1
Università degli Studi Roma Tre Facoltà di Scienze Politiche Scuola Dottorale in Scienze Politiche Sezione “Questione femminile e politiche paritarie” Relatrice: Prof.ssa Ginevra Conti Odorisio
Maria Antonietta Macciocchi: profilo di un‟intellettuale nomade nel secolo delle ideologie
Candidata: Eleonora Selvi 2
INDICE
Introduzione p. 5
CAPITOLO I Le origini, la formazione, l‟antifascismo e la Resistenza
1 Infanzia borghese di una rivoluzionaria p. 9 2 La Resistenza p. 12 3 La storiografia e le donne dimenticate p. 14 4 L‟incontro con i GAP p. 16 5 A Sud! Il lavoro tra le donne e il modello femminile nel PCI p. 23 6 Un treno per vivere p. 26 7 Cittadine nuove di zecca, ovvero l‟alba della democrazia in Italia p. 27
CAPITOLO II <
1 La stampa in Italia nel secondo dopoguerra p. 29 2 Spedita a Roma p. 30 3 Il catechismo di una rivoluzionaria: la cornice teorico-politica p. 31 4 All‟ombra di Clara Zetkin p. 33 5 Anatomia di un giornale femminile “democratico” p. 36 6 I primi articoli sulla rivista dell‟UDI p. 38 7 La direzione Macciocchi p. 39 8 Ortese, Rea, Aleramo: una rosa di amicizie intellettuali p. 44 9 La cronaca nera come parabola marxista p. 46 10 Dalla difesa della pax sovietica all‟autocritica mutilata p. 48 11 I reportage, grande prova di giornalismo p. 50
CAPITOLO III Gli anni Cinquanta: l‟impegno per l‟emancipazione femminile
1 Il j’accuse contro la pedagogia della sottomissione femminile p. 52 2 La questione femminile in <
CAPITOLO IV <
1 La direzione di <
2 La grande tempesta del ‟56 p. 73 3 Malaparte: l‟intellettuale che salì sulla barca comunista alla deriva p. 78 4 Un mostro chiamato Europa p. 84 5 Dall‟Eva proletaria alla donna moderna p. 86 6 Il dibattito sulla pensione alle casalinghe: una polemica con <
CAPITOLO V Vita in Francia. Althusser e il giardino della filosofia
1 La stagione de <
CAPITOLO VI Macciocchi la maoista
1 Cina, la lunga marcia di un‟illusione p. 125 2 Il Libro nero riapre il dibattito storiografico p. 129 3 Terzmondismo, primo stadio della cinofilia p. 131 4 Da Marx a Mao passando per Althusser p. 135 5 On a raison de se révolter: la matrice anarchica, le masse, il Partito p. 138 6 Il femminismo di Mao Tse-Tung p. 142 7 Storia di un viaggio. Flashback p. 143 8 Ritorno in Cina: Il talismano contro la disillusione p. 145 9 Per la Cina, due comunisti in guerra contro tutti p. 146 10 Polemiche in Italia e in Francia su un best seller p. 149
CAPITOLO VII La riscoperta di Gramsci
1 L’italienne in cattedra a Vincennes p. 154 2 Pour Gramsci: una lettura maoista-leninista p. 155 3 L‟egemonia p. 157 4
4 Gli intellettuali p. 158 5 Gramsci, Althusser, gli intellettuali francesi p. 160 6 Il Partito: forma e strategia p. 163 7 Il ‟77, anno di rottura p. 165
CAPITOLO VIII Polemiche sul post-femminismo
1 La donna nera p. 171 2 Le donne e i loro padroni p. 174 3 Femminismo e marxismo p. 175 4 Riflessioni sulla crisi del femminismo p. 179 5 La risposta delle “femministe storiche” p. 183 6 Un decalogo per il secondo sesso p. 184
CAPITOLO IX Dalla politica alla storia, passando per Napoli
1 Gli anni Ottanta e la politica p. 188 2 Folgorata sulla via di Castelgandolfo p. 189 3 Il ritorno in Italia p. 191 4 Eleonora Fonseca Pimentel p. 192 5 Duemila anni di felicità p. 196
Conclusioni p. 198 Appendice p. Spoglio di quotidiani e riviste p. Bibliografia p. Repertorio fotografico p. 5
Introduzione
Maria Antonietta Macciocchi era una persona capace di suscitare, per le sue idee e la singolare forza con cui sapeva affermarle, reazioni vivaci e contraddittorie. Donna energica, tenace ed intransigente, non esitava di fronte all‟uso dell‟ironia, del sarcasmo, nella scrittura da lei spesso vissuta come lotta, nell‟agone della politica e del dibattito intellettuale. La sua penna brillante sapeva essere impietosa dispensatrice di stilettate, che sferrava dalle pagine dei quotidiani più illustri. È stata staffetta partigiana, giornalista, inviata, direttrice di testate, scrittrice, militante politica, deputata italiana ed europea, docente universitaria. Ha vissuto tra Italia e Francia coltivando amicizie eccellenti, tra filosofi, scrittori, artisti, da Curzio Malaparte a Pierpaolo Pasolini, da Louis Althusser a Lacan, da Sebastian Matta a Milan Kundera, a Bernard Henri Lévy. Il suo bisogno di slancio ideale e di impegno intellettuale militante l‟ha portata ad abbracciare diverse fedi nel corso della sua vita, dal marxismo sin dai tempi della Resistenza, al maoismo negli anni Settanta, fino alla conversione al cattolicesimo, che abbracciò in età matura, trovando in Papa Wojtyla un profeta della dignità delle donne. Ma le sue diverse appartenenze le visse alla luce di un pensiero da lei in seguito definito, con omaggio al lessico dell‟amico Pasolini, “eretico”. Il suo era un antidogmatismo fiero, ironico, che tuttavia si avrebbe difficoltà a definire pienamente laico, percorso com‟era da una persistente tentazione fideistica. La tensione tra ortodossia e dissenso ha attraversato gran parte della sua vita e del suo lavoro. Allontanandosi dal Partito, Macciocchi fu tra le poche figure che non finirono col confluire in una chiesa eretica, come fu il caso del gruppo del Manifesto, costituito da Rossanda, Pintor, Natoli ed altri. La sua fu piuttosto una navigazione solitaria, solo a tratti affiancata dalla presenza di occasionali compagni di viaggio. Il risultato delle sue prese di posizione – determinante fu il sostegno ai “ribelli” del ‟77 in Italia - fu la cacciata dal Partito comunista e l‟inizio di un cammino ancor più solitario, snodatosi tra l‟impegno politico sotto nuove insegne – prima radicali e poi socialiste - il lavoro giornalistico e la scrittura di numerosi libri. Dopo gli anni trascorsi a Parigi, tra il ‟72 e il ‟79, insegnando Gramsci e spiegando il fascismo agli studenti dell‟Università di Vincennes, fu eletta con i radicali al Parlamento Europeo, nelle elezioni del 1979, le prime per il nuovo organismo europeo. Come componente della Commissione Giustizia si è battuta per l'abolizione della pena di morte in Francia. Successivamente, abbandonando la linea radicale, ha aderito al Gruppo Socialista. Nel corso del suo mandato ha fatto anche parte della Commissione per la verifica dei poteri e della Commissione di inchiesta sulla situazione della donna in Europa. Negli anni Novanta, lontana ormai da ogni partito, da ogni circolo intellettuale, cattolica senza alcuna soggezione all‟autorità ecclesiastica, spesso anzi fortemente critica verso essa - più volte rivolse inviti pubblici al Papa chiedendo un mea culpa per il ruolo avuto dalla Chiesa nella repressione della Rivoluzione napoletana - trascorse in solitudine la sua vita intellettuale. Si immerse nello studio della storia d‟Italia, scrivendo pagine appassionate sulle protagoniste femminili di una grande stagione rivoluzionaria, quella del triennio giacobino italiano, in cui intravedeva il primo seme dell‟unità nazionale e la forza di una parola femminile da riportare alla luce come esempio per tutte le donne. La 6
scelta della Repubblica partenopea come oggetto di studio, nelle fasi ultime del suo impegno di studiosa, tradiva la fiducia, mai sopita, nella funzione palingenetica delle idee politiche. Volgendo lo sguardo indietro, al termine di un secolo devastato dalle ideologie, Macciocchi ancora cercava l‟idea redentrice, e la trovava nell‟epoca dei Lumi, nella fiducia verso la ragione, la cultura e l‟educazione alla cittadinanza quali basi possibili per una convivenza armoniosa nella polis. Né mancava alle pagine vergate da Macciocchi sulle vite di Eleonora Fonseca Pimentel1 e di Luisa Sanfelice2 l‟alta passione civile che sempre l‟aveva animata: l‟esaltazione del sacrificio delle due eroine era per l‟autrice specchio del proprio stesso sacrificio, quello di una vita di donna immolata sull‟altare della militanza. La presente ricerca di propone di ricostruire la biografia intellettuale di Macciocchi, in quanto figura di spicco della vita culturale del Novecento, esaminandone le opere, le idee, le attività, alla luce dei filoni di pensiero cui di volta in volta fu legata. L‟esistenza di un‟opera vasta quale Duemila anni di felicità3 - quell‟opera aperta, come l‟autrice stessa l‟ha definita - data alle stampe in un‟edizione aggiornata nel 2000, fornisce certamente numerosi spunti. Macciocchi si è raccontata attraverso pagine di notevole interesse storico e politico, ma anche letterario, animate dall‟ironia che era caratteristica saliente della sua scrittura. Ma la sua, più che una lucida ricostruzione dei fatti, più che un tentativo di collocare il proprio percorso nella storia, è la narrazione di un‟epopea, l‟autoindulgente e spesso narcisista poema eroico di una donna che si è sempre voluta al centro degli eventi. Nessun altro lavoro, infine, è stato fino ad oggi prodotto sulla vita intellettuale di Macciocchi. Questa ricerca intende esaminare e interpretare alcune fasi del percorso di Maria Antonietta Macciocchi, della sua attività di giornalista, scrittrice, donna politica. La trattazione si articola in due parti. Nella prima, dopo la ricostruzione delle origini familiari, della formazione e del periodo della Resistenza, si è analizzato il lavoro giornalistico di Macciocchi, come direttrice di due importanti testate del PCI, dalla fine degli anni Quaranta all‟inizio degli anni Sessanta. In questa parte il lavoro si è svolto attraverso lo spoglio di <
1 Maria Antonietta Macciocchi, Cara Eleonora. Passione e morte della Fonseca Pimentel nella Rivoluzione napoletana, Milano, Rizzoli, 1997. 2 Macciocchi, L’amante della Rivoluzione. La vera storia di Luisa Sanfelice e della Repubblica napoletana del 1799, Milano, Mondadori, 1998 3 Macciocchi, Duemila anni di felicità, Milano, Mondadori, 1983. Le citazioni che si useranno in questo testo provengono dalla nuova edizione aggiornata, Duemila anni di felicità. Diario di un'eretica, Milano, Il Saggiatore, 2000 7
compiute dalla giornalista in un momento particolarmente critico nella vita del Partito, quello immediatamente successivo al 1956, anno dell‟invasione dell‟Ungheria da parte delle truppe sovietiche e dell‟assunzione da parte di Macciocchi della direzione del periodico <
Le ragioni personali di una ricerca
Nel 1998 il C.I.S.D.O.S.S., Centro interuniversitario per gli studi sulle donne nella storia e nella società, e l‟Università degli Studi Roma Tre, organizzarono su iniziativa della professoressa Ginevra Conti Odorisio4, docente di Storia delle dottrine politiche e Storia della questione femminile presso Roma Tre, un convegno dedicato alla storia del
4 Le attività e le ricerche allora legate alla cattedra di Storia del pensiero politico moderno dell‟Università Roma Tre sono oggi confluite nella sezione Questione femminile e politiche paritarie della Scuola dottorale di Scienze Politiche, coordinata dalla Prof.ssa Ginevra Conti Odorisio. È nell‟ambito di questa sezione della Scuola dottorale di Roma Tre che matura la presente tesi. 8
suffragismo in Europa. A moderare l‟incontro tra le tante studiose affluite per discutere il tema fu chiamata Macciocchi, che stava lavorando alla stesura di un nuovo libro, il secondo dedicato alla Rivoluzione napoletana del 1799 e alle sue due maggiori protagoniste: dopo la giornalista Eleonora Fonseca Pimentel, direttrice del Monitore Napoletano, era la “madre della Patria” Luisa Sanfelice a conquistare l‟attenzione appassionata della scrittrice, che le dedicherà il saggio romanzato “L‟amante della Rivoluzione”5. Cominciò così una collaborazione, destinata a durare per anni, che mi ha portata ad entrare nel vivo della sua opera. Conditio sine qua non per la realizzazione del presente lavoro, la possibilità di accedere direttamente all‟archivio privato dell‟autrice – in seguito donato dalla figlia, Giorgina Amendola, all‟Istituo Gramsci - di analizzarne i dossier potendo ricostruire la genesi delle opere, di consultare documenti inediti, quaderni di appunti, taccuini di viaggio e corrispondenza. Il contatto diretto con fonti originali, mai utilizzate prima, ha rappresentato senz‟altro l‟aspetto più stimolante della ricerca. La sua conclusione, purtroppo, coincide con la scomparsa di Maria Antonietta Macciocchi, avvenuta pochi mesi fa, il 15 aprile 2007.
5 Macciocchi, L' amante della rivoluzione, cit. 9
CAPITOLO I Le origini, la formazione, l‟antifascismo e la Resistenza1
1. Infanzia borghese di una rivoluzionaria
Maria Antonietta Macciocchi nacque il 23 luglio 1922 a Isola del Liri, una cittadina ciociara che sotto il regime fascista sarebbe entrata a far parte della neonata provincia di Frosinone. La cittadina prende il suo nome dal fiume Liri che l‟attraversa e, dividendosi in due, forma per l‟appunto un‟isola. “Sono nata sull‟alto di una cascata, che viene giù come una lava bianca, compatta, là dove il Liri si amplia; sul crinale si ode il frastuono dell‟acqua. Venni al mondo sotto il solleone di luglio, nella casa dei conti di Beaumont, che allora apparteneva a mio padre. Fui allattata da una capra, perché la mamma non aveva latte”2. Così, con accenti poetici dal sapore vagamente mitologico, la scrittrice evocò la sua nascita. Arpino, la città del nonno e del padre, circondata da boschi e rovine medievali, era immersa nella profondità della storia, ornandosi di nomi importanti del passato come Agrippa, Cicerone, Caio Mario. “L‟immaginario dell‟infanzia – scrisse – è la provincia come spettacolo, la storia come odore, la borghesia come discorso”3. Era l‟anno dell‟ascesa di Stalin alla carica di segretario generale del Partito comunista in Russia. Pochi mesi dopo, il 30 dicembre, a Mosca, il primo congresso pansovietico istituiva l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, dando vita al primo stato socialista al mondo. Il 28 ottobre le camice nere marciarono su Roma. Due giorni dopo Mussolini si presentò al Quirinale, dal Re, con la lista quasi completa del ministero che di lì a poco avrebbe costituito4. Antonio Macciocchi era un ingegnere agronomo; sua moglie, Giuseppina Marrarza, proveniva da una famiglia di commercianti. Appena sposati i due andarono ad abitare in un palazzotto costruito ad Arpino per volontà di Antonio. Per prima nacque Maria Antonietta, seguita a undici mesi di distanza da Lucia; dopo altri sei anni, arrivò la piccola Fernanda, detta Ponci. Descritto nell‟autobiografia dell‟autrice come un personaggio fitzgeraldiano, il padre era un cultore della libertà intesa come joie de vivre, in piena sintonia con i ruggenti anni Venti. Figura a suo modo tragica, egli era destinato ad essere travolto, assieme a quell‟epoca di speranze, dalla crisi del ‟29, che in pochissimo tempo avrebbe bruciato la fortuna economica della famiglia. Dal suo disprezzo aristocratico verso l‟idea borghese di abitare in un appartamento era derivato il
1Per una storia del fascismo si rinvia all‟imprescindibile opera di De Felice e in particolare Intervista sul fascismo, Bari, Laterza, 1975. Per le critiche rivolte a De Felice, si vedano Nicola Tranfaglia e al., Fascismo e capitalismo, Milano, Feltrinelli, 1976 e Guido Quazza e al., Storiografia e fascismo, Milano, Angeli, 1985. Segnaliamo inoltre Federico Chabod, L'Italia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961; di Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Bari, Laterza, 2002; Storia del partito fascista 1919-1922. Movimento e milizia, Bari, Laterza, 1989; Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell'Italia fascista, Bari, Laterza, 1993, n. ed. 2003; Il fascismo in tre capitoli, Bari, Laterza, 2004; Fascismo e antifascismo. I partiti italiani fra le due guerre, Firenze, Le Monnier, 2000; Le origini dell'ideologia fascista (1918-1925), Bari, Laterza, 1975; Bologna, Il Mulino, 1996; 2001. La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Roma, Carocci, 1995; 2001. Per un profilo generale degli anni della Liberazione, dell‟immediato dopoguerra (1943-48) e della transizione istituzionale si veda Paul Ginsborg, L’Italia dal dopoguerra ad oggi, 2 vol., Torino, Einaudi, 1989. Valerio Castronovo e al., L’Italia contemporanea 1945-1975, Torino, Einaudi, 1976; Marcello Flores e al., Gli anni della Costituente. Strategie dei governi e delle classi sociali, Milano, Feltrinelli, 1983. Sul ruolo dei principali partiti si veda Antonio Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere Dc, Bari, Laterza, 1975. 2 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 40 3 Ivi, p. 56 4 Renzo De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere: 1921-1925, Torino, Einaudi, 1966. 10
continuo pellegrinare della famiglia da un albergo all‟altro, tra Roma, Cannes e Sanremo. Fu invece una vittoria di sua moglie il trasferimento, nel ‟28, nella casa romana di via Gregoriana, dove a quel tempo abitava anche Gabriele D‟Annunzio. Nell‟attaccamento al padre, figura maschile carismatica, positiva malgrado la sua irresponsabilità - le perdite al gioco contribuirono a gettare la famiglia sul lastrico – ebbe forse origine per Macciocchi l‟identificazione tra la virilità e autorevolezza, forza, libertà. La sua ambiguità verso il “femminile” cominciò invece col rifiuto di quella concezione “moraleggiante, etica, penitenziale”5, che sua madre aveva cercato di trasmettere a lei e alle sue sorelle. La famiglia materna incarnava ai suoi occhi la negatività di una cultura femminile matrilineare fatta di trasmissione di superstizioni, convenzioni e modelli comportamentali all‟insegna del conformismo. “Il punto debole delle donne della famiglia materna era la loro devozione”6, raccontò nella sua autobiografia. Un‟aura di triste sacralità, un odore monotono d‟incenso circondava l‟universo femminile agli occhi della bambina, in contrapposizione alla vitalità, alla capacità eretica e trasgressiva della figura paterna, in costante conflitto con le convenzioni sociali e le aspettative dell‟ambiente circostante. Lui, il peccatore, l‟anticonformista, incarnava l‟autonomia e la libertà critica e al tempo stesso deteneva il potere di scelta in seno alla famiglia. La madre rappresentava invece la sottomissione, la rinuncia, l‟ortodossia. Paradossalmente nella sua fuga Maria Antonietta finirà tra le braccia di un‟altra madre, ancor più incombente: il Partito-Madre, dispensatore di un‟etica altrettanto claustrofobica. Ma la madre fu anche colei che per prima la spinse a parlare in pubblico, a sfidare la società, proprio come anni dopo avrebbe fatto il Partito7. In qualche modo l‟intera vita di Macciocchi fu attraversata da questo dualismo; il suo percorso intellettuale è stato il cammino sulla corda tesa tra l‟ortodossia e la libertà eretica. Dall‟infanzia e da questa polarità iniziale sembra discendere un‟ambiguità permanente verso il genere femminile. Le caratteristiche associate alla madre e percepite istintivamente come “naturali” altro non erano se non le virtù necessarie all‟adempimento di una funzione domestica imposta da una rigida divisione dei ruoli che alla donna richiedeva prudenza, capacità di conservazione, ordine e remissività8. Macciocchi in seguito lo comprese, ma spesso continuò a guardare alle “altre” come custodi dell‟ortodossia, sottomesse, masse deboli da cui lei avanzava come una solitaria intelligenza “virile”. Anche il rapporto di Macciocchi con la religione cattolica risentì delle influenze familiari: respingere il cattolicesimo significò in seguito per lei schierarsi ancora una volta dalla parte del padre, abbracciandone il laicismo anticonvenzionale. Ma solo in apparenza: il bisogno di appartenere ad una Chiesa si ripresentò infatti sotto altre forme, che ne condizionarono l‟esistenza e il percorso politico. “Il Dio bigotto della mamma lo ritrovavo nel Partito, nel comunismo, contro lo sperpero di papà in ossequio ai valori del risparmio e del moralismo”9.
5 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit.,, p. 47. 6 Ivi, p. 48. 7 Ivi, p. 56 8 Ivi, pp. 40-49 9 Ivi, p. 69 11
In un contesto familiare in cui le donne rappresentavano “l‟ordine, la disciplina, la chiesa”10 il solo discorso antidogmatico era quello della zia paterna, Anita, da molti anni preda della follia. Era questa l‟unica figura femminile affascinante ai suoi occhi, emblematica del profondo strappo necessario alle donne per potersi esprimere liberamente, al di fuori delle convenzioni. Non a caso l‟adolescente Maria Antonietta scelse quello di Anita come nome di battaglia durante la Resistenza. Dopo il trasferimento a Roma, dove le automobili costituivano ancora una rarità, la piccola Maria Antonietta e sua sorella erano accompagnate in giro per la città da un autista, a bordo di un‟auto di lusso. Nessuna comodità mancava a una famiglia che si era arricchita durante il primo conflitto mondiale grazie ad una serie di operazioni commerciali assai fortunate. La percezione del proprio status sociale era netta in quella bambina che anni dopo sarà costretta dal partito ad una pesante autocritica sull‟influenza morale delle proprie origini, causa, secondo il “processo” che le fu intentato alle Frattochie11 dai compagni di Partito, del suo individualismo piccolo-borghese. La giovane Maria Antonietta studiava al liceo Dante Alighieri, in via Ennio Quirino Visconti, un istituto fondato dal regime nel 1938, ma che poteva contare nel suo corpo insegnante numerosi professori antifascisti. Nell‟anno scolastico 1938-39 risultava iscritta per la prima volta alla classe prima, ovvero il terzo anno delle scuole superiori, nella sezione A12. I licei della capitale, dal Visconti al Mamiani, dal Virgilio al Tasso, furono i luoghi in cui negli anni Trenta una generazione di giovani, sottraendosi alla ferrea morsa del regime, si formò agli ideali di libertà e giustizia sociale. Gli anni determinanti, nella formazione di una coscienza antifascista13 tra gli studenti, furono quelli tra il ‟35 e il ‟37, attraversati dalla conquista dell‟Etiopia e dalla guerra civile spagnola. Macciocchi a quell‟epoca era ancora giovanissima e i suoi contatti con l‟antifascismo non arrivarono che qualche anno dopo, all‟Università. Lei appartenne a quella “generazione di mezzo” che Bruno Zevi, nella rivista “Quaderni italiani”, fondata durante la guerra negli Stati Uniti, avrebbe così rievocato: “la generazione dei vent‟anni, quella che a cinque era balilla, a dieci fascista, e che a sedici avrebbe dovuto essere fascistissima, a sedici invece cominciava a dubitare: a diciassette aveva deciso per l‟opposizione e si accingeva alla lotta rivoluzionaria”14. Il primo antifascismo della giovane Maria Antonietta fu quello trasmessole dal padre, che le insegnò la ribellione verso un regime liberticida e odioso. L‟ostilità alla dittatura, nella sua famiglia, come in molte famiglie borghesi, era strisciante e si radicava soprattutto nell‟insofferenza per il vuoto ideale e culturale, per la rozzezza e la tetraggine del fascismo. Nel 1940 Maria Antonietta perse sua madre, che morì per un cancro ai polmoni. Nei mesi successivi al lutto si gettò a capofitto nello studio e concluse il liceo saltando l‟ultima classe e presentandosi direttamente agli esami finali, con gran successo. Non aveva bisogno di impegnarsi troppo per ottenere buoni risultati, e presto maturò quel
10 Ivi, p. 59 11 Storica sede della Scuola di partito del PCI. In apposite sessioni i militanti erano invitati a pronunciare autocritiche, ad ammettere i propri errori e a correggere eventuali comportamenti e inclinazioni personali non conformi alla linea del Partito. Macciocchi ha pubblicato la sua autobiografia in Duemila anni di felicità, cit. pp. 169-180 12 Pagella scolastica del Liceo Ginnasio “Dante Alighieri” di Maria Antonietta Macciocchi, Archivio Macciocchi. 13 Per un‟ampia bibliografia sull‟antifascismo si rinvia al recente lavoro collettivo a cura di Alberto De Bernardi Bibliografia dell’antifascismo italiano, Roma, Carocci, 2008 14 B. Zevi, Presentando i <
senso di superiorità intellettuale che l‟accompagnò sempre. “Cominciai così a disprezzare, senza dirlo, i mediocri, gli ignoranti, gli sciocchi – scrisse in seguito – (…) allora, tanto tempo fa, non adoravo che la bellezza e l‟intelligenza fino allo sprezzo degli altri”15. Era una giovane individualista e orgogliosa, attaccata alle proprie passioni: prima tra tutte quella per la cultura e la bellezza, che la portarono a dedicarsi allo studio della storia dell‟arte, con Toesca, e a diciotto anni a scrivere un breve saggio su El Greco, che non fu mai pubblicato. L‟ingresso all‟università aprì un nuovo capitolo: quello dell‟antifascismo attivo e della Resistenza.
2. La Resistenza
Il dibattito sulla Resistenza e l‟antifascismo in Italia è estremamente complesso16. Nell‟impossibilità di ricostrurlo integralmente in questa sede, ci limiteremo a ricordare come esso abbia conosciuto, dall‟immediato dopoguerra ai nostri giorni, diverse fasi, che hanno spesso visto intrecciarsi passato e presente, storiografia e ragioni politiche. All‟inizio la Resistenza assurse, nell‟interpretazione della storiografia di sinistra, a mito fondatore del nuovo Stato, mentre il valore politico dell‟antifascismo doveva essere il collante della Repubblica nata dalle ceneri del Ventennio17. Grande spazio ebbero la memorialistica e i racconti dei protagonisti della vicenda resistenziale, specialmente di parte comunista. Gli studi di De Felice18 furono i primi a intaccare profondamente quella visione, centrata sulla frattura tra l‟Italia fascista e quella democratica, che aveva dato del fascismo l‟immagine di una parentesi nella nostra storia, minimizzando il consenso popolare al regime. Se De Felice fu al tempo del suo lavoro fortemente ostracizzato19, nei decenni successivi fiorirono nuove ricerche sulla Resistenza ben lontane dall‟ottica marxista20, e parimenti proseguirono le polemiche tra gli esponenti delle varie correnti
15 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 68 16 Tra le opere collettive dedicate alla Resistenza segnaliamo il Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2001 e L'Atlante storico della Resistenza, Milano, Bruno Mondadori, 2001 17 Storia dell’antifascismo italiano, a cura di L. Arbizzani e A. Caltabiano, Prefazione di G. Gabelli, vol. I, Lezioni, vol. II, Testimonianze, Roma, Editori Riuniti, 1964, Collana Enciclopedia Tascabile. Il volume delle lezioni, che si erano tenute a Torino per iniziativa del PCI, contiene interventi di Alatri, Arfé, Basso, Battaglia, Bauer, Bobbio, La Malfa, Luraghi, Nitti, Parri, Raggianti. Si vedano anche P. Alatri, Il prezzo della libertà. Episodi di lotta antifascista, Roma, Tip. Nava, 1958 P. Alatri, L'Antifascismo italiano, 2 voll., Roma, Editori Riuniti, 1973; R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1964; G. Quazza, La Resistenza italiana. Appunti e documenti, Torino, Giappichelli, 1966; M. Salvadori, Storia della Resistenza italiana, Venezia, Neri Pozza, 1955; P. Secchia, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945, Milano, Annali Feltrinelli, anno XIII, 1971; P. Spriano, Storia del PCI, vol. V: la Resistenza, Torino, Einaudi, 1975. 18 R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1977; Mussolini, I Il rivoluzionario; II Il fascista. 1. La conquista del potere, 2. L’organizzazione dello Stato fascista; III Il Duce. 1. Gli anni del consenso; 2. Lo Stato totalitario; Mussolini l’alleato. 1. L’Italia in guerra; 2. Crisi e agonia del regime, Torino, Einaudi, 2008; Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1961 19 In occasione del trentennale della Resistenza, nel 1975, un duro attacco a De Felice fu mosso dall‟editoriale- manifesto apparso nella rivista <
critiche; a livello europeo storici come François Furet21 ed Ernst Nolte22, che portarono avanti ricerche storiche ugualmente distanti dal paradigma marxista, furono accusati di ambiguità morale e ideologica. Agli inizi degli anni Novanta esplose la nuova polemica sul “revisionismo” 23. Tra gli esponenti della linea “antirevisionista” erano in prima fila lo storico Nicola Tranfaglia, che vedeva in De Felice il caposcuola del revisionismo italiano, e Paul Ginsborg. Gli storici e gli opinionisti “revisionisti”24 mettevano in evidenza quanto avevano in comune fascismo e comunismo, contestavano la lettura “classista” e mettevano in dubbio il rapporto tra PCI e democrazia. Parlavano di manipolazione dell‟antifascismo nel senso di una appropriazione della memoria collettiva da parte del PCI che, scrivendo la storia, aveva minimizzato il ruolo antifascista delle altre forze democratiche e liberali. Denunciavano una narrazione egemonica della sinistra, che tra i suoi limiti principali aveva l‟espulsione dalla storia di tutti i soggetti che non avevano partecipato alla Resistenza, la sopravvalutazione della partecipazione popolare quando nella realtà la Resistenza era stata un fenomeno d‟élite, la rimozione della categoria di totalitarismo dal dibattito, che avrebbe potuto condurre a un parallelo tra nazismo, fascismo e comunismo, e infine la cancellazione delle violenze commesse dai partigiani25. Il dibattito storiografico sulla Resistenza in Italia si è riacceso in seguito con la pubblicazione dei saggi di Giampaolo Pansa26, dedicati agli eccidi commessi dai partigiani durante la guerra di liberazione27. Se Il sangue dei vinti raccontava le esecuzioni compiute da ex partigiani dopo il 25 aprile 1945, La grande bugia28 era la
21 François Furet (Parigi, 1927 - 1997). È stato uno storico francese, tra i più importanti studiosi della Rivoluzione francese. Tra le sue opere ricordiamo, oltre ai numerosi saggi sulla Rivoluzione francese, Il passato di un'illusione. L'idea comunista nel XX secolo, Milano, Mondadori, 1995. 22 Ernst Nolte (Witten, 11 gennaio 1923) è uno storico tedesco, professore emerito di storia contemporanea alla Freie Universität di Berlino. Tra le sue opere La guerra civile europea 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo, Milano, Rizzoli, 2008; con F. Furet, Ventesimo secolo. Per leggere il Novecento fuori dai luoghi comuni, Roma, Liberal Libri, 1997. 23 Per revisionismo in generale s‟intende qualsiasi posizione che metta in discussione, rivedendoli, gli esiti storiografici precedentemente dati per certi. In tale accezione potremmo dire che la storia non può che essere revisionista. Nella sua accezione negativa il termine è stato utilizzato con riferimento al rischio di relativizzare i crimini commessi dal nazifascismo, fenomeno che spesso, nella storiografia europea, ha costituito il principale oggetto delle revisioni storiografiche degli ultimi decenni, condotte anche con fecondi risultati. Sul tema si veda E. Collotti (a cura di), Fascismo e antifascismo. Rimozioni, revisioni, negazioni, Bari, Laterza, 2000 con contributi di A. Boldrini, E. Collotti, F Colombo, G. Crainz, A. Del Boca, G. De Luna, M. Ferretti, G. Fink, F. Gatti, M. Isnenghi, A. Parisella, C. Pavone, V Pisanty, P.P. Poggio, G. Ranzato, L. Rapone, G. Rochat, G. Santomassimo, K. Stuhlpfarrer, T Szarota, Ph. Videlier, L. Violante, W Wippermann. Per il dibattito politico-giornalistico sull‟uso del termine “revisionismo” applicato agli studi storici in Italia negli anni più recenti, si veda P. Mieli, Storia e politica. Risorgimento, fascismo e comunismo, Milano, Garzanti, 2001. Per le reazioni suscitate dal libro di Mieli, M. Brambilla, Resistenza e revisionismo. La politica contro la storia, in <
risposta alle critiche mosse dagli storici ai suoi precedenti libri sull‟argomento. Pansa intendeva demolire il mito storiografico costruito dal vecchio Pci, che aveva portato all‟occultamento dei crimini partigiani per poter legittimare “nel segno della <
3. La storiografia e le donne dimenticate
In Italia, secondo il decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945, era dichiarato partigiano chi avesse portato le armi per almeno tre mesi in una formazione armata “regolarmente inquadrata nelle forze riconosciute e dipendenti dal Comando volontari della libertà”32, e avesse preso parte ad almeno tre azioni di guerra o di sabotaggio. Si trattava evidentemente di un filtro molto rigido, parte integrante del complesso meccanismo che ha portato alla rimozione del ruolo femminile nella Resistenza italiana. In questo lungo oblio un ruolo centrale l‟ha avuto il modello storiografico che per molti anni ha ispirato l‟interpretazione della Resistenza, e che è stato messo in discussione solo a metà degli anni ‟70, da una nuova corrente di studi condotti da donne. Le storiche allora negarono validità ad una lettura che aveva considerato la Resistenza esclusivamente sotto il profilo militare, trascurando la pluralità di forme in cui si era tradotta la lotta femminile. Venne rivisto persino l‟uso dei termini adottati e furono rifiutati quelli - come “contributo”, “partecipazione” - che evocavano per le donne un ruolo marginale o complementare.
29 G. De Luna, Resistenza: hanno vinto i revisionisti, in <
Sulla presenza femminile nella lotta contro il nazifascismo si è molto scritto negli anni successivi all‟apertura di questo dibattito storiografico33, evidenziandone l‟importanza e l‟ampiezza. Trentacinquemila partigiane combattenti, settantamila iscritte ai Gruppi di difesa della donna, quattromilaseicento donne arrestate e torturate, duemilasettecentocinquanta donne deportate nei campi di concentramento nazisti, cinquecentododici commissarie di formazioni partigiane, sedici medaglie d‟oro, diciassette d‟argento, seicentoventitré fucilate o cadute34 in combattimento sono le cifre, oramai note, di una presenza evidentemente significativa ma che non può essere misurata semplicemente con un parametro numerico. Nell‟adottare il punto di vista di genere, infatti, tale criterio apparirebbe assolutamente inadeguato, come ha sottolineato Marina Addis Saba, rifiutando questo “preteso indice di precisione”35. “I criteri di classificazione – ha scritto Addis Saba - sinora applicati al moto resistenziale di tutto un popolo, o di una larga parte di esso, sono stati sino ad ora criteri militari che hanno falsato la realtà”36. Inizialmente anche la storia della Resistenza fatta dalle donne e attenta alla dimensione di genere aveva applicato criteri tradizionali, valorizzando soprattutto la militanza femminile nelle file del movimento di liberazione, nella resistenza armata e nell‟organizzazione politica. La prima produzione storiografica, dunque, ha portato in evidenza un‟avanguardia di donne ma ha lasciato in ombra le azioni quotidiane svolte dalla maggioranza di esse. La presenza femminile nel moto resistenziale ha conosciuto infatti modalità molto ampie di articolazione, spesso talmente intrecciate con il quotidiano da essere state per questo sottovalutate. Quando si fa riferimento al peso che la gente comune ebbe nella resistenza al nazifascismo, dietro quel generico richiamo si occulta la prospettiva di genere, ovvero il fatto che la resistenza del popolo fu in gran parte quella delle donne, ovvero una “resistenza civile”, vissuta costantemente al confine tra sfera privata e pubblica. Il concetto di “resistenza civile”, coniato proprio per uscire dall‟impostazione riduttiva della storiografia ufficiale, e dar conto delle varie forme di resistenza diverse dalla partecipazione militare, fu dunque adottato dalle storiche. L‟uso di questa categoria ha consentito di rivelare come la presenza femminile fosse distribuita nei diversi settori della Resistenza. Non solo nello scontro armato o nel trasporto di armi e munizioni, ma anche nel lavoro di informazione, approvvigionamento e collegamento, nella stampa e nella propaganda, nell‟organizzazione sanitaria e ospedaliera, nel Soccorso rosso37. “Non vi fu
33 M. Ombra, Essere dentro la storia. Scelta politica di appartenenza di genere nell’esperienza partigiana, "Italia Contemporanea", n.198, marzo 1995. M. Ombra, Donne e Resistenza: una sconvolgente scoperta, in Contadini e partigiani, Atti del Convegno storico Asti, Nizza Monferrato, 14-16 dicembre 1984, Alessandria, Edizioni dell‟Orso, 1984. M. Addis Saba, Tutte le donne della Resistenza, Milano, Mursia, 1998. M. Addis Saba, Ma la storiografia ufficiale si dimentica delle partigiane, in <
attività – ha scritto Ada Gobetti38, fondatrice del primo Gruppo di Difesa della Donna39 a Milano – lotta, organizzazione, collaborazione, a cui ella (n.d.r. la donna) non partecipasse: come una spola in continuo movimento costruiva e teneva insieme, muovendo instancabilmente, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”40. Se parte della Resistenza fu vissuta dalle donne nelle molteplici forme del boicottaggio, della resistenza passiva, dell‟aiuto morale e materiale ai clandestini, senza che tali azioni fossero inquadrate in una strategia, e senza stabili contatti con formazioni partigiane, d‟altro canto per alcune di loro maturarono esperienze più propriamente politiche e organizzate. Fu il caso di chi, come Macciocchi, si avvicinò proprio in quella fase ai partiti politici, iniziando al loro interno un percorso che sarebbe proseguito nell‟impegno politico e istituzionale negli anni della Repubblica. Nel complesso il periodo della Resistenza fu una grande prova pubblica per le donne al punto che Marisa Ombra41 ha potuto affermare in proposito: “Il periodo 1944-46 è il momento fondativo della moderna storia politica delle donne”42. Sono le prime prove di attività politica femminile di massa. “Prima – ha raccontato Marisa Ombra - c‟erano stati i movimenti emancipazionisti, ma poi c‟è una rifondazione, parliamo di una storia di massa. Fu una pratica politica inventata perché nessuna di noi aveva esperienza politica. Fin dall‟inizio si presentano nodi teorici di cui si prenderà coscienza negli anni ‟70, alla nascita del femminismo e attorno a questi nodi teorici ci si combatte aspramente tra chi aveva seguito una linea emancipazionista e le altre”43. La prima forma di emancipazione, per Macciocchi, consistette nel trovarsi assieme agli uomini e poter discutere con loro alla pari. “La mia – scrisse – era una maturazione fantastica nell‟azione politica e come donna”44.
4. L‟incontro con i GAP45
38 Ada Prospero Marchesini Gobetti (Torino, 1902 –1968) fu un‟insegnante, traduttrice e giornalista italiana. Sposò Piero Gobetti e con lui lavorò alla rivista “Rivoluzione liberale”. Partecipò alla Resistenza. Nel 1953 diresse, con Dina Bertoni Jovine la rivista Educazione Democratica. Abbandonato il Partito D‟Azione aderì al PCI. A. Marchesini Gobetti, Diario partigiano, Torino, Einaudi, 1956 39 I Gruppi di Difesa della Donna si svilupparono soprattutto nel Nord e nel Centro Italia sotto l‟occupazione nazista. Tra i loro compiti quello di organizzare nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e nelle campagne la resistenza, il sabotaggio della produzione, il rifiuto dei viveri agli ammassi. Allo stesso tempo parteciparono all‟organizzazione dei C.L.N. locali e dei Comitati d‟agitazione nelle fabbriche, portando avanti rivendicazioni di carattere politico ed economico. 40 A. Gobetti cit. in M. A. Saba, Partigiane. Tutte le donne della Resistenza, cit., frontespizio 41 Marisa Ombra, proveniente da una famiglia operaia dell‟astigiano, è entrata giovanissima nella Resistenza. Fece parte dell‟Udi dal 1944 e in seguito ne divenne dirigente; è stata presidente della Cooperativa libera stampa, editrice del periodico Noi donne, e dell‟Associazione nazionale archivi Udi. Nel 2007 è stata insignita del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica. 42 M. Ombra, seminario tenuto presso la Scuola Dottorale di Scienze Politiche, sezione Questione femminile e politiche paritarie, Università degli Studi Roma Tre, 2 aprile 2007 43 Ivi 44Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 87 45 I GAP, Gruppi d'Azione Patriottica, nacquero su iniziativa del Partito Comunista Italiano, sulla base dell'esperienza della Resistenza francese. Erano articolati in piccoli nuclei di quattro o cinque persone e portavano avanti azioni di sabotaggio nei confronti delle truppe nazifasciste. Sui GAP romani e in particolare su una delle vicende più controverse legate alla loro esperienza, ovvero l‟attacco di via Rasella, si veda la ricostruzione del comandande GAP Rosario Bentivegna, protagonista dell‟assalto di via Rasella, Achtung Banditen!, Milano, Mursia, 1983, n. ed. 2004. E ancora sulla Resistenza a Roma M. Avagliano G. Le Moli, Muoio innocente. Lettere di caduti della Resistenza a Roma, Milano, Mursia, 1999. 17
“Dato che il partito non poteva fornirci un poligono di tiro, per esercitarci a sparare, con Maria Antonietta andavamo alle bancarelle di Piazza Navona”46. Così Rinaldo Ricci47, membro dei GAP romani, in seguito assistente regista di Luchino Visconti, ricorda oggi i giorni in cui lui e Macciocchi facevano “coppia” nell‟organizzazione romana della Resistenza. I due si conobbero all‟inizio degli anni ‟40, quando entrambi, giovani studenti, davano ripetizioni ai figli del ministro della Cultura, Pavolini. L‟antifascismo, per loro come per tanti altri giovani, era prima di tutto un fatto culturale, alimentato da letture vaste e spesso proibite, sintomo di un‟inquietudine delle coscienze cui il plumbeo clima culturale del regime non poteva dare risposte. “Ci influenzava la letteratura americana, ma anche Malraux, Marx”, ricorda Rinaldo Ricci. La condizione umana era stata infatti una lettura determinante per Macciocchi: “Ho letto La condizione umana di Malraux (…) Il fascismo ci aveva tenuto all‟oscuro di tutta la cultura straniera, eppure, chissà come, questo Malraux era stato tradotto”48. Il libraio era meta quotidiana per la giovane, che acquistava libri usati, spesso tenuti “sottobanco”, come nel caso dell‟autore francese che tanto la influenzò: “Solo Malraux mi aveva messo in rapporto con i comunisti”49. Fu Rinaldo Ricci invece a metterla materialmente in contatto con gli ambienti romani della Resistenza, e in primis con Guttuso50, che nel suo studio di via Pompeo Magno ospitava gli antifascisti. Come ha scritto Giorgio Galli nella sua Storia del Partito Comunista Italiano, i primi sintomi del risveglio di una coscienza politica durante la guerra erano giunti, già dal 40-41, proprio dagli intellettuali, in particolare quelli dell‟ambiente romano: Renato Guttuso, Ruggero Zangrandi51, Mario Alicata52, Pietro Ingrao53, Paolo Bufalini54, Aldo Natoli55, Fabrizio Onofri56, Marco Cesarini Sforza57, Antonello Trombadori58. Dopo il 25 luglio del ‟43 Guttuso aveva costituito un comitato
46 Testimonianza di Rinaldo Ricci 47 Rinaldo Ricci (Roma, 1923); è stato assistente alla regia di Luchino Visconti, Franco Zeffirelli e Billy Wilder. Nella sua filmografia ricordiamo con Visconti Il Gattopardo e Rocco e i suoi fratelli, con Franco Zeffirelli Romeo & Juliet. Ha partecipato alla Resistenza. 48 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 77 49 Ivi, p. 77 50 Renato Guttuso (Bagheria, 1911 – Roma, 1987) è stato un pittore italiano, esponente del cosiddetto realismo sociale, e uno dei più illustri nomi della cultura vicini al Partito comunista italiano. 51 Ruggero Zangrandi (1910-1970) è stato un giornalista e scrittore italiano. Si impone al largo pubblico negli anni Sessanta per le sue inchieste sul Sifar e per la sua ricostruzione della mancata difesa di Roma, nel 1943, da parte dello Stato Maggiore italiano. 52 Mario Alicata (Reggio Calabria, 1908 – Roma, 1966) è stato un giornalista e politico italiano. Ha partecipato alla Resistenza. Membro del Comitato centrale del PCI è stato uno dei più stretti collaboratori di Palmiro Togliatti. Ha diretto il quotidiano comunista <
pluripartitico per dare assistenza agli antifascisti in carcere, rappresentandovi il PCI. Macciocchi entrò in contatto con quest‟ambiente: incontrò Negarville59, Di Vittorio60, Giorgio Amendola61. Quest‟ultimo in particolare avrà un ruolo determinante nella vita di Macciocchi, sia dal punto di vista politico, sia personale, visto che diventerà suo cognato. Figlio di Giovanni Amendola62, Giorgio si era assunto il compito di seppellirne l‟eredità idealista liberale – scrisse Macciocchi – in nome dell‟ideologia ufficiale del PCI63. Giorgio Amendola era un politico accorto, estremamente realista, fedele a Mosca. Il partito doveva seguire la linea dettata dall‟URSS, il che in questa fase significava accreditarsi come leale agli occhi delle forze politiche democratiche e degli alleati. Per chi si formò politicamente in quel periodo la parola d‟ordine democratica era persino più forte del richiamo alla centralità del proletariato, temporaneamente passata in secondo piano. Con la svolta di Salerno Togliatti propose la collaborazione tra tutte le forze che volessero battersi per la libertà d‟Italia accantonando la pregiudiziale dell‟abdicazione del re. Nel frattempo la presenza delle truppe angloamericane sul territorio italiano veniva presentata dal PCI come la causa transitoria che impediva di portare avanti una linea rivoluzionaria. Si cominciava a parlare di attesa di “nuove più favorevoli condizioni di lotta per le situazioni future”64. Macciocchi intanto fu nominata responsabile delle donne della zona centrale di Roma, e si vide assegnare come primo compito la distribuzione de L’Unità65. In questa fase iniziale, nella distribuzione di materiali di propaganda, fu affiancata da una giovanissima Miriam Mafai, che ricordò in seguito: “Per tutti i mesi dell‟occupazione, continuammo a incontrarci, a distribuire volantini e l’Unità (…). Mi fece leggere Malraux e mi spiegò che i comunisti cinesi erano <
come <
Dopo l‟8 settembre 1943 si assisteva alla rinascita dei partiti politici, l‟opposizione antifascista si riorganizzava e nel settembre nasceva il CLN. Accanto a questo, al Nord, nascevano i Gruppi di difesa della donna. A Roma invece era l‟occupazione tedesca. Furono mesi interminabili e tragici per la città, durante i quali Macciocchi svolse tutti i compiti propri di una staffetta, facendo da tramite per operazioni militari e di sostegno ai partigiani. Accompagnò Giorgio Amendola, suo futuro cognato, in diversi rifugi, e come lui altri esponenti della rete clandestina, introducendoli in alloggi segreti dove sarebbero stati ospitati e tenuti al riparo. Così conobbe tra gli altri Sandro Pertini, avendo l‟incarico di accompagnarlo nell‟alloggio clandestino indicatole dal comando della zona67. Macciocchi operava al cuore di una rete femminile che aveva il suo territorio d‟azione nel centro della città, tra il Lungotevere, piazza del Popolo e piazza Colonna. “Il lavoro femminile nella quinta zona clandestina di Roma (…) non era difficile. Cercavo ragazze antifasciste disposte a svolgere un piccolo lavoro politico come la distribuzione dell‟Unità, o qualche volantino clandestino da sparpagliare per Roma, oppure disposte a stare nei posti di blocco sulle arterie stradali che uscivano da Roma, per contare i convogli militari che vi passavano”68. Le clandestine della zona centrale erano una quindicina, ed erano divise in due spezzoni: quello con compiti di propaganda e di sostegno alle famiglie degli antifascisti incarcerati e quello con compiti propriamente militari. Quest‟ultimo dipendeva in parte dal PCI, in parte dal CLN. Erano le partigiane più anziane, sulla quarantina, ad istruire le giovani come Maria Antonietta non solo sui compiti pratici di una staffetta, ma anche sui fondamenti teorici della lotta, trasmettendo alle ragazze rudimenti della filosofia marxista-leninista. La guerra ha spesso costituito per le donne un‟esperienza senza precedenti di responsabilità e libertà, legata alla conquista di spazi tradizionalmente riservati agli uomini, all‟apertura di nuovi orizzonti professionali, e spesso, come nel caso della Resistenza, alla partecipazione militare69. L‟attivismo femminile alterava la chiusura sociale ma anche “la rigidità dei modi di abbigliamento e di socialità borghesi”70. Si tratta spesso di un‟esperienza illusoria, poiché i mutamenti legati alla guerra sono limitati dal rafforzamento, pratico e simbolico, dei ruoli sessuali, oltre ad essere funzione di svariati parametri, quali il gruppo sociale, l‟età, la situazione familiare e naturalmente la storia individuale71. Nell‟autobiografia di Macciocchi si ritrova l‟immagine di una vera e propria trasfigurazione legata all‟esperienza resistenziale, in linea con altre testimonianze che ci rinviano un‟immagine di liberazione femminile legata alla fase del conflitto. Se infatti le donne sono spesso doppiamente travolte dalle guerre, divenendo oggetto di specifiche violenze di genere legate ai conflitti, in molte memorie si ritrova invece come elemento
67 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 85 68 Ivi, p. 88 69 Sulle donne e la guerra alcune considerazioni interessanti si trovano in F. Thébaud, La Grande Guerra, in Storia delle donne. Il Novecento, a cura di F. Thébaud. Bari, Laterza, 1997 “Gli anni della guerra hanno costituito per le donne un‟esperienza positiva, e persino – interrogativo provocatorio quant‟altri mai – un happy time?”, si chiedeva la storica francese analizzando l‟impatto della Grande Guerra sulla condizione femminile. Ivi, p. 42. La studiosa rileva come numerose fonti femminili ci rimandino quest‟immagine. L‟espressione “good time” è stata usata dalla femminista inglese C. Gasquoine Hartley in Women’s Wild Oats, mentre di “fine time” ha parlato L. Pruette. La propagandista inglese Jessie Pope e la romanziera americana Willa Cather hanno esaltato il rovesciamento dei ruoli sessuali. L‟Inghilterra di Harriot Stanton Blatch nel 1918 era un mondo di sole donne, che apparivano sicure nel loro spazio, capaci, felici, gli occhi brillanti. 70 Ivi, p. 46 71 Ivi, p. 49 20
comune l‟euforia per la liberazione provvisoria dalle regole e dai rigidi ruoli vincolanti in tempo di pace. Macciocchi descriveva in questi termini la sua liberazione: “Di quell‟epoca, mi resta il ricordo di giornate intense, e libere. Provavo la gioia assoluta di voltare le spalle a padre, sorelle, tutela casalinga. La mia emancipazione stava nel mescolarmi agli uomini, ai ragazzi, ai compagni, che avevo visto fino allora solo nell‟altra fila di banchi a scuola”72. Dunque fine della segregazione sessuale, della divisione dei ruoli, anche se solo apparente e transitoria. Il desiderio di emancipazione individuale, la volontà di scardinare un sistema di relazioni sociali soffocanti, appaiono come altrettante motivazioni importanti per comprendere il protagonismo delle donne in quel periodo. Il 15 febbraio 1944 Macciocchi riceveva l‟input per entrare nei gruppi di azione partigiana, i GAP73. Questi le apparvero come un gruppo di giovani borghesi sicuri, decisi, persino altezzosi. “Maria Antonietta la ricordo bene. Era sempre molto elegante. Ma soprattutto ero molto amica di sua sorella, che si chiamava come me. Aveva la mia stessa taglia, così ci scambiavamo i vestiti”74. Lucia Ottobrini, unica sopravvissuta delle quattro donne dei GAP romani, non ama ricordare i tempi della sua militanza partigiana. Lei e Macciocchi si conobbero nel ‟44, dividendo l‟esperienza partigiana a Roma. Quello di Ottobrini era un ruolo militare di primo piano75, mentre Macciocchi era una semplice staffetta. Eppure i loro futuri destini dicono molto sul bivio che si presentò alle donne subito dopo la Resistenza. Per alcune di loro l‟ingresso nella politica, all‟indomani della Liberazione, fu la prosecuzione necessaria di un impegno cominciato con l‟antifascismo e la lotta partigiana; l‟esperienza della clandestinità divenne veicolo di emancipazione, ma al tempo stesso la posta da gettare sul piatto della politica dei partiti per veder riconosciuto il proprio diritto di cittadinanza e di partecipazione politica. Per molte donne l‟ingresso nella Resistenza era stata la naturale conseguenza di un‟assunzione di responsabilità civica e politica non meditata ma avvertita come esigenza impellente, come imperativo categorico. “Ho sempre detto che noi non abbiamo scelto la politica, siamo state scelte dalle circostanze, dalla Storia. Ci siamo trovate in mezzo e ci è sembrato indispensabile impegnarci”76, ha raccontato Marisa Rodano77.
72 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 87 73 Ivi, p. 89 74 Testimonianza di Lucia Ottobrini 75 Lucia Ottobrini, nata a Roma nel 1924, entrò a far parte dei GAP all‟età di 18 anni assieme a Carla Capponi, Maria Teresa Regard, Marisa Musu. Tra le tante azioni alle quali ha partecipato, quella con Marisa Musu e Carla Capponi dinnanzi alla caserma dell‟81° Fanteria di via Giulio Cesare, per ottenere la liberazione dei civili arrestati; quelle per l‟approntamento dei campi di lancio per gli aerei alleati; l‟attacco ai fascisti in via Tomacelli; l‟attentato di via Rasella. Nel dopoguerra ha sposato il matematico Mario Fiorentini, allora studente e, durante l‟occupazione di Roma, comandante del GAP “A. Gramsci”. 76 Intervista di E. Selvi a Marisa Rodano, Donna TV 77 Marisa Cinciari Rodano (Roma, 21 gennaio 1921) è stata esponente del Partito Comunista Italiano, deputata, senatrice e parlamentare europea, dedicando gran parte del suo impegno alla condizione femminile in Italia e nel mondo. Ha partecipato alla Resistenza a Roma nelle fila del Movimento dei Cattolici Comunisti, e all'attività dei Gruppi di difesa della donna (GDD). E' stata tra le fondatrici dell'UDI e sua dirigente con vari incarichi, fino alla Presidenza nazionale, ricoperta tra il '56 e il '60. È stata la prima donna nella storia italiana a venir eletta alla carica di vicepresidente della Camera, che ha ricoperto dal '63 al '68. Ha fatto parte della delegazione italiana alla Conferenza mondiale della donna dell‟ONU a Pechino (1995) e alla Commissione per lo Status della donna dell‟ONU a New York dal '96 al 2000. Nel '44 ha sposato Franco Rodano da cui ha avuto cinque figli. 21
Per altre invece, chiusa la parentesi eccezionale della Resistenza, giustificata in qualche misura dallo stato emergenziale del Paese, si apriva un destino ordinario, legato al rientro nella sfera privata. Così Lucia Ottobrini ha deciso di non apparire nelle commemorazioni della Resistenza, di non rilasciare interviste, ha rinunciato a trasformare quella sua radicale esperienza di lotta in impegno politico, scegliendo di vestire i più tradizionali panni di moglie e madre. La Ottobrini simboleggia con la sua storia il riserbo e il silenzio delle tante donne che decisero di tornare nell‟ombra, di non rivendicare nulla, talora neppure un riconoscimento ufficiale. Il loro silenzio si unì a quello delle istituzioni, preparando la strada a un lungo oblio. La partigiana eroica, con la pistola nella borsetta, pronta a fulminare i nazisti, scompare discreta dietro la personalità incombente di suo marito, Mario Fiorentini78, cui da sempre ha lasciato il ruolo di narratore delle vicende di una coppia che fu tale nella vita come nell‟azione politico-militare. Fiorentini ricorda Macciocchi nel quadro degli amici di Luchino Visconti. “Tra i suoi amici (n.d.r. di Visconi) vi erano Rinaldo Ricci, del Liceo Tasso, con la sua fidanzata Maria Antonietta Macciocchi, Carlo Lizzani, Luigi Squarzina e Franco Ferri”79. Era Rinaldo Ricci, amico oltre che di Visconti anche di Fellini e Gianni Puccini, a condurre Macciocchi alle riunioni clandestine che si svolgono nella lussuosa villa del regista, sulla via Salaria. Ma la testimonianza di Fiorentini è preziosa anche per un‟altra ragione: chiarisce il ruolo militare di Macciocchi nell‟organizzazione e riporta alla luce un episodio mai raccontato dalla stessa Macciocchi, quello del suo coinvolgimento nel progetto, poi mutato, dell‟attacco al carcere romano di Regina Coeli. “Quando l‟organizzazione clandestina a Roma prese sviluppo – racconta – Rinaldo e Maria Antonietta furono al nostro fianco nello smistamento delle armi, bombe, esplosivi”. Dunque Ricci e Macciocchi erano stati scelti per far parte dell‟organizzazione militare, con l‟incarico di trasportare armi, proprio in virtù della loro giovane età e della loro aria molto rassicurante: “portavano borse da studenti a tracollo e nessuno sospettava che portassero armi”. Ma a parte il trasporto delle armi, Macciocchi partecipò alla preparazione di tre iniziative belliche, di cui solo la terza andò in porto, anche se lei non vi ricoprì alcun ruolo operativo. Vale la pena riportare di seguito la testimonianza inedita di Fiorentini, che ricostruisce uno spaccato interessante di uno dei momenti più duri della storia della Resistenza romana e che vede coinvolti personaggi di spicco: “Dopo i pedinamenti avevamo constatato che Bardi, Pollastrini80 e alcuni loro scherani, le bande fasciste che giravano per Roma, armate fino ai denti, con il teschio sulla fronte e due pugnali alla cintura ed anche bombe a mano, uscivano da Palazzo Braschi e si recavano in via dell‟anima, in una
78 Mario Fiorentini è nato a Roma il 7 novembre 1918. Partecipa alla lotta partigiana al comando del Gruppo di Azione Patriottica (GAP) "Antonio Gramsci". Autodidatta, nel 1971 diviene Professore ordinario di Geometria superiore all'Università di Ferrara 79 Testimonianza di Mario Fiorentini 80 Gino Bardi e Guglielmo Pollastrini diressero la polizia fascista repubblicana, avendo come sede operativa Palazzo Braschi, sede del Partito fascista repubblicano. Furono leader di una delle più violente tra le varie formazioni fasciste autonome che si segnalarono a Roma nel periodo dell‟occupazione nazista, nota come “Banda Bardi-Pollastrini” o “Banda di Palazzo Braschi”. Gli eccessi della formazione furono tali da costringere i tedeschi a scioglierla. Si veda Bardi e Pollastrini. La banda di Palazzo Braschi, Roma, Casa editrice San Basilio, 1944; S. d‟Amico, Regina Coeli, Palermo, Sellerio, 1994. A. Sciamanda, L’autunno nero del ’43. Fascisti e antifascisti a Regina Coeli, Firenze, Giunti, 1993 22
bettola per il pranzo. Io mandai Emilio Vedova81 e Giulio Turcato82 a mangiare in questa bettola per resocontarci quello che avevano visto. Il nostro progetto era di aspettare che questo gruppetto di ossessi uscisse da Palazzo Braschi ed entrasse nella trattoria. Una volta addentato il primo piatto Rinaldo e Maria83 comparivano fuori della porta, aprivano le borse di scuola e ci consegnavano bombe e pistole. Lucia84, Franco (giovane studente romano) ed io cominciavamo a sparare”. Tuttavia questo primo progetto fu scartato poiché Fiorentini si rese conto, in modo del tutto casuale, che all‟interno della sala del ristorante c‟era un secondo ingresso, che non era stato segnalato al momento del sopralluogo. Il secondo progetto era ancora più ambizioso: si tramava un attentato contro il ministro degli interni: “Buffarini Guidi85 saltuariamente, quando era a Roma, si recava a pranzare al Passetto, vicino a Piazza Navona. Noi prepariamo l‟attacco. Tre ciclisti appostati alle due uscite avrebbero aperto il fuoco e fulminato il ministro e le sue guardie del corpo. Lucia, Maria Antonietta e Rinaldo sarebbero stati gli elementi fiancheggiatori. Quando questo piano micidiale stava per scoccare e giungere a buon porto, ci venne dall‟organizzazione militare della Quarta Zona, comandante Mario Leporatti, l‟ordine di soprassedere, con motivazioni per me non convincenti, alle quali però era giocoforza obbedire”. Di conseguenza anche il secondo piano fu scartato. Secondo la ricostruzione di Fiorentini, dunque, Macciocchi confonderebbe i due episodi, che nell‟autobiografia diventavano un solo ricordo. In Duemila anni di felicità si ricostruiva un attentato pianificato contro il federale fascista di Roma nel ristorante Il Passetto. Nella versione di Macciocchi, inoltre, il piano era scartato all‟ultimo istante perché il giorno dell‟attentato il federale non si presentava al consueto ristorante, essendo stato invitato a mangiare dai tedeschi. Macciocchi fu presente, secondo il racconto di Fiorentini, anche nella pianificazione di un terzo piano di guerriglia, ovvero l‟attacco a Regina Coeli: “Antonello Trombadori – racconta ancora Fiorentini – comandante dei GAP centrali mi incontra a metà dicembre e mi dice: a Regina Coeli sono trattenuti esponenti importanti della Resistenza, dobbiamo far sentire loro che fuori l‟opposizione alla Guerra e ai nazifascisti è forte. Prepara un attacco dimostrativo al Carcere di Regina Coeli”86. Ed ecco il piano: “Tre coppie e dei ciclisti avrebbero effettuato un‟azione durante il cambio della guardia. Arrivava davanti al carcere, verso le 12, un camion con ventisei militari tedeschi, fucile sulle ginocchia. Ventisei salivano e ventisei scendevano. I tre gruppi erano Fiorentini-Ottobrini, Bentivegna-Capponi, Di Lernia-Ricci-Macciocchi, che avrebbero attaccato i tedeschi nel momento in cui si effettuava il cambio. Poi i ciclisti seguendo tre percorsi diversi si sarebbero dileguati e nel trambusto gli altri compagni si sarebbero allontanati”. Tuttavia in un secondo momento Fiorentini cambiò idea e decise che l‟operazione era troppo
81 Emilio Vedova (Venezia, 1919 –2006) è stato uno dei maggiori pittori italiani del dopoguerra. 82 Giulio Turcato (Mantova, 1912 – Roma, 1995) è stato un pittore italiano. 83 Rinaldo Ricci e Maria Antonietta Macciocchi 84 Lucia Ottobrini 85 Guido Buffarini Guidi (Pisa, 1895 – Milano, 1945) è stato un politico italiano. Nel 1938 è sato tra i firmatari del Manifesto della razza, in appoggio alla promulgazione delle leggi razziali. Membro del Gran Consiglio del Fascismo, il 25 luglio del 1943 votò contro l'Ordine del giorno Grandi, con la cui approvazione fu destituito Benito Mussolini. Il 26 luglio fu arrestato e recluso nel carcere di forte Boccea dal quale fu liberato in settembre dalle autorità tedesche. Seguì Mussolini nella fondazione della Repubblica Sociale Italiana, di cui fu Ministro degli Interni fino al 12 febbraio del 1945. Sollevato dall‟incarico dallo stesso Mussolina fu in seguito sostituito da Paolo Zerbino. Catturato dai partigiani il 26 aprile 1945, processato e condannato a morte da una Corte d'Assise straordinaria, fu assassinato prima che la sentenza potesse essere regolarmente eseguita. 86 Testimonianza di Mario Fiorentini 23
rischiosa; anche se preparata alla perfezione, infatti, sarebbe stata esposta a rischi di fallimento e dato il numero elevato di persone coinvolte e il loro ruolo nell‟organizzazione, l‟intersa rete rischiava di essere smantellata. Decise dunque di portare avanti da solo l‟operazione, come infatti avvenne87.
5. A Sud! Il lavoro tra le donne e il modello femminile nel PCI
Il 4 giugno del „44 gli alleati entrarono a Roma. Era la fine di un incubo. Macciocchi nel frattempo si era legata a Pietro Amendola88, fratello minore di Giorgio. I due si sposarono il 29 giugno del ‟44 a Roma89, in una cerimonia celebrata in Campidoglio, quindi si trasferirono a Salerno. “Salerno era una brutta città, tutta lebbrosa per le rovine della guerra” 90, ricorderà Macciocchi. La sede del PCI era misera, i pasti, consumati a casa di qualche famiglia di compagni, erano magri. Macciocchi, per fare fronte alle spese, aveva venduto alcuni gioielli di famiglia. Ma in quegli anni, malgrado tutte le difficoltà materiali legati alla povertà del Sud, c‟era lo slancio di creare qualcosa di completamente nuovo, gettando le basi della vita democratica nell‟Italia liberata: “Noi intraprendevamo quell‟opera entusiasmante di fondare il partito, tornato legale, in decine, in centinaia di comuni, con l‟apertura delle nostre sedi sovrastate da falce e martello (…)”91. Nel 1946 Pietro Amendola divenne segretario della Federazione del PCI a Salerno, quindi tra il 1947 e il ‟48 fu vicedirettore del quotidiano di Napoli La Voce. Cominciò lì, tra le due città, nel cuore del Sud monarchico e tradizionalista, diffidente verso le donne, la vera e propria attività politica di Macciocchi. Fu l‟inizio di un amore destinato a durare una vita, quello per il Mezzogiorno sottoproletario, da riscattare e conquistare alla democrazia, alla Repubblica. Oltre vent‟anni dopo, a Napoli Macciocchi fu per la prima volta candidata alla Camera dei Deputati nelle fila del PCI. Al Sud tornerà infine con i suoi ultimi scritti, per scavare nella storia di Napoli e identificarsi con l‟eroina rivoluzionaria Eleonora Fonseca Pimentel che due secoli prima aveva scelto di parlare al popolo napoletano per conquistarlo agli ideali di progresso e libertà. Fu Togliatti in persona, in un incontro che Macciocchi ha ricostruito nelle Lettere dall’interno del PCI a Louis Althusser, ad indirizzarla al lavoro femminile, invitandola a fare riferimento a Maddalena Secco, dirigente proveniente dalle file dell‟emigrazione92. Macciocchi incarnava la giovane generazione proveniente dalle scuole, dalle università, dalla partecipazione, sia pure in ruoli minori, alla lotta antifascista. Una generazione che,
87 L‟attacco fu realizzato il 28 dicembre 1943 da Mario Fiorentini. Fiorentini arrivò in bicicletta all‟ingresso del carcere, dove una colonna di tedeschi stava effettuando il cambio della guardia, con un un tubo di ferro riempito di esplosivo che poco prima aveva ricevuto da Carla Capponi (di copertura con Lucia Ottobrini, Franco di Lernia e Rosario Bentivegna). Posò la bicicletta, si avvicinò al muro che delimitava la strada antistante la facciata del carcere, lanciò l‟esplosivo. Otto tedeschi morirono per la deflagrazione, altri restarono feriti. 88 Nato a Roma nel 1918, ultimo dei figli di Giovanni Amendola, Pietro Amendola fu un attivo antifascista ed esponente del P.C.I. Per la sua attività contro il regime, nel gennaio 1940 fu condannato dal Tribunale speciale a 10 anni di reclusione. Liberato il 18 agosto 1943, dopo la caduta del fascismo, si impegnò nell‟organizzazione della Resistenza nel Lazio. Dopo la liberazione, nel 1946, fu Segretario della Federazione comunista di Salerno e, dal 1946 al 1948 redattore del quotidiano “La voce” di Napoli. Sarà per diverse legislature deputato del P.C.I. (Enciclopedia dell‟antifascismo e della Resistenza, Milano, La Pietra, 1968, vol. I, p. 55). Pietro Amendola è morto il 7 dicembre 2007. 89 Atto di matrimonio Maria Antonietta Macciocchi e Pietro Amendola, Archivio Macciocchi 90 Macciocchi, Lettere dall’interno del PCI a Louis Althusser, Milano, Feltrinelli, 1969, p. 132 91 Ivi 92Macciocchi, Lettere dall’interno del PCI a Louis Althusser, cit., p. 134 24
correttamente instradata dal vecchio gruppo dirigente, avrebbe dovuto rappresentare la forza vitale del partito nuovo togliattiano. Quanto alle istruzioni su come condursi nell‟azione politica, il Partito non lasciava alcun vuoto: a ciascun responsabile di sezione o cellula giungevano puntuali i materiali destinati a istruire i militanti sui temi più disparati. Accanto alle questioni di carattere generale, i materiali di propaganda riservano sempre uno spazio dedicato al lavoro fra le donne. Questo era un nodo centrale per il Partito comunista che, mirando a diventare un partito di massa e a raccogliere nelle sue fila gli elementi più avanzati del popolo, non lasciava al caso la conquista delle masse femminili, ma la programmava attraverso precise direttive, con l‟ausilio di una struttura organizzativa molto articolata e precisa. Già nel 1944, nelle zone liberate, oltre ai comitati direttivi di Sezione e Federale misti, era previsto il Comitato di lavoro responsabile delle iniziative e realizzazioni tra le masse femminili, un lavoro che spesso era condotto assieme alle donne indipendenti o di altri partiti. La situazione organizzativa femminile poteva variare da sezione a sezione e prevedere in molti casi anche la separazione per sesso nei Comitati di sezione, nel qual caso si stabiliva una figura di collegamento tra il Comitato femminile di sezione e il resto del Partito. Tra i primi dati rilevanti fu l‟apertura dei comunisti alle donne cattoliche. La fede religiosa non poteva essere un elemento ostativo nel momento in cui si cercava il consenso del maggior numero di donne. E del resto tra le due Chiese si verificava una convergenza sostanziale nella costruzione dei ruoli sessuali. Togliatti, coerentemente con la visione marxista, individuava la principale causa dell‟arretratezza delle donne italiane nell‟arretratezza dei rapporti economici e quindi di quelli civili che regnavano nel Paese, mentre la religione cattolica andava assolta. Nel parlare alle donne e nel cercare dei modelli femminili da indicare loro, il leader comunista non trovò di meglio che le sante cattoliche come esempio, “le sole donne che ebbero una personalità marcata, inconfondibile”93. Il modello delle sante cattoliche era funzionale al discorso del PCI, e aveva un valore transgenerazionale: l‟allora segretario dei giovani comunisti, Enrico Berlinguer indicava “come esempio di rigore morale Maria Goretti, la giovane che aveva preferito morire piuttosto che subire una violenza sessuale e che per questo sarà beatificata”94. Nella pedagogia delle comuniste nell‟Italia nel secondo dopoguerra confluivano dunque la visione tradizionale del rapporto tra i sessi, pesantemente influenzata dalla morale cattolica, e la concezione sovietica della donna quale sarebbe culminata nella legislazione degli anni Trenta, basata sull‟esaltazione della famiglia, i premi alle madri prolifiche e il rifiuto dell‟aborto. La comunista esemplare era una perfetta militante ma al tempo stesso una buona moglie e madre, casta, fedele e votata all‟unità della famiglia. Ciò detto, innegabilmente il richiamo dei comunisti alla militanza politica, rivolto alle donne, rappresentò un elemento fortemente innovatore rispetto alla tradizionale organizzazione sociale delle relazioni tra i sessi. Le donne erano invitate alla partecipazione attiva nella sfera pubblica, con tutti i timori e le resistenze che ne conseguivano tra gli uomini, terrorizzati dallo spettro del focolare deserto. Il problema principale che si poneva, nel momento in cui il partito di massa apriva le sue porte alle donne, era quello delle resistenze familiari, degli uomini e delle donne stesse. “Le esperienze recenti del lavoro tra donne nelle zone liberate dai tedeschi – si legge in un
93 L’Emancipazione femminile. Discorsi alle donne di Palmiro Togliatti, cit, p. 35 94 M. Mafai, Botteghe Oscure, addio. Com’eravamo comunisti, Milano, Mondadori, 1996, p. 77 25
Bollettino interno del partito dell‟epoca – hanno dimostrato che molte di esse sono restie ad entrare nelle cellule comuniste miste, che gli uomini stessi tendono non di rado ad ostacolare l‟iscrizione delle loro figlie e mogli nelle cellule miste”95. Dunque anzitutto occorreva rassicurare le famiglie circa la compatibilità tra l‟esercizio dell‟azione politica per le donne e l‟espletamento dei loro doveri di mogli e madri. La costituzione di corpi separati femminili, proposta ufficialmente da Togliatti nel ‟44, affondava le sue radici nella precedente politica del Partito. Sin dalla Prima Conferenza delle donne comuniste, che si era svolta a Roma nel marzo 1922, si era affermata la prassi di un‟attività femminile separata e il Partito organizzava riunioni separate per le donne affinché i loro problemi specifici potessero essere affrontati più liberamente. Il lavoro femminile era considerato molto importante per il Partito, ma al tempo stesso si affermava la necessità di una ferma direzione da parte degli organi dirigenti. Non a caso il primo responsabile del lavoro femminile fu Ruggero Grieco96, cui faceva capo anche la prima pubblicazione collegata alle attività delle donne comuniste: il quindicinale <
95 Bollettino interno della Federazione napoletana del partito comunista italiano, n. 1, settembre 1944, pp. 8-9 96 Ruggero Grieco (Foggia, 1893 – Massa Lombarda, 1955) è stato tra i fondatori, nel 1921, del Partito Comunista d'Italia. Partecipò attivamente, come componente della frazione capeggiata da Amedeo Bordiga, alla scissione di Livorno. Abbandonate, dopo qualche anno, le posizioni di Bordiga, si schierò con Antonio Gramsci, che gli affidò il compito di organizzare la sezione agraria e, insieme a Giuseppe Di Vittorio, fondò l'Associazione di difesa dei contadini poveri. Condannato durante il fascismo a 17 anni di carcere, divenne in seguito uno dei più influenti dirigenti del Partito comunista. Eletto nell'Assemblea costituente nel 1946, nella Repubblica italiana divenne senatore nel 1948, mantenendo la sua carica fino alla morte. 97 Ivi, p. 9 98 Luciana Viviani (Napoli, 1917) ha militato nell‟antifascismo e partecipato alla Resistenza, ottenendo la croce al merito di guerra; E‟ stata più volte deputata per il Partito comunista italiano. Fa parte dell‟Unione Donne Italiane fin dalla sua fondazione. 99 Piano di lavoro della Commissione femminile della Federazione comunista napoletana nei mesi di marzo- maggio. Documento non datato ma presumibilmente 1945, come si ricava dal riferimento alla campagna tesseramento per l‟anno 1946 100 Era l‟organismo esecutivo di tutto il lavoro di direzione delle masse femminili, composto di cinque o sei delle migliori attiviste, ciascuna con una branca particolare dei lavoro. Era organizzata in ogni sezione e si riuniva almeno una volta alla settimana 26
Le prime attività cui le donne dovevano dedicarsi erano la campagna di reclutamento e l‟organizzazione di un Convegno femminile provinciale. Troviamo in questo documento la previsione di un Comitato per la salvezza dei bimbi di Napoli, che presto fu costituito e in cui Macciocchi ebbe un ruolo centrale, come vedremo nel prossimo paragrafo. Tra l‟altro nel testo si fa riferimento alla necessità di “concretizzare sul piano organizzativo la larga influenza conquistata fra le mamme costituendo l‟associazione mamme napoletane”103. Si pianificava inoltre l‟attività tesa a stabilire contatti con le più importanti categorie femminili, dedicando a ciascuna di queste una “Giornata”. Erano in programma le giornate della casalinga, dell‟impiegata, dell‟operaia, della maestra, della contadina, della commessa. Le giornate, lungi dall‟essere una semplice celebrazione della categoria, erano concepite come giornate di lotta, in vista delle quali sarebbero stati raccolti dei quaderni con le rivendicazioni delle varie categorie. Macciocchi in questo quadro portava avanti il suo lavoro con le donne e i bambini a Salerno, interrompendo le sue attività per poco, durante la nascita della figlia, Giorgina104, il 30 marzo 1945. Macciocchi organizzò una delle prime colonie marine al Sud per i ragazzi. Così si congratulava con lei Rita Montagnana105: “E‟ un grande successo. Come vedrai da “Noi Donne” di colonie nell‟Italia centrale se ne sono costituite molte, ma nel Sud quasi nessuna”106. La Montagnana lodava Macciocchi anche per il lavoro condotto fra i reduci e per le altre iniziative legate alla propaganda, come le riunioni nei caseggiati popolari, in linea con le direttive del Partito che invitavano ad impegnarsi per arrivare ovunque. Rispetto a questo tema la lettera della Montagnana testimonia anche la natura dei rapporti tra le donne comuniste e il CIF, Centro italiano femminile, ovvero la principale organizzazione femminile cattolica, all‟indomani della Liberazione: “Ti dirò solo che noi facciamo tutto il possibile per lavorare insieme alle donne del CIF, anzi, in alcuni casi, come a Ravenna, per esempio, sono le dirigenti stesse del CIF che appena costituita l‟organizzazione chiedono di lavorare con noi”107. Tuttavia non sempre il rapporto con le donne cattoliche era così lineare ed armonioso, specialmente nelle aree in cui i cattolici erano particolarmente forti.
