può essere superata attraverso la definizione delle attrezzature necessarie attraverso la procedura partecipativa, L’identificazione degli elementi forti della futura Mesoraca attraverso il coinvolgimento preventivo di tutti gli attori interessati è quindi garanzia di una loro rapida realizzazione.

3.2.1.3.2.7 - IL SISTEMA DEL VERDE Il sistema del verde è articolato su tre livelli: • Il parco urbano, attrezzato con strutture per lo sport, il ristoro e la sosta • I parchi di quartiere, ubicati in tutti i quartieri di recente realizzazione e nelle aree maggiormente compromesse. I parchi di quartiere verranno ricavati sia attraverso la riqualificazione di spazi liberi di proprietà comunale esistenti nei vari interventi realizzati in questi anni e/o acquisiti, sia attraverso i meccanismi di "scambio" previsti dalla normativa di Piano (il proprietario può conseguire un aumento della fabbricabilità del lotto se cede gratuitamente l'area destinata a verde dal Piano). Per garantire la sollecita realizzazione ed il "presidio" delle aree a verde, la normativa prevede che nei parchi di quartiere possano realizzarsi anche chioschi e bar. • Il verde di vicinato, destinato alla sosta e al gioco dei bambini, verrà reperito in tutte le aree risultanti dagli interventi di riqualificazione e/o di ristrutturazione, e saranno ubicati di preferenza all'interno degli isolati.

3.2.1.3.2.8 - IL SISTEMA DELLE RISORSE TERRITORIALI DI PREGIO Il Preliminare identifica il centro storico, le masserie esistenti, i mulini, i frantoi, i fiumi, il bosco, il Santuario come le risorse storiche più pregiate di Mesoraca e l'edificato che fiancheggia gli assi storici come elemento di valore ambientale, documento dell'antico carattere del borgo. Per stimolare la tutela attiva ed il recupero, il Piano si propone di destinarle ad usi che ne consentano la fruizione pubblica, ma che diano anche un ritorno economico ai proprietari. Tali strutture potranno quindi essere utilizzate per artigianato, ristoranti, alberghi, centri di servizio, ecc. Per favorire la conservazione dell'edificato antico degli assi centrali, se ne consente la sopraelevazione, a condizione che venga lasciato in sito il cornicione e non vengano alterati gli eventuali elementi pregiati che il Piano indicherà (portali, cancelli, balconi, ecc.).

3.2.1.3.2.9 - LE DOTAZIONI DI STANDARDS Il dimensionamento delle aree residenziali è stato rinviato all'analisi dettagliata del carico residenziale limite che il territorio può sopportare. D'altra parte talune attrezzature sono idonee, anche se non corrispondono agli standards prescritti. I criteri di redazione del piano prevedono che le aree interne al perimetro urbanizzato siano prioritariamente destinate agli spazi di uso pubblico necessari. Inoltre va tenuto conto che i meccanismi di scambio previsti dalla normativa determinano una forchetta di variabilità non prevedibile esattamente. Per ovviare a tale indeterminatezza, la normativa prevede due diversi criteri di dimensionamento delle aree di uso pubblico. Sovradimensionare le aree destinate alle funzioni di standards di taglia maggiore e che richiedono una precisa localizzazione (scuole, parco di quartiere, attrezzature comuni). Agganciare invece gli standards "minori" (parcheggi e verde di vicinato) alle Unità Immobiliari che verranno realizzate, prescrivendo le quantità da cedere al Comune ma non la loro localizzazione. Una tale formula garantisce che la dotazione di standards è quella prevista dal Piano momento per momento, quale che sia la popolazione presente. In ogni caso, la verifica della dotazione di standards verrà fatta a consuntivo.

91

3.3 - PREVISIONI STRUTTURALI

3.3.1 - POPOLAZIONE 3.3.1.1 - POPOLAZIONE RESIDENTE La popolazione residente, dal 1971, è stata (dati comunali):

TOTALE COMUNALE Anno Movimento naturale Movimento migratorio Saldo totale Popolazione al 31.12 ISTAT nati vivi % morti % saldo % immigrati % emigrati % saldo % unità % unità % 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 1971 253 3,13 66 0,82 187 2,32 75 0,93 522 6,46 -447 -5,53 -260 -3,22 8.076 1972 204 2,47 48 0,58 156 1,89 157 1,90 246 2,98 -89 -1,08 67 0,81 8.243 2,07 8.555 1973 258 2,89 63 0,71 195 2,19 164 1,84 203 2,27 -39 -0,44 156 1,75 8.924 8,26 1974 254 2,81 64 0,71 190 2,10 105 1,16 178 1,97 -73 -0,81 117 1,29 9.042 1,32 1975 146 1,60 60 0,66 86 0,94 130 1,42 207 2,26 -77 -0,84 9 0,10 9.153 1,23 1976 254 2,74 72 0,78 182 1,96 125 1,35 190 2,05 -65 -0,70 117 1,26 9.270 1,28 1977 231 2,48 70 0,75 161 1,73 122 1,31 232 2,49 -110 -1,18 51 0,55 9.321 0,55 1978 237 2,53 62 0,66 175 1,86 70 0,75 180 1,92 -110 -1,17 65 0,69 9.386 0,70 1979 226 2,40 68 0,72 158 1,68 131 1,39 255 2,71 -124 -1,32 34 0,36 9.420 0,36 1980 237 2,48 81 0,85 156 1,63 127 1,33 154 1,61 -27 -0,28 129 1,35 9.549 1,37 1981 198 2,13 148 1,59 50 0,54 89 0,96 168 1,81 -79 -0,85 -29 -0,31 9.298 -2,63 9.160 1982 233 2,50 58 0,62 175 1,88 140 1,50 188 2,02 -48 -0,51 127 1,36 9.323 0,27 1983 201 2,14 68 0,72 133 1,41 163 1,73 209 2,22 -46 -0,49 87 0,92 9.410 0,93 1984 189 1,99 82 0,86 107 1,13 134 1,41 148 1,56 -14 -0,15 93 0,98 9.503 0,99 1985 190 1,98 65 0,68 125 1,30 103 1,07 129 1,34 -26 -0,27 99 1,03 9.602 1,04 1986 214 2,21 67 0,69 147 1,52 120 1,24 184 1,90 -64 -0,66 83 0,86 9.685 0,86 1987 201 2,06 67 0,69 134 1,37 104 1,07 165 1,69 -61 -0,63 73 0,75 9.758 0,75 1988 202 2,06 56 0,57 146 1,49 72 0,73 170 1,73 -98 -1,00 48 0,49 9.806 0,49 1989 248 2,49 59 0,59 189 1,90 126 1,27 161 1,62 -35 -0,35 154 1,55 9.960 1,57 1990 182 1,82 58 0,58 124 1,24 95 0,95 200 2,00 -105 -1,05 19 0,19 9.979 0,19 1991 163 1,67 49 0,50 114 1,17 69 0,71 408 4,18 -339 -3,48 -225 -2,31 9.754 -2,25 7.510 1992 171 2,09 51 0,62 120 1,47 718 8,80 182 2,23 536 6,57 656 8,04 8.163 -16,31 1993 157 1,89 69 0,83 88 1,06 349 4,21 307 3,70 42 0,51 130 1,57 8.293 1,59 1994 96 1,19 60 0,74 36 0,44 91 1,12 319 3,94 -228 -2,81 -192 -2,37 8.101 -2,32 1995 115 1,42 62 0,77 53 0,66 106 1,31 180 2,23 -74 -0,92 -21 -0,26 8.080 -0,26 1996 89 1,13 81 1,03 8 0,10 55 0,70 254 3,22 -199 -2,52 -191 -2,42 7.889 -2,36 1997 108 1,38 63 0,80 45 0,57 97 1,24 184 2,34 -87 -1,11 -42 -0,54 7.847 -0,53 1998 84 1,08 74 0,95 10 0,13 110 1,41 185 2,38 -75 -0,96 -65 -0,84 7.783 -0,82 1999 77 1,01 71 0,93 6 0,08 103 1,35 260 3,41 -157 -2,06 -151 -1,98 7.632 -1,94 2000 79 1,04 58 0,77 21 0,28 118 1,56 201 2,66 -83 -1,10 -62 -0,82 7.570 -0,81 2001 63 0,85 52 0,70 11 0,15 67 0,90 215 2,89 -148 -1,99 -137 -1,84 7.433 -1,81 7.125 2002 89 1,21 70 0,95 19 0,26 162 2,20 179 2,43 -17 -0,23 2 0,03 7.360 -0,98 2003 68 0,97 84 1,20 -16 0,23 190 2,71 232 3,31 -42 -0,60 -58 -0,83 7.001 -4,88 2004 72 1,05 74 1,07 -2 0,03 126 1,83 237 3,44 -111 -1,61 -113 -1,64 6.885 -1,66 2005 83 1,21 71 1,04 12 0,18 118 1,72 173 2,53 -55 -0,80 -43 -0,63 6.842 -0,62 2006 83 1,22 69 1,01 14 0,21 136 1,99 171 2,51 -35 -0,51 -21 -0,31 6.821 -0,31