6. Un treno per vivere
Per Macciocchi quelli a Sud furono anni di militanza intensa, ma anche di studio e di amicizie intellettuali, come testimonia la corrispondenza privata del periodo. Nell‟agosto
101 Vengono creati gruppi di caseggiato che si riuniscano periodicamente e vengono sviluppati avendo in prospettiva la costituzione delle cellule femminili, Ivi 102 “Ci si propone di costituire circoli femminili con sede propria che svolgano una complessa attività di massa”, Ivi 103 Ivi 104 Giorgina Amendola vive a Roma, dove ha insegnato Storia dell‟Arte al liceo Mamiani 105 Rita Montagnana Togliatti (Torino, 1895 – Roma, 1979) è stata esponente e parlamentare del Partito Comunista Italiano, cui aderì sin dalla sua fondazione. Nel 1924 sposò Palmiro Togliatti e fu costretta alla clandestinità, espatriando in Unione Sovietica e alternando lunghe presenze in Francia e Svizzera. Fu in Spagna tra il 1936 e il 1938, nel corso della guerra civile. Rientrò in Italia nel maggio 1944, e dopo la liberazione di Roma fu dirigente della sezione femminile del PCI e fondatrice dell'Unione Donne Italiane (UDI). Fu senatrice nella I legislatura, eletta in Emilia- Romagna. 106 Lettera di R. Montagnana a Macciocchi, Roma, 13 agosto 1945, Archivio Macciocchi 107 Ivi 27
1944, da Nocera Inferiore, Domenico Rea108 le scriveva: “A lei io non devo poco: la speranza di un mondo migliore femminile in me quasi assopita, e perciò le dedico “Il perimetro del sogno”, che simboleggia le mie due cadute: la fanciullezza e l‟amore”109. Il biglietto si accompagnava a quattro brevi racconti (ma solo tre sono stati conservati in archivio), parte di un nuovo lavoro appena intrapreso dallo scrittore. Sul piano politico i primi anni mesi dell‟attività di Macciocchi furono dominati dalla campagna per la Repubblica. Una battaglia disperata, tesa alla conquista delle masse - specialmente femminili - tenacemente ancorate all‟ideale monarchico. La contraddizione tra la miseria delle masse affamate e cenciose e il loro attaccamento al ritratto di famiglia dei Savoia, sfarzoso e distante, colpiva con violenza la donna che cercava di far breccia nel cuore e nella mente del sottoproletariato salernitano. Nel quartiere delle Fornelle il 2 giugno non ci fu un solo voto contro il Re110. Tuttavia la monarchia uscì sconfitta dalle urne del 2 giugno. Il lavoro di Macciocchi fu riconosciuto da Togliatti, che le affidò il compito di organizzare un “Comitato per la salvezza dei bambini napoletani”. Il comitato era presieduto da Giorgio Amendola e ne facevano parte liberali e democratici; Macciocchi ne era segretaria. Era un compito duro, che si proponeva di alleggerire la miseria di tante famiglie meridionali, impossibilitate a sfamare i propri figli, spedendo questi ultimi presso le famiglie contadine dell‟Emilia Romagna, meno provate dalla guerra. I bambini vi soggiornarono qualche mese, per poi tornare a casa loro in miglior salute. Scopo non secondario dell‟azione era conquistare le madri monarchiche al Partito comunista. Ottenuta dalla Prefettura di Napoli la concessione dell‟Albergo dei poveri, Macciocchi mise in piedi la base del Comitato, provvedendo all‟organizzazione dei treni e alla spedizione dei bambini. Ad aiutarla, tra gli altri, l‟editore Gaetano Macchiaroli111. A questa vicenda, che testimonia la generosità dell‟Italia nel periodo della ricostruzione, la solidarietà tra Nord e Sud di un Paese lacerato da molte fratture, Fernanda Macciocchi, sorella di Maria Antonietta, divenuta scrittrice, dedicò nel 1954, il romanzo Treno speciale112. Migliaia di madri napoletane impararono in quei giorni a familiarizzare con i comunisti, a fidarsi di loro. “Questi treni di bambini – ha scritto Miriam Mafai – che dal Sud vanno verso il Nord sono il segno di un‟Italia che comincia a riconoscersi, e a stabilire una comunanza di lotte che resisterà a lungo nel tempo”113.
7. Cittadine nuove di zecca, ovvero l‟alba della democrazia in Italia
Se è vero, come ha scritto Ginevra Conti Odorisio, che gli anni del secondo dopoguerra, inizio ufficiale della storia repubblicana, non sono stati particolarmente rilevanti ai fini della storia della questione femminile e del pensiero femminista nell‟Italia del Novecento114, è comunque in quel periodo, come la stessa autrice ricorda, che attraverso la partecipazione di 21 donne all‟elaborazione della nostra Carta costituzionale si
108 Domenico Rea (Napoli, 1921 – Napoli, 26 gennaio 1994) è stato uno scrittore e giornalista italiano. 109 Lettera di D. Rea a Macciocchi, 26/08/44, Archivio privato 110 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 118 111 Gaetano Macchiaroli (1920 - 2005) è stato un intellettuale antifascista, editore italiano ed animatore culturale della sinistra partenopea. Fondò nel 1945 la casa editrice Gaetano Macchiaroli editore. 112 F. Macciocchi, Treno speciale, Firenze, Vallecchi, 1954 113 M. Mafai, L’apprendistato della politica, Roma, Editori Riuniti, 1979, p. 141 114 G. Conti Odorisio, Ragione e tradizione, Roma, Aracne editrice, 2005, p. 215 28
gettarono i primi semi di quella giustizia sociale e parità dei diritti destinati a germogliare solo nei decenni successivi115. Con l'ingresso di 44 donne in Parlamento, nella prima legislatura, cominciò all'interno delle istituzioni la battaglia femminile per dare sostanza a quei principi solennemente sanciti dalla Costituzione italiana e renderli effettivi per i cittadini di entrambi i sessi. In questa fase i partiti politici furono chiamati a confrontarsi per la prima volta con una presenza femminile riconosciuta, almeno formalmente, all‟interno della comunità politica, e ad adattarvi le proprie strategie elettorali, comunicative, il proprio discorso pubblico e l‟organizzazione interna. La vita nei luoghi della politica non era semplice per le donne che vi si affacciavano per la prima volta, trovandosi a contatto con le regole di un mondo fino a quel momento esclusivamente maschile. Nel valutare l'azione politica delle prime donne impegnate nelle istituzioni politiche italiane – così come in altri ambienti tradizionalmente loro preclusi - occorre sottolineare le specifiche difficoltà legate a quel particolare tirocinio politico che fu all'ingresso nelle istituzioni e negli apparati116. Per alcune di queste donne l‟esperienza all‟interno dei partiti era stata preceduta dal tirocinio politico della Resistenza. La Seconda Guerra mondiale ha rappresentato uno spartiacque nel cammino femminile attraverso il Novecento. Ci si lasciava alle spalle il ventennio nero che aveva tentato di asservire le donne ai propri fini ideologici e politici, normandone l‟esistenza alla luce del supremo fine di espansione demografica e militare. Le masse femminili come macchina da riproduzione della forza lavoro e soprattutto di quella militare, ma anche come uditorio privilegiato per il Duce, che ad esse indirizzava una parola carica di significati simbolici e persino di erotismo117. Riprendendo la descrizione di Brecht del fascismo come rapporto di paura e sottomissione all‟Eros, come espressione dello sfruttamento sessuale esistente tra il protettore e la donna118, Macciocchi individuò l‟eros, l‟irrazionale, come la forza che conquistò una parte delle masse femminili al fascismo. Il consenso femminile al regime autoritario, quel legame del tutto particolare tra le donne e il capo carismatico che parlava loro come simbolico sposo e fecondatore, analizzato da Macciocchi nei suoi scritti, alla luce di Gramsci, Freud e Reich, fu a lungo rimosso dalla storiografia ed assente dall‟elaborazione femminile. Il Regime che, con la benedizione della Chiesa cattolica, le aveva fatte spose e madri, consacrate dalla retorica e inchiodate dal diritto, le trascinò poi in una guerra devastante, che ne fece tante vedove, orfane e madri di figli dispersi o caduti sul campo. Ma anche, malgrado l‟indefesso lavoro di conquista degli animi durato vent‟anni, eroiche protagoniste della Resistenza e future protagoniste della vita politica del Paese.
115 Ivi, p. 215 116 M. De Leo, F. Taricone, Le donne in Italia. Diritti civili e politici, Napoli, Liguori, 1992, p. 213 117 Macciocchi, La donna nera: consenso femminile e fascismo, Milano, Feltrinelli, 1976 Si veda anche Macciocchi, Sette tesi sulla sessualità femminile nell’ideologia fascista in Le donne e i loro padroni, Milano, Mondadori, 1980, p. 78 118 B. Brecht, Ecrits sur la politique et la société, cit. in Macciocchi, Sette tesi sulla sessualità femminile nell’ideologia fascista, cit., p. 78 29
CAPITOLO II <
1. La stampa in Italia nel secondo dopoguerra
Al termine del conflitto, dopo un ventennio di dura repressione, la stampa in Italia riacquistò la propria voce. Il dissenso non aveva mai taciuto del tutto durante il fascismo: la stampa antifascista aveva continuato ad uscire, in clandestinità o all‟estero. Nell‟Italia devastata dalla guerra la ripresa delle attività economiche fu lenta e problematica, condizionata dalle distruzioni materiali. In molti casi il problema non era soltanto quello della distruzione causata dai bombardamenti aerei o delle requisizioni dei macchinari, trasportati in Germania dai nazisti, ma anche l‟usura dei mezzi di produzione che per molto tempo non avevano potuto essere rinnovati, né mantenuti in efficienza. In generale il processo industriale al termine della guerra si trovava in uno stato di arretratezza, invecchiato e con costi elevati, anche rispetto agli altri Paesi europei1. Il settore editoriale non faceva eccezione: soffriva oltretutto per le interruzioni nel sistema dei trasporti, gravemente danneggiato dalla guerra. Nella fase del conflitto successiva alla caduta del fascismo le tre Italie, quella del Sud occupata dagli Alleati, quella centrale sotto il dominio tedesco fino all‟estate del ‟44 e quella del Nord, teatro, fino al 1945, dello scontro tra partigiani, fascisti della Repubblica di Salò e nazisti, erano tre realtà divise anche sul piano della comunicazione e dell‟informazione. La “guerra delle onde” aveva visto da un lato le stazioni radio del Regno del Sud e dall‟altro le emittenti organizzate da fascisti di Salò e tedeschi. Fu il Sud liberato che per primo tornò a pubblicare i giornali. Per lo più si trattava di semplici fogli, prodotti con pochi mezzi, la cui uscita era promossa e controllata dal Psychological warfare branch, organismo facente capo alle forze militari alleate, che tra i suoi compiti aveva quello di “pilotare” il ritorno alla libertà di stampa, vigilando strettamente sui contenuti2. Il Pwb ostacolò la riapertura delle testate che si erano maggiormente compromesse col fascismo; ad esempio a Napoli non fu consentita l‟uscita di quotidiani come <
1 F. Chabod, L’Italia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961, p. 177 2 P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 185 30
periodici, con Milano come capitale dell‟editoria. L‟editore Rizzoli pubblicava <
2. Spedita a Roma
Da Salerno la coppia Macciocchi-Amendola si era trasferita nel „47 a Napoli, dove andò ad abitare al Vomero, al numero 15 di Piazza delle Medaglie d‟Oro. Pietro Amendola aveva assunto la vicedirezione del quotidiano <
3 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 124 31
sentimentale tradiva la seduzione che su Macciocchi avrebbero sempre incarnato i “ribelli”, gli antiborghesi ostili ad ogni disciplina, foss‟anche infine quella di un partito. La stessa rabbia diretta verso una rivoluzione assoluta l‟avrebbe ritrovata nei giovani del maggio francese, quindi negli indiani metropolitani del ‟77 e in entrambi i casi avrebbe scelto loro contro l‟istituzione-PCI. Nel 1948, Pietro Amendola veniva eletto deputato per il Partito comunista italiano e partiva per Roma. L‟incontro con Jacoviello consentì a Macciocchi di sperimentare in prima persona i pervasivi meccanismi di controllo del Partito sulla vita privata dei suoi militanti. Secondo la ricostruzione di Duemila anni di felicità, appena iniziata la relazione con Jacoviello, Macciocchi seguì il consiglio dell‟amante e decise di confidare il suo innamoramento alla Federazione napoletana del PCI. Cacciapuoti4, il mitico dirigente operaio al vertice della Federazione, stalinista duro e puro noto per il rigore e l‟austerità della sua direzione, tentò invano di dissuadere Macciocchi dall‟idea di lasciare Amendola. Sconfitto, il segretario federale le intimò di lasciare Napoli per non creare scandali. Giorgio Amendola, d‟intesa col Partito, tenuto conto delle doti di scrittrice di Macciocchi e della necessità di allontanarla da Napoli a seguito dello scandalo, la invierà a Roma, alla redazione di <
3. Il catechismo di una rivoluzionaria: la cornice teorico-politica
L‟impegno politico-intellettuale di Maria Antonietta Macciocchi, il suo operato come giornalista negli anni Cinquanta non possono essere compresi se non nella cornice teorica del marxismo e alla luce del modo in cui il Partito Comunista Italiano affrontava la questione femminile8. Questa, nella logica marxista, non poteva essere considerata un
4 Salvatore Cacciapuoti, ex operaio metallurgico, condannato a sei anni di carcere sotto il fascismo, diresse il Partito Comunista a Napoli 5 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 126 6 Lettera di Pietro Amendola a Macciocchi, 27/05/50, Archivio Macciocchi 7 Ivi, pp. 125-126 8 Sul rapporto tra marxismo e femminismo esiste un‟ampia letteratura internazionale impossibile da ricostruire in modo esauriente in questa sede. Rinviamo a F. Collin, E. Pisier, E. Varikas, Les femmes de Platon à Derrida, Paris, Plon, 2000, pp. 544 e ss. L. Sargent, Women and Revolution. The un happy mariage of marxism and feminism, London, Pluto Press, 1981. Sull‟approccio dei comunisti italiani alla questione femminile si vedano A. Tiso, I comunisti le la questione femminile, Roma, Editori Riuniti, 1976 e N. Spano, F. Camerlenghi, La questione femminile nella politica del 32
problema a sé stante, ma andava collocata nell‟ambito dell‟impegno per il rovesciamento del sistema capitalistico e per l‟affermazione di una società socialista. Per il marxismo la condizione di oppressione delle donne discendeva infatti essenzialmente dal modo di produzione capitalistico, e la loro emancipazione sarebbe passata per una trasformazione dei rapporti economici: “Si tratta – scrivono Marx ed Engels nel Manifesto – appunto di abolire la posizione delle donne come semplici strumenti di produzione”9. Il PCI, dal canto suo, attribuiva “un sostanziale valore programmatico alla lotta per l‟emancipazione femminile, parte integrante della lotta per la democrazia e il socialismo”10. La seconda internazionale, che ebbe tra i suoi fondatori Engels e Bebel, aveva posto fra i propri compiti il raggiungimento della parità tra i sessi, ma concretamente si impegnò soprattutto per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle proletarie. Sul piano dell‟elaborazione teorica furono determinanti le idee di Lenin, che in più occasioni si pronunciò sulla condizione femminile oltre che su temi quali il costume, il matrimonio, la sessualità, la divisione del lavoro domestico. Lenin era consapevole della sopravvivenza, anche nella società comunista, di mentalità, usi e consuetudini antichi e profondamente radicati. Denunciò la riottosità degli stessi comunisti a modificare la propria concezione del rapporto tra i sessi: “Pochissimi uomini – anche tra i proletari – si rendono conto della fatica e della pena che potrebbero risparmiare alla donna se dessero una mano al suo lavoro”11. Lenin si poneva anche il problema del “doppio lavoro” femminile. Per questo mise al centro dell‟impegno socialista per la costruzione di una sostanziale eguaglianza tra i sessi la creazione di una rete efficiente di servizi. Questi, assieme alle leggi per la tutela della lavoratrice madre ed ai provvedimenti per la parità salariale, gli apparivano i migliori strumenti per spingere la donna verso il lavoro extradomestico e svincolarla dall‟oppressione domestica. Ma i mutamenti legislativi, inclusi quelli relativi all‟introduzione del divorzio, alla legalizzazione dell‟aborto, all‟affermazione del diritto di ricerca della paternità, erano giudicati insufficienti se non accompagnati da un mutamento culturale. La trasformazione doveva partire dall‟azione delle stesse masse femminili, allo stesso modo in cui il riscatto del proletariato doveva avere il proletariato stesso come soggetto attivo. Aida Tiso, nel suo saggio I comunisti e la questione femminile12 del 1976 ha scritto che il pensiero femminista centrato sui diritti della donna-cittadina e l‟azione socialista per i diritti della donna-lavoratrice trovarono in Lenin un momento di fusione, “diventando strategia di lotta per l‟emancipazione femminile, componente della rivoluzione
PCI, Roma, Ed. Donne e politica, 1972; C. Ravera, Come nacque nel PCI una politica per l’emancipazione femminile, in Donne e politica, n. 5-6, 1971; F. Pieroni Bortolotti, Socialismo e questione femminile in Italia (1892-1922), Milano, Mazzetta, 1974. Tra le opere fondamentali nell‟ambito del pensiero socialista specificamente dedicate alla questione femminile ricordiamo A. Bebel, La femme et le socialisme, Gand, Imprimerie Coopérative, 1911 (trad. it., La donna e il socialismo, Roma, Savelli, 1973); F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), Roma, Editori Riuniti, 1968; V.Lenin, L’emancipazione della donna, Roma, Editori Riuniti, 1970; C. Zetkin, Souvenirs sur Lanine, Paris, Bureau d‟Editions, de diffusione t de publicité, 1926; P. Togliatti, L’emancipazione della donna: un problema centrale dello Stato italiano e della società italiana, discorso pronunciato alla I Conferenza delle donne comuniste, 2-5 giugno 1945, in L’emancipazione femminile, cit. 9 K. Marx, F. Engels, Opere scelte, Roma, Ed. Riuniti, 1966, p. 310 10 Elementi di una dichiarazione programmatica, approvati dall‟VIII Congresso del PCI, in Quaderni di storia del PCI, n.5, a cura della Sezione centrale scuole di Partito, Roma, p. 59 11 I.V. Lenin, Conversazione con Clara Zetkin, in appendice a Lenin, L’emancipazione della donna, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 103 12 A. Tiso, op. Cit. 33
proletaria”13. Senza volerci addentrare in questa sede nel dibattito sulla questione femminile nel pensiero marxista-leninista, che richiederebbe ben più ampia trattazione, ci limiteremo a notare come in realtà se un tale incontro vi fu, non si trattò certo di una fusione armoniosa, ma di una subordinazione dei diritti reclamati dalle emancipazioniste “borghesi” alle esigenze della rivoluzione proletaria. Il marxismo-leninismo, infatti, negava risolutamente la possibilità di riconoscere la questione femminile nella sua autonomia, mettendo in guardia dalla collaborazione con le femministe borghesi14. Secondo Lenin non esisteva “una particolare questione femminile, ogni collaborazione con forze del femminismo rinvia la vittoria del comunismo e per conseguenza l‟emancipazione della donna”15. Insomma, non era pensabile una lotta che prescindesse dall‟impegno rivoluzionario16, come quella condotta dalle suffragiste a fine Ottocento, né i diritti di cittadinanza potevano essere pensati come un fine autonomo. Nella pratica, tuttavia, accanto al programma massimalista che vedeva solo la rivoluzione legarsi al sovvertimento dei rapporti tra i sessi, esisteva anche una strategia di trasformazione della società che passava per l‟organizzazione delle lotte femminili all‟interno dei Paesi capitalisti. I partiti comunisti occidentali aderenti alla III Internazionale dovevano strappare le masse femminili alla loro tradizionale passività e indifferenza politica, determinata dalla secolare segregazione nella sfera privata. In particolare ci si doveva rivolgere alle contadine povere e alle piccolo-borghesi. In questo contesto si inseriva il ruolo fondamentale della stampa femminile e delle intellettuali, formate con rigore per divenire cinghia di trasmissione tra il Partito e le masse femminili.
4. All‟ombra di Clara Zetkin
La pedagogia del Partito rivolta alle donne si basava su una premessa fondamentale: la nuova formula della democrazia progressiva, presentata da Togliatti nell‟aprile ‟44 con la svolta di Salerno, richiedeva una vasta mobilitazione dal basso, che evidentemente non poteva prescindere dal coinvolgimento delle donne. Una vera e propria bibbia per i quadri femminili del Partito era il Breve corso Zetkin17
13 Ivi, p. 30 14 Articolo 7 delle Tesi sui metodi e le forme del lavoro dei partiti comunisti fra le donne in A.Tiso, cit. p. 39. Il Terzo Congresso dell‟Internazionale comunista, tenutosi a Mosca dal 22 giugno al 12 luglio del 1921, aveva dedicato la ventesima seduta alla discussione sulle Tesi sui metodi e le forme del lavoro dei partiti comunisti fra le donne. Nei documenti venne operata una distinzione tra i compiti dei partiti comunisti nei paesi economicamente arretrati, in quelli sovietisti e in quelli capitalisti. Mentre per i primi e i secondi le indicazioni erano operative, per i partiti operanti all‟interno di Paesi capitalisti l‟indicazione non poteva che essere strategica: si richiedeva cioè l‟azione rivoluzionaria e il rovesciamento della società capitalista come condizione essenziale per trasformare le condizioni di vita delle masse femminili. 15 Ivi, p. 40 16 A proposito della lettura economicista della questione femminile fatta dal marxismo, citiamo il giudizio espresso nell‟opera collettiva già citata, Les femmes de Platon à Derrida: “Incapable d‟interroger l‟antagonisme de sexe dans sa dynamique propre, elle s‟interdit en meme temps de saisir les modalités dans lesquelles la domination de sexe, en tant que dispositif légale et ensemble de pratiques sociales, façonne la matérialité et les enjeux constitutifs du rapport de classes lui-meme (l‟organisation du travail et des salaires, la stratification interne à la classe ouvrière, la définition du travail productif et non productif)”, Ivi, p. 549. 17 Clara Zetkin (Wiederau, 1857 – Archangelskoje, 1933) è stata una politica tedesca. Fu una dirigente del Partito socialdemocratico tedesco e della Terza Internazionale, fortemente impegnata sul fronte dell‟emancipazione femminile. La Zetkin riteneva che i diritti delle donne dovessero avere un ruolo centrale nelle lotte socialiste, ed appoggiò la lotta per il suffragio femminile, a lungo giudicata dal pensiero marxista come espressione di esigenze borghesi e dunque da condannare. Pur riconoscendo come pienamente giustificate anche da un punto di vista morale e spirituale le esigenze 34
sulla lotta per l’emancipazione della donna, a cura della Sezione Centrale Quadri e Scuole della Direzione del Partito. Tra le autrici del manuale erano Camilla Ravera18, Teresa Musci19, Giglia Tedesco20. Le lezioni erano indirizzate a insegnanti, allievi ed allieve delle scuole di Partito, agli organizzatori dei Brevi Corsi, allo scopo di una divulgazione ideologica di massa della linea del Partito sulla questione femminile. Il manuale era diviso in tre sezioni: la prima inquadrava la condizione femminile dal punto di vista storico, delineandone la trasformazione nelle diverse epoche alla luce della teorie di Engels sulla famiglia. La seconda trattava il ruolo delle donne nella società capitalistica, il loro ingresso nel processo di produzione capitalistico e i processi di sfruttamento che le riguardavano in modo specifico, in quanto parte significativa dell‟esercito di riserva. Nella terza parte, infine, era presentata la soluzione della questione femminile alla luce della dottrina marxista. Nel manuale era avvalorata la tesi di Engels sull‟esistenza di un matriarcato originale21. In esso si delineava anche il rapporto tra il discorso marxista e quello femminista. Si riconosceva il valore delle conquiste giuridiche ottenute dalle donne, ma si afferma al contempo che le libertà democratico-borghesi rischiavano di portare a conquiste puramente formali, se prive di una base di emancipazione economica. Questa logica era chiara alla donna proletaria, che non rivendicava “diritti uguali all‟uomo che appartiene alla sua stessa classe, ma con lui combatte contro la società capitalista”22; questa donna illuminata dalla visione marxista aveva come scopo “l‟avvento del socialismo liberatore dell‟uomo e della donna proletari”23. Dunque solo nel socialismo realizzato era possibile la piena emancipazione femminile, all‟interno di una società in cui “il libero sviluppo di delle femministe borghesi, tuttavia, riteneva che gli interessi delle donne non dovessero essere in nessun caso separati dall‟organizzazione della lotta di classe. Il compito socialista doveva essere indirizzare la donna proletaria verso la lotta di classe. Clara Zetkin rappresentò il modello femminile indicato dal PCI alle comuniste italiane. 18 Camilla Ravera (Acqui Terme, 1889 – Roma, 1988) è stata una politica italiana, senatrice a vita. Camilla Ravera è stata tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia. Entrata a far parte della redazione della rivista L'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci, dopo le leggi speciali del 1926 ha assunto un ruolo di primo piano dell'organizzazione della Resistenza. Arrestata nel 1930 e condannata a quindici anni di carcere, ne scontò cinque in cella e dieci al confino di Ponza e di Ventotene. Membro del comitato centrale del PCI, nel 1982 è stata la prima donna nominata senatrice a vita. 19 Teresa Musci è stata partigiana e dirigente della scuola quadri nazionale femminile del PCI 20 Giglia Tedesco Tatò (Roma, 1926 –2007), è stata una delle principali esponenti del Partito Comunista Italiano, nel quale ha ricoperto incarichi sia nel comitato centrale che nella Direzione. Membro dell'UDI, tra 1959 e il 1973 ha fatto parte della presidenza nazionale. È stata senatrice dal 1968 al 1994, Vice Presidente del Senato nella IX Legislatura, ha fatto parte della Commissione Giustizia e della Commissione per la riforma del diritto di famiglia ed è stata relatrice della legge sull'aborto. Il 2 giugno 2005, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi le ha conferito il titolo di Cavaliere di Gran Croce. 21 Engels, come è noto, ipotizzava l‟esistenza di un comunismo primitivo caratterizzato da una condizione di eguaglianza sociale, anche tra i due sessi, il cui superamento sarebbe determinato dalle successive trasformazioni sociali ed economiche, legate allo sviluppo della tecnica e alle scoperte scientifiche. Engels individuava una divisione di classe all‟interno della famiglia, cellula nella quale l‟uomo rappresentava il borghese e la donna il proletariato. Solo eliminando la famiglia monogamica come unità economica della società, era ipotizzabile anche il superamento di questa interna divisione dei ruoli, e quindi l‟eliminazione della subordinazione femminile. Solo lo sviluppo della società capitalistica, con le sue contraddizioni, portava alla luce in termini espliciti il problema posto dalla condizione femminile, che nelle precedenti fasi dello sviluppo delle società era rimasto occultato. “L‟apparizione sulla scena della storia di una classe veramente emancipatrice di tutti gli sfruttati e di tutti gli oppressi, la classe operaia, e l‟immissione della stessa donna nell‟officina e nella fabbrica capitalistiche (…) hanno creato nuove possibilità e nuove prospettive di effettiva e duratura emancipazione”, Breve corso Zetkin sulla lotta per l’emancipazione della donna, a cura della Sezione Centrale Quadri e Scuole della Direzione del Partito, p. 14. “L‟analyse d‟Engels – scrivono Collin, Pisier e Varikas – constitue une régression par rapport à l‟idée d‟auto-émancipation des femmes, avancée dès les années 1830 par les <
ciascuno è condizione per il libero sviluppo di tutti”24. Nella terza lezione, dedicata alla condizione femminile in Italia, il giudizio sul movimento femminista si esplicitava in tutta la sua durezza. Nel ripercorrere la storia delle donne in Italia si faceva riferimento alle prime lotte delle lavoratrici come alle uniche forme di organizzazione utili ad incidere sulle reali cause dell‟oppressione femminile; accanto a queste battaglie, vane venivano giudicate le altre, sorte da una mancata individuazione della causa del male: era il caso delle lotte femministe. Il movimento femminista aveva, al pari dell‟anarchismo, un‟“influenza deviatrice”25. “Le cosiddette femministe – si legge nell‟opuscolo – considerano che gli oppressori delle donne siano gli uomini. Sfugge loro l‟essenziale, e cioè che la emancipazione delle donne da ogni schiavitù è possibile solo nella misura in cui si realizza la emancipazione di tutti i lavoratori dallo sfruttamento capitalistico”26. Il movimento dunque era destinato al fallimento, proprio per non aver compreso le giuste cause dell‟oppressione femminile e come solo il rinnovamento totale della società potesse dare alla donna un nuovo posto in essa. Si mantenne totalmente fedele a quest‟interpretazione anche Macciocchi, nel recensire il Breve corso sulle pagine di <
24 Ivi p. 34 25 Ivi, p. 68 26 Ivi, p. 68 27 Macciocchi, Un cammino che non ha avuto soste, <
donne, con l‟ausilio della stampa di Partito e in particolare di quella femminile. “Un giornale - come ha insegnato Lenin – è un agitatore collettivo, un propagandista collettivo, un organizzatore collettivo”31. Si ricordava che grazie allo sforzo delle donne democratiche le italiane avevano “un loro giornale democratico e popolare che è uno strumento essenziale di lotta contro la stampa femminile borghese (…) e che costituisce un elemento di elevazione della cultura e della personalità della donna e di legame del movimento femminile: <
5. Anatomia di un giornale femminile “democratico”
<
31 Breve corso Zetkin sulla lotta per l’emancipazione della donna, cit., p. 103 32 Ivi 33 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 143 34 Ivi, pp. 143 e 165 35 S. Casmirri, L’Unione Donne Italiane (1944-1948), Roma, Quaderni FIAP, 1978; M. Michetta, M. Repetto, L. Viviani, UDI, Laboratorio di politica delle donne, Roma, Cooperativa Libera Stampa, 1984 37
di donne già associate nei Gruppi femminili di assistenza ai combattenti della liberazione, nei Gruppi di difesa della donna36, nei Gruppi femminili antifascisti37. Negli anni dell‟immediato dopoguerra il numero delle iscritte dell‟UDI crebbe rapidamente: si passò dalle 401.391 del 1946 a 1.037.655 nel 195038. La storia della rivista <
36 Organismo creato nel novembre del 1943 a Milano, da alcune donne appartenenti ai partiti del CLN (Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi e Rina Picolato, comuniste; Laura Conti e Lina Merlin, socialiste; Elena Drehr e Ada Gobetti, azioniste). 37N. Spano, F. Camerlenghi, op. cit., p. 123 38 Ivi, p. 165 39 Partigiana comunista, Vittoria Giunti è stata componente della Commissione nazionale per il voto alle donne, direttrice della casa della cultura a Milano e primo Sindaco donna della Sicilia nel 1956 a Santa Elisabetta (Ag). E' morta il 2 giugno del 2006. 40 Si veda nota p. 21 41 Si veda nota p. 16 42 Nadia Gallico Spano (1916-2006) è stata una delle 21 donne elette nell‟Assemblea costituente. Partigiana, dirigente comunista, ha avuto un ruolo di primo piano nell‟ambito del lavoro femminile all‟interno del Partito, ed è stata tra le fondatrici dell‟UDI. Ha sposato Velio Spano, anche lui dirigente del PCI. 43 N. Spano, F. Camarlinghi, op. cit., p. 81 38
L‟intreccio del romanzo a puntate consisteva solitamente in una storia edificante, con una morale ben precisa: il proletariato era depositario di una superiore virtù morale, mentre il borghese o capitalista, infido nemico di classe, era portatore di corruzione e contaminazione attraverso il tentativo di conquista della donna proletaria, sorta di anello debole, minacciata dalle lusinghe della ricchezza; si trattava chiaramente di costruire una pedagogia antagonista rispetto a quella della stampa “borghese” con il suo incitamento al consumo e al lusso rivolto alle donne, e di ribaltare il tradizionale lieto fine dei romanzi d‟appendice, con il matrimonio “fortunato” tra la fanciulla povera e il ricco possidente. Si usavano dunque gli stessi linguaggi della stampa borghese - il fotoromanzo, la novella, il feuilleton - ma stravolgendone radicalmente contenuti e messaggi. Lo spazio per la moda e le ricette, estremamente esiguo rispetto al resto della stampa femminile, era necessario tenuto conto delle reali esigenze delle donne, in parte casalinghe e in parte divise tra fabbrica e lavoro domestico. Le pagine di politica si caratterizzavano per una forte impronta internazionalista.
6. I primi articoli sulla rivista dell‟UDI
La firma di Maria Antonietta Macciocchi era apparsa per la prima volta sul settimanale femminile dell‟UDI in calce ad un articolo dal titolo “Dove sono i miliardi?”44 pubblicato sul numero del 20 febbraio 1949. L‟autrice attaccava duramente la visita dell‟ambasciatore americano Dunn all‟inaugurazione della mostra ERP, dedicata alla ricostruzione del Sud. L‟articolo era ironico, brillante, il tono accesamente antiamericano e antigovernativo. L‟argomento principe della contestazione era la negazione dei progressi compiuti dal Mezzogiorno in seguito all‟avvio del Piano Marshall. Il Sud, scriveva l‟autrice, non era affatto avviato sulla strada della ricostruzione, malgrado lo sforzo propagandistico volto a farlo credere: fuori dalla cerimonia una manifestazione di disoccupati, donne e sinistrati smascherava l‟ipocrisia delle autorità testimoniando la miseria che affliggeva Napoli e l‟Italia. Macciocchi in tal modo denunciava una miseria reale, ma al tempo stesso si adeguava alla linea del Partito, a sua volta fedele a quella sovietica. Il 12 luglio 1947, dopo la Conferenza di Parigi, l‟URSS aveva rifiutato espressamente il Piano di ricostruzione proposto dal generale statunitense Gorge Marshall45, per timore del controllo economico che il piano avrebbe consentito di esercitare agli Stati Uniti sui paesi beneficiari. Il rifiuto fu imposto ai Paesi dell‟orbita sovietica e ai Partiti comunisti occidentali. La stampa comunista avviò una campagna di denigrazione del Piano Marshall mettendone in discussione l‟efficacia. Un altro tema che Macciocchi seguì costantemente fu quello delle lotte sociali, che spesso le offrirono occasione per attaccare i brutali mezzi repressivi del governo. Il 22 gennaio del 1950 fu lei a firmare la corrispondenza per i funerali delle vittime della strage operaia di Modena, compiuta dalla polizia di Scelba. Il 9 gennaio 1950 la polizia aveva sparato su un gruppo di dimostranti - lavoratori appena licenziati dalle fonderie Orsi - uccidendo sei operai46. Macciocchi vide nella vicenda il culmine della “campagna di
44 Macciocchi, Dove sono i miliardi?, <
provocazione e di odio”47 del governo contro la classe operaia, e in modo particolare contro la rossa Emilia. L‟inviata di <
7. La direzione Macciocchi
A ventisette anni la neodirettrice di <
47 Ivi 48 Maria Maddalena Rossi nacque nel 1906; antifascista a partire dal 1937, fu arrestata e inviata al confino nel 1942. Dopo la guerra venne eletta deputata nelle liste del PCI alla Costituente e poi per tre legislature successive. E‟ stata vicepresidente dell‟UDI dal 1947 al 1957, poi vicepresidente della Federazione democratica internazionale donne; è stata responsabile della commissione femminile del PCI. 49 Nato nell‟aprile 1922, Carlo Lizzani è regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico. 50 Lettere di una famiglia italiana al presidente Einaudi, <
a quadri e giornalisti. Ancora in merito alla questione femminile la documentazione sulla scrivania della direttrice includeva il mensile dell‟UDI <
51 La Fédération era nata nel 1945, alla fine della guerra, in occasione di un incontro internazionale tenutosi a Parigi, con lo scopo dichiarato di operare a favore di una pace durevole. L‟idea guida dell‟organizzazione era che se le donne, metà del genere umano, avessero costituito una forza compatta contro la guerra, sarebbe stato possibile allontanare il fantasma di un nuovo conflitto. Il tema dell‟impegno per i diritti femminili si inseriva dunque in una cornice più ampia, pacifista, antifascista e decisamente filosovietica. Della federazione facevano parte la francese Eugénie Cotton, presidente, la spagnola Dolores Ibarruri, vicepresidente, la sovietica Nina Popova, la cinese Tsai Chang, la statunitense Gene Weltfish e la polacca Eugenia Pragierova. 52 Per una ricostruzione del periodo della guerra fredda si veda A. Fontaine, Storia della Guerra fredda, Milano, Il Saggiatore, 2005 53 Per la ricostruzione del periodo si vedano V. Foa, Questo Novecento. Un secolo di passione civile. La politica come responsabilità, Torino, Einaudi, 1996; Aurelio Lepre, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1942 al 1994, Bologna, Il Mulino, 1993; per una ricostruzione di taglio politico-istituzionale della storia della prima repubblica G. Mammarella, L’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1990 e P. Scoppola, La Repubblica dei partiti, Bologna, Il Mulino, 1991; per un taglio sociologico P. Ginsborg, La storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Torino, Einaudi, 1989 54 Politica: un anno di lotte e di vittorie, redazione <
diffonditrici, favole per bambini e infine foto di attrici che auguravano buon 8 marzo alle lettrici. La prima novità introdotta con la direzione Macciocchi fu l‟adozione di un nuovo formato, più ampio. Il prezzo di copertina era mantenuto a venticinque lire ed anche il numero delle pagine, che tuttavia aumentavano di dimensione. La moda ne occupava quattro, il romanzo e il fotoromanzo cinque, le ricette e le lettere una pagina ciascuno, le altre otto pagine erano dedicate ai temi politici e sociali. La proporzione tra pagine impegnate e pagine di evasione rimaneva inalterata occupando ciascuna delle due sezioni la metà dello spazio totale. Il romanzo cinematografico fu portato stabilmente a due pagine e nel giornale nacquero nuove rubriche. La moda cominciò a guadagnare spesso la copertina, evidente concessione alle preferenze delle lettrici. Il tono austero, di stampo sovietico, della prima ora, si era stemperato con qualche apertura al deprecato gusto “piccolo-borghese”. L‟idea di introdurre dei cambiamenti era già maturata nei mesi passati, che non a caso avevano visto il giornale impegnato nella conduzione di referendum tra le lettrici destinati a sondarne gusti e preferenze. Tra le firme abituali troviamo quelle di Rosetta Longo61, M. Maddalena Rossi62, Camilla Ravera, Dina Bertoni Jovine63, Antonello Trombadori64, Giuliana dal Pozzo65, Carlo Scarfoglio66, Teresa Noce67. Costante era anche la presenza degli esponenti del PCI, da Mario Alicata a Nilde Jotti, a Ruggero Grieco. Una rubrica dal titolo Freccia nell’edicola metteva alla berlina la stampa femminile “borghese”, mentre la rubrica Fermo posta veniva affidata alla scrittrice Renata Viganò, che rispondeva alle lettere delle lettrici. Sempre più peso andava acquisendo il fotoservizio, costituito essenzialmente da foto accompagnate da sintetiche didascalie. La prima campagna sostenuta da Macciocchi nel corso della sua direzione fu quella, lanciata dall‟UDI, contro lo sfruttamento delle lavoratrici e dei minori. La legge sulla maternità era in discussione in Parlamento da venti mesi. <
61 Rosetta Longo (1913-2004) fu una militante socialista, deputata del Parlamento italiano e segretaria generale dell‟Udi. Fu una delle protagoniste del lavoro politico del Partito socialista tra le donne, condotto a stretto contatto con le militanti e dirigenti del PCI, nell‟immediato dopoguerra. 62 Vedi nota p. 34 63 Dina Bertoni Jovine (1898-1970) fu una pedagoga e giornalista italiana. Da docente universitaria fu sostenitrice di una <
L‟attenzione alle condizioni delle lavoratrici, dell‟infanzia, la denuncia della povertà tanto diffusa tra le masse, rifletteva le priorità del PCI, pur essendo in una certa misura piegata alla propaganda del Partito. Il quadro assai cupo dell‟Italia in ricostruzione rispecchiava nel complesso piuttosto fedelmente una realtà sociale fatta di serie difficoltà materiali per la maggior parte della popolazione italiana. Il 1950 fu un anno di crescente tensione: il presidente degli Stati Uniti Truman annunciò un programma di sviluppo della bomba a idrogeno. Il senatore repubblicano McCarthy conduceva la “caccia alle streghe” scatenata contro ogni sospetto simpatizzante comunista. La guerra di Corea rappresentò uno dei momenti di massima tensione dell‟intero periodo della guerra fredda. In Italia la sinistra lanciava una dura campagna contro il Patto Atlantico, firmato a Washington il 4 aprile 1949 anche dall‟Italia. L‟UDI organizzò una raccolta firme per la petizione popolare contro il Patto e 240 delegate si recarono a Parigi, al Convegno dei Partigiani della Pace69: la delegazione italiana era la più numerosa. In accordo con il Comitato Nazionale dei Partigiani della Pace, partiva la Crociata dell‟Unione donne italiane contro l‟atomica, che raggiunse il picco della mobilitazione tra il 9 e il 16 luglio. <
69 Il Movimento dei Partigiani della Pace nacque ufficialmente a Parigi, nell‟aprile 1949. La partecipazione al primo Congresso mondiale per la pace si intrecciò con le manifestazioni contrarie al Patto Atlantico. Giunsero a Parigi 2287 delegati di 72 paesi. Tra gli aderenti: Frédéric Joliot-Curie (premio per la fisica a cui spettò la presidenza), Picasso (che dipinse il manifesto del congresso: la celebre “Colomba della pace”), Aragon, Farge, Amado, Matisse, Ehrenburg, Neruda, Einstein. Della delegazione italiana, guidata da Nenni, facevano parte Vittorini, Guttuso, Quasimodo, N. Ginzburg, G. Levi, G. Einaudi. 70 Partigiano, giornalista, uomo politico, intellettuale cosmopolita, Emilio Sereni (1907-1977) fu uno dei principali esponenti del PCI. Noto per la sua cultura enciclopedica, inquadrata in una rigida disciplina rivoluzionaria, per tutto il periodo della Guerra Fredda diresse la politica culturale del Partito 71 E. Sereni, La crociata delle donne contro l’atomica, <
la propria responsabilità personale, al contrario, veniva sfumata. L‟ironia era l‟alchimia sapiente con cui operare la scissione tra il ruolo del Partito e quello della militante. Se è comprensibile che al vaglio di una ricostruzione della propria esperienza effettuata in età matura le proprie idee di tanti anni addietro appaiano ingenue, sarebbe scorretto in sede di giudizio storico attribuire solo a un‟ingenua buona fede, strumentalizzata da dirigenti di Partito, la consapevole scelta di tante donne e uomini che allora sposarono la politica filosovietica dei partiti comunisti occidentali. La sinistra intellettuale europea era nel suo complesso, come ha scritto François Furet, antifascista ma non antitotalitaria74. Gli apparati dei partiti comunisti europei, formati da dirigenti strettamente legati al Cominform, onnipotente nel controllo dei partiti fratelli, erano apparati burocratici fortemente centralizzati, capaci di manipolare e dirigere infallibilmente in nome di un‟unica ortodossia impossibile da scalfire. Gli intellettuali occidentali legati ai partiti comunisti dal canto loro lavorarono attivamente al consolidamento di un‟ideologia di cui furono al tempo stesso vittime e volenterosi costruttori. Macciocchi entra a pieno titolo in questo novero. “Tramite gli intellettuali – scrisse Furet – l‟idea comunista all‟Ovest d‟Europa fa scintille approfittando del suo fallimento, nel momento in cui all‟Est si spegne, vittima della sua vittoria”75. D‟altronde molti anni dopo, ai tempi della scrittura di L’amante della Rivoluzione, Macciocchi avrebbe intessuto proprio un dialogo con lo storico francese, esperto di rivoluzione francese, per mettere a confronto il 1789 con il ‟99 napoletano. A Furet in quell‟occasione Macciocchi riconobbe “il coraggio di scandagliare il fondo della nostra epoca, per esempio affrontando la voragine dell‟inconscio collettivo relativa alla più grande <
74 F. Furet, Il passato di un’illusione, cit., p. 490 75 Ivi, p. 467 76 Macciocchi, L’amante della Rivoluzione, cit., p. 184 77 Ivi, p. 184 78 G. Napolitano, Dal PCI al socialismo europeo. Un’autobiografia politica, Bari, Laterza, 2006, p. 30 79 Ivi, p. 30 44
comitati per l‟appoggio delle assise meridionali, inviando colonne di camion cariche di cibo e indumenti.