3.3.1.2 - L’ANALISI STORICA L’andamento storico della popolazione residente a Mesoraca dal 1861 ad oggi mostra un andamento caratterizzato da un continuo incremento demografico, durato oltre un secolo, fino al 1981 per poi presentare un decremento fino ai giorni nostri (tabella 1). In particolar modo va evidenziato, così come per il resto della Provincia di Crotone, un sensibile e costante incremento dal 1861 al 1951, così come è da evidenziare che la variazione percentuale maggiore (33,64%) è quella dal 1936 al 1951 dove Mesoraca passa dai 5.531 residenti ai 7.392. La variazione si dimezza (sono gli anni dell’emigrazione dovuta al boom economico) nel decennio successivo (17,39%) portando il numero degli abitanti a 8.722 nel 1961. Dopo un lieve decremento, continua a crescere fino al 1981 (9.160 abitanti).

92

Dal 1981 al 2001 i residenti sono in diminuzione passando dai 7.510 del 1991 ai 7.125 del 2001, ai 6.821 del 200616 andamento tipico dei comuni dell’entroterra calabrese, dovuto sia al trasferimento di cittadini lungo i comuni della costa ionica sia ad una ripresa del fenomeno migratorio che per alcuni anni aveva mostrato segni di assestamento (grafico 1). Tab. 1 – Ricostruzione della popolazione residente legale ai censimenti

Anno Abitanti Var % 1861 2.438 1871 2.672 9,58 1881 3.208 16,70 1901 3.720 15,36 1911 4.113 10,56 1921 4.332 5,05 1931 5.072 17,08 1936 5.531 9,05 1951 7.392 33,64 1961 8.722 17,39 1971 8.555 - 1,91 1981 9.160 7,07 1991 7.510 - 18,00 2001 7.125 - 5,12 2006* 6.821 - 4,26

Grafico 1 - Andamento storico della popolazione

10.000

9.160 9.000 8.722 8.555

8.000

7.392 7.510 7.000 7.125

6.000 5.531 5.000 5.072 Abitanti 4.113 4.332 4.000 3.720 3.208 3.000 2.672 2.438 2.000

1.000

0 1861 1871 1881 1901 1911 1921 1931 1936 1951 1961 1971 1981 1991 2001 Anno Se si analizza l’andamento storico delle famiglie negli ultimi quarant’anni (Tab. 2, Grafico 2) notiamo un andamento caratterizzato da un decremento dal 1961 al 1971 con una variazione percentuale del –6,15%, mentre dal 1971 fino al 1991 si ha un continuo incremento delle famiglie che passano dalle 732 unità del 1971 a 974 unità nel 1991. Nell’ultimo

16 Fonte anagrafe comunale. Risultano, inoltre, iscritti all’AIRE 3985 persone per un totale di 1596 famiglie.

93

decennio invece si ripropone un decremento da 974 a 894 famiglie del 2001. L’andamento mostra comunque, come nel resto della provincia di Crotone, un aumento delle famiglie dal 1961 al 2001 nonostante un decremento degli abitanti, questo testimonia che le famiglie di Mesoraca contano, in media, meno componenti di un tempo (Tab. 2). Questo calo è dovuto, oltre che alla diminuzione delle nascite, all’allungamento della vita media e al conseguente invecchiamento della popolazione. Tab. 2 – Ricostruzione delle famiglie ai censimenti del comune di Mesoraca (1971-2001)

Anno Famiglie Variazioni Var % N. medio componenti 1971 2010 4,25 1972 2059 49 4,00 1973 2089 30 4,27 1974 2173 84 4,16 1975 2292 119 3,99 1976 2339 47 21,64 3,96 1977 2353 14 3,96 1978 2383 30 3,95 1979 2383 0 3,95 1980 2405 22 3,97 1981 2445 40 3,75 1982 2579 134 3,61 1983 2668 89 3,53 1984 2702 34 3,51 1985 2780 78 3,45 1986 2799 19 3,46 - 10,55 1987 2840 41 3,44 1988 2844 44 3,44 1989 3041 197 3,27 1990 3109 68 3,21 1991 2187 - 922 3,44 1992 2367 180 3,45 1993 2459 92 3,37 1994 2468 9 3,28 1995 2474 6 3,26 1996 2413 - 61 3,27 3,52 1997 2432 19 3,23 1998 2438 6 3,19 1999 2438 0 3,13 2000 2240 2 3,38 2001 2264 24 3,15 2002 2220 - 44 3,31 2003 2192 - 28 3,19 2004 2196 4 3,14 2005 2195 - 1 3,12 2006 2195 0 3,11 Fonte ISTAT e Anagrafe Mesoraca

94

Grafico 2 - Andamento storico delle famiglie di Mesoraca (1971-2006 )

3600

3109 3100

2600

2264

2100 2010 Famiglie

1600

1100

600 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 Anno

95

Tab. 3 – Variazione del numero delle famiglie nei censimenti del comune di Mesoraca (1971-2001)

435 Var '81-'71 1 Var '91-'81 -258 Var '01-'91

77

-400 -200 0 200 400 600

Grafico 4 - Variazione percentuale delle famiglie (1971-2001)

Var % '81-'71 21,64 1 Var % '91-'81 -10,55 Var % '01-'91 3,52

-20 -10 0 10 20 30

Grafico 5 - Numero medio di componenti per famiglie nel comune di Mesoraca (1971-2001)

4,25 1971 3,74 1981 1 1991 3,44 2001 3,14

012345

96

L’andamento dei fenomeni demografici a livello nazionale, cioè lo scarso numero di nascite, accompagnato dall’allungarsi della vita media delle persone e lo spostamento verso altre zone della popolazione giovane, ha comportato il progressivo invecchiamento della popolazione. La situazione che emerge per Mesoraca, però, è una popolazione che registra un numero di individui appartenente alla fascia di età che supera i 65 anni, inferiore alla fascia di età che non supera i 14 anni.

Infatti nel 2001 si ha un numero di 1369 individui con età inferiore ai 14 anni rispetto ai 1265 con età superiore a 65 anni. Popolazione residente per classi di età (valori assoluti 1971-2001)

0-14 anni 15-44 anni 45-64 anni 65 anni e oltre 1971 3002 3519 1350 684 1981 2936 3840 1578 806 1991 1881 3327 1392 910 2001 1369 3085 1406 1265 Il comune di Mesoraca presenta un indice di vecchiaia inferiore a 100, indicando quindi una presenza minore di anziani rispetto alle persone appartenenti alla fascia di età giovanile. Per cui Mesoraca è da considerarsi un comune con una minore presenza di persone anziane rispetto ai molti giovani. In realtà le classi di età più popolose non sono quelle iniziali ma le intermedie, e questo a causa di una transizione verso un modello con bassa natalità ed aumento progressivo della vita media. L’indice di dipendenza –definito come il rapporto tra la popolazione con 65 anni d’età e oltre sommato alla popolazione con meno di 14 anni e la popolazione in età dai 14 ai 64 anni- registra un denominatore superiore al numeratore, ciò sta ad indicare un numero maggiore di individui che provvederà al sostentamento della fascia di età rappresentata al numeratore (un indice sensibile alla struttura economica della società). L’indice di struttura –rappresenta il rapporto tra il numero di persone con età superiore a 40 e inferiore o uguale a 64 anni e la popolazione con età compresa tra i 15 e i 39 anni- presenta un valore inferiore a 100, ciò sta ad indicare una popolazione in cui la fascia di età lavorativa è giovane. Principali indicatori demografici

indice di vecchiaia indice di dipendenza indice di struttura 1971 22,78 75,70 38,36 1981 27,45 69,07 41,09 1991 48,38 59,14 41,84 2001 92,40 58,65 45,58

3.3.1.3 - LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE E PROIEZIONI DEMOGRAFICHE L’analisi comparata della dinamica delle famiglie e degli abitanti fornisce preziose indicazioni sull’evoluzione del sistema, soprattutto in ordine alla stima del fabbisogno abitativo che il piano dovrà soddisfare.(Grafico 1)

97

Grafico 1- Dinamica demografica

10000 9500 9000 8500 8.555 8000 7500 abitanti 7000 7.125 6500 6000 5500 famiglie Unità 5000 4500 popolazione 4000 3500 3000 2500 2010 2264 2000 1500 famiglie

1 3 5 7 9 1 3 5 7 9 1 3 5 7 9 1

7 7 7 7 7 8 8 8 8 8 9 9 9 9 9 0

9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 0

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 Anni

La differente dinamica di famiglie ed abitanti riflette l’evoluzione della struttura socio-familiare, che è in atto già da tempo nelle aree urbane e che da qualche anno interessa anche i centri minori. Le famiglie tendono a ridursi di ampiezza, perché le coppie di nuova formazione escono dalle famiglie di origine, perché aumentano i nuclei di pensionati e single, ecc. L’analisi dei dati storici conferma che l’incremento delle famiglie è un fenomeno che ha radici solide e profonde, anche quando la popolazione è stazionaria o in diminuzione. In effetti, entrambe le funzioni statistiche che permettano di apprezzare l’attendibilità di un processo evolutivo –correlazione17 e R2 18. Sul medio e breve periodo (’81-’01, ’91-’01) c’è praticamente una relazione inversa tra lo scorrere del tempo e la dinamica della popolazione (-0,90 – -0,95). Ed anche sul lungo periodo (’71-’01) la correlazione abitanti/tempo raggiunge il valore di – 0,90. La correlazione famiglie/tempo è invece molto variabile nel breve periodo non c’è praticamente alcuna relazione tra lo scorrere del tempo e la dinamica delle famiglie (0,04–0,98), mentre nel lungo periodo la correlazione è 0,78.

17 La funzione “Correlazione” indica che in misura una variabile dipendente (nel nostro caso, le famiglie o gli abitanti) è funzione di un’altra variabile, indipendente (nel nostro caso, il tempo). Il “coefficiente di correlazione” può assumere valori tra +1 e –1. In entrambi i casi si ha una correlazione perfetta (ad ogni valore della variabile indipendente corrisponde una valore della variabile dipendente). Il segno più indica che la relazione è diretta (al crescere della variabile indipendente cresce anche quella dipendente, il segno meno indica che diminuisce la relazione è inversa (la variabile dipendente diminuisce al crescere di quella indipendente). Il valore 0 indica che non c’è alcuna relazione tra le due variabili. 18 La funzione R2 (o RQ) è più precisa della Correlazione, perché indica quanta parte della varianza di una variabile dipendente (famiglie o abitanti) è “spiegata” dalla variabile indipendente (il tempo). Assume valori sempre positivi, compresi tra 0 (non c’è alcun valore della variabile dipendente che è spiegato da quella indipendente) ed 1 (tutti i valori della variabile dipendente sono spiegati dalla variabile indipendente).

98

Tab. 1 – Analisi e proiezioni demografiche di Mesoraca

99

Grafico 2 - Istogrammi e dati dei valori di correlazione per la popolazione di Mesoraca

-0,57 '81-'71 -0,82 1 '91-'81 '01-'91 -0,55

-1,00 -0,50 0,00 0,50 1,00

Grafico 3 - Istogrammi e dati dei valori di correlazione per le famiglie di Mesoraca

0,28 '81-'71 -0,54 1 '91-'81 '01-'91 -0,09

-1,00 -0,50 0,00 0,50

Altrettanto significativa è la differenza tra i valori di R2 . Nel medio e lungo periodo c’è la sequenza dei valori della popolazione che è spiegabile con il tempo (R2=0,81-0,91- 0,82). Viceversa, la quota parte dei dati sulle famiglie non è spiegabile con il trascorrere del tempo (R2=0,61-0,00-0,96). Grafico 4 - Istogrammi e dati dei valori di R2 per la popolazione di Mesoraca

0,33 '81-'71 1 0,67 '91-'81 0,40 '01-'91

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00

Grafico 5 - Istogrammi e dati dei valori di R2 per le famiglie di Mesoraca

0,08 '81-'71 1 0,29 '91-'81 0,01 '01-'91

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00

Tale andamento statistico rende impossibile – o quanto meno poco attendibile – una proiezione della popolazione al 2016 costituita da un unico valore, anche se questo viene ricavato dalla serie storica che presenta l’errore minimo (quella ’91-’01). Appare invece più corretto sul piano metodologico costruire più scenari, assumendo separatamente i tre periodi di riferimento (dal ’71, dall’81, dal ’91) e comparandone le relative proiezioni (Grafico 6).

100

Grafico 6 - Proiezioni demografiche al 2016

10000 9500 9000 8500 8000 7125 7500 abitanti 7213 7000 6500 71 6518 6000 81 5465 5500 91 Unità 5000 4500 4000 3500 2717 3000 2500 2264 2000 23282017 1500 famiglie

1 1 1 1 1

7 8 9 0 1

9 9 9 0 0

1 1 1 2 2 Anni

Le proiezioni al 2016 sono state ottenute con il metodo della regressione lineare, applicando la funzione “previsione” ai dati storici dei tre periodi di riferimento (Grafico 6). A ciascuna proiezione è stato poi attribuito, ovviamente, il relativo errore statistico. Per la popolazione, le proiezioni riferite a medio termine sono sostanzialmente coincidenti, quella riferita a lungo periodo è maggiore. Per le famiglie, invece la proiezione sul lungo periodo porta a prevedere un incremento di quasi 195 famiglie. Quella sul medio periodo dà un numero di famiglie pari a 938 famiglie. Quella basata sui dati dell’ultimo decennio porta a stimare una diminuzione delle famiglie di quasi 86 famiglie. Applicando ai valori stimati l’errore statistico si ottiene il quadro complessivo delle famiglie e degli abitanti prevedibili al 2016

Scenari demografici 71 - 01 81 - 01 91 - 01 SCENARI Famiglie Abitanti Famiglie Abitanti Famiglie Abitanti min 2457 6518 1802 4911 2226 6252 med 2717 7213 2017 5465 2328 6518 max 2978 7908 2231 6018 2429 6784 E’ facile constatare che la stima presenta una forchetta di valori assai ampia. Comparando i valori minimi e massimi delle tre proiezioni si osserva che la proiezione della popolazione, con uno scarto del ±11,7% rispetto alla media min- max, risulta molto più precisa della proiezione delle famiglie, che presenta uno scarto medio del ±14,4%. Range globale di variazione delle proiezioni GRANDEZZE Famiglie Abitanti e PARAMETRI min max min max Valori 2226 2978 6252 7908 Range 752 1656 Scarto medio % 14,40 11,70

101

Grafico 7 - Range globale di variazione della popolazione di Mesoraca

10000

9500

9000

Andamento storico 8555 8500 Proiezione min dal 1971

8000 Proiezione med dal 1971 7908 Proiezione max dal 1971

7500 Proiezione min dal 1981 7125 7213

Popolazione Proiezione med dal 1981 7000 6798 Proiezione max dal 1981

6500 Proiezione min dal 1971 6518

Proiezione med dal 1991 6237 6018 6000 Proiezione max dal 1991

5500 5465

5000 1971 1973 1975 1977 1979 1981 1983 1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011 2013 2015 Anni

102

Grafico 8 - Range globale di variazione delle famiglie di Mesoraca

3100

2.978 2900

2.717 2700

2500 2.457 2435

2328 2300 2264 2231 2221 n° Famiglie Andamento storico Proiezione media dal 1971 2100

2017 Proiezione max dal 1971 Proiezione min dal 1971 2010 1900 Proiezione min dal 1981 Proiezione med dal 1981 1802 1700 Proiezione max dal 1981 Proiezione min dal 1991

Proiezione med dal 1991 Proiezione max dal 1991 1500 1971 1973 1975 1977 1979 1981 1983 1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011 2013 2015 Anni

103

In base alle indagini condotte studiamo gli scenari possibili per Mesoraca considerando tutta la forchetta di oscillazione dei valori che possono assumere le proiezioni demografiche, quindi considereremo tre valori, i valori min e max che coincidono con il più basso ed il più alto dei valori ricavati dalla proiezione riferite ai tre periodi (anche se questi sono stati ricavati con proiezioni diverse) e come valore medio la media aritmetica tra min e max.