8. Ortese, Rea, Aleramo: una rosa di amicizie intellettuali
Tra le altre firme appariva su <
80 . Macciocchi, L’amante della Rivoluzione, cit 81 Ivi, frontespizio 82 Sibilla Aleramo (pseudonimo di Rina Faccio; Alessandria, 1876 – Roma, 1960) è stata una scrittrice italiana. Fu firmataria del Manifesto degli intellettuali antifascisti e dopo la fine della guerra aderì al PCI. Tra le sue opere più celebri ricordiamo il suo romanzo d‟esordio Una donna (1906), Andando e stando (1921), Trasfigurazione (1922), Amo dunque sono (1927). Fu attiva nel movimento emancipazionista. Si veda inoltre Sibilla Aleramo, La donna e il femminismo. Scritti 1897-1910, Roma, Editori Riuniti, 1978. Per una biografia critica si consiglia Svelamento. Sibilla Aleramo: una biografia intellettuale. A cura di Annarita Buttafuoco e Marina Zancan. Milano, Feltrinelli, 1988. 83 Lettera di Macciocchi a Sibilla Aleramo, 05/12/1949, Archivio Gramsci, Fondo Aleramo, Corrispondenze 45
Intanto Mondadori respingeva con cortesia e fermezza le richieste continue della scrittrice in relazione alla possibilità di ottenere ristampe delle sue opere. “Dirti dei miei sentimenti di amicizia, schietta e sincera, e di come io apprezzi la tua opera letteraria – le scriveva Alberto Mondadori nel 1949 - ritengo superfluo: tutto questo riguarda in modo preponderante l‟amico e, subito dopo, l‟editore. Senonché, mentre l‟amico tale rimane, nella buona e nella men buona sorte, l‟editore, se tale vuole essere considerato, ha necessità di adeguare la sua attività e la sua opera non ai soli sentimenti di amicizia e di apprezzamento ma, purtroppo, a quello che è il fluttuare del mercato librario”84. Macciocchi intanto in quegli anni valorizzava il lavoro della scrittrice. “Come avrai veduto, abbiamo già pubblicato una delle tue poesie, e altre ne pubblicheremo insieme a una recensione del libro, perché tutte le nostre lettrici, tutte le donne italiane, conoscano sempre meglio la tua opera”85, le scriveva nel 1952, ringraziandola tra l‟altro per un libro ricevuto in dono corredato da un‟affettuosa dedica. Macciocchi invitava Aleramo a scrivere per <
84 Alberto Mondadori a Sibilla Aleramo, 13/12/1949, Archivio Gramsci, Fondo Aleramo, Corrispondenze 85 Lettera di Macciocchi a Sibilla Aleramo, 11/01/1952, Archivio Gramsci, Fondo Aleramo, Corrispondenze 86 Macciocchi, Prefazione a Una donna di Sibilla Aleramo, Milano, Feltrinelli, 1973, p. 5 87 Ivi, p. 5 88 Ivi, p. 5 89 Ivi, p. 5 90 Ivi, p. 6 91 Ivi, p. 6 92 Ivi, pp. 6-7 46
9. La cronaca nera come parabola marxista
La cronaca nera a poco a poco andò acquisendo spazio nel giornale, con una funzione di denuncia sociale. Alcuni casi consentivano di raccontare le difficili condizioni di vita di molte donne: tra le vicende emblematiche quella di Caterina Rigoglioso, una ragazza madre abbandonata dal promesso sposo, cacciata dalla propria famiglia e che, nell‟impossibilità di trovare un lavoro aveva tentato di abbandonare il figlio. Presa dal senso di colpa aveva poi tentato di riaverlo, e solo allora lo Stato si era accorto di lei, arrestandola. <
93 Fausta Cialente, Svelato un mondo di vergogna e di vizio, <
aspettative comportamentali e di etichetta rivolte ad una donna del suo rango, dimostrando ancora una volta l‟inconciliabilità dell‟amore con la ricchezza. Tali articoli dedicati al bel mondo, alle dinastie principesche, alle principesse tristi e ai protagonisti del jet set internazionale sembrerebbero soddisfare la stessa esigenza voyeristica solleticata nelle lettrici dalle riviste frivole. La morale era chiaramente invertita, per cui l‟inaccessibile ambiente che in quelle era presentato come luogo desiderabile, diveniva abietto e spregevole nella rappresentazione della stampa comunista. L‟unico amore puro e disinteressato maturava negli ambienti popolari98. I protagonisti dei matrimoni combinati nell‟aristocrazia europea non erano altro che “una folla di fantasmi polverosi (…) con sul viso le vecchie tare ereditarie, e nel sangue, color rosa pallido, un deperimento mortale”99. Uno scenario da Temps retrouvé proustiano! Il caso Montesi100 si prestò meglio di qualunque altro fatto a provare l‟esistenza di una classe borghese corrotta e senza scrupoli. <
98 Le bambole in mostra, <
rischio di “corruzione”, per colpa della povertà, del miraggio di un benessere facile da raggiungere, della mancanza del bene più prezioso che è l‟avvenire103. Di particolare interesse appare un momento dell‟intera vicenda processuale legata alla morte della ragazza: la testimonianza di Anna Maria Caglio, che permise di legare la morte della Montesi agli ambienti politici. Macciocchi dedicò a Caglio un articolo di elogio per il coraggio dimostrato con la scelta di testimoniare contro l‟intero sistema scatenatosi contro di lei per imporle il silenzio. Il tono dell‟articolo è enfatico: “milioni di donne e cittadini italiani (…) dal processo hanno appreso come la corruzione di Sodoma e Gomorra, le bibliche città bruciate da Dio, sia uno scherzo di fronte a quella della <
10. Dalla difesa della pax sovietica all‟autocritica mutilata
Il 1953 fu un anno denso di avvenimenti. Sul piano della politica interna lo scontro tra i due schieramenti toccò livelli altissimi in occasione dell‟approvazione della nuova legge elettorale. <
103 F. Cialente, La tela del ragno, <
Il mondo comunista in quello stesso anno fu scosso da un tragico evento: la morte di Stalin, avvenuta il 5 marzo. L‟avvento di Krusciov preparava l‟avvio di quel processo di destalinizzazione che, con la rivelazione nel XX Congresso del PCUS dei crimini commessi dal dittatore sovietico, avrebbe lacerato la coscienza della sinistra dell‟Europa occidentale. In quello stesso anno la vita privata di Macciocchi fu sconvolta da un altro evento luttuoso, la morte del padre. Nel 1953 <
107 La CED (Comunità europea di difesa ) fu un progetto di collaborazione militare tra gli stati europei alternativo alla NATO, maturato nei primi anni '50. Il progetto fallì per l'opposizione politica della Francia. 108 Macciocchi, A Maria Ovsiannikova, direttrice della rivista “La donna sovietica, 27/06/54 109 Macciocchi, La donna con la valigia, Milano, Mondadori, 1987, p. 186 110 Macciocchi, La donna con la valigia, Milano, Mondadori, 1987, p. 178 111 Ivi, p. 179 112 Ivi, p. 179 50
quella battaglia ideologica durante gli anni della direzione di <
11. I reportage, grande prova di giornalismo
L‟attenzione verso il proletariato urbano in Macciocchi direttrice e reporter si affiancava a quella per il mondo contadino. Nacquero allora i grandi reportage sulla vita delle mondine, sui contadini del Sud d‟Italia, e gli approfondimenti dedicati a singole regioni o aree del Paese. L‟origine dei mali delle campagne, della miseria e delle iniquità sociali che le affliggevano era individuata nel patto tra agrari e industriali, tutelata dal ministro Scelba, pronto a soffocare nel sangue ogni manifestazione popolare che rivendicasse qualche diritto. Il permanere, in vaste aree, del latifondo abbandonato da proprietari assenteisti, era garantito dalla possibilità di assoldare un gran numero di braccianti con paghe miserabili. In alcune aree del mezzogiorno al problema della povertà estrema si associava quello della privazione dell‟acqua. In particolare in molte località della Sicilia l‟approvvigionamento dell‟acqua alle fontane pubbliche era a pagamento, rappresentando una spesa difficile da sostenere per i contadini. All‟indomani dell‟uccisione di tre donne e un bambino da parte della polizia, nel corso di una manifestazione di protesta per reclamare il diritto all‟acqua, nel paesino di Mussomeli, in Sicilia, Macciocchi compì un viaggio nelle terre del principe Lanza di
113 Annie Becker, nota come Annie Besse dopo il suo matrimonio, fu docente di storia, giornalista ed esponente di primo piano del PCF. Per anni custode dell‟ortodossia stalinista, lasciò il partito dopo il XX Congresso del PCUS e i fatti d‟Ungheria. Dopo un nuovo matrimonio continuò a scrivere col nome di Annie Kriegel. 114 Macciocchi, La donna con la valigia, cit. p. 181 115 Edgar Morin, Penser l’Europe, Paris, Gallimard, 1987 51
Trabia, “gran feudatario, gran gaudente”116. Il comune di Mussomeli, a guida DC, aveva ceduto la gestione dell‟acqua a una società per azioni, l‟Ente Acquedotti Siciliani, che aveva raddoppiato le tariffe, già precedentemente molto alte. Le nuove bollette dell‟acqua giunte ai contadini del paese per l‟utenza domestica e per l‟accesso alle fontane arrivò da allora a rappresentare la metà o addirittura un terzo del salario annuo di un bracciante. L‟acqua, inoltre, non arrivava che per un‟ora o due al giorno. Nella ricerca delle ragioni della mancata costruzione degli acquedotti Macciocchi non esitava a puntare il dito contro gli interessi della mafia. Il governo, complice e impotente – denunciava l‟autrice - non riusciva a placare la sete del popolo, metafora della più generale sete di giustizia sociale, e reagiva alle proteste con la violenza. In racconti come questo i toni propagandistici, le argomentazioni strumentali che appaiono come il vizio costante della stampa di sinistra ed anche di <
116 Maria Antonietta Macciocchi, Scriviamo sulle nostre bandiere i nomi di queste tre madri contadine!, Noi Donne, 21/02/1954 117 Maria Antonietta Macciocchi, Le montagne franano in mare per l’incuria dei governanti, Noi Donne, 08/11/53 118 Macciocchi, Domenica con le mondine, <
CAPITOLO III Gli anni Cinquanta: l‟impegno per l‟emancipazione femminile
1. Il j’accuse contro la pedagogia della sottomissione femminile
La concezione che Macciocchi aveva della propria missione in quanto direttrice del più importante giornale femminile di sinistra trovò la sua compiuta espressione in Sotto accusa la stampa femminile borghese1, un aggressivo pamphlet di trentasei pagine pubblicato da <
1 Macciocchi, Sotto accusa la stampa femminile borghese, Roma, Edizioni Noi Donne, 1950 2 Più in generale i comunisti attingevano largamente, dai tempi della svolta di Salerno, al bagaglio di concetti, espressioni, idee proprie della tradizione liberaldemocratica, rispetto alla quale l‟esigenza togliattiana era di marcare una discontinuità, accreditando al tempo stesso il Partito comunista come l‟unico erede delle migliori tradizioni politiche italiane, come quella crociana. Termini estranei alla tradizione marxista entravano perciò nella propaganda corrente. 3 Ivi, frontespizio 4 Ivi, p. 3 5 Ivi, p. 4 53
funzionali alla penetrazione imperialistica americana in Italia, distogliendo l‟attenzione delle donne dai problemi politici sostanziali. Nella stampa borghese laica Macciocchi vedeva lo strumento di una vera e propria offensiva propagandistica statunitense, tesa a creare un vasto consenso tra le masse femminili agli ideali di vita americani, spacciando false promesse di felicità. Tre le armi di questa lotta era annoverato uno dei rotocalchi più amati dal pubblico femminile: <
6 Ivi, p. 4 7 Ivi, p. 6 8 Ivi, p. 6 54
con forti sottintesi sessuali, in un inanellarsi di situazioni in cui la donna è la preda riottosa e l‟uomo il fiero conquistatore che ne doma la volontà. L‟attacco assumeva a tratti il tono moralista e sessuofobo tipico della cultura del PCI, che aveva in orrore ogni forma di promiscuità sessuale e che riteneva immoralità e morbosità vizi tipicamente borghesi, strutturalmente estranei alla classe operaia. L‟autrice parlava quindi di riviste del “senso comune” - riferendosi al “senso comune” che Gramsci attribuiva ad ogni strato sociale - rivolte ad un pubblico piccolo borghese, che “racchiude i propri ideali di vita in rigidi e modesti schemi”9. In questa categoria rientravano riviste come <
9 Ivi, p. 14 10 Ivi, p. 18 55
questa ragione il tono della stampa cattolica secondo Macciocchi era più accorto e sottomesso. La stampa cattolica, a differenza di quella borghese, non rispondeva difatti a imperativi commerciali ma esclusivamente ad esigenze ideologiche. Nell‟ambito della stampa cattolica Macciocchi distingueva quella di opinione da quella di divulgazione e popolare. La prima “ha una sigla specifica, che è portavoce di determinati movimenti e la cui caratteristica è di elaborare i temi fondamentali della ideologia cattolica”11; alla seconda invece toccava il compito di “divulgare in forma semplice i temi medesimi, di renderli accessibili alla grande massa di lettrici”12. Questo doppio binario era evidentemente ritenuto funzionale ed efficiente, se la stessa direttrice di <
11 Ivi, p. 21 12 Ivi, p. 21 13 Ivi, p. 21 14 Ivi, p. 30 15 Ivi, p. 30 16 Ivi, p. 30 56
lesinava attenzione alla sfera delle relazioni private, la cui asimmetria, da condannare, le sembrava trovare nella visione cattolica un fondamento solido17. Infine tornava l‟antico tema delle donne come causa del peccato degli uomini: loro era la responsabilità di ogni cattiveria maschile “per causa vostra, fanciulle, che sembrate pure come i gigli e nascondete il veleno dell‟aspide; per colpa vostra, donne, che sembrate sane come rose e nascondere il tarlo delle anime, è appannata la coscienza degli uomini; sono le punte dei vostri strali ad incrinare il cristallo delle loro anime. Voi non pensate mai all‟anima dell‟uomo; a quell‟anima che egli perde per voi”18. La stampa cattolica e quella laica convergeva no verso una morale tradizionale, fondata sulla separazione della sfera privata da quella pubblica e nell‟assegnazione esclusiva delle donne alla prima. Con toni fortemente emancipazionisti Macciocchi rivendica per <
2. La questione femminile in <
Ma quale era il modello femminile proposto da <
17 Tra i vari stralci citati a dimostrare questa tesi eccone uno tratto da “Palpito tra le macchine”, pubblicazione dedicata alle operaie. “Ecco ad esempio – scriveva Macciocchi – come viene posto il problema dell‟eguaglianza della donna con l‟uomo: <
se fosse d‟accordo con l‟art. 37 della Costituzione21 e se avrebbe appoggiato un‟iniziativa per una legge che sancisse i diritti delle lavoratrici22. Le risposte, tutte favorevoli alla parità salariale, venivano dalla presidente dell‟UDI Maria Maddalena Rossi, dal segretario generale della CGIL Giuseppe Di Vittorio, ma anche da donne di diversa area politica come Ester Colini Lombardi, deputata della Democrazia Cristiana, che rivendicava l‟impegno delle cattoliche, attraverso l‟Unione Internazionale delle Leghe Femminili Cattoliche, per la parità retributiva tra donne e uomini. La legge sulla parità salariale, com‟è noto, in Italia sarebbe arrivata solo nel 195723. Il rapporto tra donne e lavoro naturalmente non si esauriva nella questione salariale, ma offriva anche altri aspetti problematici, come l‟impossibilità di accedere a molti settori professionali: “Le carriere ancora chiuse alle donne – si legge nello stesso appunto - sono quella giudiziaria, diplomatica, l‟alta burocrazia (le donne possono giungere solo al IV grado), le giurie popolari”24. <
21 L‟articolo 37 della Costituzione italiana nel primo comma stabilisce: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. 22 Le donne e l’articolo 37, <
fabbrica, nell‟ufficio, nei campi”, ma proprio perché mogli e madri, “perché hanno comprensione femminile e affetti umani, esse si sentono portate a giudicare con serenità e chiarezza”27. La maternità tanto evocata era in realtà tutelata solo in parte. Una legge sulla tutela della lavoratrice madre esisteva ma era applicata in modo assai imperfetto, come denunciava Macciocchi, che nei suoi appunti sottolineava il largo ricorso da parte dei datori di lavoro al licenziamento in caso di maternità delle dipendenti28. La perdita del lavoro per una donna poteva essere una vera tragedia. La disoccupazione di massa costituiva in quegli anni un problema particolarmente grave. Se una risposta di massa fu l‟emigrazione, quella individuale talora era assai più drammatica: tra la primavera e l‟estate del 1952 le cronache di <
27 Ivi 28 Macciocchi, Appunti manoscritti, Archivio Macciocchi 29 Si veda cap. I, pp. 24 e ss. 30 Documenti dattiloscritti del Partito Comunista Italiano, Archivio Macciocchi 31 Secondo il PCI mancano 70mila aule, un milione e mezzo di bambini non hanno scuola, un milione non giunge a finire le elementari. 11.495 località sono prive della IV elementare e 5.561 della V. Nel Sud solo il 17% dei bambini può frequentare l‟asilo. 32 Il PCI nei suoi documenti parla di ottantamila maestri e ventimila professori di scuola media disoccupati 59
Sul piano della politica estera il giornale dell‟UDI si rivolgeva alle donne con tono apocalittico, chiamandole alla mobilitazione per la pace, contro l‟arma atomica, per la difesa del pianeta e dell‟umanità. L‟URSS era presentata naturalmente come garante mondiale della stabilità, contro l‟aggressivo imperialismo degli Stati Uniti. <
3. Modelli di femminilità
33 Maria Antonietta Macciocchi, L’Unione Sovietica amica dei popoli, <
La lettura di <
39 Si veda Orizzonti sereni. Rita Montagna, di ritorno dall’URSS, racconta alla redattrice Grazia Cesarini quello che ha visto e ascoltato nel Paese del Socialismo, <
di sfruttare nuovi linguaggi e di aprirsi a nuovi temi. Così, presumibilmente nel 1952, Macciocchi compilò dei dossiers sulla stampa degli anni „51-‟52, rilevando il “notevole mutamento”41 di un giornale come <
4. Strategie. Il lavoro con le donne nel Partito comunista italiano
La direzione di un giornale comunista richiedeva uno studio approfondito delle condizioni delle masse femminili, ed anche un costante lavoro di confronto politico con le altre donne, per individuare assieme problemi e strategie. “Chi organizza le donne italiane?” si chiedeva Macciocchi in occasione dell‟incontro con la Commissione del lavoro di Massa, il 15 febbraio 1952. La risposta, già data da Rita Montagnana nel suo intervento, era “la borghesia, la reazione, la Chiesa, e non soltanto attraverso movimenti e partiti, ma nelle forme più varie, con i temi più vari, con una vasta rete di giornali”46. Il problema che si poneva era come sempre quello di sottrarre le donne all‟influenza della rete di propaganda avversaria. Dunque l‟azione politica del PCI e dei giornali che ne erano espressione doveva mirare soprattutto a “creare prospettive di vita nuove fra le donne”47. La funzione repressiva della stampa borghese non era legata al sostegno esplicito ad un preciso partito politico, quando al suo essere colonna portante di un ordine costituito e del sistema ideologico che lo sorreggeva, basato su alcuni punti, tra cui l‟inevitabilità dell‟ordine sociale e l‟inferiorità della donna rispetto all‟uomo. La Commissione Femminile Nazionale del PCI discusse di strategia e propaganda in vista della campagna elettorale del 1953, nel corso di alcune riunioni in cui i temi del lavoro e delle politiche governative si affiancarono al dibattito sulla necessità di una trasformazione culturale delle masse femminili. Ci si rendeva conto della necessità di intercettare quella parte dell‟elettorato che non traduceva il suo malcontento verso la politica governativa in un voto di protesta dato al PCI, ma che restava piuttosto in una posizione di scetticismo, quando non finiva addirittura per orientarsi verso posizioni di destra. Tra questi indecisi molte erano le donne, meno politicizzate e spesso sottoposte all‟influenza clericale48. Il PCI individuava i punti di debolezza nella sua campagna per conquistare l‟elettorato femminile: insufficiente era la ricerca dei temi che potessero particolarmente interessare
41 Macciocchi, Appunti manoscritti, Archivio Macciocchi 42 Ivi 43 Ivi 44 Ivi 45 Ivi 46 Intervento di Macciocchi, Commissione del lavoro di Massa 15/02/52 47 Ivi 48 Direzione del Partito Comunista Italiano, Sez. femminile, Prot. N. 3975, 12/09/52 Alla compagna della Sezione Femminile M. A. Macciocchi, Federazione Comunista 62
le donne soprattutto in occasione di campagne nazionali; insufficiente lo sforzo per parlare alle donne con un linguaggio semplice; scarso lo studio dell‟azione propagandistica dell‟avversario nei confronti delle donne e l‟elaborazione di una propaganda che ne annullasse o diminuisse gli effetti. Poco popolarizzate o non abbastanza combattive le campagne che il Partito e le organizzazioni democratiche conducevano49. A questi punti, elencati in un documento che la Sezione femminile del Partito inviò a Macciocchi il 12 settembre del ‟52, la direttrice di <
49 Ivi 50 Rapporto Macciocchi, Linee del rapporto su “La nostra azione di propaganda e di agitazione, della lotta per la difesa della pace, della libertà, dell‟infanzia, delle lavoratrici”, discusso il 24-25 settembre 1952 presso la Commissione femminile nazionale del Partito Comunista Italiano, Roma, Sede della Direzione del Partito. Dattiloscritto, Archivio Macciocchi 51 Ivi 52 Ivi 53 Quella sull‟uso delle armi batteriologiche statunitensi nella guerra di Corea è una questione ancora aperta. L‟accusa, lanciata da Corea del Nord e Cina agli Stati Uniti, e sempre respinta da questi ultimi, era di aver impiegato a fini sperimentali armi batteriologiche e di aver diffuso insetti portatori di infezioni. 63
Macciocchi, dal canto suo, aveva in mente un modello di comunicazione che non fosse pura e semplice propaganda. Nel suo intervento alla Sezione femminile del PCI si appellava all‟uso della ragione, delle argomentazioni fondate e documentate. “La nostra propaganda deve invitare al ragionamento; motivare le ragioni nostre con l‟argomentazione, portare dati precisi, dare nomi e cognomi ai responsabili. La combattività della propaganda deve nascere dalla forza e dall‟efficacia degli argomenti e non dall‟insulto, né dall‟aggressività generica”54. Oltre a parlare dei temi della campagna elettorale, Macciocchi dava nel suo intervento anche dei suggerimenti sui metodi e sull‟organizzazione dell‟azione politica, affermando l‟importanza di creare una leva di propagandiste. La struttura fondamentale della rete doveva essere costituita dalle delegate dell‟UDI, dalle diffonditrici di <
5. Il primo Congresso per i problemi della stampa femminile
Il 25 e 26 ottobre del 1952 si tenne a Roma il primo Congresso per i problemi della stampa femminile, promosso dall‟UDI e <
54 Ivi 55 Ivi 56 Ivi 57 Macciocchi, Sotto accusa la stampa femminile borghese, cit. 64
I vertici dell‟UDI temevano tuttavia che la nuova impostazione politica non fosse del tutto compresa dalla base 58. Al Congresso, oltre ad esponenti politici e del mondo culturale, parteciparono 80 delegazioni dell‟UDI provenienti da tutta Italia, per un totale di 1.500 donne. La preparazione aveva richiesto un percorso lungo e laborioso: centinaia di manifestazioni varie si erano svolte in numerose province italiane in vista del grande incontro. Il congresso si aprì il 25 ottobre al teatro romano Eliseo, con la lettura del saluto di Vittorio Emanuele Orlando59, gli interventi di Anna Banti60, Ada Gobetti, Pietro Calamandrei61, e proseguì il 26 al teatro Sistina con il solo intervento di Macciocchi, presentato dalla presidente dell‟UDI, Maria Maddalena Rossi, cui seguì il lancio del premio letterario “Noi Donne”. Il riconoscimento sarebbe andato a un‟opera narrativa o saggistica che esaltasse “le qualità migliori della donna italiana nella famiglia e nella vita sociale”62. Nella giuria figuravano nomi illustri come Anna Banti, Cesare Zavattini63, Francesco Flora64, Concetto Marchesi65, Luigi Russo66, Sibilla Aleramo, Leonida Repaci67, Laudomia Bonanni68, Fausta Cialente69 e la stessa Maria Antonietta Macciocchi. Tra il pubblico erano presenti Domenico Rea, Vasco Pratolini70, Paola Masino71, Domenico Purificato72. Avevano inviato la loro adesione tra gli altri gli editori Einaudi, Vallecchi, Laterza, Macchiaroli, oltre a poeti e scrittori come Quasimodo73, Italo Calvino74, Natalia Ginzburg75. Oltre all‟adesione di singole personalità, il Congresso
58 Il congresso della stampa femminile, documento UDI, dattiloscritto, Archivio Macciocchi 59 Vittorio Emanuele Orlando (Palermo, 1860 – Roma, 1952) è stato un politico e giurista italiano. Ministro con i governi Giolitti e Salandra, È stato candidato nel listone fascista per le elezioni del 1924, per passare all‟opposizione nel 1925. Con il ritorno della democrazia fu deputato all‟Assemblea Costituente e senatore. 60 Anna Banti (nome d‟arte di Lucia Lopresti) (Firenze, 1895 – Ronchi di Massa, 1985) è stata una scrittrice italiana. 61 Piero Calamandrei (Firenze, 1889 – Firenze, 1956) è stato un giornalista, giurista, politico e docente universitario italiano. 62 Bando, in <
aveva ricevuto anche quella delle più prestigiose riviste culturali vicine al PCI, come <
76 Giuliana Dal Pozzo, Cronaca di due giorni, <
limite del socialismo utopistico rispetto alla questione femminile era individuato, sulla scia di Marx, nella mancanza di un‟analisi dei rapporti economici in chiave di antagonismo di classe: “Quasi tutti però considerarono il problema femminile non poggiando su un‟analisi delle classi, considerano la donna non nella sua funzione sociale ma nella sua funzione sessuale. Intendono rinnovare la società con una dottrina mistica e sessuale”82. La conclusione era che solo con Marx ed Engels la questione femminile avrebbe lasciato il mondo delle utopie. Il 15 luglio 1956 Macciocchi lasciò <
6. <
<
82 Ivi. Dati i numerosi riferimenti a Jean Freville, evidentemente la fonte delle sue considerazioni era l‟antologia La femme et le communisme. Anthologie des grands textes du marxisme, pubblicata a Parigi, nel 1951 dalle Editions sociales, con presentazione di Jeannette Vermeersch (Esponente del Partito comunista francese, Jeannette Vermeersch era anche nota in quanto moglie del segretario generale del PCF, Maurice Thorez) e testo introduttivo di Jean Freville (Jean Freville, studioso, redattore de l’Humanité, tradusse in francese Marx, Engels, Lenin, Stalin, Lafargue, curando le edizioni di numerose opere) 83 Maria Antonietta Macciocchi lascia il nostro giornale, <
lire. Centrato sulla risposta ai luoghi comuni. Da portarsi là dove altra stampa non arriva. Mimosa non è fatta per le dirigenti è fatta per le donne cui giunge il bollettino (…) riunione di caseggiato..”88. Gli appunti potrebbero essere stati presi autonomamente per la preparazione di un intervento, oppure nel corso di una riunione di Partito riflettendo piuttosto le indicazioni dei vertici. Tuttavia, leggendoli nell‟ambito della più ampia raccolta di materiali risalenti a quel periodo è possibile ipotizzare un ruolo più attivo, decisivo di Macciocchi nella creazione di questo nuovo, transitorio organo di stampa. In occasione di convegni ed incontri dedicati alla stampa femminile Macciocchi ha sempre assunto un ruolo propositivo e progettuale, passando dall‟analisi della stampa per le donne all‟elaborazione di una strategia per far uscire la stampa democratica dal suo recinto e permetterle di conquistare il maggior numero di donne. In un altro appunto, per la diffusione di <
88 Appunti, Archivio Macciocchi 89 Ivi 90 Ivi 91 Ivi 92 Ivi 93 Ivi 94 Ivi 68
propaganda lotta contro il pregiudizio, ignoranza, luoghi comuni. Scardinare dalla testa delle donne tradizione, spirito di conservazione. Il mondo può cambiare. Aiutarle a capire meglio perché hanno votato per noi. Quale sarà la sua via di diffusione? Non le città. Quale il suo pubblico? Non le intellettuali. Dedicato alle donne che non leggono nulla, tranne il bollettino parrocchiale, che fanno fatica a leggere più di venti minuti e per le quali N.D. è troppo complesso. Come strumento di organizzazione – destinato a collegarci in centinaia di migliaia di donne – ogni mese – Mimosa permetterà contatti mezzo milione di donne al mese”. Obiettivi ambiziosi in un contesto caratterizzato da un vasto analfabetismo, specialmente femminile. Macciocchi delinea anche la strategia di diffusione del giornale: “Ma l‟organizzazione non c‟è! Ebbene occorre crearla, sulla scorta dei risultati elettorali, trovare le donne, le simpatizzanti, colei che distribuiva materiale elettorale. Mimosa impone sforzo simpatizzanti e studio risultati elettorali. Mimosa come primo nucleo per la formazione di un circolo là dove non c‟è nulla, non si legge nulla. Mimosa primo nucleo attorno al quale far avvenire riunione cortile o basso. Combattere pigrizia e opportunismo di chi non vuole sovraccaricarsi di un nuovo lavoro. Creare una nuova rete per diffusione di Mimosa – creare nuove diffonditrici. Esperienza di Bologna, che ha saputo organizzare diffusione. 3000 donne attivate a Napoli. Certo è che nel caso della campagna elettorale dappertutto nuove donne si sono fatte avanti, hanno dimostrato di possedere ottime capacità di direzione politica e organizzativa; nuovi quadri si sono formati o sviluppati; il movimento femminile democratico ha un nuovo prezioso apporto di forze, da cui tirar fuori le sue delegate. È necessario compiere uno sforzo perché queste energie non vadano disperse, perché queste donne non ricadano nella precedente inattività, ma ci aiutino a risolvere il problema, così importante, di mantenere, creare, allargare rapporti stabili e continuativi fra l‟U.D.I. e l‟imponente massa delle lettrici. Ed ecco importanza di loro attività facile come diffusione Mimosa”95. Ed ecco, per <
95 Ivi 96 Ivi 69
CAPITOLO IV <
1. La direzione di <
Macciocchi assunse la direzione del periodico <
1 Luigi Longo (Fubine, 1900 – Roma, 1980) è stato un politico italiano. Fu membro dell‟Assemblea Costituente, deputato e segretario del PCI dal 1964 al 1972. 2 La Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) era l'organizzazione dei giovani comunisti del Partito Comunista Italiano (PCI) 3 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 258 4 <
Stalin, arrivando a vendere 260.000 copie. Tuttavia neppure il peso e il prestigio del nome di Longo che lo dirigeva, avevano potuto impedire il lento declino non solo nella diffusione, ma nell‟interesse stesso dei lettori, come testimoniato dai sondaggi condotti dalla stessa testata7. <
7 Ivi 8 Ivi. Per tiratura si intende il numero complessivo delle copie stampate, la diffusione indica le copie effettivamente vendute e la resa è la differenza tra tiratura e diffusione, ovvero il numero delle copie invendute. 9 Macciocchi, Relazione su <
Occorreva dunque puntare su alcune battaglie da portare avanti con le forze a propria disposizione, con rigore giornalistico, lanciando dei sassi nello stagno della discussione pubblica. Ogni progetto, tuttavia, doveva confrontarsi con i dati sconsolanti delle possibilità finanziarie. Sotto questo profilo la vita di un settimanale comunista negli anni Cinquanta era tutt‟altro che semplice: gli inserzionisti pubblicitari disertavano la stampa di sinistra, investendo le proprie risorse pubblicitarie su prodotti editoriali meno compromettenti11. Nel 1957 su <
11 Ecco alcuni dati citati da Vie Nuove: la produzione e la distribuzione di una copia di <
A partire dal numero 42 del 1958, <
18 Vie Nuove>> a 52 pagine, <
accolte da commenti di giuristi e costituzionalisti. Le rubriche di politica interna ed estera furono affidate rispettivamente a Luigi Pintor25 e Franco Calamandrei. Cesare Zavattini, nella sua rubrica dal titolo Domande agli uomini, incontrava persone comuni e le invitava a raccontare la propria vita quotidiana. Ma chi era il lettore tipo di <
2. La grande tempesta del „5628
Il 1956 si era abbattuto come una tempesta sui partiti comunisti occidentali. La bara di Stalin si era chiusa, a tre anni di distanza dalla sua morte, con il sonoro tonfo del XX
25 Luigi Pintor (Roma, 1925 – Roma, 2003) è stato un giornalista, scrittore e politico italiano. Ha partecipato alla fondazione de <
Congresso del PCUS, svoltosi a Mosca tra il 14 e il 25 febbraio. La denuncia del “culto della personalità” fatta da Krusciov in quell‟occasione fu soltanto l‟avvio di un processo che avrebbe generato da un lato ottimismo e speranze di cambiamento, dall‟altro sconcerto e confusione nei militanti comunisti. Il 26 marzo l‟ex corrispondente da Mosca del <
29 N. Ajello, Intellettuali e PCI, op. cit., p. 367 30 9 domande sullo stalinismo: Palmiro Togliatti, <
tragica ferita nel cuore dell‟Occidente. In occasione del cinquantennale si è riacceso un dibattito esteso anche all‟uso dei termini: molti intellettuali, da Sofri a Bettiza, hanno denunciato nuovamente la logora e corriva espressione “fatti d‟Ungheria”; Bettiza nel suo recente saggio ha parlato di quella ungherese come dell‟unica vera rivoluzione antitotalitaria e democratica del Novecento, mentre Federigo Argentieri ha parlato di “rivoluzione calunniata”34. Il PCI a quel tempo lanciò, attraverso il suo quotidiano <
34 F. Argentieri, Ungheria 1956. La rivoluzione calunniata, Venezia, Marsilio, 2006; rigorose ricostruzioni della rivoluzione ungerese, comparse in occasione del cinquantennale, sono quelle di G. Dalos, Ungheria 1956, Roma, Donzelli, 2006, e di A. Nagy, Il caso Bang-Jensen. Ungheria 1956: un paese lasciato solo, Milano, Baldini-Castoldi Dalai, 2006 35 Guicciardino, I giorni dell’Ungheria, <
alla direzione del PCI, in segno di protesta per la manomissione dei suoi articoli. Secchia e Pajetta criticarono Macciocchi per il suo operato. “La mollavano – scriverà di se stessa– dopo averle impartito l‟ordine, Pajetta, Secchia, Togliatti, di interpolare agli articoli i comunicati delle agenzie di stampa che diffondeva il Partito. Lei si tormentava per la vergogna. Era l‟unico atto turpe che avesse mai compiuto”39. Il primo editoriale con cui la neodirettrice si presentava al pubblico dei suoi lettori non poteva sorvolare sui fatti di Budapest, pur avendo scelto per la copertina di <
39 Ivi, p. 279 40 N. Ajello, cit., p. 408 41 Macciocchi, Dagli avvenimenti ungheresi alla guerra in Egitto, <
dicono messe altrettanti solenni per gli egiziani, non si affermano, o si affermano con mezze parole i diritti del popolo egiziano, non si chiedono arruolamenti volontari per andarli a difendere. È il discorso che già altre volte abbiamo fatto per il Kenia, per Cipro, per l‟Algeria: ovvero che la borghesia leva la bandiera della libertà e della democrazia solo quando questo serve in funzione antioperaia e antisocialista. Ma basta che gli egiziani reclamino una ricchezza che appartiene loro, perché libertà e democrazia si rovescino come un guanto e si traducano nel diritto al massacro di popoli pacifici, e nell‟invasione militare la più brutale”47. Un altro editoriale del 17 novembre chiariva ancora il senso degli eventi in chiave decisamente ortodossa: gli insorti ungheresi erano “gente animata dall‟odio dei controrivoluzionari verso il socialismo”48, senza nessun legame con il proletariato ungherese di cui non riflettevano le posizioni. Il “terrore bianco”49 aveva portato alla barbara uccisione di “comunisti onesti, gente come tanta ne conosciamo anche noi, sindacalisti, giornalisti, organizzatori politici, rappresentanti della gioventù, delle donne, che in questi anni avevano fatto una vita di sacrifici, di battaglie come tanta parte dei lavoratori ungheresi”50. Dunque il salvifico intervento dei carri armati sovietici aveva fatto sì che le “bande fasciste”51 fossero rese impotenti a nuocere, un fatto che “non può far piangere nemmeno il più indulgente degli italiani”52. Ecco riprese fedelmente le linee tracciate da Togliatti: comprensione per l‟insoddisfazione nei Paesi dell‟Est, critica del ritardo delle classi dirigenti nel recepire le indicazioni del XX congresso, necessità di critiche e correzioni che però ai sovietici non tocca attuare in Paesi diversi dal proprio, approvazione dell‟uso della forza per fermare la rivolta, monito ai militanti a non lasciarsi trascinare in uno schieramento sbagliato53. Il tutto condito con particolari atroci destinati a suscitare l‟orrore del pubblico. Così Sergio Perucchi nella sua corrispondenza da Budapest poteva giudicare “sostanzialmente giuste”54 le critiche dei ribelli al governo di Rakosi, fare riferimento agli errori della dirigenza socialista, parlare delle potenzialità democratiche non sfruttate della “grande ondata popolare”55 e poi denunciare le orribili torture commesse dal terrore bianco. L‟analisi delle cause della crisi ungherese trovava la sua più compiuta espressione nella risposta alla lettera di un gruppo di lettori divisi sull‟interpretazione dei fatti, presumibilmente vergata dalla stessa direttrice. Tra i gli elementi essenziali alla comprensione della vicenda anzitutto l‟errata direzione economica da parte dei vecchi dirigenti politici ungheresi. Quando intervennero le decisioni del XX congresso del PCUS a condannare alcuni errori dello stalinismo ecco che quei dirigenti, staccati dalle masse, si rivelarono incapaci di comprendere le esigenze e le aspettative che quella nuova linea avrebbe generato. La prima scintilla della rivolta ungherese, al pari di quella polacca accesasi poco prima, era stata perciò “genuinamente popolare”56. Il partito comunista al
47 Ivi 48 Macciocchi, Due righe per i lettori, <
potere, tuttavia, non ebbe la capacità di sfruttare le potenzialità democratiche di quel movimento e fu travolto dagli eventi. Il passaggio alla seconda, drammatica fase si dovette all‟anarchia generata da questa mancata capacità di direzione, e all‟abilità di una minoranza di reazionari nel piegare il caos ai propri fini. Ambiguamente la risposta riconosce anche in questa seconda fase alla rivolta “indubbi caratteri popolari”57, ma per concludere che le truppe sovietiche non avrebbero potuto in nessun caso abbandonare il Paese all‟anarchia oramai dilagante. I toni antiatlantici in questo periodo sfumavano nel riconoscimento della convergenza di interessi tra Stati Uniti e Unione Sovietica, emersa di fronte ai fatti d‟Ungheria e alla guerra di Suez. La parola d‟ordine nel confronto tra le due superpotenze oramai era quella della coesistenza competitiva. L‟azione dell‟URSS in Ungheria aveva suscitato reazione moderate da parte degli Stati Uniti, ben diverse da quelle mostrate di fronte alle vicende berlinesi di tre anni prima. Così <
3. Malaparte: l‟intellettuale che salì sulla barca comunista alla deriva
57 Ivi 58 I. Montanelli, Esame di coscienza dinanzi al popolo ungherese, <
Il 22 dicembre 1956 ebbe inizio la collaborazione di Curzio Malaparte61 con <
61 Curzio Malaparte - all'anagrafe Kurt Erich Suckert - (Prato, 1898 – Roma, 1957) è stato uno scrittore e giornalista italiano. Aderì al fascismo sin dalla marcia su Roma per discostarsene più tardi. E‟ stato direttore di <
del consenso e della fiducia verso il partito. Molti intellettuali avevano fatto i bagagli ed erano partiti per altri lidi. Proprio in quel momento drammatico prendevano corpo su <
66 Ivi 67 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 264. La richiesta di iscrizione al PCI di Malaparte fu oggetto di controverse ricostruzioni: nel 1949, a seguito di una polemica con lo scrittore dovuta alla pubblicazione del romanzo anticomunista Storia di domani, Togliatti minacciò di dare alle stampe un documento in cui Malaparte “dopo aver raccontato tutta la sua vita e aver detto d‟essere stato comunista sin dalla nascita, chiede l‟iscrizione al PCI”; Malaparte negò recisamente di aver mai chiesto l‟iscrizione al Partito. Il documento, un‟autobiografia scritta nel ‟44, fu pubblicata effettivamente da Togliatti dopo la morte dello scrittore. A partire da quell‟episodio i rapporti con il PCI degenerarono rapidamente, fino alla riconciliazione avvenuta con l‟avvicinamento a Macciocchi e a <
Macciocchi70. In essa si comunicava che la redazione di <
70 Lo si ricava dal testo dattiloscritto, in cui nelle correzioni a mano si riconosce la grafia di Macciocchi, Lettera dattiloscritta, s.d. Archivio Macciocchi 71 Ivi 72 Ivi 73 Ivi 74 “Poco tempo dopo gli articoli arrivarono puntuali, per telex. C‟era perfino un‟intervista con Mao, un pezzo di bravura, tipo quella che Malraux farà dieci anni dopo. Non so ancora adesso se Malaparte se la fosse inventata o se fosse vera, ma Mao parlò più o meno con lui allo stesso modo che con lo scrittore francese”. Ivi, p. 264. L‟allusione alla possibile invenzione dell‟intervista trova una giustificazione nel fatto che Malaparte già altre volte aveva scritto false corrispondenze, come quando, durante la guerra, dalla sua villa di Capri continuava a scrivere corrispondenze dal fronte. “Fu il ministero della Cultura popolare a farlo smettere – scrive Bruno Guerri – perché “tutti sanno che Malaparte è a Capri””. Op. cit., p. 82 75 Macciocchi, Visto per Hong-Kong, <
L‟ambasciata inglese a Roma aveva negato il visto per Hong-Kong a due medici italiani che dovevano transitarvi per andare in Cina e organizzare il viaggio di ritorno di Malaparte da Pechino a Roma. “Il nobile motivo con cui questo rifiuto è stato giustificato dai diplomatici inglesi è che Malaparte, mesi orsono, si schierò dalla parte dell‟indipendenza di Cipro, e in tal senso scrisse alcuni articoli”76. Ma dietro questa motivazione c‟era dell‟altro, secondo Macciocchi, ovvero il danno d‟immagine subito dagli inglesi di Hong-Kong. Quando lo scrittore si era ammalato, a Formosa era partita una campagna volta a mettere sotto accusa il sistema sanitario della Cina comunista, i cui toni e contenuti erano stati così descritti da Malaparte stesso: “A Hong-Kong gli inglesi, gli americani, i cinesi di Ciang Kai-scek pare abbiano fatto molto chiasso attorno al mio caso, dicendo che me lo meritavo, e così avrei imparato a credere nella Cina popolare, che chi si ammala in Cina è morto, che non vi sono ospedali, l‟igiene pubblica è trascurata e così via”77. La Hong-Kong Bank in quell‟occasione aveva telegrafato a Malaparte offrendogli un ricovero pagato in un ospedale di Hong-Kong o in un ospedale americano di Formosa, offerta che lo scrittore aveva rifiutato recisamente, dicendosi soddisfatto delle cure cinesi e dichiarando di non voler avere nulla a che fare con i partigiani di Ciang a Formosa78. Il rifiuto del visto, in ultima analisi, avrebbe rappresentato una ritorsione per quel gesto sprezzante, mai perdonatogli. Malaparte riuscì infine a tornare a Roma, l‟11 marzo del „57. Atterrò in serata con un volo speciale all‟aeroporto di Campino, atteso da una folla di giornalisti, fotografi, ammiratori, letterati, con l‟accoglienza solitamente riservata ai divi del cinema79. Macciocchi lo salutò dalle pagine del giornale come un eroe. La pubblicazione delle corrispondenze di Malaparte da Mosca avvenne soltanto a partire da quel momento, ovvero un mese dopo il loro arrivo in redazione. “Per ragioni tecniche” si giustificò la direttrice con il suo pubblico, al momento di stendere un bilancio dell‟avventura di Malaparte. In realtà il ritardo della pubblicazione era dovuto a ragioni squisitamente politiche. Le stesse per cui gli articoli dalla Cina restarono a lungo chiusi in un cassetto. “Togliatti mi mandò a dire di aspettare che il risentimento degli intellettuali verso Malaparte scemasse”80. Malaparte morì il 19 luglio 1957. Macciocchi scrisse di getto un lungo articolo per <
76 Ivi 77 Ivi 78 Ivi 79 Macciocchi, La grande avventura di Malaparte,
nella decisione di non pubblicare l‟articolo di Macciocchi avevano pesato anche ragioni di convenienza verso i lettori e gli elettori cattolici. Ancor più interessante è la parte della lettera in cui Macciocchi mette sotto accusa il metodo di gestione di <
84 C. Malaparte, Lettera a Maria Antonietta Macciocchi, <
conservato fino all‟ultimo in una cassetta di metallo, accanto al suo letto nella clinica Sanatrix, sarebbero confluite nel libro Io, in Russia e in Cina, edito da Vallecchi nel ‟5787.
4. Un mostro chiamato Europa
Il 25 marzo 1957, a Roma, i sei ministri degli esteri di Francia, Italia, Germania Ovest, Belgio, Olanda e Lussemburgo si incontravano per la firma degli storici trattati che avrebbero dato vita alla Comunità europea. L‟Europa si presentava agli occhi dei comunisti come una mostruosa idra a tre teste: la Germania dal non lontano passato nazista, la Francia, sanguinaria torturatrice del popolo algerino, e l‟Italia, dominata da una dittatura reazionaria e clericofascista. La genesi della piccola Europa “di marca americana”88 andava messa in relazione alla “politica di guerra atomica”89; l‟Euratom, massima espressione della logica antisovietica, nasceva “sotto il dominio dei colonialisti francesi e dei militaristi tedeschi e sotto il patrocinio dell‟imperialismo americano”90. Nelle fondamenta politiche dell‟edificio europeo che si andava erigendo i comunisti intravedevano pericoli di ordine economico (la soggezione ai monopoli), politico (i “padroni dell‟alleanza” volevano dirigere anche la politica estera italiana) e militare (si parlava di riarmo della Germania e del rischio che questa potesse essere tentata da una nuova avventura militare).
87 Alcune di queste vennero pubblicate a puntate su <
L‟inizio delle attività nel Mercato Comune Europeo91 furono salutate con sfiducia. Contro il MEC dalle pagine di Vie Nuove scrissero Aldo Natoli92, Antonio Pesenti, 93, Luca Pavolini94, Luciano Romagnoli95. Per sostenere la tesi antieuropea non si disdegnava l‟argomento nazionalista: l‟Italia, che rappresentava nell‟ambito dei paesi del Mercato comune un terzo della popolazione e un ottavo della forza industriale, avrebbe finito col pagare i costi più elevati in termini di occupazione e crescita rispetto ad economie più solide, come la Germania e la Francia, che avrebbero tratto i maggiori benefici dalla creazione del mercato comune. L‟inclusione nel MEC dei Territori d‟Oltremare francesi avrebbe fatto pagare ai contribuenti italiani ed europei le infrastrutture necessarie perché “i coloni di Algeria, e i monopoli francesi e tedeschi” potessero più agevolmente “rapinare le risorse minerarie, petrolifere, di uranio dell‟Africa francese”96. Si temeva che “il vento rinnovatore del MEC” travolgesse le “deboli infrastrutture industriali ed agrarie, gettando sul lastrico altri milioni di lavoratori”97. D‟altronde il PCI già un anno prima, in occasione della firma dei trattati, aveva assunto una posizione decisamente critica sull‟istituzione del mercato comune. Il 24 marzo, prima dell‟inizio del dibattito parlamentare e all‟immediata vigilia della firma dei trattati, la direzione del Partito comunista aveva lanciato un appello in cui si denunciavano i pericoli economici, politici e sociali, insiti nel MEC, “espressione e strumento di una politica che tende a dividere sempre più profondamente l‟Europa in due blocchi militari contrapposti”98, perché legato all‟organizzazione del Patto atlantico e della Ueo. Inoltre vi era il timore che la nuova organizzazione esercitasse una forte pressione per impedire l‟adozione di politiche economiche contrarie all‟interesse dei grandi capitali. Effettivamente l‟ingresso del MEC legittimava la Confindustria a fare muro contro le richieste sindacali di rinnovo dei contratti e aumenti salariali (i dati ufficiali della Ceca sui salari Europei, che rivelavano come i salari italiani fossero di gran lunga i più bassi, vennero pubblicati per la prima volta in Italia proprio da <
91 Per Mercato Europeo Comune (MEC) si intende l‟area dei paesi della comunità europea su cui si realizza la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali, prevista dai Trattati di Roma, entrati in vigore il 1 gennaio 1958. Il MEC ha conosciuto un periodo transitorio di dodici anni, conclusosi il 31 dicembre 1969 92 Aldo Natoli, nato nel 1913 a Messina, è un medico e politico italiano. Antifascista, nel dopoguerra fu segretario del PCI a Roma e nel Lazio e più volte deputato. Nell'ottobre del 1969, in dissenso con la posizione del PCI sull'invasione sovietica della Cecoslovacchia, fu radiato dal partito e assieme a Rossana Rossanda e Luigi Pintor fondò il quotidiano <
Mieli e Gino Lubich, preparata nel numero precedente dalla consueta rubrica di Macciocchi, dedicata alle conseguenze del nucleare. Nonostante queste posizioni – peraltro in linea con la politica del PCI – Macciocchi scriverà anni dopo: “Non sono mai stata antieuropea”100. L‟Italia del PCI non guardava all‟Europa, ma al di là della cortina di ferro. La firma Bruno Trentin comparì in calce ad una serie di reportage dall‟URSS, mentre Giancarlo Pajetta e Tullio Vecchietti commentarono le elezioni polacche. La Polonia divenne la prova concreta dell‟efficacia delle innovazioni del XX congresso del PCUS, contraltare dei fatti d‟Ungheria. “Il POUP ha dimostrato di essere il rappresentante vero, effettivo della volontà della Polonia popolare”101, scrisse Macciocchi. Alla base del progresso della Polonia “è l‟unità del mondo socialista contro l‟imperialismo, è il consolidamento dell‟amicizia con l‟URSS”102. Ma un‟altra novità veniva sottolineata: per la prima volta nella storia si realizzava “un‟alleanza tra forze cattoliche e forze socialiste”103. Nell‟ottobre 1957 un evento di portata planetaria infiammò i cuori dei comunisti occidentali: fu lanciato in orbita il primo satellite, il sovietico Sputnik. L‟intero numero del 19 ottobre 57 di <
5. Dall‟Eva proletaria alla donna moderna
Il tema femminile comparve in modo importante per la prima volta nel numero 10 del 9 marzo 1957, con un‟inchiesta sulla condizione femminile in Italia firmata da Gaetano Tumiati. Complessivamente la questione femminile non ebbe in <
100 Macciocchi, La donna con la valigia, cit., p. 202 101 Due righe per i lettori, <
soprattutto al grado di priorità ad essa assegnato dalla politica del Pci, ovvero non particolarmente elevato. Vi sarebbe stata tuttavia la possibilità per chi assumeva la direzione di un periodico come <
105 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 277 106 Ivi, p. 277 107 Nello stesso dialogo con Macciocchi Moravia aveva rievocato questo particolare a proposito di Curzio Malaparte 108 Ivi, pp. 262-263 109Ivi, pp. 217-218 88
lacere che avevano riempito le pagine di <
110 Per la storia dell‟istituto giuridico del divorzio in Italia si veda S. Nelli, Lo scioglimento del matrimonio nella storia del diritto italiano, Milano, Giuffré, 1976. 111 Perucchi denunciava l‟assenza del divorzio come un‟intollerabile arretratezza, come il sintomo più evidente dell‟incapacità della legislazione di adeguarsi alle mutate esigenze della società. Nella terza puntata dell‟inchiesta l‟autore arrivava a mettere in relazione l‟ampia diffusione del delitto d‟onore in Italia con l‟impossibilità di sciogliere il vincolo matrimoniale, e quindi di uscire dalla situazione umiliante creata dal tradimento. L‟inchiesta metteva in luce la profonda frattura esistente tra la legge e la vita reale delle persone che, vedendosi negare la possibilità di sciogliere il legame matrimoniale, ricorrevano a trucchi ed espedienti di ogni sorta per aggirare il divieto. Si citava una pratica diffusa nella buona società, ovvero quella con cui i giovani sposi affidavano al proprio avvocato, al momento di contrarre matrimonio, lettere nelle quali si denunciavano pressioni familiari, in modo da poterne far uso, in caso di necessità di annullamento, per dimostrare che alla base dell‟unione vi era un vizio di consenso. Molti italiani in quegli anni sceglievano di sposarsi nella repubblica di San Marino per essere certi di poter ottenere in futuro un eventuale annullamento con maggiore rapidità. 112 Sulla condizione giuridica della donna si segnalano P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia (1796-1942), Bologna, Il Mulino, 1974 A. Cappiello, E. Marinucci, G. F. Rech, L. Remiddi (a cura di), Donne e diritto, due secoli di legislazione 1796/1986, Roma, Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna, Poligrafico dello Stato, 1988; C. Cardia, Il diritto di famiglia in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1975; M.G. Manfredini, La posizione giuridica della donna nerll’ordinamento costituzionale italiano, Padova, Cedam, 1978; A. M. Galoppini, Il lungo viaggio verso la parità. I diritti civili e politici delle donne dall’unità a oggi, Bologna, Zanichelli, 1980 89
donna era “libera ed evoluta come in nessun‟altra epoca precedente”113. Il difficile accesso ad un‟istruzione adeguata restava un tema spinoso e largamente sentito: la maggioranza delle donne interrogate da <
113 Rispondete con sincerità, <
oppositori117. Altri articoli e commenti salutavano la legge come il primo colpo a una concezione incivile, auspicando una generalizzata educazione sessuale per i giovani118. Alberto Moravia accoglieva la legge con “particolare soddisfazione”119, pur ricordando che la prostituzione ha ben altre cause, più difficili da sradicare.
6. Il dibattito sulla pensione alle casalinghe: una polemica con <
Macciocchi tornò ad occuparsi di questione femminile salutando la proposta di un provvedimento che prevedeva l‟istituzione presso l‟INPS di una mutualità pensioni per gestire, con il contributo dello stato, le assicurazioni volontarie per le casalinghe, ed entrando in polemica su questo tema con il quotidiano democristiano <
117 T. Merlin, Siamo gli ultimi ad aprire le persiane, <
“Per quanto ci concerne – scriveva la direttrice – il posto delle donne nella società moderna, con buona pace del <
7. Lo scandalo della poliomielite. <
Macciocchi si dedicò in prima persona, come ai tempi di Noi Donne, a inchieste e reportage. Una delle prime inchieste ampie ed agguerrite, destinata a dare lustro al giornale, fu dedicata alla diffusione della poliomielite in Italia. Fu una delle prime inchieste sulla malasanità, in cui si denunciavano l‟insufficienza delle strutture ospedaliere e l‟incapacità dello Stato di offrire ai cittadini un adeguato livello di protezione della salute. Il caso esplose durante il secondo governo Fanfani. Tra l‟estate e l‟autunno del ‟58 a Napoli era dilagata un‟epidemia di poliomielite, che aveva colpito mille bambini. Solo a settembre vi erano stati quattrocentonovantadue casi, di cui centonovantacinque mortali. L‟incapacità delle strutture sanitarie napoletane di far fronte alla grave emergenza si era tradotta nella perdita di molte vite, imputabili agli scarsi investimenti nella costruzione di ambulatori e plessi ospedalieri. Alla sanità – scriveva Macciocchi - erano destinate meno risorse di quelle che finivano nella costruzione di parrocchie. Se la polemica non era priva della consueta vena demagogica, la critica coglieva in pieno la contraddizione tra una modernità proclamata a gran voce - a Latina in quei giorni si posava la prima pietra della prima centrale termonucleare italiana e i giornali, entusiasti, annunciavano che l‟Italia era “entrata nel futuro”128 - e la drammatica arretratezza delle condizioni di vita di tanta parte della popolazione, specialmente nel Mezzogiorno. L‟insufficienza delle strutture ospedaliere, che si palesava tragicamente in occasione di casi estremi, come quello che aveva colpito i bambini napoletani, era solo la punta di un iceberg. Con una tendenza destinata a sopravvivere per decenni, tuttavia, i mali strutturali che affliggevano il tessuto socioeconomico del Paese conquistavano l‟attenzione dei media solo al momento della tragedia.
125 Ivi 126 Ibidem 127 N. Jotti, Anche il suo è lavoro, <
Quello del vaccino antipolio fu uno degli scandali che avrebbero costretto l‟opinione pubblica ad una presa di coscienza. <
129 Macciocchi, I pirati della salute, <
vaccino da parte degli istituti farmaceutici italiani, i “pescecani della salute”131, che avvertiti dell‟ampiezza dell‟epidemia si erano gettati sulla speculazione con freddo cinismo, arrivando a mettere in vendita il vaccino a loro volta a millecinquecento lire a fiala, maggiorando cioè il costo di produzione di ben cinque volte. “La salute degli italiani è in mano ad un pugno di pirati – tuonava Macciocchi – (…) una giungla di interessi illeciti e di favolosi profitti prospera all‟ombra delle autorità governative, a danno degli interessi di tutti”132. Macciocchi invitava il ministro a rispondere davanti all‟opinione pubblica delle sue colpe e i cittadini a denunciare il “pactum sceleris stretto tra industriali e rappresentanti del governo a danno della salute degli italiani”133. L‟articolo si concludeva con tre richieste, sulle quali la direttrice richiedeva l‟appoggio di tutta la stampa italiana: 1) che si riunisse nuovamente il CIP per operare un‟ulteriore riduzione del prezzo del vaccino; 2) che si promuovesse subito un‟inchiesta sulle maggiori industrie chimico-farmaceutiche italiane per accertare l‟entità dei profitti; 3) che il vaccino venisse distribuito dagli Uffici provinciali di Sanità e da altri enti assistenziali gratuitamente. Le rivelazioni di <
131 Ivi 132 Ivi 133 Ivi 134 Macciocchi, Hanno guadagnato seicento milioni su 500.000 bambini vaccinati, <
‟50 era sottoposto in teoria a due organismi di governo, l‟Acis (Alto commissariato igiene e sanità) e il Cip (Comitato interministeriale prezzi). Il primo organo, accertato il costo industriale del prodotto sulla base dei dati degli industriali, ne fissava il prezzo, che veniva poi trasmesso al Comitato interministeriale prezzi. L‟Acis in realtà non solo accettava il costo denunciato dagli industriali, ma lo triplicava per fissare il prezzo al pubblico di un qualsiasi medicinale. Macciocchi denunciò il “coefficiente tre”, inventato dall‟Acis, come una palese illegalità. A questo si aggiunga che molti farmaci portavano ugualmente prezzi maggiorati persino rispetto a quelli stabiliti dall‟Acis. Le richieste di <
8. Pasolini, l‟amicizia eretica
A partire dal numero 32 del 10 agosto 1957 le pagine di <
137 Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975) è stato uno scrittore, poeta e regista italiano. Tra i suoi romanzi ricordiamo Ragazzi di vita, (1955), Una vita violenta (1959), Petrolio (1992, postumo); tra i saggi Empirismo eretico (1972), Scritti corsari (1975); per la filmografia Accattone (1961), Mamma Roma (1962), Il Vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e uccellini (1966). Pasolini è stato uno dei principali esponenti della vita culturale italiana del dopoguerra, prendendo la parola su temi politici e sociali. Collaborò, oltre che con <
La federazione del Pci di Pordenone aveva deliberato, il 26 ottobre del 1949, “l'espulsione dal partito del Dott. Pier Paolo Pasolini di Casarsa per indegnità morale”138, come aveva annunciato <
138 Espulso dal PCI il poeta Pasolini, <
settimanale politico-culturale <
145 E. Siciliano, op. cit., p. 306 146 cit. in Enzo Siciliano, op. cit., p. 341 147 P. P. Pasolini, Dialoghi con Pasolini, <
Pasolini e Macciocchi si incontrarono nuovamente il 10 dicembre 1964, a Parigi, per la presentazione di Il Vangelo secondo Matteo152. Lei vi assistette in qualità di corrispondente dell‟Unità. “Solo allora – ricordò in Duemila anni di felicità – cominciammo a darci del tu”153. “Pasolini – scrisse Macciocchi ricostruendo un suo dialogo con Moravia all‟indomani dell‟assassinio del poeta ad Ostia – per me è il capro espiatorio di una cultura che non gli ha mai perdonato la dimensione irrazionale della sua arte, il rapporto tra sacro e profano, di una società stanca delle sue maledizioni, virtualmente criminale, furiosa di vedergli rappresentare quello che essa vomita nei suoi meandri ma tace pubblicamente. Il crimine è politico in senso lato, per me segnala la fine di un‟epoca. È un ordine selvaggio di afasia rivolto all‟intellettuale”154.
152 Scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini nel 1964 Il Vangelo secondo Matteo è una riproposizione molto fedele del Vangelo secondo Matteo. Fu accolto da pareri contrastanti. 153 Macciocchi, Duemila ann di felicità, cit., p. 348 154 Ivi, p. 526 98
CAPITOLO V Vita in Francia. Althusser e il giardino della filosofia
1. La stagione de <
Se dietro una scrivania Macciocchi dava il meglio di sé in termini di doti manageriali e organizzative, le sue migliori qualità giornalistiche emergevano sul campo, ogni volta che si rinnovava la possibilità di un viaggio, di una testimonianza diretta, magari da luoghi impervi, spesso sconvolti da guerre e rivoluzioni; come inviata, nei reportage, nelle grandi interviste, che rappresentano le più alte prove per ogni giornalista, Macciocchi tirava fuori il suo aspetto più coraggioso e nobile. La prima esperienza di reportage dall‟estero era stata quella del 1951 in Persia. Macciocchi era arrivata a luglio in una Teheran in stato d‟assedio, attraversata da manifestazioni popolari contro gli inglesi e gli americani, dopo l‟embargo della Gran Bretagna, seguito alla nazionalizzazione dell‟industria petrolifera da parte del primo ministro Mossadeq. Oltre a dare un‟interpretazione in linea con le posizioni del proprio partito della questione petrolifera persiana, Macciocchi visitò gli ospedali, denunciò l‟economia di stampo feudale del paese, le condizioni di estrema miseria dei contadini e dei rifugiati, la mancanza d‟acqua, lo sfruttamento degli operai, la poligamia, lo sfruttamento del lavoro minorile. Infine, orgogliosa, poteva scrivere: “Io sono stata così la prima donna che sia stata ricevuta dal grande Ajatollah dell‟Iran senza un motivo di ordine religioso e priva del ciadore, il velo nero che deve coprire il capo e il volto di ogni donna che si rechi davanti a lui”1. La corrispondenza dalla Persia era pervasa dall‟entusiasmo per le forze popolari “in lotta contro gli imperialisti stranieri”2. Un analogo entusiasmo, in un contesto assai diverso, l‟avrebbe sostenuta nella sua corrispondenza dall‟Algeria, quasi dieci anni dopo, per <
1 Macciocchi, Persia in lotta, Roma, Edizioni di cultura sociale, 1952., p. 162 2 Ivi, p. 33 3 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 315 99
veniva decretato un cessate il fuoco con effetto dal marzo dell‟anno successivo, esplodeva la fase più intesa delle violenze perpetrate dall'Organisation armée secrète (OAS): centinaia di attentati mietevano quotidianamente vittime civili. Si arrivò ad una tregua tra OAS e FNL soltanto il 17 giugno 1962. Sin dal „61 Macciocchi fu mandata in Algeria, a seguire i negoziati di pace e a dar conto dei retroscena politici. Anche Jacoviello interveniva nelle pagine de <
4 A. Izzet, Algeria torturata, Milano, Lerici, 1961 5 J. Roy, La guerra d’Algeria, Milano, Lerici, 1961, 6 Ben Bella (Maghnia, Algeria, 1918) è stato uno dei fondatori del Fronte di Liberazione Nazionale algerino e il primo presidente dell‟Algeria: fu eletto premier il 20 settembre del 1962. 7 Redazione, Ben Bella, <
2. Corrispondente a Parigi
Successivamente Macciocchi cominciò ad occuparsi di politica interna francese, fino ad insediarsi stabilmente a Parigi, come corrispondente per <
8 Macciocchi, Nell’inferno delle miniere del Nord italiani e francesi parlano di De Gaulle, <
numero di studenti rispetto alla disponibilità di aule, laboratori e docenti generava una pressione insostenibile, una “situazione catastrofica”17. Il 9 novembre cinquemila studenti erano scesi in piazza, nel quartiere latino, per reclamare aule e professori. Mentre il ministro dell‟educazione Peyrefitte era fischiato all‟inizio dell‟anno accademico della Sorbona e gli studenti cominciavano a covare la rabbia che sarebbe esplosa di lì a qualche mese, il dibattito intellettuale ruotava attorno ad un tema destinato a pesare a lungo sul destino dell‟istituzione universitaria: quello della selezione, del numero chiuso. Macciocchi prendeva una posizione nettamente contraria. La polemica si era aperta tra Michel Bosquet, giornalista del <
3. L‟incontro con Althusser
17 Macciocchi, La rivolta degli studenti. Le facoltà scoppiano e la sinistra è davanti al problema: <
Il primo febbraio del ‟68, nella pagina della cultura de <
21 Althusser (Birmandreis, Algeria, 1918- 1990), è stato uno dei maggiori filosofi francesi del XX secolo. Teorico marxista, tra le sue opere più celebri ricordiamo Pour Marx, Paris, La Découverte, 1965; trad. it.: Per Marx, Roma, Editori Riuniti 1974, n. ed. Milano, Mimesis, 2008; con Etienne Balibar, Roger Establet, Pierre Macherey e Jacques Rancière, Lire Le Capital, 2 volumi, Paris, Maspero 1965, n. ed. Broché, 2008; trad. it.: Leggere Il Capitale, Milano, Mimesis, 2006; Althusser ha sviluppato la propria posizione in contrasto con l‟interpretazione umanista del pensiero di Marx, allora prevalente in Francia e incarnata tra gli altri da Sartre e Garaudy; Althusser individuava una rottura epistemologica tra il Marx del primo e del secondo periodo, rappresentata dalle Tesi su Feurbach e da L’ideologia tedesca, opere a partire dalle quali il pensiero di Marx sarebbe passato dall‟ideologia alla scienza. Fortemente critica verso l‟economicismo e lo storicismo, la filosofia di Althusser maturava anche in rapporto all‟incontro con lo strutturalismo (Lacan, Foucault, Levi-Strauss), dal quale tuttavia il filosofo prese esplicitamente le distanze attraverso un‟autocritica (accusandosi di “deviazione teoricistica”) a seguito delle critiche che il PCF aveva rivolto al suo lavoro. Althusser fu in seguito influenzato dagli scritti teorici di Mao in particolare nella formulazione della sua teoria della contraddizione. Il filosofo soffrì per molti anni di una psicosi “atipica”, che sfociò nell‟uccisione della moglie, Helène. Per una biografia di Althusser si veda Yann Moulier Boutang, Louis Althusser:une biographie, Paris, LGF/Livre de Poche, 2007; questa biografia, secondo Macciocchi, in un primo momento, nel 1984, era stata affidata a lei dall‟editore parigino Grasset (“poi l‟editore affidò la biografia a Yann Moulier, un universitario scrupoloso che ha fatto un lavoro di prim‟ordine, compiuto talora con la freddezza del detective, così da consentirci di capire dove Althusser mente o travisa i fatti nel libro di testamento, che spesso è un grumo di masochismo, L’avvenire dura a lungo”, in Maria Antonietta Macciocchi, Hélène, l’altra metà del cielo, <
menzogne, e per la loro critica razionale e rigorosa”27; la filosofia intesa come inscindibile dalla politica, sulla scia di Gramsci, Marx e Lenin; la natura dell‟intellettuale, potenzialmente rivoluzionario come singolo ma naturalmente piccolo-borghese in quanto appartenente al suo gruppo sociale e quindi la necessità per l‟intellettuale di rivoluzionare il suo pensiero e divenire gramscianamente “organico”, attraverso un approccio scientifico al marxismo-leninismo; e ancora la distinzione tra scienza e filosofia nella teoria marxista, la scoperta da parte di Marx del “continente storia”; bersaglio polemico di Althusser erano i filosofi che non avevano compreso la portata rivoluzionaria del pensiero di Marx e continuavano a tramestare “in economia politica, in sociologia, in etnologia, in “antropologia”, in “psicolo-sociologia”, ecc. cento anni dopo il Capitale, come dei “fisici” aristotelici tramestavano ancora in fisica, cinquanta anni dopo Galileo”28. Contro l‟economicismo e l‟idealismo morale, “coppia fondamentale della concezione del mondo borghese dalle origini”29, contro l‟esistenzialismo, occorreva “sviluppare con tutto il rigore e l‟audacia richiesti la scienza e la filosofia nuove, legandole alle esigenze e invenzioni della pratica della lotta delle classi rivoluzionarie”30. Bisognava studiare a fondo il marxismo, leggere il Capitale, come suggeriva il titolo dell‟opera del filosofo. “Evidentemente – spiegava Althusser - non è con le nozioni ideologico-borghesi di “società industriale”, di “nuova classe operaia”, di “neocapitalismo”, di “società dei consumi”, di “alienazione””31, che si scopriranno le risorse per la lotta rivoluzionaria. Queste riflessioni furono fatte proprie da Macciocchi, che ebbe presto una prima occasione di impiegarle, nell‟analisi del Mezzogiorno italiano, dove ad una lettura della realtà economica basata appunto sui concetti di “neocapitalismo”, di “società dei consumi”, ne contrappose una rigorosamente marxista. Riuscire a sintetizzare in un articolo di giornale la lunga conversazione avuta con un filosofo sui massimi sistemi non era compito semplice, specialmente se la speranza era quella di ottenere il massimo della chiarezza senza eccessi di semplificazione, per rivolgersi al “proletariato”. Althusser giudicò molto positivi i risultati dell‟incontro e fu a entusiasta del pezzo uscito sul quotidiano italiano. In realtà egli stesso l‟aveva rivisto e corretto più volte. Il giorno stesso inviò un telegramma a Macciocchi e due giorni dopo le scrisse una lunga lettera piena di apprezzamento. “I titoli sono magnifici e la traduzione eccellente. Le due ultime parole perfette32. Giornalisticamente e politicamente è veramente a posto”33, commentava il filosofo, auspicando infine che il testo fosse letto “da proletari, in particolar modo da loro”34. Ma come era avvenuto l‟incontro tra la giornalista italiana e il filosofo francese? Macciocchi l‟ha ricostruito nella propria autobiografia, in un paragrafo il cui titolo tradisce la vena narcisista della scrittrice: “La conquista di Althusser”35. Per Macciocchi l‟incontro con il pensiero di Althusser aveva rappresentato una profonda svolta
27 La filosofia come arma della rivoluzione, cit. 28 Ivi 29 Ivi 30 Ivi 31 La filosofia come arma della rivoluzione, cit. 32 Così si chiudeva l‟intervista: “Ma senza movimento rivoluzionario, niente teoria rivoluzionaria, soprattutto in filosofia. Lotta delle classi e filosofia marxista-leninista sono unite come i denti e le labbra”, ivi 33 Lettera di Louis Althusser a Maria Antonietta Macciocchi del 3 febbraio 1968, in Maria Antonietta Macciocchi, Lettere dall’interno del PCI a Louis Althusser, cit. P. 3 34 Ivi 35 Maria Antonietta Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 370 104
intellettuale e politica: per lei fino a quel momento la cultura francese era stata incarnata da Sartre e dall‟esistenzialismo, con al centro l‟idea umanista dell‟impegno e l‟apologia del soggetto. Ma la lettura di Pour Marx segnò per lei – come per molti altri in quel periodo - un vero e proprio risveglio. Di fronte alla generale sciattezza politica e linguistica, alla deriva del pensiero marxista, s‟imponeva il rigore geometrico del pensiero althusseriano, che “introduceva nella filosofia i caratteri della scienza, le ambizioni intellettuali più astratte ed elevate (…) nella struttura” 36; attraverso esso “i concetti marxisti logorati dall‟uso riprendevano un sapiente rigore”37. Le masse, infine, soppiantavano il soggetto al centro della storia. Ce n‟era abbastanza per far intravedere alla comunista italiana, assetata di chiarezza intellettuale, una nuova alba filosofica. Ma cosa aveva cercato Macciocchi nell‟incontro con il filosofo francese? Quali orizzonti aveva intravisto, oltre il metodo? A nostro avviso Macciocchi cercava soprattutto una guida, un pensatore carismatico che fosse in grado di guidarla nella foresta intricata del pensiero marxista, aiutando lei, semplice quadro di partito, colta, erudita, ma tutto sommato consapevole dei limiti della propria preparazione, a dotarsi di solide basi teoriche. Macciocchi possedeva già allora una vasta cultura, costruita in parte all‟Università, in parte attraverso la formazione imposta dal partito, ed infine attraverso percorsi costruiti in modo personale; attribuiva enorme importanza alla precisione del pensiero, alla chiarezza cartesiana delle idee come base di ogni possibile azione o presa di parola. Althusser le offriva questa chiarezza per formulare le critiche che da tempo in lei cercavano uno sbocco verso il partito, e che l‟avrebbero trovato proprio attraverso il carteggio con il filosofo. Il PCI le appariva vecchio, denutrito, rinunciatario. Aveva perduto la capacità di guardare lontano, aveva scisso la teoria dalla prassi, si era distaccato dalle masse, dai giovani. La lettura di Althusser offriva, oltre alla chiave d‟interpretazione, anche una guida per l‟agire, per elaborare nuove strategie e richiamare il partito al suo dovere rivoluzionario. Era il 196338. Macciocchi alzò il telefono e chiamò il filosofo per chiedergli un incontro. Sormontata l‟iniziale diffidenza, Althusser la invitò a raggiungerlo nello studio di rue d‟Ulm39. Althusser trovò in Macciocchi una lettrice acuta delle sue opere, colma di interrogativi sul futuro del partito, sul ruolo degli intellettuali, della filosofia. Da quella conversazione scaturì un‟immediata sintonia. L‟intervista a <
36 Ivi 37 Ivi 38 La data precisa si ricava dall‟articolo di Macciocchi Louis Althusser suicida due volte, pubblicato da <
preso nel frattempo a seguire i corsi di Althusser42 e, su suggerimenti di questi, si era dedicata alla lettura di Mao, a partire dagli estratti pubblicati dai Cahiers marxistes- léninistes43. Molte conversazioni col filosofo si erano incentrate proprio su questo: la grande insubordinazione in corso in Cina, la rivolta contro i russi. L‟intervista per <
4. Lettere dall‟interno del PCI
Althusser fissò, col rigore che gli era proprio, gli obiettivi di quel carteggio: “n. 1: scoprire ciò che accade realmente nel “popolo” (…) che cosa è oggi il “popolo” in Italia? Diversamente si può dire: di quali classi è composto? (…) Finché non si è risposto alla domanda: che cosa è oggi il popolo il un determinato paese (..) non si può fare niente in politica”47. Althusser si aspettava dalla sua corrispondente lettere chiare ed essenziali, che raccontassero attraverso i fatti più che le interpretazioni, la situazione napoletana; perciò reagì con disappunto alla prima lettera di Macciocchi, colma di compiacimento letterario e digressioni personali. Era del resto evidente che lei non stava scrivendo semplicemente al suo interlocutore, ma anche al pubblico dei futuri lettori. “Bisogna scriverci dicendoci che si scrive per sé, per l’altro, ma non per la pubblicazione – la redarguì il filosofo - L‟idea di una pubblicazione può far entrare in vicoli ciechi”48. La minoritaria all‟interno del PCI. Dopo il ‟66, tuttavia, si intensificò la lotta contro le posizioni strutturaliste all‟interno della rivista. 42 Si trattava dei Cours de philosophie pour scientifiques 43 I Cahiers marxistes-léninistes apparvero per la prima volta nella primavera del 1965, ispirati dal filosofo e redatti dai suoi allievi tra cui Robert Linhart, Jacques-Alain Miller, Jean-Claude Milner e Jacques Rancière. La rivista, malgrado il contenuto austero e l‟impaginazione molto semplice, conobbe una notevole diffusione 44 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 391 45 Liste dei candidati, <
prima ammonizione sortì il suo effetto e la prosa di Macciocchi nelle lettere successive si fece più asciutta, concentrata. Dalle Lettere emergeva la conoscenza della storia di Napoli che Macciocchi avrebbe messo a frutto anni dopo nei libri dedicati alla Repubblica partenopea: Goethe, Dumas, Stendhal, Montesquieu, Benedetto Croce, avevano dipanato un racconto lungo secoli e finalmente superato da Marx, il quale per primo aveva chiamato i lazzari col loro nome, cioè quello di sottoproletari. Macciocchi aveva letto le opere di Lucio Colletta e Vincenzo Cuoco, le cronache di De Nicola, che saranno tra le fonti per i suoi libri “napoletani”. Né mancava nelle Lettere il riferimento alla Pimentel49, definita “la più forte figura di pensatrice e rivoluzionaria italiana, di cui in Italia (…) non si parla quasi mai, nemmeno a scuola, forse perché il suo intelletto virile e la sua opera rivoluzionaria urtano con il “modello borghese” della donna italiana”50. Già allora la rivoluzione napoletana le appariva come “il detonatore per la rottura dei rapporti di tipo feudale”. Nella lunga durata, dunque, alla maniera di Braudel, occorreva cercare le radici della cultura politica napoletana, dell‟idea, ancora viva nel 1946, che “senza il re non si potesse vivere”51. Le opere di riferimento per avvicinarsi alla Napoli contemporanea erano invece Il ventre di Napoli, reportage del 1884 di Matilde Serao52, la cui lettura consigliò all‟amico filosofo, definendo il libro il Baedeker politico per capire il rapporto tra dirigenti e proletari nella città meridionale, e infine La pelle, di Curzio Malaparte, scritto nel 1949, in piena ricostruzione53. Il quadro del PCI che Macciocchi delineava era impietoso: all‟ombra del Vesuvio vegetava un partito sfaldato, svuotato di strategia, perfettamente integrato nel notabilato locale. L‟aristocrazia deputatizia aveva abdicato alla sua funzione politica, al punto che al suo arrivo a Napoli il segretario della Federazione napoletana le aveva chiesto se dopo le elezioni avesse intenzione di svolgere attività politica a Napoli54. Cos‟altro avrebbe dovuto fare una deputata, se non svolgere un‟attività politica, veniva naturale chiedersi? A Napoli, come avrebbe presto compreso, la concezione propria della rappresentanza democratica era stata sostituita dal modello predominante del deputato come mandatario del popolo, designato per sbrigare pratiche presso il governo, relative a pensioni, assistenza, assegnazione di alloggi. Il PCI, più che da quadri rivoluzionari, appariva formato da funzionari efficienti, che lavoravano in un apparato parallelo a quello statale, all‟insegna dello stesso clientelismo degli avversari politici. Si instaurava così tra rappresentante e rappresentato un rapporto di natura non politica ma privata. La “raccomandazione” regolava ogni cosa, finendo con l‟assumere agli occhi del proletariato un valore quasi religioso; la convinzione che essa servisse per tutto, persino per pagare una bolletta, fondava l‟onnipotenza del notabile, decretando la perpetua minorità del popolo davanti all‟amministrazione pubblica. Dal dopoguerra, da quando Macciocchi aveva lavorato, a Napoli, alla costruzione del partito nella nuova legalità repubblicana, erano passati oltre vent‟anni. Il partito nuovo di Togliatti non era più nuovo, ma “vecchio, contagiato dall‟ambiente esterno con cui ha
49 Si veda l‟ultimo capitolo 50 Macciocchi, Lettere dall’interno del PCI, cit., p. 140 51 Ivi, p. 141 52 Matilde Serao, Il ventre di Napoli, Napoli, Adriano Gallina Ed., 1988 53 Curzio Malaparte, La pelle, Milano, Mondadori, 2001 54 Macciocchi, Lettere dall’interno del PCI, cit., pp. 11-12 107
subito involontariamente una sorta di simbiosi, aggrappato a formule desuete di unità frontista, rimasto scoperto all‟attacco ideologico borghese”55. Esso aveva rinunciato a fare dell‟ideologia marxista leninista l‟elemento propulsore della propria politica. L‟elemento dell‟offensiva di classe era stato accantonato a favore di una visione centrata sul compromesso. Si poneva l‟esigenza di una revisione leninista, di una totale ristrutturazione secondo una linea rivoluzionaria. Macciocchi, con fervore sociologico, lavorò sui dati statistici relativi all‟occupazione, alla demografia, al tenore di vita della popolazione. Fedele alla critica althusseriana, prendeva le distanze da ogni griglia interpretativa che mettesse al centro concetti come “soluzione del problema meridionale”, “società dei consumi”, criticandone l‟economicismo, il tecnocraticismo e le implicazioni neo-positiviste. A una critica sul piano della pratica politica al PCI se ne affiancava un‟altra, sul piano della semantica politica, che richiamava l‟esigenza di un ritorno al rigore del linguaggio marxista56. La campagna elettorale a Napoli fu un viaggio nel cuore di tenebra. Dai salotti parigini, dalle conversazioni nello studio di rue d‟Ulm ai bassi maleodoranti e invasi dai pidocchi, in una città dove secondo le statistiche abitavano sei topi per ciascun abitante, il salto non avrebbe potuto essere più ampio e sconcertante. Tanto che a volte il disgusto fisico s‟impossessava di lei, stremandola. Disoccupazione, sottosalario, lavoro nero e minorile, abbandono scolastico, problema della casa, sovraffollamento, condizioni igieniche precarie, mancanza dei servizi erano le coordinate della vita sottoproletaria a Napoli. A questi problemi il Pci rispondeva con una presenza tra il burocratico e l‟umanitario - quel marxismo come umanesimo rigettato da Althusser – e con l‟astrazione di una campagna elettorale nella quale si proiettavano documentari sulla NATO e sulla guerra del Vietnam, nei vicoli in cui la gente neppure sapeva cosa fosse il Vietnam. In quei giorni, parallelamente alle lettere, Macciocchi scriveva articoli per <
55 Ivi, p. 151 56 Nell‟analisi non potevano trovare spazio concetti come “processo”, “prospettiva”, “alternativa”, che riflettevano l‟assenza di orizzonti rivoluzionari per il Partito 57 Tra gli altri Macciocchi, Tre consigli per chi va a Napoli, <
L‟attualità di Macciocchi, sta nel coraggio di questa denuncia isolata, delle disfunzioni dei partiti, della loro autoreferenzialità, del loro distacco dai rappresentati, delle logiche clientelari; e inoltre nell‟attacco al sistema affaristico-camorristico che teneva in pugno Napoli, ponendo questioni gravi ancora oggi irrisolte.
5. A Napoli tra le donne; confronto con Althusser sul controllo delle nascite
A Napoli Macciocchi ritrovò anche le donne napoletane, cui aveva dedicato il suo primo lavoro politico, nell‟immediato dopoguerra. La misoginia, il maschilismo, imperavano a Sud anche all‟interno dello stesso partito, che più volte Togliatti aveva cercato di rendere più sensibile al tema dell‟eguaglianza tra i sessi. I “compagni” credevano in un una sorta di “diritto di maggiorascato del sesso forte”60. Dunque la costruzione del socialismo non sarebbe stata di per sé garanzia di parità tra i sessi: la questione femminile doveva essere parte organica della lotta di classe operaia, ma perché il riscatto della donna si compiesse non si poteva aspettare il socialismo fatto soltanto dagli uomini”61. Gli incontri con le donne offrivano numerosi spunti di riflessione. Il quadro dei vicoli della sezione Borgo era impressionante: le donne a trent‟anni erano sfiancate da almeno dieci gravidanze. Con cento nati al giorno, Napoli vantava la più alta natalità italiana, quasi doppia rispetto alla media nazionale, a fronte della mortalità più alta nel paese. Macciocchi introdusse timidamente il tema della contraccezione. I compagni di partito le fecero capire, ispirati da una sorta di relativismo culturale, che non era quello un argomento da toccare con le popolane di Napoli. Il valore di una donna, macchina da riproduzione, si misurava sulla base del numero dei figli, che testimoniava al tempo stesso l‟amore coniugale. “Mi riprometto di esplorare, magari a quattr‟occhi, anche la questione della “pillola”, in questa campagna elettorale. Il “controllo delle nascite” può, secondo me, diventare un tema di propaganda politica fra le donne, che figliano, nel tanfo dei vicoli, i rampolli malaticci”62, affermò Macciocchi, aprendosi a un‟argomentazione propria della tradizione neomalthusiana, e divenuta cavallo di battaglia dei radicali e del movimento femminista. Nella muraglia dell‟ideologia marxista si apriva una breccia. Althusser rispose in modo critico, con osservazioni che rinviavano la soluzione ai soliti, remoti orizzonti della trasformazione rivoluzionaria della società. Il filosofo affermava che la semplice ignoranza dei metodi contraccettivi non poteva essere la sola causa del fenomeno e che altre andavano individuate. Ad esempio, il fatto che la prole era fonte di reddito, grazie al sistema degli assegni familiari; i figli, inoltre, rappresentavano presto una forza lavoro; Althusser concludeva dicendosi “scettico sul tema della pillola”63, soluzione che poteva andar bene “per le borghesi e le piccolo-borghesi”64. Sulla visione rigida e limitata del filosofo, che non individuava altre cause al problema al di fuori di quelle economiche, si innestavano le osservazioni della moglie Hélène65 sul mito della pur apparendo biasimevole sotto il profilo politico e morale, tanto più se si tiene conto dei poteri e doveri specifici del predetto nel periodo in cui ricoprì l'incarico di ministro degli Interni, non può di per sé ritenersi idonea ed affermarne la responsabilità penale». 60 Macciocchi, Lettere dall’interno del PCI, cit., p. 33 61 Ivi, p. 293 62 Ivi, p. 48 63 Ivi, p. 55 64 Ivi, p. 56 65 Hélène Legotien-Rytmann, moglie di Louis Althusser fu a sua volta una militante del Pci. Secondo la ricostruzione di Emmanuel Leroy Ladurie, nel libro Paris-Montpellier, PC-PSU 1945-1963, Paris, Gallimard, 1982, Hélène era stata 109
virilità come causa ideologica del problema. Althusser accolse questo spunto e inserì nella sua analisi l‟idea della vita sessuale come spazio di libertà del sottoproletario napoletano. Ponendosi in quest‟ottica Macciocchi vide a sua volta nella prolificità napoletana il frutto di un “recupero globale attraverso l‟eros”66, di cui la donna era in realtà la prima vittima. Tornata sui suoi passi, respinse a sua volta l‟idea della pillola come soluzione piccolo-borghese. Poiché i figli costituivano, come aveva suggerito il filosofo, una “base salariale”, la soluzione non poteva trovarsi se non nel lavoro, capace di trasformare il sottoproletariato in proletariato. Nel rivolgersi alle donne, intuitivamente Macciocchi apprendeva un metodo che era stato impiegato due secoli prima da Eleonora Fonseca Pimentel, patriota giacobina e giornalista al tempo della Rivoluzione napoletana. Come questa, nel 1799, parlava la lingua dei “lazzari” per diffondere le idee illuministe e rivoluzionarie, Macciocchi aveva compreso la necessità di servirsi della lingua del popolo napoletano, per essere compresa ed accettata. Nei comizi non si poteva invitare la gente ad “esporre i propri problemi”, espressione che a Napoli non aveva alcun significato: “bisogna dire le situazioni o cose vostre”67. Quanto al ruolo delle donne nel sistema di produzione, lo sfruttamento del lavoro a domicilio impediva loro persino di riconoscersi come lavoratrici. Le decine di migliaia di casalinghe di Napoli erano in realtà “lavoratrici senza diritti”, una realtà mai indagata. “In tutti i diari di viaggio dei grandi stranieri che hanno percorso il Sud d‟Italia, da Goethe a Dumas, difficilmente troverai un accenno al lavoro delle donne”68. A queste, come ai “lazzari”, si guardava nella tanta letteratura su Napoli, come ad un grande teatro vivente. Occorreva per Macciocchi sindacare queste categorie di lavoratrici69, trasformare il sottosalario in salario; di organizzare politicamente le donne, dando loro anche una minima formazione teorica, per aiutarle a comprendere i meccanismi dello sfruttamento. Il grande continente sconosciuto che scopriva Macciocchi – per usare un‟espressione althusseriana – era quello del lavoro nero femminile. Macciocchi nei suoi comizi lasciava parlare le donne stesse, sorta di lavoro maieutico. Prendendo la parola nello spazio pubblico e infrangendo il silenzio che pesava sulla condizione femminile, esse compivano un gesto di rottura, sia rispetto alla condizione femminile, fatta di subordinazione e silenzio, sia rispetto al fatalismo proprio del sottoproletariato napoletano. Nella visione di Macciocchi emergeva un‟idea assolutamente moderna di cittadinanza partecipata, di costruzione della democrazia a partire dal basso, di una relazione diversa tra politica e persone che non fosse quella clientelare praticata dai partiti, compreso quello comunista. Macciocchi aveva individuato con largo anticipo i pericoli insiti nella disaffezione verso la politica, che trovava le sue radici nello spettacolo dell‟affarismo e nella corruzione della classe dirigente. espulsa dal Pcf perché sospettata di avere contatti con gruppi spagnoli ostili al Parito. Il segreto fu mantenuto sull‟espulsione, ma ad Althusser il partito chiese di separarsi da Hélène. Il filosofo, in una riunione di cellula, fece un‟autocritica ed annunciò che avrebbe rotto ogni rapporto con la donna. La cosa non avvenne e i due infine si sposarono. Hélèn morì strangolata dal marito nel 1980. Althusser aveva sempre tenuto in gran conto le opinioni politiche della moglie. 66 Macciocchi, Lettere dall’interno del PCI, cit., p. 75 67 Ivi, p. 82 68 Ivi, p. 85 69 Althusser avrebbe criticato questa posizione, ritenendo che la sindacalizzazione delle donne sfruttate a domicilio le avrebbe esposte al rischio di licenziamento, mentre la soluzione per lui era il coinvolgimento della classe operaia, classe in grado di rafforzare la lotta delle sottoproletarie 110
L‟assenza dell‟enorme zona grigia del sottoproletariato e in particolare quello femminile, dalle analisi politiche del PCI, centrate sulla dicotomia occupazione/disoccupazione, era un grave vulnus nell‟elaborazione di ogni piano strategico rispetto al Mezzogiorno. Macciocchi riportava nella carta socio-economico-politica della città una forza importante, potenzialmente alleata del proletariato. Alla fine dell‟indagine, questo era il bilancio dei rapporti di classe: a Napoli vi era una classe operaia preparata ma che non esercitava appieno il suo ruolo dirigente e che non si collegava alla massa dominante dal punto di vista quantitativo, cioè quella sottoproletaria; i ceti bracciantili e contadini erano privi a loro volta di collegamento con il proletariato; il sottoproletariato, infine, appariva molto combattivo, ma non prendeva in considerazione il ruolo dirigente della classe operaia, oppure la considerava integrata alla classe dei padroni. Occorreva pertanto ricostruire questi rapporti, portare il partito nelle fabbriche, costruire dal basso quel legame che Gramsci aveva individuato tra azione operaia alla base ed egemonia ordinatrice del Partito. Nel valutare il libro possiamo dire che esso aveva dato sostanza all‟affermazione di Althusser sulla necessità di saldare teoria e politica: nel dialogo intessuto tra i due corrispondenti la realtà di Napoli – i suoi rapporti di classe, il partito - veniva passata al vaglio della teoria, e la teoria a sua volta veniva impiegata come guida nell‟azione. Un‟opera che, in virtù dell‟argomento trattato, metteva così strettamente in relazione teoria e pratica, consente di inquadrare l‟impresa althusseriana come un contributo teorico ad una causa politica che lo congloba. Dimostrava cioè, più chiaramente ancora di altre opere del filosofo, come per lui preoccuparsi della teoria marxista non significava che solo la teoria fosse importante. Infine occorre sottolineare l‟originalità dell‟esperienza di Macciocchi, sostenuta da una straordinaria tenacia e fiducia nella forza delle proprie idee. Aveva scelto, giornalista oramai insediata stabilmente nel Faubourg Saint-Germain, di dedicarsi alla competizione elettorale, nel Sud misogino e ostile, con sincera volontà missionaria. Aveva scelto di schierarsi contro la speculazione edilizia, gli sfruttatori del lavoro sottoproletario e minorile, la potente dinastia dei Gava, senza la minima esitazione, pronta a fronteggiare tutte le conseguenze delle sue scelte. Si potrebbe pensare che non vi sia nulla di eroico nell‟ambire ad un posto privilegiato e di potere quale un seggio in Parlamento, ma il testo che ricostruisce la sua campagna elettorale testimonia l‟inverso: è un manifesto contro l‟approccio dominante che nelle istituzioni vedeva un luogo di esercizio del potere per sé e non un servizio da prestare al Paese. Del resto, che questo fosse lo spirito più autentico della candidatura di Macciocchi lo dimostra il suo radicale rifiuto di ogni compromesso con le logiche da notabilato del suo Partito, attraverso una dura denuncia del Pci napoletano. Così facendo si era inimicata l‟apparato di potere che avrebbe potuto sostenerla nella sua corsa e oltre, ma al prezzo per lei inaccettabile del silenzio e del conformismo. A fronte della sua figura di lottatrice, immersa in un corpo e corpo contro la miseria dei bassi infestati dai topi, munita della sola arma della parola, il raffinato intellettuale parigino pronto a bacchettare come “piccolo-borghesi” i suoi tentativi di migliorare la vita del popolo napoletano (parlare alle donne del controllo delle nascite) appare distanti dalla realtà e dalle masse, arroccato della filosofia autoreferenziale.