Scenari al 2016

SCENARI AL 2016

MIN MED MAX Abitanti Famiglie Abitanti Famiglie Abitanti Famiglie 6252 2226 7080 2602 7908 2978

Va precisato, tuttavia, che la sostanziale incertezza della proiezione demografica non è rilevante ai fini del dimensionamento, né di quello condotto con metodo analitico né di quello svolto con metodo sistemico

104 Grafico 9 - Scenari al 2016 della popolazione di Mesoraca

12000

10000 8555 7.908 8000 7125

6410 6000

Andamento storico Popolazione 4000 4.911 Proiezione max

2000 Proiezione min Proiezione media 0 1971 1981 1991 2001 2011 Anno

Grafico 10 - Scenari al 2016 delle famiglie di Mesoraca

3500

3000 2.945

2588 2500 2264

2010 2.231 2000

Famiglie 1500

Andamento storico 1000 Proiezione max Proiezione min

500 Proiezione media

0 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 Anni

3.3.2 - CORRELAZIONE FRA LA DINAMICA DEMOGRAFICA E GLI EVENTI DEL SISTEMA Le statistiche demografiche mostrano una regressione costante della popolazione, ad andamento sufficientemente regolare (cfr. fig. 1). Ma l’analisi della popolazione espressa in abitanti non chiarisce completamente la dinamica demografica del sistema. Infatti se si integra la curva degli abitanti con quella delle famiglie si riconosce che pur regredendo la popolazione negli ultimi anni vi è stata una vistosa crescita dei nuclei familiari. Ciò è evidentemente dovuto alla riduzione dell'ampiezza media della famiglia.

FIG. 1 EVOLUZIONE DELLA POPOLAZIONE

10000 9500 9000 8500 8000 7500 7000 6500 6000 5500 5000 4500 4000 3500 3000 2500 2000 1500

71 91

FAMIGLIE ABITANTI

Per leggere bene statistiche e curve, tuttavia, bisogna correlarle con gli eventi del sistema. Infatti se si osserva il grafico della produzione edilizia (fig. 2) si nota che dopo un periodo di incremento sufficientemente regolare, durato fino agli anni 60 (in cui la produzione raggiunge il picco massimo di 1435 abz./anno proprio negli anni del boom economico), mantiene valori pressoché costanti fino agli anni 80, per poi subire un forte calo.

FIG. 2 PATRIMONIO EDILIZIO PER EPOCA DI COSTRUZIONE

1600 1435 1400 1362 1342

1200

1000 833 800

600

ABITAZIONI / ANNO ABITAZIONI 457 394 400

200 51 0 <1919 1919 - 1946 - 1961 - 1972 - 1982 - dopo 1945 1960 1971 1981 1991 1991 PERIODO

106

E’ un andamento innaturale, anche perché in quegli anni i nuclei familiari continuano a crescere. I due fenomeni si spiegano facilmente se si fa l’ipotesi che la caduta della produzione di nuove abitazioni sia dovuto soprattutto alla saturazione delle aree fabbricabili individuate dal P.di F. oltre che dai limiti normativi e localizzativi imposti dallo stesso, motivi che hanno dirottato sul recupero (anche se con notevoli difficoltà) gran parte della domanda abitativa che prima alimentava le nuove costruzioni. Ciò porta a prevedere che una volta esaurita la correzione artificiale indotta, il sistema riprenderà a crescere, probabilmente a ritmi anche più accelerati. Mesoraca infatti è un tipico sistema aperto. Esso, cioè, non si evolve solo per effetto delle domande della popolazione locale (domanda interna e di iscritti all’AIRE, e quindi residenti all’estero, ma con immobili costruiti, in fase di costruzione o in attesa di costruire, in Mesoraca), ma anche, seppur debole, domanda esterna. Estendendo l'analisi demografica al comprensorio si può infatti rilevare, esclusi alcuni, la dinamica assai simile degli altri comuni contermini che gravitano intorno a Crotone. Quest’ultimo funziona da polo di attrazione (ed ancora di più lo sarà nell’immediato futuro, perché è ben noto che la crescita dei centri a prevalente attività terziaria procede con legge geometrica accelerata) gli altri risentono dello sviluppo terziario che si va delineando nella percentuale del comprensorio. Si può quindi ritenere che anche in assenza di una politica di incentivi e di interventi esterni (che comunque già sono in atto) la popolazione riprenderà a crescere con il ritmo "naturale" che ha avuto fino a qualche anno fa (quando cioè il sistema non subiva restrizioni artificiali). E' questa la cosiddetta proiezione neutrale. Tuttavia, si è ritenuto opportuno affiancare alla proiezione neutrale anche le altre possibili proiezioni che potrebbero aversi in rapporto agli eventi esterni futuri, già previsti o probabili che potrebbero innescare uno “sviluppo” del sistema. Verrà poi verificata la congruenza delle varie proiezioni con le altre previsioni che interferiscono con il sistema: quella esterna (regionale, provinciale, comprensoriale) e quella interna (programma comunale di spesa, di OOPP, ecc.). Sulla base di tale confronto si è potuto quindi definire la proiezione più probabile, sulla quale sarà poi dimensionato il Piano. L'analisi del trend passato consente di escludere proiezioni inferiori a quella neutra, perché si è visto che potrebbero aversi solo in caso di disincentivi esterni al sistema (blocco artificiale dell'attività edilizia, rimozione di attività commerciali ecc.). Con il metodo del costo di trasporto generalizzato si potrebbe calcolare di quanto si incrementi di conseguenza la popolazione nel comprensorio e nei singoli centri. Tale metodo tuttavia è notoriamente poco affidabile per i sistemi di piccola scala. Si può ritenere sufficientemente attendibile nel caso di Mesoraca formulare un'ipotesi media in cui l'incremento di popolazione globale supera del 10% le proiezioni demografiche neutre ed un ipotesi alta in cui l'incremento supplementare per interventi esterni al sistema determini una maggiorazione del 20% rispetto alla proiezione neutra. Per la popolazione alla scadenza del piano si possono perciò avere le proiezioni di seguito riportate:

MIN MED MAX Abitanti Famiglie Abitanti Famiglie Abitanti Famiglie 6252 2226 7080 2602 7908 2978

A completamento della proiezione demografica è stata anche effettuata quella sulla ripartizione della popolazione tra Capoluogo e Case sparse. Considerato, però, che la popolazione delle campagne è progressivamente aumentata (al 2001 essa era pari al 5,5%, cfr. tab. 1), si ottiene una proiezione neutrale della quota di popolazione sparsa, pari a quasi il 5%, non influente sul totale. Tuttavia bisogna considerare che la quota di popolazione che andrà effettivamente ad insediarsi nelle campagne sarà condizionata dagli incentivi (agriturismo, finanziamenti agrari, offerta abitativa ed edificatoria urbana scarsa e/o di costo elevato, ecc.) o dai disincentivi (restrizioni di legge, difficoltà di accesso, scarsità di servizi, larga disponibilità di abitazioni e suoli edificabili urbani ecc.) che si avranno nel sistema.

107

E' sensato ritenere perciò che la quota di popolazione sparsa potrà oscillare del ± 2% rispetto alla proiezione neutrale.