6. La tormentata vicenda editoriale delle Lettere
111
Da aprile le lettere di Althusser cominciarono a diradarsi. Il maestro era nuovamente precipitato in una delle sue depressioni, ma si rivolgeva alla sua corrispondente esortandola a continuare nel suo lavoro: “Io vorrei che tu continuassi a scrivere”70. Macciocchi continuò a compilare lettere ricche di informazioni e analisi, che avrebbe spedito in una sola volta, al termine della campagna elettorale. A maggio Macciocchi si recò in Francia, dove andò a trovare il filosofo in ospedale. La campagna elettorale si chiuse il 17 maggio. Le elezioni si risolsero in una crescita di voti per il PCI che, a livello nazionale, passò dal 25,3% al 26,9%, per un totale di 8.555.131 voti71. A Napoli vi fu il più grande balzo in avanti del partito in tutto il Mezzogiorno. Macciocchi fu eletta deputata con circa ventimila voti di preferenza72. Althusser lesse le lettere scritte da Macciocchi tra maggio e luglio tutte assieme, ad agosto, e ne fu impressionato vivamente: “il manoscritto costituisce una impressionante verifica concreta dei principi ben noti della nostra dottrina e dimostra di quali enormi risorse si dispone quando ci si prende la pena di fare un lavoro politico giusto”73. Il libro era pronto per essere dato alle stampe. Il primo esponente del PCI a leggere il manoscritto fu Alfredo Reichlin74, che Macciocchi incontrava in Parlamento nel ‟68, poiché i due erano stati eletti nella sua stessa tornata elettorale. Il collega di partito reagì allarmato a quella lettura, sconsigliando vivamente a Macciocchi la pubblicazione di un testo tanto critico verso il PCI: “Con un libro così non sarai più eletta deputata”75, la ammonì. Ma la scrittrice, intenzionata ad andare fino in fondo, affidò il libro a Giangiacomo Feltrinelli, che nel giro di un paio di mesi lo fece uscire, mentre in Francia Althusser concordava con Maspero l‟uscita dell‟edizione francese. Le reazioni nel PCI furono durissime. “Il più furioso era Maurizio Valenzi76, il più clemente Longo, che tentava ancora di proteggermi. Il più pronto a trarre partito dalla mia disgrazia (…) era Amendola”77. Natta e Pavolini stroncarono il libro su <
70 Ivi, p. 127 71 Ivi, p. 300 72 Maciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 409 73 Macciocchi, Lettere dall’interno del PCI, cit., p. 331 74 Alfredo Reichlin (1925) è un giornalista, politico e partigiano italiano. Dal 1968 è stato deputato per il PCI e negli anni successivi è entrato a far parte della direzione nazionale del Partito 75 Maciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 410 76 Maurizio Valenzi (Tunisi, 1909) uomo politico italiano. Di famiglia livornese, è stato protagonista della Resistenza antifascista in Europa. È stato più volte senatore nelle liste del PCI e sindaco di Napoli dal ‟75 all‟‟83. Al tempo dell‟uscita del libro dirigeva la commissione di controllo napoletana del Partito. Macciocchi ricostruì, nella sua autobiografia, il “processo” di partito che si tenne a Napoli, la sera del 27 giugno 1969, in occasione dell‟uscita del libro; Valenzi accusò la deputata di “un uso scandalistico, a fini politici, e un uso editoriale, allo scopo di far guadagnare soldi all‟editore” della polemica contro il suo stesso partito. Da più parti fu avanzata verso l‟autrice la richiesta di dimissioni e di autocritica. Per la sua autodifesa Macciocchi redasse un testo di 98 pagine. A suo sostegno si levarono pochissime voci, soprattutto di giovani 77 Ivi, p. 411 78 Pier Paolo Pasolini, Lettere sulla spiaggia, <
dall‟interno del Partito appariva tanto più scomoda in quanto avveniva in un momento in cui il partito era già attraversato da altre correnti di dissenso, come quella incarnata dal gruppo del <
80 Etienne Balibar è nato il 23 aprile l942 ad Avallon (Yonne) in Francia. Ha studiato all'Ecole Normale Supérieure, conseguendo prima l'agrégation in filosofia, poi il dottorato presso la Katholieke Universiteit di Nijmegen. Attualmente è ordinario di Filosofia politica e morale presso la Università di Paris X - Nanterre. È stato coautore di Lire le Capital e di numerosi saggi filosofici: Cinq Etudes du Matérialisme Historique, Paris, Maspéro, l974; Spinoza et la politique, Paris, PUF, l985; con I. Wallerstein, Race, Nation, Classe, Paris, La Découverte, l988; Les frontières de la démocratie, Paris, La Découverte, l992; La philosophie de Marx, Paris, La Découverte, l993; La crainte des masses, Paris, Galilée, l997. 81 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 377 82 Lettera di Etienne Balibar a Maria Antonietta Macciocchi. “Comme tu es gentile d‟avoir pensé à m‟envoyer les texts des étudiants italiens! Cela va nous etre très utile: nous avons déjà commencé à travailler la question, et j‟espère qu‟à la rentrée nous aurons bien avancé. Il n‟est pas très facile de déterminer la bonne façon d‟intervenir et le bon moment; ce que nous avons vu à Paris le prouvait abondamment. Mais la situation avait des aspects multiples, selon les villes, la province et Paris, le genre de dirigeant étudiants ou ouvriers. De toute façon elle va évoluer très vite, dès la rentrée, où je pense que chacun, à gauche comme à droite, aura tiré les leçons de cette “défaite”. Je pense que nous avons certainement des affrontements entre étudiants, comme vous en avez déjà en Italie, ce qui va changer complètement le caractère et la possibilité d‟intervention du gouvernement. Peut etre aussi la visione politique des étudiants, mais cet élément spontané n‟est absolument pas suffisant”. 83 Ivi 84 Ivi 85 Lettera di Etienne Balibar a Maria Antonietta Macciocchi, 05/06/69, Archivio Macciocchi. 113
principal est le blocage dans son travail, avec toute ses corrispondances”86. Ancora il ritiro delle lettere dall‟edizione francese del libro non era stato deciso ed evidentemente Macciocchi, ansiosa ed impossibilitata a mettersi in contatto con Althusser, cercava informazioni per accelerare l‟uscita delle Lettere in Francia. Balibar tuttavia non poteva che testimoniare l‟assoluta impenetrabilità del filosofo, chiuso nel suo silenzio, nella clinica dove egli stesso aveva voluto ricoverarsi87. Il cambiamento di posizione di Althusser sulla pubblicazione delle Lettere in Francia fu annunciato a Macciocchi dall‟editore in una breve nota. Althusser aveva intimato a Maspero di arrestare la pubblicazione del libro, per “ragioni politiche”88. Il filosofo, in una successiva lettera, si sarebbe premurato di spiegare a Macciocchi quanto inopportuno fosse far uscire il libro in un momento in cui si cominciava ad assistere ad un‟evoluzione democratica del PCF89. Il ‟68 in verità era stato un momento di svolta per Althusser. In una delle congiunture più critiche per il PCF nell‟intero dopoguerra, gli intellettuali venivano richiamati all‟ordine, ed Althusser si sottomise all‟autorità del partito, pronunciando la sua autocritica90. Secondo Macciocchi, inoltre, il PCI esercitò delle pressioni sul PCF perché il volume non fosse pubblicato in Francia91. Maspero aveva a quel punto già espresso il suo interesse a Feltrinelli per l‟edizione francese dell‟opera, ma non aveva ancora firmato il contratto e di fronte alla decisione di Althusser di ritirare le sue lettere tentò di ritirarsi. Si determinò una situazione confusa, che possiamo ricostruire dai documenti d‟archivio. Jacques Nobecourt, corrispondente di <
86 Ivi 87 “Il a préféré partir à la clinique sans tergiverser et il a sans doute bien fait. Il espérait ainsi que son séjour serait bref. Les nouvelles acutuelles sont rare et assez vagues, mais bonnes. Pour le moment c‟est toujours en fait la cure de sommeil, il dort beaucoup et il a coupé tous les ponts avec l‟extérieur. Je lui ai écrit il y a 10 jours, mais je pense qu‟il n‟est pas en état de lire vraiment en ce moment. J‟attends qu‟il nous fasse signe de nouveau sans savoir quand il sera possible de le voir. Je vois qu‟il faut, pour lui parler de travail, de la politique, etc.. attendre qu‟il en prende l‟initiative. Je me rends compte que ceci tomb très mal pour toi et la publication de ton livre en France.. Malheureusement je n‟ai aucune idée de l‟était actuel de la tradution et des corrections: il m‟avait souvent parlé en ligne général, mai pas de détail pratiques”. 88 Ivi, p. 419 89 In uno dei suoi ultimi articoli dedicati al filosofo sul <
Anche André Fontaine, a sua volta giornalista nonché futuro direttore di <
7. Il ‟68. La bufera esplode in Francia e in Italia
Tra la prima lettera ad Althusser e la vittoria elettorale di Macciocchi, un vero e proprio terremoto aveva scosso il mondo, cambiandone per sempre il volto: si era assistito alla nascita di un movimento di contestazione che, partito dagli studenti e dai giovani intellettuali, aveva messo sotto accusa la vecchia società94. Gli esplosivi anni Sessanta avevano moltiplicato le speranze, dilatato il desiderio di pace, libertà, giustizia sociale. Se il sogno americano di rinnovamento era stato colpito a morte a Dallas, nel ‟6395, dall‟altra parte dell‟atlantico i governi europei non riuscivano a dare risposte alle spinte provenienti dalle nuove generazioni, mentre il mondo comunista dal canto suo appariva incapace di competere sul terreno del benessere e della libertà e poteva confrontarsi con l‟Occidente solo proponendosi come modello “antimperialista” di fronte ai paesi in via di sviluppo. La popolazione studentesca in Occidente era cresciuta a dismisura, dietro la duplice
beaucoup de courage; en outre, avec un style vif, remarquablement écrit”, Lettera di Jacques Nobecourt a Françoise Verny, 08/10/69, Archivio Macciocchi 93 Lettera di André Fontane a Charles Orengo, 10/10/69, Archivio Macciocchi 94 Il ‟68 presenta ancora oggi una serie di problemi storiografici aperti, legati alla complessità di un fenomeno che fu di carattere mondiale. Quando si parla di ‟68 si intrecciano due piani: quello del pensiero filosofico che, pur non essendo causa dell‟esplosione del movimento, né sua conseguenza, presenta tuttavia con esso dei punti di contatto; dall‟altro quello delle vicende storiche e dello sviluppo dei movimenti studenteschi nei vari paesi. Sotto il primo profilo la cornice teorica è offerta dagli studi sulle filosofie degli anni Sessanta e Settanta e in particolare sulla Scuola di Francoforte, il Poststrutturalismo francese, l‟operaismo italiano; sotto il profilo della vicenda storica, per limitarci all‟Italia segnaliamo l‟ampia analisi condotta, in una prospettiva comparata, in Aldo Agosti , Luisa Passerini , Nicola Tranfaglia (a cura di), La cultura e i luoghi del '68, Franco Angeli, 1991. Il volume è una raccolta di saggi con contributi di Francesco Barbagallo, Michele Battini, Bruno Bongiovanni, Alfonso Botti, Paolo Cammarosano, Enrica Collotti Pischel, Giovanni De Luna, Roland Eckert, Giorgio Galli, Marco Grispigni, Diego Leoni, Robert Lumley, Bruno Manghi, Alberto Martinelli, Gian Giacomo Migone, Peppino Ortoleva, Gianfranco Pasquino, Marco Revelli, Giuseppe Ricuperati, Mario Rosa, Guido Verucci; Guido Viale, Il Sessantotto, Milano, NdA Press, 2008; prese di posizione critiche sono state avanzate in lavori come quello di Marcello Veneziani, Rovesciare il Sessantotto, Milano, Mondadori, 2008; Veneziani individua nel ‟68 l‟origine di un processo di degenerazione culturale e politica: la contestazione studentesca avrebbe minato alla base l‟istituzione scolastica, cancellando i criteri della meritocrazia, della responsabilità personale, abbassando la qualità dell‟insegnamento e, più in generale, avrebbe dato vita ad un nuovo conformismo della ribellione. Un filone a sé è costituito dalla memorialistica e dalla narrativa sul Sessantotto, ampio repertorio tra cui possiamo citare i libri di Mario Capanna, uno dei principali protagonisti di quella stagione, tutti ripubblicati di recente, in occasione del quarantennale: Formidabili quegli anni, Milano, Garzanti, 2007; Lettera a mio figlio sul Sessantotto, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2008; Il Sessantotto al futuro, Milano, Garzanti, 2008. Anche sul maggio francese, a fronte di una bibliografia sterminata, possiamo individuare i diversi filoni dell‟analisi politica, filosofica, della memorialistica prodotta dai protagonisti; per l‟analisi storica del maggio ci limitiamo a citare Alain Touraine, Le Communisme utopique: le mouvement de mai 1968, Paris, Seuil, 1968 (postface de 1972); Jean-Pierre Le Goff, Mai 68: l'héritage impossible, 1998, réédition en riedito nel 2002, Paris, La Découverte; Vincent Cespedes, Mai 68, La philosophie est dans la rue!, Larousse, « Philosopher », 2008; per una prospettiva di genere il recente lavoro Éric Donfu, Ces jolies filles de mai, 68, la Révolution des femmes, Paris, Jacob-Duvernet, 2008; per la memorialistica Daniel Cohn-Bendit, Forget mai 68, Editions de l‟aube,2008. 95 John Fitzgerald Kennedy (Brooklin, 1917 – Dallas, 1963) è stato un politico statunitense, 35º Presidente degli Stati Uniti. Il presidente Kennedy fu assassinato a Dallas, in Texas, il 22 novembre 1963 alle 12:31, ora locale, mentre era in visita ufficiale alla città. La sua elezione destò molte speranze di rinnovamento negli Stati Uniti e nel resto del mondo, ma la sua politica estera fu caratterizzata da una difesa assai dura degli interessi americani nel mondo, con l‟avvio del diretto coinvolgimento militare degli USA in Vietnam. 115
spinta del boom demografico del dopoguerra e del più ampio accesso agli studi. La protesta ebbe il suo primo focolaio nell‟università di Berkley, in California, già dal 1964. La protesta universitaria affiancava, nella sua contestazione, a temi specifici legati all‟insegnamento, l‟opposizione alla guerra in Vietnam. Il movimento arrivò in Europa nel ‟67, nutrendosi delle riflessioni della Scuola di Francoforte, che aveva messo al centro della propria analisi temi come la libertà della persona, la critica ai mass media e alla manipolazione delle coscienze96. La trasformazione rivoluzionaria della società sembrava a portata di mano: Sous le pavé la plage, recitava uno degli slogan del maggio francese. Macciocchi aveva colto appieno l‟importanza del movimento e, nel trarre le conclusioni del libro scritto a Napoli, aveva evidenziato come l‟analisi da lei condotta nel corso di quella lunga inchiesta fosse strettamente legata ai temi sollevati dai protagonisti della contestazione. Si poneva cioè in modo non più derogabile il problema del rapporto tra partito e masse, movimenti, nuove generazioni, classe operaia. La sua analisi fu pertanto più libera e lucida di quella di Althusser, condizionato dal bisogno di restare nei ranghi del PCF. La stessa Macciocchi aveva scelto la strada della critica interna al partito, ma non esitò a spingere la sua opposizione fino all‟estremo, come dimostrerà anni dopo la sua cacciata dai ranghi del PCI, per il sostegno ad un altro movimento di contestazione giovanile, nel 1977. L‟elezione in Parlamento aveva coinciso con l‟esplosione del maggio francese. Appena eletta, Macciocchi partì per Parigi, dove assieme a Berlinguer si recò ad ascoltare Sartre che parlava agli studenti, nell‟Odéon occupato. Per il leader comunista quel rivolgimento di giovani era oggetto della peggiore esecrazione. “Questa durezza, fatta dell‟incapacità congenita dei comunisti di capire i giovani e quel che in genere si delinea di nuovo alla loro sinistra, fu la stessa con cui Berlinguer ricacciò indietro il moto del 1977, a Bologna”97, ricordò anni dopo la scrittrice. Secondo lei invece occorreva prestare ben altro ascolto al grido che si levava da quella folla di giovani. “La rivolta delle giovani generazioni è un sintomo politico serio, anche per noi”, scrisse ad Althusser “Ecco il problema politico. Noi sembriamo “vachement” superati” 98. Althusser aveva offerto un‟interpretazione ai fatti di maggio in una lettera indirizzata a Macciocchi il 15 maggio 1969, inserita come lettera di chiusura del volume di corrispondenza. In essa il filosofo aveva sposato pienamente la linea del partito, negando ogni autonomia rivoluzionaria alla situazione che si era venuta a creare. Il ruolo determinante nei movimenti di maggio per lui l‟aveva avuto lo sciopero generale dei lavoratori francesi, benché la maggior parte delle interpretazioni diffuse nei paesi capitalisti avesse frainteso questa gerarchia, parlando di centralità del movimento studentesco. La stessa definizione di movimento era in realtà contestabile, poiché gli studenti e i giovani intellettuali non costituivano una classe, ma gli strati medi dell‟ideologia piccolo- borghese. Il “movimento” internazionale costituiva al più “una delle forme spontanee della lotta di classe condotta, sotto forme generalmente utopistico-sinistroidi, in ambiente
96 Gli scritti della Scuola di Francoforte erano apparsi negli anni Trenta e Quaranta; tradotti nelle principali lingue, furono ripresi negli anni Sessanta divenendo i manifesti filosofici della Nuova sinistra; tra gli autori di riferimento Horkheimer, Adorno, Marcuse, Benjamin, Fromm La maggior parte degli studi sulla Scuola di Francoforte sono stati prodotti tra la seconda metà degli anni Sessanta e gli anni Settanta. Tra i numerosi studi sul tema rinviamo a Giuseppe Bedeschi, La scuola di Francoforte, Bari, Laterza, 1985. 97 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 403 98 Macciocchi, Lettere dall’interno del PCI, cit., p. 20 116
piccolo-borghese, e provocata, in ultima analisi, dalla crisi dell‟attuale fase dell‟imperialismo”99. I giovani si erano scagliati contro gli apparati ideologici dello Stato e in particolare contro quelli scolastici, punto maggiormente vulnerabile dell‟ideologia borghese. Se anche non rivoluzionaria, la rivolta era comunque progressista e svolgeva, con tutti i suoi limiti, un ruolo positivo nella lotta di classe internazionalista contro l‟imperialismo100. Pur sposando la linea del PCF, Althusser sottolineava che i partiti comunisti avevano perso il contatto con la gioventù studentesca e intellettuale. Il pericoloso sinistrismo piccolo-borghese di questi tuttavia gli appariva difficile da guarire, anche perché i piccolo borghesi non possedevano quel rimedio naturale che era l‟istinto della classe operaia. Pur avendo definito il maggio ‟68 “il più grande avvenimento della storia occidentale dopo la Resistenza e la vittoria sul nazismo”101, il riferimento di Althusser alla classe operaia come soggetto dominante di quel processo si sarebbe rivelato del tutto inadeguato a spiegare il fenomeno ‟68. Le interpretazioni successive avrebbero ammesso un dato di fondo: non era stato certo il risveglio operaio il cuore della grande protesta del ‟68. Analisi come quelle di Foucault avrebbero preso le mosse da un concetto emergente in quegli anni, quello di “potere”, non solo quello statale, ma quello che si esercitava sulla società nel suo complesso attraverso molteplici canali e istituzioni. Macciocchi, sensibile all‟analisi althusseriana ma al tempo stesso più attenta al nuovo movimento, seguiva con attenzione sia le occupazioni delle fabbriche che i moti studenteschi. A Parigi, il 31 maggio, aveva ottenuto come corrispondente de <
99 Ivi, pp. 351-352 100 Ivi, p. 355 101 Ivi, p. 361 102 Maria Antonietta Macciocchi, Lasciapassare per <
“marcusizzazione” di Marx, Lenin e Mao. In Italia infatti si erano vendute trecentomila copie de L’uomo a una dimensione106, e solo quattromila copie di Pour Marx. Anni dopo, Macciocchi avrebbe interpretato quei fatti diversamente, mettendo gli studenti e la loro rivoluzione al centro della storia e soprattutto individuando in quel momento della storia del dopoguerra una svolta nel senso della formazione di una coscienza europea. In La donna con la valigia, Macciocchi per parlare di „68 si affidava alle parole di Foucault107: “Ripensando al maggio ‟68 e andando oltre un certo vocabolario “iperteorizzante”: chi non direbbe oggi che in generale si era trattato di una ribellione contro tutta una serie di forme di potere che incidevano sul mondo giovanile e su certi strati e ambienti sociali?”108. Nel suo libro “europeo” Macciocchi leggeva quel moto come il “primo ingresso di europei in Europa”109. Si trattava di giovani che avevano rotto con i maitres à penser del passato, né figli di Sartre, né di Aragon. Questa lettura “europea” l‟avrebbe ribadita tredici anni dopo, nell‟integrazione alla sua autobiografia, aggiunta nell‟edizione del 2000: “Se si deve alla Rivoluzione del 1789 che la cultura europea si riplasmi nell‟illuminismo – scrisse - ora si deve alla comprensione del ‟68 il sorgere di un robusto pensiero europeo che scavalca le frontiere, annulla i confini, collega Madrid a Milano, Berkeley a Berlino, Pechino a Parigi”110, scrisse. L‟accento dunque si spostava sul ‟68 in quanto origine di quel processo che negli anni ‟90 sarebbe stato definito come “globalizzazione”. E ancora alla domanda “che cos‟era il „68”, avrebbe risposto, in Duemila anni di felicità: “La gioventù del pianeta urlava a perdifiato contro il mondo bipolare, che si spartiva l‟universo in due sfere, sotto classi egemoni che erano un connubio di sfruttatori e ladri”111. Sul piano della riflessione immediata, Macciocchi colse un doppio aspetto del maggio francese: da un lato la filiazione dalle idee di Althusser, dall‟altro il carattere spontaneista, anarchico, ma anche la “marcusizzazione” del movimento. Il maestro si avviava ad essere superato. Lei stessa, del resto, sembrava apprezzare, malgrado la fedeltà all‟interpretazione marxista, il lato anarco-individualista del ‟68. La sua personalità stessa la spingeva verso un simile apprezzamento. Nel decennio successivo, se seguiamo il filo rosso che lega i ragazzi del ‟68 e la generazione successiva, quella che si sarebbe ribellata nel ‟77, possiamo vedere Macciocchi compiere questo percorso, scoprendo solo a posteriori il valore da attribuirgli: quello di un neo-umanesimo, reazione all‟antiumanesimo degli anni ‟60 che lei stessa aveva coltivato. Quella del rapporto tra ‟68 e umanesimo è una delle questioni più controverse nella lettura di quegli anni. Come hanno scritto Luc Ferry e Alain Renault nella loro rilettura del pensiero filosofico di quegli anni112, si può sottolineare come uno dei leitmotiv del maggio ‟68 sia stato quello della difesa dell‟uomo contro il sistema, l‟insistenza per denunciarne gli ingranaggi. La
106 Herbert Marcuse, The one dimensional man, Ark Paperbacks, 1964, tr. it. L’uomo a una dimensione, Einaudi, 1999 107 Duccio Trombadori, Colloqui con Foucault, Ed. 10/17, Salerno, 1981, cit. in La donna con la valigia, pp. 174-176 108 Ivi, pp. 174-175 109 Ivi, p. 175 110 Maria Antonietta Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 399 111 Ivi 112 Luc Ferry, Alain Renault, La pensée 68, Gallimard, 1988, pp. 26-27. I due autori hanno analizzato non tanto il maggio ‟68, quanto la “pensée „68”, ovvero il pensiero filosofico che, senza essere direttamente né causa né effetto del maggio, si dipanò contemporaneamente ad esso esprimendo una logica affine sotto molteplici aspetti. I due autori hanno collocato quel pensiero nella cornice dei fatti che segnarono la generazione giunta a maturità intellettuale negli anni del dopoguerra, segnata dal ricordo del totalitarismo nazista e dall‟esperienza del colonialismo. Qui, l‟origine del trauma verso le “società civilizzate”, la sfiducia verso la democrazia, la critica dei valori della “società dei consumi”. 118
consonanza di Macciocchi con questo pensiero emergente si svelava nella comune volontà di far esplodere il vecchio sistema, nella volontà di dis-integrazione intesa come rifiuto di far integrare la propria individualità in un apparato, fosse quello del partito o di una società considerata oppressiva. Il ‟68 ha rappresentato, nell‟evoluzione di Macciocchi, una delle tappe fondamentali verso la riscoperta del soggetto, la rivalorizzazione della persona, che culminerà negli anni ‟80 con l‟avvicinamento al Cristianesimo. Il punto di contatto tra Macciocchi e il‟68, in conclusione, lo troviamo in quella lettura di “néo-humanisme comme divenir du gauchisme”113, che ne fanno Ferry e Renault, come denuncia del Partito in quanto apparato burocratico, traditore della rivoluzione e dunque strumento d‟integrazione. Da qui si svilupperà preso la corrente della “nouvelle philosophie”, centrata sulla riscoperta dei diritti umani, sulla denuncia del totalitarismo sovietico, della complicità dei partito comunisti d‟Occidente rispetto alla negazione dei diritti umani in Polonia, in Afghanistan. Non a caso Macciocchi ben presto si avvicinerà loro. Anni dopo Macciocchi valuterà l‟antiumanesimo teorico di Althusser come una trappola intellettuale, dalle oscure implicazioni pratiche ed elogerà la riscoperta di valori di umanesimo fatta dalla generazione italiana che si rivolterà nel 1977. Ma prima doveva passare un‟altra esperienza fondamentale, quella della Cina.
8. Luci e ombre del rapporto con il maestro
Il rapporto tra Macciocchi e Althusser si allentò negli anni Settanta, man mano che le condizioni di salute di Althusser peggioravano e che Macciocchi dal canto suo andava scoprendo altre passioni, altri ambienti, che non sempre incontravano il favore del vecchio amico. Come l‟ambiente di <
113 Ivi, pp. 27-28 114 Elliot, Althusser: The Detour of Theory Brill, cit. 178-179 115 Lettera di Louis Althusseer a Macciocchi, s.d., Archivio Macciocchi 116 Lettera manoscritta di Macciocchi a Louis Althusser, s.d. Archivio Macciocchi, presumibilmente brutta copia di una lettera inviata al filosofo 119
longtemps, apparsa nel 1992, la sua vera e propria ossessione rispetto alla possibilità di essere oggetto di interesse amoroso da parte di altre donne, al di fuori di Hélène: “(…) la peur d‟etre exposé à une demande d‟amour que je ressentais comme la menace qu‟on me <
117 Louis Althusser, L’avenir dure longtemps, op. cit., p. 167 118 Ivi, p. 169 119 Macciocchi, Hélène: l’altra metà dell’inferno, <
e prendere a parlare di sé come di un “uomo politico”. Macciocchi naturalmente comprendeva il significato di tali processi, ma verso essi ha manifestato una permanente ambiguità, tra denuncia del non riconoscimento del valore femminile e orgoglio individualista per la propria eccellenza. Era un atteggiamento che molte altre donne hanno avuto in passato. Dietro la facciata di indipendenza ed autonomia, Macciocchi celava un profondo bisogno di accettazione e riconoscimento. Il filosofo stesso, alla luce dello sguardo retrospettivo, divenne strumento di narcisismo e promozione di sé: “un grande filosofo mi trattava alla pari”125, “Althusser faceva di me un cervello filosofico”126, e via dicendo. Quanto ad Helène, nessuna pietà le fu riservata dopo il suo assassinio. Il ritratto della moglie di Althusser si faceva sempre più velenoso ad ogni successiva versione del racconto. Hélène nella stanza del filosofo era “penetrata vittoriosa come legittima sposa dopo una ventina d‟anni di rapporti frenetici, violenti, e talora perversi”127. All‟ingresso di Macciocchi nel mitico antro del filosofo nella rue d‟Ulm si incontravano due donne “una gentile ribelle” verso cui Althusser aveva “una fiducia esagerata”, “un‟ammirazione basata (…) su una suggestione stendhaliana” e dall‟altro lato “una donnina dai capelli grigi, vestita modestamente. Credevo fosse la bidella che passava a pulire lo studio”128. All‟affascinante filosofo “bello, biondo, alto, vestito con quell‟eleganza casual di cui era stato l‟iniziatore tra i filosofi più distinti di Parigi”, si contrapponeva la moglie “bruttina, secca come un rovo, e di dieci anni più vecchia, un viso doloroso, come invasata da quel comunismo che le sfuggiva. Lui mi sembrò più tardi il suo <
9. L‟ultimo progetto: Il mistero Althusser
Negli ultimi anni della sua vita Macciocchi aveva cominciato a lavorare al progetto di un libro su Althusser. L‟idea, che possiamo ricostruire da un fascicolo del suo archivio, era
125 Ivi 126 Ivi 127 Macciocchi, Hélène: l’altra metà dell’inferno, <
di raccogliere le testimonianze di diverse persone che avessero conosciuto il filosofo e che ne avrebbero parlato in brevi saggi, ciascuno di 15-20 pagine. Non si sarebbe trattato di un saggio rigorosamente filosofico e politico, bensì di una serie di testimonianze personali sul filosofo scomparso. Il curatore sarebbe stato Bernard Henri Levy133, che aveva già dato la sua disponibilità. Grasset dal canto suo si era impegnato alla pubblicazione. Macciocchi si era già rivolta all‟editore Rizzoli per l‟edizione italiana del volume, con una lettera indirizzata al presidente Romiti. Ma più tardi, come si ricava da un successivo appunto, si sarebbero manifestati anche l‟editore Flammarion per la Francia e Bompiani per l‟Italia. Per l‟edizione belga l‟idea era di rivolgersi all‟editore Complexe, presentato da Pierre Martens. Per la Spagna Macciocchi avrebbe parlato con Esther Benitez, la sua traduttrice spagnola. Si pensava infine a un‟edizione inglese, ma senza ancora un‟idea su come realizzarla. Anche il titolo era già pronto: “Il mistero Althusser”. I nomi dei potenziali autori, scelti da Macciocchi ed Henri Levy, erano: Padre Bréton134, che era stato assistente di Althusser, Jacques Derrida135, Ian Moulier (sic!)136, Dominique Lecour (sic)137, Michelle Loi138, Jacque Rancière139, Etienne Balibar140, Jean Luc Nancy141, Biagio di Giovanni (sic)142, Toni Negri143, Rossana Rossanda144, Peter Schneider145, Jorge Semprun146, (o in alternativa Juan Cebrian147).
133 Bernard-Henri Lévy (Béni-Saf, 5 novembre 1948) è un imprenditore, filosofo e giornalista francese. Studiò all‟Ecole Normale Supérieure, laureandosi in filosofia, e fu allievi di Derrida e Althusser. Fu uno dei fondatori della scuola della nouvelle philosophie (Nuova filosofia), corrente che esprimeva il rifiuto delle dottrine comuniste e socialiste. Tra le sue opere più famose, La barbarie à visage humain, Paris, Grasset, 1977 134 Stanislas Breton (1912- 2005), spesso menzionato anche negli scritti dello stesso Althusser come Père Breton, apparteneva alla concregazione dei passionisti; a partire dal 1948 insegnò in Italia per alcuni anni, presso l‟Università Pontifica di Roma, quindi insegnò a Lione e poi a Parigi; nel 1966 conobbe Althusser, che gli affidò un corso all‟Ecole Normale, e i due restarono amici fino alla morte del filosofo. Breton fu autore di numerose opere sull‟ideologia, la mistica, l‟impegno politico e non nascose mai le sue simpatie comuniste. Raccontò il suo itinerario filosofico nel libro De Rome à Paris, Paris, Desclée de Brouwer, 1992 135 Jacques Derrida (1930-2004), nato in Algeria, come Althusser, fu suo allievo all‟Ecole Normale Supérieure, dove cominciò a insegnare nel 1964; i due filosofi furono legati da una profonda amicizia. Il suo pensiero elaborò la differenza come categoria filosofica, esercitando una fondamentale influenza anche sullo sviluppo sulla teoria femminista. Si veda per questo particolare aspetto del suo pensiero l‟opera di F. Collin, E, Pisier, E. Varikas, Les femmes de Platon à Derrida, Paris, Plon, 2000, opera per altro apprezzata e recensita dalla stessa Macciocchi. 136 Malgrado l‟ortografia scorretta del nome che appare negli appunti di Macciocchi, si tratta di Yann Moulier-Boutang (1949), saggista ed economista. Nel 1968 aderì al Mouvement du 22-Mars, quindi ai Cahiers de Mai. Dal 1970 al 1975 fu allievo dell'École normale supérieure. Fu autore della biografia Althusser: une biographie, Grasset, 1992 (ristampata nel 2002) e curò l‟uscita del volume di Louis Althusser, Lettres à Franca, 1961-1973, Stock-Imec, 1998, raccolta delle lettere indirizzate dal filosofo a Franca Madonia. 137 Anche qui l‟ortografia è scorretta: Dominique Lecourt, filosofo, nato nel 1944, entrò a ventun anni nell‟Ecole Normale Superieure e diresse la pubblicazione dei Cahiers marxistes-léninistes. Condirettore della collezione <
Il volume naturalmente avrebbe incluso un saggio sia di Macciocchi che di Henri Levy. Le persone coinvolte si sarebbero poi riunite a Napoli, in un colloquio che si sarebbe tenuto presso l‟Istituto Suor Orsola Benincasa, sotto la direzione del rettore Francesco De Sanctis. La sintesi del dibattito sarebbe stata pubblicata alla fine del libro come conclusione. L‟idea del convegno a Napoli era venuta certamente dal convegno dedicato proprio nella città partenopea al libro che Derrida aveva scritto su Jean-Luc Nancy148. Il Suor Orsola alla fine però si era detto non più in grado di dare ospitalità all‟evento. Macciocchi descriveva così il piano del libro a Derrida nell‟ottobre 2000: “J‟ai des soucis pour le livre autour de Louis Althusser: une groupe d‟amis à haut niveau écrit sur lui, un jour, autour a un événément terribile de sa vie, ou sa mort, qu‟il a veçu. Comment on l‟a appris? Où on était? (tu étais en Tchecoslovachia, je crois), ce qu‟on a pensé à l‟epoque, ce qui on pense de lui, aujourd‟hui. On serait cinq o six personne de ceux qui l‟ont connu bien, ou qui ont travaillé, comme toi, avec lui”149. Macciocchi aveva ordinato con cura, attentamente, tutti i ritagli che Jacques Derrida le aveva inviato dagli Stati Uniti, e aveva cominciato a lavorare per l‟organizzazione del convegno a Napoli. “J‟ai parlé avec Père Breton – scrisse ancora a Derrida, riferendogli il procedere dell‟organizzazione – disposé à écrire sul Althusser – et content que tu puisse accepter cette initiative”150. Padre Breton, infatti, aveva risposto prontamente alla sollecitazione della scrittrice, già nel giugno 2000, chiedendo che il futuro colloquio a Napoli rispondesse al alcune questioni precise, che evidenziassero l‟attualità del pensiero althusseriano, e in particolare ne individuava tre: la prima e più importante, ciò che per Althusser era il centro della scienza marxista della storia, ovvero il concetto di “exploitation”151. Cosa diviene il concetto di sfruttamento oggi – si chiedeva Breton - in un mondo in cui il lavoro operaio così come l‟aveva conosciuto Marx, si ritrae in un ruolo secondario di fronte all‟avanzata delle tecnologie, quella informatica in particolare? La seconda questione atteneva al concetto marxista di ideologia “Je pens pour ma part - scriveva l‟ex collaboratore di Althusser – que ce concept est haujourd‟hui ancore valable, à condition toutefois d‟un approfondissement en liason avec l‟idée de “culture”, dans mon vieux pays. Les appareils
Accusato di essere coinvolto nelle attività delle Brigate Rosse, si rifugiò a Parigi. Condannato per associazione a delinquere, insurrezione contro lo Stato e responsabilità morale in numerose violenze commesse in Italia nel corso degli anni Settanta, non scontò la sua pena, poiché nell‟83 fu eletto nelle liste radicali e quindi fuggì in Francia. Qui insegnò all'Università di Parigi (Saint Denis) ed al Collegio Internazionale di Filosofia. Nel 1990 fondò con Jean-Marie Vincent e Denis Berger la rivista <
idéologiques d’Etat (ATE)!”152. La terza questione era quella della politica e Breton indicava la necessità di rileggere tutti gli scritti politici del filosofo. In sostanza Padre Breton comprese che l‟interesse dell‟organizzatrice dei lavori – come del resto quella della stampa negli ultimi anni - si concentrava soprattutto sul profilo personale del filosofo e in particolare sullo scritto autobiografico L’avenir dure lomgtemps, sul rapporto con le tematiche psicanalitiche, che del resto attraversavano l‟intera opera autobiografica e che erano state oggetto di scritti e interventi dello stesso Althusser153. Breton dal canto suo avvertiva la necessità di rimettere al centro il discorso filosofico; egli stesso tuttavia sottolineò l‟importanza dell‟autobiografia del filosofo, che andava riletta alla luce della correspondance avec Franca154. Il volume di corrispondenza del filosofo con la donna amata offriva infatti molte chiavi di lettura: psicologica, psichiatrica, presentando al tempo stesso un non trascurabile valore letterario. Macciocchi si lanciò nell‟iniziativa piena di passione e fervore: “Le 22 octobre, anniversaire de la mort de Louis, un article a paru dans le <
152 Ivi 153 Louis Althusser, Ecrits sur la psychanalyse. Freud et Lacan, textes réunis et présentés par Olivier Corpet et François Matheron, Paris, Stock/Imec, 1993; tr. it. Sulla psicoanalisi. Freud e Lacan, Cortina Raffaello, 1994 154 Nel 1961 Althusser aveva conosciuto a Ravenna la traduttrice e filosofa italiana Franca Madonia, a cui si era legato in una relazione sentimentale destinata a durare molti anni; dal loro rapporto scaturì un epistolario (lettere dal 1961 al 1973) che fu pubblicato postumo, dalle edizioni Stock e dall‟Institut mémoire de l‟édition contemporaine 155 Ulderico Munzi, Per favore, ricordatevi di Althusser, <
Nancy. A Guénoun, che aveva scritto su Althusser, ma che non lo aveva mai conosciuto, se non attraverso le sue opere, Macciocchi chiedeva consiglio su altre personalità francesi, italiane, europee, da inserire eventualmente nel libro. Guénon le invò, in seguito al suggerimento di Nancy, due testi su Althusser161. Il libro tuttavia non vide mai la luce, poiché Macciocchi in quei mesi si ammalò e il suo lavoro intellettuale si concluse proprio con la gestazione di questo progetto mai nato. Con la morte di Althusser per Macciocchi si era chiuso il ventesimo secolo. Persino nelle interviste destinate a presentare la nuova edizione della sua autobiografia il tema del “delitto filosofico” prendeva il sopravvento su tutto il resto162. Egli era il filosofo tormentato, stretto tra ortodossia, fedeltà al partito, e un bisogno di liberarsi dalle strette mortali del comunismo – quelle, secondo Macciocchi, proiettate nella figura di Hélène - che a tratti esplodeva come una sorta di follia. Come era accaduto nel famoso convegno a Terni, dove il filosofo aveva pronunciato un discorso sui “piaceri del marxismo”, dai toni anarchici, che avrebbe lasciato perplesso più d‟uno. Aveva denunciato i partiti comunisti, i sindacati, l‟URSS, concludendo che il comunismo è ovunque e che Bakunin e Proudhon avevano più ragione di Marx163! Il 22 ottobre 1990, quando la notizia della morte dell‟amico la raggiunse a Tirana, in Albania, dove era in viaggio per il <
161 Il primo testo, Althusser autographe, era nato dai lavori di un seminario su Althusser diretto dall‟autore a Strasburgo, nel corso del biennio 1996-97; il testo era poi confluito del volume L'animal autobiographique. Autour de Jacques Derrida. (Ed. Marie-Louise Mallet. Paris, Galilée, 1999), che raccoglieva gli atti del colloquio Derrida à Cerisy, svoltosi nel giugno 1997. Il secondo era invece un articolo di Jean-Luc Nancy, pubblicato dalla rivista <
CAPITOLO VI Macciocchi la maoista
“Non avrei vergogna nel dire che allora mi sono sbagliata, totalmente. Ma la mia posizione su questo <
1.Cina, la lunga marcia di un‟illusione
La rivoluzione culturale cinese ha rappresentato uno degli avvenimenti cruciali della seconda metà del Novecento, e tuttora pone una serie di problemi storiografici ed interpretativi1. Lanciata nel 1966 da Mao-Tse-Tung2, la rivoluzione culturale fu una mobilitazione di massa diretta dall‟alto, contro il partito - di cui lo stesso Mao faceva parte - accusato di revisionismo e burocratizzazione. L‟esercito e i giovani furono invitati a criticare, ad esprimersi, sostenendo Mao contro quelli che vennero etichettati come
1 Le prime ricostruzioni significative della rivoluzione culturale risalgono in Cina agli inizi degli anni Ottanta, quando si rendono disponibili fonti fino ad allora inaccessibili. Gli autori sono spesso studiosi dissidenti rifugiati all‟estero, come nel caso di Gao Gao e Yan Jiaqi, autori di una documentata storia del decennio rivoluzionario Turbulent Decade: A History of the Cultural Revolution, University of Hawaii Press, 1992; per una ricostruzione critica di quegli anni si segnalano inoltre la sezione dedicata alla Rivoluzione culturale nel quindicesimo volume della Cambridge History of China: Revolutions within the Chinese Revolution, 1966–1982 in Cambridge History of China, Edited by Roderick MacFarquhar e John K. Fairbank, Harvard University, Massachusetts, 1991, XV° vol. Part. 2. Ancora in lingua inglese W. Joseph, C. Wong e D. Zweig, New Perspectives on the Cultural Revolution, Harvard University Press, 1991; B. Barnouin e Yu Changgen, Ten Years of Turbulence, New York: Kegan Paul International, Routledge, Chapman & Hall Inc.1993; Jasper Becker, Hungry Ghosts: Mao's Secret Famine, New York: Henry Holt & Co. 1998, tr. it. La rivoluzione della fame. Cina 1958-62: la carestia segreta, Milano, Il Saggiatore, 1998. 2 Nel presente lavoro faremo riferimento alla traslitterazione Wade-Giles, ovvero il sistema di romanizzazione (notazione fonetica e traslitterazione in scrittura latina) dei caratteri del cinese maggiormente usato anche nella stessa Cina nel corso del XX secolo. A fronte del Wade-Giles, oggi il sistema di romanizzazione Hanyu Pinyin è divenuto il sistema ufficiale, e il più usato in Cina. Scegliamo tuttavia di riferirci al vecchio sistema poiché usato nel periodo oggetto del nostro studio e quindi nelle citazioni che vi compariranno e nei testi in bibliografia e note. Mao Tse-tung (Shaoshan, 26 dicembre 1893 – Pechino, 9 settembre 1976) leader militare e politico cinese, ha guidato il Partito comunista nella guerra civile contro il Kuomintang, il Partito nazionalista guidato da Chiang Kai-shek, conclusasi con l‟instaurazione della Repubblica Popolare Cinese. Mao Tse-tung restò al potere dal 1 ottobre 1949, data della proclamazione della Repubblica Popolare, fino alla sua morte. La sua figura, che gode ancora oggi di un ampio prestigio in Cina, è stata oggetto di numerosi studi. Gli storici concordano ormai nel giudicare pesanti le sue responsabilità politiche, specialmente quelle legate alla Rivoluzione culturale, fase politica da lui inaugurata nel 1966, che ha provocato gravi danni economici, sociali e culturali al Paese. Quanto al pensiero di Mao Tse-Tung, l‟edizione italiana delle opere di Mao è apparsa sin dalla fine degli anni Sessanta pubblicata dalla Casa editrice in lingue estere di Pechino, curata da M. Regis e F. Coccia. Per una bibliografia completa delle opere di Mao si rinvia a Mao Tse-Tung, Per la Rivoluzione culturale, scritti e discorsi inediti 1917-1969, con una bibl. Completa degli scritti di Mao, a cura di J. Ch‟en, Torino, Einaudi, 1975. Per quanto riguarda gli studi sul pensiero politico di Mao, si segnala, per la fase precedente al 1949, lo studio di B. Womack The Foundation of Mao Zedong's Political Thought (1917-1935), Honolulu, The University Press of Hawaii,1982; Stuart R. Schram, Mao Tse-tung e la Cina moderna, II Saggiatore, Milano, 1966; dello stesso autore Il pensiero politico di Mao Tse-tung, Mondadori, Milano, 1974; e Mao Zedong: A Preliminary Reassesment, Hong Kong Chinese University Press/New York: St. Martin's, 1984; E. Collotti Pischel, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, Einaudi, Torino, 1979. Per il periodo successivo tra le opere più significative M. Meisner, Marxism, Maoism and Utopianism: Eight Essays, Madison Wisc., University of Wisconsin Press, 1982; Tang Tsou, The Cultural Revolution and Post-Mao Reforms: a Historical Perspective, University of Chicago Press, 1986; D. Wilson (a cura di), Mao Tse-tung in the Scales of History, New York: Cambridge University Press, 1977 e da E. Collotti Pischel, E. Giancotti e A. Natoli (a cura di) Mao Zedong dalla politica alla storia, Roma, Editori Riuniti, 1988. A partire dagli anni Ottanta gli studi storici sulla Repubblica popolare cinese hanno compiuto notevoli passi avanti e molte sono le ricerche apparse in occasione del centenario della nascita di Mao. 126
burocrati revisionisti, permeati di un nuovo confucianesimo, ovvero di una visione gerarchica e conservatrice che andava sradicata ad ogni costo. Funzionari di partito, professori universitari, dirigenti di ogni settore furono sottoposti a processi in pubbliche assemblee, costretti alla rieducazione forzata, inviati al lavoro nei campi e nelle fabbriche, costretti a pesanti autocritiche. La rivoluzione culturale veniva presentata come un movimento di massa spontaneo e democratico. Tale fu giudicato anche da molti osservatori occidentali che alla Cina di Mao dedicarono i loro scritti3. Se negli anni più recenti si è assistito in Occidente alla diffusione di un‟ampia storiografia critica verso la rivoluzione culturale, anche in virtù della maggiore disponibilità di dati sui fatti di quel tragico periodo, già negli anni „70 non mancarono dure testimonianze sui massacri in corso in Cina. Nel 1971 uscì in Francia un libro che suscitò scalpore e diffidenza, quando non aperta ostilità, in un ambiente culturale affascinato dalla Cina di Mao: era il saggio Les Habits neufs du président Mao4, comparso nel 1971 a firma di Simon Leys, uno pseudonimo sotto il quale si celava il sinologo belga Pierre Ryckmans. Leys fu uno dei primi ad interpretare la rivoluzione culturale come una guerra tra gruppi di potere, ovvero come la risposta di Mao Tse-Tung al tentativo di Liu Shaoqi and Deng Xiaoping, allora rispettivamente Presidente della Repubblica e Segretario generale del Partito, di sfidarne la supremazia all‟interno del Partito. Les Habits neufs du président Mao uscì significativamente lo stesso anno del libro di Macciocchi sulla Cina5. Nel ‟74 il Leys pubblicò un altro saggio sullo stesso tema: Ombres chinoises6. Gli scritti di Leys, secondo uno storico ex comunista come François Fejto7, suonarono “la campana a morto per il gruppo di scrittori, giornalisti, scienziati maoisti guidati dalla Giovanna d'Arco napoletana, Maria Antonietta Macciocchi, molto quotata a Parigi, da Philippe Sollers, Claude Roy, Alain Bouc e Patrice de Beer, di Le Monde, che avevano salutato il trionfo dei Khmer rossi”8. In anni più recenti, il processo di rilettura critica sulla rivoluzione culturale si è arricchito di nuove opere come Mao: The Unknown Story, scritto dai coniugi Jung Chang e John Halliday9, e Chine: L'archipel oublie, Fayard, 199210, del sinologo e politologo francese Jean-Luc Domenach. Una denuncia assai dura del regime maoista si trova anche all‟interno di lavori più ampi dedicati alla storia del comunismo, come Le livre noir du
3 Tra gli elogiatori della Cina di Mao in Francia troviamo Roland Barthes, Philippe Sollers, Julia Kristeva, Simone de Beauvoir, Jean Paul Sartre; tra le opere fondamentali che testimoniano l‟impegno degli intellettuali francesi in seno al maoismo Simone De Bauvoir, La Longue Marche, Paris, Gallimard, 1957; Toute compte fait, Paris, Gallimard, 1972; La cérémonie des adieux, Paris, Gallimard, 1981; Jean-Paul Sartre, Philippe Gavi e Pierre Victor, On a raion de se révolter, Paris, Gallimard 1974; Philippe Sollers, Improvisations, Paris, Gallimard, 1991; una recente e documentata ricostruzione critica dell‟ambiente maoista francese è quella di Christophe Bourseiller, Les maoistes. La folle histoire des gardes rouges français, Paris, Plon, 2008; un‟ampia testimonianza, tuttavia datata e fortemente idologizzata, è quella lasciata da Patrick Kessel, uno dei principali esponenti del movimento maoista francese, nella sua ricostruzione in due volumi Le mouvement <
communisme, vasta opera realizzata da un‟équipe di storici francesi11. Oggi, a distanza di quarant‟anni dalle vicende cinesi, il giudizio degli storici è concorde nel valutare enormi i costi umani delle scelte di Mao Tse Tung. Il mito di Mao aveva cominciato a prendere forma ben prima dell‟inizio della rivoluzione culturale, già alla fine degli anni Trenta, con il saggio Stella rossa sulla Cina12, di Edgar Snow, primo giornalista occidentale ad intervistare Mao. Snow aveva documentato, con appassionato slancio, i mesi da lui trascorsi al seguito dell‟Armata Rossa. Dagli anni Cinquanta in poi seguirono altre testimonianze entusiaste. Quella corrente politica atipica che fu il maoismo in Occidente conobbe la sua massima vitalità in Francia, dove proliferarono numerosi gruppi ed organizzazioni di ispirazione maoista spesso in contrasto tra loro, e dove molti intellettuali di alto livello aderirono appassionatamente alla posizione filo-cinese. Tra costoro furono Jean-Luc Godard, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Michel Foucault, Philippe Sollers. A quasi quarant‟anni di distanza da quel periodo la maggior parte delle ricostruzioni storiografiche si deve, come spesso accade quando si tratta di movimenti storici recenti, a protagonisti di quella stagione13. Fu in questo contesto culturale che Macciocchi sviluppò le sue posizioni maoiste destinate, come abbiamo inteso ricostruire in queste pagine, ad avere un‟influenza rilevante nell‟ambiente francese. L‟importanza del maoismo nell‟ambiente intellettuale francese è stata spesso sottostimata, ridotta a fenomeno folkloristico o vista, come nel caso dei polemisti francesi Pascal Bruckner e Cristophe Bourseiller come una sorta di esotismo da salotto, “fascination étrange et agaçante, de la part d‟intellectuels qui avaient déjà subi le désillusions du modèle soviétique, mai qui s‟explique avant tout par un effet d‟éloignement”14. Ad attribuire un maggior rilievo all‟influenza maoista sul pensiero francese sono alcuni studi, come quello di Robert Young15, che si richiama alle teorie postcoloniali16 e che ha visto nel maoismo l‟anello mancante tra teorie postcoloniali e
11 Stéphane Courtois, Nicolas Werth, Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowski, Karel Bartosek, Jean-Louis Margolin, Le Livre noir du communisme, Paris, Robert Laffont, 1997. Si veda nelle pagine che seguono la ricostruzione della vicenda legata alla pubblicazione del Livre noir 12 Edgar Snow, Red Star over China London, Grove/Atlantic, Inc., 1994 13 Hanno scritto di quegli anni tra gli altri Patrick Kessel, autore di una già citata storia del maoismo francese in due volumi, Rémi Hess, (Rémi Hess, Les Maoistes français, une dérive institutionelle, Anthropos, 1974); Michèle Manceaux (Michèle Manceaux, Les maos en France. Avant-propos de Jean Paul Sartre, Gallimard, 1972); Alain Geismar (Alain Geismar, Pourquoi nous combattons, Maspero, 1970; L’engrenage terroriste, Fayard, 1981; Alain Geismar, Serge July, Erlyn Morane, Vers la guerre civile, Editions et Publications Premières, 1969). Si tratta nella maggior parte dei casi di opere piuttosto datate. Rispetto a queste il testo già citato di Bourseiller rappresenta una delle rare eccezioni, ovvero una delle poche ricostruzioni operate da un autore che non ha vissuto direttamente quegli eventi e che si collochi “dans le champ que l‟on nomme si ma la <
poststrutturalismo. In altre parole, grazie al maoismo, la teoria postcoloniale sarebbe riuscita a trovare un terreno d‟incontro tra il movimento nato dalle lotte politiche anticoloniali e l‟alta teoria del poststrutturalismo parigino. Secondo Young17 le ricostruzioni storiche del poststrutturalismo non avrebbero compreso quanto grande sia stato il contributo dato dalla sinofilia francese allo sviluppo “di prospettive critiche sulla cultura occidentale che produssero un nuovo interesse per le forme di alterità”18. A testimoniarlo, per lo studioso, fu tra l‟altro il viaggio in Cina di un intellettuale che tanta influenza ebbe sul pensiero contemporaneo come Lacan19, viaggio alla cui organizzazione Macciocchi contribuì. Agli antipodi delle posizioni di Young, Bourseiller – autore di una documentata ricostruzione dell‟ambiente maoista francese, ha descritto gli intellettuali filo-maoisti degli anni Sessanta come appartenenti a due famiglie: la prima, quella dei militanti comunisti non destalinizzati; la seconda, costituita da militanti anticolonialisti e terzomondisti, spesso già attivi sostenitori del Fronte di liberazione nazionale algerino20. Quello delle ragioni dell‟adesione di tanti intellettuali occidentali al maoismo è uno degli interrogativi aperti, cui gli storici tentano di dare una risposta. François Fejto ha definito il maoismo occidentale “le désir du reve incarné”21. Rispondendo al profondo bisogno di speranza della sinistra occidentale delusa dall‟esperienza dell‟Unione Sovietica, la Cina della rivoluzione culturale incarnò agli occhi di molti una nuova, radiosa possibilità, quella di essere leninisti altrove22, di costruire una forma di socialismo diverso da quella che nell‟Unione Sovietica aveva mostrato il suo volto terribile. La stella rossa della Cina di Mao sorgeva mentre tramontava l‟astro dell‟Unione Sovietica, appannato dalle rivelazioni di Krusciov sui crimini di Stalin. L‟avvicendamento nel ruolo di Stato-faro fu una delle tante fasi di una costante ricerca di modelli sempre nuovi che, come ha scritto Furet, “se da un lato esprime il ridursi della speranza rivoluzionaria nel corso del secolo, con il suo perdurare e sopravvivere alle smentite dell‟esperienza, dall‟altro ne rivela anche la profondità. Privo di Dio, il nostro tempo ha divinizzato la storia, vedendo in essa l‟avvento dell‟uomo libero”23. Furet, nella sua vasta analisi del totalitarismo comunista, osservava come l‟idea comunista andasse guadagnato in estensione quello che via via perdeva in unità24. Gli “orfani dello stalinismo”25 avrebbero continuato ad usare lo stesso linguaggio di sempre, ma nella versione cinese. Contro i “revisionisti” del Cremlino, Mao personificava la fedeltà alla tradizione26. Furet ha scritto del maoismo come di un fanatismo che aveva “più che i tratti d‟una religione della storia, l‟esasperazione di una
17 Il testo di Robert J.C.Young, Mitologie bianche, è emblematico degli studi postcoloniali e incarna una corrente di pensiero diametralmente opposta a quella di Pascal Bruckner: se per Bruckner l‟Occidente deve guarire dall‟odio di sé, figlio dei sensi di colpa per il colonialismo, per Young, invece, si tratta di<
eresia millenarista. Segna il tramonto del marxismo-leninismo, non la rinascita. Rilancia lo stalinismo, ma come un‟illusione sull‟illusione”27.
2. Il Libro nero riapre il dibattito storiografico
“Maria Antonietta Macciocchi ha tessuto le lodi di Mao e recentemente Danielle Mitterrand ha fatto lo stesso con Fidel Castro. Cupidigia, debolezza, vanità, attrazione per la forza e la violenza, passione rivoluzionaria: qualunque sia la motivazione, le dittature totalitarie hanno sempre trovato gli adulatori di cui avevano bisogno, e la dittatura comunista non ha fatto eccezione”28. Ad inserire Macciocchi nella galleria dei complici del comunismo con questa dura sentenza è lo studioso francese Stéphane Courtois29, nella sua introduzione alla discussa opera Le livre noir du communisme, pubblicato da Laffont nel 1997 e tradotto in Italia da Mondadori. Il libro, un pavé di 840 pagine pubblicato in concomitanza con l‟ottantesimo anniversario della rivoluzione russa, era frutto del lavoro di un‟équipe di storici, teso a ricostruire i crimini commessi in quei regimi che si erano richiamati, nel corso del ventesimo secolo, all‟ideologia comunista. Crimini già perlopiù noti, ma mai raccolti tutti assieme in una pubblicazione così vasta. Macciocchi veniva citata polemicamente nell‟introduzione, in cui Courtois, uno degli autori, si interrogava sulle radici dell‟omertà occidentale verso i crimini del comunismo, deplorando la scarsità di lavori storici che indagassero in quella direzione. In realtà le polemiche destate dal libro furono centrate soprattutto su quel breve testo, vera calamita dell‟interesse mediatico riservato al volume e oggetto di un‟accesa discussione anche tra gli stessi autori del libro. Parte di questi si dissociarono infatti dalla tesi principale che Courtois, senza esprimere una posizione condivisa, aveva sostenuto nell‟introduzione, intitolata semplicemente Les crimes du communisme: quella di un parallelo tra il totalitarismo comunista e quello nazista30. Courtois sosteneva l‟importanza, accanto ai meccanismi di autoperpetuazione interni ai sistemi comunisti, dell‟apparato di sostegno ideologico e intellettuale transnazionale, che aveva garantito lo stesso silenzio complice anche all‟interno delle democrazie occidentali, dove ogni discorso critico sul sistema comunista era stato sistematicamente bandito.
27 Ivi, p. 545 28 Stéphane Courtois, Nicolas Werth, Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowski, Karel Bartosek, Jean-Louis Margolin, Le Livre noir du communisme, Paris, Robert Laffont, 1997, tr. it. Il libro nero del comunismo, Milano, Mondadori, 1998, p. 20, 29 Storico francese nato nel 1947, Stéphane Courtois attualmente è direttore di ricerche al CNRS (Università di Paris X) e professore all‟'Institut Catholique d'Études Supérieures (ICES) di La Roche-sur-Yon. È esperto di storia del comunismo. 30 La metà degli autori, Nicolas Werth, Jean-Louis Margolin e Karel Bartosek, si dissociarono da Courtois sul questo tema e anche sul calcolo delle vittime, fondato secondo loro su cifre non attendibili e manipolate dallo stesso Courtois. Quanto agli storici e studiosi francesi, si scatenarono in commenti pro o contro la pubblicazione. Bersaglio degli attacchi furono soprattutto il parallelo tra nazismo e comunismo e la questione dei dati e della loro inattendibilità. “L‟auteur dresse un scandaleux parallèle entre communisme et nazisme, et invoque l‟idée d‟un tribunal de Nuremberg pour juger les responsables. Qu‟importe que les chiffres cités soient manipulés, voire faux, que plusieurs coauteurs se soient dissociés de Stéphane Courtois, nombre de journalistes, sans avoir pris la peine de lire le livre, en ont fait un éloge dythirambique”, scrisse Gilles Perrault su <
L‟autore denunciava la propaganda della sinistra europea nell‟ambito della quale alcuni intellettuali si erano “letteralmente prostituiti”31. L‟Occidente, per mezzo di costoro, aveva dato prova della sua cecità, causata “al tempo stesso dall‟ingenuità nei confronti di un sistema particolarmente perverso, dal timore della potenza sovietica e dal cinismo dei politici e degli affaristi”32. Nell‟articolo con cui anticipava l‟edizione italiana del volume33, Macciocchi, bersaglio polemico di Courtois per le tesi filo-maoiste espresse nel libro Dalla Cina, contrattaccò denunciando la mediocrità dei professori riuniti nell‟équipe del Libro nero: “Siamo lontani dal Passato di un’illusione di François Furet, dal suo genio storico, dalla sua elegante prosa, dalla profondità, anche filosofica, sul fallimento dell‟idea comunista nel ventesimo secolo”34. Critica verso l‟operazione editoriale Laffont-Mondadori, la commentatrice del <
31 Courtois et al., Il libro nero del comunismo, op cit., p. 20 32 Ivi, p. 20 33 L‟impatto del libro nero nella situazione politica italiana fu legato tra l‟altro al fatto che il volume era edito in Italia dalla casa editrice di proprietà dell‟allora capo dell‟opposizione Silvio Berlusconi, e secondo molti fu usato come arma per mettere in difficoltà il governo di centrosinistra. Alcuni intellettuali italiani colsero tuttavia l‟occasione per esortare la sinistra a portare fino in fondo la sua svolta riformista prendendo definitivamente le distanze dal passato: quando il libro uscì in Francia, Ezio Mauro, allora direttore di <
storico aveva ceduto il posto all‟approccio ideologico”37. Paradossalmente, però, la risposta a Courtois era centrata su obiezioni altrettanto ideologiche: al discusso volume, disse Macciocchi, si sarebbe potuto affiancare un “libro nero del capitalismo”38, che avrebbe aperto gli occhi su “un‟enorme distesa di cadaveri”39. Quanto al merito del suo libro sulla Cina40, l‟autrice lo difese affermando che esso era stato arbitrariamente inserito nel contesto di opere dedicate all‟elogio del totalitarismo, quando in realtà non si trattava di un libro di elogi a Mao, ma di un reportage sul paese asiatico dopo la rivoluzione culturale. “Non può prendere un libro che si occupa di tutt‟altra cosa come il mio, che è stato uno dei più grandi reportage sulla Cina, dove non si parla di Mao quasi mai e farne un libro di elogi a Mao!”41. Per sottolineare il carattere eretico del suo lavoro, Macciocchi ricordava infine l‟ostracismo incontrato nel PCF, e la messa al bando del libro alla francese festa dell‟Humanité42. In realtà, sia pure confezionato nella forma del reportage, il libro sulla Cina era dominato da una totale condivisione delle tesi cinesi, condivisione resa ancor più esplicita dagli articoli da lei scritti nel periodo successivo43 e dalle attività in cui si impegnò per avvicinare gli intellettuali francesi alla Cina. A nostro avviso le argomentazioni usate da Macciocchi nel contesto della polemica con Courtois appaiono deboli e contraddittorie. Quel che invece vale la pena sottolineare, parlando di un libro come Della Cina, testo attraversato da una vibrante passione per la rivoluzione culturale, è l‟impossibilità di slegarlo da un contesto politico e culturale come quello dell‟inizio degli anni Settanta e dalla biografia intellettuale dell‟autrice. Nelle pagine che seguono cercheremo pertanto di indagare le origini del maoismo di Macciocchi, riconducendole ad una serie di fattori chiave: il terzomondismo, la filosofia di Gramsci ed Althusser, l‟esperienza personale all‟interno del partito, la matrice anarchica e libertaria del suo impegno, all‟origine della dissidenza che matura pian piano, la visione rivoluzionaria e antirevisionista; dall‟altro lato metteremo in luce i rapporti con l‟ambiente maoista parigino al fine di chiarire l‟influenza che la sua personalità vi ebbe.
3. Terzmondismo, primo stadio della sinofilia
37 Dibattito a Radio anch’io, < Un ingrediente fondamentale nel maoismo di Macciocchi, legato alla sua personale esperienza di giornalista, fu la sua visione delle relazioni internazionali e in particolare la sua attenzione alle lotte dei popoli colonizzati44. Macciocchi aveva cominciato ad occuparsi di lotte anticoloniali sin dall‟inizio della sua parabola di giornalista, dai tempi del viaggio in Persia, culminato nella pubblicazione del libro Persia in lotta45. “Ora ci preme stabilire (…) che la lotta per la ripartizione delle sfere d‟influenza e del petrolio nei Paesi arabi, resterebbe un chiuso gioco fra le potenze imperialiste, se il moto popolare di riscossa non ne facesse esplodere tutte le violente contraddizioni, portando al punto critico, con la sua azione, il sistema di sfruttamento coloniale in quei paesi”46, scriveva l‟allora direttrice di < 44 Negli studi sul colonialismo e sul processo di decolonizzazione/emancipazione si sono susseguite diverse fasi. Le prime impostazioni storiografiche furono rigettate in seguito come eurocentriche, ma mano che l‟attenzione si andava spostando sulla centralità dei popoli colonizzati. In tal senso uno spartiacque fu rappresentato dalla pubblicazione, nel 1961, dell‟opera I dannati della terra di Frantz Fanon; si svilupparono in seguito, in area anglosassone, i cosiddetti postcolonial studies, che abbracciavano una vasta gamma di fenomeni sociali, politici, economici e culturali legati Terzo mondo nella metà del XX secolo. Tra le opere principali quelle di Edward Said, Homi Bhabha, Kwame Nkrumah, Albert Memmi, Aimé Césaire, Declan Kiberd, Gayatri Spivak, Bill Ashcroft. Una pietra miliare fu rappresentata dalla pubblicazione di Orientalismo, di Edward Said, nel 1978, che rifletteva sull‟imperialismo avendo come punto di partenza il punto di vista del mondo colonizzato. Nel frattempo si affermava in campo storiografico l‟idea della necessità di una decolonizzazione della stessa storiografia, di cui si contestava la legittimità universale, mettendo in discussione l‟uso occidentale delle fonti tradizionali come gli archivi coloniali. 45 Macciocchi, Persia in lotta, cit. 46 Ivi, p. 57 47 Ivi, p. 57 48 Per una ricostruzione della Guerra d‟Algeria si vedano Pierre Miquel, La Guerre d’Algérie, Fayard, 1993, Gorge Fleury, La Guerre d’Algérie, Paris, Plon, 1993, Jean-Pierre Rioux (a cura di), La Guerre d’Algérie et les Français, Paris, Fayard, 1990, 49 AA.VV, Algeria torturata, Lerici, 1961 133 A schierarsi senza esitazione dalla parte del FLN fu anche, in Francia, tanta parte del Faubourg Saint-Germain. Gli intellettuali solidali con la causa algerina si raccolsero attorno al Manifesto dei 121, una dichiarazione che giustificava il diritto all‟insubordinazione nella guerra d'Algeria, esaltata come momento di riscatto anche simbolico per tutti i popoli oppressi nel mondo. “La cause du peuple algérien – vi si legge - qui contribue de façon décisive à ruiner le système colonial, est la cause de tous les hommes libres”50. Tra le firme spiccavano quelle di Simone de Beauvoir, André Breton, Marguerite Duras, François Maspero, Alain Resnais, Alain Robbe-Grillet, François Truffaut. E, naturalmente, quella di Jean-Paul Sartre. “I nostri soldati, oltremare, respingendo l‟universalismo metropolitano, applicano al genere umano il numerus clausus: poiché nessuno può – senza reato – spogliare il suo simile, asservirlo od ucciderlo, pongono a principio che il colonizzato non è il simile all‟uomo”51. Così, nella celebre prefazione a Les damnés de la terre di Frantz Fanon52, apparso nel 1961, il filosofo francese rivendicava l‟imperativo alla coerenza con il principio dell‟universalità dei diritti, infangato attraverso la violenza coloniale da quella stessa civiltà che lo aveva generato secoli addietro. Il colonialismo, secondo Sartre, non si limitava a mantenere asservito il popolo oppresso, ma tentava di disumanizzare i colonizzati. La prefazione è rimasta nella storia del pensiero occidentale in quanto massimo documento del pensiero anticolonialista europeo di quegli anni; se l‟opera di Fanon influenzò numerosi leader rivoluzionari e movimenti di liberazione in tutto il mondo, lo scritto sartriano dal canto suo rappresentò e ispirò al tempo stesso l‟atteggiamento di tanti intellettuali rispetto ai paesi allora detti del Terzo Mondo. L‟entusiasmo di Sartre per la ribellione dei popoli colonizzati si spinse fino all‟apologia della violenza rivoluzionaria e persino del massacro antioccidentale. Nel primo tempo della rivolta “occorre uccidere”53, scrisse in uno dei passi più citati della Prefazione al saggio di Fanon: “Far fuori un europeo è prendere due piccioni con una fava, sopprimere nello stesso tempo un oppressore e un oppresso: restano un uomo morto e un uomo libero”54. Come ha scritto anni dopo il polemista francese Pascal Bruckner, autore di testi che negli anni Ottanta, hanno espresso una rivolta intellettuale contro il terzomondismo e i suoi eccessi, in quegli anni il mondo intero accusava l‟Occidente e furono molti gli occidentali impegnati in una campagna che a tratti rasentava l‟odio di sé. “Nessun discorso sul Terzo Mondo può concludersi o cominciare senza che riecheggi questo Leitmotiv: l‟uomo bianco è malvagio”55, constatava Bruckner a proposito della cultura sorta dalla filosofia terzomondista. La nascita del Terzo Mondo come soggetto politico aveva generato quella forma particolare di impegno che Bruckner definì “militantismo espiatorio”56, costruendo un universo ebbro di martirologio, desiderio di autoflagellazione, “dolorismo”, pietismo 50 Manifeste des 12. Déclaration sur le droit à l’insoumission dans la guerre d’Algérie 51 Jean Paul Sartre, Prefazione a Frantz Fanon, Les damnés de la terre, Paris, Maspero, 1961; tr. it. I dannati della terra, Torino, Einaudi, 1961, p. 11 52 Frantz Fanon (1925-1961) è stato uno psichiatra, scrittore e filosofo francese, originario della Martinica. Responsabile di una divisione dell'Ospedale Psichiatrico di Blida, in Algeria, durante la guerra di libeazione divenne portavoce del FLN. Nelle sue opere analizzò il colonialismo dal punto di vista sociologico, filosofico e psichiatrico. I dannaii della terra è considerato il manifesto per eccellenza del pensiero anticoloniale. 53 Jean Paul Sartre, Prefazione a Frantz Fanon, Les damnés de la terre, cit. p. 17 54 Ivi, p. 17 55 Pascal Bruckner, Le sanglot de l’homme blanc, Paris, Seuil, 1983; tr. it. Il singhiozzo dell’uomo bianco, Milano, Guanda, 2008, p. 16 56 Ivi, p. 17 134 ipocrita e sostanziale incapacità di riconoscere “l‟altro”. La colpevolezza dell‟Occidente diventò il dogma di un nuovo conformismo, il fondamento di una vera e propria tirannia della penitenza57. Lo stesso Bruckner, tuttavia, autore di un testo che negli anni ‟80 rappresentò un duro atto di accusa contro il conformismo culturale della sinistra sui temi della colonizzazione, è oggi costretto a riconoscere, venticinque anni dopo la stesura del suo saggio, che una condanna senza riserve come la sua sottovalutava “il carattere profondamente tragico dell‟impegno politico che, anche quando è giusto, comporta in ogni momento una quota di sofferenza e di abominio difficilmente sopportabili”58. Scrivendo nel pieno degli anni Ottanta Bruckner aveva “troppo attenuato la necessità della rivolta per certi popoli o minoranze oppressi”59. Ebbene, un‟equilibrata valutazione di quegli anni e dei suoi protagonisti deve evitare di incorrere nel medesimo errore, e di scadere nella superficialità liquidatoria che può rappresentare una facile tentazione per chi guarda indietro con occhi contemporanei. Dal terzomondismo alla Cina, il passo era breve. Negli anni Sessanta e Settanta, il paese asiatico attirava l‟attenzione di quanti avevano fatto dell‟anticolonialismo il tema centrale del proprio impegno politico e intellettuale. La Cina era stata protagonista di una lotta per liberarsi del dominio coloniale e, a partire dalla conferenza dei paesi africani e asiatici di Bandung del 1955, si era posta alla guida della lotta dei paesi del Terzo mondo contro il colonialismo e della politica del non allineamento60. La rottura tra URSS e Cina, covata già nella seconda metà degli anni Cinquanta, esplose all‟inizio del decennio successivo. Il “revisionismo”, proclamato nemico numero uno da Mao, aveva due cause: quella interna, ovvero la persistente influenza borghese, e quella esterna, ovvero la capitolazione davanti all‟imperialismo, tradottasi nella politica sovietica della coesistenza pacifica. Dal punto di vista della teoria politica, la filosofia maoista era apparsa a Macciocchi il miglior approccio ad un vero internazionalismo, fondato sul principio dell‟autonomia di ogni singolo paese. Macciocchi credeva in una reale capacità di ascolto dei popoli come caratteristica della visione internazionale di Mao Tse-Tung e al tempo stesso individuava nell‟esperienza cinese un faro per l‟Occidente, in particolare per i giovani61. “La Cina emetteva, più che messaggi, ultrasuoni, e la semplice formula stereotipata: “Il vento dell‟Est vince sul vento dell‟Ovest”, era allora qualcosa che sembrava rovesciare le coordinate politiche classiche”62, ha scritto Macciocchi nella sua autobiografia ricostruendo il clima culturale di quegli anni a Parigi. Le pagine di Duemila anni di felicità sono l‟affresco di una Francia attraversata da un vento elettrizzante, galvanizzata dalla promessa di una nuova utopia: “si ipotizzava che la Cina avrebbe avuto in 57 Pascal Bruckner, La tirannia della penitenza, Milano, Guanda, 2007 58 Il singhiozzo dell’uomo bianco, cit., p. 12 59 Ivi, p. 12 60 Per una costruzione delle relazioni internazionali in questo periodo si rinvia a Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, 1919-1999, Roma, Laterza, 2000; J. Baptiste Duroselle, Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, cit. 61 Macciocchi, De la Chine, p. 591. Di Mao Tse-Tung Macciocchi scrisse in questi termini: <<(…) il tient compte de façon si aigue des émotions et des causes qui conduisent les peuples à se soulever du mécanisme oppression-rébellion, humiliation-révolte, surtout chez les nations faibles, mais aussi chez les grandes comme l‟Amérique, là où se manifeste, sourtout parmi les jeunes, une capacité de lutte en la quelle Mao place une confiance tetue>>, p. 591 62 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 438. La celebre frase fu pronunciata da Mao in occasione della Conferenza dei partiti comunisti che si tenne a Mosca nel novembre 1957; Mao parlò allora di superiorità del “campo socialista” sull‟imperialismo e dichiarò che oramai “il vento dell‟Est prevaleva su quello dell‟Ovest”. Dunque bisognava serrare i ranghi attorno all‟URSS e far arretrare l‟imperialismo 135 Occidente un ruolo comparabile a quello della Grecia, per un nostro Neorinascimento”63. Tutti vogliono andare in Cina, da Lacan a Barthes, da Sollers a Kristeva. La Cina di Mao è furiosamente alla moda, tanto che persino i magazine di charme fanno l‟elogio della donna cinese, apice del glamour, ritratta senza veli nella copertina rosso fiammante del mensile Lui di Jacques Lanzmann64. Ma per Macciocchi la Cina di Mao era il tessuto in cui si intrecciavano i molteplici fili di filosofie che finalmente convergevano verso una sintesi nuova e promettente. Analizzandone la fitta trama ritroviamo Marx ed Engels, Lenin, Gramsci, Althusser. Quando Macciocchi tornò in Francia, all‟inizio degli anni ‟70, il dialogo con Althusser riprese, ma mai con l‟intensità e la sintonia di prima. Althusser era rientrato pienamente nei ranghi del partito, e sollecitava Macciocchi a fare altrettanto. Condannò duramente l‟intervento di Macciocchi contro la < 4. Da Marx a Mao passando per Althusser Dal punto di vista strettamente teorico, le prime basi dell‟avvicinamento di Macciocchi al pensiero di Mao vanno rintracciate invece nel suo rapporto con la filosofia di Gramsci67 e con quella di Althusser. Collocando Macciocchi al centro di un‟area ideale delimitata dal triangolo filosofico Gramsci-Althusser-Mao possiamo comprendere l‟origine di alcuni temi e caratteri fondamentali della sua riflessione, come la necessità continuamente richiamata del collegamento con le masse, il tema dell‟elitarismo e della burocratizzazione del Partito, il bisogno di ampliare il dibattito all‟interno del PCI, l‟importanza attribuita alla trasformazione ideologica e culturale. Macciocchi in Cina aveva osservato un‟esperienza politica assolutamente inedita: la rivoluzione nella sovrastruttura sotto la dittatura del proletariato. Per ben comprendere il significato di questo processo dal punto di vista della teoria marxista occorreva ritornare alle tesi di Marx ed Engels: il Manifesto del Partito comunista, in un celebre passo 63 Ivi, p. 439 64 Ch. Bourseiller, op. cit., p. 89 65 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 435 66 Ivi, p. 736 67 Per lo studio di Macciocchi sul filosofo italiano si veda Macciocchi, Per Gramsci, Bologna, Il mulino, 1974. Nell‟impossibilità di ricostruire qui una bibliografia esauriente sul pensiero e l‟opera di Gramsci, in continua evoluzione, rinviamo per una bibliografia completa ed aggiornata alla sezione Bibliografia Gramsciana (1922-2001) della Fondazione Istituto Gramsci; l‟edizione on line della bibliografia, curata da John M. Cammett, Francesco Giasi e Maria Luisa Righi, contiene, al momento in cui viene concluso il presente lavoro, 14.500 titoli sulla vita e l‟opera di Antonio Gramsci in 33 lingue. Per un approfondimento si rinvia al capitolo successivo. 136 richiamato dal < 68Il giornale del popolo, organo ufficiale del partito, < È rifacendosi ad Althusser che Macciocchi valutava la rivoluzione cinese come una critica di sinistra allo stalinismo, considerando tutte le altre critiche occidentali – incluse quelle di certi gruppi gauchisti o trozkisti – come critiche di destra71. Il rapporto tra il pensiero di Mao e quello di Althusser è assai complesso. Senza addentrarci in un‟analisi teorica che esulerebbe dalla presente ricerca, ci limiteremo a constatare come il filosofo francese sia stato uno dei primi marxisti a ricorrere all‟analisi maoista della contraddizione72. Althusser, come Mao, guarderà all‟importanza della sovrastruttura; sarà anche convinto, al pari del leader cinese, che “sono le masse che fanno la storia73. Il suo pensiero inoltre contribuì considerevolmente alla diffusione del maoismo in Francia74. “Chi aveva pensato la Cina per primo era stato Althusser coi suoi Quaderni marxisti-leninisti dalla copertina di fiamma”75, ricorda Macciocchi. I cinesi avevano affrontato con la rivoluzione culturale le contraddizioni tra dirigenti e masse, tra cittadini e istituzioni, tra insegnanti e studenti, teoria e pratica, facendo così passare un insieme di contraddizioni secondarie, perché proprie della superstruttura, al ruolo di contraddizione principale, spiega lo studioso di Althusser Saul Karsz76. Avevano insomma compreso che la rivoluzione, come sosteneva Lenin, non era solo i soviet più l‟elettricità, ma anche rivoluzione dell‟ideologia, negli “apparati ideologici dello Stato”77. Un‟espressione, questa, cara ad Althusser, che aveva analizzato a fondo gli A.I.E., ed evidenziato tra l‟altro il ruolo della scuola nella perpetuazione dell‟ideologia dominante e nella trasmissione ai singoli individui dell‟ideologia più adatta alle diverse collocazioni nella società di classe. La rivoluzione culturale cinese mostrava dal canto suo come l‟insegnamento, anche all‟interno di una società socialista, rischiasse di perpetuare le stesse divisioni di classe, a meno che il proletariato non riuscisse ad imporre la propria ideologia rivoluzionaria. “La révolution dans la culture comme la révolution dans l‟école sont les prémisses d‟une révolution dans les superstructures plus proprement idéologiques et politiques”78. Ecco che il triangolo si chiude: lo studio di Althusser, che si richiama esplicitamente a Gramsci, è aiuto prezioso nello sforzo di comprensione della rivoluzione culturale. Per Macciocchi le conclusioni di Gramsci convergono parzialmente con quelle di Althusser: per Althusser gli A.I.E. sono apparati che servono a suscitare il consenso dei dominati, ma che conservano un elemento di coercizione. In questo Gramsci è più vicino alla rivoluzione culturale cinese, nel momento in cui estende la sfera d‟intervento della funzione egemonica, che pure trova nello Stato il suo centro propulsivo, alle organizzazioni private. Il modello più elevato di egemonia in Gramsci non è lo Stato 71 Macciocchi, De la Chine, p. 577 72 Si veda Saul Karsz, Teoria e politica. Louis Althusser, Dedalo libri, 1976, pp. 136 e ss. 73 Maria Antonietta Macciocchi, Duemila anni di felicità, p. 370 74 Il maoismo francese oscillava tra la versione militante delle piccole formazioni politiche marxiste-leniniste e il maoismo universitario, ovvero il sofisticato marxismo althusseriano che ruotava attorno alla rue d‟Ulm, sede dell‟Ecole normale supérieure, dove lavorava Lous Althusser e attorno a cui si raccolse un gruppo di allievi che avrebbero animato il dibattito politico-intellettuale dell‟epoca in una prospettiva maoista. Ala rilettura del Capitale sul piano teorico, Althusser affiancava sul piano politico, negli anni ‟65-‟66, la critica al PCF per il suo < capitalista, ma quello socialista. L‟altra differenza profonda che Macciocchi individua tra Gramsci e Althusser, collegata alla precedente, è nell‟individuazione del momento storico in cui la funzione egemonica è possibile: se per Gramsci essa è attribuita al partito politico, e pertanto possibile anche prima della conquista dello Stato, Althusser postula invece il carattere statuale di ogni azione ideologica efficace. Da questo punto di vista è evidentemente Althusser ad approssimarsi di più alle concezioni cinesi. Vediamo attraverso questi passaggi come il triangolo (Gramsci-Althusser-Mao) si saldi attorno a Macciocchi, che nel 1974 dedicherà a Gramsci uno dei suoi libri più noti in Francia, Per Gramsci79, rendendo omaggio già nel titolo al Pour Marx di Althusser80. Partendo dalle premesse marxiste leniniste ecco come Macciocchi ha dunque così riassunto la portata teorica della rivoluzione culturale: la Cina aveva constatato che la distruzione dello Stato borghese e dei suoi apparati repressivi e ideologici doveva andare avanti senza interruzione. Il peso della tradizione gravava, infatti, anche sulla società socialista, ancora non completamente rivoluzionata dal punto di vista ideologico e delle mentalità. Scopo della rivoluzione culturale era perciò il consolidamento della dittatura del proletariato; ciò avveniva attraverso l‟irruzione delle masse negli apparati ideologici esistenti e generava un declino della funzione coercitiva dello Stato. Dunque nella partecipazione politica delle masse Macciocchi ha visto il momento dell‟esercizio della libertà, in contrasto col momento coercitivo. Alla luce dell‟esperienza cinese e della teoria di Mao la dittatura del proletariato era ricondotta al suo originario significato obnubilato dalla pratica staliniana: quello di democrazia più larga possibile per le masse popolari81. 5. On a raison de se révolter82: la matrice ribelle, le masse, il Partito C‟è poi un altro elemento importante da considerare nell‟analisi della posizione maoista di Macciocchi, ed è il carattere ribelle del suo pensiero; la spinta libertaria ha attraversato come un fiume carsico la produzione dell‟autrice, trovando alcuni momenti di esplosione: la solidarietà con i ragazzi del ‟68, pur ritenendo, in linea con Althusser83, che la rivolta fosse votata inesorabilmente alla sconfitta, perché inaccettabile da un punto di vista marxista che fossero gli studenti e non il proletariato i soggetti di un processo rivoluzionario; il sostegno ai giovani contestatori di Bologna, nel 1977, che le costerà l‟espulsione dal PCI; l‟ingresso infine nel Partito radicale. In questa parabola possiamo leggere la genesi dell’eresia di Macciocchi, per usare un termine a lei caro, che nasceva dal contrasto insanabile tra uno spirito libero, insofferente al dogmatismo e all‟ortodossia, e il bisogno del tutto opposto di appartenere a una Chiesa, di inquadrare la propria lotta all‟interno di una militanza organizzata e disciplinata. All‟editore François Whal, delle edizioni Seuil, che le chiedeva di chiarire, nel 1982, le ragioni del suo libro sulla Cina (peraltro pubblicato proprio da lui) Macciocchi, rifiutando il mea culpa che da più parti da lei ci si attendeva, rispose chiarendo la matrice anarchica e libertaria del suo maoismo di allora: “Quel sollevamento cinese (…) fu per noi un‟insurrezione soprattutto europea. Ciò che descriverò, più che riguardare i cinesi, 79 Macciocchi, Per Gramsci, Bologna, Il mulino, 1974. 80 Pour Marx di Althusser, Paris, Maspéro, 1968 81 Macciocchi, De la Chine, cit, p. 567 82 “< riguarda noi. L‟essenziale, di cui si dimentica sempre di parlare, è la rottura col modello russo (…) Mao non era il Gran Timoniere, in verità, ma il capo di un gigantesco ammutinamento”84. Dunque il comunismo d‟Oriente, libero, autenticamente rivoluzionario, usato come arma contro quello d‟Occidente, oramai in declino, logorato dal servilismo, della passività, , paralizzato dell‟attendismo, dalla burocratizzazione, dalla cristallizzazione gerarchica. Dove gli osservatori occidentali vedevano un sistema totalitario85, Macciocchi vide un processo in atto. Un metodo. Una filosofia politica realizzata. Il pensiero di Mao si caratterizzava ai suoi occhi come essenzialmente antidogmatico e antiautoritario, qualcosa di completamente sconosciuto, fino ad allora, al mondo socialista. Per la prima volta si era di fronte a un sistema in cui il partito non voleva sostituirsi alle masse, ma aprirsi ad esse, che dovevano liberarsi da sole, attraverso il partito come strumento della loro lotta rivoluzionaria86. Quello che sembra affascinare Macciocchi è per l‟appunto il processo: l‟idea dell‟apertura del partito a una trasformazione continua, attraverso la mobilitazione permanente delle masse politicizzate all‟estremo, è “l‟ouvre de destruction-construction du parti, de rectification-consolidation, comme disent les Chinois” rappresentata dalla rivoluzione culturale, “la plus gigantesque mobilisation de masses que l‟histoire ait connue”87. Quella mobilitazione delle masse era frutto del movimento permanente che già Neumann nel 1942 aveva individuato come una delle dinamiche fondamentali dei regimi totalitari88, ma per Macciocchi le chiavi di lettura erano altre. Alla base del suo apprezzamento per la Cina delle rivoluzione culturale vi era una visione antindividualista, in cui la ragione stava sempre nelle masse, considerate intrinsecamente sane e portatrici di un‟istintiva tendenza al giusto. Solo le masse potevano portare avanti la vera rivoluzione, tradita nel mondo sovietico dalla burocrazia del partito, dove il centralismo democratico era divenuto centralismo burocratico. La politicizzazione totale della società, tratto principale della società, era da valutare come un aspetto positivo e vitale, segno dell‟autonomia delle masse stesse, della loro forza rivoluzionaria. Per Mao occorreva < 84 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., pp. 449-450 85 Per una definizione di totalitarismo si veda la voce Totalitarismo in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, op. cit., pp. 1169 e ss.; tra gli studi classici sul totalitarismo Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Torino, Edizioni di comunità, 1999; K. Brzezinski, Totalitarian Dictatorship and Autocracy, 1956; Raymond Aron, Démocratie et totalitarisme, Paris, Gallimard, 1965; Karl Dietrich Bracher, Il Novecento. Secolo delle ideologie, Bari, Laterza, 2006. In particolare a includere la Cina comunista tra i regimi totalitari, nell‟ambito delle teorie classiche, è quella di Friedrich e Brzezinski, la cui definizione è più estesa rispetto a quella della Arendt – che riconosceva come sistemi totalitari soltanto la Germania nazista e l‟URSS – e arriva ad includere oltre alla Cina anche i regimi comunisti dell‟Est europeo e il fascismo italiano. 86 Macciocchi, De la Chine, cit., p. 572 87 Ivi, p. 530 88 Sigmund Neumann, The permanent revolution, Totalitarianism In The Age Of International Civil War, New York: Harper & Brothers Publishers, 1942, n. ed. London, Civil War Pall Mall Press, 1965 89 Maria Antonietta Macciocchi, De la Chine, cit., pp. 528-529 90 Ivi, p. 529 91 Ivi 140 Jih Pao. Quando Macciocchi parlava di minoranza e maggioranza, il riferimento non era, naturalmente, ad una dialettica pluralista di tipo democratico, ma ai diversi gruppi all‟interno del Partito unico. Dunque quella che a tanti occhi di osservatori occidentali si presentava come una lotta tra fazioni, tra gruppi di potere all‟interno del Partito comunista cinese, per Macciocchi era – così come la presentava la propaganda maoista – una lotta per l‟affermazione dell‟interpretazione corretta della disciplina rivoluzionaria proletaria. L‟azione delle masse, tuttavia, non poteva che passare attraverso il Partito, di cui Macciocchi sottolineava la centralità nella rivoluzione culturale, incontrando l‟analisi di Bettelheim92. Macciocchi, al pari del politologo francese, vedeva il perno della rivoluzione nel partito organizzato attorno ad una linea proletaria, caratterizzato da rapporti interni all‟insegna del centralismo democratico e strettamente collegato alle masse. Il rapporto del partito con le masse, centrale nella visione di Mao Tse Tung, lungi dal ridurre il ruolo di un partito marxista-leninista, lo esaltava, mettendolo al centro della lotta per il socialismo 93. La concezione maoista del rapporto con il Partito ci consente d‟altronde di comprendere tanta parte della vicenda politica di Macciocchi: “Toute solution qui consisterait à quitter le parti, à abandonner la lutte, serait un choix opportuniste, une manifestation d‟anarchisme petit-bourgeois”94, sostenevano i cinesi. In tutta la sua storia di comunista Mao aveva sempre affermato che la battaglia decisiva andava condotta all‟interno del Partito. E‟ proprio questa la concezione che portò Macciocchi a restare all‟interno del PCI fino alla fine, ovvero fino a quando, nel ‟77, non furono gli stessi dirigenti del PCI a decidere di non rinnovarle la tessera. Malgrado le forti tensioni e i contrasti, e a differenza di altri esponenti o interi gruppi del PCI che lo abbandonarono per costituire nuovi soggetti95, Macciocchi ritenne sempre di poter svolgere la sua missione di comunista solo all‟interno del Partito. E visse la sua esclusione come un vero e proprio trauma. Ricorderà, nel giorno della sua espulsione, l‟accorata lettera di Pasolini, espulso dal PCI nel ‟49: “malgrado voi, resterò comunista!”96. Alla base di quella resistenza c‟era la volontà di portare nel Pci italiano quell‟idea di centralismo nella democrazia inteso in senso maoista, quell‟educazione alla disobbedienza, al rifiuto del servilismo. Ma come poteva conciliarsi quest‟idea di libertà critica con la visione cinese di una minoranza detentrice e giudice esclusiva della verità? Di nuovo, per Macciocchi, attraverso il collegamento con le masse, salvifiche protagoniste di questa teleologia. Il centralismo democratico, attraverso l‟apertura del Partito alle masse, garanti di verità, si trasformava in democrazia proletaria. Dello statuto del Partito comunista cinese, uscito dal IX congresso, Macciocchi apprezzava quella sorta di “diritto alla dissidenza”, sancito dall‟articolo 5: “les membres du parti, dit cet article, ont le droit d‟exercer leur critique et de faire des propositions aux organisations 92 Charles Bettlheim (Parigi, 20 novembre 1913 – Parigi, 20 luglio 2006) è stato un economista e storico francese. Fu il fondatore del Centre pour l'Étude des Modes d'Industrialisation alla Sorbona, e consigliere economico di governi di numerosi paesi in via di sviluppo nel periodo della decolonizzazione. Membro del Partito comunista francese, ne fu espulso negli anni Trenta per le sue critiche contro l‟Unione Sovietica. Dal 1966 si avvicinò a posizioni filocinesi. Sostenne l‟Union des jeunesses Communistes (marxiste-leniniste), di ispirazione maoista. Diresse l‟Association des amitiés franco-chinoises e visitò più volte la Repubblica Popolare Cinese. Esponente della scuola radicale di economia neo-marxista, a fianco di studiosi come Paul Sweezy, Andre Gunder Frank e Samir Amin, Bettelheim sosteneva che i Paesi in via di sviluppo dovevano liberarsi anzitutto dei legami asimmetrici con il mercato mondiale e con i Paesi capitalisti che lo dominavano. Gli esponenti di questa scuola erano fortemente critici nei confronti dell‟URSS e rifiutavano il modello sovietico, basato su un modello di accumulazione non diverso da quello proprio del capitalismo 93 De la Chine, cit. pp. 566-567 94 Ivi, p. 529 95 E‟ il caso della scissione, nel 1968, del gruppo de < du parti et aux dirigeants à tous les niveaux”97. La sua esperienza politica personale sembrerebbe influenzare fortemente la sua analisi delle dinamiche interne al Partito comunista cinese. L‟assenza di libertà, di spazi di discussione libera, sofferta all‟interno del Partito comunista italiano la portava paradossalmente ad individuare nell‟omologo cinese un modello di democrazia interna ed apertura, dove si realizzavano la disciplina nella libertà, la volontà unanime e la soddisfazione degli individui. La parte finale di Dalla Cina, dedicata all‟analisi del Partito comunista cinese, diventava pertanto un vero e proprio manifesto politico, fortemente polemico oltre che con il sistema sovietico anche con il Partito comunista italiano: contro il partito-padre e per un vero, libero internazionalismo, fondato sul rispetto reciproco tra i vari Paesi, incarnato dall‟esperienza cinese. Come poteva, in un simile contesto, la critica sistematica a dirigenti e funzionari del Partito non tradursi in una mera operazione demolitrice, in una faida tra diverse fazioni? Per Macciocchi in Cina si era ben lontani dalla furia demolitrice staliniana, come testimoniava la direttiva secondo cui “il 95% dei funzionari sono sani”. Molti dirigenti le cui visioni erano in contrasto con quella di Mao erano rimasti nel partito, alcuni persino all‟interno del Comitato centrale. I nomi dei dirigenti revisionisti la cui presenza non era compatibile con quella della difesa dell‟integrità rivoluzionaria del partito sarebbero stati quattro o cinque98. Della Cina, insomma, non era, nelle intenzioni delle autrici, l‟elogio di un sistema totalitario e di un dittatore, ma di un‟esperienza in cui si riponeva la più grande speranza: quella di veder trionfare la grande rivoluzione proletaria senza negazione dei diritti individuali e quelli dei popoli. Mentre Macciocchi portava a termine il suo libro, il Congresso nazionale del popolo veniva chiamato a ratificare la nuova costituzione, chiamata ad affermare che lo Stato proletario era definitivamente posto sotto il controllo del Partito comunista. In essa, scriveva fiduciosa Macciocchi, si sarebbero affermati molti dei diritti propri della tradizione democratica: il diritto di esprimere liberamente il proprio punto di vista, di redigere tatzupao, di lanciare appelli alle masse, di organizzare grandi dibattiti, di esprimersi pienamente “dans le cadre de la démocratie prolétarienne”99. Infine, secondo le dichiarazioni di Chou En-lai, la Costituzione avrebbe garantito anche il diritto di sciopero. Ecco come gli altri elementi propri del sistema cinese, e generalmente ritenuti costitutivi di un sistema totalitario100, venivano invece valutati dall‟autrice di Dalla Cina. L‟ideologia, lungi dall‟apparire nella sua funzione di elemento caratterizzante del totalitarismo, era ritenuta da Macciocchi funzionale all‟esercizio di questa libertà, poiché in Cina suo compito era armare ideologicamente le masse, al contrario di quanto accadeva in Unione Sovietica, dove compito dell‟ideologia era reprimere ideologicamente le masse101. Quanto al “culto di Mao”, Macciocchi rispose alla questione con una serie di argomentazioni: anzitutto se per culto si intendeva un dogma, qualcosa che veniva imposto dall‟altro, contro 97 Ivi, p. 530 98 Ivi, p. 572 99 Ivi, p. 534 100 Dalla Arendt, a Friedrich e Brzezinski, le varie teorie convergono nell‟individuare come elementi costitutivi del totalitarismo l‟ideologia totalitaria, che pretende di spiegare con certezza assoluta il corso della storia, indipendente da ogni accertamento fattuale. L‟ideologia per Friedrich e Brzezinski è uno dei sei tratti caratteristici del sistema totalitario: essa riguarda tutti gli aspetti dell‟attività e dell‟esistenza umana e guida la lotta per una trasformazione radicale. Per i vari significati di ideologia nella scienza politica e nella sociologia politica contemporanea si rinvia alla voce Ideologia, curata da Mario Stoppino, nel Dizionario di politica curato da Bobbio e Matteucci, op. cit. pp. 483-495. Anche la personalizzazione del potere è considerata dalla Arendt uno dei tratti caratterizzanti il totalitarismo. Il culto della personalità trovò nel maoismo una delle sue massime espressioni. 101 Ivi, p. 571 142 l‟iniziativa creatrice delle masse, allora non si poteva affatto parlare di “culto di Mao”. L‟idea di “culto della personalità”, creata da Krusciov per demolire Stalin, mal si adattava alla filosofia maoista. Si poteva parlare di culto semmai riferendosi a quel rapporto di prestigio che si crea tra il leader rivoluzionario e le masse. Una forma di culto, inteso come rispetto e stima verso i dirigenti, è funzionale in ogni sistema. Non era forse esistito in passato, scriveva Macciocchi, qualcosa di analogo in Occidente, con figure di leader carismatici come Churchill, Roosevelt, De Gaulle? Non era forse vero che il sistema d‟informazione occidentale produceva una costante sovraesposizione dei leader creando un fenomeno analogo a quello che, in Cina, era sorto dalla spontanea ammirazione delle masse verso il principale esponente della rivoluzione? In ogni caso, concludeva Macciocchi, anche questa necessità politica sarebbe stata transitoria e già cominciava a non apparire più così pressante. I rapporti internazionali, infine. La Cina offriva un diverso modello di internazionalismo: lo aveva dimostrato tra l‟altro rifiutando l‟odiosa ingerenza di un Paese guida negli affari interni degli altri paesi, con la condanna dell‟aggressione sovietica contro la Cecoslovacchia qualificata nel rapporto di Lin Piao come “chauvinisme odieux de grande puissance”102. Sposare l‟idea cinese significava rifiutare l‟idea di un modello socialista unico, valido per tutti i Paesi. Il rifiuto del partito-guida si accompagnava, nei cinesi, al rifiuto di diventare essi stessi un modello da imporre o da esportare: “Les chinois sont les premiers à refusser cette idéalisation, cet idéalisme”103, poiché ciascun paese, piccolo o grande, aveva diritto alla propria autonomia e indipendenza. Perfettamente in linea con il dettato maoista, Macciocchi rifiutava la definizione di “modello cinese”, o l‟idea di un “mito della Cina”, bollando tali definizioni idealiste, “crociane più che platoniche”104. Ecco che il pensiero di Mao si presentava ai suoi occhi antidogmatico per eccellenza, poiché esso possedeva “in modo acuto il senso della differenza – delle situazioni, delle congiunture, delle realtà – e dell‟ineguaglianza”105. 6. Il femminismo di Mao Tse-Tung Macciocchi, pur essendosi dichiarata più volte antifemminista – in quanto il femminismo106 escludeva dal proprio orizzonte il primato della prospettiva marxista – utilizzò proprio la categoria del femminismo per tessere un nuovo elogio di Mao: “Mao – scrisse Macciocchi nel saggio Le donne e i loro padroni107 - è in origine il più femminista tra i dirigenti di una rivoluzione. Da giovane si scaglia contro la castità (unilaterale) delle donne, contro l‟usanza di bruciare le vedove e quella di vendere le figlie in sposa, e così via” 108. Nell‟inchiesta sull‟Hunan, del 1927, Mao aveva dichiarato che, dopo operai e contadini “la terza forza rivoluzionaria è quella delle donne che < 102 Ivi, p. 531 103 Ivi, p. 531 104 Macciocchi, Testo dattiloscritto, Archivio Macciocchi 105 Ivi 106 Per un chiarimento sul concetto di femminismo si rinvia alla voce Femminismo di Ginevra Conti Odorisio nel già citato Dizionario di politica, pp. 385 e ss. 107 Macciocchi, Les femme set leur maitres, Paris, Christian Bourgois Editeur, 1978, tr. it. Le donne e i loro padroni, Milano, Mondadori, 1980 108, Ivi, pp. 344-345 109 Ivi, p. 345 143 delle semplici enunciazioni di principio sulle donne come “altra metà del cielo”: “Nel primo soviet cinese le leggi sono a favore della libertà di scelta sessuale, dell‟unione libera e del divorzio. Con la nascita della Repubblica Popolare Cinese (1949) vengono approvate le leggi sul divorzio, sull‟aborto e la legge sul matrimonio come istituzione transitoria”110, norme che rappresentavano importanti passi verso la fuoriuscita dal feudalesimo ancora imperante in Cina, dove l‟avvicendamento delle concubine era prassi largamente diffusa. A quel “mangiatore di donne”111 che era Confucio, “alla sposa venduta, alla vedova bruciata, alle concubine, al Cina contrappone il matrimonio monogamico, nel senso di Engels, come primo passo verso una superiore civiltà, fondata sulla libera scelta”112. Dunque la Cina era vista come il luogo dell‟emancipazione dai vincoli di sottomissione nel privato, ma sorprendentemente il giudizio di Macciocchi si faceva assai severo quando dalla sfera privata lo sguardo si spostava su quella pubblica, dove la presenza delle donne era caratterizzata da un tratto impossibile ignorare: le protagoniste della vita politica erano tutte mogli dei capi comunisti. La stessa situazione, insomma, che Macciocchi aveva denunciato più volte rispetto alla partecipazione politica femminile in Occidente, spesso con feroce sarcasmo, anche all‟interno del Partito comunista italiano113. Donne che ascendono alla massima gloria e poi cadono in disgrazia parallelamente agli uomini cui si accompagnano e cui sono inesorabilmente: simul stabant, simul cadent. Insomma, gli avvenimenti cinesi dimostrano che “nel comunismo non vi è spazio, almeno fino a oggi, per la donna che fa politica come soggetto autonomo, in prima persona, senza essere moglie di nessuno”114. 7. Storia di un viaggio. Flashback Il primo entusiasmo per la Cina Macciocchi l‟aveva vissuto già negli anni ‟50. Direttrice di < 110 Ivi, p. 345 111 Ivi, p. 345 112 Ivi, p. 345 113 Si vedano Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., Le donne e i loro padroni, cit., (pp. 347-351), e Lamento di una corrispondente dell’Unità, infra, Appendice 114 Macciocchi, Le donne e i loro padroni, cit., p. 347 115 Macciocchi, Abbiamo brindato con Ciu-en-lai, < ragazzo portato per la prima volta ad una festa”116. Ma l‟evento centrale fu l‟arrivo, senza preavviso, del presidente Mao. Nelle successive puntate del reportage, di taglio decisamente socioeconomico, Macciocchi raccontava il mondo del lavoro in Cina, il ruolo femminile, il mutamento delle città. Nell‟agosto del 1953 Mao Tse-Tung aveva annunciato la linea generale per il passaggio al socialismo, affermando che sarebbe stato realizzato in un periodo di tempo abbastanza lungo; a settembre dello stesso anno la Repubblica Popolare Cinese, seguendo la direzione intrapresa dall‟URSS sotto Stalin, aveva dato il via al Primo Piano Quinquennale. Il modello sovietico appariva allora come l‟unica via per la crescita di uno stato socialista117. Lo scopo era raggiungere un elevato tasso di crescita economica attraverso una concentrazione sull‟industria e in particolare su quella pesante. Non siamo ancora di fronte ai ritmi del Grande balzo in avanti, che comincerà solo quattro anni più tardi, ma già la marcia del popolo cinese appare accelerata. L‟immagine che si ricavava dal reportage di Macciocchi era quella di un intero popolo immerso in un lavoro epocale di trasformazione di un Paese, spinto avanti da un formidabile slancio, per uscire da una miseria millenaria. Con accenti fortemente retorici il reportage presentava l‟affresco di un‟umanità intenta a domare la natura, costruendo grandi opere che mutavano il volto della terra, per soddisfare i bisogni del proletariato e dello Stato socialista: “Nessuno ha scritto ancora della diga superba che si erge a sbarrare il fiume, lo fa inginocchiare a terra come un domatore la sua belva ruggente, e lo getta dentro la gabbia del nuovo letto, ammansito (…)”, così l‟inviata magnificava l‟impresa cinese incarnata dalla diga Kouan- ting, sul grande fiume Yung-ting, a nord-ovest di Pechino118. Ma a parte l‟osservazione diretta, mediata dalla costante presenza di accompagnatrici ed accompagnatori, quali furono le fonti delle informazioni sulla Cina e sulla vita quotidiana nella repubblica popolare? Anzitutto i materiali di propaganda del regime, i libri acquistati nelle librerie controllate dal governo. Ingegneri, operai, lavoratrici designate dal partito accompagnavano le italiane nel loro tour fornendo tutte le informazioni necessarie. La delegazione fu ospitata in hotel di lusso, e la descrizione degli agi, “i doppi vetri alle finestre, i piumini di vivace cretonne sui letti, ecco un vassoio pieno di frutta colorata, uva, mele, banane (…)”119, si confondeva con lo stupore esaltato di fronte alla grandiosità delle opere umane, dighe possenti, enormi centrali elettriche, miniere imponenti. Nel reportage del ‟54, alla realistica visione di un Paese immerso in uno sforzo di costruzione senza precedenti, si mescolava l‟immagine di una vita se non idilliaca comunque serena e confortevole, fondata sul benessere e sullo slancio vitale. Un‟illusione prospettica largamente condivisa dalle compagne di partito e di viaggio. Capo della delegazione era Ada Gobetti che, al suo ritorno, scrisse: “I bambini sono i padroni della Cina, sono trattati come i fiori”120. Assieme a Gobetti e Macciocchi della delegazione facevano parte Rosetta Longo, Ada Alessandrini e Ilia Bocci. Il resoconto che Macciocchi fece del suo viaggio non si discostava nei contenuti da quello delle altre testimoni: la Cina era un Paese che avanzava a grandi passi verso la via del socialismo; la riforma agraria rivoluzionava i rapporti di produzione; il popolo cinese non era mero spettatore ma collaboratore attivo della politica del governo; di fronte alle donne si aprivano nuovi orizzonti di diritti e partecipazione, sia nel mondo del lavoro che nella politica; in Cina 116 Ivi 117 J. A. G. Roberts, Storia della Cina, Newton & Compton, 2002, p. 544. 118 Macciocchi, Domano i fiumi, forgiano l’acciaio, in < infine esisteva una piena libertà religiosa. Macciocchi dedicò spazio al mutamento della condizione femminile dopo la rivoluzione: le lavoratrici contribuivano appieno alla trasformazione della società cinese vedendo al contempo garantiti per la prima volta i loro diritti; le donne che un tempo rischiavano il licenziamento in caso di maternità si vedevano finalmente tutelate; case della maternità e nidi sorgevano “accanto ad ogni fabbrica”121. I segni di sofferenza che la Cina ancora portava non erano altro che le cicatrici della colonizzazione. Dunque se ancora la miseria trasudava dai quartieri poveri, dalle case buie, dalle maleodoranti tane affollate di famiglie numerose, questa era il lascito di un‟altra epoca in procinto di chiudersi per sempre. 8. Ritorno in Cina: Il talismano contro la disillusione La Cina era un amore venuto da lontano, per Macciocchi, dal tempo in cui, sotto il fascismo, la lettura di Malraux e la scoperta dell‟eroismo degli operai di Shangai l‟avevano scossa dalla sua apatia politica. “Je commençai alors à vibrer de passion pour l‟action, pour une vraie révolution (…)”122, ricorderà poi davanti agli studenti di Vincennes. Sedici anni erano trascorsi dal primo incontro con la Cina, da quel viaggio – 45 giorni, da Moudken a Shangai - che nel 1954 era culminato nel brillante reportage per < 121 Macciocchi, Grazie, Cina, < comunista cinese e quello italiano, divisi da polemiche e dissensi. dopo la partenza di Macciocchi per Pechino. Proprio nel „62 Chao Yi-Ming, a nome del partito comunista cinese, aveva risolutamente criticato quello italiano per i suoi attacchi unilaterali e ingiustificati contro un partito marxista-leninista, il partito del lavoro albanese e aveva ammesso l‟esistenza di più divergenze tra comunisti cinesi e PCI su molte questioni importanti. Nel 1964 Enrico Berlinguer aveva espresso, davanti al congresso del PC francese, le sue critiche al partito comunista cinese. I dirigenti di quest‟ultimo, in compenso, rifiutarono di accoglierlo durante il suo scalo a Pechino, in occasione di una visita ufficiale ad Hanoi. Gli anni Sessanta si snodarono tra gli attacchi reciproci de < 9. Per la Cina, due comunisti in guerra contro tutti L‟organizzazione del viaggio era partita nel ‟70. Il soggiorno in Cina della coppia Macciocchi-Jacoviello durò quasi due mesi. Il primo frutto fu la serie di articoli firmati da Jacoviello, che apparve sull‟Unità nel gennaio 1971. Subito dopo sarebbe arrivato nelle librerie il libro di Macciocchi, pubblicato nel giugno 1971 contemporaneamente in Francia e in Italia. La pubblicazione su < 125 La Repubblica Popolare Cinese, con capitale Pechino, fu proclamata il primo ottobre 1949 da Mao Tse-Tung. 126 Gli articoli di Jacoviello furono raccolti e pubblicati, nel 1972, in un volume. Alberto Jacoviello, Capire la Cina, Milano, Jaca Book, 1972 147 dirigenti del Partito. Secondo la nota con cui il quotidiano aveva accompagnato il primo articolo della serie, lo scritto non era che “un primo approccio diretto”, limitato dalla “brevità del tempo trascorso”, un “punto di partenza per un lavoro ulteriore, metodico e approfondito”127. L‟accesso di entusiasmo dell‟autore, insomma, non era gradito, e la presa di distanza della direzione non poteva essere più netta. Era evidente la volontà di minimizzare la portata politica di quegli articoli, caratterizzati da uno slancio eccessivo persino agli occhi del giornale che quel viaggio aveva sostenuto e incoraggiato. Il commento del direttore non piacque affatto a Jacoviello, ma la posizione di Tortorella per questi non poteva essere una sorpresa. La pubblicazione degli articoli avveniva infatti al termine di un lungo braccio di ferro tra i due; la testata aveva accettato di farli uscire in seguito alla minaccia di Jacoviello di venderli ad un altro quotidiano128, e non potendo esimersi dal farlo, dopo averli annunciati da tempo ai proprio lettori. Lo scontro si era aperto subito dopo il rientro della coppia Macciocchi-Jacoviello dalla Cina, e aveva visto da un lato i due giornalisti e dall‟altro l‟ufficio politico del PCI - di cui lo stesso Tortorella faceva parte - e < 127 Nota di accompagnamento agli articoli di Jacoviello, < intellettuali godevano la più ampia libertà, uomini tra gli uomini, parte di una società solida e fortemente unita attorno al presidente Mao. Aldo Tortorella vergò dal canto suo ben 27 pagine di appunti sugli articoli di Jacoviello, criticandone l‟impostazione generale, dal punto di vista politico, e mettendo in evidenza i punti oscuri o non condivisibili di tutti gli articoli. La principale accusa rivolta al giornalista era quella di aver adottato nelle sue corrispondenze un atteggiamento totalmente acritico. “Vogliamo evitare – scrisse Tortorella – di considerare in termini di pura esaltazione le realtà del socialismo (…) essere solidali essendo autonomi, essere solidali essendo obiettivi e critici non è impresa facile”132. Il compito che l‟Unità ha assunto è – spiegava Tortorella – quello di conquistare le masse di “operai, di donne, di giovani senza miti alla lotta rivoluzionaria”133. Ed è proprio quella visione non mitica ma critica del socialismo che mancava agli scritti di Jacoviello. L‟essenza delle corrispondenze, si affermava, non poteva essere considerata giornalistica poiché “in più parti, prima dei fatti vengono le valutazioni e i giudizi e, talora, le esclamazioni”134. Nell‟articolo risuonavano “toni che usammo in altri tempi e che vogliamo non ripetere”135. Dietro le valide argomentazioni deontologiche e professionali di Tortorella, si celavano tuttavia le riserve di ordine politico: “Occorre in secondo luogo tener presente che così come i comunisti cinesi sono impegnati a tener fermi i loro giudizi finché non li muta il Partito, così noi comunisti italiani siamo impegnati a tener fermi i nostri giudizi così come li ha espressi il congresso e, tra un congresso e l‟altro, il nostro Comitato centrale”136. A porre maggiori problemi fu il nono articolo, nel quale si rilevava criticamente “l‟accettazione totale del carattere spontaneo-democratico della rivoluzione culturale”137. Gli sviluppi della rivoluzione culturale contenevano invece, secondo Tortorella, una forte componente di direzione centrale, di cui lo stesso insistito richiamo al pensiero di Mao era espressione. “Comprendo perfettamente l‟impressione profonda che può suscitare un viaggio in Cina, come so quale impressione profonda, in epoche lontane o vicine, è stata suscitata da altri viaggi organizzati in diversi paesi socialisti. Sappiamo anche, però, tutto quel che abbiamo appreso al riguardo. Sia in negativo, sia in positivo, dobbiamo cercare di evitare i giudizi sommari, e lo spirito acritico. Occorre che il lettore veda che ricerchiamo la verità, e non un nuovo mito”138. Ciascun articolo fu smantellato punto per punto e tacciato di superficialità sotto un profilo di analisi scientifica. La conclusione era l‟invito a una “revisione seria” e a concentrare la materia in un numero inferiore di articoli. In risposta a questa lunga e argomentata polemica, Macciocchi prese le difese del marito-collega - condividendone appieno l‟entusiasmo per il viaggio appena compiuto - in una lettera di fuoco indirizzata a Tortorella: “Tu scrivi “un appunto” per chiedere ad Alberto di trasformare l‟articolo-reportage in un saggio politico, sull‟industria, sull‟agricoltura, sul partito, sui comitati rivoluzionari, sul pensiero di Mao, sulle strutture scolastiche. Al tempo stesso, forse per prenderlo in giro, tu gli suggerisci, alla fine, che gli articoli attualmente di 8-9 cartelle vengano ridotti alla metà”139. Insomma, le obiezioni del direttore potevano essere tenute presenti da chi si accingesse a scrivere un libro sulla Cina, ma chiedere di 132 Aldo Tortorella, Nota dattiloscritta, s.d., Archivio Macciocchi 133 Ivi 134 Ivi 135 Ivi 136 Ivi 137 Ivi 138 Ivi 139 Lettera di Macciocchi ad Aldo Tortorella, Archivio Macciocchi 149 tenerne conto nella stesura di un reportage significa volerlo snaturare del tutto. Adottare acriticamente il modello cinese – rincarava Macciocchi - dopo essersi appoggiati per tanto tempo altrettanto acriticamente a quello russo, non era certo nelle intenzioni di chi aveva scritto gli articoli; tuttavia proprio in virtù della strada autonoma e originale imboccata dal PCI ci si poteva permettere di dare un‟informazione sulla Cina diversa da quella tradizionale, ovvero “che non rimastichi più le definizioni e le calunnie dei sovietici sulla rivoluzione culturale, sulla situazione economica in Cina”140. Insomma, Macciocchi era stata folgorata dal modello cinese e cercava nell‟apertura del Partito l‟addentellato istituzionale per legittimare le proprie posizioni e quelle del marito. Il mese di febbraio del 1971 vide Jacoviello impegnato a girare l‟Italia per tenere ovunque dibattiti sulla Cina. Per Jacoviello il viaggio per l‟Italia fu anche l‟occasione di prendere una pausa dal lavoro al giornale dopo la tempestosa lite con il direttore. Il 3 febbraio, in una lettera indirizzata al direttore e per conoscenza all‟Ufficio politico del PCI, annunciava la sua intenzione di riprendere a lavorare ma “per spirito di disciplina”141, ribadendo la propria irritazione per come la direzione del giornale aveva agito nei suoi confronti “sul piano politico e su quello personale”142, lamentando inoltre l‟assenza di qualsiasi risposta ad una sua lettera da parte dell‟ufficio politico del PCI. Intanto si preparavano grandi svolte nelle relazioni internazionali: la visita di Nixon a Pekino, nell‟estate del „72, sanciva l‟apertura di un dialogo tra i due Paesi, mentre la Cina comunista veniva ammessa all‟ONU, dove prendeva il posto fino ad allora occupato dall Repubblica nazionalista di Chang Kai Shek. 10. Polemiche in Italia e in Francia su un best seller Dalla Cina, edito da Feltrinelli, fu presentato al club Turati di Milano, tra gli altri da Charles Bettelheim, il 30 giugno 1971. Nell‟ottobre del 71 era già in uscita la terza edizione di quello che rapidamente era diventato un best seller, anche grazie al fatto che al momento del lancio l‟attenzione generale era puntata proprio sul gigante asiatico e sull‟enorme processo di assestamento internazionale che lo riguardava. D‟altra parte il libro possedeva il fascino del racconto in prima persona di una comunista militante che si avvicina a un‟esperienza politica assolutamente inedita, e pergiunta condannata dal comunismo sovietico. L‟opera fu un momento di rottura, come dimostrò anche il clima di ostilità e diffidenza con cui fu accolta negli ambienti ufficiali della sinistra italiana. < 140 Ivi 141 Lettera di Alberto Jacoviello ad Aldo Tortorella e all‟ufficio politico del PCI, 03/02/71 142 Ivi 143 Persino in Popolo ne riconobbe i meriti, Marcello Gilmozzi, I comunisti italiani e il regime di Mao, < Pur criticando i limiti del libro legati all‟eccesso di ideologia, di reminiscenze personali, al fatto che il libro era stato scritto di getto ed era troppo corposo per essere un resoconto di viaggio, Terzani poteva comunque concludere che il nocciolo del lavoro era “un‟immagine pulita, reale, senza cedimenti utopici, della Cina di oggi”146. “Mao visto da un‟eretica del PCI” titolava il quotidiano conservatore < 146 Ivi 147 Mao visto da un’eretica del PCI, < stalinismo imperante in molto partiti comunisti occidentali, primo fra i quali il PCF. Ecco la sua ricostruzione della vicenda: “Interrogato sulla esclusione della Macciocchi – ha raccontato Bocca - il direttore dell‟< 155 Giorgio Bocca, Dalla Macciocchi a Smrkowsky, una intolleranza che continua, < Macciocchi. “De la Chine – scrisse Sollers – représente aujourd‟hui non seulement un admirable témoignage sur la Chine révolutionnaire, mais ancore une source d‟analyses théoriques qu‟il serait illusoire de croire refoulées. De la Chine, c‟est la puissance et la vérité du “nouveau” lui-meme. Son absence, sa censure dans une manifestation d‟union de la gauche sont le symptome grave d‟un aveuglement navrant. C‟est pourquoi je n‟irai pas cette année cotoyer des “écrivains” – dont certains notoirement réactionnaires – à la fete de L’Humanité. Les livres ne sont pas des produits ménagers. De la Chine est l‟un des très rares livres d‟aujourd‟hui, de demain. Le travail de Maria-Antonietta Macciocchi a devant lui toute l‟histoire>>162. Nell‟ottobre del ‟71 la rottura tra < 162 Ivi 163 Macciocchi (a cura di), Polemiche sulla Cina, Milano, Feltrinelli, 1972, con testi di Ch. Bettelheim, L. Cane, A. Casanova, J. Chatain, J. Chesnaux, J. De Bonis, J. Henric, B. Liege, M. Loi, S. Matta, G. Scarpetta, Ph. Sollers, pp. 67-70 164 Ivi 165 Ivi 153 scrisse, con parole che volevano dimostrare più apprezzamento per il PCI di quanto in realtà l‟autrice non ne provasse in cuor suo. Con questa apertura del PCI verso l‟esperienza cinese venivano a maturazione, secondo Macciocchi, le premesse gettate da Togliatti e Longo, proseguite con Berlinguer e la sua domanda posta il 10 novembre del 1970 davanti al CC del Partito di rinnovare i rapporti con la Cina. Le polemiche sul libro di Macciocchi offrirono infine lo spunto per una pubblicazione dal titolo Polemiche sulla Cina, curate dalla stessa autrice ed edita da Feltrinelli166. Ma intanto il tempo passava e “i telquelisti si spostavano leggeri, con passi da gatto, verso l‟ombra protettiva del giscardismo sorgente. E verso altre sponde culturali, non più quelle della Cina, ma dell‟America”167. Macciocchi si era ingannata su < 166 Macciocchi (a cura di), Polemiche sulla Cina, cit. 167 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 448 154 CAPITOLO VII Dalla riscoperta di Gramsci alla cacciata dal PCI 1. L’italienne in cattedra a Vincennes Oramai stabilitasi in Francia, agli inizi degli anni Settanta, Macciocchi abitava in un piccolo studio sul Boulevard Sain-Germain, prestatole dall‟amico Sebastian Matta1, il pittore surrealista cileno. Nel giugno „72 il PCI aveva espressamente dichiarato di non volerla ripresentare alle elezioni e in più le aveva tolto lo stipendio di quadro del partito, lasciandole una liquidazione di sette milioni trecentomilalire per i suoi venticinque anni di attività2. Nel novembre di quello stesso anno Macciocchi trascorse ancora un mese in Cina, e al suo ritorno in Francia cominciò la sua avventura nell‟insegnamento universitario, su chiamata del Consiglio dei docenti di sociologia dell‟Università di Paris VIII - anche nota come Vincennes - nata all‟indomani di quel ‟68 che aveva scosso dalle sue fondamenta il mondo universitario. Il ‟68 stava agendo in lei nel medio periodo, determinando le sue scelte, contribuendo alla riflessione che l‟avrebbe portata sempre più lontana dal partito, verso una deriva di totale autonomia3. Qui Macciocchi tenne i suoi corsi sul fascismo, su Gramsci, su Pasolini, in cui la sociologia si mescolava alla storia delle idee, alla letteratura, alla psicanalisi. “5 dicembre ‟72: primo corso su Gramsci all‟università di Vincennes – scrisse ricordando quei giorni - Parla a studenti in jeans, sdruciti, con le toppe. Gauchisti, maoisti residui, futuri inventori del ‟77, niente affatto terroristi ma colmi di rabbia”4. Davanti a lei una platea colorata, politicizzata e cosmopolita: vi si trovavano francesi, inglesi, americani, tedeschi e italiani. Se gli studenti affluivano entusiasti ai suoi corsi, non tutti apprezzarono allo stesso modo la sua presenza in cattedra. L‟8 marzo del 1973 il ministro dell‟Education nationale respinse la richiesta del rettore dell‟Università di Vincennes di nominare Macciocchi assistant associé de sociologie. Macciocchi visse il rifiuto come un attacco personale contro di lei, contro la filosofia di Gramsci, e come un segnale di sciovinismo culturale da parte delle istituzioni francesi. A poco a poco le manifestazioni di solidarietà degli studenti convinsero anche il corpo docente – inizialmente indifferente alla vicenda - a prendere le sue difese, fino alla convocazione di una conferenza stampa, da parte dei sindacati del consiglio della Facoltà di Vincennes al Collège de France, dove fu comunicata la decisione del consiglio stesso di rinnovare a Macciocchi la nomina come assistente per l‟anno accademico 1973-74. La vicenda ebbe una coda polemica sui giornali francesi e italiani e si concluse con la decisione del ministro di accettare la nomina di Macciocchi5. Vi insegnerà fino al 1979. 1 Roberto Sebastian Matta Echaurren (Santiago del Cile, 1911 – Civitavecchia, 23 novembre 2002) è stato un architetto e pittore cileno. Macciocchi lo aveva conosciuto all‟inaugurazione di una sua esposizione alla Galleria di Raymond Aghion, quand‟era corrispondente per < 2. Pour Gramsci: una lettura maoista-leninista Dal lungo lavoro condotto su Gramsci in quel periodo nacque un libro, che in Francia fu pubblicato nella collezione < 6 Il libro uscì contemporaneamente in Francia e italia. Macciocchi, Per Gramsci, Bologna, Il Mulino, 1974 7 Senza poter offrire in questa sede una bibliografia esaustiva ci limiteremo a ricordare che di Gramsci scrissero tra gli altri A. Asor Rosa, G. Amendola, P. Bevilacqua, F. Calamandrei, L. Colletti, R. Debray, V. Gerratana (curatore tra l‟altro dei Quaderni dal carcere), R. Luporini, L. Magri, G. Marramao, N. Badaloni, R. Rossanda, P. Spriano, R. Garaudy, F. De Felice, E. Garin, M. Tronti, E. Ragionieri, N. Matteucci, P. Togliatti, L. Maitan, L. Longo. 8 Giuseppe Tamburrano, Antonio Gramsci, SugarCo edizioni, 1963, oggi in SugarCo edizioni, 1977 9 Lelio Lagorio, Turati e Gramsci per il socialismo. Due dentro ad un fuoco, (con Giancarlo Lehner), Sugarco, Milano 1987 10 Bonomi Giorgio, Partito e rivoluzione in Gramsci, Milano, Feltrinelli, 1973. Macciocchi conosceva lo scritto di Bonomi, che figura nella bibliografia del suo libro 11 Il compromesso storico, sostenuto dal segretario del PCI Enrico Berlinguer, fu un accordo tra forze comuniste, socialiste e cattoliche, concepito per allontanare i rischi di soluzioni autoritarie e allargare la base sociale dell‟azione di riforma del Paese. Il mutamento strategico fu prospettato da Berlinguer nel 1973, all‟indomani del colpo di Stato di Pinochet in Cile che aveva destato il timore di possibili involuzioni autoritarie analoghe in Italia. In quella svolta troviamo anche le premesse di quello che si sarebbe definito “Eurocomunismo”: il PCI rinsaldò i suoi contatti con i comunisti francesi e spagnoli per avviare una politica comune in Europa occidentale che si distanziasse nettamente da quella dell‟Unione Sovietica. 12 Macciocchi, Pour Gramsci, p. 14. 156 L‟attualizzazione del pensiero gramsciano serviva a Macciocchi a misurare i rovinosi effetti della politica condotta nelle società in transizione verso il socialismo, quali l‟URSS e i Paesi dell‟Est, consentendole di avanzare una critica di sinistra allo stalinismo. Al tempo stesso le consentiva di criticare il PCI per il suo tradimento di Gramsci, indicandogli una diversa strategia da seguire. Centrali in tal senso erano i temi del rapporto partito-masse, partito-democrazia socialista, del consenso, contrapposto alla mera disciplina burocratica, fonte di oppressione e paralisi. Partendo da Gramsci, al modello sovietico Macciocchi tornava a contrapporre, dopo Dalla Cina, il modello emerso dalla rivoluzione culturale. Gramsci, insomma, andava sottratto a Stalin e Togliatti, e collocato a fianco di Mao. L‟URSS aveva compiuto una serie di errori, come porre l‟economia in luogo della politica al posto di comando, seguire la stessa logica di accumulazione che era propria del capitalismo. Nella costruzione dello Stato socialista, Stalin aveva aperto la via al socialismo economicista, piuttosto che a una società nuova, che avrebbe dovuto esigere un elevato sviluppo culturale delle masse e la formazione di una classe di intellettuali organici, per assicurare il consenso. La situazione sovietica nel suo complesso si caratterizzava per un‟assenza di dibattito teorico e politico, una struttura ipertrofica, a fronte di una sovrastruttura in piena regressione, una visibile depoliticizzazione delle masse e infine, sul fronte della politica estera, la repressione militare di altri paesi socialisti. Allo stalinismo, al fariseismo libresco della II internazionale, si contrapponeva il richiamo alla pratica, all‟azione politica. Un socialismo diverso doveva essere caratterizzato dal dibattito, da un autentico spirito internazionalista e dalla politicizzazione delle masse. Gramsci aveva già parlato della spontaneità delle masse che sarebbe stata in seguito evocata da Mao. Non si trattava di elogiare un inaccettabile spontaneismo anarchico, ma di sollecitare la forza creatrice delle masse. Macciocchi riteneva che la sua esperienza diretta di osservazione della rivoluzione cinese le avesse consentito di ricostruire pezzo per pezzo il mosaico di una nuova egemonia totale, che investiva ogni aspetto della vita umana, il pensiero come la pratica. Sentiva di aver afferrato dall‟interno l‟opera gigantesca di elaborazione di una filosofia della prassi, realizzata da Mao, che avrebbe trasformato non solo la mentalità di milioni di uomini ma anche formato una nuova classe dirigente. E ancora, sul ruolo fondamentale delle masse, anche partendo dalla storia e dalle interpretazioni storiografiche gramsciane, si arrivava a conclusioni analoghe: Gramsci, com‟è noto, aveva mutuato da Cuoco l‟interpretazione della Rivoluzione napoletana come rivoluzione passiva, perché portata dalle armi di Bonaparte13. Non già rivoluzione di popolo, dunque, ma d‟élite, nel corso della quale si era aperto un abisso tra gli intellettuali e le masse, che quella rivoluzione non avevano compreso. L‟unità nazionale allo stesso modo era stata una conquista reale del Sud d‟Italia14. Macciocchi riprese la nota interpretazione gramsciana del Risorgimento per attualizzarla. Il centro-sinistra, la rivoluzione riformista o quelli che altrove venivano chiamati cartelli delle sinistre, potevano essere considerati la nuove versione della rivoluzione passiva delineata da 13 Macciocchi rigettò successivamente quest‟interpretazione nei suoi libri dedicati alla Rivoluzione napoletana, Cara Eleonora. Passione e morte della Fonseca Pimentel, Rizzoli, 1993 e L'amante della rivoluzione. La vera storia di Luisa Sanfelice e della repubblica napoletana del 1799, Mondadori, 1998. 14 Le considerazioni sulla storia del risorgimento furono elaborate da Gramsci nel corso della sua prigionia e raccolte per la prima volta nel volume Il Risorgimento, Torino, Einaudi, 1949, oggi disponibile nella nuova edizione riveduta e integrata sulla base dell'edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana, Editori Riuniti, 1991. 157 Gramsci a proposito del Risorgimento. Ovvero trasformazioni guidate dall‟alto, caratterizzate dalla non-partecipazione delle masse e da un tipo d‟azione che coinvolgeva solo le élite politiche, i partiti intesi come gruppi dirigenti, escludendo quella partecipazione popolare che le oligarchie di partito temevano di non poter controllare15. Ancora un parallelo per trarre legittimazione e forza dalle tesi di Gramsci, concludendo che per Gramsci la rivoluzione passiva non poteva essere un programma. Occorreva piuttosto far uscire le masse dalla loro anestesia politica. Una classe operaia che aspirasse all‟egemonia doveva liberarsi dei diversi mali che affliggevano il movimento operaio italiano, come l‟economicismo, l‟egoismo di categoria, il conservatorismo sindacale, l‟aristocrazia operaia, il razzismo verso il Sud e i lavoratori meridionali; occorreva pensarsi in modo nazionale, come membri di una classe che aspirasse a dirigere l‟insieme del movimento, a guidare il blocco nazionale, formato da operai, contadini, intellettuali. Gramsci si prestava dunque non solo alla formulazione del fondamentale interrogativo sulle ragioni del fallimento della rivoluzione in Occidente, ma anche, a partire da questo, all‟analisi delle condizioni della sua possibilità. Conditio sine qua non risultava essere il superamento della linea riformista dominante nel movimento operaio e nelle sue rappresentanze. In Occidente, osservava Macciocchi, i sindacati erano pacifisti e riformisti, soggetti all‟influenza della borghesia; i partiti erano soggetti parlamentari e democratico-borghesi, e infine era nata un‟aristocrazia operaia sempre più orientata verso la socialdemocrazia. Nel complesso, nei paesi occidentali la classe dominante aveva più risorse che in Russia, l‟AIE (Apparato ideologico di Stato) era più forte, e le crisi economiche erano destinate ad avere ripercussioni più lievi sul piano politico. La battaglia pertanto doveva cominciare prima ancora della presa del potere attraverso la dittatura del proletariato, ed essere combattuta anche all‟interno della sovrastruttura, come Gramsci aveva suggerito. 3. L‟egemonia16 Gramsci ebbe un ruolo fondamentale nell‟elaborazione del concetto di egemonia così come sarebbe prevalso nella cultura politica italiana. Per lui l‟esercizio dell‟egemonia era soprattutto identificabile nel momento della direzione, attraverso la quale un gruppo si impone come dominante. Un gruppo – ovvero una classe all‟interno di una società divisa in classi - poteva divenire egemonico prima ancora della conquista dello Stato (anzi l‟egemonia era una delle precondizioni per tale conquista). Perciò Gramsci faceva della funzione egemonica un momento e una condizione del processo rivoluzionario, legato ad una riforma morale e intellettuale della società17. Accanto a questa definizione va collocato l‟altro aspetto fondamentale gramsciano dell‟egemonia, ovvero la sua complementarità, come direzione intellettuale e morale, al momento della dominazione, 15 Macciocchi, Pour Gramsci, cit., p. 119 16 Il concetto di “egemonia” in ambito marxista ha rivestito storicamente diversi significati, e per un quadro sintetico si rinvia alla voce “Egemonia” del Dizionario di Politica curato da Bobbio e Matteucci, op. cit., pp. 348 e ss. Se in un primo momento a prevalere fu l‟identificazione tra “egemonia” e “dominio”, nelle formulazioni politiche della Terza Internazionale (Lenin, Bukharin e Stalin), successivamente all‟elaborazione di Gramsci, la cultura politica italiana privilegiò una seconda accezione dello stesso termine; Il secondo significato vede nell‟egemonia soprattutto la capacità di direzione intellettuale della classe dominante o aspirante al dominio. Il concetto di egemonia in Gramsci è stato ampiamente trattato; tra gli autori che se ne sono occupati ricordiamo Cambareri, Gruppi, Jocteau, Poulantzas, Tamburrano. 17 Macciocchi (Pour Gramsci, pp. 165-166) riprendeva in proposito Alessandro Natta, Il partito politico nei Quaderni dal Carcere, in < per garantire la supremazia di un gruppo18. Per Macciocchi la grande novità di Gramsci, ciò che rendeva il suo pensiero più ricco di quello di Lenin, era l‟aver constatato l‟insufficienza della forza nell‟esercizio del potere e aver affermato la necessità del consenso. Tuttavia l‟interpretazione di Macciocchi del concetto di egemonia, oggetto di un‟annosa querelle nell‟ambito della cultura marxista, intende soprattutto bilanciare i temi del consenso e della dominazione. Macciocchi rifiutava l‟interpretazione di destra di Gramsci centrata sull‟esaltazione del momento del consenso, che secondo lei rischiava di sfociare nel parlamentarismo democratico e borghese. “On finit par faire du consensus une sorte de théorie démocratique allant jusqu‟à se confondre avec l‟électoralisme et le parlamentarisme démocratique et bourgoise” 19. Macciocchi si contrappone, con la sua interpretazione, a quella di Luciano Gruppi, che aveva identificato egemonia e dominazione arrivando alla conclusione che lo stato non andrebbe abbattuto ma riformato, ipotesi inaccettabile20. Lo stesso Gramsci, sottolineava Macciocchi, aveva criticato Croce poiché questi metteva l‟accento unicamente sul consenso. Non era possibile alcuna ipotesi di riforma dello Stato, dal momento che Gramsci aveva chiaramente affermato, nelle Tesi di Lyon, che non vi era soluzione al problema dello Stato se non nella dittatura del proletariato. Per Macciocchi andavano contrapposte a tali interpretazioni idealiste e socialdemocratiche, due affermazioni: per Gramsci il potere non si esercitava solo attraverso l‟egemonia ma anche attraverso l‟azione coercitiva. In secondo luogo la concezione gramsciana dell‟egemonia non comportava il minimo equivoco parlamentarista. Attualizzando ancora Gramsci, alla luce del rapporto tra crisi dello Stato e crisi dell‟egemonia21, Macciocchi osservò come la crisi della borghesia, negli anni in cui lei stessa andava scrivendo, si manifestasse anzitutto sul piano morale e valoriale, quindi come fine della capacità di direzione della borghesia dominante: l‟organizzazione gerarchica del lavoro, il tema delle relazioni tra i sessi, l‟aborto, l‟antipsichiatria, il controllo delle nascite, la concezione rivoluzionaria del matrimonio e della famiglia, il divorzio, la denuncia della condizione femminile e dello sfruttamento delle donne, erano tutti segnali che rivelavano una progressiva disintegrazione del blocco etico borghese. Il ‟68 aveva rappresentato una reazione al conservatorismo morale dello stesso partito comunista, a sua volta incapace di esercitare un ruolo di direzione, facendo eco alle richieste di Gramsci di fondare una nuova morale rivoluzionaria contro le inibizioni e il fariseismo della morale borghese22. 