TAB. 1 (ISTAT 2001) 1971 1981 1991 2001 CAPOLUOGO 8439 8987 7441 6719 Case Sparse 116 173 69 406 TOTALE 8555 9160 7510 7125 La possibile distribuzione della popolazione alla scadenza del Piano può così esporsi (tra parentesi le percentuali):

2006 2016 neutra media alta Totale comunale abitanti 6821 (100%) 6252 7080 7908 famiglie 2195 (100%) 2226 2602 2978 Come può rilevarsi il quadro sinottico mostra un campo di variabilità della proiezione demografica abbastanza ampio. Successivamente verranno illustrate le considerazioni che, sulla base della verifica di congruenza delle proiezioni neutrali con l'intorno e l'interno del sistema nonché con le finalità e gli obiettivi del Piano, permetteranno di definire la proiezione demografica sulla quale sarà poi effettuato il dimensionamento del Piano e che di seguito si riporta:

2006 2016 incremento assoluto % Totale comunale abitanti 6821 (100%) 7400 + 579 + 8% famiglie 2195 (100%) 2500 + 305 + 14%

3.3.2.1 - IL FABBISOGNO ABITATIVO Il fabbisogno abitativo è stato determinato sulla base della proiezione demografica appena definita e di una analisi dettagliata delle effettive condizioni di godimento del patrimonio attuale. Al censimento del 2001 risultavano esistenti a Mesoraca 22979 stanze utilizzate da 7125 abitanti (a cui bisognerebbe sommare i 3985 iscritti AIRE). Il che farebbe pensare a condizioni d'uso del patrimonio abitativo più che soddisfacenti. In effetti va preliminarmente osservato che delle 22979 stanze censite quelle occupate sono solo 9022, pari a quasi il 40% dell'intero stock. Approfondendo ancora l'analisi si rileva che delle 9022 stanze occupate solo 7203 sono destinate esclusivamente ad abitazione. Ed è questo l'effettivo stock abitativo a disposizione dei 7125 occupanti. Se ne ricava che l'indice di affollamento, che risulterebbe pari a 0,31 abt/st se calcolato sul totale delle stanze censite e fittiziamente disponibili, si eleva a 0,79 se, più correttamente, viene calcolato sulle sole stanze occupate. Ma che esso è pari in realtà a 0,99 abt/st se viene riferito a quelle effettivamente utilizzate per abitazione. L'indice di affollamento medio, tuttavia, non è molto significativo. Per calcolare la prevedibile domanda abitativa, bisogna conoscere la effettiva consistenza delle abitazioni utilizzate in condizioni disagiate. In prima approssimazione si può ritenere che siano quelle abitate con affollamento superiore allo standard del sistema. Se si disgregano i dati per classi di ampiezza degli alloggi si rileva che l'affollamento medio di 0,99 abt/st, (riferito al totale delle stanze destinate esclusivamente ad abitazione) deriva, in realtà, da condizioni d'uso assai variabili. Si va infatti da un indice di 1,35 ab/st per le abitazioni da 2 stanze ad uno di 0,74 ab/st per quelle da 6 e più stanze.

108

PATRIMONIO ABITATIVO OCCUPANTI COABITA " ANNO ZIONE abitate " AMPIEZZA STANZE "ABITATE" "ABITATE" STANZE Abitazioni Stanze Famiglie Componenti

Unità % Unità % Unità % Unità % Fam. % Affo llamento delle stanze 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 1971 214 11 214 4 214 11 460 5 214 0 0 2,15 1981 119 5 119 1 119 5 198 2 119 0 0 1,66 1 1991 24 1 24 0 24 1 33 0 24 0 0 1,38 2001 17 1 17 0 17 1 23 0 17 0 1,35 1971 733 37 1.466 27 733 37 2.736 32 1.459 0 0 1,87 1981 462 19 924 11 462 19 1.156 13 709 0 0 1,63 2 1991 264 12 528 6 264 12 509 7 406 0 0 1,25 2001 190 8 380 4 190 8 385 5 303 0 1,27 1971 664 33 1.992 37 664 33 3.207 38 1.983 0 0 1,62 1981 780 32 2.340 28 782 32 2.955 32 1.795 2 0 1,65 3 1991 525 24 1.575 18 525 24 1.574 21 1.210 0 0 1,30 2001 607 27 1.821 20 607 27 1.621 23 1.454 0 1,11 1971 288 14 1.152 21 288 14 1.541 18 1.147 0 0 1,34 1981 686 28 2.744 33 687 28 3.046 33 2.105 1 0 1,45 4 1991 680 31 2.720 30 680 31 2.540 34 2.090 0 0 1,22 2001 757 33 3.028 34 757 33 2.438 35 2.417 0 1,01 1971 55 3 275 5 55 3 320 4 274 0 0 1,17 1981 285 12 1.425 17 286 12 1.317 14 1.093 1 0 1,20 5 1991 488 22 2.440 27 488 22 1.978 26 1.875 0 0 1,05 2001 501 22 2.505 28 501 22 1.828 24 2.000 0 0,91 1971 44 2 317 6 44 2 229 3 316 0 0 0,73 6 e 1981 103 4 702 9 103 4 457 5 539 0 0 0,85 più 1991 206 9 1.644 18 206 9 857 11 1.264 0 0 0,68 2001 192 8 1.271 14 192 8 752 11 1.015 0 0,74 1971 1.998 5.416 1.998 8.493 5.392 0 0,0 1,58 1981 2.435 8.254 2.439 9.129 6.361 4 0,0 1,44

TOTALI 1991 2.187 8.931 2.187 7.491 6.870 0 0,0 1,09 2001 2.264 9.022 2.264 7.047 7.206 0 0,0 0,98

Se ne deduce che nel 2001 ben 4545 persone - cioè oltre il 63% della popolazione -abitavano in condizioni di affollamento superiore al valore medio statistico, con indici variabili da 1,01 a 1,35 abitanti per stanza. In definitiva l'analisi dettagliata del patrimonio abitativo rivela condizioni d'uso effettive di gran parte del parco abitativo molto al di sotto dello standard medio statistico e, comunque, molto lontane da quelle ottimali. Ciò è dovuto soprattutto alla sottoutilizzazione degli alloggi di grossa taglia abitati con affollamento basso. Se si raffrontano, infatti, gli indici capitari (volume/abitanti) calcolati nelle varie zone, si riscontra che essi hanno avuto una crescita costante. In effetti a Mesoraca, l'attività edilizia del recente periodo è stata determinata da fattori principalmente economici (investimento, case di emigrati, etc.), anche se accompagnati da una domanda di miglioramento qualitativo delle condizioni abitative. A riprova di tale conclusione basta osservare l'evoluzione del patrimonio edilizio negli anni che vanno dal 1971 al 2001 (fig. 3).

109

FIG. 3 EVOLUZIONE DEL PATRIMONIO DELLE ABITAZIONI

800 1971 700 1981 600 1991 500 2001 400 300 200

NUMERO DI ABITAZIONI 100 0 1 stanza 2 stanze 3 stanze 4 stanze 5 stanze 6 stanze e più AMPIEZZA IN STANZE

Confrontando le consistenze dello stock esistente ai vari censimenti, si osserva infatti che sono diminuite il numero di abitazioni formate da uno, due e tre stanze ma che sono cresciute quelle composte da quattro stanze e che sono più che raddoppiate quelle grandi (cinque, sei e più stanze). Si può perciò ritenere che nel sistema sia in atto un processo globale di miglioramento del comfort abitativo, sia attraverso il recupero di abitazioni di piccola taglia, per unirle e formarne di più grandi, sia attraverso la realizzazione di nuovi alloggi di taglia medio-grande. D'altra parte l'aumento dell'ampiezza media delle abitazioni è direttamente confermato dall'analisi dell'attività edilizia registrata negli anni dal 1919 al 2001 (fig. 4).

FIG. 4 AMPIEZZA MEDIA ABITAZIONI PER EPOCA DI COSTRUZIONE

4,5 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 STANZE / ABITAZIONE STANZE 0,5 0 < 1919 1919 1946 1961 1972 1982 1992 > 1945 1960 1971 1981 1991 PERIODO

Si riconosce infatti che l'ampiezza media delle case costruite prima del 1919 è di 3,25 st/abz.; aumentando progressivamente dal secondo dopoguerra fino ad oggi (4,3 st/abz). Si può spiegare un tale andamento oltre che con il variare della capacità di spesa del sistema anche con le caratteristiche delle produzione edilizia. Si può peraltro ritenere che nel prossimo decennio l'aumento della capacità di spesa della comunità farà certamente aumentare la richiesta di case grandi. Ma la regolarizzazione della disciplina urbanistica determinerà anche una notevole produzione di alloggi medio-piccoli, assai richiesti in un sistema a vivace dinamica ed a carattere terziario.Si può quindi stimare che l'ampiezza media delle abitazioni future sarà solo lievemente più alta di quella della produzione recente, pari cioè a 5 st/abz.. Per passare dalla proiezione demografica e dall'analisi delle condizioni di affollamento al fabbisogno abitativo si utilizza di solito il metodo analitico :

110

fabbisogno globale = quota per riduzione affollamento +quota per adeguamento funzionale +quota per incremento demografico. E' un metodo basato su precisi parametri quantitativi, che però non riesce a spiegare in maniera convincente la dinamica della produzione edilizia del sistema. Se infatti si fa il confronto tra dinamica demografica e dinamica edilizia si riconosce agevolmente che non c'è relazione tra il numero degli abitanti e quello delle stanze (fig. 5).

FIG. 5 DINAMICA DEMOGRAFICA ED EDILIZIA ABITAZ tot ABITAZ occ 23000 STANZE tot 22000 STANZE occ 21000 ABITANTI 20000 FAMIGLIE 19000 18000 17000 16000 15000 14000 13000 12000 11000 10000 9000 8000 7000 6000 5000 4000 3000 2000 1000 0 1971 1981 1991 2001

Invece se la correlazione viene stabilita tra nuclei familiari ed abitazioni i dati statistici acquistano significato: tra dinamica demografica ed edilizia si notano significative congruenze. Il grafico mostra infatti, che non c'è corrispondenza tra crescita della popolazione (in abitanti) e crescita del patrimonio edilizio (in stanze) ma che c'è una marcata analogia tra i valori che mostrano la dinamica dei nuclei familiari e delle abitazioni. L'analogia si spiega agevolmente. E' evidente che la domanda di abitazioni è alimentata prevalentemente dai nuclei di nuova formazione. D'altra parte se il sistema è a piccola scala e a debole dinamica lo si può ritenere chiuso; esso cioè evolve solo per effetto delle domande interne. In tali sistemi l'andamento della produzione edilizia esprime certamente il fabbisogno abitativo di quella comunità, con quella capacità di spesa, in quel dato periodo. Se il sistema è aperto, invece, potrebbe verificarsi il caso che la produzione edilizia soddisfi domande esterne non sempre accettabili acriticamente. Ad esempio nei territori a vocazione turistica o nei grandi poli urbani la domanda esterna tende a consumare più risorse territoriali di quelle necessarie al sistema locale. Ma nei sistemi di piccola scala a vocazione terziaria si può ritenere che attività edilizia e crescita demografica 111

restino in reciproca correlazione ed in equilibrio continuo anche se la dinamica è vivace. Per stimare il fabbisogno abitativo del sistema si può allora adottare un metodo diretto fondato sull'analisi della dinamica dei nuclei familiari e della corrispondente produzione edilizia. Dalla correlazione rilevata in passato tra famiglie ed abitazioni si può stimare quella futura. Sulla base della proiezione demografica espressa in nuclei, si può cioé ricavare direttamente il numero di abitazioni che il Piano dovrà consentire. Senza passare attraverso gli indicatori indiretti (affollamento, stanze abitabili ecc.) utilizzati nel metodo analitico usuale, difficilmente stimabili, e molto spesso arbitrari (qual'è l'affollamento obbiettivo giusto?). In buona sostanza il metodo diretto si fonda sull’osservazione descritta innanzi (paragrafo: Il dimensionamento, pag. 89). In un sistema in equilibrio la produzione edilizia viene affidata sempre e solo dalle esigenze abitative che la capacità economica delle comunità consente di soddisfare. Perciò se in passato N famiglie hanno determinato la costruzione di XN abitazioni per le N1 famiglie future occorreranno, X1N1 abitazioni, dove X è il coefficiente di correlazione passato ed X1 quello stimato per il periodo di validità del Piano. Va comunque osservato che se il coefficiente di correlazione viene calcolato sulle nuove abitazioni anno per anno effettivamente costruite la proiezione fornisce direttamente il numero di nuove abitazioni da costruire. Se invece viene calcolato sulla differenza fra le abitazioni esistenti, alla fine e all'inizio del periodo di riferimento (ad esempio alle date dei censimenti) la proiezione va corretta con un opportuno coefficiente di amplificazione. Le abitazioni esistenti ad un dato istante sono infatti la somma algebrica di quelle preesistenti, quelle nuove costruite nel periodo e quelle che si sono perse (per fusione, trasformazione in uffici, ecc). Nei sistemi di piccola scala il metodo diretto può dunque considerarsi più attendibile perché: • si fonda su grandezze che esprimono direttamente il processo di domanda-produzione abitativa; (abitazioni e famiglie); • ricava le proiezioni da trends più significativi e più direttamente tra loro correlati; • lo scostamento delle condizioni di godimento reali da quelle medie statistiche è assai più contenuto perché l'indice di coabitazione (famiglie/abitazione) ha un campo di variazione nettamente inferiore a quello di affollamento (abitanti/stanze) e, in ogni caso, esprime meglio il disagio abitativo; • si eliminano completamente le grandezze arbitrarie che rendono inattendibili le proiezioni analitiche (affollamento-obiettivo dello stock esistente, affollamento di quello futuro, quota per adeguamento funzionale, quota recuperabile, ecc.); • il fabbisogno globale stimato assorbe anche la quota di inoccupato (in attesa di locazione, seconde case, ecc) assai difficile da valutare con il metodo analitico; • si assorbono nel calcolo tutte quelle trasformazioni dello stock abitativo esistente che rendono aleatorio il metodo analitico e che, peraltro, non determinano variazioni del carico urbanistico (aggiunte alle abitazioni esistenti, che si perdono per realizzare bagni, ecc.). Inoltre se si integra la proiezione del fabbisogno di abitazioni con quella della loro ampiezza media (ricavabile con precisione dall'analisi del trend passato) si perviene ad un fabbisogno abitativo globale espresso in stanze che tiene conto non solo degli aspetti quantitativi della domanda (quante abitazioni) ma anche di quelli qualitativi (quanto grandi).

Ad ogni modo la proiezione del fabbisogno abitativo di Mesoraca è stata condotta con entrambi i metodi, operando poi un raffronto finale. Le due procedure possono così descriversi: A) Metodo analitico Il fabbisogno abitativo è stato calcolato a partire dalle condizioni di godimento già analizzate prendendo separatamente in esame le tre diverse componenti (riduzione dell'affollamento, incremento demografico, adeguamento funzionale), detraendo dal fabbisogno globale la quota di stanze recuperabili tra quelle che non sono occupate perché versano in condizioni di degrado ed aggiungendo la quota di inoccupato fisiologico (alloggi in attesa di locazione, seconde case, ecc.) Con riferimento a tali componenti si ha: a) riduzione dell'affollamento dello stock attualmente occupato: la quota di fabbisogno generata dall'esigenza di migliorare le condizioni abitative può essere stimata immaginando che il sistema evolva verso condizioni di affollamento globalmente prossime a quelle delle costruzioni recenti, ma con differenti riduzioni di affollamento che dipendono dalle capacità economiche di ciascun segmento della comunità. Poiché si possono assumere l'ampiezza delle abitazioni ed il relativo affollamento come attendibili indicatori della potenzialità di spesa del segmento che le occupa, il fabbisogno globale può stimarsi fissando indici di "affollamento-obiettivo" differenziati per ciascuna classe di ampiezza delle abitazioni in rapporto all'affollamento di partenza. L'attendibilità della proiezione dei singoli affollamento-obiettivo è tanto maggiore quanto più l'affollamento-medio che ne risulta si avvicina a quello delle abitazioni costruite nel periodo recente (in genere quelle di grossa taglia). Analizzando i valori dell’ISTAT agli anni 1971, 1981, 1991 e 2001 (in verità i parametri appresso riportati in tabella tengono conto delle stanze 112

occupate totali e non, come dovrebbe essere, di quelle occupate ma adibite esclusivamente ad abitazione, per cui gli indici di affollamento risulterebbero più alti e sui quali viene impostato il calcolo del fabbisogno obiettivo) si riscontra, sia la tendenza alla diminuzione delle abitazioni di piccola taglia (formate da 1, 2 e 3 stanze) e la crescita di quelle di grossa taglia (4, 5, 6 e più stanze), sia, come precedentemente esposto, la diminuzione dell’indice di affollamento (che denota una tendenza spontanea al miglioramento qualitativo delle condizioni abitative):