4. Gli intellettuali23 18 Se il momento della dominazione era fatto valere sui gruppi antagonistici attraverso gli apparati coercitivi della società politica, l‟egemonia si esercitava invece sui gruppi sociali alleati o neutrali, attraverso gli apparati egemonici della società civile; il diverso equilibrio di queste due componenti varia in ragione del grado di sviluppo della società civile. In Occidente, dove si aveva una società civile più robusta, il ruolo dell‟azione egemonica era privilegiato. Si veda Bobbio, Matteucci, op. cit. p. 349 19 Macciocchi, Pour Gramsci, cit., p. 166. 20Luciano Gruppi interpretò Gramsci, nella stagione dell‟eurocomunismo, come precursore del compromesso storico. 21 A proposito della crisi dello Stato manifestatesi in primis come crisi dell‟egemonia in Gramsci, Silvano Belligni ha scritto: “Si comprende, alla luce di quest‟impianto teorico, come la crisi dello Stato, quando è < Macciocchi riteneva che la questione degli intellettuali come centrale nella strategia rivoluzionaria non fosse stata ancora compresa appieno dal movimento rivoluzionario in ragione di una certa tendenza operaista e dogmatica; da un lato il proletariato appariva diffidente nei confronti degli intellettuali, dall‟altro vi era la tendenza dei partiti comunisti a servirsi degli intellettuali come di semplici strumenti, come di patenti di nobiltà da esibire. L‟intellettuale è ancora considerato una forza autonoma, come nella vecchia visione idealista che Gramsci voleva superare. L‟intellettuale organico, invece, doveva rappresentare la vera cerniera tra struttura e sovrastruttura, l‟ingranaggio essenziale del rapporto Partito-avanguardia-masse, il motore di quelle riforma morale e intellettuale che deve elevare le masse, formarle ideologicamente perché possano esercitare la loro egemonia. La riforma intellettuale e morale indicata da Macciocchi consisteva nella lotta per una nuova etica. Gramsci faceva allusione alla nuova egemonia politica che si sarebbe espressa anzitutto nel dominio della morale. Ebbene, l‟intellettuale organico doveva rompere con la vecchia morale borghese fino a liberarsi totalmente. In queste riflessioni trovava spazio il riferimento alla questione femminile, che portava Macciocchi a ricordare come Gramsci l‟avesse citata in quanto questione etico-civile più importante; e, ancora oltre, consentiva l‟affacciarsi di un nuovo interrogativo aperto: quello su un possibile rapporto Gramsci-Freud24. Ma il passaggio chiave nell‟analisi di Macciocchi sulla questione è quello che porta dall‟intellettuale organico di Gramsci all‟intellettuale completo di Mao. Questi aveva riconosciuto a sua volta il ruolo non strumentale bensì strategico degli intellettuali per il movimento rivoluzionario. Macciocchi evidenziava come il legame tra intellettuale organico e masse fosse affermato in termini molti simili da Gramsci e Mao. La migliore traduzione dell‟intellettuale organico inteso come legato all‟organizzazione di classe si poteva trovare nell‟intervento di Mao a Yenan25. Qui il conetto di “intellettuale organico” veniva rimpiazzato con quello di “intellettuale completo”; tale era l‟intellettuale che avesse modificato la propria psicologia, uscendo dalla propria classe per entrare in un‟altra. L‟intellettuale completo non si limitava ad abbracciare le posizioni della classe operaia ma diveniva l‟elemento che poteva dare a questa la sua omogeneità, favorendone il progresso intellettuale. Infine, l‟alternativa pedagogica di Gramsci, rivolta al nuovo tipo di uomo (“uomo collettivo” o “uomo massa”), che doveva realizzare in sé la fusione tra lavoratore manuale e intellettuale, si ritrovava ugualmente nella rivoluzione culturale. Tutta la seconda rivoluzione cinese si presentava come un gigantesco sforzo per fare di tutti gli uomini, impegnati in una attività produttiva, degli intellettuali, e porre fine alla cesura tra homo sapiens e homo faber26. intellettuali italiani, Gramsci, Quaderni del carcere, op. cit., pp. 935-936. Dunque, come ha sottolineato Giuseppe Vacca, l‟insieme dei Quaderni del carcere è concepito da Gramsci come una ricerca sugli intellettuali. Si veda inoltre Antonio Gramsci, Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Zedda, 2008; tra gli scritti sul tema segnaliamo, oltre al già citato Salvadori, E. Garin, Politica e cultura in Gramsci: il problema degli intellettuali, in < 5. Gramsci, Althusser, gli intellettuali francesi La matrice francese del libro – concepito nell‟ambito di un seminario nell‟università di Parigi - è evidente nel fatto che Macciocchi lo scrisse rivolgendosi, oltre che all‟Italia e al PCI, anche alla Francia e ai suoi intellettuali. Questo sguardo centrato sulla vita culturale francese nella quale oramai la scrittrice viveva immersa da almeno un decennio, la portò a confrontarsi sui temi gramsciani anzitutto con Althusser. Al filosofo Macciocchi riconobbe il merito di essere stato l‟unico, nel suo Paese, ad aver compreso la portata teorica dell‟opera di Gramsci, ma gliene rimproverò una lettura superficiale e parziale27. Althusser in passato aveva ridotto, secondo lei, il pensiero di Gramsci a una sorta di storicismo idealista, pur avendo ammesso in seguito di considerare quelle sue vecchie analisi come marginali rispetto all‟opera di Gramsci e avendo deciso di consacrare i suoi studi successivi ad altri aspetti del pensiero gramsciano. Occorre riconoscere anzitutto la portata, nel clima in cui il pensiero di Althusser era maturato, della reazione all‟esistenzialismo sartriano che aveva dominato il pensiero francese all‟indomani del ‟56, condizionando opinioni e giudizi. Sartre aveva centrato il marxismo attorno a una problematica umanista piccolo-borghese, e la reazione antiumanista aveva portato Althusser a combattere ogni “deviazione umanista”, anche laddove, come nel caso di Gramsci, l‟umanesimo non era stato altro che “un peccato di gioventù”28. Althusser aveva insomma rivalutato Gramsci svalutandolo29. Malgrado l‟ammirazione per il pensatore sardo Althusser aveva tacciato il pensiero gramsciano nel suo complesso di scarsa sistematicità, osservazione che Macciocchi rigettava con fermezza. “Pas systématisé? Bien au contraire, on peut dire que ce sont précisément les concepts d‟hégémonie et de bloc histyorique dans la “société civile”, toujours au centre de la réflexion gramscienne, qui donnent lieu, à travers toute son oeuvre, à un effort continu d‟approfondissement depuis le période de jeunesse jusqu‟aux dernières notes des Cahiers”30. Quanto alle affinità e alle divergenze sostanziali tra le due filosofie, se i temi di Althusser furono eminentemente gramsciani, le conclusioni dei due filosofi dal punto di vista teorico e della prassi politica, furono agli antipodi. Althusser, in seguito ad un‟ulteriore lettura di Gramsci, si era ispirato al pensiero di questi nella formulazione della sua teoria degli AIE31, ovvero gli Apparati ideologici dello Stato, in quanto strumenti di cui si serviva la classe dominante per esercitare il potere. Althusser però finiva col situare il problema dell‟egemonia e della lotta ideologica al livello della sovrastruttura di uno Stato socialista, mentre per Gramsci la questione dell‟egemonia32 della classe proletaria si 27 Ivi, p. 30 28 Althusser aveva attribuito a Gramsci il demerito di aver introdotto motivi umanistici all‟interno del marxismo, e aveva individuato una rottura tra il periodo de < poneva hic et nunc contro l‟egemonia borghese33. Due strategie, come si vede, assai diverse. Forse non è arbitrario stabilire a tale proposito un nesso tra la contrapposizione Gramsci-Althusser e quella storica all‟interno del PCI tra Gramsci e Bordiga34, che Macciocchi in un altro passo del libro rievocava, rispetto al ruolo dei consigli operai come prefigurazione del futuro contropotere operaio. In entrambi i casi si profilava il contrasto tra una visione che rinviava le trasformazioni all‟indomani della conquista del potere e dello Stato e un‟altra che concepiva la conquista del potere come un processo in cui il momento essenziale era rappresentato dalla lotta che investiva infrastruttura e sovrastruttura, “une lutte pour l‟hégémonie”35. Su Althusser Macciocchi tornò più volte nel corso del saggio, attaccando il filosofo su più fronti, ad esempio tacciando di arretratezza le sue battaglie intellettuali. Le prese di posizione assunte dal filosofo nella sua Réponse à John Lewis36, le apparivano come battaglie di retroguardia. Il filosofo era ormai politicamente sorpassato dai testi dei militanti comunisti italiani, prodotti tra il 1970 e il 1971, centrati sulla rivoluzione culturale cinese, contro l‟economicismo della III Internazionale, le discrasie del XX Congresso del PCUS e infine sull‟analisi di classe del movimento cecoslovacco represso dai russi37. Certo, concludeva Macciocchi con una certa ironia, si poteva ammirare il modo in cui questi temi erano ordinati e articolarti dai filosofi, “avec leurs formules bien frappées et une propreté de calligraphes: c‟est là leur talent”38, ma nella sostanza non vi era nulla di nuovo. Una decisa inversione di marcia, insomma, rispetto all‟ammirazione un tempo tributata ad Althusser. Se certi temi erano stati già trattati dai comunisti di altri Paesi – incalzava l‟autrice - non stupiva che nessun riferimento a questi lavori apparisse nelle opere di Althusser, dato il nazionalismo degli intellettuali francesi e la loro megalomania, in cui si iscriveva un sistematico rifiuto di guardare ciò che era stato scritto al di fuori della Francia. Il ritardo politico, la penuria intellettuale, potevano essere imputati poi a un altro fattore, ovvero alla forte costrizione che lo stalinista PCF esercitava verso i propri intellettuali. L‟intellettuale militante francese, insomma, si rifugiava nelle battaglie politiche che erano già state combattute altrove, all‟interno di altri partiti comunisti, in modo da non dover subire conseguenze troppo pesanti dal 33 Si veda anche su questo tema il capitolo quinto. Sul rapporto tra Althusser e Gramsci Macciocchi riprese le tesi espresse da Leonardo Paggi in Studi e interpretazioni di Gramsci, < proprio partito39. Da Althusser dunque la critica si estendeva al ruolo e al carattere dell‟intellettuale in Francia, un paese “privo di pensiero critico” e caratterizzato da un‟assoluta ignoranza per tutto quello che veniva da fuori o dagli stranieri40. Gramsci, osservava Macciocchi, non era ancora stato tradotto in francese; Marx, Engels, Freud e Joyce aspettavano ancora l‟imprimatur per la pubblicazione della loro opera omnia. Autoconservazione, autocelebrazione, nazionalismo erano i caratteri fondamentali degli uomini di cultura francese, consumatori insaziabili della propria produzione intellettuale, ripiegati in eterno su se stessi. Questo arroccamento impediva loro inoltre di intrattenere qualsiasi legame con il territorio, con quello che oggi si direbbe il “paese reale”. Il loro popolo, il loro paese gli era sconosciuto, blindati com‟erano nella propria torre d‟avorio. Questi intellettuali erano condizionati in tutto e per tutto dal partito che li sussidiava, li sponsorizzava, pubblicava i loro libri presentandoli alla festa de < 39 La critica verso Althusser per la sua obbedienza al PCF si farà ancor più serrata nella Talpa francese 40 La critica di Macciocchi sulla diffidenza dei francesi verso gli intellettuali “stranieri” va letta anche alla luce della sua esperienza personale e della sua difficoltà ad essere accettata negli ambienti parigini, che sempre guardarono a lei come ad una straniera. Più avanti, in Pour Gramsci, imputò allo sciovinismo culturale francese la mancata solidarietà manifestata nei suoi confronti nel momento in cui il ministro dell‟educazione nazionale aveva deciso di non rinnovarle l‟incarico per l‟insegnamento a Vincennes. 41 A rendere evidente l‟influenza delle proprie vicende personali nella critica, il riferimento alla festa dell‟Humanité, da cui lei era stata esclusa con il suo libro sulla Cina, per espresso volere del PCF. 42 Ivi, p. 263 43 E‟ evidente anche qui il riferimento ad Althusser 44 Ivi, p. 264 45 Ivi, p. 265 163 aveva messo in discussione la proprietà privata dei mezzi di produzione, ma la cultura e i suoi contenuti, la dominazione intellettuale, il modo di vita e i valori della società dei consumi, rimettendo in causa l‟organizzazione dell‟apparato ideologico di stato. In più aveva attaccato – alla maniera maoista - la separazione tra lavoro manuale e intellettuale. Ma quello che poteva essere considerato il più alto momento di lotta ideologica anticapitalista mai conosciuto nella sovrastruttura borghese, aveva trovato impreparati e senza risposta tanto gli intellettuali quanto il partito, in Francia. Gli intellettuali dopo il „68 erano tornati all‟ordine più che mai. Si era chiuso così il movimento di liberazione più profondo che i francesi avessero mai conosciuto ma, malgrado il suo “fallimento”, in realtà niente sarebbe stato più come prima. 6. Il Partito: forma e strategia46 La visione gramsciana del Partito è stata variamente interpretata: da un lato autori come Pellicani47 hanno intravisto nelle posizioni di Gramsci la premessa per la totale eliminazione del dissenso, facendo riferimento in particolare ai Quaderni del carcere. Anche Piero Melograni ha sottolineato come nel suo “progetto politico-religioso del mondo, la società doveva possedere una organizzazione piramidale con il Partito comunista collocato al vertice”. Nei quaderni gramsciani pertanto “il partito assume il ruolo di un Pricipe dominatore e totalitario, quale neppure Machiavelli aveva mai disegnato”48. Sulla sponda opposta si colloca l‟interpretazione di Salvadori49, cui si richiamava Macciocchi nella sua analisi. Salvadori dal canto suo aveva evidenziato soprattutto l‟unità tra dirigenti e appartenenti al partito, evidenziando il rifiuto gramsciano della direzione verticistica e stabilendo un nesso tra la sua visione laica e il necessario rifiuto di ogni visione “sacrale” del partito stesso. Si imponeva dunque come centrale, per l‟autore, il ruolo del consenso, e quindi il rapporto masse-partito. Macciocchi, che si rifece esplicitamente a quest‟interpretazione, aveva già da tempo formulato le sue critiche al Partito, in parte in modo diretto e pubblico50, in parte sfogandosi nei propri taccuini e diari51, denunciando la degenerazione del centralismo democratico nel PCI, l‟assenza di democrazia e di dibattito interno. Gramsci le fornì il grimaldello teorico per collocare queste critiche nella storia del dibattito interno al PCI 46 Anche sul ruolo del Partito in Gramsci la letteratura è molto vasta; dell‟argomento hanno scritto Calamandrei, Ceroni, Magri, Natta, Pintor, Rossanda, Salvadori. 47 Luciano Pellicani, ha sostenuto che restando fedeli a Gramsci non soltanto non si poteva arrivare al pluralismo, ma si giungeva addirittura “al totalitarismo ecclesiale, vale a dire al monolitismo politico, economico e culturale, l'esatto contrario della società aperta scaturita dal processo di secolarizzazione”, L. Pellicani, Il centauro comunista, Firenze 1979, p. 61. 48 Piero Melograni, Oltre le ceneri di Gramsci, < sulla forma-partito. In Italia, secondo Macciocchi, la doppiezza togliattiana aveva consentito, fino a un certo punto, un dibattito un po‟ più ampio di quello consentito agli intellettuali francesi in seno al PCF, la cui politica ruotava attorno a una rigorosa divisione tra lavoro intellettuale e politica, per cui gli intellettuali non potevano esprimersi in termini politici. Negli ultimi tempi, tuttavia, lo stesso PCI si era irrigidito, come aveva dimostrato la liquidazione del gruppo dirigente della FGCI52, costituito da studenti, e l‟espulsione del gruppo del Manifesto, nel 1969, atto autoritario che scoraggiava l‟impegno politico degli intellettuali53. La politica di mediazione di Togliatti era stata rimpiazzata dalla politica di un gruppo di funzionari che volevano impedire qualsiasi dibattito di sinistra all‟interno del partito, nello stile dei grandi movimenti operai e studenteschi. La verità, invece, per Macciocchi, doveva sorgere dal dibattito, secondo l‟insegnamento di Gramsci che non aveva alcuna visione “tomista” del partito come verità rivelata, ma al contrario lo metteva in rapporto con la realtà storica facendone risiedere il carattere organico nell‟attitudine a tener conto del movimento, a non fissarsi in un‟entità burocratica. Allo stesso modo per Mao il Partito era una forza che agiva in un contesto storico, teatro di lotta per l‟affermazione di una linea rivoluzionaria giusta. Questo avvicinamento tra Gramsci e Mao, Macciocchi lo compì soprattutto rispetto al tema della conquista dell‟egemonia dopo l‟affermazione dello stato socialista. Macciocchi volle cogliere il pensiero gramsciano nell‟atto di liberare il marxismo, e dunque l‟azione rivoluzionaria, dal revisionismo e dal materialismo meccanicista, attraverso il concetto di egemonia, con tutta la sua ricchezza teorica e politica. Se il Partito comunista italiano era criticabile in quanto forma oppressiva, priva di dialettica interna, dominata dal dogmatismo ottuso e dal conformismo, assai più grave era il suo errore nell‟impostazione teorica e pratica, ovvero l‟abbandono della linea rivoluzionaria per abbracciare una strategia riformista. Per criticare la concezione di via italiana al socialismo, Macciocchi partiva dalla distinzione gramsciana tra guerra di movimento e guerra di posizione come metafore della lotta di classe. La prima incarnava lo scontro diretto per la presa del potere, mentre per guerra di posizione doveva intendersi il conflitto di classe sotto l‟egida del partito rivoluzionario, necessaria nei casi in cui la rivoluzione non fosse immediatamente possibile, per prepararne le condizioni future. La “guerra di posizione” del proletariato, per Gramsci, lungi dall‟abbandonare l‟orizzonte rivoluzionario, aveva come scopo ultimo il rovesciamento del blocco dominante. Ma questo era stato dimenticato dai comunisti italiani. Occorreva ricordare loro che non era certo in Gramsci che potevano cercare le premesse di quella “via italiana al socialismo”, parlamentare e pacifica, elaborata da Togliatti. Gli stessi fronti popolari erano nati da un‟idea diametralmente opposta a quella di Gramsci, che era stato arbitrariamente considerato ispiratore degli stessi. Macciocchi sottolineò piuttosto le riserve di Gramsci rispetto ai Fronti popolari in quanto proposta mirata alla conservazione delle istituzioni democratico borghesi e non alla rivoluzione socialista. L‟errore del fonte popolare era quello di creare, sì, un‟alleanza di classe affine a quella teorizzata dal filosofo nella sua visione del “blocco storico”, ma basandola 52 La Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) era l'organizzazione dei giovani comunisti del Partito Comunista Italiano (PCI), erede diretta della Federazione Giovanile Comunista d'Italia del PCd'I. Macciocchi si riferiva alla sostituzione, avvenuta nel 1966, di Achille Occhetto, allora segretario dell‟organizzazione giovanile. 53 Macciocchi, Pour Gramsci, cit., p. 273 165 essenzialmente su parole d‟ordine democratiche, considerate non già come semplice mezzo ma come fine54. A Gramsci erano state legate tutte le teorie sviluppatesi sulle vie nazionali, parlamentari al socialismo, tutte le soluzioni riformiste. La tesi della guerra di posizione era stata interpretata come una strategia che doveva essere portata avanti attraverso riforme graduali, di carattere più o meno strutturale, miranti alla trasformazione della struttura, mantenendo il paese “sotto la dittatura della borghesia”55. Un‟impostazione che andava corretta. La tesi della via parlamentare dei riformisti nasceva da un fraintendimento dell‟idea gramsciana di nazionalizzazione del proletariato, ovvero la tesi che concretizzava su scala nazionale la teoria e la pratica della rivoluzione socialista conformemente agli insegnamenti di Lenin. Sotto la coperta della via nazionale si apriva una via “riformista” nazionale, che dimenticava gli stessi fondamenti del marxismo- leninismo, ovvero la distruzione dello stato borghese e l‟affermazione della dittatura del proletariato. Nessun concetto di Gramsci autorizzava tuttavia un tale eclettismo56. 7. Il ‟77, anno di rottura Dopo il libro su Gramsci, Macciocchi mosse sempre più rapidamente, come lungo un piano inclinato, verso la rivolta “contro ogni forma di Chiesa, di Apparato, di Dogma, di Ortodossia, di Verità assoluta”57. Gli eventi del ‟68, osservati durante il loro scorrere con consapevolezza limitata, decantarono nel corso degli otto anni che seguirono e che lei definì “l‟equivalente di mezzo secolo”58. Dopo due libri, come De la Chine e Pour Gramsci, che lei stessa definì “rispettosi del discorso politico classico”59, il nuovo lavoro, De la France o La talpa francese60, avrebbe invece incamerato la forza esplosiva del suo conflitto, oramai arrivato al culmine, con l‟apparato di partito. Nuovi temi erano entrati nella sua riflessione, l‟analisi dei fascismi (condotta anche attraverso il seminario a Vincennes), il tema della repressione e infine del femminismo, sia pure mai trattato in modo sistematico. Prendere la parola con uno stile così libero e iconoclasta, personale, come in De la France, non era solo frutto di una scelta politica, ma anche di una nuova consapevolezza femminista: “Forse c‟è dietro tutto questo (n.d.r. dietro la difficoltà di assumere una posizione iconoclasta), un grosso problema: quello che impedisce così spesso alle donne di mettere in questione radicalmente il principio di autorità, il principio di legittimità del potere. Il femminismo, oggi, porta ancora il marchio di questa difficoltà, di questa servitù involontaria. Come nella favola di Andersen, la sirena deve rinunciare alla sua voce per essere amata dal principe”61. La talpa francese scavò i suoi tunnel in 54 Ivi, p. 101 55 Ivi, pp. 101-102 56 Ivi, p. 102 57 Macciocchi, La Talpa francese, cit., p. 9 58 Ivi, p. 9 59 Ivi, p. 9 60 La Talpa francese era il frutto di un vecchio progetto, maturato durante il soggiorno in Francia tra il 1962 e il 1968, periodo in cui Macciocchi aveva compilato numerosi taccuini di note ed appunti, che avrebbero offerto lo spunto per alcuni capitoli del futuro libro. In quel periodo, e precisamente tra il 1962 e il 1968, Macciocchi, corrispondente per < lungo e in largo sotto l‟esagono, fino a sbucare nuovamente accanto ad Althusser, intento stavolta a discutere la sua tesi di dottorato ad Amiens62. Qui lo sguardo di Macciocchi fu ancora più impietoso, sarcastico verso l‟ex maestro oramai esplicitamente vituperato per ciò che a lei appariva servilismo verso il partito e volontà di istituzionalizzazione, concretizzatasi nella scelta di sostenere il Dottorato di Stato ad Amiens. Una scelta non certo così sorprendente per un filosofo impegnato nell‟istituzione universitaria – e quindi già “istituzionalizzato” – e semmai più incoerente in una giornalista che attraversava l‟università francese, con i suoi insegnamenti, in modo causale, e che soprattutto teneva a proclamarsi antiistituzionale per vocazione. Eppure Macciocchi avrebbe condannato la scelta del maestro per poi compierne poco dopo una analoga, sostenendo a sua volta il dottorato alla Sorbonne63. Althusser aveva aperto la sua soutenance con una frase chiave: “I miei interventi politici e filosofici io li devo al Partito comunista francese…”64. La grande ombra del PCF proteggeva dunque il maestro, offrendogli il simulacro del potere: l‟insegnamento, la scrittura, il lavoro intellettuale, il riconoscimento da parte dell‟apparato ideologico di Stato. “Ignori tu, davero, questo gioco ambiguo del potere di partito verso gli intellettuali?”65. Era forse un‟astuzia, questa scelta di compromesso, di genuflettersi davanti al Partito “come depositario e destinatario di tutto il tuo pensiero”66. Si potevano leggere per intero Gramsci e Mao, ma mai si sarebbe trovata una frase analoga, concludeva Macciocchi, considerandosi oramai agli antipodi del filosofo, e al vertice del proprio processo di de-istituzionalizzazione. La critica di Macciocchi si concentrava sui risvolti pratici delle scelte teoriche di Althusser67 criticandolo per la sua visione del “teatro senza autore”, una storia da cui gli uomini, le masse, secondo Macciocchi, venivano espulsi, ridotti a marionette. Secondo lei Althusser, pur spingendo verso il gramscismo e il maoismo, aveva avuto timore di compiere l‟ultimo passo e aveva finito col rifugiarsi nel “verbalismo rivoluzionario”, dominato dalla paura del reale, incapace di mettersi in gioco fino in fondo quando la sua posizione acquisita fosse stata messa a rischio. 62 In Francia, secondo la Loi d'orientation de l'enseignement supérieur del 1968, < 63 Nel 1977 sostenne il suo Dottorato alla Sorbonne, ma per sé al solito avrebbe trovato un alibi: già nella Talpa francese aveva messo le mani avanti: “Se mai un giorno io ritenessi indispensabile ottenere il dottorato, sarebbe per non sentirmi più “emigrata”, “emarginata”, “straniera” (insomma, sempre più o meno minacciata di espulsione, come all‟epoca del ministrio dell‟interno Marcellin)”, ivi, pp. 323-324. Ma non era questo il caso del maestro, per il quale non potevano esistere giustificazioni di sorta: “Ma non è questo il tuo caso: tu puoi scrivere delle opere difficili, e ricevi un compenso dall‟apparato ideologico di Stato che è l‟università, la quale ti offre anche un tetto nella scuola. E perché allora vuoi rafforzare questo legame fra l‟università e il partito, una doppia e pesante catena d‟oro?”, ivi. p. 324 64 Ivi, p. 320 65 Ivi, p. 323 66 Ivi, p. 323 67 Sul piano filosofico, nel discorso di Amiens, Althusser prese nettamente le distanze dallo strutturalismo, minimizzando le affinità e riconducendole alla necessità di lottare contro un nemico comune, ovvero l‟umanesimo teorico. Nello stesso discorso chiariva i suoi riferimenti a Spinoza. Si veda Mario Dal Pra, Gianni Paganini, Storia della filosofia, op. cit., pp. 301-302 167 Non era così per lei, che si avviava verso l‟atto finale della propria vicenda all‟interno del partito comunista italiano. “Dopo Marx Aprile”68 era l‟ironico gioco di parole69 – uno di quei giochi di parole care allo sperimentalismo linguistico dei ribelli del ‟77 – che diede il titolo al libretto, con prefazione di Leonardo Sciascia, in cui Macciocchi raccontò la propria espulsione dal PCI, sullo sfondo di un anno tormentato, in cui la vicenda politica e quella personale si intrecciavano strettamente. “Qual è il contributo che oggi un intellettuale comunista può e deve dare alla ricerca di una strategia della rivoluzione – andava chiedendosi oramai da anni - della democrazia assoluta che faccia esplodere la Chiesa comunista, o di un socialismo possibile?”70. Qualunque fosse la risposta, certo è che questo contributo portava necessariamente fuori dalla logica del Partito. Il 197771 si era aperto, il 17 febbraio, con la contestazione a Lama72 all‟università di Roma, occupata dall‟inizio del mese. Quello stesso giorno, a 2000 chilometri di distanza, Macciocchi era seduta nell‟Amphi della Sorbonne, a sostenere la sua tesi di Dottorato sulla verità effettuale in Machiavelli, davanti a un jury presieduto da Maurice Duverger e composto da Charles Bettelheim, François Chatelet, Jean Pierre Cot, Birnbaum. Accettava di compiere un passo così istituzionale ma al tempo stesso manteneva un distacco sarcastico verso il jury chiamato a giudicarla, incarnazione ai suoi occhi del sapere costituito. Perché sceglieva Macciocchi di passare da militante a intellettuale universitario proprio nel momento in cui la rabbia antisistema la portava ad avvicinarsi ad un nuovo movimento di ribellione? Pesavano certo, come da sua stessa ammissione, il bisogno di vivere tranquilla, ricevendo uno stipendio regolare attraverso l‟insegnamento, il bisogno di porre fine alla propria condizione di étrangère, ma anche l‟esigenza di portare una parola femminile in un luogo consacrato al potere maschile, e inoltre l‟ambiguità di sempre tra desiderio di eresia e bisogno di consacrazione ufficiale, di notorietà, visibilità, con l‟ancora morale rappresentata dal permanente esercizio dell‟ironia, a svilire quelle stesse mete che pure non disdegnava di raggiungere. Ma l‟Università non era solo un‟istituzione nella quale si veniva inquadrati: poteva essere a sua volta un luogo di militanza, col vantaggio che rispetto alla militanza nel Partito non si ricevevano ordini dall‟alto. Qui, Macciocchi poteva tentare di far passare i propri messaggi, di trasmettere alle nuove generazioni i germi del dubbio, della ribellione, di educarle al pensiero e alla discussione. Oramai Macciocchi si era lasciata alle spalle anche l‟ultima utopia, quella cinese: “Spiegavo come la Cina non fosse stata mai da me studiata come un modello, ma come un‟ipotesi. E quell‟ipotesi poteva fallire. Era già fallita. Ma sarebbe restato il suo insegnamento di fondo: l‟aspetto libertario della sovversione, del < 73 Macciocchi, Dopo Marx aprile, cit. p. 28 74 Lotta Continua è stato un quotidiano italiano, nato nel 1969 come organo ufficiale di stampa dell'omonima formazione extraparlamentare. Cessò le pubblicazioni nel 1982, anni dopo lo scioglimento dell‟omonima formazione politica. Per una storia di LC come formazione politica si vedano Luigi Bobbio, Lotta Continua. Storia di un'organizzazione rivoluzionaria, Savelli,1979; Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione. 1968-1978: storia di Lotta continua, Milano, Mondadori, 1998. 75 “Per aver ritrovato, come si vedrà, il contatto con le < transitarono in quei giorni nello studio di Macciocchi in rue Bonaparte. Con Bifo Macciocchi si recò al convegno sulla dissidenza russa, al teatro Récamier, dove nuovamente la scrittrice approfittò della presenza degli intellettuali per far circolare l‟appello contro la repressione in Italia. Raccolse le firme di Roland Barthes78, Wahl79, Claude Mauriac80. Quando a Deleuze81, Foucault82 e Sollers avevano già firmato, mentre Sartre avrebbe firmato l‟indomani. Per lei si trattava di mettere in luce la “spartizione dello Stato”, che si celava dietro il compromesso storico83. Macciocchi si adoperò inoltre per far uscire l‟appello sul < calce all‟appello. Il quadro fosco delineato nel testo appare senz‟altro eccessivo rispetto alla realtà bolognese di quegli anni, che nell‟appello veniva presentata come l‟anticamera del gulag sovietico. In questo contesto si può dire che l‟espulsione fu per Macciocchi quasi provvidenziale, confermandola nell‟idea di un PCI agli antipodi di quell‟immagine pluralista, liberale e aperta che si tentava di darne. A far traboccare il vaso per il PCI, dopo il manifesto degli intellettuali, fu la partecipazione di Macciocchi alla manifestazione che si tenne a settembre a Bologna86 – diretta anche contro il PCI - e che non passò inosservata. Nel corso di una riunione svoltasi nella cellula Trevi, cui formalmente Macciocchi apparteneva, fu deciso di rifiutare il rinnovo della tessera a Macciocchi a causa delle ripetute iniziative e attacchi contro il Partito87. Era la conseguenza per essersi posta non solo al di fuori, ma deliberatamente contro il Partito, manifestando contro di esso, sottoscrivendo appelli in cui lo si definiva artefice assieme alla DC di una spietata repressione. Vista dal di fuori, scrisse Leonardo Sciascia nella sua prefazione al libro di Macciocchi, la vicenda dell‟espulsione dell‟“eretica” dal PCI può anche sembrare banale, simile a tante altre: la storia di una comunista che tale è stata fino in fondo, arrivando ad accettare il processo, difendendosi con argomenti di ortodossia, sorta di ripetizione senza novità (ma difendendosi anche con l‟ironia, sintomo di una “guarigione laica”88). Lo scrittore concludeva che forse Macciocchi aveva a suo modo perseguito un disegno, per spingersi fino in fondo, a dimostrare “che quel che di vecchio c‟è nel Partito comunista italiano è il peggio del vecchio e quel che c‟è di nuovo è il peggio del nuovo”89. 86 Il Convegno di Bologna è stato recentemente ricostruito dal giornalista Concetto Vecchio in Ali di piombo, Milano, Rizzoli, 2007 87 Macciocchi, Dopo Marx aprile, cit. p. 182 88 Leonardo Sciascia, Prefazione a Dopo Marx, aprile, cit., p. 10 89 Ivi, p. 8 171 CAPITOLO VIII Polemiche sul post-femminismo “A parer mio Rosa Luxemburg è la sola rivoluzionaria liberata, contrariamente a quello che pensano le femministe: amò più volte, fu amata, scrisse lettere d‟amore a uomini molto più giovani di lei, lottò con la penna in mano e morì senza paura”. M.A.M., Le donne e i loro padroni “Ma quando i generali se la squagliano restano i soldati, restano i guerriglieri. Aggiungo: restano le donne. Sono le donne, io penso, le più coraggiose, oggi. Le sole capaci di ricominciare da zero. Ecco dove mi dico femminista”. M.A.M., De la France, p. 339 1. La donna nera Nel volume La donna nera1, pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1976, confluirono materiali dei seminari tenuti da Macciocchi a Vincennes sul fascismo, sulle donne, testi contenuti pubblicati in Francia sotto il titolo Eléments pour une analyse du fascisme2, ed altri che invece avrebbero trovato spazio nella raccolta Le donne e i loro padroni3. Fondamentalmente l‟autrice si proponeva di infrangere il silenzio degli storici e delle storiche sul tema del consenso femminile al fascismo. Donna e fascismo, sosteneva, sono sempre apparsi come due termini antitetici, lasciando inesplorato i concetti di influsso fascista sulle donne o di “investimento di desiderio”, compiuto da queste nei confronti del fascismo4. L‟andata al potere di Mussolini, invece, era stata “appoggiata, ferocemente, dalla piccola borghesia femminile, dalle maestrine, e da tutto lo squadrone della morte delle vedove e delle madri orbe, che si gettavano sui proletari, talora con i pugnali sfoderati”5. Macciocchi non trascurava l‟apporto delle donne alla dittatura cilena di Pinochet, anticipando alcuni temi che sarebbero successivamente confluiti nella raccolta di saggi Le donne e i loro padroni, centrata sul rapporto tra donne e regimi autoritari. Questo complesso legame era l‟eterno rimosso non solo di storici e sociologi, ma anche dei movimenti femministi. Questi ultimi, per Macciocchi, “collocandosi come corporazioni femministe segrete, rifiutano la propria appartenenza/responsabilità alla comunità e cancellano, almeno in questo ventesimo secolo, nell‟Europa occidentale, la parte più oscura, quella di cui le donne sono, anch‟esse, negativamente protagoniste, almeno in parte: il fascismo e il nazismo”6. Macciocchi formulava precise risposte all‟interrogativo sulle ragioni di questo silenzio. Per la sinistra c‟era alla base una rimozione profonda, che includeva anche le analisi di Marx ed Engels sulla famiglia; queste avevano posto un problema da sempre aggirato dai marxisti, ovvero quello della lotta dei sessi come conflitto autonomo rispetto alla lotta di classe. Anche nella società 1 Macciocchi, La donna nera, cit. 2 Macciocchi, Eléments pour une analyse du fascisme, Paris, Union générale d‟éditions, 1976 3 Macciocchi, Le donne e i loro padroni, cit. 4 Macciocchi, La donna nera. Consenso femminile e fascismo, Milano, Feltrinelli, 1976. Il saggio viene pubblicato in Francia dalla Union Générale d‟Editions nella collana 10/18, curata da Christian Bourgois, la stessa in cui erano stati pubblicati gli Eléments pour une analyse du fascisme,. P. 5 5 Ivi, p. 16 6 Ivi, pp. 6-7 172 socialista, scriveva Macciocchi, che avesse come fine l‟aumento della produttività, la donna rientrava nello stesso meccanismo di sfruttamento di tutte le società nate dalla rivoluzione industriale. La Cina si presentava a fronte di ciò come l‟unica forma di socialismo realizzato, con la distruzione del vecchio tipo di sfruttamento, finalizzato ad un‟accumulazione non dissimile da quella di tipo capitalista, e con la proclamazione di Mao secondo cui “le donne sono l‟altra metà del cielo”, riconoscimento esplicito, secondo l‟autrice, dell‟antagonismo fra i sessi. C‟era poi il tema del rapporto tra marxismo e rivoluzione sessuale e dell‟incapacità per i marxisti di scostarsi dalla morale tradizionale di ispirazione cristiana, perpetuando vecchi stereotipi, ed esigendo dalle donne comportamenti sessuali non conformi a natura poiché basati sulla sistematica repressione della sessualità femminile: “Anche in base alle testimonianze mediche, si dimostra che la donna soffre più dell‟uomo per questa violenza (la castità impostale!)”7. Il trait d’union tra i due poli della difficile relazione (marxismo e rivoluzione sessuale), provarono a porlo, invano, donne come Eleanor Marx ed Alessadra Kollontaj, ma l‟intero vecchio sistema marxista respingeva indietro ogni timido tentativo di apertura, soffocando ogni invocazione di una rivoluzione sessuale all‟interno del socialismo. E infine, sulla repressione sessuale, dopo aver riportato la stigmatizzazione di Reich sulla morale sessuale borghese, Macciocchi concludeva: “Finché questo catenaccio della nostra stessa repressione non salta, non solo non sarà possibile esaminare seriamente il fascismo, ma il fascismo sarà sempre possibile. Al movimento femminista Macciocchi pagava un tributo di riconoscenza, affermando che era in esso il pungolo inconscio che spingeva a parlare di temi un tempo tabù, come lo stesso legame tra masse femminili e fascismo, ma concludeva che l‟assenza di questo tema dalla riflessione femminista restava come una “macchia nera”8. “Il femminismo esasperato intrattiene, verso le donne, lo stesso rapporto di assoluto fideismo di alcuni gauchisti verso il proletariato. Così sorge la teologia di un nuovo umanesimo o apoteosi femminista”9. Macciocchi metteva sotto accusa quella rimozione che nella storiografia femminista voleva le donne impegnate in una lotta ininterrotta contro il sistema fallocratico, escludendo ogni possibile responsabilità/connivenza rispetto ai sistemi, ai regimi, alla Storia. “Conclusioni dell‟ultra-femminismo: la donna è dunque intoccabile. E non si capisce che la si avvilisce così fino all‟intoccabile (che io assumo, secondo l‟accezione indiana, per l‟appunto, di casta inferiore)10. Parlando di “nazionalizzazione delle donne”11, di politicizzazione antipolitica da parte di Hitler e Mussolini, Macciocchi portava avanti la sua ribellione contro la vecchia concezione marxista althusseriana e antiumanista, che voleva il soggetto fuori dalla storia: “opero così, fino in fondo, contro il marxismo dogmatico che, chiuso nel suo antiumanesimo teorico, negatore del soggetto che agisce, rifiuta di prendere atto che la storia (sinistramente opaca) che abbiamo vissuto, o quella che vivremo, è opera anche dei soggetti femminili. Delle donne”12. Il fascismo, ricostruiva l‟autrice, era sorto come reazione antifemminista non solo rispetto ai movimento di liberazione della donna che era stato guidato dal suffragismo inglese, ma soprattutto alle potenzialità emancipatrici del marxismo, del socialismo, del bolscevismo. 7 Ivi, p. 13 8 Ivi, p. 19 9 Ivi 10 Ivi, p. 19-20 11 Probabile riferimento a George L., Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Il Mulino, Bologna, 1975 12 Ivi, p. 21 173 La dittatura misogina reagiva così anche alla trasformazione dei ruoli di genere, che vedeva avanzare, dall‟inizio del secolo, un esercito di lavoratrici pronte a raggrupparsi sotto le bandiere rosse. Nei suoi ranghi intellettuali, se D‟Annunzio incarnava l‟antifemminismo piccolo borghese, il futurismo, almeno nel suo primitivo slancio, prima che questo fosse asservito all‟ideologia fascista, presentava potenzialità emancipatrici esplosive, con i suoi manifesti contro il matrimonio, per il divorzio, con considerazioni sull‟istituzione matrimoniale che a volte riecheggiavano addirittura quelle di Engels. Macciocchi ricostruiva la centralità che la conquista delle donne aveva avuto nell‟ascesa mussoliniana al potere, la rilevanza del discorso sulla donna e della sua mitizzazione iperbolica come madre e moglie devota, vedova, eroica e luttuosa icona pronta a immolarsi nel sacrificio. La capacità di conquista delle donne di Mussolini fu legata, per Macciocchi, anche alla timidezza della sinistra sul fronte dell‟emancipazione femminile: i socialisti, troppo timorosi all‟idea di scandalizzare i benpensanti, non avevano formulato alcun discorso innovatore, né si erano battuti per il voto alle donne – paternalisticamente concesso invece da Mussolini con una riforma-farsa – né avevano contribuito a creare una coscienza politica femminile. La povertà ideologica dei verbali dei Congressi tenuti alla vigilia dell‟avvento del fascismo dalle donne socialiste e comuniste lo dimostrava: nessun orizzonte rivoluzionario poteva trovarsi in quelli, che al massimo accoglievano e rilanciavano tiepide proposte come l‟industrializzazione del lavoro domestico proposto dai comunisti quale via privilegiata per lasciarsi alle spalle la servitù domestica. Ma quest‟abbandono certo da solo non bastava a spiegare perché le masse femminili si fossero docilmente spinte tra le braccia di un regime ferocemente antifemminista, in un amplesso autolesionista. Macciocchi fece ricorso più volte alla chiave psicanalitica per spiegare il meccanismo che portò le donne ad abbandonarsi masochisticamente ad un regime che da loro esigeva ogni sacrificio, fino a quello dei figli e dei mariti in guerra: “una sorta di pulsione di morte (Freud), celebrata con il rito sempiterno dei caduti e delle vedove osannanti alla loro castità-sacrificio”13. E ancora: “Il fascismo è la frustrazione sessuale, è il gran castratore, e proprio per questo cerca di compensare la miseria sessuale con un transfert della donna verso il regime maschio, guidato dal maschio più maschio, il Duce”14. Freud aveva posto la questione del legame tra repressione sessuale e sottomissione e Macciocchi la riprendeva per spiegare il consenso femminile al fascismo ed al nazismo. Il regime veniva analizzato in una prospettiva semiologica: il rituale, la mitologia del regime fascista verso il femminile, il lessico, la propaganda; in una prospettiva giuridica e politica: il codice Rocco, le disposizioni di legge del fascismo contro il lavoro femminile e l‟istruzione delle donne, la regressione salariale, fino alla richiesta di dono della fede, di fronte alle sanzioni comminate dalla Società delle Nazioni per la guerra d‟Etiopia. Sul fronte culturale e ideologico veniva esaminato l‟apporto dei teorici del “razzismo antidonna”, quali Loffredo, Gentile ed Evola. Analizzando brani tratti da saggi e riviste, Macciocchi delineava la visione fascista della donna come essere la cui inferiorità era determinata dalla biologia, che la inchiodava al destino esclusivo di perpetuatrice della specie, una visione che auspicava un‟integrale restaurazione della sudditanza culturale e intellettuale delle donne, infranta dall‟accesso, sia pure minoritario, agli studi e da quello al lavoro; persino lo sport femminile da un certo momento in poi fu considerato obbrobrioso poiché avrebbe reso le donne impudiche, immodeste. Se Gentile, 13 Ivi, p. 38 14 Ivi. P. 95 174 di cui l‟autrice prendeva in considerazione, sia pure in sole tre pagine, il testo La donna nella coscienza moderna, aveva rappresentato “la sistemazione classica del ruolo femminile”15, Evola era in compenso il teorico che maggiormente sarebbe stato apprezzato dai neofascisti, nutriti di un modello di femmina-madre attualizzato nella società dei consumi. L‟analisi della destra degli anni ‟70 proiettava nel cuore del presente l‟interrogativo sul consenso femminile ad una cultura politica che alle donne proponeva “non diritti ma doveri”16. Ancora nel ‟63 si ristampava un‟opera di Evola in cui la donna era descritta come volubile, mutevole, incostante, priva di essere, di memoria, di logica, di etica, di determinatezza e rigore intellettuale, di amore per la verità e coerenza interiore, incline a mentire anche quando non ve ne sarebbe affatto bisogno17. Infine Macciocchi riconosceva il ruolo delle donne nella Resistenza, senza alcuna mitizzazione, offrendo però una tesi ben diversa da chi avrebbe considerato come un dono il diritto di voto o gli altri riconoscimenti sul piano costituzionale per le donne: “Le donne non ebbero in dono, così, la liberazione dal fascismo. Così come non fu regalato loro quell‟articolo 3 sulla parità dei sessi, che figura nella costituzione italiana del 1° febbraio 1945”18. Questi diritti erano altresì una conquista determinata dall‟insurrezione femminile nella Resistenza. I principali limiti del testo possono ravvisarsi in una trattazione non troppo sistematica e approfondita dei temi trattati – ma questo fa parte dello stile di Macciocchi, più propensa a produrre pamphlet polemici, colti e ispirati, piuttosto che ponderosi saggi accademici - e soprattutto nella mancanza di risposte all‟interrogativo che percorre il volume, ovvero il perché si obbedisca a chi predica l‟ideologia dell‟asservimento, al di fuori delle risposte di stampo psicanalitico, evidentemente insufficienti a spiegare un fenomeno così complesso come quello del consenso femminile ai regimi fascista e nazista. “Il mistero resta – ammetteva l‟autrice stessa – se non verranno in aiuto, oltre alle indicazioni che la psicoanalisi ci offre, nuovi bisturi per far scoppiare l‟ascesso, e sapere che cosa c‟è nel consenso femminile attorno ad una feroce dittatura di uomini come fu il fascismo”19. La forza del libro invece sta nell‟inserirsi con decisione in un campo storiografico ancora non esplorato a sufficienza, ricostruendo il clima culturale e ideologico del fascismo con potenti pennellate, evidenziando la continuità tra diversi regimi autoritari rispetto ai diritti delle donne e ai ruoli di genere, usando categorie interpretative feconde come quella della psicanalisi e della psicologia delle masse, e soprattutto rifiutando ogni agiografia femminile, in nome di un coerente “storicismo assoluto” di matrice gramsciana20. 2. Le donne e i loro padroni Due anni dopo usciva in Italia, presso Arnoldo Mondadori, una raccolta di saggi, curata da Macciocchi, dal titolo Le donne e i loro padroni21. Il libro, nato dai seminari svoltisi a Vincennes nel 1975-1976 su < 15 Ivi, p. 124 16 Amalia Baccelli, Relazione al convegno delle donne dell‟MSI, Roma, 1971, cit. in ivi, p. 127 17Evola, J. (1958) Metafisica del sesso, Roma, Atanòr, cit. ivi, p. 129 18 Ivi, p. 136 19 Ivi, p. 107 20 Ivi, p. 131 21 Macciocchi, Le donne e i loro padroni, Milano, Mondadori, 1978. Il titolo probabilmente va inteso, dato l‟amore di Macciocchi per la scrittura di Milan Kundera (Brno, 1929; scrittore ceco, naturalizzato francese), come una citazione di Jacques e il suo padrone, unica opera teatrale dello scrittore, uscita nel 1971 e ispirata a Jacques il fatalista di Denis Diderot e uscito in Italia presso Adelphi. Ora in Adelphi, 1993. 175 < 3. Femminismo e marxismo 22 Brigitte Classen e Gabriele Goettle, L’ebreo ci ha ribato la donna, in Macciocchi, Le donne e i loro padroni, pp. 31-36; Jean-Michel Palmier, Romanticismo e bestialità: qualche nota sulla rappresentazione della donna nell’ideologia e nell’arte sotto il III Reich, ivi, pp. 37-64; Jean-Michel Palmier, Nevrosi e antifemminismo, ivi, pp. 65-69 23 Hedwige Poeman-Poullet, Crisi e antifemminismo, ivi, pp. 127-158; Françoise Collin, No man’s land. Riflessioni sulla schiavitù volontaria delle donne, ivi, pp. 159-174 24 Oltre al saggio di Macciocchi sulla Francia: François Bourguelot, ivi, pp. 108-117; Marie-Paule Lambert, Io, un’agricoltrice, ivi, pp. 118-126 25 Maria-Dolores Bernard, Il franchismo e le donne, ivi, pp. 175-197 26 Teresa Rita Lopes, Le donne e il fascismo: ieri, oggi, ivi, pp. 198-207; Pedro Calheiros, Fado e Fatima: le donne portoghesi, ivi, pp. 208-222 27 Michèle Mattelart, Cile: il colpo di Stato al femminile, ivi, pp. 223-252 28 Nella seconda parte del libro, i saggi affidati a Barbara Freymuth, Heike Hurst, Jacqueline Aubenas-Bastié ed Amaro Hurtado 29 Macciocchi, Sette tesi sulla sessualità femminile nell’ideologia fascista, ivi, pp. 20-91 30 Ettore Scola, Una giornata particolare, Con Sophia Loren, Marcello Mastroianni, John Vernon, Alessandra Mussolini, François Bard., Françoise Berd, Vittorio Guerrieri, Nicole Magny, Patrizia Basso, Tiziano De Persio, Maurizio Di Paolantonio, Antonio Garibaldi. Drammatico, durata 105 min. - Italia 1977. Attraverso l‟incontro tra la casalinga Loren e l‟omosessuale perseguitato dal regime fascista, impersonato da Mastroianni, il film “rievoca lo squallore dei tempi fascisti alla luce delle idee attuali del femminismo e del fronte omosessuale”, come ha scritto Moradini. L, L. e G. Morandini, Il Morandini, cit., p. 572; il saggio di Macciocchi era La donna dal pappagallo. Commento a un film sull’alienazione femminile, ivi, pp. 92-97 31 Ivi, pp. 98-103. Della Francia al tempo del maresciallo Pétain (Henri-Philippe-Omer Pétain, Cauchy-à-la-Tour, 1856 – L'Île-d'Yeu, 1951 è stato un generale e politico francese, capo del governo collaborazionista di Vichy dal 1940 al 1944, durante l'occupazione nazista della Francia) Macciocchi sottolineò il rigido moralismo, l‟iconografia incentrata sull‟apoteosi familista, contro il lavoro delle donne, per il mito rurale della “sana contadina” e soprattutto sull‟imperativo della battaglia demografica. (Ivi, p. 98). A queste linee generali di condotta morale si affiancavano, nel regime collaborazionista, la lotta contro il divorzio, “cancro della famiglia”, e l‟aborto. 32 Ivi, pp. 104- 107. Louis-Ferdinand Céline (pseudonimo di Louis-Ferdinand Auguste Destouches; Courbevoie, 1894 – Meudon, 1961) è stato uno scrittore e medico francese. Céline, per Macciocchi, “esprime, nei suoi romanzi, la ripugnanza terrificante che gli ispira, come a Hitler, Mussolini, Gentile, Rosenberg, Evola e così via, il corpo-sesso della donna” (Ivi, p. 104); oltre che al proprio testo La donna nera (Macciocchi, op. cit. ) il riferimento è inevitabilmente al lavoro di W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, SugarCo, Milano, 1975. 33 Macciocchi, Le donne e i loro padroni, pp. 323-362 34 Ivi, pp. 7-24 176 In Alcuni temi intorno al marxismo e al femminismo Macciocchi denunciava la struttura teorica marxista come “una scorza resistente all‟intervento femminista”35. Il marxismo femminile, incarnato da donne come Clara Zetkin36, Kollontaj37, Krupskaja38, Ines Armand39, Eleanor40 e Laura Marx41, le appariva come un mormorio costantemente soffocato dal vertice, messo a tacere dal marxismo “virile”, ufficiale42, dei vari Marx, Engels, Bebel, Lenin, Mao e Gramsci. “Marx – scriveva – è divenuto sinonimo di espulsione della donna dal pensiero politico, e la donna che interviene sembra altrettanto oscena, ai bigotti teorici, della dea Ragione, che danzava tutta nuda in Notre-Dame durante la rivoluzione francese”43. Le donne dunque avrebbero dovuto rileggere i testi di Marx e del marxismo in una prospettiva di genere, mettendo soprattutto in luce il modo in cui la donna stessa veniva valutata nel modello filosofico marxista. La trattazione di Macciocchi attingeva a concetti presi a prestito dalla psicanalisi, dall‟antropologia, dalla linguistica, e usava un linguaggio di matrice nettamente femminista. Il marxismo aveva chiuso le porte della filosofia in faccia alle donne e i regimi ad esso ispirati avevano tradito ogni loro ingenua speranza: lo stalinismo, forma di “oppressione fallocratica”44, si era abbattuto sulle donne come una tempesta misogina. La presenza femminile in politica era inaccettabile anche per i marxisti, poiché metteva in discussione la divisione tra sfera pubblica e privata, mentre dal punto di vista del simbolico marxismo e cristianesimo si incontravano nel culto dell‟immagine virginale di Maria, ovvero della donna asessuata. Quanto all‟oppressione femminile essa era stata difficile da cogliere, poiché le donne non sono mai state considerate come un gruppo sociale e lo stesso “commercio sessuale” riguardante le donne non era stato studiato scientificamente nei suoi termini di “merce – oggetto di scambio – d‟acquisto e di vendita”45. Se Engels, Bebel, e soprattutto Reich avevano identificato la sessualità femminile come “luogo specifico d‟una lotta di classe – così da far rientrare la sessualità in quanto oppressione nella sfera politica”46, il loro limite era da ricercarsi nell‟aver visto “la lotta come conflitto tra proletari e capitalisti anche sul problema della sessualità e non, al contrario come campo di lotta tra donne sociali e uomini sociali, come rapporto sociale, come rapporto di dominio specifico delle 35 Ivi, p. 323 36 Si veda il secondo capitolo 37 Kollontaj Aleksandra Michailovna, (San Pietroburgo 1872 - Mosca 1952) fu una donna politica e femminista sovietica. Nel 1899 aderì al Partito socialdemocratico russo, schierandosi, nel 1915, con i bolscevichi. Tra il 1922 e il 1945 ebbe numerosi incarichi di natura diplomatica. 38 Nadežda Konstantinovna Krupskaja (San Pietroburgo, 1869 – Mosca, 1939) è stata una politica e rivoluzionaria russa, moglie di Lenin. 39 Ines Armand Ines (Parigi, 1875 – 1920) fu collaboratrice di Lenin e sua amante 40 Eleanor Marx (Londra 1855-1898) fu la più giovane delle figlie di Karl Marx; ebbe rapporti epistolari con importanti esponenti politici della sua epoca e negli ultimi anni della sua vita, dopo la morte di Engels, si dedicò all‟organizzazione di quella parte di scritti del padre che erano stati lasciati a lei. Si suicidò all‟età di 43 anni 41 Laura Marx (Londra, 1845 – Draveil, 1911) era la seconda figlia di Karl Marx e di Jenny von Westphalen. Militante del partito socialista, nel 1868 sposò il rivoluzionario, giornalista e scrittore francese Paul Lafargue. Il 26 novembre del 1911 morì suicida, come sua sorella Eleanor, insieme con il marito. 42 Lo stesso tema lo riprese anni dopo; si veda Maria Antonietta Macciocchi, Le vedove di Lenin in coda per il pane, in < donne in generale”47. In queste affermazioni si ritrova l‟eco delle tesi di Carla Lonzi48 – che pure non era mai citata - in particolare di quelle espresse in “Sputiamo su Hegel”49, testo in cui la Lonzi aveva criticato il marxismo a partire dalle sue premesse hegeliane, fondate sulla denuncia della dialettica servo-padrone come rapporto tutto interno al mondo maschile. Il dissidio uomo-donna era stato escluso, a partire da Hegel, in quanto non posto dalla cultura patriarcale come un problema umano, ma come un dato naturale50. Carla Lonzi aveva constatato infine che la quasi totalità delle femministe italiane dava tuttavia più credito alla lotta di classe che all‟oppressione femminile. Le donne stesse, secondo Carla Lonzi, avevano accettato di considerarsi “seconde”, sulla scorta delle tesi dei grandi “padri” del pensiero: Marx, Lenin, Freud e tutti gli altri51. In particolare, interrogandosi sul marxismo-leninismo, Carla Lonzi ne aveva denunciato la mancata comprensione della specificità dell‟oppressione femminile: “Far rientrare il problema femminile in una concezione di lotta servo-padrone quale quella classista è un errore storico in quanto essa è sorta da una cultura che escludeva il punto di discriminazione essenziale dell‟umanità, il privilegio assoluto dell‟uomo sulla donna, e poneva prospettive all‟umanità nei termini di una problematica maschile, cioè poneva prospettive solo alla collettività maschile”52. Riflessioni non molto distanti da quelle di Macciocchi. Per lei il marxismo aveva dato un considerevole contributo all‟emancipazione femminile, e le basi teoriche poste da Engels ne L’origine della famiglia53 erano il punto di partenza per arrivare a considerare l‟oppressione delle donne come una specifica oppressione. Il grande limite del marxismo era nell‟aver presentato il sistema di oppressione economica delle classi e l‟oppressione patriarcale nei confronti delle donne come due percorsi “divergenti e quasi opposti”54. La falsità di questa separazione e dell‟idea che il riscatto del proletariato avrebbe automaticamente determinato la liberazione delle donne, emergeva dal fatto che “la struttura gerarchica familiare e la funzione di scambio fondata sulla donna – merce con valore di scambio – resistono anche là dove il sistema economico d‟oppressione salta, come si dice sia successo nelle sedicenti società socialiste”55. E le stesse strutture gerarchiche sussistevano anche all‟interno della grande famiglia comunista europea. “Il marxismo, a farne oggi un bilancio rigoroso, non sembra essere una teoria di liberazione della donna”56. La verità era che nelle sue stesse origini, nel suo stesso DNA il marxismo aveva una visione delle relazioni tra i sessi tutt‟altro che egalitaria. Il movimento socialista aveva fin dal suo inizio interiorizzato una “prassi pudibonda e piccolo-borghese”57. L‟assenza di ogni riferimento alla morale e alla pratica di vita sansimoniana come tentativo socialista di rovesciare quei rapporti e di superare la 47 Ivi, p. 327 48 Carla Lonzi (Firenze, 1931 – Milano, 1982), critica d'arte italiana, ha fondato le edizioni di Rivolta femminile nei primi anni settanta e scritto numerosi saggi sul tema della liberazione femminile, in polemica con Hegel e con il fondamento “patriarcale” del marxismo tradizionale. Scrisse tra l‟altro sul tema della sessualità femminile rovesciando le tesi freudiane sulla sessualità clitoridea e vaginale. 49 Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. Scritti di Rivolta Femminile 1, 2, 3 , Milano, Rivolta Femminile, 1970 ora in Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Scritti di Rivolta Femminile 1, 2, 3 , Milano, Rivolta Femminile, 1974 50 Ivi, p. 23 51 Ivi, p. 8 52 Ivi, p. 24. “Subordinarsi all‟impostazione classista significa per la donna riconoscere dei termini mutuati a un tipo di schiavitù diverso da quello suo proprio e che sono la testimonianza più convincente del suo misconoscimento. La donna è oppressa in quanto donna, a tutti i libelli sociali: non al livello di classe, ma di sesso. Questa lacuna del marxismo non è casuale”. Ivi, p. 24 53 Angels, op. cit. 54 Macciocchi, Le donne e i loro padroni, cit., pp. 329-330 55 Ivi, p. 330 56 Ivi, p. 330 57 Ivi, p. 330 178 morale borghese tanto iniqua per le donne, si spiega alla luce del fatto che Macciocchi nella sua trattazione faceva riferimento esclusivamente al socialismo “scientifico” quale era stato definito da Marx, non sentendosi tenuta a misurarsi con una corrente socialista già a priori rigettata in quanto “utopista” e priva di scientificità. Eppure sarebbe stato utile all‟autrice conoscere più a fondo il pensiero e le opere dei sansimoniani e delle donne che, all‟interno di quel quadro teorico, avevano a loro volta preso la parola e testimoniato, nella loro pratica di vita, l‟esigenza di rovesciare l‟asimmetria morale tra uomini e donne nella società58. Macciocchi proseguiva non solo denunciando la misoginia di Marx evidente nella sua vita privata59, ma anche il moralismo che ne minava l‟opera rispetto al tema della questione femminile, e l‟incapacità di cogliere la specificità dei problemi delle donne. Nel fenomeno della prostituzione Marx aveva visto un‟espressione particolare della più generale prostituzione dell‟operaio; così, nel Programma di Gotha si era sentito in dovere di difendere il pudore della donna lavoratrice, chiedendo di escludere le donne da rami di lavoro incompatibili col sesso femminile per ragioni di moralità60. Anche il venerabile Lenin, nella vita privata le appariva “un uomo d‟ordine, un onesto piccolo- borghese russo”61 interessato a salvaguardare la morale familiare rinnegando il suo legame con Ines Armand, la giovane donna amata durante il suo matrimonio con la Krupskaja. I manuali di storia avevano cancellato ogni traccia femminile dalla vicenda socialista, facendo della Rivoluzione d‟Ottobre “una rivoluzione di soli uomini, da cui bisognava far sparire le donne rivoluzionarie, le donne amate, le passioni, in modo da fare di quell‟avanguardia di combattenti un esercito d‟asceti, di profeti”62. Stalin infine era stato il “becchino della liberazione femminile”63, misogino nel privato, politicamente preoccupato solo della difesa della famiglia. Il bilancio di mezzo secolo di vita comunista in URSS, conseguenza di tali premesse, appariva devastante: le donne erano oppresse dal doppio lavoro, dai condizionamenti moralistici, escluse dal potere politico, strette nei pregiudizi di un popolo ancora culturalmente arretrato sui temi della questione femminile. La Cina, infine, completava il quadro, a tre anni dalla morte di Mao, con il carattere misogino dell‟attacco contro Ciang-Cing (sic!)64. Macciocchi ribadiva il suo pensiero di sempre: Mao era stato il più femminista tra i dirigenti rivoluzionari comunisti. Da giovane si era scagliato contro la castità e contro usanze come quella di bruciare le vedove, di vendere le figlie come spose. Tuttavia, malgrado le buone leggi volute da 58 Su sansimonismo e questione femminile si vedano G. Conti Odorisio, F. Taricone, Per filo e per segno, cit., pp. 83 e ss. G. C. Odorisio, Barrault e l’emancipazione femminile nella scuola sansimoniana, in Popolo, Nazione e democrazia tra Ottocento e Novecento, a cura di G. Manganaro Favaretto, Trieste, Edizioni Università, 2005; Fiorenza Taricone, Il sansimoniano Michel Chevalier: industrialismo e liberalismo, Firenze, Cet, 2006 59 Marx aveva avuto una relazione extraconiugale da cui era nato un figlio, “scomparso” dalla vita del filosofo, col consenso della madre del piccolo, perché la sua rispettabilità non fosse compromessa; alla domanda della figlia Laura, su quali qualità apprezzasse maggiormente nelle persone, Karl Marx aveva risposto: “Nelle persone in generale la semplicità; negli uomini la forza; nelle donne la debolezza”. (cit. in Ivi, p. 331). Per un ritratto di famiglia di Karl Marx e il suo rapporto con le figlie si veda Les filles de Karl Marx, in Michelle Perrot, Les femmes ou les silences de l’histoire, Flammarion, 1998, pp. 21 e ss., introduzione del saggio Les filles de Karl Marx, Lettres inédites, traduits et présentées par Olga Meier et Michel Trebitsch, Paris, Albin Michel, 1979 60 Marx, Critica al programma di Gotha, in Opere, Newton Compton, Roma, 1979, in Macciocchi, Le donne e i loro padroni, cit., p. 332 61 Ivi, p. 337 62 Ivi, p. 339 63 Ivi, p. 340 64 La scrittura corretta è Jiang Qing o Jiāng Qīng (1914-1991). Fu la quarta moglie di Mao, e venne arrestata nel 1976 come componente della banda dei Quattro. La Banda dei Quattro fu l‟espressione usata per designare il gruppo di quattro politici della Repubblica Popolare Cinese che furono arrestati dopo la morte di Mao Zedong, processati e condannati con l‟accusa di tentativo di colpo di Stato. Oltre alla vedova di Mao furono condannati Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen. L'arresto segnò la fine della Rivoluzione culturale iniziata da Mao contro le strutture del partito comunista cinese e in particolare contro dirigenti nazionali come Liu Shaoqi e Deng Xiaoping. 179 Mao, anche gli avvenimenti cinesi erano andati in una direzione tutt‟altro che emancipazionista, dimostrando ancora una volta che “nel comunismo non c‟è spazio, almeno fino a oggi, per la donna che fa politica come soggetto autonomo”65. Infine, la sinistra occidentale aveva cercato di ingabbiare la forza esplosiva del movimento di protesta delle donne, ad esempio candidando, nelle elezioni del 1976 in Italia, un numero di donne che non si era mai visto prima. Non era certo la diffidenza verso le istituzioni che portava Macciocchi a limitare la sua fiducia verso le possibilità emancipatrici delle candidature femminili, quanto la consapevolezza del tanto cammino da fare ancora per il movimento stesso sulla strada della consapevolezza. Macciocchi comprendeva bene che candidature femminili calate dall‟altro di un potere centrale tenuto saldamente in mani maschili non avrebbero modificato in modo sostanziale gli equilibri di genere della politica. E le difficoltà odierne nell‟affermazione della parità all‟interno dei partiti e delle istituzioni confermano la lucidità di questa intuizione. Il femminismo contemporaneo era il segno di un positivo risveglio delle donne, non più afasiche e assoggettate alla concezione maschile del mondo; da questo movimento doveva venire la concettualizzazione della mutilazione del soggetto femminile, allo scopo di “ricostituire la lettera/lingua perduta dalle donne”66 nel materialismo dialettico. Dunque una rivoluzione scientifica, per introdurre il concetto di oppressione femminile come oppressione specifica. L‟auspicio era, con Marcuse, l‟avvento di un “socialismo femminista” o di un “materialismo femminista”, conditio sine qua non per la cui affermazione era il superamento dei rapporti ipocriti e bigotti di cui gli stessi rivoluzionari non avevano saputo liberarsi. L‟unione di due movimenti, concludeva Macciocchi “il postmarxista e il postfemminista, resta l‟appuntamento storico, se si saranno verificati un salto teorico e una maturazione politica per entrambi”67. 4. Riflessioni sulla crisi del femminismo68 In Italia, alla fine degli anni Settanta, il femminismo contemporaneo entrava in una fase di riflusso, col venir meno della pratica della mobilitazione politica e il tramonto di esperienze come i gruppi di autocoscienza. Quegli anni videro un mutamento di clima politico nel Paese, caratterizzato da una più generale crisi della militanza politica, che coinvolse anche lo stesso movimento femminile. Nascevano nuove forme di aggregazione a carattere intellettuale, associazioni e gruppi, come le librerie delle donne, i centri di documentazione, i centri antiviolenza, le riviste. Il movimento del decennio precedente aveva profondamente scosso le basi della società, facendo mutare l‟atteggiamento generale rispetto a temi come la sessualità, la procreazione, il divorzio e più in generale il rapporto tra i sessi. La coscienza di milioni di donne non sarebbe più tornata allo status quo ante. Erano stati raggiunti alcuni traguardi legislativi importanti, come il divorzio, istituito nel 1970 e riconfermato dal successivo referendum del ‟74, la riforma del diritto di famiglia nel 1975, che riconosceva alla donna la potestà sui figli e sanciva la parità tra i coniugi, la legge 903 del 1977, che vietava ogni discriminazione 65 Ivi, p. 347 66 Ivi, p. 327 67 Ivi, p. 351 68 Ginevra Conti Odorisio, La rivoluzione femminile in < basata sul sesso in ambito lavorativo. Infine venne la legge 194 sull‟interruzione volontaria di gravidanza, nel 1978. Per difenderla, in occasione del referendum abrogativo, si ebbe l‟ultima rilevante manifestazione collettiva delle donne di quella stagione, nel 1981. All'interno del movimento si assisteva alla fine della pratica dell'autocoscienza, che aveva esaurito la sua carica innovativa e rivelava i limiti dell‟utopistica comunità femminile. Emergevano le differenze tra donne, legate alle condizioni sociali, alla cultura, all‟età. Si entrava così in una fase di “femminismo diffuso”, caratterizzato soprattutto dall‟interiorizzazione individuale di nuove norme e valori e dalla messa in atto di diversi comportamenti da parte delle donne, non tanto nella sfera pubblica quanto in quella privata. Nella sua polemica prefazione a Le donne e i loro padroni, Macciocchi esordiva con una sentenza pessimista sul presente delle lotte femminili, mettendone in evidenza la stagnazione dogmatica: “Navighiamo già nell‟estuario del post-femminismo, a vele flosce (…) Oppressione/frustrazione/alienazione delle donne verso i loro Padroni tornano a essere sostantivi che reggono l‟attualità (…) Afasia del movimento femminista di cui si può scrivere la storia che fu”69. I padroni cui Macciocchi faceva riferimento non erano solo gli uomini, ma anche gli organizzatori della razionalizzazione capitalista, i padroni delle multinazionali della riproduzione, i politici; tra le donne e i loro padroni si era giunti ad un tacito compromesso per mettere fine alla stagione di contestazione più dura e gettare le basi di una nuova conciliazione, fondata nuovamente sulla sottomissione femminile. I punti di riferimento di Macciocchi in questa fase erano Marx ed Engels, da rielaborare attraverso la critica femminista, quindi Reich e Marcuse. Tra le autrici contemporanee Macciocchi citava soprattutto Luce Irigaray, pur essendo in realtà assai distante da alcuni temi centrali del femminismo della differenza, come la necessità di portare il materno in politica, e cercando piuttosto, anche nella pratica, un‟eguaglianza con gli uomini sullo stesso piano. Solo più tardi, a seguito dell‟avvicinamento – anche attraverso il pensiero della Irigaray – al cattolicesimo, Macciocchi prese a riferirsi all‟alternativa valoriale che le donne avrebbero potuto rappresentare all‟interno della società. Collocare le sue affermazioni nel contesto del femminismo contemporaneo non è semplice, ma nel complesso il suo “femminismo” – parola cui lei raramente faceva riferimento per descrivere le proprie posizioni sulla questione femminile – non fu mai sistematico, né assimilabile in modo definitivo al filone dell‟eguaglianza o a quello della differenza, benché la sua esperienza di vita e le sue battaglie la rendano sostanzialmente un‟emancipazionista sensibile ai nuovi temi, specialmente quelli legati alla necessità di un rinnovamento della morale sessuale. Da un lato Macciocchi assorbì dal femminismo contemporaneo un atteggiamento critico nei confronti dell‟emancipazionismo, di cui più volte evidenziò i risultati parziali, in nome del concetto di “liberazione”; d‟altro canto, rispetto ad altre protagoniste del femminismo, lei conosceva molto bene le battaglie per l‟emancipazione condotte in seno alle istituzioni della Repubblica, per averle combattute in prima persona, e non le giudicava certo né conservatrici né superate. La sua sfiducia assumeva piuttosto il significato di una denuncia radicale della parzialità delle conquiste ottenute, e non si traduceva nell‟invocazione di pratiche separatiste o dell‟abbandono dei luoghi dominati al potere maschile. Era, il suo, un atteggiamento ben diverso da quello di 69 Ivi, p. 7 181 donne che erano estranee, per ragioni anagrafiche e di esperienza, al processo di costruzione della democrazia e delle istituzioni in Italia, e che verso quelle istituzioni e a quella democrazia ebbero sempre una sfiducia per così dire congenita. Macciocchi aspirava al pieno compimento della rivoluzione democratica cominciata con la vittoria della Repubblica, e che doveva attuarsi attraverso la conquista della parità politica tra i generi, del sapere come potere, dunque attraverso l‟accesso per le donne alle istituzioni e ai luoghi della cultura. Non a caso continuò a candidarsi in Parlamento, prima con i radicali e poi con i socialisti, a insegnare nelle università battendosi ferocemente contro le esclusioni che più volte furono decretate ai suoi danni; in lei non albergava quel disprezzo antiistituzionale, verso i luoghi del “sapere costituito” che caratterizzata l‟approccio delle femministe della differenza, sempre in cerca di luoghi altri per coltivare separatamente i cosiddetti “saperi femminili”. In questi anni Macciocchi si era avvicinata alla prospettiva della “liberazione”, riflettendo, a partire da Reich e Marcuse, sul tema dell‟eros e della sua funzione liberatrice70. Non a caso la critica contro il femminismo contemporaneo nella citata prefazione appariva assai radicale proprio sul tema della sessualità e dei corpi. Anzitutto Macciocchi rifiutava la centralità del tema del corpo-riproduttivo (il tema dell‟aborto messo al primo posto), in quanto identificazione totale della donna col corpo e con la sessualità71. Il tema della maternità, a lungo dogmaticamente rimosso da un movimento spesso dominato dal femminismo “omosessuale”, tornava prepotentemente alla ribalta, con la concentrazione di tutte le battaglie attorno al tema del corpo e della riproduzione. Slogan come “l‟utero è mio e lo gestisco io”72 rivelavano una nuova forma di assoggettamento ai “padroni”, alla “razionalizzazione capitalista/socialista del consumo”73, alle “multinazionali della riproduzione”74. “Ma il corpo della donna – si chiedeva di fronte agli slogan abortisti – è intero o è solo un utero?”75. Se con la rivendicazione del diritto all‟aborto Macciocchi era pienamente d‟accordo, senza esitazioni, d‟altro canto l‟insistenza sul discorso riproduttivo le sembrava svelare un “vuoto intollerabile nel pensiero teorico sul sesso”76. La sua critica, che rinviava espressamente a Pasolini77, era assai radicale, nel momento in cui affermava il carattere 70 La sua assimilazione di Marcuse fu tardiva, se pensiamo che ancora nel ‟68 scriveva ad Althusser lamentandosi del fatto che la giovane generazione del ‟68 aveva letto troppo Marcuse e troppo poco Althusser. Si veda cap. 5 71 Tra l‟altro Macciocchi ricordava che il 5 ottobre 1979 a Parigi, nel corso di una manifestazione per l‟aborto, il movimento femminista di Politica e psicanalisi aveva inalberato striscioni con questa parola d‟ordine: “La fabbrica appartiene agli operai. L‟utero alle donne. La produzione dei viventi è proprietà nostra”. Fabbrica, utero, produzione degli esseri umani. “Ci si accorgerà – commentò – che questo economicismo fa della vagina il CAPITALE femminile, il solo”. Ivi, n. p. 23 72 Fu uno dei principali slogan del femminismo contemporaneo sul tema dell‟autodeterminazione e della maternità consapevole 73 Ivi, p. 9 74 Ivi, p. 9 75 Ivi, p. 9 76 Ivi, p. 9 77 Pasolini aveva toccato il tema dell‟aborto, attirandosi forti critiche da parte delle femministe, nel suo articolo Sono contro l’aborto apparso sul < rivoluzionario della questione erotica rispetto a quella riproduttiva, tutto sommato funzionale allo sfruttamento delle donne come ingranaggi di un complesso meccanismo in cui i feti venivano prodotti o distrutti, a seconda della necessità. Dal tema dell‟eros non liberato delle donne si saltava al prodotto (al feto) per rivendicare il diritto di distruggerlo, mentre l‟idea veramente rivoluzionaria – e, aggiungiamo, profondamente attuale: collegare causa ed effetto e spostare il discorso sul piano dell‟educazione sessuale. “Il coito è politico”78, affermava citando Pasolini. Occorreva liberalizzarlo simbolicamente attraverso una serie di liberalizzazioni reali, quali la contraccezione, l‟educazione sessuale, e infine attraverso l‟affermazione di una nuova morale sessuale. Messaggio di grande modernità, centrato sul concetto che oggi chiameremmo di “prevenzione”. Il testo appare assai lucido, rilevando l‟effetto di normalizzazione conseguente allo spostamento dell‟asse del discorso su un tema “neutro” come quello dei corpi, privo della carica dirompente dell‟eros. Benché Macciocchi citasse esplicitamente solo il contributo di Pasolini al dibattito, ancora una volta appare evidente la continuità col pensiero di Carla Lonzi, che, quattro anni prima di Pasolini, nel corso della campagna per l‟aborto, si era chiesta: “Per il piacere di chi sono rimasta incina? Per il piacere di chi sto abortendo?”79. Un interrogativo che, una volta sollevato, “contiene i germi della nostra liberazione: formulandolo, le donne abbandonano l‟identificazione con l‟uomo e trovano la forza di rompere un‟omertà che è il coronamento della colonizzazione”80. Altre accuse mosse da Macciocchi al femminismo contemporaneo erano quella di settarismo, di essersi istituzionalizzato in un luogo di potere, corporativo e difensivo. Si metteva sotto accusa il concetto di “sorellanza”, che era suonato storicamente “più falso di quello dell‟unità tra i proletari di tutto il mondo”81, poiché le divisioni nello stesso mondo femminista erano implacabili, evidente spia del carattere utopico di una socialità femminile separatista perfetta. Con queste critiche Macciocchi prendeva le distanze proprio dalla scuola della differenza sessuale, caratterizzata dal separatismo, dalla creazione, come ha scritto Conti Odorisio di “un gruppo chiuso, isolato, di donne estranee al loro contesto storico e sociale e insensibile alle concrete esigenze della maggior parte delle donne stesse”82. Vide poi nel “terrorismo femminile” una contraddizione evidente; ma non tanto con la “naturale” non violenza delle donne propagandata dal femminismo della differenza, quanto con la retorica di quest‟ultimo: “Le femministe ci hanno abituati a sentir parlare delle mestruazioni, evento assoluto, sacro, sgomentevole, sangue vitale delle donne che, volendo, può creare un bambino al mese. Poi coi loro mestrui vitali vanno a sgozzare il capro espiatorio, e si tuffano, senza traumi, nel sangue della morte”83. Se l‟identificazione tra femministe e terroriste, quasi si parlasse degli stessi soggetti, appartiene allo stile polemico di Macciocchi, amante del paradosso talora al limite della violenza verbale, una 78 Macciocchi, Le donne e i loro padroni, cit., p. 10 79 Carla Lonzi, Sessualità femminile e aborto, Milano, Rivolta femminile, 1971 in Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, cit., p. 69-70. 80 Ivi, p. 70 81 Macciocchi, Le donne e i loro padroni, cit., p. 13 82 G. Conti Odorisio, Ragione e tradizione, cit., p. 226. “Da un punto di vista politico, che è quello assunto per questa riflessione e ricostruzione storica, la scuola della differenza sessuale italiana si caratterizza per una forma di involuzione autoritaria, tesa alla costruzione di un ordine materno e di una politica di affidamento tra donne (…). Il debito simbolico verso la madre e la concezione stessa di una autorità materna conduce a porre il principio di autorità agli antipodi della concezione moderna del potere, basato sul consenso, sul progetto politico della condivisione di certi ideali, collocandolo in una sfera ideologica”, Ivi 83 Macciocchi, Le donne e i loro padroni, cit., p. 17 183 lettura più attenta ci parla piuttosto di un nesso da lei individuato tra la violenza terrorista e il carattere autoritario di un pensiero che rifiutava di interrogarsi sulla violenza femminile, grande rimosso del pensiero della differenza84. Quel sangue sacro alle femministe era l‟emblema di una presunta natura femminile, che ci si rifiutava di mettere in discussione: così, al Congresso internazionale sulla violenza verso le donne del 30 marzo 1978, le donne avevano rifiutato di toccare il tema della presenza femminile nelle formazioni terroriste. Il discorso di Macciocchi oscillava tuttavia tra eguaglianza e differenza, allorché la violenza stessa da parte delle donne viene definita “asservimento alla violenza maschile”85 e il leader BR veniva definito “l‟ultimo Padrone delle donne”86. Il silenzio era un modo di non interrogarsi ma anche una forma di complicità politica con i “compagni”, di fronte ad una distinzione tra un sangue di sinistra e un sangue di destra delle vittime delle BR. La conclusione di Macciocchi, benché critica con il “femminismo storico”87, invocava l‟avvento di un neofemminismo, destinato a mandare in pezzi, “una volta per tutte, il vicolo cieco eterno”88. Con lungimiranza Macciocchi intravide già quel “femminismo diffuso” che avrebbe caratterizzato il periodo a venire. Nel suo scritto troviamo le ragioni di un nuovo femminismo laico, liberale e libertario, che saranno al centro della riflessione di autrici come Elisabeth Badinter, pronte a identificare “la strada degli errori”, percorsa dal femminismo, con il separatismo e la lotta contro il sesso maschile, con l‟abbandonando dell‟universalismo e della rivendicazione dei pari diritti, ancora molto lontana dal pieno successo. 5. La risposta delle “femministe storiche” Nel corso del ‟79, all‟uscita del libro, la voce di Macciocchi fu accolta e amplificata dai giornali italiani e stranieri, aprendo la strada ad un confronto anche aspro con quelle che la stessa scrittrice aveva etichettato come “femministe storiche”. In Francia usciva presso l‟editore Christian Bourgois la traduzione francese del libro: Les femmes et leur maitres. Il libro oltralpe fu assai apprezzato per la sua parte storica, ma fu anche molto discusso nella parte polemica vergata in prima persona dall‟autrice, su cui maggiormente si concentrò l‟attenzione dei media. “Le féminisme en quete de son second souffle” titolava < 84 Si veda in proposito Elisabeth Badinter, La strada degli errori. Il pensiero femminista al bivio, Milano, Feltrinelli 2004 85 Ivi, p. 17 86 Ivi, p. 17 87 Ivi, p. 23 88 Ivi, p. 23 89 Pierre Mertens, Le féminisme en quete de son second souffle, < occorreva piuttosto ammettere “qu‟il faudrait commencer à tenter d‟y répondre. Y compris en osant casser une image hagiographique d‟une si brève histoire”92. In Italia < 6. Un decalogo per il secondo sesso Un dossier non datato, ma riconducibile al 1989, testimonia l‟esistenza di un progetto di libro di Macciocchi dedicato alle donne in Europa. Il dossier raccoglie articoli di Macciocchi apparsi sul < 92 Ivi 93 Macciocchi, Donna è brutto, < Polemica tra intellettuali100; 7) Maria Antonietta, la più odiata del reame; 8) Grandi e furiose, le donne dei giganti della Rivoluzione (Corday, De Gouges, Theresia Cabarrus nostra signora del Termidoro); 9) Povere donne dimenticate dalla Storia. Culto per Robespierre, Saint Just, Marat, ecc. Le Bastiglie da conquistare; 10) Madame De Stael, un salotto contro Bonaparte. Una seconda parte sarebbe stata dedicata alla contemporaneità: 11) Leggi antistupro. Donne, maledette donne101; 12) Muse sfaccendate e donne vere102; 13) Europa al femminile. Miscela di ruoli dal lavoro alla maternità103; 14) Ora la rabbia delle donne è solidarietà104. Il maschio non è più un nemico ad ogni costo; 15) Marinella e i nuovi barbari cattolici105; 16) Intervista sull‟aborto; 17) Carmen; la donna fa politica anche se moglie; 18) Dove ci porta quel velo mussulmano106. Molti dei paragrafi coincidono con i titoli di articoli di Macciocchi, dedicati ai temi più disparati: dalla posizione di Giovanni Paolo II sulla questione femminile, espressa nell‟enciclica Mulieris Dignitatem, alla ricostruzione delle figure femminili della Rivoluzione francese, che il quotidiano allora diretto da Ugo Stille le aveva affidato in occasione del Bicentenario della Rivoluzione. La seconda parte del libro avrebbe incluso gli articoli dedicati all‟attualità, centrati su temi come la violenza contro le donne, l‟aborto, il multiculturalismo, l‟immagine mediatica della donna, la conciliazione tra lavoro e maternità. C‟è da ipotizzare che il progetto sia stato accantonato per scarso interesse da parte degli editori e che esso abbia lasciato il posto alla preparazione di Le donne secondo Wotyjla, raccolta di saggi interamente dedicata all‟esegesi della Mulieris Dignitatem, apparso di lì a pochi anni, nel 1992. Nella produzione giornalistica degli anni Ottanta e Novanta Macciocchi toccò vette polemiche sconosciute alla sua precedente scrittura. Prestigiosa firma di uno dei maggiori quotidiani italiani, dalle colonne delle opinioni o della cultura, e spesso in prima pagina, polemizzava su fatti di politica, costume e società, con uno sguardo attento alla questione femminile, facendo nomi e cognomi e attirandosi repliche stizzite. Questa vis polemica la ritroviamo negli articoli selezionari per il Decalogo. La questione femminile veniva trattata sotto diversi profili; tra questi l‟erotizzazione esasperata dell‟immagine femminile propria della società dei consumi, ma anche il rapporto tra sesso, mass media e politica: il bersaglio principale della polemica di Macciocchi erano in questo caso le donne stesse, complici dello sfruttamento mediatico e talora politico dei loro corpi. In uno degli articoli selezionati, dopo aver attaccato “la società dello spettacolo, le sue noiose donnine da parata, impennacchiate come cavalli da circo” 107, Macciocchi se la prendeva con la suprema beffa del radicale Pannella, colpevole di aver insediato nel Parlamento italiano nientemeno che una pornostar108. Contraltare di tanto disprezzo misogino le apparivano le parole del Papa, pronto a riconoscere ed elogiare il genio delle donne, accanto alla loro (primaria) vocazione materna. E a proposito della maternità e della conciliazione con il lavoro, nello stesso articolo Macciocchi parlava di “falso dilemma”, concludendo: “si 100 Macciocchi, Non è finito il Terrore maschilista. Polemica tra intellettuali, < dimentica che un genio come Marie Curie abbe due figli”109. Una posizione in linea con quella delle sociologhe finlandesi A. Myrdal e V. Klein, che avevano teorizzato, nel loro saggio I due ruoli della donna. Famiglia e lavoro, del 1973, il doppio ruolo, ovvero la possibilità per le donne di conciliare senza problemi la propria vita privata e quella lavorativa, adattando quest‟ultima i compiti materni e domestici110. Una posizione che le femministe radicali avevano criticato poiché sostanzialmente si risolveva nella legittimazione della situazione esistente, caratterizzata dall‟asservimento delle donne ad un doppio lavoro estenuante. La spiegazione di Conti Odorisio, secondo cui tale teoria incontrò un considerevole successo poiché “rappresentava la realtà di vita e di aspirazioni della maggior parte delle donne”111 trova un riscontro nelle affermazioni di Macciocchi che, sostenendo la necessità del doppio ruolo, riferiva le risposte avute dalle donne incontrate nel suo recente viaggio in Europa: “Come quella che la maternità è per una percentuale alta di donne il più ricco completamento di una personalità”112. Oramai pervasa da un differenzialismo di matrice cristiana, che arriverà ad esplicitarsi pienamente nel suo saggio successivo, Macciocchi concludeva che i tempi di affermazione femminili nel lavoro erano più lunghi di quelli maschili e che a trentacinque-quarant‟anni una donna, una volta cresciuti i figli, poteva ricominciare la vita lavorativa con pieno successo, con energie più intatte di un uomo della stessa età. Argomentazioni che denotavano una visione decisamente utopistica - quella di una presunta natura femminile caratterizzata da innato spirito di sacrificio e sovrabbondanti energie - ma anche una sorprendente ignoranza dei reali meccanismi del mercato del lavoro, in genere poco propenso ad offrire opportunità di reinserimento e carriera a donne non più giovani e scarsamente e aggiornate dopo anni di inattività. Il tema del velo per le donne mussulmane e del multiculturalismo compariva in un altro articolo destinato a confluire nel libro; Macciocchi, ancora alla fine degli anni Ottanta, appariva legata al relativismo culturale di un tempo. Rispetto alla polemica esplosa in Francia sull‟opportunità o meno di consentire alle giovani mussulmane di indossare lo chador nel corso delle lezioni a scuola, la scrittrice rifiutava la visione del velo come forma di sottomissione culturalmente imposta alle donne, per affermare che esso poteva essere “un elemento erotico, sensuale”113, e che le stesse donne erano spesso le prime a volerlo indossare. Polemizzando con femministe come Elisabeth Badinter, che avevano parlato del velo come di una forma di alienazione femminile, Macciocchi rivendicava il diritto delle donne musulmane di mantenere i propri codici di abbigliamento, contro l‟imposizione eurocentrica di “modi e identità che ci appartengono anche sul piano erotico, quale acme di civiltà evoluta, rispetto alle loro, che abbiamo considerato selvagge o barbare tanto spesso”114. La sua posizione su questo tema non fu certo isolata, tantomeno in Francia, se ancora nel 2003 la stessa Elisabeth Badinter poteva deprecare il segnale differenzialista lanciato dalla Francia con l‟accettazione del velo islamico nelle scuole, sanzionata dal silenzio colpevole delle femministe: “Tra la critica marxista delle sovrastrutture ideologiche e la denuncia dell‟etnocentrismo da parte dell‟antropologia 109 Ivi 110 Cit. in Conti Odorisio, Ragione e tradizione, cit., p. 217, A. Myrdal, V. Klein, I due ruoli della donna. Famiglia e lavoro, Roma, Armando, 1973 111 Ivi 112 Macciocchi, Donne, cultura, politica, quanti graffiti, cit. 113 Macciocchi, Dove ci porta quel velo mussulmano, cit. 114 Ivi 187 levi-straussiana, l‟universalità – concludeva amaramente Badinter - è stata gettata nella pattumiera della storia”115. Osservando i mutamenti sociali in corso alla fine degli anni Ottanta – a dieci anni dal durissimo pamphlet sul postfemminismo - Macciocchi individuò la genesi di quello che chiamò un “femminismo di terzo tipo”116, ovvero un movimento che si staccava dal passato “per aprire altri sentieri, meno scoscesi, intese meno minoritarie, meno marginali”117. Il principale errore del femminismo storico veniva lucidamente individuato nel separatismo, nell‟apartheid con cui si era alzata una muraglia invalicabile tra donne e polis, diritti femminili e istituzioni. Anche l‟utopia di una “città delle donne”, antagonista della società civile, si era risolta nell‟edificazione di un ghetto culturale e teorico. Se qualche tempo prima il postfemminismo le era apparso come un estuario attraversato dalle vele floscie di un movimento femminile disorientato e sconfitto, il femminismo di terzo tipo, materializzatosi nelle piazze italiane con la grande manifestazione in difesa della legge 194, poteva invece essere definito come un tempo di riflessione caratterizzato dalla capacità di volgere lo sguardo alla società intera, al buon governo delle cose. Il potere nei gangli statali e sociali non veniva più demonizzato dalle donne, protagoniste di questo rinnovamento. In luogo dell‟antico nemico identificato con l‟uomo, ecco apparire “precisi nodi di un potere ora giuridico, ora politico, ora parlamentare, che porta avanti le vere responsabilità”118. Infine non vi era più una sola fonte culturale per il nuovo femminismo, ovvero la vecchia teoria marxista, ma una pluralità di alimenti, tra cui quello del “femminismo cristiano”. La nuova femminista doveva essere una creatura postideologica, capace di pensare al di là degli schieramenti partitici tradizionali, più adulte e solidali tra loro, senza per questo cadere nella vecchia retorica della “sorellanza” come negazione delle diversità tra donne. Come vedremo nel prossimo capitolo l‟attenzione di Macciocchi nei successivi tre anni si spostò sempre più sul femminismo cattolico e sul pensiero di Giovanni Paolo II. 115 Elisabeth Badinter, op. cit., pp. 117-118 116 Macciocchi, Ora la rabbia delle donne è solidarietà, < CAPITOLO IX Dalla politica alla storia, passando per Napoli 1. Gli anni Ottanta e la politica Gli anni Ottanta non erano stati occupati solo dall‟attività giornalistica e dalla riflessione sulle donne, ma anche e soprattutto dall‟attività politica, nelle fila dapprima dei radicali e quindi dei socialisti. Nel 1979 Macciocchi era stata invitata dal leader radicale Pannella119 a candidarsi con i radicali al Parlamento italiano; eletta, fu designata dal partito per rimpiazzare Leonardo Sciascia, insediatosi al Parlamento europeo ma dimessosi dopo poco. In quello stesso anno si suicidava l‟amico filosofo Nikos Poulantzas120; di lì a poco, nel 1980, Lacan scioglieva la sua scuola, Sartre moriva il 15 aprile salutato da imponenti funerali, Roland Barthes veniva investito uscendo dal Collège de France e finiva i suoi giorni in ospedale, Althusser strangolava sua moglie Hélène e finiva rinchiuso in un asilo psichiatrico. Tramontava in Francia una grande stagione di pensiero. A margine dei funerali di Sartre, parlando della sua azione politica Macciocchi commentò: “Quella se ne va con noi, con la nostra stessa vita, e con la storia dell‟impegno assoluto, delle rivoluzioni cercate, idealizzate e stroncate”121. Nel frattempo la sua esperienza nell‟insegnamento universitario in Francia si chiudeva con una nuova coda polemica: il ministro dell‟università aveva soppresso il suo contratto nel momento stesso del suo ingresso nelle istituzioni europee. Nuove denunce di Macciocchi, nuovo dibattito sui giornali francesi e italiani. A Bruxelles, intanto, nell‟autunno del 1979, Macciocchi veniva incaricata di preparare il parere per la commissione politica sull‟abolizione della pena di morte, istituto che sopravviveva, all‟interno dell‟Europa soltanto in Francia. Lavorò a lungo a fianco di Robert Badinter122, che l‟aiutò a stendere il suo rapporto, e alla fine il documento fu approvato negli stessi giorni in cui Mitterrand123, appena eletto in Francia, assumeva tra i suoi impegni elettorali quello dell‟abolizione della pena di morte124. Qualche tempo dopo un nuovo successo coronò il suo impegno politico nel Parlamento europeo: l‟approvazione, il 7 febbraio 1983, su sua proposta, della prima, storica risoluzione Europa sull‟obiezione di coscienza125. In quegli anni Macciocchi insegnò nell‟Università libera di Bruxelles, viaggiò nel sud est asiatico impegnandosi per la difesa dei diritti umani in Cambogia, 119 Giacinto Pannella detto Marco (Teramo, 1930) è un politico italiano. E‟ stato tra i fondatori del Partito radicale, divenendone il leader. 120 Nicos Poulantzas (1936-1979) è stato un filosofo francese di origine greca, marxista e strutturalista, noto per le sue analisi sul fascismo 121 Macciocchi, Duemila anni di felicità, op. cit, p. 522 122 Robert Badinter (Parigi, 1928) è un avvocato e uomo politico francese. E‟ stato il maggior protagonista, in Francia, della battaglia per l‟abolizione per la pena di morte. Appena insediato all'Assemblée Nazionale presentò un disegno di legge che prevedeva l'abolizione della pena capitale. E‟ stato ministro della giustizia, poi nominato da François Mitterrand presidente del Consiglio costituzionale, carica che ricoprì fino al 1995. Eletto senatore per il Partito socialista nel „95 e nel 2004, è stato anche vice presidente della Convenzione Europea dal 2003 al 2005 Ha sposato Elisabeth Badinter. 123 François Maurice Adrien Marie Mitterrand (Jarnac, 1916 – Parigi, 1996) è stato un politico francese. È stato presidente della Repubblica francese dal 1981 al 1988 e poi, rieletto per un secondo mandato, fino al 1995. 124 Ivi, p. 539. La legge fu approvata il 18 ottobre 1981. 125 Le successive risoluzioni in materia furono adottate il 13 ottobre 1989, l‟11 marzo 1993, il 19 gennaio 1994. Il 10 marzo del 1987 la Commissione per i Diritti Umani dell'Onu riconobbe l'obiezione di coscienza al servizio militare come diritto dell'uomo. In Italia nel 2001 fu promulgata la legge n.64 sul servizio civile nazionale, aperto volontariamente anche alle donne. 189 “dove il comunismo e la morte si erano tragicamente uniti in un amplesso che durava ancora”126. Lei stessa aveva ottenuto dal Parlamento, assieme a Susanna Agnelli e Simone Veil, una missione nei campi profughi della Thailandia (1980) e quindi in Cambogia (1981). Nel 1982, sentendosi poco valorizzata dai radicali, oppressa dalle dinamiche verticistiche e personalistiche del partito di Pannella, decise di passare ai socialisti. Nel 1984 organizzò a Venezia un convegno che raccolse intellettuali da tutti il mondo, compresi i dissidenti dell‟Europa dell‟Est. Vi parteciparono tra gli altri Borges127, Anthony Burgess128, Rolf Libermann, Jacques Le Goff129, Alain Touraine130, Jean Baudrillard131, Edgar Morin132, Peter Schneider133. L‟idea dell‟Europa culturale fu al centro del libro Di là dalle porte di bronzo, uscito nell‟87134, in cui Macciocchi, evidentemente influenzata dalla sua familiarità con il pensiero di Gramsci, si proponeva un‟indagine sugli intellettuali europei nella storia. Il libro non era un vero e proprio saggio. Privo di sistematicità, “opera aperta”, come la maggior parte degli scritti di Macciocchi, era piuttosto uno zibaldone di idee e di storie, in cui trovavano posto i molteplici incontri con i protagonisti del mondo culturale del XX secolo da cui partire per procedere a ritroso, verso le radici dell‟Europa. Il libro si concludeva con l‟invito a riscoprire le radici cristiane dell‟Europa, in un‟ottica di tolleranza e dialogo interreligioso. La ricerca di verità assoluta, di una fede da seguire, che aveva attraversato tutta la vita di Macciocchi spingendola a cercare risposte nell‟assolutizzazione della politica, ora seguiva il sentiero del Cristianesimo. “Il processo di secolarizzazione non riesce a consumare o a estinguere il sacro, come si pretende: lo sposta, null‟altro”135. La scoperta del Cristianesimo era da un lato di natura intellettuale, frutto di studi e letture che si ritrovano nelle erudite pagine del libro, dall‟altro di natura morale, ovvero il risultato di uno slancio individuale appassionato e di un profondo bisogno di risposte. 2. Folgorata sulla via di Castelgandolfo Di là dalle porte di bronzo si concludeva col racconto dell‟udienza concessa dal Papa, nella sua residenza di Castelgandolfo136, all‟autrice, incuriosita dalla strategia europea di Wojtyla e persuasa della sua “missione di unificare Oriente e Occidente sotto l‟egida dei diritti umani, della libertà di coscienza, del rispetto della libertà religiosa, e del Cristianesimo che sta alla base della civiltà comune di questa Europa”137. L‟incontro fu per lei un violento “choc della ragione”138. 126 Ivi, p. 583 127 Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo (Buenos Aires, 1899 – Ginevra, 1986) è stato uno scrittore e poeta argentino. 128 Anthony Burgess, pseudonimo di John Burgess Wilson (Manchester, 25 febbrai 1917 – Londra, 1993), è stato uno scrittore e critico letterario britannico, attivo anche come compositore, librettista, poeta, drammaturgo, sceneggiatore e giornalista. 129 Jacques Le Goff (Tolone, 1924) è uno storico francese, studioso della storia e della sociologia del Medioevo 130 Alain Touraine (Hermanville-sur-Mer, 1925) è un sociologo francese 131 Jean Baudrillard (Reims, 1929 – Parigi, 2007) è stato un filosofo e sociologo francese. 132 Edgar Morin (Parigi, 1921) è un filosofo e sociologo francese. 133 Peter Schneider (Lubecca, 1940) è scrittore e saggista 134 Macciocchi, Di là dalle porte di bronzo, Milano, Mondadori, 1987; titolo cambiato in La donna con la valigia. Viaggio intellettuale di una donna in Europa, Milano, Mondadori, 1989 135 Macciocchi, La donna con la valigia, cit., pp. 542-543 136 Località nei pressi di Roma, affacciata sull‟omonimo lago, sede della residenza estiva del Pontefice. 137 Ivi, p. 529 138 Ivi, p. 521 190 Quando il libro fu completato, Macciocchi ebbe l‟occasione di consegnare personalmente il libro al Papa, che in quell‟occasione le si rivolse con una frase destinata ad impressionarla profondamente: “credo nel genio delle donne”139. Macciocchi recepì questa frase anche come un tributo al proprio genio, come un riconoscimento della sua eccezionalità di “donna di pensiero” come amava definirsi140. Da quell‟incontro nacque un interesse più profondo per il cattolicesimo considerato nei suoi rapporti con la questione femminile, e maturò l‟idea di un‟opera collettiva dedicata proprio alla Mulieris Dignitatem, l‟enciclica di Wojtyla sulle donne. Le donne secondo Wojtyla, che uscì nel 1992 presso le Edizioni Paoline, conteneva ventinove chiavi di lettura dell‟enciclica, offerte da altrettanti teologi e teologhe, e persino esponenti politici come Francesco Cossiga. I giornali reagirono con stupore e ironia alla conversione dell‟eretica. In Wojtyla certo Macciocchi aveva trovato anche quel fascino carismatico che da sempre la conquistava nelle grandi figure intellettuali e politiche, e che ora per la prima volta incontrava in un leader spirituale. Attraverso il Cristianesimo, Macciocchi approdava alla filosofia della differenza141, interpretando anche questa in senso assolutamente personale: “la differenza non come inferiorità, ma esaltazione del genio femminile”142. La “differenza femminile” si concretava per lei in una sorta di consolazione elitaria e individualista. Il ragionamento si era allontanato dalla dimensione politica, facendosi poco convincente: poiché il modello emancipazionista dei paesi comunisti era fallito, poiché l‟uguaglianza sancita dagli articoli legislativi era destinata a restare fittizia, alla “desueta eguaglianza legalista” rivelatasi inefficace occorreva sostituire l‟esaltazione del “divino che è in noi”143. Le “Pari opportunità” erano una “brutta definizione!”144. A questo rifiuto così netto della cultura egalitaria e all‟esaltazione della differenza come grande scoperta di Luce 139 Ivi, pp. 543-544 140 La vita e gli scritti di Macciocchi rivelano la sua spiccata tendenza a legare i suoi giudizi sulle persone alla capacità di queste di confermarla, anche inconsapevolmente, nel suo narcisismo. Nel caso dell‟incontro col Papa ripetutamente citato dall‟autrice nei suoi articoli e nei libri successivi (Macciocchi, Cara Eleonora, p. 195, Duemila anni di felicità 672, 724-729. Le donne secondo Wojtyla, Roma, Edizioni Paoline, 1992, pp. 13 e ss.), si direbbe che la frase sul genio delle donne – e la lettura che M.A.M. fece in tal senso della Mulieris dignitatem come enciclica centrata sui concetti di genio femminile e carisma delle donne - abbiano avuto un peso determinante nella sua formulazione del giudizio su Giovanni Paolo, non solo per il valore “femminista” che l‟autrice attribuiva a quell‟affermazione, ma anche per il valore esistenziale che per lei aveva assunto quel concetto. L‟idea del genio femminile rifletteva la visione elitaria di Macciocchi, di un‟umanità femminile dominata da solitarie figure di donne che pensano, in contrapposizione ad una massa femminile schiacciata dall‟afasia. Parlando del suo dialogo col Papa confluito ne La donna con la valigia, scrisse: “Quel dialogo, scritto nell‟87 (…) riconferma come l‟approccio tra un Papa e una semplice intellettuale possano seguire (…) la misteriosa strada di un‟ispirazione ideale comune, che forse nasce da quella fiducia che Wojtyla ha sempre sentito per le donne che pensano (…). Wojtyla crede in ciò che gli sembra più urgente, e necessario. < Irigaray145, spesso citata, non si accompagnava un‟analisi ragionata, ma un procedere apodittico, per sentenze insondabili, mai spiegate in modo esauriente, che sembravano discendere da una visione piuttosto limitata del femminismo dell‟eguaglianza: il fallimento dell‟emancipazionismo comunista e il mancato compimento di una democrazia paritaria in Occidente erano sufficienti a liquidare tout court ogni prospettiva egalitarista. Ecco prendere corpo un determinismo biologico con venature spirituali: “Il sesso, come la scienza, non è neutro. C‟è uomo e donna, si pensa al maschile e al femminile (…). L‟identità femminile col suo genio specifico - < 3. Il ritorno in Italia A Parigi, il 23 maggio del 1992, Macciocchi fu raggiunta da una notizia che pesò in modo determinante sulla decisione di tornare a vivere in Italia: poco lontano dall‟aeroporto di Palermo, il procuratore Giovanni Falcone148, saltava in aria assieme alla sua scorta, bersagliato da una carica di tritolo. Due mesi dopo era la volta del giudice antimafia Borsellino149, nella strage di via D‟Amelio. Mafia, corruzione politica, “mitridatizzazione degli italiani”, ovvero abitudine all‟ingerimento di ogni veleno, apparvero a Macciocchi uniti come una cosa sola150. L‟altro volto dell‟Italia era quello 145 Luce Irigaray (Belgio, 1930) è una filosofa e psicoanalista francese, tra le maggiori esponenti del pensiero differenzialista. Tra le sue principali opere Speculum, l‟altra donna, Milano, Feltrinelli, 1975 e Ce sexe qui n’en est pas un, Paris, Editions de Minuit, 1977. “Con una certa schematizzazione – spiega Conti Odorisio – la subordinazione delle donne derivava, secondo questa impostazione, dalla negazione o dalla scarsa considerazione della loro vera natura. Per demolire il “femminile” così come è stato costruito dagli uomini, occorreva riportare alla luce l‟essenza femminile autentica, radicata nella percezione del corpo, della maternità, della sessualità e produttrice di una visione originale del mondo. La dualità dei sessi è irriducibile e il loro antagonismo sostituito da una nuova etica: l‟“etica della differenza sessuale””, G. Conti odorisio, Ragione e tradizione, cit., p. 225 146 Ivi, p. 40 147 L‟aggettivo “sanfedista” si riferisce agli appartenenti all‟Esercito della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo, messo in campo nel Centro-Sud d‟Italia (Campania, Calabria, Abruzzo) nel 1799 dal cardinale Fabrizio Dionigi Ruffo e sostenuto dalla Chiesa; vi aderirono, in funzione antirepubblicana e antifrancesi, le masse contadine e numerosi briganti. 148 Giovanni Falcone (Palermo, 1939 –1992) è stato un magistrato italiano, impegnato in prima fila nella lotta alla mafia. Giovanni Falcone morì nella cosiddetta strage di Capaci, il 23 maggio 1992. 149 Paolo Emanuele Borsellino (Palermo, 1939 –1992) è stato un magistrato italiano, impegnato nella lotta alla mafia, ucciso il 19 luglio 1992 nella cosiddetta strage di via D‟Amelio. 150 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., pp. 794 e ss. 192 dei giudici impegnati nella lotta alle mafie e alla corruzione, che le apparivano gli eredi di quell‟Italia moderna fondata due secoli prima dai giuristi, dagli uomini di legge come Filangieri e Beccaria. Di fronte a un paese allo sbando, travolto dagli scandali di Tangentopoli, guidato da una classe dirigente non credibile, e attraversato da una profonda crisi culturale contro cui più volte si era scagliata nei suoi articoli per il < 4. Eleonora Fonseca Pimentel La scelta di dedicare una biografia ad Eleonora Fonseca Pimentel nacque anzitutto dall‟esigenza di tornare, di fronte alla crisi della Prima Repubblica, alle radici dell‟unità morale e intellettuale d‟Italia, individuate nel secolo dei Lumi e nel triennio giacobino come primo seme del Risorgimento. “Ritornando al mio responsabile ruolo di scrittore, ammetto di aver sentito questo libro anche come un contributo diretto a quel sentimento d‟unità del Paese, o a quella < 151 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 795 152 Macciocchi, Cara Eleonora. Passione e morte della Fonseca Pimentel nella Rivoluzione napoletana, Milano, Rizzoli, 1993 153 Ivi, p. 19 193 Repubblica le sembrava riecheggiare la lotta giacobina contro i Borboni, così i suoi sforzi per avvicinarsi al sottoproletariato napoletano le ricordavano quelli della Pimentel che si rivolgeva ai lazzari parlando la loro lingua, quello stesso dialetto rimasto pressoché immutato da due secoli. Napoli, capitale europea e simbolo di un possibile nuovo Rinascimento, era stata del resto lo sfondo di alcuni tra i momenti più importanti del suo impegno politico: quello nel PCI nell‟immediato dopoguerra, il lavoro per strappare i bambini napoletani al loro destino di miseria, per politicizzare le donne; oltre vent‟anni dopo a Napoli si era svolta la sua campagna elettorale per arrivare in Parlamento, da lì ogni sera aveva scritto le sue lettere all‟amico filosofo Louis Althusser. La scelta per il soggetto del suo nuovo libro era caduta, tra i tanti personaggi della stagione illuministica italiana, su una donna perlopiù trascurata dalla storiografia, se si eccettuano gli scritti che le aveva dedicato Benedetto Croce154 e pochi altri lavori condotti nei periodi successivi155, destinati tuttavia a restare noti ad una cerchia perlopiù ristretta di studiosi. L‟opera di Macciocchi, erudita ma non accademica, a metà tra il saggio e il romanzo156, ebbe soprattutto il merito di far conoscere ed apprezzare la figura della Pimentel a un pubblico più vasto, facendo di lei il simbolo della più alta etica civile. Le ragioni di identificazione col suo personaggio erano molteplici: la Pimentel era un‟aristocratica che aveva scelto di stare dalla parte dei lazzari, abbracciando la rivoluzione; non era in fondo Macciocchi stessa una rivoluzionaria di origine non proletaria ma borghese, quindi doppiamente lodevole per la sua scelta di divenire “intellettuale totale”, consacrandosi alla lotta della classe rivoluzionaria?157 La Pimentel inoltre era una giornalista, prima donna in Italia a dirigere un giornale; fu amica di grandi intellettuali della sua epoca, come Metastasio, con cui tenne una fitta corrispondenza; fu un‟intellettuale europea, originaria del Portogallo, vissuta a Roma e Napoli, in contatto epistolare con la vita culturale di altri paesi158. La biografia romanzata della Pimentel fu insomma l‟occasione per riscrivere anche la propria autobiografia, con un procedimento narrativo che in linguaggio cinematografico definiremmo “montaggio parallelo”, ovvero l‟intersezione di due storie per farne risaltare le analogie, come mostra in modo sinteticamente efficace l‟indice dei nomi del volume, in cui sfilano assieme Louis Althusser e Gaetano Filangieri, Pierpaolo Pasolini e il principe Caracciolo, Giorgio Amendola e Mario Pagano, Simone De Beauvoir e Giulia Carafa di Cassano. Cara Eleonora si configura come un saggio eclettico ed erudito, in cui la biografia di una donna era inserita nell‟ambito di un più vasto studio che ripercorreva diversi aspetti della condizione femminile nella storia, benché paradossalmente l‟autrice abbia rifiutato di 154 Benedetto Croce, Eleonora de Fonseca Pimentel, Roma, Tipografia Nazionale, 1887. E, sempre sulla Rivoluzione napoletana, Il < utilizzare la categoria interpretativa del genere159 e abbia preso nettamente le distanze da ogni possibile interpretazione femminista. La figura di Eleonora Pimentel appariva in Cara Eleonora fondamentalmente distaccata dalla trama secolare del pensiero emancipazionista, senza alcuna indagine sulle cause storiche dell‟isolamento che per certi aspetti effettivamente caratterizzò il lavoro di molte giornaliste e intellettuali europee di quel periodo, ricostruite invece da Nina Rattner Gelbart160 e in Italia da Laura Pisano161. Tanta fu la cura che Macciocchi ebbe nel ricostruire il panorama culturale, letterario e politico dell‟epoca, quanto ampio fu il vuoto lasciato attorno a quest‟eroina solitaria sul piano del pensiero politico nei suoi molteplici intrecci con la questione femminile. “In queste pagine si può forse essenzialmente cogliere la storia di una donna, Eleonora, che poi è anche la vera storia dell‟autonomia femminile, ovvero dell‟innegabile dignità e identità della donna (non del femminismo!)”162. Era più facile, in ques‟ottica, scegliere una donna che non si era occupata mai della questione femminile nel corso della sua esperienza giornalistica e politica. Se è vero che Macciocchi si occupò nel corso della sua vita di questione femminile, svolgendo il lavoro politico tra le donne per il PCI, dirigendo il femminile del Partito, < 159 La categoria del gender venne introdotta da Joan W. Scott, nel suo saggio Gender: a Useful Cathegory oh Hystorical Analysis, apparso nel 1986 su < fu il tempo più alto per il ruolo delle donne, seguirà un Ottocento dove le donne contano ridicolmente poco nella cultura e nella politica, e solo il romanzo (stendhaliano, in primo luogo) le onorerà”164. Si dimentica così che l‟Ottocento fu il secolo della nascita dei movimenti emancipazionisti che avrebbero portato all‟affermazione dei diritti politici per le donne. Lo stesso anno in cui Marx ed Engels pubblicavano il Manifesto del Partito comunista, a Seneca Falls, negli Stati Uniti, le donne scrivevano la loro celebre “Dichiarazione dei sentimenti”165. Circa dieci anni prima, nel 1837, al suo ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, l‟inglese Harriet Martineau166 aveva pubblicato il suo Society in America, denunciando l‟esclusione femminile dalla cittadinanza e la discrepanza tra i principi della Costituzione americana e la loro attuazione limitata rispetto alle donne. Nel 1867 la Martineau sottoscriveva la prima petizione per il voto alle donne presentata da Stuart Mill167. Sul piano del pensiero politico Mill fu sen‟altro una delle figure dominanti, con il suo femminismo liberale, ma anche in Italia non mancano grandi figure impegnate nelle battaglie per i diritti delle donne, come Anna Maria Mozzoni168 e Salvatore Morelli169, con cui entrano nel Parlamento italiano temi come la reintegrazione giuridica della donna, l‟abolizione del divieto di ricerca di paternità, il divorzio, i diritti politici. Troppo vasto è in realtà il quadro del pensiero emancipazionista perché qui se ne possa offrire un quadro esaustivo, per il quale rinviamo ad altri lavori170. Liquidare un secolo tanto ricco e complesso come un periodo in cui “le donne contano ridicolmente poco” appare quantomeno imprudente. La stessa leggerezza si ritrova nello sposare un‟affermazione 164 Macciocchi, Cara Eleonora, cit., pp. 38-39 165 Si tratta di uno dei momento più alti nella storia dell‟emancipazionismo femminile: Lucretia Mott (1793-1880), Martha C. Wright (1806-1875), Elizabeth Cady Stanton (1815-1902), Mary Ann McClintock (1800-1884) furono le autrici materiali e le prime firmatarie della Declaration of Sentiments elaborata sul modello della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d‟America, così come Olympe De Gouges aveva modellato la sua Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina sul modello della Dichiarazione dei diritti dell‟uomo e del cittadino elaborata dai rivoluzionari. La Declaration fu il manifesto del nascente movimento emancipazionista. Oggi in Ginevra Conti Odorisio, Fiorenza Taricone, Per filo e per segno, Torino, Giappichelli, 2008. In generale per una storia della questione femminile nell‟Ottocento si rinvia al volume L‟Ottocento di G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne, cit., volume a cura di G. Fraisse e M. Perrot. 166 Harriet Martineau (Norwick, 1802 – Ambleside, 1876) è stata una scrittrice, giornalista ed economista. Tra le sue opere ricordiamo Society in America, a cura di S.M. Lipset, New Brunswick-London, 2002; per la figura e l‟opera della Martineau si rinvia a Ginevra Conti Odorisio, Harriet Martineau e Tocqueville, due diverse letture della democrazia americana, Rubettino, Soneria Mannelli, 2003 167 John Stuart Mill (Pentonville, 1806 – Avignone, 1873) fu uno dei maggiori filosofi liberali dell‟Ottocento. La sua opera dedicata alla questione femminile fu The subjection of women, dove espresse idee emancipazioniste che si ritrovarono anche nella sua attività politica; come parlamentare, infatti, presentò un progetto di legge in cui proponeva l‟estensione del suffragio alle donne. John Stuart Mill, La servitù delle donne, tradotto da Anna Maria Mozzoni, Milano, Legros Editore, 1870; F. A. Hayek, John Stuart Mill and Harriet Taylor. Their Friendship and Subsequent Marriage, New York, Kelley, 1951; Ginevra Conti Odorisio, Natura e morale nel pensiero di John Stuart Mill, in G. C. Odorisio, Ragione e tradizione, cit., pp. 200-214; M. T. Picchetto. 168 Ginevra Conti Odorisio, Storia dell’idea femminista in Italia, Torino, Eri, 1980; Fiorenza Taricone, Salvatore Morelli e Anna Maria Mozzoni, in G. Conti Odorisio, Salvatore Morelli. Emancipazionismo e democrazia nell’Occidente europeo, Napoli, ESI, 1993; F. Taricone, Mozzoni Anna Maria, in R. Farina, a cura di, Dizionario biografico della donne lombarde, Baldini & Castoldi, Milano 1995; sia sulla Mozzoni che più in generale sull‟emancipazionismo in Italia nella seconda metà dell‟Ottocento si veda anche F. Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia (1848-1892), Torino, Einaudi, 1963 169 Salvatore Morelli (Carovigno, Brindisi, 1824 – Pozzuoli, 1880) fu deputato nel Parlamento italiano a partire dal 1867 e presentò importanti disegni di legge, tra cui Per la riforma della pubblica istruzione, per la reintegrazione giuridica della donna, per circoscrivere il culto cattolico nella Chiesa e sostituire ai campisanti il sistema della cremazione. I disegni di legge erano talmente moderni per la sensibilità dell‟epoca che non furono neppure ammessi alla lettura. Morerlli si impegnò inoltre contro lo sfruttamento della prostituzione da parte dello Stato che, condannandola formalmente, da essa ricavava in realtà delle entrate fiscali. Sostenne inoltre l‟abolizione della patria potestà, pari diritti e doveri all‟interno del matrimonio, l‟abolizione del divieto di ricerca della paternità, il diritto elettorali amministrativo e politico anche per le donne. L‟unico disegno di legge che riuscì a fare approvare fu quello sull‟ammissibilità delle donne a testimoniare negli atti pubblici. Ginevra Conti Odorisio, Salvatore Morelli. Emancipazionismo e democrazia nell’Occidente europeo, Napoli, ESI, 1992; Ginevra Conti Odorisio, Salvatore Morelli: politica e questione femminile, Edizioni l‟Ed, Roma, 1990. 170 Occorrerebbe citare ancora il rapporto tra questione femminile e sansimonismo, Risorgimento, libero pensiero e laicismo, socialismo, e ricordare nomi come Cristina di Belgiojoso, Suzanne Voilquin, Dora D‟Istria, Anna Kuliscioff, ma per un quadro più ampio si rinvia, oltre che al già citato volume dedicato all‟Ottocento della Storia delle donne curata da Duby e Perrot, anche alla recente antologia di Ginevra Conti Odorisio e Fiorenza Taricone Per filo e per segno, cit. 196 come quella di Duff Cooper, biografo di Talleyrand, che aveva affermato, a proposito degli anni che avevano visto affermarsi i salotti femminili, nel Settecento: “hanno visto ciò che si è detto emancipazione della donna; ma né dai diritti elettorali né dal seggio in Parlamento essa è riuscita a trarre tanto ascendente sulla vita degli uomini e sul destino delle nazioni come quando non era che il centro di uno scelto circolo nel proprio salotto. Già nella prima metà del secolo e nei due secoli precedenti, regine ed amanti di re avevano avuto una parte notevole negli affari pubblici; ma per la prima volta la “società” delle donne (…) cominciò a rappresentare un corpo di opinioni, indipendenti e in contrasto con quelle della corte”171. Tale lettura, citata senza alcuna presa di distanza e nessuno sguardo critico, avvalorava uno dei più antichi pregiudizi antifemministi: l‟idea, cioè, che il vero potere femminile consista nell‟influenza segretamente esercitata, in privato, sugli uomini di potere, e che l‟emancipazione politica e i diritti siano superflui rispetto ad un potere già tanto grande come quello che la natura ha offerto alle donne sul cuore degli uomini. Con una tale affermazione si spezza inevitabilmente il legame, costruito faticosamente dal pensiero e dall‟azione emancipazionista, tra donne e sfera pubblica, rinviadole al privato dei salotti in cui assumono il ruolo di eminenze grigie. O di primedonne. Mentre era impegnata nella scrittura del libro, Macciocchi fu raggiunta dall‟idea di continuare a occuparsi della rivoluzione napoletana ricostruendo un‟altra figura femminile, quella di Luisa Sanfelice172, eroina sfortunata dal profilo ben diverso da quello dell‟intellettuale Pimentel. Così cinque anni dopo, al termine di nuove, lunghe ricerche, vide la luce L’amante della Rivoluzione. La vera storia di Luisa Sanfelice e della Repubblica napoletana del 1799. Questa seconda biografia, romanzata come la precedente, al pari dell‟altra era percorsa da continui riferimenti al tempo presente, alle vicende di Tangentopoli, alla lotta contro la mafia, nell‟apertura di “un tempo storico che per me non finiva mai, quello dell‟antico onore italiano, della bella storia di coraggio dei giacobini, che doveva continuare, che non si doveva arrestare, e che guardava, al di là di ogni tornaconto e con sprezzo della vita, a un‟Italia unita”173. In quest‟ultimo libro Macciocchi infuse tutte le sue energie, e una “forza di volontà spesso dolorosa”, per “erigere un monumento durevole non solo in onore di Luisa Sanfelice e dei patrioti napoletani, ma anche delle donne di ogni tempo”174. 5. Duemila anni di felicità In occasione del Bicentenario della Rivoluzione napoletana Macciocchi girò l‟Italia e il mondo, da Parigi ad Amsterdam a Cuzco, in Perù, per parlare del triennio giacobino in Italia e dei suoi libri dedicati alla Pimentel e alla Sanfelice. Quegli incontri cui veniva invitata da università, istituti di cultura, associazioni, le davano spesso l‟opportunità di ricostruire anche la propria vicenda politica e intellettuale, offrendola ai suoi interlocutori come un manifesto di libertà, presentandosi sicura di sé, “come una intellettuale che, pur senza proclamarsi vincente, può attraversare una parte della propria vita oggi, con la 171 Duff Cooper, Talleyrand, Mondadori, Milano, 1974, cit. in. Macciocchi, Cara Eleonora, cit., p. 39 172 Luisa Sanfelice (Napoli, 1764-1800) aderì alla Repubblica napoletana del 1799; coinvolta nella congiura dei fratelli Baccher, che miravano a rovesciare la repubblica, contribuì in modo determinante a sventarla e per i giacobini divenne < convinzione di aver avuto spesso la forza della ragione, affidata a noi dagli eventi”175. Tutti gli eventi della sua vita sembravano inanellarsi in un percorso guidato dal bisogno di ricercare una verità personale, senza compromessi, liberandosi progressivamente dalle pastoie ideologiche e dai condizionamenti. Guardando indietro Macciocchi si rivedeva intellettuale cosmopolita, “cinese” a Pechino in rivolta contro il dominio di Mosca, spagnola a Madrid contro il franchismo, combattente per la libertà e contro il colonialismo in Algeria, “argentina” con le madri dei desaparecidos a Buenos Aires, cilena a Santiago sulla tomba di Allende, e “berlinese”, attraversando avanti e indietro quel Muro, fino al suo crollo e oltre. Da questo sguardo retrospettivo sorse il bisogno di riprendere l‟autobiografia scritta nel 1983 ed aggiornarla, accentuandone il profilo “eretico”176. Macciocchi raccontò i suoi incontri con i dissidenti dell‟est europeo, subito dopo il ‟68, quindi con Havel, in occasione del suo viaggio in Europa con l‟allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel 1990, ma anche la sua incursione con Enrico Berlinguer all‟Odéon occupato, a Parigi, nel maggio ‟68, episodio assente nella precedente edizione del libro. Il XX secolo si chiudeva con la feroce guerra dei Balcani, e Macciocchi ne discuteva con il francese Alain Finkielkraut177, denunciando il pacifismo anti-NATO come l‟erede del falso pacifismo stalinista che aveva animato le legioni di “partigiani della pace”. A Seattle, invece, in occasione di una delle prime grandi manifestazioni “no global” o “new global”, vide nascere una presa di coscienza mondiale “di una terra patria, che deve radicarsi negli spiriti senza sopprimere le virtù delle differenti e molteplici patrie nazionali”178. Il libro uscì per Il Saggiatore nel 2000. Le ultime pagine dell‟autobiografia, disertate dall‟ironia dell‟antica prosa, si staccano con forza dal resto del libro per la loro amarezza. Macciocchi incontrava lo sguardo della narratrice di un tempo e lo ricambiava con un‟identificazione colma di nostalgia. Ma ancora uno sguardo di speranza lampeggiava, rivolto verso le nuove generazioni e la loro capacità di ribellarsi, di pensare, di lottare per le idee: a loro, eredi di un mondo postideologico, lacerato da nuove divisioni, guerre e diseguaglianze, Macciocchi lanciava il suo ultimo, appassionato augurio di duemila anni di felicità. Poco dopo iniziava la malattia che l‟avrebbe portata ad abbandonare l‟attività intellettuale. Maria Antonietta Macciocchi è morta il 15 aprile 2007 nella sua casa di Roma. 175 Discorso pronunciato il 5 settembre 1996 all'Istituto Storico per la Storia Sociale ad Amsterdam, riprodotto in Appendice 176 Non casualmente, il sottotitolo della nuova edizione di Duemila anni di felicità fu “Diario di un‟eretica”. 177 Alain Finkielkraut (Parigi, 1949) è un filosofo, giornalista e opinionista francese. 178 Ivi, p. 793 198 CONCLUSIONI Il lavoro che andiamo concludendo ha inteso ricostruire alcuni periodi e temi della vita e dell‟opera di Maria Antonietta Macciocchi, senza alcuna pretesa di esaustività, a maggior ragione trattandosi del primo studio condotto sulla scrittrice. Alla conclusione di questo excursus s‟impone pertanto una prima considerazione sulla necessità di proseguire ulteriormente nel lavoro di ricerca, data la mole consistente degli scritti prodotti dall‟autrice che, essendo focalizzata la presente ricerca solo su alcuni temi e periodi, non è stato possibile esaminare integralmente. Sarebbe invece auspicabile procedere con un censimento completo dei suoi lavori giornalistici, e con un esame ulteriore di altre parti del suo percorso intellettuale rimaste escluse in questa sede, per proseguire nell‟indagine di una figura femminile tanto originale e poliedrica. Attraversando assieme all‟autrice oltre mezzo secolo di storia europea, dall‟antifascismo fino ai nostri giorni, abbiamo incontrato gli ambienti più diversi: il Pci fedele all‟Urss, lacerato dalla crisi d‟Ungheria, dal ‟68, dall‟opposizione dei giovani alla fine degli anni ‟70, all‟insegna di uno spirito antiautoritario e insofferente a ogni compromesso; le redazioni dei giornali di Partito in cui maturavano battaglie per la giustizia sociale, per il lavoro, per i diritti delle donne; i fronti di guerra e i Paesi in radicale trasformazione, dalla Persia all‟Algeria; il Sud d‟Italia, quello del dopoguerra, afflitto dalla miseria e dall‟arretratezza e avvilito dalla cattiva politica dei partiti, clientelare e talora mafiosa, ma anche quello della Rivoluzione napoletana, gloriosa alba di una visione unitaria nutrita dal diritto di Filangieri, dalla filosofia di Vico e dall‟eroismo e l‟azione intellettuale di donne come Eleonora Fonseca Pimentel e Luisa Sanfelice; e ancora la Francia delle fabbriche occupate, dell‟Odéon invaso dagli studenti in protesta, dello studio di rue d‟Ulm dove il marxismo veniva rivisitato da uno dei maggiori pensatori della nostra epoca, Louis Althusser, delle rotative filocinesi della rivista < giornalista, diede il meglio nei reportage sui temi sociali, nelle indagini, ed ebbe un ruolo importante nella costruzione del giornalismo femminile in Italia. La sua lettura degli eventi è stata per molti anni apparentemente conformista e ortodossa, forgiata dalla ferrea pedagogia di partito che nella prima parte del nostro lavoro abbiamo cercato di ricostruire; ma la “norma” dell‟obbedienza anche a quel tempo di sottomissione alla volontà della Chiesa-Pci, del Partito-Madre, come l‟autrice stessa lo definì, non fu mai del tutto interiorizzata; lo dimostrano tra l‟altro documenti qui riprodotti, come la lettera a Togliatti, al tempo della “vicenda Malaparte”, pervasa di una rabbia contenuta a stento, di insofferenza verso la disciplina di un partito che preteteva di comandare a bacchetta i suoi intellettuali e giornalisti, pretendendone la fedeltà assoluta e al tempo stesso calpestandone autonomia e dignità. Prima ancora di quel libro anticonformista e coraggioso che fu Lettere dall’interno del PCI a Louis Althusser, la dissidenza era già montata, e il Lamento di una corrispondente dell’Unità, testo inedito riprodotto in appendice, ne definisce i contorni, sorta di Cahier de doléances della giornalista di partito prossima alla ribellione. La genesi dell‟eresia, come possiamo chiamare il cammino della scrittrice verso l‟autonomia, anche in omaggio al suo lessico e, di rimando, a quello pasoliniano, fu un processo lungo e tormentato. In questo periodo di gestazione si ritrovano gli spunti più vivi e originali del lavoro di Macciocchi, come quelli presenti nelle lettere ad Althusser, opera di straordinario valore, anzitutto per il suo interesse documentaristico, da reportage d‟autore, con i vividi ritratti della Napoli sottoproletaria, dei vicoli appestati dalla miseria, dalla disoccupazione, dal lavoro nero e minorile, ma anche per la vigorosa denuncia di una frattura profonda tra Nord e Sud del Paese, dell‟urgenza di far fronte a quella secolare questione meridionale che tanto stava a cuore, tra gli altri, a Gramsci. Ma c‟è di più: in quel libro Macciocchi si lanciava nell‟ambizioso tentativo di costruire quella liason tra teoria politica e prassi auspicata da Althusser, di confrontare il portato esperienziale della sua traversata napoletana con il rigore teorico dell‟interpretazione marxista che il filosofo francese le metteva a disposizione elaborando a sua volta la materia offertagli da Macciocchi per comprendere la società napoletana, o meglio la stratificazione di classe, i rapporti tra le classi e tra le masse e il Partito. Il grande continente sconosciuto che scopriva Macciocchi – per usare un‟espressione althusseriana – era quello del lavoro nero femminile. Macciocchi nei suoi comizi lasciava parlare le donne stesse, sorta di lavoro maieutico. Prendendo la parola nello spazio pubblico e infrangendo il silenzio che pesava sulla condizione femminile, esse compivano un gesto di rottura, sia rispetto alla condizione femminile, fatta di subordinazione e silenzio, sia rispetto al fatalismo proprio del sottoproletariato napoletano. Nella visione di Macciocchi emergeva un‟idea assolutamente moderna di cittadinanza partecipata, di costruzione della democrazia a partire dal basso, di una relazione diversa tra politica e persone. La lungimiranza della sua analisi, capace di scavalcare l‟ortodossia per parlare direttamente al partito dei suoi problemi e dei suoi errori, fu nel ribadire coerentemente, nel suo intero percorso politico, l‟essenzialità di un rapporto tra partito e masse che non fosse quello del notabilato, verticistico e assistenziale, paternalista, gerarchico e a senso unico. Già negli anni Sessanta intravedeva chiaramente il rischio della burocratizzazione, della degenerazione oligarchica della politica, del suo intereccio con la corruzione e il malaffare, preannunciando il compiersi di quello che sarebbe stato chiamato in seguito distacco tra politica e paese reale. 200 Di pari passo Macciocchi affermava l‟esigenza di ampliare il dibattito all‟interno del PCI, in direzione di una trasformazione ideologica e culturale che avrebbe impiegato decenni a compiersi, sebbene non nel senso rivoluzionario da lei allora auspicato, ma piuttosto nella direzione riformista. La critica al Partito, invitato ad elaborare nuove strategie, fu per lei in opposizione a quanto di stalinista le sembrava sopravvivere in quello, e ostilità al rapporto privilegiato con l‟Unione sovietica, luogo ai suoi occhi del socialismo snaturato più che realizzato, del revisionismo incarnato, dell‟arrendevolezza verso l‟imperialismo. L‟adesione al maoismo fu motivata dunque dall‟incontro con una forza che pareva allora scombinare le coordinate politiche classiche, restituendo nuovo vigore all‟ideale comunista logorato dall‟esperienza sovietica; la rivoluzione culturale incarnava ai suoi occhi il vero internazionalismo, fondato sul principio dell‟autonomia di ogni singolo paese, rappresentava il luogo di nascita dell‟uomo nuovo, totale, che avrebbe risanato la frattura tra homo faber e homo sapiens, prodotta dai regimi capitalisti e riprodotta da altri modelli comunisti, che si erano mostrati incapaci di liberare davvero l‟umanità. Alla base del suo entusiasmo a tratti fideistico vi era un‟ansia palingenetica unita a quell‟ottimismo antropologico che la portava a credere nella possibilità di una rigenerazione integrale per l‟uomo; essendo la sua cultura politica immune a quel tempo da ogni inclinazione liberale, per lei la categoria di totalitarismo non si poneva come uno strumento possibile d‟analisi rispetto alla realtà cinese, né pertanto le riusciva di individuare proprio nella tanto agognata rivoluzione antropologica uno dei tratti salienti dei regimi totalitari. Come abbiamo più volte scritto e riaffermiamo anche in queste conclusioni, non è possibile decontestualizzare una posizione come quella di Macciocchi al tempo del suo maoismo e giudicarla isolatamente: occorre tener conto del clima di quegli anni, del ruolo che la Cina aveva assunto agli occhi del mondo, in una stagione assetata di mito, di utopia, di “altrove”; in quell‟entusiasmo confluirono le abitudini interiorizzate attraverso decenni di militanza comunista, che pur avendo generato disincanto rispetto all‟Urss avevano avuto d‟altro canto l‟effetto di mitridatizzare tanti intellettuali rispetto all‟autoritarismo e alla negazione delle libertà fondamentali. Occorre considerare ancora l‟ambiente intellettuale parigino nella sua versione maoista, che Macciocchi influenzò e da cui fu a sua volta influenzata, ma non certo per ragioni di “moda” come alcuni vorrebbero. Non è possibile a nostro avviso affidare a spiegazioni tanto superficiali le ragioni di una donna che pagò sempre le sue scelte a caro prezzo e che fu animata da una convinzione profonda e da passione per le idee, anche quando la storia non le affidava – ahimé - la ragione. Così come sarebbe ingiusto ridurre semplicemente al filosovietismo l‟intera attività svolta da tanti uomini e donne tra la fine degli anni Quaranta e l‟inizio degli anni Cinquanta nelle fila del Pci, analogamente parlare, come ha fatto lo storico Courtois, di cupidigia, debolezza, vanità, attrazione per la forza e la violenza come motore principale dell‟azione di tanti comunisti nei decenni successivi appare una spiegazione distante da ogni pacata analisi della questione. Non si possono cancellare dalle ragioni della Storia gli alti ideali di solidarierà, giustizia sociale e pace stavano alla base di tante scelte di militanza radicale e totalizzante. Il percorso di Macciocchi rimase costantemente legato a quegli ideali, arricchendosi nel tempo di una componente libertaria e anarchica che si liberava pian piano dalle pastoie dell‟ideologia comunista; a guidarla in questa scoperta non furono i maitres-à-penser dei salotti parigini, non i sacri testi di filosofia marxista, ma i giovani che contro quelli si 201 scagliavano con tutte le loro forze, urlando a perdifiato contro ogni autoritarismo. Era il maggio francese, e un filo rosso si dipanava da quegli eventi fino a giungere alle esperienze ancor più radicali della Bologna del ‟77, di Radio Alice, della Manifestazione contro il Pci che vide Macciocchi marciare con gli indiani metropolitani, recidendo con la lama della contestazione anarchica il cordone ombelicale che la legava ancora al Partito. “Nonostante voi resterò comunista” aveva pensato come Pasolini al momento dell‟espulsione, ma così non sarebbe stato, in realtà. A Maccocchi potrebbe ben calzare l‟affermazione che lei stessa riferì a Louis Althusser: “Pensava che il vero comunismo era un comunismo di povertà, di disinteresse assoluto, di santità, un comunismo ascetico, mistico, che per una via traversa lo riportava alla Chiesa”1. L‟abbandono del comunismo ortodosso coincise per lei con l‟uscita dall‟ombrello protettivo del grande maestro Althusser, con la conquista di una vera autonomia di pensiero, alla quale non sarebbe più stata necessaria l‟autorevolezza di prestigiosi pigmalioni, anche se più volte tornerà ad esercitarsi su di lei il fascino della parola maschile autorevole, fino alla riflessione teologica di Giovanni Paolo II. Delle successive fasi del suo lavoro quel che maggiormente ci ha interessato è stato il suo complesso rapporto con la questione femminile, caratterizzato da un‟ambiguità che molte donne in passato hanno avuto rispetto a questo tema: il suo impegno era cominciato nell‟era dell‟emancipazionismo, quando le lotte erano condotte all‟interno dei partiti e finalizzate alla conquista di fondamentali diritti, spesso sanciti dalla Costituzione ma rimasti lettera morta. All‟interno di < 1 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 740 202 Parlamento italiano e quindi in quello europeo. Per lei la militanza non era, non poteva essere quella dei collettivi e delle piazze, ma quella della politica nel partito e, da un cetro momento in poi, dell‟insegnamento e della scrittura, forme in cui finalmente si sarebbe potuta realizzare la sua libertà al di fuori di ogni Chiesa. Del femminismo pensò che fosse una delle più preziose eredità del ‟68, a quelle lotte si sentì vicina, ma al tempo stesso ne avvertì i limiti e le mistificazioni, l‟autoritarismo, la tendenza a creare nuovi dogmi e ortodossie, l‟autosegregazione, la rinuncia ad affrontare temi come la violenza femminile, e non esitò a denunciarne il riflusso, alla fine degli anni Settanta, quando l‟estuario del postfemminismo le sembrava solcato da velieri ormai stanchi e prossimi alla ritirata. Quanto ai limiti della sua cultura, invece, rispetto alla questione femminile e alla storia delle donne, erano quelli propri della sua epoca, della sua cultura di appartenenza, il marxismo del dopoguerra. Inoltre la mancanza di metodo come storica, collegandosi alla sua preferenza per le ricostruzioni romanzate, le digressioni colte, le sentenze apodittiche, l‟ha portata spesso a trattare la storia della questione femminile in termini poco rigorosi. Il suo avvicinamento al femminismo della differenza, come abbiamo visto, è stato infine il risultato dell‟incontro con il pensiero di Giovanni Paolo II e in particolare con la Mulieris Dignitatem. Ma del misticismo differenzialista che la portò ad esaltare per qualche anno il divino femminile restò ben poco nel tempo successivo, tutto proteso verso la riscoperta degli ideali illuministici della rivoluzione francese e del “genio femminile” di una donna emancipata ma non emancipazionista quale Eleonora Fonseca Pimentel. Quello che ci è venuto incontro attraverso questo lungo lavoro è un pensiero denso, forte, anche se attraversato da contraddizioni e limiti, tra i quali vanno ancora annoverati il narcisismo e l‟autoreferenzialità che spesso appannano il giudizio dell‟autrice rendendola insofferente alle critiche, impermeabile ad ogni spirito di revisione. La ricchezza del suo pensiero e della sua scrittura ci è sembrata risiedere nella sua poliedricità, nella capacità di usare molteplici chiavi di lettura, dalla teoria politica alla storia, dalla psicanalisi alla sociologia, nel tentativo costante di andare a fondo nei fenomeni indagati. La forza che attraversa l‟opera di Macciocchi è infatti nella costante tensione verso una verità che non può essere mai semplicemente quella proclamata dall‟ideologia e che costringe ad una ricerca nomade, ondivaga, pur condotta in assoluta coerenza e fedeltà a princìpi fondamentali. Le sue sono opere aperte, non trattati sistematici ma zibaldoni di idee in cui si intrecciano teorie e pratica politica, rapporti umani e pagine di splendida letteratura. Nell‟ironia, nella felicità di scrittura dell‟eretica di Duemila anni di felicità incontriamo infine la Macciocchi più vera e umana, la donna che corre, che si guarda allo specchio e che riscrive il passato “alla luce dell‟ideologia scintillante del presente: l‟amore all‟eresia come pegno di libertà”2. 2 Macciocchi, ivi, p. 816 203 APPENDICE Di seguito sono stati raccolti alcuni testi di Macciocchi, in parte inediti, in parte pubblicati su vari quotidiani, a testimoniare diverse fasi del suo lavoro, distanti tra loro nel tempo e nei temi trattati. Per la sezione “Testi inediti” si è scelto il Lamento della corrispondente dell’Unità, lungo testo manoscritto, datato 1966, del quale solo alcuni frammenti sono confluiti nell‟autobiografia Duemila anni di felicità. Il documento appare di raro interesse poiché testimonia la genesi dell‟“eresia”, ovvero il moltiplicarsi dei dubbi, delle insofferenze, il crescente desiderio di ribellione che porteranno Macciocchi alla rottura col Pci, sia pure undici anni dopo la stesura del Lamento. Matura in questi anni nella giornalista/esponente di Partito la consapevolezza della sua “diversità” all‟interno del Pci. Le contraddizioni dell‟essere una donna amante del libero pensiero e antidogmatica all‟interno di un apparato chiuso, dominato dalla logica del centralismo democratico, vi sono svelate con assoluta chiarezza. Emergono altresì elementi quali lo squilibrio di potere tra i sessi all‟interno del Partito, la diffidenza misogina verso le donne da parte degli uomini che detengono all‟interno di esso il potere di scelta, la mentalità tradizionale dei comunisti che vorrebbero ancora le donne confinate in ruoli subordinati e non troppo distanti da quello domestico che la storia ha attribuito loro. Il secondo testo inedito è il Discorso pronunciato il 5 settembre 1996 all'Istituto Storico per la Storia Sociale ad Amsterdam, il cui interesse risiede invece nell‟essere uno degli ultimi e più significativi e ampi discorsi pubblici pronunciati da Macciocchi: molti altri, preparati per i convegni e le conferenze che negli anni successivi terrà in giro per l‟Italia e per il mondo trarranno ampiamente spunto da questo testo denso, che spazia tra diversi piani temporali, nel quale l‟autrice getta uno sguardo retrospettivo sulla propria vita e sulle proprie scelte, allontanandosi in parte dal tema propostole dal Convegno (L‟Italia e le sue occasioni mancate) per tracciare una piccola autobiografia, collocandosi tra “quelli che hanno pagato sempre molto caro l'aver compreso le distorsioni e della teoria e della propria eredità filosofica e culturale, che hanno pagato sempre a caro prezzo la propria dissidenza, decisi se occorre a pagarlo ancora allorché si tratti della sete di verità che può animare un‟intera vita”. Il ritratto che emerge è quello di una “viandante europea”, nomade del pensiero spinta a percorrere a larghe falcate l‟Europa e il mondo in cerca di risposte. Dal compromesso storico all‟attualità, passando per il ‟68 e il „77, in questo testo Macciocchi ricostruisce la parte più recente della storia del suo Paese, denunciandone con forza i mali e chiarendo il proprio rapporto con la parte politica nella quale aveva militato per tanti anni e a cui, pur essendo distante oramai dalla politica attiva, restava vicina, confidando nella costruzione di un nuovo, moderno soggetto politico, capace di raccogliere la migliore eredità della sinistra. Quanto ai testi già pubblicati se ne sono scelti alcuni ritenuti rappresentativi di diversi momenti del suo lavoro: la prima intervista ad Althusser, quella con cui Macciocchi puntava a far conoscere al grande pubblico dei lettori de < dedicato allo sciopero degli operai della Renault, primo incontro di Macciocchi con i sommovimenti del biennio di fuoco ‟68-‟69, uno scritto dedicato alla figura di Indira Gandhi, testimonianza della sua visione della leadership femminile, e uno degli ultimi elzeviri scritti dall‟autrice per il < Testi inediti di Macciocchi 1. Lamento della corrispondente dell‟Unità1 Leggendo Althusser, ho capito infine che numerose contraddizioni, oggettive e soggettive, mi renderanno sempre la vita estremamente difficile nel PC in quanto io sono a) una borghese o piccolo-borghese, d‟origine b) un‟intellettuale c) una donna d) esercito un mestiere che crea un sospetto eterno su di sé nel PC, quello di giornalista. Dovrei cambiare tutto, ma se è possibile mutare attività non è possibile mutare sesso, né la propria origine intellettuale. La “mascolinizzazione” delle donne in alcuni PC scaturisce dalla volontà di equipararsi agli altri, in partiti essenzialmente “virili”, e comunque dominati dagli uomini che vorrebbero, in verità, se dovessero scegliere, le donne a casa. Pertanto, anche la “mascolinizzazione” femminile non funziona, se non in periodi di estrema tensione o di urto aperto. Il valore femminile stabile, in un PC, è quello tradizionale, anzi, il carattere sultanesco che si accentua nelle società meno sviluppate, si esprime nelle caratteristiche della promozione femminile. Le donne che sono state votate al successo, senza problemi, fin dall‟inizio, sanno anche fare le mogli, confezionare le frappe e le tagliatelle, oppure sono cattoliche e madri prolifiche. Non si tratta, nel Pc , di scegliere deliberatamente un tipo di donna, invece di un‟altra, per affidarle posti ti responsabilità politica, ma di una scelta selettiva comparata, per cui il leader, apprezzando una donna in casa la reputa e le riconosce anche qualità adeguate, analoghe, sul piano politico, per dirigere. Queste caratteristiche si accentuano ancora di più nei periodi di emigrazione politica o di scarsa presa rivoluzionaria, quando un PC è costretto all‟impasse. Una volta, nel 1961, mi pare, posi in una commissione femminile nazionale alcuni di questi problemi; accennai anche al fatto che nel corso di 20 anni di fascismo e di emigrazione erano avanzate dirigenti femminili che si identificavano essenzialmente con le dattilografe, le mogli, le segretarie dei capi del Partito. Su questo costume, e su questa linea, si continua ad informarsi ancora, così che la disgrazia politica di una dirigente si identifica con la sua disgrazia familiare. Il marito che la allontanava, si innamorava di un‟altra, dal segretario del Partito al dirigente di federazione, la rigettava nel nulla, nello zero politico. Ora, il mio ragionamento era valido, tanto nel caso che le donne fossero d‟ingegno quanto che esse somiglino a qualsiasi massaia. Non si può identificare un movimento 1 Maria Antonietta Macciocchi, manoscritto, 26/02/66, Archivio Macciocchi. 