1971 1981 1991 2001

% sul totale indice di % sul totale indice di % sul totale indice di % sul totale indice di stanze affollamento stanze affollamento stanze affollamento stanze affollamento 1 stanza 3,95 2,15 1,44 1,66 0,27 1,38 0,18 1,35 2 stanze 27,06 1,87 11,19 1,25 5,91 0,96 4,21 1,01 3 stanze 36,78 1,61 28,35 1,26 17,63 1,00 20,18 0,89 4 stanze 21,27 1,33 33,24 1,11 30,45 0,93 33,56 0,80 5 stanze 5,07 1,16 17,26 0,92 27,32 0,81 27,76 0,73 6 stanze 5,87 0,73 8,52 0,66 18,42 0,52 14,11 0,59 totale 100,00 1,57 100,00 1,10 100,00 0,84 100,00 0,78

Applicando tale procedura (beninteso partendo dalle stanze esclusivamente adibite ad abitazione) è stato stimato un fabbisogno di stanze necessarie per portare l'affollamento dal valore medio attuale di 0,99 ab/st. a quello obiettivo medio di 0,75 ab/st. Per aggiornare il fabbisogno alla data di partenza del piano il deficit al 2001 è stato poi depurato della quota soddisfatta dalla produzione edilizia '02-'06. E' stato così definito (vedi tabella di studio) un: fabbisogno residuo al 2006 di circa 1458 stanze. b) incremento demografico: sulla base delle considerazioni più sopra svolte, prevedendo un incremento di 579 abitanti, che abiteranno le stanze con un indice-obiettivo pari a 0,75 ab/st, si renderà necessario la realizzazione di nuove stanze. (579/0,75) = 772 stanze c) adeguamento funzionale: è la componente del fabbisogno abitativo originata dalle stanze attualmente esistenti ma che si perderanno per effetto di interventi finalizzati a migliorare lo standard abitativo (rendere le stanze più grandi, realizzare bagni mancanti, ecc.). Si può ritenere proporzionale alle abitazioni attualmente sfornite di latrina e/o bagno. Considerato che la quota oggetto di intervento può stimarsi pari a non più del 50% per le prime e del 70% delle seconde; che per realizzare un gabinetto o bagno si perde mediamente una stanza per abitazione si può prudenzialmente stimare la componente per adeguamento funzionale pari a: 100 stanze Dalla valutazione analitica di tutti i dati relativi al patrimonio edilizio abitativo (cfr. All. tab. 10/a, b, c) si ricava un fabbisogno globale per il decennio pari a circa: 2330 nuove stanze

Da tale fabbisongo va però detratta la: d) quota di recupero: Lo stock non occupato ammontava al 2001 a 3610 abitazioni per un totale di 13957 stanze. Di queste evidentemente non si possono "recuperare" quelle utilizzate per vacanza, lavoro o quelle in attesa di locazione. Restano solo quelle che non sono utilizzate. Di queste sono effettivamente recuperabili solo quelle che sono non occupate perché versano in condizioni di degrado. Per calcolare questa quota può riuscire utile l'analisi delle abitazioni non occupate e che, contemporaneamente, sono sfornite degli elementari servizi. Dal censimento del 2001 si può stimare che il patrimonio degradato ammonti a non più di 1000 stanze. Fissando come obiettivo realistico di piano il recupero del 60% di tale stock si perviene a stimare la quota soddisfacibile con interventi di recupero dell'inoccupato esistente non superiore ad 600 stanze. Riassumendo il fabbisogno abitativo netto per il decennio 2006-2016 (da coprire con stanze da costruire ex- novo), può così schematizzarsi:

113

- per riduzione affollamento 1458 stanze - per incremento demografico 772 » - per adeguamento funzionale 100 » fabbisogno globale 2330 stanze - quota di recupero - 600 stanze fabbisogno netto 1730 stanze Al fabbisogno globale andrebbe aggiunta la quota che assicura il cosiddetto inoccupato fisiologico del sistema (seconde case, in attesa di locazione, ecc.). Tenuto conto che tale inoccupato si è evoluto secondo il seguente prospetto: 1971 1981 1991 2001 Stanze totali 5815 10063 16383 22979 Stanze occupate 5416 8254 8931 9022 Stanze non occupate 399 1809 7452 13957 Coefficiente di inoccupato (%) 6,86 17,97 45,48 60,73 toccando dei coefficienti anomali, si può ammettere che tale quota sia già stata raggiunta dal sistema e pertanto, si può stimare che nel decennio a venire la quota di inoccupato sia pari a zero.

B) Con il metodo diretto. Per stimare il fabbisogno abitativo espresso in abitazioni e a partire dalla proiezione dei nuclei familiari è sufficiente proiettare il coefficiente di correlazione nuclei/abitazioni ed applicarlo alla consistenza demografica prevista. Dal grafico si ricava una costante progressione del coefficiente che giustifica la seguente proiezione: 1971 1981 1991 2001 2016 Nuclei familiari 2010 2445 2187 2264 2500 Abitazioni totali 2162 2968 4182 5874 6250 Coefficiente di correlazione 1,07 1,21 1,91 2,59 2,50 (abz./fam.) Applicando il coefficiente di correlazione stimato (e che è stato ridimensionato) ai 2500 nuclei familiari previsti al 2016 si ha un parco abitazioni necessario a scadenza del Piano, pari a 6250 abz. Tale valore va poi maggiorato di un'aliquota che compensa le abitazioni che si perdono (per fusione, modifiche di destinazione d'uso, ecc.). Considerato che tale fenomeno interessa prevalentemente le abitazioni piccole (1-2-3 stanze), che queste si sono mantenute costanti nel decennio 91-01 (813 nel '91 e 814 nel 2001) e supponendo che lo stock attuale si riduca, nel prossimo decennio, con percentuale minore, il fabbisogno di abitazioni da realizzare ex-novo può così calcolarsi: Nuclei familiari al 2016: 2500 fam Coefficiente di correlazione: 2,50 abz /fam Abitazioni totali: 2500 x 2.50 = 6250 abz Abitazioni esistenti 5900 abz Fabbisogno globale ex-novo 350 abz Maggiorazione per ristrutturazioni: 350 x 0,3 = 100 abz Fabbisogno da localizzare 450 abz Per confrontare la stima globale e diretta del fabbisogno espresso in abitazioni con quella analitica, calcolata in stanze, bisogna proiettare anche l'ampiezza delle abitazioni. Si è già visto che l'ampiezza media è in crescita continua ed è stata stimata in 5 st/abz per il prossimo decennio. Va tuttavia precisato che tale ampiezza media è determinata sulla base dei dati complessivi (stanze totali, occupate e non occupate) mentre la stima del fabbisogno abitativo si fonda sulla stanze destinate esclusivamente ad abitazione. Per omogeneizzare i valori l'ampiezza stimata và perciò corretta con il coefficiente di abitabilità che nell'edificato attuale è pari a 0,79 si ha perciò che il fabbisogno stimato di 450 abitazioni corrisponde a: 450 x 5 x 0,79 = 1777 stanze abitabili. In definitiva la proiezione del fabbisogno abitativo può così sintetizzarsi: 114

A) con il metodo analitico Domanda interna originata dall'esigenza di: 1. migliorare lo standard abitativo del patrimonio esistente: * riduzione di affollamento st. 1458 * intervento di adeguamento funzionale st. 100 per un totale di st. 1558 2. rispondere alla domanda futura derivante da: * incremento di popolazione st. 772 fabbisogno globale st. 2230 Quota recuperabile nel patrimonio non occupato: st. 600 restano da realizzare ex-novo st. 1730 3. quota extra per inoccupato fisiologico non prevista Domanda esterna * per resistenza secondaria non prevista TOTALE st. 1730 B) con il metodo diretto - abitazioni n. 450 - ampiezza media stimata: 5 st/abz. x 0,79 = 3,95 st/abz - stanze abitabili totali: 450 x 3,95 = st. 1777 Come si rileva i valori finali cui si perviene sono dello stesso ordine di grandezza. Per definire l’attendibilità può riuscire utile un ulteriore confronto tra le grandezze su cui sono fondate i due metodi. Entrambi i calcoli partono dalla stessa proiezione demografica: essa dunque è ininfluente. L'incidenza della quota di fabbisogno, derivante da adeguamento funzionale (che nel metodo analitico è isolata e computata mentre in quello diretto è assorbito dal coefficiente globale di correlazione) è di entità trascurabile. Come si vede ed era prevedibile l'affollamento finale derivante dalle proiezioni effettuate con il metodo diretto è quasi uguale a quello fissato arbitrariamente e preventivamente nelle proiezioni analitiche. Poiché i due metodi di calcolo formulano due risultati quasi uguali, si ricava che il sistema ha la "forza" di conseguire le condizioni di confort abitativo assunte a base dei due calcoli. E' una produzione edilizia in buon accordo con la dinamica di sviluppo ipotizzata per il sistema e con la tendenza della produzione edilizia rilevata

3.3.2.2 - IL SETTORE PRODUTTIVO

3.3.2.2.1 - LA POPOLAZIONE ATTIVA E LA DOMANDA DI LAVORO I dati del censimento del 2001 mostrano che la quota di popolazione attiva su quella totale è al di sotto di quella media provinciale (23% contro il 27%).