205 femminile comunista con un ordine monastico. La questione è di metodo, di prassi marxiana. La confusione tra la propria donna, e la pubblica esponente del PC mi sembra deleteria. A quell‟epoca, come adesso, d‟altronde, io ero assai ingenua, e non sapevo che nessun problema può essere posto in un Pc prima che la sua identificazione come problema non sia stata inaugurata ad alto livello, e non investa più le responsabilità di un gruppo dirigente al potere, ma quello di un gruppo già tramontato. Dopo quell‟intervento in riunione, le mogli e le sostenitrici delle mogli, che erano infatti attorno a loro, gruppetti di “fedeli”, detto in altri termini dame di compagnia, mi resero la vita impossibile. Venni accusata a) di avere offeso le eroine della Resistenza, morte nella guerra di Liberazione b) di aver gettato fango sulle vecchie compagne, al cui sacrificio tutte noi dovevamo la nostra stessa esistenza c) di aver accusato tutto il gruppo dirigente del PC – e soprattutto i grandi compagni, anche della CCC, già soprannominata ufficialmente “il cimitero degli elefanti” – di nepotismo e di favoritismo. Le grandi pitonesse dell‟emancipazione femminile mi ridussero pesta come un pugile battuto, e in k.o. Le più importanti riferirono ai propri uomini del mio intervento, e per molti mesi alcuni di loro non mi salutarono quasi, e Togliatti mi parlava come se non mi conoscesse, atteggiando tuttavia la voce a quella sua inequivocabile e celebre smorfia di disprezzo. “Anche i più bei destrieri hanno, talvolta, dei pidocchi nella criniera”2. Nel PCI la condizione di donna è mortificante, secondo la mia esperienza, tranne che, per l‟appunto, non si raggiunga un emplacement di vertice, a fianco di un capo. Se vi è il rischio di scomparire con lui, tuttavia esso vale la pena di essere corso 1°) perché un leader comunista, ancora in grado di cercare degli amori, non è destinato a morire subito, tranne imprevedibili accidenti 2°) perché un leader comunista batte, rispetto ai grandi di una classe dirigente borghese-capitalista, tutti i traguardi della longevità nel conservare il potere 3°) la risultanza – tranne appunto che non si venga respinte, sentimentalmente – è per la donna una situazione duratura di benessere e di assenza di problemi. Il potere di una donna di questa natura si esercita, come ho potuto constatare, per interposta persona: se la moglie del capo del Partito, incontrandovi, volge il capo dall‟altra parte, il dirigente comunista entra in uno stato di ansia, di colpo, teme che una delle sue battute ironiche sia stata riferita, oppure che gli si prepari uno stato di disgrazia. Nessuno arriva ad astrarsi da questa santificazione donna-capo, al punto da pensare che la donna ha un momento di malumore, o le scarpe strette, o il mal di pancia. Al contrario: ognuno si chiede: che ho fatto? Per anni ho visto avanzare come un transatlantico, nei corridoi del Parlamento o in quelli di Botteghe Oscure, la Jotti, che è una brava donna emiliana, tra le miriadi di piccole barche che le facevano largo nelle acque procellose del Partito3, commosse dalla sua possanza e dal suo impareggiabile ruolo. 2 Con la definizione di “pidocchi nella criniera del cavallo” Palmiro Togliatti aveva bollato due esponenti del Pci emiliano, Valdo Magnani e Aldo Cucchi, per le loro critiche sul legame tra URSS e PCI. Nel 1951 i due avrebbero abbandonato il Partito comunista per fondare l'Unione Socialista Indipendente (USI), che sarebbe stato volgarmente ribattezzato, dal nome dei due fondatori “Magnacucchi” 3 Questa parte è stata ripresa in Duemila anni di felicità, op. cit. p. 231 206 Un suo invito a pranzo equivaleva alla Legion d‟onore o al titolo di cavaliere sulla Gazzetta della Repubblica. Io sono stata invitata genericamente, due o tre volte, allorché assunsi la direzione di < 4 Pavel Ivanovic Cicikov è il protagonista del romanzo di Gogol Le anime morte. 207 gauchisti, sempre e dovunque, che preme più del gruppo dirigente, e lo vuole spodestare. Infine, terza conseguenza sfibrante, voi raddoppiate gli sforzi, e l‟impegno per dimostrare come, malgrado la pessima opinione che si ha di voi, voi siete un ottimo giornalista, o saggista politico, o oratore o organizzatore. Io ho fatto di tutto in ventitrè anni: la Resistenza, l‟organizzazione delle sezioni del Partito nel Sud dell‟Italia nel dopoguerra, ho trasferito 10mila bambini napoletani affamati e pieni di pidocchi dal Sud al Nord dell‟Italia, per farli ospitare dai contadini emiliani; ho fatto la raccolta di polli, di nuovo, per gli ospedali napoletani, venduto le caramelle in mezzo alla strada, a Spaccanapoli, per le collette di carità, mi sono battuta contro i monarchici nel maggio 1946, ho fatto tutte le campagne elettorali, dal salernitano alla Sicilia, tenuto migliaia di comizi; organizzato le manifestazioni contro il generale Peste5, contro Sella, contro la legge truffa; organizzato le donne; creato l‟UDI; tenuto i convegni sulla stampa femminile, diretto due giornali, con sforzi sovrumani, Noi Donne e < 5 Il generale statunitense Matthew Ridgway, che fu in prima fila nella direzione della Guerra di Corea. Il culmine della contestazione contro le operazioni militari in Corea si ebbe con l‟arrivo di Ridgway in Italia, in 17 giugno 1952. 208 deformazioni, la stessa persecuzione degli individui, con la differenza che questa è morale e non fisica, perché “i traditori” non possono essere gettati in prigione, né deportati, né giudicati da un tribunale. Ché gli apparati, costruiti sul giudizio di un corpo a sé, estraneo alla società e alla realtà, sono macchine fagocitatici, in grado di inghiottire qualsiasi resistenza, o contestazione, o decisione, che sorga nell‟organismo del Partito. Un apparato è sapientemente regolato, dal gruppo dirigente, sulla base del rapporto di forza che esso ha con i propri naturali oppositori, vale a dire con altri comunisti, con idee divergenti da quelle ufficiali. Per una strana inversione di valori, tali comunisti, detti “dissidenti”6 o “frazionisti”, sono più odiati e combattuti che non i leaders dello schieramento dichiaratamente avverso: Ingrao è stato indicato come un nemico, assai più di Moro, di Rumor, del monopolio Fiat o Montecatini, davanti a tutto l‟apparato. L‟apparato ha reagito stritolandolo. Il prezzo che un Pc paga per tali operazioni è colossale, uno sperpero paragonabile a quello che si compie nelle economie dei paesi socialisti e che, al tempo stesso, spiega le ragioni di inferiorità permanente di determinati gruppi dirigenti, incapaci di far progredire l‟agricoltura, o l‟industria a livello degli altri Paesi. Il suo apparato è tanto più dispendioso in quanto esso è innaturale, artificioso, parassitario. Al posto di un uomo ce ne vogliono dieci per lo stesso tipo di lavoro; se la qualifica fosse più elevata sarebbe il contrario. Ma un “fedele” di apparato è estremamente costoso. a) perché non produce b) perché non pensa (nemmeno dal punto di vista del gruppo dirigente c) perché la realtà gli è ignota, in quanto egli sa di doversi misurare solo negli intrighi della vita interna d) perché la sua ignoranza oggettiva nel tenere testa e per sconfiggere l‟avversario di classe, viene scontata dai Pc in tutti i settori della vita pubblica, e soprattutto in quelli più avanzati. Un Partito di anime morte e quello contraddistinto in certe epoche del movimento operaio da apparati di questo tipo. Allorché il gruppo dirigente è più sicuro di sé, l‟orientamento interno muta e si assiste a qualche promozione. A me accadde ad esempio allorché mi misero a dirigere < 6 N.d.a. aggiunta successivamente alla redazione del testo: “Kundera denunciò, a Parigi, in una conferenza al Beaubourg 209 l‟attività del nuovo leader. Egli era sordo e muto, nella disamina, e il Pc, attraverso lui, sembra un Partito di sottosviluppati mentali. Allora ero molto avvilita e ho persino pianto, tornando a casa, dalla vergogna. Per sfogarmi ho litigato con lui, e gli ho detto alcune opinioni sincere,e sgradevoli. È la libertà di cui parlavo. Ma, come già affermato, costa cara: l‟uomo si è vendicato denunciandomi al Partito per scarso rispetto verso il nuovo gruppo dirigente; il mio direttore mi ha processato ogni iniziativa giornalistica; nessun editoriale è passato e i pezzi sono finiti in ultima pagina; infine, è stato mandato un redattore dell‟Unità di Milano che si occupa di critica musicale, a seguire l‟incontro di Sanremo tra il PCI e il PCF. Io non mi dolgo affatto, anzi, ogni elemento serve ormai a rafforzare certe idee generali, anche se investe – e me ne scuso – la nostra individuale, modestissima persona. L‟ultimo episodio dimostra come l‟apparato sia dannoso e vendicativo, e ogni uomo di apparato è in grado di mobilitare attorno a sé il Partito, fino alle più alte istanze, per farsi proteggere da chi gli fa capire, poniamo, che sbaglia, che è incorso in qualche errore, che ha qualche deficienza originaria, da correggere, etc. Finché è nell‟apparato, egli è intoccabile. Quando si parla di Chiesa comunista il discorso investe essenzialmente l‟apparato, la regola monastica, l‟ordine interno del convento, nella sua direzione centrale. È evidente che un Pc. È evidente che un Pc franerebbe se esso avesse, anche al suo vertice, la stessa situazione. Il che non è; anzi, il gruppo dirigente – o che ha il potere – impiega spesso sforzi sovrumani per apparire degno degli eventi, e per rimpiazzare la coglioneria dell‟apparato, inutile e costosissimo. La sfiducia negli uomini e il disprezzo, tipici di dirigenti come Alicata, nasce da tale stato di cose, perfettamente noto. Ma poiché esso ha stabilito il proprio potere sull‟assenza del dibattito aperto nel Partito, sulla non contestazione, il suo bisogno di un apparato di questa natura è vitale, fa emergere come il piedistallo per una statua. Tra il gruppo che dirige e l‟intelligenza del Partito, vi è uno stato cuscinetto, destinato ad incassare i colpi, preparato ad evitare ogni scossone politico e ideologico: è l‟apparato. Quando fatti non previsti – XX Congresso, morte di Togliatti – sfaldano l‟apparato tradizionale, si assiste ad uno sforzo infaticabile, compiuto dal gruppo dirigente per rimettere a posto, molecola per molecola, con l‟astuzia, l‟intrigo, la sfera protettrice, l‟usbergo del Partito: l‟apparato. Pertanto, tranne scarsi momenti, ci si trova sempre di fronte allo stesso volto, fisicamente: anche se sono passati vent‟anni, l‟ultimo funzionario della nuova generazione, somiglia, per un curioso fenomeno di osmosi, a D‟Onofrio o a Secchia, come se questi l‟avessero figliati. Pertanto non si tratta di combattere degli individui singoli, quanto una forza avversa allo sviluppo rivoluzionario dei Pc, gli apparati di partito, inventati da Stalin. Come nelle bambole di legno russe, dal ventre di ognuna ne viene fuori una identica. Ma, necessariamente, essa è sempre un po‟ più piccola. Il senso della storia, infatti, sta in un‟altra dimensione: un Pc moderno non potrà non imporsi sul vecchio, tanto più che questo è condannato, malgrado tutto, a sconfinare nell‟urto 2. Discorso pronunciato il 5 settembre 1996 all'Istituto Storico per la Storia Sociale ad Amsterdam 210 Cari amici di Amsterdam, dell'Istituto Internazionale di Storia Sociale. È sempre rischioso per un intellettuale esporsi in prima persona, senza amnesie e senza compiacenze sulla storia del proprio paese e su quella della propria azione, che poi nel mio caso concerne anche l‟Europa. Quindi spero di non deludervi e di rispondere al vostro invito con argomenti pertinenti al bel tema che avete posto in testa a questo incontro: l‟Italia e le sue occasioni mancate. Tanto più che quelli che hanno pagato sempre molto caro l‟aver compreso le distorsioni e della teoria e della propria eredità filosofica e culturale, che hanno pagato sempre a caro prezzo la propria dissidenza, decisi se occorre a pagarlo ancora allorché si tratti della sete di verità che può animare un‟intera vita, eccomi qui tra voi come una intellettuale che, pur senza proclamarsi vincente, può attraversare una parte della propria vita oggi, con la convinzione di aver avuto spesso la forza della ragione, affidata a noi dagli eventi. È sempre rischioso certo avere scambi vivaci come questo con tutti gli interlocutori possibili in aperte tribune di verità, e questo mi accade dall‟epoca in cui insegnavo Gramsci a Parigi, e la storia del Fascismo, compreso quello di Vichy, nell‟università francese, ai giovani dell‟Università di Vincennes, unico stravagante frutto che seguì il „68, movimento creativo di eccezione, la cui storia è sempre presente ed è sempre da scrivere. Certo, anche perché quella università fu poi rasa al suolo da Giscard d'Estaing, per la carica sovversiva che le idee che vi erano state espresse continuava ad esercitare. Davanti a voi, cari amici olandesi, sono cosciente di presentarmi come una intellettuale “senza opere”. Nel senso che questa assenza d‟opera, come diceva Althusser, è dovuta non tanto al rifiuto quanto a traduzioni mancate dei miei libri qui da voi. E cosi mi sorprendo sempre nell‟essere conosciuta, più che per quella dozzina di libri da me scritti, soprattutto per una sorta di eco, che ha valicato ogni censura e che ha costituito una piccola “reputazione” attorno a me, un confuso aleggiare positivo della mia immagine, il che mi sembra estremamente singolare perché basata non tanto sui testi, quanto su un udito sottile di altri intellettuali e studenti che intendevano i miei passi di viandante europeo. Presentandomi a voi accenno appena alla mia identità perché essa è complessa, tanto che l'ho ritrovata e perduta più volte nei crocicchi planetari, nella foresta delle ideologie, nelle lotte. Nella mia esistenza di donna italiana, ho più volte cambiato “nazionalità”, nel senso che mi sono sentita “cinese” a pechino in rivolta contro il dominio di Mosca, spagnola a Madrid (dove una volta finii nelle prigioni di franco), combattente per la libertà e contro il colonialismo in Algeria, “argentina” con le madri dei “desaparecidos” a Buenos Aires, cilena a Santiago sulla tomba di Allende, e “berlinese”, attraversando avanti e indietro quel Muro, talora con il mio amico scrittore Peter Schneider, al cui crollo ho dedicato tante energie, insieme ai dissidenti più amati. E poi, mi sono sentita assolutamente, totalmente “francese” per una ventina di anni, insegnando in quelle università e condivendo le amicizie di grandi spiriti (ahimé, essi sono quasi tutti scomparsi), da Althusser a Sartre, a Foucault, agli anni delle nuove generazioni e di Cohn Bendit (che rivedo ora ogni tanto al parlamento europeo), la grande avventura indelebile della rinascita sessantottesca. Quanto alla mia vita personale ho tre punti di riferimento: Sabaudia, davanti al monte che fu di Circe; Roma, dove le vecchie pietre mi ricordano non solo la più eccezionale civiltà, ma anche il riso della storia; infine, come ho detto, Parigi, dove trovo talora conforto intellettuale e rifugio. La nazione di cui sono fondamentalmente figlia e di cui, anche attraversando tanta parte del pianeta, non ho perduto né le caratteristiche, né l'amore, né la lingua, ebbene questo paese mi ha talora sopportato di malanimo, per diffidenza ancestrale, misogino cattolica, per 211 una donna che agisce senza reti di protezioni politiche, senza appartenenza a gruppi, a clan, senza amicizie di boss. Così le mie disavventure in politica sono state numerose. Cominciai giovanetta in una scuola di partito facendo la mia autocritica, che era lo scotto da pagare allora per essere ritenuti dei buoni comunisti, poi subii le critiche del Comitato federale napoletano per aver scritto un libro bellissimo che si chiamava “Lettere dall'interno del PCI a Louis Althusser” e infine fui radiata dal partito nel 1977, per avere sostenuto e accompagnato la lotta degli universitari bolognesi che, come quelli di Parigi, volevano inventare una nuova cultura universitaria. Contro di loro erano schierati anche uomini come il nostro Umberto Eco, divenuto poi famosissimo scrittore. Contro di noi ci fu una censura e una persecuzione implacabili, di una sinistra stremata, sull‟orlo dell‟allucinazione, con la paura costante di doversi misurare con chi pensava altrove, oppure contro il potere cieco degli apparati, dei governi, delle potenze stabilite. Oppure che scrivesse libri, articoli, la cui risonanza poteva toccare le giovani generazioni, bloccate dallo stalinismo mentale, da cui cercavano con una pratica costante di liberarsi senza posa. Così alla domanda dello scrittore Tom Welschen, che mi chiedeva “come mai lei è più conosciuta qui da noi e nel nord d‟Europa, che non in Italia?” (non era quella di Tom Welschen una domanda privata, ma una interpellanza pubblica, politica e intellettuale al massimo), la risposta è quella che ho qui appena accennato, ma che forse un giorno sarà oggetto di un‟analisi più profonda, su un percorso che ha voluto essere e fuori dell‟opportunismo e fuori del dogmatismo. Certo, non ero sola, ma numerosi erano a quell‟epoca gli intellettuali - oggi, ahimé, essi sono stati quasi tutti di proposito dimenticati - che cercavano di restituire alle masse la parola, la libertà di opinione o anche la forza della rivolta. Come era avvenuto nel „68, poi nel „77, nell'epoca burascosa del “compromesso storico”. “Dopo marzo, aprile”, è il libro che dedicai a quegli anni di rivolta ideologica e quindi alla manomissione dello Stato da parte dei partiti tangentisti, tutti legati da un patto di connivenza banditesca, come nel libro successivo, “La forza degli italiani” spiegai, in anticipo su tutti quelli che saranno gli scandali sollevati dal pool Mani Pulite, personalmente da Di Pietro, in anticipo dicevo con pagine che oggi giudico non tanto profetiche, quanto frutto di una conoscenza profonda di quello che sentivo, ascoltavo e vedevo in Italia. Ora il presidente della Camera Violante parla di errore necessario, alludendo a quel compromesso storico su cui mi soffermerò più avanti, per disegnare la necessità di un “consenso” tra i grandi partiti, DC e PCI, e non capisco ancora oggi, come non capivo ieri, cosa vi fosse di necessario nell‟infilarsi “organico” dentro una gang di malfattori, un racket costante, tutti attorno ad un tavolo da gioco d‟azzardo, dove la posta era l‟unità dello Stato, le casse dello Stato. Rinvio qui al mio libro “La forza degli italiani”, uscito nel „90, prima dell‟esplosione giudiziaria, dove si delinea il rapporto tra un popolo che disprezza la sua classe dirigente e ne conosce i furti e le furbizie, e al tempo stesso questa curiosa energia italiana per cui il cittadino regolarmente si rimbocca le maniche, soffre per la mancanza dell‟unità nazionale, ama la Patria ma non sa dove sia, vorrebbe lo Stato ma si accorge di avere davanti un vuoto. E questo italiano, di cui elogio la forza, è un cittadino che spesso con le proprie energie rimpiazza la mancanza di ospedali, di strade, la trascuratezza del patrimonio d‟arte, anche se poi froda lo Stato stesso sul fisco, che ritiene predatorio. L‟Italia d‟oggi sta pagando il conto della sua mancata unificazione, quella per cui si immolarono gli intellettuali napoletani di due secoli orsono, l‟unificazione statale, economica, sociale, avvenuta negli altri paesi europei. Non unificarono l‟Italia né Cavour, né Crispi, né il bravo Garibaldi, né 212 i liberali, né Vittorio Emanuele e la monarchia dei Savoia, che si alleò poi con Mussolini, né la Chiesa che firmò con il dittatore il Concordato, poco dopo la presa del potere da parte delle camicie nere. Ma neppure la sinistra, e nemmeno i comunisti, il cui occhio si rivolgeva verso la rivoluzione russa come panacea a tutti i mali, riuscivano a rendersi conto che la questione primaria era quella dell'unità del Paese, diviso tra Nord e Sud. Solo Gramsci aveva scritto una “Questione meridionale” collegandola strettamente alla mafia, allegrandi proprietà terriere del Sud, con l'industria del Nord, tutti insieme in una sorta di spartizione del territorio e delle sue risorse basate sul compromesso. Questo sostantivo “compromesso” percorre tutta la storia d'Italia da quel 1870, quando Roma divenne capitale d'Italia, tolta allo stato pontificio, fino ai tempi nostri. Si può dire che il compromesso è la tela di ragno su cui si sono rette tante vicende, da quelle più turpi della dittatura, a quelle più furbe dei partiti politici. Oggi l‟Italia, quinta potenza industriale del pianeta, è la sola ad essere ricattata a sud dalla controsocietà mafiosa (esplode in questi giorni l‟enorme caso del boss di mafia Brusca, che fa tremare l'establishment politico), e a nord da un movimento secessionista guidato dalla rabbia separatista di Bossi, per il quale la Padania -uno stato che lui si è creato nella sua immaginazione - può arrivare ai parametri di Maastricht prima dell‟Italia. E chiede una sua polizia, un proprio fisco, una propria moneta e una propria totale autonomia da ogni governo centrale. Sono due morse opposte e parallele. Ai processi di mafia sono presenti come accusati gli uomini di Roma, i potenti del governo in primo luogo; non a caso, quell‟Andreotti che è stato primo ministro per tre legislature, che guidò il primo governo di compromesso storico. L‟unità d'Italia è tiranneggiata dunque dal Nord che non si è mai preoccupato di quello che succede nel Sud. come se ciò non lo riguardasse. È dinamitata dalla Lega che domanda la secessione, pur sapendo bene che un certo tipo di secessione di fatto è sempre stato praticato dal Nord nei confronti del Sud. Contro il separatismo della Lega, si cerca di opporre oggi il federalismo, una forma di regionalismo accentuato, per cui ogni regione possiede i suoi organi di governo, di potere e fiscale. Dirò qui qualcosa che non si usa dire mai in Italia, ed è l‟ostilità di molti di noi a ogni forma di federalismo o regionalismo, che non farebbe altro che accentuare le spezzature interne nel corpo di una nazione, che ha già subito nel corso della storia cento divisioni, ed è stata dominata da cento diversi poteri. Ma non siamo già troppo decentrati? Non siamo già troppo divisi tra noi? Da questo amore per la patria e per la sua unità, io mi sono proiettata nell‟epoca turpe di Tangentopoli, a rimettere in luce la forza dell‟unica rivoluzione che l‟Italia ha vissuto, quella di Napoli, due secoli fa, nel 1799, che aveva cercato di abbattere la monarchia borbonica e creato la Repubblica di Napoli, con leggi molto avanzate, e ancora oggi valide, tra il genio di Filangieri, il Montesquieu italiano, e quello dei grandi intellettuali napoletani, discendenti di Vico. Si pensi che il loro motto era “l‟Italia è una e indivisibile”. Ciò che ancora oggi disperatamente si cerca di fare accettare dentro la nostra Costituzione, due secoli dopo. E queste parole erano scritte ogni giorno sul giornale “Monitore”, diretto da Eleonora Fonseca Pimentel, una donna che ha realmente aperto la strada al femminismo vero e non alle scimmiottature successive sull'eguaglianza con gli uomini. Noi non abbiamo più visto tanto eroismo italiano, tanto amor di patria, tanta capacità di unione tra nord e sud, come all'epoca di questa rivoluzione e della nascità di un pensiero che si proiettava sull'Italia intera e verso l‟Europa. Dico ciò, quasi tra parentesi, per spiegare per quale ragione, in un'età come la mia, ho sentito la necessità assoluta di restituire alle nuove generazioni l'esempio luminoso di che cosa può essere e 213 di che cosa sono stati gli eroi italiani. Contro tutte le forme di compromesso. Dopo le nostre ultime elezioni politiche, per la prima volta si apre da noi, in Italia, un dibattito su quel compromesso storico nato venti anni or sono tra Berlinguer e Moro. Il compromesso di Berlinguer nasce, come si sa, dal crollo in Cile del potere di Allende democraticamente eletto l‟11 settembre 1973, così che la conclusione cui arriva il leader del PCI è che non bastano la maggioranza dei voti elettorali ad un governo, per garantirne la stabilità, davanti alla Destra. Non bastava, secondo Berlinguer, una maggioranza del 50 più uno per cento dei voti. Ma era necessario formare una maggioranza di tutte le forze della sinistra, onde poter partecipare al potere, compreso il centro e la destra. In breve, per noi italiani, significava allearsi con la possente DC, che dominava l‟Italia da decenni, nel compromesso detto infatti storico per la sua novità. Solo la parola “compromesso” dava a tutta la sinistra, soprattutto ai giovani, l‟orticaria, il vomito; era la parola d‟ordine dell‟inciucio al vertice, era l'abbraccio con il nemico, e la gioventù che si era modellata sulla rivolta del „68 e che si andava spostando sempre più a sinistra dopo l'autunno caldo, non poteva che vomitare. Un‟ondata nuova, a quell‟epoca, spazzava via il vecchio. Il compromesso cosi era per quei giovani una stanca linea di disfatta, che si allontanava sempre di più dall'ideale che si era modellato con la rivolta del „68. Era un atto di viltà difensiva. Cosi occorre qui dire che l‟avversione di Berlinguer e del partito comunista e di tutta la sinistra, ahimé costante, era stata proprio contro il „68. Offro una testimonianza personale. Con Berlinguer avevo assistito a Parigi nel teatro dell'Odeon, a una assemblea con Cohn Bendit, dove comunisti, intellettuali di sinistra, celebri maitre à penser erano stati beffati e messi ai margini. Non si voleva far parlare nemmeno Sartre, troppo compromesso coi comunisti. Berlinguer uscì furioso dall'Odeon e mi disse “mai, io sopporterò che da noi avvenga quello che ho visto qui”. Berlinguer era un uomo limpido, un uomo morale ma anche un uomo d'ordine. Cosi quello che non vapiva era che dietro quei giovani c'era una presa di coscienza per il fallimento del regime sovietico, con Praga che era stata di nuovo invasa, e che la patria del socialismo non esisteva più per loro, e che l‟Alleanza Atlantica, come dirà poi lo stesso Berlinguer, era ormai accettata come una sorta di scudo per l‟Occidente di fronte a una invasione dall'Est. Il distacco dall'Urss, l'avvicinamento ai giovani americani che si erano ribellati alla guerra nel Vietnam, col „68, diedero forma a nuove generazioni, a nuove forme non ibride di alleanza, e quindi a quell‟avvicinamento successivo tra Cina e Urss, per non parlare di quello che sarà il contesto di dialogo europeo tra le gioventù dei vari paesi. È la coscienza nuova che nelle fabbriche nacque con la creazione dei consigli di fabbrica e con lo statuto dei lavoratori. Nelle elezioni del 1976, il PCI aveva raggiunto il massimo dei voti mai ottenuti (dietro c‟era stata anche la vittoria dell'aborto e del divorzio). Tutti, dico tutta la sinistra, si era gettata nell‟azione elettorale per la vittoria dei comunisti, comprese le dissidenze di vario tipo e perfino certi piccoli gruppi extraparlamentari. quando vi fu la risposta deludente della storicità di un‟alleanza con i democristiani ovvero con il nemico, e con il suo uomo più sornione, più ambiguo, più demoniaco per la furbizia, Giulio Andreotti, che diventò il capo del governo, e il vero protagonista degli eventi, con un Berlinguer ideologo imbarazzato e un Moro impaurito, la furia e la rabbia circolarono in tutta italia. Il dibattito sul governo allora fu davvero un “errore necessario”. Io direi un “errore” e basta. Quell‟errore lo ripudiavano non soltanto i “bolscisti”, quelli che venivano definiti estremi o irresponsabili, ma c‟era una cocente delusione dovunque. A quell‟epoca Pasolini inventò il simbolo del Palazzo, come luogo centrale della corruzione dei partiti politici, 214 dell‟intrigo dei poteri. E scriveva sul < due enormi volumi di mille pagine ciascuno, che ricostruivano quegli eventi. Direi che come uno struzzo, la Francia ingoia i chiodi più duri, nel bene e nel male, per irrobustire la propria storia di nazione, e farne evento corale, anche dove essa sia stata una storia che le classi dirigenti non hanno condiviso. Quale intellettuale da noi riesce a capire questo spirito che sta alla base di una nazione? Il successo elettorale dell'ultimo 21 aprile non mi ha lasciato indifferente, né me, né quella generazione della sinistra che era passata attraverso tanta battaglia. Abbiamo visto ministri del PDS giungere al governo, non soli certo, mescolati a una coalizione di forze di centro e di sinsitra, e hanno rappresentato un fatto assai singolare per gente come me, che fin da giovanetta aveva seguito, magari sotto il volto barbuto di Garabaldi, le coalizioni che si raggruppavano a sinistra ma il cui fallimento era stato sempre puntuale. L‟impegno di D‟Alema di dar vita ad un‟organizzazione unica di tutte le forze riformiste che esistono porta di necessità ad una complessiva trasformazione della sinistra. Manca ancora una pietra miliare a questo edificio così sbalorditivamente costruito con l‟ultima vittoria politica. Sul terreno dell‟alternanza, sul terreno del bipolarismo, anche se finalmente si mette fine, nella prospettiva, all'omnipotenza del partito. Non c‟è più la vecchia DC, né il vecchio PSI, che non è stato oggetto di questa mia esposizione ma le cui colpe si sono accompagnate al più clamoroso fallimento e di Craxi e della sua formazione. Non c‟è più il vecchio PCI, ma non si è demolito secondo me il giustificazionismo storico sul passato. Non si è riletta criticamente quella storia per cui il PCI non poteva mai sbagliare e che ogni forma di dissidenza era per sua natura diabolica. Da Silone in poi la lettura del passato in modo autocritico è stato messa da parte, come se non esistesse. Non si tratta di un leader solo, poniamo di D'Alema o di Veltroni, quanto di uno strato profondo del vecchio funzionariato comunista che si mantiene nel fondo dell'animo anche del PDS. Ci vorranno molte generazioni per avanzare, in una ripulitura di fondo. Né noi siamo oggi aiutati da un pensiero lucido degli intellettuali, né dei grandi giornali. Gli scandali continuano a succedere agli scandali, ma la voce incontrollabile, la falsa informazione, sembrano continuare ad essere la taglia selvaggia che paghiamo ogni giorno all'acquisto di una stampa molto ben fatto spesso, allegra, spensierata, eppure il cui fondo è estremamente pericoloso. È come se leggessimo un giornale solo, fatto di 400 pagine, tanto i giornali sono uguali fra di loro. Non sappiamo né sapremo mai quel che è successo, nel processo di informazione e disinformazione costante, di cui continuiamo ad essere i destinatari. Io avevo parlato una volta di “mitridatizzazione dell‟italiano”, di assuefazione al veleno della notizia falsa. Al mattino, leggendo un nostro giornale all‟estero, si viene talora terrorizzati. L‟indomani però con lo stesso titolo a nove colonne c‟è la smentita. I giornalisti sono paladini coraggiosi o cospiratori a favore dell'ordine stabilito? C'è gente specializzata nel far conoscere notizie che possono convenire, alla mafia, al partito, a Bossi, ma ancora dura questo sistema. Con un doppio vantaggio, i giornali vendono sempre di più e gli italiani aspettano sempre di essere meno frastornati. Tuttavia se c'è qualcosa che continua a darci speranza è che noi viviamo in una fase dove la passione per l'unità italiana aumenta ogni giorno, cosi come la voglia di patria, ovvero di un Paese che in tal senso abbia il suo spazio in Europa, che mi appare spesso come il nostro unico scudo protettivo. Testi di Macciocchi pubblicati 216 1. La filosofia come arma della rivoluzione. Nostra intervista con il compagno Louis Althusser sui problemi della ricerca marxista contemporanea, < Puoi dirci qualcosa della tua storia personale? Come sei diventato filosofo marxista? Nel 1948, a trent‟anni, sono diventato professore di filosofia, e ho aderito al Partito comunista francese. La filosofia mi interessava: cercavo di fare il mio mestiere. La politica mi appassionava: cercavo di diventare un militante comunista. Ciò che mi interessava nella filosofia, era il materialismo e la sua funzione critica: per la conoscenza scientifica, contro tutte le mistificazioni della < L‟istinto di classe è soggettivo e spontaneo. La posizione di classe è oggettiva e razionale. Per passare sulla posizione di classe proletaria, l‟istinto di classe dei proletari ha soltanto bisogno di essere educato; al contrario, l‟istinto di classe degli intellettuali deve essere rivoluzionato. Questa educazione e questa rivoluzione sono determinate, in ultima istanza, dalla lotta di classe proletaria condotta sulla base dei principi della teoria marxista-leninista. La conoscenza di questa teoria può aiutare, come dice il Manifesto, alcuni intellettuali a passare sulle posizioni della classe operaia. La teoria marxista-leninista comprende una scienza (il materialismo storico), e una filosofia (il materialismo dialettico). La filosofia marxista-leninista è dunque una delle armi teoriche indispensabili alla lotta di classe proletaria. Tutti i militanti comunisti devono assimilare e utilizzare i principi della teoria: scienza e filosofia. La rivoluzione proletaria ha anche bisogno di militanti che siano degli scienziati (materialismo storico) e dei filosofi (materialismo dialettico). La formazione di questi filosofi urta contro due grandi difficoltà. 1) Prima difficoltà: politica. un filosofo di professione che si iscrive al Partito è, ideologicamente, un piccolo-borghese, il quale deve rivoluzionare il suo pensiero per occupare una posizione di classe proletaria nella filosofia. Questa difficoltà politica è < 5) Nella loro massa soltanto i militanti proletari hanno riconosciuto la portata rivoluzionaria della scoperta scientifica di Marx. La loro pratica politica ne è stata trasformata. Ed ecco il più grande scandalo teorico della storia contemporanea. Nella loro massa, invece, gli intellettuali (specialisti di Scienze umane, filosofi), nonostante il loro mestiere, non hanno veramente riconosciuto o hanno rifiutato di riconoscere la portata straordinaria della scoperta scientifica di Marx, che essi hanno condannato e spregiato, e che essi deformano quando ne parlano. Salvo eccezioni, essi ancora stanno < Anche qui rispondo con delle tesi schematiche provvisorie. 1) Le posizioni di classe che si affrontano nella lotta delle classi sono rappresentate nel campo ideologico (ideologia religiosa, morale, giuridica, politica, estetica, ecc.) da delle concezioni del mondo di tendenza antagonista: idealista e materialista. Ogni uomo ha spontaneamente una concezione del mondo. 2) Le concezioni del mondo sono rappresentate nel campo della teoria (scienze+ideologie < Ci sono oggi risorse infinite nei nostri paesi per la lotta delle classi rivoluzionarie. Evidentemente non è con le nozioni ideologico-borghesi di < 221 2. La donna nel sud: una condizione disperata, < Vi è un modo particolarmente infelice di essere donna, ed è quello di esserlo nel Mezzogiorno d‟Italia. La < lavoro, come un esercito di mercenari, ai monopoli europei (l‟85% deu 3 milioni di emigranti aveva meno di 25 anni), potevano invece diventare – nel quadro di una società avanzata – la spina dorsale di una nuova classe dirigente. Vent‟anni dopo, lo spettacolo che offrono i figli delle donne meridionali è traumatizzante, soprattutto a Napoli, dove miriadi di bambini giocano tra l‟immondizia, sono azzannati dai topi, non conoscono la scuola che fino alla seconda o terza elementare, e vendono la loro gracile forza-lavoro a 10 anni. Il marchio infamante della DC – che governa da sempre nell‟interesse dei monopoli del Nord e lo fa oggi con il sostegno accanito dei socialisti – è la sua violazione del diritto alla cultura e all‟istruzione dei figli del Mezzogiorno. Ecco le cifre, sferzanti: sui 6 milioni e 923.570 ragazzi italiani, tenuti fino ai 14 anni alla frequenza della scuola dell‟obbligo, sono mancati all‟appello (al 31 dicembre del 1965) 609.090 bambini. Ebbene, di questi < difatti si concluse con l‟allargamento dell‟influenza del sindacato. Contro questa forza operaia combattiva si avventa il padronato meridionale, sostenuto dal noto < 3. Lasciapassare per < Nessuna persona estranea alla fabbrica può adesso più entrare da Renault, annunciava ieri “Le Monde”. Nessun giornalista. Nessun reporter della radio e della TV. Il comitato di sciopero della Renault afferma di averne abbastanza delle loro ambiguità. I picchetti, dall‟alto di garitte improvvisate, montano la guardia duramente sulle mura chilometriche dell‟officina (non si può più fotografare nemmeno dall‟esterno), dove si 224 levano le bandiere rosse sopra ogni porta di ferro sbarrata ermeticamente, e dove si inalbera la scritta: < della Renault. L‟operaio Piriou mi racconta, egli prese la parola alle 7 del mattino del 15 maggio, a nome delle tre organizzazioni sindacali, e la sua voce, chiara, giovane, le parole semplici, caddero nel silenzio comatto della folla che gremiva la navata di questa cattedrale del metallo. 1) non riprendere il lavoro; 2) eleggere in ogni dipartimento sotto responsabilità delle organizzazioni sindacali i comitati di sciopero; 3) discutere in ogni atelier per conoscere l‟opinione dei lavoratori, e votare per l‟occupazione in ogni dipartimento della fabbrica; 4) tenere una nuova assemblea definitiva nel pomeriggio. Si passa al voto. Una foresta nera di braccia si leva per dire l‟accordo di tutti. Nessun voto contrario. Chiedo ad Halbeher se può raccontarmi quale < Alla Renault di Boulogne, nel pomeriggio del 14, si procedeva all‟occupazione della fabbrica con i duemila operai che vi erano dentro, e si indiceva l‟assemblea generale operaia di cui si è detto, per ottenere il consenso della massa, all‟indomani alle 7. Nella giornata del 15 – subito dopo la proclamazione dell‟occupazione, che sarà confermata unilateralmente dal voto dell‟assemblea riunita ancora una volta la sera – si erano intanto costituiti 50 comitati di sciopero, uno per ogni grande dipartimento, e ogni operaio del comitato era stato dotato di una fascia speciale. I comitati di sciopero hanno cominciato ad organizzare subito la vita nella fabbrica divenuta città chiusa. < della Renault, con un nuovo statuto che rappresenta in pratica l‟autogestione. Ma la parola d‟ordine politica che subentra e prende il primo piano è quella della costituzione di un governo popolare con i comunisti. Diecimila firme vengono raccolte dai comitati d‟azione creati per imporre delle soluzioni che vadano in questa direzione, e quindicimila per sollecitare < non si associa nemmeno essa. Applausi ardenti vanno al contrario anche a questi due oratori quanto dicono che < 4. La costola di Adamo non c’entra. India, un volto sconosciuto del grande paese asiatico < < dell‟uomo, il quale afferma che essa gli è inferiore. Ma quelli, tra gli uomini, che vedono e capiscono, hanno riconosciuto la sua eguaglianza>> (1940, Arijan). Contro il feroce costume indù che vuole al rogo le vedove, Gandhi predica la sconvolgente nuova morale, facendo giustizia dei tabù segreti: < come corollario necessario che qualsiasi cosa avvilisca lo stato dell‟uno comporterà la rovina di entrambi>>. (Dal discorso < estremamente complesso. La donna indiana evolve presto, più presto che gli uomini. Troppo presto, dicono alcuni. ma che temono? Più una donna è evoluta, più è efficace nel suo focolare>>. Indira ha due figli dal fisico di atleti – uno è disegnatore di automobili, sposato con una ragazza italiana di Torino, e l‟altro è pilota. Vedova di Feroce Gandhi – malgrado il cognome questi non aveva nessuna parentela con il Mahatma- che morì di un crisi cardiaca nel 1960, si dice che vivesse da tempo separata dal marito e che la sua vita matrimoniale fosse stata infelice. Si comprende comunque che visse più a fianco del padre, < Una storia familiare per raccontare il Sud, < < un affresco. Capire questo metodo è importante per i nostri rozzi ragazzetti e talora anche uomini televisivi che non sanno nemmeno che a Napoli, due secoli fa, vi fu una rivoluzione, quella del 1799. Ma allorché si sono messi sulla buona strada, a scavare nei secoli, nel passato tramandato da nonni e bisnonni, hannop arricchito di colpo la loro mente, la riflessione, il pensiero. Il 20 agosto dell‟anno scorso, nel tragico bicentenario della grande mattanza di Ferdinando di Borbone, che fece uccidere in Piazza Mercato Eleonora Fonseca Pimentel, il vescovo di Vico Equense, il principe Serra di Cassano, quel passato sembrava dimenticato da tutti. Ma quando abbiamo iniziato a parlarne sotto un sole feroce come quello di duecento anni fa, ci siamo accorti che si sollevava come una pietra tombale e venivano fuori le ombre di coloro che sembravano scomparsi per sempre. I discendenti di quei giacobini, la cui storia era stata passata di padre in figlio, in quest‟anniversario si riversavano per le strade di Napoli a frotte, portando qualche fiore, fino a recarsi nell‟alta notte davanti al luogo dove si ergeva il patibolo dei martiri dell‟unità d‟Italia. Perché dico questo? Perché mi sono accorta che la ricostruzione della storia passata si opera non solo leggendo i libri ma frugando nella storia delle famiglie, delle guerre, delle carestie, delle vicende esasperanti o laceranti, la cui memoria è stata lasciata chiusa in un cassetto. Il capitano Conti a Parigi incontra Malaparte, al quale si lega di amicizia, e poi collabora al periodico < sono ancora vivi e che possono narrare cos‟era Roma sotto il fascismo, Napoli sotto i bombardamenti e il Mezzogiorno e l‟Italia invasi dalle truppe tedesche, fino alla liberazione. Vi sono libri, libroni, enciclopedie, ma manca la storia viva degli uomini, manca il loro reale, vero, caloroso, innamorato ricordo. 234 BIBLIOGRAFIA Opere di Maria Antonietta Macciocchi 1. La voce della donna: quindicinale di orientamento e di studio dell'Unione donne italiane - Roma - 1948- 2. Sotto accusa la stampa femminile borghese, Roma, Noi Donne, 1950 3. Persia in lotta. Roma, Edizioni di cultura sociale, 1952 4. Con Maccari, Ruggero, Una giornata particolare: soggetto e sceneggiatura di Ruggero Maccari e Ettore Scola; con una nota di Maria Antonietta Macciocchi 5. Macciocchi et al., Anche lei possiede la buona terra; premessa di M. Maddalena Rossi; a cura di S.l.Roma, 1955 6. Lettere dall'interno del PCI a Louis Althusser. Milano, Feltrinelli, 1969 7. Dalla Cina dopo la rivoluzione culturale;Milano, Feltrinelli, 1971 8. Polemiche sulla Cina; con testi di Ch. Bettelheim ...et al. Milano, Feltrinelli, 1972 9. Per Gramsci, Bologna, Il mulino, 1974 10. Eléments pour une analyse du fascisme: seminaire de Maria-A. Macciocchi, Paris VIII - Vincennes 1974-1975. Interventi di François Chatelet et al. Paris, Union general d‟édition, 1976 11. La donna nera: consenso femminile e fascismo. Milano, Feltrinelli, 1976 12. Prefazione “Experience heretique : langue et cinema” di Pier Paolo Pasolini; traduit de l'italien par Anna Rocchi Pullberg. Paris, Payot, 1976 13. Prefazione “Guida a Gramsci” di Dominique Grisoni, Robert Maggiori; prefazione di Maria Antonietta Macciocchi e Francois Chatelet. Milano, Rizzoli, 1977 14. La talpa francese: viaggio in Francia. Milano, Feltrinelli, 1977 15. Prefazione “Una donna: romanzo” di Sibilla Aleramo. Milano, Feltrinelli, 1978 16. Dopo Marx aprile, introduzione di Leonardo Sciascia. Roma, Editoriale l‟Espresso,1978 17. Le donne e i loro padroni: testi del seminario di Vincennes diretto da Maria Antonietta Macciocchi; a cura di Jacqueline Aubenas-Bastie. Milano, Mondadori 1980 18. Pasolini: seminaire dirige par Maria Antonietta Macciocchi, Paris, Grasset, 1980 19. Di là dalle porte di bronzo: viaggio intellettuale di una donna in Europa. Milano, Mondadori, 1987 (NUOVA ED. La donna con la valigia: viaggio intellettuale di una donna in Europa– 1989) 20. La forza degli italiani. Milano, Mondadori, 1990 21. Le donne secondo Wojtyla: ventinove chiavi di lettura della Mulieris dignitatem, a cura di Maria Antonietta Macciocchi. Milano, Edizioni Paoline, 1992 22. Cara Eleonora. Passione e morte della Fonseca Pimentel. Milano, Rizzoli, 1994 23. L' amante della rivoluzione: la vera storia di Luisa Sanfelice e della Repubblica napoletana del 1799. Milano, Mondadori, 1998 24. Duemila anni di felicità: diario di un'eretica. Milano, Tascabili Bompiani, 2001 Bibliografia generale 1. Storia del fascismo Renzo De Felice, Intervista sul fascismo, Bari, Laterza, 1975. Renzo De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Roma-Bari, 1977; Mussolini, I Il rivoluzionario; II Il fascista. 1. La conquista del potere, 2. L’organizzazione dello Stato fascista; III Il Duce. 1. Gli anni del consenso; 2. Lo Stato totalitario; Mussolini l’alleato. 1. L’Italia in guerra; 2. Crisi e agonia del regime, Torino, Einaudi, 2008; Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1961. 235 Nicola Tranfaglia e al., Fascismo e capitalismo, Milano, Feltrinelli, 1976. Guido Quazza e al., Storiografia e fascismo, Milano, Angeli, 1985. Federico Chabod, L'Italia contemporanea (1918-1948), Einaudi, Torino, 1961. Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Bari, 2002. Emilio Gentile, Storia del partito fascista 1919-1922. Movimento e milizia, Laterza, Bari, 1989. Emilio Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell'Italia fascista, Laterza, Bari, 1993, n. ed. 2003. Emilio Gentile, Il fascismo in tre capitoli, Laterza, Bari, 2004. Emilio Gentile, Fascismo e antifascismo. I partiti italiani fra le due guerre, Le Monnier, Firenze, 2000. Emilio Gentile, Le origini dell'ideologia fascista (1918-1925), Laterza, 1975; Il Mulino, Bologna 1996; 2001. Emilio Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Carocci, Roma 1995; 2001. 2. Antifascismo e Resistenza Alberto De Bernardi Bibliografia dell’antifascismo italiano, Roma, Carocci, 2008. Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2001. L'Atlante storico della Resistenza, Milano, Bruno Mondadori, 2001. Storia dell’antifascismo italiano, a cura di Luigi Arbizzani e Alberto Caltabiano, Prefazione di Giuseppe Gabelli, vol. I, Lezioni, vol. II, Testimonianze, Roma, Editori Riuniti, 1964, Collana Enciclopedia Tascabile. P. Alatri, Il prezzo della libertà. Episodi di lotta antifascista, Tip. Nava, Roma 1958. P. Alatri, L'Antifascismo italiano, 2 voll., Editori Riuniti, 1973. R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Einaudi, 1964. G. Quazza, La Resistenza italiana. Appunti e documenti, Giappichelli, 1966. M. Salvadori, Storia della Resistenza italiana, Neri Pozza, 1955. P. Secchia, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945, Annali Feltrinelli, anno XIII, 1971. P. Spriano, Storia del PCI, vol. V: la Resistenza, Einaudi, 1975. Enzo Collotti (a cura di), Fascismo e antifascismo. Rimozioni, revisioni, negazioni, Bari, Laterza, 2000. Paolo Mieli, Storia e politica. Risorgimento, fascismo e comunismo, Garzanti, Milano 2001. Filippo Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi, Laterza, Roma-Bari 2005. Roberto Chiarini, 25 aprile. La competizione politica sulla memoria, Marsilio, Venezia 2005. Ugo Finetti, La Resistenza cancellata, Edizioni Ares, 2003. Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti, Sperling & Kupfer, Milano, 2003. Giampaolo Pansa, I figli dell’aquila, Sperling & Kupfer, 2002. Giampaolo Pansa, Sconosciuto 1945, Sperling & Kupfer, 2005. Giampaolo Pansa, La grande bugia, Sperling & Kupfer, 2006. Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991. Rosario Bentivegna, Achtung Banditen! Mursia, 1983, n. ed. 2004. A. Sciamanda, L’autunno nero del ’43. Fascisti e antifascisti a Regina Coeli, Giunti, Firenze, 1993. M. Avagliano G. Le Moli, Muoio innocente. Lettere di caduti della Resistenza a Roma, Mursia, Milano, 1999 A. Bravo, Riflessioni sull’esperienza femminile nella Resistenza, in Donne a Roma, 1943-44, Roma, Cooperativa Libera stampa, 1996. 236 M. Ombra, Essere dentro la storia. Scelta politica di appartenenza di genere nell’esperienza partigiana, "Italia Contemporanea", n.198, marzo 1995. M. Ombra, Donne e Resistenza: una sconvolgente scoperta, in Contadini e partigiani, Atti del Convegno storico (Asti, Nizza Monferrato, 14-16 dicembre 1984), Edizioni dell‟Orso, Alessandria, 1984. M. Addis Saba, Tutte le donne della Resistenza, Milano, Mursia, 1998. M. Addis Saba, Ma la storiografia ufficiale si dimentica delle partigiane, in < 3. Storia del PCI Nello Ajello, Intellettuali e PCI, 1948-1958, Bari, Laterza, 1997. Giorgio Galli, Storia del Partito Comunista Italiano, Milano, Kaos edizioni, 1993. Giorgio Napolitano, Dal PCI al socialismo europeo. Un’autobiografia politica, Bari, Laterza, 2006. Paolo Spriano, Storia del partito comunista italiano, Torino, Einaudi, 1967-75 4. Storia del Novecento François Furet, Il passato di un'illusione. L'idea comunista nel XX secolo, ed. Mondadori, 1995. Ernst Nolte, La guerra civile europea 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2008. Ernst Nolte, F. Furet, Ventesimo secolo. Per leggere il Novecento fuori dai luoghi comuni, Liberal Libri, 1997; Dopo il comunismo Contributi all'interpretazione della storia del XX secolo, Santoni, 1992. Fontaine, Storia della Guerra fredda, Milano, Il Saggiatore, 2005. AA.VV. L'indimenticabile '56, in < András Nagy, Il caso Bang-Jensen. Ungheria 1956: un paese lasciato solo, Baldini-Castoldi Dalai, 2006. Edgar Morin, Penser l’Europe, Gallimard, Paris, 1987 Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, 1919-1999, Roma, Laterza, 2000. J. Baptiste Duroselle, Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, edizione italiana a cura di Pietro Pastorella, Milano, LED, 1998. 5. Storia dell‟Italia del dopoguerra Vittorio Foa, Questo Novecento. Un secolo di passione civile. La politica come responsabilità, Torino, Einaudi, 1996. Aurelio Lepre, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1942 al 1994, Il Mulino, 1993. Giuseppe Mammarella, L’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1990. Pietro Scoppola, La Repubblica dei partiti, Bologna, Il Mulino, 1991. Paul Ginsborg, La storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Torino, Einaudi, 1989. G. Galli, Affari di Stato. L’Italia sotterranea 1943-1990: storia politica, partiti, corruzione, misteri, scandali, Milano, Kaos Edizioni, 1991. AA.VV. Alcide De Gasperi. L’età del centrismo. 1947-1953, a cura di G. Rossini, Roma, Edizioni Cinque Lune, 1990 P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 185 Fernanda Macciocchi, Treno speciale, Firenze, Vallecchi, 1954 Valerio Castronovo e al., L’Italia contemporanea 1945-1975, Torino, Einaudi, 1976. Marcello Flores e al., Gli anni della Costituente. Strategie dei governi e delle classi sociali, Milano, Feltrinelli, 1983. Antonio Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere Dc, Bari, Laterza, 1975. 6. Storia della questione femminile Ginevra Conti Odorisio e Fiorenza Taricone, Per filo e per segno, Torino, Giappichelli, 2008. Ginevra Conti Odorisio, Storia dell’idea femminista in Italia, Torino, ERI, 1980. Ginevra Conti Odorisio, Ragione e tradizione, La questione femminile nel pensiero politico, Roma, Aracne, 2005 G. C. Odorisio, Barrault e l’emancipazione femminile nella scuola sansimoniana, in Popolo, Nazione e democrazia tra Ottocento e Novecento, a cura di G. Manganaro Favaretto, Trieste, Edizioni Università, 2005 Ginevra Conti Odorisio, La rivoluzione femminile in < 7. Marxismo e questione femminile L. Sargent, Women and Revolution. The un happy mariage of marxism and feminism, London, Pluto Press, 1981. Aida Tiso, I comunisti le la questione femminile, Editori Riuniti, 1976. N. Spano, F. Camerlenghi, La questione femminile nella politica del PCI, Ed. Donne e politica, Roma, 1972. Camilla Ravera, Come nacque nel PCI una politica per l’emancipazione femminile, in Donne e politica, n. 5-6, 1971. 238 F. Pieroni Bortolotti, Socialismo e questione femminile in Italia (1892-1922), Milano, mazzetta, 1974. August Bebel, La femme et le socialisme, Imprimerie Coopérative, Gand, 1911 (trad. it., La donna e il socialismo, Savelli, Roma, 1973). Friedrich Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), Editori Riuniti, Roma, 1968. Vladimir Lenin, L’emancipazione della donna, Editori Riuniti, Roma, 1970. Clara Zetkin, Souvenirs sur Lanine, Bureau d‟Editions, de diffusione t de publicité, Paris, 1926. K. Marx, F. Engels, Opere scelte, Roma, Ed. Riuniti, 1966, p. 310 Jeannette Vermeersch e Jean Freville (a cura di), La femme et le communisme. Anthologie des grands textes du marxisme, Paris, Editions sociales, 1951. 8. Storia delle donne nell‟Italia del dopoguerra S. Casmirri, L’Unione Donne Italiane (1944-1948), Roma, Quaderni FIAP, 1978. M. Michetta, M. Repetto, L. Viviani, UDI, Laboratorio di politica delle donne, Roma, Cooperativa Libera Stampa, 1984. S. Nelli, Lo scioglimento del matrimonio nella storia del diritto italiano, Milano, Giuffré, 1976. P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia (1796-1942), Bologna, Il Mulino, 1974. A. Cappiello, E. Marinucci, G. F. Rech, L. Remiddi (a cura di), Donne e diritto, due secoli di legislazione 1796/1986, Roma, Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna, Poligrafico dello Stato, 1988. C. Cardia, Il diritto di famiglia in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1975. M.G. Manfredini, La posizione giuridica della donna nerll’ordinamento costituzionale italiano, Padova, Cedam, 1978. A. M. Galoppini, Il lungo viaggio verso la parità. I diritti civili e politici delle donne dall’unità a oggi, Bologna, Zanichelli, 1980. 9. Althusser Opere di Louis Althusser Pour Marx, La Découverte, Paris, 1965; trad. it.: Per Marx, Roma, Editori Riuniti 1974, n. ed. Mimesis, 2008. Con Etienne Balibar, Roger Establet, Pierre Macherey e Jacques Rancière, Lire Le Capital, 2 volumi, Maspero 1965, n. ed. Broché, 2008; trad. it.: Leggere Il Capitale, Mimesis, 2006. Marxismo e umanesimo, Critica Marxista, Editori Riuniti, Roma, n. 2 marzo-aprile 1964, pp. 69- 88 Per un concetto di storia, Critica Marxista, Editori Riuniti, Roma, n. 1, gennaio-febbraio 1966. Ideologia e apparati ideologici dello Stato, < Opere su Louis Althusser A. Callinicos Althusser's Marxism, London, Pluto Press, 1976.. 239 Elisabeth Roudinesco, Philosophy in Turbulent Times: Canguilhem, Sartre, Foucault, Althusser, Deleuze, Derrida, Hardcover Book, 2008. Mark Poster, Existential Marxism in Postwar France: From Sartre to Althusser, Hardcover Book, 1975. Robert Paul Resch, Althusser and the Renewal of Marxist Social Theory, University of California Press, 1992. Gregory Elliott Althusser: A Critical Reader, Oxford: Blackwell, 1994. E. Ann Kaplan e Michael Sprinkler, The Althusserian Legacy, London, Verso, 1993. Andrew Levine, A Future for Marxism: Althusser, the Analytical Turn and Revival of Socialist Theory, London, Pluto Press, 2003. Jean-Claude Bourdin, Althusser, lecteur de Marx, PUF, 2008. Etienne Balibar, Ecrits pour Althusser, La Decouverte, 2004. Gregory Elliot, Althusser: The Detour of Theory Brill, 2006. 10. 1968 Aldo Agosti , Luisa Passerini , Nicola Tranfaglia (a cura di), La cultura e i luoghi del '68, Franco Angeli, 1991. Francesco Barbagallo, Michele Battini, Bruno Bongiovanni, Alfonso Botti, Paolo Cammarosano, Enrica Collotti Pischel, Giovanni De Luna, Roland Eckert, Giorgio Galli, Marco Grispigni, Diego Leoni, Robert Lumley, Bruno Manghi, Alberto Martinelli, Gian Giacomo Migone, Peppino Ortoleva, Gianfranco Pasquino, Marco Revelli, Giuseppe Ricuperati, Mario Rosa, Guido Verucci; Guido Viale, Il Sessantotto, Milano, NdA Press, 2008. Marcello Veneziani, Rovesciare il Sessantotto, Milano, Mondadori, 2008. Mario Capanna, Formidabili quegli anni, Garzanti, 2007. Mario Capanna, Lettera a mio figlio sul Sessantotto, Baldini Castoldi Dalai, 2008. Mario Capanna, Il Sessantotto al futuro, Garzanti Libri, 2008. Alain Touraine, Le Communisme utopique: le mouvement de mai 1968, Paris, Seuil, 1968 (postface de 1972). Jean-Pierre Le Goff, Mai 68: l'héritage impossible, 1998, réédition en riedito nel 2002, La Découverte. Vincent Cespedes, Mai 68, La philosophie est dans la rue!, Larousse, « Philosopher », 2008. Éric Donfu, Ces jolies filles de mai, 68, la Révolution des femmes, Paris, Jacob-Duvernet, 2008. Daniel Cohn-Bendit, Forget mai 68, 2008. Luc Ferry, Alain Renault, La pensée 68, Gallimard, 1988. 11. Cina, rivoluzione culturale cinese e maoismo Gao Gao e Yan Jiaqi, Turbulent Decade: A History of the Cultural Revolution, University of Hawaii Press, 1992. W. Joseph, C. Wong e D. Zweig, New Perspectives on the Cultural Revolution, Harvard University Press, 1991. B. Barnouin e Yu Changgen, Ten Years of Turbulence, New York: Kegan Paul International, Routledge, Chapman & Hall Inc.1993. Jasper Becker, Hungry Ghosts: Mao's Secret Famine, New York: Henry Holt & Co. 1998, tr. it. La rivoluzione della fame. Cina 1958-62: la carestia segreta, Il Saggiatore, 1998. Mao Tse-Tung, Per la Rivoluzione culturale, scritti e discorsi inediti 1917-1969, con una bibl. Completa degli scritti di Mao, a cura di J. Ch‟en, Torino, Einaudi, 1975. B. Womack The Foundation of Mao Zedong's Political Thought (1917-1935), Honolulu, The University Press of Hawaii,1982. Stuart R. Schram, Mao Tse-tung e la Cina moderna, II Saggiatore, Milano, 1966. 240 Stuart R. Schram, Il pensiero politico di Mao Tse-tung, Mondadori, Milano, 1974. Stuart R. Schram, Mao Zedong: A Preliminary Reassesment, Hong Kong Chinese University Press/New York: St. Martin's, 1984. E. Collotti Pischel, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, Einaudi, Torino, 1979. M. Meisner, Marxism, Maoism and Utopianism: Eight Essays, Madison Wisc., University of Wisconsin Press, 1982. Tang Tsou, The Cultural Revolution and Post-Mao Reforms: a Historical Perspective, University of Chicago Press, 1986. D. Wilson (a cura di), Mao Tse-tung in the Scales of History, New York: Cambridge University Press, 1977. E. Collotti Pischel, E. Giancotti e A. Natoli (a cura di) Mao Zedong dalla politica alla storia, Roma, Editori Riuniti, 1988. Meriti e demeriti, successi e insuccessi di Mao Zedong di Li Rui (1993); le raccolte Mao Zedong: da vivo e dopo la sua morte (1993); Un grande personaggio storico: Mao Zedong (in tre volumi, 1993). Patrick Kessel, Le mouvement < 12. Gramsci Bibliografia Gramsciana (1922-2001) della Fondazione Istituto Gramsci, curata da John M. Cammett, Francesco Giasi e Maria Luisa Righi. N. Matteucci, Antonio Gramsci e la filosofia della prassi, Milano 1951 (1977, 2a ed.). E. Garin, Gramsci nella cultura italiana, in < 241 13. 1977 F. Froio, Il dossier della nuova contestazione, Mursia, Milano, 1977. AA. VV. Bologna, marzo ’77…fatti nostri…, Bertani Editore, Verona, 1977, ora NdA Press, Rimini, 2007. Collettivo A/Traverso (Berardi.F, Bernardi.S, Capelli.L, Matteo.G, Molinari.C, Ricci.P, Saviotti.S, Torrealta.M, Vitali.A, Vivolo.G), Alice è il diavolo. Sulla strada di Majakowskij : testi per una pratica di comunicazione sovversiva, Edizioni L‟Erba Voglio, Milano, 1976. Ripubblicato col titolo: Alice è il diavolo. Storia di una radio sovversiva, a cura di Bifo (Franco Berardi) e Gomma Ermanno Guarneri, Shake Edizioni, Milano 2007. Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, Mondadori, Milano, 1996. Ora Sperling & Kupfler, Milano 2006. P. Moroni, N. Balestrini, L’orda d’oro,1968-1977, Feltrinelli, Milano, 1997. C. Salaris, Il movimento del ’77, AAA Edizioni, Bertiolo (UD), 1997. R. Zangheri, Bologna, Laterza, Bari-Roma, 1986. R. Zangheri, Bologna ’77, Editori Riuniti, Roma, 1978. AA.VV., Millenovecentosettantasette, Manifestolibri, Roma, 1997. AA.VV., Settantasette. La rivoluzione che viene, DeriveApprodi, Roma, 1997. Lucia Annunziata, 1977. L’ultima foto di famiglia, Torino, Einaudi, 2007. Franceschini Enrico, Avevo vent’anni. Storia di un collettivo studentesco 1977-2007, Feltrinelli, Milano 2007. Luigi Bobbio, Lotta Continua. Storia di un'organizzazione rivoluzionaria, Savelli,1979. Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione. 1968-1978: storia di Lotta continua, Mondadori, 1998. 14. Storia della Rivoluzione napoletana del 1799 Benedetto Croce, Eleonora de Fonseca Pimentel, Roma, Tipografia Nazionale, 1887. Benedetto Croce, Il < SPOGLIO DI QUOTIDIANI E RIVISTE7 Lo spoglio effettuato nel corso del presente lavoro prende in considerazione solo una parte della vasta produzione giornalistica di Macciocchi, più strettamente collegata ai temi prescelti nel corso della ricerca. Sono stati esaminati i periodici < < Dove sono i miliardi?, < 7 Si è scelto di inserire solo gli articoli firmati da Macciocchi e non i numerosi editoriali, apparsi nelle colonne Due righe per i lettori, e in seguito Al lettore non siglati e quindi di dubbia attribuzione. 243 L’Unione Sovietica amica dei popoli, < Il più grave sopruso, < Colomba Antonietti, soldato della Repubblica romana, < Lettera a Maria Ovsiannikova, direttrice della Rivista “La donna sovietica”, < “Guida” all’amore coniugale, < < Dagli avvenimenti ungheresi alla guerra in Egitto, < Due righe per i lettori. Adenauer e il suo profeta, < Natale al campo Buozzi, < Al lettore. La chiave per l’azione, < < Si è ora più vicini o più lontani da negoziati di pace per l’Algeria?, < Sui corpi dei bimbi algerini i segni orribili della tortura, < Ministero omogeneo di unità nazionale. Il primo governo dell’Algeria libera, < I minatori della Lorena marceranno su Parigi, < La discussione nella SFIO dopo il congresso, < Mollati giudica positivo l’incontro SFIO-PCUS, < La stampa gollista aspra con l’Italia, < De Gaulle: primo attacco all’egemonia degli USA, < Inatteso invito di Washington a Couve de Murville, < Scetticismo a Parigi sul viaggio di Fanfani, < L’URSS lancerebbe un satellite francese, < Quanto costa all’Italia il MEC agricolo, < Oggi de Murville a Bonn per la crisi della NATO, < Riaperto il dibattito sull’unità a sinistra e l’alternativa a De Gaulle, < Maria Antonietta Macciocchi, Concluso il congresso del PCF. Rochet rieletto segretario, < Il domani della Francia è già cominciato, < Londra si avvicina alle posizioni della Francia? , < Manifestano i contadini francesi. Oggi la grande giornata di lotta, < La classe operaia e i comunisti protagonisti centrali della lotta del popolo francese contro De Gaulle. Intervista con Roland Leroy, dell’ufficio politico del PCF < 269 Curriculum studi e insegnamenti 1. Titoli ottenuti Laurea in Lettere e filosofia all‟Università La Sapienza di Roma Doctorat d‟Etat in Scienze Politiche, con menzione “très honorable”, sostenuto alla Sorbonne il 17 febbraio 1977 2. Insegnamenti 1972 – 1980 Università di Paris VIII – Vincennes/ Dipartimento di Sociologia, Scienze Politiche 1972 – 1973 Corso sulla filosofia di Gramsci 1973 – 1974 Corso interdisciplinare sulle origini del fascismo europeo nei diversi paesi caduti sotto dittatute totalitarie 1974 Creazione di uno dei principali settori di ricerca nell‟Università Paris VIII – Vincennes: “Egemonia ed analisi delle sovrastrutture nella società civile e politica” 1974 – 1975 I fascismi europei prima della seconda guerra mondiale e le diverse forme di repressione e sfruttamento delle donne 1975 – 1976 Analisi delle sovrastrutture ideologiche e politiche nella Francia contemporanea (Stato, potere, la Francia quotidiana attraverso le inchieste condotte sul campo) 1976 – 1977 Lotte femminili e femministe: lettura in diagonale dell‟attività e delle lotte delle donne da noi e altrove, fino a gettare uno sguardo sulle donne del Cile, dell‟Africa e di Porto Rico. 1977 – 1978 Marxismo e femminismo: corso per tentare di mettere in correlazione due concetti: marxismo e femminismo attraverso una ricerca teorica e politica fino in fondo alle fibre di ogni alienazione femminile Pasolini, lingua e cinema: insegnamento che si appoggia soprattutto sulla conoscenza dei film di Pasolini che sono stati presentati in questo periodo 1978 – 1979 L‟esperienza eretica di Pasolini: le principali tappe dell‟opera del poeta, del sociologo, del saggista, del romanziere, attraverso le sue opere Seminario del 10, 11, 12 maggio 1979 dedicato a Pasolini, con la partecipazione di intellettuali di diversi paesi europei 1979 – 1989 Gramsci e la crisi dello Stato moderno: rilettura di Gramsci alla luce della crisi ideologica del marxismo 270 Documenti In questa sezione riportiamo alcune foto di Maria Antonietta Macciocchi e riproduciamo alcuni testi scritti da Macciocchi o indirizzati a lei che ci sono parsi significativi in quanto testimoniano diverse fasi della sua vita, con i relativi legami intellettuali: dalla lettera di Rita Montagnana del 1946, scritta sulla carta intestata dell‟Assemblea Costituente, alla risposta di Moravia a Macciocchi nell‟ambito di una polemica sul ruolo degli intellettuali, fino ad una lettera scritta da Macciocchi ad Umberto Eco nel 1987, a dieci anni dalla rottura con lo scrittore, al tempo della contestazione dei ribelli Bolognesi, nel 1977. Da sinistra: Macciocchi; Macciocchi con i compagni del PCI; Macciocchi con i compagni del PCI alla scuola di Partito delle Frattocchie 271 Sopra: Macciocchi all‟Università di Vincennes con Pierpaolo Pasolini in un dibattito sul fascismo dopo la proiezione del film < Sopra: Macciocchi in dialogo con Jean Paul Sartre nell‟appartamento di questi, a Montparnasse Macciocchi con Simone De Beauvoir a lavoro per il Comité international droit des femmes 272 Macciocchi con Edith Cresson, primo ministro francese tra il 1991 e il 1991 Macciocchi con Simone Veil, presidente del Parlamento europeo Macciocchi con lo scrittore Philippe Sollers 273 Macciocchi con il filosofo Bernard Henri Lévy Macciocchi con Wojtyla 274 Sopra: Lettera di Rita Montagnana a Macciocchi Pagine seguenti: Lettera di Moravia a Macciocchi sul ruolo degli intellettuali. Macciocchi avrebbe voluto inserire la polemica con Moravia in Duemila anni di felicità, ma lo scambio tra i due rimase tra le parti dell‟opera tagliate. Macciocchi scrisse in proposito: “Moravia avviò con me una fervida corrispondenza per rispondere ad una mia critica sul suo libro La rivoluzione culturale cinese. Egli cominciava col distinguere tra intellettuale e artista e, secondo lui, di noi due l‟intellettuale ero io. “L‟intellettuale è un uomo di potere, l‟artista no. Lei che si è occupata di politica tutta la vita ha già ricevuto il suo premio con quel tanto di potere di cui dispone, e più potrebbe riceverne”. A rileggere oggi la mia lunga lettera di risposta, essa mi pare priva di interesse perché resta nei canoni ortodossi, riproponendo la sintesi cinese tra homo faber e homo sapiens. Ma quel che mi incuriosisce è che “la donna di potere” di cui parla Moravia gli risponde con linguaggio privato per svelare se stessa allo scrittore, dopo aver tenuto cattedra sulla Cina: come una donna che col potere ha un rapporto di rifiuto. “Per quel che mi concerne, non ho alcun potere. Tutta la mia vita l‟ho impiegata a combattere perché nel Pci non vi fossero dogmi, verità rivelate, perché il partito non fosse il luogo della carriera sociale. Il mio libro Lettere dall’interno del Pci l‟ho dato alle stampe appena eletta deputata, proprio per rompere il conformismo del successo, e non integrarmi ai meccanismo istituzionali. Come potere reale, posso usare la carta da lettera con l‟intestazione Camera dei Deputati, su cui vado vergando queste righe; posso formulare interrogazioni e interpellanze al governo, a cui però nessuno risponde. Non ho le chiavi per le porte del potere parlamentare. A guardar bene, quando iniziai la legislatura, l‟unica chiave che mi consegnarono – una chiavetta con burdura verde, che sta attaccata al mio portachiavi – consente soltanto l‟ingresso nella linda “Toilette particolare per le onorevoli deputate”. In tre anni di legislatura, ho parlato tre volte in aula, perché siamo 180 deputati comunisti, e perché una donna non è mai prescelta per trattare temi politici. Non posso aprire bocca in aula se non vi sono autorizzata dalla direzione del gruppo. Il mio potere sta dunque nel rifiuto del potere, nella decisione costante di ribaltare subito ogni condizione di subordinazione per conquistare Potere, fino a pagare di persona quando occorra – come avverà anche per il libro sulla Cina – pur di non integrarmi nell‟Istituzione...”. La lettera che Moravia mi rispose conserva una freschezza e un‟intelligenza politica che mi incitano a trascriverla qui per intero. 275 276 277 278 279 280 Sopra: Lettera di Macciocchi a Umberto Eco sull‟Eruopa > e < > per il generale, <> al<