STRUTTURA OCCUPAZIONALE DELLA POPOLAZIONE ATTIVA

100% 90% 80% 70% 60% SERVIZI 50% INDUSTRIA 40% AGRICOLTURA 30% 20% 10% 0% 1971 1981 1991 2001

Se si analizza la distribuzione della attività tra i tre settori tradizionali si riconosce che le quote attive in agricoltura (13,06%) e nell’industria (22,45%) sono al di sotto di quelle provinciali (rispettivamente il 16,28% e il 27,71%) ma che la quota attiva nei servizi è ampiamente superiore (64,49% contro il 56,01%).

115

Se però si disgregano i dati per settori di attività e li si incrociano con altri dati o altri indicatori, lo scenario risultante è diverso da quello appena formulato. Se si confrontano, infatti, i dati relativi agli addetti in agricoltura (ISTAT 2001) con quelli forniti dalla "Regione Calabria" in "La struttura del settore agricolo nelle nuove Province Calabresi", (quaderni di statistica regionale) si evince che: • gli addetti "effettivi" in agricoltura (1447) sono in numero molto maggiore di quelli "censiti" (479); ciò si spiega facilmente se si fa riferimento alla: conduzione familiare, ad altro lavoro prevalente, alla manodopera stagionale etc.; • le 1447 aziende agricole effettivamente operanti impegnano ben 6630ettari (utilizzandone 3461), ciò denota che il settore agricolo conserva un peso determinante nell'economia locale;

PRINCIPALI COLTIVAZIONI

1400

1200

1000

800

600 Superficie in Ha 400

200

0 Cereali Colt.ortive Foraggio Vite Olivo Agrumi Frutta

• la maggior parte della superficie agricola è coltivata dal 95% delle aziende, il ché dimostra sia una distribuzione media della ricchezza certamente superiore ai limiti minimi di sussistenza sia la grande estensione di altre poche aziende.

AZIENDE E SUPERFICI PER CLASSE DI SUPERFICIE TOTALE aziende superf. utilizzate superf. totali

<1 1_2 2_5 5_10 10_20 20-50 50-100 100 ed

oltre superf. utilizzate superf. totali

Classe di superficie totale (ha) aziende

La preponderanza dei servizi, invece, è dovuta certamente agli attivi nel settore commercio, le iniziative artigianali avviate e il netto incremento di negozi non alimentari (abbigliamento, arredamento, banca, etc.) fanno ipotizzare che anche a Mesoraca si sta avviando uno sviluppo terziario, se infatti si prende in esame la variazione della struttura occupazionale della popolazione nel periodo 71-01 e si incrociano i dati con quelli sul grado di istruzione (a Mesoraca la percentuale dei diplomati è in abbondante crescita, tanto che ha raggiunto valori superiori 116

alla media provinciale) si ha la conferma della natura fortemente terziaria del sistema. Si può ragionevolmente ipotizzare, tuttavia, che nell’arco di validità del Piano si abbia una domanda di volumi per attività commerciali inserite nel tessuto residenziale. La domanda che, invece, determina un fabbisogno di aree a destinazione d’uso specifica è quella inerente all’attività artigianale, conviene tener conto sia delle esplicite richieste degli emigrati di investire i loro risparmi in attività localizzate nel paese di origine, sia di quelle provenienti da imprenditori locali e non. Si tratta di domande che hanno sempre posto il problema di varianti al Piano urbanistico.

3.3.2.3 - IL SETTORE INFRASTRUTTURALE

3.3.2.3.1 - I SERVIZI ALLA POPOLAZIONE La determinazione del fabbisogno di aree per il soddisfacimento dello standard di urbanizzazioni secondarie e di attrezzature di interesse generale sarà eseguita, in sede di redazione del P.S.C., sulla popolazione presente al 2016 distinguendo i fabbisogni pregressi da quelli emergenti. Infatti, la constatata limitata disponibilità di aree nelle zone omogenee A e B, comporta che la popolazione di nuovo insediamento si localizzerà prevalentemente nella zona omogenea “C” nell’ambito dei Piani Attuativi Unitari nei quali saranno soddisfatti tutti i fabbisogni di urbanizzazione secondaria. Il P.S.C., pertanto, dovrà prevedere il soddisfacimento dei soli fabbisogni pregressi e, quindi, di quelli degli insediati nelle zone omogenee A e B, per le urbanizzazioni secondarie, mentre dovrà prevedere il soddisfacimento per il complesso degli abitanti (sia residenti che presenti) del fabbisogno di attrezzature di interesse generale (le zone F).

3.3.3 - DISCIPLINA NELLE AREE NON SOTTOPOSTE A PAU

3.3.3.1 - TERRITORIO AGRICOLO (ZONA “E”) 1- Nel rispetto del DIM 1444/1968, nella zona omogenea “E”, territorio agricolo, lo standard prescritto di 6 mq (istruzione e servizi) per ogni abitante insediato nella stessa, è localizzato nel centro abitato in modo funzionale con il sistema complessivo dei servizi alla popolazione ed alle attività. 2- La densità massima fondiaria per le residenze è quella prescritta per legge di 0,03 mc/mq. 3- Gli interventi produttivi connessi con le attività agricole, e quelli infrastrutturali localizzabili nel territorio agricolo, sono definiti e disciplinati, con i relativi parametri edilizi, dal P.S.C. 4- Gli interventi di trasformazione che insistono su Ambiti Territoriali sottoposti a tutela da Piani o Programmi sovraordinati sono disciplinati dalle prescrizioni degli stessi e ne osservano le procedure autorizzative.

3.3.3.2 - CENTRO ABITATO (ZONE OMOGENEE “A” E “B”) 1- In coerenza ed a specificazione di quanto nel Testo Unico per l’Edilizia, DPR n. 380/2001 e nelle leggi regionali, è il Regolamento Edilizio ed Urbanistico (elaborato del P.S.C.), che disciplina gli interventi edilizi diretti di manutenzione, di completamento, di ristrutturazione, di nuova edificazione e di infrastrutturazione in tutta la “città costruita” costituita dalle zone omogenee “A” e “B” così come delimitate dal P.S.C.

3.3.3.3 - LOCALIZZAZIONE E DISCIPLINA DEI PAU Le espansioni dell’insediamento residenziale (zona “C”), produttivo (zona “D”) e infrastrutturale (urbanizzazioni primarie e zona “F”) nelle aree già urbanizzate (o, comunque, tipizzate dalla strumentazione vigente), conseguenti all’attuazione delle previsioni programmatiche, in coerenza sia con l’assetto strutturale del territorio comunale, sia con la sua realtà socio-economica, sia con la definizione dei relativi fabbisogni, si concretano nel Piano Strutturale Comunale con: - la perimetrazione e la disciplina delle maglie esistenti e delle eventuali “nuove” maglie delle zone omogenee “C” e “D” da sottoporre ai Piani Urbanistici Esecutivi, e della relativa specificazione dei servizi alla popolazione ed ai settori di attività; - la perimetrazione e la disciplina delle aree “F” per le attrezzature di interesse generale da sottoporre o meno a PAU. 3.3.4 - PEREQUAZIONE E DIRITTI EDIFICATORI Gli insediamenti si attuano nel rispetto del principio della perequazione con la procedura del comparto, così come stabilito dall’ordinamento regionale e statale. La disciplina per la formazione dei PAU specifica le destinazioni funzionali e definisce i parametri fondiari da osservare per gli interventi previsti. 2- Il trasferimento dei diritti edificatori è consentito e disciplinato dal P.S.C., nell’ambito dei PAU, nel rispetto dei carichi insediativi previsti dallo stesso P.S.C.; il trasferimento dei diritti edificatori deve comunque perseguire obiettivi di qualità sia nell’assetto fisico dei siti (architettura e paesaggio), sia nella localizzazione e nella fruizione degli spazi pubblici.

117